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Ma il karma funziona proprio così?

Ken Mc Leod

Karma non significa causa-effetto


Il karma è uno dei concetti meno compresi del Buddhismo. Questi malintesi
sono particolarmente dannosi, perché la comprensione del principio del karma
è di importanza cruciale per capire perché pratichiamo e che cosa accade
quando lo facciamo. Cercherò quindi di far luce su questi malintesi,
cominciando da quello più comune, cioè la nozione di karma come legge di
causa ed effetto. La confusione fra karma e legge di causa ed effetto ha due
origini: differenze culturali e difficoltà nella traduzione degli insegnamenti.
Quando i ricercatori ed i filosofi occidentali si sono inizialmente rivolti al
pensiero buddhista, cercarono naturalmente di farne rientrare i concetti in
strutture di pensiero diverse. Il pensiero occidentale, particolarmente fin dallo
sviluppo del metodo scientifico, è fondamentalmente riduzionista e si fonda
grandemente sulla nozione di causa ed effetto: qualcosa agisce su un’altra
cosa producendo un risultato. Il metodo e la ricerca scientifici cercano di
tracciare la catena di cause che conducono ad un certo effetto. Poiché il karma
apparentemente descrive il modo in cui il mondo e gli esseri esistono, è spesso
interpretato come una teoria causale e battezzato (in senso ironico) “la legge
del karma”, alla stessa stregua di altre leggi quale quella di gravità.
La pesante applicazione delle strutture di pensiero occidentali al pensiero
orientale ha spesso creato seri ostacoli ad una accurata comprensione dello
stesso. La stessa applicazione di concetti grammaticali estranei alla lingua
tibetana è un altro fattore di cui tener conto. Nel caso del karma, le nozioni
occidentali, rinforzate da una buona dose di spiegazioni piuttosto naif da parte
di alcuni orientali, hanno creato ulteriori problemi.
Come può un’azione del passato causare un’esperienza nel presente senza una
qualche forma di pre-determinismo? Se tutto è pre-determinato, come
possiamo liberarci dal ciclo di esistenze? Se guardiamo al karma senza la lente
deformante della nozione occidentale di causalità, possiamo comprendere più
chiaramente. La prima cosa da fare è esaminare il linguaggio e chiarire alcune
questioni sulla traduzione dei termini. Il termine tibetano completo per karma
è las.rgyu.abras, che tradotto letteralmente si può rendere come azione-
seme-risultato. La lingua tibetana esprime idee astratte unendo insieme due o
più parole che coprono un ampia gamma di esperienze. Per esempio,
“distanza” è espressa unendo insieme le due parole “vicino” e “lontano”,
“grandezza” è espressa dalla unione delle parole “grande” e “piccolo”,
“quantità” dall’unione di “poco” e “molto”, e così via. Quale idea astratta è
contenuta nelle parole “seme” e “risultato”? L’idea di crescita. Dunque, il karma
descrive il modo in cui le azioni crescono, si sviluppano, a partire da un seme
fino a dare un risultato. L’idea di crescita è molto differente da quella di causa
ed effetto. Quando spingo il piede sull’accelleratore, ciò è causa dell’aumento di
velocità della mia auto. Una complicata catena di connessioni fra il pedale e le
ruote dell’auto è la responsabile dell’effetto. In ogni fase c’è un dispositivo
meccanico che agisce su un altro per produrre un preciso effetto, in forma di
quantità, direzione e velocità di movimento. L’effetto complessivo è l’aumento
di velocità di rotazione delle ruote e quindi l’aumento di velocità dll’auto. Il
modo in cui la mia azione di spingere sul gas causa l’aumento di velocità della
mia auto non ha niente a che vedere con la crescita. Paragoniamo questa
catena di cause ed effetti alla crescita di un albero. Una quercia inizia con una
ghianda. Una ghianda non è un albero. La ghianda, date le giuste condizioni
(tornerò su questo in seguito), inizia a germogliare. Dopo un po’, la ghianda
non esiste più, mentre si è formato un germoglio con radici e fusto che
crescono sempre di più. Si formano i rami, la corteccia, ler foglie.
caratteristiche completamente diverse emergono ad ogni stadio di crescita. La
quercia è composta da molti tipi differenti di strutture, ognuna delle quali si è
sviluppata dalla ghianda originale. Il karma descrive la crescita, non la
causalità. Una ghianda non causa una quercia, ma cresce diventando una
quercia. Le azioni non causano il nostro mondo dell’esperienza, ma si
sviluppano diventandolo.

