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Storia, linguaggio e prospettive del vestire in Sardegna

COSTUMI
Storia, linguaggio e prospettive del vestire in Sardegna

Collana di

ETNOGRAFIA E CULTURA MATERIALE


Coordinamento Paolo Piquereddu

Indice

Progetto grafico e impaginazione Ilisso edizioni Grafica copertina Aurelio Candido Stampa Lito Terrazzi, Firenze Referenze fotografiche La campagna fotografica stata realizzata da Pietro Paolo Pinna; le immagini, quando non diversamente indicato in didascalia, appartengono allArchivio Ilisso. Le fotografie nn. 69, 206, 326, 387-391, 401, 465, 480, 691, 693, fanno parte invece dellArchivio ISRE, foto Virgilio Piras. Si ringraziano i fotografi e gli archivi pubblici e privati che hanno generosamente collaborato rendendo disponibili alcune immagini. Tutte le opere pubblicate quando prive di ulteriore indicazione appartengono a collezioni private.

7 VESTIRE 15 NOTE 61 IL

FRA TRADIZIONE E MODERNIT

Maria Teresa Binaghi Olivari


DI STORIA DELLABBIGLIAMENTO IN

SARDEGNA

Paolo Piquereddu
SISTEMA VESTIMENTARIO

Franca Rosa Contu 68 228 298 Labbigliamento femminile Labbigliamento maschile Labbigliamento infantile
E QUOTIDIANIT.

317 TRADIZIONE 331 I

LABBIGLIAMENTO OSILO
E

FEMMINILE A ITTIRI

Giovanni Maria Demartis


COSTUMI FEMMINILI DI GALA DI

PLOAGHE

Ringraziamenti Si ringraziano il Direttore del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, Stefania Massari e il Direttore dellISRE, Paolo Piquereddu per aver consentito laccesso alle collezioni e agli archivi degli Istituti da loro diretti. Un ringraziamento particolare al personale del Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde di Nuoro; del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma; della Collezione Piloni dellUniversit di Cagliari per la sensibile e generosa disponibilit prestata durante il lavoro. La nostra gratitudine va a quanti hanno collaborato, a vario titolo, alla realizzazione di questopera, in particolare: Stefano Gizzi, Soprintendente ai BAAAS per le province di Sassari e Nuoro; Francesco Nicosia, Soprintendente ai Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro; Mario Serio, Direttore Generale per il Patrimonio Storico Artistico e Demo-Etnoantropologico di Roma; Anna Maria Montaldo, Direttrice della Galleria Comunale dArte di Cagliari; Giovanni Antonio Sulas; Luciano Bonino; Rosalba Floris; Stefano e Annapia Demontis; AT LARGE; Maria Angelina Paffi; Angela Puggioni; Monica Sale; Michele Pira; Santina Accaputo; Peppinetta Mulas; Pasqualina Guiso; Nicoletta Alberti; Angela Cocco; Costanza Congeddu; Margherita Braina; Ugo Mele; Carla Marras, Cristina Murroni Charles e Silvia Sotgiu per la collaborazione nella raccolta ed elaborazione dati relativi al saggio Profili economici del settore abbigliamento in Sardegna.

Giovanni Maria Demartis

339 LINVENZIONE

DEL CORPO ARCAICO. LABITO TRADIZIONALE SARDO NELLA CULTURA VISIVA TRA OTTO E NOVECENTO

Giuliana Altea

371 UN 387 SA 395 LE

TIPICO COSTUME SARDO: EDITARE I COSTUMI IN CARTOLINA VESTE

Enrico Sturani Bachisio Bandinu


MODE DEL VESTIRE SARDO

Michela De Giorgio

409 MODA 423 SUL

E TRADIZIONE.

SARDEGNA:

UNA REALT DA CUI ATTINGERE

Bonizza Giordani Aragno


CONCETTO SISTEMA DI VESTIARIO.

DUE

ETNOGRAFIE A CONFRONTO

Marinella Carosso

429 ROMA 1911. LAVVIO


Stefania Massari

DI UNA RACCOLTA MUSEALE NAZIONALE

435 MUSEI
Copyright 2003 ILISSO EDIZIONI - Nuoro www.ilisso.it ISBN 88- 87825-84-X

E COSTUMI

Paolo Piquereddu

449 PROFILI

ECONOMICI DEL SETTORE ABBIGLIAMENTO IN

SARDEGNA

Marco Vannini

457 BIBLIOGRAFIA

Vestire fra tradizione e modernit


Maria Teresa Binaghi Olivari

Gli abiti tradizionali, come tutti i vestiti, sono sensazioni della pelle e meccanica dei gesti, a cui si aggiungono la coscienza di appartenenza e lo spessore di una storia che tocca unidentit profonda. Di una forma tanto radicata nel vivere quotidiano, gli studi elaborati per questo volume definiscono uno stabile patrimonio di dati certi. Risulta assodato in primis che labito tradizionale sardo rende riconoscibile la regione di appartenenza, il sesso, let, lo stato anagrafico e il ruolo di ciascun membro della comunit. Altrettanto rigido e inequivoco il repertorio delle forme a cui affidata la trasmissione dei significati: i pantaloni o la gonna, la camicia, il corpetto, il grembiule e gli indumenti pi esterni, le acconciature, i colori, i nastri e pochi altri componenti. Tutti gli elementi formali si articolano secondo schemi modulari, a cui solo la qualit dei materiali e della confezione conferisce un segno individuale, poich sono ristrettissimi i margini di scelta personale concessi dallapparato di informazioni e di moduli, che rappresentano la collocazione di un membro della comunit nella scala delle funzioni. Le fogge, articolate in moduli per un esiguo gruppo di significati, sono radicate in realt territoriali molto ristrette, che comprendono numerose varianti e formano una specifica identit culturale. Si infine situata nella seconda met del Settecento lorigine della struttura. Con la medesima configurazione e nel medesimo punto della storia si delineano gran parte dei costumi popolari europei. Il valore speciale dellabito tradizionale sardo risiede, oltre che nella ricchezza del suo repertorio formale, anche nella sua lunga vitalit e soprattutto nel suo confronto con la modernit, ora. La Sardegna, come ben si dimostra negli studi qui raccolti, di quella modalit di rappresentazione offre ancora oggi un dizionario ricchissimo e di svariatissima vitalit. Presumendo di porgere qualche argomento a chi sta di1. Giuseppe Sciuti, Ingresso trionfale di Giommaria Angioy a Sassari, 1879, decorazione del Salone del Consiglio, Sassari, Palazzo della Provincia (particolare).

battendo con la propria storia, propongo il seguente modesto ragionamento. Il costume popolare, quale definito dagli studi nei suoi significati sociali e nelle sue componenti formali, appare totalmente differente dallabbigliamento usuale nella moderna civilt occidentale. Nellabito tradizionale i segni forniscono informazioni sulla regione di appartenenza, sul ceto e sui diversi ruoli allinterno del ceto, le cui varianti sono determinate dal sesso, dalla professione e dalla condizione di legittimo coniuge. del tutto estranea alle funzioni di un abito moderno la necessit, imprescindibile per un abito tradizionale, di indicare se la persona residente a Cagliari o a Nuoro. Anzi, deve essere del tutto irriconoscibile dallabito se la persona che vediamo transitare a Olbia risiede a Tokio o a Parigi. Non diversamente, sarebbe una sbalorditiva stravaganza se labbigliamento informasse tutta la comunit sullo stato civile di chi lo indossa. Per una donna (come per un uomo) essere vergine, fidanzata, sposata o vedova uninformazione che si trasmette con strumenti diversi dallabito. Allo stesso modo non labbigliamento ad informare sulla professione. Un elegante commesso di salumeria pu vestire esattamente come un principe del foro e veste certamente meglio della generalit dei professori. Dallabbigliamento oggi in uso spesso risulta difficile distinguere persino un maschio da una femmina, bench si tratti di due tipologie con qualche differenza evidente nellarchitettura del corpo. Il distacco tra gli abiti tradizionali e quelli borghesi confermato e ribadito dalla forma delle fogge e dallaccostamento dei colori. Nellabito femminile, la lunghezza e lampiezza delle gonne, la sequenza camicia-gonna-corpetto-giubbetto con le varianti delle forme ornate dal frequente accostamento del colore rosso con lazzurro; nellabbigliamento maschile, la sequenza calzonigonnellino-camicia-corpetto-giubbetto compongono un repertorio incomunicabile allabito moderno. Questultimo impiega forme e sequenze molto varie, e soprattutto costruite sulla dimensione individuale di un corpo. Nellabito borghese la rappresentazione preminente quella dellindividualit fisica, espressa principalmente nelladerenza dellabito al corpo. Per ottenere la compiuta perfezione della forma borghese, fu necessario 7

abbandonare gradualmente tutte le forme artificiate di imbottiture e corsetti, a ci aggiungendo lelaborazione della nozione di taglia e una tecnica sartoriale assai complessa, riproducibile meccanicamente. Al contrario, gli elementi dellabito tradizionale sono costruiti con notevole approssimazione dimensionale, quasi moduli intercambiabili da persona a persona e da generazione a generazione. Dopo la rappresentazione dellindividualit, il censo la successiva informazione trasmessa dallabito borghese. E la quotidiana esperienza consente di omettere le prove. Nonostante le radicali differenze, le due tipologie convivono da oltre due secoli e, assai probabilmente, da parecchi decenni in pi. Tuttavia necessario completare il quadro con unulteriore rilevazione di diversit. Merita conto ricordare che labito borghese, nella sua complessiva configurazione, si composto in confronto e in contrasto con labito nobiliare, e rappresenta uno dei segni formali della fine della societ per ceti e dellinizio della societ per classi. Non serve hic et nunc una dettagliata argomentazione dei tempi e dei modi che hanno scandito laffermazione dellabito borghese su quello nobiliare. Basti ricordare che i significati, le forme e le tecniche dellabito borghese sono il frutto di una vicenda specifica, nata nellarea industrializzata dellEuropa alla fine del Settecento, e da l diffusa in rapido ed esteso sviluppo. stato labito della borghesia della rivoluzione industriale, ed ora adottato da tutta la civilt occidentale e occidentalizzata fino allEstremo Oriente. Con qualche sorpresa si deve ammettere che lapparato di informazioni trasmesso dallabito dellAncien Rgime simile a quello conservato nellabito tradizionale. Anche le fogge dellabito nobiliare, composte su moduli generali per forme e dimensioni, informavano sulla regione e il ceto di appartenenza, sui ruoli e le funzioni della persona. Molti sono i documenti di vario genere che, distribuiti in Europa su un lungo arco di tempo dal XIII al XVIII secolo, consolidano il sospetto della connessione. Al primo posto, per la precisione delle definizioni e per il gran numero di testi, si collocano le leggi suntuarie. Esse furono emanate dal XIII al XVIII secolo, con lo scopo di fissare gli usi concessi a ciascun ceto e a ciascun ruolo allinterno dei ceti; i burocratici dettagli della norma solitamente rappresentavano la struttura della societ. Per segnalare qualche saliente esempio tra quelli noti, si ricordano gli Statuti milanesi del 1396, nella Rubrica generalis de infrixaturis et diversis vanitatibus, in cui si concedevano ai cavalieri (militibus), ai dottori in legge e in medicina, e ai reggitori della citt le esenzioni dalle norme, in quanto membri dei ceti superiori.1 La successiva norma suntuaria milanese, risalente al 1498, pi dettagliatamente elencava le categorie privilegiate dallesenzione: senatori, conti, marchesi, baroni, militi, giureconsulti, fisici, licenziati dallo studio generale, appartenenti allufficio degli Abbati del collegio dei notai e dei causi8

dici della Curia arcivescovile, e anche mercanti.2 Insomma tutti i gradi della nobilt e le pi alte professioni. A Bologna, la Provisio emanata il 24 marzo 1453 dal cardinale Bessarione, legato apostolico, ampliando e chiarendo le disposizioni precedentemente vigenti in citt, restituisce alla percezione storica odierna unimmagine ben definita della scala sociale tra la fine del Trecento e la seconda met del Quattrocento. Al vertice stavano i nobili (Milites), seguivano i Dottori in Legge e in Medicina, poi i membri delle Arti Maggiori (notai e banchieri, e inoltre Draperii e membri Artis Sirici, dummodo non faciant artem manibus propriis, campsores [banchieri] vero sint, patroni et magistri ), i membri delle Arti Inferiori (beccariorum, spetiariorum, lanarolorum, strazarolorum, mercariorum, bambasariorum, et aurificum), gli artigiani (magistri lignaminis, calzolariorum, salarolorum, muratorum, fabrorum, pellipariorum, sartorum, barberiorum, cartolariorum, pellacanorum, piscatorum, cimatorum, rechamatorum et tinctorum), e infine, sul gradino pi basso della societ, i contadini (comitatini ).3 Loggetto delle prescrizioni era in massima prevalenza labito delle donne (sponsa, uxor vel filia ; donne, figliole et spose), in cui si rappresentavano compiutamente il ceto di appartenenza e il ruolo dei mariti e padri. Anche tra le donne la legislazione suntuaria prevedeva una scala di valori. Un provvedimento riminese del 1573 divideva le donne in quattro categorie con decrescenti diritti: le donne sposate da oltre quattro anni, le spose maritate da meno di quattro anni, le vedove e infine le donzelle.4 La Provvisione bolognese del 6 aprile 1514 individuava anche la categoria delle spose che non avevano portato dote.5 Nellapparato delle leggi suntuarie finora note, costantemente si segnano le differenze degli obblighi tra i cittadini, gli abitanti del contado e i forestieri, ponendo la prima distinzione nellappartenenza territoriale e assegnando agli abitanti della citt il livello pi alto dei diritti e dei doveri. Al grado inferiore erano additati gli ebrei e le prostitute, a cui erano prescritti dei segni esteriori applicati alla persona, affinch non potessero sottrarsi alle proibizioni a cui erano soggetti. Entro i limiti cos definiti, le norme non obbligavano i singoli ceti a fogge speciali: labito nobiliare, trasferendosi dal ceto dei Milites a quelli inferiori, si limitava a ridurre progressivamente la dovizia dei materiali e degli ornati. Non si rileva una struttura vestimentaria alternativa allabito nobiliare. Molto spesso i legislatori giustificavano lintervento normativo con un argomento di natura economica: il denaro speso per il lusso era denaro morto ed era spesso causa di rovina per importanti patrimoni. Alla condanna del lusso per ragioni economiche si aggiungeva la riprovazione morale, diffusissima e autorevole, come gli interventi pi noti di Bernardino da Siena e Bernardino da Feltre. Eppure le ragioni economiche e morali richiamate dalle leggi sembrano argomenti marginali rispetto al nucleo dei significati primari. Questi sono compattamente orientati

verso una immediata riconoscibilit dei ceti allinterno di una comunit, definendo i segni dellappartenenza e sanzionando levasione verso i ceti superiori. Le leggi suntuarie si possono considerare un raffinatissimo apparato costruito a tutela della struttura sociale per ceti. Bench literazione dei testi legislativi induca a dubitare della loro efficacia, e anzi si registri costantemente levasione e lopposizione ai controlli e alle pene, lazione normativa sullabbigliamento continu per secoli. La storia delle leggi suntuarie si esaur con la Dichiarazione del 29 ottobre 1793 (8 brumaio dellanno secondo della Rivoluzione Francese): Nessuno potr costringere un cittadino o una cittadina a vestirsi in maniera particolare ognuno libero di portare il vestito o la guarnizione che gli pare.6 Latto ratificava nellabbigliamento la fine della societ articolata in ceti e linizio della struttura per classi. Concordemente gli studi rilevano la contemporanea stabilizzazione dei costumi popolari, un sistema di abbigliamento radicalmente diverso dallabito borghese. Singolari congruenze col sistema dellabbigliamento tradizionale si possono riscontrare non solo nella normativa dellAntico Regime, ma anche in due testi letterari fon-

2. Atzara, fine anni Venti, foto depoca.

danti per la cultura classica dellEuropa occidentale nel periodo rinascimentale e barocco, ossia lUtopia di Tommaso Moro e il Cortegiano di Baldassarre Castiglione. NellUtopia immaginata da Tommaso Moro gli abiti sono uguali per tutta lisola e per ogni et, salvo differenze inerenti il sesso, oppure lo stato di celibe o di ammogliato Lo stesso principe veste come tutti, recando come unico segno distintivo un mazzo di spighe in mano. Il pontefice a sua volta ha come insegna un cero, portato da chi lo precede La gente indossa in chiesa bianche clamidi. I sacerdoti ne sfoggiano di vari colori, finemente lavorate, di taglio splendido ma di stoffa comune. Non sono infatti ricamate in oro n tempestate di pietre preziose, ma intessute di piume multicolori duccello, disposte con tale gusto e abilit da figurare di gran lunga pi preziose di qualsiasi altra decorazione.7 Dalla seconda met del XX secolo gli studiosi evitano con imbarazzo il sogno di Tommaso Moro sugli abiti uguali per tutti. Abbiamo visto troppi sogni duguaglianza generare mostri. Ma luguaglianza degli abiti di Utopia, fondata sullabolizione della ricchezza dei tessuti e dei gioielli, in verit conservava alcuni segni di distinzione. Il principe esibiva un mazzo di spighe in mano, il pontefice era preceduto da un cero e i sacerdoti nel tempio indossavano vesti liturgiche ornate da simboli religiosi realizzati con piume. Altre non precisate differenze individuavano il 9

sesso e il ruolo nella famiglia. Nonostante la vis polemica e il dono profetico di Tommaso Moro, egli non riusc a delineare una societ dalla struttura completamente sovvertita rispetto a quella in cui viveva. Al principe e ai sacerdoti conserv una riconoscibilit esteriore, che tutelava i vertici anche nellimmaginaria societ di uguali. Allo stesso modo, la differenza dei sessi e la discriminante del matrimonio nelle relazioni della comunit furono affidate alle differenze dellabito, che pure era stato immaginato come un cardine dellugualitarismo di Utopia. Il Principe, i Sacerdoti e il terzo stato, i ruoli allinterno della famiglia, e la loro riconoscibilit affidata al vestito, compongono lo stesso schema sociale e culturale delle leggi suntuarie. Nel Cortegiano dedicato allabbigliamento il capitolo quinto del secondo libro. Qui Giuliano de Medici chiede a Federico Fregoso di quale maniera si debba vestire il cortigiano Perch in questo vediamo infinite variet: e chi si veste alla francese, chi alla spagnola, chi vuole parere tedesco, n ci mancano ancora di quelli che si vestono alla foggia dei turchi; chi porta la barba, chi no. Saria adunque ben fatto sapere in questa confusione eleggere il meglio.8 Con il termine sprezzante di confusione si riprovava luso di fogge estranee al centro di appartenenza, sia corte o sia regione o sia nazione. Larea geografica di residenza, quale significato preminente dellabito, fu ribadita nella risposta di Fregoso, che lamentava lestinzione di un abbigliamento riconoscibilmente italiano (Ma io non so per quale fato intervenga che lItalia non abbia, come soleva avere, abito che sia conosciuto per italiano).9

Quanto ai criteri generali di scelta, Federico Fregoso saggiamente proponeva: Io in vero non saprei dare regola determinata circa il vestire, se non che luomo si accomodasse alla consuetudine dei pi, specificando poco dopo come gli abiti, purch non siano fuori della consuetudine, n contrari alla professione, possano per il resto tutti stare bene, purch satisfacciano a chi li porta. Vero che io per me amerei che non fossero estremi in alcuna parte, come talora suole essere il francese in troppa grandezza, e il tedesco in troppa piccolezza. I valori degli abiti, nella scala fissata dal Castiglione, risiedevano principalmente nelladeguamento alluso locale (si accomodasse alla consuetudine dei pi e ancora purch non siano fuori della consuetudine); a questo seguiva lidentificazione del ceto (la professione) e infine la soddisfazione. Questultima, insieme con lassenza di estremismi che immediatamente seguiva, erano ragioni di stile individuale, in cui si radica la legittimit della presenza della moda nella storia dellarte. Appare ben curiosa linsistenza sui caratteri regionali in un testo nato in una cultura cosmopolita e destinato ad una strepitosa fortuna internazionale. La prevalenza della rappresentazione territoriale tanto profondamente radicata nella coscienza di Baldassarre Castiglione da essere rappresentata nel suo testo anche nella modalit di un cenno dironia. Federico Fregoso afferma: Quale di noi che vedendo passeggiare un gentiluomo con una roba addosso quartata di diversi colori, ovvero con tante stringhette e fettucce annodate e fregi traversati, non lo tenesse per pazzo o per buffone? N pazzo, disse Messer Pietro Bembo, n buffone sarebbe costui tenuto da chi fosse qualche tempo vivuto nella Lombardia, perch cos vanno tutti.10 Lo schema dinterpretazione secondo lappartenenza geografica, il ceto e la funzione allinterno di esso si ribadisce in una serie di importanti testi illustrati, raffiguranti figurini di abiti di tutto il mondo.11 I libri pi documentati e diffusi si riducono ad un elenco relativamente breve che, per buona memoria, qui si dispone in ordine cronologico. Enea Vico, nelle sue 32 incisioni, defin ogni soggetto in una piccola epigrafe, in cui la regione di appartenenza era il primo termine, seguito dal sesso e dalla funzione sociale.12 Nel testo sono raffigurate solamente genti assai lontane: molte donne spagnole rusticae , una dama di Francia e una di Fiandra, con una Galla serva seu flandrensis, soldati tedeschi con le loro donne, poi Tartari, Turchi, Epiroti, Etiopi. Molti degli abiti riprodotti sono tuniche sciolte e variamente drappeggiate o sovrapposte luna allaltra, non riscontrabili in altre testimonianze, quasi fossero composti secondo canoni convenzionali. Le immagini di Vico offrivano un repertorio di abiti esotici, che forse fu di qualche utilit agli artisti, fossero essi pittori, scultori o allestitori di spettacoli. Ferdinando Bertelli, per il suo testo di 64 tavole, riconferm la sequenza identificativa gi proposta da Vico e ne prelev alcune incisioni, che integr con altre, relative ad abiti italiani,

francesi, spagnoli, ungheresi, svizzeri, e qualche curioso esotismo, quali i Babilonesi.13 Il gruppo dei Rustici e delle Rusticae , prevalentemente spagnoli, gi presentato da Vico e ampliato da Ferdinando Bertelli, apre un tema di ricerca che non so quanto esplorato, ossia il rapporto tra labbigliamento tradizionale attualmente vigente e quello contadino documentato nelle immagini dei secoli XVI e XVII. Il libro di De Bruyne, bellissimo e assai ricco, riproduce un grande numero di abiti, tra cui molti italiani di vari ceti.14 Con molti rustici dellEuropa settentrionale, sono raffigurati anche i Piemontesi e la Bresciana. Qualche dubbio sul rigore metodologico dellautore suggerisce cautela nel suo uso come fonte. Il testo pi importante e attendibile, sia pure con qualche riserva, quello di Vecellio, notissimo anche agli studiosi di storia dellabbigliamento tradizionale.15 Il Gynaecaeum di Jost Amman presenta, in 120 fogli, gli abiti femminili di tutte le regioni europee, catalogati secondo lappartenenza geografica e secondo i ceti e i ruoli (Gallica virgo nobilis, Regina hispanica, Veneta plebeia).16 Le didascalie identificano la nazionalit e il ruolo anche nel ricco repertorio di Pietro Bertelli, che contiene ampi e poco scrupolosi riferimenti alle tavole di Vecellio. 17 Segue il testo di Alessandro Fabri.18 Infine le tavole di Giacomo Franco appaiono ormai percettibilmente orientate a riferire eventi di cronaca pi che repertori di fogge.19 Ma intatto permane lo schema dellesposizione dei costumi femminili veneziani, che inizia con la Dogaressa, prosegue con la gentildonna, la novizza e la moglie del mercante, e si conclude con la Cortegiana. Tutti le immagini dei libri di modelli suggeriscono che il passaggio dal ceto superiore a quello inferiore segnato da una riduzione dellampiezza dei modelli e della ricchezza dellornato, ma non da unalterit

3. Emma Calderini, Costume festivo di Bitti, in E. Calderini, Il costume popolare in Italia, Milano 1934. 4. Emma Calderini, Popolana di Dorgali, in E. Calderini, Il costume popolare in Italia, Milano 1934.

del modo di comporre le fogge. I mercanti e le loro mogli, i plebei e gli artigiani di poco si discostano dai nobili. Tra i rustici e i servi, che rappresentano i livelli inferiori della societ, le donne talvolta non hanno maniche e rimboccano quelle della camicia, spesso indossano il grembiule, le loro gonne sono corte al polpaccio o rimboccate e non sempre sono imbottite ai fianchi. Ma non mancano mai il corsetto teso e scollato, unito ad una gonna larga. Se poi sono contadine delle campagne veneziane, quando si vedono in Venetia il giorno dellAscensione di Nostro Signore, il loro abito rutilante di sboffi di camicia, maniche abbottonate, corsetti, nastri, bottoni, doppie gonne, quasi come un abito nobiliare.20 Gli uomini portano giubbetti, corsetti e calze aderenti di complessa confezione. E soprattutto rappresentano sempre lappartenenza ad una terra specifica. Nessuno dei volumi appena ricordati riproduce abiti di genti sarde. Sembra dunque che labbigliamento tradizionale esprima una catena di valori e uno schema di rappresentazione pertinenti al Classicismo di Antico Regime (unespressione rubata allintroduzione di Amedeo Quondam al Cortegiano) e l ampiamente documentati. Si pu affermare che nellabbigliamento tradizionale sopravvive labito nobiliare? La conclusione, invero assai curiosa, scatta a chiusura di un sillogismo. Ma il ragionamento, percorso con un meccanismo logico, sembra trovare riscontri e prove. Nella societ tra Umanesimo e Illuminismo i ruoli istituzionali erano affidati a tre ceti, o stati: i nobili, il clero e le comunit (borghesi, artigiane, agro-pastorali). La riconoscibilit dei membri degli stati era vitale al funzionamento della societ, ed era tutelata con la forza delle leggi, della persuasione, della consuetudine e con ogni altro mezzo di contrasto ad una mobilit sociale, in realt difficilmente contenibile. Si sono qui proposti gli esempi delle leggi suntuarie, di due testi letterari di rilevantissima influenza in Europa tra il Cinquecento e il Seicento e di un impegno editoriale specifico sul tema degli abiti, con larghissima diffusione europea negli stessi secoli. Il lungo processo di affioramento dellabito 11

10

borghese sovrapponibile per cronologia a quello della nascita dellabito tradizionale. Nel momento in cui definitivamente cess la societ per ceti (1789, data della Rivoluzione Francese), si estinsero le leggi suntuarie (1793, data della dichiarazione della libert dabbigliamento). Nel medesimo momento nacquero contemporaneamente labito borghese e labito tradizionale. accertato e ampiamente dimostrato che prima della met del Settecento la dicotomia non esisteva. Quando la rivoluzione industriale ebbe sostituito i ceti con le classi, lunico segno di appartenenza sociale fu la rappresentazione della ricchezza individuale. La simultaneit dellorigine dellabito borghese e di quello tradizionale si aggiunge alla dimostrazione di una sostanziale identit di forme e significati tra labbigliamento dellAncien Rgime e quello tradizionale. Non sembra dunque del tutto fantasiosa lipotesi che labito tradizionale abbia conservato la struttura dellabito nobiliare, arroccandosi nel terzo stato per quasi due secoli. Flavio Orlando aveva rilevato che non si rintraccia alcuna testimonianza di un abbigliamento specifico delle classi subalterne fino ai decenni centrali del Settecento, a cui giunge unicamente la documentazione dellabito nobiliare.21 Daltra parte nel 1550 Sigismondo Arquer riferiva sui sardi e i loro vestiti: vivunt in diem vilissimoque vestuntur panno ; e nel 1559 Giovanni Francesco Fara annotava luso dellorbace, insieme con un carattere molto sobrio e privo di lussi.22 Lo stesso Orlando ha suggerito non pochi riferimenti allabito nobiliare nellabbigliamento tradizionale sardo: il cosso col gilet, la camicia maschile sassarese dal colletto a punte insaldate con la golilla, i cartzones con i pantalon, le ragas con i calzoni alla rhingrave, le uose dorbace e il collettu con labbigliamento militare del XVII secolo, il corsetto femminile con i busti seicenteschi, luso delle imbottiture.23 Riflettere sul vestire tradizionale potrebbe contribuire a formare la risposta per una domanda cruciale dei nostri giorni. Possono saldarsi armonicamente lappartenenza ad una specificit storica e la condivisione di una cultura globale? La domanda solleva problemi dolorosi, a cui non pare siano state finora trovate risposte praticabili. E non si sta parlando solamente di vestiti, ovviamente. Se si pronuncia la parola chador, la tensione si fa palpabile. In questo groppo della storia contemporanea, la Sardegna potrebbe offrire un esempio di armonia fra la tradizione e la modernit. Labbigliamento tradizionale sardo, di cui sono fissati in questo testo i caratteri di variet, longevit e attuale vitalit, pu suggerire qualche riflessione per alleviare la fatica della convivenza di storie diverse. Uno dei caratteri preminenti della modernit riconosciuto nel globalismo, di cui segno inequivoco il modello basico dellabbigliamento. 12

La locuzione modello basico, non impropriamente adottata anche per lanalisi delle arti contemporanee, nella moda abitualmente impiegata e spesso si adotta per significare il complesso composto da blue-jeans e T-shirt. Con un paio di jeans e una T-shirt tutte le persone sono uguali: il figlio dellimperatore del Giappone e la ragazza di una periferia metropolitana appaiono ugualmente moderni e ugualmente semplici nella struttura di un corpo che si differenzia solamente per lindividualit di chi lo indossa. la compiuta realizzazione dellantico sogno di Tommaso Moro, che entrato nei nostri armadi con quasi mezzo millennio di ritardo. Nei primi anni Sessanta del Novecento, il Minimalismo e i blue-jeans nacquero contemporaneamente dalla medesima necessit di riportare il linguaggio formale alle strutture minime della comunicazione. Contrariamente allArte Minimale, i blue-jeans hanno ottenuto un reale risultato di globalizzazione del linguaggio, applicando una struttura ridotta allultima semplificazione, che azzera persino la differenza di sesso. Lo straordinario evento dovrebbe rivelare nei popoli la felicit per il raggiungimento dellassoluta uguaglianza. E invece no. Non si pu evitare di sentire le richieste, sempre pi massicce e talvolta violente, di tutelare le identit storiche locali e peculiari. Contro lazzeramento delle differenze, uno dei fortini di resistenza dellidentit storica si colloca nella difesa dellabbigliamento tradizionale. Forse la modernit ha bisogno di qualche tempo ancora per comprendere le parole di Baldassarre Castiglione sugli abiti forestieri: N pazzo, disse Messer Pietro Bembo e Messer Pietro Bembo ancora oggi tenuto per uomo sapiente ed elegante , n buffone sarebbe costui tenuto da chi fosse qualche tempo vivuto in Lombardia, perch cos vanno tutti. Ma il primo suggerimento che la persona si accomodasse alla consuetudine dei pi, per rispetto e a tutela della dignit di tutti. Semplicemente.

Note

1. E. Verga, Le leggi suntuarie milanesi, in Archivio Storico Lombardo, XXV, 1898, pp. 17, 47. 2. E. Verga, Le leggi suntuarie cit., pp. 49-51. 3. La legislazione suntuaria. Secoli XIII-XV, EmiliaRomagna, a cura di M.G. Muzzarelli, Ed. Archivi di Stato e Ministero per i Beni e le Attivit Culturali, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti, XLI, pp. 148-151. 4. La legislazione suntuaria cit., pp. 671-675. 5. La legislazione suntuaria cit. 6. La legislazione suntuaria cit., p. XXV. 7. T. Moro, Utopia, Roma 1994, pp. 49, 74, 91. 8. B. Castiglione, Il Cortegiano, a cura di A. Quondam, vol. I, Milano 2002, p. 133. 9. B. Castiglione, Il Cortegiano cit., p. 133. 10. B. Castiglione, Il Cortegiano cit., p. 135. 11. Per i libri con incisioni di modelli di abiti vedere: H.M. Hiler, Bibliography of costume, New York 1939; J.L. Nevinson, Lorigine de la gravure de mode, in Actes du I Congrs International dHistoire du Costume, Centro Internazionale delle Arti e del Costume, Venezia 1952; M. Ginsborg, An introduction to fashion illustration, Pitman Publ., London 1980. 12. E. Vico, Diversarum gentium nostrae aetatis habitus, Venezia 1558. 13. F. Bertelli, Omnium fere gentium habitus, Venezia 1569 (I ed. 1563). 14. A. De Bruyne, Omnium pene Europae, Asiae, Africae et Americae gentium habitus, Antwerpie 1581. 15. C. Vecellio, Habiti antichi et moderni di tutto il mondo, Venezia 1590 (I ed. 1585). 16. J. Amman, Gynaecaeum, Francoforte 1586. 17. P. Bertelli, Diversarum nationum habitus, Padova 1589. 18. A. Fabri, Diversarum nationum ornatus, Padova 1593. 19. G. Franco, Habiti delle donne venetiane, Venezia 1610. 20. C. Vecellio, Habiti cit., pp. 141v.-142r. 21. F. Orlando 1998, p. 44. 22. S. Arquer, Sardinae brevis historia et descriptio, Basilea 1550 (Cagliari 1922); G.F. Fara, De chorographia Sardinae libri duo ; trad. in G.F. Fara, Opere, a cura di E. Cadoni, Sassari 1992; cfr. F. Orlando 1998, p. 44. 23. F. Orlando 1998, pp. 56-95.
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5. Emma Calderini, Contadina di Aritzo in costume di gala, in E. Calderini, Il costume popolare in Italia, Milano 1934.

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Note di storia dellabbigliamento in Sardegna


Paolo Piquereddu

Il complesso vestimentario oggi riconosciuto come costume popolare della Sardegna rappresenta lesito di un lungo processo di trasformazione e rifunzionalizzazione indumentaria che prende avvio nel XVI e si conclude alla fine del XIX secolo. LOttocento produce una documentazione testuale e iconografica di straordinaria ampiezza e variet da cui, insieme alla configurazione del territorio, alle vicende storiche, ai dati economici e climatici emergono i modi di vivere dei Sardi: del lavorare e far festa, del mangiare, dellabitare e, ci che qui interessa, del vestire. Questa letteratura formalizza e rende finalmente visibile il catalogo delle articolazioni dellabbigliamento utilizzato dalla gran parte della popolazione dellisola e, nel contempo, ne sancisce la fine come vestiture duso; sicch una sorta dinventario prae morte che viene fuori dal mare magnum di studi ponderosi, relazioni, diari, reportages, memorie, che inviati governativi, letterati, militari, o viaggiatori un po fuori rotta dal Grand Tour, al termine del loro soggiorno, danno alle stampe a Torino, Milano, Parigi, Londra, Lipsia e altre citt europee.1 Per quanto attiene al versante maschile il sistema di cui si parla comprende sommariamente: copricapo a sacco, con bordi arrotondati (berrtta), lungo circa cm 50, nero o rosso, di orbace, panno o velluto; camicia bianca di lino o cotone (bentne, camsa), molto ampia, con o senza colletto talvolta ricamato o fornito di asole per gemelli doro o dargento;
6. Raffaele Aruj (attr.), Ballo in fila con suonatore di launeddas, 1850-55 ca., olio su tela, Cagliari, coll. Piloni (particolare). 7. Uomo di Nuoro, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. La foto ritrae un rappresentante del ceto agiato in abbigliamento canonico, cui si aggiunge un raffinato gilet dastrakan. Questa e le altre fotografie di Alinari riprodotte pi avanti, tutte di straordinaria qualit, hanno avuto una grandissima diffusione in Italia e allestero attraverso pubblicazioni, riviste, album, cartoline postali in bianconero o colorate. Il loro ininterrotto successo ha fatto s che finissero per rappresentare un corpus dei tipi umani e delle fogge vestimentarie della regione, prevalentemente di donne attraenti e di uomini prestanti, attenti alla cura del corpo e degli abiti: un volto della Sardegna a un tempo esotico e raffinato. 8. Ragazza di Osilo in abito nuziale, 1913, fotografia di Vittorio Alinari. Negli anni di realizzazione di questo scatto fotografico il costume di Osilo era oramai divenuto uno dei pi noti e rappresentativi dellisola.

corpetto e gilet (corttu, csso, gropptte) senza maniche, con abbottonatura a uno o a doppio petto, in panno di lana o in velluto liscio o operato, di diversi colori; diffusi in tutta lisola si indossano sulla camicia; giubbetto (zippne, corttu), generalmente confezionato mediante tessuti di importazione (panno, velluto, seta broccata) e con chiusura a doppio petto sul davanti; poteva essere guarnito sul petto e sulle maniche con bottoni dargento; calzoni bianchi (carznes), molto ampi e di lunghezza variabile, di lino o cotone o anche di orbace; venivano indossati sia con le estremit inferiori libere che infilate dentro le uose di panno o di orbace; gonnellino nero (rgas, carznes de fursi ), di orbace o panno, di varia lunghezza ma prevalentemente corto, increspato in vita, con fitta pieghettatura e con i lembi anteriore e posteriore collegati da una sottile striscia; veniva indossato sopra i calzoni bianchi; brache (carznis) larghe, nere, dorbace o di panno, lunghe grosso modo al ginocchio, diffuse soprattutto nelle regioni sud-occidentali dellisola; si portavano sopra i calzoni di tela bianchi. Soprattutto in area centro-settentrionale linsieme formato da gonnellino, calzoni e uose appariva talvolta sostituito da calzoni a tubo di orbace nero, di panno o fustagno. Sopra quelli descritti potevano essere indossati, a seconda del mestiere e delle circostanze, altri indumenti: giacca di orbace nero (cappottnu) con cappuccio e bordi interni guarniti di velluto nero; cappotto lungo di orbace nero (gabbnu), completo di cappuccio, con lungo spacco posteriore; mantello di orbace nero (sccu de cobrri ), indumento da lavoro particolarmente diffuso, costituito da due teli rettangolari cuciti fra loro su due lati consecutivi; si chiudeva sul petto mediante fermagli a catenella (gancra); soprabito di panno grosso e morbido, color marrone, con cappuccio (cappttu serencu), con ampie profilature di velluto e ricami, diffuso principalmente in area cagliaritana, dove sostituiva il gabbnu ; soprabito, senza maniche, di pelle conciata (collttu), aderente al corpo, generalmente lungo fino alle ginocchia, allacciato a lembi sovrapposti sul davanti e fermato in vita mediante una larga cintura; 15

veste senza maniche di pelli intonse, di agnello o di pecora, e di lunghezza variabile, usata soprattutto dal pastore; indicata in vario modo da zona a zona (sas pddes, bste pddi, zamrra, ervechna), corrisponde alla mastruca pi volte nominata dagli scrittori classici come caratteristica dellabbigliamento dei Sardi; scarponi (cosnzos, iscarpnes) con spesso fondo di cuoio imbullettato, tacco abbastanza alto, lunga stringatura, punta piuttosto stretta. Passando allambito femminile, gli elementi essenziali comprendono: copricapo: semplice, consistente in un fazzoletto, o composito, costituito dalla sovrapposizione di due o pi indumenti (cuffia, benda, velo, pannetti, fazzoletti, manto, mantiglia, scialle, gonna, ecc.); camicia: bianca, di lino o di cotone (camsa, camja, lnza), era generalmente molto ampia e lunga, con increspature al collo, chiuso con gemelli dargento o doro, e ai polsi; la parte pi importante, sempre decorata con accurati ricami, era quella anteriore, destinata a rimanere in vista; corpetto (pla, imbstu, csso): era realizzato con tessuti di vario tipo e qualit e nelle fogge pi disparate; presentava struttura rigida in area settentrionale, dove consisteva in un vero e proprio busto; in area nuorese aveva struttura morbida e dimensioni ridotte, in taluni casi, ad una stretta striscia, sostenuta da sottili spalline, passante sotto il seno e terminante con due appendici triangolari; veniva allacciato sotto il seno con nastri o ganci; giubbetto (zippne o corttu): era realizzato sempre con tessuti pregiati (panno, velluto di cotone e di seta liscia o operata, sete damascate e broccate); la lunghezza era variabile e le maniche potevano essere strette e sagomate o aperte sino al polso; spesso erano fornite di asole sulle quali veniva sospesa una serie di bottoni dargento (buttonra); gonna (tnica, fardtta, munndda, sacciu): sempre lunga ed ampia, veniva confezionata sia con orbace che con tessuti di produzione industriale e di varia qualit quali panno di lana e cotonina; presentava quasi sempre una piegatura sulla parte posteriore e, raramente, su quella anteriore, che in genere veniva coperta dal grembiule. Lindumento poteva essere impreziosito sul bordo inferiore da una balza e da nastri policromi; grembiule ( frnda, pannllu, antalna, frda): di panno, orbace, seta, tulle e tessuti meno pregiati, poteva avere forma e dimensioni variabili; calzature: le tipologie pi diffuse sono basse (iscrpas), di pelle marron o nera, talvolta di vernice o rivestite di tessuti broccati o ricamati, con grande fibbia metallica o fiocchi; o stivaletti (bottnos) con spessa suola bombata di cuoio imbullettata, punta affusolata, tomaia di vitello nero o vernice, tacco generalmente di altezza modesta. Il vestiario sopra descritto, che, al pari della lingua, appariva unitario e riconoscibile come sardo se rapportato 18
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allesterno, e, invece, tanto diverso e articolato nellambito del territorio isolano, suscit linteresse dei visitatori extrainsulari per due ragioni principali: da un lato larcaicit delle vesti maschili, nelle quali, inevitabilmente, veniva riconosciuta leredit del mondo mediterraneo antico; dallaltro la variet e la ricchezza di quelle femminili. Le considerazioni sul vestiario maschile si inscrivono in una lettura complessiva, perdurata fino alla met del XX secolo, di una Sardegna fuori dalla storia, refrattaria ad assorbire influenze esterne, segnata da una insularit isolata. La produzione storiografica dellultimo quarantennio ha definitivamente superato questimpostazione ricollocando la Sardegna nel bel mezzo delle vicende che nel corso dei secoli hanno attraversato il Mar Mediterraneo ed evidenziandone una posizione di centralit, ancorch nella dipendenza.2 Questo vale pienamente anche per lambito indumentario: le ricerche negli archivi dellisola, di Pisa, Genova, Torino, Barcellona, Madrid e di altre citt che storicamente hanno avuto relazioni non sporadiche con la Sardegna hanno rivelato una partecipazione spesso neppure significativamente ritardata alle trasformazioni dellabbigliamento in Europa e, a partire dal Seicento, perfino alle vicende della moda. Certo le suggestioni derivanti dallesame della statuaria nuragica, specie se guidato dalle parole di Giovanni Lilliu, sono forti ed emozionanti; non si pu non rimanere coinvolti in un gioco di riconoscimento e di scoperta, nei segni di indumenti talvolta appena delineati, di un complesso di vesti a noi familiari e berrtte, mastruche, manti, pastrani e giacche con cappuccio, giubboni, gonnellini maschili, brachette, gambali, sandali. Talvolta caratterizzate da stupefacenti pettinature maschili e femminili a treccia, sono immagini di capo trib, di guerrieri, di sacerdoti, sacerdotesse e soprattutto di pastori e contadini e delle loro donne che agli occhi dei Sardi offrono la rappresentazione di un antico e impossibile album di famiglia.3 Tra le tante statuine, che a questo proposito si possono menzionare, particolarmente significative risultano il Capo con stocchi e scudo alle spalle e Lofferta della gruccia per la ricchezza e i particolari dellabbigliamento. Giovanni Lilliu vi legge nel primo una tunica cui sovrapposto un giubbone, verosimilmente una sorta di corazza di cuoio, delle alte uose che proteggono le gambe dal ginocchio al collo del piede e, accessorio non molto frequente in queste figurine, la calzatura che
9. Abito maschile festivo, Quartu S. Elena, anni Cinquanta Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Realizzato nei primi anni Cinquanta del Novecento, sulla base del modello in uso tra Ottocento e Novecento, fu donato dal Comune di Quartu S. Elena al costituendo Museo del Costume di Nuoro. 10. Abito femminile festivo e di gala, Quartu S. Elena/Monserrato, prima met sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. probabilmente labito pi prestigioso del museo nuorese per lalta qualit dei materiali e dellesecuzione delle singole parti.

