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Placido Cherchi

La riscrittura oltrepassante
Ernesto De Martino e le dialettiche del ritorno Cinque studi

Edizioni Kurumuny Sede legale Via Palermo 13 73021 Calimera (Le) Sede operativa Via San Pantaleo 12 73020 Martignano (Le) Tel. e Fax 0832801528 www.kurumuny.it | info@kurumuny.it ISBN 978-88-95161-94-5
Edizioni Kurumuny 2013

Indice

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Introduzione Mondo magico-Fine del mondo andata e ritorno: le dialettiche di una riscrittura oltrepassante Intorno ad alcune perplessit critiche sullethos del trascendimento Il rapporto cultura-natura in Ernesto De Martino: una riflessione sulla realt dei poteri magici Latitanze e affioramenti. Qualche ipotesi sul rapporto De Martino-Freud / De Martino-Jung Magia e civilt: un libro quasi dimenticato Appendice: Intervista su Ernesto De Martino Nota bibliografica

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A Ruggero, nel suo primo compleanno, e al fratellino Giaime, qualche anno dopo.

Introduzione

Col proporsi di riprendere su De Martino alcuni percorsi di lettura poco o nulla toccati nei lavori precedenti, la forma studio dominante in questo libro si rif esplicitamente allidea di variazione gi presente ne Il signore del limite 1 e ne ripete, su scala meno ampia, la cadenza. Anche adesso, come allora, una certa addizione di articoli lunghi d come somma un volume e cerca di compensare sulle sintassi del metasenso il sapore di isolamento paratattico che i singoli testi della silloge, a tratti, fanno sentire. Anche qui, come l, ogni singolo studio una sorta di camminata atelestica per luoghi insoliti o un excursus sempre pronto a concedersi alle accezioni del variare pi corteggiate dalle angolazioni difficili e dalle incognite dei sentieri non mappati. Lo spazio delle analogie con le variazioni di allora ha, in realt, molte conferme e finisce col configurare un insieme di rassomiglianze strutturali tuttaltro che fortuite. Il metasenso a cui la sintassi interna della raccolta si affida naturalmente quello indicato dal titolo. Il problema della riscrittura oltrepassante, che occupa quasi per intero il primo e il terzo studio, finisce per essere, di fatto, il problema-crinale inseguito in varia forma dagli aspetti portanti del libro e non ho dubbi sulla possibilit che, malgrado landamento inevitabilmente tortuoso di certi suoi passaggi, esso riesca a farsi percepire come centro. facile

Placido Cherchi, Il signore del limite. Tre variazioni critiche su Ernesto De Martino, Liguori, Napoli 1994.

constatare, per esempio, che ne restano riverberati in modo pi o meno accentuato anche gli studi che sembrano essere nati sullonda di altre sollecitazioni e che di fatto si dispongono su versanti intenzionali diversi. In realt il problema della riscrittura oltrepassante (o, se si vuole, il problema delle dialettiche del ritorno) innanzitutto il problema della circolarit che lega il Mondo magico e la Fine del mondo ovvero il problema che contiene le spinte pi segrete della produzione demartiniana e sarebbe impossibile non pensarlo come un alveo di ampie confluenze. A cominciare si vedr da quelle che nascevano nelle pieghe reversorie di unautocritica precocemente volta a produrre il suo contrario e da quelle che si ingeneravano nel ri-morso sempre vivo di un percorso teorico rimasto interrotto. Tornare al Mondo magico, e tornarvi ridimostrando con argomentazioni nuove le tesi poste al centro delle sue straordinarie metanoie, non avrebbe potuto essere solo lesito delle altezze raggiunte dalla Fine del mondo: il processo che andava preparando la loro riaffermazione doveva essere, per forza di cose, un processo lento e graduale, un movimento a spirale crescente, destinato a trascinare con s anche gli aspetti che, dallesterno, nessuno avrebbe detto in qualche modo coinvolgibili nelle strategie del ritorno coltivate dal metasenso in questione. Senza dubbio, il modus legendi adoperato adesso pu far emergere qualche differenza di registro fra il tipo di approccio dominante in questi Studi e il tipo di approccio che caratterizzava le variazioni. Se Il signore del limite aveva privilegiato la dimensione dellascolto, mantenendosi frontalmente allesterno del dire demartiniano, i testi di questa Riscrittura preferiscono passare alle spalle di quello stesso dire e interrogarsi, qua e l, sulla natura delle sue presupposizioni trascendentali. In un certo senso, dallesteriorit oggettiva delle cose che il corpus demartiniano offriva al lettore, essi si spostano tendenzialmente verso la fascia degli entroterra motivanti, non senza accorgersi che il verso cui del loro frammentato procedere, piuttosto che un certo ventaglio di temi selezionati

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in quel corpus, in fin dei conti la coscienza riflessa che De Martino ne ebbe, nel pensarli prima e al di qua della loro oggettivazione. Non occorre precisare che, una volta divenuta oggetto quasi esclusivo dellinquirere, questa coscienza riflessa non avrebbe potuto avere sviluppi paragonabili a quelli provocati dai suoi temi di riferimento o dar luogo a trattazioni altrettanto estese. Le differenze su questo piano discendono in qualche modo dalle differenze di taglio e ne spiegano, bene o male, gli effetti. A parte il primo e il terzo studio, che riattraversano tutto De Martino tentando di leggere i lavori dellepilogo come una riscrittura dei lavori apparsi nella fase degli esordi, gli altri aderiscono in modo pi stretto al carattere contratto della forma-studio messa in onda qui e si immergono volentieri nel mondo delle lateralit sopravvissute alle zone dombra ingenerate dalle traiettorie tematiche vincenti. Includerei tra questi altri anche il secondo, malgrado la contiguit che lo lega strettamente al primo e malgrado la sua insistenza sulle oltrepassanze poste al centro della riscrittura. A farmelo considerare tutto immerso nelle lateralit del particolare puntiforme la forma prevalente del suo sviluppo, troppo a lungo catturato da questioni di dettaglio non sempre sostanziali e troppo a lungo interessato al gioco polemico delle contestazioni opposte da alcuni interpreti allidea demartiniana di ethos del trascendimento. Lo avrei fatto passare con sicurezza negli spazi dellappendice, se la sua estensione non avesse minacciato di far diventare eccessivo il peso della coda, sbilanciando a suo favore lassetto di un libro visibilmente gi a rischio nella distribuzione interna dei propri equilibri. Il quarto e il quinto studio, invece, non pongono problemi di collocazione. Rispetto al primo e al terzo, sono decisamente gli altri. Autonomi quanto basta per non avere nulla da chiedere al senso visibile delle strutture portanti, essi sono soprattutto se stessi, essendo insieme anche luoghi del riverbero: per esempio, accettano facilmente di essere pi che sfiorati dalle ali del metasenso,

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quando si voglia restare nellambito delle logiche individuate come perimetro dellinsieme: e, di fatto, qualche triangolazione calcolata bene pu essere sufficiente a farli ricomprendere senza forzature negli sfondi creati dalle necessit della riscrittura. Dei cinque scritti, il secondo, il quarto e il quinto sono inediti. Non lo sono, invece, il primo e il terzo. Il primo il testo della relazione presentata al seminario Lavori in corso, tenutosi a Roma nel 2009 in occasione del centenario della nascita di Ernesto De Martino (esso stato pure incluso in un recente volume colletaneo dedicato a lui dallIstituto di Antropologia culturale dellUniversit di Cassino e curato da Floriana Ciccodicola);2 il terzo, senza i passaggi su Gentile aggiunti adesso (2011), invece il testo della relazione presentata a Napoli nel 1995, allinterno del convegno Ernesto de Martino nella cultura europea (come tale esso stato parzialmente riprodotto negli atti di questo convegno, pubblicati con lo stesso titolo, nel 1997, dalleditore Liguori di Napoli, a cura di Clara Gallini e Marcello Massenzio).3 Ringrazio Floriana Ciccodicola e Clara Gallini, per aver rispettivamente acconsentito alla ripresa, qui, dei testi corrispondenti, appunto, al primo e al terzo studio. Accanto ai cinque studi compare, in appendice, la forma originaria dellIntervista su De Martino che, nel 1990, Pietro Angelini fece allo scrivente per Lares, in vista di un articolo De Martino: grandi spazi, tempi angusti 4 che ne avrebbe allargato di molto il senso. Tornare ventanni dopo alla forma-prima di quellintervista

Si tratta di Aa.Vv., Ernesto de Martino: storicismo critico e ricerca sul campo, a cura di F. Ciccodicola, Domograf, Roma 2010. 3 Aa.Vv., Ernesto De Martino nella cultura europea, a cura di Clara Gallini e Marcello Massenzio, Liguori, Napoli 1997. 4 Pietro Angelini, De Martino: grandi spazi, tempi angusti. Conversazione con Placido Cherchi, in Lares 2, 1991.

