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Tecnologia e mondo naturale

Juan Jos Sanguineti Pubblicato in AA. VV, Seconda Navigazione, volume su La tecnica, la vita, Mondadori, Milano 1998, pp. 91-115

Sommario. 1. Pertinenza della riflessione naturale. 2. Le cause filosofiche del tecnologismo. 3. Continuit tra natura e intelletto nell'aristotelismo. 4. Il dominio come rapporto umano essenziale con la natura. 5. Dominio tecnico analogico. 6. I limiti tecno-naturali e il problema del male fisico.

Pertinenza della riflessione naturale Il dominio dell'uomo sulla natura si manifesta inizialmente nel controllo del proprio corpo e nel libero impiego degli elementi del mondo fisico. Diviene tecnico o artificiale, in un senso lato, quando mediante la ragione costruiamo oggetti o avviamo processi non prodotti spontaneamente dalla natura, sia perch sono del tutto nuovi, sia perch contengono modifiche degli oggetti del mondo, o perch almeno vengono elaborati con procedimenti non previsti dalla natura. Il legame tra la tecnologia e le scienze sperimentali indiscutibile, anche se fino a due secoli fa non risultava cos ovvio come oggi ci appare. Le conquiste tecnologiche sono dovute all'alleanza sistematica istauratasi tra tecnica e scienza teorica. Il rapporto con la filosofia della natura va posto ad un livello pi profondo. Nella misura in cui affronta le questioni essenziali del mondo della natura, essa dovrebbe essere poi, insieme all'antropologia, uno dei fondamenti dell'intervento tecnico delluomo sul mondo. Una possibile obiezione data dal fatto che la tecnologia moderna, nelle sue estreme manifestazioni, si sviluppa proprio sulla base della rinuncia a una visione filosofica preconcetta della natura, sostituita dalla prospettiva scientifica. Tale rinuncia comporta comunque una certa filosofia implicita del mondo. Solo l'apertura della riflessione consente a questo punto di evitare la contraddizione o la malafede. Per natura s'intende il quadro d'insieme degli elementi fisici dell'universo materiale, oppure il modo specifico di ciascuno di essi, ci che tradizionalmente si chiama l'essenza di ogni cosa. Il

crescente potere umano di trasformare le sostanze naturali e di modificare il patrimonio genetico delle specie viventi, senza escludere l'uomo, pone un quesito impellente, fino a qualche tempo fa sconosciuto, sul reale rapporto tra natura e tecnica. Tale domanda per una filosofia positivista sarrebbe priva di senso. La natura in questa visione una parola senza significato. I pericoli avvertiti nella prospettiva ecologica, oggi da tutti riconosciuti, ci costringono tuttavia a riformulare il problema con maggiore oculatezza: quale significato ha la plasticit del mondo fisico di fronte alle scoperte scientifiche? Fino a che punto l'uomo pu affidarsi alla natura come forza spontanea anzich agli strumenti tecnici che cercano di padroneggiare questa forza? Deve la tecnologia rispettare il mondo naturale come valore in se stesso, o piuttosto dovrebbe curare la natura in funzione dell'uomo? L'evoluzione fisica complessiva del cosmo ha portato di fatto allesistenza di modi specifici di essere nella natura. Vedere in essi solo dei risultati accidentali, scambievoli in altri (di altri mondi possibili) banalizzarli ed equivale a non riconoscerli come natura, o pi precisamente a non capire quale significato ormai dovrebbe avere questo termine. Ma la mancanza di certi elementi specifici nel cosmo non indifferente. La convivenza di specie e qualit diverse in un'armonia ben proporzionata era gi nota agli antichi: si sapeva che unalterazione dellinsieme a livello specifico comportava una modifica nell'ordine fisico universale. Essi tuttavia non arrivarono a immaginare un potere tecnico delluomo in grado di interferire negli equilibri naturali, anche se pensarono a sconvolgimenti provocati dai peculiari ritmi del cosmo. E' ormai assodato che lequilibrio terrestre complessivo, con la sua lunga storia naturale, delicato e per niente scontato. Siamo anche noi in grado di alterarlo, senza poterne prevedere le conseguenze precise a medio-lungo termine. L'evoluzione "storica" della natura, non riassorbibile in cicli ricorrenti, una caratteristica emergente nel quadro delle scienze contemporanee. Queste considerazioni ci portano alla convenienza di una riflessione sulla tecnica dal punto di vista della filosofia naturale. La tecnica era considerata tradizionalmente come un miglioramento auspicabile ma poco profondo della realt naturale. L'errore tecnico era addebitato allignoranza o alla malignit umana, ma le sue conseguenze negative non incidevano sulla natura. Oggi il panorama ridimensionato in larga misura. Un errore tecnico di valutazione pu avere conseguenze disastrose su larga scala. Non solo la tecnica pu essere usata per il male o costruita direttamente per recare un certo danno (come accade nella fabbricazione delle armi), ma pu essere anche concepita in maniera inadeguata poich non sempre riusciamo a valutare il bene preferibile o pi completo. Non solo eticamente ma neanche naturalmente la tecnica "neutrale".

Sino a qualche tempo fa, la complessit degli equilibri di regolazione era nota solo in alcuni campi particolari, quali l'economia o la medicina. Il medico e leconomista intervengono ciascuno nel proprio campo entro margini di incertezza dovuti alla complessit della loro materia di azione, soggetta a costanti variazioni non sempre prevedibili. Anche in questo senso essi non possono essere considerati dei tecnici nel senso stretto del termine, il quale trova il suo significato moderno pi abituale nell'ingegneria. Attualmente qualcosa di simile sta accadendo nell'insieme delle scienze tecnologiche, in quanto si pi consapevoli del contesto generale in cui sono situati tutti gli interventi umani. Il concetto di tecnica, nonostante le sue abituali connotazioni meccaniche, elettroniche ecc., e quello di natura, tralasciato nella modernit ma in via di ripresa, stanno sicuramente attraversando oggi un'importante fase critica. Le cause filosofiche del tecnologismo Intendiamo proporre in queste pagine una riflessione sul problema indicato rifacendoci a certi concetti fondamentali della filosofia aristotelica, esaminati non tanto con un'intenzione storiografica erudita, bens allo scopo di vedere fino a che punto potrebbero essere orientativi nell'attuale contesto. Va da s che la filosofia naturale aristotelica, nonch la sua visione della tecnica, non sono proponibili come tali per i nostri problemi attuali. Tuttavia il ripensamento di alcuni elementi profondi tenuti in mente dai classici pu rivelarsi utile per la filosofia della tecnica di cui oggi sentiamo il bisogno. Premettiamo innanzitutto due parole in riferimento al problema storico. L'aristotelismo, al quale negli ultimi decenni si ritornati con simpatia e attenzione in vista della problematica ecologica (per es. nella filosofia di H. Jonas), viene considerato normalmente come naturalista. Questo termine vorrebbe puntare alla fuvsi" come uno dei concetti fondamentali di Aristotele. La tevcnh, in latino ars (abilit umana nella produzione o poivhsi", anzich tecnica in senso moderno) era riconosciuta nella sua importanza antropologica da Aristotele, ma rimaneva sempre ad un livello inferiore, soprattutto trattandosi della tecnica nel senso degli artefatti e procedimenti con cui l'uomo crea il suo habitat economico e politico e rimedia certi difetti della natura (per es. con la medicina). La causa di questa inferiorit sta d'una parte nel modesto sviluppo tecnologico della civilt antica, e anche nel fatto che per Aristotele il lavoro materiale (di cui la tecnica necessario strumento) era un'occupazione di secondaria importanza, rivolta a soddisfare sobriamente le necessit del corpo umano, condizione di base per poter dedicarsi con libert alle pi alte attivit dello spirito (la contemplazione scientifica e filosofica).