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costituita da una specie di sandalo di cuoio con la suola allacciata al dorso del piede da larghe fascette che lasciano nude le punte delle dita accuratamente segnate nei particolari; nel secondo personaggio si sofferma, tra laltro, sul berretto, notando che la calotta bombata e il lembo ripiegato sulla fronte ben marcato, rivelano la consistenza effettiva della materia del copricapo la stoffa di lana caprina (lorbace) ed il tipo dello stesso: cio larchetipo dellattuale berritta sarda, un berretto maschile, tipicamente mediterraneo, di larga diffusione (v. anche la berrettina catalana).4 Al di l di queste straordinarie coincidenze incontestabile che gli indumenti sui quali storicamente si fondata la specificit e la riconoscibilit dei Sardi, vale a dire la mastruca, la berrtta e le rgas unite ai calzoni bianchi di tela sono tutti afferenti a una koin vestimentaria mediterranea. Lindumento che pi di qualsiasi altro, nel corso dei secoli, stato associato ai Sardi, la mastruca, rimanda a una tradizione duso estesa ben oltre i confini dellisola, se non altro per la semplice ragione che le pelli costituiscono i primi, insostituibili abiti dei popoli pastorali. E tuttavia i celebri, sprezzanti epiteti ciceroniani di Sardi Pelliti e mastrucati latrones, i testi di Quintiliano, San Girolamo, Isidoro, di Strabone e Nindoforo e di tanti altri ancora hanno accompagnato attraverso i secoli la mastruca, connotandola come indumento proprio della Sardegna.5 Certo, questa semplice veste senza maniche, formata dallunione di quattro pelli intonse di pecora o di capra, tra quelle che nellisola rimasta in uso per pi lungo tempo: ancora negli anni Sessanta del secolo scorso non era infrequente incontrare nelle campagne della Marmilla, Trexenta, Sarrabus pastori mastrucati. Oggi la mastruca indossata dalle maschere dei mamuthones di Mamoiada e dei merdules di Ottana: a queste maschere come ad altre simili di tanti paesi pastorali dellEuropa e del Mediterraneo (Spagna, Slovenia, Croazia, Bulgaria) si affida il compito di trasformare chi le indossa in esseri alieni, propiziatori di beni per la comunit.6 Che i Sardi non fossero i barbari incolti e primitivi descritti da Cicerone e invece disponessero di capacit produttiva in grado di risolvere le difficolt vestimentarie nelle quali si trov lesercito di Roma nel corso della seconda guerra punica ricordato da Ettore Pais, che, riprendendo la testimonianza di Plutarco, scrive: La mastruca derisa da Cicerone non era per lunica veste degli Isolani. Abbiamo veduto che, durante la seconda guerra punica, Roma fece richiesta non solo di grano,

11. Abito maschile festivo, Orgosolo, 1970 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 12. Abito femminile festivo e di gala, Orgosolo, 1970 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Questo costume, oltre che dai gruppi folcloristici, viene ancora oggi indossato come veste nuziale da un buon numero di ragazze di Orgosolo.

ma anche di vesti per lesercito che stanziava nellIsola e che rapidamente fu provveduto a tal richiesta. anche detto che Caio Gracco, essendo questore del proconsole L. Aurelio Oreste, consegu che i Sardi concedessero benevolmente le vesti necessarie alle milizie Romane. Il beneficio recato dagli isolani allerario romano procurando vesti allesercito era pi notevole di quello che possa apparire ai tempi nostri nei quali la produzione meccanica dei tessuti si a mano a mano estesa ed ha reso men cari che nei secoli passati i vestiti. Per gli antichi le vesti di lana, frutto di lungo lavoro manuale, erano merce preziosa. Nel caso nostro basti ricordare che nel 190 a.C. la richiesta fatta dai Romani di cinquecento toghe e di altrettante tuniche ai cittadini di Focea contribu a determinare una sollevazione.7 Il singolare episodio entrato a far parte di una sorta di mitologia positiva della letteratura storica sarda; in questo senso pu essere letta la rappresentazione nazional-popolare che viene offerta dallopera di Giovanni Marghinotti, I sardi offrono vesti e viveri ai legionari di Caio Gracco (1850 ca.), attualmente conservata nel Palazzo Civico di Cagliari (fig. 15). Lo studio di Giulio Paulis sul termine crga, tsrga, tsrga, col quale ancora negli anni Cinquanta del Novecento si indicava nellisola il vestiario che il padrone forniva ai contadini o pastori suoi dipendenti quale parte della remunerazione, ha reinserito il vocabolo in un quadro storico assai utile anche per la storia della produzione indumentaria sarda: Significante in origine veste, il vocabolo fu inizialmente impiegato, con riferimento alla vestis collatio, per designare i capi di vestiario per le truppe che gli abitanti dellimpero erano tenuti a fornire alle sacrae largitiones in ragione dei possedimenti fondiari e del numero di lavoratori agricoli insistenti su un determinato territorio. Siccome i maggiori contribuenti erano, ovviamente, le persone pi facoltose e i grandi proprietari terrieri, in Sardegna continua a chiamarsi Qrga, attrga, tsrga il vestiario che il padrone d ai servi in occasione delle feste o a fine anno come parte della remunerazione pattuita. Sul finire del IV secolo, tuttavia, il contributo per la vestis fu commutato in oro (la cosiddetta adaeratio vestis militaris), sicch il lessema continuato nel srd. med. come cerga, zerga, therga and progressivamente ampliando il suo significato sino a designare qualsiasi tributo di natura reale che i sudditi erano obbligati a versare de causa issoro al fisco regio o ad altra autorit da cui dipendevano.8 La presenza del termine in numerosi documenti medievali sardi, spesso associato al ginithu che indicava originariamente il lavoro obbligatorio compiuto presso gli stabilimenti tessili di propriet statale,9 e lanalisi che ne fa Paulis consentono di affermare che la corresponsione del tributo reale costituito dalla fornitura tessile e indumentaria presupponeva nellisola un sistema produttivo fondato su una notevole organizzazione 21
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di mezzi, di persone e di risorse tecnologiche; si aggiunge cos un altro tassello di supporto al ragionamento che supera lidea di una Sardegna subcantonale frammentata in monadi produttive libere e autonome. La partecipazione dellisola allarticolata organizzazione produttiva statale depoca bizantina peraltro indirettamente confermata da un documento talvolta addotto come prova della produzione di un tessile di altissima qualit: il bisso. Ricavato dalla lanugine di una conchiglia, la pinna nobilis (nacchera), detto anche lana marina, il bisso costitutiva uno dei tessuti pi preziosi e ricercati fin dallet imperiale romana. In et bizantina era utilizzato per la confezione degli abiti papali e dei dignitari; lisola era assai probabilmente uno dei luoghi di produzione della materia prima se non del tessuto finito, peraltro presente a Cagliari e a La Maddalena nel primo Ottocento, secondo la testimonianza dellAngius, e a SantAntioco ancora nel XX secolo. Nella lettera che papa Leone VI invia nell851 allo judex di Sardegna si legge: Se da voi o in uno dei vostri domini trovate della lana marina, quella che nella nostra lingua chiamiamo pinnino, non dimenticatevi di comprarla, a qualunque prezzo e di mandarcela perch ci necessaria 22

per gli indumenti pontificali: nei giorni di festa solenne noi e i dignitari della nostra corte portiamo vesti di tale colore e di tale lana.10 Laura Balletto d conto degli intensi traffici commerciali intercorsi nei secoli XII-XIV tra Genova e Savona con la Sardegna, pubblicando 39 documenti inediti dellArchivio di Stato di Genova, dei quali si segnalano in particolare due atti. Il primo una dichiarazione resa al notaio Lantelmo di Genova il 28 settembre 1234: due fratelli di Arenzano ricevono in accomendatione la somma di 8 lire di genovini per la vendita da effettuare a Bosa di due pezze di stanforti lombardi (petiis duabus stanfortum lombardorum).11
13. Uomini di SantAntioco, 1926, fotografia di Max Leopold Wagner, Berna, Istituto di Filologia Romanza Karl Jaberg. Il grande studioso utilizz il mezzo fotografico quale ausilio ai suoi rilevamenti dialettologici per lAtlante Linguistico Italiano. Le immagini sono perci caratterizzate da immediatezza documentativa piuttosto che da accuratezza tecnica e compositiva. I personaggi raffigurati indossano i larghi calzoni dorbace in uso nel Sulcis Iglesiente, e, salvo uno, la mastruca; tutti portano sopra la berrtta un fazzoletto legato a soggolo. 14. Uomo di SantAntioco, 1914, fotografia di Vittorio Alinari.
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Nel secondo, redatto l11 marzo del 1236: Marchisio del Prione dichiara di avere ricevuto in accomendacione da Ottobuono Tornello la somma di soldi 34 e denari 7, impiegata in due bende sardesche di seta (duabus bindis sardeschis de seta) da commerciare in Sardegna.12 La presenza dei mercanti catalani in tutti i principali approdi del Mediterraneo era attestata ampiamente nei secoli XII e XIII. Carmen Batlle ha posto in evidenza che tra questi predominavano gli imprenditori barcellonesi che si erano stabiliti sulle coste francesi, nel nord Africa, a Cagliari e a Oristano, a Reggio e in altre citt del sud dellItalia, cos come naturalmente nella Sicilia recentemente conquistata. La Batlle ha ricostruito in particolare le vicende del mercante barcellonese Guillem Lloret, che aveva aperto bottega a Oristano, attraverso lanalisi del testamento scritto il 6 novembre del 1301, poco tempo prima della morte, avvenuta nella citt sarda. Il testamento informa che Lloret lasciava in eredit, tra le cose che qui interessano, dei panni di lana catalani e francesi, cipelles catalane, ovvero calzature molto primitive formate da una suola di legno e da alcune cinghie di cuoio che le fermavano al piede, e barracani barbareschi, che la Batlle indica come indumenti di lana impermeabile provenienti dal Nord Africa.13 Dati significativi coerenti con quelli emersi negli ultimi decenni riguardanti lattestazione nellisola di un mercato di abiti pronti, fin da epoca medievale; ci a conferma dellinconsistenza della teoria, diffusa soprattutto in ambito etnoantropologico, che vedeva la produzione del vestiario delle classi popolari tutta domestica, affidata alle donne, cui si attribuiva la responsabilit dellintero ciclo lavorativo, filatura, tessitura, tintura, taglio, cucitura, ricamo. Sempre Sassari, attraverso lordinanza di Ugone dArborea, aggiunta nel 1381 agli Statuti della Repubblica di Sassari e relativa ai sarti (mastros de pannu), fornisce ulteriori preziose notizie sul vestiario in uso nelle ultime decadi del Trecento: guneda de homine fodorata, guneda de femina incrispada, guneda a sa francesa; palandra de homine o zerachu; mantedu assa castelana; fronimentu de fresos over de arguentu, o perlas.14 Per guneda senzaltro da intendere la gonnella, ovvero la veste maschile e femminile tipica del medioevo europeo, detta anche cotta e sinonimo di tunica. Il fatto che la guneda maschile fosse foderata (fodorata) indica che si trattava di un indumento importante e di qualit, coerentemente alle caratteristiche che questo capo cominci ad assumere a partire dal secolo XII; vengono inoltre segnalati una guneda a sa francesa e un mantedu (manto) alla castelana ; anche questi sono elementi molto significativi in quanto informano dellesistenza di fogge indumentarie di importazione, nettamente distinte da quelle locali. Infine il testo d conto della presenza di ornamentazioni dargento o di perle sugli indumenti dorbace. Un altro documento significativo inerente alle fogge femminili dellabbigliamento sardo di epoca medievale viene offerto dal Condaghe di San Pietro di Silki.15 24

Tra laltro il testo conferma un dato raramente tenuto presente nei lavori sulla storia dellabbigliamento in Sardegna, vale a dire luso dei capi di vestiario quali mezzi di pagamento e di scambio, e indirettamente pone anche qualche interrogativo sulla possibilit di un mercato di abiti usati, la cui presenza, per lepoca di cui si tratta, comincia ad essere oggetto di numerosi recenti studi riferiti allarea settentrionale italiana.16 Il condaghe, nel riportare il testo di una transazione commerciale, riferisce di un cunduri de rocca : lespressione, di difficile comprensione, stata oggetto di analisi storico-linguistica da parte di Giulio Paulis, che riuscito a svelarne il mistero. Per Paulis il termine sardo cunduri, di origine bizantina, da ricollegare al vocabolo usato in Terra dOtranto (Soleto): kundri, sottoveste delle donne nellantico costume. Il cunduri andava indossato sotto il rocca una veste di sopra. Lo studioso mette in evidenza, tra laltro, che rocchetto designava un vestimento di cerimonia, proprio di alcune dignit ecclesiastiche, simile alla cotta.17 Proseguendo nel suo ragionamento, Paulis affaccia lipotesi che il cunduri potesse essere di bisso, a causa del valore che gli si attribuisce nel condaghe (7 sollos, corrispondente grosso modo a quello di due o tre buoi). Dunque sembra probabile che la Sardegna producesse tessili di scarsa qualit a mero uso interno e che invece importasse una grande quantit di tessuti e abiti pronti di qualit sia dal continente italiano (Liguria, Lombardia, Toscana), sia naturalmente dalla penisola iberica. Si pu pertanto ragionevolmente ipotizzare che, a fronte di unattivit commerciale caratterizzata da un mercato di importazione di panni e tessili vari di alta, media e bassa qualit rigidamente controllata a fini fiscali, e comunque riservata a una clientela abbiente e cittadina, la Sardegna dei piccoli centri continuasse a produrre lana e lino per uso domestico e per un mercato ambulante che attraversava tutta lisola. Ancora gli Statuti Sassaresi informano dei tessuti prodotti in citt nella seconda met del Trecento: tela sottile, fustianu rigadu o pilosu, guardanapu, tiazolu de manu, furesi (tela fine, fustagno rigato o peloso, tela per asciugamani e per fazzoletti da mano, orbace); danno, inoltre, notizia dei costi da riconoscere ai gualchierai (calcatores) per la follatura dellorbace.18 Lorbace era dunque oggetto di un mercato isolano di produzione, vendita e follatura. In ordine a questultima operazione si cita il documento del 13 aprile 1338, attraverso il quale Pietro il Cerimonioso autorizza tale Pietro Egidio di Sassari a costruire una gualchiera in quella citt.19 Francesco Manconi ha messo in evidenza limportanza del traffico di prodotti tessili e indumentari dalla Catalogna e la loro influenza sullabbigliamento dellisola: Verso la met del Quattrocento la pi grande parte del traffico da Barcellona e dai porti della costa catalana verso la Sardegna riguarda i panni, i famosi draps de la terra, di modesta qualit ma di buon prezzo, prodotti nelle citt e

nei villaggi della Catalogna. La variet enorme: si va dai drappi di Puigcerd, di Saint Joan de les Abadesses, di Perpiny, di Banyoles, frisons, brurells dOlot, brist, ai lini di Vich e alle estopes di Girona, fino alle tele dOlanda, di Germania, di Carcassona e alle robes di Maiorca; ed ancora lino, cotone bianco e blu, ricami, raso, veli di seta, berretti (bonets) e cappelli di feltro, barretes dagulla : Cagliari ed Alghero si vestono alla catalana. Ma soltanto Cagliari ed Alghero? Verosimilmente anche i villaggi e non solo di pianura subiscono la contaminazione dei modi di vestire imposti dallindustria tessile catalana. Componenti essenziali dellabbigliamento dei contadini e dei pastori sardi divengono la diffusissima berritta (negli anni Cinquanta, letnografo Violant i Simorra di questo tipico copricapo studi con puntigliosa scientificit misure, modi dindossarla, colori e analogie con la barretina catalana, siciliana e napoletana: Desd Npols a Marsella / no floria un port sense ella, cantava il poeta Verdaguer) e i barracani tessuti con burell, quella stoffa nera e ruvida, ma impermeabile e resistentissima.20 Limportazione di berrtte non ha mai avuto probabilmente periodi di interruzione anche nei secoli successivi, come documentato da diverse fonti. Flavio Orlando ha avanzato lipotesi che le berrette di lana importate in Sardegna da Livorno alla met del secolo XVIII, di cui d notizia lAnonimo Piemontese, potessero essere prodotte dalla manifattura pratese di Vincenzo Mazzoni.21 Un esempio dellinfluenza della moda esterna a Cagliari viene offerto da Gabriella Olla Repetto che riporta un documento quattrocentesco del notaio A. Barbens, conservato nellArchivio di Stato di Cagliari, relativo allintroduzione di una foggia ritenuta tanto sconveniente da essere sottoposta a una severa ammonizione ecclesiastica, preludio alla scomunica Nel 1480, imponendo la moda fianchi opulenti ed andature sinuose e sculettanti, le donne cagliaritane, per rimediare alle carenze naturali, avevano fatto ricorso a ogni sorta di ingegnosi rinforzi. Pezzi di coltri, imbottiture di basti, giri di volanti attorcigliati pi volte attorno ai fianchi, ogni marchingegno sotto le gonne era buono per realizzare le voluttuose rotondit.22 Anche a Cagliari, evidentemente, era gi stata adottata la spagnola faldia, una sottogonna a campana resa rigida da una struttura di materiali diversi, che aveva la funzione di mantenere labito scostato dai fianchi. Lindumento, introdotto in Spagna gi nel Quattrocento, ebbe diffusione in tutta lEuropa nel secolo successivo. Rosita Levi Pisetzky informa che questa foggia dal carattere nettamente spagnolesco per la sua pomposit viene proibita gi nel 1498 a Milano e nel 1508 a Perugia; provvedimenti analoghi a quelli registrati a Cagliari ventanni prima.23 Il Cinquecento, come noto, vede laffermarsi di unimportante trasformazione dellabito femminile, la sua divisione in due parti allaltezza della vita: La parte superiore staccata sembra si possa riconoscere nel vocabolo investitura o vestura, e pi sicuramente in quelli di giuppone, corpetto, corsetto, diploide, busto o cosso. Il busto

allacciato spesso con cordelle che, se allentate lasciano vedere una stoffa pi ricca.24 Un documento pubblicato da Maria Teresa Ponti nel 1959 informa dellimmediata diffusione della nuova moda; si tratta dello statuto del gremio dei sarti e calzettai, compilato nel 1532 e contenuto in un codice del XVI secolo dellArchivio Comunale di Sassari.25 Lo statuto riporta le tariffe che i sarti e i calzettai dovevano rigidamente applicare, pena sanzioni pecuniarie, per la confezione di ciascuno dei manufatti. Ne viene fuori perci un elenco degli abiti maschili e femminili allora in uso e un quadro preciso della presenza di fogge di influenza catalana. Secondo le parole della Ponti: I Sassaresi pi abbienti indossavano lunghe tonache di broccato, guarnite di seta o di raso, corpetti aderenti pure di broccato, ampie giacche, eleganti e comode mantelle; erano in voga anche i cappotti col cappuccio increspato, larghi cappelli, guarniti di rivet; le donne indossavano le faldettes (gonne) con bluse, corsetti con maniche o senza, giubbe ampie. La classe media faceva confezionare gli stessi modelli con stoffe meno costose: il contray, il cotone, lo stamet, il fustagno, la saya ed il cammellotto. Gli abiti da lutto, di qualunque tessuto fossero, avevano ununica tariffa: un abito veniva a costare venti soldi, un cappello de dol dieci soldi. Le gonne delle inservienti, i cappelli dei paggi, fatti di contray o di cotone, costavano dagli otto ai dieci soldi. Dalla lettura dello statuto del gremio emerge un altro dato di grande interesse: la proibizione alle donne di qualsivoglia stato e condizione, di citt o straniere, di tagliare abiti nuovi di seta, o calze, o altri capi di vestiario senza la licenza rilasciata dal gremio, pena una multa, il che documenta linsussistenza di unaltra diffusa convinzione sulla storia della produzione degli abiti nella societ sarda, che cio essa fosse parte dellordinario lavoro domestico.26 Si pu pensare dunque a un mercato di tessuti e a una produzione sartoriale di abiti di pregio riservati alle classi abbienti; a un mercato di prodotti tessili e indumenti di media e bassa qualit, e a una parallela produzione locale, anzi domestica, portata avanti dai ceti pi poveri, impossibilitati ad accedere anche ai manufatti pi modesti e, talvolta, impegnati in attivit di vendita ambulante. Per il discorso che qui si sta facendo, lo statuto in esame assume particolare interesse per il vestiario femminile che, oltre a una serie di cappe, giacchette, manti, sai, cappelli di vari materiali (panni, sete, velluti), abiti da lutto, comprende gonne e giubbetti.27 Nellelenco non si ritrovano pi le gunedas maschili e femminili del tariffario trecentesco sopra ricordato, ad eccezione delle gonnelle de serventes o de pagesses : forse questo dato sta a indicare che la gonnella divenuta veste residuale, utilizzata ormai solo dai ceti pi bassi, a fronte dellaffermazione della veste femminile divisa in vita e formata sostanzialmente da un indumento capospalla di varia foggia e da una gonna, vale a dire un elemento che copre il corpo dalla vita in gi. 25

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15. Giovanni Marghinotti, I sardi offrono vesti e viveri ai legionari di Caio Gracco, 1850 ca., olio su tela, Cagliari, Palazzo Civico. Lopera celebra un episodio riferito da Plutarco, relativo alloperazione di raccolta delle vesti per i soldati, svolta in Sardegna da Caio Gracco nellinverno 125-124 a.C.

Un analogo processo pu aver interessato la gonnella maschile che dividendosi a sua volta in due parti d luogo a un giubbetto o corsetto e a una gonnellina pieghettata, pi o meno lunga, tenuta da una cintura di cuoio. Si tratterebbe insomma delle rgas, o carznes de fursi, che per ragioni di decenza vengono associate ai calzoni bianchi di lino, cotone e pi raramente dorbace. Che comunque questa combinazione gi nel secolo XVI fosse stata assunta nel vestiario popolare maschile dellisola risulta dallesame delle tre figurine di suonatori in bassorilievo della chiesa di San Bachisio di Bolotana (fine del Cinquecento). Le formelle lapidee mostrano tre suonatori: di corno; di piffero e tamburino (fig. 16); e di uno strumento bicalamo. Gli ultimi due in particolare, per la loro posizione frontale, mostrano un gonnellino con ampie pieghe, rappresentate da scanalature verticali, e il secondo unalta cintura; tutti e tre recano un cappello con piume. Su questultimo e apparentemente singolare elemento pare utile ricordare sia il passo del Galateo di Monsignor della Casa, ripreso da Levi Pisetzky, quale moda diffusa nel Cinquecento (Le penne, che i napoletani, e gli spagnoli usano di portare in capo),28

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16. Suonatore di piffero e tamburino, calco da un rilievo della fine del sec. XVI situato nella chiesa di San Bachisio a Bolotana, Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. La formella di straordinario interesse non solo per la storia della musica nellisola. Il suonatore, infatti, indossa le rgas, elemento caratterizzante labito maschile dei Sardi e un cappello piumato, copricapo non proprio isolano ma assai diffuso nellEuropa del Cinquecento: il primo elemento dunque di timbro locale e regionale, il secondo connette la Sardegna alle vicende della moda colta del Continente.

sia il bronzetto con copricapo piumato della collezione del Museo Nazionale Archeologico di Cagliari.29 Cos come leredit linguistica di Roma, alla fine, risultata pi duratura e profonda nella Sardegna interna, cos lecito pensare che anche nel campo dellabbigliamento sia stata acquisita e fatta propria, fino ad assumere carattere identificativo dei Sardi, la balza che il soldato romano indossava sotto la lorica. La statuaria romana ma anche tanta produzione scultorea e pittorica sarda del Quattrocento e del Cinquecento, in particolare le raffigurazioni dellarcangelo Michele, offrono in questa direzione non poche indicazioni.30 Le rgas trovano una parentela con la gonna maschile detta fustanella, usata in tutta larea balcanica, dagli Albanesi al popolo nomade dei Saracatsans, e divenuta, dopo il 1821, indumento delluniforme delle guardie reali greche, nonch con il sottanino maschile detto romana portato dai mercanti alla fine del Cinquecento, come documentato dal Vecellio. E, ancora, non pare inutile ricordare che larghi calzoni detti vraka (come rga, di evidente derivazione da braga), lunghi fino al ginocchio, bianchi e di tela per il periodo caldo e pi pesanti, di lana anche scura, per linverno, fossero adottati in diverse localit della Tracia e nelle isole di Creta, Skyros, Hydra, Cipro e diverse altre ancora.31 N pu essere senza significato, a proposito di scambi e parentele con le regioni levantine, la presenza nellabbigliamento maschile sardo del cappotto serencu proveniente da Salonicco, adottato a Cagliari e nel Campidano; lindumento nel secolo XVII veniva confezionato a Cagliari da una colonia di cappottari greci. Il La Marmora sottolinea giustamente che a differenza degli altri soprabiti sardi con cappuccio, confezionati con lorbace, il serencu utilizza un panno di grosso spessore e che la stoffa importata dal Levante e dal Regno di Napoli e i lavoranti che li eseguono sono tutti greci stabiliti nellisola dove non fanno altro. assolutamente un indumento levantino molto conosciuto in Italia e in molti paesi del Mediterraneo, dove usato dai marinai e dai pescatori.32 Questo particolare cappotto, ampiamente documentato nei testi e nelle raccolte iconografiche del primo Ottocento, ha subito un rapido abbandono. Risultano pertanto di particolare interesse storico ed etnografico la fotografia (fig. 21) che ne mostra un esemplare indossato da un ricco cagliaritano, realizzata negli anni Settanta dellOttocento dal fotografo Giuseppe Luigi Cocco, e lo splendido esemplare conservato nel Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, unito a un abito completo di pescatore (figg. 430-431).33 Gli indumenti riportati nello statuto del gremio dei sarti e calzettai e i bassorilievi della chiesa di San Bachisio danno dunque notizia dellintroduzione in Sardegna di capi di vestiario adottati da pochi anni nei territori sotto dominio aragonese e informa che lisola partecipa, dunque, allevoluzione complessiva della moda europea del Cinquecento.

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Pur conservando un suo specifico percorso di riconfigurazione estetica e funzionale, la storia dellabbigliamento della Sardegna va allora a riconnettersi a quella complessiva europea e mediterranea condividendone i principali eventi sociali ed economici. Ferma restando lininterrotta importazione di tessili e abiti di lusso destinati ai ceti nobiliari e alle famiglie pi facoltose dei centri maggiori dellisola, documentata da numerosissime osservazioni di opere storiche e di viaggio del Settecento, e dunque il persistere di un ambito vestimentario privilegiato ed elitario non dissimile al resto dItalia e dellEuropa spagnola, anche in Sardegna viene a configurarsi uno standard nellabbigliamento dei ceti popolari femminili che rimarr sostanzialmente immutato per circa due secoli: esso si compone di copricapo di varie fogge e materiali, camicia, corpetto, gonna, grembiule, calze di maglia, scarpe.
17. Anonimo, Ritratto di Maria Piras, ante 1725, olio su tela, Quartu S. Elena, Museo Parrocchiale di SantElena. uno dei primi documenti iconografici sullabbigliamento femminile della Sardegna: esempio di una forma vestimentaria che, seppure non definibile popolare, esprime gi una connotazione stilistica e ornamentale meglio esplicitata nel secolo successivo.

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In Sardegna su tale struttura di base andranno a innestarsi, in riferimento ai materiali, i tradizionali tessuti dorbace e di lino. Un passo della Sardiniae Chorographiam, scritta da Giovanni Francesco Fara tra il 1580 e il 1595, riprendendo quasi alla lettera il testo della Sardiniae brevis historia et descriptio di Sigismondo Arquer, oltre a confermare lorbace quale tessuto diffuso nel mondo rurale, evidenzia anche una netta differenza qualitativa tra il vestiario delle popolazioni rurali e dei piccoli centri rispetto a quello dei ceti abbienti delle citt: Gran parte dei servi e di coloro che vivono in villaggi e fattorie si vestono con un tessuto assai ordinario che la gente chiama fureso: anche le donne hanno un abbigliamento molto sobrio e si astengono da qualsivoglia lusso, mentre al contrario i cittadini che, come le loro donne dispongono di enormi ricchezze, fanno sfoggio di abiti per ostentare la loro condizione.34 Anche per quanto attiene alla berrtta, altro simbolo dellabbigliamento della Sardegna, non si pu non rilevarne lampia diffusione in area mediterranea e la sua presenza, come prima notato, nei mercati dei porti pi importanti del Mediterraneo, cos come il copricapo 28

troncoconico dellarea cagliaritana, noto in ambito maghrebino come fez o shishia. Esempi di berrtta sono stati pi volte individuati in documenti di diversa natura, dalle citate statuine bronzee nuragiche, alle figurine danzanti scolpite in bassorilievo nella chiesa duecentesca di San Pietro di Zuri.35 Laffinit di un altro indumento maschile pansardo, su collttu, con le vesti di alcune statuine nuragiche stata evidenziata da un gran numero dautori: La Marmora, Bresciani, Angius, Wagner. Il termine cojetto, colletto, cuoietto documentato in area europea associato allabbigliamento militare, in particolare alle armature: Le armature richiedevano la presenza di altri capi. Ad esempio
18-19. Ciclo del martirio di San Lussorio, prima met sec. XVIII, olio su tela, Borore, chiesa parrocchiale. I dipinti offrono una variet di informazioni sullabbigliamento sardo del primo Settecento. I personaggi rappresentati indossano, per quanto concerne gli indumenti maschili, collttu, rgas, calzoni larghi e neri lunghi fino al ginocchio, calzoni bianchi di tela, gabbani e gabbanelle; tra quelli femminili bende e corsetti, grembiuli, giubbetti, gonne che rimandano inequivocabilmente alle tipologie vestimentarie della Sardegna. Nello stesso tempo alcuni accessori e ornamenti quali il ventaglio pieghevole, gli orecchini di perle, le scarpe bianche a punta rimandano alla moda europea del Settecento.

il colletto, una casacca di cuoio che veste il petto e la schiena usata in particolare dai soldati che vestono armature; tra XVI e XVII un indumento non cos lontano dallabbigliamento civile, in un certo senso intermedio. Dalla ritrattistica si evince che il colletto si indossava anche al disopra del giubbone, quasi una sopravveste si pu considerare un elemento residuale che andava oltre larmatura, liberandosi quasi integralmente della funzione originaria.36 Assai ben documentato nelliconografia dellOttocento, il collette viene descritto alla fine del Settecento dal Cetti e dal Madao che ne sottolinea lorigine antica. Ma soprattutto il La Marmora a illustrarne con grande precisione foggia, materiali e funzioni. una specie di giustacuore senza maniche, molto aderente soprattutto verso le anche, che forma, incrociandosi nel basso, una specie di doppio grembiule che scende sino ai ginocchi. Fatta di cuoio conciato e raso, questa veste si indossa come i nostri panciotti, ma non deve mancare di una cintura che necessaria per tenere a posto le falde. La parte che poggia sul petto pi o meno scollata, a seconda delle zone: per il resto, la forma del collettu uguale dovunque. Quanto al colore, quasi

sempre lo stesso in ogni regione, varia solo con differenze sottili ma sempre tra il giallo e il giallo rossastro. Questo collettu, che labito ordinario e giornaliero della maggior parte dei coltivatori, soprattutto di quelli delle pianure e delle regioni meridionali, , per i Sardi, la cosa pi utile che sia loro rimasta a ricordare gli antenati. Quale veste infatti potrebbe come questa riunire tanti vantaggi, soprattutto in luoghi ritenuti malsani? Esso difende il corpo dallinfluenza spesso funesta di un improvviso cambiamento di temperatura e delle intemperie dellatmosfera; esso offre ai brucianti raggi del sole di queste contrade, come allumidit del mattino e alla pioggia, una superficie impermeabile; esso conserva un uguale calore in ogni tempo e stagione; preserva lo stomaco e le cosce dalle spine e dai rovi tanto comuni nei terreni poco coltivati; si presta facilmente ad ogni movimento; resiste ad ogni tipo di strapazzo, di lunga durata; eccovi, credo, ci che riscatta ampiamente lunico difetto che si pu trovare al collettu, la sua forma completamente sprovvista deleganza. Del resto, bench esso sia destinato ad essere solo un abito da lavoro, il lusso ha tuttavia trovato il modo di farne talvolta un oggetto di valore considerevole. Ci sono 29

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Anche la seconda donna, di corporatura pi robusta, vista di spalle e col viso di profilo; d la mano sinistra a un bambino che indossa una tunichetta bianca, attraversata da rigoni orizzontali alternativamente color verde e arancione, e scarpe chiare; sopra una cuffia celestina, con bordino rosso e merletto ricadente sulla fronte, la donna reca un fazzoletto bianco con i bordi di pizzo che scende a triangolo sulle spalle; un corsetto azzurrognolo con spalle tenute e regolate da nastri rossi, ma pi ravvicinate rispetto al corsetto prima descritto, indossato su un giubbetto con maniche strette ornate da cinque bottoni, presumibilmente dargento; una gonna copre in vita il corsetto: di color ruggine, essa ha forma a campana con pieghe a gheroni, simile alla precedente, e con bordo inferiore segnato da una trina bianca ad archetto; dei colletti di prezzo molto alto, sia per il tipo di pelle, sia per il modo con il quale sono cuciti, sia, infine per i fermagli e i bottoni preziosi che vi si applicano.37 Riprendendo le considerazioni del La Marmora, Vittorio Angius, nel Dizionario, conferma le caratteristiche di abito nazionale dei Sardi e, apprezzandone vivamente le propriet, ne depreca labbandono sempre pi diffuso. Che, peraltro, ben prima degli anni Venti e Trenta dellOttocento, il collttu fosse considerato un indumento antiquato si deduce da un passo di Pasquale Tola, il quale per mettere in evidenza il carattere conservatore di Andrea Manca dellArca, lautore di Agricoltura di Sardegna, morto nel 1795, scrive: Egli fu tenacissimo delle costumanze antiche, non solamente nelle pratiche pi comuni della vita, ma perfino nella foggia patriarcale delle sue vesti; perlocch, disdegnando gli usi novelli, non ritrasse mai il piede dalle mura cittadine senza indossare il collette di pelle di daino, sul quale non pertanto cinse costantemente la spada e lo stocco di forme spagnuole: bizzarria invero molto strana, per cui una stessa persona vedeasi rappresentare ad un tempo nel secolo XVIII gli antichi sardi mastrucati di Cicerone e larmadura cavalleresca del paladino della Mancia cos festivamente descritto dallarguto ervantes.38 Al di l di questi elementi, le attestazioni iconografiche nelle quali sono inequivocabilmente riconoscibili alcune fogge del vestiario sardo risalgono ai primi decenni del Settecento. Si tratta di documenti ben noti agli studiosi dellabbigliamento dellisola: il primo il Ritratto di Maria Piras, agiata quartese, conservato attualmente nel Museo Parrocchiale di S. Elena di Quartu (fig. 17). La Piras indossa un abito di grande interesse per una serie di elementi strutturali, cromatici, ornamentali, a un tempo di carattere aulico e popolare: una benda bianco-giallognola cui sovrapposto un manticello scuro; un giubbetto rosso di panno o pi probabilmente di velluto di seta, a girocollo, apertura centrale con bottoni e ricami dorati, maniche strette e chiuse accompagnate per tutta la lunghezza da ricami doro, sovrapposto a una camicia bianca della quale si intravede solo un basso colletto e i polsini di pizzo pure bianchi; sul giubbetto indossato 30
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un corpetto probabilmente di velluto di seta verde scuro, con strette spalline, completamente ricamato doro a parte i pannelli centrali di forma triangolare; unalta fascia di seta dorata stretta attorno alla vita copre la parte inferiore del corpetto; unampia gonna scampanata, a pieghe, forse in seta blu broccata, con unalta bordatura fittamente ricamata con racemi dorati; grembiule color marronrossastro, pieghettato, di forma trapezoidale, che copre tutta la lunghezza della gonna. Questabbigliamento, caratterizzato da una tipologia di tessuti e dallornamentazione certamente non qualificabili come popolari, potrebbe comunque essere visto come un prototipo delle forme vestimentarie adottate, con varianti anche molto significative rispetto alla qualit dei materiali e dei colori, in tutta lisola, come parrebbe confermare la presenza nel Nuorese di giubbetti settecenteschi di analoga foggia, poi rapidamente superati nel secolo successivo (figg. 222-223). Il secondo documento rappresentato da alcuni quadri conservati nella Parrocchiale di Borore e dedicati, come la chiesa, al martire sardo Lussorio. Le opere furono presentate per la prima volta nel 1962 da Giuseppe Della Maria39 come la pi importante documentazione pittorica sullantico costume isolano. In effetti in due dei sei quadri complessivi, alcune figure femminili e maschili, fedeli che attorniano il Santo, assieme a varie altre in abiti tout cour settecenteschi, indossano indumenti sardi. In particolare il dipinto (fig. 19), che reca alla base la didascalia Luxorio predicador , mostra da sinistra verso destra due donne rivolte verso il martire: la prima, presentata di spalle e col viso di profilo che guarda Lussorio, ha il capo e il collo stretti da una benda bianca con un lungo lembo ricadente sul dorso; un corsetto giallo oro, le cui spalle, piuttosto distanziate, sono tenute da nastri, sovrapposto a un indumento manicato color mattone; una cintura alta, a tre fasce, in tessuto rossastro, stringe in vita il corsetto e una gonna azzurra, scampanata con piegoni, ornata trasversalmente a circa un terzo della sua altezza da una linea scura e al bordo da una stretta profilatura color grigio argento.

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20. Vittorio Emanuele, Duca dAosta, Ingresso a Cagliari di Carlo Emanuele IV e della Corte, 1779, acquerello su carta, Cagliari, Galleria Comunale dArte. 21. Ritratto di pescatore cagliaritano, ante 1880, foto depoca. Limmagine risale agli anni Settanta dellOttocento ed opera del professor Giuseppe Luigi Cocco, fotografo dilettante con studio a Cagliari, tra i primi a partecipare alle Esposizioni internazionali con fotografie di costumi sardi. Questa ebbe particolare fortuna e diffusione; fu riprodotta in svariate cartoline e tra laltro costitu il modello per la litografia del Dalsani, denominata Pescatore di Cagliari. Lelegante personaggio indossa il classico fez, copricapo troncoconico attestato in tutti i paesi del Mediterraneo; il cappotto serencu, capo di particolare pregio che veniva realizzato a Cagliari da una colonia di sarti greci originari di Salonicco, da cui il nome; giacchetta in raso di seta e gilet in tessuto operato a minuta fantasia, probabilmente anchesso di seta; in vita fusciacca di seta operata; calzoni a tubo; scarpe a punta quadra sormontate da una grande fibbia dargento. 22. Emma Calderini, Pescatore cagliaritano nel costume antico, 1934 ca., in E. Calderini, Il costume popolare in Italia, Milano 1934.

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23. Uomo di SantAntioco, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. Lanziano signore soggetto di questa celebre foto rende bene il senso di raffinata eleganza che, nei piccoli centri, spesso caratterizza i ceti benestanti. 24. Atzara, anni Venti, fotografia di Alfredo Ferri. 25. Atzara, anni Venti, foto depoca. 26. Desulo, anni Venti, foto depoca. 27. Brancaleone Cugusi, La cucitrice, 1937, olio su tela. 28. Donne di Cabras al lavoro, 1927, fotografia di Max Leopold Wagner, Berna, Istituto di Filologia Romanza Karl Jaberg. Entrambe le donne, sia la prima, impegnata nella cucitura o ricamo di una camicia, sia la seconda, occupata nella realizzazione di un cestino, portano fazzoletti, gonne e grembiuli di cotonine di provenienza industriale.

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altra trina bianca, ma in forma di nastro liscio e stretto, percorre orizzontalmente lindumento allaltezza del terzo inferiore; la gonna lascia intravedere delle scarpine nere con tacco sottile color cuoio. La parte destra del dipinto mostra in primo piano delle figure maschili: ai piedi di Lussorio, che campeggia al centro della scena, un ragazzo, inginocchiato, indossa un indumento che potrebbe essere di cuoio, senza maniche, stretto in vita da una cintura nera, lungo tanto da coprire i fianchi; le braccia sono ricoperte da maniche rossastre, parte visibile dellindumento indossato sotto la veste predetta; larghe brache nere, calzoni bianchi infilati dentro uose pure nere, scarpe nere. Procedendo verso destra, un uomo messo di spalle veste uno stretto giubbino o farsetto azzurro, forse di velluto; un basso colletto di pizzo fa intuire la presenza di una sottostante camicia; sulla spalla sinistra adagiata una veste nera tenuta a bandoliera, con bordure rossastre e nappine nere sulla protuberanza sinistra della stessa che potrebbe essere o 35

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il cappuccio dellindumento o un oggetto a parte, per esempio un borsone; calzoni neri, lunghi al polpaccio, con bordino color mattone alle estremit, caratterizzate da due piccole aperture triangolari; dei merletti a triangolo fuoriescono dal bordo delle lunghe brache indicando che queste sono portate sopra calzoni bianchi di tela; calzature color cuoio, forse corti stivali. Queste brache ricordano quelle diffuse nel Sulcis Iglesiente e attestate in molte zone della Spagna. Unaltra figura maschile, sempre presentata di spalle, indossa una corta giacchetta nera svasata con spacco posteriore centrale piuttosto profondo, alla cui estremit superiore pare poggiarsi la punta di un cappuccio; brache nere che arrivano allaltezza del ginocchio; calzoni di tela bianchi, infilati in uose nere; queste, che parrebbero recare un risvolto di pelle naturale ai bordi superiori, coprono la tomaia delle scarpe, appena delineate, in pelle chiara. Procedendo ancora verso destra, un altro personaggio si distingue per un pastrano nero con breve spacco posteriore, uose analoghe a quelle appena descritte ma terminanti al collo del piede, scarpe di pelle chiara, con falda apribile laterale. Un altro dipinto (fig. 18), recante la didascalia Luchando Luxorio , raffigura una donna con benda bianca

stretta attorno al collo e al capo cui sovrapposto un manticello, pure bianco; camicia chiusa allaltezza della clavicola con bottoncini e profilino di pizzo; farsetto bluastro, con leggera scollatura, apertura centrale a bottoncini e profilatura rossa, maniche strette di color ocra, con cinque bottoncini argentati; grembiule grigiastro, a piegoni, forse fatto confezionare con un tessuto molto fine, come un velo, che assume il colore dellindumento sottostante, una gonna di color blu scuro, quasi nero, con balza marroncina; scarpe nere a polacchina con tacco medio. Accanto alla figura appena descritta ritratto un altro personaggio femminile che indossa una lunga giacca rosso scarlatto, assai scollata, accostata in vita, con manica a tre quarti a frate, da cui fuoriesce ampiamente il pizzo molto ricco della camicia a manica larga; pizzo anche sulla scollatura della camicia, fodera e maniche con risvolto color oro; veste intera color giallo oro con gonna molto ampia a piegoni cui sovrapposto un corto grembiule bianco; calze azzurrine, scarpe bianche a punta con tacco medio leggermente rientrato; la figura caratterizzata, inoltre, da una cuffia a sacco rossa, orecchini bianchi, forse di perle, girocollo a grani dorati cui sospeso un cordoncino nero che regge un pendente di corallo; in

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29. Uomo di Bortigali, ante 1882, foto depoca, Roma, Fondo Enrico Hyllier Giglioli, Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini. 30. Uomo di Sassari, ante 1882, foto depoca, Roma, Fondo Enrico Hyllier Giglioli, Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini. Le immagini sono di straordinario interesse per la storia dellabbigliamento maschile sardo, in quanto fermano il momento di passaggio dalle rgas, il gonnellino tradizionale, ai pantaloni a tubo. I due indumenti, di fatto alternativi, in queste immagini appaiono singolarmente insieme; ma il gonnellino, ridotto praticamente a una cintura con balza pieghettata, pi che un indumento vero ormai solo una citazione, un segno della tradizione vestimentaria in corso dabbandono. 31. Contadine, Alghero, localit I Piani, 1899, fotografia di Vittorio Sella, Biella, Fondazione Sella. Limmagine offre un campionario delle camicie, delle gonne e dei fazzoletti di cotone largamente adottati nellisola dai primi anni del Novecento. Le tre donne in piedi sul lato destro sono scalze, come presumibilmente tutte le altre.

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mano un ventaglio chiuso, ma che lascia intravedere le stecche chiare, tipo madreperla, e le pagine rosse. Dunque indumenti maschili quali collttu, rgas, brache larghe e nere lunghe fino al ginocchio, calzoni bianchi di tela, gabbani e gabbanelle, e femminili quali bende e corsetti, grembiuli, giubbetti, gonne che rimandano inequivocabilmente alle tipologie vestimentarie sarde, sopra definite.40 Nello stesso tempo alcuni accessori e ornamenti, quali il ventaglio pieghevole, gli orecchini di perle, le scarpe bianche a punta della figura femminile descritta, sono elementi che rimandano alla moda europea del Settecento. Sia in queste raffigurazioni di Borore sia nel dipinto di Quartu presente la benda; se si considera che nel citato atto notarile del 1236 si fa riferimento a due bende sardesche di seta si ha la conferma del plurisecolare uso di questo copricapo da parte delle donne della Sardegna. I tre documenti afferiscono, peraltro, a zone diverse dellisola significandone la diffusione pansarda. Un altro elemento significativo di questi quadri che tutti i dati che provengono dalle rappresentazioni del ciclo pittorico di San Lussorio di Borore e dal Ritratto di 37

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32. Tre donne di Ochagavia, Navarra, Spagna, con la gonna esterna posata sul capo per protezione contro la pioggia (traje de agua), fotografia di Jos Ortiz Echage da Espaa, Tipos y Trajes, Barcellona 1933. 33. Osilo, 1934 ca., fotografia di Renzo Larco. 34. Giovane di Alija del Infantado, Leon, Spagna, fotografia di C. Casado Lobato, in La indumentaria tradicional en las Comarcas Leonesas, Leon, s.d. Di particolare interesse per un confronto con il vestiario sardo il gilet con scollo squadrato, denominato armador. 35. Ragazza con mantiglia di Santa Elena de Jamuz, Leon, Spagna, fotografia di C. Casado Lobato, in La indumentaria tradicional en las Comarcas Leonesas, Leon, s.d.

Maria Piras di Quartu,41 mentre segnalano lesistenza di una clientela agiata, attenta alle variazioni e novit della moda, nel contempo confermano che il sistema vestimentario sardo, maschile e femminile, che trover forma compiuta nel proseguo del secolo e in particolare in quello successivo, ormai chiaramente definito. Esso pi che mai distintivo delle classi popolari delle citt e dei ceti rurali, ancorch benestanti. Un documento di prima mano, in questa direzione, offre un passo dellautobiografia di Vincenzo Sulis, che descrive se stesso ventenne, e dunque nel 1778: Vestito alla sarda con ganceria dargento nel collette di pelli, berretta

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di vellutto nero, giupone di panno scarlato con buttoniera dargento, capotino corto di saur finissimo, calze e calzoni dorbaci, tutto vestito alluso della Trexenta.42 Per quanto attiene al versante femminile le affinit del sistema-base camicia, corpetto/giubbetto, gonna e grembiule con il costume europeo cos come andato configurandosi ai primi decenni del Cinquecento appaiono ancora pi evidenti. Desta sorpresa, in questi quadri, che tutti i personaggi femminili portino le scarpe; ci potrebbe indicare la loro appartenenza ai ceti agiati, oppure che luso delle scarpe non fosse poi cos raro come comunemente si crede. Appare comunque pi realistica la prima ipotesi, soprattutto se si tiene conto di quanto al riguardo viene riportato dalla letteratura dellOttocento e del Novecento. In questa direzione si colloca anche quanto riferisce lAngius riguardo alle scarpe delle donne di Dorgali, le quali aggiungono alla loro statura non meno di quattro centimetri. Tanto sono spesse le suole. Le scarpe, che port nuove la madre quando fu sposata, le porta di poi la figlia sino a che il suo sposo ne le offra un pajo di nuove, che serviranno anchesse allaltra generazione.43 Un altro dato della particolare connotazione delle scarpe quale elemento dellabbigliamento popolare di particolare pregio proviene da Nuoro: Risulta che ancora negli anni Trenta un bel numero di ragazze del rione di S. Pietro le quali, per un motivo o per laltro, avessero dovuto recarsi al centro della citt, fossero solite procedere scalze e con le scarpe in mano fino al confine rionale, rappresentato dalla Piazza S. Giovanni; qui le calzavano per poi riprenderle in mano al ritorno.44 Questi dati, peraltro, sono perfettamente in linea con quelli del resto dellEuropa che confermano come la scarpa chiusa, fatta con cuoio e pelle per coprire e proteggere lintero piede, era, in ogni caso, un lusso cittadino.45 Lo sviluppo delle industrie tessili garantir unaccessibilit fino ad allora preclusa a una serie di prodotti quali il panno, velluti di seta, damaschi, rasi, ecc. Numerosi testi di fine Settecento sottolineano la forte dipendenza dellisola per quanto attiene alla produzione di tessili di qualit accettabile dalle classi medio-alte e lattenzione di queste ai dettami della moda europea. Ben noto il passo de Il Rifiorimento della Sardegna di padre Francesco Gemelli: Vestono dunque i Sardi, abitano, vivono, nelle citt almeno, sul fare delle colte nazioni dEuropa, ma pressoch tutto accattano dallestero Consideriamo labbigliamento dei Sardi di condizione tanto civile che rustica, e rileveremo che nel regno non havvi alcuna fabbrica che provveda da vestirsi, se si eccettua linforme manifattura che d il sajo ai religiosi Cappuccini volere daltronde impedire la introduzione delle merci e manifatture straniere di comodo e di lusso, sarebbe lo stesso che obbligare i Sardi alluso delle pelli e delle mastrucche.46 Una situazione che circa cinquantanni dopo risulta notevolmente diversa se si considerano le sempre attendibili

notizie dellabate Vittorio Angius relative allorganizzazione economica e sociale dei diversi centri isolani. Esaminando le pagine dedicate a Cagliari si apprende che vi operano, tra i Sartori, Mastri 53. Garzoni 40, discenti 25, 30 Sartrici e 6 Modiste; tra i Sartori alla sardesca mastri 45, garzoni 20, discenti 12. Viene inoltre segnalata lattivit di 13 Officine di cappottari greci, per complessivi 50 uomini nonch dei seguenti scarpari: di lavoro gentile 80, garzoni 60, dis. 70, di lavoro grossolano mastri 20, garzoni 22. Labate Angius segnala anche la presenza di 15 botteghe di stoffa e due importanti manifatture attinenti al vestiario, la fabbrica di cotoni e quella delle berrette; la prima consta di pi di 170 telai distribuiti per la citt. La filatura fu ridotta a sette da 25 macchine, che in addietro erano impiegate: la tintoria a poche persone. I tessuti sono bordati, bordatini di diversi colori alluso di Genova, tele crude, fanfare alluso di Malta e altre varie stoffe. Per le quali robe erano gi solite estrarsi non piccole somme. I depositi sono in Cagliari, Sassari e Alghero: il prezzo batte con quello delle consimili di Genova. Dal marzo 1834 al febbrajo 1835 sono state lavorate pezze di cotone 1423 della distesa di palmi sardi 216 caduna con lopera di 277 persone. Indi crebbe il numero dei lavoranti sino ai 400.47 Di estremo interesse risultano i dati sulla seconda manifattura, quella delle berrette: Sono riuniti i soli cardatori: le filatrici e altre operaie lavorano a casa. I manofatti reggono alla concorrenza con lestero, e n grande lo smercio in tutta lisola, dove se ne vestono circa 190,000 teste, e se ne comprano annualmente non meno di 150,000. Non bastando ancora al bisogno i suoi prodotti possono alcuni piccoli fabbricanti impiegarsi nella stessa manifattura, e devono alla sufficienza importarsene dallestero. Da queste due fabbriche venne a circa un migliajo di persone un mezzo di sussistenza. Dunque, nelle prime decadi dellOttocento, a Cagliari tra sarti per una clientela borghese e abbiente, sarti per le fogge tradizionali e cappottari greci si supera il numero di 100 unit; si producono vari tessuti di cotone e berrette; lAngius calcola che nellisola le berrette vestono
36. Anziani di Avila, Castiglia, Spagna, fotografia di Jos Ortiz Echage da Espaa, Tipos y Trajes, Barcellona 1933. 37. Donne di Ibiza, Isole Baleari, Spagna, fotografia di Jos Ortiz Echage da Espaa, Tipos y Trajes, Barcellona 1933. 38. Donne di Nuoro, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. Gli abiti delle due donne sono propri delle nubili benestanti del primo Novecento. Una delle due porta la gonna di orbace sollevata e posata sulla spalla sinistra; ci consente di mostrare la gonna sottostante in cotone. Labitudine di portare la gonna dorbace, tnica, sulle spalle per proteggere la balza di seta dellindumento assieme al corpetto e al giubbetto in caso di pioggia, nonch luso di sovrapporre pi gonne, documentato da vari autori fra cui Grazia Deledda, giovane folclorista di Tradizioni popolari di Nuoro. 39. Giovane coppia di Iglesias, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. Da segnalare il grande manto di chiara impronta iberica e mediterranea, la raffinatezza della bordatura in velluto e dei ricami del soprabito a cappuccio del giovane.