Il karma è crescita

Il karma descrive il modo in cui le azioni si sviluppano diventando esperienza.


Nella tradizione tibetana, un’azione matura in quattro risultati: il risultato della
completa maturazione, il risultato di quello che è successo, il risultato di quello
che è stato fatto, e il risultato sulle circostanze. Questi quattro risultati
evolvono dall’azione iniziale nello stesso modo in cui i rami, le foglie, i fiori e i
frutti e alla fine una foresta intera evolvono da un seme. I rami, le foglie, la
foresta non sono il seme, ma evolvono da esso.
Se consideriamo di nuovo la nostra ghianda, possiamo associare questi quattro
risultati di un’azione con i differenti aspetti della crescita di una quercia. Nello
stesso tempo, farò ricorso anche all’esempio del mentire per illustrare le
corrispondenze.
Il risultato della completa maturazione è l’esperienza proiettata sulla quale si
basa l’azione. La piena maturazione corrisponde al tronco e ai rami della
quercia. La piena maturazione del mentire è sperimentare il mondo come un
luogo dove la gente è fondamentalmente stupida e facile da ingannare
Il risultato di quello che è successo descrive il risultato della nostra azione sugli
altri e corrisponde alle foglie e ai fiori prodotti dalla quercia. Il mentire risulta
nell’esperienza di non essere più ascoltati o creduti dagli altri.
Il risultato di quello che è stato fatto è il risultato della nostra azione su noi
stessi e corrisponde al frutto (la ghianda) che deriva dal fiore. Il mentire crea
la predisposizione al mentire stesso e questa predisposizione cresce fino a che
abbiamo la sensazione di dover mentire se vogliamo “funzionare” nel mondo. Il
mentire diventa un’abitudine fissa.
Il risultato sulle circostanze è il modo in cui la nostra azione influisce su ciò che
ci circonda e corrisponde al modo in cui la quercia modifica l’ambiente
togliendo la luce ad altri alberi, dando asilo ad uccelli ed insetti, etc.etc.
Il mentire crea un mondo di diffidenza con tutte le conseguenze economiche e
sociali che ne derivano.
Il karma quindi decrive come le nostre azioni evolvono in esperienza,
internamente ed esternamente. Ciascuna azione è un seme che cresce od
evolve sotto forma di ciò che sperimentiamo nel mondo. Ogni azione o dà inizio
un nuovo processo di crescita, oppure ne rinforza uno già avviato come
descritto dai quattro risultati. Non c’è da meravigliarsi che mettiamo così tanta
enfasi sulla presenza mentale e la consapevolezza. Ciò che facciamo in ogni
momento è molto importante!
Analizziamo adesso più attentamente il processo di crescita. La mia intenzione
è quella di usare un esempio di crescita in un sistema complesso in modo da
chiarire il perché i patterns della nostra personalità sono così tanto pervasivi,
profondamente radicati e difficili da cambiare.
Possiamo dire che la nostra personalità è un sistema complesso. E’ il prodotto
di molte forme di condizionamento. I patterns emozionali reattivi incorporati
nel nostro sviluppo fisico, emotivo, familiare, educativo e culturale svolgono un
ruolo molto significativo.
Come si sviluppano? Prendiamo per esempio il pattern di sviluppo di una felce.

Diagramma #1: Diagramma #2:


Una forma molto semplice: quattro Le linee più scure mostrano la
linee si incontrano in un punto. ripetizione della forma originale, più
Immaginiamo che la linea in basso chiara. Le linee rette del diagramma
sia il fusto e che le altre tre siano i #1 si sono trasformate nelle forme
rami che da esso si dipartono. La più scure nel #2. La forma originale
crescita ha luogo attraverso la è duplicata in scala ridotta. Che cosa
ripetizione: ciascuno dei tre rami, succede quando questo processo
crescendo, riproduce (e quindi è continua a ripetersi?
sostituito da) una versione ridotta
della forma iniziale a quattro linee.
Diagramma #3: Diagramma #4:
Il risultato: si è formata la struttura Questa è una piccola parte del
di una felce. Le linee della forma diagr.#3, ingrandita circa 50 volte.
primitiva sono mostrate in chiaro, ma La parte ingrandita ha esattamente
il pattern attuale è quello di una la stessa struttura dell’intera felce.
felce, molto differente da quello Possiamo ingrandire qualsiasi parte
originale! del pattern ed essa assomiglierà
sempre alla struttura principale.

