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INTERPRETARE LO SVILUPPO Capitolo 1: Il percorso dello sviluppo

ANTROPOLOGIA DELLO SVILUPPO: una premessa teorica


Lo sviluppo implica necessariamente un punto di partenza come termine di paragone, come modello di riferimento. Se consideriamo le societ primitive appare evidente che le teorie classiche di riferimento siano evoluzionismo e diffusionismo. Si pensi al passaggio dallorda primordiale, orda promiscua priva di strutture elementari di qualsivoglia genere, alle prime formazioni parentali fondate sui vincoli di appartenenza, su legami sessuali e su complesse dinamiche matrimoniali, stabilite fra maschi e femmine di trib o clan diversi. Le alleanze tra gruppi costituiscono le fondamenta di una organizzazione sociale: la formazione di gens/clan riunite in trib, danno vita alle prime forme di organizzazione politica. E queste forme di organizzazione politica si sono manifestate sostanzialmente in due differenti modalit: - equilibrate strategie di collaborazione e scambi commerciali legati a vincoli matrimoniali; - potenziamento di risorse e forze umane, nel tentativo di espansione e dominio, allo scopo di acquisire materie prime, beni e uomini/schiavi. chiaro che, nel tempo, la capacit dinamica dei gruppi umani si andata moltiplicando fino ad assumere quellassetto economico-politico ancora oggi presente. Ruolo mantenuto, fino al famoso discorso di Truman che, nel gennaio 1949 , attribu ai paesi avanzati il compito di elaborare programmi di aiuto tecnico per i paesi in via di sviluppo, in modo che questi potessero raggiungere un pi adeguato livello economico e di vita. Lungo stato il cammino della storia dei rapporti fra paesi e nazioni. La parentela Lo studio della parentela apre la strada alla conoscenza degli aspetti culturali e sociali delle popolazioni. Non si pu parlare di parentela se non quando siano presenti almeno due condizioni: il legame connesso ad una relazione sociale relativamente stabile e il legame deve inoltre permettere al soggetto di collocarsi simbolicamente nellambito dei relativi gruppi di appartenenza relazionandosi ad altri gruppi presenti. Ne consegue che, nonostante le fondamenta della parentela siano di carattere biologico, questa costituisce un fenomeno sociale. MORGAN(1818-1881) antropologo statunitense. A partire dai suoi studi, la parentela si inserita come campo privilegiato di ricerca negli studi antropologici. Egli basa il suo studio delle parentele su tre assunti: o le parentele costituiscono dei sistemi; o rientrano in alcune categorie fondamentali; o tali categorie sono rintracciabili in realt territoriali anche lontanissime. E trova una conferma alla sua teoria con una ricerca diretta fra le popolazioni americane e una pi ampia, tramite un questionario spedito in varie parti del mondo. La distinzione applicata da Morgan implica due diversi livelli di societ, la prima

con una organizzazione sociale basata su rapporti diretti di parentela, laltra su rapporti di tipo politico. Nel primo modello di societ, e in particolare Morgan si rifaceva al caso degli Irochesi, i parenti in linea collaterale, consanguinei, non venivano distinti da quelli in linea diretta: in tal caso padre e zio non sono distinti, ma uniti nel termine di padre. Il sistema classificatorio non trova oggi una sua individuazione relazionale. Ad esempio in quasi tutte le lingue la parola zio si riferisce allo zio materno, paterno, al marito di una sorella del padre o della madre e viceversa. Eppure la validit di tale sistema permane per una definizione globale che permette di identificare gens, clan, trib, ancora oggi. Nei sistemi di parentela di societ pi avanzate, come la societ europea, il sistema distingue i parenti in linea diretta da quelli in linea collaterale. La comparsa della societ politica allinterno della quale i rapporti di parentela tendevano a perdere la loro funzione dominante a vantaggio dei rapporti fondati sul consenso e sulla territorialit, secondo Morgan indissociabile dalla comparsa dei diritti di propriet sulla terra. Con la civilt, infatti, non solo la protezione della legge e dello stato sarebbe venuta a sostituire quella protezione fornita dal gruppo dei parenti, ma con ben maggiore efficacia i diritti di propriet avrebbero influenzato il sistema delle relazioni (tra gli individui). E infatti, proprio la connessione fra parentela e propriet che segna il passaggio evolutivo delle societ. LEVI-STRAUSS (1908-2009) individua nellesogamia un meccanismo per instaurare relazioni di cooperazione e alleanze fra gruppi diversi. I sistemi elementari di scambio matrimoniale indicano con quali persone e appartenenti a quali gruppi vietata, e con quali privilegiata lunione matrimoniale; in modo diverso i sistemi complessi sono quelli nei quali le norme si limitano a vietare determinate categorie di individui. Ogni modello di organizzazione sociale che legato ai rapporti di alleanze matrimoniali, tende a garantire un equilibrato e proficuo mantenimento dei beni e delle propriet. Latomo di parentela rappresenta lunit minima parentale ed formato da: una donna, il figlio maschio, il fratello della donna, il marito della donna. Dalle combinazioni di questo atomo discendono differenti modelli relazionali. Latomo di parentela assume anche la funzione di elemento primario di alleanza tra gruppi e di fondamentale principio esogamico. La riflessione straussiana sulla esogamia, e sulla proibizione dellincesto si incentra in primo luogo sulla critica di alcune asserzioni di altri autori. Queste asserzioni si riferivano alle conseguenze negative di unione fra consanguinei, sul piano fisico e psicologico, e sulla repulsione innata che una tale unione provocherebbe. Ritenendo entrambe le causali prive di fondamento in quanto non dimostrabile la prima e non convalidabile la seconda, perch, se la repulsione allincesto fosse innata, non ne sarebbe necessaria la proibizione, Lvi-Strauss si sforza di dimostrare che il divieto di incesto risiede in primo luogo in una regola di scambio. Infatti non si rinuncia a una figlia o a una sorella se non a condizione che il proprio vicino vi rinunci a sua volta. I sistemi parentali sono dunque sistemi simbolici. Vi un collegamento in tal modo al pensiero di Mauss sul dono. Come Mauss aveva dimostrato la reciprocit del dono, cio lo scambio simbolico, fosse lessenza stessa della vita sociale, il sistema di parentela un prodotto culturale, ma le trasformazioni culturali che tale sistema subisce nel tempo sono assimilabili a quelle trasformazioni evolutive, tecniche e tecnologiche che incidono sulle realt territoriali e determinano lo sviluppo. Lo sviluppo infatti non un semplice fatto, legato ai fattori economici, ma un fatto totale modellato

dai fattori culturali che ne delimitano i contorni e le modalit evolutive, e che influiscono sullassetto organizzativo della societ. su questo indirizzo di pensiero che si muove oggi una corrente antropologica cosiddetta dello scambio sociale. Secondo il concetto di scambio le strutture sociali si determinano come un processo interattivo che trae origine da una serie di transizioni delle quali i rapporti di potere, le posizioni gerarchiche e gli scambi matrimoniali sono elementi costitutivi. Lo scambio richiede da un lato reciprocit, e dallaltro differenza, che risulta poco proponibile se i vantaggi si accumulano soltanto in una direzione, e perde dinteresse se non vi sono differenze in grado di essere sfruttate. Una parte del pensiero economico, da Smith in poi, concorda nel considerare che una societ funziona quando ognuno persegue il proprio interesse. Se c qualcuno che dona per creare le basi di una convivenza non siamo certo noi occidentali, razionali ed utilitaristi. La propriet fra economia e cultura Dalla propriet privata derivano le conseguenze economiche e territoriali che ancora oggi sono le fondamenta dei complessi rapporti fra Stati e di quella articolata realt che chiamiamo tarda modernit. Lelemento della specializzazione della politica non affiora fino a quando laffermarsi di una organizzazione primitiva, resa necessaria dalla stanzialit, dalla coltivazione di piante e dallallevamento di animali non consente la nozione di surplus, che porta alla urbanizzazione e alla formazione della propriet privata: primo passo verso la modernizzazione. Paradossalmente il pensiero antropologico accomuna la civilt a situazioni di crisi tali da implicare un rischio da sviluppo. Non a caso Freud diceva che per il primitivo facile essere sano, mentre per luomo civilizzato un compito difficile. Nel passaggio dallo stadio nomade a quello sedentario, il processo di cambiamento sociale implica dunque un cambiamento culturale e un rilassamento dei costumi che, paradossalmente, non giova alla prosperit della societ. Non a caso, sei secoli dopo Durkheim, vede nello sviluppo della civilt una forte coesione sociale, ma non pu disconoscere lalto rischio di anomia che pervade le societ complesse con strutture urbane moderne, alta densit di popolazione, e frammentazione e specializzazione del lavoro. Il passaggio da societ ad economia di caccia-raccolta, a societ ad economia agricola, muta non solo le abitudini di vita, ma anche le regole legate alla propriet, dando vita ad una prevalenza del pensiero economico che spesso inficia i valori culturali delle societ stesse. Seguendo il pensiero di Lvi-Strauss le societ semplici non sono tali perch meno articolate nella composizione e nelle relative componenti, basti pensare alla molteplice variet dei legami parentali per averne una conferma. Sono societ pi semplici alla comprensione perch mancano in esse quegli elementi dellazione e del comportamento che paiono rendere vana e spesso irrazionale la conoscenza di quelle societ. Il tema delleconomia rappresenta uno dei temi classificatori di questa affermazione. Letnologo Thurnwald parla di un processo globale delleconomia nelle societ semplici. Non mai diretto ad un fine personale, ma entra in un comportamento generale legato ad una serie di connessioni psicosociali e religiose. Pertanto noi non dobbiamo arrogarci il diritto di voler comprendere lo

spirito economico primitivo impiegando dei concetti che sono tratti dalla nostra esperienza e dal nostro modo di pensare. Noi saremmo in grado di valutarlo solo immedesimandoci nei ragionamenti e nei comportamenti che si fondano su presupposti del tutto diversi dai nostri. Linsegnamento che ne deriva porta con s una serie di riflessioni relative alla formulazione di ragionevoli dubbi sulle proposte offerte a popoli altri derivate da uneconomia avanzata che, mutando i rapporti e le relazioni culturali, rischia di arrecare problematiche in luogo di trovare soluzioni, e lega la propriet ad una personale e individuale gestione della stessa. Per lo storico delleconomia Polanyi la conformazione istituzionale delle economie si presenta con modalit differenti, secondo le differenti culture che sono la rappresentazione della organizzazione sociale e politica della societ. Franz Boas, ricercatore e studioso della realt etniche dei popoli americani, delle coste del Nord, si pone la domanda sul perch nazioni e trib del mondo siano diverse, e come abbiano preso forma le differenze. Lo studio delle sequenze culturali ed evolutive delle societ un meccanismo per tenere a freno la tendenza esagerata a sopravvalutare il punto di vista proprio di ciascun periodo che si tende sempre a considerare come la realizzazione degli ultimi stadi dellevoluzione. Per concludere possiamo affermare che la propriet ha rappresentato simbolicamente il passaggio da societ tradizionali, ad economia primitiva, verso societ moderne, capitalistiche e complesse, e ha indicato un percorso di forti mutamenti culturali. Sviluppo umano e neoevoluzionismo La storia dello sviluppo incide sulle modalit nelle quali lo sviluppo si attua, e costituisce forme culturali differenti, in una perfetta sintesi fra tradizione e mutamento. luomo stesso, nella composizione del corpo e della mente un modello armonico di sviluppo. La teoria evolutiva degli esseri viventi gi prospettata nel 16 secolo da un pensatore italiano originario della Puglia, Tannini, trov la sua conferma nelle opere di Darwin. Lo scorrere del tempo incide sui caratteri fisici delluomo, cos come per ogni specie vivente, e mutando la posizione la forma del corpo muta, al tempo stesso, la struttura psichica muta, segnando le tappe di una evoluzione individuale. Al tempo stesso, in una contemporanea e paradossale reciprocit linfluenza del sociale opera sulla evoluzione biologica e psichica delluomo. Si tratta di capire quanto sia il nostro ambiente ad influire sulle fasi dello sviluppo e di interpretarne cause ed effetti. Il fattore ambientale incide profondamente sul fattore razziale e sulle differenze genetiche e sessuali. Vi sono popolazioni estremamente longeve, popoli che, nonostante il progresso raggiunto, anche in campo medico, sono minati da una realt socio-culturale che ne distrugge le capacit individuali, le emozioni naturali e la psiche stessa. Ma rimane linterrogativo relativo alle variabili comunit/societ, cultura/civilt. SPENCER (1820-1903) secondo la sua teoria vi una analogia fra le trasformazioni del corpo umano e quelle del corpo sociale. Levoluzione un processo che riguarda sia la materia organica che quella inorganica, sia il singolo che la collettivit. La societ, come lanimale, un corpo vivente. E infatti per Spencer ogni ambito dellesistenza segue un andamento evoluzionista, per giungere ad una composizione organica sempre pi progredita. Ci avviene in campo biologico, tramite un progressivo adattamento degli organismi

dellambiente; in campo psicologico, dove le facolt intellettive divengono sempre pi complesse; e lo sviluppo delle societ e dei regimi politici seguono lo stesso andamento. Ma permane il dubbio sulla validit di tali assunti. Nessuna legge naturale prevede che un villaggio debba diventare per forza una grande citt. PARSONS (1902-1979) - seguendo la corrente del neoevoluzionismo funzionale, osserva che lo studio comparato delle societ esige necessariamente un giudizio di valore e utilizza uno strumento interpretativo di tipo evoluzionistico legato al suo ben noto schema AGIL, nel quale adattamento, raggiungimento dei fini, integrazione e latenza rappresentano gli elementi della organizzazione sociale che va dal modello pi semplice al pi complesso. Il criterio il seguente: una societ pi avanzata nella misura in cui la sua organizzazione sociale manifesta una maggiore capacit di adattamento generalizzato. Le proposizioni parsoniane si avvalgono della certezza che alcune societ siano pi avanzate di altre. Teoria non molto lontana dalla posizione durkeimiana e basata anche questa sul mutamento dei legami parentali che trascina con s un mutamento pi generale legato alla struttura magico-religiosa, quindi economica, quindi politica delle diverse societ. Parsons identifica le societ primitive, da quelle intermedie e da quelle moderne. Ma distingue anche una casistica particolare: quella delle societ vivaio che nel tempo, pure rivestendo tutte le caratteristiche di societ influenti e di particolare ricchezza culturale, o non sono sopravvissute, o non hanno mantenuto la medesima influenza. Questo dimostra che il criterio valoriale che oggi si adotta non una risposta alla variet di modelli sociali che si propongono alla conoscenza. Il criterio dicotomico che vede paesi sviluppati, o ad economia avanzata, e paesi in via di sviluppo o arretrati, non accettabile perch offre una valutazione nella quale il riferimento gi valorialmente formato a priori. Lidea di sviluppo La genesi dellidea di sviluppo si trova secondo Tenbruck gi nellhumus del cristianesimo, nella prospettiva di un Mondo unico come comunit di sviluppo. Questa prospettiva non ebbe seguito, se non in una autoaffermazione di alcuni popoli rispetto ad altri. Lilluminismo francese forn, a sua volta, il concetto chiave del progresso che alla storia consegn lo sviluppo dellumanit da una condizione primitiva ad una armonica civilizzazione. Ma la visione religiosa, filosofica, utopica dello sviluppo si arresta di fronte al materialismo economico sempre pi dominante. In una visione pragmatica e non pi teorica, sviluppo diventa quasi automaticamente sinonimo di sviluppo economico, i cui protagonisti sono lOccidente e la Rivoluzione industriale. Lespansione economica e tecnica che a questa si accompagn nel corso del 18 secolo oltre a favorire la crescita, a incrementare il progresso scientifico, a garantire una maggiore longevit della popolazione e un pi diffuso benessere, port con s una rapida mutazione nellambito dei paesi del continente europeo e del nuovo continente, raggiunto dagli emigranti inglesi. Proprio in quel periodo i trequarti dellumanit subivano gli effetti indiretti dello sviluppo industriale, soprattutto a causa della colonizzazione estesa al Terzo Mondo. La colonizzazione si traduce in sottosviluppo. Questa condizione segna larretratezza del livello di vita di popolazioni non influenzate dal bench minimo sentore di quella crescita che, in forme accelerate e esasperate, segnava il ritmo di solo pochi paesi privilegiati.

Il tempo e limpegno di organismi internazionali hanno parzialmente diminuito lo scarto del livello di vita, ma permangono i problemi legati al fenomeno. Con la Rivoluzione industriale si passati da un mondo dalle deboli ineguaglianze internazionali del livello di vita e dal livello di vita medio assai debole a un mondo di ineguaglianze crescenti che derivano soprattutto dal balzo del livello di vita dellOccidente. Non possiamo certo affermare che la mancanza di industrializzazione implichi la mancanza di sviluppo. Ancora nel 20 secolo alcune nazioni ad economia agricola utilizzavano una serie di tecniche che le hanno collocate fra i paesi sviluppati. E proprio in quel secolo si assistito alla presa di coscienza di un problema mondiale: il diverso andamento sociale ed economico fra i paesi sviluppati e i paesi cosiddetti in via di sviluppo. La presunta naturalezza dellidea che bisogna svilupparsi viene messa in crisi se si esce dal nostro guscio etnocentrico e ci si confronta con altre culture. Scopriamo allora che presso molte societ non esiste neppure un termine linguistico che definisca tale concetto. la negazione di una culturale e identitaria realt, che porta al vero rischio planetario, quello di annullare le particolarit culturali, e quindi di appiattire lesistenza stessa. La contaminazione culturale Il processo di acculturazione messo in atto da gruppi strutturati provenienti da paesi civilizzati e ad economia avanzata coinvolge i gruppi componenti le societ cosiddette primitive. Tale processo si manifesta con lintroduzione di nuovi schemi valoriali, di modelli di comportamento e di stili di vita che, traendo origine da proposizioni civili, tendono a strutturare e istituzionalizzare realt sociali ed antropologiche formulatesi su motivazioni innate nel popolo indigeno, e quindi incidono in forme prestabilite sulle identit etniche. Lacculturazione diventa cos il grande spartiacque fra una societ ed unaltra e segna il confine fra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. Non si tiene conto dei rischi che il mutamento valoriale e la non accettata integrazione producano conflitti etnici e generazionali, incidano sulle realt umane, siano origine di disagi e delinquenza, di ribellioni, e di lotte intestine. Lambiguit del fenomeno drammaticamente presente e quanto mai attuale. Cos, per un abbinamento spontaneo, il culto della SAPE (Societ des Ambianceurs et Personnes Elegantes) del Congo mostra quali siano i rischi di una pesante occidentalizzazione in un mondo che mantiene rituali propri e che innesta simboli indotti su tradizioni innate. La SAPE un programma rituale per la trasformazione di giovani privi di rango in uomini di prestigio. Comincia e finisce a Bakongo, ma il passaggio intermedio avviene a Parigi, capitale delleleganza e luogo dove la griffe di scena. Qui a Parigi si accumulano abiti firmati, autentici, che secondo gerarchie precise e potere economico possono costituire il completo ventaglio dellalta moda. Il rientro si conclude non una danza nella quale il giovane diventa nellimmagine e nel prestigio grand homme e finalmente mostra la sua potenza. Come dice Friedman, il fenomeno della SAPE ha a che fare con la globalizzazione, in un certo senso, il sottoproletariato congolese che si pavoneggia non certo un africano occidentalizzato, ma una persona che assimila i prodotti occidentali in un processo interamente africano. La SAPE ha un origine strettamente identitaria: lappropriazione di una realt altra diventa una nuova forma di autoaffermazione.