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190.000 teste e che essendo insufficiente la produzione isolana si provvede ad importarle. Altrettanto preziose risultano le notizie dellAngius su Sassari: esse forniscono un quadro assai simile a quello di Cagliari circa la distinzione tra sarti darte grossa e di arte gentile. I primi producono vesti sardesche, bracche, calze, borzacchini, giubbette, e principalmente gabbani e gabbanelle; sono ormai pochissimi in quanto sostituiti da donne de paesi vicini, principalmente dOsilo, che presero domicilio nella citt, mentre i secondi, numerosissimi, lavorano vesti da uomo nelle fogge francesi 39

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avendo tra laltro alcuni di essi appreso larte nelle pi celebri botteghe di Francia e dItalia. LAngius segnala anche lesistenza in citt di alcuni depositi di vesti sarde destinate a clienti di Genova e Torino, essendosi diffusa in molti luoghi della terraferma la moda del panno sardo forese; nel contempo sottolinea che in altro tempo erano in Sassari non pochi che cucivano e ricamavano i bei coietti, che vestivano i contadini e altri uomini della plebe. Alcuni sarti gentili inoltre vendono anche robe di uso comune, che si fanno venire dalla Francia, e hanno magazzini di tutte sorte di vestiario civile. Si numerano 40 botteghe in circa con pi di 100 lavoranti, 60 garzoni e 40 donne. Le maestre di vestiario civile e signorile non sono meno forse di 50. Di modiste di prima classe, che lavorano per le eleganti, secondo i figurini della moda francese, se ne contano non meno di sei.48 Giovanni Maria Seche, poeta di Ittiri, morto nei primi anni del secolo XIX, nel componimento No hamus fradelidade, risalente alla fine del Settecento, lamenta lassenza di comprensione e rispetto da parte dei ceti benestanti del paese nei confronti della povera gente rea di aver nominato priore della festa il contadino Antonio Virdis. Il testo, mentre informa che i maggiorenti hanno preso in odio lorbace e chi lo indossa perch appartenente al popolo minuto, mette in evidenza come i termini orbace e popolo fossero di fatto sinonimi: e i sos cavaglieris e gosinos / de su nostru paesi / a dispressiu tenene su fresi / e i sos furesados, / essende chissos si che sunt intrados / in cussa estimenta, / e a nois lu dana pro affrenta / ca furesi jughimus, / e in issos de fresi nde idimus, / e fatta longarinas / calzettas e calzones, casacchinas / giubittas e cabbanos, / non si distinghent dai passamanos / in cante a sos pannos .49 Si pu ben capire quindi come labbandono dellorbace, quale materiale tessile proprio dei ceti popolari dellisola, finisca per simboleggiare un momento di trasformazione epocale, che viene efficacemente testimoniata dai componimenti dei poeti popolari e dai proverbi. Tra questi si ricorda il ben noto Mezus andare dai su fresi a su pannu, qui non dai su pannu a su fresi, cui, oltre allovvio significato meglio partire da una bassa condizione per raggiungerne una pi alta pu attribuirsi quello secondo il quale meglio andare verso il futuro piuttosto che ritornare verso il passato.50 Il quadro che si delinea chiaramente agli inizi dellOttocento dunque quello duna forte dipendenza esterna per quanto attiene ai tessuti e alle fogge di moda, cui si associa una sempre pi netta distinzione tra abbigliamento delle classi borghesi e urbane rispetto a quelle popolari e rurali. Esso vede da un lato un mercato interno di produzione domestica e di vendita per i paesi di orbace e lino, tessuti di base per la confezione del vestiario alla sarda dei ceti popolari, in parte affidata a sarti in parte eseguita in casa; dallaltro un mercato elitario, prevalentemente attivo nelle citt, di tessuti di qualit provenienti 42

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40. Donne di Roncal, Navarra, Spagna, fotografia di Jos Ortiz Echage da Espaa, Tipos y Trajes, Barcellona 1933.

41. Lanusei, ante 1882, foto depoca, Roma, Fondo Enrico Hyllier Giglioli, Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini. 42. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Iglesias, 1878, litografia a colori, in Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni.

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dal continente italiano e non, ceti in grado di seguire tutte le novit della moda italiana ed estera. Un quadro destinato a subire un rapido mutamento per limmissione sul mercato duna inusitata variet di prodotti dellindustria tessile europea accessibili perfino alle classi popolari, che per la prima volta fruiscono anche di un catalogo di colori tradizionalmente precluso. Come mette in evidenza Roberta Orsi Landini, storicamente i toni intensi, brillanti, saturi, propri dei drappi pi belli, non significavano solo bellezza, ma erano un segno ulteriore di status. I colori ricchi, cio ottenuti da coloranti pregiati, come la porpora o il kermes, erano stati sempre riservati alla maest, quella umana rappresentata dalla figura dellimperatore o del re, quella divina impersonata dalle pi alte gerarchie ecclesiastiche, che nel rosso vedevano il colore del sangue di Cristo. Ai poveri era riservata la vasta gamma dei bruni e dei mezzi toni, lopacit della ruvida lana, il colore sporco delle fibre grezze. Sar lOttocento, con la scoperta dei coloranti chimici, con la produzione meccanizzata di tessuti a buon mercato, a regalare alle classi meno fortunate, con la possibilit di abiti colorati e diversi a seconda della stagione, la gioia di avere infranto un rigido schema nella secolare gerarchia delle apparenze.51 Se non ladozione di abiti colorati e diversi a seconda della stagione, certamente limmissione dei tessuti industriali determina in ambito popolare la possibilit di scegliere combinazioni cromatiche e materiche nuove e di effettuare interventi innovativi soprattutto nella direzione di un forte, vistoso arricchimento ornamentale che finir per caratterizzare il vestiario popolare femminile, e per taluni aspetti anche quello maschile, degli ultimi decenni dellOttocento. E infatti i testi degli autori dellultimo trentennio del secolo (von Maltzan, Mantegazza, Corbetta, Vuillier, ecc.) registrano lo splendore e la ricchezza degli abiti delle classi popolari, ammirandone enfaticamente loriginalit, larmonia cromatica e la bellezza antica e fiera delle donne che li indossano, e individuando le ragioni di queste qualit non tanto nelle innovazioni recenti ma nella immodificata persistenza delle loro caratteristiche antiche dovuta al poco progresso e alle poche comunicazioni. E, in realt, doveva essere uno spettacolo notevole quello che a fine Ottocento poteva pararsi davanti al viaggiatore che, dopo un faticoso trasferimento, fosse capitato nel bel mezzo di un corteo nuziale o di una processione religiosa di un qualsiasi paese della Sardegna, come, per esempio, la Nuoro descritta dal Corbetta: Bisogna vederle, le donne, in giorno di festa recarsi alla chiesa, o starsene accoccolate per terra oziose davanti alla porta delle loro case. I broccati, gli sciamiti, i velluti, i pannolani scarlati, azzurri, verdi, i ricami in oro ed argento, i bottoni pendenti a catenelle, o lucidi o a filigrana pure doro o dargento, gli sparati delle camicie candidissime a minutissime pieghe, le fettuccie, i fronzoli svolazzanti dogni colore, costituiscono delle vesti muliebri uno sfol-

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gorio, tutta una tavolozza, la pi ricca, la pi abbagliante che vedere si possa. Ma anche un osservatore interno alla Sardegna e in qualche modo portatore del punto di vista popolare, quale il poeta Giuseppe Zicconi di Tissi, d testimonianza di unofferta di tessuti, indumenti e accessori particolarmente variegata. Nella poesia Chie cheret comporare elenca la ricca mercanzia di un merciaiuolo (zanfarajlu) malizioso, attraverso linvito allacquisto rivolto principalmente a clienti femminili, siano esse da marito, vedove o nubili; se ne pu estrapolare un dettagliato campionario di tessuti e indumenti: panni nuovi, di diverse qualit, portati da fuori , panni di seta e di lana, coltri di bambagia e di tela indiana, pelli di camoscio e di volpe conciate e col pelo, e cordoncini di seta e di filo, stoffe 43

per far fodere, aghi, spilli, pettini in corno, catenelle, bambagia, pizzo, nastro e berrette di buon taglio / Perch le acquistino le ragazze da marito, seta e lane di vari colori; per tutte quelle che sono al primo amore raso, stoffa, seta, gorgorano, panno scarlatto, stoffa di Torino, broccatello dorato, grisetta azzurra alla moda loro, la saietta e il tessuto di lana, panni di lana di poco costo a seconda della richiesta, ermisino, saia stampata, sempiterna verde, cremisi e rossa, poi collane da portare al collo, sei soldi al filo, nastri e pizzo per il seno e le spalle scarpe con i lacci, e calze di Savona e di lanetta, di cambrich e mussolina, seta rossa, bianca e color arancio, camicie di pregio / Di panni per le vedove c lana color del gelso e nera, tessuto per copricapi / alcune vedove e nubili trovano tutto quel che vogliono, panni 43 fini di lana panno scuro di Russia.52 Fino agli anni Settanta dellOttocento le note ancorch generiche quale quella sopra riportata sulla presenza di pizzi e di ricami nel vestiario isolano sono assai scarse: neppure le voci compilate dallabate Vittorio Angius per il Dizionario del Casalis, che rappresentano un riferimento insostituibile per ogni ricerca sulle condizioni economiche e sociali della Sardegna della prima met dellOttocento, contengono notizie di una qualche consistenza. Eppure lAngius, relativamente ad un altro settore del lavoro femminile, la tessitura, aveva dimostrato una rara precisione documentativa arrivando a elencare praticamente paese per paese il numero dei telai in attivit, la quantit e il tipo dei tessuti prodotti e le loro finalit duso. Ci considerato, la generale, ancorch non assoluta, assenza di dati sui pizzi e ricami potrebbe semplicemente significare che fino alla prima met del XIX secolo la loro produzione fosse molto modesta e il loro uso prerogativa del ceto urbano medio-alto. Probabilmente si potranno individuare le ragioni che nei decenni successivi avrebbero determinato il generale diffondersi della produzione e delluso di pizzi e ricami a livello popolare, esaminando le ulteriori vicende della produzione domestica delle tele di lino e dellorbace precedentemente tanto ben documentate dallAngius. 44

Questi manufatti, eseguiti su migliaia di telai rudimentali operanti in tutta lisola (4134 nella sola Barbagia), gi da tempo non rispondevano pi alle esigenze dei ceti sociali pi elevati, specie di ambito cittadino; che, infatti, seguivano pienamente le vicende della moda continentale italiana e straniera. Al riguardo cos scriveva, nei suoi Souvenir dun sjour en Sardaigne (1827), il Marchese di Saint-Severin: Quant aux autres habitants, hommes et femmes, qui ne portent pas le costume national, ils sont habills a la franaise: tels sont les habitants des villes, except le petit peuple; encore une portion de celui-ci fait des innovations dans son habillement en faveur du costume europen; par exemple, ils adoptent nos gilets. Les Sardes aiment llgance dans les divers costumes. On en trouve dans laccoutrement national modernis, si lon peut ainsi sexprimer; mais dans les conditions plus leves, il y a du luxe mme. Des marchands partent annuellement pour Lyon et Beaucaire, et vont choisir les toffes et draps la mode de tous les genres; et outre cela, tous les articles de mode dj ouvrs. Les hommes aiss des villes sont aussi lgants quon lest dans les villes dItalie. Les dames et les artistes recoivent dailleurs Cagliari le Journal des modes parisiennes. Parfois, des petits matres qui vont au continent, rapportent le suprme bon ton de Milan Cagliari; de sorte quen fait dlgance, on na presque rien dsirer dans cette dernire ville, et par suite dans les autres villes de Sardaigne.53 A Ciriaco Antonio Tola, poeta bittese, si deve la composizione A su butecariu e a su giuighe mandamentale nella quale viene sbeffeggiata la mania di tessuti dimportazione e di abiti di foggia straniera, in particolare parigina.54 Quando la domanda di tessuti di produzione industriale, certamente superiore a quella sarda per finezza e variet, non rest pi limitata ai signori delle citt, come descritto dal Saint-Severin e stigmatizzato dal poeta Tola, ma divenne generale, il sistema produttivo della tessitura tradizionale domestica entr in crisi e a partire dagli anni Sessanta si verific un abbandono generalizzato dei telai, inizialmente nei centri pi importanti, quindi in quelli minori. Pare allora naturale ritenere che, non pi impegnate in quella che per secoli aveva rappresentato la forma pi importante di industria domestica femminile, con non trascurabili risvolti economici, le donne sarde abbiano rivolto le proprie potenzialit lavorative verso la produzione di pizzi e ricami per labbigliamento e le telerie domestiche. Un tipo di lavoro fino ad allora tradizionalmente riservato ai ceti elitari venne pertanto ad assumere connotazione popolare; un fenomeno simile stato registrato da Jane Schneider in un saggio relativo alla Sicilia della fine dellOttocento: Il rapidissimo declino della filatura e della tessitura domestica liber da questi lavori quel numero di ore che rese poi possibile a delle contadine e a delle artigiane lemulazione delle lites.55

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Analoghe considerazioni svolgeva, in uno scritto del 1913, il canonico Francesco Tolu Liperi, relativamente al caso di Osilo: Smessa quasi del tutto la filatura del lino, posto che con molta facilit si pu avere preparato con filatura a macchina, e pronto per la tessitura, tutta lattivit si rivolta alla lana, che si fila e si tesse a casa. Vi sono le tessitrici professioniste, e vi sono quelle che tessono esclusivamente per conto della propria famiglia. Ma anche qui abbiamo un notevole ribasso; mentre ai tempi in cui scriveva il Casalis, si avevano in Osilo novecento telai dei quali cinquecento in attivit, oggi i telai non raggiungono i trecento cinquanta di questi men che cento cinquanta lavorano per met danno, i restanti si agitano alloccorrenza, secondo le necessit domestiche. Questabbandono della tessitura viene spiegato col difficile

43. Abito antico di gala, Ibiza, Isole Baleari, Spagna, anni Venti Madrid, Museo del Pueblo Espaol. Il traje de gala di Ibiza, abbandonato alla fine del secolo XIX, rientrato nelluso alla fine degli anni Venti del Novecento, sullonda di un fenomeno di revival che allepoca interess molti aspetti della cultura popolare spagnola. Si tratta di un abito caratterizzato da una larga gonna plissettata, con bordo in seta bianca, unita in vita a un corpetto di velluto di seta operata: una foggia assai poco diffusa in Spagna che trova una parentela con le basquias di Ans, nellAlta Aragona e, in Sardegna, con lo scarramgnu di Orani. 44. Donne di Orani, 1939 ca., in Le Vie dItalia 1939. 45. Costume di gala, scarramgnu, Orani, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Questabito si distingue per il corpetto cucito alla gonna, non presente in nessunaltra veste tradizionale dellisola, ad eccezione di quella di Fonni, e per il particolare tessuto della gonna formato da ordito in canapa e trama a vista in lana bruno-nera. Questi elementi la associano al traje de gala di Ibiza.

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collocamento dellorbace, che per quanto rinomato per la sua finezza ed accuratissima confezione, tale da gareggiare col casimiro non si sa dove collocarlo vantaggiosamente, ed anche col mutar dei costumi donneschi che si sono oltremodo ingentiliti, molte donne crederebbero umiliarsi esercitando la professione di tessitrice; il ricamo ed il cucito hanno preso il sopravvento; lago ha ammazzato la spola. Mancata la tessitura e la filatura che dava risorse non indifferenti le donne osilesi si giocherelleranno coi ricami e coi pizzi, e finiranno per poltrire, non potendo, per il disuso, sostituire con altri lavori pesanti quello gi smesso. Dapprima la donna osilese bastava per se, ora sar un parassita delluomo.56 Ricami con filati policromi generalmente di seta, ma anche di cotone e, pi raramente, di lana vengono eseguiti sui pi diversi tipi di tessuti utilizzati per la confezione del vestiario tradizionale: dallorbace (gonne, giacche, grembiuli, uose, cappotti) ai panni di lana (giubbetti, gonne, cappe, grembiuli, ecc.), ai damaschi, gros, velluti e taffett di seta (giubbetti, corpetti, fazzoletti, scialli, gonne, ecc.), ai velluti di cotone (giubbetti, corpetti, ecc.). Il ricamo policromo, inoltre, orna le larghe cinture di cuoio particolarmente diffuse nella Sardegna centrale, nonch le scarpe femminili di gala di svariate localit, talvolta rivestite di velluto, di damasco o di seta. Ricami e pizzi in bianco con filati di lino e cotone sono presenti su camicie, grembiuli, veli in tela di lino e di cotone e in tulle. Le decorazioni possono essere grossolanamente distinte in geometriche e figurate. Le prime sono comunemente ritenute le pi antiche e proprie dellisola, in conformit ad una tendenza secolare dellornato sardo verso lastratto e laniconico;57 e sebbene certamente preesistenti al periodo in esame esse vanno incontro a un arricchimento cromatico e delle tecniche esecutive: comprendono i vari rombi, triangoli, greche, cerchi, linee presenti soprattutto nel vestiario delle Barbagie e del Nuorese; sono spesso collocate sui bordi e sulle giunture di un tessuto o di tessuti diversi, talvolta evidenziando, talvolta ammorbidendo i passaggi tra diversi colori e materiali e, probabilmente, svolgendo, specie nel caso del supporto dorbace, anche una pratica funzione di rinforzo e di appiattimento delle cuciture. Tra gli indumenti cui le decorazioni geometriche conferiscono una particolare caratterizzazione si possono ricordare il grembiule da sposa nuorese, la gran parte di quelli femminili di Desulo (cappuccio, grembiule, giubbetto) e di Orgosolo (giubbetto di panno rosso, grembiule con grandi fiori crochi stilizzati, detti lzos, che spiccano sul fondo nero di raso di cotone o di lana fine). Alla categoria dei motivi figurati vanno ascritti i disegni riproducenti fiori, racemi, tralci di vite, grappoli duva, cornucopie, uccelli, ecc., che ornano giubbetti, corpetti, gonne, grembiuli, scialli, cappe, fazzoletti indossati in svariate localit dellisola (tra le tante si citano Osilo, Sennori, Oliena, Nuoro, Dorgali, Ittiri, Atzara, Busachi). La loro diffusione da connettere da un lato alladozione 46

di tessuti dimportazione particolarmente morbidi e fini, quali i gros, i damaschi e i velluti di seta, adatti dunque a ricevere i sontuosi ricami in filato di seta, doro e dargento; dallaltro allinfluenza delle scuole di ricamo e di cucito che fanno proprie alcune figurazioni ornamentali diffuse dalle riviste dedicate alle arti femminili. Al riguardo lAngius segnala lattivit delle orfanelle del conservatorio della Provvidenza di Cagliari che comprendeva lavori di ago e di spola (bordati, bindelli di seta, calzette), la filatura della seta tratta da bozzoli sardi e la filatura delle gnacchere, per la produzione del bisso: Nel 1834 erano in esercizio telai 24 per li bordati dello stabilimento della fabbrica sopra descritta dei cotoni, altri per la seta, fazzoletti, coperte, nastri, calze, due macchine quasi alla jaquard, e gran copia di altri minori istromenti. Analogamente, a Sassari, in un orfanotrofio si insegna da una maestra la filatura e tessitura in lino, lana e seta, con telai migliori de sardi, la cucitura, la maglia, il ricamo, la composizione de fiori.58 Nellambito dei ricami a motivi figurati rientrano anche le decorazioni accurate ed eleganti delle larghe cinture maschili di cuoio diffuse nellarea della Sardegna centrale e delle Barbagie (Desulo, Ollolai), e i fastosi ornamenti in fili doro e dargento dei capi di un gran numero di localit dellisola (giubbetti di Ploaghe, Sennori, corpetti di Ploaghe, Nuoro, Ittiri), frequentemente uniti a motivi ottenuti con canutiglie, lustrini o perline; come pure alcune trine in filo doro e dargento, realizzate a fuselli, di diversi indumenti usati nel meridione dellisola: a Cagliari decorano la mantglia di panno rosso afferente al costume di gala de sa panattra.59 Ma soprattutto sulle camicie, femminili e maschili, in tutta lisola, anche se in misura e qualit differenti da zona a zona, appaiono le forme pi impegnative e raffinate dellarte del merletto ad ago e del ricamo in bianco: pur nella diversit di foggia lunghissime fino ad intravedersi sotto il bordo inferiore della gonna o tanto corte da coprire appena la vita; divise verticalmente in due parti simmetriche o completamente chiuse fino alla scollatura; con colletto alto o praticamente inesistente presentano collo, petto e polsi ornati da pizzi o ricami in bianco che variano a seconda delle destinazioni duso e delle risorse economiche dei proprietari. Particolare pregio e raffinatezza caratterizzano la lavorazione delle camicie femminili delle Barbagie, delle Baronie e del Nuorese, tanto da risultare frequentemente il capo pi prezioso dellintero costume. Sempre ampie, di tela di lino o di cotone, erano contraddistinte dal cro, descritto con precisione dalla Deledda folklorista: Alle camicie femminili si fa il cuore (su coro) come si eseguisce anche in talune camicie maschili. Questo cuore una specie di ricamo ad ago sulla larga increspatura (sas ispunzas) che raccoglie limmenso volume della tela sul collo e sui polsi.60 Nellambito maschile si
46. Paesano sulla soglia di un portale gotico, Abbasanta, 1927, fotografia di August Sander, Archivio A. Sander.

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evidenzia lintroduzione a Teulada della camicia caratterizzata dal lavoro detto pntu a brdu, piuttosto costosa, componente indispensabile dellabito di nozze degli uomini teuladini. Infine, questi anni vedono la grande diffusione di veli, grembiuli, pettorine e sciarpe di tulle ricamati in bianco su bianco con motivi riproducenti fiori, rami fioriti, frutti, grappoli duva. Questi indumenti si adottano soprattutto a Cagliari, Assemini, Monserrato, Fluminimaggiore, Capoterra, Iglesias, Muravera, Oristano, Cabras, Busachi, Milis, Meana, Paulilatino, Seneghe, Orosei, Silanus. Probabilmente una cos ampia diffusione dei veli e dei grembiuli di tulle, ma anche limportanza assunta dalle candide camicie, conseguono allaffermazione dellabito bianco nuziale nelle principali citt europee, quale rimando simbolico al candore e alla purezza virginale che avrebbero dovuto caratterizzare la donna davanti al sacramento matrimoniale; connotazione simbolica peraltro gi presente in diverse cerimonie religiose della chiesa cattolica fin dal secolo XVI.61 La moda dellabito di seta bianca, che per finezza si 48

preferisce opaca, accollato con maniche lunghe avvolto da un amplissimo velo di tulle o di trina,62 trova pronto accoglimento presso le famiglie borghesi delle citt sarde; dai ceti popolari, che non possono permettersi un abito da utilizzare una sola volta, riceve un cenno dattenzione attraverso questi veli, sciarpe e grembiuli di tulle, che vanno ad associarsi simbolicamente alle gi affermate bianche bende nuziali nuoresi. Continua cio a permanere la concezione dellabito nuziale femminile come investimento da realizzare in tempi lunghi, diluendo la spesa onerosa nel corso di vari anni e riservando tale impegno per un manufatto non troppo condizionato dagli effimeri dettami della moda e soprattutto utilizzabile successivamente come abito di gala.63 La fine dellOttocento vede laffermarsi del fenomeno dei concorsi (Sassari 1896, Cagliari 1899), volti a diffondere lartigianato sardo in generale e, dunque, anche i lavori femminili del cucito e del ricamo, associati a premi per i costumi. Queste manifestazioni diventano efficaci veicoli di promozione delle novit e delle capacit inventive di abili sarte e ricamatrici.

A questo proposito risulta illuminante un passo del Tolu Liperi tratto dalla gi citata monografia su Osilo. Lautore, riferendosi ai mutamenti intervenuti nel vestiario femminile, scrive: La terza foggia, lattuale, che ha raggiunto le alte vette della gloria colla rinomanza, trionfando nelle gare, nei concorsi, negli album e nelle esposizioni, un portato della evoluzione del secondo costume, svoltasi da un trentennio a questa parte. Ormai il panno scarlatto comincia a rannicchiarsi negli angoli pi poveri, smettendo la sua audacia, e lasciando il campo al trionfante terziopelo, vale a dire velluto in seta, finissimo e costosissimo, che va dalle sei alle sette lire al palmo, cio dalle 25 alle 30 lire al metro La gallona andata ogni anno pi aumentando larghezza e ricchezza. La gonnella per met tempestata di ricami in seta; ed anche questo ricamo subisce la sorte della stoffa, assoggettandosi a minutissime pieguzze, eleganti e flessuose Le camicie portano al collo e al petto magnifici e finissimi ricami in bianco, che ormai quasi tutte le fanciulle sanno eseguire, perch hanno sostituito lago sottile, al rozzo fuso, ed al rozzissimo telaio I veli del capo alla tela han sostituito

47. Maria Jos e Umberto di Savoia presenziano alla Cavalcata sarda, Sassari, 1939, foto depoca. 48. Cavalcata sarda, Sassari, seconda met anni Cinquanta, foto depoca. 49. Coppia di Sennori a cavallo, Sassari, Cavalcata sarda, 1999, fotografia di Franco Ruju. 50. Trcca di Quartu S. Elena, Cagliari, sfilata di S. Efisio, fine anni Novanta, fotografia di Franco Ruju. 51. Gruppo folk di Bauladu, Cagliari, sfilata di S. Efisio, fine anni Novanta, fotografia di Franco Ruju. 52. Gruppo folk di Desulo, Nuoro, sfilata del Redentore, 2001, fotografia di Franco Ruju. 53. Gruppo tenores di Oliena, Oliena, Cortes apertas, 1999, fotografia di Franco Ruju. 54. Costume di Dorgali, Bitti, Su Meracolu, 2002, foto di Franco Ruju. 55. Costume di Ollolai, Sassari, Cavalcata sarda, 1999, fotografia di Franco Ruju. 56. Costumi di Bitti, Nuoro, sfilata del Redentore, 1999, fotografia di Franco Ruju.

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finissimi tessuti di battista e Giaconetta, tele traforate e tramezzate con uninfinit di variazioni, inventate dalla fantasia delle fanciulle I busti hanno ricami doro finissimo, con delle pettiere di stoffe ideali; in sostituzione del noioso nastro, che per delle ore intiere teneva occupate le fanciulle onde finire labbottonatura.64 In realt anche la produzione di pizzi e ricami perlomeno di quelli destinati allabbigliamento andava incontro a un rapido declino. A partire dal primo dopoguerra del Novecento, si registra, infatti, non pi un processo di adattamento di fogge, colori e materiali, ma un sistematico e generale abbandono dei diversi indumenti maschili e femminili che formavano la struttura fondamentale del vestiario tradizionale, a favore dei modelli comunemente adottati in tutto il Continente. Sul versante maschile si registra labbandono sempre pi massiccio di alcuni elementi del vestiario tradizionale, quale il collttu e, tra gli indumenti dorbace, in particolare le rgas, sostituite da calzoni a tubo di panno e di fustagno. In questo senso fa sorridere e insieme commuovere limmagine fotografica delluomo di Bortigali (fig. 29), realizzata negli anni Settanta dellOttocento, che sui calzoni a tubo indossa un gonnellino che poco pi che una striscia di tessuto pieghettato: una memoria, una citazione delle rgas. Su queste forme, epilogo del frammentato processo di trasformazione fin qui delineato, si riversa linfinita quantit di testi, disegni, stampe, fotografie, cartoline di fine Ottocento: documenti probatori, che fissano i modelli, gli stilemi delle vesti popolari della Sardegna, e consegnano quasi un inventario alle istituzioni cui ben presto esse afferiranno: i musei. Un fenomeno questo che in misura maggiore o minore, nelle ultime decadi dellOttocento e nelle prime del Novecento, vive tutta lEuropa borghese, come attraversata da un senso di rimorso: da un lato i giornali di moda, in tutte le pi importanti citt europee, promuovono gli stili e i prodotti delle moderne forme vestimentarie, dallaltro una variegata produzione editoriale illustra il mondo popolare con immagini fotografiche e pittoriche; immagini nelle quali i costumi si fermano definitivamente, cos come nella vita reale. In un contesto di ricchezza documentaria possibile delineare il catalogo delle vesti delle classi popolari in Europa e tracciare una rete di analisi comparative. Per la Sardegna, una simile analisi trova una direzione privilegiata, quella della penisola iberica. Che la presenza spagnola abbia influito molto sulla cultura popolare della nostra isola, dai rituali religiosi alle rappresentazioni di Carnevale, dallalimentazione al vestiario, dallarchitettura alloreficeria, daltra parte quasi un dato di comune sentire. E, in realt, le corrispondenze risultano straordinariamente numerose e convincenti anche alla prova di indagini puntuali e approfondite.65 A parte gli abiti di Teulada, la cui corrispondenza col vestiario popolare spagnolo ben nota, nella ruvida lana 52

del vestiario dei pastori di Villanueva de Aezcoa, in Navarra, si ritrova lorbace della Sardegna; cos come nelle gonne nere e plissettate delle donne di Ochagavia (ma anche di Sepulveda, in Castiglia) che si usava sollevare fino a coprire le spalle e il capo a difesa dalla pioggia (figg. 32, 36); consuetudine diffusa e ampiamente documentata nel Nuorese e in tante altre parti della Sardegna. E, ancora, labito di gala delle donne di Roncal (fig. 40) appare tanto simile a quello delle donne di Iglesias. Le camicie delle donne di Aliste, in Zamora, con i loro ricami variopinti richiamano quelle di Desulo e Ollolai, e quelle dellAlta Aragona, per il sistema di pieghettatura, le camicie di Ploaghe e Settimo S. Pietro. I colli delle camicie maschili di lino, con ricami in bianco, dei territori del Bajo Orbigo e della Valderia appaiono identiche a quelle del vestiario tradizionale di Teulada, Pula, Samugheo. I corpetti maschili di panno, ricamati con motivi floreali in seta policroma di Val San Lorenzo, nella regione della Maragatera, richiamano vivamente quelli del vestiario maschile di Samugheo, Atzara, Aritzo, ecc. (fig. 34). Il manto delle donne della Salamanca presenta la stessa forma di quelli di Osilo e dellOgliastra, di Ollolai e Gavoi. Le analogie riguardano anche i motivi ornamentali di tanti accessori: le cinture maschili della Maragatera mostrano le decorazioni floreali di tante chintrjas barbaricine; i pizzi a fusello, con motivo a ventaglio, presenti nelle mantillas di alcuni abiti di gala maiorchini sono identici a quelli della cappa dellabito detto de sa panattra di Cagliari e dei grembiuli e delle gonne di gala di Quartu e Monserrato. I fermagli dargento a motivi floreali e a mascheroni usati nel vestiario femminile del territorio montano de Los Argellos, nel Leon, ci riportano alle catene che ornano tanti abiti femminili dellOgliastra e del Mandrolisai. Ma interrompendo unelencazione altrimenti destinata a continuare infinitamente, si passa a esaminare da vicino un abito particolare dellabbigliamento femminile festivo di Orani, lo scarramgnu, formato da un corpetto di panno rosso cucito a una gonna finemente plissettata, che cade morbida fino a coprire i piedi con una bordura di seta color rosso ciclamino (figg. 44-45). Elemento caratteristico della gonna la composizione del tessuto: canapa per lordito e lana nera, dal filato sottile e brillante, per la trama con faccia a vista; composizione che determina un particolare effetto cangiante. A quanto dato sapere a parte alcuni esemplari di Fonni non risultano, nellabbigliamento tradizionale della Sardegna, altri esempi di gonna e corpetto uniti da una ancorch rudimentale cucitura; peraltro la camicia, il fazzoletto e il giubbetto che accompagnano lo scarramgnu rientrano per foggia, materiali e colori nei consueti canoni dellabbigliamento popolare del Nuorese. Questabito, inconsueto in Sardegna, ha unevidente analogia con un tipo di vestiario tradizionale femminile di unaltra grande isola del Mediterraneo, il traje de gala di Ibiza (fig. 43), abbandonato alla fine dellOttocento e rientrato nelluso alla fine degli anni Venti, sullonda di un

fenomeno di revival che allepoca interess molti aspetti della cultura popolare spagnola.66 Anche in questo caso si tratta di un abito caratterizzato da una larga gonna plissettata, con bordo in seta bianca, unita in vita a un corpetto di terziopelo: una foggia assai poco diffusa in Spagna che trova un apparentamento con le basquias di Ans, nellAlta Aragona. Le altre parti dellabito sono le maniche posticce, in lana bruna, legate alle spalle mediante nastri di seta, la camicia di lino, il sombrero di feltro nero che si pone sopra una benda di cotone con bordo di seta e lo scialletto di lana con motivi floreali stampati. La composizione del tessuto della gonna, cos come quella del grembiule che la accompagna, il delantal de mostra, sulla base dellanalisi dellesemplare conservato nel Museo del Pueblo Espaol di Madrid, la stessa dello scarramgnu di Orani.67 Oltre alla foggia, dunque, un altro elemento inconsueto unisce lo scarramgnu allabito ibizense: la struttura del tessuto della gonna in canapa e lana. Cos come per diversi tessuti e indumenti iberici, divenuti elementi importanti del vestiario popolare della Sardegna, appare probabile che, nellambito dellintenso commercio di manufatti tessili dalla Spagna, soprattutto dalla Catalogna e dalle Baleari, in Sardegna si sia determinata la diffusione del particolare tessuto di cui s detto e il suo conseguente inserimento nel vestiario popolare dellisola.68 La stessa produzione della canapa documentata a Orani69 potrebbe aver avuto una delle ragioni di persistenza nella domanda che derivava dalluso dello scarramgnu fino alla prima met del secolo scorso; cos come il miracoloso perdurare a Orgosolo dellattivit di sericoltura legata alla presenza, nellabbigliamento tradizionale, della benda gialla di seta. Dalle prime esposizioni del 1881 a Milano e del 1896 a Sassari alle manifestazioni in onore dei Reali a Sassari nel 1899, con la sfilata delle coppie a cavallo, gli abiti tradizionali, raggiunto il pi alto valore economico e il massimo splendore estetico e cromatico, perdono sostanzialmente la funzione duso per abbracciare quella di primario simbolo etnico. Essi si avviano decisamente a divenire materia museale e scenografica, costumi, elementi connotati da atemporalit, non modificabili, non partecipi della costante mutevolezza della moda, entrando a pieno diritto nella grande Esposizione Internazionale romana del 1911 allinterno della Mostra di Etnografia Italiana curata da Giovanni Loria; ci che costitu il primo grande nucleo repertuale del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma. Di fronte al complessivo mutamento sociale e ai nuovi canoni estetici che informano limmagine della donna del primo Novecento, il complesso indumentario tradizionale dellisola rivela quasi repentinamente la sua inadeguatezza. In particolare la struttura delle vesti femminili appare in contraddizione con lassunto che sta alla base di tutto il processo di emancipazione: liberare il

corpo e la mente delle donne, anche dalle costrizioni fisiche e psicologiche dellabbigliamento. A Nuoro, per indicare una donna abbigliata correttamente, con una giusta sistemazione delle diverse parti dellabito, con capi di proporzioni adeguate alla taglia, in un insieme pertanto armonico, si usa ancora oggi dire: est bne chnta. Il verbo chnghere significa stringere, chiudere e riassume molto bene il senso e larchitettura dellabito nuziale e di gala femminile di fine Ottocento, specie delle aree centrali e settentrionali. Una serie di indumenti fasciano e coprono le braccia, i fianchi e le gambe, bendano il capo, vi si appendono e lo sovrastano con impalcature, stringono la vita e il tronco, aumentano il volume dei fianchi; nascondono il corpo delle donne, lo rendono pi corto e pi largo; labito pesante, occorre camminare con grazia e con attenzione altrimenti si squilibra e chi lo indossa sbanda. In termini generali, con la rivoluzione che nel primo ventennio del Novecento interessa in particolare labbigliamento femminile, con il primato delle scelte e della creativit dei grandi sarti rispetto alla qualit e ricchezza dei tessuti, vero fondamentale discrimine nei secoli passati tra ceti ricchi e ceti poveri, il corpo femminile acquista una sua riconoscibilit. Riprendendo un testo di alcuni anni fa sulla trasformazione che in tal senso avvenne a Nuoro, nellabbigliamento femminile festivo un fazzoletto di lana tibet marrone ha sostituito la benda bianca; il grembiule del tutto smesso; il giubbetto si porta sopra il corpetto, la gonna non pi dorbace ma prevalentemente di panno marrone impreziosita da una balza di velluto blu; ha pieghe di circa 4 cm e arriva fino alla caviglia, dunque pi corta. La stratificazione di gonne (necessaria per linsieme pala a supra, tunica, benda), fa posto ad una figura pi snella; anche la camicia, che nel passato veniva indossata in maniera tale che ricadesse sul petto provocando, grazie alla rigidit del tessuto inamidato, un rigonfiamento sempre superiore a quello naturale, acquista dimensioni pi modeste. In generale, pare possa affermarsi che labito tradizionale modifica il suo rapporto col corpo femminile e, in un rinnovamento delle proporzioni tra i vari capi, assume le caratteristiche del moderno tailleur, ancorch realizzato nei colori e, in parte, nei tessuti tradizionali.70 Ma la svolta pi radicale tutto sommato si registra sul versante maschile; continuando con lesempio di Nuoro, che per la sua collocazione geografica e per le vicende storico-sociali pu ben rappresentare un caso emblematico, questa citt vede un generale abbandono di zippones, carzones de furesi, carzones de tela e mesu carzas in favore di giacche e calzoni a tubo di fustagno, di velluto e, per le occasioni importanti, di lana; la stessa berritta fa posto a berretti con corta visiera o a cappelli a falde, di produzione continentale. Le ragioni di tale trasformazione vanno ricercate nellinfluenza sempre maggiore della moda esterna, nelluso di tessuti che rendono pi facile le confezioni dei capi, e nella contemporanea, profonda modificazione dellassetto sociale.71 53

Trasformazione vestimentaria che riguarda anche i piccoli centri del Nuorese e della Barbagia, per lo meno per quanto attiene alle nuove generazioni; Salvatore Satta dedica al fenomeno un cenno sarcastico ne Il giorno del giudizio: Quelli che facevano politica, i candidati, erano tutti dei paesi: di Orune, di Gavoi, di Olzai, di Orotelli, persino di Ovodda, quei minuscoli centri (biddas, ville) lontani quanto le stelle luno dallaltro, che guardavano a Nuoro come alla capitale; paesi di pastori, di contadini, di gente occupata a contare le ore della giornata, ma i cui figli avevano scoperto lalfabeto, questo mezzo prodigioso di conquista, se non altro di redenzione dalla terra arida, avara. Gli zii, come si chiamavano questi rustici anziani, dalle grandi barbe, entravano a Nuoro avvolti nei costumi nuovi, come in un salotto, e vi andavano per testimoniare o per parlare con lavvocato o col notaio (quando non vi erano condotti ammanettati), una, due volte allanno, traendosi appresso i figli. Questi, vestiti da civili, ridicoli ai loro stessi occhi, vergognosi a poco a poco dei padri, di fronte a quei signori non meno sfaccendati ma che sedevano ai tavolini del caff come esercitando un loro diritto di casta, vedevano le immense vetrine nelle quali

si spandevano dolciumi o giocattoli o libri, si esponevano manichini senza testa vestiti di abiti fatti, tutti corrosi magari o ammuffiti, ma che erano il segno di una cosa mai vista e neppure immaginata, la ricchezza del danaro, tanto diversa da quella delle pecore e delle capre.72 Nelle citt pi grandi dellisola gli abiti sono quelli di tutta lItalia: giacca e pantaloni a tubo, panciotto, cappello o berretto, camicia bianca, con o senza colletto, mentre luso di fogge tradizionali permane in un buon numero di localit della Sardegna interna e centro-settentrionale (Barbagia, Ogliastra, Mandrolisai, Logudoro) per tutta la prima met del Novecento e, ancora oggi, a Desulo, Busachi, Oliena, Orgosolo e in pochi altri paesi, per lo meno da parte delle donne pi anziane. Non mancano, peraltro, negli anni Venti, alcune iniziative singolari avviate probabilmente sullonda del successo che sembra arridere alla produzione dellorbace adottato dal Governo italiano in un primo tempo per la confezione dei cappotti degli ufficiali di Marina e successivamente per quella delle divise fasciste quale quella che riguarda labito femminile di Desulo, ricordata in uno scritto del 1928 di Imeroni: Il costume desulese sceso dal nido alpestre e si modernizzato fino a

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costituire un elegante e festoso modello cittadino di giacca o golf in panno, lana, seta, costume completo per bimbi, e, passato il mare, si diffonde come gli sportivi golfs di derivazione magiaria a geometriche e vivaci policromie conferendo grazia e originalit alle figure che lo sanno portare La cuffietta desulese scesa dalla testa alle mani, dando luogo ad una originale trasformazione da copricapo in borse grandi e piccole, portafogli, portabiglietti, borsellini, in panno scarlatto ricamato in seta, altrettanto pratici che decorativi.73 E, ancora, nella quarta edizione della Mostra Nazionale della Moda di Torino spiccavano accanto a un telaio antico sardo, azionato da una donna isolana nel suo costume caratteristico, i figurini di un valente artista del genere, indossanti abiti e mantelli fatti dorbace sardo, dei pi diversi colori e dei pi artistici modelli e disegni.74 Negli anni Cinquanta, promossi dallESVAM (Ente Sardo per la Valorizzazione dellArtigianato nella Moda), si av57. Foto di scena del film Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta, 1961. Dellabbigliamento del protagonista si distinguono berretto con corta visiera, giacca e calzoni di velluto liscio, gambali di cuoio, scarponi con fondo di gomma: tutti elementi del vestiario quotidiano. Anche per quanto attiene allabbigliamento il film si distingue per la sua attendibilit e segna il superamento del cinema imbellettato degli anni Cinquanta e della rappresentazione di una Sardegna improbabile nelle storie e nellaspetto dei protagonisti.
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58. Orgosolo, fine anni Cinquanta, fotografia di Henri Cartier-Bresson.

viano alcune collaborazioni sperimentali: I ricami e i merletti della Sardegna vengono utilizzati nel settore della haute couture. I motivi del costume sardo assumono il ruolo di un utile suggerimento nelle loro infinite variazioni.75 In particolare la bottega della signora Giuliana Cambilargiu, dopo aver realizzato per anni i ricami pi apprezzati dellabito femminile di gala di Osilo, collabora con latelier romano dalta moda Foschini, eseguendo le decorazioni a ricamo dei sontuosi abiti destinati a una clientela medio-alta della capitale. Dopo il periodo buio degli anni Sessanta, segnato da un generale atteggiamento di rimozione nei confronti della cultura tradizionale dellisola, in qualsiasi espressione essa si manifestasse, dalla lingua allalimentazione, dalla musica alla poesia, rinasce un nuovo interesse nei confronti dei costumi popolari; ad esso si accompagna una ripresa della confezione tradizionale, tuttora in corso, a seguito delle richieste dei numerosi gruppi folcloristici che per le loro esibizioni coreiche e musicali hanno adottato gli abiti tradizionali ottocenteschi dei rispettivi paesi. Naturalmente la loro lavorazione ha poco a che vedere con quella che si eseguiva nel passato, sia per i materiali adoperati, sia per la qualit delle decorazioni. Lattivit di recupero e riutilizzazione come abiti da scena, portata avanti da diversi gruppi, specie in alcuni paesi nei quali la scomparsa del vestiario tradizionale stata precoce e, apparentemente, assoluta, appare talvolta viziata 55

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dallesigenza di ritrovare a tutti i costi il vero costume del proprio paese, per riprodurlo in una sorta di divisa, preferibilmente smagliante di colori e galloni. Davanti al furore investigativo che pervade alcuni appassionati ricercatori locali viene addirittura da chiedersi se la grottesca operazione di recupero dellabito di una vecchia signora dalla bara ove riposava da due anni sia solo frutto della fantasia letteraria di Giulio Angioni: Tutto nato per questa faccenda delle fogge dabito, dei bei costumi antichi. Lidea di una riesumazione era venuta a Mario molto naturale, quando tre giorni prima stava spiegando alla fidanzata la difficolt, limpossibilit, di rintracciarne almeno uno, dei bei costumi antichi frauensi, da indossare ed esporre nella mostra e la sfilata. Non ce nerano pi, neanche a cercarli nelle fosse Per almeno uno lo dovevano trovare, anche senza coralli e senza ori, autentico, non riconfezionato tutto nuovo, come qualcuno proponeva, disonesto.76 indubbio, comunque, che lattivit dei gruppi folcloristici, in termini generali, specialmente negli anni segnati da scarsa considerazione e rispetto, ha contribuito in misura determinante a conservare una gran parte delle conoscenze tecniche, della terminologia sartoriale e del ricamo tradizionali, svolgendo dunque, di fatto, unopera di tutela nei confronti di questo vasto settore della cultura popolare della Sardegna. Ma ritornando agli abiti veri, e al loro perdersi nella immane trasformazione economica e sociale del secondo dopoguerra, in paesi come Orgosolo, Desulo, Fonni, Dorgali, Oliena, Orosei le donne anziane di prevalente ambiente pastorale li indossano come abiti di gala per le grandi ricorrenze familiari e religiose; altri hanno adottato alcuni indumenti riconducibili a uno stile tradizionale: per le donne, gonna, finemente plissettata, a tinta unita marron, blu, nera, grigia, in lana, cotone, misto lana, fibre sintetiche, lunga al polpaccio; blusa/camicia a piccoli disegni, in armonia cromatica con la gonna; scialle di lana tibet marron, nero, blu o grigio scuro; scarpe scollate, o aperte dietro tipo chanel, con tacco mediobasso e tozzo; fazzoletto di tibet in tinta con lo scialle, legato a soggolo. Il tutto senza ricami, senza motivi ornamentali. Per gli uomini, al di l della presunta democratizzazione dellabito borghese, si riproducono alcune nette differenziazioni. Gli abiti dei ceti urbani, compresi gli artigiani, sono gli stessi delle grandi citt del Continente: giacca e pantaloni a tubo e panciotto di lana, generalmente scuri, berretto, camicia bianca, con o senza colletto. I pastori e i contadini, specie delle zone interne, adottano un proprio modello di vestiario: labito di velluto e di fustagno, composto da giacca, pantaloni e gilet, mano a mano sempre pi diffusamente associato al berretto di lana o cotone con corta visiera, nonostante la pervicace resistenza della plurisecolare berrtta. E, ancora, il mondo delle campagne trova, pur in una gamma di fogge molto limitata e di colori discreta, smorzata, un suo linguaggio di differenziazione locale. 56

Cos, in alcuni paesi, il colore del velluto sar solo nero o solo marrone, o verde oliva, color tortora, ocra; le giacche potranno avere o meno la martingala o le pieghe a soffietto, il velluto potr essere liscio o rigato; i calzoni lunghi a coprire gli scarponi o stretti dentro gambali di cuoio, il berretto piccolissimo o ampio. Segni minimali di riconoscimento, di confine, di connotazione propri di una societ che deve o vuole avere strumenti per distinguere i componenti della propria comunit dagli estranei; segnali che ci ricordano come la storia della produzione e dei commerci costituisca soltanto il sostrato materiale e organizzativo sul quale si innesta il sistema di valori e di simboli che da sempre luomo associa alle vesti. Solo tenendo presente questo lato invisibile degli abiti, possibile decifrare le ragioni di un fenomeno paradossale quale quello dellesplosione cromatica e ornamentale del vestiario popolare sardo di fine Ottocento, in unEuropa gi immersa nel bagno scuro della grande rinuncia, o del solido successo che, centanni dopo, viene tributato allabito maschile di velluto dai pi diversi ceti sociali dellisola: attraverso i tortuosi cammini della moda e del gusto quellabito di velluto, che chiunque sia stato bambino nella Sardegna degli anni Cinquanta non pu non associare a immagini di povert e malessere, a un odore inconfondibile e ineliminabile, agli informi indumenti dei pastori di Banditi a Orgosolo, a giacche e calzoni vistosamente rattoppati anche se sempre connotati da valori estetici, perlomeno da quello della simmetria , diventato sorprendentemente il vessillo dellattuale identit vestimentaria della Sardegna.77

Note

1. Si veda la bibliografia di P. Piquereddu 1987; sulla letteratura di viaggio si veda A. Boscolo 1973. 2. Questa tematica al centro del saggio di A. Mattone 1989, pp. 13-64; unulteriore stimolante analisi contenuta nel testo di M. Brigaglia 1981, pp. 5-16. 3. Si veda lancora insostituibile lavoro di G. Lilliu 1966. 4. G. Lilliu 1966, pp. 126, 178-179. 5. Sulla mastruca e gli autori classici si veda E. Pais 1999 (riedizione dellopera edita da Nardecchia, Roma, nel 1923); P. Meloni, La Sardegna romana, Sassari 1991. 6. Sulle maschere pastorali della Sardegna: P. Piquereddu 1989. 7. E. Pais 1999, vol. II, pp. 269-270. 8. G. Paulis 1997, p. 82. 9. G. Paulis 1997, p. 81. 10. A. Guillou 1988, p. 370. Sul bisso si veda G. Carta Mantiglia 1997, pp. 89-99. 11. ASG, cart. n. 18, parte II. Archivio di Stato di Genova, cart. n. 24 (notaio Buonvassallo de Cassino), c. 79r. L. Balletto, Documenti notarili liguri relativi alla Sardegna (secc. XII-XIV), in La Sardegna nel mondo mediterraneo, vol. II, Sassari 1981, pp. 212-260. 12. Per quanto attiene al commercio dei panni e delle berrette dalla Lombardia Gian Luigi Fontana scrive che: I panni di Milano, di Monza, di Como, di Brescia e di Bergamo erano diffusi in tutta la penisola e nellarea mediterranea almeno dalla met del XII secolo Alla fine del Trecento Milano non produceva solo panni di alta qualit, ma, data la forte e diversificata domanda del grande centro urbano, anche mezzelane, miste di cotone e di lino, drappi bassi, drappi grossi e panni dei pi diversi livelli di prezzo, oltre a calze, cappucci, mantelli, coperte, guanti, cappelli e berrette. G.L. Fontana, La lana, in Annali 2003, p. 334. 13. C. Batlle, Noticias sobre los negocios de mercaderes de Barcelona en Cerdea hacia 1300, in La Sardegna nel mondo mediterraneo, vol. II, Sassari 1981, pp. 277-289. Il testamento riportato in appendice al saggio e reca i seguenti dati: 1301, noviembre, 6, Oristano, testamento de Guillem Lloret, de Barcelona, habitante de Oristano en la isla de Cerdea, donde resida con una pequea colonia de catalanes para comerciar con capital procedente de Barcelona mediante el sistema de las comandas vendiendo aceite, loza, telas etc.

