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La regola della fede operante per amore

Scegliendo questo titolo pensavamo a Gal 5,6, il versetto forse più chiaro in cui fede e amore sono termini
portanti di un discorso di riconciliazione ecclesiale.

Qui Paolo scrive a comunità tentate dal loro passato, di farsi risucchiare in una spiritualità incisa nella carne,
giudaica soprattutto, e di rientrare nell'ebraismo abbandonando la grazia della libertà cristiana. Poiché,
pensa Paolo, in Cristo Gesù, non è più l'essere ebreo di origine che conta e neppure il non esserlo. Non
conta la pia religiosità rituale (cfr. Mt 7,22), conta invece "la fede (pístis) operante per amore (agápe)".

Notiamo in questa valutazione, come la prima posizione sia stilisticamente e non solo, occupata dalla pístis
e la seconda dell'agápe. In sintonia con la più tardiva narrazione dei vangeli, una fede intellettuale o a
parole, ma senza operosità per i poveri o i posseduti, è demoniaca (cfr. Mc 1,34; Lc 4,34s.41), oppure, come
si ripete in Gc 2,18-26, è proprio morta. Sterile. Per Paolo, tuttavia, la fede in Cristo viene prima della
filantropia.

Primato dell'amore sulla fede


Nel contesto delle 13 lettere che hanno Paolo per mittente (spesso assieme a qualcun altro, formanti un
team apostolico, come Timoteo, Silvano o Sostene), non sempre tuttavia il primato della fede è così
evidente come in Gal 5,22 o, più in generale, nel contesto di questa lettera con la quale Paolo reagisce alla
sostituzione, da parte di alcuni, del Vangelo con la circoncisione, e con la conseguente osservanza della
legge mosaica e delle tradizioni giudaiche. Senza la fede, non c'è giustizia, né salvezza: non basta l'operosità
richiesta dalle leggi (cfr. Gal 2,16; 3,6.8.11.24; 5,5). Giusto è chi vive di fede in Cristo.

Non sempre, però per Paolo, le due o tre parole ponte (fede, operosità, amore) tra la Chiesa e Dio Padre,
Figlio (Gal 4,6) e Spirito (Gal 3,2-14; 5,22-25), occupano la medesima posizione sintattica. In molti passi è
l'amore al primo posto.

Per esempio, in 1Cor 13,2, Paolo scrive che se lui, o chiunque, avesse la profezia e conoscesse i misteri e
tutta la scienza o gnosi, e possedesse appieno una pístis in grado di smuovere i monti, ma non avesse
l'agápe, egli stesso non sarebbe che un nulla. Somiglierebbe al nichilista, che consideri il dissolvimento
dell'io come la fine di tutto, di Dio compreso.

In 1Cor 13,1-14,1, Paolo parla del primato dell'amore sulla fede. Sinteticamente e conclusivamente scrive,
in 1Cor 13,13, che,"dunque" rimangono, senza l'articolo, pístis, elpis (speranza) e agápe, le tre sorelle
teologali, "più grande però di queste [è] l'agápe", con l'articolo questa volta, per personificarla come icona
del Crocifisso, quel Gesù che ha dato tutto se stesso per i peccatori (Cfr. Rom 5,6-8.19 con Gal 2,17).

In 1Corinti si coglie la volontà di Paolo d'imitare e portare all'imitazione di Cristo come una fondamentale
regola di vita ecclesiale (cfr. 1Cor 4,16; 11,1-2). Imitare Cristo nel donarsi nelle mani di peccatori è più
importante che riconoscerlo a parole. La fede ortodossa è meno importante dell'operosità dell'amore per i
più bisognosi. Di fede, si può parlare, per esempio, anche riguardo a quel che dice, o a come lo dice, Paolo,
o Cefa o Apollo; ed è possibile professare un'appartenenza emotiva alla dottrina dell'uno o dell'altro –
spezzando così le ossa del Crocifisso in tronconi ecclesiali irresponsabilmente separati e in lotta tra loro.
Tanta fede, scarso amore? La divisioni dottrinali sono contro l'amore che edifica (cfr. 1Cor 8,1s; Rom 15,2;
Ef 4,16) e perciò contro la Chiesa, contro l'autentica fede in Cristo.
La fede della scienza biblica, come il primato della coscienza individuale, o dei diritti dell'io, gonfia la vita del
forte e lo sterilizza, mentre l'agápe operativo come quello di Cristo morto per i deboli, edifica la Chiesa (cfr.
1Cor 8,1-2.11; Rom 14,15).

