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Potenza del numero

Una vittoria all'ora del th

La matematica aiuta a battere i rigori?

Lazzurro e il giallo entrano nella Boca

Que baile compaero

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La leggenda del resto di Lipsia

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Io sono un autarchico. Oppure no?

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Potenza del numero


Nelle prime tre serie del campionato del Salvador militano in totale 66 squadre, ma solo 14 di queste nella stagione 2011/12 ha ritenuto opportuno far scendere in campo giocatori con il numero 13 o con il numero 18. Lostracismo verso il 13 nello sport non una cosa nuova. Ad esempio in Formula 1 nessuna vettura porta quel numero perch la componente britannica nella massima serie motoristica stata sempre preponderante e si sa che britannici e 13 vanno poco daccordo. Una idiosincrasia che va mol to al di l di quella per il numero 17 tipica dei paesi latini. E, infatti, a pensarci bene, per una sorta di par condicio interculturale anti-sfiga sarebbe stato meno sorprendente per noi apprendere che in Salvador pochi giocatori indossano maglie con dietro il 13 o il 17. Invece, la sostituzione del 13 e del 18 con altri numeri non questione di scaramanzia, ma di vero e proprio miedo, timore. Il Salvador un classico esempio di fragile democrazia latino-americana, che tradotto vuol dire povert diffusa, multinazionali estere e corruzione al potere, bande rivali che imperversano per le strade e gestiscono qualsiasi tipo di traffico internazionale, alto tasso di omicidi per numero di abitanti. E il caso ha voluto che le due organizzazioni criminali attualmente pi in vista abbiano nomi direttamente collegabili ai numeri incriminati: la MS-13 e il Barrio 18. Il numero scelto in entrambi i casi rimanda a una strada di Los Angeles, giusto per rimarcare il respiro internazionale dell'organizzazione: infatti nata nella 13a strada della metropoli californiana la MS-13, il cui nome completo Mara Salvatrucha ha un'etimologia incerta e potrebbe significare Banda di furbi salvadoregni oppure Formica dell'esercito salvadoregno; Barrio 18 invece la traslitterazione spagnola di 18th Street Gang, ovvero la Gang della 18a strada. Cos, in regime di libert di scelta del numero sulla propria schiena ma obbligo di portare il numero scelto per una stagione intera, calcare i terreni di gioco del Salvador con il 13 o con il 18 dietro la schiena assume agli occhi degli altri un significato che va al di l dellevento sportivo. Un po quello che successe al ventiduenne Gianluigi Buffon nellestate del 2000. Al momento della scelta dei numeri, l'allora portiere del Parma comunic di voler giocare nella stagione seguente con un insolito 88 sulla maglietta perch, a detta sua, in quella stagione, che seguiva gli Europei saltati per infortunio, non gli bastavano le canoniche due palle, ma gliene servivano quattro e quel numero proprio da quattro testicoli era formato. Il responsabile dello sport della comunit ebraica fece, invece, notare che 88 in certi ambienti significava HH, ovvero Heil Hitler, perch H l'ottava lettera dell'alfabeto. E
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Buffon di questi ambienti era sospetto simpatizzante, visto che il 26 settembre 1999 si era presentato con un Boia chi Molla! aggiunto a penna sulla maglietta in sala stampa dopo un Parma-Lazio perso malamente dai ducali. Fatto sta che il Parma convinse Buffon a cambiare idea, a non usare il numero 88 e a ripiegare su un pi mite e meno sferico 77. Le connessioni sinaptiche messe in moto dai numeri delle maras salvadoregne o dal doppio otto di Buffon rappresentano forse casi eccezionali, ma un numero sulla schiena di un calciatore gi di per s un potente mezzo evocativo. Innanzitutto per la sua valenza espressiva. Non a caso fu per rendere pi riconoscibili tra loro i giocatori di una stessa squadra che il 25 agosto 1928 l'Arsenal di Herbert Chapman e lo Sheffield Wednesday giocarono con delle magliette numerate (dall'1 all'11 quelle del Wednesday, dal 12 al 22 quelle dei gunners). Quando poi nel 1939 la Football Association e altre Federazioni, tra cui la F.I.G.C., accettarono definitivamente l'idea di abbandonare le magliette impersonali e introdussero la ben nota doppia numerazione da 1 a 11, i giocatori in campo divennero pi facilmente riconoscibili anche per giornalisti, tifosi e semplici spettatori. Cos accanto alla propria forza espressiva, ecco che il numero sulla maglia combinato con il ruolo ricoperto in campo divenne un tuttuno nellimmaginario collettivo: l1 del portiere, il 9 della punta centrale, il 10 del giocatore dai piedi buoni, il 5 del difensore arcigno, il 7 dell'ala destra. Un equilibrio leggermente scalfito dalle grandi manifestazioni, in cui ti potevi affezionare indifferentemente al 10 di Pel, al 14 di Johan Cruijff o al 20 di Paolo Rossi, e apparentemente rotto all'indomani dell'introduzione della numerazione permanente a met degli anni novanta. Da quel momento proliferano, infatti, sui terreni di gioco schiene col proprio anno di nascita, col numero preferito o semplicemente con un numero o una scritta che ricorda quello che si sarebbe voluto prendere se non fosse stato opzionato da qualcun altro. Ricordiamo l1+8 di Zamorano ai tempi di Ronaldo o il Nine che campeggiava al posto del nome sulla maglia biancorossa numero 33 del Perugia di Kaviedes nella stagione 1998/99. Perch la verit che, anche se adesso si pu indossare una maglia col 57 o col 93, i numeri a cui tutti sono pi affezionati sono sempre gli stessi, sono i numeri che ricordano grandi del passato e si legano ai colori della propria squadra del cuore: il 10 di Maradona, Baggio, Totti o Del Piero, il 9 di Ronaldo, il 6 di Franco Baresi, il 3 di Paolo Maldini, l'1 di Zoff. Un fenomeno che ritrovi anche nelle citt di provincia come Perugia, dove il numero 8 a pi di 35 anni dalla morte in campo di Renato Curi, ha ancora un peso particolare perch vuol dire impegno sul campo, disponibilit coi compagni e sorriso sulle labbra.
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Una vittoria all'ora del th


