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L'associazione ambientalista ha ricordato che gli esperti dell'IPCC (gruppo intergovernativo sui cambiamenti
climatici) già dal 2001 hanno decretato che gli eventi naturali estremi di questi ultimi anni, tra cui gli uragani,
sono destinati a divenire sempre più frequenti e sempre più devastanti, come diretta conseguenza dei
cambiamenti climatici. Secondo Meteo France, negli ultimi 30 anni si contavano in media 10-11 cicloni ogni
anno, mentre dal 1995 in poi si è passati a 12-14. Secondo il modello di previsione elaborato da Meteo
France, risulta che il numero degli uragani è direttamente proporzionale alle emissioni di gas serra.
“È chiaro - ha aggiunto Della Seta - che l'obiettivo principale è ora quello di assistere gli sfollati, risanare la
città e ricostruire case e infrastrutture. Ma è tempo che Bush riveda drasticamente la propria posizione sui
cambiamenti climatici. Gli Stati Uniti sono infatti i principali produttori di gas serra nel mondo, responsabili di
oltre un terzo delle emissioni globali e non hanno voluto sottoscrivere il Protocollo di Kyoto”. Che qualcuno
provi a spiegarlo agli ex-abitanti di New Orleans, almeno quelli rimasti.
Le cifre che danno la misura della progressione del disastro sono contenute in un rapporto della NOAA
(National Oceanic and Atmospheric Administration) degli Stati Uniti distribuito alla Conferenza sul
Riscaldamento Globale di Buenos Aires del 1998. L'istituto americano aveva censito 37 catastrofi climatiche
da almeno un miliardo di dollari di danni avvenute a partire dal 1980. Ebbene, 31 di questi 37 flagelli si sono
concentrati nel decennio '88- '98, il decennio più caldo dal 1880.
Il 1998 è stato un succedersi ininterrotto di alluvioni (50 mila senzatetto in Russia, 80 mila in Corea, 2 mila
morti in Cina), siccità (180 milioni di dollari di danni a Cuba, il 90 per cento delle riserve di riso distrutto nelle
Filippine), incendi (centinaia di migliaia di ettari di foresta bruciati in Borneo, 10 mila focolai in Messico),
uragani (oltre un miliardo i dollari di danni in Perù).
Una concentrazione di eventi in linea con le previsioni dell'Intergovernamental Panel on Climate Change
delle Nazioni Unite. Alex Alusa, responsabile del settore atmosfera dell'UNEP, il programma ambiente
dell'ONU, dichiarò: "Il periodo preso in considerazione è troppo breve. Non possiamo affermare con
certezza scientifica che l'uragano Mitch sia una conseguenza dei processi fisici causati dall'uomo bruciando
combustibili fossili e deforestando il pianeta. Anche se i sospetti continuano a crescere”. Nella lista dei
“sospetti” figuravano Andrew, l'uragano che nel 1992 ha devastato la Florida e la Louisiana provocando
danni per 27 miliardi di dollari, la siccità che nel '97 ha prodotto negli States 6 miliardi di danni e almeno 200
morti, gli effetti devastanti causati dal Niño del '97-'98.
Secondo l'UNEP, il livello del rischio era già allora così alto da rendere urgente una contromossa: limitare i
consumi di petrolio e la deforestazione, investendo in tecnologie per migliorare l'efficienza energetica e in
fonti alternative come il solare, l'eolico, le biomasse. La situazione, secondo gli ambientalisti, non consentiva
ulteriori rinvii del piano di riconversione energetica. Un gruppo di attivisti di Greenpeace ha scalato l'obelisco
davanti al teatro Colon chiedendo di non bruciare più di un quarto delle riserve di combustibili fossili. Il WWf
ha rinnovato la richiesta di misure immediate: “Ogni anno la concentrazione di anidride carbonica in
atmosfera aumenta dell'1 per cento”, affermava Aldo Jacomelli, “se non passiamo a una forma di energia
meno inquinante dovremo fronteggiare ogni anno fenomeni catastrofici”.
Sono passati 6 anni e non è stato fatto nulla di concreto. A settembre dello scorso anno si è pronunciata
Meteo France: “Attenzione, gli uragani sono in crescita del 40%”. “I fattori che contribuiscono alla formazione
di questi fenomeni meteorologici”, ha provato a spiegare il meteorologo Jean-Noel Degrace, responsabile del
centro, “temperatura delle acque superficiali superiore ai 26 gradi e forte umidità, sono sicuramente favoriti
dal riscaldamento globale. La crescita degli uragani di classe 4 o 5, ovvero i più distruttivi, è dovuta
all'aumento del livello del vapore acqueo nei Caraibi, in media il 15% in più negli ultimi 20-30 anni”.