Può qualcosa svilupparsi in noi come queste linee? La mia esperienza mi porta
a pensare che sia probabile. Prendiamo un semplice pattern comportamentale
come quello di iniziare qualcosa prima di aver finito quello che stiamo facendo.
Osserviamo in quali ambiti della nostra vita ci comportiamo in questo modo.
Nel nostro lavoro, iniziamo un nuovo progetto prima di aver finito quello
vecchio. Mangiando, mordiamo un pezzo del nostro panino prima ancora di
aver ingoiato il boccone precedente. Nella conversazione, iniziamo una nuova
frase prima di aver terminato di pensarci. Una volta installato, questo tipo di
patterns comportamentali permea la nostra vita. Ripetiamo le stesse dinamiche
continuamente. Siamo come degli automi. Siamo noi stessi dei patterns.
Il lavoro della meditazione è duplice. Attraverso la presenza mentale, siamo
capaci di vedere questi patterns e quanto automatici e pervasivi essi siano.
Mediante la visione profonda, possiamo guardare dentro il pattern, trovare la
forma che lo genera e liberarci della nostra identificazione con quella forma.
Quando l’identificazione è sciolta, la forma si disintegra e il corrispondente
pattern comportamentale sparisce. Ne riparleremo in seguito.
Tutte le nostre azioni, comprese le storie che ci raccontiamo, il modo in cui
interagiamo con gli altri, o le piccole cose che facciamo in privato (lasciare i
piatti sporchi nel lavandino fino al mattino dopo), hanno il potenziale di
crescere e diventare un pattern. Quando ripetiamo la stessa azione, si forma
un pattern di comportamento pervasivo, come nella nostra felce. La dinamica
essenziale dell’azione originale inizia ad operare in altre aree della nostra vita e
arriva a permeare l’intera nostra personalità. Ecco il perché dell’importanza
della consapevolezza. Poiché qualsiasi cosa facciamo diventa parte della nostra
personalità e configura il mondo che sperimentiamo, dobbiamo essere
consapevoli di ciò che stiamo facendo in ogni momento. Ogni azione può avere
conseguenze molto significative. Secondo me, questo principio è l’essenza degli
insegnamenti sul karma: ogni azione modella la nostra personalità e la nostra
esperienza del mondo.

Il karma non spiega nulla

Ho sentito spesso commenti del genere nelle discussioni sul karma: “Come si
può pensare che un bambino innocente morto in una guerra civile possa essere
stato un assassino in una vita precedente? E’ offensivo, è crudele!” Ciò che mi
ha colpito in questi commenti è il senso dell’oltraggio, lo stesso oltraggio che
molti vedono anche nel concetto cattolico di peccato originale. Penso che sia
stato James Joyce ad affermare che la dottrina del peccato originale era
disumanamente crudele. Anche il karma lo è? Approfondendo questo tema
sono giunto alla conclusione che il karma ha due funzioni, una esplicativa e
l’altra istruttiva.

Il karma come spiegazione

Che cosa spiega il karma? Si suppone che spieghi il perché, in questa vita, noi
siamo quello che siamo e quale posto abbia la nostra attuale esperienza nello
schema delle cose.

Per sapere quello che hai fatto, guarda ciò che sei ora.
Per sapere che cosa sarai, guarda le tue azioni di adesso.

Esaminiamo queste affermazioni.


Prima di tutto, perché siamo come siamo? Quali forze determinano ciò che
accade nelle nostre vite? Ciascuno di noi è unico fra milioni di persone. La
varietà delle esperienze individuali è enorme: nel benessere, nella felicità, nella
salute, nella fortuna, nella personalità, nelle opportunità e nei risultati. Mentre
da una parte vediamo che certi comportamenti conducono a certi risultati (per
esempio essere onesti di solito suscita rispetto), dall’altra vediamo anche
enormi ingiustizie e tragedie che sfidano ogni logica spiegazione. Il karma
apparentemente offre una spiegazione per queste ingiustizie estendendo la
scala del tempo da questa vita fino ad un’infinità di altre vite nel passato e nel
futuro. Un altro punto è il significato della nostra esistenza. Alla fine, tutti
muoiono, anche il più illuminato dei maestri. Il karma, ancora una volta, offre
una visione del mondo che rende ogni nostra azione significativa nello schema
delle cose: se facciamo bene ora, avremo felicità nelle vite future. Se ci
liberiamo dall’ignoranza, ci manifesteremo nel mondo per aiutare gli altri.