La riaffermazione identitaria che avviene tramite un approccio parziale con lalterit, ci porta a ragionare sulle conseguenze della colonizzazione e pi in generale della penetrazione europea soprattutto verso le regioni dellAsia e dellAfrica, e sugli effetti devastanti che una certa politica statunitense ha avuto nei confronti degli Indiani e di alcune popolazioni americane. La colonizzazione ebbe inizio quando i bianchi si spinsero a cercare beni materiali in terre fino ad allora sconosciute e quando la conversione dei pagani divenne lalibi morale per coprire una volont di dominio e sfruttamento. Diventa inevitabile chiedersi allora se stata civilt quella arrecata dal colonizzatore, o se civilt non sia sempre quello stretto legame identitario che unisce luomo alla sua terra, e al suo ambiente. Stesso interrogativo si pone nella riflessione sul culto del cargo sorto in Melanesia alla fine del 19 secolo. Questo movimento si lega alla credenza che beni provenienti da un mondo ricco industriale e pagano non siano che beni provenienti da paesi degli antenati. Gli europei se ne sarebbero appropriati indebitamente e per poterne nuovamente entrare in possesso, gli indigeni avrebbero dovuto sovvertire lordine religioso e sociale, tradizionale, quindi mutare il loro stile di vita. Questo importante movimento pu essere inteso con differenti significati: da una interpretazione semplicistica legata alla ricerca di beni/merci, a quella pi complessa che vede bei rituali legati ai culti, un adattamento al cambiamento sociale imposto dai bianchi. Questo esempio conferma lipotesi dalla quale siamo mossi che la resistenza alla omologazione culturale non ha limiti n di spazio n di tempo.

IL COLONIALISMO. DOMINIO E ACCULTURAZIONE


Il colonialismo un fenomeno che storicamente si manifesta con differenti motivazioni e modalit. A partire dalle colonie romane e greche dellantichit classica, fino al mutamento avvenuto in seguito alla Rivoluzione Industriale che vede un assetto coloniale nel quale le vecchie potenze europee rafforzano il loro dominio. Nellultimo secolo si sono costituite forme diverse di dipendenza quali i protettorati, le amministrazioni fiduciare e i mandati, fino alla decolonizzazione del secondo dopoguerra. Le conseguenze nei rapporti internazionali divengono i nuovi temi di un dibattito politico fra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo che chiede una soluzione economica e sociale. Antropologia e colonialismo Antropologicamente, il colonialismo trasse la sua origine e la sua giustificazione ideologica dalla teoria evoluzionista della specie. Questa teoria, elaborata nel 1859 da Charles Darwin in Lorigine della specie, esercit uninfluenza determinante sia sulle scienze naturali che su quelle socio-antropologiche. Levoluzionismo sociale postulava lunit psichica del genere umano, e le societ erano allineate secondo stadi di sviluppo. Morgan, uno dei principali rappresentanti della scuola evoluzionista, affermava lunit di origine dellumanit, la similarit dei bisogni umani allo stesso stadio di progressione e luniformit delle operazioni dello spirito umano in identiche condizioni sociali. Ma mentre i Paesi Occidentali avevano raggiunto stadi pi avanzati, gli altri si trovavano a livelli inferiori, a causa si ostacoli ambientali o storici. La parola selvaggio, utilizzata precedentemente in senso dispregiativo, venne

sostituita con primitivo, nel significato di membro di una societ che si trova nei primi stadi di sviluppo, simili a quelli gi attraversati dai Paesi civilizzati. Cos levoluzionismo arriv a riconoscere la razionalit delle pratiche e credenze delle societ primitive, chiamando costumi tutto ci che differiva da quelle europee, e che nel 18 secolo era stato invece chiamato superstizione. Questa corrente antropologica ha avuto il merito di considerare tutti i popoli partecipi dello stesso processo progressivo e di ritenerli uguali, dal punto di vista delle capacit potenziali di sviluppo, ma, indirettamente, ha ispirato lideale colonialista, che ha ritenuto compito delluomo bianco, pi evoluto, intervenire per accelerare lo sviluppo di quei popoli che si trovavano in posizioni pi arretrate. Il colonialismo del 19 secolo si basava infatti su quella che Kiplin chiamava il fardello delluomo bianco, ovvero il compito di portare civilt e progresso a quelle popolazioni ritenute inferiori, incapaci di raggiungere autonomamente la modernit. In cambio gli europei avrebbero valorizzato le risorse non sfruttate. La missione civilizzatrice dellEuropa era riconosciuta anche dalla Societ delle Nazioni. Tra i principali enunciati nella Carta Costitutiva si leggeva infatti che: Il benessere e lo sviluppo delle popolazioni non ancora capaci di guidarsi da s costituiscono un sacro impegno di civilt. Il colonialismo non fu solamente espansione territoriale e dominazione politicoeconomica, ma anche etnocentrismo culturale, perch credeva nel valore primario della cultura occidentale. Lantropologia di quel periodo ebbe come oggetto sia lo studio delle caratteristiche delle societ prima della colonizzazione, che dovevano essere descritte prima di essere distrutte, sia la descrizione dei cambiamenti sociali provocati dal processo di colonizzazione su queste realt. La gestione delle colonie Se il fine ultimo dellimpresa coloniale, secondo la prospettiva evoluzionistica, era quello di aiutare le societ africane a raggiungere lultimo stadio dello sviluppo, ovvero la civilizzazione, i mezzi attraverso cui realizzare questa impresa differirono a seconda dei paesi colonizzatori. Lamministrazione francese delle colonie ad esempio fu notevolmente diversa da quella inglese. La Francia applic una politica centralizzata ed uniforme, secondo il principio dellassimilazione: i popoli delle colonie africane dovevano diventare sudditi della Repubblica Francese e venivano trattati dalla pari purch sapessero integrarsi nella cultura francese e adeguarsi ai valori dominanti. Le colonie erano amministrate attraverso un sistema istituzionale simile a quello della madrepatria e applicato indistintamente a tutti i domini coloniali. Venne impiegato soprattutto personale europeo, mentre quello locale prevaleva a livello di cantoni, e coincideva di solito con figure di capi e potenti locali collegati in qualche modo alla situazione precoloniale. Lo scopo dellamministrazione francese era quello di creare una classe dirigente locale, che sarebbe stata utilizzata come strumento per imporre lautorit dei colonizzatori, attraverso una graduale rimozione delle strutture tradizionali di potere, sostituite da istituzioni ispirate al modello della madrepatria. Anche lamministrazione inglese aveva come scopo lassimilazione delle popolazioni delle colonie, ma il mezzo attuato differiva da quello francese, perch si tentava di raggiungerla attraverso la collaborazione delle popolazioni locali. La Gran Bretagna applic nelle sue colonie un tipo di amministrazione indiretta, chiamata indirect rule, che prevedeva limpiego delle autorit

tradizionali e la sopravvivenza di istituzioni di tipo tributario e comunitario. Il mantenimento in vita delle istituzioni tradizionali celava lobiettivo di governare pi facilmente le popolazioni colonizzate. Lambiguit dellindirect rule consisteva nel fatto che, se da una parte era stato concepito come un sistema che avrebbe utilizzato come mezzo di sviluppo degli indigeni le loro stesse istituzioni, dallaltra si tradusse in un processo di acculturazione delle nuove lite locali, che interiorizzarono ben presto le pratiche e i valori occidentali, perdendo al contempo il consenso tradizionale. Lantropologia ha in molti casi appoggiato questultimo sistema, preferendolo al sistema francese di assimilazione. Ad esempio Malinowski, esponente di spicco dellantropologia funzionalista, espresse il suo accordo con i principi del sistema di amministrazione inglese, affermando che il direct rule presuppone che si possa creare di colpo un ordine interamente nuovo, mentre lindirect rule riconosce che nessuna rapida trasformazione realizzabile, che di fatto ogni sviluppo sociale molto lento e che infinitamente meglio realizzarlo mediante un cambiamento lento e graduale proveniente dallinterno. La nascita dellantropologia applicata Dopo leuforia della seconda met del 19 secolo, che vide trionfare lidea della missione civilizzatrice, i due imperialismi iniziarono ad incontrare le prime difficolt. Scoppiarono infatti resistenze e tumulti in molti paesi africani che fecero sorgere il problema della gestione del potere coloniale e condussero ad un generale ripensamento delle teorie evoluzioniste. Si inizi a dubitare anche della validit del principio, fino a quel momento ritenuto indiscutibile, secondo cui la societ occidentale rappresentava il modello universale di civilt. Durkheim si inser nel dibattito, affermando che la parola civilt ha per noi un valore unico. Noi non concepiamo che delle Nazioni possano svilupparsi parallelamente, seguendo delle forme sociali e politiche differenti. Parallelamente a questi dibattiti e ripensamenti circa il paradigma evoluzionista, in campo antropologico era nata una nuova corrente che avrebbe dominato gli inizi del 20 secolo, conosciuta col nome di funzionalismo. Lantropologia funzionalista oper fin dallinizio allinterno dellideologia evoluzionista, partendo dalle difficolt del colonialismo. Vi erano alcuni elementi che distinguevano la nuova antropologia da quella dellepoca vittoriana: innanzitutto nasceva, o meglio si rafforzava, la distinzione tra antropologo da camera e ricercatore sul terreno. Questultimo, da un ruolo semplicemente informativo, divenne antropologo a tutti gli effetti. In secondo luogo, mentre gli antropologi evoluzionisti si identificavano con la societ occidentale, approvandone le pratiche coloniali, lantropologia contemporanea si costru attraverso una critica, anche se pur limitata e parziale, della colonizzazione, assumendo una posizione di autonomia rispetto allideologia coloniale. Infine, se lantropologia vittoriana approvava la societ industriale e i suoi benefici, i funzionalisti criticavano fortemente il carattere inumano del progresso tecnico che, a loro avviso, portava tutti gli esseri umani a comportarsi in modo omologato e rappresentava una minaccia alla sopravvivenza dei valori spirituali ed artistici. merito di Malinowski, uno dei primi ricercatori sul campo, laver spostato lattenzione dellantropologia sulle culture altre. Affrontare altre culture era per lui un modo per affrontare la propria. E per capire veramente una cultura era necessario soffermarsi in loco a lungo, diventarne parte. Secondo Malinowski, era certamente preferibile il sistema dellindirect rule, lunico in grado di

funzionare, in quanto avrebbe permesso un controllo dei nativi mediante la loro stessa organizzazione. In tal senso lo sviluppo sociale procede molto lentamente e tramite un graduale mutamento dellinterno, non trascurano il ruolo fondamentale dellantropologia, che offre le informazioni sui nativi che luomo bianco controlla pur affidando loro il compito di svolgere gran parte del proprio lavoro. Fu a partire dalla volont degli antropologi funzionalisti di applicare le loro conoscenze, pi complete e approfondite, alla politica amministrativa coloniale, che lantropologia divenne, negli anni 30 e 40 del Novecento, scienza applicata. Tuttavia in molti casi gli antropologi divennero complici del potere coloniale, sostenendo la politica di dominio e sfruttamento economico delle potenze coloniali. Nel caso dellInghilterra molti dei suoi antropologi lavorarono nelle colonia fino agli anni 60 come funzionari amministrativi. La Francia invece utilizz lantropologia come strumento di mediazione culturale, necessaria per poter svolgere in modo adeguato il lavoro di tutela dei sudditi africani, che sarebbero dovuti divenire in breve cittadini francesi attraverso un intenso processo di assimilazione. Se nel periodo vittoriano la principale preoccupazione dellamministratore era la civilizzazione delle societ primitive, a partire dagli anni 30 divenne la produttivit economica delle colonie. Leconomia delle societ tradizionali era prevalentemente di sussistenza e la quantit di prodotto destinato allo scambio era irrisoria. Al fine di sviluppare uneconomia di mercato, era perci necessario agire a livello di valori e cultura delle popolazioni locali, modificandone gli aspetti pi arretrati e promuovendone unevoluzione in senso moderno. LOccidente dunque abbandon la missione della civilizzazione per abbracciare la teoria del cambiamento culturale, o dellacculturazione. Il colonialismo come acculturazione Il concetto di acculturazione generalmente inteso nel senso di un passaggio di istituzioni, pratiche o credenze da una cultura, o societ, ad unaltra. A partire dagli anni 30, lantropologia inizi a percepire il colonialismo come forma di choc culturale, di contatto culturale, di acculturazione, anzich come forma di dominio. Ne 1938 Malinowski proclam luniversalit e il carattere continuo del cambiamento culturale, visto come un fattore permanente della civilt umana, e dimostr come fosse preferibile studiarlo in societ non occidentali, in quanto realt lontane che consentivano di osservare loggetto di studio in modo pi distaccato. La dominazione coloniale consentiva cos allantropologo una continua sperimentazione in una sorta di laboratorio in cui i processi erano pi rapidi, facilmente visibili. Ma in cosa consisteva in concreto il processo di acculturazione? Lintrusione coloniale caus vere e proprie situazioni di crisi, tensioni e conflitto presso le popolazioni dei paesi colonizzati. La crisi si manifest a vari livelli: psicologico, sociale e religioso. Dal punto di vista psicologico sono stati osservati casi di tensione psichica, depressione, demoralizzazione etc. Dal punto di vista sociale invece frequenti furono i fenomeni di crollo del sistema di valori, dei rapporti tradizionali e delle gerarchie, desiderio sfrenato di ricchezze, corruzione dei costumi sessuali e morali. Infine dal punto di vista religioso emersero casi di diffidenza verso il sistema religioso tradizionale, o al contrario, lesaltazione di questo con forme di neo-tradizionalismo, laggravarsi dei fanatismi, o la secolarizzazione, con labbandono di ogni forma di religiosit, sia tradizionale

che importata dalloccidente. La famiglia tradizionale sub dei duri colpi a causa dellimpatto con la cultura occidentale. La poligamia, presente presso alcuni popoli, venne bandita dalla nuova legge. Il concetto tradizionale di giustizia venne scardinato, come anche il sistema di diritto consuetudinario, e lo stesso accadde al sistema politico arcaico, basato sul culto degli antenati. Vennero esportati sistemi educativi e di formazione occidentali, che servirono soprattutto per indottrinare le lites locali che avrebbero governato nel periodo post-coloniale. I due principali modelli educativi furono quello francese e quello inglese. Il primo prevedeva linsegnamento della lingua e della cultura francese. Il modello scolastico inglese invece formava soprattutto i figli dei capi locali, in quanto si riteneva che la scuola pubblica non fosse adeguata alle esigenze educative degli africani. Nelle colonie inglesi la maggior parte delleducazione era affidata ai missionari, i quali insegnavano nella lingua locale. In entrambi i casi, comunque, i sistemi educativi creati dagli Europeo servirono a formare un nuovo ceto di intellettuali e professionisti i quali, una volta appresi i modelli e i valori occidentali, alla fine del colonialismo si posero il problema di dare un legittimit storica e politica alle proprie ambizioni di accesso al potere e alla leadership. Uno dei fattori che comport conseguenze catastrofiche per le societ tradizionali fu lurbanizzazione. Ogni cultura reag a modo proprio a questo incontro con lOccidente e vi fu unestrema variet di risposte, a seconda del background culturale e della tipologia del rapporto. Semplificando, si possono individuare tre tipologie di reazione: rigidit culturale, debolezza o flessibilit culturale e plasticit culturale. Il primo tipo di reazione fu proprio di quelle culture che opposero forme di rifiuto al tentativo di assimilazione da parte della cultura Occidentale. La resistenza si attuava soprattutto nella forma di non-cooperazione. Le popolazioni, cio, cercavano di boicottare i progetti innovativi o le grandi opere infrastrutturali creati secondo i principi dellacculturazione occidentale. I casi di flessibilit culturale sono tipici di quelle popolazioni che, al contatto con lOccidente, abbandonarono la propria cultura e si lanciarono in una fanatica imitazione del modello straniero e dei suoi simboli. Questa indiscriminata imitazione della cultura occidentale costitu spesso una fase transitoria del processo di acculturazione. Tra i poli estremi, si situa la maggioranza dei casi di plasticit culturale. Per plasticit si intende la capacit delle culture tradizionali di sapersi adattare alla situazione di contatto con la cultura occidentale, mantenendo alcuni aspetti tradizionali della propria cultura e acquisendo quegli apporti culturali esterni che potevano essere utili. Si avvi pertanto un processo di reintegrazione, riorganizzazione e rinnovamento della cultura, che port ad un adattamento tra le due culture. In alcuni casi gli effetti culturalmente positivi hanno offerto alle societ indigene nuovi valori e nuove forme di civilt, e ne hanno dimostrato la vitalit e la capacit di sapersi rinnovare, pur mantenendo il loro retaggio tradizionale. In conclusione, in tutti i casi, anche in quelli di apparente rifiuto netto, limpatto con la cultura colonizzatrice ha comportato profonde modifiche nelle strutture tradizionali africane e ha diffuso una mentalit di tipo occidentale, in particolar modo tra le nuove lites.