Dice il saggio: “Uomo avvisato, mezzo salvato”. Ma nessuno vuole più ascoltarlo.
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Meteo France
GENESI DI UN URAGANO
L'uragano è la più
violenta
manifestazione delle
depressioni tropicali -
una sorta di grande
“valvola” che scarica
l'eccesso di energia
che si accumula in
quelle zone - capace
di sviluppare una
potenza pari a 200
chilotoni, dieci volte
quella prodotta dalla
bomba atomica
scoppiata ad
Hiroshima. L'uragano
Katrina è stato il
sesto a colpire
quest'anno gli Stati
Uniti e il più
devastante. Ogni
anno, molti fenomeni atmosferici di questo tipo si abbattono su vari paesi del mondo assumendo nomi
diversi: è chiamata ciclone o uragano sulle coste dell'atlantico, tifone nell'oceano Indiano.
Il fenomeno interessa esclusivamente i mari caldi e solo in alcuni periodi dell'anno quando la temperatura del
mare supera i 27 gradi Celsius su una profondità di 80 metri e l'aria dell'alta atmosfera è fredda
(generalmente da gennaio a marzo nell'oceano Indiano, da giugno a novembre sulla costa est americana).
L'aria calda, più leggera, si alza e aspira in alto l'umidità del mare formando delle nuvole. Anche i venti
risalgono e conferiscono alle nuvole un movimento a spirale, attorno a una zona di calma relativa chiamata
“occhio del ciclone”.
Questi fenomeni tropicali, con diametro da 300 a 1000 km, percorrono migliaia di chilometri, per circa una
settimana, a una velocità di 20-25 km/h su percorsi difficilmente prevedibili: a volte compiono una traiettoria
ad anello, tornando sul luogo già devastato dal loro primo passaggio fino a quando, giungendo sul
continente, perdono progressivamente potenza. Intorno alla zona di depressione, si formano venti fino a 300
km orari e l'umidità portata in alto si condensa e ricade al suolo sotto forma di piogge intense. Il livello del
mare può alzarsi di parecchi metri provocando inondazioni. Il tornado è un fenomeno dello stesso genere,
ma su scala locale e di dimensioni ridotte.
L'usanza di chiamare gli uragani con nomi di persona in ordine alfabetico è stata avviata nel 1953 dal
National Weather Service americano, che ha definito una tabella che comprende oltre cento nomi, semplici e
facili da ricordare. Una volta esaurita la lista, si ricomincia da capo. Fino ad allora, questi fenomeni venivano
identificati indicandone la posizione con latitudine e longitudine. Inizialmente i nomi utilizzati erano
esclusivamente femminili, ma dal 1978, in onore alla parità dei sessi, si cominciò a utilizzare anche quelli
maschili. I vantaggi di questo tipo di identificazione sono eminentemente pratici: nel caso in cui i cicloni da
monitorare siano più di uno nella stessa zona, non si rischiano sovrapposizioni e confusioni.
Il “landfall” di Katrina è avvenuto sulle coste della Lousiana, poco ad est di New Orleans. In quel momento
Katrina era un uragano di categoria 5,
la massima prevista nella scala Saffir-
Simpson, con venti che superavano i
240 km/h. Rapidamente, come “quasi”
sempre accade agli uragani quando
raggiungono terra, Katrina ha perso
d'intensità, percorrendo al contrario
tutti i gradini della scala Saffir-
Simpson, fino ad essere declassato a
Tempesta Tropicale. La perdita di
intensità non gli ha impedito di
causare gravi danni alle strutture nella
città di New Orleans e nelle aree
attigue, dove al forte vento si sono
unite fortissime precipitazioni in grado
di accumulare 183 mm nelle ultime 24
ore all'aeroporto di New Orleans, dove
è stato anche registrato un minimo di
pressione di 958 hPa. Molte zone
affacciate sul Golfo del Messico tra
Louisiana ed Alabama sono state
inondate, mentre lentamente, alla velocità di circa 35 km/h, la tempesta si è diretta verso nord-est, nello stato
del Mississippi.
Le previsioni del NOAA indicano che potrebbero essere fino a 7 gli uragani di categoria pari o superiore a 3 -
in gergo “major hurricanes” - entro la fine dell'anno. La scala che determina l'intensità dell'uragano
nell'oceano Atlantico e nel nord-est del Pacifico si chiama Saffir-Simpson: categoria 1 - minimo: venti da 119
a 153 km/h, livello del mare che sale da 1 m a 1,70 m. Rischi leggeri per le abitazioni senza fondamenta.
Strade costiere inondate; categoria 2 - medio: venti da 154 a 177 km/h. Il mare si alza da 1,80 m a 2,60 m.