Come funzionano le spiegazioni

Cerchiamo spiegazioni quando ci confrontiamo col mistero. “Perché è


accaduto?” oppure “Perché questo accade proprio a me?”
La funzione di una spiegazione è quella di rimuovere il mistero. La maggior
parte di noi, ad un certo punto della vita, ha guardato il cielo blu e si è chiesta:
“Perché il cielo è blu?”. Percepiamo il mistero e qualcosa fa sorgere in noi una
curiosità, un’apertura. Il cielo è blu a causa della composizione chimica
dell’atmosfera che assorbe o rifrange certe frequenze della luce, nessun
mistero. Ma la spiegazione ci lascia un vuoto dentro, qualcosamuore dentro di
noi: capiamo che non stavamo affatto cercando una spiegazione. Il mistero
aveva attirato e catturato la nostra attenzione. Le spiegazioni tolgono il mistero
dalla nostra vita. Le spiegazioni ci danno l’impressione che tutto sia logico e
comprensibile. Quando le cose hanno una spiegazione, noi smettiamo di
guardare. Il mistero mette a disagio molte persone. Esse cercano una
spiegazione, evitano di confrontarsi con questioni quali “Perché la mia vita è
così com’è?” oppure “Qual è il significato della mia esistenza?”. La spiegazione
ha, a mio avviso, lo scopo opposto a quello della pratica spirituale. La prima
cerca di rimuovere il mistero, la seconda di aprirsi al mistero e viverlo.

L’equilibrio dell’universo

Le spiegazioni karmiche sulle differenze individuali e su quello che ci accade


dopo la morte delineano un principio ordinante nell’universo. Il bene è
ricompensato e il male è punito, non necessariamente domani o nella prossima
esistenza, ma in un momento del futuro. L’inquadramento temporale può
essere molto vasto, ma l’ordine è stabilito: le buone azioni portano a buone
esperienze, le cattive azioni a spiacevoli. Queste sono proiezioni dei valori
umani nel mondo dell’esperienza. Noi tendiamo a proiettare i nostri valori
sull’universo. Molti anni fa diedi degli insegnamenti sul karma.
In quell’occasione chiesi a tutti che cosa pensassero fosse il karma. Più
dell’80% delle persone rispose che secondo loro il karma rendeva “giusto”
l’universo. L’idea era confortante. Il desiderio di giustizia è un desiderio umano.
Fra l’altro comporta che l’individuo sia riconosciuto come tale dalla società in
cui vive. Il karma in quest’ottica è considerato il nostro riconoscimento come
individui da parte dell’universo. L’universo è giusto, ognuno riceve quel che si
merita. Questo può essere usato per giustificare i sistemi politico-sociali. Una
volta che accettiamo l’idea che il karma rende l’universo un posto giusto, il
sistema politico prevalente può usarlo per giustificare le iniquità da esso
provocate. Se uno nasce in una famiglia al potere, è perché sta godendo i
risultati del bene fatto in passato. Se uno nasce schiavo, è perché il suo
destino è il risultato del male fatto nelle vite passate. Lo sforzo nella vita non
deve essere rivolto a diventare un re o un governante, ma a lavorare sul
proprio karma, qualsiasi esso sia. Innumerevoli conquistatori, re e signori della
guerra hanno usato nei secoli il karma o concetti simili per giustificare le loro
azioni. Innumerevoli altri hanno assunto l’attitudine: “E’ il loro karma” per
evitare di aiutare gli naltri nel bisogno.

La rigidità nelle posizioni morali

Questa accettazione delle spiegazioni karmiche si solidifica facilmente in un


sistema di convinzioni. In questo contesto, convinzione corrisponde a un’idea
che accettiamo senza averla verificata con l’esperienza personale. Siccome
sono le convinzioni a supportare l’idea su chi siamo e qual è il nostro ruolo nel
mondo, noi resistiamo fermamente (e a volte violentemente) a qualsiasi
interpretazione degli eventi e delle esperienze che tendono a metterle in
discussione. Sulle convinzioni sul mondo e su chi siamo formiano le basi per
determinare che cosa è giusto e che cosa è sbagliato per noi dal punto di vista
morale. Quando le convinzioni si radicano saldamente, è molto difficile
accettare azioni che, sebbene appropriate per la situazione, violano il nostro
senso morale del giusto e dello sbagliato.