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non forse inutile: fornisce qualche traccia sugli anni cagliaritani di De Martino, rimasti oscuri e quasi del tutto sconosciuti alla maggior parte dei suoi biografi. E di questo ringrazio ancora una volta lintervistatore.

Avvertenza
Da un po di tempo, nelluso della critica, il nome di Ernesto De Martino, dal punto di vista grafico, non pi lo stesso. Molti autori, seguendo lesempio olografo messo in copertina dalle edizioni demartiniane della Argo di Lecce, preferiscono far passare in minuscolo la preposizione patronimica De e scrivono ormai Ernesto de Martino. Nel testo e nel corpus delle note, quando stato bibliograficamente necessario, ho di volta in volta rispettato questa scelta. Ma, in continuit con i miei libri precedenti (sempre conformi alla originaria consuetudine editoriale di scrivere De Martino), questo lavoro non rinuncia alla vecchia grafia e si ostina ancora sulla forma Ernesto De Martino. La disomogeneit che ne risulta non effetto di reiterate sviste, ma esito anchessa di una scelta e dellattuale coesistere delle due grafie. Inoltre, nel testo e nel corpo delle note quando non sia necessario tener conto delle esigenze bibliografiche i titoli demartiniani, secondo unabitudine rintracciabile nello stesso De Martino, vengono di solito abbreviati o adattati grammaticalmente al tessuto del discorso. Cos, per esempio, Il mondo magico pu figurare come il (al, dal, del, nel, col) Mondo magico; La terra del rimorso come la (alla, dalla, della, nella, con la) Terra del rimorso; La fine del mondo come la (alla, dalla, della, nella, con la) Fine del mondo. Mentre, dopo una prima indicazione completa, i testi dal titolo pi lungo vengono abbreviati e indicati solo con la parte iniziale. il caso, per esempio, di Angoscia territoriale e riscatto culturale nel mito achilpa delle origini o di Crisi della presenza e reintegrazione religiosa, che diventano rispettivamente Angoscia territoriale e Crisi della presenza. Salvo indicazioni specifiche o casi particolari, questi criteri vengono applicati a tutta la produzione demartiniana utilizzata nel corso del presente lavoro.

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Mondo magico-Fine del mondo andata e ritorno: le dialettiche di una riscrittura oltrepassante

La metafora ferroviaria che intitola questo testo non solo un gioco di assonanze. anche il tentativo di trovare una formula sintetica per cominciare a introdurre il discorso sul rapporto di circolarit che lega a livelli poco visibili Il mondo magico5 e La fine del mondo.6 Nelle dilatazioni che portano lopera incompiuta a ripiegarsi continuamente sul libro del 48 e a tentare di riproporne sotto altra forma gli ardimenti, c la si veda o no una circolarit cogente, una logica di rimbalzi ripetuti, che varrebbe la pena esplorare e proporsi di rendere esplicita. Se si continua con la metafora, naturalmente scontato che il movimento di andata debba esser fatto coincidere con la progressio fisiologica raccontata dallo sviluppo della produzione demartiniana e dai ritmi cronologici del suo divenire: meno scontato,

5 Ernesto De Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Einaudi, Torino 1948. La seconda edizione del 1958: riproduce inalterata la prima, ma vi aggiunge una seconda prefazione, un saggio del 1951 (Angoscia territoriale e riscatto culturale nel mito achilpa delle origini), le recensioni di Croce, Paci, Pettazzoni, Eliade e le Note conclusive dellautore (generalmente note come Postilla conclusiva). Le edizioni successive (la terza, del 1967, e la quarta, del 1973) riprendono per intero la seconda ed escono con la Boringhieri. La quarta si segnala per la prefazione di Cesare Cases. peraltro la sola a restare in circolazione e a risultare facilmente rintracciabile. 6 Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali, a cura e con introduz. di Clara Gallini, Einaudi, Torino 1977. La seconda edizione del 2002. Ma lintroduzione, notevolmente ridotta rispetto alla precedente, risulta cofirmata da Clara Gallini e da Marcello Massenzio.

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invece, che si possa parlare tout-court di un movimento di ritorno del libro del 77 e vederlo senza mediazioni come un segno della continuit tensionale che ancorerebbe la ricerca sulle apocalissi culturali ai nodi storicistici ingenerati dal libro del 48, in una sorta di ripresa allargata e risolvente delle loro metanoie. Certo, parlare del libro postumo come di un libro che, in alcune sue parti, ritorna con insistenza al libro sul magismo scelta che rischia di operare molte forzature e di apparire gi per questo infrequentabile: non saprei dire se il normale lettore potr restare interdetto e se, al di l di questa normalit, anche i lettori pi avvertiti possano provare sconcerto. So che langolatura privilegiata qui una mia vecchia ossessione e che essa domina fin dagli inizi i lavori miei dedicati al maestro. Non ignoro, naturalmente che, fin dagli inizi, questa angolatura ha suscitato perplessit e che ha dato luogo a dissensi e ad argomentate obiezioni. Nella misura del possibile, ne ho preso atto, cercando di essere pi preciso. Non tanto per abbandonare unottica che continuo a ritenere feconda, quanto per attrezzare meglio la convinzione della sua applicabilit. Anche se impalpabile e sfuggente, la circolarit tra le due opere idea che continua a corteggiare il pensiero e a imporsi con certa evidenza alla percezione quando diventa prevalente linteresse a guardare da lontano linsieme del corpus demartiniano. Tutto diventa forse pi trasparente se si cerca di ricostruire i contorni di questa circolarit entrando nelle vicende dellautocritica e tentando di ritrovare la figura di una linea che ritorna su se stessa in cerchio, secondo una dinamica di ripresa-rilancio volta a riammettere i passaggi inizialmente ritrattati e via via sottoposti a ri-considerazione. Si potrebbe facilmente cominciare a vedere che la Fine del mondo torna davvero al Mondo magico e ai suoi nodi pi importanti, rovesciando le forme iniziali dellautocritica e dando crescente consistenza agli aspetti controdeduttivi che avevano cominciato a modificare in modo sostanziale il segno depressivo di quellautodiscutersi. In effetti, la questione della circolarit

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si connette in modo molto stretto alla questione dellautocritica7 e seguire questultima per tutto il corso del suo divenire dialettico significa trovarsi coinvolti a poco a poco nella spirale del pensiero che torna sui propri passi, accennando in modo sempre pi chiaro al cerchio. Poco importa che lopera postuma resti in qualche modo esterna alla processualit di questo farsi e intervenga sullinsieme come un suggello finale, molto interessato a chiudere da un punto di vista prospettico diverso le tensioni tematiche dellautocritica: quel che conta che, grazie alla Fine del mondo, il processo si concluda in modo circolare e che il Mondo magico ne esca pienamente riabilitato. Sappiamo che il processo autocritico viene innescato dalle obiezioni mosse da Croce e da Paci a questultimo8 e non si esagera se si afferma che tutta la storia dellautocritica pu essere letta come la lunga risposta data da De Martino ai suoi interlocutori. Parlo di risposta lunga, perch si tratta di una risposta che si articola nel

Come ho cercato di chiarire nel corso di Lautocritica come problema (lo si veda in appendice al mio Il cerchio e lellisse. Etnopsichiatria e antropologia religiosa in Ernesto De Martino: le dialettiche risolventi dellautocritica, Asara, Cagliari 2010), soprattutto il momento iniziale a far pesare anche sugli sviluppi successivi lidea di unautocritica tendenzialmente ripiegata sulla ritrattazione delle grandi metanoie del Mondo magico. Malgrado i capovolgimenti controdeduttivi che si incontrano pi tardi, il concetto, nelle valutazioni degli interpreti, resta fortemente segnato dagli aspetti acquiescenti delle prime formulazioni. probabile che, col rendere poco esplicite le dinamiche controdeduttive della ripresa-rilancio, De Martino abbia contribuito in modo consistente agli equivoci che avvolgono tutte le pieghe del problema. Certo , per, che, dopo La fine del mondo, il senso complessivo dellautocritica si chiarisce nelle sue intenzioni di fondo, e che piuttosto improprio risulta considerare autocritici anche i momenti specificamente impegnati nel riscatto teorico delle metanoie ritrattate. 8 A partire dalla seconda edizione (1958) de Il mondo magico, gli scritti di Croce e di Paci a cui sto facendo riferimento sono rintracciabili fra i testi raccolti in appendice.