Tetti sollevati, strade costiere e situate sotto il livello del mare inondate da 2 a 4 ore prima dell'arrivo
dell'occhio del ciclone; categoria 3 - intenso: venti da 178 a 209 km/h, acque più alte di 2,70-3,80 m. Alberi
grossi sradicati, cartelloni rovesciati. Molti tetti danneggiati.
Inondazioni sulle coste, molte abitazioni costiere distrutte. Strade basse inondate da 3 a 5 ore prima
dell'arrivo dell'occhio del ciclone. Terreni fino a 1,5 m sul livello del mare inondati; categoria 4 - estremo:
venti da 210 a 249 km/h, livello del mare più alto da 3,90 a 5,60 m. Alberi sradicati, tabelloni rovesciati. Danni
gravi a tetti, porte e finestre. Terreni fino a 3 metri s.l.m. inondati. Danni gravi ai piani inferiori delle abitazioni
dovuti alle inondazioni. Evacuazione della popolazione consigliata fino a tre km dalla linea di costa; categoria
5 - catastrofico: venti oltre i 250 km/h, livello del mare cresciuto di oltre 5,60 m. Poche porte e finestre
resistono, i vetri esplodono, numerose abitazioni distrutte. Danni gravi ai piani inferiori delle abitazioni fino a
1 km dalla linea di costa e fino a una quota di 5 m sul livello del mare. Evacuazione della popolazione
consigliata fino a 6 km all'interno.
Secondo i dati dell'Atlantic Oceanographic and Meteorological Laboratory, Katrina è da annoverare tra i i
primi 20 uragani “killer” abbattutisi sul Nord America dal 1900 ad oggi. Il primo, con oltre 8.000 morti, fu
quello ribattezzato “Galveston”, che colpì il Texas nel 1900. A seguire, l'uragano “Lake Okeechobee”, che nel
1928 fece più di 2.500 vittime; nel 1919, un tifone senza nome causò più di 600 morti, più o meno lo stesso
numero di vittime provocate dal “New England”, nel 1938. Seguono, al quinto posto, il “Labor Day” (1935)
con 408 vittime, “Audrey” (1957), 390 morti, “Great Atlantic” (1944), 390 vittime, “Grand Isle” (1909), 350, un
altro non ribattezzato in alcun modo che nel 1915 ha fatto 275 vittime. “Katrina” è entrato direttamente nella
top 20, che potrebbe anche scalare fino al numero 1 quando si conoscerà il numero effettivo di vittime.
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ECONOMIA DI UN URAGANO
Le prime stime
sull'impatto
economico
dell'uragano Katrina
parlano di 20-30
miliardi di dollari di
danni. Si tratta di cifre
per ora modeste;
basti pensare che nel
terzo trimestre
dell'anno scorso la
costa sud orientale
degli Stati Uniti fu
sconquassata da
quattro uragani:
Charley, Frances,
Ivan e Jeanne e i
danni relativi — sia
quelli coperti da
assicurazione che
quelli non coperti — sono stati stimati dal Department of Commerce in circa 80 miliardi di dollari.
Nel 1992, l'uragano Andrew colpì la Florida e arrivò sulla costa con una forza 5 ( scala Saffir Simpson), al
top della devastazione potenziale ( anche Katrina era stato inizialmente diagnosticato in forza 5, ma è stato
successivamente declassato fino a forza 1). Ebbene, Andrew causò danni (assicurati) per 20 miliardi di
dollari circa. Si tratta, insomma, di impatti diretti macroeconomicamente quasi impercettibili. Il vero problema
sta nell'impatto indiretto, attraverso il prezzo del petrolio. La zona investita da Katrina - il Golfo del Messico -
fornisce più di un quarto della produzione interna americana di petrolio e i danni alle infrastrutture, in una
situazione in cui il prezzo dell'oro nero soffriva già di uno squilibrio fondamentale fra domanda e offerta su
cui si andava innestando una spirale speculativa, manterranno le quotazioni in fibrillazione. Già l'anno scorso
i quattro uragani sopracitati avevano decurtato del 7% la produzione USA di petrolio e spinto in alto i prezzi.
Il prezzo del petrolio, insomma, sospinto dall'uragano, avrà ancora il vento in poppa. Il prezzo dell'oro nero è
più vulnerabile anche a causa degli squilibri già esistenti.
