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INTRODUZIONE

Nel 1973 in tutto il mondo, tra i paesi con popolazione superiore al milione di abitanti, si contavano
solo 27 democrazie, oggi il loro numero è più che raddoppiato, passando a 611.
Questo arido dato numerico può essere reso più concreto se si dà un’occhiata alla carta geografica
di quell’epoca (FIG. 1) e la si confronta con quella attuale (FIG. 2): i) le democrazie erano per lo più
concentrate nell’Europa Occidentale e nelle aree anglofone del Nord America e dell’Oceania; al di
fuori di questa area si contavano solo otto democrazie, in genere, salvo l’India ed il Giappone, in
paesi di non grande peso2; ii) tra i paesi che si affacciano sul Mediterraneo le democrazie erano solo
3 (Francia, Italia ed Israele), oggi praticamente tutta la sponda europea è democratica (e lo sarà
pienamente fra non molti anni quando, come è probabile, anche la Bosnia e l’Albania avranno
concluso il loro percorso di democratizzazione); iii) in Europa i confini dell’area democratica
passavano per la Finlandia, la Repubblica Federale Tedesca, l’Austria e l’Italia, oggi si sono
spostati ad est di alcune centinaia di chilometri e comprendono buona parte dei paesi che facevano
parte del blocco sovietico (o della stessa Unione Sovietica) e della ex Jugoslavia; iv) la democrazia
era praticamente assente dall’Africa, oggi si è affermata in tutti i paesi della parte meridionale del
continente (Sudafrica, Mauritius, Botswana, Namibia, Lesotho) e si presenta anche in alcuni paesi
dell’area equatoriale (Ghana, Benin, Senegal e Mali); v) in America Latina vi erano solo cinque
democrazie3, oggi se ne contano undici, tra le quali figurano tutti i paesi di maggior peso economico
e politico (Argentina, Brasile, Cile, Messico, Perù ed Uruguay); vi) in Asia le sole democrazie erano
quelle del Giappone e quella, da tutti ritenuta anomala e destinata probabilmente a sparire,
dell’India, oggi possiamo dire che non solo quest’ultima si è brillantemente conservata e sembra
essere ormai consolidata, ma che alle due democrazie originarie si sono aggiunte quelle della Corea
del Sud, quella di Taiwan, quella (recente e non ancora consolidata) dell’Indonesia e persino quella
della Mongolia; vii) sviluppi significativi si sono verificati anche nel Medio Oriente dove, mentre si
è assistito alla scomparsa della democrazia dal solo paese arabo in cui si era affermata (il Libano), si

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La percentuale è semplicemente raddoppiata, passando dal 20% al 40%, dal momento che anche il numero dei paesi è
salito da 133 a 151.
2
I sei casi restanti sono quelli di Israele, del Costarica, del Botswana, di Mauritius, del Libano e del Venezuela, di
questi gli ultimi due non sono attualmente classificati come democrazie da Freedom House.
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Colombia, Costarica, Giamaica, Trinidad e Tobago e Venezuela.
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prospetta concretamente la possibilità che la Turchia si affianchi ad Israele nel formare un seppur
modesto nucleo di democrazie nella regione.