LANTROPOLOGIA SOCIALE BRITANNICA E LA SCUOLA DI MANCHESTER


Le premesse teoriche dellantropologia sociale britannica Con lespressione Scuola di Manchester si indica quel particolare indirizzo di studi di antropologia sociale che ebbe il suo centro propulsore nellUniversit di Manchester negli anni 50 e 60 del secolo scorso e che trov significativo avvio teorico e applicativo presso il Rhodes-Livingstone Institute. Le peculiari teorie e metodologie della scuola di Manchester devono essere considerate in relazione con i magisteri, prima di Malinowski e di RadcliffeBrown, e successivamente di Evans-Pritchard e Fortes. MALINOWSKI (1884-1942) la sua teoria culturale prende il nome di funzionalismo in quanto lanalisi tenta di definire la relazione fra unazione culturale e un bisogno umano, e pertanto pu essere chiamata funzionale. Vengono cos individuati i bisogni primari o fondamentali, vale a dire le condizioni ambientali e biologiche che debbono essere soddisfatte per la sopravvivenza dellindividuo e del gruppo; e i bisogni secondari, derivati dai primi in termini di progressiva complessit (per es. leconomia, la conoscenza, la religione, la legge, leducazione, larte). RADCLIFFE-BROWN (1881-1955) defin il principale modello teorico dellantropologia britannica della prima met del Novecento, noto con il nome di struttural-funzionalismo. Termine chiave dellimpianto teorico dellantropologo anglosassone era quello di struttura sociale, cui si aggiungono quelli di organizzazione sociale intesa come coordinazione delle attivit di due o pi persone, fatta in modo da dar luogo ad unattivit unitaria combinata; e di funzione quale contributo che unattivit parziale d allattivit totale di cui fa parte. Questa concezione implica che un sistema sociale (lintera struttura sociale di una societ, insieme alla totalit dei costumi sociali in cui si manifesta la struttura su cui la struttura si basa per la propria esistenza continuata) ha una certa unit, che possiamo definire come funzionale. Lantropologo distingueva tra la struttura e la forma sociale: la prima rilevabile concretamente nei rapporti tra gli individui e quindi soggetta a cambiamento, la seconda, invece, astratta da contesto e, pertanto, tendenzialmente stabile. In questa prospettiva, lantropologia configurata come scienza naturale della societ vedeva definire il suo problema nello studio dei meccanismi di conservazione delle strutture sociali piuttosto che del loro cambiamento. EVANS-PRITCHARD (1902-1973) e FORTES (1906-1983) docenti rispettivamente nellUniversit di Oxford e di Cambridge, introdussero una marcata attenzione per il mutamento sociale anche mediante considerazioni della dimensione temporale. Loriginalit dellimpostazione appare particolarmente evidente, ad esempio, nella prima delle monografia che Evans-Pritchard dedic alla popolazione dei Nuer. I Nuer, abitanti le regioni meridionali del Sudan e dediti prevalentemente alla pastorizia, erano organizzati in una societ senza autorit centralizzata, n organi governativi, n istituzioni legali. Una societ acefala, pertanto, che si presentava nei termini di una anarchia ordinata. Essa era articolata sui livelli, a vario grado interrelati fra loro, dellorganizzazione territoriale, dellistituzione della parentela e delle classi di et e condizionata dalle condizioni ecologiche del territorio. Lattenzione posta su tali tipi di strutture sociali comportava una concezione delle dinamiche sociali alquanto diversa da quella un po statica proposta da Radcliffe-Brown. La societ segmentaria si presentava non pi come un organismo genericamente costituito da parti in equilibrio, ma come un insieme sottoposto a due opposte tendenze:

lautonomia stessa dei segmenti e il mantenimento dellunit funzionale. Lesperienza del Rhodes-Livingstone Institute e la scuola di Manchester Veniva dunque affermandosi un metodo di indagine basato sul case study, pi adatto alla descrizione e comprensione della mutevole e complessa realt socioculturale osservata in Africa centrale rispetto ai tradizionali metodi di analisi. In tal senso, alcune delle ricerche pi importanti si focalizzavano su un evento particolare ben delimitato nel tempo e nello spazio e utilizzato come chiave di lettura del pi ampio contesto socioculturale. Inoltre, il case study poteva essere esteso nel tempo e nello spazio, sino a giungere alla realizzazione di studi pi complessi articolati sulla realt urbana vista nel suo insieme e alla definizione di metodi di studio centrati sulla network analysis. WILSON - Primo direttore del Rhodes-Livingstone Institute, realizz un importante studio sulla cittadina di Broken Hill nella Coperbelt. La ricerca condotta sui ceti sociali registr lo sconvolgimento degli assetti sociali tradizionali e il significativo fenomeno dellinurbamento di popolazioni un tempo rurali, con conseguenti vistosi cambiamenti nellassetto sociale delle campagne. Allinterno della dimensione cittadina, Wilson rileva atteggiamenti culturali denotanti una volont di assimilazione ai modelli europei da parte delle popolazioni autoctone, per esempio nel modo di vestire e nella vita ricreativa; e nel contempo laffermazione di modalit di vita diverse da quelle tradizionali: lambito matrimoniale, per esempio, risultava fra quelli pi pesantemente stravolti dallazione occidentale nella regione. GLUCKMAN - Sudafricano di origine in qualit di secondo direttore dellInstitute, si concentr sulla dinamica del conflitto come elemento di regolazione sociale: Per prima cosa, le dispute nascono tra gli uomini perch essi vivono insieme nella societ. In secondo luogo, ogni societ possiede una serie di norme che determinano la forma che queste dispute devono prendere. Terzo, in certo misura le norme controllano e incanalano le dispute per mezzo dei conflitti di lealt cos che, nonostante le ribellioni, lo stesso sistema sociale viene ristabilito su di unarea pi vasta di vita comunitaria e per periodi di tempo lunghi. Nel corso della sua attivit di studioso, il tema del conflitto perverr a una sistemazione concettuale analitica: riserver il termine lotta a quegli eventi le cui origini sono pi profonde e basilari, e il termine conflitto per le contraddizioni nodali del sistema. Preferir usare il termine pi comune di contraddizione per quei rapporti che portano inevitabilmente a un mutamento radicale del modello di struttura. Viceversa sono daccordo nel riferire i termini cooperazione ai rapporti di superficie tra individui o attivit collegate, il termine solidariet a interrelazioni pi profonde e il termine coesione ai principi di base che unificano il sistema del campo sociale. MITCHELL - impiegava e problematizzava i concetti di stratificazione, classe, trib e tribalismo. Concetti che ebbero grande importanza allinterno dellintera tradizione della Scuola di Manchester: quando parliamo di trib denotiamo un gruppo di persone legate tra loro in un particolare sistema sociale. Quando invece parliamo di tribalismo nelle citt, ci riferiamo a una suddivisione degli individui secondo la loro appartenenza a certe categorie, definite secondo criteri etnici. Il tribalismo, inteso quindi come categoria di interazione allinterno di un sistema pi vasto, e il prestigio, quale altra categoria di mediazione dei rapporti sociali, vanno a configurare in senso specifico tutte le situazioni sociali di interazione in un ambiente urbano di una societ in transizione. EPSTEIN (1924-1999) - sostiene che i mutamenti nelle citt si ripercuotono e

incidono profondamente sulla vita dei villaggi: al tempo stesso linfluenza delle campagne sulle citt continua e molto forte. Su questo assunto, il tribalismo si configura come categoria significativa di interazione nei rapporti sociali quotidiani degli africani. Lafricano che arriva in citt gi parte di un complesso reticolo (network) di rapporti sociali che trova la sua origine nel sistema tribale: porta con s certi modelli di comportamento, valori e atteggiamenti ai quali continua a fare riferimento una volta stabilito in citt. Le associazioni personali si concretizzano sulla base della parentela e della comunanza della lingua. Il tribalismo fornisce la struttura allinterno della quale si organizzano i rapporti interpersonali tra gli africani. TURNER (1920-1983) i conflitti tendono a seguire un percorso, a ripetere una forma, a esplicitarsi secondo modelli socialmente riconosciuti e accettati. In tal senso si pu parlare di dramma sociale, cio di esplosioni di conflittualit che si presentano in forma di processo a pi fasi, in particolare quattro: 1. Avviene linfrazione dei normali rapporti sociali, regolati da norme tra persone o gruppi allinterno dello stesso sistema 2. Allinterruzione dei normali rapporti sociali, segue una fase di crisi montante, durante la quale, a meno che si riesca a soffocare il conflitto rapidamente, allinterno di una cerchia limitata di rapporti sociali, c la tendenza a un allargamento della crisi fino a sovrapporsi ad alcuni dei conflitti dominanti nei rapporti sociali pi allargati nei quali rientrano i gruppi contendenti 3. Per limitare lestensione del conflitto, vengono rapidamente messi in moto alcuni meccanismi riparatori e correttori, formali o no, da parte dei membri pi importanti del gruppo sociale che conta 4. La fase finale consiste nella reintegrazione del gruppo sociale attraversato dalla crisi o nel riconoscimento sociale dellirreparabilit dellinfrazione tra le parti contendenti. Il rilievo accordato da Turner alla dimensione rituale della vita sociale conferiva ad essa un ruolo di meccanismo regolatore di un conflitto sociale permanente ed in particolare a questa direzione di analisi si sarebbero volte le ricerche successive. Lantropologia sociale britannica e il colonialismo Il problema che si pu osservare in tutta la sua contraddittoriet ancora una volta quello dellambigua relazione tra antropologia e colonialismo. Di fatto, antropologi come Malinowski e Radcliffe-Brown, come non pochi dei loro predecessori, erano pienamente e in buona fede convinti della bont dellimpresa coloniale perch, pur non negando gli eccessi e gli orrori che ne scaturirono, questa poteva condurre a un pi alto livello di civilt, e quindi di benessere sociale, le popolazioni amministrate. Lo stesso Evans-Pritchard non era di opinioni molto diverse. Per quanto concerne la scuola di Manchester, la questione si fa pi complicata. Pensiamo in particolare agli attacchi sferrati da Magubane allintera tradizione del Rhodes-Livingstone Institute. Secondo questo studioso, gli antropologi avrebbero dimostrato debolezza nei confronti della realt coloniale, se non proprio ignorandola, privilegiando questioni che non entravano in conflitto con le logiche del potere coloniale.

Capitolo 2: Lo sviluppo tra approcci teorici e prospettive


IL DIALOGO SULLO SVILUPPO FRA ANTROPOLOGIA ED ECONOMIA
Il dibattito fra antropologia ed economia prese il suo avvio dallinteresse degli

economisti del 18 secolo che, di fronte ai fermenti provocati dalla Rivoluzione industriale, iniziarono a riflettere, in forma comparativa sui rapporti di sussistenza e di scambio delle societ primitive e sui rapporti di mercato che le nuove societ industriali andavano sviluppando. Lanalisi della vita economica delle societ primitive si riduceva ad una descrizione di quelle attivit di sussistenza che costituiscono con la parentela, e con la reciprocit degli scambi, lorganizzazione delle societ primitive. Nella tradizione antropologica la interpretazione riduttiva di economia dei selvaggi o di economia dei popoli primitivi, verr smentita di fatto da Malinowski. Il riconoscimento di un valore economico ad uno scambio cerimoniale e rituale che Mauss ripropone di kula, di un dono, di una reciprocit attesa che rappresenta, forse, il primo confronto ufficiale fra antropologia ed economia. Il prestigio del kula si accompagna dunque al senso economico. I tipi di transazioni legati al kula sono: - scambio fra i capi (grande kula che avviene nellambito delle isole della Melanesia, circa 20) - scambio fra abitanti delle isole, di pari condizione sociale, conoscenti o affini, appartenenti a villaggi diversi, secondo i principi delle alleanze (gimwali) - scambio fra capi e abitanti, nellambito di uno stesso villaggio Alla dimensione economica di questi scambi si aggiunge, come indicato, la dimensione sociale data dagli incontri, dalle alleanze, dalla molteplicit di significati che la circolazione di bracciali e collane viene ad assumere. Le considerazioni di Mauss guidano verso una interpretazione secondo la quale lantropologia economica non un campo di ricerca specifico, e soprattutto non isolabile da un contesto sociale pi ampio. Cercando di sintetizzare gli approcci teorici dei principali protagonisti di questa diatriba incontriamo: - lapproccio formalista, chi si basa sulla razionalit dell homo oeconomicus che valuta secondo il rapporto costo/beneficio e mezzi/risultati landamento di una economia di mercato basata sulla circolazione della moneta - lapproccio sostantivista o sostanziale, legato alla teoria funzionalista decisamente volto ad una accettazione del comportamento economico radicato in un contesto culturale e lontano dalle teorie delleconomia politica adattabili esclusivamente ad una economia capitalistica e di mercato i formalisti pi vicini ai sostantivisti, sono gli antropologi sociali i quali ritengono che il comportamento economico sia guidato dal sociale. Di questi fa parte Firth, che si lega in sociologia a Parsons e che, come Parsons, riconosce in Malinowski il creatore dellantropologia economica. Per Firth le strutture sociali tradizionali si rivelano funzionali alla mobilitazione delle risorse. Egli definisce leconomia primitiva e leconomia del nucleo familiare come specie di uno stesso tipo, non dominate dal mercato. Potremmo definirla una economia di comunit che mantiene un interessante ruolo ancora oggi nel ri-pensare lo sviluppo. In realt, a ben vedere, il solco fra i due approcci non cos netto come pu apparire, perch nessuno nega la comprensibilit dei fatti economici, se non inserita nei fenomeni sociali. Si tratta solo di operare con scelte di tipo deduttivo o induttivo. POLANYI (1886-1961) si colloca in una posizione di sintesi fra lantropologia e leconomia, nella sua analisi storica-economica il rispetto per le culture altre si

lega alla determinazione che i modelli economici non sono n universalistici, n etnocentrici e che leconomia occupa spazi diversi nelle diverse societ e, anche nella medesima societ, muta la propria collocazione. La sua attenzione, volta contemporaneamente allinterazione fra uomo e ambiente e al mutamento che ne deriva, lo port ad una distinzione fra movimento ubicativo (attivit di produzione) e movimento appropriativo (attivit di transazione e cessione). Gli esseri umani svolgono un ruolo fondamentale: prodigano energie nel lavoro e cedono ci che possiedono e la propria attivit nel corso di un processo che, in ultima analisi, serve per la loro sopravvivenza. Polanyi indica tre principali forme di integrazione che non rappresentano per lautore stadi dello sviluppo, bens strutture elementari della circolazione dei beni con conseguenti modelli sociali. Queste sono: la reciprocit (tipico di gruppi con spirito comunitario), la redistribuzione (tipica di societ centralizzate), e lo scambio (presenza del mercato); a queste se ne aggiunge una quarta, rappresentata dalleconomia domestica, tipica di una autarchia tendente allautosufficienza. Un altro aspetto dal quale non possibile discostarsi quando si cerca di almeno sintetizzare la complessa area di interesse dellantropologia economica quello che concerne le alleanze sociali. Reciprocit e alleanze sono linizio della vita associata e divengono nel corso della vita di relazione elementi sostanziali. La reciprocit generalizzata, indicativa di un dono che non vuole essere ricambiato (altruismo puro) ha, al suo opposto, la reciprocit negativa nella quale predomina laspetto materiale (le parti sono nemiche fra loro e ognuna cerca di ottenere il massimo senza dare nulla). Esiste fra questi due estremi una situazione intermedia definita della reciprocit equilibrata nella quale la mutualit indica un interesse personale reciproco e una amicizia bilaterale. Questa rappresenta la tipologia pi economica. Se gli amici fanno regali, i regali fanno gli amici la fondamentale funzione strumentale presente soprattutto negli scambi primitivi pi che negli odierni scambi. Il flusso materiale dunque garantisce o d inizio a rapporti sociali. Muta cos lipotesi che la societ primitiva, quella di caccia e raccolta, fosse una economia di penuria. I popoli di cacciatori/raccoglitori, non hanno fini economici superiori alle loro possibilit materiali, cio mezzi strumentali, e nella loro vita non si sentono poveri. Il contatto con una civilt diversa crea nuovi bisogni che la loro economia non in grado di soddisfare. questa la linea di pensiero che lantropologia traccia nellapproccio economico al problema dello sviluppo e del contatto, o meglio della contaminazione culturale. La nozione di mercato spesso assunta come elemento di frattura tra lapproccio economico e quello antropologico nello studio delle societ ma permane la quasi assoluta certezza della presenza gerarchizzata di un criterio ritenuto economico anche in assenza di mercato. Appare infatti universalmente riconosciuta una logica come se fosse strutturalmente inserita nel pensiero delluomo.

IL CONTRIBUTO DELLANTROPOLOGIA ECONOMICA ALLO SVILUPPO: FUNZIONALISMO E MARXISMO


Societ primitive, divenute nel tempo Paesi in via di sviluppo, rappresentano uno dei campi di analisi e di studio pi controversi e, forse per questo, pi stimolante per sociologi, antropologi, economisti. Il vasto settore che si apre conduce alla scelta, pur se limitata, di due principali correnti di pensiero dellantropologia che

meglio rappresentano gli approcci teorici e metodologici al tema dello sviluppo. Lantropologia economica di stampo funzionalista Due sono gli autori ai quali necessario fare riferimento per lantropologia funzionalista, che in Inghilterra si afferm anche come antropologia sociale: Radcliffe-Brown e Malinowski. Il primo dei due autori divenne capostipite di una scuola di pensiero anglosassone, proprio a seguito della partenza di Malinowski per gli Stati Uniti. Un parallelismo lega i due antropologi: le istituzioni economiche sono infatti strutture funzionali per Radcliffe-Brown, e risposte funzionali destinate a soddisfare i bisogni delluomo per Malinowski. Questultimo, attraverso lanalisi funzionale di ogni aspetto della cultura, era riuscito a conferire una oggettiva scientificit alle discipline sociali, e in particolare allantropologia culturale. noto come questa scuola antropologica si contraddistingua per la predilezione nei confronti di una ricerca sul campo e di un contatto diretto con i fenomeni culturali: solo losservazione partecipante, infatti, permetterebbe allantropologo di coglierne appieno il senso. Lopera celeberrima di Malinowski Argonauti del Pacifico Occidentale incentrata sulla descrizione di uno scambio cerimoniale noto col nome di kula. Questa pratica, per diversi aspetti vero e proprio rituale, consiste in uno scambio di collane e conchiglie rosse e braccialetti di gusci bianchi, che arriva a coinvolgere spazialmente isole e arcipelaghi anche molto distanti tra loro. Sulla base dello studio di questo fatto sociale, Malinowski pu confutare la tesi circa lesistenza di un comunismo primitivo, ovvero lincarnazione nei selvaggi di un moderno homo oeconomicus. Da qui deriva una delle idee cardine del funzionalismo: ogni fenomeno culturale assolve specificatamente ad una funzione, in questo caso non solo la tutela e il rinvigorimento dei rapporti tra individui o gruppi, ma anche la possibilit di praticare scambi di beni economici, seppur dimportanza subordinata. La realt oggetto danalisi hanno descritto un sistema organico forse inatteso: incontro tra realt economiche eterogenee permetteva alle comunit economicamente autosufficienti, quanto alla sussistenza primaria, di scambiare eventuali sovrapproduzioni con produzioni di tipo mercantile, cos da ottenere quei prodotti che non potevano essere fabbricati autonomamente. Le varie forme di integrazione generate da questo tipo di fenomeni risultavano essere, nella pratica, sostanzialmente equilibrate, sebbene la posizione ricoperta dai sistemi mercantili rimanesse sullo sfondo. Le caratteristiche alla base del dono come fatto sociale restavano, infatti, inalterate: il precetto convenzionale del dare ricevere ricambiare, tripartizione che suggella quel principio di reciprocit descritto da Mauss, non veniva minimamente scalfito dalla contaminazione tra tipi di economia anche differenti. Per Radcliffe-Brown, a differenza di Malinowski, non tanto la cultura che assolve la funzione di rispondere ai bisogni delluomo, quanto la organizzazione strutturale della societ. Losservazione attenta degli abitanti delle isole Andamane, sulla costa della Birmania, permette di riscontrare una divisione naturale del lavoro, che risponde alle capacit fisiche e psichiche degli isolani, anche nel rispetto delle differenze di genere. I rapporti parentali sono, nel contesto pi esteso, lelemento regolatore della organizzazione economica. In generale, le relazioni strutturali che si stabiliscono fra i componenti della societ non mutano con il mutare della personalit o degli