La temperatura media dell'intero Pianeta sta aumentando drammaticamente. I cinque anni più caldi da
quando i dati sono stati registrati fin dalla metà del 1900, si sono verificati tutti negli anni 90, e 10 degli 11
anni più caldi si sono avuti dal 1980. Il 1995 è stato l'anno più caldo mai registrato. Il 1997 potrebbe essere il
secondo più caldo. Nessuno scienziato serio dubita degli effetti del riscaldamento del Pianeta negli ultimi
decenni. Le notti diventano più calde del 50% più velocemente rispetto alle ore diurne. Il centro statunitense
per i dati climatici ha riportato nel luglio 1997 che la differenza di temperatura tra il giorno e le notte sta
diminuendo in molte parti del mondo, con più forti cambiamenti nell'inverno dell'emisfero boreale. Le gelate
invernali stanno velocemente sparendo in molte regioni; questo accade perché i gas serra intrappolano il
calore efficientemente durante la notte.
"La primavera nell'emisfero nord arriva una settimana prima che 20 anni fa", dice Charles Keeling dello
Scripps Istitution of Oceanography in California. Questa variazione è rilevabile nella riduzione a primavera
della concentrazione di CO2 poiché le piante la consumano per crescere. Le direzioni di migrazione
dell'uccello canterino e del caribù stanno già cambiando col variare della primavera. Almeno 20 specie di
uccelli canori sono stati visti nel Regno Unito depositare e covare le uova con più di una settimana di
anticipo.
C'è una crescente evidenza che il mondo sta affrontando il più grande disgelo dalla fine dell'ultima
glaciazione, avvenuta circa 10000 anni fa. Questo è il segnale più forte dell'effetto dell'inquinamento sul clima
del Pianeta. "L'Artico", dice il climatologo Besty Weathered dell'università del Colorado, "può essere la
regione che maggiormente risentirà del cambiamento climatico". Nel 1995, l'ufficio meteorologico del Regno
Unito ha riportato che gran parte della Siberia era di 3°C più calda del passato. Il suolo artico si è riscaldato
di 4 gradi. La temperatura media di 9 stazioni meteorologiche nell'Artico è cresciuta di 5 °C dal 1968. Gran
parte dell'oceano Artico si è riscaldato di 1 grado o più dal 1987 e più del 5% del suo ghiaccio è sparito negli
ultimi 15 anni.
Il clima Artico è noto per essere naturalmente variabile, ma questi cambiamenti sono senza precedenti.
Ricercatori europei hanno esaminato la registrazione di migliaia di anni di temperature, conservati negli anelli
annuali dei larici artici, e hanno osservato che la temperatura più alta si è avuta durante il ventesimo secolo.
Questo andamento sta accelerando. La crescita di alberi negli Urali è esplosa. Questo suggerisce un
maggiore riscaldamento, dice il capo del gruppo di ricerca dell'Università dell'Est Anglia, Keith Briffa.
Lo scioglimento dei ghiacci è adesso un fenomeno di tutto il Pianeta, e lo scioglimento dei ghiacciai è una
delle maggiori indicazioni che il clima sta diventando più caldo. I ghiacciai delle Alpi in Europa hanno perso
metà del loro volume dal 1850, cioè da quando la regione si è riscaldata, come sostiene Wilfried Haeberli
dell'Università di Zurigo, direttore del Servizio di Monitoraggio di Ghiacciai delle Nazioni Unite. Un tipico
esempio è il ghiacciaio Grüben, nel sud della Svizzera. Ha iniziato a sciogliersi dalla metà del secolo scorso
ma la sua diminuzione è fortemente accelerata durante l'ultimo secolo. Oggi la sua estremità è 200 metri al
di sotto della montagna rispetto alla posizione che aveva all'inizio del decennio. "Non c'è dubbio che il
responsabile di questo è il riscaldamento del Pianeta", dice Haeberli. Nella vicina Austria, il 90% dei ghiacciai
mostrano una sostanziale riduzione. "Quando i ghiacciai si sono ridotti, hanno causato una intensa azione
chimica sulle rocce, causando un drammatico flusso di agenti inquinanti nei laghi", dice Roland Psenner
dell'Università di Innsbruck.
Mentre l'inquinamento da solfati, normalmente associato con le piogge acide, è aumentato di 4 volte in
alcuni laghi alpini, i Governi continuano a fare summit internazionali ma nessuno sembra veramente
intenzionato a ridurre i consumi di energia e combustibili.
Il giornalista britannico Mark Lynas, esperto di mutamenti climatici, autore di “High Tide”, un libro sul
riscaldamento globale raccomandato da Al Gore, ha scritto il 19 settembre 2004 un articolo sul Washington
Post che nel titolo faceva il verso a una vecchia canzone di Dylan: «Warning in the WindÈ, avvertimenti nel
vento.
Lynas ha messo insieme una serie impressionante di campanelli d'allarme che indicano come il clima stia
cambiando. Il Giappone, colpito da un violentissimo terremoto, ha subito una stagione record di tifoni che
hanno allargato il loro cono di distruzione alla Cina, a Taiwan e alla penisola coreana. Il quotidiano britannico
Guardian, il 24 settembre 2004 dava notizia del rapporto di un gruppo di scienziati di Pechino: entro i
prossimi cento anni si scioglieranno i grandi ghiacciai cinesi, circa il 15% della superficie ghiacciata terrestre.