Il Cristianesimo viene talvolta reso responsabile, nel bene o nel male, del tecnicismo caratteristico dell'era moderna. Solitamente s'indica a questo proposito il comandamento divino rivolto all'uomo di dominare la terra, insieme alla sua posizione centrale nel creato, attestata nella Bibbia: Dio ha creato tutto l'universo materiale per l'uomo, il quale invece fu "voluto per se stesso" e fatto a immagine e somiglianza di Dio. Tale giudizio storico in realt alquanto ambiguo perch la tradizione antica e medievale cristiana, come quella araba ed ebrea, presero in generale nei confronti della tecnica l'atteggiamento sobrio tipico di Platone e di Aristotele. In un tale contesto la tecnica rimaneva piuttosto al margine di fronte alla vocazione umana di contemplazione metafisica e teologica. Il dominio biblico dell'uomo sul creato non va interpretato necessariamente nel senso della tecnologia moderna. Alcuni elementi del Cristianesimo, in particolare la dottrina della creazione, consentirono comunque indirettamente una peculiare libert dinanzi all'antica scienza ellenistica, facilitando cos la nascita dell'approccio scientifico moderno verso la natura, con il suo tipico interventismo sperimentale e la sua nuova visione dinamica del mondo1 . Parimenti altri aspetti teologici cristiani, quali il valore del corpo e il primato della carit, favorirono il superamento del disprezzo greco per il lavoro materiale e servile. Il collegamento tra teologia cristiana e valore positivo della tecnica scontato, anche se va spiegato in tutta la sua complessit e col ricorso a diverse cause indipendenti e concorrenti. Uno sviluppo tecnologico originale e importante cominci gi a profilarsi nell'Occidente tardomedievale. La sua straordinaria espansione a partire dall'industrializzazione fino ad oggi dovuta alla fitta rete di rapporti sistematici intessutisi tra fisica teorica, tecnologia ed economia capitalista, insieme ad una valutazione positiva del lavoro. La teologia cristiana, specialmente prima della Riforma protestante e del predominio della filosofia razionalista, tutt'altro che contraria ad una visione positiva della natura, pur assumendo il principio della superiorit della persona umana sulla natura subumana. Alla base del tecnologismo moderno, nella connotazione negativa che questo termine acquista in autori esistenzialisti come Heidegger, sta invece la crisi della filosofia naturale aristotelica nel nominalismo del XIV secolo. Se la teologia cristiana del creato spingeva l'uomo a guardare la natura con l'equilibrio di uno spirito contemplativo e al contempo pratico-tecnico, una teologia invece priva della filosofia naturale tradizionale, sostituita quest'ultima dall'unilateralismo della concezione meccanica del mondo, poteva indurre all'ideale baconiano del dominio scientifico della terra con un approccio meramente utilitaristico2 . Nel razionalismo moderno infatti prevalente la concezione di una finalit estrinseca alla natura, trasferita tutta alla mente del pianificatore esterno, come succede in una macchina rispetto al suo

disegnatore3 . La creazione divina viene concepita conseguentemente come una sorta di opera tecnologica al servizio dell'uomo. Dio, si suppone, ha donato all'uomo la macchina del cosmo e del proprio corpo. La superiorit umana nell'universo sar dunque interpretata restrittivamente come un avvio al compito di trasformare una natura puramente strumentale. Sono queste le premesse storiche del tecnologismo contemporaneo, solo relativamente teologiche, prima della secolarizzazione e radicalizzazione operata dalle versioni estreme dell'illuminismo, quando l'ideale del controllo quasi totale della natura si porr come una delle condizioni fondamentali per l'emancipazione dell'uomo4 . Le critiche husserliana, heideggeriana, francofortese ed ecologista all'esasperazione della tecnica, con la riproposta conseguente, in diversi autori, di una rivalutazione della natura, pongono nuovi quesiti al problema5 . Quale sarebbe l'approccio aristotelico o tomista nel contesto attuale? Ne risulterebbe un'ulteriore condanna della presunta perversione della tecnica occidentale, priva di Lebenswelt e frutto dello spirito galileiano accentrato esclusivamente sulla misurazione e sugli aspetti quantitativi della realt?6 Il problema non meramente speculativo, date le sue enormi dimensioni e la sua incidenza sulla vita di tutti di fronte al futuro dell'umanit. Posizioni neoilluministe oggi respingono la diffidenza avanzata dai filosofi e dagli ecologisti nei confronti della tecnologia e, con le prospettive sempre pi allettanti dell'informatica, talora si augurano un futuro in cui la vittoria definitiva della tecnica sulla natura sarebbe veicolata dal miraggio di una super-intelligenza artificiale dalle proporzioni cosmiche. Il dibattito si incentra allora sul problema della disponibilit energetica per la costruzione di apparecchi auto-replicantisi capaci di imparare e di costruire in maniera universale7 . Le speranze, forse utopiche, vengono riposte nell'indipendenza di queste realizzazioni tecnologiche dalle condizioni troppo ristrette della terra. Le prestazioni dell'intelligenza artificiale o le simulazioni di vita artificiale pongono poi nuove sfide per la definizione dell'artificiale e per la sua differenziazione rispetto alla realt naturale. Il cervello come macchina o come natura: dove sta la differenza? Per molti, la distinzione tra ambito naturale e artificiale si dilegua in favore di un'apparente approccio monista, rappresentativo in realt di un nuovo voltafaccia del tecnologismo totalitario. Di fronte a queste opinioni non sorprende la perplessit sperimentata da molti al momento di dare un giudizio circa l'indirizzo di fondo della tecnologia contemporanea. I richiami etici sono giustificati e frequenti, ma anche opportuno considerare a livello filosofico il tipo di vincolo da prospettare tra la natura e la tecnologia. Come abbiamo anticipato, a questo punto rivolgeremo la nostra attenzione all'aristotelismo, cos come venne integrato nella visione cristiana in Tommaso d'Aquino, cercando di individuarne dei punti rilevanti in rapporto al problema affrontato.