(Archivio de la Catedral de Barcelona, Pia Almoina, Pergaminos serie 9, n. 152). 14. Codice degli Statuti della Repubblica di Sassari, edito e illustrato dal cav. D. Pasquale Tola, Cagliari 1850; rist. anastatica, Sassari 1983, pp. 234-235. 15. Condaghe di S. Pietro di Silki. Testo logudorese inedito dei secoli XI-XIII, a cura di G. Bonazzi, Sassari-Cagliari 1900; Il Condaghe di San Pietro di Silki, trad. e introd. a cura di I. Delogu, Sassari 1997. 16. Un ampio quadro di queste problematiche si trova in: Per una storia della moda pronta 1991; si veda anche P. Allerston, Labito usato, in Annali 2003, pp. 561-581. 17. G. Paulis 1983, pp. 135-142. Spingendo oltre il semplice piano formale il parallelismo tra la parola sarda antica cunduri e quella otrantina kundri sottoveste delle donne nellantico costume, possiamo ammettere ragionevolmente che al pari del kundri dellItalia meridionale anche il cunduri sardo medioevale, essendo usato dalle donne (si tratta, infatti, di un cunduri muierile), fungesse propriamente da sottoveste. Allora il rocca che segue (cunduri de rocca) andr insieme al francone *(h)rokk, continuato nel basso latino ROCCUS, ricorrente nei capitolari carolingi e significante come si esprime il Du Cange suprema vestis, cio veste di sopra. 18. Codice degli Statuti della Repubblica di Sassari cit., p. 68. 19. ASC, Antico Archivio Regio. Prammatiche, istruzioni e carte reali, vol. B6, cc. 146-147v, orig. cart. in La Corona dAragona un patrimonio comune per Italia e Spagna (secc. XIVXV), Deputazione di Storia patria, Cagliari 1989, p. 348. 20. F. Manconi, Leredit culturale, in I Catalani in Sardegna, Cagliari 1986, p. 219. 21. F. Orlando 1998, p. 54. 22. G. Olla Repetto 1986, p. 274. 23. R.L. Pisetzky 1978, p. 211. 24. R.L. Pisetzky 1978, p. 210. 25. Il prezioso codice venne messo in luce per la prima volta da Enrico Costa, il poligrafo sassarese, nel riordinare lArchivio del Comune presso il quale era impiegato. Costa ne diede notizia attraverso la pubblicazione nel 1902 del lavoro Archivio civico del Comune di Sassari evidenziandone limportanza fondamentale per la storia della citt e riassumendone il contenuto 1520-1565 Libro di ordinanze, grida, pre-

goni, disposizioni governative e comunali, giuramenti e atti diversi. I testi di quattro statuti dei gremi contenuti nel codice (sarti-calzettai, calzolai, pellicciai e falegnami) vennero pubblicati da Maria Teresa Ponti (1959). A cura della stessa Ponti lo statuto dei calzolai e quello dei sarti erano apparsi nel 1956 sul Bollettino Bibliografico Sardo. 26. Item que daci avant niguna de qualsevol stat, grau y condici sia de la terra o strangera no gose, ni presumesca palesement o amagada tallar roba nova de vestir de seda, ni calses, ni drap o altrament sens haver hagut primer licencia de dits obrers y revehedors, sots pena de vujt sous per cada roba applicadora a dita contraria. M.T. Ponti 1959, p. 241. 27. Per il suo valore storico e documentale si riporta di seguito lelenco completo del tariffario: Et primerament per una capa de brocat, guarnida del matex brocat o de seda, dotze lliures; / Item una capa del matex brocat sens guarnici, tres ducats; / Item un sayo del matex brocat, guarnit del matex brocat o de seda, set lliures; / Item un sayo de dit brocat, sis lliures; / Item un borriguo de brocat, guarnit, cinc lliures; / Item un borriguo perl de brocat, quatre lliures; / Item una capa lombarda de vellut o de ras, guarnida de rivet o selleta y folrada de seda, quatre lliures; / Item una capa de vellut o de ras, guarnida de rivet o selleta, un ducat; / Item una capa de vellut o de ras plana, quarantacinc sous; / Item un sayo de vellut o de ras plana, quarantacinc sous; / Item un sayo de vellut o de ras, guarnit de rivet o selleta, un ducat; / Item un sayo de vellut o de ras perl, quarant sous; / Item un borriguo de vellut o de ras, guarnit de selleta o rivet, trenta sous; / Item un borriguo de vellut o de ras perl, vinticinc sous; / Item una casaca de vellut o de ras, guarnida de rivet o selleta y folrada, trentacinc sous; / Item una casaca de vellut o de ras plana, mig ducat; / Item una saya de brocat de dona, guarnida de rivet o selleta del matex y ab manegues, dotze lliures; / Item una saya de brocat sens manegues, guarnida segons ses dit, deu lliures; / Item una saya de brocat plana, trs ducats; / Item una saya de vellut o ras, guarnida de rivet o selleta ab manegues, quatre lliures; / Item una saya de dit vellut sens manegues y guarnida, cinquanta sous; / Item una saya de vellut o ras plana, quaranta sous; / Item una saya de dona de contray, guarnida de rivet o selleta, ab manegues, trenta sous; / Item una saya de contray plana de dona, vinti sous; / Item unes faldetes de contray o de fi, guarnida des sllelas o de rivet, seze sous; / Item un jaquet de brocat, guarnit de rivet o selleta, quatre lliures; / Item un sayet de brocat

Le immagini del Fondo Enrico Hyllier Giglioli (Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini di Roma), di Vittorio Sella (Fondazione Sella, Biella) e di Max Leopold Wagner (Istituto di Filologia Romanza Karl Jaberg, Berna), sono state oggetto di studio da parte di Marina Miraglia nellambito di una ricerca finanziata dallIstituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna.

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perl, un ducat; / Item un sayet de vellut o ras, guarnit de rivet o selleta, mig ducat; / Item un sayet de vellut o ras pla, vinti sous; / Item una saya de xamellot de dona, guarnida, quaranta sous; / Item una saya de xamellot de dona, plana, vinti sous; / Item una de stamet de dona, guarnida, quinze sous; / Item una de dona de stamet, plana, deu sous; / Item un jaquet de contray, guarnit de rivet o selleta, deu sous; / Item un jaquet de contray perl, vuyt sous; / Item un gipo de brocat cotonat ab butons, tres Lliures; / Item un gipo de vellut o ras cotonat ab butons, vinti sous; / Item un gipo de drap contray o fi cotonat ab butons, deu sous; Item un gipo de fustani cotonat ab butons, deu sous; / Item un gipo de saya cotonat ab butons, deu sous; : Item un gipo de brocat sens coto y butons, un ducat; / Item un gipo de vellut o ras sens coto o butons, treze sous; / Item un gipo de drap contrary o fi sens coto y butons, vuyt sous; / Item un gipo de fustani perl sens coto y butons vuyt sous; / Item un gipo de saya sens coto y butons, vuyt sous; / Item una capa lombarda de contray, guarnida de rivet o selleta, quaranta sous; / Item una capa lombarda, plana, trenta sous; / Item una cloxa de cappello, quinze sous; / Item un capus de contray ab rivet e selleta, quinze sous; / Item un capus perl, deu sous; / Item un gipo de drap contray o fi sens coto y butons, vuyt sous; / Item una casaca plana ab rivet de drap, deu sous; / Item una capa ab collar de contray o fi, guarnida, treize sous; Item una capa ab collar, guarnida de matex drap, deu sous; / Item una balandrana de contray o fi, guarnida de seda, venticinc sous; / Item una balandrana del dit guarnit de drap, vuyt sous; / Item un capot ab la capilla fronzida, guarnit de vellut, trenta sous; / Item un capot, guarnit de drap, vint sous; / Item una manta de brocat del matex brocat e seda, quatre llures e quatre sous; / Item una manta sens guarnir, tres llures y mig; / Item una manta sens guarnir girada en riquets, vuyt sous; / Item una manta de contray, guarnida, quinze sous; / Item sens guarnir, deu sous; / Item una manta de vellut, guarnida de seda, mig ducat; / Item una manta de taffatta, guarnida, quinze sous; / Item una manta de taffatta sens guarnir, deu sous; / Item una manta de saya, guarnida, deu sous; / Item una manta de saya sens guarnir, vuyt sous; / Item un sayo guarnit y folrat, mig ducat; / Item sens manigues, set sous; / Item gonelles de serventes y de pagesses ab rivet del matex drap, deu sous; / Item sayet de drap manegua streta, tres sous; / Item un borriguo guarnit de seda, quinze sous; / Item un borriguo guarnit del matex drap, deu sous; / Item un borriguo sens guarnir, vuyt sous; / Item sayos de pages de qualsevol drap, guarnit de seda, treize sous; / Item guarnit del drap matex, deu sous; / Item sens guarnicio, sis sous; / Item una laba de vellut, guaranta sous; / Item una laba sens guarnicio, trenta sous; / Item una laba de contray, guarnida, vuyt sous; / Item sens guarnir deu sous; / Item una cloxa de cappello, quinze sous; / Item sens guarnir y folrar, quinze sous; / Item un sayo de xamellot folrat y guarnit, vint sous; / Item sens guarnir, quinze sous; / Item un sayo de saya folrat y guarnit, vint sous; / Item una roba de dol, vint sous; / Item una gramalla, dos sous; / Item una clox de dol, deu sous; / Item un sayo de dol, deu sous; / Item un berret de dol, quatre sous; / Item un cappel de pages de qualsevol drap, vuyt sous; / Item un cappel de qualsevol drap e la desobra guarnit, deu sous: / Item del matex drap sens guarnir, sis sous. M.T. Ponti 1959, pp. 242-244. 28. R.L. Pisetzky 1978.

29. Per lanalisi delloriginale testina si veda G. Lilliu 1966, p. 99. 30. Sulla discendenza delle rgas dalla balza: R. Corso 1929-81, p. 239. 31. Le rgas sono state recentemente assimilate alla rhingrave, la sontuosa quanto bizzarra gonna adottata da Luigi XIV e dalla sua corte a met del Seicento, da F. Orlando 1998, p. 58. Considerato che la rhingrave, dopo un effimero successo, usc ben presto anche dalla moda di corte, appare improbabile che un capo cos lussuoso potesse avere trovato nellisola un interesse tale da diventare uno degli indumenti caratterizzanti labbigliamento della Sardegna. La romana e la fustanella ebbero invece una circolazione sicuramente pi ampia rispetto allambito sociale e a quello geografico. 32. A. della Marmora 1826, Voyage, p. 220. Sulle vicende dei cappottari greci e i loro rapporti con le organizzazioni dei sarti locali, si veda anche S. Pira 1993. 33. G. Luigi Cocco (di Cagliari?) esercit larte fotografica in concomitanza con il Laj Rodriguez, possedeva uno studio sin dallinizio della sua attivit in via del Condotto dallinsegna Fotografia sarda la sua opera particolarmente conosciuta per le 22 fotografie di abbigliamenti isolani che costituirono la base alla incisione su pietra a Giorgio Ansaldi (Dalsani) per le corrispondenti tavole della Galleria dei Costumi sardi promossa dal periodico Il Buonumore . G. Della Maria 1972, p. 15. 34. Joannis Francisci Farae, Opera, In Sardiniae Chorographiam, intr., ed. critica e apparato a cura di E. Cadoni, trad. italiana di M.T. Laneri, Sassari 1992, pp. 150-153. Il testo del Fara continua riprendendo alcuni ben noti topoi della storia dellabbigliamento nellisola: Un tempo i Sardi, come afferma lo stesso Alessandro Sardo, vestivano pelli di capra secondo il costume degli antichi greci (lo stesso Ercole, dal quale discendono, si copriva infatti con una pelle): dinverno la indossavano col vello rivolto dalla parte interna, destate invece rovesciata, come attesta Ninfodoro al quale rif il Volterrano. Celio chiama questa veste tunica sardonica mentre Cicerone, cos come san Gerolamo, la definisce mastruca dei Sardi ed ecco perch essi sono detti mastrucati e pelliti da Sabellico che, rifacendosi a Tito Livio, riferisce altrove che nellanno 204 a.C. i Sardi furono in grado di consegnare allesercito romano ben dodicimila tuniche e milleduecento toghe. 35. Peraltro G. Della Maria (Nuovo Bollettino Bibliografico Sardo, a. VIII, n. 47-48, 1963, p. 10) contesta che nel copricapo dei personaggi del bassorilievo di Zuri possa riconoscersi la berrtta. 36. P. Ventura, Cuoio e pellicce, in Annali 2003, p. 453. 37. A. della Marmora 1826, Voyage, p. 208. 38. P. Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, vol. II, Nuoro 2001, p. 336. Il Tola evidentemente tra quelli che identificava il collette nella mastruca disprezzata da Cicerone. Per quanto attiene a Don Chisciotte, comunemente accettato che la sua veste fosse per lappunto un coleto, indumento atto a proteggere il corpo, specie dei soldati, assai diffuso nella Mancia. 39. Articolo pubblicato sul Bollettino Bibliografico Sardo, n. 37-38, Cagliari 1962. 40. G. Della Maria, benemerito fondatore del

Bollettino Bibliografico Sardo, chiude larticolo sui quadri di S. Lussorio augurando una tempestiva effettuazione di un loro completo restauro ad opera della competente Sovraintendenza alle Gallerie e i Monumenti di Cagliari e una loro destinazione permanente nellerigendo Museo del Costume di Nuoro. Unidea, questa della destinazione al museo nuorese, nientaffatto male, considerato il valore documentario delle opere per la storia dellabbigliamento della Sardegna. Lo studioso si chiede anche per quali ragioni la Provincia di Nuoro non sia stata dotata di una sua Sovraintendenza. G. Della Maria, Raffigurazioni settecentesche del costume sardo, in Bollettino Bibliografico Sardo cit., pp. 3-6. 41. Alla prima met del Settecento risalgono anche due tele ad olio dellartista piemontese Giovanni Michele Graneri, conservate al Museo civico di Torino, attualmente riprodotte nellopera di R.L. Pisetkzy 1964-69: vol. IV, 1967, p. 303 Festa al santuario sardo (1747), p. 306 Festa nautica al porto di Cagliari (1747). Delle opere d notizia nel n. 19 del Bollettino Bibliografico Sardo 1959, p. 16, G. Della Maria, che esprime le sue perplessit sul loro valore documentario non risultando che lautore avesse mai messo piede nellisola e dunque ritenendo che fossero raffigurazioni di seconda mano. 42. In Vincenzo Sulis, Autobiografia, a cura di G. Marci, Cagliari 1994, p. 76. Il saur o surah era una stoffa di seta spigata proveniente dal centro omonimo indiano; si veda R.L. Pisetzky 1978, pp. 16, 98; C. Meano 1938, p. 438. 43. V. Angius, voce Dorgali, in G. Casalis 1833-56, p. 225. 44. P. Piquereddu 1987, p. 89. 45. Anche a Parigi il popolo conquista le scarpe solo alla fine del Settecento, con quella che Daniel Roche definisce una vittoria sulla vita fragile. Il povero, di solito, va a piedi scalzi o, se pu permetterselo, indossa ciabatte di pelle riciclata in citt e zoccoli di legno in campagna, i quali erano gi indice di un certo agio. Nelle Marche, ancora fino agli anni quaranta del Novecento, tra contadini e artigiani di basso rango le scarpe buone venivano usate alternativamente dai membri della famiglia che ne avevano bisogno. La disponibilit o meno di calzature ed eventualmente il loro tipo era, infatti, uno dei pi chiari segni di status sociale. A. Vianello, in Annali 2003, p. 633. 46. F. Gemelli, Il Rifiorimento della Sardegna proposto nel Miglioramento della sua Agricoltura, riprodotto in compendio con molte osservazioni ed aggiunte del cav. Luigi Serra, Torino 1842. 47. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. 48. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. 49. I cavalieri e i signorini (gosinos) del nostro paese tengono in disprezzo lorbace e la gente del popolo, ma ora si sono dati a questo modo di vestire, e guardano noi con disprezzo perch portiamo lorbace e intanto lo vediamo anche indosso a loro, fatto a tabarri, calze e calzoni, casacchine, giubbetti e gabbani, non si differenziano dai popolani in quanto agli abiti. G. Spano, Canzoni popolari di Sardegna, vol. III, Nuoro 1999, pp. 163-164. 50. G. Spano, Proverbi sardi, trasportati in lingua italiana e confrontati con quelli degli antichi popoli, a cura di G. Angioni, Nuoro 1997, pp. 160-161.

51. R. Orsi Landini, La seta, in Annali 2003, p. 366. 52. pannos friscos battidos dai fora / de diversas calidades, / / pannos de seda e lana, / coccias dambaghe e de tela indiana, / / e peddes de camusciu e de mazzone / conzadas e in pilu, / e cordoneris de seda e de filu, / zimusa pro afforru, / agos, aguzas, pettenes de corru, / / cadenittas, / bambaghe, randa, gallone e berrittas / fattas de bonu seju / // Pro leare bajanas / seda e lanas / de diversos colore, / pro totu sas chi sunt in primu amore / rasu, istoffa, ispolinu, / grana, iscrallattu, istoffe Torinu, / broccadigliu de oro, / grisette biaittu a modu insoro, / mesu saja e revessu, / robas de lana e de pagu interessu / segunda requella, / amis, saja istampada, perfettuella / birde, cremis e ruju / e granadiglios pro portare in tuju / dogni filu ses soddos, / fettas e randa de sinu e de coddos, / / e muccaloros de peri sa domo, / iscarpas a lignetta, / e calzas de Saona e de lanetta, / cambrai e mussolina, / seda ruja, bianca e aranzina, / / camijas de rispettu, // / pannos fines de lana, et oro e pratta, / pindula e zicchi zacca, / / pannu brunu e Russia. G. Spano, Canzoni cit. pp. 366-370. 53. C. De Saint-Severin 1827, p. 161. 54. Pro sestare unu flacone / A vost, Segnor Vizente / Appattidu espressamente / Unu tagliu de pilone / E corpetto e pantalone / Chi li servat pro sistade. / Custest // No miret no pro sispesa / Chi finza a dona Antonina / Li sesto una capuzzina / A sa Greca o a sInglesa / Pro sette liras e mesa / Campeo e tottu campade. / Custest // Si mi procurat faina / De lu servire appo brama / E li cunserto a sa mama / Una bella pellegrina / Culzita a sa Parigina / Bortada a sestremidade / Custest // Si mi cheren onorare / Dottor Porcu e dona Lia / In cosas de sarte mia / Los poto disimpignare / In cosire o ricamare / Den bider sabilidade. / Custest // Ecco tantos figurinos / Custos sun Venezianos / Cuddos sun Napolitanos / Tottu sun ultramarinos / Costan bonos quattrinos / Pro narrer sa veridade / Custest // Disizan unu sort / O cheren unu pax / Unu guardatal / Inforradu a crudet? / Tipu Saib in Per / Susat in santichidade / Custest // Ecco sedas, ecco pannos / Indianettas, calmucos / Chi usan sos Malamucos / Sos Cosacos, Sos Normannos / Sos Chinesos e Britannos / Los usan in cantidade / Custest . C.A. Tola, Cantones e mutos, Cagliari 1997, p. 312 sgg. 55. J. Schneider, Il corredo come tesoro, mutamenti e contraddizioni nella Sicilia di fine Ottocento, in Memoria, rivista di storia delle donne, serie 11-12, n. 2-3, Torino 1984. 56. F. Tolu Liperi 1913, pp. 63-64. 57. Su questo tema si veda: S. Naitza 1987, Arte e Artigianato; S. Naitza 1987, LArtigianato, p. 236. 58. V. Angius, voci Cagliari e Sassari, in G. Casalis 1833-56. 59. Si tratta dellabito ricco delle panificatrici di Cagliari che alla fine dellOttocento costituirono una categoria socialmente ben caratterizzata, frequentemente oggetto di satira popolare. 60. G. Deledda 1972, p. 120. 61. La storiografia sulla moda concorde nel ritenere che labito nuziale bianco saffermi nella tradizione europea molto tardi, nel corso del XIX secolo. Tuttavia, fin dal XVI secolo si ritrovano numerosi esempi di abiti bianchi da

matrimonio, la cui scelta fortemente connotata simbolicamente: Montaigne, nellaprile 1581, descrive una cerimonia a Roma durante la quale il Papa donava a pi di cento fanciulle una borsa di damasco bianco nella quale vi era una cedola valida per una dote di 35 scudi per maritarsi e un abito bianco del valore di 5 scudi. La cerimonia descritta da Montaigne assume un valore particolare in epoca post-tridentina quando il matrimonio accede a un posto definitivo tra i sacramenti. Inoltre, va sottolineato il fatto che tale cerimonia avvenisse nella domenica in Albis che precede la settimana di Pasqua, durante la quale venivano celebrati i nuovi battezzati che restavano vestiti di bianco fino al sabato: il Papa, scegliendo di donare la dote e labito bianco alle fanciulle in quella domenica, legava il sacramento del battesimo a quello del matrimonio, in una stessa promessa escatologica di salvezza e attraverso un preciso colore dellabito, il bianco. N va dimenticato che anche la cerimonia della comunione venne caratterizzata, sempre nel corso del XIX secolo, da un abito bianco mutuato in sedicesimo dallabito da sposa. M. Canella, Abiti per matrimoni e funerali XVIII-XX secolo, in Annali 2003, p. 277. 62. R.L. Pisetzsky 1978, p. 334. 63. Ancora oggi in diversi paesi dellisola, uno per tutti Orgosolo, tante ragazze optano per le nozze con labito tradizionale assemblato a poco a poco, talvolta utilizzando parti degli abiti della propria madre o di altre parenti strette. Si registra invece lassenza di tale pratica per lo sposo, che, nella gran parte dei casi, indossa un abito di confezione industriale rinvenibile a costi contenuti. 64. F. Tolu Liperi 1913, pp. 132-133. 65. Espaa, Tipos y trajes por Jose Ortiz Echage 1933. 66. Si vedano al riguardo: Moda en Sombras, Museo Nacional del Pueblo Espaol, Madrid, Ministerio de cultura. Direccin General de Bellas Artes y Archivos, 1991; Conferencia internacional de colecciones y museos de indumentaria, coordinacion y maquetacion Pilar Barraca de Ramos, Madrid, Ministerio de cultura. Direccin General de Bellas Artes y Archivos. Museo Nacional del Pueblo Espaol, 1991; Anales del Museo del Pueblo Espaol, tomo 1, cuadernos 1-2 (1935), tomo 2 (1988), tomo 3 (1990). 67. Per quanto riguarda la basquia o gonella la scheda del Museo Nacional del Pueblo Espaol riporta: Lana, caamo y algodon. Reps, terciopelo, tafetan, sarga, confeccion manual. 143 x 100 cm. De tejidos diferentes de color negro, cuerpo de terciopelo y falda de tejido mixto de lana unidos en la linea de bajo pecho. Cuerpo corto y ajustado, con tirantes y abrochadero de cordon. Falda larga con leve cola; il grembiule invece cos descritto: Delantal de mostra, de tejido mixto de lana negra, largo y rectangular. Barriga frungida y bordado a la aguja geomtrico de sedas policromas in Moda en Sombras cit., p. 180. Le operazioni di restauro eseguite su questabito hanno consentito dappurare che nel grembiule las tramas del tejido eran de lana y las urdimbres de caamo , in Conservacion y restauracin de tejidos antiguos, M. Pilar Baglietto Rosell, in Anales del Museo del Pueblo Espaol, tomo 3 (1990), p. 235. Il museo madrileno conserva circa 4000 reperti di abbigliamento popolare risalenti allOttocen-

to e al primo trentennio del Novecento, provenienti dalla gran parte delle regioni storiche della Spagna: una visita a questo straordinario patrimonio, peraltro abbastanza sconosciuto, rappresenta per lo studioso di abbigliamento popolare della Sardegna unesperienza emozionante: colori, materiali, denominazioni, funzioni duso richiamano cose e contesti familiari provocando una vivida sensazione di dj vu. Il termine scarramgnu meriterebbe unapprofondita analisi al fine di ricostruirne il significato storico e linguistico; appare peraltro interessante ricordare che un vocabolo molto simile, scaramangum, in et bizantina indicasse un prezioso abito di corte, generalmente di seta. Nelle ordinanze di Leone VI (911-912) che dettavano le regole della produzione e del commercio a Costantinopoli, la produzione degli skaramangia era riservata alle fabbriche imperiali; linvio di un centinaio di skaramangia in Bulgaria inoltre oggetto di un trattato stipulato tra Leone VI e Simeone di Bulgaria. Si veda al riguardo The Book of the Eparch, introduction by I. Dujcev, London 1970, nonch Aspetti e problemi degli studi sui tessili antichi, II Convegno CISST, Firenze 1981, a cura di G. Chesne Dauphin Griffo, Firenze 1981 e G. Paulis 1983, p. 134. 68. Si veda: R. Violant I Simorra 1949; Concha Casado Lobato 1991. 69. Si veda al riguardo: V. Angius, voce Orani, in G. Casalis 1833-56. 70. P. Piquereddu 1987, p. 93. 71. P. Piquereddu 1987, p. 94. 72. S. Satta, Il giorno del giudizio, Nuoro 1999, p. 27. 73. A. Imeroni 1928, p. 26. 74. M. Vinelli 1935, p. 356. 75. M. Foschini 1957, pp. 56-58. 76. G. Angioni, Il mare intorno, Palermo 2003, pp. 144-147. 77. Per la storia dellabito pastorale di velluto si veda il bel libro di U. Cocco, G. Marras 2000.

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Il sistema vestimentario
Franca Rosa Contu

Nellarco di tempo compreso tra il XIX e la prima met del XX secolo, al quale fa riferimento il presente studio, essere abbigliati secondo le regole del proprio luogo di origine, avendo coscienza piena delladesione formale a ci che si usa, si costuma, sembra essere tra le maggiori preoccupazioni della gente sarda. La ricchezza delle fonti e la straordinaria variet dei materiali che ancora si rinvengono nelle raccolte private e pubbliche, il rinnovato interesse dei singoli o di enti e istituzioni, verso lo studio, la valorizzazione e la riscoperta di modelli vestimentari, sembrano significare che le comunit locali, ieri come oggi, confidino nella capacit degli abiti tradizionali di riassumere e rappresentare il proprio modello culturale. Senza questa motivazione, lansiosa ricerca degli antichi modelli vestimentari potrebbe essere giudicata un romantico anacronismo o, pi cinicamente, un modo per dotarsi di figuranti in costume da proporre a fini turistici. Anche se questi ultimi aspetti possono costituire una diffusa giustificazione, non pu essere comunque sottovalutato il fatto che le diverse comunit locali, superata la precariet alimentare dei secoli precedenti, integrate pi o meno felicemente nelle logiche del mercato globale, si scoprono impoverite e private di validi segni identitari: da qui il ricorso a ci che, nel passato, ha costituito un forte elemento di differenziazione etnica. Un valore con radici profonde, coltivato e valorizzato nellarco di tempo che si vuole esaminare, ha contribuito a produrre la straordinaria variet di modelli vestimentari che sono oggetto di questo saggio. Le occasioni festive e di gala e, allestremo opposto, la condizione di lutto sono i momenti nei quali labito si struttura secondo regole codificate pi rigidamente; la quotidianit deroga necessariamente a tali norme. Quella consueta e celebrata limmagine di un popolo in festa negli abiti variopinti, da sempre ammirati, decantati e maggiormente rappresentati. Abiti del tempo sospeso che coprono, riscaldano, ma soprattutto trasformano la fisicit di uomini e donne, espandono i corpi nello

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59. Simone Manca di Mores, Costumi del Campidano, Ballo sa danza cun is launeddas, 1878-80, acquerello su carta.

spazio, regolano la normale gestualit del vivere in forme contenute, quasi rituali, che segnano i momenti del non lavoro; vestiti destinati ad accompagnare i defunti o a passare, preziosa eredit, alle generazioni successive. La festa leccezione, il rito, la cerimonia, la cui importanza viene in qualche modo amplificata proprio dalle complesse regole che la comunit elabora per la sua celebrazione. A questo evento fuori dallordinario labito di gala pienamente coerente: stringe e costringe i corpi, li ricopre di colori vivaci, comunica in un codice intelligibile; regola le posizioni sociali, consentendo varie gradazioni del lusso, dichiara lo stato civile dellindividuo, distingue coloro che, per lutto, sono socialmente impossibilitati a godere pienamente della festa. Il primo grado del lusso dato dallo stato di usura e dalla pulizia dei capi che, variamente assemblati, costituiscono labbigliamento festivo; il massimo livello quello dellabito nuziale, veste di gala per eccellenza, che dopo le nozze viene indossato solo in occasione delle principali solennit religiose, matrimoni, battesimi e cresime. Come si vedr pi avanti, nella descrizione dei singoli capi, labito nuziale femminile presuppone luso di indumenti vietati alle nubili, i quali sanciscono un passaggio di condizione che dal momento delle nozze in poi sar sempre segnalato da varianti appropriate. Gli abiti divengono dunque forme di comunicazione perfettamente decifrabili sia allinterno di un preciso gruppo sociale, quello del villaggio, sia allinterno delle comunit vicine con le quali esistono spesso sostanziali convergenze nelle regole vestimentarie, mentre possono variare anche sostanzialmente i dettagli, i colori e le ornamentazioni. Un abito nuziale che si rispetti non dovrebbe mai essere stato usato; tale condizione comune allabito femminile e maschile, che non presenta differenze indicative di un passaggio di condizione, ma in genere realizzato con ornamentazioni pi ricche e tessuti di qualit pi pregiata utilizzando, ad esempio, velluto di seta anzich di cotone. La maggior parte della popolazione non pu permettersi un abbigliamento al livello pi alto della gala e in tutti i casi una sorta di censura interna al gruppo ne vieta di fatto laccesso a quanti non facciano parte della lite locale. Si creano pertanto insiemi nuziali e di 61

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gala che corrispondono ai modelli domenicali dei ceti pi elevati. In entrambi i casi la realizzazione dellabito nuziale richiede un impegno economico notevole e lunghi tempi di confezione; ci che si indossa il giorno delle nozze lo specchio di ci che la famiglia di origine ha voluto e potuto fare per la propria figlia e rappresenta anche lo stile di vita che la nuova coppia di sposi potr o vorr permettersi. Quando una famiglia potente fa realizzare per la propria figlia un abito da sposa definito in nuorese a primre, vale a dire al massimo livello di eccellenza per la scelta dei tessuti, per la confezione e lornamentazione, operazioni affidate alle pi esperte maestre (mstras) della zona. Questa corsa alleccellenza produrr, soprattutto a partire dalla fine dellOttocento, una corsa alla diversificazione, alloriginalit ed esclusivit delle ornamentazioni, dinamica che in pochi anni modificher i capi tradizionali pi antichi, esito di elaborazioni portate a compimento in un lungo arco di tempo. Chi non pu farsi confezionare un abito nuziale nuovo, n pu riadattare capi ormai considerati fuori moda, deve chiederne in prestito uno appartenente ad una parente o ad unamica di pari grado sociale o solo di poco superiore. Unanalisi diacronica delle vesti festive e di gala usate nelle varie localit mostra dunque i mutamenti di foggia pi o meno significativi che danno luogo a vere e proprie mode tradizionali e consente anche di individuare le influenze, le assimilazioni o le rielaborazioni che avvengono negli scambi tra gruppi diversi. Le regole vestimentarie che questo tipo di analisi evidenzia costituiscono dunque il modello di riferimento al grado pi alto: pochi 62

lo possiedono, tutti vi aspirano e comunque lo riconoscono come distintivo della comunit. La sintesi temporanea di tutte queste regole , di volta in volta, definita il costume.1 Il massimo livello del lusso festivo e di gala ha il suo corrispondente nella condizione di lutto vedovile che per le classi agiate prevede insiemi complessi, simili a quelli nuziali, ma realizzati con tessuti e ornamentazioni di colore nero. La condizione di lutto talmente pregnante di significati da modificare e ricomporre, anche stravolgendole, molte regole sociali. Si parler pi spesso della condizione femminile piuttosto che di quella maschile perch alle donne spetta, pi che agli uomini, lelaborazione sociale del lutto e i loro abiti mostrano, per questo, varianti pi significative. dunque necessario distinguere le principali gradazioni del lutto: lutto stretto, mezzo lutto e lutto leggero sulle quali vengono diversamente modulate le regole sociali e di conseguenza quelle vestimentarie. La parentela esistente tra il defunto e i membri della comunit determina ladesione alluno o allaltro grado. Al lutto stretto sono tenute le vedove, i vedovi, gli orfani, i fratelli e le sorelle del defunto. Al mezzo lutto tutti i parenti di primo grado o anche i vicini di casa o gli amici con i quali corrano stretti rapporti sociali. Al lutto leggero concorrono tutti coloro che abbiano parentela lontana e quanti si rechino a fare le visite di condoglianze o debbano partecipare in qualche modo alle pratiche successive al decesso quali il lavaggio
60-61. Agostino Verani, Costumi sardi, inizio sec. XIX, acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni.

e la composizione del cadavere, il compianto, la recita di preghiere e tutto quanto si svolge nellabitazione del defunto prima che la salma venga trasportata in chiesa per la celebrazione della messa funebre. La presenza alla funzione, infatti, richiede luso di indumenti di diverso tipo per le partecipanti non parenti, fino al livello festivo, escluso quello di gala. Trovarsi in questa o in quella condizione di lutto comporta, dunque, un mutamento di condizione di vita, una mutazione a tempo, salvo per le vedove il cui status dura per tutta la vita a meno che non passino a nuove nozze. Cos Grazia Deledda descrive la condizione di lutto a Nuoro alla fine dellOttocento: Finite le condoglianze, esaurite le pratiche funebri, si tingono le vesti Prima la vedova usava portare la camicia sporca (a tal uopo la esponeva persino al fumo) e non la svestiva finch non cadeva a brandelli. Le nipoti dei preti alla costoro morte venivano vestite da vedove e il lutto durava lunghissimi anni. Ora la vedova bens pulita, ma resta vestita di nero (deposto lanello nuziale ed ogni altro ornamento) per tutta la vita, ovvero finch non si rimarita. Le case ricche per lo pi usano distribuire le bende nere a quelle parenti che non possono spendere. Anche la serva o le serve indossano il lutto a spese dei padroni. Tranne la vedova nessun altro parente costretto a vestirsi di nero. Le pi prossime portano la benda e il grembiule; per devono indossare sempre il giubbone dalla parte dello scarlatto, ed avere il corsetto agganciato. Molte vanno scalze in segno di lutto e portano le gonne orlate di verde. Altre, specialmente la madre, le sorelle maritate, le zie e le cugine idem, indossano sempre sa

pala a supra . La benda essenziale segno di lutto, ma si porta anche il fazzoletto nero. A misura che si allontana il grado di parentela, si porta la benda di colore, o color caff, o giallo oscuro, e giallo chiaro (tinta di terra gialla o in zafferano) o infine bianca. Bianca specialmente per i bambini. Anche certe vedove, dopo moltissimi anni, usano portare la benda caff oscurissima o gialla e le gonne grigie orlate di nero. Il lutto varia da sette ed otto anni per il padre fino a due anni il minimo per lontani parenti. Certe persone indossano i segni di lutto anche per le amiche. Gli uomini che devono radersi la barba quando sposano, la lasciano crescere per il lutto, e portano il cappotto vestito, col cappuccio tirato sugli occhi. I vedovi vestono completamente di nero.2 Labbigliamento tradizionale risponde alle esigenze sopra descritte in diversi modi, che tengono conto delle difficolt e dei costi di produzione dei capi necessari e del fatto che trovarsi nella condizione di mezzo lutto o lutto leggero assai ricorrente in societ ristrette, nelle quali i rapporti di parentela sono numerosi e sono intensi anche quelli di vicinato. A tal fine si rivela indispensabile la flessibilit di utilizzazione di un certo tipo di capi concepiti per un uso semifestivo e spesso caratterizzati da un utilizzo a doppio diritto come descritto dalla stessa Grazia Deledda a proposito del lutto femminile: Indossare sempre il giubbone dalla parte dello scarlatto vale a dire indossare il giubbetto al rovescio. A Desulo limpiego degli indumenti al rovescio in relazione alla condizione di lutto stato osservato e studiato grazie anche alla straordinaria vitalit dellabito tradizionale il cui uso continua, in qualche caso, fino ad oggi.3 63

Per non incorrere nel rischio di banalizzazioni o semplificazioni di un argomento che si presenta invece assai complesso e sfaccettato, giova ribadire che norme di comportamento e regole vestimentarie per il lutto possono variare, anche in misura considerevole, da una comunit allaltra ed anche allinterno della stessa in relazione alla condizione sociale. In generale le classi agiate osservano regole pi rigide delle quali quelle vestimentarie rappresentano laspetto pi evidente. Esentate dalla maggioranza delle attivit produttive, che richiedono scambi con lesterno e che possono essere svolte da una numerosa servit, le donne appartenenti a tali classi trascorrono gran parte del loro tempo in casa con la sola eccezione di quello necessario per seguire le funzioni religiose alle quali si recano, in genere, di primo mattino. Le donne di condizione media si avvalgono comunque dellaiuto servile, anche occasionale, soprattutto per il bucato ed eventuali attivit di raccolta, alle quali non possono prov-

vedere direttamente almeno nel periodo di lutto stretto. Le pi indigenti rompono con maggiore facilit la regola dellinattivit soprattutto con prestazioni dopera in ambiti protetti come nel caso del lavoro notturno dedicato alla panificazione; la loro deroga alle norme trova in questo caso una piena giustificazione sociale dato che lalternativa sarebbe quella di vivere della carit di familiari e vicini. Questultima condizione anche quella nella quale labbigliamento sar estremamente semplificato e manterr la sola connotazione del nero dei capi ritinti per loccasione o prestati da parenti e amici. La quotidianit dei ricchi paragonabile alla festa dei poveri, almeno nel vestiario e spesso anche nel cibo. Tra gli uni e gli altri c il grande insieme dei non ricchi e dei non poveri cio di quanti hanno qualcosa di proprio e non sono perci costretti a servire in casa daltri; ad essi non si addicono gli insiemi vestimentari pi lussuosi, ma sono comunque tenuti ad un decoro che costituisce un penoso onere quando non c certezza delle entrate e si soggetti ai capricci delle annate. Il lavoro, la fatica, le pi normali attivit quotidiane rimescolano le regole della festa e del lutto. Il candore di camicie e veli, gli squillanti colori, il luccichio dei nastri si velano presto nelluso continuo. Lo stesso nero assoluto del dolore vira alla luce in cupe e improbabili tonalit verdastre o brune o ingrigisce nella polvere e nella cenere. Come un miraggio o un sogno perduto, le forme proprie della gala sono comunque riconoscibili nelle linee degli abiti se anche i nastri cedono di schianto al lungo uso e formano bordure intermittenti, se i corpetti, che la gala vuole rigidamente allacciati, si aprono per dare respiro a chi torna dai campi o si piega nellimmane fatica del panificare. E ancora la miseria, la malattia e lemarginazione sfrangiano gonne e giubbetti quasi fossero esposti ad una improvvisa tempesta. Cos Vittorini descrive un povero popolano che, negli anni Trenta del Novecento, indossa labito tradizionale: vestito di stracci che gli svolazzano addosso come piume; sembra un pollo.4 Quanta verit nella descrizione di questi indumenti diventati piume che non si tolgono neppure per dormire, in questi corpi che senza abiti sembrano non poter proprio esistere. Abiti del vivere quotidiano che coprono, riscaldano, accompagnano il lavoro, la preparazione e la conclusione della festa, che del vivere subiscono gli oltraggi e sono destinati a sparire dopo infiniti riutilizzi, adattamenti e rammendi. Abiti slacciati, sudati, macchiati e consunti raccontano la vita quotidiana di quanti aspirano alla regola vestimentaria della festa e della gala e allo stesso tempo sono costretti a trasgredirla, portandone comunque indosso almeno un segno, anche nella miseria pi oscura, per non sentirsi individui senza patria. In una societ nella quale gli abiti hanno una cos precisa connotazione simbolica, anche naturale che nelle
62. Vedova di Nuoro, 1895, foto depoca.

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63. Desulo, 1955, fotografia di Mario De Biasi.

forme di scambio, quali il dono o la retribuzione, essi abbiano un ruolo di primo piano. Senza neppure tentare di dar conto dellampiezza e della complessit dei rapporti che vengono a crearsi nel ciclo di produzione, trasformazione e consumo, baster qui ricordare che capi di abbigliamento, soprattutto fazzoletti e scialli, sono frequente dono dei fidanzati alle promesse spose le quali ricambiano con camicie e fazzoletti ricamati. Cuffiette e camicine sono il regalo delle madrine ai figliocci. Nastri, fazzoletti e tessuti sono il dono pi frequente per le donne di casa al ritorno dalle citt e dalle fiere. Le serve, come vengono definite le aiutanti domestiche, ricevono per salario il vitto, lalloggio e qualche capo di abbigliamento smesso o vengono eccezionalmente dotate di qualcuno nuovo. Le balie sono provviste di camicie e grembiuli adatti a significare il loro ruolo e il rango della famiglia presso la quale prestano servizio. Il mantello di orbace viene concesso in dotazione ai lavoranti che sono tenuti a renderlo quando il rapporto di lavoro si interrompe. Le calzature possono costituire una parte del salario annuale dei servi pastori in abbinamento con derrate alimentari e un po di danaro. La confezione di capi di abbigliamento pu avvenire in ambito domestico e pu essere compresa nellinsieme delle attivit proprie della buona massaia. In relazione alla variet delle situazioni materiali si confezionano capi per tutti i membri della famiglia, almeno per quanto riguarda gli indumenti duso giornaliero e, in quelle di

modesta condizione, anche per quelli festivi. Le famiglie agiate ricorrono pi spesso allopera di maestranze, riservando per s soltanto piccoli lavori di ornamentazione. Come si visto esistono anche vari livelli di specializzazione e quasi mai lintero insieme vestimentario viene confezionato da una sola persona. Alcune donne sono particolarmente dotate nella complessa realizzazione di giubbetti o gonne, altre ancora ricamano parti di indumenti che poi vengono assemblati da persone con un grado ancora diverso di specializzazione. Fin qui si parlato di attivit femminili, ma nelle citt altrettanto frequente lopera di sarti esperti nella confezione di capispalla da uomo. Di competenza maschile spesso anche la produzione di sopravesti in pelle e pelliccia specie nelle varianti di maggior pregio. Capi pronti, soprattutto maschili e infantili, sono venduti nei negozi dei centri pi importanti insieme a scialli, fazzoletti, tessuti e filati necessari per la confezione di quelli femminili. La moda, italiana e straniera, entra in gioco per gli inevitabili passaggi tra classi sociali e per il diffondersi delle riviste di moda e di ricamo. Le novit giungono con gli ambulanti e i loro carichi di nastri e tessuti variopinti ai quali le donne si accostano con pari diffidenza e desiderio. Cos, fin nelle pi piccole localit dellinterno, penetrano stimoli e suggestioni moderne e processi di assimilazione, pi o meno rapidi, si compiono per la ricerca di novit delle giovani generazioni, favorita anche dal commercio di tessuti di cotone a buon mercato, specie 65

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tra la fine dellOttocento e i primi del Novecento. Nello stesso periodo si diffondono anche i cataloghi per la moda pronta che divengono fonte di ispirazione soprattutto per quanto riguarda la biancheria intima ed i disegni per ricamo. Abiti ispirati alla moda francese e italiana, in voga tra il 1870 e il 1880, entrano a pieno titolo nellabbigliamento tradizionale di diverse localit della Sardegna per opera di mogli e figlie di funzionari statali e di commercianti, spesso forestiere e dunque portatrici di un diverso stile vestimentario, o anche donne del luogo che, dopo il matrimonio, assumono labito di tipo borghese ritenuto pi adatto a rappresentare lo stato sociale del capofamiglia. Non potendo riconoscere in queste tipologie una vera e propria caratteristica subregionale, dato che la diffusione interessa in misura pi o meno evidente molte localit della Sardegna, vale comunque la pena di segnalare che se in alcune localit la presenza dei modelli suddetti influenza solo marginalmente labbigliamento tradizionale, in altri luoghi finisce per uniformare gradatamente il gusto generale fino a soppiantare totalmente le fogge precedenti. Sono abiti costituiti da gonna e giacchina realizzati in combinazione tra loro nei modelli festivi e di gala mentre negli altri casi, discendendo dalle fogge pi ricche a quelle da lavoro, la giacca e la gonna sono assortite in modo pi casuale. Possono essere indumenti appartenu66

ti a membri dello stesso ambito familiare o capi smessi dalle padrone, donati alle donne di fatica, e poi riprodotti in versioni via via meno lussuose dalle altre popolane. Il fenomeno continua, di passaggio in passaggio, fino al totale abbandono dellabito tradizionale di foggia pi antica sostituito da queste varianti che, per i noti attardamenti, perdurano nelluso fino al primo trentennio del Novecento. In alcune aree questo processo di sostituzione non si compie e i modelli sopra descritti restano riservati ad una lite, mentre le classi pi povere mantengono lo stile vestimentario di tradizione cinque-seisettecentesca che continua per tutto lOttocento e buona parte del Novecento. Nellarco di tempo esaminato nel presente studio vi sono alcune localit, quali Carloforte e la Maddalena, per le quali non possibile cogliere altro se non modelli esattamente equivalenti a quelli indossati nella penisola italiana e un po in tutta Europa nel primo trentennio dellOttocento e dei quali, anche per la mancanza di reperti depoca, non si pu dare alcuna descrizione sartoriale. Gli uomini usano completi formati da giacca e pantalone abbinati, combinati a gilet e camicia di taglio moderno, con fazzoletto annodato al collo che si preannuncia gi come una cravatta e con cappello a tesa quale copricapo. Perfino le pettinature mostrano un incredibile tempismo nellimitare i modelli in auge in Europa: i capelli sono corti, acconciati con apparente disordine in ciuffetti

ricadenti intorno al volto.5 Per quanto riguarda gli abiti femminili le fonti illustrano sia la versione giornaliera, completa di scialletto da spalle e zoccoli, sia quella festiva caratterizzata da indumenti a vita alta, a scollo quadrato, accompagnati da calze e scarpe leggere. In entrambi i casi il capo comunque coperto da un fazzoletto chiaro.6 Negli acquerelli del Tiole7 anche descritto un corto giacchino del tutto simile al caraco del primo Ottocento che completa labito di tessuto leggero. Lanalisi classica dellabbigliamento tradizionale sardo si sofferma, di norma, sugli insiemi festivi e di gala delle varie localit, descritti troppo spesso come immutabili e resistenti alla modernizzazione, e dei quali si esaltano il cromatismo, il corredo di gioielli e lantichit. Superando lanalisi di tali insiemi, che ad uno studio appropriato appaiono tuttaltro che immutabili, si propone qui unanalisi per quanto possibile approfondita dei vari capi costitutivi del sistema vestimentario nel suo complesso. Ogni volta che le fonti e lesame degli stessi capi lo consentono si evidenziano le caratteristiche sartoriali e decorative e in particolare quegli elementi che possono contraddistinguere, con una sorta di marchio etnico isolano, indumenti altrimenti comuni e popolarmente connotati sia nellarea europea sia nord africana. Unosservazione diacronica dei vari indumenti consente anche di cogliere i mutamenti pi o meno rapidi delle forme sartoriali di ciascun tipo e la variet delle combinazioni dei

diversi capi tra loro, leggendo in questo continuo fluire di dati il formarsi di vere e proprie mode locali che, se non sono soggette ai repentini mutamenti del gusto aristocratico e borghese, mostrano comunque una continua evoluzione e ne interpretano, talvolta con sorprendente tempestivit, le influenze e le suggestioni. Lanalisi che segue, pertanto, propone le varie componenti dellabito tradizionale, descrivendo ciascun indumento nella sua funzione, illustrandone quando possibile lorigine, la cessazione delluso o la continuit anche in presenza di sostanziali trasformazioni. Le grandi categorie della festa, del lutto e della quotidianit vengono trattate insieme nellanalisi delle varie tipologie di indumenti, assorbite in quelli che possono pi estesamente essere definiti i sistemi vestimentari maschile, femminile e infantile.8

64. Giuseppe Biasi, Corteo nuziale, 1923 ca., olio su tela (particolare).

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Labbigliamento femminile

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COPRICAPO E ACCONCIATURE

copricapo sono generalmente complessi, costituiti da almeno due elementi sovrapposti, uno dei quali a diretto contatto con i capelli, raccolti in varie acconciature, e almeno un secondo, sopra questo. Luso di coprire la testa rende solo ipotizzabile quali acconciature si celino sotto i copricapo dato che anche quelli pi semplici, come i fazzoletti o le cuffie, nascondono la capigliatura.9 Le donne portano i capelli lunghi intrecciati in diversi modi, partendo da una scriminatura centrale che divide la massa, viene spesso legata con nastri (bttas o vttas), colorati per le ragazze e le giovani donne e scuri o neri per le anziane o le vedove. Le trecce possono essere basse e ravvicinate alla scriminatura centrale, alla base del cranio, dove vengono attorcigliate tra loro a formare una crocchia. Le trecce impostate dietro lorecchio danno luogo ad ununica crocchia che avvolge la base del cranio. Quelle portate alte e legate strettamente sulla sommit del capo (cccos, cucchdda, cuccurnu), raccolte sotto la cuffia o avvolte con fazzoletti, costituiscono la struttura che consente di modellare i vari tipi di copricapo complessi. Nel primo Novecento, ai mutamenti descritti per gli abiti, si affianca anche un diverso modo di acconciare i capelli; fino a questo momento, specie per le donne sposate ed anziane, regola diffusa quella di ricoprire i capelli quale segno di pudore, di riservatezza, di morigeratezza di costumi; tale regola, ferrea fuori dallambito domestico, viene per lo pi osservata anche al suo interno, dove consuetudine che le donne pi anziane portino cuffia, fazzoletto o benda sovrapposti e,

le pi giovani, almeno il fazzoletto. In alcune localit i copricapo di gala divengono ancora pi complessi e continuano a nascondere i capelli, che nel quotidiano vengono invece mostrati con pi facilit. Fazzoletti, veli e scialli iniziano ad essere indossati a diretto contatto con la capigliatura che sempre pi spesso viene acconciata e gonfiata allattaccatura della fronte in conformit con lo stile borghese. La pettinatura a trecce, considerata fuori moda dalle ragazze, viene progressivamente abbandonata in favore della pettinatura a crocchia (curcddu, mgno) fermata sul capo o sulla nuca con spilloni dosso o di metallo; i cambiamenti di pettinatura sembrano essere pi traumatici rispetto alle modifiche dellabbigliamento e lo scontro generazionale si fa talvolta vivace; le giovani che adottano pettinature alla moda sono guardate con riprovazione. Si pu dire a grandi linee che, dopo il 1920, le donne mostrano la capigliatura con maggiore libert e se questa resta comunque celata non lo pi per una sorta di tab, ma per dare ancora pi risalto alle complesse acconciature di gala. Dopo il 1930 i capelli sono raccolti in una semplice crocchia, pi o meno aderenti al capo, con o senza scriminatura centrale, e tale acconciatura rimasta, pressoch invariata, nelle pettinature delle donne che continuano ad indossare il cosidetto abbigliamento di transizione.