Negli ultimi 24 anni si sono sciolti più di tremila chilometri quadrati di superficie dei 46.298 ghiacciai cinesi.
Un fenomeno che in tempi medi porterà a un innalzamento del livello dei mari, al prosciugamento di molti
fiumi e infine a gravi carestie per la mancanza d'acqua per l'irrigazione. Mark Lynas in alcuni suoi reportage
ha raccontato come la stessa sorte sia toccata ai ghiacciai delle Ande.
Studi svizzeri dimostrano che lo stesso sta
accadendo nelle Alpi. E le nevi un tempo eterne
dell'Himalaya sembrano destinate a sciogliersi,
provocando in prospettiva la scomparsa dei
fiumi della valle dell'Indo fino al Mekong.
Popolazioni con un'alimentazione che da secoli
si basa sul riso rischiano di dover affrontare
carestie disastrose.
Scampare ai mutamenti climatici comporta un'analisi delle cause del fenomeno, un'analisi estremamente
complessa cui lavorano legioni di scienziati, non tutti disinteressatamente, come quelli che lavorano per le
compagnie petrolifere, per esempio. Qui il problema non è solo scientifico ma anche sociale e politico: non è
una sorpresa che i disastri del mutamento del clima ricadranno soprattutto sulle popolazioni più povere del
pianeta. Stiamo avvicinandoci infatti alla madre di tutte le polemiche: il riscaldamento globale. Molti scienziati
sono pronti a legare riscaldamento dell'atmosfera e mutamenti climatici col rigoroso filo di causa ed effetto.
UP IN SMOKE
L'Intergovermental Panel on Climate Change, organismo costituito dall'ONU nel 1998 e formato da 2500
scienziati di cento Paesi, ha confermato nel suo terzo rapporto (2001) che l'atmosfera si sta riscaldando e
che probabilmente il colpevole è l'uomo, in particolare con i cosiddetti gas serra, specialmente l'anidride
carbonica prodotta dalla combustione dei fossili (benzina, gas naturali, carbone).
Secondo l'IPCC (rapporto 2001) le temperature medie sono aumentate di 0,6 gradi dal 1960, specialmente
nell'ultimo secolo. «È sempre più evidente che gran parte del surriscaldamento rilevato negli ultimi
cinquant'anni è da attribuire alle attività umaneÈ. Gli esperti dell'IPCC hanno quasi raddoppiato la previsione
del riscaldamento medio che è stimata, a meno che non si intervenga per porvi fine, in circa 6 gradi
centigradi per la fine del prossimo secolo. Il rapporto dell'EWG (Enviromental Working Group, composto da
vari Ong e gruppi ambientalisti), significativamente intitolato «Up In SmokeÈ, ha lanciato l'allarme sul
consumo di carbone: in America i fumi da carbone equivalgono annualmente allo smog di 37 milioni di
automobili.
Persino Blair ha suonato l'allarme in un lungo documento sull'ambiente, in cui invitava Bush ad aderire al
protocollo di Kyoto e sottolineava come la lotta al riscaldamento globale sia per i governi la sfida del secolo.
Difficile sospettare di estremismo ecologista il primo ministro di Sua Maestà.
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Warning in the Wind Washington Post 19 settembre 2004
VENTO DIVINO
Dato che gli uragani sono alimentati dalla differenza di temperatura tra la
superficie del mare e l'aria sopra la tempesta, è del tutto naturale che il
maggiore calore delle acque marine provochi tempeste più intense. Eppure,
precedenti modelli computeristici avevano predetto che l'aumento di mezzo
grado della temperatura della superficie marina negli ultimi 30 anni avrebbe
aumentato la velocità dei venti solo del 3%. Secondo Emanuel, invece,il
potere distruttivo delle tempeste nord-atlantiche è più che raddoppiato,
mentre per quanto riguarda quelle del nord-ovest pacifico l'aumento è stato
del 75%. Emanuel lo attribuisce all'aumento della durata dei fenomeni
molto più che non all'aumento della velocità dei venti.
La questione rimane aperta. Poiché i venti che soffiano in una tempesta sono virtualmente impossibili da
misurare direttamente, e le tecniche usate per fare delle stime cambiano ogni anno. Per aggiustare questi
cambiamenti, Emanuel ha ridotto le stime fatte tra gli anni '50 e '60. Emanuel ha concluso che le tempeste
odierne, in media, rilasciano molta più energia
distruttiva dei loro predecessori di metà anni '70.