individui stessi, in quanto sono le relazioni stesse ad essere il soggetto funzionale del sistema sociale. dallintegrazione sociale, stabilita tramite le culture, che prendono vita anche quelle componenti economiche, che contribuiscono a garantire lequilibrio e la continuit delle unit funzionali. Leconomia assume, per Radcliffe-Brown cos come per Malinowski, un significato funzionale, ed solo un diverso angolo visuale a rivestirla di un ruolo che, da un lato determina la produzione e la circolazione dei beni, dallaltro invece determinato dallo scambio e dalla produzione di beni e servizi. Il funzionalismo storicizzato di R.Thurnwald Muovendo da metodologie funzionaliste letnologo austriaco Thurnwald (18691954), propone un modello di cosiddetto funzionalismo storicizzato, e si preoccupa di eventuali effetti discorsivi causati da predisposizioni e personalit del ricercatore. Limportanza attribuita alla dimensione temporale nella conoscenza e nello studio dei fenomeni sociali diviene rilevante attraverso una relazione biunivoca: cos come le culture necessitano del proprio tempo di riferimento per essere colte nella propria interezza, allo stesso modo la riuscita dellindagine etnologica pu dipendere anche da una consistente regolarit temporale dellosservazione da parte delletnologo. Un approccio cos attento alla peculiarit di ogni cultura, permette ben presto a questo studioso di cimentarsi in unanalisi pi profonda dei sistemi economici. Il 1940 lanno di pubblicazione di Antropologia africana, dove viene affrontato il tema delle economie cosiddette arcaiche, entro le quali Thurnwald riconosce alleconomia primitiva il carattere effettivo di manifestazione culturale, e segmento assolutamente non trascurabile dellapparato fenomenologico sociale. In realt ci che rileva a seguito della comparazione tra economie primitive (dirette, poich sprovviste dello strumento della moneta, e ridotte quanto a dimensioni e relazioni produttive interne) ed economie acquisitive (scambi permessi dalla moneta e complesse interrelazioni tra vari settori produttivi), che le prime risultano arricchite da valori e logiche altre, di cui proprio leconomia di mercato risulta essere sprovvista, o meglio povera. Anche per questo autore la sfera economica delle popolazioni primitive si lega ai rapporti di parentela, e in queste societ esiste una economia parziale e collettiva, che riesce a preservare il singolo partecipe della comunit dalla fame. In altre parole come se nelle comunit non si riscontrasse alcun senso della miseria, pur essendo riconosciuta limportanza della ricchezza. Lantropologia economica marxista Linfluenza esercitata dal marxismo sul pensiero intellettuale occidentale non ha risparmiato lambito delle scienze sociali, letnologia in particolare. Losservazione partecipante e lapparato concettuale etnologico avevano privilegiato inizialmente una prospettiva danalisi sincronica, dando maggior rilievo alla struttura sociale e alla funzionalit delle istituzioni sociali. Cos le societ erano apparse esclusivamente come un fine in s, come un insieme integrato e stabile: da qui era scaturito linteresse di alcuni etnologi per leconomia, analizzata per attraverso categorie come il dono. In prima analisi sembrerebbe quindi essere esistito una sorta di incompatibilit tra ragione etnologica e pensiero marxista. Tuttavia, un buon numero di etnologi divennero col tempo sempre pi critici verso i presupposti teorici del funzionalismo, e ostili in particolare al netto rifiuto, fino a quel momento prevalente in dottrina, di considerare la storicit della societ umana, analizzata

nella sua universalit. Proprio la potente portata innovativa, scaturita da un mutamento storico come il processo di decolonizzazione, stimola con problematiche del tutto nuove i ricercatori, che ora non possono pi accontentarsi di considerare il loro oggetto di studio come vivente fuori dal tempo. Come noto il marxismo si era qualificato inizialmente come una filosofia della storia, incentrata sulla lotta di classe quale mezzo per superare le vecchie forme di societ. La peculiare prospettiva danalisi, applicabile anche al campo etnologico, quella materialista, secondo cui relazioni della produzione e forse produttive sono i fattori determinanti del gruppo sociale, e delle sue trasformazioni. La societ viene dunque studiata essenzialmente come un modo di produzione. La prima critica nei confronti dellapproccio antropologico classico si sostanzia contro il carattere smaccatamente euro-centrico, riscontrabile ad esempio nella gerarchia tracciata dallevoluzionismo. Gli esponenti francesi di questa nuova antropologia marxista si trovano cos a compiere percorsi diversi, senza mai formare una vera e propria scuola. In questi studi viene meno linteresse per lo studio dellevoluzione generale della societ, a vantaggio di unanalisi centrata sulla dinamica delle relazioni economiche e sociali allinterno di societ particolari, e sulla coesistenza di diversi sistemi di produzione in seno ad una stessa formazione economica e sociale, con riferimenti diretti al contesto coloniale o neocoloniale. Lantropologia di Meillassoux e Godelier e la situazione coloniale di Balandier Le istanze di giustizia sociale allorigine dei movimenti di decolonizzazione e, conseguentemente, le questioni politiche che queste sollecitano, hanno certamente rinvigorito linteresse per il marxismo. Meillassoux (1925-2005) e Godelier (1934) sono indicati come le figure di spicco dellantropologia di ispirazione marxista. Questi due teorici avanzano delle idee assai differenti sul legame che sussiste tra la dottrina di Marx e lo studio delle societ primitive, pur condividendo il medesimo interesse per il materialismo storico. Contrariamente a Godelier, per cui lantropologia marxista diverr nel tempo una sorta di esercizio teorico, Meillassoux si impone da principio come un ricercatore sul campo, interessato agli studi di africanistica. Egli si occupa delle trasformazioni contemporanee del mondo, e la sua antropologia viene definita come marxismo critico. Nell Antologia economica dei Gouros della Costa dAvorio, che Meillassoux pubblica nel 1964, si ha a volte limpressione che non riesca a dare un riscontro pratico alle implicazioni teoriche del proprio lavoro: se la traccia seguita essenzialmente marxista, egli prende le distanze dallinfluenza evoluzionista che aveva caratterizzato il primo marxismo. Non si rintracciano nellopera, infatti, riferimenti alle tappe dello sviluppo dellumanit nella sua generalit. Al contrario interesse diretto a una societ in particolare, ma ci non significa che Meillassoux faccia propria la visione sincronica tipica dellantropologia di tradizione classica. Infatti, prende per oggetto le trasformazioni peculiari delleconomia locale e la transizione da uneconomia di sussistenza a unagricoltura di tipo commerciale, rivolta in primis a soddisfare i bisogni del capitalismo, in un contesto che oggi definiremmo globale. Le trasformazioni della realt studiate non possono essere ricondotte esclusivamente al fenomeno del colonialismo. Parallelamente esiste, infatti, un processo interno di frammentazione sociale: le rivalit intestine, la stregoneria,

ladulterio, le guerre inter-tribali, costituiscono fonti di conflitto cui conseguono naturalmente migrazioni di popoli, piuttosto che trasformazioni sociali. In altre parole Meillassoux non riesce a vedere le societ come in un equilibrio in s: laccento viene posto sulle contraddizioni interne, smentendo in questo modo anche le ipotesi di una marcata rottura/distanza tra le diverse societ. La colonizzazione, tuttavia, sembra accelerare decisamente queste spaccature e trasformazioni insite nelle varie societ. Meillassoux non si accontenta di considerare i Gouro in una prospettiva diacronica, ma, in aperta antitesi con numerosi temi classici dellantropologia, sceglie come oggetto dei propri studi tutte le attivit connesse alla produzione e le conseguenti trasformazioni. Cerca anche di stabilire i legami che sussistono tra queste attivit e la riproduzione sociale allinterno della societ stessa. In altri termini il suo marxismo rifiuta lipotesi di una rottura radicale tra noi e le societ primitive, e sottolinea al contrario come ovunque, al di l del tempo e dello spazio, per cos dire dia cronicamente, relazioni di produzione e forze produttive determinino in realt la configurazione stessa della societ. Nonostante le prime intenzioni, egli non riesce affatto a fare a meno dellapproccio dindagine tipico del funzionalismo: in diverse occasioni continua a spiegare i fenomeni sociali pi disparati anzitutto in base alla loro funzione. Prima della colonizzazione, ogni comunit produceva beni di sostentamento che consumava, e il trasferimento di beni primari era quasi insignificante. Al contrario, altri beni erano oggetto di scambio: con i popoli vicini, per esempio, le relazioni di scambio non assumevano la forma di commercio, ma piuttosto quella di regalo, e gli oggetti scambiati erano spesso beni di prestigio legati allautorit degli anziani. In questo quadro di riferimento va collocata la particolare interpretazione che Meillassoux propone del sistema di lignaggio, da intendersi come la divisione in classi di et nei rapporti di produzione, basata sulla dipendenza dagli anziani dei giovani. Le classi di et vengono assunte come et sociali, poich determinano collocazione dellindividuo nella scala della successione generazionale. Let sociale dipende inoltre dai rapporti biologici: in buona sostanza si giovani fino a quando si viene considerati anzitutto come figli di un individuo. Meillassoux analizza questo sistema che definisce modo di produzione domestico, che oltre a rappresentare lessenza stessa della comunit domestica, risulta essere una peculiarit di gran parte delle societ agricole africane. Il modo di produzione lignatico altres unevoluzione storica del modo di produzione domestico, basato sulla regola per cui i giovani che prestano lavoro al servizio degli anziani ricevono, trascorso un certo periodo, una moglie in cambio. Quindi tutti gli uomini hanno, nel corso della propria esistenza, la possibilit di accedere sia alle donne, che ai mezzi di produzione sociale. In questo sistema pertanto consentito e regolato quel passaggio, nellarco di tempo di una vita, dalla categoria di sfruttati a quella di sfruttatori, che si sostanzia in un incessante processo di avvicendamento tra giovani e anziani. evidente come questo tipo di relazioni economiche non possano riassumersi in rapporti propriamente mercantili, e tutto ci non crea un pericolo per le basi strutturali della societ. Leconomia coloniale modificher profondamente questo equilibrio: lavoro forzato, interdizione, regolamentazione, spostamento di popolazioni sovvertiranno prepotentemente lorganizzazione tradizionale. Decisamente meno legato allortodossia marxista, Godelier si sofferma sulla interpretazione strutturalista e tenta una fusione tra marxismo e strutturalismo.

Egli prende le mosse dalle relazioni di parentela che considera realt sui generis, cos come Durkheim aveva detto della societ, e cos come, strutturalmente, Lvi-Strauss pone alla base di ogni modello sociale. La solidariet che, a partire dalle parentele, mantiene il gruppo sociale si accompagna a una reciprocit generale che contraddistingue i processi produttivi. Ne deriva che societ nelle quali la parentela riveste un ruolo strutturale sono societ prive di classi, quindi prive di conflitti. Lunica ineguaglianza radicata, sempre presente, quella che oppone le donne agli uomini. Nel 1955 la pubblicazione di Sociologie actuelle de lAfrique noire attribuisce di colpo a Balandier il ruolo di caposcuola di una nuova antropologia, definita dinamistica o dinamica, che prosegue idealmente quella scia tracciata dalla scuola di Manchester. Questo nuovo approccio prendeva le mosse da una prospettiva che potesse cogliere simultaneamente storia, contraddizioni e trasformazioni sociali, al contempo endogene alla societ studiata, quanto esogene, cio derivanti dal fenomeno coloniale. Proprio Balandier si dedica alla definizione di situazione coloniale, intendendo cos il dominio imposto da una minoranza straniera razzialmente e culturalmente diversa, in nome di una superiorit razziale (o etnica) e culturale affermata in maniera dogmatica, a una maggioranza inferiore dal solo punto di vista materiale. Questa nuova corrente antropologica si propone di costituire unantropologia economica e politica dellAfrica moderna, contribuendo direttamente alla presa in considerazione dei problemi dello sviluppo. La fine della guerra fredda, e il fallimento tanto morale che economico di certe neonate nazioni del cosiddetto Terzo Mondo, hanno fatto per perdere al marxismo pi ortodosso e alle sue declinazioni politiche buona parte di credibilit.

DALLO SVILUPPO SOSTENIBILE ALLA DECRESCITA


Stadi e forme dello sviluppo Fra le numerose formulazioni socio-antropoligiche non trascurato in alcun caso un andamento di tipo evoluzionista. Il percorso del cammino delle societ umane nel pensiero puro degli autori evoluzionisti del 19 secolo si svolge da uno stadio primitivo, fino alla civilt, passando per la barbarie. La rigorosa interpretazione economicista di Rostow (1916-2003), segue landamento dei precursori e articola in cinque stadi il processo dello sviluppo: societ tradizionali; precondizioni per la crescita; decollo della crescita; percorso verso la societ matura; et di elevati consumi di massa. La previsione di una crescita trova una sua conferma anche nellanalisi di Organski. Questi, infatti, pochi anni dopo la pubblicazione del volume di Rostow sugli stadi dello sviluppo economico, propone quattro stadi di modernizzazione che paiono prendere le mosse a partire dal secondo stadio di Rostow: unificazione primitiva (un unico governo centrale che favorisce lunificazione economica); industrializzazione; welfare state; stadio dellabbondanza. Entrambe queste teorie, con una progressione temporale diversa, si basano sul principio che il mutamento sociale che porta alla modernizzazione come concetto pi ampio di sviluppo implichi un andamento progressivo di passaggi da societ agrarie tradizionali a societ industrializzate. Organski si concentra su due concetti principali: quello di sviluppo economico e di sviluppo politico. Ma lo sviluppo si lega anche inevitabilmente a quelle che sono le politiche dello

sviluppo messe in atto con uno spirito donativo pi che partecipativo e che non tengono conto di elementi referenziali delle realt considerate. Non sono sufficienti gli sforzi e le strategie posti in atto dalle comunit internazionali per risolvere quelli che sono considerati i problemi dei paesi del Terzo mondo: interventi umanitari, diplomazie, accordi internazionali. sulla figura del ricevente pi che su quella del donante, ed sulle procedure di inserimento nei contesti locali che lantropologo di oggi, cos come ogni tipo di cooperatore, presta la propria attenzione per individuare strategie di sviluppo che, nel rispetto di una alterit condivisa non siano lesive dei diritti umani. Unattenta riflessione, maturata dopo una ricerca in Kosovo, porta Mariella Pandolfi a sottolineare la responsabilit che si deve assumere nei confronti dellintervento umanitario che, muovendosi come una sovranit mobile, diventa un nuovo soggetto sociale. Ci avviene con la saggia avvertenza che il futuro preveda un annullamento delle differenze fra paesi industrializzati, sviluppati e paesi poveri, in via di sviluppo sia per ricchezza sia per consumi e per investimenti. Si eliminerebbero cos le differenze fra i principali indicatori sociali: reddito procapite, tasso di disoccupazione, scolarizzazione, salute, speranza di vita e alimentazione. Ancora non appare chiaro il ruolo che gli attori dello sviluppo devono assumere. Forse proprio dai modelli alternativi che pu uscire una sintesi valida. Lo sviluppo sostenibile Il primo riferimento allo sviluppo in una accezione moderna solitamente attribuito al discorso del presidente Truman del 1949, ma a partire dagli 70 che lo sviluppo divenne un problema e si cominci a comprendere che la riflessione non avrebbe dovuto coinvolgere solamente leconomia, ma anche e soprattutto il fattore umano, sociale e ambientale. Si avviarono cosi nuove proposizioni per lo sviluppo e si affermarono nuove correnti di pensiero. Intorno agli anni 80 la conseguenza di un nuovo impegno ai problemi dello sviluppo, fu lattenzione volta alle tematiche ambientali, anche da parte degli organismi internazionali, diretta a ricercare una compatibilit tra sviluppo economico ed esigenze ambientali. Nel 1987 il rapporto redatto dalla Commissione Brundtland per le Nazioni Unite propone una modalit dello sviluppo tale da assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente e la possibilit di non contro mettere le aspirazioni per le generazioni future. Questo passo verso lo sviluppo sostenibile stato il principio ispiratore di una serie di incontri internazionali (Rio de Janeiro, Kyoto, Genova, Johannesburg, fino ai pi recenti incontri dei G7 e G8) che sempre pi avvertono lemergenza legata alla compatibilit ambientale e alla sostenibilit dei processi di mutamento climatico e di modificazioni della natura. Le medesime prospettive si scontrano con una serie di accadimenti naturali che paiono voler interdire linterferenza delluomo sullambiente. Lattenzione che lantropologo deve rivolgere a tali rischi si accompagna ad una serie di altri pensieri legati alle componenti umane, e in particolare alla perdita dei riferimenti culturali e identitari, privazioni che rischiano di degradare luomo in una irreale conformit consumistica e mediatica tipica di un nuovo modello di capitalismo che letnocentrismo occidentale. Lantropologia pu trovarsi coinvolta direttamente nel processo di difesa e di potenziamento dei sistemi tecnico-culturali degli indigeni. dunque nella ricerca di una sempre pi necessaria interdisciplinariet che possibile intervenire con progetti di sviluppo non unidirezionali.