Un pimpante Dan Peterson entra in un bar seguito da un nugulo di alti ragazzini, si fa servire una tazza dacqua calda e sfodera dalla tasca una bustina che contiene venti-tipi-di-th tutti appiattati comuna squadra vincente! Uuh, uuh, Magico Lipton. Azzeccata strategia comunicativa? Insofferenza verso quella terribile parlata American Italian? Non so. Fatto sta che questo spot anni ottanta la prima cosa che il nome di Sir Thomas Lipton mi fa venire in mente. Una associazione di idee che ha il suo inaspettato lato positivo visto che la scelta come testimonial del prodotto dell'ex allenatore dell'Olimpia Milano, nonch commentatore tv, rimanda casualmente alla sfera sportiva. E il magnate scozzese del th proprio nello sport aveva il suo passatempo preferito. Innanzitutto, la vela, come si addice a un commerciante che possedeva una vera e propria flotta. I suoi Shamrock provarono per cinque volte tra il 1899 e il 1930 a portare in Inghilterra lAmericas Cup. Senza successo, anche se questa ostinazione rese il suo nome e i suoi prodotti molto noti negli Stati Uniti e lo avrebbe fatto entrare nel 1993 nella Hall of Fame della competizione. E poi il calcio. A leggere la sua biografia sembra che Lipton avesse una spiccata propensione a regalare coppe e a far disputare in svariate parti del globo trofei di football che avessero il suo nome. Del resto la pubblicit lanima del commercio e il salto da cup a cup of tea veramente breve. Ecco cos nascere nel 1905 la prestigiosa Copa Lipton, che le nazionali di Argentina e Uruguay si sarebbero contese annualmente fino al 1929 e poi ancora sporadicamente fino al 1992. Anche l'Italia, dal Nord al Sud, fu toccata dalla mano elargitrice di coppe. I primi a beneficiarne furono i palermitani. Il trofeo donato da Sir Thomas, che ovviamente si chiamava Coppa Lipton, divent tra il 1909 e il 1915 lappuntamento calcistico pi atteso dellanno in unepoca in cui le squadre meridionali non partecipavano al campionato federale. Facciamo un passo indietro. La storia ufficiale del football italiano comincia col racconto di come il gioco si diffuse innanzitutto nella citt portuale di Genova e da l in tutto il Nord per opera di marinai e commercianti inglesi, non sottolineando che, anche se con portata minore, nel Sud era successa la stessa cosa. Associazioni calcistiche fondate da italiani e inglesi erano infatti sorte tra il 1896 e il 1900 nelle tre citt portuali di Napoli, Palermo e Messina, ma i problemi economici dellex regno borbonico, da poco conquistato e saccheggiato dai sabaudi, e il fatto che la Federazione Italiana avesse sede a Torino tagliavano di fatto fuori dal panorama calcistico le squadre di queste citt.
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Cos, quando il 30 aprile 1907 Sir Lipton sbarc a Palermo, non ebbe difficolt a organizzare una sfida tra la squadra della propria imbarcazione e quella locale del Palermo Foot Ball Club. Ricercare in ogni porto avversari da affrontare era certamente una consuetudine per la ciurma di Lipton, ma nel capoluogo siciliano i marinai inglesi dovevano aver trovato pane per i propri denti visto che in quella storica partita furono i rosanero ad avere la meglio. Cos, al termine della sosta palermitana, luomo daffari decise di regalare una enorme coppa dargento alta 80 cm e pesante 5 kg, ponendo un'unica condizione: il trofeo doveva essere annualmente assegnato in un match tra la pi forte squadra dellisola e la pi forte squadra campana, selezionate attraverso eliminatorie a base regionale. Segno che anche a Napoli la squadra dei marinai inglesi aveva trovato filo da torcere e che quella vecchia volpe di Lipton aveva capito che il calcio era un ottimo modo per far girare il proprio nome anche nel Sud Italia. All'ora del th nacquero cos i primi incontri ufficiali tra napoletani e palermitani. Tra il 1909 e il 1915 si disputarono sette edizioni della Lipton Challenge Cup, questo il nome ufficiale. Per la Campania arriv in finale cinque volte il Naples (2 vittorie e 3 sconfitte) e due volte lInternazionale Napoli (sempre sconfitto). Il Palermo F.B.C. invece non manc neanche una finale e nel 1915, dopo il quinto trionfo, si aggiudic per sempre la coppa. O meglio fino a quando la coppa spar o perch fusa per volere del regime fascista in periodo di carenza dargento o perch venduta sotto mentite spoglie. Dopo i palermitani tocc ai torinesi beneficiare della munificenza di Sir Thomas in fatto di coppe. Questa volta il magnate del th non fece nascere dal nulla un nuovo torneo, ma si limit (si far per dire) a una cospicua sponsorizzazione di uno gi esistente. Nel week end pasquale del 1908 si era infatti disputato a Torino il Torneo Internazionale della Stampa Sportiva, vinto dagli svizzeri del Servette. Il torneo aveva riscosso un tale successo di pubblico che il giornale piemontese si sentiva in obbligo di ripetere l'evento. Per fortuna del comitato organizzatore Sir Thomas si trov a passare da Torino a ottobre del 1908 per essere insignito del titolo di Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia. Come spiega La Stampa del 2/11/1908, "l'idea non era ancora stata appieno concretata su quanto concerneva la complessa organizzazione dell'impresa quando il magnifico gesto di un appassionato sportsman inglese, Sir Lipton, un gentleman notissimo e... milionario veniva a dare impulso all'iniziativa" Il magnifico gesto cui si riferisce il giornale la donazione di una coppa del valore di 2000 lire dell'epoca. Come ringraziamento il torneo fu ribattezzato dagli stessi organizzatori Lipton Trophy.
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Sir Thomas, per, da vero amante del football non si limit a questo. Tornato nella madre patria prov a convincere la Football Association a inviare per il torneo una squadra ufficiale. Incassato il no, risolse di scegliersi la squadra con propri mezzi. Forse su suggerimento di uno dei suoi impiegati, contatt il West Auckland, una squadra di minatori che estraevano carbone nel Nord dell'Inghilterra e partecipavano a una lega per dilettanti, la Nothern League. I minatori accettarono, arrivarono in Italia e se ne tornarono con la coppa dopo aver sconfitto in semifinale lo Sportfreunde di Stoccarda e in finale gli svizzeri del Winterthur. E due anni dopo si ripeterono, battendo prima 2-0 lo Zurigo e poi travolgendo 6-1 la Juventus. Dopo il 1911 il torneo non si disput pi, anche perch le nazioni che lo avevano animato stavano per affrontarsi altrove. Il Lipton Trophy rimase cos in bella mostra in questo paesino di minatori finch nel 1994 non fu misteriosamente trafugato. Evidentemente le coppe di nome Lipton disputate sul suolo italico sono legate da un identico strano destino.