E pensare che durante le ultime elezioni americane, un gruppo chiamato Scientists and Engineers for
Change, in Florida espose un manifesto con su scritto: “Global warming = Worse hurricanes. George Bush
just doesn't get it”.
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TEMPESTA GLOBALE
Un pò come nello scenario “fanta-realistico” immaginato dal film “The Day After Tomorrow” (Roland
Emmerich USA 2004), e, ancor prima, nel 1962, dal romanzo catastrofico “The World In Winter” di John
Cristopher (in it. “L'Inverno Senza Fine”), in cui sopraggiunge una nuova era glaciale. In “The Day After
Tomorrow”, la nuova glaciazione è collegata direttamente all'effetto serra, allo scioglimento della calotta
polare e al conseguente raffreddamento e innalzamento degli oceani: la
modifica della Corrente del Golfo porta alla creazione di cicloni che
innescano una nuova glaciazione.
Nel corso delle ere geologiche, a periodi temperati o caldo sono seguite
vere glaciazioni; ma l'inquinamento prodotto dall'uomo ha impresso una
vertiginosa accelerazione ai cicli naturali: proprio il surriscaldamento
provocato dall'effetto serra sarà la causa di una serie di tempeste di
violenza inimmaginabile, che spazzeranno l'emisfero settentrionale e
saranno il preludio a un nuovo diluvio o a una nuova glaciazione.
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L'acqua dell'Atlantico è sempre più fredda: l'effetto serra provocato dai gas di scarico del mondo
industrializzato rischia di provocare una nuova glaciazione, sul
modello di quella che investì l'Europa Occidentale migliaia di
anni fa, con terribili conseguenze che si estenderebbero fino
all'area mediterranea.
Nell'Emisfero Nord questo scatenerebbe una serie di paurosi effetti a catena: l'incommensurabile quantità
d'acqua gelata e dolce che entrerebbe nell'Oceano raffredderebbe la Corrente del Golfo, alla quale paesi
come l'Islanda, la Penisola Scandinava, l'Irlanda e la Scozia devono tanta parte della loro abitabilità. Il clima
di tutta l'Europa Occidentale diverrebbe bruscamente più freddo, e l'Italia non sarebbe certo risparmiata
grazie alla protezione della catena alpina. Nell'emisfero australe, dove le conseguenze dell'effetto serra sono
più evidenti, i lembi della coltre di giaccio antartica hanno preso già a scivolare in mare ad una velocità
imprevista.
Per l'esattezza, sottolinea uno studio dell'Università di Cambridge, tre volte maggiore di quella di dieci anni
fa: 50 metri all'anno. Sicuramente una velocità che non permette al giaccio, stando a quanto afferma Eric
Rignot della Nasa, di essere rimpiazzato dalle nuove precipitazioni. Nel 2002, ad esempio, crollò un intero
fronte di 3.000 chilometri quadrati, la placca Larsen-B, alla quale si appoggiavano letteralmente tutti gli strati
immediatamente contigui. Da quel giorno, lo slittamento è stato peggio che inarrestabile.
Conclude la pubblicazione americana: “Non sono pochi gli scienziati che suggeriscono come il
surriscaldamento delle temperature terrestri e lo scioglimento dei ghiacci possa abbassare ancora oggi la
salinità dell'Oceano fino a provocare la distruzione delle correnti”. Quando potrebbe avvenire tutto questo?
Secondo Renssen, forse già entro il 2020.
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Failing ocean current raises fears of mini ice age New Scientist 30 novembre 2005
Una possibile inversione di tendenza potrebbe arrivare - precisa il WWF - solo con una drastica riduzione
delle Co2, già avviata dalla prima fase del protocollo di Kyoto, e potrebbe accentuarsi con l'approvazione di
un negoziato per la riduzione delle emissioni di almeno il 50%.
La “maglia nera”, secondo quanto emerge dal rapporto, spetta a Gran Bretagna, Olanda e Francia. In
particolare, la Gran Bretagna potrebbe registrare entro la fine del secolo un incremento delle tempeste
invernali del 25% con una velocità massima dei venti dell'8-16%, ad un costo elevatissimo in termini
finanziari. In Olanda, invece, la velocità massima dei venti potrebbe aumentare del 2-15% con un incremento
che secondo gli esperti potrebbe attestarsi al +6% per un costo complessivo di 100 milioni di euro e danni di
5 volte maggiori rispetto ad oggi. La Francia potrebbe riportare un aumento delle tempeste fino al 10-20%,
con una concentrazione del fenomeno soprattutto nelle zone settentrionali dove la velocità dei venti
aumenterebbe del 16%.
