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Demofobia Pellizzetti
Demofobia Pellizzetti
A. Smith, La ricchezza delle nazioni, (prefazione di P. Sylos Labini), Newton Compton, Roma 2010 pag. 21
R. Darnton, La dentiera, op. cit. pag. 5
10
A. Pizzorno, Lorganizzazione degli interessi bellEuropa occidentale (a cura di S. Berger), Il Mulino, Bologna 1983
pag. 413
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Non a caso come si diceva - sono proprio i Padri Fondatori americani, inventori
della democrazia rappresentativa, a mettere per primi a punto quanto lo storico
Howard Zinn definisce il sistema di controllo nazionale pi efficace dei tempi
moderni associando il paternalismo al comando11. Ma essi stessi ne erano
completamente consapevoli? Non ne siamo cos sicuri. Intrappolati nelle proprie reti
argomentative come in un tipico caso di rimozione - definivano patriottismo
quegli apparati di sorveglianza sociale che avevano escogitato per deviare lo sguardo
delle moltitudini (lontano da quel patriziato coloniale che si rappresentava garante
dellinteresse generale).
Forse la risposta sta nellanalisi del DNA liberaldemocratico. Nella ricostruzione di
un percorso politico-ideologico che attiene altres al variare della composizione
sociale di riferimento.
I sistemi liberaldemocratici e quelli semplicemente liberali che li avevano preceduti
poggiavano sullassioma originario stabilito da Locke, secondo cui la funzione
primaria dello Stato era di proteggere la propriet Il liberalismo classico, sia nella
veste inglese e francese, sia in quella americana, era propriamente il prodotto
ideologico e istituzionale dei proprietari del Sei-Settecento, epoca che non aveva
conosciuto la rivoluzione industriale e tutte le sue conseguenze. Intento di questi
proprietari era di opporsi tanto al potere dispotico dei re e delle oligarchie quanto a
quello della maggioranza dei poveri e degli emarginati invidiosi delle propriet
altrui e miranti a impadronirsi di essa mediante la violenza e le leggi agrarie, o
addirittura ad abolire la propriet privata stabilendo il possesso comune delle terre12.
Ossia i programmi secenteschi dei radicali inglesi (gli Zappatori, il cui portavoce era
Gerrard Winstanley) e quelli settecenteschi dei protocomunisti francesi come Babeuf
e Marchal.
Ma intanto i proprietari avevano assunto il controllo dello Stato attraverso le
rivoluzioni che saranno chiamate borghesi. Per cui restava da fronteggiare soltanto
linvidia dei meno o per nulla abbienti. Mentre - sempre nel frattempo - erano
venuti modificandosi i contesti sociali dove si riteneva albergasse la minaccia
sovversiva dellinvidia insorgente: nella fase preindustriale la bassa forza lavoro
largamente dispersa nel mondo rurale e facilmente circoscrivibile in quello urbano
(contadini e salariati artigiani), componente che, quando non dava luogo alle rivolte
della miseria e della disperazione sconfitte gi sul nascere, si connotava come una
sottosociet muta e inerte; nella societ industriale in cui avviene il passaggio dal
Liberalismo alla Liberaldemocrazia lorganizzazione degli operai in movimento di
classe consentiva la conquista di soggettivit e diritti in campo sindacale e politico,
da cui i proprietari non potevano prescindere. I pi avveduti dei quali ritennero
opportuno stemperare la virulenza del nuovo conflitto industrialista attraverso
compromessi per il reciproco riconoscimento.
Da quel momento la paura dellinvidia degli strati sociali inferiori, da parte di
quelli superiori, diventata una manifestazione politicamente scorretta; e come tale
11
12
citato da R. D. Putnam, Capitalismo sociale e individualismo, il Mulino, Bologna 2004 pag. 417
ibidem pag. 39
15
B. Moore jr. Le basi sociali dellobbedienza e della rivolta, Ed. Comunit, Milano 1983 pag. 82
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La ragazza coraggiosa era una dei manifestanti che a Istambul hanno portato in
piazza la celebre massima di Hikmet il massimo poeta novecentesco loro
concittadino; icona liberatoria anchesso, con la sua storia straordinaria da
rivoluzionario di professione - Muore un albero. Si sveglia una nazione. E la piazza
si chiama Taksim, un nome la cui assonanza ha richiamato subito alla mente dei
commentatori unaltra piazza la cairota Tharir dove due anni prima studentesse
e studenti, non diversi da questi, avevano fatto parlare ancora una volta di
rivoluzione a mezzo Twitter. Facile e consolatoria semplificazione che forse
varrebbe la pena di demistificare.
Infatti a Occidente - dopo la fine della Guerra Fredda - si radicato il sospetto
stereotipo che promuove la fiducia ingenua nel potenziale liberatorio della
comunicazione online. A partire dalla terribile semplificazione per cui lUnione
Sovietica e il Blocco Orientale si sarebbero dissolti grazie al genio comunicativo di
Ronald Reagan (oltre al contrabbando a Est di qualche fax e fotocopiatrice per
leditoria clandestina, accompagnato al sostegno di trasmissioni come Radio Free
Europe e Voice of America), non per le condizioni strutturali e le contraddizioni
interne del sistema sovietico. Dunque una strategia da clonare in ogni contesto,
mettendo a frutto le nuove tecnologie. In particolare quelle impostesi nella nuova fase
di sviluppo dei social network denominata WEB 2.0: la stagione di Facebook e di
Twitter.