Continuit tra natura e intelletto nell'aristotelismo L'arte imitativo della natura8 : questo sobrio principio aristotelico di somiglianza, da riferire non ai contenuti bens alle linee causali, colloca la tecnica come opera dell'intelligenza umana in una posizione intermedia tra la completa estraneit dualistica cartesiana e il monismo razionalistico spinoziano. I modelli connessionisti di computazione, ispirati al funzionamento a rete del cervello, rappresentano oggi una bella illustrazione moderna di tale principio. Peraltro anche nel sistema tradizionale di computazione non mancano elementi di similitudine: la metafora del cervello come calcolatore e viceversa, di indubbio valore euristico, dimostra l'esistenza di un'analogia tra le opere della natura e le opere della ragione umana. Le analogie sono euristicamente feconde, bench possano disorientare se interpretate troppo restrittivamente. Si potr sempre sottolinearne la continuit o la discontinuit degli elementi messi a confronto. Nella storia della scienza e della tecnica tradizionale la proposta di paragoni metaforici: il mondo come orologio, come libro scritto in caratteri matematici, come macchina termodinamica, come societ concorrenziale ecc. Lo stesso Aristotele concepiva la natura ilemorfica e la causalit tenendo presente in parte il modello artistico (ricordiamo il celebre esempio della statua). Queste analogie sono ugualmente la base per concepire la creazione divina del mondo secondo modelli artistici soggetti poi a purificazione e a ulteriori integrazioni. Si comprende l'inevitabile tendenza a rappresentare la realt naturale in base ai nostri schemi culturali e produttivi, pi intuitivi per noi. Grazie a questa semplificazione formale, la natura risulta via via sempre pi accessibile nel dialogo dell'uomo con il mondo mediato dalla scienza e dalla tecnica. Tutti quei paragoni contengono qualche elemento di verit e cos manifestano l'intelligibilit della natura. E' questo il fondamento naturale della tecnica da parte nella visione aristotelica. La natura nelle sue strutture matematiche profonde, nelle sue armonie e finalit nell'ambito della vita, dimostra una fine intelligenza, una razionalit costituita e "ben pensata". L'uomo se ne sorprende sempre, senza annoiarsi di contemplarla. In quanto essere intelligente, egli trova nelle opere della natura qualcosa di suo, per quanto debba superare le tentazioni di assegnarle ci che esse non hanno (anima o intelligenza attiva). L'appartenenza della natura alla sfera intellettuale (e non viceversa, nell'aristotelismo ortodosso) si manifesta anche nell'affinit della mente umana per il cosmo, per il piano generale e ordinato nel quale sono dispiegate tutte le cose naturali. La mente capace di pensare al coordinamento di tutto, cio alla natura universale, alla quale manca un centro immanente di controllo.

Eppure la natura di specie subumana, nonostante il suo dinamismo, risulta pi passiva nei confronti dell'uomo. Non c' simmetria nel rapporto mente-natura. Le cose naturali perseguono i loro fini naturali con spontaneit e senza deliberazione9 . Solo l'essere intelligente capace, entro certi limiti, d'intuire e di creare nuovi ordini con intenzionalit e pianificazione (ragione costituente). Lintelletto trascende infinitamente la natura fisica. L'intrinseca appartenenza della natura all'intelletto fornisce, in questo senso, la base degli argomenti cosmologici in favore di un'Intelligenza separata dal mondo, ma ne proprio la base in quanto la natura non possiede la razionalit attiva e costruttiva, e soprattutto universale, palese invece nel lgos umano. La Mente cui lordine del cosmo rimanda devessere almeno pi simile a quella delluomo anzich allinconscia intelligibilit delle ben ordinate cose inferiori. A quanto detto non mancher forse la seguente obiezione. L'intelligenza artificiale, capace di dimostrare teoremi, di vincere a scacchi il campione del mondo, di comporre opere d'arte con una certa creativit, sembra essere abbastanza attiva, al punto di non soddisfare il criterio della semplice intelligibilit al quale ci siamo riferiti sopra. Il punto sarebbe lungo da sviluppare in questa sede. Due questioni dovrebbero considerarsi al riguardo: l'intelligenza naturale concreta degli animali (esistente anche nell'uomo a un certo livello) e l'intelligenza tecnica astratta delle calcolatrici. L'intelligibilit "passiva" prima menzionata quale caratteristica della natura da ritenersi tale solo in confronto col pensiero umano. Essa non significa la pura propriet di essere comprensibile da una mente. La vita sviluppa attivamente funzioni enormemente complesse e "intelligenti". La passivit risiede nel fatto che i processi naturali, nonch i meccanismi tecnici "intelligenti", esaminati a fondo evidenziano la mancanza di un pieno autopossesso della loro direzione. Le loro funzioni automatiche, pur seguendo procedure in apparenza "decisionali" che ottimizzano il servizio, sono sempre date e comunque ristrette. Il pensiero artificiale, pur svolgendosi in un apparente dinamismo, pensato e non pensa (proprio per questo esso non appartiene ad alcun soggetto). Il quadro si vede in una dimensione pi completa allorquando il pensiero artificiale, in quanto strumentale, viene riferito al suo autore e utente. E' l'uomo a pensare col sussidio del calcolo oggettivato nel calcolatore. Il caso dell'intelligenza artificiale, quantunque spinoso, dimostra in modo particolare l'intrinseco legame tra intelletto umano e natura. La nostra intelligenza, non essendo disincarnata, richiede l'uso del simbolismo e del calcolo automatico (algoritmi), senza per ridursi ad essi, per poter compiere le diverse operazioni del pensiero razionale. Molto in sintonia con la visione ilemorfica aristotelica, la nostra mente pu servirsi poi non solo di linguaggio, ma anche di apparecchi tecnici esterni per poter oltrepassare le sue capacit naturali nell'ambito del calcolo. Questa mediazione esterna della

razionalit consente infine all'intelletto di elevarsi ad un'ulteriore comprensione sul piano qualitativo ed essenziale. La macchina supera in apparenza l'uomo, ma poi l'uomo con la macchina supera non solo quest'ultima ma anche se stesso10 . La comunanza intrinseca tra intelletto e natura, tipica dell'aristotelismo e lontana da una visione dualista, si verifica quindi in modo peculiare allinterno delluomo stesso. Le tendenze naturali dell'uomo alla felicit, alla vita sociale, alla scienza, ecc. sono costanti e forti, ma si debbono tradurre in realizzazioni concrete libere, variabili e storiche. Le creazioni artistiche inaugurano la realt del mondo culturale, ma hanno la loro radice profonda nella natura umana teleologicamente concepita. Il linguaggio naturale, ma le lingue sono convenzionali; la plis naturale all'uomo, animale politico, ma le citt e le comunit sociali sono un fenomeno culturale e non naturale. Dunque la natura stessa spinge l'uomo a superare la passivit degli esseri irrazionali. Le opere dell'uomo non sono in linea di principio una violenza inflitta sulla natura, n qualcosa di estraneo e imposto al di sopra di essa. Sono quanto la natura esige e non realizza da sola. La tecnica pu essere vista, nellottica aristotelica, come una continuatio naturae. Tale continuatio un misto di necessit e libert. L'uomo deve imparare una lingua, costruirsi una dimora e fabbricarsi utensili spinto dalla pressione della sua natura fisica e sociale. Solo pi tardi egli scopre di poter andare ben oltre il minimo indispensabile e di poter purtroppo anche mettersi in contrasto con le linee portanti della natura. Lidea di "seguire la natura" contiene in Tommaso d'Aquino, ad esempio, un elemento normativo anche morale: le inclinazioni naturali sono un criterio e un correttivo del retto agire etico dell'uomo11 . La cultura, il Diritto e le tecniche sono destinate a espandere le esigenze della natura, anche se possono altres soffocarla a causa della debolezza umana. In linea di massima prevale dunque nella concezione aristotelica l'idea di una fondamentale armonia tra le opere della natura e quelle della ragione, di un segno diverso dallo spinozismo per cui tutto ci che naturale razionale e viceversa. Aristotele e Tommaso d'Aquino sono certamente lontani dalla contrapposizione esasperata tra materia e libert, erede della divisione cartesiana di res extensa e res cogitans. Quest'armonia d'altra parte sarebbe fraintesa se per natura s'intendesse semplicemente il mondo materiale infraumano. La natura nella percezione aristotelica il dinamismo teleologico immanente in ogni essere, particolarmente intenso nei viventi e reso infine autocosciente ed infinitamente aperto nella natura intellettuale. La ragione umana dunque naturale nella sua radice e la natura infraumana inconsapevolmente razionale. Questo naturalismo metafisico comporta, esplicitamente nel caso di Tommaso, la superiorit della persona sulle realt non personali. Il soggetto personale per si perfeziona su di una piattaforma naturale aperta, non alle sue spalle. La