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lungo periodo e perch passa attraverso fasi differenti. Ma bene tener presente che, formalmente, essa salvo che nella fase delle ammissioni acquiescenti non quasi mai una risposta esplicita e diretta e che la funzione-risposta viene perlopi affidata alla capacit assertiva delle cose. Che si tratti tuttavia e comunque di una risposta, viene detto bene dalla natura quasi puntualmente speculare del ventaglio tematico-argomentativo scelto da De Martino nel suo lungo e controdeducente ripensare i termini della discussione sorta allora, quando il Mondo magico era ancora fresco di stampa: questo ventaglio sembra essere rimasto sintonizzato per anni sulle tensioni autodifensive messe in movimento da quegli stimoli lontani e non c difficolt a convincersi che il punto di partenza non stato mai dimenticato o che, sia pure sottotraccia, il dialogo con gli interlocutori di allora non mai venuto meno. Qualche notazione-spia presente nella Fine del mondo 9 continua a confermarlo in modo meno indiretto nella fase pi tarda, sebbene, a quel punto, non esista pi la necessit del contendere e le tensioni autodifensive abbiano ceduto il passo, gi da un po, alla piena consapevolezza del rilancio realizzato. Ma andiamo per ordine. Converr ricordare, innanzitutto, quali erano i termini del punto di partenza a cui ci stiamo riferendo e a quali rilievi di Croce e di Paci le vicende ritrattatorie e no dellautocritica abbiano cominciato da subito a rispondere. Del Mondo magico, non erano piaciuti a quei primi lettori n il tentativo di ricondurre alla storia la genesi del S, n il pensare il magismo come linizio della storia, n la messa in causa del nostro concetto di realt. Se lultimo punto non emergeva in forma molto

Si veda, per esempio, la nota 349 a p. 642.

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esplicita e andava a mescolarsi agli altri due, era poi sullanalisi di questi altri due che reagivano con forza le radicate convinzioni socio-etnocentriche dellEinstellung culturale delloccidente riproducentisi nellottica ontologizzante dei due autorevoli lettori. Stranamente, proprio il creatore dello storicismo assoluto trovava inattendibile e teoreticamente poco giustificata la storicizzazione delle categorie, sostenendo che non si potesse mettere in causa la dimensione del categoriale senza confermare lapriorit della stessa o senza portare acqua al mulino della sua necessit ontologica. Tentare di storicizzarla, facendola nascere nel caos ancora informale della processualit empirica, voleva dire non aver tenuto presente il valore del suo essere principio formante e dunque finire in modo inevitabile nella pericolosa paradossia della sua inversione logica. In forma non molto diversa, peraltro, lassunzione del magismo come et storica presupponeva lo stesso tipo di inversione e poteva essere considerata come la prima conseguenza degli adynata illusoriamente osati sul piano delle categorie. A distanza di tempo, e dopo tanto parlare di questi nodi, probabile che oggi non si abbia pi la percezione del microdramma che stava accadendo. Sicuramente ci sfuggono la portata e la forza di impatto delle obiezioni mosse allora da Croce, e forse ancor pi ci sfugge la complessit dello sconcerto che De Martino pu aver provato. Se nei suoi tratti prolegomenici il Mondo magico si era proposto di radicalizzare lo storicismo assoluto e di ottenere dai suoi ardimenti metanoetici gli strumenti pi adatti per rovesciare nel contrario la nozione di realt prodotta dallEinstellung culturale delloccidente, le obiezioni di Croce si allineavano inaspettatamente proprio con il formalismo razionalistico di quellEinstellung, determinando lo snervamento degli aspetti critici pi qualificanti del libro. In sostanza, venivano colpiti i tratti che erano molto piaciuti a qualche solitario hegelo-marxista del momento (penso a Renato Solmi, grande estimatore di quella lettura demartiniana del magi-

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smo),10 ovvero finivano per essere liquidate tutte le strutture portanti dello storicismo radicale posto alla base del progetto prolegomenico. In effetti, nei rilievi di Croce, la straordinaria angolatura storicistica dellinsieme si accartocciava attorno al vizio formale di un non-senso e non consentiva che qualcosa, del suo apparato, potesse continuare a sopravvivere in forma dignitosa. Era come se le pagine pi oltrepassanti dellopera appassissero di colpo e diventasse impensabile ogni tentativo di restituirle al loro slancio. Per De Martino il senso di solitudine e di abbandono deve essere stato sconfinato. Come nel caso delle sindromi deiettive messe in movimento da quel conflitto del profugo di cui avrebbe parlato Hamer molti anni pi tardi...11 Certo, se De Martino avesse avuto meno stima di se stesso, nulla lo avrebbe salvato dagli esiti marasmatici a cui quel conflitto pu dar luogo. Le condizioni cerano tutte. A salvarlo pu essere stata la reazione megalomanocentrica scatenata da quellimprovviso sentirsi voce solitaria nel deserto. Ovvero il constatare di avere attorno a s sordit e inadeguatezza o, a dirla in altri termini, di essere in anticipo sui tempi. Almeno su quelli, piuttosto vischiosi e lenti, della cultura italiana. Vergognosi, talvolta, persino delle proprie potenzialit, come stava dimostrando la salmodiante regressione scolastica in cui aveva appena finito di prodursi il padre dello storicismo assoluto. Secondo alcuni Cases12 e, pi

Renato Solmi, Ernesto de Martino e il problema delle categorie, Il Mulino, A. I (1952), n. 7, pp. 315-327 e, pi tardi, Introduzione a Theodor W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino 1954, p. LIII. 11 Ryke Geerd Hamer, Il cancro e tutte le cosiddette malattie. Breve introduzione alla Nuova Medicina Germanica, Amici di Dirk Ediciones de la Nueva Medicina, Alhaurin el Grande (Spagna) 2004. 12 Cesare Cases, Introduzione a De Martino, Il mondo magico (1973), passim e, in particolare, p. XXXV.

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recentemente, Angelini13 De Martino, nel suo rapportarsi a Croce, non si mai posto in quella posizione di discepolato subalterno che altri sono portati ad attribuirgli. Anzi. Si potrebbe parlare semmai del contrario, e la probabilit che la reazione di cui sto parlando abbia qualche fondamento contribuirebbe, e non poco, a dimostrarlo. In tal caso bisognerebbe cercare proprio qui la prima radice del lungo processo riparatorio (il termine anche in questo caso di Hamer) messo in atto dalle dinamiche terapeutiche dellautocritica. A parte il traslato hameriano di cui mi sto servendo, molte altre cose potrebbero aiutare a tradurre in questo senso il controllo testimoniato dallautore del Mondo magico nel gestire la situazione apertasi immediatamente a valle dei rilievi crociani. Il fatto che, in antitesi alla pi normale tentazione marasmatica di rinunciare a tutto, De Martino scelga la possibilit dialettica di non rinunciare a nulla, accettando naturalmente lobbligo di mediare adeguatamente le condizioni di questa scelta, gi un dato che parla in modo significativo del suo proposito di non demordere e di continuare a mantenersi allaltezza degli hasards teorici del libro sul magismo. Croce certo un ingombro inaggirabile e, per il momento, la possibilit di procedere per la strada intrapresa passa in modo necessario attraverso la metis dellacquiescenza. Ma si tratta di unacquiescenza sostanzialmente formale. Quando affiora, solo ufficialmente dichiarata e di fatto non si accompagna a qualche forma di acquiescenza in grado di condizionare le angolazioni storicistiche della ricerca. In realt, nessun lettore demartiniano ha mai percepito il venir meno di qualche cosa o il flettersi dei registri che reggono il taglio metanoetico del Mondo magico.