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65. Abito femminile da sposa e di gala, estre riu, Ittiri, 1950 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 66. Cuffia festiva e di gala, cugddu, Desulo, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 67. Cuffia festiva, cartta, Lod, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 68. Cuffia festiva, cartta, Bitti (?), fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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69. Cuffia festiva e di gala, cartta, Nuoro, seconda met sec. XIX Nuoro, coll. privata. 70. Orgosolo, foto depoca, anni Cinquanta. 71. Cuffia festiva e di gala, camsciu, Oliena, seconda met sec. XIX Oliena, coll. privata.
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Cuffie da giorno Se ne possono distinguere sostanzialmente due tipi: modellate e a sacco. Le cuffie modellate sono tagliate in tre o pi elementi uniti tra loro per permettere una giusta aderenza al capo, adattandosi ad esso anatomicamente o alterandone le proporzioni specialmente in lunghezza. Diffuse soprattutto nellarea centro-settentrionale, a Nuoro, Fonni, Ittiri, Desulo, Gavoi, Oliena, Orgosolo, Bitti, per citare solo qualche esempio, sono in genere confezionate con panno scarlatto, velluto di seta liscio o operato a motivi floreali, raso di seta. La fodera e le imbottiture, che variano in relazione al modello, sono in genere in grossa tela di cotone o lino con elementi in tessuto, cuoio o cartone inseriti per aumentarne la rigidezza. Sulle cuffie cos confezionate compaiono vari tipi di ornamentazioni, tanto pi preziose per luso festivo e di gala. Le cuffie di gala nuoresi (carttas), usate sotto la benda sino alla fine dellOttocento, sono confezionate in panno scarlatto e talvolta ricamate con un motivo a stella in canutiglia doro e dargento; quelle per uso giornaliero, 72

da indossare sempre sotto la benda, sono in panno o tessuti di cotone dai colori sobri, fino ad arrivare al nero per le donne molto anziane o in lutto; in tutti i casi vengono legate su un lato del viso, con un semplice laccetto. Lantica cuffia di Oliena (camsciu), irrigidita e sagomata con cartone, realizzata con lampassi broccati guarniti con larghi galloni dargento; ad essa pu essere sovrapposto un velo o uno scialle di seta. A Bitti si conoscono esemplari di forma molto allungata, in panno, velluto o tessuti di seta spesso ricamati a motivi geometrici e con inserimento di carta di stagnola colorata, ai quali si sovrappone la benda bianca o lo scialle di seta; altri esemplari sono ornati con trine in filati metallici doro e dargento realizzate a fuselli con prevalenza di motivi a ventaglio di tradizione settecentesca. Non si pu non citare la cuffia di Desulo (cugddu), certamente la pi nota anche fuori dellisola, divenuta una sorta di simbolo della Sardegna, caratterizzata dallalternanza del rosso del tessuto, dellazzurro dei nastri e del giallo dei ricami geometrici. Le cuffie a sacco (cambsciu, scffia, trubnti) sono diffuse in tutta la Sardegna, particolarmente in quella centro-meridionale. Possono essere confezionate in raso e velluto di seta, in filati di lana, lino o cotone o seta lavorati ai ferri o a uncinetto. Il modello costituito da un rettangolo di tessuto o maglia chiuso sul lato lungo ed arricciato ad una estremit sulla quale viene talvolta appuntato un fiocco o una nappina. Il lato che rimane aperto, bordato con un nastro di velluto o di taffett di seta, viene calzato allaltezza della fronte e il nastro legato a fiocco sulla sommit del capo o annodato dietro la nuca. Negli esemplari pi sfarzosi il fiocco di velluto di seta nero guarnito con frange in canutiglia doro. Quale che sia il materiale utilizzato, la parte a sacco, pi o meno lunga, ricade morbida e sfiora la parte superiore delle spalle, raccogliendo completamente al suo interno la massa dei capelli acconciati in vario modo. Gli esemplari confezionati in tessuto di seta sono quasi sempre foderati con tela di cotone o lino color crudo. Le cuciture sono realizzate sia a mano che a macchina. In alcuni comuni del meridione dellisola si perso, nel tempo, luso della cuffia della quale resta testimonianza in una fascia con fiocco di velluto pi o meno decorato sulla quale viene appuntato il velo. Cuffie da notte e da letto Le cuffie da notte vere e proprie sono assai rare perch, considerate alla stregua di capi intimi, non venivano conservate per lo scarso valore venale. Il loro uso documentato fino agli anni Quaranta del Novecento da parte di donne anziane che prediligono tessuti morbidi di cotone (tela o mollettone) e modelli semplici, sagomati sul capo, simili a quelli dei bambini, o modelli a sacco.10 Le donne pi giovani utilizzano semplici fazzoletti di cotone in tinta unita o a fiorami, ma pi spesso raccolgono i capelli in due trecce trattenute da nastri morbidi. In alcuni corredi particolarmente preziosi, databili tra il 1910

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e il 1930, sono presenti cuffie da notte di foggia borghese, utilizzate soprattutto durante la degenza a letto, dopo il parto. Si tratta di preziosi esemplari confezionati in sottile taffett e organza di seta o bisso di lino che presentano ricami su tela sfilata o inserimenti di falsature in pizzo meccanico tipo Valenciennes; i modelli sono chiaramente borghesi senza alcuna modifica dimpronta popolare.

72. Cuffia festiva e di gala, capile, Ollolai, prima met sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 73. Ollolai, foto depoca, anni Venti.

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74. Cuffia, iscffia, Ittiri, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 75. Cuffia festiva, scffia, Iglesias, fine sec. XIX-inizio XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 76. Cuffia festiva, scffia, Iglesias, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 77. Cuffia festiva, iscffia, Atzara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 78. Cuffia di gala, berrtta, scffia, Quartu S. Elena, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 79. Cuffia di gala, berrtta, scffia, Quartu S. Elena/Monserrato, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Bende Con il termine benda (Nuoro, Orani: bnda ; Orgosolo: linzu ; Bitti: vla ; Atzara, Benetutti e Bono: tiazla ; Fonni: tivagdda, a titolo desempio) si indicano i copricapo aventi quale principale caratteristica quella di essere pi lunghi che larghi,11 di avere la sola dimensione piana e di venire utilizzati avvolti attorno al volto, passando sotto il mento e ricoprendo la gola del tutto o in parte. Sotto le bende si indossano sempre altri tipi di copricapo quali cuffie, fazzoletti o nastri che integrano e sostengono lacconciatura dei capelli per ottenere i volumi desiderati. A loro volta le bende possono essere indossate sotto manti, manticelli ecc. Si tratta di indumenti estremamente interessanti derivati da fogge assai arcaiche ampiamente attestate nelliconografia colta italiana tardomedievale e rinascimentale che in Sardegna hanno avuto particolare fortuna sopravvivendo, con piccole, continue modifiche, fino al primo decennio del Novecento; dopo questa data solo in alcuni paesi ne perdurato limpiego, riservato ad insiemi vestimentari di gala e in alternativa a forme di copricapo meno complesse e di gusto moderno. Liconografia pi antica, le testimonianze e le fonti orali ci permettono di affermare che luso della benda , in Sardegna, riservato alle donne maritate, o comunque adulte, non diversamente da quanto accade anche in Italia per tutto il Trecento dove le bende sono il copricapo proprio delle donne mature per poi diventare quello degli ordini monastici.12 Le fonti orali e, pi raramente, quelle iconografiche informano dellutilizzo della benda anche da parte delle donne nubili, in contesti cerimoniali

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80. Bono, foto depoca, inizio sec. XX.

81. Benda festiva, tiazla, Benetutti, primo decennio sec. XX Benetutti, coll. privata. 82. Benda festiva, tiazla, Bono, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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precisamente circoscritti. A Nuoro, ad esempio, linsieme vestimentario da sposa di famiglia agiata, codificato intorno alla met dellOttocento ed utilizzato con qualche variante fino al primo decennio del Novecento, prevede luso della benda bianca, di tessuto di seta o di cotone. Tale copricapo precluso alle donne non sposate con la sola eccezione delle giovani parenti nubili della sposa che in occasione delle nozze laccompagnano durante il corteo indossando anchesse linsieme da sposa completo di benda. Al di fuori da questa occasione lutilizzo da parte delle nubili della benda e dellinsieme dei gioielli propri delle spose fortemente censurato. Le fonti iconografiche dei primi decenni dellOttocento attestano la presenza, in varie localit dellisola, delle bende, nel tempo soppiantate da forme di copricapo pi moderne; solo in alcune localit le bende vengono utilizzate fino ai primi decenni del Novecento con modifiche, anche notevoli, nelle dimensioni e nel modo di indossarle. Per la confezione di questi capi consueto luso di tela di cotone o di lino di colore bianco, anche se qualche fonte informa della presenza di bende di seta, bianche o gialle. Il colore giallo o bruno, sia in lino sia in cotone, o il giallo, velato con un sottile tessuto di garza nero, ampiamente usato nella condizione di mezzo lutto; per il lutto stretto, riservato alle vedove, previsto luso del colore nero in capi di tela di cotone, lino o tibet di lana. Fa eccezione a questa regola cromatica la

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83. Orani, cartolina illustrata, inizio sec. XX. 84. Atzara, anni Venti, fotografia di A. Ferri. 85. Bono, cartolina illustrata, inizio sec. XX. 86. Benda festiva, tiazla, Bono, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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benda di Orgosolo, detta linzu, di colore giallo anche nellabbigliamento festivo e nuziale.13 Si tratta di un capo realizzato con un tessuto di seta prodotta in loco. Lallevamento dei bachi, la trattura del filo, la filatura e tutte le operazioni necessarie fino alla tessitura avvengono in ambito familiare. Il colore giallo ottenuto con lo zafferano.14 Le bende sono quasi sempre prive di ornamentazioni e presentano orli sottili cuciti a mano, a punto Parigi, a giorno o a macchina. In qualche caso gli orli a giorno sono pi complessi e il capo ha una parte, in genere ad angolo, ricamata su tela sfilata, a intaglio, o con inserti in filet. Gli orli sono orientati in direzione diritto rovescio, in relazione al modo di avvolgere la striscia attorno al capo o di ripiegarla per la stiratura. Ad eccezione della benda di Orgosolo, che si conserva semplicemente arrotolata, gli altri tipi di bende, con grandi differenze da luogo a luogo, richiedono complesse operazioni di apprettatura con amidi a freddo o a caldo se di colore chiaro, con cera se di colore scuro.

87. Orgosolo, anni Venti, fotografia di A. Ferri. 88. Benda, linzu, nellinsieme festivo e di gala, Orgosolo, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

Fazzoletti Un pezzo di tessuto indossato a protezione della testa e del volto: cos potrebbe essere banalmente descritto il fazzoletto, copricapo femminile popolare per eccellenza. Quando questo tessuto abbia iniziato ad essere usato stabilmente come copricapo, quando la sua forma sia stata codificata in quella quadrangolare, allo stato attuale degli studi non pu essere detto con sicurezza per nessuna delle varianti presenti nei paesi del bacino del Mediterraneo e non sar il caso di tentare alcuna ipotesi neppure per quelle sarde. Questo studio si limiter pertanto a descrivere i modelli pi diffusi, la loro specifica funzione e levoluzione del gusto. I fazzoletti di forma quadrata da piegare a triangolo o quelli triangolari, utilizzati nellisola tra il XIX e il XX secolo, sono per lo pi prodotti industriali tessuti con filati di lana, cotone e seta quali il crespo di lana e di seta, il damasco di cotone o seta, i taffett uniti, cangianti o operati a motivi floreali sia in tinta unita sia policromi, i rasatelli in lana e cotone spesso stampati a motivi floreali o geometrici.15 La confezione prevede un sottile orlo realizzato a macchina o a mano. Questo tipo di fazzoletti viene stretto intorno al capo avvolgendo la capigliatura con le cocche riportate sulla sommit oppure annodate sotto la nuca. I fazzoletti indossati in questo modo sostituiscono di fatto le cuffie, proteggono il copricapo soprastante dal contatto diretto con la capigliatura e danno sostegno e volume allinsieme dellacconciatura. In alcuni casi presente un ricamo impostato su uno dei lembi destinati a rimanere in vista quando indossato in insiemi complessi con benda o altri fazzoletti sovrapposti come avviene a Bono, Anela, Sennori. Questo genere di fazzoletti pu anche essere indossato con le cocche morbidamente annodate sotto il mento o su un lato del volto e pu essere a vista o associato ad un copricapo sovrapposto: velo o scialle di seta (Settimo S. Pietro, Monserrato, Pirri, Quartu, Selargius), manticello (Lanusei, Samugheo), benda (Atzara). A Busachi si segnala luso di un fazzoletto di tela di cotone o lino, di forma quadrata, che, ripiegato a rettangolo, viene indossato con i lembi liberi o annodati sotto il mento, posato su un fazzoletto stretto sul capo; il colore bianco candido per luso giornaliero o giallo per il lutto. Nellarea centro-meridionale sono particolarmente diffusi ampi fazzoletti in tessuti di lana o cotone stampati.16 Sono caratterizzati da tonalit cromatiche molto calde e cupe, con fondi uniti e cornici a grandi motivi floreali ottenuti a stampa. La grandissima diffusione di questi indumenti, tra la fine dellOttocento e i primi del Novecento, fa supporre che il loro costo fosse divenuto accessibile ai pi ed da porre in relazione con laltrettanto vasta presenza di tele di cotone stampato, le cosiddette indiane, che ricopriranno un ruolo molto importante

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89. Sennori, foto depoca, anni Cinquanta. 90. Fazzoletto e velo, muccalru bincu e lu, nellinsieme festivo e di gala, Sennori, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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nella confezione di diversi indumenti tradizionali. I capi destinati allabbigliamento festivo delle ragazze o delle donne pi giovani sono spesso a vivaci colori evidenziati con bordure e frange in tinta. Questi grandi fazzoletti vengono in genere ripiegati a triangolo e poi adattati sul capo, fissandoli con una spilla al copricapo sottostante e lasciando i lembi aperti o annodati morbidamente allaltezza del petto. In alcune localit vengono appuntati al copricapo sottostante e fatti ricadere senza ulteriori piegature. Questo modo di utilizzarli pu aver indotto alcuni viaggiatori dellOttocento, ed anche qualche studioso locale, a ritenere diffusi nellisola i mezzari genovesi. In realt, salvo usi sporadici dei preziosi mezzari in ambiti sociali particolarmente agiati, i fazzoletti di cui si parla possono essere considerati delle imitazioni a buon mercato.17 I fazzoletti in tibet di lana nei colori crema, tabacco, marrone bruciato, nero, blu hanno forma quadrata e vengono indossati ripiegati a triangolo. Attestati sin dalla fine dellOttocento, si diffondono presto in quasi tutta lisola, in molte varianti locali, dapprima affiancandosi ai modelli di copricapo pi arcaici e poi finendo per sostituirli quasi ovunque, con il variare dellintero insieme vestimentario. Le dimensioni cambiano sia in relazione al luogo che ai momenti di utilizzazione. Con larga generalizzazione possiamo ad esempio affermare che nella Sardegna centrale, tra la fine dellOttocento e i primi del Novecento, le dimensioni medie sono piuttosto ampie mentre si riducono fortemente avvicinandosi ai momenti finali della loro utilizzazione (1950 ed oltre nellabbigliamento di transizione).18 La confezione di questi capi

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92. SantAntioco, cartolina illustrata, inizio sec. XX. 93. Fazzoletto festivo da nubile, muncalru, Settimo S. Pietro, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 94. Fazzoletto giornaliero, macalru, Macomer, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

91. Fazzoletti festivi, muccadres, provenienza varia, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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prevede un sottile orlo realizzato a macchina o a mano o a piccoli smerli ricamati a punto festone con cordoncino di seta in tinta o in contrasto cromatico. In alcune localit come Nuoro, Orosei, Fonni, Mamoiada, il fazzoletto viene ricamato in corrispondenza del triangolo posteriore, con la medesima tecnica decorativa usata per altre parti dellabito festivo, quali il corpetto, il grembiule o la gonna. Possono pertanto essere presenti temi floreali a ghirlanda, motivi geometrici a greca o triangoli, anche in combinazioni tra loro, realizzati a punto raso, erba, pittura, pieno, con fili di seta policromi e canutiglia doro e dargento; per completare il ricamo sono talvolta inseriti lustrini, perline e vetri colorati. Nei luoghi in cui labito tradizionale viene ancora oggi utilizzato in ambito festivo si introducono ulteriori modifiche soprattutto nellimpostazione dellornato. Questo tipo di fazzoletti, che costituiscono, sia nella versione inornata che in quella ricamata, la continuit tra il sistema vestimentario tradizionale e labbigliamento di transizione, vengono indossati ripiegati a triangolo, riducendone lampiezza con una o due pieghe in corrispondenza del lato lungo che incornicia il viso. In alcune localit questa parte viene fissata a punti nascosti ad un supporto che ne irrigidisce il profilo (Fonni). Le cocche vengono in genere raccolte incrociandole sotto il mento e fissandole verso linterno, allaltezza dellorecchio. In ambito domestico i lembi possono essere sollevati e riportati sulla sommit del capo.

95. Fazzoletto giornaliero, muncalru isprtu, Ittiri, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 96. Fazzoletto festivo, muccadre, Orani, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 97. Fazzoletto festivo e di gala, muccadre, Benetutti, 1948 Benetutti, coll. privata. 98. Fazzoletto festivo e di gala, muccadre, Nuoro, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 99. Fazzoletto giornaliero, muncadre bincu, Busachi, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 100. Fazzoletto festivo, mucadre, Mamoiada, prima met sec. XX Mamoiada, coll. privata.

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Manticelli Si tratta di un genere di copricapo molto diffuso nella Sardegna dellOttocento e del primo Novecento che trova oggi attestazioni limitate per i citati fenomeni di modernizzazione. Il copricapo definito manticello ha dimensioni ridotte,19 ricopre il capo, i lati del volto e sfiora gli omeri. confezionato per lo pi con panno di lana ed bordato con taffett di seta o velluto, nastri e passamanerie in tinta contrastante. Le cuciture sono realizzate a mano o a macchina. Alcuni modelli hanno for101-102. Manticello festivo e di gala, colri, Lanusei, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

ma quadrangolare piana (Ploaghe: mantddu ; Samugheo: mantighddu ; Lanusei: colri ) o presentano un lato arrotondato (Villagrande Strisaili: colre ; Tertenia: mntu) oppure, come il cappzzu di Gavoi, sono sagomati per adattarsi alla sommit del capo in una sorta di cappuccio i cui lembi inferiori scendono liberi sulle spalle. A Ploaghe il manticello confezionato con panno di lana rosso o giallo di forma quadrangolare che viene ricoperto con quattro elementi di tessuto di seta in tinta unita o velluto operato a fiorami; questi elementi

sono cos disposti da lasciare in evidenza, al centro, il panno rosso che forma un motivo a croce. Il ritratto di Anna Lucia Figone Spano, madre dellarcheologo Giovanni Spano, conservato presso la Facolt di Lettere di Cagliari e risalente allinizio del XVIII sec., di particolare interesse per lo studio dellevoluzione di questo copricapo perch mostra una versione pi morbida di quella in voga attualmente, nella quale il tessuto di seta in colore contrastante applicato nella sola parte anteriore; interessante anche il fatto che venga chiaramente
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103. Serri, foto depoca, primo decennio sec. XX.

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indossato sovrapposto ad una benda a soggolo. Lo stesso modello riprodotto in alcune tempere (1870-80) di Simone Manca di Mores che raffigurano una donna di Ploaghe in abito di gala con manticello giallo bordato di celeste. In Ogliastra i bordi del manticello sono evidenziati con nastri di taffett in colore contrastante rispetto al tessuto, e il punto di unione anche sottolineato con un fine ricamo a dentelli realizzato con cordoncini di seta; tipico di tutta larea ogliastrina il modo di fissarlo sotto il mento con un soggolo a catena (gancra, cncios de frnu, cadentzas) in lamina e filigrana dargento con ganci in lamina cuciti al tessuto. Anche in questo caso lindumento si indossa sopra un fazzoletto o uno scialle. Il manticello in uso a Samugheo, che parte di una complessa acconciatura costituita da almeno tre fazzoletti di diverso tipo, ha forma rettangolare ed confezionato con panno o tessuto tipo loden di colore verde; la sola parte anteriore ricamata a motivi floreali e geometrici ed guarnita con applicazioni di lustrini e passamanerie. A Fonni, di panno bordato dazzurro, viene indossato in modo da ricoprire tutta la parte superiore del busto tenendolo chiuso completamente sul petto. A Gavoi bordato in taffett di seta o pizzo nero e, negli esemplari recenti, viene indossato sovrapposto alla sola cuffia.
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104. Ploaghe, foto depoca, fine sec. XIX. 105. Fonni, foto depoca, primo decennio sec. XX. 106. Manticello festivo e di gala, mantddu, Ploaghe, anni Cinquanta Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 107. Manticello, mantighddu, nellinsieme festivo e di gala, Samugheo, 1930 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 108. Manticello festivo, mantgliu, Carloforte, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 109. Manto di gala, captta, Osilo, seconda met sec. XIX Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. 110. Manto di gala, captta, Osilo, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 111. Manto di gala, captta, Osilo, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Manti Liconografia pi antica mostra con grande frequenza immagini di donne abbigliate con manti da testa di ampiezza maggiore rispetto ai manticelli descritti in precedenza. In qualche localit questo tipo di copricapo ancora presente nellabbigliamento tradizionale e numerosi sono i reperti depoca che ne testimoniano una vasta diffusione tra tutti i ceti sociali sia negli abiti di gala che in quelli giornalieri e da lutto. Si indossano sempre sovrapposti ad insiemi di cuffia/benda, cuffia/velo o fazzoletto. Lampiezza varia in relazione al modello mentre la lunghezza tale da coprire il capo e tutto il busto arrivando fino al bacino. I modelli pi semplici sono quelli di forma quadrangolare, in piano, confezionati in panno o orbace e ornati con applicazioni di velluto, nastri e ricami. A Bitti un manto di questo tipo si indossa sopra linsieme costituito da cuffia e benda o cuffia e fazzoletto. Ad Aritzo (cappcciu), dove si sovrappone allo scialle di seta o al velo di tulle, la forma pi complessa: ha la parte superiore sagomata che permette di calzarlo sulla testa come un cappuccio mentre i lembi sciolti arrivano a coprire i fianchi. A Desulo esiste un modello di forma trapezoidale in orbace, identico al grembiule (sacciu e lire) per un uso quotidiano e festivo, e un modello duso strettamente cerimoniale (cappcciu) in panno nero con pieghe che partono a raggiera dalla sommit del capo e bordi in taffett di seta, o in damasco di seta nero nelle ultime lussuose varianti. Di forma rettangolare piana sono anche i manti di panno di lana verde o azzurro di S. Antioco (panncciu de colri ). I manti delle ricche popolane di Cagliari (panattre), detti mantddu o mantglia a arrnda e prta, e quelli tipici degli abiti

116. Iglesias, cartolina illustrata, inizio sec. XX.


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di gala di Iglesias, Alghero e Tortol (mantglia) hanno forma ad amigdala con lati lunghi asimmetrici. Sono confezionati in panno di lana rosso con bordi in trina dargento lavorata a fuselli, oppure in raso di seta bianco con larga bordura in raso di seta azzurro. Sono indumenti riservati a donne benestanti e maritate che si indossano sempre sopra la cuffia o in associazione al velo di tulle. Dal Nuorese provengono manti della stessa forma, in panno bordato con nastri a motivi floreali, oppure confezionati con preziosi lampassi broccati a motivi floreali policromi, orlati con 117 trine dargento a fuselli; questi capi, la cui datazione pu essere compresa tra il tardo Settecento e i primi decenni dellOttocento, sembrano essere associati a sistemi vestimentari assai rari, di chiara influenza spagnola, prerogativa delle classi pi elevate della societ del tempo.20

117. Panattra di Cagliari, cartolina illustrata, fine sec. XIX. 118. Manto festivo e di gala, mantglia, Iglesias, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari. 119. Manto festivo e di gala, mantddu o mantglia a arrnda e prta, Cagliari, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

112. Aritzo, anni Venti, fotografia di A. Ferri. 113. Desulo, foto depoca, anni Venti. 114. Manto festivo e di gala, cappcciu, Desulo, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 115. Manto festivo e di gala, cappcciu, Aritzo, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Scialli Si tratta di grandi fazzoletti quadrangolari con frange che hanno incontrato larga fortuna nellabbigliamento femminile a partire dalla fine dellOttocento, arrivando a soppiantare le altre fogge di copricapo. Se ne distinguono due grandi tipologie di importazione nazionale ed estera. Scialli di seta in tessuti leggeri operati su base damasco o taffett21 o pi pesanti come i cannellati caratterizzati da una bicromia o tricromia che valorizza i motivi floreali stilizzati di grandi e medie dimensioni. Questo genere di scialli usato in tutta lisola negli insiemi vestimentari di gala di moltissimi paesi quali Aggius, Bitti, Dorgali, Irgoli, Lula, Oliena, Orosei, Orune, Settimo San Pietro, Sinnai, Quartu, per fare solo qualche esempio. Vengono sempre indossati ripiegati a triangolo, eventualmente riducendo lampiezza anteriore con ulteriori piegature come stabilito dalle usanze locali. Tradizionalmente sono indossati sovrapposti a cuffie o fazzoletti, lasciando ricadere i lembi lungo il busto o annodandoli

morbidamente sul petto. Solo nellultima fase di utilizzazione, dopo il 1920, in qualche localit si preso ad indossarli a diretto contatto con la capigliatura raccolta a crocchia: si tratta di momenti di grande trasformazione che preludono ad una cessazione del loro utilizzo in ambito tradizionale. Grande fortuna hanno, in tutta lisola, gli scialli in tibet di lana di forma quadrata22 nei colori tabacco, marrone, nero o, pi raramente, blu scuro. Si acquistano gi ornati con frangia in cordoncino di seta in tinta, annodato con la tecnica del macram, oppure vengono confezionati in loco acquistando il tessuto e poi provvedendo a realizzare la frangia con la forma di intreccio preferita.23 Laltezza della bordura, il tipo di annodatura e anche la lunghezza delle frange, variando da zona a zona, costituiscono elemento di riconoscimento geografico e di datazione. Di norma gli esemplari pi antichi hanno, infatti, dimensioni ridotte e frange pi corte. Lintroduzione di questi scialli sembra aver inizio nel primo Ottocento; si diffondono rapidamente e non sempre, ma spesso, sostituiscono i copricapo preesistenti o vengono indossati in alternativa

120. Dorgali, foto depoca, fine sec. XIX-inizio XX. 121. Dorgali, foto depoca, fine sec. XIX- inizio XX. 122. Scialle festivo e di gala, pannzzu e sda, Dorgali, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 123. Scialle festivo, pannzzu recamu, Dorgali, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 124. Scialle festivo e di gala, muncadre, Oliena, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 125. Scialle festivo e di gala, muncadre, Oliena, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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ad essi; ad Orgosolo, ad esempio, lo scialle non soppianta la benda nellabito di gala, ma resta confinato ad un uso giornaliero o semifestivo indossato sopra la cuffia, con i lembi raccolti sotto il mento. Lo stesso tipo di scialli viene anche ornato con ricami floreali realizzati con fili di seta policromi, secondo moduli decorativi di tradizione settecentesca prima, ottocentesca poi, con variazioni nella tipologia dei punti di ricamo e nei cromatismi che giungono alla massima enfasi nei primi decenni del Novecento. I motivi ornamentali interessano sempre la parte posteriore triangolare che ricopre il capo e le spalle e sono costituiti da mazzi di fiori circondati da ghirlande di fiori e spighe; sporadicamente sono anche presenti elementi zoomorfi, uccelli esotici e farfalle, chiaramente tratti dallornamentazione di nastri e tessuti serici dimportazione. Anche la tipologia del ricamo e la sua disposizione permettono lattribuzione geografica e temporale. A Dorgali lo scialle, detto pannzzu recamu, presenta delicati ricami floreali, viene piegato a triangolo e indossato su una complessa acconciatura costituita dai capelli intrecciati con fazzoletti variopinti. Ad Oliena lo stesso tipo di scialle, muncadre, conosce nel tempo diversi stili di ricamo, fino 96

al modello codificato intorno al 1930 e utilizzato nellinsieme da sposa fino agli anni Cinquanta del Novecento. In tutta la Sardegna centro-meridionale gli scialli di questo tipo presentano estesi ricami floreali a vivaci colori o prediligono cromatismi pi raffinati e sobri nei toni spenti delle terre sul fondo tabacco o marrone del tessuto.
126. Scialle festivo e di gala, scialltto o mucatre de sta, Orune, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 127. Scialle giornaliero, mucadre, Ollolai, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 128. Scialle festivo e di gala, issllu e sta, Orosei, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 129. Scialle festivo e di gala, scillu, Settimo S. Pietro, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 130. Oliena, foto depoca, inizio sec. XX. 131. Ollolai, foto depoca, anni Trenta. 132. Benetutti, foto depoca, fine sec. XIX.
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Veli Bench si tratti, per forma e dimensioni, di grandi fazzoletti24 riservati ad un uso festivo, i veli vengono considerati a parte perch caratterizzati dallimpiego di tessuti trasparenti quali lorganza, la garza o il tulle meccanico di cotone, lino o seta, a maglia per lo pi esagonale. plausibile che i primi esemplari fossero gi diffusi sul finire del Settecento, presso i ceti abbienti, e che poi siano passati allambito popolare con sempre maggiore frequenza tra lOttocento e il Novecento con la crescente disponibilit sul mercato del tulle meccanico di cotone.

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133. Abito femminile festivo e di gala, Oristano, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 134-136. Velo festivo e di gala, tllu, Ittiri, prima met sec. XX Sassari, coll. privata. 137. Velo festivo e di gala, vlu, Oristano, prima met sec. XX Oristano, coll. Enrico Fiori.

138. Velo festivo e di gala, vlu, Monserrato/Quartu S. Elena, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 139. Velo festivo e di gala, muccadre bincu, Teulada, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 140. Velo festivo e di gala, muncadri bincu, Iglesias, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 141. Velo festivo e di gala, muncadre e tllu, Busachi, seconda met sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 142. Osilo, cartolina illustrata, inizio sec. XX. 143. Abito femminile festivo e di gala, estre riu, Ittiri, 1950 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 144. Abito femminile festivo e di gala, Ollolai, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

Gi in alcune tavole del Tiole e del La Marmora si osservano diversi insiemi vestimentari di gala caratterizzati dal copricapo di velo; liconografia successiva attesta un incremento delluso che diviene poi generalizzato. La diffusione sembra partire dalle coste via via raggiungendo le aree pi interne della Barbagia dove i veli di questo tipo sostituiscono i manti e i manticelli degli abiti tradizionali negli insiemi vestimentari definiti costume da sposa nei quali, seguendo la moda borghese, il velo bianco diviene vero simbolo delle nozze sia per il colore che per la leggerezza e la trasparenza del tessuto. I modelli di forma quadrata vengono indossati ripiegati a triangolo, pertanto frequente una ornamentazione ricamata simmetricamente negli angoli contrapposti o riservata alla sola parte triangolare che ricade sulle spalle, destinando un ornato pi semplice a quella sottostante. I veli di forma quadrata o rettangolare vengono indossati completamente aperti a ricadere sulle spalle; in questo caso la parte anteriore corrispondente alla sommit del capo viene rinforzata e ornata con lapplicazione di un pizzo meccanico o a mano. A Samugheo e Busachi il velo (muncadre e tllu) viene ripiegato a met, a forma di rettangolo. Altri tipi di velo di forma rettangolare vengono drappeggiati in vario modo attorno al capo,

coprendo la gola e il petto (Osilo, Sennori: lu). I motivi decorativi sono sempre di carattere floreale, pi o meno raffinati, e sono realizzati con fili di cotone o seta in tinta messi in opera a punto catenella, filza, pieno, pieno imbottito, rammendo, tela, festone e cordoncino con i quali si realizzano anche decorazioni a traforo a fili tirati. Come le bende, anche i veli richiedono unaccurata stiratura che pu prevedere lapprettatura a caldo o a freddo. Caratteristica dello stile locale proprio il modo di stirare e posare sul capo un tipo di velo che per il resto potrebbe altrimenti risultare identico tra un paese e laltro e che invece, proprio con questi accorgimenti, caratterizza fortemente lo stile vestimentario delluna o dellaltra localit. I veli di tulle vengono perci inamidati in modi diversi a seconda delluso cui sono destinati. Lamido cotto o la colla di pesce danno consistenza quasi vetrosa agli esemplari di Samugheo, Busachi, Iglesias, S. Antioco, Teulada ecc.; Ollolai, Aritzo, Orosei e tutta larea del Campidano di Oristano e di Cagliari prediligono apprettature pi leggere come anche Osilo, Sennori e Tempio; a Ittiri, Florinas e in tutta larea anglonese, dove il velo si porta sciolto a ricadere sulle spalle, viene apprettata, e comunque rinforzata con un merletto di supporto, solo la parte anteriore.

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Grembiuli da testa In alcune localit della Sardegna centrale e meridionale attestato, fin dai primi decenni dellOttocento, luso di un copricapo del tutto analogo ad un grembiule, di colore nero, che viene indossato ponendolo trasversalmente sul capo, come attestato dalla tavola del Tiole raffigurante una popolana di Milis. I grembiuli da testa, soprattutto negli insiemi giornalieri, sono in verit diffusi in tutta lisola con diverse denominazioni quali pannllu e cugddu o flda e coveccre, definizione questa che pu anche far riferimento alle gonne da testa descritte pi avanti. In qualche caso sono anche presenti i lacci che, privati della loro iniziale funzione, vengono legati a fiocco e ricadono liberamente su una spalla. A Desulo questo copricapo del tutto uguale al grembiule, sia per forma che per ornamentazione, e viene allacciato sotto il mento con una catenella dargento. I grembiuli da testa vengono sempre sovrapposti ad altri elementi (veli, fazzoletti, cuffie) ed possibile che la loro presenza anche in ambito festivo sia dovuta ad una iniziale necessit di proteggere dalle intemperie il copricapo sottostante quando questo sia realizzato in tessuto prezioso. Non comunque da trascurare il fatto che questo genere di indumenti serve anche a mitigare laspetto festivo di un copricapo troppo chiaro o lussuoso se indossato in particolari momenti della vita sociale quali le visite di condoglianze o la partecipazione a funzioni religiose in suffragio di defunti. Unulteriore variante costituita dai grembiuli posteriori da rialzare sul capo. A Isili il caratteristico indumento detto fsca viene realizzato in tessuto pesante di lana e indossato allacciandolo in vita e rialzandolo sulla testa a coprire la parte posteriore del busto e il capo. A Ozieri, riservato alle donne agiate, detto mntu ed confezionato in tessuto di seta di colore nero (raso, taffett).25 I grembiuli da testa, dei quali si conservano solo pochi esemplari depoca, hanno conosciuto una notevole diffusione fino a tutto lOttocento analogamente a quanto avvenuto nella penisola italiana dove luso, a livello popolare, documentato dalla fine del Seicento ed continuato per tutto lOttocento.

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145. Grembiule da testa giornaliero, pannllu e cugddu, Ittiri, inizio sec. XX, Sassari, coll. privata. 146. N.B. Tiole, Paysans de Milis, 1819-24, acquerello su carta. 147. Desulo, 1955, fotografia di Mario De Biasi. 148. Grembiule da testa festivo, sacciu, Desulo, primi decenni sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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Gonne da testa o gonne-copricapo Sono tipi di copricapo diffusi soprattutto nella Sardegna settentrionale (ad esempio a Sorso, Ittiri, Tempio), confezionati come una vera gonna arricciata se non fosse per le ridotte dimensioni della lunghezza, dellampiezza totale e del giro vita. Sono noti come bunndda a capptta,26 munndda e cugddu o suncurnu o zuncurnu.27 Per le loro dimensioni e per il modo di indossarle non possono perci essere confuse con le doppie gonne che coprono il capo rialzando la parte posteriore28 e delle quali si dir pi avanti. del tutto naturale interrogarsi su una cos strana foggia che, a guardare la funzione, potrebbe essere sostituita con vantaggio da un semplice manto. possibile che derivi dalla necessit di coprire il capo uscendo di casa allimprovviso utilizzando proprio una vera gonna che, anzich essere indossata cingendola in vita, viene posata semplicemente sul capo; nel tempo questa consuetudine pu aver dato luogo alla confezione di un vero copricapo uguale ad una piccola gonna. La descrizione di questi indumenti puntuale nelliconografia del primo Novecento e numerose sono anche le immagini fotografiche. La confezione prevede luso dei tessuti pi vari sia in lana che in cotone, in tinta unita e nelle diverse fantasie soprattutto scozzesi, rigate, a fiori e a fiamma; un largo bordo in

tessuto contrastante applicato sia allesterno che allinterno. La parte corrispondente al punto vita viene posata sul capo, gi coperto con un fazzoletto, cos che lindumento ricade lungo la schiena e, nella differente lunghezza, mostra sia il bordo applicato sul diritto sia quello sul rovescio.

149. Alessio Pittaluga, Femme dUsini (Donna di Usini), 1928 ca., litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni. 150. Tempio, foto depoca, inizio sec. XX. 151. Tempio, foto depoca, inizio sec. XX. 152-153. Abito femminile da visita, Osilo, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 154-156. Abito femminile giornaliero, Ittiri, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Cappelli a tesa Copricapo prettamente maschile, se ne conosce luso in ambito femminile solo grazie a fonti iconografiche del primo Ottocento. Si tratta di un cappello a cilindro, rotondo, probabilmente di feltro nero, che viene indossato sovrapposto allinsieme velo e cuffia, con laggiunta di fiori e nastri di decoro sulla tesa. Secondo quanto riportato dal La Marmora, se il matrimonio ha luogo in una stagione in cui si teme lazione dannosa del sole, le donne, in qualche contrada, aggiungono al loro costume un cappello rotondo di feltro, che mettono solo in questa occasione ed ornano di piume, di galoni, di nastri e di fiori.29 Il Tiole, nelle tavole n. 5, 55 e 77, rappresenta una figura femminile che indossa questo particolare copricapo, confermando le fonti iconografiche del periodo. Sembrerebbe dunque che si tratti di un capo prettamente maschile introdotto solo sporadicamente nellabbigliamento femminile di gala,30 ma non da escludere una sua utilizzazione in ambito giornaliero. Nella tavola n. 33 della Collezione Luzzietti31 del primo decennio dellOttocento, infatti, raffigurata una donna di Oristano in abbigliamento quotidiano che indossa, sopra un grande fazzoletto annodato sotto il mento, un cappello rigido, di forma bombata, a testimoniare un uso probabilmente pi esteso di quanto non sia possibile dedurre dalle sole immagini di La Marmora e Tiole che di fatto riproducono lo stesso soggetto in tenuta di gala.32 Nelle raccolte pubbliche e private, tuttavia, non risulta essere rimasta traccia di questo copricapo.

CAMICIE

157. Anonimo, Donna di Oristano, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 158. N.B. Tiole, Nuoveaux Maries, 1819-24, acquerello su carta. 159. Giuseppe Cominotti, Noce. Arrive dune jeune fille de Sinai marie un riche cultivateur de Quartu, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora.

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ndumenti fondamentali del sistema vestimentario popolare, sono attestate in numerose varianti; i modelli destinati alluso giornaliero sono realizzati con tele piuttosto resistenti di cotone di produzione industriale o lino tessuto in casa, con ornati molto semplici posti soprattutto in corrispondenza dello scollo e dei polsi. I capi festivi e di gala, realizzati con tele di maggior pregio, mostrano ricami ricercati e preziosi, sempre pi appariscenti a partire dai primi anni del Novecento. Lesame dei reperti permette di individuare tipologie di camicie ascrivibili a due grandi gruppi: camicie lunghe che coprono fino a met gamba o alla caviglia e camicie corte che coprono fino alla vita o al bacino. possibile che larchetipo comune sia stato una camicia lunga, un originario capo con doppia funzione intima e esterna, diffuso in tutta la Sardegna, che si poi differenziato con modifiche strutturali non significative ma con interventi decorativi assai diversi determinati dal modello vestimentario delle diverse localit che pu richiedere una maggiore o minore esposizione della camicia. La semplicit della struttura di questi indumenti li rende facilmente adattabili a diverse corporature, le dimensioni sono pertanto piuttosto uniformi; lampiezza e la lunghezza delle maniche sono condizionate dalluso o meno di un indumento a manica lunga (giubbetto, giacca o bolero) da sovrapporre alla camicia e dalla tipologia della manica di questo stesso indumento. Le fonti iconografiche non permettono di stabilire con certezza se le camicie femminili rappresentate fossero di tipo lungo o corto, n si pu affermare con certezza che il lembo bianco che oltrepassa lorlo delle gonne raffigurate dal Martelli o dal Dalsani sia la parte inferiore della camicia e non un indumento a s stante. La denominazione locale non offre alcuno spunto per una differenziazione tipologica. Il termine camsa, con le varianti ammsa, amsa, camgia, camsia ed altre, presente in tutta lisola riferito indifferentemente a modelli lunghi o corti. I diminutivi camisdda e amisdda sono peraltro usati rispettivamente a Desulo e a Fonni anche per la gonnella di orbace33 e per la sottogonna di tela di lino o cotone pesante. Termine pi antico ed attestato in tutta larea mediterranea lnza, ma anche in questo caso non si pu dire se i capi cos denominati fossero lunghi o corti. Il Wagner scrive: Anticamente la camicia delle donne si chiamava lndza, parola che vive ancora nel Centro (Wagner, DES, lemma kampa). Lo stesso autore precisa che un termine diffuso a Bitti, Lula, Lollove e

Orune per definire la camicia da donna fatta di lino e tessuta in casa e richiama i termini rumeni iie e albanese lin}. A Nuoro, dove si usa la camicia corta, il termine lnza indicava la camicia femminile mentre quella maschile veniva detta ghentne; entrambi i termini sono stati sostituiti nei primi decenni del Novecento dal pi comune camsa.34 Caratteristica della gran parte delle camicie lampiezza del tessuto della parte superiore e delle maniche che pu essere raccolta con semplici increspature nascoste o con un ricamo geometrico realizzato su una apposita, fittissima increspatura. Tale ricamo tecnicamente definibile con il nome moderno di punto smock del quale costituisce una raffinatissima variante locale. La modernit del termine non significa affatto una modernit della tecnica che invece attestata in ambito colto, nazionale ed estero, almeno fin dal XV secolo e successivamente, in ambito popolare, con attardamenti tipici dei passaggi e della diffusione dalle classi agiate a quelle popolari. Si tratta di un ricamo impostato sulle strette increspature del tessuto in corrispondenza del collo, dei polsi e allattaccatura delle maniche; su tali increspature, pi o meno fitte in relazione al titolo del tessuto impiegato, si realizzano motivi geometrici o naturalistici stilizzati utilizzando pi frequentemente la tecnica del punto ondulato, punto erba, punto doppio o punto incrociato. Quanto pi sottile il tessuto impiegato, tanto pi piccoli sono i punti di ricamo, tanto pi lindumento pregiato e costoso, specialmente se ricamato con fili in tinta. Questo genere di ricamo attestato nellabbigliamento popolare in Albania, Grecia, Polonia, Romania, Spagna, Ungheria, oltre che in alcune zone del nord Africa con varianti determinate dai motivi geometrici ricamati e dal tipo di filato usato per realizzarlo (cotone in tinta con il tessuto o in contrasto cromatico). Come in Sardegna anche in questi luoghi si tratta di un tipo di ricamo presente soprattutto nelle camicie, dunque su tele di lino o cotone, ma non mancano realizzazioni su tessuti pi pesanti sia di lana che di cotone. In Sardegna conosciuto con diverse denominazioni: pntivnu (Samugheo), cro (Nuoro, Oliena, Orgosolo), alchttu, razzni (Viddalba e area gallurese). Per questo tipo di ricamo delle camicie nuoresi Grazia Deledda scrive: Alle camicie trapuntate si fa il cuore su coro come si eseguisce anche in talune camicie maschili. Questo cuore una specie di ricamo ad ago sulla larga increspatura (sas ispunzas) che raccoglie limmenso volume della tela sul collo e sui polsi. Ci vuole unarte di Aracne per eseguire questi ricami variatissimi e belli. Occorrono molti
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punti e il nome di coro proviene da ci che la figura del ricamo composta di cuori pi o meno finiti, pi o meno fioriti e piccoli. C il cuore di sette il cuore di nove, ecc..35 La denominazione punto smock, bench tecnicamente rispondente, non soddisfa pienamente le caratteristiche di questo magnifico ricamo che, data la forte connotazione isolana sar definito, dora in poi, punto sardo su tela arricciata. Le denominazioni degli altri punti rimangono quelle da tempo codificate nei manuali di ricamo. Analizzando nel loro insieme le camicie sarde nellexcursus cronologico in esame, si ha daltro canto un campione completo di tutte le tecniche del ricamo in bianco utilizzate per realizzare motivi geometrici e floreali. Si inizia con gli elementari punto erba, catenella, vapore, mosca, spina, festone, strega, per arrivare al punto damasco, lanciato, pieno, pieno imbottito, punto pisano, punto inglese, ricamo a intaglio o Richelieu; notevoli i punti di ricamo su tela sfilata che comprendono le numerose varianti di punti a giorno realizzati a fascetti, a punto maglia, cordoncino e rammendo in una grande quantit tipologica. Specialmente nei ricami del primo Novecento lornato floreale realizzato sfruttando la trasparenza ottenuta combinando insieme diversi tipi di fondi a giorno (retini su tela sfilata) contornati a punto festone o cordoncino, per ottenere decori di grande effetto. Assai diffuso, dalla fine dellOttocento in poi, anche il ricamo su tela sfilata, erroneamente definito filet, caratterizzato da un reticolo di fondo lavorato a punto cordoncino sul quale, a punto rammendo, si eseguono i motivi ornamentali costituiti soprattutto da rose, grappoli duva ed altri motivi fitomorfi stilizzati. Il filet vero e proprio o modano, vale a dire la rete annodata, ricamata a punto rammendo, oppure utilizzata come sfondo per lapplicazione di ricami a punto festone, presente in rari e raffinati esemplari successivi agli anni Venti del Novecento. Da segnalare limpiego del punto in aria (punto occhiello) realizzato ad ago, di tradizione cinquecentesca, per rifinire i ricami sullo scollo e sui polsi; un punto di ricamo che richiede grande perizia: viene realizzato come un merletto partendo da una sola linea di appoggio 160
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e ricamando diversi ordini di minuscoli archetti a punto occhiello intercalati da pippiolini, ragnetti e rosette. Anche qui da precisare che le bordure pi antiche sono sottili, mentre nelle camicie di gala pi recenti raggiungono dimensioni considerevoli.36 Si tratta di un insieme di punti di tradizione antica utilizzati nella piena aderenza al gusto isolano o suggeriti dalle riviste di ricamo che ripropongono i temi della grande tradizione del merletto italiano rielaborati nel gusto proprio delle correnti stilistiche del primo Novecento. Alla diffusione del ricamo concorre anche lattivit delle monache, presso le quali le giovani di famiglia agiata apprendono le pi raffinate tecniche per la realizzazione dei corredi, e lapertura di istituti religiosi che impegnano le giovani donne in attivit di cucito e ricamo.37 Le trine a fuselli in sottile filato di lino sono piuttosto rare, soppiantate dal pi comune pizzo ad uncinetto o da merletti meccanici. Rarissimo anche il chiacchierino talvolta utilizzato per interventi di riparazione in sostituzione del merletto a punto in aria. Da tenere presente il ricamo che orna le camicie di Teulada, sia maschili che femminili.38 Il pizzo San Gallo ed altri tipi di merletti meccanici entrano nellabbigliamento tradizionale dopo il primo ventennio del Novecento e si diffondono solo laddove la tradizione del ricamo a mano non ha mai trovato uno sviluppo compiuto o sono impiegati in esemplari da riparare o da utilizzare in ambito giornaliero. Lunione delle varie parti dellindumento realizzata a mano o a macchina a costura piatta o doppia, tecniche che danno consistenza anche ai tessuti pi leggeri e rifiniscono senza sfilacciature quelli pi pesanti, garantendo anche una maggiore resistenza ai lavaggi e al logorio dovuto alluso. Solo raramente, in esemplari rimaneggiati e comunque utilizzati al di fuori dallambito tradizionale, si osservano cuciture di qualit inferiore. Il lutto impone la riduzione delle scollature, la rinuncia ai ricami vistosi con la sola concessione di quelli necessari per la struttura dellindumento, ma in tutti i casi, anche questi, semplificati. Per le vedove, specie nei primi tempi, anche leccessivo candore della camicia fresca di bucato doveva essere smorzato esponendola al fumo del focolare prima di indossarla.