Il primato dell'amore è il primato della fede in Cristo e nel suo Vangelo, non alterabile, adulterabile o
sostituibile (cfr. 2Cor 11,4 con Gal 1,6.7) di volta in volta secondo maggioranze di opinione, o tradizioni
etniche e religiose precedenti.

Ancora, in 1Cor 4,17, parlando di Timoteo come di "mio figlio amato e fedele nel Signore", Paolo mette al
primo posto l'amore, quello suo, paterno. Senza però la fedeltà nel Signore, Timoteo non sarebbe figlio di
Paolo, che in riferimento a Timoteo aggiunge subito: egli vi farà ricordare "le vie che vi ho indicato in Cristo,
come insegno dappertutto in ogni Chiesa". L'insegnamento del Vangelo, e quindi portare altri alla fede in
Cristo, è l'attività principale sia di Paolo che di Timoteo. Ma, ancora ai corinzi, a proposito di "vie" cristiane,
Paolo sostiene che "la [via] migliore di tutte" è l'agápe (1Cor 12,31s).

In Ef 6,2, testo parallelo a 1Cor 4,17, il primato dell'amore è confermato a proposito de "l'amato fratello –
Tichico – e fedele diacono nel Signore".

Se questi due ultimi testi citati sono paralleli per l'uso degli aggettivi "amato" o "caro" (agapetós) e "fedele"
(pistós), in Ef 6,23, ritorna, con i due sostantivi astratti, l'amore prima della fede. In questo stesso passo
sono ricavabili informazioni personali e una benedizione finale per i lettori. Il mittente della lettera augura
agli efesini, considerati "fratelli", la pace e "agápe metà písteos – amore con fede" da parte di Dio – che è
"Padre nostro" – e di Gesù, il Cristo e Signore.

Dunque, Paolo ovunque insiste sulla necessità di amare con fede e di credere con amore.

Altro testo, parallelo, è Col 1,7, dove entra in scena un altro collaboratore, Epafra, prima descritto come
"nostro amato con-schiavo" e poi come "fedele diacono di Cristo". Paolo ama i suoi collaboratori come
Cristo i suoi discepoli. Di Timoteo, Tichico e Epafra, tutti collaboratori che Paolo ama, è messa in risalto la
fede e fedeltà nel servire Cristo, annunciando il Vangelo. Portare il mondo alla fede nel Cristo è amarsi,
diventando compagni, figli, fratelli in una sola Chiesa. Infatti, in Col 4,7 è nuovamente menzionato Tichico
(come in 1Cor 4,17), in quanto è ancora "l'amato fratello e fedele diacono e con-schiavo nel Signore".

In 1Tm 1,5, ritornano i due sostantivi femminili, per contrastare, questa volta, in una serie di avvisi,
l'insegnamento di falsi maestri di fede. Scopo della chiara e forte presa di posizione contro chi inquina il
Vangelo, è quello comunque di orientare Timoteo e la comunità che gli è stata affidata, a "l'agápe [che
emana] da un puro cuore e [da una] buona coscienza e [infine, dalla] fede (al genitivo: písteos) senza
ipocrisia". La posizione di agápe è qui prioritaria, eppure essa deriva dal cuore, dalla coscienza e dalla fede
rifiutando ogni ipocrisia. L'amore ha un'origine ramificata nelle profondità di ogni persona e scaturisce dalla
fede.