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Pietro Angelini, Ernesto de Martino, Carocci, Roma 2008, p. 50.

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Credo che si possa capire tutto questo se si entra un istante nello spazio della metis e tra le pieghe che nascondono le sue astuzie.14 Entrare qui vuol dire, peraltro, entrare tout-court negli spazi dellautocritica appena avviata e imbattersi subito nella fase che altrove chiamo depressiva. Si tratta della fase iniziale, ovvero della fase che ha fatto pensare a un De Martino remissivo e molto propenso a rientrare senza resistenze nei territori dellortodossia crociana di provata fede. Non un caso che i segni di tale autocritica, quando appaiono, abbiano proprio il sapore autosacrificale degli auto da f e consentano di parlare di una resa senza condizioni. Sebbene in modo ancora implicito, vi si imposta la decapitazione delle metanoie pi avanzate della radicalit storicistica di quei prolegomeni e cominciano a dispiegarvisi le ritrattazioni apertamente riconosciute pi tardi da alcuni testi appartenenti alla fase successiva. Accanto e al di l delle tesi che assumevano la magia come inizio della cultura e della storia, sicuramente la storicizzazione delle categorie il nodo metanoetico pi sottoposto ai processi di smantellamento messi in cantiere da questo sacrificale ritrattare. La fase di cui stiamo parlando pu essere fatta partire dallintroduzione a Lorigine dei poteri magici di Durkheim, Hubert e Mauss,15 uscito nella collana viola nel 51, e pu essere data per chiusa nel 56, anno di apparizione di Crisi della presenza e reinte-

14 Il termine metis ricorre con frequenza nelle mie letture demartiniane. Con esso ho sempre inteso riferirmi agli aspetti aggiranti e, in qualche modo, astuti delle tessiture argomentative che strutturano la maggior parte della produzione sorta a valle del Mondo magico. Non a caso lo traggo da Marcel Detienne e Jean-Paul Vernant (Le astuzie dellintelligenza nellantica Grecia, Laterza, Roma-Bari 1978) che mostrano come, nel linguaggio dei classici, la parola metis, accanto alle astuzie dellintelligenza, designasse anche accortezza, senno, capacit di destreggiarsi con abilit nelle situazioni difficili. 15 Emil Durkheim, Henri Hubert e Marcel Mauss, Le origini dei poteri magici, Einaudi, Torino 1951.

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grazione religiosa,16 che segna linizio di unaltra fase. Non dunque una fase breve: anzi, proprio perch la fase che va preparando in silenzio il piano strategico delle fasi successive, essa necessariamente lunga e laboriosa, oltre che tormentata. per eccellenza la fase della metis, o almeno la fase in cui la metis parla il linguaggio ufficiale dellabiura e, implicitamente, della depressivit. Qui De Martino investe molto sul piano tattico: a parte i mea culpa indiretti espressi nellintroduzione del 51, direi che egli ricorre senza mezzi termini a forme di acquiescenza molto esplicita, mostrando di aver fatto tesoro di quel surplus di ortodossia storicistica impartitogli da Croce. quello che accade, per esempio, nel tessuto di Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto,17 del 53-54. Difficile non vedere quanto, in questo testo, De Martino tenda a collocare sotto il segno della pi pura tradizione crociana le pieghe del proprio storicismo. Addirittura le fa coincidere con quelle dello storicismo assoluto. Dubito molto, infatti, che la presenza di questa locuzione nel titolo voglia essere un rimando solo a Croce e non anche alle posizioni che egli va mostrando di s. Rinunciare al proprio radicalismo, al fine di ritrovare credito sul piano di quella ortodossia, non cosa che abbia da restare segreta: direi anzi che, allinterno di queste pieghe, la funzione manifesta pi destinata a diventare ufficiale. Ora per, se nei passaggi ritrattatori che stiamo attraversando la funzione manifesta pi visibile ha da essere questa, innegabile che il suo senso debba essere rintracciato pi in l. Senza una ragione

Ernesto De Martino, Crisi della presenza e reintegrazione religiosa, in Aut-aut, 6, 1956, pp. 17-38. 17 Ernesto De Martino, Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto, in Studi e Materiali di Storia delle Religioni, 24-25, 1953-54, pp. 1-25. Lo si veda ora in Ernesto de Martino, Storia e metastoria. I fondamenti di una teoria del sacro, introduzione e cura di Marcello Massenzio, Argo, Lecce 1995.

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altra decisamente altra da quella ufficialmente dichiarata resterebbero enigmatiche (e abbastanza prive di direzione) le premure che De Martino mostra di avere nei confronti di quel suo mettersi in posa accanto a Croce. Tanto pi che ci si potrebbe immediatamente chiedere perch mai, in vista di un obiettivo cos modesto, lautore del Mondo magico, accetti di pagare un prezzo cos alto. In realt, la cosa che veramente conta non sta in questo dar da vedere di essere rientrato nei ranghi: sta semmai nella ragione che rende strategicamente necessaria questa visibilit dellapparire. Dietro la funzione manifesta di cui stiamo parlando, c di fatto la funzione latente delle sue ragioni pi vere, lo scopo inespresso di questo sacrificale allinearsi. Esso dato dal bisogno di evitare il naufragio di quella parte del Mondo magico che era uscita stranamente indenne dalle letture recensorie dei suoi primi interpreti e che sopravviveva al naufragio di tutto il resto, in una situazione di buona autonomia, ancora suscettibile di sviluppi fecondi. Non si trattava, certo, di una parte inequivocabilmente blindata e tale da allontanare da s le occhiute ronde della critica. Intrisa comera di apporti fenomenologici e di suggestioni heideggeriane, De Martino sapeva bene quanto poco bastasse per ritrovarsela tra le mani come oggetto incriminato e messo in causa in quanto prova di irrazionalismo: nel clima di caccia alle streghe che avvolgeva la cultura italiana di quel secondo dopoguerra (e lui stesso, non meno di Vittorini, ne aveva gi fatto esperienza), non era pensabile lidea di lasciare senza adeguata tutela un insieme ermeneutico cos delicato. Occorreva trovargli subito un ricovero sicuro, uno scudo protettivo di provata efficacia: soprattutto occorreva cercare di battere sul tempo i possibili detrattori: che potevano essere molti e nientaffatto imprevedibili: oltre che dagli spazi della sinistra zdanovista, le accuse di irrazionalismo potevano arrivare dagli spazi dello stesso crocianesimo. Da questo punto di vista, Fenomenologia religiosa un testo esemplare: oltre che paradigma della fase depressiva, esso una eccellente dimostrazione della dialettica che si viene a instaurare

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tra la funzione manifesta di quel ritrattatorio ritorno a Croce e la funzione latente che esso mira a realizzare. Le prove di crocianit esibite qui hanno lo scopo di proteggere le posizioni ermeneutiche di De Martino dal rischio di poter apparire come una posizione fenomenologica assimilabile al fenomenologismo delle posizioni di van der Leeuw, che costituiscono loggetto-pretesto del saggio. Devono cio costituire la sponda di appartenenza teorica in grado di legittimare il gioco di distanziamenti che il discorso tende a mettere in luce tra un capire fenomenologico storicisticamente consapevole (quello che De Martino attribuisce a se stesso) e un capire fenomenologico esposto al rischio della partecipazione mistica (quello che viene attribuito, invece, al fenomenologismo di cui van der Leeuw sostenitore). La funzione latente di quel crocianeggiare demartiniano risponde dunque al bisogno di stornare dalla parte del Mondo magico rimasta incolume (a cui implicitamente si allude) quelle stesse accuse di irrazionalismo che lautore del saggio sta muovendo a van der Leeuw. Ma qual la parte del Mondo magico di cui stiamo parlando e di cui, in concreto, non abbiamo detto ancora nulla? Che cosa spinge De Martino a ritenerla irrinunciabile e a tentarne a tutti i costi il salvataggio? Questa parte, come verr chiarito dalla postilla conclusiva18 che chiude la seconda edizione del libro (quella del 58), linsieme dellapparato ermeneutico che accompagna il nesso crisi della presenza-riscatto: anzi, tout-court questultimo. De Martino, per distinguerlo dalle parti ritrattate, lo chiama il nucleo valido, ovvero la parte ufficialmente ancora futuribile di quel progetto prolegome-

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Quelle che si usa ormai chiamare postilla conclusiva sono le Osservazioni conclusive dellautore che chiudono la seconda edizione (1958) de Il mondo magico. Le si veda qui, alla p. 313.