La matematica aiuta a battere i rigori?


Tutti i tifosi sono probabilmente daccordo su un'unica cosa: il calcio bello perch imprevedibile. Un rinvio per liberare la difesa pu inaspettatamente trasformarsi in gol, come accadde a Brunetti in un Pescara-Taranto del 1991, o una ciabattata pu diventare un assist, come ben sanno i milanisti Nocerino e Muntari che cos sono riusciti a segnare alla Juventus nel 2013. Per quanto schemi, tattiche e allenamenti abbiano reso l'approccio al calcio sempre pi sofisticato, durante i novanta minuti di gioco non c niente di sicuro, non c scienza esatta che possa prevedere cosa succeder sul terreno verde. Eppure la tentazione di voler far rientrare per forza la matematica e, in particolare, la statistica in studi che riguardano il calcio c in molti ric ercatori. Una tentazione che molto spesso si basa sullidea che un qualcosa detto tramite formule o espresso tramite percentuali risulta pi credibile dello stesso concetto espresso a parole. Una partita di calcio per un macrofenomeno troppo complesso per essere analizzato in modo soddisfacente e allora, per prima cosa, meglio restringere il campo di indagine e dedicarsi ad esempio al calcio di rigore, una parte del gioco importantissima ma che avviene a gioco fermo e coinvolge due soli giocatori, un portiere e un tiratore. Ma anche questa restrizione non garanzia di risultati: portiere e tiratore tra loro si influenzano, mentre ogni quipe di ricercatori deve per forza di cose
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concentrarsi sulle emozioni, sul modo di ragionare di uno solo dei due. Alcuni ricercatori di psicologia sparsi qua e l nel mondo hanno preferito occuparsi della solitudine del portiere. Ad esempio, lUniversit di Hong Kong ha pubblicato uno studio in cui si spiega statisticamente che se il portiere si muove tra i 6 e i 10 centimetri dal centro della porta, lasciando pi esposto uno dei due lati, avr pi probabilit di parare tuffandosi dal lato esposto. Da parte loro, ricercatori dellUniversit di Chichester, nel Sud dellInghilterra, suggeriscono che un portiere vestito di rosso, a causa della sensazione di pericolo che comunica questo colore, ha pi possibilit di parare. I colleghi di Exeter, invece, suggeriscono al portiere di fissare le anche del tiratore al momento di colpire il pallone per meglio indovinare da quale parte buttarsi. Qualche altra quipe si invece occupata della solitudine del tiratore. Alcuni ricercatori in psicologia dellUniversit di Amsterdam hanno condotto uno studio che mostrerebbe come i portieri, quando sono sotto stress o quando la loro squadra in svantaggio, si tuffano prevalentemente alla loro destra. Tutte ricerche scientificamente corrette, ma fatte ex post, basate sulla frequenza di un certo dato in un campione scelto di tiri dal dischetto e buone, quindi, solo per suggerire strategie, non certo per predire con esattezza un evento. E poi non tutti i rigori sono uguali e lo sa bene Hart che si veste di rosso ed un buon pararigori in Premier League, ma ha subito il cucchiaio di Pirlo agli Europei. Ma accanto a questi studi condotti nei dipartimenti di psicologia c' una ricerca che in assoluto dovrebbe fugare ogni dubbio agli attaccanti, una ricerca finanziata in previsione dei mondiali tedeschi del 2006 (udite bene!) dai bookmakers dellagenzia Ladbrokes e condotta dal Dott. David Lewis della Universit John Moores di Liverpool. In questa universit da anni si studiano punizioni, dribbling e tackle e c proprio un gruppo di professori di scienze motorie e di psicologi che pubblica su riviste scientifiche molti articoli a riguardo. Il problema che il Lewis in questione indicato come matematico dagli articoli che ne parlano, ma lunico matematico di Liverpool che risponde a tale nome e di cui vi sia traccia in rete insegna in unaltra universit e si occupa normalmente di fusione catalizzata di muoni, qualunque cosa essa sia. Ad ogni modo lquipe di Lewis in quella ricerca del 2006 propone la seguente formula matematica per il rigore perfetto: (((X+Y+S)/2) ((T+I+2B)/4))+(V/2)-1. In essa sarebbero inclusi tutti i fattori che influenzano il tiro: la posizione in cui si colpisce il pallone rispetto al centro (X) e al suolo (Y), il numero di passi nella rincorsa (S), il tempo che passa tra posizionamento sul dischetto e tiro (T), il tempo di reazione del portiere (I), la posizione del piede al momento del
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tiro (B), la velocit della palla (V). Anche se non siamo riusciti a capire come interpretare il valore numerico ottenuto, il responso pare sia questo: tiro a mezza altezza a uno dei lati del portiere, breve rincorsa (tra i 4 e i 6 passi), colpo secco e velocit tra i 90 km/h e i 104 km/h. Oltre a scrivere la formula, Lewis propone come modello del rigore perfetto la massima punizione calciata da Alan Shearer contro lArgentina al Mondiale del 1998. Peccato che quel giorno Shearer non disse niente a Ince e Batty e che lInghilterra fu eliminata proprio ai rigori, lasciando la qualificazione ai quarti in mano alla squadra di Passarella. Dato lo spessore morale dei committenti non ci sorprende il fatto che nessun articolo scientifico ne sia stato tratto e che in compenso se ne sia avuta una larga diffusione mediatica. Non siamo neanche sorpresi che gli inglesi abbiano perso ai rigori anche contro il Portogallo nel Mondiale 2006 e contro lItalia a Euro 2012. Vujadin Boskov chioserebbe dicendo che per attaccante rigore perfetto quando attaccante segna. E lo zio Vuja ha sempre ragione. Quando la palla tocca la rete, sia come sia, il gol modifica il risultato. E poi ci sono tanti rigori strani, imprevedibili, innovatori o pazzi che sfuggirebbero a qualsiasi equazione o statistica, come il cucchiaio di Panenka nella finale degli Europei del 1976, il rigore a due piedi di Martn Palermo con la maglia del Boca, il penalty indiretto di Johan Cruijff e Jesper Olsen del dicembre 1982 in AjaxHelmond Sport, il tiro con il piede opposto di Ezequiel Calvente contro lItalia Under 19 e il rigore realizzato di tacco da Francesco Totti in allenamento. Per noi ci sono pochi dubbi. Questa matematica non aiuta a battere i rigori, ancor meno a segnarli.