critica razionalista del naturalismo metafisico, invece, con la conseguente depressione del concetto di natura, imbocca in fondo la stessa strada del tecnologismo unilaterale denunciato dai filosofi contemporanei. Il dominio come rapporto umano essenziale con la natura La razionalit nell'aristotelismo il fondamento naturale del dominio umano sul mondo fisico. Se gi negli organismi vegetali e animali si annuncia un progressivo superamento e strumentalizzazione delle sottostrutture fisico-chimiche (il vivente si adatta e regola attivamente la propria nicchia ecologica, l'animale muove e articola il suo corpo con una certa libert e vive a spese del suo ambiente), nell'uomo tale dominio per certi versi totale. Con l'intelligenza egli perfino si distacca dal mondo ed potenzialmente in grado di scrutare e di esplorare ogni forma di ente con le sue strutture di ordine, con i suoi rapporti sino alla formazione dell'universo e di altri possibili universi. La fonte della padronanza dell'uomo sulle cose naturali in questo senso la libert. L'apertura universale della mente all'essere rende possibile il libero dominio sul proprio agire nel mondo delle cose non libere: l'uomo, signore (dominus) dei suoi atti, di conseguenza signore della natura12 . Nella filosofia di Aristotele e di Tommaso d'Aquino questo dominio incontrovertibile e non ha un senso riduttivamente tecnologico. La tecnologia ne rappresenta solo un aspetto. Il concetto di tale dominio non schiaccia la natura e ne contiene il rispetto. Pu essere desunto dalla considerazione della razionalit oppure, come nel caso di Tommaso e dei pensatori cristiani, pu essere visto nel suo ultimo sfondo teologico, in cui l'uomo appare come partecipe privilegiato nel governo del Creatore sull'universo13 . Tale fondamento, lungi dall'essere un'aggiunta estrinseca, pone il limite metafisico al potere di una creatura su di un altra (un potere reso esasperato nell'iluminismo). La natura con le sue potenzialit, sottomessa all'uomo, in quanto creata dono da conservare e da lavorare per ricavarne dei frutti. La posizione tomista non antropocentrica, dal momento che varrebbe ugualmente per qualsiasi eventuale essere intelligente del cosmo (e infatti il testo in cui il primato dell'essere razionale viene massimamente affermato nell'Aquinate il cap. 112 del III libro della Contra Gentiles, dov'egli parla piuttosto di creatura intellectualis anzich di uomo14 ). Si definisce cos in maniera radicale la relazione metafisica dell'uomo con tutto quanto subumano o non razionale: il rapporto della persona con il mondo naturale inferiore (parallelo al rapporto essenziale con l'altro e con Dio). Di fronte alle cose non razionali, perfino dinanzi agli animali superiori e domestici, l'uomo non trova un partner cui poter considerare uguale, con cui poter dialogare e poter amare15 . La natura irrazionale sta naturalmente al di sotto dell'uomo16 . Non essendo libera, parlare dei suoi diritti un autentico controsenso. La nozione di rispetto personale

estesa a un animale un'assurdit metafisica (le cose e i viventi vanno rispettati in conformit al loro valore). Non possibile attribuire a un essere ci che quel essere non . La crudelt gratuita con l'animale pu dimostrare una perversione dell'affettivit umana, ma non la si pu ripudiare su basi deviate, dal momento che l'attribuzione di personalit (o di diritti) alle specie naturali subumane antinaturale e perci potrebbe essere fonte di un comportamento patologico. La difesa del giusto atteggiamento umano nei confronti del creato anche una difesa della natura stessa. L'essere non razionale e non libero per natura destinato all'essere intellettivo. Questo rapporto di finalit intrinseca significa che gli individui, le specie e anche l'insieme del cosmo fisico non trovano la loro definitiva ragione di essere nella propria identit. Sono un essere-per un altro in un senso di dipendenza teleologica. Tale posizione metafisica non li deprime e non annulla la consistenza del loro essere. Succede proprio il contrario, dal momento che la finalit riempie di senso l'esistente. Se non ci fosse alcuna creatura intelligente, il cosmo materiale troverebbe qualche senso (incompleto) nel rapporto con Dio. Ma basta l'esistenza di una sola persona in un universo fisico perch naturalmente venga a crearsi il rapporto indicato: ci che non libero risulta disponibile di fronte a chi libero, nella misura concreta in cui la sua corporeit glielo permetta. L'uomo, e ogni eventuale creatura razionale del cosmo, pu considerare questo cosmo come suo, come parte del suo avere metafisico, cos come il suo corpo fa parte integrante della sua struttura ontologica17 . E in questo senso si pu anche dire che l'esistenza di un cosmo fisico senza un ordine a creature intelligenti non si comprende. Il rapporto della persona con l'altro ben diverso, a causa dell'essere-per se della persona. L'essere-per l'altro della persona (in un senso diverso) non significa subordinazione teleologica, bens rapporto di comunicazione e di donazione reciproca. L'alterit materiale muore come transitivit (il mattone si esaurisce nella sua funzione di sostegno). L'alterit personale trascendenza nell'immanenza. Di conseguenza, la corporeit della persona non pu essere considerata alla stregua della corporeit dell'essere irrazionale. E' questo il fondamento per cui, ad esempio, l'uomo mangia naturalmente altri animali, evento normale nella catena biologica, mentre sarebbe invece perverso vedere i nostri simili come una fonte disponibile di energia, di lavoro o una riserva alimentare. L'uomo non pu trattare l'altro uomo o donna con lo stesso atteggiamento di dominio con cui considera la natura non razionale. L'altro/a non mio. Completamente diverso poi il rapporto di finalit dell'uomo rispetto a Dio, dal momento che l'uomo non per Dio come l'essere razionale per la creatura intelligente.