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nico. sicuramente il versante pi nuovo e pi spiccatamente demartiniano del libro, e anche dal punto di vista terminologico appare come una creazione straordinariamente ricca di risorse analitico-interpretative: non stupisce che, gi per questo, lautore potesse volerne in modo strenuo la durata. Del resto, la problematica della presenza, che verr dispiegandosi senza sostanziali mutamenti sulla maggior parte della produzione data alle stampe, incontra proprio qui la messa a punto che la ha resa celebre, o almeno la definizione che comincia a proporla nella forma pi organizzata. evidente che chiamarla solo nucleo valido significher limitarsi a designarla solo in rapporto alle cose che cadono e schermirsi sul valore reale della sua portata: ma certo non senza senso che, nella critica, tale designazione sia riuscita a sopravvivere alla banalit della propria forma e a diventare tout-court lequivalente del contenuto che designa: vuol dire che la pregnanza del contenuto ha avuto il potere di impregnare di s quellinvolucro e a caricarlo di una forza evocativa in grado di oltrepassare le dissimulazioni riduttive delloriginario schermirsi. Forse non inessenziale notarlo, se ci preme far risaltare anche in modo indiretto limportanza di questi aspetti. Tuttavia si farebbe torto proprio a questa importanza nel caso non si portasse il discorso sul terreno delle cose che la spiegano. Il farsi magico della presenza gi dentro il nodo della storicizzazione delle categorie e anzi, dal punto di vista teorico, ne costituisce il presupposto di fondo, sebbene, sul piano pratico, si configuri come il primo effetto di quella impostazione metanoetica. Per poco che si entri tra le maglie dellinsieme, si capisce subito, per esempio, che nello schema fondamentalmente hegeliano del libro esso funziona come il punto di inizio del racconto che mette capo al S. In realt, proprio dalle incerte dinamiche di questo faticoso farsi che incomincia il distacco dalla immersione coinonica nella natura. Tutto ruota attorno al fulcro di questa presenza-problema e il dramma magico si dispiega per intero sotto il segno delle sue vicende critiche, fino a disegnarsi come lincipit di qual-

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che elementare abbozzo di storia. lincunabolo di una genesi: di quella dello spirito soggettivo, se si torna alla Fenomenologia di Hegel; di quella del S in via di formazione, se si resta a De Martino. Il suo ruolo nel progetto di storicizzazione delle categorie evidente, e si capisce come i suoi primi interpreti possano aver colto prima di tutto il senso proiettivo di questo ruolo, prestando poco interesse alle condizioni accidentali del suo progettarsi. E non a caso. Va infatti notato, come aspetto importante, che il problemapresenza si sviluppa in modo sempre pi intenso sui versanti del nesso crisi-riscatto e che i suoi tessuti costitutivi si formano di preferenza nelle situazioni pi caratterizzate dalle dialettiche reiterative delle funzioni simboliche. Gli effetti pi vistosi sono, da una parte, limpressione di un relativo sganciamento del nesso crisi-riscatto dal piano teorico pi direttamente convergente sul tema delle categorie, dallaltra, limpressione di una lateralit separata di tutta la parte dominata da un linguaggio che gi quello storico-religioso riservato al mondo del mito (e poco importa che si tratti ancora di micromitologie). Accade cos che, se il processo del distacco metacoinonico appare strettamente legato alla metanoia destinata a cadere, la vicenda messa in campo dalla presenza-in-crisi comincia invece a svilupparsi in una sua autonomia, ritagliandosi spazi che non verranno trascinati nel gorgo delle ritrattazioni. Negli sviluppi della metis questa circostanza assume un rilievo nevralgico. De Martino sfrutter a fondo lo spazio-differenza che consente ai due versanti del problema-presenza di non coincidere in toto. Affidandosi allinvolucro di unapparenza che nessuno ha ancora pensato di lacerare, egli cercher di trasferire sul nucleo valido del Mondo magico le dinamiche storicizzanti delle metanoie che ha accettato ufficialmente di ritrattare. E si deve alluso ininterrotto di questo nucleo se gli effetti dellautocritica depressiva non arriveranno mai a diminuire la qualit decisamente alta delle cose demartiniane apparse a valle di quelle ritrattazioni. Qualcuno ha addirittura sostenuto che la realt di queste ritrattazioni sta solo nei

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passaggi demartiniani che ne parlano ufficialmente: per il resto, neppure i testi che avrebbero dovuto restarne pi segnati ne conservano qualche visibile traccia. La cosa, a mio avviso, in gran parte vera. Tuttavia, che loperazione di trasferimento sia riuscita bene non deve appiattire in un eclissamento il gioco delle ritrattazioni: la stessa operazione del trasferire le presuppone in modo necessario. Dopo le notazioni critiche di Croce, esse non avrebbero potuto non esserci: sia dal punto di vista di un inevitabile dover tornare sui punti incriminati, sia dal punto di vista dei percorsi tattici che la metis aveva cominciato a elaborare, il loro prodursi si era presentato da subito in forma cogente. La sola via duscita, in quel momento, poteva esser data dalla possibilit di trasformare in virt le strette di un passaggio obbligato. Resta il fatto che il nucleo valido, senza modificare nulla della propria struttura, diventa a poco a poco un Ersatz o un provvisorio luogo di tramite-continuit incaricato di far passare sotto altra forma le cose che non potevano pi essere dette nel linguaggio delle metanoie messe al bando. dunque per questo che De Martino si precipita a metterlo in salvo e a rafforzarlo sui lati che avrebbero potuto esser presi dassalto. La sua funzione di ponte diventa insostituibile e tutta la fase dellautocritica depressiva lavora con certa alacrit alla sorveglianza armata di questo ponte. A questo modo, dunque, cominciano a sbloccarsi le impasses della prima ora e a diventare sempre pi numerose le fermate che segnano il procedere del movimento di andata. Tutta la stagione che va dal 48 al 56 ricchissima di prepotenti affermazioni del nucleo valido. Si pensi a cose come Note lucane,19 Angoscia

19 Ernesto De Martino, Note lucane, in Societ, 5, 1950, pp. 650-667. Ora anche in Furore Simbolo Valore, Il Saggiatore, Milano 1962.

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territoriale,20 Note di viaggio,21 o a cose come quelle destinate a confluire nel libro sul lamento funebre: delle metanoie rigettate non c pi traccia, ma non se ne sente neppure la mancanza: segno che la capacit di riempire quel vuoto, da parte del nucleo valido, ha una consistenza reale. Ma, se il lettore non avverte disagio e vive questo andare come un prolungamento del Mondo magico, De Martino freme. Anche se generoso e ricco di risorse nel suo sforzo di traghettare il senso mutilato, il nucleo valido, su questo piano, pur sempre un Ersatz. Gli mancano gli orizzonti della teoria. Allude pi di quanto non dica e, in questo doversi limitare solo ad alludere per non poter anche dire, sta la sua debolezza. Le cose cominciano a cambiare, per, nel 56, quando appare Crisi della presenza e reintegrazione religiosa. Il testo della svolta. Qui lautocritica compie un salto di una certa importanza: dalla fase depressiva, passa a una fase che potremmo chiamare controdeduttiva. Se vero che il controdedurre generalmente un opporre argomenti ad altri argomenti, sicuramente di natura controdeduttiva il tipo di discussione che De Martino contrappone alla discussione recensoria dei suoi primi interpreti. Dopo aver ammesso in termini espliciti (cosa del tutto nuova) la fondatezza dei rilievi sollevati dai suoi recensori, dimostrando ancora una volta acquiescenza e ampia concessivit, lautore del Mondo magico imbocca un sentiero argomentativo che non frontalmente contestatorio, ma comincia ad avanzare considerazioni destinate a

Ernesto De Martino, Angoscia territoriale e riscatto culturale nel mito achilpa delle origini. Contributo allo studio della mitologia degli Aranda, in Studi e materiali di Storia delle Religioni, XXIII, 1951-52, pp. 51-66. Lo si veda ora nella seconda edizione einaudiana (1958) de Il mondo magico e nelle successive pubblicate dalla Boringhieri. 21 Ernesto De Martino, Note di viaggio, in Nuovi Argomenti, 2, 1953, pp. 47-79.