Lazzurro e il giallo entrano nella Boca


La mattina del 5 di febbraio del 1907 Juan Bricchetto era al porto di Buenos Aires, al lavoro tra le prime due dighe di sbarramento. La sua occupazione consisteva nel permettere il passaggio alle navi da una diga a unaltra, unoccupazione piuttosto ordinaria per la persona che dallanno precedente era presidente di quello che in futuro sarebbe diventato uno dei pi grandi club di football del mondo, il Boca Juniors.
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La prima imbarcazione che quella mattina entr nel porto bonaerense, e che Bricchetto lasci passare, riluceva dei colori azul y oro, azzurro e giallo. Un fatto comune e insignificante che per pass alla storia grazie alloriginale idea che il giorno precedente lo stesso Bricchetto, in qualit di presidente del club, aveva proposto: scegliere per la nuova divisa del Boca i colori della prima nave che fosse approdata al porto la mattina seguente. E il caso volle che la bandiera che ondeggiava a poppa di quella prima barca fosse quella con una croce gialla su campo azzurro della Svezia. Non si conosce con esattezza il nome dell'imbarcazione che ha involontariamente deciso i colori del Boca e, a dire la verit, non c' neanche la certezza del giorno in cui il tutto avvenne. Ad ogni modo, dai verbali del club bonaerense, si apprende che Bricchetto present i colori nel mese di aprile di 1907 e, quindi, la scelta del giallo e dell'azzurro cadde tra gennaio e aprile. La data pi probabile il 5 febbraio 1907, poich quel giorno entrarono nel porto bonaerense le navi Oskar II e Prinsessan Ingeborg battenti bandiera svedese. Il Boca Juniors era stato fondato nell'aprile del 1905 da immigrati italiani, che si erano insediati nel quartiere della Boca. Immigrati per lo pi genovesi da cui il soprannome xeneizes, ovvero 'genovesi'. Accanto al nome del quartiere i fondatori decisero di aggiungere la parola 'Juniors' per dare un tocco di britanniticit, perch il gioco del football da l proveniva. Fino a quel fatidico giorno del 1907 il Boca aveva provato diverse maglie. La prima era di colore rosa, ma fu ritirata rapidamente forse per le prese in giro che provocava da parte dei rivali. Fu Manuela Farenga, sorella di due dei fondatori del club che cuc la seconda maglietta del Boca Juniors con le proprie mani. Un design semplice, maglietta bianca con tre strisce spesse di colore nero cuciti in maniera verticale, ma neanche questo nuovo modello ebbe molta fortuna e prima di terminare lanno fu abbandonato. Il Boca utilizz allora un nuovo colore, il celeste. In una partita contro il Nottingham di Almagro, le due squadre si presentarono con una maglietta simile, e il fatto che la squadra fu sconfitta spinse i dirigenti della squadra bonaerense ad abbandonare anche questo colore. Per la seconda volta in poco tempo il club torn allora al bianco e nero, ma con un cambiamento: le frange verticali erano pi numerose, e il design includeva un colletto innovativo con righe orizzontali e bottoni. Ma qualcosa ancora non convinceva i dirigenti del club che decisero cos di affidarsi al caso e alle navi di passaggio. Il 4 agosto del 1907 il Boca Juniors vest per la prima volta i suoi storici colori azzurro e giallo in una partita
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contro i General Arenales . La maglietta ricordava quella dei futuri rivali del River Plate: era azzurra con una banda diagonale di colore giallo, che, per, non aveva una direzione specifica. Cos nella stessa partita potevano vedersi giocatori con la banda verso destra o verso sinistra. Il design attuale della maglietta xeineze non si decise fino al 1913, quando la banda, posta allaltezza del petto, divenne orizzontale, fissando quella immagine che nella mente di tifosi e appassionati di calcio rimanda automaticamente alla divisa del Boca Juniors. Lazul y oro da allora sono il simbolo di una squadra che ha cominciato presto a vincere in patria e, a partire dalla storica tourn in Europa del 1925, diventata un simbolo e un modello anche all'estero. Colori che nel corso degli anni hanno reso celebri Roberto Chacha Muozo (lo stopper recordman di presenze nel club), i bomber ngel Clemente Rojas Rojitas e Martn Loco Palermo, il portiere Hugo Gatti e Diego Armando Maradona. Chiudiamo con una annotazione. Rosario Central e Club Atltico Atlanta adottarono prima ancora del Boca casacche gialle e azzurre, anche se con diverso design. La cosa curiosa che il Club Atltico Atlanta, fondato nel 1904, scelse i propri colori in un modo pi semplice rispetto a quello usato dal Boca, ma altrettanto stravagante. Lazzurro e il giallo furono, infatti, ispirati dalle tende posizionate allesterno degli stabilimenti commerciali presenti allepoca nella zona. Una sorta di sponsorizzazione ante litteram visto che le tende erano state progettate da Emilio Bolinches, uno dei fondatori del club. Una sponsorizzazione, per, senza molto successo visto che l'Atlanta non ha vinto nulla di importante.