Camicie lunghe La loro diffusione interessa tutta lisola ad eccezione della zona del Nuorese e della Baronia. Gli esemplari di struttura pi arcaica nascono dallunione di una parte superiore costituita da cinque o sei elementi rettangolari, proporzionati alla taglia del committente, uniti a formare busto e maniche, ai quali vanno aggiunti gli elementi ornamentali, vale a dire i polsi ed eventualmente i decori della scollatura anteriore e del petto che possono essere preparati a parte e applicati successivamente insieme al bordo che rifinisce la parte posteriore della scollatura; a questo insieme viene unita una parte inferiore, in genere costituita da due o quattro teli. La tela di cotone o lino impiegata per la confezione della parte superiore pu essere molto sottile, quella utilizzata per la parte inferiore, sempre in lino o cotone, in genere molto grossolana e pesante tale da risultare pi resistente allattrito con i tessuti delle gonne. Talvolta la parte inferiore eccede, in larghezza, rispetto a quella superiore e, in corrispondenza dei lati, lungo il punto di unione, si osservano due spacchi trasversali. La vestibilit data da una lunga apertura longitudinale

160. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Bitti (circond. di Nuoro), 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 161. Camicia festiva e di gala, camsa, Sinnai, seconda met sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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anteriore chiusa in corrispondenza del petto con asole trasversali che permettono linserimento di bottoni gemelli doro, dargento o di filo di lino o cotone. Alcune camicie presentano doppio davanti, vale a dire unapertura posteriore, rifinita in modo pi semplice rispetto a quella anteriore, da utilizzare comunque come davanti quando ve ne sia necessit. Lampiezza del tessuto in corrispondenza dello scollo, dellattaccatura delle maniche e dei polsi viene raccolta come descritto nella parte generale. Da unarea allaltra dellisola cambiano in modo significativo la forma e le ornamentazioni dello scollo, del petto e dei polsi anche se si pu affermare che comunemente gli esemplari di gala pi antichi presentano ricami realizzati con grande raffinatezza concentrati su scollo, polsi e parte anteriore centrale, mentre con lavvicinarsi ai nostri giorni si abbandona lo stile del ricamo antico a piccoli punti in favore delle grandi forme naturalistiche ottocentesche. Ad Aritzo, Samugheo, Busachi si pu facilmente notare che il ricamo delle camicie di gala, dalla fine dellOttocento ad oggi, si esteso progressivamente a tutta la parte anteriore, con grandi ornati floreali stilizzati realizzati su tela sfilata, con vari tipi di retini, ad intaglio, a punto pieno, erba e festone. A Tonara, dove le camicie antiche sono estremamente semplici e davvero rare quelle festive ricamate, la parte del petto e dei polsi vede spesso lapplicazione di pizzo San Gallo. Scolli rotondeggianti guarniti con volant e polsi lisci o a volant caratterizzano le belle camicie lunghe dellarea campidanese: Quartu S. Elena, Settimo S. Pietro, Sinnai, Maracalagonis, Selargius. Il volant, i polsi e lattaccatura delle maniche presentano raffinati ricami con bordi a fuselli o ad ago negli esemplari di gala pi antichi, profili ad uncinetto nei

162. Camicia, camsa, Iglesias/Tratalias, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 163. Camicia festiva, camja, Torralba, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 164. Camicia festiva, camja, Thiesi, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

capi pi modesti o di datazione pi recente. Nella stessa area, per un uso giornaliero o per le ragazze pi giovani lo scollo pu essere meno ampio e guarnito con un collettino diritto e semplici ricami di rifinitura. Le camicie lunghe di Desulo, molto accollate, sono caratterizzate, nei modelli di gala, da ricami minuti e raffinatissimi realizzati in corrispondenza del collo, dei polsi e lungo lapertura anteriore; anche gli esemplari destinati ad un uso giornaliero mostrano spesso rifiniture di grande pregio. In qualche caso il ricamo pu essere realizzato con fili di cotone in colore contrastante rosa o celeste (Ollolai, Sennori). Sulla parte anteriore, simmetricamente allapertura, in senso longitudinale si realizzano, talvolta, semplici impunture. Il lavaggio, la stiratura e lapprettatura pi o meno sostenuta, ottenuta con amido semplice o cotto, richiedono una cura particolare specie per la parte anteriore; le maniche delle camicie che devono essere indossate solo con il corpetto o con giubbetti a manica aperta possono essere apprettate e pieghettate a fisarmonica in senso orizzontale o verticale (Quartu S. Elena, Settimo S. Pietro, Sinnai, Ploaghe). La trasformazione dellabito tradizionale avvenuta in alcune zone dellisola sin dalla fine dellOttocento sulla scia della moda borghese, con il conseguente abbandono dellinsieme camicia/corpetto/giubbetto in favore di giacche e bluse di foggia moderna ha comportato la sparizione o la modifica sostanziale di questo tipo di camicie che ritornano in qualche caso ad essere utilizzate come indumento intimo.

165. Camicia festiva e di gala, camsa, Sinnai, seconda met sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Camicie corte Questo gruppo comprende le camicie che coprono il busto non oltre la linea dei fianchi. Lampiezza, in particolare quella delle maniche, varia in funzione della utilizzazione con gli altri capi dellabbigliamento tradizionale ad essa sovrapposti, senza che questa costituisca comunque un elemento di differenziazione tipologica. Sono confezionate in tela di cotone o di lino di colore bianco, di qualit varia, ma in genere piuttosto sottile, con varie denominazioni in lingua italiana (percalle, pelle ovo, madapolam, tela di Cambrai ecc.) mantenute, con qualche trasformazione, anche nella parlata locale (trambcche, plle vo, perclle, madpolam). Nella confezione dello stesso capo possono essere utilizzate tele di varia qualit: cotone mediocre per la parte posteriore e ottima tela, molto sottile, di lino o di cotone, per la parte anteriore; le maniche possono essere confezionate con tessuto uguale a quello della parte anteriore se destinate a fuoriuscire dalle aperture delle maniche del giubbetto, in caso contrario possono essere di qualit inferiore. Per le stesse ragioni esposte sopra anche capi realizzati in tela di cotone e di lino sottilissimo privilegiano luso di questultimo per la confezione delle parti in vista. Il colore della tela il bianco in varie tonalit. Luso abbastanza diffuso dellindaco in polvere o a scaglie per ottenere lazzurraggio del tessuto, vale a dire una lieve ombra dazzurro che d pi luce al bianco, ha portato, in alcuni casi, ad eccedere nelluso ottenendo una particolare tonalit di azzurro chiaro che tipica delle camicie di Oliena tra gli anni Venti e Sessanta del Novecento.

Alcuni modelli presentano apertura anteriore centrale e sono formati dallunione di cinque o sei parti rettangolari, proporzionate alla taglia del committente, alle quali vanno aggiunti gli elementi ornamentali, vale a dire i polsi e i tre pezzi della scollatura anteriore e del petto, in genere preparati a parte e applicati successivamente insieme alla finitura della parte posteriore della scollatura. Questa pu essere costituita da un unico pezzo quadrangolare o da due rettangoli uniti tra loro mediante un bottone o un nastro per regolare lampiezza dellindumento; in entrambi i casi il tessuto arricciato in corrispondenza della scollatura. Queste varianti sono spesso determinate dalla necessit di sostituire i pezzi deteriorati o di adattare lindumento ad una diversa corporatura. La parte anteriore sempre costituita da due elementi di tessuto di forma rettangolare arricciati nella parte superiore corrispondente alla scollatura; tale arricciatura viene eseguita tirando in pi ordini i fili di trama del tessuto fino a ridurlo dellampiezza desiderata, ricamando linsieme con la tecnica del punto sardo su tela arricciata descritto in precedenza. Ciascuna manica costituita da un rettangolo di tessuto arricciato su uno dei lati brevi nella parte centrale che viene fatta coincidere con la spalla mentre sul lato opposto il tessuto viene ridotto fino ad ottenere lampiezza necessaria per il polso, con la stessa tecnica descritta per la parte anteriore della scollatura. Un tassello sottoascellare di forma quadrangolare, che funge da collegamento delle parti suddette, aumenta lampiezza del giromanica; le dimensioni di questo inserto sono proporzionate alle dimensioni complessive del

166. Camicia festiva, camsa, Mamoiada, inizio sec. XX Mamoiada, coll. privata.
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167-168. Camicia festiva e di gala, ammsa, Oliena, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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169-170. Camicia festiva e di gala, camsa, Bono, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 171. Camicia festiva e di gala, camsa, Dorgali, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 172. Camicia festiva, camsa, Orosei, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 173. Camicia festiva, camsa, Busachi, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 174. Camicia festiva e di gala, camsa, Samugheo, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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Quaranta del Novecento presentano invece apertura a doppio petto, foderata e irrigidita con pi strati di tessuto, da coprire con pettorine lavorate a parte eventualmente intercambiabili (Benetutti). Le camicie da indossare con modelli di giacca di foggia borghese possono essere tagliate con giromanica di tipo moderno, presentano abbottonature centrali o laterali per tutta la lunghezza dellapertura e colli montanti alla coreana con piccoli ricami o pizzi applicati. Pettorine Luso delle pettorine permette di lavare con frequenza le camicie senza rischiare il logorio delle parti anteriori, di norma pi ricamate. Questo tipo di indumenti non distinguibile, nelle fonti iconografiche, dalla parte anteriore delle camicie e non potrebbe essere diversamente dato che gli esemplari esaminati riproducono di fatto questa parte; sono dunque confezionati in due met con ricami particolarmente pregiati e asole per permetterne la chiusura. Si appuntano alla camicia inornata con spille, bottoni o laccetti, oppure con lacci passanti dietro le spalle, incrociati e riportati nella parte anteriore dove vengono annodati. I tessuti usati per confezionarle e le tecniche di ricamo sono le medesime descritte per le camicie. Del tutto particolari le pettorine in uso a Benetutti al principio degli anni Quaranta. Sono tagliate in un unico pezzo e coprono completamente la parte anteriore della camicia che ha doppio petto ed priva di ornamenti. Si fissano con asolette a piccoli bottoni cuciti alla camicia in corrispondenza delle spalle. Sono ricamate su tela di lino semplice, tela di Fiandra operata, raso di seta o filet con ricami applicati.
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175. Camicia festiva e di gala, camsa, Ussassai, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 176. Camicia, camsa, Benetutti, 1948 Benetutti, coll. privata. 177. Camicia e pettorina, camsa e pettorna, nellinsieme festivo e di gala, Benetutti, 1948 Benetutti, coll. privata. 178-180. Pettorina, pettorna, Benetutti, 1948 Benetutti, coll. privata.

capo. La parte anteriore della scollatura e i polsi sono rifiniti in modi che variano sensibilmente in relazione alla funzione duso del capo (festivo, giornaliero, da lutto) ed al luogo di provenienza dello stesso; in linea di massima si nota la presenza di elementi decorativi pi o meno elaborati realizzati su strisce rettangolari di lino o di cotone di lunghezza sufficiente a coprire completamente la parte anteriore della scollatura e i polsi. Per quanto attiene al ricamo e alle ornamentazioni vale quanto detto nella parte introduttiva sulle camicie. I capi esaminati presentano in genere scollatura e polsi lisci, pi rari gli esemplari con volant arricciato. Nelle camicie festive una porzione di tessuto ricamato in abbinamento alla scollatura viene appuntata sulla parte anteriore al fine di mascherarne lapertura. Questo tipo di camicie viene sempre chiuso con bottoni gemelli doro o dargento passanti attraverso asole longitudinali aperte nel tessuto o a ponte. Le camicie giornaliere presentano asole piccole, per bottoni di dimensioni ridotte che pos120

sono essere sostituiti da un semplice nastrino colorato o da bottoncini di filo a forma di piccola bacca; quelle festive hanno asole lunghe fino a cm 4-5 visto il maggior diametro dei bottoni doro; i polsi sono chiusi con piccoli gemelli doro, bottoncini di filo o di madreperla. Le ornamentazioni sono realizzate rigorosamente a mano; la sporadica comparsa di applicazioni di pizzo meccanico, realizzato con varie tecniche, generalmente dovuta ad una fase ultima di utilizzazione in ambito domestico o, ormai cessato luso abituale, a rimaneggiamenti recenti per utilizzazioni in ambito carnevalesco o folcloristico. La preparazione delle camicie festive, che rientrano nella tipologia descritta, piuttosto laboriosa perch richiede una accurata apprettatura dei ricami e del tessuto delle parti anteriori la cui ampiezza viene ridotta stirando il tessuto a piccole pieghe parallele orientate dal centro dellindumento verso i lati.39 Alcuni tipi di camicia corta presentano le parti anteriori lisce e cosparse di ricami. Altri modelli confezionati tra gli anni Trenta e

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FAZZOLETTI, SCIALLETTI DA SPALLA E COPRISENO

azzoletti (del tutto simili a quelli da testa) e scialletti da spalla si distinguono tra loro solo per la presenza o meno di frange; possono avere forma quadrata o triangolare (sciallnu, prre sra, mucadre in trgu), sono indossati ripiegati a triangolo e incrociati sul petto fissando gli angoli anteriori alla gonna, oppure piegati a sciarpa e indossati come stola fissando le estremit anteriori dentro il corpetto, senza incrociarle. La diffusione di questi indumenti interessa tutta lisola sia negli insiemi festivi che in quelli giornalieri, fatta eccezione per larea centrale. Gli scialletti frangiati di seta possono

di Cagliari. I copriseno sono di due tipi. Il pi semplice un fazzoletto (mucadri e pitrra, pannddu, pnne pettrra, pnnu de incordeddi ) di medie dimensioni che viene fissato alle bretelle del corpetto e lasciato ricadere sul petto o rimboccato allaltezza della vita coprendo tutta la parte anteriore. un fazzoletto di produzione industriale, in tela di cotone stampata nelle pi diverse fantasie o, per la gala, in tessuti di seta operati; presente anche nellabbigliamento quotidiano per proteggere la camicia nello svolgimento delle attivit domestiche.40 Derivati dai fichu settecenteschi sembrano essere i copriseno

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essere in tessuti leggeri operati su base damasco o taffett, o pi pesanti come i cannellati del tutto uguali a quelli usati come copricapo, salvo le dimensioni ridotte, oppure in crespo di seta sia in tinta unita che fantasia. Analoghi ai veli da testa sono anche i fazzoletti in tulle che, ripiegati a triangolo, coprono i giacchini indossati nellinsieme festivo delle panattre

a sciarpa usati in area logudorese (pettira, isclpa), sono in tulle bianco ricamato a motivi floreali o con leggeri tessuti di seta color crudo o in fantasie delicate. Una variante quella in raso o gros di seta, con fodera di sostegno, ricamata a motivi floreali in seta o canutiglia doro o dargento, spesso in abbinamento al corpetto.

181. Scialletto da spalle, prra, Iglesias, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 182. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Iglesias, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 183. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Domestica del Campidano. Cagliari, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 184. Abito da sposa e di gala della panattra, Cagliari, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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CORPETTI

uesti indumenti, privi di maniche, aderenti al busto e tagliati per sostenere e dare risalto al seno, possono essere considerati, in Sardegna, gli indumenti pi conservativi. Per il loro valore intrinseco, dovuto alluso di tessuti pregiati, alla presenza di ricami elaborati e per la tipologia sartoriale, che non consente riutilizzi del tessuto, sono tra i capi pi rappresentati nelle collezioni pubbliche e private, specie nelle varianti festive e di gala. Come gi altri studiosi hanno osservato, i modelli di corpetti sardi possono essere distinti in due grandi classi che delimitano due aree geografiche ben definite: corpetti o busti rigidi nella Sardegna settentrionale e nel Goceano e corpetti morbidi nella Sardegna centro-meridionale e nel Nuorese.41 Tale suddivisione, tuttavia, non tiene conto di alcune varianti proprie dellarea barbaricina che potrebbero rientrare nella classe dei corpetti morbidi ma che presentano particolarit tali da costituirne una a s stante che potrebbe definirsi a fascia. In tutti i casi i corpetti hanno dimensioni assai ridotte e richiedono limpiego di una esigua quantit di tessuto; ci spiega lutilizzo di materiali di grande pregio, talvolta ritagli di capi di provenienza ecclesiastica o nobiliare rielaborati in ambito popolare. I colori sono di norma squillanti e le policromie accese nei capi destinati alluso festivo, pi smorzate in quelli duso feriale. Eccezione tra tutti il corpetto di Orgosolo (plas), tutto nero, con la sola nota del rosso dei profili, anche per luso festivo e di gala. Gli indumenti destinati al lutto prediligono i colori scuri, con nastri violacei; per il lutto vedovile duso il nero assoluto, appena stemperato da applicazioni di nastri o trine in tinta.

Corpetti rigidi o busti Diffusi come gi detto nella Sardegna settentrionale e nel Goceano, i corpetti di questo tipo sono chiamati imbstu a Osilo, Ploaghe, Bono, Ittiri, Cossone, ostgliu a Sennori, per citare solo qualche caso; si tratta di termini che richiamano i modelli di fine Seicento e Settecento talvolta citati nei lasciti testamentari. Questi indumenti sono costituiti da due parti simmetriche collegate, nella parte posteriore, da un intreccio di nastri passanti dentro semplici fori del tessuto o appositi occhielli rotondi; le due parti anteriori vengono allacciate sotto il seno con lacci infilati in forellini rotondi rinforzati con anelli metallici e rifiniti a punto occhiello o cordoncino. In alcune aree la parte posteriore costituita da un unico elemento al quale se ne uniscono altri due laterali, sagomati, muniti di occhielli che sostengono lallacciatura anteriore. In tutti i casi la parte inferiore presenta una serie di alette formanti una sorta di baschina che consente una migliore vestibilit. La fodera, in pesante tessuto di lino, cotone o canapa, doppia e impunturata per sostenere linserimento degli elementi vegetali in palma nana, steli di giunco e grano o stecche metalliche, che servono a sostenere il busto. Le parti anteriori eccedono in lunghezza rispetto alle altre e sono anchesse irrigidite con stecche metalliche o steli vegetali; queste appendici appiattiscono il ventre oppure si affiancano o si incrociano tra loro dando un caratteristico rilievo alladdome. Altro elemento caratterizzante sono le bretelle che per maggiore comodit, dove il giro manica sia molto stretto, possono essere allacciate e regolate dopo aver indossato il busto, utilizzando gli appositi laccetti anteriori. I modelli di gala pi 124

antichi, di met Ottocento, sono realizzati con tessuti di un certo pregio quali lampassi in seta e cotone laminati e broccati, damaschi e rasi spolinati; sono frequenti le applicazioni di galloni e trine metalliche disposte in senso verticale a sottolineare e dare maggior slancio alla linea. Nelluso di tessuti a grande o medio rapporto, in genere a motivi floreali o fitomorfi, si coglie una notevole attenzione nellorientare il tessuto per ottenere motivi decorativi simmetrici rispetto alla linea mediana dellindumento. Il ricamo piuttosto raro negli esemplari antichi e, quando compare, su velluti o raso di seta, schematico nella composizione ed elementare nella realizzazione che vede utilizzati il punto pieno imbottito, nodi, catenella, realizzati con fili e cordoncini di seta a colori vivaci. Sul finire dellOttocento i ricami si fanno sempre pi presenti, culminando, dopo il primo decennio del Novecento, negli ornati a grandi fiori a punto raso e pittura dalle delicate sfumature, su fondi chiari in gros, taffett o raso di seta.

185. Corpetto festivo, imbstu, Ittiri, primo decennio sec. XX Sassari, coll. privata. 186. Corpetto festivo, imbstu, Berchidda, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 187. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, primo decennio sec. XX Sassari, coll. privata. 188. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 189. Corpetto festivo, imbstu, Ittiri, prima met sec. XX Sassari, coll. privata.
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Nello stesso periodo si diffonde lapplicazione di paillettes, lustrini o perline e il ricamo con fili e canutiglie dargento con i quali si creano esemplari davvero spettacolari. Altre innovazioni si devono al ricamo a riccio, realizzato con una apposita macchinetta, e alluso dei fili in ciniglia di seta. In relazione alluso festivo o giornaliero variano anche le allacciature realizzate con nastri di taffett e raso di seta, talvolta in colori sfumati per la parte posteriore, soutache di lana o di seta per la parte anteriore. Questi tipi di corpetto sono bordati con nastrini soutache, taffett o velluto di seta in tinta vivace anche in contrasto con il colore del tessuto. Negli esemplari giornalieri tutto lapparato decorativo estremamente semplificato e si ricorre frequentemente a nastri variopinti, di cotone, per le allacciature e le bordure. In alcune localit come Ittiri, dove luso dellabito tradizionale si protratto fino a tutti gli anni Cinquanta, e ad Uri, lallacciatura anteriore stata sostituita da una sorta di pannello rigido sul quale i nastri sono accostati e cuciti; tale pannello viene chiuso su un lato del busto con una serie di ganci. Nel corpetto di Osilo, spariti i nastri, la parte anteriore viene fermata con due elementi trapezoidali, quasi sempre in raso di seta cremisi, agganciati nella parte centrale. I corpetti rigidi vengono indossati sotto corte giacche a bolero che ne lasciano in vista tutta la parte posteriore o sopra giacche e giubbetti pi lunghi. Laffezione a questi indumenti tale che nel primo Novecento, adottate gonne e giacche di foggia borghese, continuano ad essere usati sopra o sotto questi capi in una assoluta dissonanza formale. Nel Goceano il modello sopra descritto riservato alle lite. Quello tipico dellarea (Anela, Bono, Benetutti, Bultei, Burgos, Illorai, Nule), infatti, pur essendo di tipo rigido, si differenzia per la lunghezza, che non arriva a coprire il punto vita, per la forma, allincirca rettangolare, e per il fatto dessere sempre confezionato per un impiego a doppio diritto. La parte posteriore centrale presenta comunque una doppia serie di nastri passanti in appositi forellini, che costituiscono la memoria, ormai priva di funzionalit, delle allacciature regolabili dei busti rigidi prima descritti. La parte esterna del diritto buono, realizzata con velluto o raso di seta, ricamati o dipinti, anche ornata da nastri multicolori a motivi floreali e nappine formate con cordoncini di seta policromi, particolare, questo, che collega questarea al gusto estetico delle vicine zone delle Barbagie e del Mandrolisai. La parte interna, utilizzabile comunque come diritto per occasioni meno formali o mezzo lutto, mostra il modesto tessuto di fodera impunturato per trattenere le stecche; in molti casi si tratta di tessuti di cotone policromi a fiorami, oppure in tinta unita con motivi ornamentali dipinti. Anche le bordure presentano, su questo lato, ornamentazioni semplificate.

190. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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191. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 192. Corpetto festivo e di gala, imbstu, Torralba, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 193. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 194. Corpetto festivo, imbstu, Thiesi, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 195. Corpetto giornaliero, imbstu, Nughedu S. Nicol, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 196. Corpetto giornaliero, imbstu, Osilo, prima met sec. XX Sassari, coll. privata. 197. Corpetto giornaliero, imbstu, Benetutti, fine sec. XIX Benetutti, coll. privata. 198. Corpetto festivo e di gala, imbstu, Bono, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 199. Corpetto da mezzo lutto, imbstu, Bono, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 200. Corpetto festivo e di gala, pla a spra (particolare della parte posteriore centrale) Nuoro, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 201. Corpetto festivo e di gala, pla a spra, Nuoro, fine sec. XIX Nuoro, coll. privata.

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Corpetti morbidi Rientrano in questo gruppo i corpetti in uso nella Sardegna centro-meridionale e in Gallura, dove si segnala un modello (cilccu) a struttura morbida con le due parti anteriori interne irrigidite con stecche metalliche o steli vegetali. Anche per la confezione di questi corpetti si fa largo uso di tessuti pregiati e di ricami soprattutto per gli indumenti festivi e di gala. I modelli sono assai vari e si cercher di dar conto, per brevit, di alcuni tra quelli pi particolari. Alcuni coprono le spalle ed hanno le parti anteriori alte e rigide, unite tra loro con un gancio che lascia comunque in vista il davanti della camicia (Nuoro, Orgosolo, Oliena, Orani: plas ; Siniscola: zustllu). Ad Orani da segnalare un corpetto di tipo morbido assai interessante perch unito alla gonna detta iscarramgnu, descritta pi avanti. A Bitti, Orune, Lula, Lod, Lollove, con i termini solopttu, soropttu e soropu si indi-

cano corpetti morbidi in panno di lana giallo che coprono completamente le spalle e si chiudono sul davanti nascondendo parzialmente la camicia. Sono indumenti a doppio diritto che sul lato pi lussuoso presentano applicazioni in velluto di seta a fiorami e ricami geometrici, impostati lungo le linee di unione tra i diversi tipi di tessuto, realizzati con cordoncini di seta; sul lato interno le applicazioni sono in velluto in tinta unita e i ricami lineari e geometrici un po semplificati. I corpetti di Orosei, Irgoli, Galtell e Onifai, detti zustllu, sono talmente ridotti da coprire solo la parte superiore delle spalle, mentre sul davanti consistono di due elementi rigidi che sostengono lateralmente il seno e sono collegati tra loro da un cordoncino colorato che attraversa trasversalmente il busto. Nella Sardegna centrale sono piuttosto interessanti gli esemplari di Samugheo (corpttu, cropttu) che, nei modelli da adulta, conservano traccia della baschina ad

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alette; sono confezionati con tessuti broccati e laminati in seta e cotone guarniti con trine e passamanerie mentre gli esemplari ricamati perpetuano, anche in tempi a noi vicini, uno stile di disegno, schematico, naturalistico stilizzato, di antica tradizione. Anche a Busachi si trovano corpetti (pllas) interessanti per la qualit delle stoffe impiegate, per le rifiniture realizzate con nastrini policromi sapientemente pieghettati e per la cura con la quale vengono confezionati anche gli indumenti giornalieri il cui uso continua, tra le pi anziane, anche attualmente. In tutta larea centrale, fino a Sorgono, i corpetti sono bordati con nastri a colori vivaci. Larea centro-meridionale mostra corpetti assai omogenei nel taglio, coprono infatti le spalle quasi fino al punto vita con grandi scollature quadrangolari o rotondeggianti, mentre assai varia la scelta dei tessuti e lornamentazione. La confezione di capi festivi predilige, come nel resto dellisola, tessuti di pregio sui quali vengono applicati trine, nastri, lustrini e perline a sottolineare le linee di cucitura sulle spalle o ad ornare le piccole parti anteriori unite sotto il seno con una serie di ganci o nastri allacciati. I capi pi lussuosi vengono anche ricamati con fili e canutiglia dargento sul tessuto broccato. Per i capi giornalieri la tipologia dei tessuti impiegati comprende velluti di cotone uniti o stampati, lampassi, damaschi e tutta la gamma dei tessuti di cotone operati e stampati. Questi capi sono cuciti a mano o macchina, tutti sono accuratamente foderati con tele di cotone o di lino pesanti di colore chiaro, o con telette di cotone fantasia. 138

202. Corpetto festivo e di gala, pla a spra, Nuoro, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 203. Corpetto festivo e di gala, pla a spra, Nuoro, fine sec. XIX Nuoro, coll. privata. 204. Corpetto festivo e di gala, plas, Orgosolo, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 205. Abito festivo e di gala, Orgosolo, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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206. Corpetto festivo e di gala, pla (particolare della parte posteriore centrale), Oliena, seconda met XIX sec. Oliena, coll. privata. 207-208. Corpetto festivo e di gala, pla, Oliena, 1954 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 209. Corpetto festivo e di gala, corpttu, Ussassai, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 210. Corpetto giornaliero, palttas, Tonara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 211. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, seconda met sec. XIX Nuoro, coll. privata.

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212. Corpetto festivo, cssu, Quartu S. Elena, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 213. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 214. Corpetto festivo e di gala, provenienza sconosciuta, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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Corpetti a fascia Larea della loro utilizzazione circoscritta ad alcuni comuni (Gavoi, Fonni, Mamoiada, Ovodda, Olzai, Ollolai) dellarea barbaricina, cui si aggiunge Dorgali, unica eccezione, in prossimit della costa orientale. Sono corpetti costituiti da una stretta fascia di stoffa, irrigidita mediante linserimento di tessuti impunturati o di cartone, che cinge il busto passando sotto il seno, chiusa nella parte centrale e sostenuta da sottili bretelle. Tale fascia sempre costituita da tre elementi: uno posteriore centrale di forma triangolare o trapezoidale, cui sono raccordati i due elementi che cingono il busto fino alla parte anteriore. Il loro collegamento dato da nastri passanti dentro forellini, particolare questo che riporta ad una comune origine con i busti rigidi. Quanto la denominazione locale dei busti rigidi appariva coerente con il modello e la funzione, tanto pi la stessa denominazione imbstu di Fonni, Mamoiada ecc. e la variante plas di Ollolai e csso di Dorgali, appare in evidente contrasto con questo modello che, ridotto appunto ad una striscia, ha perso totalmente la funzione di copertura e sostegno delle spalle, del busto e dei fianchi. La parte

pratico ed anche difficile comprendere in quale tempo questo dettaglio si sia formato e poi codificato. Liconografia e le fonti sono assai avare di documenti ed , pertanto, preziosa la tavola n. 62 del Tiole raffigurante una donna di Bitti42 che indossa, sopra linsieme giubbetto e corpetto, un ulteriore indumento a fascia fornito di unappendice a punta in corrispondenza della parte anteriore centrale.43 Bisogna attendere lultimo quarto dellOttocento, con le tavole di Dalsani e Martelli, per trovare immagini femminili dei comuni in questione. Nella tavola del Martelli Donne di Bitti Costume antico questo tipo di corpetto descritto con maggiori particolari, mentre del tutto assente nellopera di Dalsani che raffigura soltanto linsieme moderno.44 Entrambi gli autori rappresentano invece con grande precisione i corpetti a punta di Fonni, Mamoiada, Ollolai rimasti sostanzialmente immutati fino ad oggi. Sul momento di formazione di questo modello necessario compiere studi pi approfonditi, confidando nel ritrovamento di qualche capo risalente almeno alla prima met del XIX secolo. Pu comunque avere senso attribuire alle punte anteriori una funzione di protezione magica del seno, di origine forse

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215. N.B. Tiole, Paysannes de Bitti, 1819-24, acquerello su carta. 216. U. Martelli, Donne di Bitti Costume antico, fine sec. XIX, litografia a colori. 217. Corpetto festivo, csso, Mamoiada, prima met sec. XX Mamoiada, coll. privata. 218. Corpetto festivo, csso, Mamoiada, prima met sec. XX Mamoiada, coll. privata. 219. Corpetto festivo, plas, Gavoi, prima met sec. XX Gavoi, coll. privata.
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anteriore, assai singolare, presenta in corrispondenza del seno due appendici triangolari pi o meno appuntite, sfilate e rigide, poste in prossimit della chiusura centrale. Si tratta di una forma che ha destato e desta grande curiosit e ha dato luogo a svariate interpretazioni sulla sua origine e sulla sua funzione. In realt non sembra proprio possibile dire che la particolare foggia di questo indumento e soprattutto delle sue punte abbia un fine 146

preistorica, della quale si perso, nel tempo, il significato. Si pu certamente affermare che le funzioni magiche e quelle decorative si svilupparono, fino ad un certo momento, insieme, soddisfacendo gli stessi obiettivi. Si pu anche affermare che il motivo della decorazione acquist sempre maggiore autonomia, mentre lo scopo magico restava indietro e tendeva a sparire Ma non scomparve del tutto.45 Il modello di corpetto dorgalese

(csso) appare del tutto particolare perch costituito da una semplice striscia di tessuto prezioso che presenta, nella parte anteriore, appena un accenno alle punte di cui si finora discusso. Tornando alla descrizione di questi capi si conferma luso, specie in quelli festivi, dei tessuti di pregio descritti per le altre tipologie con laggiunta di nastri di garza di seta, sovrapposti in pi ordini, e canutiglia dargento negli esemplari di Ollolai; gal-

loni doro e dargento e trine metalliche ornano gli indumenti pi antichi degli altri comuni, mentre i ricami floreali sulle punte e nella parte posteriore conoscono discreta fortuna negli esemplari confezionati dai primi decenni del Novecento in poi. Gli esemplari pi antichi sono bordati con panno scarlatto tagliato al vivo; bordure in velluto, taffett o gros di seta sono segno di grande lusso e di tempi pi recenti. 147

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220. Corpetto festivo, plas, Ollolai, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 221. Corpetto festivo, csso, Mamoiada, primo decennio sec. XX Mamoiada, coll. privata.

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CAPISPALLA

capispalla, vale a dire gli indumenti strutturati, di linea sia geometrica sia sagomata, che hanno come punto dappoggio le spalle e coprono il tronco e le braccia, sono presenti nella sola variante corta, dotata di maniche. Tra la fine del XVIII e i primi decenni del XX secolo, la copertura di tronco e braccia dunque assolta da camicie, corpetti e vari modelli di capispalla corti descritti allinterno di tre grandi gruppi: giubbetti, boleri, casacchini e giacchini. Giacconi, cappotti e mantelle sono invece del tutto sconosciuti anche nelle localit montane dellinterno dove probabilmente erano utilizzati, alloccasione, dei manti simili a quelli maschili denominati sccu. In generale sembrano essere sufficienti i copricapo di grandi dimensioni, descritti nelle apposite sezioni, i quali svolgono egregiamente la funzione di protezione dal freddo e dalle intemperie. Al di fuori delle fogge tradizionali, oggetto del presente studio, sono gli scialli di tibet di grandi dimensioni, drappeggiati sulle spalle, che sono usati esclusivamente nellabbigliamento di transizione ancora vitale in alcune localit dellisola.

Giubbetti Il termine giubbetto viene proposto per comprendere tutti gli indumenti a struttura geometrica o sagomata confezionati con tessuti pesanti (orbace, panno, velluto). La denominazione locale pi diffusa in tutta lisola zippne, gippni, giuppne, gippne, varianti derivate dallitaliano antico giuppone che definisce, fin dal Quattrocento, un indumento che copre il busto ed dotato di maniche. Sono comunque diffuse altre denominazioni quali camisgila e corttu. La linea di questi capi riecheggia i modelli cinquecenteschi e seicenteschi con la parte anteriore ridotta per lasciare in evidenza la camicia e il corpetto. Gli esemplari pi antichi sono caratterizzati da maniche lunghe fino al polso con grandi aperture in senso longitudinale dallascella

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222-223. Giubbetto festivo, corttu, Nuoro, fine sec. XVIII-inizio XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

224. Giubbetto festivo, zippne, Tonara, inizio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 225. Giubbetto festivo, zippne, Nuoro, prima met sec. XX Nuoro, coll. privata.

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226-227. Giubbetto festivo e di gala, gippne, Oliena, 1950 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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228-229. Giubbetto giornaliero, gippne, Oliena, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari sarde.

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230. Giubbetto festivo, zippne, Ollolai, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 231. Giubbetto festivo, zippne, Ollolai, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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allavambraccio (Nuoro, Oliena, Orgosolo, Tonara ed altri) dalle quali fuoriescono le ampie maniche delle camicie. Squarci o tagli nelle maniche rispondono allesigenza di ottenere una pi ampia mobilit degli arti superiori che il taglio geometrico dellattaccatura della manica non permetterebbe, e sono anche coerenti col gusto del XVI e XVII secolo che tende a valorizzare la camicia, trasformandola cos da capo intimo a capo esterno. In altri modelli lo stesso risultato ottenuto con brevi aperture collocate in corrispondenza dellascella o dellincavo del braccio. Sulla parte esterna della manica presente, lungo lavambraccio, unapertura chiusa con nastri o con appositi bottoni dargento, muniti di catenella, passanti entro lunghe asole.

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232-233. Giubbetto festivo, cippne, Fonni, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 234. Giubbetto giornaliero, zippne, Orgosolo, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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impossibile, in una trattazione di carattere generale, descrivere le varianti di giubbetto usate nelle diverse aree dellisola. I modelli rappresentati nelliconografia del primo Ottocento si rassomigliano tra loro pi di quanto non appaia negli esemplari esaminati, datati tra la fine del XIX secolo e la prima met del XX. Le illustrazioni risalenti al primo trentennio del secolo XIX, infatti, attestano la grande diffusione del giubbetto di panno rosso con maniche aperte o chiuse, mentre sembra pi rara lutilizzazione dellorbace. La lunghezza tale da sfiorare i fianchi con una corta baschina ad alette, apprezza-

bile soprattutto nella parte posteriore. Si deve anche evidenziare che le parti anteriori dellindumento sono di ampiezza maggiore rispetto agli esemplari depoca successiva e possono essere accostate lasciando in parziale evidenza il busto oppure essere chiuse con lacci o bottoni. In questo periodo gli indumenti appaiono inornati

235-237. Giubbetto festivo e di gala, cippne, Desulo, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 238-239. Giubbetto, zippne, Mamoiada, fine sec. XIX Mamoiada, coll. privata. 240. Giubbetto, cippne, Sorgono, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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241-243. Giubbetto, cippne, Atzara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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244. Giubbetto, corttu, Benetutti, fine sec. XIX Benetutti, coll. privata. 245. Giubbetto festivo, cippne, Samugheo, prima met sec. XX Samugheo, Museo Unico Regionale dellArte Tessile Sarda. 246. Giubbetto festivo e di gala, cippne, Samugheo, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
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o presentano applicazioni di tessuto sovrapposte a scopo decorativo e vengono per lo pi indossati sopra il corpetto. La foggia cos rappresentata si evolve in un primo tempo con applicazioni di stoffe in tinta unita (velluto blu o azzurro) o nastri in colore contrastante. Lo stacco tra i tessuti viene sottolineato con linee di ricamo realizzato mediante cordoncini e fili di seta policromi a motivi lineari e geometrici. Nel tempo i capi esaltano le differenze tra un paese e laltro nel modulare la posizione delle applicazioni, il colore delle stesse e nellutilizzare, pi o meno estesamente, i ricami. A partire dalla seconda met dellOttocento, ai velluti in tinta unita si sostituiscono quelli operati policromi accostati a tessuti o nastri broccati; nel primo decennio del Novecento la quantit di simili applicazioni e lestensione delle parti ricamate tale da occultare quasi completamente la struttura del capo che continua ad essere realizzata in panno rosso; nello stesso tempo in tutta lisola

si assiste ad una riduzione delle ampiezze, dovuta allinfluenza della moda di fine Ottocento: le spalle si restringono e talvolta anche le maniche, le parti anteriori sono appena abbozzate e la stessa lunghezza talmente ridotta che la baschina ad alette, priva ormai di una funzione pratica, risulta spesso posizionata al di sopra del punto vita, mantenendo una funzione esclusivamente ornamentale. La gran parte di questi capi, si detto, confezionata in panno di lana rosso di qualit e gradazione cromatica diversa. In alcune localit la predilezione per una tonalit di rosso vivo o tendente allarancio si mantiene fino alle ultime fasi di produzione, in altre i cambiamenti cromatici avvengono per il concorso di pi fattori, quali la mancata presenza sul mercato di un certo tipo di tessuti o la modifica del gusto che, avvicinandosi il primo Novecento, predilige tonalit pi sobrie. Le pezze di panno rosso sono importate dalla penisola italiana, dalla Francia e

247-248. Giubbetto festivo e di gala, corttu, Bono, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari. 249. Giubbetto da mezzo lutto, corttu, Bono, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari.

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ad essere indossati nelle sole varianti festive e di gala hanno perso, nel tempo, questa particolarit che rimasta soltanto in alcuni giubbetti usati nella Sardegna centrale. La confezione di questi indumenti di norma assai accurata e presenta cuciture a macchina ribattute e rifinite a mano. Nei capi pi antichi i ricami, se presenti, sono caratterizzati da motivi lineari, geometrici o naturalistici stilizzati. Tra la fine dellOttocento e per tutto il Novecento si diffondono i ricami naturalistici di medie e grandi dimensioni realizzati con fili di seta policromi o con fili e canutiglie doro e dargento. La decorazione invade le parti pi in vista dellindumento sia nel caso che il giubbetto venga indossato sopra il corpetto, come a Desulo, sia che venga indossato sotto un corpetto o busto rigido, come avviene

250. Giubbetto festivo, gruppttu, Osilo, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 251. Giubbetto festivo, coipttu, Sennori, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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dalla Germania, ma non infrequente anche limpiego di tessuti derivati da vecchie divise militari. Allinizio del XX secolo si diffonde luso dei coloranti allanilina che in alcuni paesi vengono usati proprio per rafforzare o scurire le tonalit di rosso. A Nuoro, ad esempio, i giubbetti femminili confezionati in questo periodo mostrano gi il ricorso a un panno di colore rosso cupo ottenuto infeltrendo il tessuto in un bagno di acqua e calce e sottoponendolo a tintura con colori allanilina per raggiungere una tonalit bordeaux propria degli antichi indumenti da mezzo lutto. I capi destinati ad essere usati 168

esclusivamente sotto il corpetto possono essere confezionati con tessuto di minor pregio nelle parti destinate a rimanere nascoste. caratteristica comune alla gran parte dei giubbetti in panno quella di non presentare fodere, ma di avere un rovescio rifinito in modo da prestarsi anche ad un uso a doppio diritto. Ci consente una grande flessibilit nella combinazione dei vari capi utilizzati sia al diritto sia al rovescio, giocando su una dotazione minima di elementi base. Questa flessibilit tanto pi apprezzabile nelle varie norme del lutto per le quali si rimanda alla parte introduttiva.46 I capi destinati

nellinsieme di gala di Sennori dove le maniche appaiono come rigide ali ricoperte con un ricamo in canutiglia doro. Gli esemplari per lutto stretto sono confezionati in panno bruno o nero e in genere non presentano variazioni nel taglio, ma una estrema semplificazione delle ornamentazioni e dei ricami sempre realizzati in tinta. Per il lutto vedovile di fine Ottocento, in alcune localit prescritto luso di un indumento apposito che si differenzia sia per il taglio sia per la denominazione dagli altri modelli.47 La stessa terminologia (zippne, gippni, giuppne, gippne) usata per i giubbetti appena descritti anche frequente per modelli dalle caratteristiche di maggiore modernit che hanno sostituito i capi pi antichi mantenendone comunque il nome. Alcuni modelli saranno descritti pi avanti come boleri, altri ancora rientrano pi propriamente tra i capi definiti come casacchini e giacchini.

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Boleri Indumenti caratterizzati da una limitatissima lunghezza, presentano sempre maniche lunghe e strette, in qualche caso con brevi spacchi. Sono specialmente presenti nella Sardegna centro-settentrionale, dove sono detti corttu, e nella Baronia di Orosei dove sono chiamati zippne. A partire dalla prima met dellOttocento possibile seguire levoluzione di modelli caratterizzati da forme

equilibrate, lunghezze a met spalla ed elementi anteriori assai ridotti che lasciano in evidenza la camicia ed il busto. possibile che la diffusione del bolero sia iniziata alla fine dellOttocento sulla scia della moda borghese che nellultimo trentennio ne aveva decretato fasi alterne di successo. In Sardegna, la fortuna di questo capo prosegue fino al pieno Novecento. Il tessuto principe per la sua confezione il velluto di cotone o di seta, sia

in tinta unita sia operato a motivi policromi, nelle varie gradazioni di qualit che la condizione della committente consente. I colori sono i pi vari anche se per la gala si prediligono varie tonalit di rosso, per la festa ordinaria il nero, mentre per gli indumenti quotidiani si utilizzano tessuti pi modesti in una vasta gamma cromatica. I ricami sono limitati a brevi fasce che percorrono, evidenziandole, le linee di taglio e sono per lo pi realiz-

zati con cordoncini di seta messi in opera a motivi lineari e geometrici in forte contrasto cromatico col tessuto di fondo. Sullavambraccio sono presenti da un minimo di una sino a dieci asole, anchesse finemente ricamate a punto occhiello con cordoncini di seta; a queste corrispondono un pari numero di bottoni in filigrana dargento. Tra la fine del XIX e linizio del XX secolo si assiste ad una notevole trasformazione di questo indumento.

252. Bolero festivo, corttu, Ittiri, prima met sec. XX Sassari, coll. privata. 253. Bolero festivo, corttu, Ittiri, prima met sec. XX Sassari, coll. privata.

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254-255. Bolero festivo e di gala, corttu, Torralba, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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256. Bolero festivo, corttu, Ittiri, prima met sec. XX Sassari, coll. privata. 257. Bolero festivo, corttu, Torralba, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 258. Bolero festivo, corttu, Bosa, seconda met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Le dimensioni diventano cos ridotte che qualche bolero , di fatto, costituito dalle maniche collegate tra loro, in corrispondenza delle spalle, con una striscia di tessuto. Lornamentazione ricamata a motivi floreali, di chiara impronta ottocentesca, prende il sopravvento e frequentemente viene accompagnata dallapplicazione di lustrini e perline. In questo periodo i boleri sono spesso profilati con passamanerie, guarnizioni in organza e frangette di seta. Quale che sia la loro datazione gli esemplari esaminati presentano tutti cuciture a macchina con rifiniture interne di media o buona qualit e sono foderati con resistenti tessuti di cotone in tinta unita, stampati o operati. Per capi destinati al lutto si utilizzano tessuti scuri o neri e le ornamentazioni sono notevolmente ridotte.

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259. Bolero festivo e di gala, corttu, Cossoine, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 260. Bolero festivo e di gala, zippne, Benetutti, 1948 Benetutti, coll. privata.

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Casacchini e giacchini Indumenti di diversa origine vengono compresi in queste due definizioni, la prima delle quali riservata ad un modello ben preciso, il cui uso pare attestato soltanto nel circondario di Cagliari, mentre la seconda comprende varianti utilizzate in tutta lisola. I casacchini sono corte giacche che non oltrepassano i fianchi, hanno la parte posteriore piuttosto aderente al busto e lasciano scoperto il petto. Le prime fonti iconografiche che ne attestano luso risalgono al primo decennio dellOttocento e la descrizione risponde appieno agli esemplari depoca presenti nelle raccolte pubbliche e private. Il casacchino confezionato in velluto di seta nero o color caff scurissimo ed sempre caratterizzato da maniche a tre quarti terminanti con volant arricciato o risvolto a scure e da un accenno di baschina posteriore con piccolo gruppo di pieghe al centro. Le parti anteriori, appena accennate, sono irrigidite con steli vegetali o cordoncini inseriti allinterno della fodera. Lindumento interamente profilato con galloni doro con i quali sono anche bordate le aperture di due finte tasche. Due nastri in gallone doro con frangia partono dallo scollo posteriore e ricadono sciolti, sopravanzando di poco la lun-

ghezza totale dellindumento. Lunico dettaglio che costituisce una vera differenziazione il disegno della manica che pu avere un alto risvolto rigido con profilo a scure, messo ulteriormente in risalto dai larghi galloni applicati, o terminare con un volant arricciato bordato con un gallone o una trina doro. Sia il Tiole sia il La Marmora48 illustrano lesemplare con volant sotto il quale sono indossate lunghe maniche di tessuto variopinto, con asole e bottoni dargento. La versione con manica a scure sembra invece destinata ad essere indossata lasciando in vista le maniche della camicia ornate di pizzi. I modelli a volant sono peraltro associati a gonne rosse (si conosce un solo esemplare di colore azzurro) con alto bordo in tessuto di seta broccato analogo anche al grembiule, mentre lesemplare a scure si abbina ad una gonna in pesante tessuto broccato e laminato.49 Labito di gala delle collezioni del Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde di Nuoro rimanda a questa variante; quello conservato a Roma, presso il Museo Nazionale

263. Giacchino festivo, gippni, Iglesias, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

delle Arti e Tradizioni Popolari, mostra invece il tipo a volant, con manica staccata, abbinato alla gonna di panno rosso. In tutti i casi si tratta di insiemi vestimentari di massima gala riservati al ceto dei grandi possidenti del circondario di Cagliari.50 La foggia di questi capi deriva da casacchini e carachi settecenteschi nei quali ugualmente possibile ritrovare sia la manica a volant sia a scure, questultima assai frequente anche nelle marsine maschili della stessa epoca dette anche velda, proprio lo stesso termine usato in Sardegna per questo tipo di casacchino distinto cos, anche nel nome, da tutti gli altri capispalla. Di foggia leggermente diversa il casacchino che contraddistingue labito da sposa di Teulada, anchesso in velluto con manica a tre quarti, caratterizzata da un alto risvolto in tessuto broccato a grandi motivi floreali.51
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261. Giacchino festivo, gippni, Iglesias, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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262. Giacchino festivo, gippni, Ussassai, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

264. Giacchino festivo, gippni, Iglesias, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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Giacchini delle pi diverse fogge sono presenti in tutta lisola discendenti da capi aulici o borghesi, pi raramente di tradizione settecentesca, pi spesso derivanti dalle varianti della moda ottocentesca. Sono confezionati con stoffe di varia qualit e peso: panno nero, raso, lampasso lanciato, damasco semplice, lanciato o broccato, velluto liscio, stampato, operato e taffett liscio o operato. I tessuti di cotone di vario tipo sono destinati agli esemplari duso giornaliero. I giacchini possono essere raggruppati in relazione alla linea della parte inferiore che pu essere rettilinea, a punta, o presentare una corta baschina. La parte anteriore chiusa con una serie di bottoni o ganci o rimane parzialmente accostata sul petto. Negli esemplari a punta le parti anteriori sono anche irrigidite con stecche metalliche o steli di giunco. Le maniche dei giacchini a punta, confezionati in panno, sono in genere percorse da nervature che raccolgono lampiezza del tessuto nella parte superiore del braccio per poi aprirsi a sbuffo nella parte inferiore, chiusa con un polsino di varia altezza. Grande risalto hanno anche le maniche dei modelli festivi e di gala propri delle classi medie di Quartu S. Elena, Settimo S. Pietro, Sinnai, detti spensru o spnsu, nei quali il tessuto di seta viene arricciato o pieghettato solo nella parte superiore e inferiore della manica in modo da formare uno sbuffo a ruota in corrispondenza del gomito dove sono anche applicati volant dai lobi arrotondati o triangolari. Lornamentazione di questi capi, assai fantasiosa, realizzata con applicazioni di tessuti in colore contrastante, passamanerie, nastri, cordoncini e galloni doro; pi raro il ricamo, caratterizzato da disegni piuttosto elementari, geometrici o floreali, realizzati con filati e tecnica alquanto grossolani in evidente contrasto con la cura dei dettagli sartoriali che caratterizzano tali indumenti. Sono

molto diffusi i giacchini corti che sfiorano il punto vita ed hanno maniche diritte o lievemente arricciate nella parte superiore. Sono anche frequenti modelli con manica a pagoda tipicamente ottocentesca confezionati con velluti di seta operati a motivi floreali in due o tre tonalit. I giacchini a baschina pi o meno accentuata sono anchessi presenti in molte localit dove mantengono la denominazione di zippne, gippni, tipica, come si visto, dellantico giubbetto oppure, come a Quartu S. Elena, prendono il nome di baschna, con ovvia derivazione dal dettaglio sartoriale che le caratterizza.