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indebolire e non poco i presupposti teorici di quei rilievi. Un innocente (in apparenza) e neutro tuttavia, posto alla fine del discorso concessivo, avverte il lettore che il senso di marcia si sta invertendo. E per quanto De Martino lo faccia in modo attenuante e molto garbato (tuttavia, come avverbio avversativo, sempre quello che vorrebbe avversare di meno e smussare di pi), la svolta che si determina assume gi da subito il sapore di una virata decisiva. Si modifica di molto, per esempio, lo scenario delle condizioni entro cui la discussione sul Mondo magico si era svolta. Se Croce e Paci avevano prevalentemente parlato della categorialit del S riferendola a un soggetto individuale assoluto (a un soggetto senza mondo, avrebbe detto Heidegger), De Martino, senza abbandonare del tutto lambito di questo soggetto individuale, sposta il discorso sui fronti della cultura e della storia, scegliendo di entrare criticamente nel terreno presupposto allottica dei loro rilievi. Ovvero lo fa convergere proprio sui luoghi in cui, ben pi acquisito e pi consolidato che nella cultura magica, il S si sente realizzato o, a dirla con Hegel, si sente a casa propria. Il primo passo controdeduttivo muove, naturalmente, in direzione di questo nodo. un modo di dare continuit logica alla esposizione del contenzioso riguardante il libro del 48 e di situare il discorso nello spazio delle sintonie frequentate dai due interlocutori. Sicuramente, per, anche un modo di agganciare il tema del S per cominciare a fletterlo verso un altro punto di vista e sottrarlo, cos, allangolatura prospettica dominante in quelle sintonie. Nelle osservazioni di Croce e di Paci, una contraddizione del modo demartiniano di porre il problema della presenza era data dalla sua pretesa di farla nascere come risultato del suo stesso agire, ovvero come sintesi a posteriori di unesperienza che, per poter essere tale, non avrebbe potuto fare a meno di presupporla. A vietare la possibilit di questa inversione e a farla diventare una paradossia, cera il fatto che lunit della presenza non separabile dalle forme del suo articolarsi e che impensabile sarebbe lidea di

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un taglio fra il centro cosciente di questo articolarsi e le sue articolazioni. Anche se detto in modo implicito e dentro argomenti di natura prevalentemente logica, il sostegno ontologico di queste osservazioni non era certo dissimulato. Come lasciavano ben capire le insistenze sulle prerogative categoriali del S, esso finiva per essere anzi il dato teorico pi rilevante di quellargomentare e sappiamo che il sacrificio delle pretese metanoetiche del Mondo magico si era in gran parte compiuto sullaltare delle istanze aprioristiche fatte valere dai due illustri lettori. Restava per nellombra, in tutta la fase depressiva dellacquiescenza demartiniana, la questione del taglio: a essa la concessivit degli episodi autocritici che abbiamo attraversato non sembrava accordare una esplicita attenzione. vero che in qualche passaggio indiretto (per esempio, nellintroduzione del 51) De Martino aveva mostrato di essere acquiescente persino su questo punto, tuttavia il consenso alla tesi sullimpossibilit di questo taglio sembrava essere tale solo sul piano logico e non sembrava estendersi anche al piano delle sue implicazioni ontologiche. Formalismo per formalismo, bench ambiguo e poco definito, il silenzio sullimpossibilit ontologica di quel taglio cera e poteva essere constatato. In tutti i casi, quale che fosse lo status del suo consistere, lassenza di un pronunciamento esplicito in questa direzione era adesso la cosa che occorreva di pi: gli consentiva di non restare impigliato in un mea culpa imbarazzante e di tornare allargomento quasi ex novo, come se quel punto non avesse mai fatto parte delle cose ritrattate. Glissando un po sulle vecchie compromissioni, De Martino decider, non a caso, di far partire da qui lautodifesa controdeduttiva, cercando di ribaltare a suo favore una delle argomentazioni a carico pi stringenti. Crisi della presenza fa dunque fulcro su questo particolare nodo e contrattacca gli argomenti dei due interlocutori, ponendo qualche domanda. Ma il procedimento del contro-argomentare si presenta significativamente rovesciato: dallindividualit della persona ma-

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gica si sposta allindividualit del soggetto messo in campo dagli apriorismi di Croce e Paci. proprio vero che lunit del S e della sua autocoscienza non patiscono i tagli lamentati a proposito del Mondo magico? O meglio, si sicuri che, anche nelle situazioni pensate come le pi solide, non esista il pericolo della estraneit del S a se stesso? In antitesi alle sicurezze ostentate dalla sicumera del S socio-etnocentrico, le scienze del psichico parlano proprio del contrario e lasciano capire quanta fatica costi mantenersi allaltezza dellunit trascendentale dellautocoscienza. Da Janet a Freud, lampiezza delle dissociazioni a cui si pu essere soggetti una continua smentita del linguaggio categoriale entro cui lenfasi del S-divenuto ama raccontarsi, e non c dubbio che, in luogo di una presenza rocciosamente stabile, si abbia perlopi una presenza a rischio. Anche quando non si mostra palesemente in atto, il taglio continua a essere una minaccia incombente e nulla pu garantire lapprodo definitivo a una condizione di fuori pericolo. Di fatto, se ci si guarda attorno, non occorre molto per accorgersi che la supposta solarit del S categoriale pi velata di quanto non si pensi, o per accorgersi che basta davvero poco per oscurare del tutto la sua luce. Del resto, al di l della malattia mentale vista come rischio accidentale, Hegel aveva gi individuato nella normale fisiologia dello Spirito la presenza di dinamiche dissociative e alienanti. La fissazione nella particolarit che pu impigliare il sentimento di S (la presenza), impedendogli di oltrepassare la situazione critica polarizzante, gi un taglio che interrompe la comunicazione dialettica del S con se stesso e la rende impermeabile al mondo. Perch stupirsi, allora, se nellet magica la presenza in fieri viene vista come una condizione bilanciata tra momenti di precaria conquista e momenti di riflusso nel coinonico? Questultima domanda nelle intenzioni di De Martino, ma non viene posta. La strategia controdeduttiva del saggio non prevede passaggi tattici di scontro frontale e preferisce tessere trame di lento avvolgimento aggirante. Alla disontologizzazione dei termini coin-

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volti in quei problemi, il controdedurre sceglier di arrivare a piccoli passi, disinnescando e smontando dallinterno, piuttosto che tentando di trarre gi da subito le conclusioni del suo tessere. Fin qui, dunque, il problema della presenza e della sua storicizzabilit, oggetto, luna e laltra, del primo passo controdeduttivo. A questo punto, naturalmente, il secondo passo. Quello in direzione della storia e della cultura. Il paesaggio cambia in misura sensibile, ma il nodo da sciogliere non diverso: continua a essere ancora quello del taglio e della sua impossibilit ontologica. Legate come sono alla dimensione-tempo, nemica irriducibile della metafisica, la storia e la cultura non parlano quasi per nulla il linguaggio dellontologia: in modo puntuale e inoppugnabile ne smentiscono anzi la sicumera, provando che il passo eroico della storia che avanza un passo continuamente minacciato dal rischio di possibili regressioni. Parlare della storia vuol dire parlare soprattutto della sua debolezza e neppure per le et notevolmente divenute o apparentemente esenti da problematiche drammatizzazioni dellin-esserci possibile parlare di qualche ragionevole distanza dalle sindromi di questa debolezza. Forse, lidea di progresso che accompagna normalmente la nostra idea di storia ci aiuta a mascherare in qualche modo e a rimuovere gli elementi che parlano della sua precariet: n forse un caso che la cultura occidentale si sia attribuita apotropaicamente un destino di crescita lineare fatto apposta per accordare poco spazio alla possibilit del contrario: il telos che nasceva sotto segno cristiano, prima che un segno di trionfo, era forse gi il segno di una necessit esorcistica. Di fatto, come prova lecumenicit del bisogno di metastoria che caratterizza le culture umane, il bisogno di compensare in cielo ci che carente in terra non cosa che possa deporre a favore dellimpossibilit ontologica di un taglio. La ricerca di una protezione mitico-numinosa della condizione quotidianamente immersa nelle incognite del tempo dimostra, anzi, che lErlebnis pi frequente della mondanit proprio quella che nasce dal senso di una fini-