L’esempio dei bambini innocenti

Così torniamo ai bambini morti nella guerra civile. Come spieghiamo questo
genere di cose se crediamo nel karma? La nostra spiegazione è che, si, questi
bambini hanno commesso orrende azioni nelle loro vite passate ed adesso il
loro karma è maturato. Io credo che questa spiegazione, oltre a non essere
convincente, non è neanche necessaria. I bambini sono morti. Non hanno fatto
niente per “meritarsi” questa morte. Il motivo per cui cerchiamo una
spiegazione è quello di evitare il mistero di queste morti, per proteggerci dal
dolore che esse evocano in noi, un dolore che ci ricorda che anche noi siamo
soggetti all’arbitrarietà e forse alla tragicità della morte, che la nostra vita può
terminare in ogni momento, e che non abbiamo alcuna idea di cosa ci riserva il
futuro. Questo è il mistero della vita.
Ironicamente, quando andiamo a più a fondo nella classica visione del karma,
troviamo che la spiegazione che il karma sembra offrire non è una spiegazione.
Tradizionalmente, solo un essere completamente risvegliato può vedere
esattamente come un’azione si sviluppa in un risultato. Il karma stesso è
quindi un mistero. Credo che il karma come spiegazione aggiunga molto poco
alle nostre vite. Ci culla nella convinzione che esiste un ordine nell’universo, ci
permette di proiettare un universo così come vorremmo che fosse, può essere
usato per giustificare orribili ingiustizie e rigide posizioni morali e alla fine non
fa che sostituire un mistero con un altro.

Il karma come insegnamento

Il karma come insegnamento, invece, è un’altra storia. E’ molto semplice:


come sperimentiamo il nostro mondo dipende dalle nostre azioni. Prestiamo
attenzione alle nostre azioni. Il motto sopra citato acquista adesso un nuovo
significato:

Per sapere quello che hai fatto, guarda ciò che sei ora.
Per sapere che cosa sarai, guarda le tue azioni di adesso.

Verificare attraverso la propria esperienza

Quando guardiamo a ciò che siamo ora - come ci comportiamo, come


reagiamo, come vediamo il mondo, come vediamo gli altri – stiamo, in realtà,
guardando ai risultati di azioni che sono state motivate da patterns abituali.
Quando li osserviamo attentamente, vediamo come questi patterns si auto-
rinforzano e conducono sempre e ancora alle stesse circostanze.
Si potrebbe anche dire che se continuiamo a fare quello che abbiamo sempre
fatto, otterremo quello che abbiamo sempre ottenuto.
Il karma come insegnamento significa osservare le nostre azioni e apprezzare
cpme ciascuna azione è consequenziale nel rinforzare o smantellare un pattern
abituale.

Affidarsi all’intelligenza naturale piuttosto che alle regole fisse

Quando esaminiamo attentamente la vita, vediamo che non possiamo sempre


basarci su un set di regole per determinare ciò che è giusto e ciò che è
sbagliato. Per ogni regola possiamo pensare ad una situazione in cui l’azione
appropriata è contraria a quella regola. Invece, dovremmo affidarci alla nostra
intelligenza innata. Dobbiamo farci avanti nella vita, guardare che cosa
succede, prendere una decisione per promuovere ciò che è giusto e accettare i
risultati.

Entrare nel mistero

Quando focalizziamo la nostra attenzione in una situazione ed agiamo,


entriamo nel mistero: è il punto dove siamo al limite della nostra capacità
d’attenzione e non capiamo se siamo nel pattern abituale o nella presenza
mentale. Sappiamo solo dal risultato se abbiamo agito secondo un pattern
abituale o guidati dalla consapevolezza. Se la situazione ci si rivolta contro,
dobbiamo pagarne le conseguenze. Vediamo quale è stata la nostra parte in
essa se, e solo se, abbiamo rivolto tutta la nostra attenzione alle nostre azioni.
Impariamo dove siamo stati deboli, ciechi, stupidi o fuori luogo. Non c’è modo
migliore per imparare e ogni lezione non ci costa nulla se possiamo fare ancora
ulteriori sforzi per risvegliarci.