Que baile compaero


Per parlare di calcio in Argentina non necessario concentrarsi su Buenos Aires e sulla dualit Boca Juniors-River Plate. C' un'altra possibilit, un'altra citt dove il pallone una parte molto importante della vita quotidiana. Questa citt Rosario, dove monumenti del football argentino come Csar Menotti, Diego Armando Maradona e Marcelo Bielsa hanno vissuto momenti importanti e dove il derby tra i leprosos (lebbrosi) del Newell's Old Boys e le canallas (canaglie) del Rosario Central un evento imperdibile. La pagina pi gloriosa del football rosarino, per, non ha mai varcato le frontiere argentine: poco si sa di questo evento a causa della volont della federazione, l'Asociacin del Futbol Argentino, di nascondere agli occhi del
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mondo una umiliante sconfitta patita dalla propria rappresentativa nazionale. 17 aprile 1974. In vista del Mondiale di Germania, la selezione argentina decise di giocare una partita di preparazione proprio a Rosario contro una squadra composta da giocatori del Central e del Newell's, e da un calciatore del Central Crdoba, terzo club della citt, che non aveva neanche l'ambizione di calcare campi pi prestigiosi e col passar del tempo sarebbe stato dimenticato, Toms Felipe Carlovich. El Trinche, il forchettone, era il soprannome di questa autentica leggenda, ammirata persino da Maradona che, al momento del suo arrivo al Newell's, nel 1993, in risposta a un giornalista che gli stava dicendo che era un onore avere a Rosario il miglior giocatore del mondo, rispose senza indugio: Il miglior giocatore del mondo ha gi giocato a Rosario, era un tale Carlovich. Torniamo, per, a quel 17 aprile che per gli abitanti di Rosario si presentava come il D-day. Trentamila persone inondarono lo stadio del Newell's, El Coloso del Parque, e per la prima volta i tifosi delle due fazioni si abbracciarono e insieme cominciarono a incitare la stessa squadra. I due grandi club di Rosario, al di l della rivalit, avevano infatti lo stesso modo di giocare al calcio. Il Flaco Menotti, poi allenatore dell'Argentina campione del mondo nel 1978, parlava di un certo "stile rosarino", che consisteva in un calcio elegante e bello, un calcio d'attacco estremamente tecnico, fatto di possesso di palla e gioco collettivo e, soprattutto, di tocchi deliziosi. E quel giorno lo stile rosarino avrebbe raggiunto l'apice. Juan Carlos Montes, allenatore del Newell's e per l'occasione in panchina insieme all'allenatore del Central Griguol, prima dell'inizio disse ai suoi: Bene ragazzi, oggi abbiamo una grande occasione per mostrare al paese cos' il football rosarino. L'unica cosa che vi chiedo di impegnarvi al massimo e di giocare il calcio che pi vi piace. Divertitevi come se foste in un campetto e non preoccupatevi troppo delle marcature. Qui gli obblighi ce li hanno solo gli altri, che sono i migliori del paese, noi non dobbiamo impazzire e giochiamo come pi ci piace" La partita non poteva iniziare in modo migliore per i padroni di casa. Il primo pallone che el Trinche tocc si trasform in un'opera d'arte per quelli che ebbero la fortuna di assistere: Carlovich ricevette il pallone da Aimar, si ferm davanti a Pancho S, difensore dell'Independiente, e gli fece un gran tunnel, non contento di questo, si blocc di nuovo e quando S si gir, torn a fargli passare il pallone in mezzo alle gambe. Tunnel de ida y vuelta e applausito da
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tutto lo stadio. Poco dopo cominci lo show rosarino: Kempes, che quattro anni dopo sarebbe stato pedina fondamentale nella discussa Argentina campione del mondo, serv una palla a Jorge Gonzalez che segn l'uno a zero. Poi al minuto 25 Carlovich fece di nuovo alzare tutto il pubblico quando con assist di lusso serv el Mono Obberti che realizz cos il secondo gol. Di nuovo Kempes fece impazzire i tifosi a pochi minuti dalla fine del tempo battendo Santoro, portiere dell'Independiente, e mise al sicuro la partita. Carlovich, intanto, si stava ritagliando il ruolo di stella della partita, dettando passaggi precisi e assist al bacio e facendo giochi di prestigio col pallone, tra cui due sombreri a Brindisi, uno dei giocatori simbolo di quella nazionale argentina. Era solo il primo tempo e l'Argentina stava ricevendo un'umiliazione incredibile da una squadra di provincia. Negli spogliatoi ci fu una discussione molto accesa, in cui Cap, selezionare della albiceleste, infuriato chiese a quelli di Rosario di darsi una calmata e pretese da Griguol e Montes l'uscita dal campo di quel tale col numero 5, Carlovich. Cos nel secondo tempo la squadra di casa si limit ad amministrare il risultato, a divertirsi giocando e a deliziare il pubblico presente. L'uscita dal campo del Trinche fu trionfo, un tributo da parte dei tifosi cos forte che fece tremare il Coloso. Da quel momento l'unica cosa da segnalare fu il gol di Cocco per l'Argentina, che diede al risultato un aspetto leggermente diverso. La realt era ben altra. Grazie a Kempes, Obberti e grazie soprattutto a quel tal Carlovich la squadra rosarina dio un baile, fece la festa alla selezione nazionale e Rosario per un giorno era diventata il centro calcistico del paese.