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265. Giacchino festivo, corttu, Ozieri, prima met sec. XX Ozieri, coll. privata. 266. Giacchino festivo, corttu, Nughedu S. Nicol, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Questi giacchini sono di norma confezionati con tessuti serici o di cotone di medio peso, nella pi ampia gamma dei colori e delle tipologie; le maniche, sempre lunghe, sono diritte o appena rigonfie nella parte superiore. Il giacchino pu essere indossato con la baschina in evidenza o nascosta sotto la gonna. Chiaramente ispirati alla moda borghese del primo Novecento sono i giacchini con breve collo montante e allacciatura centrale o laterale che, nella parte anteriore, imitano leffetto ottenuto indossando insieme la camicetta e il giacchino; la parte che simula la camicetta perci realizzata con tessuti piuttosto leggeri, pizzo o tulle ricamato, mentre il giacchino confezionato con tessuti di seta pi pesanti quali i damaschi, i taffett, i gros uniti o marezzati. Si prediligono colori molto scuri, in particolare il nero. Le decorazioni sono realizzate con applicazioni di soutache, passamanerie, lustrini e perline. Tutti i modelli descritti vengono indossati sopra i corpetti tipici delle varie localit, in evidente opposizione formale, dati i caratteri di arcaicit che questi ultimi mantengono; tale contrasto tanto pi accentuato laddove non si vuole rinunziare al corpetto rigido pur avendo smesso sia la camicia sia il giubbetto o il bolero e dunque si indossa il corpetto sopra giacchini della foggia appena descritta. 181

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267-268. Casacchino di gala, velda, Quartu S. Elena, prima met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
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MANICHE STACCATE, MANICOTTI, POLSINI

CINTURE

aniche staccate: Coprono lavambraccio dal polso al gomito e vengono confezionate con pregiati tessuti in seta. A quanto dato sapere il loro uso limitato ad una ristretta area del Campidano di Cagliari. Le fonti iconografiche pi antiche, dal Tiole al La Marmora, ne documentano luso in insiemi vestimentari di gala del Campidano di Cagliari, sempre abbinate a casacchini di velluto con maniche a tre quarti con bordo a volant.52 Anche immagini fotografiche pi recenti ne attestano luso a Quartu S. Elena, Sinnai e altri paesi del circondario di Cagliari. Manica a tre quarti con profili a scure mostra invece il casacchino (velda) di velluto nero, proveniente da Quartu S. Elena, al quale sono cucite le maniche, confezionate a parte, in raso di seta rosso con polso guarnito con tessuto policromo e bordato con passamaneria e pizzo.53 Manicotti: Partendo dal polso coprono per met lavambraccio e nascondono le maniche delle maglie di lana eventualmente indossate sotto la camicia giornaliera portata con le maniche rimboccate, oppure, negli insiemi di gala, si intravedono appena sotto il polso della camicia. Di norma sono lavorati a coste con giro di ferri da calza utilizzando sottili filati di cotone o di lino di colore bianco; linserimento di filati di colore contrastante (rosso, azzurro, rosa) limitato alla parte del bordo del polso ed in genere lavorato a ventagli e traforo. Liconografia pi antica non ne attesta luso, potrebbe trattarsi di unintroduzione successiva ai primi anni del XX secolo del quale resta traccia in esemplari del centro Sardegna ed in particolare di Samugheo. Polsini: Confezionati in tela di cotone o di lino, sono presenti in quegli insiemi vestimentari che prevedono luso di giacche con manica stretta al di sotto delle quali la camicia pu essere molto semplice perch destinata a rimanere completamente coperta. In questi casi, per simulare il possesso di pi camicie ricamate, si indossano alti polsini ornati per lo pi a motivi floreali con le tecniche gi descritte per il ricamo in bianco delle camicie.54 I bordi possono essere completati da pizzo ad uncinetto, archetti a punto occhiello o semplici smerli a punto festone. I polsini sono completi di occhiello, tagliato o a ponte, e bottone e vengono indossati sotto la manica della giacca, tenendo in evidenza la sola parte ricamata.

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ono accessori duso abbastanza limitato nellisola, completano labbigliamento femminile di gala di poche localit ed hanno un impiego prettamente ornamentale. Coprono larea del punto vita compresa tra lorlo inferiore del corpetto e la gonna e si utilizzano sia quando il corpetto viene indossato sotto il giubbetto (Quartu S. Elena, Monserrato, Bitti, Dorgali) sia quando viene indossato sopra (Nuoro, Orani). I modelli sono sostanzialmente due: a nastro avvolto e a fascia. Gli esemplari del primo tipo sono confezionati con un nastro di gallone in filato metallico dorato o argentato, largo cm 5-10, lungo fino a cm 350, con le estremit in lampasso di seta o altri tessuti a righe o ricamati. La fodera in genere in tela di cotone o di lino di colore chiaro cucita al gallone con piccoli punti nascosti. Le cinture di questo tipo (lazzda o fsce cintrxu) si indossano avvolgendole almeno due volte attorno al punto vita, falsando i giri per aumentare la parte coperta, il lembo in lampasso viene rimboccato per tenere fermo lindumento. A Bitti la cintura a nastro avvolto ( intrzza o sca) preparata con nastri gobelin a motivi floreali o geometrici. Le cinture a fascia sono confezionate con gallone in filato metallico dorato o argentato o con nastri gobelin a motivi floreali o geometrici, in tutti i casi sotto la fodera di cotone presente un tessuto di rinforzo. Le dimensioni in altezza variano tra cm 5 e 10, la larghezza corrisponde al giro vita. Vengono chiuse con due o pi coppie di ganci o con cordelle passanti attraverso occhielli rotondi. Le cuciture sono eseguite a mano o a macchina e gli occhielli possono essere rifiniti a punto festone, con cordoncini di seta. Alcuni esemplari in gallone dargento di fine XIX secolo, provenienti da Nuoro e Orani (chintriu), sono profilati con un sottile tessuto di seta di colore celeste; a Dorgali le cinture (zimssas) sono fatte mediante nastri decorati con insegne papali (zimssa e cnca e ppa), reali (zimssa e cnca e re) o a motivi floreali policromi su fondo chiaro (zimssa de sas rosichddas).
269. Giuseppe Cominotti, Noce. Arrive dune jeune fille de Sinai marie un riche cultivateur de Quartu, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora, Cagliari, coll. Piloni. 270. Manica staccata, manighle, di casacchino (velda) Quartu S. Elena, prima met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 271. Manicotto, manighle, Samugheo, 1930 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 272-275. Cinture, chintrias, Nuoro e Orani, seconda met sec. XIX-inizio XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde (272-274) Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari (275).
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GONNE

nfinite davvero sembrano essere le soluzioni sartoriali e decorative escogitate in tutto lambito della Sardegna per produrre questo genere di indumenti che, per facilit di sintesi, vengono descritti raggruppandoli in cinque grandi categorie. Esistono comunque alcune caratteristiche comuni a tutte le gonne, il punto vita, ad esempio, regolabile per poter accompagnare la proprietaria dellindumento nelle sue variazioni di taglia o durante la gravidanza. Dato lutilizzo prevalente di tessuti pesanti, quali lana e soprattutto orbace, nella sua confezione, alla gonna viene frequentemente associato limpiego di cuscinetti o imbottiture per migliorarne la vestibilit e sostenerla nella parte superiore, in corrispondenza della vita, evitando cos che scivoli lasciando scoperti parte della camicia o del corpetto.
Tonara, Meana e Belv dovevano essere costituite da uno o due teli di orbace, drappeggiati intorno ai fianchi, trattenuti con legacci o ganci. Le figure delle tavole del La Marmora e del Tiole testimoniano senzaltro luso di capi aderenti, ma non possibile stabilire se si tratti di uno o due teli o del modello di gonna a sacco descritta pi avanti; fa eccezione lindumento di Meana, riprodotto alla tav. 28 della Collezione Luzzietti, che inequivocabilmente un unico telo allacciato su un fianco.55 Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma conserva un esemplare assai interessante di abito femminile completo proveniente da Tonara composto dai consueti capi in uso tra la seconda met dellOttocento e i primi decenni del Novecento, ad eccezione della gonna arricciata sostituita da una coppia di teli confezionati in orbace di colore rosso scuro. Se si posizionano questi teli

Gonne a telo semplice o doppio I viaggiatori dellOttocento, pur nel generale apprezzamento per labito tradizionale sardo e in particolare per quello femminile, descrivono con evidente disappunto labbigliamento dei paesi montani della Barbagia e dellOgliastra, quali Aritzo, Tonara, Belv e Baunei, dove le donne indossavano indumenti aderenti alla figura che sottolineavano le forme ad ogni movimento. Tanto pi tali aderenze dovevano stupire e sconcertare se si tiene conto del fatto che la moda italiana ed europea del tempo prediligeva per gonne e sottane ampie rotondit e volumi esagerati. Le gonne delle barbaricine di Aritzo,

davanti e dietro la figura, allacciandoli con legacci che li adattano alla circonferenza della vita, i due teli si sovrappongono lasciando appena intravedere la camicia o la sottogonna. Si tratta dellattestazione di una foggia di origine molto antica scomparsa per far posto prima ad una gonna dorbace a pieghe, poi di orbace e panno con decorazioni applicate. Su questa gonna di foggia pi evoluta si indossa un grembiule che mantiene, un po ridotta, la stessa forma trapezoidale del pannello anteriore appena mitigata da due pieghe in corrispondenza del punto vita. A Tonara, nel primo Novecento, luso di questa coppia di indumenti, detti sas chntas, era ormai limitato alle donne molto anziane o a ragazzine in et prepuberale e del tutto eccezionale venne considerato il fatto che nel 1930, in occasione della cresima, si confezionassero per una ragazzina questi indumenti, anzich la gonna a pieghe. Gonne a sacco probabile che questo genere di gonne, presente soltanto nei paesi montani del centro Sardegna, sia il risultato di una elaborazione del modello precedente, a doppio pannello, avvenuta allinterno di un omogeneo gusto locale, dettato da esigenze pratiche e tradizioni culturali oggi difficilmente comprensibili. Unendo semplicemente dei teli di tessuto in senso longitudinale si ottiene un indumento molto semplice, una sorta di sacco con doppia apertura che nel punto vita non presenta tagli, riprese o accorgimenti sartoriali particolari, ma viene semplicemente ripiegato, stringendolo con una coppia di lacci nella parte anteriore e con unaltra in quella posteriore, fino a raggiungere laderenza desiderata.56 Si tratta dunque di un modello di struttura arcaica con un limitato costo di produzione ed oltretutto assai versatile e funzionale per la sua adattabilit alle variazioni di taglia nel corso degli anni o durante la gravidanza. Questa tipologia ancora presente in area barbaricina a Desulo, Aritzo e Belv. Qualche ritocco al modello una lieve increspatura del tessuto nella parte posteriore, dalla quale partono due pieghe che consentono una maggiore scioltezza nei movimenti ha nel tempo ingentilito la sua struttura austera. Nei primi decenni del Novecento le gonne a sacco vengono confezionate in orbace in tutte le sfumature del rosso fino al bruno e al nero, con cuciture realizzate a mano o a macchina. Lunione dei diversi teli di tessuto e le linee di applicazione dei nastri sono sempre sottolineate con minuti ricami geometrici lineari realizzati con cordoncini di seta e cotone a vivaci colori (punto catenella, punto erba, punto mosca, punto pieno); tali ricami divengono via via pi estesi fino a formare delle fasce ornamentali larghe fino a cm 10. Negli esemplari desulesi pi recenti il cromatismo dei rossi si fa pi acceso e la met inferiore dellindumento viene realizzata con panno scarlatto. Come gi detto lornamentazione

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inizialmente molto semplice e vede lapplicazione di nastri di taffett uniti o operati, di velluto di seta e cotone; ad Aritzo sono anche presenti applicazioni di sottili strisce dentellate di panno scarlatto. In ambiente agiato e negli abiti di gala pi recenti lornamentazione diviene preziosa ed costituita da una fascia ricamata nella quale si susseguono motivi a triangolo, roselline, puntini, alternati a linee colorate, e motivi a dentelle realizzati con cordoncini di seta policromi nelle note dominanti del giallo e con punte di azzurro e rosso. Su questo tipo di gonna si usano esclusivamente grembiuli a pannello liscio, di forma trapezoidale o a striscia allungata. Le varianti da mezzo lutto o quelle indossate da persone molto anziane sono di colore rosso bruno e presentano pochi ricami. Per il lutto stretto si usa esclusivamente il colore nero con una quasi totale assenza di ricami realizzati mediante cordoncini di seta e nastri in tinta.

276. Gonna a doppio pannello, chntas, Tonara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 277. Anonimo, Donne di Meana, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 278. Gonna a sacco, camisdda, Desulo, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Gonne arricciate, a pieghe e plissettate Questo gruppo comprende la maggior parte delle gonne caratterizzate da una notevole ampiezza del tessuto che viene arricciato, pieghettato o plissettato con modalit descritte pi avanti.57 Per la confezione si usano lorbace, il panno di lana, il crespo di lana e di seta, il gabardine di lana e di cotone, il raso e il damasco di seta, il lampasso broccato, il velluto di seta e di cotone, il rasatello di cotone stampato, e una gamma vastissima di indiane e tessuti misti in lana, seta e cotone. I colori variano in relazione al tipo di tessuto: negli esemplari in orbace e panno di lana sono prevalenti le tonalit del rosso per gli indumenti nuziali, festivi ed anche giornalieri, con le varianti di rosso cupo e marrone bruciato per le donne anziane e per il lutto, fino al nero per le vedove. Per gli altri tipi di tessuto, sia uniti sia operati, la gamma cromatica estremamente ampia; per brevit si segnalano le gonne di velluto di seta scar-

latto delle donne di Osilo e quelle in damasco di seta broccato e laminato, proprie dellabbigliamento di gala delle ricche campidanesi di Monserrato e Quartu S. Elena e ancora le gonne in pesante tessuto di cotone a righe blu e rosse, detto abordu o bodru, caratterizzanti labbigliamento quotidiano e festivo delle popolane della Sardegna meridionale.58 La parte anteriore di queste gonne costituita da un elemento liscio o appena increspato sul punto vita, in alcuni casi un vero e proprio pannello indipendente unito per tutta la lunghezza da bottoni. Lapertura in genere anteriore, mono o bilaterale, di cm 30-50. Il modello sartoriale quasi sempre condizionato dalla scelta del tessuto, primo fra tutti lorbace, in genere unito in numerosi teli fino a raggiungere lampiezza desiderata; regolazioni di taglia sono comunque rese possibili adattando la chiusura in vita mediante ganci o lacci. In qualche caso si utilizzano due tipi di tessuto, ad esempio orbace nella

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279. Gonna festiva e di gala, munndda, Ittiri, prima met sec. XX Sassari, coll. privata.
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280. Gonna festiva e di gala, gunndda, Quartu S. Elena, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

parte superiore e panno in quella inferiore, uniti in senso trasversale. Il tessuto cos preparato pu essere semplicemente arricciato riducendo lampiezza in vita mediante punti filza nascosti o punto smock ricamato con cordoncini robusti in tinta o formando una vera e propria fascia di altezza variabile (da cm 10 a cm 40) costituita dalle pieghe raccolte strettamente a partire dal punto vita fino a fasciare tutta larea dei fianchi. Il tessuto pu ricadere liberamente dando luogo a pieghe sciolte (Nuoro: fardtta e pnnu o tnica e pnnu ; Fonni: 189

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istde) o essere messo in piega mediante cuciture o altre tecniche di modellazione per lottenimento di pieghe pi o meno ampie (da cm 0,8 a cm 5-6) a profilo arrotondato o spigoloso; le pieghettature finissime, a sagoma arrotondata o acuta, ottenuta con lavorazioni particolari del tessuto, vengono genericamente definite plissettature. Gran parte delle gonne presentano due fessure longitudinali anteriori che, formando una sorta di patta, consentono di indossarle con facilit e di adattarne le dimensioni alla vita; essendo spesso coperta con un grembiule, la parte anteriore pu essere confezionata con tessuti di qualit diversa, ad esempio cotonina a fiorellini, mollettone a quadri ecc. per la parte anteriore di una gonna di pesante panno di lana (Samugheo: chnta e fttu o chnta e pllas ; Busachi: unndda ; Benetutti: munndda). Le varianti documentate dopo la seconda met dellOttocento raggiungono volumi importanti ottenuti sia con grandi ampiezze di tessuto sia sovrapponendo pi gonne di orbace o altra stoffa con differenze di lunghezza, talvolta studiate per evidenziare la stratificazione de190

gli orli. In alcune localit questuso, bench con le immancabili modifiche, si mantenuto fino ai giorni nostri. Ad Orgosolo la gonna di panno o saia di lana con bordo inferiore di seta verde, detta vste o arrsa, si indossa sopra quella di orbace detta sattu, anchessa con bordo verde; ancora nel primo Novecento diffuso luso di indossarle entrambe sopra una terza gonna di orbace bordata di rosso chiamata sattu rbiu ; a Ollolai la gonna in panno plissettato, detta fardellnu, sovrapposta a quella di orbace detta uddttu. Sotto le gonne di orbace o panno era comunque consuetudine diffusa, anche nel pieno Novecento, usare almeno una gonna arricciata confezionata in tela di cotone in minute fantasie giocate su tonalit scure. Nella gran parte dei casi luso si perso progressivamente (Nuoro, Oliena, Gavoi ecc.) per un processo di semplificazione dellabbigliamento tradizionale influenzato dal gusto estetico del Novecento che ridisegna una figura femminile affusolata, riducendo dapprima i volumi e poi anche le lunghezze delle gonne. Negli esemplari datati dopo il 1930, in quasi tutta lisola,

si coglie lo sforzo di rimodellare le gonne, raccogliendo la grande quantit del tessuto con fitte pieghettature cucite che dal giro vita scendono verso il basso, interessando in qualche caso tutta la fascia del bacino e dei fianchi, oppure rendendo ancor pi fitta la plissettatura o riducendo la larghezza delle pieghe. Di pari passo diminuiscono le lunghezze per mostrare calzature che seguono anchesse tipologie alla moda mentre, quale segno di lusso, aumentano in altezza tutti i bordi inferiori ornamentali delle gonne, siano essi in tinta unita, ricamati, o costituiti da pi ordini di tessuto o nastri sovrapposti. In tal modo solo le gonne che mantengono lunghezze al piede danno realmente slancio alla figura, tutte le altre ottengono esattamente il risultato opposto. Le gonne di orbace e panno non vengono mai foderate se non lungo il bordo inferiore, in corrispondenza dellorlo decorato esterno; quelle realizzate con tessuti di seta e in particolare con quelli broccati e laminati sono foderate con tela apprettata o incerata di cotone, lino o canapa nei colori avorio o celeste.

281. Gonna festiva e di gala, gunndda, Quartu S. Elena, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 282. Gonna festiva e di gala, unndda, Bono, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 283. Gonna festiva e di gala, munndda, Torralba, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 284. Gonna festiva, gunndda, Sinnai/Maracalagonis, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 285. Gonna festiva, fardtta, Iglesias, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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286. Gonna festiva e di gala, munndda, Benetutti, 1948 Benetutti, coll. privata.
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287. Gonna festiva, munndda, Benetutti, inizio sec. XX Benetutti, coll. privata.

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288. Gonna festiva, saigine, Atzara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 289. Gonna festiva, saigine, Sorgono, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 290. Gonna festiva e di gala, tnica, Oliena, 1950 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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291. Gonna festiva e di gala, uddttu, Ollolai, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 292. Gonna festiva e di gala, fardtta, Mamoiada, fine sec. XIX Mamoiada, coll. privata. 293. Gonna festiva e di gala, uddttu, Ollolai, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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Gonne a gheroni Questa definizione comprende le gonne di orbace nelle quali ad ogni piega, o al massimo ad un gruppo di due, corrisponde un gherone, vale a dire una striscia di tessuto di forma trapezoidale, lungo quanto laltezza totale della gonna, unito ad un altro in corrispondenza della parte interna della piega (Nuoro: ghirnes); lintera ampiezza della gonna (cm 380 e cm 480), ad eccezione del pannello anteriore,59 perci data dallunione dei gheroni; la parte inferiore della piega presenta una cucitura a costura semplice, quella superiore, ma non sempre, una lieve impuntura che ne sostiene la piega. In corrispondenza del punto vita, per circa cm 10, la parte superiore dei gheroni viene raccolta in una fitta increspatura per ridurre il tessuto e dare snellezza alla figura; il cinturino in corrispondenza del punto vita viene fatto con diversi tipi di tessuto di seta o cotone, unito o fantasia, e pu anche essere guarnito con un profilo di panno scarlatto tagliato al vivo. La gonna a gheroni usata a Nuoro, Orani e Orotelli per le gonne di orbace festive, giornaliere e da lutto dette tnicas, distinte anche nel nome da quelle semplicemente arricciate fatte in panno o altri tessuti (fardttas). La larghezza dei gheroni e, conseguentemente, quella delle pieghe consentono di datare questi indumenti perch, come gi detto per i modelli arricciati, le gonne realizzate dopo il primo ventennio del Novecento hanno pieghe molto pi strette rispetto agli esemplari ottocenteschi. La parte anteriore, appena arricciata, presenta aperture longitudinali (msculas) bordate con raso, taffett o velluto di seta o di cotone, talvolta ricamati in abbinamento al corpetto festivo, specie negli esemplari successivi agli anni Trenta del Novecento. Il bordo inferiore sempre guarnito con un nastro di altezza variabile tra i cm 12 degli esemplari antichi fino ad arrivare ai cm 18-20 degli esemplari pi recenti. Nella seconda met dellOttocento per le gonne giornaliere si utilizzano nastri di taffett di seta a colori sfumati, rigati o Madras; per quelle di gala si predilige il nastro in taffett o raso di seta rosso, in varie tonalit, o color ciclamino, meno frequente il nastro in gros di seta marezzato che caratterizzer invece questi capi a partire dalla fine dellOttocento. Lorlo presenta profili in panno scarlatto tagliati al vivo o un sottile profilo di velluto rosso o blu scuro. A differenza delle gonne in orbace a semplici pieghe, le cuciture sono realizzate a mano con la sola eccezione della applicazione della bordura inferiore e della corrispondente fodera interna che possono essere eseguite a macchina.60

294. Gonne festive e di gala, sattu e vste, Orgosolo, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 295. Gonna giornaliera, sattu, Orgosolo, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 296. Gonna festiva, amisdda, Fonni, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 297. Gonna festiva, tnica, Nuoro, prima met sec. XX Nuoro, coll. privata.

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Gonne unite al corpetto Si tratta di indumenti assai particolari il cui uso attestato in poche localit.61 Gli esemplari esaminati provengono da Fonni, nellinsieme costituito da imbstu e vste, e da Orani nellinsieme di pla e iscarramgnu. Le fonti iconografiche non evidenziano mai questi capi dei quali non si colgono le peculiari caratteristiche quando vengono indossati. I due casi citati differiscono peraltro completamente tra loro dato che il tipo fonnese presenta un corpetto a fascia con punte anteriori, unito alla classica gonna di orbace o panno

298. Gonna festiva unita al corpetto, vste, Fonni, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 299. Gonna festiva, vste, Fonni, prima met sec. XX Fonni, coll. privata.

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plissettato; in questo caso linsieme busto-gonna viene indossato sotto il giubbetto di panno. Del tutto particolare il caso di Orani, nellinsieme vestimentario detto iscarramgnu, dove il corpetto in panno di lana di colore rosso cupo, tendente al marrone, di tipo morbido, copre completamente la parte posteriore del busto e viene unito a grossi punti alla gonna che, allo stato attuale delle conoscenze, costituisce un unicum in Sardegna. Si tratta infatti di una gonna con ordito in canapa o lino di colore naturale e trama in lana di colore marrone scurissimo/nero; tale tessuto ha una lucentezza particolare dovuta sia alla qualit del filato di lana, sia alla tecnica di tessitura con trame a vista che coprono completamente i 202

fili chiari dellordito. Lindumento, ornato con un nastro in gros di colore variante dal rosso geranio al ciclamino, anche caratterizzato da una fittissima plissettatura serrata in corrispondenza della vita. La parte anteriore, appena arricciata, presenta due aperture laterali piuttosto mal rifinite se si considera il tono e la qualit raffinata dellindumento. Linsieme descritto viene indossato sopra un corto giubbetto in panno.62 Alle caratteristiche particolari del tessuto si aggiunge anche quella della denominazione, iscarramgnu, unica anchessa in Sardegna, che richiama il termine scaramanghion usato in epoca bizantina per indicare una veste cerimoniale.63

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GREMBIULI

grembiuli caratterizzano labbigliamento popolare di tutto lambito europeo ed anche in Sardegna sono presenti in numerosissime varianti determinate dallinsieme vestimentario al quale si accompagnano, dallarea geografica di appartenenza e dalloccasione per la quale vengono indossati. Per necessit descrittiva le varie tipologie vengono ricondotte, in qualche caso forzatamente, a grandi gruppi, abbiamo quindi: grembiuli a pannello, arricciati o pieghettati e a ventaglio.

operato a motivi floreali e zoomorfi. Pi rara lornamentazione ricamata quale quella di Nuoro e Orani, caratterizzata dal susseguirsi di piccoli motivi floreali e geometrici disposti a cornici concentriche lungo il bordo inferiore, e quella di Orgosolo che invade buona parte della superficie con i noti motivi a punta, realizzati alternando organicamente filati di seta dai colori vivacissimi. I due esempi, del tutto diversi tra loro, sembrano comunque riportare ad un antico significato simbolico dellornamentazione, fortemente caratterizzante il sistema vestimentario di gala delle comunit citate. In particolare da osservare che sia il complesso

Grembiuli a pannello In questo insieme vengono descritti i grembiuli a striscia allungata, quelli trapezoidali e quelli avvolgenti. I cosiddetti grembiuli a striscia allungata, denominati jnta o chnta, caratterizzano labbigliamento di alcuni paesi montani del centro Sardegna (Aritzo, Laconi, Belv) per i quali le fonti danno numerose descrizioni e illustrazioni. Si tratta di grembiuli che poggiano sui fianchi allungandosi in una lunga striscia centrale con estremit inferiore arrotondata; sono sempre associati a gonne strette e aderenti alla figura. Paiono essere confezionati in tessuti pesanti, certamente orbace o panno, e non presentano alcuna ornamentazione. Gli esemplari di fine Ottocento e dei primi del Novecento hanno subito modifiche sia relative alla forma, che si ulteriormente assottigliata e ingentilita, sia al tessuto, panno o velluto di seta con nastri a motivi floreali e zoomorfi applicati lungo il bordo. Questo tipo di grembiuli sono fermati in vita con semplici nastri o con apposite catenelle dargento e vengono indossati con gonne a sacco. I grembiuli di forma trapezoidale, lisci o appena arricciati, allinizio dellOttocento sono piuttosto comuni nella Sardegna centrale (a Desulo, Fonni, Gavoi, Mamoiada, Nuoro, Oliena, Ollolai, Orani, Orgosolo e in molti altri luoghi). Il tessuto pi usato il panno o il rasatello di vario colore bordato con un nastro in tinta unita, ricamato o 204

300. Grembiule festivo e di gala, frnda, Nuoro, inizio sec. XX Nuoro, coll. privata. 301. Grembiule festivo e di gala, frnda, Orani, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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302. Grembiule festivo, odle, Gavoi, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 303. Grembiule festivo, sacciu, Fonni, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 304. Grembiule festivo, sacciu, Fonni, seconda met sec. XX Fonni, coll. privata. 305. Grembiule festivo, antalna, Orgosolo, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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Grembiuli arricciati Sono i grembiuli pi comuni sia perch hanno soppiantato nelluso alcuni dei modelli di gala sopra descritti ed accompagnano il vestiario tradizionale fino alle ultime fasi della sua utilizzazione, sia perch sono quasi ovunque utilizzati negli insiemi giornalieri e da lavoro. Esaminando gli esemplari di gala si pu dire che la gamma dei tessuti impiegati davvero sterminata. Si passa infatti dai modelli in orbace, nei quali lampiezza raccolta con plissettature, a tutta la gamma dei tessuti in seta, soprattutto taffett liscio e operato, damasco, organza, raso, crespo sia in tinta unita che in pi colori; molto ampia anche la gamma dei tessuti di cotone che comprende tutte le tele bianche e quelle a colori stampate dette indiane, il rasatello stampato a piccoli motivi floreali policromi o nei toni delloro e dellargento; altrettanto vasta la gamma dei grembiuli arricciati realizzati

308. Grembiule festivo, chnta, Sorgono, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 309. Grembiule festivo, chnta, Atzara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 310. Grembiule giornaliero, chnta, Atzara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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decoro costituito dal susseguirsi di spirali dei grembiuli di Nuoro e Orani, sia i citati elementi a punta di quelli orgolesi, richiamano i motivi a meandro, a spirale, a doppia protome propri di una simbologia preistorica paneuropea. Quale che sia stato il significato iniziale di questi simboli, certo che la loro forza stata tale da farli riprodurre, di generazione in generazione, sugli esemplari di gala, anche se nel tempo si perso il significato della rappresentazione. La perdita della memoria simbolica si conclude quando, dopo il primo trentennio del Novecento, ai simboli descritti si affiancano con sempre maggiore invadenza i motivi floreali che finiscono per soppiantarli completamente, come avvenuto in alcune varianti di grembiuli nuoresi, risalenti a quegli anni, voluti dalle committenti per rinnovare lo stile dei grembiuli nuziali nellultima fase del loro utilizzo. Ad Orgosolo il motivo a punta continua ad essere presente ma, perso il magnifico risalto che caratterizza gli esemplari pi antichi, appare soffocato, mortificato quasi, avviluppato com da fiori e mazzolini ricamati introdotti negli esemplari di gala pi recenti. Il processo di modernizzazione e di trasformazione non si limita ai soli casi in questione, ma riguarda quasi tutti i tipi di grembiule. A Desulo dove il grembiule, detto sacciu, 208

ha forma trapezoidale, il ricamo lineare che contorna i nastri applicati e divide lo spazio in segmenti geometrici, diviene nel tempo sempre pi esteso, costituito da pi ordini decorativi, ma senza troppe concessioni al gusto naturalistico. In molti altri casi le forme trapezoidali attestate nel primo Ottocento assumono dimensioni pi ridotte e talvolta danno luogo a nuovi modelli di forma quasi triangolare (Fonni: sacciu) con bordi sempre pi alti, spesso ricamati in combinazione con alcune parti della gonna e del giubbetto. In altre localit, come Mamoiada e Oliena, il modello trapezoidale viene sostituito con varianti arricciate e ricamate di cui si tratter pi avanti. Alcuni grembiuli a pannello hanno doppio diritto e il loro uso dunque possibile anche in tutte le occasioni prescritte per le varie gradazioni di lutto ad eccezione del lutto stretto per il quale dobbligo il colore nero.

306. Antonio Ortiz Echage, Comida en Mamoiada, 1907, olio su tela. 307. Grembiule festivo, odle, Ollolai, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
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con tulle di seta, lino o cotone, ricamato a motivi floreali con fili di cotone o di lino in tinta. Dopo il primo decennio del Novecento gli esemplari di gala sono sempre pi spesso ornati con ricami naturalistici disposti su un angolo o a formare una vera e propria cornice che interessa tutto il bordo inferiore; altrettanto frequenti sono le bordure di pizzo meccanico o a uncinetto. La tela di cotone o di lino utilizzata per tutti i grembiuli da lavoro e in particolare per quelli destinati alla panificazione. Si tratta di capi molto semplici dei quali rimane traccia esclusivamente nei ricchi corredi dei primi del Novecento nei quali si ritrovano grembiuli bianchi ricamati, da utilizzare in ambito esclusivamente domestico in occasione di pranzi o altre circostanze eccezionali o destinati alle balie che, pur indossando labito tradizionale del proprio luogo dorigine, possono sovrapporre ad esso un grembiule bianco particolarmente ornato che diviene simbolo della loro stessa professione. Del tutto singolare pare il caso di Orani nel quale il grembiule bianco di tela, con falsature in pizzo ad uncinetto, filet, buratti o ricami su tela sfilata, abbinato allantico insieme di gala detto iscarramgnu. Nelluso quotidiano sono comuni i grembiuli di cotone stampato a motivi minuti sia nei colori scuri che chiari. Tutte le varianti descritte trovano il loro corrispondente in nero per il lutto stretto e colori spenti per gli altri gradi del lutto.

311-312. Grembiule festivo, chnta e annnti, Samugheo, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 313. Grembiule festivo, fardtta, Bono, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 314. Grembiule festivo, provenienza sconosciuta, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 315. Grembiule festivo, frda, Benetutti, 1948 Benetutti, coll. privata. 316. Grembiule festivo, provenienza sconosciuta, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 317. Grembiule festivo e di gala, frda, Benetutti, 1948 Benetutti, coll. privata. 318. Grembiule giornaliero, pannllu, Ittiri, inizio sec. XX Sassari, coll. privata. 319. Grembiule festivo, frda, Benetutti, seconda met sec. XX Benetutti, coll. privata. 320. Grembiule festivo e di gala, frnda, Orani, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Grembiuli a ventaglio Si tratta di una tipologia piuttosto omogenea ben rappresentata, dal primo Ottocento in poi, negli insiemi di gala del Cagliaritano che, per lindubbia valenza estetica, ha attratto i viaggiatori e gli illustratori. Insieme ai casacchini gi descritti e alle gonne di panno o velluto di seta rosso o di damasco fondo verde broccato a motivi floreali, caratterizzano labbigliamento nuziale e di gala delle ricche possidenti del circondario di Cagliari e in particolare di Quartu S. Elena, Sinnai, Monserrato e Selargius. La stessa foggia anche presente negli insiemi festivi e nuziali di Teulada e Pula in abbinamento sia a gonne di panno rosso che a un tipo pi modesto di cotone a righe rosse e blu (bordatino). Le denominazioni sono ovunque assai simili: frascadrxa, vascatrxa e deventli. Si tratta di grembiuli che non oltrepassano la met della lunghezza complessiva della gonna e vengono definiti a ventaglio perch caratterizzati da un gruppo centrale di pieghe in cui si raccoglie lampiezza del tessuto che si allarga verso il basso appunto come un ventaglio. Gli esemplari esaminati, risalenti alla seconda met dellOttocento, sono confezionati con diversi tipi di tessuto. La parte centrale in velluto di seta o panno
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in varie gradazioni di rosso, in qualche esemplare in panno o velluto blu scuro, le parti laterali sono confezionate in panno o altro tessuto di media qualit dato che vengono ricoperte con un alto bordo in lampasso broccato e laminato o broccatello a motivi floreali policromi su fondo color avorio o giallo. A impreziosire ulteriormente il capo contribuiscono le bordure in gallone doro e le trine lavorate a fuselli con filati doro caratterizzate dal motivo a ventaglietti. I modelli raffigurati nelle illustrazioni del primo ventennio dellOttocento presentano una forma a ventaglio meno accentuata e bordi molto sottili, ma gi nel 1837 il Valery testimonia la foggia compiuta, quale quella degli esemplari giunti fino a noi, che da quella data in poi sar ampiamente documentata. Vale la pena di osservare che tutta liconografia citata mostra con chiarezza che i grembiuli di questo tipo non vengono allacciati in corrispondenza del punto vita, ma piuttosto sospesi con gli appositi lacci in modo da lasciare bene in vista la parte superiore della gonna. In quasi tutte le raffigurazioni si notano, infatti, i nastri e le cordelle che, sostenendoli, ricadono in posizione perpendicolare e non inclinata come accadrebbe se i lacci fossero stretti attorno alla vita. Questo modo curioso e per ora inspiegabile di indossare il grembiule comune anche a pochi altri modelli dellarea campidanese di cui gli stessi autori danno testimonianza.64 Non esistono grembiuli a ventaglio da utilizzare in caso di lutto dato il carattere di grande lusso e gala dellinsieme vestimentario al quale questi capi fanno riferimento.

321. N.B. Tiole, Paysanne de environ de Cagliari aux journe de fte, 1819-24, acquerello su carta. 322. Quarto S. Elena (circondario di Cagliari). Costume di gala, 1898, litografia a colori, in E. Costa, Costumi sardi, Cagliari 1913.
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323. Grembiule festivo e di gala, fascadrxa, Quartu S. Elena, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 324. Grembiule festivo e di gala, fascadrxa, Monserrato/Quartu S. Elena, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 325. Grembiule festivo e di gala, fascadrxa, Quartu S. Elena, seconda met sec. XX Oristano, coll. Enrico Fiori.

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BIANCHERIA

li indumenti indossati a diretto contatto con il corpo sono originariamente caratterizzati dalluso di tela di colore bianco dalla quale prendono la denominazione di biancheria. Le camicie, che pure sono confezionate con questo tipo di tessuto e nascono come indumento intimo, non vengono comprese nella biancheria poich, nel periodo al quale fa riferimento il presente studio, sono ormai pienamente trasformate in capi esterni. Il termine biancheria si estende e finisce per comprendere tutti gli indumenti di utilizzo intimo confezionati con vari tessuti: cotone, seta e lana, sia bianchi che colorati.

della parte posteriore e un alto volant sul fondo (Bitti) o applicazioni di pizzo San Gallo sul bordo inferiore, con passanastro e nastro in raso negli esemplari pi recenti. Rarissimi i ricami: essi si osservano solo in indumenti provenienti da corredi di spose di condizione agiata e sono realizzati a motivi floreali a punto inglese. Le cuciture sono per lo pi realizzate a macchina con unione del tessuto a costura semplice o doppia. Sottovesti Indumenti intimi sostituenti nella funzione linsieme copribusto-sottogonna derivano anche dallestrema semplificazione delle camicie che, nei primi decenni del Novecento, vengono private delle maniche specialmente dove si adottano giacchini di foggia borghese a manica stretta. I modelli proposti dalle riviste di moda vengono adottati soprattutto nelle zone maggiormente soggette alle influenze del gusto nazionale o nei paesi che protraggono luso dellabito tradizionale di gala e da sposa, fino agli anni Cinquanta del Novecento, con continue modifiche e modernizzazioni che interessano sia gli indumenti esterni sia quelli intimi; in questi casi la parte superiore della sottoveste, che si intravede sotto la camicia, viene guarnita con ricami a macchina su tulle, a mano su tela sfilata, o ad intaglio. Gli esemplari destinati ad essere indossati con abiti tradizionali duso giornaliero prima e di transizione poi (insiemi composti da camicetta o blusa e gonna) presentano, lungo i bordi, applicazioni di pizzo meccanico anche a colori, o archetti a punto festone. Per la confezione di questi indumenti si utilizzano tutte le variet di tele di cotone e di lino usate per le camicie ed anche mussola o bisso di lino e cotone molto sottili. Il colore preferito il bianco, con modelli a spalla larga con scollo quadrato o arrotondato, il taglio diritto o leggermente svasato e la lunghezza al polpaccio; in qualche caso per ottenere unampiezza maggiore vengono inseriti due gheroni ai lati dellindumento. La parte superiore viene sagomata con nervature verticali, pinces laterali o con piccolo carr sul quale applicato il tessuto arricciato della parte anteriore. Gli esemplari posteriori al 1930, provenienti da ricchi corredi, sono talvolta confezionati con bisso di lino rosa o celeste oltre che bianco e presentano dimensioni pi ridotte in larghezza ed in lunghezza, spalline strette a nastro, bordi e falsature in pizzo meccanico tipo Valenciennes, associati o meno a parti ricamate. Quale che sia lepoca le cuciture sono comunque realizzate a mano o a macchina a costura semplice o doppia, con orli e rifiniture frequentemente eseguite a mano. Camicie da notte Sono poco presenti nelle raccolte sia per il carattere intimo sia per la natura assai modesta dei capi utilizzati in ambito popolare. Liconografia ignora questo genere di indumenti, cos poco diffusi che non esiste una denominazione specifica salvo quella di camsa e ntte : di fatto la stessa camicia giornaliera lunga veniva indossata 219

Copribusto Questi indumenti si diffondono in ambito popolare alla fine dellOttocento quando la camicia perde la caratteristica di indumento intimo e diviene capo esterno per eccellenza. Si indossano a pelle, sotto la camicia, diversamente dai modelli ottocenteschi a cui si ispirano destinati ad essere portati sopra i busti. probabile che il loro uso si diffonda prima tra i ceti abbienti per soddisfare unesigenza di maggiore pudore e decoro, soprattutto in quelle aree nelle quali le ampie camicie corte, aperte sul lato anteriore, richiedevano una maggiore protezione del seno. Col tempo, negli insiemi di gala, si fa strada luso di mostrarne la parte superiore della scollatura ornata di pizzi e ricami. Gli esemplari esaminati sono senza maniche, a spalla larga, sagomati in modo da aderire al corpo, dando risalto al seno, con scollature in genere quadrate o rotondeggianti adatte allo stile della camicia, pi rari quelli a scollo triangolare. Lapertura pu essere sia laterale sia anteriore, comunque chiusa con bottoni di madreperla o lacci.65 Sottogonne Indumenti intimi sono sempre presenti nel corredo personale delle donne sarde a partire dal primo Novecento. I reperti di datazione anteriore sono invece assai rari, salvo non si tratti di indumenti facenti parte di insiemi di gala. stato gi segnalato che in molte raffigurazioni del primo trentennio dellOttocento66 si intravede, sotto la gonna, lorlo inferiore di un indumento di tela bianca, che pu essere sia lorlo di una camicia lunga sia quello di una sottogonna. Le camicie lunghe potevano infatti assolvere anche alla funzione di sottogonna, a maggior ragione in tempi di grande scarsit di indumenti. Salva questa premessa probabile lutilizzo diffuso di una o pi sottogonne di foggia semplicissima e di tela resistente, considerato che luso di mutande era pressoch sconosciuto, anche nel primo Novecento, e che, tra i ceti meno abbienti e meno esposti alle influenze delle mode esterne, compaiono soltanto dopo il 1920. Le stesse fonti orali che confermano linesistenza di mutande, infatti, riferiscono la consuetudine delle donne mestruate di sollevare i lembi della sottogonna 218
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passandoli tra le gambe e fissandoli in corrispondenza della vita. Il Wagner tra i significati del termine kams a scrive: Lo Spano, s.v. kamsia indica che la voce significa in log. anche mestruo o lo significava almeno. In questo senso si usava camisa in Spagna. Il Diz. Acc. Spagn. lo registra come p(oco) us(ado) nella lingua moderna. Ma occorre in scrittori antichi.67 Nessun aiuto in questa direzione dato dalla terminologia pi antica usata per indicare la sottogonna che riconduce sempre alla camicia: i termini camsa, camisdda e amisdda indicano, infatti, sia la camicia sia la sottogonna di tela di lino o cotone pesante e, a Desulo e a Fonni, anche una modesta gonnella di orbace; al contrario il termine cssiu, che nel Nuorese indica la sola sottogonna, in area logudorese indica la parte inferiore della camicia o la stessa camicia.68 Altre denominazioni: tettla a Dorgali, istde a Fonni, ursi de tla a Bitti, non portano alcun chiarimento. probabile che la sottogonna come capo a s sia comunque successiva alla camicia di tipo lungo e che si

sia affermata nelluso prima per motivi di tipo igienico, poi di tipo estetico, sulla scia delle mode che volevano volumi rigonfi delle gonne, ottenuti con pi strati sovrapposti di sottogonne e gonne. In tutti i casi gli esemplari esaminati, che non hanno mai datazioni anteriori ai primi anni del Novecento, presentano modelli piuttosto elementari, con ampiezze di cm 320 massimo. Sono in genere costituite da un rettangolo formato da due o pi tagli di tela di cotone o di lino, arricciato in vita con un semplice nastro passante in un orlo, o con una serie di increspature rifinite con un sottile cinturino di tela chiuso con lacci, ganci o bottoni. Modelli pi raffinati presentano increspature pi fitte in corrispondenza
326. Copribusto, copribstu, Orosei, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 327. Sottogonna, cnsciu, Torralba, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 328. Sottogonna, tnica e tla, Oliena, 1954 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

Maglie intime Di produzione industriale, in maglia di lana o di cotone, a manica lunga, bianche o colorate, le maglie intime risultano essere assai diffuse in Sardegna intorno al 1910. Sono capi dorigine moderna denominati quasi ovunque mllia, franlla o flanlla. Gli esemplari esaminati sono, come facile intuire, assai scarsi, e si riconducono sostanzialmente ad un unico modello in leggera maglia di lana o cotone a costine sottili, a manica lunga, con scollo arrotondato e breve apertura anteriore dotata di piccoli bottoni. I colori classici sono il bianco, il rosa, il giallo o il celeste. La scelta dei colori data dal gusto personale, che pu anche diventare gusto collettivo, come accade ad Orgosolo dove si predilige il giallo cos che il nome dato a questo capo frnella zallna, appunto flanella gialla. Non meno particolari alcuni esemplari di Ollolai personalizzati con il riporto, lungo lo scollo, degli stessi ricami policromi presenti nelle camicie. In tutta lisola il colore pi usato resta comunque il bianco in tutte le tonalit. Mutande Le fonti scritte tacciono sulla presenza di questi indumenti e a maggior ragione quelle iconografiche; non dunque difficile accettare la diffusa convinzione che fossero indumenti assai poco o nulla utilizzati, a livello popolare, almeno fino alla seconda met dellOttocento. Gli esemplari esaminati risalgono tutti al XX secolo, i pi vecchi ai primi anni del secolo, e provengono da ricchi corredi o sono stati fortunosamente recuperati dopo pressanti ricerche sul campo. Grazie a testimonianze orali comunque possibile seguire unevoluzione dei modelli partendo da quelli usati intorno agli anni Novanta dellOttocento. Sono modelli ampi e lunghi fino al ginocchio o oltre, con volant guarnito da un piccolo pizzo. Si utilizza una tela di cotone di medio peso e il taglio non presenta altre sagomature se non un semplice tassello quadrangolare inserito in corrispondenza del cavallo per rendere pi agevoli i movimenti; lampiezza del tessuto raccolta in vita con piccole pieghe piatte oppure con un nastro passante attraverso lorlo. Una o due aperture sui fianchi, chiuse con bottoni o lacci, consentono di indossare lindumento. Come tutta la biancheria anche le mutande sono destinate al lavaggio con la lisciva pertanto la scelta del tessuto, dei pizzi e lesecuzione delle cuciture sono studiati per resistere a tale tipo di trattamento. Il modello descritto, e qualche sua variante, continua ad essere usato fino al primo decennio del Novecento soprattutto da donne anziane; le pi giovani adottano modelli a gamba diritta, preferibilmente senza volant. I capi di corredo per le nozze vengono anche realizzati con tessuti di cotone molto sottili, con pizzi e ricami; talvolta gli indumenti sono anche cifrati. Dopo il 1930 questo indumento assume caratteristiche moderne ed i modelli si adeguano al variare della moda.69

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anche come camicia da notte oppure si andava a dormire vestendo semplicemente il copribusto e la sottogonna. assai probabile che per tutto lOttocento fossero indumenti gi presenti nel guardaroba delle donne agiate, ma soltanto nei corredi degli inizi del secolo successivo che si ritrovano alcuni preziosi esemplari da usare in occasione delle nozze o dopo il parto. Rarissimi gli esemplari giornalieri risalenti al primo decennio del Novecento. Con le informazioni derivate dalle fonti orali possibile comunque affermare che i modelli sono in generale semplici, tagliati a sacco o svasati mediante linserimento di gheroni laterali. Le maniche, sia corte che lunghe, sono unite al busto con tassello sottoascellare di forma quadrangolare, hanno media larghezza e polso chiuso con bottoncino in filo o madreperla. Pi rari gli esemplari senza maniche a spallina larga. Il tessuto utilizzato la tela di cotone o di lino, di vario peso, in relazione alluso. La stessa distinzione vale per le guarnizioni e i ricami. Dopo gli anni Venti del Novecento limpiego della camicia da notte diviene sempre pi comune tra le giovani generazioni che le confezionano ispirandosi ai modelli illustrati nei cataloghi e nelle riviste di moda. Le cuciture sono realizzate a macchina, a costura semplice o doppia come consuetudine per tutta la biancheria. 220

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Calze e uose necessario premettere che landare completamente scalzi condizione attestata dalle fonti iconografiche per la servit, i pi indigenti o per quanti siano impegnati in attivit domestiche, soprattutto donne e ragazzi. Fonti orali confermano che nel quotidiano i pi poveri non indossano calzature e, anche se le possiedono, le riservano alle occasioni festive per le quali il loro uso, e dunque anche quello delle calze, dobbligo. Si tratta di capi di abbigliamento dei quali solo raramente possibile ritrovare esemplari depoca e in genere di foggia festiva, perch tutti quelli duso giornaliero sono utilizzati fino alla loro consunzione. In tutti i casi sulla base delliconografia antica, dei reperti esaminati e delle fonti orali possibile fare lanalisi che segue a partire dal primo Ottocento. Le calze (mzas, crazttas, carzttas) arrivano fin sotto il ginocchio, pi raramente lo coprono salendo fino a met della coscia e sono in tutti i casi trattenute con laccetti. Le calze festive sono in genere realizzate con filati di lino, lana e cotone di colore chiaro, lavorati con giro di ferri a maglia rasata, a coste o con motivi a traforo. In alcune localit anche le calze festive sono di colore scuro, specialmente dove vengono indossate con scarponcini pesanti allacciati. A Nuoro, nei primi anni del Novecento, le calze erano realizzate con filo di cotone nero o marrone. A Busachi labbigliamento quotidiano dello stesso periodo poteva essere completato da calze in filo di lino blu e nero. Le fonti iconografiche dei primi decenni dellOttocento mostrano una prevalenza di calze chiare indossate con scarpe piuttosto scollate, il che potrebbe anche essere frutto di una rappresentazione di maniera. La tav. 98 del Tiole mostra una improbabile mungitrice di Bono, in abito chiaramente festivo, con indosso calze di colore rosso e azzurro. Lo stesso si osserva alla tav. 55 dove, di spalle, pare essere raffigurata una donna dello stesso paese. Sempre nel Tiole si osservano calze di colore rosso (Baunei) mentre le donne di Belv, alla tav. 84, e quella di Aritzo, alla tav. 85, indossano, sopra le calze bianche, delle pezzuole o delle sopracalze colorate ricadenti sulle caviglie. Luso di uose o sopracalze attestato unicamente dalle fonti iconografiche dato che nessun reperto giunto fino a noi. Nelle tavole della Raccolta Cominotti e della Collezione Luzzietti e in quelle del Dalsani oltre alle calze chiare sono presenti sopracalze colorate per la verit molto simili a uose. Valery scrive, a proposito delle donne di Aritzo, che le pi eleganti dinverno portano le calze di lana rossa, le altre si accontentano di un pezzo di lana dello stesso colore, attaccata sotto il polpaccio che svolazza e spicca da lontano.70

329. Camicia da notte, Capoterra, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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330-332. Mutande, Capoterra, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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CALZATURE

333. N.B. Tiole, Paysans du village de Belv, 1819-24, acquerello su carta. 334. Anonimo, Donne dOzieri, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 335. N.B. Tiole, Femme du village de Desulo, 1819-24, acquerello su carta. 336. Calze, mzas, Sorgono, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 337. Calze, calzttas, Quartu S. Elena, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 338. Scarpa, iscarpna, Osilo, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 339. Stivaletto, buttnu, Quartu S. Elena, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 340. Zoccolo, zcculu, cppu, Iglesias, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 341. Scarpa, iscarptta, Iglesias, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 342. Stivaletto, buttnu, Sorgono, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 343. Scarpa, craptta, Sinnai, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 344. Scarpa, iscrpa, Mamoiada, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 345. Scarpa, craptta, Pula, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 346. Scarpa, craptta, Sinnai, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 347. Scarpa, isrpa, Oliena, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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er le ragioni esposte anche le calzature antiche sono poco presenti nelle collezioni pubbliche e private con leccezione del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma dove si conserva una serie di calzature a corredo di quasi tutti gli abiti sardi presenti nelle sue raccolte. Scarpe basse, leggermente appuntite, scollate e in qualche caso guarnite di fibbie dargento, sono le pi raffigurate nel primo Ottocento anche se non mancano i modelli pi pesanti e accollati. Spesso sembra trattarsi di riproduzioni derivate da unosservazione affrettata e perci un po semplificate e poco dettagliate. A partire dalla met dellOttocento le raffigurazioni, le immagini fotografiche e le raccolte pubbliche e private descrivono una notevole variet di calzature femminili. Ciabatte e pantofole (cattlas) in pelle e tessuto sono in genere ignorate perch destinate ad un uso familiare. Gli zoccoli con suola in legno, tacco basso e tomaia in tessuto a fascia chiusa o aperta in punta sono invece piuttosto importanti negli insiemi giornalieri di molte localit specialmente della Sardegna meridionale dove il loro uso continuato fino alla met del Novecento. Le scarpe ( iscarpnas, iscrpas) festive sono in qualche caso realizzate con tessuti broccati che rimandano ad uno stile settecentesco, soprattutto in area campidanese e nellIglesiente. Sono piuttosto diffuse anche semplici decollet con tacco basso e tomaia in pelle martellata o vernice, di colore nero, con sottili profili laterali in pelle rossa. Sono assai frequenti anche scarpe allacciate guarnite di fiocchi, coccarde o fibbie dargento ed anche stivaletti in rasatello di cotone nero ricamato con elastici inseriti ai lati e con tacco basso. Altre calzature a tacco medio, con tomaia scollata e lacci, decorate di fiocchi o coccarde in tinta contrastante o in nero per le vedove o con cinturino abbottonato di lato, sono diffuse in tutta la Sardegna nel primo decennio del Novecento insieme ad esemplari con tomaia a linguetta liscia o arricciata, talvolta anche impunturata con fili di seta in tinta contrastante e impreziosita da grandi coccarde di nastro variopinto. Piuttosto diffusi sono, nello stesso periodo, gli stivaletti in pelle o vernice forniti di banda elastica ai lati, con curioso tacco medio alto molto sagomato e rientrante nella parte posteriore. Tutti i tipi descritti hanno suola in cuoio liscio. Estremamente interessante poi la gamma degli scarponcini e stivaletti allacciati (iscarponddos, bttes, bottnos), in pelle scamosciata di colore naturale o in pelle liscia o martellata di colore nero, tutti caratterizzati dalla suola di cuoio imbullettata. La forma spesso molto sfilata con punta rialzata verso lalto, il tacco medio, molto sagomato e rientrante. Le bullette metalliche hanno ampia capocchia scanalata a raggiera con convessit pi o meno accentuata e sono battute con molta precisione seguendo la linea della suola. Manufatti realizzati da artigiani locali specializzati, dopo il 1920 questi tipi di calzatura su misura iniziano ad essere soppiantati dai modelli pronti, preferiti soprattutto per completare gli insiemi da sposa e di gala mentre resistono ancora, specie nelle aree montane, calzature pi robuste, soprattutto scarponcini o stivaletti allacciati e abbottonati, in qualche caso anche chiodati, da indossare quotidianamente.