Dominio tecnico analogico L'uomo dominus della terra e dell'universo fisico sotto molti aspetti e non maniera univoca. Unito il suo spirito sostanzialmente al corpo, col quale integra un'unit ontologica profonda, egli pu vedere il mondo della materia come l'ambito adeguato e anche problematico della sua corporeit. L'universo naturale gli si presenta nella sua bellezza come motivo di ammirazione e base della sua conoscenza contemplativa. Questa conoscenza non si ferma esclusivamente sugli aspetti quantitativi legati ai rapporti di utilit materiale, ma su altre dimensioni non meno importanti nella sfera dell'essere. Si comprende perch oggi l'uomo della civilt tecnologica cerchi la contemplazione di una natura che gli rimasta lontana, cerchi nella compagnia degli animali, nella serenit dei paesaggi naturali, nella vicinanza di quanto naturale e non artificiale, un valore positivo a se stante, non per fuggire dalla civilt, ma per non perdere il contatto con la realt naturale, la quale di gran lunga pi bella del mondo degli utensili tecnici. Il bosco, la montagna, gli animali, non sono visti con tale atteggiamento alla ricerca di un risultato, di un rapporto mezzo-fine, bens sono considerati, o ricreati artisticamente, nella loro consistenza ontologica propria. L'uomo pu anche assumere l'atteggiamento pratico di servirsi della natura mediante l'intervento artistico, nel senso generico del termine (corrispondente al significato ordinario di artificiale). Ne conseguono parecchie possibilit, come la creazione del linguaggio e l'attivit artistica nel senso moderno di belle arti. Una di queste possibilit poietiche la tecnica (sarebbe pi esatto chiamarla tecnica fisica) cio l'intervento artificiale sul mondo destinato all'agevolazione di un'utilit materiale, la quale a sua volta sar da innestare su un'attivit umana pi elevata (per es. l'osservazione ampliata per mezzo della tecnica serve alla scienza e alla filosofia; la tecnologia informatica serve alla scrittura o alla lettura, le quali a loro volta sono strumentali rispetto alla comprensione). La creazione degli strumenti tecnici nasce dal pensiero astratto. L'intelligenza, nel cogliere la relazione astratta mezzo-fine , pu afferrare il concetto universale di strumento, il che costituisce uno dei presupposti logici della nascita e sviluppo delle tecniche, intese queste non come risposte istintive ad hoc, bens come mezzo universale, di per s senza limiti, per attrezzare quanto necessario alla vita umana prendendolo dal mondo18 . Mentre la natura nelle sue determinazioni ad unum segue sempre un'unica linea di azione, il pensiero immateriale passa liberamente da una forma ad un'altra, comprendendole tutte. Questo superamento mai incontrastato dei limiti formali consente all'uomo di rinnovarsi costantemente e di progredire in maniera intenzionale e progettuale. Di conseguenza il mondo della cultura e della tecnica rimane sempre aperto ad ulteriori sviluppi e non culmina come la totalit di un organismo.

Persino il corpo umano pu essere visto in rapporto all'iniziativa strumentale dell'uomo nei riguardi del mondo. Organicamente poco specializzato per funzioni meccaniche, osservava Aristotele, il nostro corpo risulta particolarmente abile come strumento della razionalit. Le mani, strumenti della ragione (e in questo senso estensioni del cervello), in quanto capaci di maneggiare ogni sorta di strumento sono la parte del corpo con cui esercitiamo principalmente il dominio tecnico sul mondo19 . Le mani simboleggiano il lavoro, il rapporto con cui perfezioniamo la natura. Ci che proprio della tecnica la creazione dello strumento, il quale per definizione va usato ( "utile") e dal cui uso ci si aspetta un risultato in un tempo finito. Il rapporto mezzo-scopo peculiare nella produzione e nell'uso degli strumenti appartiene a una delle funzioni della ragione: la ragione strumentale (o razionalit tecnica, la quale rappresente solo una forma del finalismo e non quella pi elevata). Lo strumento (o il "mezzo") di per s non amato, desiderandosene unicamente il risultato. Proprio per questo, una delle sue caratteristiche la sua facile sostituibilit. La variet di strumenti e i modi di concepirne l'uso molto ampia. Quale oggetto forgiato dall'uomo (un libro, un orologio, una matita), esso un artefatto, un'entit artificiale appartenente a un mondo artificiale (una sala, una casa, una citt). La macchina strumento di trasformazione dell'energia per eseguire un lavoro; il calcolatore trasforma l'informazione (con sfruttamento di energia). L'uomo cerca giustamente di abbellire gli strumenti tecnici, di conferire loro una certa individualit, come avviene con pi facilit nell'artigianato tradizionale, mentre la produzione industriale punta alla produzione in serie e alla funzionalit. L'artefatto, secondo Aristotele, non ha in se stesso il principio del suo movimento20 . Esso funziona in modo da sottostare al controllo attivo dell'utente, ed questo un aspetto in pi della sua prevalente transitivit o alterit. L'utensile e in particolare la macchina esiste in quanto utilizzabile, come un "prolungamento" non organico delle potenzialit del nostro corpo21 . Altri tipi di tecnica, anzich creare artefatti, producono sostanze o forme organiche potenzialmente contenute nella natura. Bench artificiali, queste nuove sostanze oppure specie viventi alterate sono naturali in quanto possiedono un principio intrinseco dei loro movimenti, principio manipolato in parte dall'intervento umano. La medicina, un modello per gli antichi di questo secondo genere di arte, agisce artificialmente sul corpo umano mettendosi al servizio del suo dinamismo proprio e dei suoi fini naturali22 . Possiamo denominare tecnica A quella che porta alla fabbricazione di artefatti strumentali e tecnica B quella che induce la genesi di sostanze o specie viventi, o che almeno introduce una modifica pi o meno profonda nella loro struttura, nel loro modo di funzionare o nei loro ritmi23 . La tecnica B non produce propriamente artefatti e i loro risultati sono da ritenersi di

pari valore ontologico alle corrispondenti sostanze o specie naturali. Una pecora clonata sempre una pecora, non uno strumento come un martello o una macchina. Nessuna realt naturale pu essere considerata puramente strumentale, nel senso sopra definito, e molto meno ancora il vivente, la cui immanenza vitale incompatibile con la condizione di puro strumento tecnico. Com' ovvio dobbiamo tener conto dell'uso analogico e flessibile di questi termini nel linguaggio corrente e nelle diverse culture (gli organi del corpo sono etimologicamente appunto strumenti funzionali, per cui non possono essere visti come semplici pezzi di una macchina, tranne che sosteniamo una filosofia meccanicista dell'organismo vivente). La persona pu essere utile in tanti servizi adeguati alla sua dignit, ma non pu essere ridotta a un essere-utile, nemmeno il suo corpo ( questo appunto il significato di dignit). Lo strumento puro (il chiodo, il martello) praticamente si riduce alla sua strumentalit, per cui non amabile in se stesso tranne che gli si aggiunga bellezza artistica (ma si pu ammirare nello strumento l'ingegnosit umana, o apprezzarne la funzione di servizio). Le realt naturali, specialmente i viventi, stanno in una situazione intermedia. Sono per altri e non per se stessi, come abbiamo detto prima, ma non esclusivamente in un senso utilitaristico: un fiume, una prateria, un branco di animali, non possono essere visti come puri mezzi da sfruttare, il che contrario alla loro natura. Risulta completamente naturale che l'uomo impieghi la tecnica B per l'utilizzazione della natura al suo servizio, con le cautele necessarie al fine di evitare la possibile rovina dell'insieme e delle sue parti. La tecnica analogica: deve adeguarsi ai fini ricercati e alla materia disponibile, con lo sguardo rivolto alla globalit24 . La scienza contemporanea ci ha insegnato molto sulla complessit e sull'interdipendenza di tutte le entit naturali. Non si pu applicare una mentalit tecnica meccanicista alla natura organica, n si pu adoperare la tecnica A come se fosse univoca con quella B. Peraltro non ci sono ricette a priori per gli interventi tecnici. Dobbiamo imparare a sviluppare una tecnica sempre pi adeguata alla materia su cui opera. L'ecologia in questo senso ci ha insegnato a custodire la natura e ad agire con estrema prudenza. Nell'aristotelismo questa virt non deriva automaticamente dal sapere apodittico: s'impara ad essere prudenti nell'esercizio stesso della vita. Il criterio prudenziale applicato allo sviluppo complessivo della tecnologia converge con il principio di responsabilit di Jonas25 . Non basta il semplice divieto di alterare la natura come se questa fosse del tutto intoccabile, dal momento che il dinamismo stesso della vita e del cosmo la trasforma in modi anche sconcertanti. Non sarebbe neanche appropriato fermare lo sviluppo umano per ridurci a una vita di pura convivenza con una natura semi-selvaggia. Questa scelta negativa non corrisponde alla teleologia d'insieme della natura. I criteri prudenziali del rispetto alla natura si