Una proposta per adottare misure immediate ed efficaci è arrivata dal direttore del programma globale
cambiamenti climatici, Jennifer Morgan che precisa: “L'inquinamento climatico va fermato per proteggere gli
esseri umani ed i beni da tempeste sempre più devastanti per non rischiare di essere spazzati via”. Il
rapporto “Europa in Tempesta!” è successivo ad un altro studio sui cambiamenti climatici condotto l'estate
scorsa - come ricordato da Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia. “In Paradiso Bollente -
questo il nome del rapporto, spiega Bologna - abbiamo illustrato gli scenari probabili derivanti dall'aumento
della temperatura globale di 2 gradi rispetto all'epoca preindustriale, con estati torride nel bacino del
Mediterraneo, aumento dell'intensità delle precipitazioni e della loro concentrazione nel tempo, con
conseguenti frane e alluvioni”. I due rapporti, apparentemente antitetici, come precisa il direttore scientifico
del WWF, sono in realtà “due facce della stessa medaglia, derivanti entrambe dall'inquinamento globale da
gas serra che tende ad estremizzare gli eventi atmosferici”.
In questi giorni - sottolinea l'associazione ambientalista - un primo passo è arrivato dall'Unione Europea che
ha provveduto ad istituire una task force che lavorerà sui temi di energia, industria e ambiente
congiuntamente. “È un'opportunità - commenta Bologna - per tentare un'armonizzazione tra campi così
diversi e spesso in competizione”. Spetta, quindi, ai governi - conclude il WWF - adottare provvedimenti
efficaci per limitare un fenomeno che altrimenti rischierebbe di spazzare via un'Europa succube dei
cambiamenti climatici.
Lo studio del WWF si basa sui modelli climatici elaborati da: European Centre Hamburg, Max Planck
Institute Ocean Model, Hadley Centre Atmospheric Model e Hadley Centre Couplet Model. Si basa inoltre sui
risultati del Progetto europeo MICE (Modelling the Impact of Climate Extremes) dell'Unione Europea.
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MICE
Lo scorso 18 gennaio 2007 in Europa e negli USA si sono sviluppati degli eventi climatici molto seri.
Secondo gli esperti è solo l'inizio.
Kyrill consiste in una tempesta di vento e pioggia che attraverserà il paese da nordovest a sudest.
Sull’autostrada principale, la A1, un camion vuoto con rimorchio è stato letteralmente sollevato dall'asfalto.
Ad Hannover, diversi cartelli stradali sono caduti in mezzo alle strade. Numerosissime le richieste di
intervento ai vigili del fuoco. In Francia, il servizio meteorologico ha lanciato un allarme «orangeÈ ((terzo
livello su una scala di quattro) per 15 dipartimenti del nord, a
causa dei forti venti. Le regioni investite da folate fino a 130-
140 chilometri orari - Alsazia, Lorena, Nord-Pas-de-Calais,
Picardie e Ardenne - saranno investite dai venti provenienti dal
settore nord-ovest che derivano da una profonda depressione
che va dall'Irlanda alla Danimarca. Secondo i metereologi, la
regione che saràè investita dalle maggiori devastazioni sarà la
Germania. Ma anche la Gran Bretagna, flagellata da tempeste
di pioggia, neve e vento fino a 150 km all'ora.
In America, è salito a 65 il numero delle vittime in tutti gli Stati Uniti a causa dell'ondata di freddo, neve,
grandine e piogge che da una settimana imperversano dal Texas al Maine. Ieri, l'ondata di maltempo ha
colpito soprattutto il Texas, fino alla frontiera messicana. Oltre 350 voli sono stati annullati a Dallas, San
Antonio e Austin. Decine di migliaia di case sono rimaste senza corrente elettrica. Gli Stati più colpiti dal
maltempo e che hanno avuto vittime sono l'Oklahoma, il Missouri, l'Iowa, il Texas, New York, il Michigan,
l'Arkansas, il Maine e l'Indiana. La maggior parte delle vittime è dovuta a incidenti stradali causati dalle
pessime condizioni atmosferiche.
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George Bush ha recentemente dichiarato lo stato di emergenza in quattro contee della Florida colpite da
violenti tornado - le raffiche di vento hanno raggiunto i 260 chilometri all'ora - che hanno provocato 20 morti.
La misura, ha precisato la Casa Bianca, permetterà alle famiglie che hanno avuto la casa distrutta o
danneggiata -
almeno 1500,
secondo i dati
diffusi dall'ufficio
del governatore
Charlie Crist - di
ricevere prestiti
a tassi agevolati
per ricostruirla.