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tudine tagliata e gettata nel mondo, preda allevenemenzialit pi rischiosa e alla morte. In fondo, con le sue risorse suturanti, la religione forse il documento pi testimoniale dei tagli esistenziali sofferti dalla storia. La reintegrazione religiosa di cui parla il titolo del saggio ha il suo correlato pi reale in una crisi della presenza, che non pi solo di natura soggettiva, ma si estende alle strutture intersoggettive della cultura e della storia. A patire la precariet dellesserci non solo lindividuo isolato: prima di lui e attraverso di lui anche gli insiemi collettivi e comunitari fanno drammatica esperienza della fondamentale insicurezza che inerisce al semplice trovarsi trascinati senza difesa nel flusso del divenire. Non per nulla gli approdi agli orizzonti della metastoria che hanno segnato le culture umane sono sempre stati di tipo collettivo e hanno parlato il linguaggio, tuttaltro che privato, di un male di vivere di volta in volta specifico e diverso solo per laccento. Verrebbe da chiedersi a questo punto se, piuttosto che della impossibilit ontologica del taglio, non si debba parlare pi propriamente della ontologia che lo fa essere, sempre e dovunque, un ineliminabile incombere. Ovviamente, anche qui, come nel caso della possibile qualit esorcistica del telos occidentale, De Martino non pone domande esplicite: ma certe valenze sporgono con forza dalle traiettorie del suo dire e chiedono di trovare il loro completamento nella mente del lettore. La tecnica di un suggerire che dica pi in l della parola aperta parte sostanziale del regime tattico che accorda allo sviluppo del saggio solo percorsi calcolatissimi ed essenziali. Tutta la parte dedicata alla reintegrazione religiosa , senza dubbio, sotto questo segno tattico e entra in campo come un aspetto di grande peso metaforico. Quanto pi dice di s (e si tratta, bene notare, di uno dei luoghi demartiniani pi riusciti per ci che riguarda lesposizione del nesso crisi-riscatto), tanto pi essa dice del taglio che segna lesperienza depressiva della storicit. E agli argomenti che, dalla crisi della presenza individuale, erano passati alla crisi della presenza della/nella storia, essa ag-

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giunge un surplus argomentativo particolarmente ricco di autonoma pregnanza. Come se dovesse appartenerle il potere di riuscire a tenere aperto il problema della debolezza della storia anche nel caso che una certa quantit di prove contrarie tentasse di riportare il discorso alla falsa coscienza di cui si spesso nutrita lenfasi del passo eroico. In realt, il discorso storico-religioso si discosta di molti gradi dal discorso ingenuamente ontologico dellumanesimo pi compiaciuto di s e sa di potergli contrapporre quella consapevolezza della criticit del mondo che i retaggi antropocentrici della tradizione egemonica occidentale hanno messo in ombra. Probabilmente non un caso che linteresse di De Martino per le problematiche religiose diventi, a partire da qui, sempre pi forte e si faccia determinante nella scelta disciplinare che lo porter a volersi pi storico delle religioni che etnologo. Di questa consapevolezza, il saggio demartiniano del 56 profondamente permeato e certo non potr sfuggire che le eccedenze di questo surplus ricadono senza perdite sulloggetto del primo passo controdeduttivo. Che un luogo importante come abbiamo visto della strategia volta a ristabilire le condizioni legittimanti della ritrattata storicizzazione delle categorie. Malgrado la forma ancora ellittica, il cerchio di questo controargomentare si chiude, lasciando al lettore demartiniano un forte sapore di autodifesa e, al tempo stesso, di riavvio. Ma torniamo sui nostri passi. Sul piano dellautocritica, che prospettiva si apre dopo questa svolta del 56? Ovvero, sotto il suo peso, accade qualcosa di rilevante nel percorso di andata a cui fa cenno la metafora ferroviaria del nostro titolo? Direi di si. Qualcosa di importante comincia ad accadere. Per come si muove e per il tipo di intenzionalit che lascia avvertire, Crisi della presenza consente di affermare che la forma del suo andare gi un andare che volge al ritorno. La forma, sappiamo, ancora molto cauta e implicita, ma non cos cauta e cos implicita da impedire che si in-

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travedano qua e l le cntine che annunciano il tornare su di s, in cerchio, del movimento lineare dellandata. La Fine del mondo certo lontana, ma il percorso di ritorno su cui verr a rovesciarsi tutta la sua capacit di risarcimento in gran parte gi presente nelle dinamiche controdeduttive di questo saggio. Uno strano documento indiretto dellimportanza reversoria di Crisi della presenza la postilla conclusiva che chiude la seconda edizione (1958) del Mondo magico. La si ritiene, generalmente, uno dei luoghi pi confessi dellautocritica, soprattutto perch drastica e senza mezzi termini vi risulta la ritrattazione delle metanoie pi importanti del Mondo magico, ma sorprendente appare e psicologicamente enigmatica lassenza di dramma che si accompagna a una dichiarazione cos grave. vero che De Martino sta rendendo diretta e ufficiale unammissione gi pi volte fatta in forma indiretta e ufficiosa, tuttavia quellassenza di trasalimenti continua a porre problemi e ad apparire essa stessa un movimento tattico della metis. Senza le soggiacenze di questultima, in effetti, sarebbe difficile spiegarsi la tranquillit di un passaggio ritrattatorio di quella portata. In realt, i termini del nodo che complica la postilla sono gi in gran parte noti e andrebbero semplicemente richiamati dai contesti che li contengono. Da una parte, nel suo dare molta visibilit a un sacrificio destinato a proteggere il nucleo valido, la postilla una sintesi brachilogica di Fenomenologia religiosa; dallaltra, nel suo riferirsi senza dramma a questo sacrificio, essa ha dietro di s le sicurezze di Crisi della presenza. come se i due aspetti dellautocritica quello depressivo e quello controdeduttivo si combinassero qui in una sintesi-bilancio del processo in corso e cominciassero a chiarirsi luno dentro laltro (non un caso che sia stato proprio lobbligo ermeneutico imposto dalla postilla a stimolare il tipo di lettura che abbiamo applicato a Fenomenologia e a Crisi). Quel che cambia e che costituisce la vera novit delle Osservazioni del 58 (il titolo vero della postilla appunto Osservazioni conclusive dellautore) il tono, laumento di vo-

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lume che lo fa salire sensibilmente. Perduta gran parte delle velature che lo rendevano sommesso nei testi precedenti, esso ha ora la chiarezza di una progettualit definita. Limpianto tecnico di questa progettualit deriva quasi per intero da Fenomenologia religiosa e continua a parlare il linguaggio depressivo-aggirante di quella metis, ma la sicurezza dellinvestire sullErsatz del nucleo valido ha dietro di s le risorse controdeduttive di Crisi della presenza e sa gi di poter trovare altra via per tornare senza perdite ai luoghi di partenza. Da questo punto di vista, lo schema tattico della postilla sta nel ripiegare su Fenomenologia per poter proseguire meglio Crisi e andare anche pi in l delle sue posizioni. In sostanza, perci, il rammarico dei lettori demartiniani della prima ora (si pensi a Solmi) non pu essere anche un rammarico di De Martino. Il tutto, per lui, gi dentro una traiettoria aggirante e al tempo stesso di ritorno e poco senso avrebbe esigere da lui un dramma vero o diverso da quello di una compunzione che pu essere utilmente recitata. Dicevamo di un tono nuovo, ma dovremmo anche parlare di ci che lo rende tale e lo fa essere diverso. Dovremmo, per esempio, non trascurare la dimensione proiettiva che lo regge e che lo motiva nella sua progettualit. Direi che in quel Mondo magico 1958, quasi contemporaneo peraltro alluscita di Morte e pianto rituale, i termini di un possibile movimento di ritorno sono gi qualcosa di pi che un semplice abbozzo progettuale. come se cominciasse gi a esistere lattesa di un momento opportuno, di un kairs ophlimos adatto alla ripresa-rilancio delle metanoie decapitate e pronto a gettarsi senza vincoli sui sentieri del ritorno. Rispetto a Crisi della presenza, forse proprio questo senso di un kairs intravisto la cosa che costituisce la vera novit. Esso ha certo molti debiti col testo del 56 e sicuramente non sarebbe riuscito a ingenerarsi se le pagine di due anni prima non gli avessero aperto il varco: ma, in decisione e determinatezza, lo scarto in avanti che si viene precisando ora non di poco conto: produce, se non altro,