FIG.1. Distribuzione geografica delle democrazie nel 1975

FIG.2. Distribuzione geografica delle democrazie nel 2007

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Se è vero che non tutte le nuove democrazie sono consolidate e che alcune di esse potranno
regredire verso forme di autoritarismo o (più probabilmente) di semidemocrazia, è anche vero che
la maggior parte di esse sembra destinata a durare e che nei prossimi anni al gruppo delle
democrazie potrebbero aggiungersi paesi che attualmente sono retti da regimi non democratici.
Il fenomeno come si è visto, e come risulta chiaramente dal confronto delle figure 1 e 2, ha
interessato tutte le regioni del pianeta: 16 democratizzazioni sono avvenute in Europa (3
nell’Europa meridionale e 13 in quella orientale), 9 in America Latina4, 7 in Africa e 4 in Asia: le
democrazie esterne al blocco tradizionale delle nazioni “occidentali” sono ormai 34 con una
popolazione di quasi 2.100 milioni, all’incirca i 3/4 dei 2.800 milioni che vivono in un regime
democratico.
La diffusione delle democrazie ha superato confini e travolto barriere culturali o confessionali che
fino a poco tempo fa si pensava fossero difficilmente valicabili: fino a quasi la metà del XX secolo
la democrazia aveva stentato ad affermarsi al di fuori dei paesi cristiani protestanti, o comunque di
quelli che avevano fatto l’esperienza della Riforma. Ancora agli inizi degli anni ’70 i paesi cattolici
classificati come democrazie erano solo 65, trent’anni dopo il loro numero era salito a 20, mentre
quello dei paesi cattolici con regime non democratico è di 11 soltanto (dei quali 9 assegnabili alla
classe delle semidemocrazie). Se la democratizzazione dei paesi dell’area cattolica è stata
probabilmente il fenomeno più vistoso, per il numero dei paesi che ha interessato e per il ruolo che
in essa hanno svolto l’elemento e le istituzioni propriamente religiosi, non meno significativi sono
stati i progressi registrati in altre aree confessionali. Non solo il blocco democratico comprende una
pattuglia di 5 paesi a prevalenza cristiano ortodossa, ma sono andati drammaticamente crescendo il
numero ed il peso delle democrazie esterne all’area delle confessioni cristiane: 1/5 dei paesi
democratici (13 su 61) non sono di religione cristiana6, con 1.540 milioni di abitanti essi
rappresentano più della metà della popolazione totale delle democrazie. Ciò che quotidianamente si
legge sulla difficoltà dei rapporti, o addirittura sull’incompatibilità, tra democrazia ed Islam,
assomiglia a ciò che è stato scritto fino a poco fa (e si continua in parte ancor oggi a scrivere) a
proposito dei rapporti tra democrazia e confucianesimo o “valori asiatici” ed anche a ciò che ancor
prima si è scritto sui rapporti tra democrazia e cattolicesimo.
Ovviamente l’affermarsi della democrazia in paesi diversi da quelli in cui essa ha fatto per la prima
volta la sua comparsa, e che hanno lasciato su di essa un’indiscutibile impronta culturale, presenta

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Colombia e Venezuela che facevano parte del gruppo delle democrazie all’inizio degli anni ’70 ne sono in seguito
usciti.
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Francia, Italia, Belgio, Austria, Costarica e Venezuela.
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Di questi 3 sono mussulmani, 4 buddista-confuciani, 2 induisti, uno giudaico e 3 misti, senza nessuna confessione
prevalente.
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degli aspetti problematici ed ha richiesto degli adattamenti per quanto riguarda le forme e le
istituzioni propriamente politiche. Come conseguenza di ciò le democrazie che non appartengono
all’area occidentale presentano caratteristiche proprie e mancano di alcune di quelle che tipicamente
associamo alla cultura democratica dell’occidente: per esempio, attribuiscono un peso maggiore ad
identità collettive (etniche, confessionali o di casta) o non sempre rispettano quei principi di
separazione e di autonomia delle sfere (politica, civile e religiosa) che formano una parte essenziale
della nostra nozione di democrazia.
Anche se nessuna regione del globo è risultata impermeabile alla democrazia, e vi sono presenze
democratiche in tutti i continenti ed in tutte le regioni, con la sola eccezione (per ora) del mondo
arabo (Medio Oriente e Nordafrica), è evidente che la distribuzione geografica delle democrazie
non è casuale e che le prospettive di democratizzazione dei paesi dipendono dall’area geografica in
cui si collocano, in quanto la natura del regime di un paese esercita (subisce) una certa influenza
sulla (dalla) natura dei regimi dei paesi ad esso vicini.