La leggenda del resto di Lipsia


Prima di raccontare questa storia serve una premessa sugli eventi che hanno rischiato di spazzarne via la memoria. Eventi necessariamente legati agli stravolgimenti avvenuti nell'ex Germania Est dopo la riunificazione tedesca, con inevitabili ripercussioni anche nello sport. Per certi versi Lipsia una citt emblematica, perch qui la fine della DDR ha provocato un enorme decremento demografico, basti pensare che circa la met della popolazione in et lavorativa ha deciso di spostarsi a ovest tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90. Le conseguenze anche economiche di questo fenomeno hanno ovviamente condizionato anche il destino delle due storiche squadre di calcio, anche se in modi diversi: la Lokomotiv Leipzig, inizialmente inserita nella
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nuova Bundesliga riunificata, sembrava poter sopravvivere senza particolari problemi all'onda d'urto provocata dalla caduta del Muro, ma nel 1995 fallita ed stata costretta a ripartire dalle categorie minori. La BSG Chemie Leipzig, gi coi conti in rosso, sparita e stata rifondata pi volte nel ventennio successivo alla riunificazione, annaspando continuamente nelle serie semidilettantistiche. Proprio questa disastrata situazione - a fronte di un bacino di utenza potenzialmente importante visto il successivo ripopolamento della citt, e della presenza di uno stadio capiente e avveniristico 1 - ha probabilmente indotto la Red Bull a puntare forte su Lipsia per irrompere nel calcio tedesco, riuscendo a fondare una squadra a proprio nome nel 2009. Il primo assalto della multinazionale austriaca risale per al 2006 quando ha provato ad assorbire proprio la Chemie, ma si trovata di fronte la strenua opposizione dei tifosi, che hanno preferito ripartire dai campetti in terra pur di mantenere il nome, i tradizionali colori biancoverdi e soprattutto la storia2, legata in gran parte alla leggendaria stagione 1963/64 di cui stiamo per parlare. Ancora un attimo di pazienza, per, perch le origini della Chemie risalgono addirittura al 1899, anno di fondazione della Britannia Leipzig che poi nel 1919 si fuse con lHerta 05 Leipzig e nel 1932 si trasform in Tura Leipzig. Durante il periodo nazista il calcio tedesco fu organizzato in sedici divisioni chiamate Gauligen, una per ogni Land, e la Tura, pur senza conseguire risultati degni nella Gauliga Sachsen (anche retrocedendo nel 1942) aveva gi un grande seguito di tifosi. Nel dopoguerra la squadra fu sciolta e dalle sue ceneri nacque la ZSG Industrie Leipzig (risultato della fusione della ex Tura con altri piccoli club locali), che nel 1950 si inizi finalmente a chiamare BSG Chemie Leipzig 3 . Nella nuova DDR-Oberliga, la massima serie della Germania Est
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Si tratta di quello che si chiamava Zentralstadion, ora Red Bull Arena, unica struttura nella ex Germania Est ad ospitare i mondiali 2006 e fiore allocchiello della candidatura di Lipsia alle Olimpiadi 2012, poi assegnate a Londra. Una cosa del genere avvenuta anche a Salisburgo, in cui una parte della tifoseria ha deciso di contribuire a fondare la Sportverein Austria Salzburg ripartendo da zero. La Red Bull attualmente possiede vari club in un po' tutto il mondo, in Brasile, Stati Uniti, Ghana ecc., ma pensate se la vostra squadra del cuore fosse assorbita da una multinazionale acquisendone nome e stemma dozzinali e diventando una sorta di franchising: voi come reagireste?
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Il nome Chemie dovuto alla riorganizzazione dello sport da parte dei vertici della DDR, che consisteva in varie Betriebssportgemeinschaft (BSG, appunto), comunit sportive a cui il nome veniva assegnato in base al tipo di industria o attivit intorno a cui ruotavano. Nel caso dei club chiamati Chemie il riferimento allindustria chimica (ne llo specifico della Chemie Leipzig la produzione di vernici), quelli chiamati Lokomotiv si riferivano al settore dei trasporti, Turbine allenergia, Vor wrts allesercito e cos via. Esattamente come in tutti i paesi socialisti, del resto.

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nata nel 1948, i successi non tardarono ad arrivare; i biancoverdi infatti nella stagione 1950/51 arrivarono primi a pari punti con la Turbine Erfurt, e in questi casi la formula prevedeva uno spareggio in campo neutro non considerando differenza reti n altri criteri. La partita si gioc allErnst Thlmann-Stadion di Chemnitz4 di fronte a 60.000 persone (ma in 200.000 provarono ad assistervi) e la spunt la Chemie, che cos vinse il suo primo campionato. Nelle stagioni immediatamente successive i biancoverdi sfiorarono di nuovo il titolo in un paio di occasioni, ma il partito socialista non vedeva di buon occhio il fatto che questo club fosse il migliore di Lipsia: secondo le autorit questo ruolo doveva appartenere alla Vorwrts, la compagine legata allesercito. Inizi cos, nel 1953, una sorta di giro di vite per i migliori giocatori della Chemie, forzatamente costretti ad abbandonare la squadra. Questo intervento dallalto, per, non ottenne i risultati sperati: semplicemente in questo modo tutte le squadre della citt, vista la dispersione di calciatori, ottennero piazzamenti mediocri per tutto il decennio successivo. I vertici politici decisero cos di intervenire ancor pi drasticamente, lasciando da parte le velleit legate alla squadra dellesercito e fondando nel 1963 la SC Leipzig, una sorta di dream team formato dai migliori giocatori di tutti i club di Lipsia, in nome del prestigio sportivo della citt. Gli scarti di questa operazione, i calciatori ritenuti meno validi, andarono a militare nella Chemie, chiamata infatti allepoca il resto di Lipsia viste le circostanze in cui la nuova rosa si era formata. I tifosi in realt accolsero tutto ci di buon grado, evidentemente contenti di poter tornare a supportare la propria squadra senza ingerenze politiche, e per tutta la stagione 1963/64 riempirono il GeorgSchwarz-Sportpark a una media di 20.461 spettatori (il doppio rispetto alla SC). Linizio del campionato rappresent un presagio del miracolo sportivo che poi sarebbe accaduto: la SC perse la prima partita 3-0 a Zwickau mentre la Chemie si impose in casa per 2-0 contro la BSG Wismut Aue. Il sentitissimo derby era in programma per la sesta giornata e il suo risultato fu ancor pi emblematico: il resto di Lipsia sconfisse il dream team con un rotondo 3-0. Il leggendario Alfred Kunze, allenatore della Chemie dellepoca a cui oggi intitolato lo stadio di casa, era convinto che questo risultato fosse frutto di motivazioni che alla SC mancavano. Gli scarti dovevano dimostrare che dall'alto si erano sbagliati a considerarli tali. Queste