Tanto che Mark Pfeifle, gi consigliere per la sicurezza nazionale
dellamministrazione Bush, ha lanciato una campagna per candidare Twitter al Nobel
per la pace, sostenendo che senza Twitter il popolo iraniano non si sarebbe sentito
tanto forte e fiducioso da difendere la libert e la democrazia28.
La prova generale del the revolution will be twittered stata fatta nel giugno 2009,
quando migliaia di giovani iraniani, smartphone alla mano, si sono riversati nelle
strade di Teheran chiedendo le dimissioni dellayatollah Khamenei; a seguito delle
elezioni che avevano riconfermato alla presidenza Mahmud Ahmadinejad e che loro
erano certi fossero state truccate.
Come andata a finire la rivoluzione verde su Twitter, che avrebbe dovuto far
collassare il regime iraniano? N pi n meno di come sono andate quelle successive
del fatidico 2011 in Egitto e Tunisia, dette dei blogger, che avrebbero dovuto
sconfiggere le rispettive dittature a colpi di gadget tecnologici: nel rapido
riconsolidamento del regime, che nel frattempo ha imparato a usare le opportunit
ICT in chiave di controinformazione propagandistica. Sicch la teocrazia iraniana
mantiene salda la propria presa su una societ che risprofonda nel fatalismo, in Egitto
i militari restati in sella grazie alla temporanea partnetship con i Fratelli Mussulmani.
E che ora giocano in proprio.
Ci suona a conferma che lOccidente, propugnatore di liberaldemocrazia, non pu
pensare di cavarsela con le scorciatoie dimmagine del cyberutopismo o
dellinternetcentrismo e poi sotto, sotto praticare la logica cinica, ipocrita e pure
suicida del continuare ad appoggiare, nel quadrante mediorientale, assetti che
28
ibidem pag. 6
svolgano la funzione del gendarme regionale; a fronte dei settori giovanili di quelle
societ dove i valori liberaldemocratici hanno ormai fatto breccia (e che si
candiderebbero a essere il migliore alleato nella lotta contro loscurantismo jihadista).
Ma tant, il richiamo delle ricette di controllo sulleffervescenza sociale
(blandamente modernizzante; ci nonostante interpretata dai conservatori occidentali
come sovversiva) risulta sempre prevalente. Anche se gravemente perdente.
Eppure lo si dovrebbe aver capito, magari mettendo a confronto quanto accaduto in
due differenti mesi di giugno. Un giugno antico e laltro pi recente; ma sempre
parafrasando Thomas S. Eliot il pi speranzoso dei mesi, per la terra desolata
dellafflizione (islamica o meno).
26 giugno 1963, nella Berlino Ovest assediata dalle forze del Patto di Varsavia e
ormai attraversata dal muro della vergogna, il presidente americano John Fitzgerald
Kennedy, con a fianco il borgomastro Willi Brandt, proclama al mondo il suo ich
bin ein berliner, io sono un berlinese. E per i ragazzi di allora fu limmagine
coinvolgente di un Occidente che prendeva liniziativa, come Societ Aperta
contrapposta allottusa prevaricazione di un mondo chiuso. Fermo restando che a
quel grido fece seguito la scelta politica conseguente di creare un ponte aereo carico
di medicine e alimentari che sostenne concretamente la resistenza degli altri
berlinesi.
4 giugno 2009, universit Al-Azhar del Cairo: lefficace oratoria del presidente
americano Barak Obama entusiasma i giovani egiziani assiepati attorno al leader
venuto da Occidente, che pronuncia la celebre frase sono qui per cercare di
inaugurare una nuova era. Ma due anni dopo, quando quei ragazzi e quelle ragazzi
hanno cercato loro di dare lavvio al rinnovamento, che cosa stato fatto da parte
delle democrazie dOccidente? Nulla.
I curatori fallimentari dei disastri bellicisti e liberisti a Ovest hanno saputo solo
proferire parole politicamente corrette quanto insignificanti, inerti.
Come quelle rivolte a Erdogan dal segretario di Stato USA John Kerry, preoccupato
per luso eccessivo della forza da parte della polizia turca e che invita il governo di
Ankara a indagare al riguardo (sic!).
Inerzia che si consola con le presunte mirabilie delle tecnologie digitali; le quali
come sempre - tendono a promettere pi di quanto siano in grado di fare
praticamente ogni nuova tecnologia stata osannata per la sua capacit di alzare il
dibattito pubblico, accrescere la trasparenza della politica e condurre tutti noi nel
mitico villaggio globale. Speranze rapidamente infrante dalla forza bruta della
politica, della cultura e delleconomia.
Del resto pure in Turchia la ragione del Potere non si limitata soltanto ad usare gli
idranti e ben presto si sono contati i primi manifestanti morti. Che erano scesi in
piazza a gridare valori di libert e democrazia. Mentre le liberaldemocrazie
occidentali volgono lo sguardo altrove, sussurrando generici inviti a prudenza e
moderazione; mentre pure a casa loro in atto la restaurazione del dominio ipocrita
dei pochi sui tanti. Nel cuore dellOccidente, dove il perbenismo compassionevole
dei privilegiati rifiuta di riconoscere le palesi interdipendenze tra povert e
disuguaglianza, in crescita sinergica.
Pierfranco Pellizzetti
(9 giugno 2014)