Lo scopo che ci proponiamo con questo volume è da un lato di descrivere in modo compiuto quella
che potremmo chiamare la dimensione spaziale della democrazia e dall’altro di individuare, a
partire da essa, i fattori che ne hanno determinato la formazione e che verosimilmente
influenzeranno anche le forme che essa assumerà in futuro.
Il libro ruota intorno ad alcune idee fondamentali, che hanno ispirato la ricerca e si sono precisate
ed articolate nel corso della stessa.
La prima è che la democrazia possa fare la sua comparsa in una grande varietà di contesti, anche in
società poco sviluppate o là dove essa non ha radici o precedenti storici, e che non c’è praticamente
paese per il quale essa possa essere esclusa a priori. Ciò che ci induce a sostenere questa tesi è che
le premesse concettuali della democrazie ed i principi su cui essa si regge sono in fondo piuttosto
semplici e rintracciabili in, o comunque compatibili con, diverse tradizioni culturali; in particolare
che l’uso del potere dovrebbe basarsi quanto più possibile sul consenso di coloro che vi sono
sottoposti, che nei casi controversi il confronto dei pareri è preferibile al ricorso alla forza fisica,
che per ogni questione è opportuno considerare diverse possibili soluzioni, che nei casi in cui non si
raggiunge un accordo è opportuno ricorrere al conteggio dei pareri, che nel conteggio la
maggioranza deve prevalere sulla minoranza, che tutti hanno diritto di esprimere il loro parere. E’
evidente che il riconoscimento di questi principi è tutt’altro che universale, e che praticamente in
ogni cultura (ma in alcune più che in altre) è possibile rintracciare posizioni ed argomenti per
negare la loro validità o per limitare la loro portata; ciò che intendiamo dire è che non c’è
praticamente cultura cui tali principi siano completamente estranei e nella quale non si possano
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trovare ragioni per affermarli. Usando un concetto rawlsiano possiamo dire che riguardo ai principi
fondamentali della democrazia si può realizzare un “consenso per sovrapposizione” da parte, se non
di ogni soggetto razionale, quantomeno di soggetti rappresentativi di una grande varietà di culture,
una varietà nella quale tutte le maggiori aree culturali sono, almeno parzialmente, rappresentate.
La seconda è che le forme in cui può verificarsi il passaggio alla democrazia sono assai varie e
comprendono tra gli altri i casi di processi lentamente evolutivi, di brusco collasso di regimi o
addirittura di stati autocratici o della nascita di nuovi stati.
Il fatto che la democrazia sia possibile ovunque, e che ogni regime sia per così dire esposto alla
sfida democratica, non significa che la democrazia si mantenga e si consolidi in ogni paese in cui
abbia fatto la sua comparsa o che ogni processo di democratizzazione, una volta avviato, giunga
necessariamente a compimento: sono frequenti (soprattutto in regioni come l’Africa Sub-Sahariana,
le aree equatoriali dell’America Latina e l’Asia Meridionale e Sud-Orientale) i casi di
democratizzazioni incompiute e di regimi ibridi7, che combinano tratti democratici ed autoritari.
Quello che si può dire è che, una volta che un processo di democratizzazione è iniziato, il ritorno ad
un regime integralmente e stabilmente autocratico è piuttosto improbabile, e che più di frequente si
instaura una forma di semidemocrazia caratterizzata da una marcata instabilità per la presenza
simultanea di elementi democratici ed autocratici.
La possibilità che i processi di democratizzazione, una volta iniziati, proseguano ed approdino ad
una democrazia compiuta e stabile dipende da una serie di circostanze sia interne, sia esterne ai
paesi direttamente interessati. Considerazioni a priori, ed una consistente massa di osservazioni
empiriche, suggeriscono che le seconde sono spesso decisive e che l’affermarsi della democrazia in
paesi in cui le circostanze interne erano poco propizie, ma che si collocavano in un contesto
internazionale favorevole, è più probabile del caso inverso di paesi in cui la democrazia si affermi
grazie alle sole condizioni interne e malgrado un ambiente esterno sfavorevole. Come vedremo
meglio nei capitoli della seconda parte del volume, la maggior parte delle democratizzazioni
verificatesi in Europa, ed anche quelle di alcune altre regioni, corrisponde al primo caso e conferma
la tesi che abbiamo sostenuto. Attribuire un ruolo decisivo a fattori esterni non vuol dire sostenere
che un paese possa diventare una democrazia in modo passivo ed essere democratizzato
dall’esterno, ma piuttosto che la presenza di condizioni esterne favorevoli modifica il quadro
interno, e in particolare che un ambiente esterno democratico presenta per le forze politiche e sociali
di un paese delle occasioni che possono essere meglio sfruttate se lo esso è democratico e permette

7
[Morlino 2003]
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l’inserimento delle stesse in una rete di rapporti transnazionali che hanno come sfondo naturale la
democrazia.

Ci sembra opportuno concludere queste considerazioni introduttive chiarendo alcune questioni e


rispondendo preventivamente ad alcune possibili obiezioni. La prima riguarda l’attendibilità del
materiale statistico sul quale lavoriamo, e cioè delle classificazioni dei regimi politici dei diversi
paesi nell’arco di tempo che consideriamo. La seconda come si concili l’idea che la democrazia si
sia affermata, e potrà in futuro affermarsi, in paesi che non sono mai stati democratici con il fatto
che, nei paesi in cui essa è comparsa per la prima volta nelle sue forme moderne, la sua
affermazione ha richiesto tempi molto lunghi (addirittura secoli). La terza se sia legittimo attribuire
a fattori esterni ai paesi un ruolo decisivo nel determinare l’avvio e l’esito dei processi di
democratizzazione, e pensare che in alcuni casi essi possano essere attivati e addirittura regolati
dall’esterno, e non si debba invece considerare la democrazia come risultato principalmente (o
esclusivamente) di condizioni e di dinamiche interne ai paesi direttamente interessati.
Riguardo alla prima questione si può dire che una classificazione attendibile dei regimi politici, che
consenta confronti significativi nello spazio e nel tempo, è possibile se si adotta una nozione
formale o procedurale di democrazia, se la si considera cioè come consistente in una serie di
condizioni, in materia di diritti politici e civili e di procedure che regolano l’attribuzione e
l’esercizio del potere politico, condizioni la cui presenza e la cui estensione o portata sono
osservabili e comparabili nei diversi paesi. Seguendo questa impostazione si può parlare di
democrazia quando tutte le condizioni essenziali richieste sono soddisfatte ed è anche possibile
stabilire la misura in cui i diversi paesi si avvicinino a realizzarle, e quindi classificarli sulla base di
quello che potremmo chiamare il loro “grado di democraticità”. Riteniamo, e nel fare ciò
concordiamo con la maggior parte degli studiosi della democrazia in un’ottica comparativistica, che
quello del soddisfacimento dei requisiti formali e procedurali sia una condizione insieme necessaria
e sufficiente perché si possa parlare di democrazia. Gli altri elementi sostanziali, riguardanti i
sistemi politici o le società che da essi sono rette, debbono essere presi in considerazione per
stabilire la qualità di una democrazia, il suo concreto funzionamento ed i risultati che essa produce,
ma solo in modo subordinato, e cioè una volta che si sia stabilito che effettivamente di democrazia
si tratta.
In merito alla seconda questione capita di frequente di sentire discorsi di questo tipo: «non è
possibile credere che un paese che fino a ieri non aveva mai fatto esperienze di democrazia sia oggi
diventato democratico, o pensare che uno che fino ad oggi non lo è mai stato lo diventi domani, se i