Allepoca la citt si chiamava ancora cos, nel 1953 cambi nome in Karl-Marx Stadt per poi tornare a denominarsi Chemnitz nel 1990 dopo un referendum.
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motivazioni in effetti durarono per tutto il campionato, clamorosamente vinto dalla Chemie anche grazie al valore aggiunto rappresentato da Bernd Bauchspie, studente di medicina originario di Zeitz che chiuse la stagione da capocannoniere con 13 reti. Bauchspie, per, non pot giocare lultima partita della stagione in cui si decideva tutto, visto che la seconda in classifica, la SC Empor Rostock, non mollava ed era ancora l a due punti di distacco (la SC Leipzig chiuse addirittura al terzo posto). Ironia della sorte, questo match fu proprio contro la Turbine Erfort, proprio quella dello spareggio del 195051, anche se in questo caso era gi retrocessa e non aveva pi nulla da chiedere se non un desiderio di rivalsa per la partita di Chemnitz. Infatti, pur con qualche difficolt e pur senza il suo attaccante pi prolifico, la Chemie si impose per 2-0 e il resto di Lipsia entr nella storia. Quello che ora si chiama "lo spirito del 1964" si respira all'Alfred Kunze Sportpark non solo grazie alle undici sculture dei calciatori che hanno realizzato quest'impresa, ma anche per gli striscioni, i cori e l'atmosfera generale intorno a una squadra e a una tifoseria che hanno scelto di non accettare i soldi facili e le vittorie effimere. E non importa che si giochi in sesta se non settima divisione, perch il calcio -quello vero, quello che piace a noi- un'altra cosa e perch, come ha poi dichiarato Bauchspie parlando della stagione 1963/64, undici buoni giocatori non sono necessariamente destinati a diventare una buona squadra, dietro c' molto altro.

Io sono un autarchico. Oppure no?


Gli azzurri campioni del mondo per due volte consecutive, nel 1934 e nel 1938, rappresentano forse l'apice del calcio italiano che in quegli anni iniziava ad acquisire i suoi tratti tipici. Tuttavia la Nazionale di Vittorio Pozzo ha s vinto sul campo praticando un gioco innovativo per l'epoca, ma stata anche - volente o nolente - una grande arma di propaganda per il regime fascista, alle cui grinfie non sfuggito nemmeno il calcio. I deliri nazionalistici e isolazionisti, infatti, si sono propagati anche in questo ambito, ma le due Coppe Rimet in questione probabilmente non sarebbero state alzate senza l'apporto di calciatori e allenatori stranieri che hanno a dir poco contaminato se non forgiato - lo stile italiano di giocare a football. PALLONE E MOSCHETTO. Al termine della prima guerra mondiale, il calcio in Italia visse un boom di popolarit grazie al quale in poco tempo
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divenne sport nazionale, coinvolgendo un gran numero di persone tra praticanti o semplici appassionati. Gustave Le Bon scrisse a fine Ottocento che le passioni collettive potevano essere potenzialmente manipolate a scopi politici, e Mussolini, che era un suo lettore, pur non essendo per nulla interessato al calcio, decise insieme ai suoi fedelissimi che una possibile fonte di influenza sulle masse non doveva sfuggire al regime 5 . Oltretutto, come nota Simon Martin nel suo saggio "Calcio e fascismo", il calcio il pi naturale campo di battaglia metaforico in cui atti di eroismo individuale venivano compiuti a beneficio del collettivo, concetto che si sposa alla perfezione con uno dei cardini della propaganda fascista, cio l'interesse generale che conta pi delle esigenze del singolo. Il calcio italiano divenne formalmente fascista il 2 agosto 1926, quando fu emanata la Carta di Viareggio. Questo provvedimento rappresent la storica svolta verso il professionismo e riorganizz tutto l'organigramma della FIGC, creando tra le altre cose un'unica competizione nazionale 6 e legalizzando, regolamentandolo, il calciomercato. Al di l delle componenti logistiche e organizzative, ci soffermiamo sul fatto che la Carta di Viareggio viet alle squadre di club di ingaggiare calciatori stranieri, coerentemente con l'isolazionismo che nove anni pi tardi sfoci nel teatrino dell'autarchia. Transitoriamente era permesso mantenere due giocatori non italiani per la stagione successiva (a patto che ne fosse schierato in campo soltanto uno), mentre il divieto tassativo sarebbe entrato in vigore dal 1928 in poi. Di conseguenza decine di magiari e austriaci tornarono nei loro paesi d'origine. Ma cosa ci facevano in Italia? IL DANUBIO. Facciamo un passo indietro. Si sa, il football nato in Inghilterra e un po per motivazioni reali e un po per snobismo i connazionali dei primi calciatori sono stati i padroni assoluti e inarrivabili per almeno un cinquantennio, tanto da non disputare la prima Coppa Internazionale (gli Europei ante-litteram) per manifesta superiorit. NellEuropa continentale dei primi decenni del Novecento per regnavano i danubiani, nonostante il

Non a caso proprio negli anni '20 si fece largo il concetto di tifo inteso come passione sportiva: per la contagiosit e per l'offuscamento delle menti venne associato all'omonima malattia.
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Prima si giocavano un campionato del Nord, disputato dalle societ pi importanti, e uno del Centro-Sud molto meno prestigioso. Lo scudetto veniva assegnato tramite una finale tra le vincitrici delle due rispettive competizioni ma di fatto non era mai sceso sotto al Po.
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Trattato di Versailles abbia avuto conseguenze anche a livello sportivo: nel 1919, infatti, le neonate repubbliche di Germania, Austria e Ungheria furono escluse dalle Olimpiadi e si tent di bandirle anche dalla FIFA. Ci per non imped ai club di questi Paesi di giocare all'estero e una tourne tocc anche l'Italia nel 1921: tutte vittorie tranne una, per mano di una rappresentativa di Casale e Alessandria fuse insieme contro la Wiener Amateur. Josef Banas, allenatore ungherese ma anche giocatore di Cremonese, Milan, Venezia e Padova, defin ironicamente il calcio italiano dell'epoca poco tecnico, con molto brio: traducendo, era basato solo su foga agonistica e impeto, caratteristiche per nulla sufficienti a impensierire l'organizzatissimo ed elegantissimo gioco mitteleuropeo la cui apoteosi fu il Wunderteam austriaco di Meisl e Sindelar. Sta di fatto che tra 1920 e 1926 in Italia sbarcarono circa 80 giocatori danubiani e pi della met delle squadre di club erano allenate da austriaci o ungheresi, i quali introdussero non solo gli insegnamenti tecnici - i fondamentali, come si diceva una volta - ma anche il dogma dellobbedienza allallenatore 7. IL RIO DE LA PLATA. Intanto il football aveva fatto la sua apparizione anche in America Latina e vi era anche esploso, acquisendo fin da subito la connotazione tutta sudamericana dello sport come festa, non come prova di coraggio, sopportazione del dolore e abnegazione. Il Genoa nel 1923 and a giocare qualche partita in Uruguay e in Argentina; Renzo de Vecchi, terzino dei grifoni e della Nazionale, descrisse cos il neonato movimento calcistico che ebbe modo di vedere: un po' come un fenomeno di generazione spontanea. Nel senso che veri e propri istruttori non ne hanno. Si pu dire che giocano tutti al football laggi. Specialmente a Buenos Aires si contano decine di campi da gioco, vastissimi e regolamentari. cos che tutti i giovinetti acquistano senza sforzi quella sicurezza nel controllare il pallone che la base per fare un buon calciatore. L'elemento giocatore reclutato senza eccezione nel popolo minuto. La borghesia danarosa vive un po' appartata, quasi chiusa nel suo guscio, con abitudini e divertimenti nettamente staccati da quelli dei meno abbienti.