basano su questa valutazione metafisica (ved. la prossima sezione sul male), non sulla trasposizione al mondo fisico di criteri sociopolitici della societ liberale. Certamente la mentalit legata al dualismo cartesiano nella sua forma pi meccanicista e applicata all'ambito aziendale fa piazza pulita di queste distinzioni e considera tutta la natura e il corpo umano come strumenti tecnici puri, da sfruttare sempre con pi efficacia26 . Questa visione tecnologista unilaterale (di tipo A) comporta la caduta della distinzione tra quanto artificiale e quanto naturale. Si perdono di conseguenza i criteri per distinguere la vita naturale e la vita artificiale, l'intelligenza naturale e l'intelligenza artificiale. Tutto tende a ridursi al vuoto del puro mezzo ad, con la scomparsa della nozione dei beni terminali, specialmente quelli spirituali immanenti quali sono le virt umane e gli atti della conoscenza e dell'amore. La tecnologia, infine, applicata all'uomo stesso cambia completamente di senso. Il rispetto della natura in questo caso si trasforma nel rispetto della persona, cio di una natura che anche nell'individuo fine a se stessa. Viene a crearsi cos l'eticit come dimensione immanente ad ogni prassi tecnica, anzi in grado di promuoverla nel suo giusto indirizzo. L'uomo deve ricorrere alla scienza e alla tecnica per migliorare le sue prestazioni fisiche, intellettuali e comunicative, anzi per creare nuove possibilit, senza per badare ai soli risultati, poich altrimenti starebbe trasformando se stesso o gli altri, il suo corpo o quello degli altri, in una materia della tecnica A o B. La pura preoccupazione per la sopravvivenza della specie umana, nel rivolgersi soltanto alla specie e alle sue dimensioni fisiche, se viene presa come principio incondizionato porta inevitabilmente a fare dell'uomo l'oggetto di una tecnica B. L'uomo senz'altro trova immani difficolt per attuare tutte le sue possibilit e, come ha fatto sempre nella storia, deve superarle col ricorso alla tecnica. Il riduttivismo sta nell'abbandono del rispetto alla sua natura personale (in se stesso o negli altri) per fronteggiare in modo apparentemente pi rapido ed efficace i suoi problemi27 . Le soluzioni tecniche senza etica sono talvolta pi effettive, ma solo tecnicamente28 . In questo modo l'uomo s'impoverisce e la tecnologia si delinea nell'orizzonte come il surrogato delle funzioni naturali dell'uomo, delle sue virt e del suo corpo stesso. Questo processo d'impoverimento graduale, uno dei rischi del tecnologismo contemporaneo e non meno grave dell'impoverimento della natura fisica, pu manifestarsi nell'eccessiva mediazione tecnologica, tale da non consentire facilmente il possesso e l'uso gioioso dei beni terminali (valori), oppure nel controllo artificiale della sessualit che rende il corpo umano sempre un po' pi superfluo e di conseguenza svaluta i rapporti naturali familiari. Si guarda solo il risultato, con urgenza tecnologica, e vengono tralasciati

gli atti immanenti della persona, il cui valore resta in piedi anche nei casi d'insuccesso praticotecnico. D'altra parte, anche se l'ambientazione di questi atteggiamenti pu sembrare materialista, per paradosso si arriva a una sorta di platonismo: l'organismo personale e le sue funzioni fisicospirituali contano sempre meno, e una tecnologia fine a se stessa prende il corpo o il cervello spezzettandolo in funzioni separate. I limiti tecno-naturali e il problema del male fisico Il nostro ultimo punto riguarda i limiti della natura nei confronti della tecnica e viceversa. La natura subumana, autonoma, ci serve nella misura in cui riusciamo a conoscerne le leggi e ci adattiamo alle disponibilit materiali, per cui il dominio tecnico sulla natura comporta anche un ineluttabile assoggettamento come creature materiali che siamo. Di conseguenza noi, con la fragilit caratteristica di ogni vivente, non troviamo una natura bella e pronta al nostro servizio, ma dobbiamo invece conquistarla mediante l'ingegnosit razionale. Un comportamento pigro e disordinato ci porta subito ad essere sopraffatti dalle forze naturali. Un tale rapporto uomo/natura, in costante tensione, basato sulla contrariet naturale (in terminologia aristotelica), vale a dire sull'opposizione relativa tra aspetti incompatibili della realt fisica. Da qui nascono le difficolt, i rischi, i pericoli, dinanzi ai quali l'animale reagisce con gli istinti aggressivi, mentre noi siamo costretti a risolvere tutti i problemi con l'impiego della ragione. Nel ciclo naturale della vita, teleologica ma contingente, per la prima volta compaiono in natura la privazione fisica, la malattia e la morte: il male naturale (riconosciuto come tale, esso costituisce una prova negativa del finalismo). Mentre l'animale si limita a lottare inconsapevolmente contro il male che minaccia la sua vita, l'uomo, sapendosi contingente e inizialmente ignorante, lo affronta con inquietudine, con una particolare sensibilit nata dalla sua comprensione e ricerca di senso. In quanto esseri spirituali e insieme fisici, ci sappiamo sottomessi ai cicli naturali e a tutte le loro imprevedibili contingenze, mentre al contempo il nostro sguardo, inevitabilmente rivolto al di sopra del tempo, fa scaturire in noi il desiderio dell'immortalit. La tecnica una delle grandi risposte dell'uomo al problema del male naturale. Una risposta cui noi siamo naturalmente portati per sopravvivere, per quanto poi la tecnologia progredisca a causa della sovrabbondanza umana di vitalit e non solo in funzione dei bisogni fisici. La storia della tecnica pu essere vista, in questo senso, come la storia dei tentativi umani di superare di volta in volta i mali e i limiti naturali. Il razionalismo ha scambiato talvolta quest'impresa per l'intento automessianico dell'uomo di liberarsi del tutto dai condizionamenti della natura irrazionale (per es. Comte, Marx, nei nostri giorni Tipler). Nondimeno un superamento tecnologico totale del male o