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unidea pi nitida e pi organizzata dei percorsi che ancora necessario fare per arrivare senza strappi clamorosi alla riabilitazione totale delle parti ritrattate. Lattesa di un kairs imminente diffusa in tutta la trilogia e si accompagna in modo molto stretto alluso del nucleo valido come Ersatz. Per esempio, in risposta al bisogno di non far sentire la mancanza delle cose cadute, le prove fornite da Morte e pianto rituale 22 e dalla Terra del rimorso 23 sono straordinariamente efficaci e, anche se nel primo di questi due e in Sud e magia 24 non mancano ritorni alla concessivit, si avverte bene che la funzione dialettica della loro dinamica autocritica sotto il segno delle disinvolture senza dramma che definiscono le consapevolezze della postilla. Tuttavia, la ricerca del kairs forse pi presente nelle cose che la dichiarano di meno che non nelle cose interessate a renderla visibile. Il caso dellinfittirsi degli aspetti tematici legati al problema della debolezza della storia , da questo punto di vista, esemplare. Sembrerebbe che il tratto dominante di questi versanti sia solo quello riguardante lo smantellamento dellontologismo che si era voluto contrapporre alla storicizzazione delle categorie, piuttosto che non anche quello riguardante il bisogno di trovare il passaggio pi giusto per far esplodere la frontalit controdeduttiva del progetto ripresa-rilancio: ma, se ci si rif ancora una volta alla distinzione tra funzione manifesta e funzione latente, non difficile

Ernesto De Martino, Morte e pianto rituale nel mondo antico. Dal lamento pagano al pianto di Maria, Einaudi, Torino 1958. La seconda edizione del 1975 ed boringheriana. Per espresso desiderio dellautore, essa esce col titolo modificato in Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria. 23 Ernesto De Martino, La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, Il Saggiatore, Milano 1961. Sono numerose le riedizioni, tra le quali va segnalata la terza, del 1976, per lintroduzione di Giuseppe Galasso. 24 Ernesto De Martino, Sud e magia, Feltrinelli, Milano 1959.

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accorgersi che la dominanza della funzione smantellamento altro non che il travestirsi della funzione latente aperta dal kairs. E questo potrebbe essere constatato facilmente anche per altri nodi. Non pu non apparire strano, perci, che, nonostante la presenza di un kairs sentito come imminente, la piena messa a frutto degli argomenti controdeduttivi impostati nel 56 venga ancora rimandata. Di fatto, nella situazione venutasi a configurare immediatamente a valle di quel Mondo magico 1958, loperazione di rovesciamento sembrava poter essere gi da subito tentata e nulla sembrava opporsi allimpressione che il rilancio stesse per aver luogo. Perch mai, invece del passo atteso, troviamo la lunga dilazione che abbiamo sotto gli occhi? Che cosa potrebbe averla determinata? forse questo il punto che, da qui in poi, ci catturer di pi. La risposta a questi interrogativi non per nulla semplice e sicuramente finir per voler essere anche una risposta alle domande che verranno a porsi a proposito della difficile collocabilit autocritica di tutta la fase compresa tra quel 58 e le prime soglie della fase-epilogo. Intanto, per, forse opportuno fermarsi ancora un istante negli spazi ermeneutici che la postilla si era creata attorno, per chiederci se davvero, in quel momento, le condizioni per lavvento del kairs fossero cos mature e se davvero mancasse cos poco per poter incoccare tout-court le frecce del rilancio. Allidea di un rilancio gi possibile allora, pu essere ragionevolmente contrapposta unidea del contrario e, a parte le prove offerte dalloggettivit, non mancano argomenti per sostenere che, se il ribaltamento era gi nei fatti, sul piano teorico tutta la questione del contenzioso nato a ridosso del 48 si presentava ancora irrisolta. Di fronte alla necessit di cominciare a riempire questo vuoto, non era forse inessenziale dare ancora sviluppo alle attenzioni volte a consolidare il nucleo valido e insistere sulle strategie della metis. Peraltro, dal punto di vista delle dinamiche controdeduttive, la debolezza della storia, nella sua posizione di argomento nevralgico, avrebbe gua-

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dagnato in efficacia se lo si fosse portato anche pi in l, spingendolo con decisione sul versante religioso. In sostanza, assai probabile che, in quel momento, De Martino ritenesse tuttaltro che compiuta la tessitura delle precondizioni destinate a introdurre e a rendere sufficientemente logici gli scarti ribaltanti del kairs. A compierlo in quella fase, senza aver allargato ulteriormente i margini di sicurezza, il salto nella teoria avrebbe forse rischiato di apparire immaturo e precoce. E si spiega, allora, perch, sotto il segno della postilla, i lavori della trilogia abbiano un costante sapore di prolungamento e lascino avvertire la presenza della lineametis inaugurata dai testi teorici che precedono il 58. Lo si pu dire per la linea-metis che rimanda a Crisi della presenza, ma lo si pu dire altrettanto bene per la linea-metis che ha il suo punto dorigine in Fenomenologia religiosa: il fatto che le due linee si presentino spesso intrecciate e rendano difficile il lavoro di distinzione non cosa che possa diminuire la percezione globale del loro peso: anzi cosa che ha il potere di accrescerla-confermarla. Se si guarda allarco della trilogia che poi larco compreso tra il momento della postilla e lepilogo , si direbbe che il nucleo valido ne campisce quasi per intero lestensione, costituendosi non meno che nel Mondo magico come condizione insostituibile della corretta intelligenza degli oggetti di volta in volta esaminati. Da Morte e pianto rituale alla Terra del rimorso, il lettore demartiniano si imbatte di continuo in analisi che, sulle capacit ermeneutiche del nucleo, riescono a dire cose straordinarie e in grado di spostare anche pi in l la soglia quasi insuperabile del Mondo magico. Personalmente, per ci che riguarda il nodo crisiriscatto, non esiterei a indicare la trilogia come il luogo demartiniano pi alto o almeno come il luogo dei discorsi, in tal senso, pi riusciti. importante notare, peraltro, come, nel suo proporsi di essere una storia religiosa del Sud, essa non esiti a cercare i suoi campi dindagine sui versanti folklorici pi manifestamente inclinati in senso religioso. un modo di investire nella direzione

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indicata da Crisi della presenza e di lavorare a favore delle tesi sulla debolezza della storia, accumulando altre prove. Che si tratti del lamento funebre mediterraneo o della bassa magia cerimoniale lucana o del complesso mitico-rituale tarantistico, al di l dellimmediato interesse storico-religioso per i singoli fenomeni c sempre, anche se in forma mediata, linteresse disontologizzante per la debolezza della storia. Il senso del prolungamento chiaro, e non lo di meno quello della dilazione. Anche qui, come in tutti i passaggi delle dinamiche controdeduttive che abbiamo attraversato, lo spaccato di questo procedere mette in luce unidea del rilancio come cosa pensata nei termini di un ribaltamento speculare delle ritrattazioni dichiarate e come ripresa integrale delle metanoie lasciate cadere. Loggetto di questa complessa e delicatissima operazione di recupero, naturalmente, sempre lapparato storicistico del Mondo magico. A questo punto, per, attenzione. Se tutto questo vuol dire che i dintorni dialettici della postilla restavano ancora compresi nello spazio teorico del libro sul magismo, non pu non colpire il fatto che, tra le cose che seguono, non siano poche quelle che sembrano implicare uno scarto. Intanto, per esempio, lecito chiedersi quale fosse (o quale potesse essere) la reale tenuta del progetto rilancio in una situazione che andava dilazionandolo indefinitamente e spingendo sempre pi in l lavvento del suo kairs. lecito chiedersi, cio, se questa dilazione non implicasse qualche perplessit e se, a partire da una certa data, lidea del rilancio non cominciasse a essere pensata al di l del Mondo magico. Non possibile che ferme restando le metanoie da rilanciare il Mondo magico, come tessuto argomentativo, cominciasse ad apparire insufficiente e a esigere una riesposizione arricchita delle sue tesi? Rispetto alle ampiezze messe in luce da Crisi della presenza, la nozione di cultura circolante nel libro del 48 si presentava ancora molto contratta e, in questa forma brachilogica, non sembrava

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