Il ruolo dell'allenatore era peraltro relativamente nuovo in Italia, soprattutto a livello di rappresentativa nazionale: a parte in occasione delle Olimpiadi del 1912, prima apparizione di Vittorio Pozzo sulla panchina azzurra (esperienza infelice, squadra eliminata dalla Svezia al primo turno e conseguenti dimissioni del commissario tecnico), i calciatori sono stati per diversi anni selezionati da una commissione formata da ex capitani e arbitri, come da tradizione britannica, che selezionava inoltre un capitano che avrebbe guidato i compagni in campo.
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Se ben noto il movimento di migranti italiani verso l'America Latina a cavallo tra XIX e XX secolo, tuttavia meno noto il ritorno di tanti figli e nipoti di tanti nostri connazionali. In base alla legge sulla cittadinanza in vigore all'epoca, era considerato cittadino italiano chiunque avesse sangue italiano, anche se nato all'estero. Va da s che per aggirare la Carta di Viareggio i club iniziarono a pescare in America Latina e tra le due guerre arriv in Italia un gran numero di calciatori tra argentini, brasiliani e uruguaiani. Julio Libonatti, Rosario e Arturo Chini, Pedro Petrone, Renato Cesarini, ma soprattutto Raimondo Orsi e Luis Monti 8 (entrambi ingaggiati dalla Juventus ed entrambi protagonisti dei due mondiali vinti negli anni '30), giusto per citarne alcuni. I cognomi parlano da soli. Questi figli di migranti non solo conservavano i dialetti e le memorie dei loro genitori, ma il loro ritorno si intrecciava con l'ideologia fascista della pi grande Italia. Nacque cos, anche a causa loro, la figura propagandistica del rimpatriato, non italiano di nascita ma portatore di valori italiani e quindi anche rappresentante di quella razza latina che il fascismo tentava di inculcare al popolo prima di innamorarsi di quella ariana 9. STILE NAZIONALE?. La nascita di un vero e proprio stile italiano di giocare a calcio, allinizio degli anni 30, era quindi percepita pi allestero che allinterno dei confini nazionali. Gabriel Hanot, calciatore poi divenuto giornalista dellEquipe, sosteneva che il calcio italiano era pi moderno di quello argentino o danubiano, perch tramite difesa rocciosa, contropiedi e lanci lunghi riusciva a sorprendere tutti gli avversari (tranne gli inglesi, ovviamente). In Italia, per, le impressioni degli addetti ai lavori erano ben diverse e la verit, come spesso accade, sta nel mezzo. Annibale Frossi, esterno destro famoso perch giocava con degli occhiali sorretti da un elastico, riassume tutto cos:

Scrive Erik Brouwer che in realt Monti era un caso a parte. Durante il campionato del Mondo del 1930 nel vicino Uruguay aveva condotto lArgentina in finale. Il paese chiedeva a gran voce una vittoria, ma poco prima della finale il campione ricevette una lettera in cui ignoti minacciavano di uccidere sua madre nel caso di vittoria dellArgentina. Monti fall e lex idolo fu preso a pietrate per le strade di Buenos Aires. Fugg in Italia, dovette cambiare il suo nome in Luigi ed entr in contatto con Mussolini, anchegli molto convinto dellefficacia delle minacce. da "Palla prigioniera: il calcio dei dittatori", Limes QS 2/05.
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Anche perch molti di questi calciatori tornarono saggiamente in Sudamerica quando l'Italia invase l'Etiopia, venendo cos accusati di tradimento.
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Una scuola italiana dal punto di vista tecnico non mai esistita. Piuttosto il nostro calcio nato provinciale, ossia senza esprimere una tecnica propria si affidato in seguito ai contatto con il calcio danubiano. Non ha rinunciato per anni alle sue caratteristiche fino a tanto che non sono reimmigrati nella patria del padre e della madre assi quali Scarone, Frione, Orsi, Cesarini, Scodelli, De Maria, Fedullo, Sansone, Andreollo, Puricelli e tanti altri. Da quel momento ha adattato la tecnica dei sudamericani al suo temperamento in modo da valorizzare quello e quella e ha avuto un lungo periodo di dominio europeo che resta ancora la pagina pi gloriosa del libro doro della nostra nazionale. Tecnica danubiana e temperamento latino, in buona sostanza. Quando nel 1935 l'Italia sub una serie di (blande) sanzioni economiche da parte della Societ delle Nazioni a causa dell'invasione dell'Abissinia, il regime fascista rispose con l'autarchia: come spesso avvenuto e tutt'ora avviene in Italia, tra la teoria e la pratica si messa prepotentemente in mezzo la propaganda politica, quindi di fatto la suddetta autarchia fu pi simbolica che altro, una sorta di primordiale sbandieramento del made in Italy ancora senza odiare i cinesi. Il concetto comunque in qualche modo attecch e si inizi a usare l'espressione roba di prima (cronologicamente parlando) per indicare la merce di qualit. Per fortuna, parlando di calcio, era un concetto che non stava in piedi.

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