In 1Tm 4,12 l'amore ancora precede la fede, nella quotidianità della vita ecclesiale. Il mittente raccomanda
a Timoteo di farsi modello, nonostante la giovane età, "ai credenti - tôn pistôn", fratelli della comunità, "in
parola, in comportamento, in amore, in fede, in purezza".

Ancora in Fm 5, Paolo ci informa sul destinatario, il ricco e potente Filemone, credente nonostante sia
(stato) padrone di schiavi, almeno di uno, di Onesimo. A Filemone, letteralmente "Uno che bacia con
amore", Paolo fa una lode, che mira anche a ottenere un favore importante – l'accoglienza di Onesimo
come fratello e non più come schiavo. Gli scrive, da una prigione, forse a Roma, d'aver sentito parlare del
suo "amore e la fede" che ha in Gesù Signore; e aggiunge anche "verso tutti i santi". Il testo è fortemente
emotivo, più vicino all'amore come sentimento che alla fede come dottrina. Sintatticamente la frase è
ambivalente: amore e fede sono insieme diretti verso altri. La fede, che è in Gesù come il Signore, si
trasforma in amore servizievole verso la Chiesa, che si raduna proprio in casa di Filemone.

In sintesi, abbiamo osservato come la coppia amore-fede, con questa posizione dei due termini, sia una
costante, soprattutto paolina nel NT, mentre nell'AT non è praticamente attestata. L'amore è più
importante di una fede personale, anche corretta nel Vangelo ma inoperosa. Quando però la fede si
trasforma in obbedienza ed imitazione di Cristo crocifisso a vantaggio dei peccatori e dei più deboli, allora
coincide con l'agápe ed è la via migliore di tutte. Per la costruzione della Chiesa, questo amore cristiano
conta più delle tradizioni, come la circoncisione o la non circoncisione, delle leggi mosaiche e delle filosofie
greco-asiatiche.

Primato della fede sull'amore


Nel testo che stiamo esaminando, cioè in Gal 5,6, la fede primeggia, come abbiamo compreso, ma solo se è
operante con amore. Di che fede e di che amore, e verso chi, Paolo sta parlando quando scrive,
letteralmente alle Chiese distribuite nel territorio della Galazia: "in Cristo Gesù non è la circoncisione che
conta o la non circoncisione, ma la fede operante per amore"?

Se, come abbiamo sopra fatto per la coppia amore-fede, lanciamo ora uno sguardo, al resto della Bibbia, su
fede-amore notiamo subito come nell'AT, anche questa seconda coppia sia irrilevante.

Compare un paio di volte soltanto. La prima in Dt 7,9, un versetto denso che invita Israele a riconoscere Dio
come proprio Signore, come YHWH, "il Dio fedele [LXX: pistós – mentre l'ebraico ha 'aman, da cui l'Amen,
riferito a Cristo in Ap 3,14]", che mantiene la sua alleanza di benevolenza per generazioni e generazioni, ma
solo "con coloro che lo amano [toîs agapôsin; in ebraico c'è 'ahab o 'aheb] e che custodiscono i suoi
comandamenti".

Riconoscere la fedeltà di Dio è il punto di partenza per amarlo, e Dio lo si riconosce Signore, custodendo di
fatto tutti i suoi comandamenti. L'amore è dunque una risposta operativa della fede, è obbedienza e
fedeltà alla volontà di Dio, come appare evidente anche nel NT, soprattutto in testi giovannei – redatti
dopo il corpus paulinum – e in riferimento a Gesù, il Maestro che vuole essere amato con l'osservanza,
fedele, delle sue parole, del suo comandamento nuovo, con la fede cioè nella verità che rende liberi,
discepoli e figli di Dio.