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paesi in cui la democrazia è nata hanno impiegato decenni, o addirittura secoli, per arrivare ad una
compiuta democrazia». Malgrado la loro apparente plausibilità, tesi di questo tipo sono
completamente prive di fondamento storico Molte delle condizioni necessarie per una democrazia e
che hanno impiegato tanto tempo a maturare in paesi come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna sono
già presenti non solo nelle nuove democrazie, ma anche nei paesi che ancora democratici non sono:
i) sono ormai rari, e suscitano una diffusa indignazione, i casi in cui vengono negati alle donne
diritti politici di cui godono gli uomini, che gli stessi diritti vengano subordinati ad un test di
alfabetizzazione, attribuiti secondo criteri di censo o siano negati agli appartenenti a minoranze
etniche; ii) lo sviluppo tecnologico, l’urbanizzazione, l’accesso ai mezzi di comunicazione,
l’alfabetizzazione, e in generale la formazione della società di massa, non sono stati confinati ai
paesi democratici ed oggi praticamente sono pochi i paesi in cui la maggioranza della popolazione
vive nel ristretto orizzonte di villaggi di campagna e nell’ignoranza o nell’indifferenza per ciò che
accade al di fuori di essi, condizioni in cui, fino ad un paio di secoli fa, viveva la quasi totalità della
popolazione dei paesi che per primi sono diventati democratici; iii) le maggiori religioni, in
particolare quella cattolica, hanno cessato di operare come sostegno dei regimi autoritari vigenti; iv)
nessuna classe si ritiene e viene riconosciuta, come in passato le aristocrazie europee, il naturale
depositario del potere; v) a differenza di quanto avveniva nei secoli scorsi, le democrazie non sono
più delle isole in un mondo in cui dominano le autocrazie o in cui interi continenti sono organizzati
in forme primitive e pre-statali, ma sono numerose e stabiliscono tra loro rapporti che sono
qualificati dal loro essere democrazie; vi) la gamma delle soluzioni possibili note per dare forma
istituzionale alla democrazia è piuttosto ampia ed i testi fondamentali della teoria della democrazia
sono stati tradotti in quasi tutte le lingue e comunque accessibili a lettori di qualsiasi paese. Se
queste condizioni fossero state presenti nel momento in cui i paesi che per primi hanno iniziato il
precorso che li ha portati alla democrazia, è assai probabile che il tempo che essi hanno impiegato
per percorrerlo non sarebbe durato tanto e che essi avrebbero raggiunto in tempi abbastanza brevi
assetti simili a quelli che hanno attualmente.
Per quanto riguarda la terza questione è evidente che la democrazia ha un carattere ed una
dimensione essenzialmente nazionali e che essa può effettivamente funzionare solo se le forze ed i
gruppi che si muovono sull’arena politica nazionale accettano di regolare in modo democratico i
loro rapporti. Ciò non toglie che le forme che tali rapporti assumono all’interno di un paese siano
fortemente influenzati da quelle che gli stessi hanno assunto nei paesi con i quali esso ha stretti
legami; a ciò si deve aggiungere che, con il progredire dei processi di globalizzazione, si sono
andate moltiplicando ed estendendo sfere di sovranità comune, che hanno reso i sistemi politici dei

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diversi paesi, soprattutto quelli dei paesi democratici, sempre più interdipendenti. Queste
circostanze hanno fatto emergere quello che potremmo chiamare un comune denominatore di
democrazia e fatto sì che molti dei paesi che si sono democratizzati ancorassero per così dire la loro
democrazia a quella di altri paesi, formando con essi un sistema strutturato di democrazie.

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