dei limiti naturali, a prescindere dall'unilateralismo cui tale utopia associata, appare un'impossibilit fisica a causa del sistema stesso della natura e della vita quale la conosciamo. La sostituzione della natura con un sistema cosmico controllato da calcolatori superintelligenti, come Tipler propone, anche nell'ipotesi che fosse possibile, sarebbe soltanto un'illusione di vita intelligente, ridotta in quella teoria alla "formalit" tecnica, quasi a una sorta di platonismo senza anima e addirittura senza corpo29 . A questo punto il problema del finalismo complessivo del cosmo si presenta in tutta la sua radicalit. Limitandoci a una visione solo razionale e prescindendo da indicazioni teologiche, la scienza pone davanti ai nostri occhi un'evoluzione cosmica in cui dopo l'emergenza della vita elementare si susseguono forme organiche sempre pi complesse, fino alla loro culminazione nell'uomo. Il pensiero di un disegno intelligente si palesa facilmente dinanzi a questo panorama, sia rispetto a Dio come principio ultimo e trascendente, sia rispetto a cause particolari che all'interno del cosmo operano a poco a poco il gigantesco progetto. La convinzione che questo disegno esista un patrimonio comune a quasi tutte le religioni e fa parte essenziale della rivelazione cristiana. Eppure le cause immanenti dell'unit del disegno ci sfuggono, anzi risulta difficile vederne l'attuazione quando si scorge che nel duro sistema della natura i mali fisici, quali la morte degli individui, la scomparsa delle specie e le catastrofi (tutti eventi "antifinalistici") sono naturali e collaborano all'insorgere di altri individui e di altre variet specifiche che configurano il cosmo, in particolare la biosfera. Teorie filosofiche e scientifiche tentano di spiegare il funzionamento complessivo in cui il "male particolare" ricondotto infine al bene della totalit, ma sono insufficienti e non riescono a spiegare del tutto il problema del male naturale (me anche irragionevole sostenere di conseguenza l'accidentalit dell'universo). Se il passato cos avvolto nel mistero (come siamo arrivati a quest'ordine tanto improbabile quanto meraviglioso di cui oggi gode la terra, nonostante la fragilit e la contingenza della vita?), il futuro lo altrettanto, non solo a causa delle minacce ecologiche, ma di fronte alla sicura scomparsa della terra e probabilmente della vita in tutto l'universo, almeno a giudicare dalla fisica oggi conosciuta. Come possibile che la natura preveda la scomparsa di ci che essa ha creato con tanta saggezza? Questa domanda, intrisa di paura, prevale oggi nei mezzi scientifici, allontanandoli sempre pi dall'antica fiducia nel progresso irreversibile. Essa chiama in causa direttamente la tecnologia, attraverso la quale l'uomo lotta contro il male fisico, pur trovando sempre dei limiti naturali, come il problema delle risorse o l'incontrollabilit dell'ecosistema terrestre, nonch i limiti umani quali l'ignoranza e la malignit degli uomini.

Due risposte a questo problema si fanno sentire in particolare in questi anni. Una ottimista ma utopica (Tipler) vede nella tecnologia del futuro la salvezza e l'impossessamento finale della natura. La seconda (la risposta dell'ecologia profonda) afferma con pessimismo la necessit di fermare la tecnologia occidentale e di affidarsi alla sola natura, riducendo in maniera drastica la popolazione e in generale lo sviluppo umano. Si possono aggiungere delle sfumature a entrambe le posizioni, come la speranza di poter un giorno abbandonare la terra, di colonizzare altre localit galattiche, o infine l'ipotesi fisica inverificabile di altri (infiniti) universi, alcuni dei quali garantirebbero, per la nostra consolazione, la permanenza eterna della vita nel cosmo. Per quanto ci riguarda, riteniamo che i rischi di una tecnica male gestita e di una natura spesso imprevedibile continueranno ad essere presenti nella storia, in quanto fanno parte delle regole del gioco di una realt contingente, sulla cui totalit non possiamo dire l'ultima parola con l'aiuto della scienza. Questo continuo rischio non lo si pu eliminare con lo sguardo rivolto al passato, alle origini fisiche della biosfera o di tutto il cosmo, n con la prospettiva incerta del futuro, soprattutto nell'attuale visione indeterminista della natura. Comunque se la natura contiene queste regole di gioco, sta all'uomo scoprirne il senso profondo. A nostro avviso questo senso intimo suggerisce di non vedere nella natura o nella tecnologia un principio ultimo assoluto. Il teologo e il filosofo possono scorgere nell'esigenza naturale del rapporto tecnica/mondo fisico una manifestazione della saggezza del Creatore, il quale ha fatto un universo materiale al servizio dell'uomo. Accanto al male naturale sta il male morale, molto pi misterioso e non riducibile al primo. Quasi tutte le risposte naturaliste e tecnologiste tendono ad sottovalutarlo. Sembra davvero strano che il comportamento etico dell'uomo possa avere conseguenze dirette sullo stato della natura o della tecnica, eppure oggi si comincia a percepire questo fatto in un modo non triviale, dal momento che la mediazione tecnologica priva di eticit, nell'opporsi a quanto nell'uomo stesso c' di naturale, non manca di aggiungere la sua dose di carica all'insieme dei mali naturali. Dietro questo legame tra etica, tecnica e natura opera un disegno divino. Nella visione cristiana esso si manifesta come storia della salvezza. La tecnica, in definitiva, va sviluppata in armonia con il mondo della natura. Purtroppo non sempre avviene cos, e una certa conflittualit tra i beni naturali e le utilit tecnologiche pare inevitabile. Per fortuna possiamo correggere le deviazioni rilevate e siamo disposti a farlo, anche se criteri tecnologici, naturalisti e politici non coincidono automaticamente. Un'armonia profonda tra la tecnologia e il mondo naturale pi garantita quando l'uomo mantiene un giusto atteggiamento ontologico nei confronti della natura metafisica, includendo qui anche la natura umana. Non

affidarsi solo alle soluzioni tecniche dei problemi umani la prima condizione di tale atteggiamento. E la questione ecologica anche un problema umano.

