Se si pronuncia questa parola ad alta voce, subito, tornano alla mente le
immagini del Duce e dei suoi discorsi. Era il 1930 circa, quando Benito Mussolini faceva piega, ancora una volta, come i pi abili strateghi antichi, sul concetto di identit nazionale. Come lui, gi da prima Garibaldi e tanti altri fino ad arrivare agli antichi Greci, che nella culla della cultura, esaltavano allesasperazione il principio assoluto dellautoctonia, o se vogliamo dirlo in termini a noi pi comuni, quello della purezza della razza. strano notare come in tanti secoli di storia, nonostante tutte le evoluzioni e rivoluzioni, si stati capaci di fossilizzarsi su tale ideale. quasi come se ci rifiutassimo di considerare gli altri al nostro pari. Noi siamo Ateniesi e loro sono Barbaros; noi siamo italiani e loro sono immigrati. Nessuno mai per si fermato a pensare cosa effettivamente ci denoti come Italiani. Escludendo a priori le ipotesi della cittadinanza e della purezza, in quanto appare evidente la loro natura utopica, infatti, rimaniamo con un pugno di sabbia in mano. Ci hanno insegnato che il popolo lunione di un numero pi o meno elevato di individui tra i quali si instaurata una comunanza valoriale, nonch di abitudini sociali, religiose e culturali. Stando a ci, chiunque non condividesse quelli che sono gli ideali tipicamente italiani, si troverebbe in una posizione, quasi paragonabile a quella del Limbo, in cui, del tutto privato della sua qualifica di italiano, non sarebbe altro, se non appunto, un non-italiano. Tale prospettiva, a mio parere, sperando che sia un parere condiviso, del tutto improponibile e non solo in virt di quella che la nostra Costituzione di cui siamo tanto fieri ma di cui abbiamo estrema paura, ma in virt della nostra stessa natura umana. Prima di essere italiani e francesi o iraniani e libici siamo prima di tutto esseri umani, dotati di intelletto ed empatia. Luomo non in grado di vivere isolato e la storia ne testimone; il vivere in comunit ha da sempre costituito un punto di forza e non uno di debolezza. Con il corso del tempo per, sembra quasi che si ci sia dimenticati che il diverso Paese di provenienza solo un diverso luogo di appartenenza; la diversa religione solo un diverso modo di approcciarsi con il divino; il diverso colore della pelle poi, la differenza davvero meno rilevante di tutte. Una persona non data dal Dio in cui crede o dal colore della pelle; una persona data dai suoi valori, dalla capacit di amare, dalle sue idee. Il mio un invito a mettere da parte quello che definiamo orgoglio italiano e metterci, per un solo minuto, nelle vesti di quelli che con tanto disprezzo definiamo immigrati. Sono persone che non mangiano per giorni, che vendono tutto quello poco che hanno guadagnato in una vita, riducendosi in miseria pur di poter salire su un barcone in cerca di qualcosa di migliore. Non pensiamo mai cosa significa rischiare tutto pur di lasciare il paese di provenienza non pensiamo mai a quanto dura deve essere la scelta di una madre che decide di mandare il suo bambino su una di queste barche nella speranza che tutto vada bene e che riesca ad essere felice, ma senza mai averne la certezza. Queste sono persone che rischiano la vita, solo perch credono e sperano di poterne avere una vera vita; questo significa che per loro la pi tetra delle possibilit, la morte, comunque meglio di quello che vivono giorno dopo giorno. Apriamo gli occhi e apriamo il cuore italiani. Proprio come tutto il mondo ha fatto con noi, quando partivamo con le nostre valigie di cartone in cerca di fortuna; oggi dovremo essere noi ad accogliere, nel vero senso della parola per, questa gente che non in cerca di ricchezza ma semplicemente di libert.