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BREMA

Mattia Brema era certo che gli fosse stato imposto il nome
sbagliato. Sin dalla più lontana infanzia, la più lontana che
riuscisse a ricordare, percepiva una tale incommensurabile
sensazione di alterità rispetto a quel nome - Mattia - che, al
sentirlo pronunciare, o dovendo egli stesso scriverlo, gli
rimbombava nella mente accompagnato da un fastidio strano, come
più soltanto un titolo, non si sa se d'onore o ingiuria,
immeritato.

Spesso, nel radersi la barba od aspettando il sonno, si era


interrogato su quella sua singolare condizione ed era giunto a
considerare quel nome come una sottilissima, trasparente,
elastica pellicola che aderiva perfettamente alla sua pelle: non
gli recava alcun danno, non nuoceva ad alcuna delle sue
attività... eppure lo infastidiva. Non poteva eliminarla in
alcun modo.
Eh, già! Cambiare nome! Ci pensò una volta, ma all'ultimo, dopo
essersi studiato le formalità necessarie, aveva desisistito. No,
non per le difficoltà burocratico-giuridiche: il fatto che gli
pareva un atto innaturale, di più¨: contro natura. Era come, egli
pensava, dare una mano di vernice alla pellicola: ma la
pellicola, quella pellicola, gli sarebbe comunque rimasta addosso:
era parte di lui.

Una notte, addirittura, sognò proprio la pellicola: era in


apparenza simile a quella delle bolle di sapone, ed egli tentava
di romperla, fregandosi le mani e le braccia, ma la tenacia di
quell'etereo strato di nulla era sorprendente. Allora pensò di
gettassi in avanti con tutto il corpo, per sfuggirle: il
tentativo parve funzionare: sentiva, con la trepidazione
precedente la gioia piò grande, che si era già rotta sul naso e
forse era indebolita sul petto... ma subito lo slancio si estinse,

e la pellicola si richiuse inesorabile sopra di lui, affogandolo,


definitivamente, nell'angoscia.

Era convinto di aver provato, seppur solo in quel sogno, quel che
significa esistere coscientemente, almeno per un attimo, senza
la definizione del nome, e aveva sempre avuto nostalgia di quella
sensazione.

Il destino, però, gli riservava una sorpresa: la notte del due


novembre 1993 si sentì di nuovo senza nome. Si era svegliato di
soprassalto, intorno a mezzanotte, con l'assurda certezza di
essere libero: libero come non era mai stato, senza nome, senza
legami, senza responsabilità... senza niente insomma. Così in
preda a quella immotivata felicità si mise a girare per la casa,
che gli pareva allegramente oscura e inconsistente rispetto a
lui, alla pregnanza del suo essere. Si mise a ridere di quella
sensazione così piacevole, e si convinse di essersi sbronzato.
Poi tornò in camera da letto, e vide il letto occupato da uno
sconosciuto immobile: ne fu sorpreso, ma stranamente non
spaventato, e decise di controllare chi fosse: era Mattia Brema,
ed era decisamente morto.

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