1 2

Cfr. il nostro studio Scienza aristotelica e scienza moderna, Armando, Roma 1992, pp. 90-95. Cfr. H. Jonas, Dalla fede antica all'uomo tecnologico, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 73-94. Jonas vede nel contingentismo della teologia ebraica e cristiana una premessa del tecnicismo moderno. Per una visione positiva della natura nella Bibbia, lontana dal tecnologismo, si veda invece A. Ganoczy, Thologie de la nature, Descle, Paris 1988, pp. 41-83. 3 Cfr. sull'argomento, R. Spaemann e R. Lw, Die Frage Wozu , Piper, Mnchen 1985. 4 "Sino all'industrializzazione dell'Europa che inizia alla fine del periodo medievale, il rapporto con l'ecosfera stato pensato come uno scambio con le forze della natura" (Jean-Paul Dleage, Storia dell'ecologia, CUEN, Napoli 1991, pp. 258-9). "L'avvento del capitalismo industriale nel XVI secolo e la sua straordinaria espansione a partire dal XIX secolo hanno operato una vera e propria rivoluzione nella rappresentazione collettiva della natura. Il principio della solidariet tra uomo e universo fisico stato sostituito da quello della dominazione della natura da parte dell'uomo" (ibid. p. 261). 5 Rimandiamo al nostro lavoro Crisi di senso nella tecno-scienza contemporanea, in Crisi di senso e pensiero metafisico, G. Chalmeta (ed.), Armando, Roma 1993, pp. 31-51. 6 La condanna della tecno-scienza occidentale porta spesso a una visione pessimista. Si veda ad esempio il piccolo scritto di G. H. Von Wright Immagini della scienza e forme della razionalit, a cura di R. Egidi, Ed. Riuniti, Roma 1987. Non possiamo per condividere una tesi come la seguente: "Enuncio, senza elaborazione, la mia principale tesi: la scienza moderna perversa (...) La tecnologia il cavallo di Troia per l'occidentalizzazione del mondo. Pu darsi che sia il cammino da fare, ma allora non sogniamo di permettere la sopravvivenza di altre culture (R. Panikkar, A Self-Critical Dialogue, in The Intercultural Challenge of Raimon Panikkar, J. Prabhu (ed.), Orbis Books, New York 1996, pp. 287-288). 7 Cfr. J. Barrow e F. Tipler, The Anthropic Cosmological Principle, Clarendon Press, Oxford 1986, pp. 658-677. 8 Aristotele, Fisica, II, 194 a 21-22; 199 a. 9 Cfr. S. Tommaso, C. G., II, 76. 10 Sul rapporto tra macchina, utente e finalit, cfr. H. Jonas, The Phenomenon of Life, The University of Chicago Press, Chicago and London 1982, pp. 108-127. 11 Cfr. S. Tommaso, S. Th. , I-II, q. 94, a.2. 12 Cfr. S. Tommaso, S. Th. , I, q. 96, a. 1-2. 13 Cfr. il nostro studio La filosofia del cosmo in Tommaso d'Aquino, Ares, Milano 1986, pp. 220-235. 14 "Soltanto la creatura intellettiva cercata per se stessa nell'universo, e tutte le altre creature in funzione di essa" (C. G., III, 112). Non viene depressa per questo motivo l'armonia dell'universo. Anzi tale armonia rispettata proprio all'interno di quest'ordine (cfr. ibid.). 15 A. Ganoczy parla di una sorta di estensione dell'amore del prossimo verso la natura circondante, nel quadro di una teologia della natura (cfr. Thologie de la nature, cit., pp. 103 ss.). La differenza essenziale comunque tra l'altro personale e la natura inderogabile. Nella bellezza naturale la contemplazione cristiana scorge sempre la presenza amorosa di Dio come sorgente di ogni dono. 16 Sostiene J. Lovelock (impropriamente): "l'ipotesi Gaia comporta che lo stato stabile del nostro pianeta includa l'uomo come sua parte, o come partner, in un'entit molto democratica" ( Gaia, Oxford University Press, Oxford 1987, p. 145). Ma subito dopo egli riconosce, in maniera metaforica, che l'autopercezione di Gaia (la terra come sistema autoregolatore in favore della vita) corrisponde all'homo sapiens, includendo il suo potere tecnologico (cfr. ibid., p. 148). Le proposte ecologiche sono da discutere scientificamente, ma importa anche il fondamento, il quale include tra altre cose la superiorit dell'essere intellettivo. 17 In Aristotele il dominio inteso come propriet, fonte di diritto, appartiene all'essere intelligente (cfr. Politica, I, 1252 a 30-35). La mancanza del concetto di persona gli porta per a parificare gli animali e gli individui umani di minore intelligenza (i barbari) destinati ad una schiavit naturale: l'uomo libero pu appropriarsi di loro come qualcosa di suo (cfr. ibid. 1255 b 35-40; 1256 b 15-25). L'incipiente "colonialismo" e "razzismo" aristotelico, lontano dalla visione cristiana, non supera la sfera agricola della civilt antica. Il tecnologismo esasperato moderno comunque tende ad accogliere il medesimo principio nel contesto moderno. 18 Cfr. S. Tommaso, S. Th. , I, q. 91, a. 3, ad 2. L'uomo, mediante la ragione, "pu prepararsi strumenti in infiniti modi e ad infiniti effetti" ( S. Th ., I, q.76, a. 5, ad 49). 19 Per Aristotele le mani sono "strumento di strumenti" (cfr. Dell'Anima , III, 432 a), cio godono di una certa universalit strumentale.

20 21

Cfr. Aristotele, Fisica, II, 192 b. Si veda in G. Vattimo ( Il concetto di fare in Aristotele, Universit di Torino, Torino 1961, pp. 112-115, 132-142) l'esposizione del concetto di uso in atto dello strumento come la sua "vita" ovvero organicit. La poivhsi" vive in quanto incorporata all'usus nella pra'xi". In questo senso il concetto di tecnica diventa organico. Le cose naturali sono pi belle di quelle artificiali perch nelle prime risplende la finalit realizzata (cfr. ibid., p. 119 in riferimento al testo aristotelico di Le parti degli animali, I, I, 639 b 20: "vi pi finalit e bellezza nelle opere della natura che in quelle della tecnica"). 22 "La materia su cui operano alcune tecniche (ars) non contiene un principio attivo per la produzione dell'effetto tecnico, come avviene nell'edilizia (...) Altre tecniche invece operano su una materia contenente un principio attivo movente alla produzione dell'effetto, come succede nella medicina" (S. Tommaso, C. G. II, 75). 23 Cfr. Aristotele, Metafisica, VII, 1034 a 10-21 (cos la danza, adduce, introduce un nuovo ritmo nei movimenti naturali del corpo). 24 "La natura della tecnica (ars) cambia secondo la variabilit dei fini e delle materie. Il medico opera diversamente se vuole eliminare la malattia o confermare la salute, e in maniere diverse a seconda della complessit (complexio ) degli organismi" (S. Tommaso, C. G., III, 111). 25 Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilit, Einaudi, Torino 1990, pp. 284-287. 26 G. Marcel aveva rilevato il carattere astratto dell'ambiente industriale, con il conseguente pericolo di livellamento dell'uomo e con la creazione di bisogni solo adeguati a tali astrazioni (cfr. Le dclin de la sagesse, Plon, Paris 1954, pp. 27-42). L'osservazione valida nel quadro del tecnicismo unilaterale. 27 Giovanni Paolo II ha parlato in questo senso di una "ecologia umana" mirante a salvaguardare le condizioni ottime dell'ambiente umano (cfr. Centesimus annus, n. 38). 28 Nel tecnologismo contemporaneo, osserva Jonas, si arriva cos alla "combinazione di una quasi-onnipotenza con una quasi-mancanza di significati" (Dalla fede antica all'uomo tecnologico, cit., p. 267). 29 La riduzione della vita naturale a tecnologia si vede nelle seguenti significative (e incredibili) frasi: "per la mia definizione di vita, sono vive non soltanto le automobili, ma tutte le macchine, in particolare i calcolatori" (F. Tipler, La fisica dell'immortalit, Mondadori, Milano 1995, p. 120); "la vita continuer per sempre se qualche tipo di macchina continuer a esistere per sempre" (ibid., p. 122).

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