Meno rigidità
Nel momento in cui lavoriamo con l’attenzione, diventiamo meno rigidi.
Ciascuna situazione deve essere accettata nei suoi lati positivi. Diventiamo via
via più consapevoli dei patterns abituali, della differenza fra l’abitudine, la
presenza e lo sforzo che la presenza richiede. Non abbiamo bisogno di
convinzioni, non abbiamo bisogno di conforto, non abbiamo bisogno di
spiegazioni. Ogni situazione è un mistero. Sappiamo essere presenti nel
mistero?

Pratica, evoluzione e illuminazione

Nessuno si illuda che l’evoluzione ci esenti dal lottare: “Non dimenticare”, disse
il Diavolo con un ghigno, “che anch’io mi sto evolvendo.”
William Ralph Inge

Quando leggo degli stadi della pratica e della illuminazione nei testi tibetani, ho
l’impressione che esista una condizione ideale verso cui convergono tutti i vari
sentieri della pratica. Si possono trovare elaborate descrizioni dei differenti
stadi, culminanti nella realizzazione finale dell’illuminazione. Nello stesso
tempo, non ho trovato alcuna prova di questa convergenza, sia nei vari maestri
con cui ho studiato, sia nella mia stessa pratica, sia nelle tante ore trascorse
con i miei studenti.

Invece, sono arrivato ad apprezzare il fatto che le cose semplicemente


evolvono. Ciò che è venuto prima modella ciò che segue.
Si può spesso e facilmente riconoscere come il modo in cui qualcuno
sperimenta la vita si è evoluta dalle esperienze familiari ed infantili.
Nello stesso tempo, qualcosa di nuovo ed inaspettato può presentarsi in
qualsiasi momento. L’educazione, le interazioni sociali, il trovare un partner ed
altri eventi introducono nuovi scenari che si mescolano con quelli già esistenti e
influenzano il modo in cui ci sviluppiamo. C’è ricchezza, c’è complessità, c’è
grande meraviglia, ma anche grande sbigottimento. A volte ciò che accade è
completamente prevedibile, altre volte è completamente inaspettato.

La Via di Mezzo, il non cadere negli estremi, cattura molto semplicemente e


meravigliosamente questa complessità. Non siamo solo corpo o solo mente; le
cose non sono né caotiche né ordinate; l’universo non è né unico né
molteplice, e così via.
Le implicazioni per la pratica sono profonde. I sistemi di pratica come il
Sentiero della Purezza della tradizione Theravada o il Sentiero Graduale della
tradizione tibetana identificano stadi di sviluppo, tipi di praticanti, quali pratiche
sono adatte quando e per chi. Si tratta di straordinarie collezioni di saggezza
ed esperienza dei maestri attraverso i secoli, ma possiamo facilmente
accorgerci che qualcosa non va bene per noi se non riconosciamo la nostra
esperienza o non sappiamo ritrovarci in quelle descrizioni.

Dobbiamo ricordarci di una cosa: niente è normale. La normalità è una media e


nessuno è veramente una media. Ogni classificazione segue i fatti e cerca di
ascrivere un ordine al caos e alla complessità dell’evoluzione. Gli schemi di
classificazione si basano necessariamente sulla media delle cose, ma ci sono
sempre aspetti dell’esperienza che non vi rientrano, oppure che si trovano agli
estremi.

Ci sono dei principi generali nella pratica spirituale, proprio come ci sono
principi generali nella teoria dell’evoluzione. Ma ciascuna pianta, ciascun
organismo cresce secondo la sua propria modalità, e dobbiamo rispettare il
fatto che anche noi lo facciamo. Il concetto buddhista di causalità riflette
questo senso dell’evoluzione. E’ basato sulle nozioni di origine e condizioni.
Come una ghianda è l’origine di una quercia, l’origine del nostro risveglio è la
consapevolezza presente nell’esperienza. Come una ghianda richiede acqua,
calore, nutrimento e protezione per iniziare ad evolversi in una quercia, così
noi abbiamo bisogno delle condizioni per l’attenzione, la consapevolezza e la
presenza per evolvere nella nostra vita. E come evolviamo è come evolviamo.

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