Lo sviluppo partecipativo Questo approccio pu consentire di ridefinire non solo il tema dello sviluppo, ma anche i principi della cooperazione che di questa rappresenta lasse portante. Marc Aug dice che il solo oggetto possibile nello studio di una azione detta di sviluppo, lazione stessa con le sue modalit che si ritrovano nellinsieme complesso formato dagli sviluppati e dagli sviluppatori. Si avverte dunque la necessit di avviare una interazione attiva nelle fasi del processo di sviluppo. Ed, infatti, elemento centrale nella proposta partecipativa dello sviluppo l empowerment (mettere in grado di) che nel caso specifico rafforza lidea centrale di mettere gli attori in condizione di mutare il loro status sociale sfruttando le proprie potenzialit senza alienare i propri diritti. Partecipare vuol dire non solo prendere parte, ma esercitare uninfluenza sulle logiche di pianificazione. Ne consegue che la prima importante regola da rispettare nellapplicazione di programmi di cooperazione per lo sviluppo quella della partecipazione delle popolazioni locali. Ignacy Sachs dichiar nel 1992 al summit mondiale di Rio de Janeiro che sviluppo significa costruire una civilt dellessere nella equilibrata distribuzione dellavere. Lo sviluppo un concetto normativo per eccellenza che incorpora un insieme esplicito di valori e in quanto tale assolve la doppia funzione di strumento di valutazione di traiettorie storiche seguite dai differenti paesi e quella di quadro di elaborazione di progetti destinati a modificare nel futuro queste traiettorie. La decrescita Serge Latouche pone la sua critica alla occidentalizzazione del mondo, e non risparmi neppure agli antropologi colpe storiche, perche nellavere ritrovato tracce di vita economica presso le popolazioni primitive e nellavere interpretato le relazioni di reciprocit come scambi commerciali in embrione, altro non hanno fatto che fornire lalibi teorico ad un etnocidio concreto. Lottimismo ha pervaso i paesi sviluppati nel credere di ottenere risultati contingenti mostrano le meraviglie della ricchezza ai paesi del Terzo mondo. Linserimento delleconomico nella cultura non per la garanzia del successo. Latouche segue allora una proposta paradossalmente alternativa: la decrescita. Il paradigma della decrescita nasce dallincontro di due filoni principali: quello della critica allo sviluppo e quello della critica bio-economica. Lo sviluppo secondo questa linea di pensiero la causa di problemi sociali e ambientali che non solo mantengono, ma aggravano le disuguaglianze sociali, anche e soprattutto a causa di un sistema tecnico-scientifico che si avvale di modelli consumistici. Il pensiero di una decrescita si formalizza come una parola dordine che impone di abbandonare radicalmente lobiettivo della crescita per la crescita, un obiettivo il cui motore non altro che la ricerca del profitto da parte dei detentori del capitale e le cui conseguenza sono disastrose per lambiente. Bisogna immagina un diverso modella di societ non per tornare indietro ma per migliorare la qualit della vita esistente. In conclusione si tratta di ripensare la crescita, reinterpretando lo sviluppo.

LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE
Dinamiche culturali dello sviluppo Le dinamiche di mutamento analizzate dalla Scuola di Manchester hanno

costituito le basi per lapproccio antropologico alla nozione di sviluppo inteso come dinamica socioculturale. Lapproccio antropologico focalizza la sua tensione, da una parte, sui fattori dinamici produttori di cultura: luomo, la societ, lambiente e il tempo; dallaltra, sulla cultura stessa, e sulle interrelazioni tra le culture diverse. Kluckhohn e Kroeber identificano nella cultura i modelli, espliciti e impliciti, di e per il comportamento, acquisiti e trasmessi mediante singoli, costituenti il risultato distintivo dei gruppi umani: il nucleo essenziale della cultura consiste in idee tradizionali (cio derivate e selezionate storicamente) e specialmente nei valori loro attribuiti. Tale formulazione offre una descrizione sufficientemente articolata della realt investita dei processi di sviluppo. Infatti questi, in primo luogo, comportano proprio la trasformazione delle idee e dei valori tradizionali, dei modelli espliciti e impliciti di comportamento. Tale processo pu essere indotto Soltanto mediante lutilizzazione appropriata di simboli (linguaggio) e attraverso la trasformazione e larricchimento del bagaglio simbolico. Una delle caratteristiche di un sistema culturale quella di essere, per sua natura, dinamico e perci di mutare nel tempo, interagendo con i sistemi culturali altri. In questottica Radcliffe-Brown sottolineava come una societ si distingue da un organismo per il fatto che pu cambiare il proprio tipo strutturale o pu essere assorbita come parte integrante di una societ pi vasta. In tale contesto possono essere individuati due possibili gruppi di tipologie di innovazione: quella delle invenzioni quello delle scoperte e prestiti (creazione di forme nuove e prestiti ed altri sistemi culturali). Le innovazioni, le scoperte e prestiti, pur rimanendo nellambito della convenzionalit minima, spingono i soggetti a superare la tradizione. Ovviamente, le dinamiche culturali pi significative per i processi di sviluppo si collocano, in modo particolare, nellambito di ci che noi consideriamo invenzione, e che pu essere analizzato in termini di riorganizzazione, sostituzione di un elemento culturale con un altro, o combinazione di elementi culturali gi noti allinnovatore in cui vengono applicati progetti differenti alle categorie tradizionali. Ma i processi di elaborazione culturale devono anche far fronte a situazioni eccezionali, che non rientrano nella continuit e nellordine delle ricorrenze della vita di un popolo. Quando si verifica linsorgere improvviso di nuove problematiche, soprattutto se derivate da bisogni esogeni, linvenzione e linculturazione possono risultare inadeguate a fornire risposte sufficienti e si rivela necessaria lintegrazione del sistema culturale di elementi esterni mutuati da processi a cultura attivi di interscambio e interpenetrazione culturale. Questo ci che accade attraverso i programmi di sviluppo. Ogni elemento nuovo, emergente dalle dinamiche endogene o proveniente dallesterno, induce modifiche pi o meno sostanziali sia nella struttura immediatamente interessata, sia nel sottosistema del quale tale struttura parte integrante, sia nel sistema globale. Ladeguamento, pena la crisi alla perdita di razionalit e coerenza del sistema stesso, avviene necessariamente. In tale processo creativo trasformativo, di elementi nuovi vengono generalmente selezionati ed integrati. Lintegrazione si svolge come un mutuo adattamento che si verifica tra gli elementi culturali preesistenti e di nuovi. Ma se lintegrazione non ha luogo, gli elementi nuovi non riconosciuti come omogenei al sistema culturale, vengono espulsi dal sistema stesso oppure creano dei processi di disgregazione e disintegrazione del sistema ricevente. Ci che importante leffetto che produce a lunga scadenza allaccettazione di uninnovazione sul gruppo, comprese le sue relazioni con altre popolazioni,

perch uninnovazione che porta una societ allespansione e al predominio, per significare il declino e perfino lestinzione. Infatti, il processo di selezione e integrazione di elementi nuovi pu divenire fortemente problematico quando venga messo in moto da dinamiche esogene, specialmente se programmate, senza tenere in debito conto due assunti fondamentali punto innanzitutto, occorre tenere presente il fatto che la cultura costituita da risposte ai bisogni individuali e collettivi che sono state accettate in virt della loro capacit di soddisfarli. In secondo luogo, occorre rilevare che il sistema culturale possiede una propria identit globale e una sua peculiare configurazione. Da questo punto di vista, lintroduzione di un elemento esterno in un sistema culturale nellambito del progetto di sviluppo, deve porsi il problema della sua integrazione, non soltanto a livello di sottosistema (economico, sanitario), ma anche a livello del sistema culturale globale. Per le declinazioni applicative nel campo dello sviluppo del contributo antropologico ai processi di mutamento culturale dobbiamo ricordare le tre seguenti: 1. lo sviluppo disintegrato: si allude qui al processo di trasformazione messo in atto da dinamiche esterne, attraverso le quali elementi nuovi che vengono introdotti in un sistema culturale senza contemplarne alcun tipo o livello di integrazione, ritenendo che si produrranno esiti senzaltro positivi in base alla loro intrinseca bont e alla loro superiorit nei confronti degli analoghi elementi interni, avendo come termine di riferimento di giudizio esclusivamente il sistema esterno dal quale si sono mutuati 2. lo sviluppo integrato: si tratta di un processo di mutamento culturale indotto da dinamiche sia interne che esterne, nel quale lintegrazione degli elementi esogeni e dei processi da essi messi in atto viene teorizzati pianificata soltanto a livello orizzontale, in riferimento cio ai sottoinsiemi direttamente interessati, ma non in senso verticale, in riferimento la configurazione culturale generale, ossia il sistema culturale globale 3. lo sviluppo integrale: identificabile in quel processo di mutamento culturale indotto attraverso programmi e progetti di sviluppo, attivati sia da dinamiche endogene esogene, nella cui elaborazione teorica e metodologica e nella realizzazione pratica si contempla allintegrazione degli elementi nuovi (sia endogeni che esogeni) sia in senso orizzontale che in senso verticale. Lantropologo nei progetti di sviluppo In questa ottica, il progetto pu essere tradotto in un esercizio imitativo, di presa in prestito di soluzioni gi pronte e testate altrove, ma deve essere inteso come un processo di auto-sviluppo, con il sostegno esterno di agenzie cooperanti che ogni popolo e comunit devono poter indirizzare secondo i propri valori, le proprie scelte e le proprie risorse. Lantropologo opera in questo spazio ed istituisce a sua volta un dialogo con la realt locale e con quella del progetto in cui lavora. In tale contesto, affronta il progetto di sviluppo come un fatto culturale composto da concetti propri. Gi negli anni 70 Bastide aveva delineato i processi di sviluppo come nuovo oggetto di studio dellantropologia applicata, che considera i progetti di azione come opere culturali della stessa natura di tutte le altre opere delluomo, ad esempio del suo sistema di parentela, della sua organizzazione in caste o in classi. Il rapporto tra antropologo e progetto il primo aspetto che deve essere preso in esame. Dal momento in cui il sapere antropologico viene posto al servizio di un

progetto, lautonomia del ricercatore costantemente minacciata. Lantropologo deve pertanto assumere una prospettiva interdisciplinare acquisire una competenza adeguata per affrontare al contempo i problemi teorici legati alla conoscenza del campo e le questioni riguardanti lambito delle soluzioni possibili dei problemi sociali ed economici da cui scaturisce il progetto. Occorre inoltre tener presente che, generalmente, lantropologo appartiene alla stessa cultura occidentale dalla quale proviene il progetto. Ancor pi difficile, quindi, sar raggiungere un equilibrio tra la partecipazione al progetto e la sua oggettivizzazione da parte dellantropologo. In ogni interazione interculturale entrano in gioco diverse visioni, diversi sistemi interpretativi della realt: allo stesso progetto di sviluppo sul quale gli attori hanno concertato e condiviso obiettivi e metodologie operative, non vengono assegnati i medesimi significati da coloro che vi sono coinvolti. sul terreno appena descritto in cui si intrecciano diverse categorie interpretative, concezioni ed interessi che si innesta lazione mediatrice e diabolica dellantropologo.

POLITICHE SANITARIE GLOBALI E CONTESTI LOCALI


Il diritto alla salute In un suo studio del 1996 dedicato lo spazio politico del concetto di salute, Fassin spiega che la salute non definibile solo come costruzione culturale, ma anche come uno spazio strutturato dei rapporti che il corpo fisico intrattiene con il corpo sociale, come costruzione politica. Lo Stato svolge dunque una funzione essenziale nella ridefinizione del concetto di salute. Nel 1974, durante una conferenza sulla storia della medicina tenuta a Rio de Janeiro, il filosofo francese Foucault collocava fra il 1940 e il 1950 la genesi di una nuova attenzione intellettuale, economica e politica alla salute: la nascita cio di un diritto alla salute. Nello stesso periodo nacque il piano Beveridge che rappresent il modello per lorganizzazione della salute nel secondo dopoguerra in Gran Bretagna e in numerosi paesi. Il piano Beveridge segna una svolta: da questo momento lo Stato si fa carico della salute dei cittadini. Il diritto a interrompere il lavoro comincia a prendere corpo; la salute entra anche nel campo economico in relazione alle spese derivanti dallinterruzione del lavoro per motivi di salute. La salute connessa ai problemi di redistribuzione delle risorse e di creazione dello Stato sociale, cio la garanzia per i cittadini dellaccesso alle cure presso i servizi sanitari pubblici, divenendo cos un tema di rivendicazione politica. In Italia nella prima parte della Costituzione, dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, larticolo 32 disciplina il diritto alla salute: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dellindividuo e interesse della collettivit, e garantisce cure gratuite agli indigeni. Nessuno pu essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La legge non pu in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Nello stesso periodo la dichiarazione universale dei diritti delluomo del 1948, approvata dallAssemblea generale delle Nazioni Unite, proclama che ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo allalimentazione, al vestiario, allabitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari. Ma lOrganizzazione Mondiale della Sanit (OMS) che propone una nozione di salute comprensiva del concetto di sicurezza sociale: uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia e infermit. Qui la definizione vuole superare la tautologia, per la quale salute

lassenza di malattia, in quanto fa propria lidea di salute come dimensione non solo biologica, ma anche sociale. In altre parole, nonostante non sia una malattia, la povert, intesa come debolezza sociale ed economica, vista comunque come una mancanza di salute. In seguito, nel 1978, ad Alma Ata nel Kazakistan, unimportante conferenza internazionale dellOMS congiunta con lUNICEF, prodotto allunanimit una dichiarazione che delineava una strategia di lungo periodo nota come progetto Health for all by the year 2000. Questa strategia globale si fondava su cinque principi fondamentali: 1. le risorse per la salute devono essere distribuite uniformemente e lassistenza sanitaria essenziale deve essere accessibile a tutti 2. i cittadini hanno diritto di partecipare individualmente e collettivamente alla pianificazione e alla realizzazione del proprio servizio sanitario 3. devono essere individuati i principali problemi della salute della collettivit e forniti i servizi promotori, preventivi, curativi e riabilitativi 4. la tecnologia adottata deve essere appropriata al paese interessato 5. la realizzazione del pi alto livello possibile di salute richiede lazione di molti altri settori sociali ed economici in aggiunta a quello sanitario Ma il progetto Salute per tutti ha dovuto riscontrare un fallimento nel perseguimento degli obiettivi fissati, e lOMS ha perso negli anni la sua funzione di guida nella definizione delle politiche di promozione della salute. Questo ruolo oggi assunto dalla Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, che condizionano le scelte dei governi in campo sanitario, in particolare nelle aree pi povere del pianeta. Il caso dellAIDS e delle sue possibilit di cura da questo punto di vista rappresentativo Altre malattie, generalmente e pi facilmente curabili, minacciano la vita delle popolazioni del sud del mondo: la dissenteria e la pertosse sono frequentemente causa di morte per i bambini di questi paesi. Cooperazione tra sistemi medici Dalla strategia OMS 2002-2005 sulle medicine tradizionali: Le medicine tradizionali vengono definite come insieme di varie pratiche, approcci e conoscenze sanitarie che integrano lutilizzo di farmaci a base di piante medicinali con tecniche manuali ed esercizi, applicati da soli o in associazione al fine di mantenere il benessere della persona e trattare, diagnosticare o prevenire alcune malattie. Nello specifico dellargomento trattato con il termine di medicina tradizionale ci si riferisce alle tradizioni terapeutiche delle popolazioni non occidentali, alla medicina indigena che sopravvissuta allavanzare delloccidentalizzazione. Da parte degli organismi internazionali matura una duplice consapevolezza: le strategie e i sistemi di cura tradizionali rivelano una profonda saggezza, spesso dimostrabile anche empiricamente, e si manifestano in termini di accessibilit e di costi coerenti con le risorse dei mondi locali; mentre la stessa efficacia e trasmissibilit non sempre possono essere attribuite agli interventi della biomedicina convenzionale. Con il termine biomedicina sintende la nostra medicina occidentale, e indica una medicina che tende a privilegiare laspetto biologico e a ridurre o negare la dimensione socioculturale della malattia. LOMS constat che la biomedicina era utilizzata dal 20% della popolazione in contesti non occidentali, mentre l80% della popolazione utilizzava come risorsa terapeutica la sola medicina tradizionale. LOMS dopo il fallimento delle politiche precedenti, tende a promuovere una nuova strategia, quella della Primary health

care (Phc), la quale, contro una concezione strettamente curativa, implica una visione globale della sanit pubblica, dove le nozioni di prevenzione, di igiene, di educazione sanitaria sono importanti almeno quanto il fatto di somministrare delle cure. La strategia della Phc si inserisce bene nelle nuove concezioni dello sviluppo, secondo le quali il miglioramento delle condizioni di vita e di produzione non deve dipendere dai trasferimenti unilaterali di tecnologie e di modelli imposti senza riguardo per le realt locali, ma dalle capacit di mobilitare le risorse tipiche di una particolare societ allo scopo di promuovere uno sviluppo davvero endogeno. Si tratta di una inversione di tendenza. Negli anni 6070, a muovere i paesi e di organismi donatori fu la consapevolezza dellesclusivo possesso del sapere e delle competenze tecniche; di conseguenza si ritenne superfluo coinvolgere le popolazioni per cui ogni progetto risultava un atto di neo colonialismo. A tale cambiamento di prospettiva hanno contribuito numerosi fattori, sia di ordine internazionale e nazionale. Innanzitutto sembra che i pianificatori delle politiche sanitarie abbiano finalmente riconosciuto il valore delle tradizioni terapeutiche non occidentali, dopo anni di disconoscimento. Nellepoca coloniale latteggiamento etnocentrico delle potenze europee vedeva infatti i saperi terapeutici dei popoli assoggettati come un insieme di magia e superstizioni, ed era inoltre mirato a indebolire il prestigio sociale dei curatori. Questi, che rivestivano anche un ruolo religioso, esercitavano una forte influenza nelle loro societ, potendo quindi diventare potenziali capi politici pericolosi rispetto ai colonizzatori. Lopposizione alle medicine tradizionali rispondeva inoltre alla necessit egemonica del colonialismo occidentale, la diffusione della biomedicina- anche tramite lopera dei missionari- e del controllo medico sui territori e quindi sui corpi diventava strumento di controllo pur essendo al tempo stesso e in molti casi soluzione e prevenzione. Lo sforzo era comunque concentrato nelle aree urbane, dove risiedevano la maggior parte degli europei, lasciando le aree rurali soprattutto allassistenza sanitaria dei missionari. Dallindipendenza fino ai primi anni 60 la situazione non cambi di molto. Come abbiamo detto, a met degli anni 70 si inserisce la dichiarazione adottata dallOMS ad Alma Ata. Sono molte le forze che ancora si oppongono a questo processo. Infatti i medici di formazione occidentale spesso considerano la loro pratica incompatibile con quella di guaritori tradizionali, e se in genere sono disposti a lavorare con gli erbalisti, ovvero coloro che operano mediante manipolazioni del corpo o medicamenti ricavati da sostanze vegetali, riscontrano molte difficolt a collaborare con i curatori che, operatori rituali, spesso agiscono in stato di possessione. Da parte dei guaritori tradizionali le difficolt a collaborare nascono dal rifiuto ad accettare il ruolo subalterno che vuole imporre loro la medicina occidentale. Stesso quindi lintegrazione della medicina tradizionale del sistema medico occidentale significa solamente inserimento di erbalisti o levatrici, ovvero delle figure pi tollerabili per medici convenzionali.