Simile è anche il messaggio di un testo, scritto originariamente in greco e non ebraico, come Sap 3,9, a
proposito della sorte dei credenti messi alla prova da Dio stesso: costoro, se nonostante la sofferenza,
confidano in Dio, comprendono la verità delle cose, e diventano giusti. Quindi, in parallelo a questa prima
riga, l'autore ne aggiunge un'altra: "i fedeli nell'amore rimarranno presso di lui", perché grazie e
misericordia sono riservate agli eletti. Per essere in Dio è necessario amare con fedeltà, obbedendo alla
sapienza (cfr. l'apocrifo Salmo di Salomone 14,1: "il Signore è fedele a quelli che lo amano in verità").

A questo punto la coppia fede-amore, prima l'una e poi l'altra, scompare dall'AT per venirsi a concentrare
nei nelle lettere paoline, in: 1 Cor 13,2.13; Gal 2,20; 5,6; Ef 1,15; 3,17; Col 1,4; 4,9; 1 Ts 1,3; 3,6; 5,8; 2 Ts
1,3; 1 Tm 1,14; 2,15; 4,12; 6,2.11; 2 Tm 1,13; 2,22; 3,10; Ti 2,2.

Compare ancora solo in tre passi, mai nei vangeli, né in Atti, né nell'Apocalisse, ma in Gc 2,5 (Dio ha scelto i
poveri per arricchirli "con la fede" e per fare eredi del regno promesso "quelli che lo amano") e in 1 Gv 3,23;
4,16 ("Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore e chi resta nell'amore
rimane in Dio…"). Nella 1Gv, fede e amore sono interdipendenti quanto o più di una sinapsi cerebrale, in
una fusione – dei due elementi ecclesiali – in Dio che è amore e non fede; Dio è fedeltà attiva, lógos che si
fa carne viva, presenza di Dio in Gesù Cristo.

Anche Paolo, prima e in maniera più ecclesiale, in 1Cor 13,2, parla dell'agápe come del carisma superiore
alla pienezza della fede. In 1Cor 13,13, si riferisce alla grandezza eternizzante della sola agápe, rispetto alla
fede e alla speranza.

In Gal 2,20, sempre Paolo, ci spiega, personalmente, di che agápe si tratta quando questa precede la pístis:
è l'amore che rivela in filigrana il corpo di Cristo crocifisso e che ora vive in lui. Anzi, ora è Paolo che può
vivere di Cristo. È questa la vita "in fede", che consiste nel credere stupito "nel Figlio di Dio, che mi ha
amato e ha dato se stesso per me". La fede è vivere dell'amore di Cristo che si è dato, da persona a
persona, in maniera definitiva.

In Gal 5,6 Paolo ha dinanzi a sé, un io rinnovato profondamente, le divisioni delle chiese della Galazia,
concentrate sul problema delle loro origini, diverse, etnico-religiose. Le tradizioni non contano quanto la
fede nell'amore di Cristo e della fedeltà operativa al Vangelo, per cui credere significa immedesimarsi nell'io
di Cristo, crocifisso e morto da schiavo per mano di peccatori e a loro vantaggio.

Comunione che è vita nuova e intera


In Gal 2,29, ancora riferendosi al problema dell'accordo, difficile, tra giudei e gentili, Paolo già parlava di sé
e del suo rapporto con Cristo, come un modello da imitare. Dunque né le tradizioni religiose giudaiche né
quelle greco-asiatiche possono costituire una regola di vita cristiana. L'uomo vecchio (2Cor 5,17) ebreo o
greco che sia, deve morire. Infatti, in Gal 6,15, un versetto in evidente parallelismo con Gal 5,6, Paolo scrive
che non è "la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura". Questa novità di
vita è la fusione delle distinzioni, che diventano non più esclusive, una comunione. In Gal 3,28, a conferma
che la Chiesa non è una società etnica, né giuridica o a responsabilità limitate – Paolo scrive che non c'è più
il giudeo né il greco; non più lo schiavo né il libero; né più l'uomo né la donna, poiché, e conclude, come
apostolo delle genti: "tutti voi siete uno in Cristo Gesù."

Angelo Colacrai (www.paulusweb.net; colacrai@stpauls.it)

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