Molti residenti sono stati ospitati in rifugi, questa notte, e nella zona, circa 80 chilometri a nord ovest di
Orlando, è entrato in vigore il coprifuoco. Le squadre di soccorso sono ancora alla ricerca di sopravvissuti
sotto i detriti. La Guardia Nazionale è intervenuta per distribuire coperte, cibo e acqua. Solo in una occasione
i tornado avevano provocato un numero di vittime maggiore, nel 1998 quando 42 persone avevano perso la
vita, sempre nella Florida centrale, ed erano rimaste distrutte oltre 2.600 abitazioni. In quel caso i tornado
furono cinque.
Il rapporto dell'IPCC presentato a Parigi avverte che nei prossimi decenni, le ondate di calore, come quella
riscontrata in Europa nel 2003, potrebbero diventare più intense, frequenti e durature, e che le tempeste
tropicali e gli uragani diventeranno sempre più violenti.
DEPRESSIONE LETALE
“L'uragano Katrina è ben poca cosa paragonato a questo”, ha detto il governatore, Andres Granier,
preoccupato dall’ampiezza della
tragedia. “La situazione è
straordinariamente grave”, ha
confermato il presidente messicano
Felipe Calderon, che nella notte ha
rivolto un messaggio di quattro minuti
alla popolazione per chiedere aiuto:
chiunque ha una barca, ha detto, si
mobiliti con i soccorritori.
Il ciclone, chiamato “Sidr”, una tempesta di categoria 4, ha spazzato i tetti di lamiera delle case, come pure
gli alberi, e ha ingrossato con forti piogge i fiumi che sfociano nel Golfo del Bengala. Seicentomila persone
sono state evacuate in zone più sicure. Una ondata di acqua alta 5 metri ha devastato tre città costiere:
Patuakhali, Barguna e Jhalakathi, che complessivamente raggiungono la popolazione di settecentomila
persone. Molte linee elettriche e telefoniche sono tagliate e le comunicazioni con i cellulari funzionano solo a
tratti. Secondo la rete televisiva ATN Bangla, la maggior parte delle vittime sono state uccise da alberi
sradicati caduti su abitazioni costruite con materiali di fortuna.
Secondo quanto riferito dall'agenzia di stampa United News of Bangladesh, il numero dei morti sarebbe di
1.100, mentre centinaia restano ancora disperse e altrettante sono rimaste ferite. La stessa fonte ha
precisato che quasi la metà delle vittime, circa 500, si sono registrate nel distretto meridionale di Barguna,
dove il ciclone ha spazzato via centinaia di case ed edifici. La Commissione Europea ha approvato un primo
pacchetto finanziario d'urgenza pari a 1,5 milioni di euro per far fronte ai danni provocati dal devastante
ciclone. Secondo una prima valutazione, i bisogni più urgenti della popolazione riguardano soprattutto
“derrate alimentari, acqua potabile, alloggi d'emergenza, coperte e vestiti”.
Sidr, che forma una impressionante massa bianca di 500 km di diametro, è stato classificato come uno dei
più violenti cicloni degli ultimi anni. Alcuni testimoni hanno parlato di “scene apocalittiche” e di “giudizio
universale”.
Le forze dell'ordine fanno notare che sicuramente si tratta di un progetto studiato da tempo: i membri della
setta conoscevano bene il luogo in cui si sono rintanati (si trova a soli 3 km dalla chiesa dove essi celebrano
la messa) e secondo testimoni da tempo ammassavano generi alimentari e le bombole di gas con le quali si
stanno riscaldando.
Il capo indiscusso di questa setta è Pyotr Kuznetsov, un architetto quarantatreenne che proviene dalla
Bielorussia. Da tempo si presentava come una sorta di profeta ed è arrivato nel villaggio di Nikolskoye solo
18 mesi fa, annunciando la prossima fine del mondo. Secondo il giornale russo Izvestiya, l'uomo soffrirebbe
di schizofrenia e tra l'altro per 4 mesi in passato ha dormito in una bara.. È stato lo stesso Kuznetsov a
condurre gli investigatori verso la grotta, dopo che la figlia di uno dei fuggiaschi si è rivolta alla polizia.
Padre Georgy, un prete del luogo difende l'operato della setta: «Sono semplicemente dei cristianiÈ, ha
affermato ai microfoni della televisione russa NTV, «dicono: “La Chiesa fino ad oggi non ha fatto un buon
lavoro, la fine del mondo è vicina e noi dobbiamo salvarci”È.
La polizia spera che l'arrivo dei parenti dei religiosi convinca quest'ultimi a uscire dalla grotta. La
magistratura ha aperto un'indagine rifacendosi all'articolo 235 del codice penale russo che punisce le società
religiose illegali.
LINKS
Sect members dig tunnel, await apocalypse in Central Russia RIA Novosti 13
novembre 2007
Russian cult leader speaks of angels, the apocalypse and 666 RIA Novisti 22
novembre 2007
ESTINZIONE GLOBALE
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