MODERNIZZAZIONE E GLOBALIZZAZIONE:INFLUENZE POLITICHE E ASSETTI GLOBALI


Modernizzazione e globalizzazione: le trasformazioni del tempo e dello spazio Gli anni del secondo dopoguerra sono stati segnati dal processo di decolonizzazione e dalla nascita di nuovi Stati. in questo scenario che si

affacciano le prime teorie dello sviluppo e del sottosviluppo, cos come il concetto di modernizzazione pare di venire il modello di un nuovo mondo destinato ad un inarrestabile processo di crescita. Quando vengono proposte in forma universalistica, per, le teorie dello sviluppo e della modernizzazione peccano di etnocentrismo, basandosi in maniera eccessiva sullesperienza degli Stati Uniti e guardando al resto del mondo da un punto di vista americano. Ne deriva che la scienza dello sviluppo si articola in una serie di teorie che spesso non tengono conto delle realt diverse alle quali devono offrire modelli di guida verso nuove opportunit politiche e sociali. Si vengono cos ad elaborare una serie di proposte che, in sostanza, ripropongono formule capitalistiche e/o comuniste che si distaccano da quelle che sono le vere esigenze di popoli che alla tradizione devono sostituire linnovazione, non per volont comune, ma spesso per decisioni strategiche. La conseguenza di queste accelerazioni stata quella di una difficile integrazione, di una contaminazione fra le identit etniche coinvolte nel processo. Si pone, dunque, il compito di interrogarsi su cosa sia la globalizzazione: il termine viene utilizzato da tutti in vari modi. Per tutti, comunque, la globalizzazione significa lineluttabile destino del mondo, un processo irreversibile, e che, inoltre ci coinvolge tutti alla stessa misura e allo stesso modo. Gli stessi scienziati sociali fanno ricorso a tale concetto, quando la complessit dei sistemi sociali eccessivamente elevata e le relazioni ed interdipendenze sono cos intrecciate ed estese che tutti i tradizionali meccanismi esplicativi della realt risultano non essere sufficienti per poter dare delle risposte certe. In realt, la globalizzazione abbraccia molti aspetti: un processo che d vita ad un sistema di dimensioni mondiali, nel quale nessun evento, processo o azione significativa resta circoscritto nellarea geografica in cui ha avuto origine e viceversa. Infatti, le vicende del livello globale si ripercuotono deliberatamente o involontariamente sui sistemi locali. Lidea di confine territoriale ha perso molto del suo originario peso e anche la distanza non ha pi quellimportanza che la conseguente alla lentezza e alla difficolt dei trasporti. Alla maggiore velocit di spostamento fisico si accompagnano flussi di comunicazione sempre pi intensi dovuti anche allaccresciuta capacit di mobilit virtuale. Per questo, per, la vita moderna sempre pi caratterizzata da relazioni mediate, la cui principale caratteristica proprio il venir meno della compresenza spazio-temporale. Gli effetti della globalizzazione si ripercuotono anche a livello individuale e relazionale e contribuiscono alla costruzione di un soggetto sempre pi impotente di fronte alla percezione della propria realt: dopo essere stato delocalizzato, proiettato in un nuovo universo sempre pi grande nel quale ha sperimentato il superamento dei confini geografici, lindividuo della modernit ha cominciato a percepire la grandezza di una realt sempre pi smisurata e inquietante, quasi postumana. Per quanto riguarda la dimensione tempo, c da dire che attualmente risulta essere dominata da due caratteristiche principali: mobilit e velocit. Questo fa s che il dato esperienziale pi significativo sia quello della fretta e della mancanza di tempo, per cui il tempo qualcosa che viene considerato come un bene prezioso, che deve essere sfruttato al massimo e non pu essere sciupato. Gli eventi, per, accadono troppo velocemente e di maniera frammentata, per cui vengono vissuti senza essere assimilati, in maniera superficiale. Ci fa s che si determini un cambiamento nel rapporto tra passato, presente e futuro. Il passato tende ad essere polarizzato, e vengono ricordati solo i fatti e gli avvenimenti personali legati allesperienza diretta, oppure i grandi avvenimenti

storici; proprio perch si determinata una destrutturazione dello spazio fisico che non pi il contenitore della memoria storica di una comunit. Nel presente, la cronaca a dominare la nostra mente e leccesso di informazione, cui si sottopongono i media, tende ad omologare tutto quello che avviene secondo uno stesso livello di superficialit. Per contro, il futuro viene in qualche modo limitato, cio non siano pi grandi aspettative. Bauman sostiene che in un mondo frammentato e accelerato tutto diventa frivolo, poco profondo e privo di spessore. , questa, la conseguenza della tendenza a slegare lo spazio ed il tempo. Infatti, la facilit con cui abbiamo accesso allo spazio difficilmente compatibile con la profondit del tempo. Lillusione di superare cos ogni limite; ma lo spazio in realt non accessibile se non con il tempo, e poich ci non possibile, ecco allora che ci confiniamo in quello che stato definito presente assoluto, dove tutto, perdendo profondit temporale, perde anche profondit esperienziale. Una caratteristica del mondo contemporaneo e la tensione fra due tendenze strettamente correlate e, tuttavia, apparentemente contraddittorie: quella globale e quella locale. Dal tentativo di contrapporsi ai vari processi di globalizzazione si creano fenomeni di rifiuto per tutto quello che viene da fuori. Il risultato una serie di processi di globalizzazione, tipo lunificazione europea e il mercato unico, ai quali si contrappongono fenomeni di nazionalismo, settarismo e anche tribalismo, in cui emergono processi di difesa personale. La globalizzazione e i rapporti di potere Listantaneit della comunicazione e la rapidit del trasporto a costi complessivamente bassi hanno creato una compressione che alla base di processi di globalizzazione in settori diversi. In economia, ad esempio, questo ha significato lintegrazione dei mercati finanziari e la formazione di strategie di produzione industriale su scala mondiale delle imprese grandi e piccole. Inoltre, la globalizzazione della produzione, che determina la continua crescita delle multinazionali nonch la sempre crescente di dislocazione delle attivit produttive in diverse parti del mondo, ha dato luogo alla creazione di circuiti finanziari internazionali che operano al di fuori del controllo dellautorit giudiziaria degli Stati. Nella politica, la compressione di spazio tempo ha prodotto linterdipendenza delle legislazioni e delle politiche nazionali. Nella cultura, la compressione ha disseminato istantaneamente idee, provocando intrusioni che hanno avuto inevitabili conseguenze sui modi consolidati di interpretare il mondo e affrontare la vita individuale e collettiva. Dei tre elementi, quello pi coinvolto appare essere lambito politico. Lattivit politica non risulta pi essere in grado di controllare laccelerazione dellevoluzione economica e delle conseguenze da essa prodotte. Leconomia, infatti, ormai diventata il centro di tutto. Ad esempio, si costituita unistituzione bancaria europea forte, rispetto alla quale rimasto indietro il processo di integrazione politica, di crescita istituzionale, di collettivit culturale e sociale che, invece, si sarebbero dovute considerare fondamentali per poter realmente parlare di identit europea. Il capitale, in particolare il capitale finanziario, fluisce non pi vincolato dai limiti di spazio e tempo, mentre la politica rimane come un tempo locale e territoriale. Da ci ne deriva che le istituzioni politiche, che caratterizzavano la vecchia politica, risultano inadeguate allo stato delle cose. Si cerca, dunque, di costituire e rafforzare organismi transnazionali di, per adeguarsi alla dimensione globale assunta dai processi economici. Si assiste, nello stesso tempo, anche al tentativo di definire

nuovi soggetti politici su base localistica come reazione al globalismo imperante e come tentativo di recuperare unidentit smarrita. Europa e Stati Uniti nella realt attuale delle relazioni internazionali LEuropa un riferimento politico e culturale difficile da inquadrare con precisione. Sebbene si faccia ricorso continuamente allattributo europeo, parlando di valori quali la cultura, la politica, leconomia, manca un punto di riferimento stabile che dia senso alla parola. La stessa Unione viene vissuta in maniera diversa da paese a paese: lUnione Europea unorganizzazione di cui attualmente fanno parte 27 Stati, ossia tutti paesi dellEuropa occidentale, con esclusione della Svizzera e della Norvegia, ed caratterizzata dal potere di emanare leggi proprie che vengono rese immediatamente e automaticamente efficaci in tutti gli Stati membri, configurandola come un sistema politico sovranazionale. Il soggetto che pi somiglia ad un governo nellUnione la Commissione europea, da cui deve obbligatoriamente partire ogni proposta di nuova legge. Ma parte subordinato alla concessione della fiducia da parte del Parlamento europeo, che lorgano rappresentativo. Il Parlamento molto importante: la pi grande assemblea elettiva multinazionale del mondo e riunisce rappresentanti eletti a suffragio universale diretto da parte dei cittadini dei vari Stati dellUnione. Per quanto riguarda le funzioni legislative, vengono in parte svolte anche dal Consiglio dei ministri che non solo un organo esecutivo, ma d in ultima istanza lapprovazione o meno alle leggi proposte dalla Commissione. Lunico organo che ha un potere chiaro e specifico la Corte europea di Giustizia, il soggetto giuridico dellUnione, interprete unico del diritto comunitario. Nonostante la complessa struttura istituzionale, che sono comunque dei problemi logistici e di efficienza nellaffermazione dellEuropa. In effetti sono almeno tre le questioni che possono creare difficolt. La prima conosciuta con il nome di eurosclerosi, che esprime un atteggiamento negativo di taluni verso lo sviluppo di regole e procedure che abbiano una validit in tutta lEuropa. La seconda questione, invece, riguarda il tentativo di ristrutturazione delle istituzioni e dei confini europei, che per inevitabilmente mette sotto pressione le frontiere che contengono identit etniche e vecchi conflitti con la conseguenza di un ritorno a manifestazioni violente di micronazionalismi e di odio etnico. Infine, la terza questione riguarda il grande conflitto tra civilt: Europa contro tutti in quanto sopraffatta dalla globalizzazione. Oltre che al travalicamento culturale dei confini, la nascita dellUnione Europea ha comportato uno spostamento di competenze politiche, per cui lo statonazione diventato una organizzazione intermedia tra il livello globale della politica mondiale e il livello locale della politica nazionale e regionale. In conseguenza di questo processo di spostamento di competenze verso un livello sovranazionale, lo stato-nazione soggetto a un processo di ridimensionamento con una graduale abolizione delle frontiere. LEuropa dovrebbe diventare uno spazio di dialogo e di riconciliazione, uno spazio per ricostruire le mediazioni politiche e sociali fra leconomia e la cultura, uno spazio in cui tutte le differenze regionali e nazionali, le molteplicit di appartenenza diventano fattore di arricchimento e di crescita. Una delle domande che pi frequentemente si pongono gli studiosi di relazioni internazionali riguarda latteggiamento attuale degli Stati Uniti nei confronti dellintegrazione europea. Sul piano storico, non si pu negare che gli Usa sono

stati principali sostenitori della prospettiva di unificazione europea, soprattutto negli anni 50 e 60, in cui laiuto al processo di integrazione europeo era finalizzato anche a mettere una barriera contro lespansionismo sovietico. Oggi per gli statunitensi sono neutrali, per non dire talvolta largamente ostili. Il fatto che sin dalla fine degli anni 80 lEuropa aveva mostrato di essere inarrestabile nella sua scalata del primato commerciale ed economico statunitense e la nascita del mercato unico e delleuro hanno confermato questa ascesa. Oggi lEuropa la prima potenza economica mondiale, anche se tale ruolo non si accompagna ad una uguale capacit di intervento politico. Capacit che, al contrario, mostrano di avere gli Usa, unici vincitori della guerra fredda, i quali hanno monopolizzato senza alcun dubbio anche il campo del gusto e della cultura. Gli Stati Uniti fanno tendenza e hanno sempre aperto la strada verso laffermazione di una cultura complessiva. A questo equilibrio culturale si aggiunta la forza di un predominio economico degli Usa. Il settore finanziario statunitense si fondato su due elementi che le hanno dato il potere: il dollaro nella sua funzione di moneta di riserva e un sistema decisionale fortemente integrato. In Usa hanno sempre acquistato beni e servizi, e si sono indebitati utilizzando la propria valuta, mentre la maggior parte dei paesi emergenti si indebitava in dollari. Gli stessi programmi di aggiustamento predisposti dal fondo monetario internazionale vengono definiti in valuta statunitense, cos come i fondi che vengono erogati. Tutto il finanziamento del sistema finanziario internazionale si basa su una domanda di dollari che viene regolata dalle autorit statunitensi e questo conferisce loro un notevole potere di incidere sulle decisioni di erogazione dei prestiti. Va da s che avendo avuto un ruolo determinante nella creazione di queste organizzazioni internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Banca mondiale, GATT) gli Stati Uniti abbiano ancora oggi, nonostante la grave crisi che li ha colpiti, grande potere sul loro funzionamento e sui loro interessi. La conclusione relativa ai fenomeni di globalizzazione si orienta verso la ricerca di nuovi modelli culturali che coinvolgano altre realt politiche ed economiche e che preservino la convivenza fra le diversit.

CONTRIBUTI: dicotomie, parallelismi, ambiguit


RICCHEZZA E POVERTA
Siamo soliti associare ai termini di sviluppo e crescita un significato prettamente economico. Questo perch siamo stati abituati dalla nostra tradizione occidentale a ricondurre tutto in termini di produttivit ed efficienza. Il predominio attuale dellideologia neoliberista tende a far s che ogni ambito della vita sia pervaso dalle logiche del mercato. Gi da qualche tempo, per, questa prospettiva sta cambiando, in quanto si sperimentata allinconsistenza di una tale impostazione. Anche oggi che viviamo in una situazione di libero commercio globale, frutto di unevoluzione positiva dei trend economici, che ha portato ad un livello per cos dire avanzato di sviluppo, continuiamo ad affrontare problemi inerenti alla grave disparit, alla non equa distribuzione delle risorse. Una contraddizione, o meglio un paradosso che si esplica anche nellanalisi dei dati forniti dallInternational Labour Organization (OIL) relativi allaumento della povert in alcuni paesi che hanno visto aumentare esponenzialmente la disoccupazione. Sono stati proprio questi controversi risultati che hanno condotto a porre di nuovo in esame le

questioni relative allo sviluppo e alla povert, analizzandole allinterno della loro multidimensionalit e multidisciplinariet. Oltre alleconomia bisogna, dunque, includere anche le discipline umanistiche, come la sociologia e lantropologia, che si occupano di arricchire i dati meramente quantitativi. Cos Hannah Arendt indicava la povert come la questione sociale. E allora, partendo da questo presupposto, cosa intendiamo per sviluppo? In termini generici, lo sviluppo pu essere definito come il tendere verso qualcosa di desiderabile. In questo modo, dunque, il concetto di sviluppo assume una forte connotazione soggettivistica e quindi valutativa. chiaro che non nemmeno lontanamente pensabile racchiudere in una sterile definizione il termine desiderabile: esso varia da societ a societ, la cultura cultura, da individuo a individuo, a seconda della propria visione etico-filosofica della realt. In sostanza, non esiste nessuna base oggettiva allinterno della quale racchiudere una risposta universalmente condivisibile. Lapproccio relativista al problema ha portato alla costruzione di indicatori sociali in grado di valutare landamento di un numero ristretto di prodotti chiave del sistema che funzionino dagli indici della felicit e del benessere. In sostanza si giunti ad un tipo di analisi sicuramente pi utile in termini sociali e non solo, quella relativa allo sviluppo come soddisfazione di bisogni. Lo scopo dello sviluppo non deve consistere nel sviluppare cose, bens luomo. Lessere umano ha bisogni fondamentali: cibo, riparo, vestiario, salute, istruzione. Qualsiasi processo di sviluppo che non porti alla realizzazione di ci o, peggio ancora, lo aggravi, un travisamento dello sviluppo stesso. Un contributo che si inserisce chiaramente allinterno dellapproccio dei Basic Needs, la teoria secondo cui i processi di sviluppo devono essere svolti in primo luogo al soddisfacimento dei bisogni fondamentali dellindividuo. Ma anche sotto questo profilo, la definizione di sviluppo rimane piuttosto vaga e ambigua, in ragione della dinamicit insita nel concetto stesso di bisogno. Anche il discorso relativo alla povert intimamente connesso con quello dei bisogni, in quanto la prima definizione che ci viene in mente quando pensiamo alla povert sembra recitare la condizione di quelle persone che non hanno i mezzi per soddisfare i propri bisogni. Ancora una volta, dunque, lattenzione si sposta sul tema dei bisogni, i quali, se riflettiamo bene, altro non sono che il prodotto di una determinata societ o cultura. Questo chiaramente fa s che ogni societ abbia una propria definizione di povert. Oggi le politiche assistenzialiste si inseriscono allinterno di un pi generico modello di welfare state, messo in atto dalle nostre moderne societ per far fronte a questa preoccupante situazione che conta sempre pi persone povere oche non riescono pi a stare dietro al troppo rapido sviluppo economico, i cosiddetti poveri in giacca e cravatta, woorking poor. Infatti, se prendiamo in esame tutti gli studi recenti vediamo che non si tratta pi soltanto dei poveri tradizionali, ossia quei soggetti che si trovano a transitare nelle condizioni di bisogno contingente e per i quali necessario un aiuto per rientrare nella condizione di normalit, ma anche degli espulsi prematuramente dal mondo del lavoro o di coloro che non riescono nemmeno ad entrarvi, di coloro che pur lavorando o disponendo di una pensione minima garantita si trovano in bilico sulla linea della povert. Il circuito dellassistenza si avvale di istituzioni benefiche private, laiche o religiose, ma purtroppo ancora oggi ci sono molti ostacoli ad unottimale funzionamento delle stesse. Si tratta di ostacoli di natura principalmente psicologica, in quanto laccettazione dellaiuto fornito da tali istituzioni vissuto

il pi delle volte come unumiliazione. Siamo abituati a pensare ai popoli preindustriali, che vivevano in economie non monetarie, come popoli poveri, ma poveri in rapporto ai nostri modelli di riferimento. Questi popoli vita culturale e cerimoniale ricca, di solito erano ben nutriti e in perfetta salute, fino a quando le loro vite, i loro modelli culturali non vennero letteralmente sconvolti dal fenomeno della colonizzazione. Durante il periodo coloniale, la problematica della povert non era mai stata al centro dellattenzione, in quanto colonizzatori e viaggiatori ritenevano che lo stile di vita degli indigeni fosse adeguato ai loro bisogni che si caratterizzavano, al contrario dei nostri, per essere limitati, in quanto la produzione era orientata alla sussistenza e non alle logiche del profitto. E allora forse proprio il progresso economico a creare una sorta di dipendenza. Appare dunque evidente il ruolo che ha giocato il recente sviluppo economico che ha modificato il loro modo di vivere, il loro ambiente naturale, creando nuovi bisogni, senza per dare gli strumenti per poterli soddisfare. Anche Latouche, che ha lavorato per diversi anni tra i quartieri poveri rapidamente sviluppati dellAfrica occidentale, parte dalla stessa considerazione circa la non esistenza della parola povert nelle principali lingue africane. In conclusione, prima il colonialismo e, in un secondo momento, il consolidarsi di una mentalit profondamente capitalista, hanno gettato le basi e pochi hanno definitivamente prodotto una drammatica radicale trasformazione allinterno dei paesi del terzo mondo, determinando da un lato limpoverimento totale di queste popolazioni, che invece prima si accontentavano della loro economia di sussistenza e dallaltro lattribuzione delletichetta di povero a tutte quelle comunit lontane dal nostro modello economico. Laiuto che viene offerto deve assumere non la forma di regalo, bens di dono, che, nel momento stesso in cui si riceve, mette in moto un circuito di reciprocit per cui il beneficiario portato automaticamente a ricambiare laiuto ricevuto, trasformandosi, quindi da beneficiario in donatore. chiaro come un tale meccanismo inneschi azioni e reazioni che permettono di difendere la dignit umana attraverso la costruzione di una nuova missione, sia pure quella votata alla sola restituzione del dono ricevuto.

IDENTITA E ALTERITA NELLO SCENARIO GLOBALE


Lambito degli studi antropologici per eccellenza lo studio dei fenomeni universali e di fenomeni specifici che riguardano le diverse societ nel loro relazionarsi attraverso tempi e spazi culturalmente determinati. Nello scenario globale per differenza culturale, che possiamo chiamare alterit, non necessariamente il contrario della modernit occidentale, che noi potremmo chiamare identit. La differenza culturale innanzitutto unaltra forma e un altro contenuto contemporaneo: in sintesi unaltra identit. Lerrore che non dobbiamo assolutamente compiere in ambito socio- antropologico quello di considerare lalterit con la differenza culturale come una qualit superficiale, apparente e transitoria. In sostanza, lidentit etnica, al pari dellidentit individuale, non n data n innata: il modo in cui essa si genera sempre un processo psico-sociale. Ma c anche un fondamentale aspetto da considerare ed la questione della continuit nel tempo, in quanto la storia assume una speciale importanza nella formazione dellidentit etnica, offrendo ai singoli individui una percezione del loro passato che li pone in grado, attraverso una accettazione selettiva di certi valori, di attuare chiare ed esplicite identificazioni con i loro antenati o

predecessori. Il punto di vista propriamente socio- antropologico quello che coglie processi sociali dal basso, da un contesto specifico delimitato, anche se lobiettivo conoscitivo poi quello di spiegare una dinamica molto pi ampia e generale. Lo specialista di antropologia della globalizzazione Friedman afferma che il globale non qualcosa daltro rispetto al locale: linsieme delle propriet dei processi sistemici che collegano tra loro i locali del mondo. Il globale un concetto puramente strutturale, e la globalizzazione un fenomeno che si verifica allinterno dei sistemi globali gi esistenti. Secondo questo approccio, il globale non una novit, come non lo la globalizzazione. Lantropologo Fabian mette in evidenza due vizi gravi e radicati nei meccanismi della produzione delle conoscenze sullalterit: lallocronismo e lassoggettamento dellAltro da Noi. Non solo le conoscenze sugli altri vengono adattate dagli studiosi, ma gli altri vengono rappresentati, quindi conosciuti ed approcciati come dissero in tempi e spazi completamente diversi dai nostri, in un altro mondo e in unaltra era, appunto, rispetto allOccidente moderno. Con queste modalit, sostiene Fabian, qualunque discorso sullaltro diventa un discorso politico. Se il ragionamento alla spiegazione scientifica si fermano a vincolare o ancorare la molteplicit e la proliferazione delle differenze ad unit identitarie universali e inalterabili, il rischio per le scienze sociali diventa una vera e propria vanificazione conoscitiva. La svalutazione e il depotenziamento della differenza culturale possono tradursi in una incapacit esplicativa della vita collettiva nel suo reale svolgersi e trasformarsi. Weber definisce quella etnica una comunanza ritenuta come una credenza le persone simili e non un reale agire di comunit. la comunit di parentele infatti ad avere una oggettivit sociale, mentre il sentimento etnico si qualifica come la credenza soggettiva di un gruppo di persone. Lespressione di questo sentire etnico quella di un vincolo allagire comune, oppure del sentimento di un comune destino tra simili che si sentono tali al confronto o in conflitto con altri loro simili che in modo appariscente agiscono come persone diverse. Recentemente Appadurai, uno studioso statunitense di origini indiane, individua cinque dimensioni culturali globali che definisce: - etnorami flussi eterogenei di persone - mediorami flussi che distribuiscono la capacit di informazione e circolazione di immagini - tecnorami flussi di tecnologia - finanziorami flussi di organizzazioni e risolse finanziarie - ideorami flussi di ideologia e ideali politici rispetto a questi cinque tipi di scenari generali e trasversali, lunico attore soggettivo rimane nella localit, nel luogo prospettico dal quale si colgono i diversi panorami, il luogo del dialogo tra storia esogene e genealogie endogene dei fatti culturali. I cinque panorami, dunque, non sono in realt che i mattoni di un mondo immaginato. Esiste un altro problema attuale di identit e alterit. Vige infatti una sorta di regime di concorrenza internazionale tra le culture e le popolazioni messi in evidenza perch riconosciute dagli organismi internazionali e dei mezzi di comunicazione di massa, mentre rimangono misconosciute e trascurate moltissime altre entit di popolazioni e culture delle quali non si parla mai. Inevitabile conseguenza di ci il confronto delle culture, la cui autoaffermazione in gioco.

Dopo tutto questo e sulla base di tutto questo, allora, rimane la sfida della reciproca comprensione, del dialogo e della mediazione.

UNA COMUNITA NELLA SOCIETA


Identit e sviluppo nel processo di formazione dello Stato di Israele Nel 19 secolo, un duplice ordine di eventi contribu a far riaffiorare la complessit della questione ebraica sul continente europeo. Da un lato la formulazione della scienza delle razze determinava tra molti sedicenti scienziati la frenesia di classifica i popoli, che risultavano disposti allinterno di un ordine gerarchico in cui alle razze superiori sarebbe spettato il compito di civilizzare le razze inferiori. In questa piramide negrieri occupavano una posizione intermedia tra i selvaggi e gli indoeuropei. Dallaltro laffermarsi dellidea di nazione unica e indivisibile instillava nellopinione pubblica europea la percezione dellindissolubilit del tratto dunione religioso che intercorreva tre discendenti della diaspora. Gli ebrei si configuravano come una comunit transnazionale considerata come un corpo sostanzialmente estraneo nellambito delle societ europee e, dunque, non vincolato moralmente da un rapporto di fedelt esclusiva con lo Stato. La possibilit di integrarsi pienamente allinterno delle societ nelle quali gli ebrei vivevano cominci ad essere considerata alla stregua di unutopia e la ricerca di assimilazione venne sostituita dal desiderio di emanciparsi, che trov la sua pi completa enunciazione nel progetto di Herzl (1896) dalla quale discendeva una particolare forma di nazionalismo, nota come il sionismo, che si prefiggeva lo scopo di creare una societ ebraica entro i confini di un nuovo Stato e pronta a raccogliere gli ebrei di tutto il mondo che non potevano, o non volevano, integrarsi con le popolazioni in mezzo alle quali vivevano. Si configurava un nazionalismo che forniva tutti i membri della nazione una lingua (lebraico) e un passato (la narrazione della Bibbia) e che vedeva come obiettivo ultimo la nascita di uno Stato (Israele). Arendt sottolinea che il movimento sionista ha avuto origine dalle due principali ideologie politiche del 19 secolo, il nazionalismo e il socialismo. Nel 1910 dieci uomini e due donne di origine russa e romena giunsero a Umm Juni, nei pressi di belle lago di Tiberiade, per dare vita ad uno dei pi originali esperimenti di ingegneria sociale conosciuti nella storia: il kibbutz. Lobiettivo dei fondatori di questa prima comunit, che ancora oggi attiva sotto il nome di Degania, era quello di stabilire un insediamento indipendente di lavoratori ebrei nella madrepatria. I suoi principi- guida erano una visione fortemente egalitaria dei rapporti intracomunitari, labolizione delle istituzioni nevralgiche della societ borghese, in primis la propriet privata e la famiglia mononucleare considerate vettori di individualismo, nonch lapplicazione della formula marxista da ciascuno secondo le sue capacit, a ciascuno secondo i suoi bisogni. In questo senso risultava di fondamentale importanza un retaggio tipico del ghetto: la profonda devozione ad un credo che non era pi quello religioso dei genitori, ma letica del lavoro atea e socialista strettamente legata al ritorno alla terra. Per i suoi giovani abitanti il kibbutz vestito di una sacralit simile a quella che permeava alla religione dei loro padri. Solo la vita al suo interno poteva essere realmente improntata alla giustizia. Lattivit volte a rafforzare la coesione del movimento erano di due tipi e risultavano indirizzate principalmente ai gruppi giovanili: la parte normativa, costituita dallo studio del pensiero di Marx, Lenin e altri teorici del socialismo, e

quella integrativa basata sulla danza, il canto, le escursioni e le feste. Rientrati nella terra promessa, gli abitanti dei kibbutz desideravano abbandonare la dimensione urbana, preferendo optare per lautosufficienza e la vita rurale a costo di misurarsi con un territorio che era in gran parte sfavorevole ad ogni sorta di insediamento umano. La vittoria sulla natura aliment il mito grazie al quale Israele riuscito ad attrarre gli ebrei di tutto il mondo. La scarsa preparazione di partenza ad una vita dai tratti pionieristici, costrinse gli abitanti dei kibbutz a riprodurre, anche se in maniera radicalmente differente, unulteriore peculiarit dei ghetti europei: la stretta unit sociale da cui avevano a lungo sognato di fuggire che, loro malgrado, costituiva uno strumento fondamentale per sopravvivere ad un ambiente sostanzialmente ostile sia sotto il profilo fisico che umano. Quando lo slancio politico- ideologico del movimento raggiunse il suo apogeo, durante gli anni 50, nelle fattorie collettive vivevano non pi di 300.000 persone. La proclamazione di indipendenza del 1948 dimostr che il kibbutz non costituiva unesperienza transitoria destinata ad esaurirsi contestualmente alla nascita dello Stato. Le due anime di Israele, quella socialista e quella nazionalista, mostrarono un evidente discrepanza di intendimenti. I primi abitanti dei kibbutz si ritenevano pionieri di un nuovo sionismo, allinterno di un progetto di natura squisitamente politica in cui il dato confessionale dovranno essere necessariamente relegato in secondo piano. Il fattore di coesione per le comunit che si andavano formando non doveva essere quello etno-religioso, ma la condivisione di una stessa rappresentazione della realt e di un progetto volto alla creazione della societ perfetta. Il movimento sionista, al contrario, pensava ad una nazione in cui il principio di cittadinanza derivasse dallappartenenza etnica, in linea con la tradizione politica prevalente nellEuropa dellest. Questa linea di pensiero sia largamente affermata con la promulgazione nel 1950 della legge del ritorno, con la quale veniva assicurato ad ogni ebreo il diritto ad immigrare in Israele e si definiva ebreo chi nato da madre ebrea, o si convertito allebraismo e non appartiene ad unaltra religione. Lagricoltura confermava i vantaggi di unautonomia socio-economica e territoriale indispensabile per la sopravvivenza di uno Stato in conflitto perennemente latente con i suoi vicini, lattivit industriale e leconomia terziarizzato l delle citt avrebbe svelato numerosi svantaggi, quali la distanza dai centri di rifornimento, i problemi connessi al trasporto, la difficolt ad assicurarsi riparazioni servizi rapidi e la mancanza di un contatto diretto con i mercati internazionali. Gestione, economia e societ nel kibbutz La componente socialista del movimento sionista prevalse sulle altre e plasm lossatura della nuova entit statuale. Nondimeno, dopo essersi trasformata nel partito laburista, guid ininterrottamente Israele dalla sua nascita per circa un trentennio. Mentre i suoi dirigenti si orientavano verso socialismo nazionalista che attribuiva maggiore rilevanza alla conquista territoriale che alledificazione di una societ pi equa e solidale, i pionieri dei kibbutz e i loro discendenti hanno tenuto sempre dal presente lobiettivo ultimo di realizzare la societ socialista. Pur partendo da premesse ideologiche, il movimento sopperiva altres ad esigenze di carattere pratico. Il dirigenti del movimento sionista credevano fermamente che la strada obbligata per costruire la nazione ebraica nella terra promessa fosse lafflusso di masse di lavoratori, cui era necessario fornire unoccupazione stabile. Il lavoro diviene dunque la pietra angolare del loro

progetto. Allaspirazione collettivista di stampo marxista si affiancava la necessit, sempre pi impellente, di fornire agli immigrati unoccupazione che li rendesse autosufficienti e consentisse loro di insediarsi stabilmente sul territorio. Gli insegnamenti cooperativi furono quindi il risultato di una scelta pragmatica. La terra su cui si estende il kibbutz una propriet privata attribuita al movimento nel suo complesso. Gli edifici, i macchinari, le attrezzature e le strutture, pur appartenendo nominalmente ai membri, non essendo alienabili, soggiacciono ad un regime giuridico ibrido, non assimilabile alla propriet privata. Di fatto i diritti reali sui beni materiali sono esercitati da un organismo collettivo che lespressione della comunit nel suo insieme. Nel perseguire il sogno di una societ puramente egalitaria, senza classi n privilegi, i pionieri decisero che i membri non dovessero percepire alcun reddito per le proprie prestazioni: le rendite dellattivit (inizialmente solo agricola, poi anche industriale) divennero esclusivo appannaggio del kibbutz. Il kibbutz realizz, perlomeno nella fase iniziale dellesperienza, una forma efficace e funzionante di democrazia diretta. A tal fine, i membri si riunivano una o pi volte alla settimana nellassemblea generale, massimo organo legislativo e giudiziario, oltre che responsabile della politica economica e della redistribuzione delle risorse. La partecipazione, inizialmente massiccia, gradualmente scemata e la frequenza delle riunioni diventata meno assidua. I componenti del kibbutz sembrano attualmente pi propensi a delegare le decisioni, disinteressandosi delle questioni reputate poco interessanti. Lassemblea generale non lunico ad amministrativo dellinsediamento, in quanto esistono diversi comitati, deputati alla gestione di singole branche della vita comunitaria, sulla falsariga dei ministeri nostrani. La loro esistenza stessa, consustanziale alle esigenze di insediamenti numericamente pi consistenti, ha fatto slittare il kibbutz dalloriginario modello di democrazia diretta alla pi efficiente variante rappresentativa. Il modello collettivista applicato nei kibbutz risultato, per lungo tempo, economicamente proficuo. Anche in virt degli ingenti incentivi statali di cui godevano, destinati pi in generale allintero comparto agricolo, le fattorie hanno garantito al paese buona parte del suo fabbisogno di prodotti primari, esportandone altres una quota non irrilevante. Allepoca in cui vennero fondati i primi insediamenti, i pionieri erano convinti della possibilit di conseguire nel breve periodo la piena autosufficienza economica grazie al proprio lavoro e senza ingerenze esterne. Dove per ben presto ricredersi: fu cos che gli abitanti dei kibbutz volsero altrove lo sguardo per reperire le risorse necessarie alla realizzazione di opere indispensabili quali lirrigazione, lammodernamento dei macchinari, lacquisto di attrezzature. Il sostegno ricevuto dalle istituzioni, dalle organizzazioni ebraiche allestero e dalle banche evidenzi il plauso verso limpegno dei pionieri, non tanto in chiave ideologica quanto per la sua consonanza con gli obiettivi del movimento sionista nel suo complesso. Assumendo le caratteristiche di un soggetto attivo delleconomia di mercato, il kibbutz ne accett tanto i lati positivi quanto le eventuali ricadute negative. Negli anni 80 la crisi finanziaria svuot le casse di alcuni kibbutz, oberati dai debiti contratti con gli istituti di credito e penalizzati da investimenti volatili, e trascin su un terreno sdrucciolevole anche le strutture pi solide, a causa del meccanismo di mutuo soccorso e garanzia stabilito tre nuclei facenti parte del movimento. Alcuni osservatori attribuirono la responsabilit della situazione al modello kibbutz, ritenuto ormai anacronistico, ma la maggior parte degli analisti concord nello stigmatizzare la cattiva gestione delle risorse finanziarie da parte

di una minoranza. Contemporaneamente alla crisi economica da cui erano attanagliati, altri fattori misero a repentaglio i presupposti ideologici su cui il kibbutz fondava il proprio operato. Quella societ egualitaria non incontrava pi il favore unanime dei suoi stessi aderenti. La societ del kibbutz stava assumendo i tratti distintivi delle societ moderne, individualista e votate al consumo, nelle quali i singoli percepiscono con sofferenza i legami comunitari, considerati come lacci da sciogliere al fine di conseguire la piena realizzazione delle potenzialit individuali. Cos anche lopportunit di lavoro offerte dagli insediamenti sembrarono lacunose in termini di opzioni di scelta, ed alcuni membri guardarono con favore alla possibilit di ottenere un impiego pi rispondente alle proprie aspettative allesterno, pur continuando a vivere nel kibbutz e versando i guadagni nelle sue casse nella misura stabilita dallAss Leemblea generale. Sin dagli anni 60 le giovani madri delle seconde generazioni chiedevano a gran voce labolizione della sistemazione separata per figli e genitori e la pratica termin definitivamente nel 1996. Occorre notare che attualmente let media degli appartenenti ai kibbutz diventa sempre pi elevata, per effetto di due fattori: da un lato, i giovani sono attratti dalle possibilit di lavoro delle citt, cercano divertimenti, lesistenza sana ma frugale del kibbutz non entusiasma pi. Molti si limitano ad abitare nel villaggio, ma per il resto del tempo vivono fuori, dallaltro essi tendono a rientrare una volta sperimentata la realt circostante. Lesperimento di ingegneria sociale tentato dai pionieri, che pativano fame rinunce di ogni genere per portarlo a compimento sembra lasciare il posto ad un villaggio un po speciale, ma non troppo distante dagli agglomerati rurali del passato, dove la comunit stessa provvedeva ai bisogni dei singoli e parte delle decisioni erano concertate durante le Assemblee.

FOTOGRAMMI
COLTURE E CULTURE: miti e simboli dei vegetali
Tradizioni culturali Nelle culture antiche imperniate sui prodotti agricoli, alcuni aspetti della vita economica mostrano un legame con la vita spirituale e si sviluppano intorno ad un vegetale grano, mais, riso, noce di cocco, palma da dattero, vite, albero da frutto emerso dal corpo smembrato di un dema, unentit superiore e che risulta allantenato totemico della societ. Il culto del vegetale viene sempre rapportato al mistero del tempo. Il ciclo relativo alla semina, alla mietitura e dal raccolto, infatti, si accorda al ritmo stagionale in cui il Dio della vita, ossia il prodotto che assicura la sopravvivenza della comunit su cui si incentra leconomia sociale, rinasce e si sviluppa per offrirsi ancora e nutrire i suoi discendenti. Intorno al prodotto di vino, reputato unentit vivente, gravitano le cerimonie religiose direttamente connesse con le tappe del calendario delle feste che hanno, tra laltro, la finalit di rafforzare i legami interpersonali. Nel corso di tali incontri periodici, orientati a sostenere con gesti rituali il processo di crescita fino alla fase della morte sacrificale, tappa finale in cui il vegetale si offre come vittima volontaria per i suoi figli, si rivela una sorta di partecipazione mistica che associa il gruppo al suo Dio. De Martino sottolinea

come negli antichi mitemi, condivisi da tutti i popoli, secondo cui unentit- una divinit che abita lalbero subisce uno smembramento, narrassero dietro le fasi del racconto le operazioni agricole necessarie a favorire un soddisfacente raccolto o le modalit di trasformazione del prodotto in cibo o bevanda. Il mito di Dioniso, dio del vino fatto a pezzi, lessato e arrostito, emblemizza ad esempio le fasi necessarie affinch i grappoli delluva, maturata sotto la giusta quantit di pioggia al calore del sole cocente, strappati dalla vite, calpestati e spremuti nei tini, dessero il mosto, poi il vino. In latino, annus significa sia lanno che il raccolto annuale, fino allidentificazione. Questo concetto si spiega tenendo conto, come si detto, dellaffinit tra la pianta alimentare e le tappe stagionali a cui si raccordano le fasi di semina, crescita, mietitura e raccolto, periodo a cui seguir con la fine dellabbondanza alimentare la fine dellanno vecchio e lavvento di un nuovo ciclo cronologico. La scelta dei cibi e delle bevande, il modo di prepararli e servirli una determinazione della costituzione e della identificazione. Le sostanze psicoattive, che godono delle particolari capacit di riflettere significati simbolici, come il vino, lidromele, la birra, rispondono inizialmente a fini rituali per interessare dapprima il settore edonistico, poi il settore medico e quello economicoproduttivo, sempre per collegati alla cultura e ai mutamenti culturali che sono insiti nellevoluzione della societ. Intorno a queste sostanze, reputate un elemento essenziale dellospitalit, ruota infatti tutta una serie di oggetti - vasi, anfore, calici, bicchieri Il commercio del vino rappresent un elemento stabile delleconomia dellantico mediterraneo. Questi traffici offrivano tali opportunit di guadagno da spingere a tentare di conquistare il controllo del mercato anche tramite imposizioni di tasse. Fu laffermazione dellislamismo, in cui luso del vino e degli alcolici venne interdetto per motivi legali e religiosi, a favorire il consumo di t ai caff nei territori orientali. La condanna del consumo di vino rispondeva probabilmente anche allesigenza di prendere le distanze dalle altre culture, di sradicare gli aspetti rituali delle precedenti tradizioni. La pianta del caff originaria della regione di Caffa, in Abissinia. La nera bibita che schiariva il pensiero perch ricca di caffeina e di altri eccitanti, divenne un supporto religioso: la sua assunzione veniva suggerita tra gli arabi durante la lettura dei testi sacri, per aumentare la concentrazione. Alla fine del 1600, il caff cominci a diffondersi in Europa con una fortuna tale da influire prepotentemente sulle abitudini quotidiane e sullo sviluppo delleconomia di mercato. Il successo della nuova bevanda fu grande e stimol limpianto di apposite piantagioni nei possedimenti coloniali, in particolare quelli dei Paesi Bassi. In Europa i rituali domestici e sociali celebrati con il consumo del caff diventeranno segno distintivo della signorile rispettabilit intesa come modello comportamentale e stile di vita. Nel settecento si usava ancora iniziare la giornata con porridge di cereali, spesso accompagnato da birra o da vino. La diffusione del caff comport unautentica rivoluzione: il caffelatte insieme a pane divenne, in Europa, il prototipo della prima colazione. Alla fine del secolo, si afferm la consuetudine di sorbire il caff alla fine dei pasti con un rituale che, insieme alle buone maniere ed alla qualit delle tazzine e della caffettiera, sottolineava la signorilit, il decoro e lo status della famiglia. Il progressivo affermarsi della bevanda, divenuta in poco tempo uno degli aspetti centrali della vita sociale, costitu un vero e proprio caso culturale e componente

di una parte della vita economica in quanto tema di consumo, soggetto alle leggi di mercato. Lo scambio di opinioni nelle sale da caff cittadine costituiva loccasione per rinforzare vincoli di amicizia e condurre negoziati, i Caff divennero luoghi di diffusione ideologica. La pubblicazione del periodico Il Caff, i comportante e impegnata rivista di taglio illuministico, sottoline, dal 1764 al 1766, il significato culturale assunto ormai dalla bevanda, che accompagnava le discussioni illuminate intraprese nei luoghi di mescita e nei salotti. Ancora una volta usi culturali innovativi sorgevano e si sviluppavano dalla tradizione del sacrificio di un vegetale, di un dema che, macinato, tostato, bollito, suggeriva nuovi significati esistenziali rinnovando la coesione tra i partecipanti al suo culto.

LA DANZA DELLA KALELA


Mitchell, uno dei pi noti componenti della scuola di Manchester, assistette nel 1951, nei quartieri della citt di Luanshya, a diverse esecuzioni di una particolare danza denominata Kalela. I dati che raccolse rappresentarono la base per lo studio di un importante lavoro. Bisogna per dire che molti hanno criticato lanalisi di tipo sincronico sulla quale lo studio si sofferma, infatti la danza della Kalela (fierezza) non viene posta da Mitchell in una prospettiva storica, ma rappresenta il caso specifico attorno al quale fare orbitare i rapporti esistenti fra gli africani nelle citt della Copperbelt. Malgrado ci, va notato che egli mostra che il suo interesse non rivolto ad uno statico elemento culturale sopravvissuto in qualche sperduto villaggio, bens a quello che questo elemento diventato nel contesto che si sta osservando. MitchellEbbe occasione di assistere a diverse danze Kalela eseguite dal gruppo di danzatori, delletnia Bisa, i quali, vestiti elegantemente alleuropea, ballavano al suono di grossi tamburi ricavati da bidoni di petrolio coperti con pelli di vacca. Le canzoni cantate dal gruppo raccontano la vita quotidiana della citt e trattano problemi di attualit, molti sono infatti i riferimenti alle bellezze della terra dorigine dei Bisa e alle loro virt. Quello che emerge dalla descrizione della danza proposta da Mitchell non tanto lidea di rigide espressioni di una tradizione esclusiva che si perpetua immutata, quanto lidea di espressioni provvisorie e mescolanze imprescindibili, e ci evidente nelle strofe che mutano in continuazione, nella centralit delle vicende connesse alla multi etnicit urbana. Il tribalismo urbano Lo scopo che Mitchell si prefigge quello di mostrare come, negli agglomerati urbani, lappartenenza tribale, e quindi la contrapposizione fra gruppi di origine diversa, funziona in certi campi sociali e non in altri. Per esempio, negli ambiti sociali dove interagiscono solo africani le categorie tribali sono riconosciute e utilizzate, mentre in ambiti dove gli africani interagiscono con i bianchi le categorie tribali vengono rifiutate. Il tribalismo, quindi, coesiste con altri campi di valori, come risulta evidente nel gruppo di danzatori della Kalela. In sostanza questa danza permette di legare in una situazione urbana individui che nelle aree rurali si presentano come tradizionalmente ostili. Ci troviamo di fronte a unevidente funzione di mediazione: per un verso, la danza rende pi salda lunit etnica e mantiene una identificazione culturale, per altro verso, il linguaggio e labbigliamento presi dalla vita urbana tendono a cancellare le differenze tribali e mostrano una sorta

di acquisizione culturale. Il risultato non la scomparsa della logica tribale, ma la riduzione di questa logica, una riclassificazione dellassetto tribale in base a principi pi generali. Negli anni 50 nella Copperbelt, il passaggio dalla comunit tribale alla societ urbana ha raggiunto ritmi impressionanti. In pochi anni si sono creati in questarea contrasti i quali, forse, non si sono dati in nessun tempo e in nessuna area del mondo. Eppure, anche in questo laboratorio, risultava evidente come fosse possibile di volta in volta ricomporre una prospettiva culturale. Epstein scriveva che gli africani non potevano pi vivere e lavorare insieme sulla base della parentela e dellaffinit come accade nei villaggi rurali, e molte delle norme e caratteristiche del sistema tribale cadono in disuso. Ci nonostante, il tribalismo continua a suscitare un potente influsso sulla vita urbana degli africani.

LA SAPE E LA FILOSOFIA DELLELEGANZA


Nel Congo esistono uomini che vivono deleganza. Abitano in case modeste, non hanno un pasto quotidiano assicurato,. Eppure vestono abiti firmati. In un paese tra i pi poveri e disagiati del mondo, dove la maggior parte della popolazione vive nella miseria, questi uomini sono disposti a digiunare. Sono i sapeurs congolesi, che dedicano la vita alleleganza e al culto della persona. Vestono alla moda e presenziano a matrimoni e funerali: sono pagati per dar lustro alla cerimonia, sono la dimostrazione della ricchezza e dellagio della famiglia. Quella del sapeur una carriera difficile, solo pochissimi riescono a trasformare la loro passione per la moda in un mestiere. Il fenomeno di questi dandy, che fanno dello stile una sorta di religione, nato a Bakongo, quartiere di Brazzaville, intorno agli anni 50, quando un gruppo di giovani congolesi torn da Parigi con valigie cariche di vestiti costosi e accessori dalle firme prestigiose. Se a Brazzeville la Sape nata come status symbol dei congolesi che tornavano dallEuropa e volevano distinguersi dalla folla anonima, nella vicina Kinshasa, al termine della dominazione coloniale, il fenomeno assunse una valenza pi politica, di ribellione al sistema costituito. Siamo nella met degli anni 60. Dopo il breve governo di Lumumba, il potere, con un colpo di Stato, passava in mano al maresciallo Mobutu Sese Seko, dittatore spietato e stravagante che cambi il nome del paese ribattezzandolo Zaire, e lanciava lo slogan dellautenticit, con lo scopo di cancellare i retaggi coloniali per valorizzare le radici culturali africane. Veniva proibito luso di giacca e cravatta, considerati inaccettabili simboli degli oppressori europei e imposto un abbigliamento tradizionale, una sorta di uniforme nazionale chiamata abacost. In un paese in cui i partiti politici erano stati banditi, la resistenza alla linea mobutista dellabacost equivaleva al rifiuto di omologarsi: era dunque un gesto profondamente politico. Il musicista Papa Wemba, pop star emergente della rumba zairese, fu tra i primi ad opporsi alla divisa maschile mobutista. Ignor lembargo sulle importazioni di abiti occidentali e cominci a sfoggiare in pubblico completi sontuosi, acquistati nelle pi esclusive boutique durante le tournee in Europa. Spesso indossava gli abiti a rovescio per mettere in mostra letichetta. E tra una canzone e laltra era solito improvvisare delle sfilate di moda e dei concorsi di portamento. In breve il suo stile travolgente diede vita ad una vera e propria rivoluzione dei costumi destinata a propagarsi come unepidemia nel cuore dellAfrica. Dal punto di vista antropologico, i sapeurs sono in gran parte giovani scapoli e disoccupati, organizzati in gerarchie di rango, quasi dei club, che rispecchiano fedelmente

lantica organizzazione dei clan. Ognuno di questi club ha un nome, un territorio, una serie di sottogruppi di rango decrescente, si d norme e regolamenti, un linguaggio particolare e rituali: tutti i simboli dellidentit di gruppo. La sape La Sape un programma rituale per la trasformazione di questi giovani privi di rango in grandi uomini; un rito che inizia e finisce a Bakongo, con una fase liminale a Parigi, e che consiste nella progressiva costruzione di un guardaroba e nella sua esibizione rituale in occasione di feste appositamente organizzate. A Brazzaville si pu cominciare accumulando vestiti di qualit modesta, copie e normali abiti preconfezionati. Il viaggio a Parigi linizio della vera trasformazione del comune sapeur in una persona di rango superiore. Laccumulazione della gamme, cio il ventaglio completo dei grandi nomi della moda, non solo una questione di apparenza: non basta avere un aspetto elegante per essere elegante, larticolo deve essere autentico, letichetta svolge cos un ruolo cruciale ed prova di autenticit. La trasformazione fisica del sapeur continua con la pratica del maquillage, luso di misure di prodotti chimici al fine di schiarire la pelle: diventare pi bianchi vuol dire diventare pi ricchi e potenti. Durante la sua avventura parigina, il parisien pu pi volte a fare un ritorno a Brazzaville per esibire lo status raggiunto, prima del suo definitivo ritorno e del tentativo di reintegrazione nella societ congolese in qualit di grande uomo. Ci troviamo in un sistema in cui il consumo definisce lidentit e dove i simboli della modernit non solo rappresentano ma sono lessenza stessa del potere sociale. La consacrazione avviene con un costoso gala rituale organizzato e finanziato dallintero club: ogni nuovo eroe viene singolarmente presentato, vengono elencate le sue doti e ogni singola perla del suo guardaroba e del suo maquillage; la fidanzata, vestita anche lei elegantemente, lo abbraccia in pubblico e gli offre un dono, seguita dagli altri invitati; al termine dei doni, il sapeur si esibisce per il pubblico, per poi lasciare spazio al sapeur successivo. Il consumo: speranza di potere e di possesso Lintera struttura di questo rituale gira attorno al consumo, nel consumo inizia e finisce, non genera entrate fisse. Non questo lo scopo principale, tanto meno quello di ingannare il pubblico usando lapparenza come mezzo per simulare uno status che non corrisponde a quello reale: il fine ultimo invece leffetto di realizzazione che il consumo produce nellindividuo. In un mondo in cui essere e apparire si sovrappongono, il consumo non un mezzo, ma il fine stesso. Come istituzione, la Sape unimportante associazione locale, ma soprattutto una scelta di vita e un fenomeno di costume. I veri sapeur sono osservanti, non tradiscono le proprie mogli, non guardano le donne altrui, non cedono mai alla violenza; partecipano a concorsi di eleganza che si svolgono con il patrocinio del ministero congolese della cultura e sono considerati veri e propri eroi nazionali. Non a caso, anche i predicatori delle chiese pentecostali, numerosissime in citt, utilizzano lo stile della Sape per attrarre un maggior numero di fedeli: labito di marca rende le loro le parole pi convincenti, le trasforma in verit assolute ed eleva i predicatori stessi a esempi da seguire e imitare. Dopotutto, proprio linvidia il motore delle societ moderne: dallammirazione altrui, infatti, che lindividuo incrementa la propria autostima e costruisce la propria identit. Questo consumo la stessa forza vitale che diverse trib indigene della Melanesia ritrovano nei cargo, ovvero gli aerei e le navi preposte al trasporto di

merci. Durante la seconda guerra mondiale, nel corso della campagna del Pacifico, avvenuta contro il Giappone, grandi quantit di materiale da guerra stata paracadutata su quelle isole. Gli abitanti sono per la prima volta entrati in contatto con prodotti industriali quali vestiti, cibi in scatola, armi, inviati come rifornimento ai soldati e agli isolani e con loro collaboravano. Al termine della guerra, i cargo non sono stati pi paracadutati, ma gli isolani hanno dato vita a uno fra i tanti culto del cargo. Essi si sono cio convinti che i cargo fossero stati creati dagli spiriti degli antenati e destinati alle popolazioni melanesiane e che i bianchi se ne fossero semplicemente impossessati in seguito. I cargo erano dunque il mezzo attraverso cui gli indigeni tornavano ad appropriarsi di quanto spettasse loro: il cargo ad essere investito in questo caso della forza vitale, ad essere considerato una divinit. Gli indigeni, hanno cominciato ad assumere atteggiamenti imitativi dei militari occidentali, nella speranza che questo acceleri larrivo del cargo. Sono state costruite false piste di atterraggio, cuffie e radio fatte con cocco e paglia e feticci in legno raffiguranti queste divinit alate e, intorno ad esse, gli indigeni danzano e pregano, in attesa del loro ritorno. Le motivazioni profonde di questo tipo di ideologia, pur dietro le tematiche religiose relative al ripristino di una nuova et delloro, tradiscono esigenze sociali e politiche: esprimono infatti la necessit di costruire nuove societ sulla base delle proprie eredit culturali. Le molteplici manifestazioni relative alla tradizione del Cargo interessano, in particolare, la Nuova Guinea e tutti i territori in cui loppressione dei bianchi, sottraendo braccia da lavoro alle popolazioni indigene, aveva causato una crisi economica gravissima. Limpellenza di contrastare gli effetti della crisi, comport da un lato il riavvicinamento ai modelli culturali magico- religiosi di stampo sciamanico. Dallaltro il bisogno di adattamento fin per favorire lutilizzo delle nozioni trasmesse dai missionari, rielaborate secondo le necessit del momento.

IL CRICKET INDIANO
Per unex colonia la decolonizzazione non un semplice smantellamento delle abitudini e dei modi di vita coloniali. La complessit e lambiguit di questo dialogo non potrebbero essere pi evidenti che nelle vicissitudini del cricket in quei paesi un tempo parte dellimpero britannico. Nel caso indiano, gli aspetti culturali della decolonizzazione influenzano profondamente tutte le dimensioni della vita pubblica, dal linguaggio alle arti, alle idee sulla rappresentanza politica e sulla giustizia economica. Appadurai comincia la sua ricognizione sul cricket a partire dallipotesi che in questo caso ci troviamo di fronte ad una forma culturale cosiddetta dura. Una forma culturale dura quella che rappresenta un fitto insieme di collegamenti tra valori, significati e pratiche incarnate nel comportamento comune e quotidiano delle persone. Un insieme complesso come questo risulta difficile da sciogliere e soprattutto resistere alla trasformazione. A differenza di una forma culturale morbida, infatti, in grado di modificare coloro che la vivono come pratica socializzante. Tanto per gli inglesi in madrepatria, quanto per quelli presenti nei diversi territori coloniali del Commonwealth, il cricket ha rappresentato e rappresenta fin dai tempi della regina Vittoria, molto pi che unattivit sportiva. Si tratta infatti di una pratica di socializzazione che sancisce laccesso e lappartenenza di maschi adulti ad un ambiente socioculturale dotato di un proprio codice definito. Un codice dunque che, applicato e verificato sul campo da gioco, pienamente metaforico rispetto al campo delle relazioni sociali reali e importanti per quegli

stessi maschi adulti. Allinizio, nella classica temperie coloniale vittoriana, sono le risorse elitarie della politica ad incontrarsi e fronteggiarsi sul campo da gioco. Accanto agli esclusivi club inglesi nascono i club indiani, con le stesse caratteristiche e funzioni di quelle inglesi. Ad un certo momento la diffusione sul territorio del gioco del cricket, sia nelle citt e nelle periferie, raggiunge un livello davvero popolare. cos che la pratica socializzante del cricket arriva a coinvolgere e ad interessare la gran parte della popolazione maschile indiana, ed anche lo spettacolo sportivo, ovvero la consuetudine ad assistere alle partite e non soltanto a giocare, genera unutenza diffusa ed eterogenea. Oggi come oggi, per il pubblico maschile indiano il cricket esprime il prestigio della competizione fisica, aggressiva ma leale.

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