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ACCESSORI DELLABBIGLIAMENTO

na parte dei manufatti compresi nella gioielleria tradizionale costituita da accessori dellabbigliamento che hanno acquisito, nel tempo, una grande valenza simbolica e ornamentale. Si escludono da questa trattazione, volutamente semplificata, tutti gli ornamenti della persona senza alcuna finalit pratica legata allabito.71 I bottoni gemelli (buttnes) in lamina e filigrana dargento o doro, da usare con le camicie, sono diffusi in tutta lisola come anche quelli, dotati di catenelle o barrette di sospensione (buttnes, buttonras), utilizzati per chiudere lapertura delle maniche di giubbetti e boleri. Bottoni analoghi chiudono e ornano la parte anteriore di particolari tipi di giubbetto in uso tra la fine del XVIII e i primi decenni del XIX secolo, dei quali si hanno poche attestazioni iconografiche e rarissimi reperti.72 Ganci, fermagli e catene, in lamina e filigrana dargento (gancras, cancras, cncios de frnu) con inserimento di pietre e vetri policromi, sono poi utilizzati per chiudere la parte anteriore di giubbetti e giacchini o per allacciare copricapo e grembiuli. Tipologicamente affini ai precedenti, ma molto pi rari, sono i portachiavi con pi serie di catenelle complete di piccolo gancio fissati alla cintura mediante lapposita linguetta e lasciati ricadere lungo un fianco. Sono evidentemente riservati alle ricche padrone di casa che, anche con il possesso delle chiavi, ostentano la loro posizione di potere nellambito domesti-

co. Spille e spilloni sono piuttosto comuni nel vestiario tradizionale dopo la fine dellOttocento; in precedenza il loro uso abbastanza limitato se si considera la sola funzione di accessorio e si esclude quella ornamentale. Gli spilloni e le spille usati per appuntare altri tipi di copricapo sul fazzoletto o la cuffia, quali le bende e gli scialli, sono poco documentati dalliconografia pi antica, evidentemente cos poco significativi da passare inosservati. In alcuni centri dellinterno la benda viene fissata da spilloni doro o dargento con capocchia a forma di martello o con semplici spille doro a barretta; in altri luoghi, dopo il 1920, nuovi tipi di spilla, quelli a losanga in lamina

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doro, vengono appuntati sulle bende pi a scopo decorativo che funzionale. Dopo la seconda met dellOttocento si diffonde anche la grande spilla doro a fiore utilizzata per fissare scialli e veli. Le spille da camicia, funzionali e non semplicemente ornamentali, sono assai rare e di evidente gusto Liberty. A Carloforte lo scialletto da spalla viene appuntato sul petto con una spilla impreziosita da corallo. Accessori dellabbigliamento poco rappresentati ma assai usati, sono le tasche staccate (buzzccas, busciccas, bucciccas) da indossare sotto le gonne, in corrispondenza delle apposite aperture, o sotto il grembiule, fissate in vita con un laccio. Sono diffuse in tutta lisola ed hanno forma rettangolare o trapezoidale, dotate di una fessura longitudinale sufficientemente ampia per introdurre agevolmente la mano. Gli esemplari pi comuni sono confezionati in pesante tessuto di cotone nelle pi diverse fantasie; quelli da abbinare a indumenti festivi sono realizzati con tessuti pi pregiati e talvolta presentano ricami e bordure in passamaneria. Poco comuni sono invece i borsellini di tessuto ricamato chiaramente ispirati ai modelli in voga tra la fine dellOttocento e i primi del Novecento e quelli in pelle. Le borsette, esclusivamente del tipo a busta, sono usate assai raramente, specie nelle piccole citt, e compaiono negli insiemi tradizionali di gala indossati dalle ricche signore dopo il 1920. I fazzoletti da naso duso comune sono piuttosto rari e si trovano in congruo numero soltanto nei ricchi corredi, mentre si conservano pi numerosi quelli duso festivo, in sottile tela di lino o cotone rica-

mato. Simili a questi ultimi sono i fazzoletti da mano realizzati con finissime tele di lino o cotone che vengono decorati e cifrati con le tecniche del ricamo in bianco, gi descritte per le camicie; altri esemplari di fazzoletti da mano sono in tela stampata a vivaci colori e recano spesso le cifre trapuntate su un angolo. In entrambi i casi si tengono vezzosamente in mano per un angolo lasciandoli ricadere aperti per mostrarne la bellezza; il loro uso testimoniato in tutta lisola tra lOttocento e il Novecento e evidentemente costituiscono un raffinato accessorio, nella funzione, simile al ventaglio, oggetto meno comune dei fazzoletti da mano ma anchesso presente nelliconografia depoca.73

348. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Ragazza di Turri, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni. 349. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di San Vito, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni. 350-351. Fazzoletti, muncadres, Sinnai, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 352. Tasca, buscicca, Settimo S. Pietro, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 353. Tasca, buscicca, Sinnai, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Labbigliamento maschile

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COPRICAPO E ACCONCIATURE

ndare a capo coperto non prerogativa soltanto femminile. Tutta liconografia conferma la consuetudine degli uomini sardi di coprirsi accuratamente la testa, anche con pi copricapo sovrapposti e, ancora nel 1932, Elio Vittorini pu osservare, nel corso di una visita a Nuoro, che certi uomini, con quegli occhi da lupo e quella barba, si sono avvolta una sciarpa intorno al capo prima di calzare la berretta fenicia. Come avessero il mal di denti. O come sentissero uno strano bisogno di tenere la testa al caldo, chiusa ed oscura, in una fisica intimit.74 Lo studio comparato delliconografia, delle fonti e dei materiali depoca, esaminati in un arco di tempo che va dalla seconda met del Settecento alla prima met del Novecento, insieme ai dati preziosi derivati dalle fonti orali, mostra una straordinaria variet di tipi di copricapo, un succedersi di vere e proprie mode che vedono lalterna utilizzazione dei modelli che di seguito si descrivono, usati in occasioni festive e giornaliere, con le normali differenze di maggior pregio per quelle festive. Dopo la seconda met dellOttocento la condizione di lutto vedovile impone anche per gli uomini il colore nero negli abiti e dunque anche nei copricapo; diversamente da quanto avviene per le donne non dato di conoscere quali varianti cromatiche siano previste per la condizione di mezzo lutto e lutto leggero, probabilmente simili a quelle cupe e sobrie indossate anche dagli anziani. Le acconciature dei capelli descritte dalle fonti iconografiche per il primo Ottocento trovano conferma nelle fonti orali che testimoniano attardamenti di fogge e fedelt alle acconciature tradizionali protratte fino alla fine dellOttocento. Dopo questa data, con una progressione sempre pi rapida, si passa al taglio di capelli medio o corto che i copricapo finiscono per nascondere completamente. I capelli lunghi possono essere lasciati sciolti sulle spalle con una o pi treccine ai lati delle tempie come esemplificato magnificamente dalla figura n. 7 della tavola III, Vestimenti Sardi in Serie, disegnata da Cominotti per La Marmora.75 Fonti orali riferiscono che questa acconciatura ancora usata a Nuoro alla fine dellOttocento da un vecchio possidente che usava rifarsi ogni mattina due trecce ai lati delle tempie. Lintera massa dei capelli pu anche essere raccolta in una o due trecce: Gli uomini di Quartu intrecciano i lunghi i capelli in due code, cui escono allestremit due nastri di seta nera che sannodano insieme; e questi con tutta la treccia raccolgono a sommo del capo sotto la berretta. Quelli di Pirri invece fanno le due trecce per egual modo, ma invece di coprirle le aggirano sopra il berretto, cingendolo a guisa di guernimento, e se le annodano sulla fronte.76 La treccia unica, avvolta a spirale intorno al copricapo, raffigurata nella gran parte delle immagini risalenti ai primi decenni dellOttocento e si direbbe diffusa uniformemente da Nord a Sud.77 I capelli lunghi raccolti a treccia o a coda possono infine essere nascosti dentro vari tipi di cuffie che di seguito si descrivono.
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Cuffie Le cuffie a sacco (cffia, iscffia, toccu), diffuse in tutta lisola, sono formate da un rettangolo di tessuto o maglia chiuso sul lato lungo ed arricciato ad una estremit sulla quale viene talvolta appuntato un fiocco o una nappina. Il lato che rimane aperto, bordato con un nastro sottile di tessuto di seta o cotone, viene calzato allaltezza della fronte e il nastrino legato sulla sommit del capo a formare un piccolo fiocco. Le cuffie sono in genere confezionate lavorando ai ferri o a uncinetto filati di lana, lino o cotone; leffetto di fatto quello di una reticella pi o meno ampia (nero, verde e azzurro sembrano essere i colori pi usati) che raccoglie la capigliatura. Questo tipo di cuffia pare essere generalmente in-

dossata sotto il cappello a tesa specie negli insiemi festivi. Per un uso giornaliero, o sotto il fazzoletto, anche documentata la variante in tessuto.78 una foggia evidentemente in gran voga tra la fine del Settecento e la prima met dellOttocento, vista la frequenza nelliconografia dellepoca. Dopo la seconda met dellOttocento appare sempre meno documentata in favore della berretta a sacco. Le cuffie modellate, simili nel taglio a quelle femminili e infantili, sono riservate ad un uso giornaliero in un ambito prettamente familiare e per questa ragione sono per lo pi riservate ad ammalati e anziani, anche nella variante da notte.79 Berrette a sacco Quando si parla di questi copricapo il pensiero va a quello sardo per antonomasia, la berretta a sacco (berrtta, barrtta), sopravvissuta a lungo anche in insiemi tradizionali per il resto fortemente contaminati dalla moda ottocentesca. Diffuso in tutta lisola e comune a tutta larea mediterranea, viene genericamente descritto di forma allungata, lungo circa cm 50, confezionato in orbace, panno o maglia di lana nei colori nero, rosso o marrone, raramente di altri colori. La diffusione in una cos vasta area e la durata di tale modello presuppongono la presenza di importanti centri di produzione dislocati in ambiti nazionali diversi, seguendo anche lalternarsi delle spartizioni territoriali che, nei vari periodi storici, avvantaggiano ora luno ora laltro centro produttivo. In Sardegna si ha segnalazione di manifatture locali soltanto a partire dal XIX secolo, ma non escluso che un qualche tipo di produzione, anche su scala ridotta, fosse gi presente in precedenza.80 Liconografia del primo Ottocento testimonia la diffusione, in tutta lisola, di berrette in diversi colori soprattutto nelle aree pi esposte ai commerci e allinfluenza cittadina, mentre il nero gode maggior favore nel Nuorese e nelle Barbagie. Nella seconda met dellOttocento le berrette di colore rosso divengono pi rare e tale tendenza continua fino ai momenti finali della sua utilizzazione, nella prima met del Novecento, con la sola eccezione dellarea campidanese.81 Data la mancanza di reperti del primo Ottocento non si pu dire se questi capi siano confezionati come quelli pi tardi. La berretta classica di fine Ottocento infatti a forma di tubo, lunga circa cm 120, chiusa alle estremit stondate; essa viene
354. Abito maschile festivo e di gala, Samugheo, 1930 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 355. Giuseppe Cominotti, Un jour de fte aux environs de Quartu, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora. 356. Alessio Pittaluga, Marchand doranges de Millis (venditore daranci di Millis), 1828 ca., litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni. 357. Anonimo, Uomo di Iglesias, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria.

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358. Anonimo, Uomini campidanesi, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria.

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359. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume maschile di Fonni, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878.
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360. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Desulo, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 361. Costumes de Tresnuraghes, 1850-63, litografia a colori dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. 362. Berretta a sacco, berrtta, Dorgali, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 363. Berretta a sacco, berrtta, Cagliari, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 364. Ovodda, 1903 ca., foto depoca. 365. Sennori, 1903 ca., foto depoca. 366. Oliena, fine sec. XIX-inizio XX, foto depoca. 367. Gavoi, fine sec. XIX-inizio XX, foto depoca.

indossata infilandone una met dentro laltra, ottenendo cos un sacco lungo circa cm 60, il cui diametro varia in relazione alla circonferenza del cranio. Tra i numerosi esemplari esaminati nessuno risultato essere fatto di orbace ed eccezionale anche lutilizzo del panno di lana. La maggior parte delle berrette, quale che sia il colore, sono realizzate in filato di lana lavorato meccanicamente a maglia tubolare; il tessuto viene poi chiuso alle estremit, infeltrito in bagni di acqua calda e infine follato e/o cardato sulla superficie esterna, cos trattato somiglia effettivamente ad un panno di lana morbido, il che pu aver generato qualche confusione. La maglia di lana e il fatto che la circonferenza attorno al capo non presenti cuciture n piegature rendono lindumento particolarmente confortevole ed adattabile, cos da ipotizzarne una produzione su larga scala in due o tre misure in grado di soddisfare tutte le richieste. Ad un esame attento, i pochi capi depoca che non presentano il doppio tubolare risultano essere stati tagliati a met per eliminare la parte della circonferenza eventualmente logorata e poterne cos continuare lutilizzo, realizzando un semplice orlo. Il modo di far ricadere la berretta sulla spalla o di disporla sul capo non mai casuale ma risponde a fogge tipiche delle varie localit anche legate allesercizio di particolari mestieri. Gli studenti residenti a Cagliari la portano nera, rovesciata allindietro.82 233

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I rigattieri la indossano nera ripiegata in avanti o di lato.83 Sopra la berretta pu essere sovrapposto un fazzoletto variopinto annodato sotto il mento. Fazzoletti colorati possono anche cingere la circonferenza della berrtta. La berretta rossa, particolarmente gradita alla categoria dei macellai cagliaritani, si porta spesso ripiegata in due o pi cerchi concentrici sulla sommit del capo oppure adattata con unalta piega esterna attorno alla quale viene avvolta la treccia di capelli, in tal caso viene detta a ccciu.84

368. Anonimo, Macellari di Cagliari, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 369. N.B. Tiole, Paysan de la ville de Sassari, 1819, acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni. 370. Luciano Baldassarre, Pescatore di Cagliari, 1841 (in campo firma: Pedrone), litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 371. Sennori, inizio sec. XX, foto depoca. 372. Sassari, 1898 ca., foto depoca. 373. Luciano Baldassarre, Beccajo di Cagliari, 1841 (in campo firma: Pedrone), litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 374. Luciano Baldassarre, Costume dIglesias, 1841 (in campo firma: Pedrone), litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 375. Boucher de Cagliari, 1850-63, litografia a colori dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni.
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Come quelle rosse anche le berrette nere sono portate molto spesso ripiegate in tal modo che non davvero possibile capire quale sia la vera lunghezza n delle une n delle altre.85 Forse una variante di queste berrette quella a punta guarnita di nappina, descritta nella Collezione Luzzietti alla tav. 47, Tempiesi, accompagnata dalla consueta acconciatura a treccia rialzata. Alla fine della seconda met dellOttocento le fogge schiacciate sembrano dimenticate mentre rimangono in vigore quelle ripiegate in avanti e poi indietro, oppure ricadenti su un lato o allindietro. In questo periodo, come gi detto, la lunghezza maggiore che negli anni precedenti e il colore nero rimane in vigore fino alla scomparsa di tale copricapo che continuer a lungo ad essere indossato anche in insiemi vestimentari tradizionali, sostanzialmente modificati, ad esempio, dallintroduzione dei pantaloni a tubo. Fez e berretti a tamburello Entrambi sono copricapo rigidi, i primi ben raffigurati almeno nelliconografia del primo Ottocento, i secondi poco o nulla presenti probabilmente perch usati, in quel periodo, solo in ambito domestico. Il fez classico un copricapo rigido, piuttosto alto, di forma troncoconica che nellisola viene chiamato berrtta, o berriula ; di chiara influenza nordafricana o levantina, diffuso in tutto il Mediterraneo. Nella Sardegna meridionale, area di vasta diffusione, si predilige la variante in lana rossa, ma attestata anche quella di colore nero, sia di forma

troncoconica che troncocilindrica, questultima spesso confusa con una variet di berretta a sacco. La variante rossa usata in alternativa alla berretta a sacco ed difficile trovare oggi una giustificazione per luna o laltra scelta. A Cagliari i rigattieri e i conducenti di carri le usano entrambe, e cos pure i pescatori, anche se tutto linsieme degli indumenti fa propendere per una condizione pi agiata di quanti indossano il fez.86 La variante in nero, in panno o orbace, sopravvissuta nellabbigliamento di Sanluri, ma non escluso che anche in questo caso le berrette pi antiche fossero analoghe a quella descritta e che lalto costo o una qualche interruzione del commercio abbia indotto alla sua riproduzione in panno o orbace. I berretti a tamburello, cio di forma troncocilindrica bassa, sono conosciuti con il nome di cicca, zizza, gigga.87 Di fatto nelle collezioni pubbliche e private sono presenti solo le varianti infantili di fine Ottocento che saranno descritte nellapposita sezione. La ricerca sul campo ha finora accertato la diffusione dello stesso copricapo per adulti nel Nuorese, nelle Barbagie, nelle Baronie, in Sarcidano e Trexenta. Ovunque viene descritto come elemento comune ad uomini di varia condizione sociale, da utilizzare esclusivamente in ambito confidenziale e domestico, dunque in tutte quelle situazioni per le quali non prescritto luso della berrtta. Il copricapo realizzato in panno di lana, fustagno, velluto ed altri tipi di tessuti di cotone, sempre di colore scuro, trapuntati lungo la circonferenza per ottenere il profilo rigido della 235

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sagoma a tamburello. Le informazioni raccolte fanno riferimento ad un periodo non anteriore agli ultimi decenni dellOttocento, ma non si pu escludere che tale copricapo fosse diffuso anche in precedenza e che, nelliconografia, sia stato convenzionalmente descritto come un fez o confuso con una berretta schiacciata.88 Come la berretta a sacco e il fez, infatti, anche il copricapo a tamburello diffuso in tutta larea mediterranea; in Tunisia, dove vengono detti shishia, se ne producono ancora esemplari soprattutto di colore rosso e nero destinati al mercato nordafricano, realizzati in filato di lana di colore naturale, lavorato a maglia. Dopo la tintura, i manufatti vengono infeltriti e, a differenza delle berrette, battuti su sagome di legno per ottenere la forma desiderata e infine cardati a mano per raggiungere la classica finitura esterna che rende la loro superficie simile al panno.89 Fazzoletti Diffuso soprattutto nel Cagliaritano e nellIglesiente, il fazzoletto maschile pu essere definito un copricapo accessorio della berrtta, sulla quale viene indossato piegato a triangolo e poi annodato sotto il mento,90 o avvolto attorno al capo lungo il bordo della stessa berretta. Gli esemplari esaminati, di datazione non anteriore alla fine dellOttocento, rientrano in questo secondo utilizzo. I fazzoletti maschili non differiscono affatto da quelli femminili dei quali mantengono anche la denominazione. In entrambi i casi la forma quadrata, da ripiegare lungo la diagonale, in tessuto di cotone o lana stampato in vivaci fantasie a minuti disegni geometrici spesso inscritti in una o pi cornici. Piegandolo pi volte (muccadri a santcca) lo si pu avvolgere attorno alla berretta come fosse un nastro, annodando le cocche sulla fronte o dietro la nuca.91 Sombreri e cappelli a tesa Il sombrero, tipico copricapo spagnolo a tesa ampia, piuttosto diffuso in ambito popolare nella Sardegna meridionale e nel Sassarese mentre sembra non sia mai penetrato nellarea centrale dellisola dove conosciuto soltanto negli insiemi vestimentari dei signori; ovunque denominato sombrri. Il periodo di maggiore diffusione sembra concludersi nella prima met dellOttocento, per il quale abbiamo numerose immagini e notizie. Il sombrero, con o senza soggolo, viene calzato sopra una cuffia, in insiemi che denotano una condizione agiata o di potere.92 in feltro nero o di colore comunque scurissimo, guarnito con nastri rossi o gialli intorno alla calotta e con cordoni ricadenti oltre la tesa, ornati di nappine. tipico dei comandanti di alcuni gruppi di miliziani a cavallo, ed anche il copricapo festivo e nuziale in tutta larea dellIglesiente. Il La Marmora scrive: Destate, gli abitanti della Sardegna meridionale, mettono sul berretto un cappello di tela cerata, di cuoio, o anche di feltro; un cappello basso a larghe falde che d a quelli che lo portano un aspetto singolarissimo.93 LAngius descrive
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376. Anonimo, Carratore di Cagliari, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 377. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di San Vito, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 378. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume giornaliero di Pauli-Pirri, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 379. Villamassargia, fine sec. XIX-inizio XX, foto depoca. 380. Habitant de Campidane, 1850-63, litografia a colori dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. 381. Alessio Pittaluga, Petit Baron ou Garde Nationale de Sassari (Baroncello, ossia Guardia Civica di Sassari), 1828 ca., litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni. 382. N.B. Tiole, Paysan de Cabras, 1819-24, acquerello su carta. 383. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Proprietario di Milis, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878.

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CAMICIE
Al pari di quella femminile anche la camicia maschile nata come indumento intimo, trasformandosi poi in indumento esterno chiamato con lantico termine ghentne, bentne o entne oppure con quello pi moderno camsa, cammsa ed altre varianti simili. I capi destinati alluso giornaliero sono realizzati con tele piuttosto resistenti di cotone, di produzione industriale, o di lino tessuto in casa; per i capi festivi e di gala sono impiegate invece tele di maggior pregio. Per luso giornaliero gli ornati sono molto semplici mentre per quello festivo sono presenti ricami ricercati e preziosi sempre pi appariscenti a partire dai primi anni del Novecento; in tutti i casi lornamentazione riguarda il collo, i polsi e le parti di tessuto arricciate in corrispondenza dellattaccatura della spalla.98 I capi esaminati sono per lo pi festivi, pi rari quelli duso giornaliero, ma la differente utilizzazione non comporta alcuna variante di modello, solo, come si detto, un diverso pregio del tessuto e dellornamentazione. La semplicit della struttura di questi indumenti li rende facilmente adattabili a diverse corporature, le dimensioni sono pertanto piuttosto uniformi; lampiezza e la lunghezza delle maniche variano in relazione alluso dei capi che si sovrappongono direttamente alla camicia. Esistono essenzialmente due tipi di camicia maschile, uno pi arcaico, laltro pi evoluto, entrambi molto semplici dal punto di vista sartoriale perch costituiti dallunione di parti di tessuto di forma rettangolare, proporzionati alla taglia del committente, uniti a formare busto e maniche; a questi si aggiungono i polsi, il colletto ed eventuali pettorine che sono preparati a parte e poi applicati successivamente. La camicia che mostra caratteri di maggiore arcaicit ha grande ampiezza ed ha completa apertura longitudinale anteriore. Il colletto e i polsi sono bassi, diritti, con occhielli trasversali che consentono linserimento dei bottoni gemelli dargento, doro o di filo. I ricami a motivi geometrici sulla tela arricciata e sul colletto sono realizzati con filati in bianco o a colori. Questo modello di tipo arcaico ancora diffuso nei primi decenni del Novecento in

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un cappello di foggia simile realizzato in paglia intrecciata usato dai contadini di Samassi.94 Del cappello a tesa in cuoio, detto montra, non rimasto alcun esemplare; le fonti informano della sua esistenza, ma senza darne descrizioni pi precise.95 Nella seconda met dellOttocento inizia la decadenza che si accompagna alla generale trasformazione del vestiario maschile cos che, nella prima met del Novecento il cappello ancora usato a Teulada (cappddu), con tesa di minori dimensioni e varianti anche di colore chiaro, e, raramente, nel Cagliaritano. Nel Sassarese sopravvive negli insiemi cerimoniali indossati dai gremi96 e in quelli tradizionali con pantaloni a tubo.97 Berrette da notte Usate soprattutto in ambienti agiati non differiscono dalle cuffie e dai camauri gi descritti se non per luso di tessuti modesti di cotone. Cos come per le cuffie da notte femminili il loro scarso valore economico ne ha determinato la totale dispersione; a tuttoggi, infatti, nessun reperto depoca stato da noi rinvenuto.

384. Teulada, anni Venti, foto depoca. 385. Teulada, anni Cinquanta, foto depoca.
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386-387. Camicia festiva, camsa, Pula, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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388. Camicia festiva, camsa, Atzara, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 389-390. Camicia, camsa, Orosei, inizio sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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391. Camicia festiva, camsa, Samugheo, 1930 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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buona parte della Sardegna centrale ed straordinariamente simile agli esemplari in uso in Italia tra la seconda met del XV e la prima met del XVI secolo, sia per la struttura sia per i ricami a colori o in bianco, realizzati in corrispondenza del collo e dei polsi.99 La camicia pi moderna influenzata dai modelli ottocenteschi e presenta apertura anteriore completa o parziale e dimensioni pi contenute pur mantenendo nella sostanza la struttura descritta. La parte anteriore pu presentare una pettorina allungata, completamente ricamata negli esemplari festivi, o nervature verticali parallele ai lati dellabbottonatura, che in questo caso del tipo moderno, con bottoncini in madreperla e occhielli. I colletti diritti sono in genere piuttosto alti. Vengono spesso montati anche colletti ripiegati a punte diritte o arrotondate. La variet delle rifiniture assai notevole, specie negli esemplari festivi che sono, di consueto, quelli pi conservati. Liconografia del primo Ottocento mostra camicie maschili con colli cos alti da essere chiusi da due coppie di bottoni gemelli, specie nel caso

di insiemi festivi o propri della classe agiata residente nel Cagliaritano e nel Sassarese. Tra la fine dellOttocento e il primo dopoguerra, nei centri in cui si utilizza ancora linsieme tradizionale, le camicie, come gli altri capi, vengono arricchite di ricami e guarnite di pizzi ad uncinetto del tutto sconosciuti per tutto lOttocento, vengono inoltre notevolmente dilatate le parti sulle quali il ricamo pu essere applicato, cio il collo, i polsi e in qualche caso le pettorine.

CORPETTI E GILET

392. N.B. Tiole, Tempiese, 1819, acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni. 393. Anonimo, Majoli, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 394. Anonimo, Isolano di Carloforte, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 395. Corpetto festivo, csso, Samugheo, 1930 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

due termini distinguono i gruppi che raccolgono le pi importanti tipologie di indumenti smanicati dellabbigliamento maschile. Corpetti e gilet sono presenti negli insiemi vestimentari di tutta lisola e vengono indossati direttamente sulla camicia, sovrapponendo ad essi giacche, giacconi o cappotti corti. Le cuciture e le rifiniture sono realizzate pi frequentemente a mano che a macchina. Per le occasioni di lutto, e comunque per le persone anziane e le attivit lavorative, i tessuti sono di colore e qualit pi modesti.

Corpetti Nel gruppo dei corpetti (csso, cosstte, corptte, gropptte, corttu, oroppdu, solopu, soroptu, zustllu) vengono compresi i capi ad abbottonatura anteriore a petto semplice o doppio, privi di colletti o risvolti, che mostrano uno stile tradizionale molto

FAZZOLETTI DA COLLO

el tutto identici a quelli da testa sono i fazzoletti da collo, che vengono indossati soprattutto in area campidanese dove rimangono comunque relegati ad un ruolo accessorio di secondo piano.100 I numerosi esempi riportati dalle fonti iconografiche testimoniano daltra parte unampia diffusione di questi elementi gi dallinizio dellOttocento.

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396. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Tertenia, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 397. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Benestante di Ozieri, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 398. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Bitti, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878.
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399. Corpetto festivo, csso, Atzara, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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esclusivamente ornamentale. Per il lutto vedovile tutti i tessuti e i filati impiegati per la confezione sono di colore nero. I corpetti confezionati in panno sono in genere sfoderati, quelli in velluto sono foderati con pesanti tele di cotone o di lino sia color crudo sia in colori fantasia. Talvolta la parte inferiore dellindumento, che deve essere indossata dentro i calzoni a gonnellino, e quella posteriore, nascosta dal capospalla, sono realizzate con tessuti fantasia, rigati o a quadri, anche a colori vivaci. Le rifiniture sono sempre realizzate con grande cura, specie nellapplicazione dei nastri di seta usati per le bordure sottolineate frequentemente da linee di ricamo. Raramente i corpetti sono capi utilizzabili a doppio diritto dato che sono per lo pi destinati ad essere indossati sotto altri capispalla. Riguardo al fatto che il corpetto deve essere indossato preferibilmente sotto altri indumenti quali giacche, cappotti ecc., si osserva che il nome solopattu, soropattu e soropau, usato a Bitti, Orune, Lula, Orgosolo, sembra derivare dallo spagnolo solopado che significa nascosto.101

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preciso, sia per la foggia, che pu derivare da modelli cinquecenteschi, che per le ornamentazioni del tutto coerenti con lo stile vestimentario proprio della localit di appartenenza, riconoscibile anche nellabbigliamento femminile e infantile. Il tessuto pi usato per la loro confezione il panno di lana in varie tonalit di rosso e di azzurro; il velluto, in tinte piuttosto scure, viene usato sia da solo sia in combinazione con il panno, creando particolari effetti cromatici. In molti esemplari festivi, specie del primo Novecento, si osservano estese applicazioni di velluto operato a motivi floreali in due o tre tonalit di colore. La parte anteriore presenta in qualche caso asole ricamate con fili di seta a vivaci colori, in coppia con altrettanti occhielli rotondi attraverso i quali vengono sospesi i bottoni in filigrana o lamina dargento, a scopo funzionale o

400. Corpetto festivo, imbstu, Dorgali, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 401. Gilet, corpttu, Pula, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 402. Gilet, corpttu, Sinnai, primo decennio sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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403. Gilet giornaliero, gromptte, Orgosolo, seconda met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 404. Gilet festivo, farsttu, Cagliari, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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Gilet Il gruppo dei gilet comprende i modelli derivati da quelli in voga nella moda maschile a partire dal secolo XVIII, abbottonati a petto semplice o doppio, con risvolti. Essi mantengono quasi tutti le denominazioni usate per i corpetti, probabile testimonianza del fatto che possono avere sostituito modelli pi antichi conservandone comunque il nome. I tessuti impiegati sono i pi disparati: velluti di cotone o seta sia in tinta unita che operati a motivi floreali, lampassi broccati a motivi floreali policromi, damaschi rigati o a motivi floreali, pekin, taffett operati, e tutta la gamma dei tessuti di cotone sia monocromi che fantasia da usare in combinazione con insiemi giornalieri e festivi.102 Alcuni gilet festivi sono ricamati secondo il gusto della prima met dellOttocento con fili di seta in tonalit sobrie abbinate
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al colore del tessuto di fondo. Su capi con abbottonatura centrale il ricamo viene realizzato simmetricamente sulle due parti anteriori e sui risvolti bassi e arrotondati. I bottoni sono rivestiti in tessuto o sono realizzati in lamina e filigrana dargento; frequente anche lutilizzazione di monete antiche opportunamente dotate di appiccagnolo ad anella o a catenella. La parte posteriore dei gilet quasi sempre realizzata con tessuti di tipologia e colore diverso rispetto alla parte anteriore; per ottenere una maggiore aderenza pu anche essere applicata una piccola martingala regolabile in corrispondenza del punto vita. I gilet di questo tipo possono anche essere confezionati con pesante panno o orbace di lana di colore nero e mostrano un taglio del tutto uguale ai modelli continentali. 249

GIUBBETTI E GIACCHETTE

capispalla maschili, al contrario di quelli femminili, presentano modelli dalle pi disparate lunghezze e tipologie. I giubbetti e le giacchette, di seguito descritti, sono indumenti strutturati, di linea geometrica o sagomata, la cui lunghezza non oltrepassa la linea dei fianchi. Per il periodo compreso tra la seconda met del XIX e la prima met del XX secolo le fonti iconografiche e le informazioni raccolte sul campo concordano nellassegnare a questo tipo di indumento una funzione intermedia tra luso domestico e quello esterno. Solo in ambito familiare e nel corso di attivit lavorative, vengono indossati da soli; al di l di queste occasioni, quanti possono permetterselo sovrappongono a giubbetti e giacchette altri tipi di capispalla di diversa lunghezza, con o senza maniche.

Giubbetti Per un lungo arco di tempo, tra lOttocento e i primi anni del Novecento, tutta liconografia mostra un gusto cromatico comune che caratterizza i giubbetti maschili dellisola. La gamma dei rossi e dei blu del panno, dellorbace e del velluto viene proposta in una miriade di varianti che distingue, come una divisa, localit di provenienza o attivit professionali. Il colore nero quello proprio del lutto vedovile. Come i giubbetti femminili, anche gli omonimi maschili sembrano derivare da fogge del Cinquecento e del Seicento. I giubbetti pi arcaici

hanno struttura geometrica e presentano maniche lunghe aperte dallascella allavambraccio o con spacchi pi piccoli dai quali fuoriescono comunque le maniche delle camicie. In altri casi le maniche sono chiuse, ma il taglio sempre di tipo arcaico senza sagomature allo scalfo. La lunghezza arriva, di norma, alla vita; alcuni modelli vengono indossati ben chiusi, anche a doppio petto, infilati dentro i calzoni a gonnellino, altri vengono lasciati ricadere sopra questultimo indumento, con le falde parzialmente aperte, anche se le parti anteriori sono tagliate per poter essere chiuse alloccorrenza.

405. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Contadino di Nuoro, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 406. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Oliena, 1878, litografia a colori, in Galleria di costumi sardi, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 407. Oliena, inizio sec. XX, foto depoca. 408. Giubbetto giornaliero, zippne, Tonara, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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Questo modo di indossare il giubbetto, pi adatto ad un uso domestico e quotidiano, almeno nel primo Ottocento, diventa comune anche nelluso festivo e di gala in molti paesi della Sardegna centrale dove labito tradizionale continua ad essere indossato fino ai primi decenni del Novecento. I giubbetti vengono indossati sopra la camicia, raramente sopra un corpetto o un gilet e di norma viene sovrapposto ad essi almeno un altro capospalla con o senza maniche, in molti casi anche altri due o tre, come ampiamente documentato dalliconografia antica prima e dalle fonti fotografiche poi. Gran parte dei capi esaminati, che non hanno data-

zioni anteriori alla fine dellOttocento, sono confezionati in panno rosso, il cui uso, assai comune anche in periodi precedenti, diviene generalizzato, sostituendo prima negli esemplari festivi e poi anche in quelli giornalieri lorbace rosso (Fonni, Tonara). Allo stesso tempo gli esemplari festivi si arricchiscono di ricami ed applicazioni estesi a larghe parti dellindumento, bordato con

409-410. Giubbetto festivo, gippne, Oliena, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
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411. Giubbetto festivo, corttu, gippni, Cagliari, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 412. Giubbetto e corpetto, zippne tancu e soropu, Orgosolo, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 413. Giubbetto, zippne, nellabito festivo, Nuoro, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 414. Giubbetto, zippne a mnicas aprtas, nellabito festivo, Orgosolo, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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nastri in seta in sostituzione del pi modesto soutache di lana. In alcune localit sui giubbetti sono presenti, anche se in forma minore, i pattern decorativi propri di quelli femminili; in altre realt si pensa di accentuare la mascolinit degli abiti, privandoli di qualunque civetteria femminile in favore di una ricercata sobriet di colori e forme. Ornamento tipico del giubbetto sono i bottoni posti in serie a chiudere la manica in corrispondenza dellavambraccio e lungo la zona anteriore; queste parti presentano pertanto occhielli rotondi e asole ricamate a punto occhiello con fili di seta policromi. Un tipo di giubbetto molto particolare quello usato ad Orgosolo, una sorta di coprispalle confezionato in orbace nero (zippne tancu) con maniche lunghe, che viene sovrapposto ad un corpetto di taglio identico al zippne tradizionale, ma meno ornato e privo di maniche al quale si d il nome di soropu, comune, come si visto, ad altri tipi di corpetti usati nella Sardegna centrale. I giubbetti sagomati, con manica per lo pi chiusa o con piccoli spacchi, rappresentano una foggia pi evoluta e sono diffusi soprattutto tra la fine dellOttocento e i primi del Novecento in aree pi esposte al gusto bor-

ghese. Sono confezionati in panno di lana rosso o velluto di cotone sui quali vengono applicati, a scopo ornamentale, tessuti di grande pregio quali lampassi o velluti di seta. Il ricamo piuttosto raro, sottolinea lo stacco tra diversi tipi di tessuto e orna le maniche in corrispondenza dei polsi, chiusi con alcuni bottoni in lamina dargento, passanti attraverso asole ricamate. Le denominazioni sono identiche per le due fogge: zippne, gippni, gippne, corttu, zamrra sono termini ricorrenti in tutta lisola, senza distinzione di modello. Giacchette Il termine giacchetta decisamente appropriato per denominare il capospalla tipico del pescatore di Cagliari, confezionato in panno di lana blu tipo marina. Il taglio di questo indumento chiaramente derivato dalla corta giacchetta da marinaio, con piccoli risvolti e tasche orizzontali nella parte anteriore chiusa con una serie di bottoni metallici presenti anche sul polso. Il termine giacchetta comprende anche le varianti in orbace o panno, molto corte, a manica stretta, profilate con soutache di lana e guarnite, nella parte anteriore, con alamari in cordoncino. I giubbetti di foggia pi arcaica non presentano fodere, ma sono accuratamente rifiniti per essere usati anche a doppio diritto (Nuoro, Oliena, Orani, Orotelli, Sarule); quelli di foggia pi recente sono foderati con tele di cotone di medio peso sia in tinta unita che fantasia.

415. Giacchetta, gianchtta, Cagliari, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 416. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora.
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CINTURE

e cinture (chintrias, chintrzas, carrighras, lazzdas, vrentras) sono accessorio indispensabile dellabbigliamento maschile e le fonti iconografiche ne rappresentano un gran numero di modelli. Sembrano mancare solo in alcuni insiemi che prevedono luso di un panciotto con risvolti e abbottonatura centrale, ma potrebbero essere indossate al di sotto di esso e perci non visibili. I numerosi esemplari conservati presso raccolte pubbliche e private corrispondono pienamente alle illustrazioni e confermano la grande variet di modelli, la loro qualit e valenza estetica. Gran parte delle cinture sono in cuoio di colore naturale o tinto, hanno altezze varie, tali, in qualche caso, da farle sembrare dei busti.103 La lunghezza ovviamente proporzionata alla taglia del proprietario, e pu anche essere regolata con lacci passanti attraverso appositi forellini, come avviene negli esemplari diffusi nel centro-Sardegna dove non godono di grande favore le cinture con fibbie. Queste sono invece presentissime in tutto il resto dellisola e in particolare nel Cagliaritano dove le cinture che completano gli insiemi festivi e comunque quelli delle classi agiate sono impreziosite da grandi fibbie in lamina dargento. Sono diffuse ovunque cinture festive impunturate e ricamate con fili di seta policromi a motivi geometrici, talvolta con le iniziali o lintero nome del proprietario, oppure intarsiate su un fondo di raso di seta a colori vivaci o lampasso policromo.

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Di tono pi sobrio e comunque duso festivo o giornaliero, sono le cinture di pelle nera lavorata a sbalzo con sottili profili in pelle rossa. In pelle di colore naturale sono le cinture con sacca portapolvere o portamonete applicata sulla parte anteriore; anche queste possono essere intarsiate e ricamate e vengono indossate da sole o in abbinamento ad un altro tipo di cintura. Lo stesso dicasi per le cartucciere, sempre in pelle naturale o colorata, dotate delle apposite piccole tasche cilindriche per lalloggiamento delle cartucce protette da un apposito lembo di cuoio.104 Le cinture molto alte, spesso colorate in rosso o verde, possono avere due o pi affibbiature anteriori che presentano interessanti lavorazioni artigianali. Duso festivo sono anche le cinture di cuoio rivestito con lampassi policromi operati e broccati nelle pi varie fantasie. Le cinture in tessuto, a fusciacca, sono tipiche dellabbigliamento dei pescatori cagliaritani; luso festivo prevede luso di fusciacche in tessuti di seta operati, di chiara importazione nordafricana e levantina, quello giornaliero ricorre a semplici fusciacche in tessuti di qualit inferiore.

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417. Cintura festiva, chintria, Orani, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. Dalla cintura pende un acciarino metallico da usare con pietra focaia. 418. Fusciacca festiva, lazzda, Cagliari, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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419. Cintura festiva, cntu, Cagliari, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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425. Alessio Pittaluga, Proprietaire dIglesias (Possidente di Iglesias), 1828 ca., litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni.
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426. Alessio Pittaluga, Vendeur de lait de Cagliari (Venditore di latte di Cagliari), 1828 ca., litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni. 427. Dorgali, inizio sec. XX, foto depoca. 420. Cintura con tasca portapolvere, brentra, Tonara, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 421. Cintura con tasca portapolvere, intrriu, Meana, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 422. Cintura festiva, chintrza, Dorgali, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 423. Cintura festiva, intrriu, Meana, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
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424. Cintura, cntu, Oristano, prima met sec. XX Oristano, coll. Enrico Fiori.

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CAPPOTTI LUNGHI

n questa definizione sono compresi quei modelli di capispalla che coprono la figura almeno fino a met polpaccio e che vengono sempre indossati sopra altri indumenti quali gilet, giubbetti o giacche. Vengono divisi in due tipologie sulla base del tessuto e del modello impiegati; allinterno di tali tipologie saranno tracciate ulteriori distinzioni.

Serenccu Cappotto di origine levantina detto serenccu e pilrzu. Il termine serenccu viene nel tempo attribuito anche a cappottini corti, di orbace, descritti pi avanti, ma dovrebbe essere pi precisamente destinato soltanto ad un modello di cappotto lungo, caratterizzato dalluso di un particolare tipo di tessuto di lana, di produzione greca, piuttosto morbido, di colore marrone cioccolato, caratterizzato da un diritto piano e un rovescio a pelo corto di fili ritorti. Gi il La Marmora aveva chiarito: Non fatto, come gli altri, di furesi nero, ma di un panno grosso di color cioccolata che viene dal levante e dal regno di Napoli.105 Giuseppe della Maria aveva gi rilevato questa caratteristica avendo esaminato due esemplari di cappotto serenccu conservati al Museo delle Arti e Tradizioni

428. Luciano Baldassarre, Uomo vestito del capottu serenicu, 1841, litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 429. U. Martelli, Pescatore cagliaritano, fine sec. XIX, litografia a colori. 430-431. Cappotto lungo, serenccu, Cagliari, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
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mezzo di scambi commerciali con i Maltesi, ben prima che i cappottari greci iniziassero unattivit stabile e continueranno ad essere importati anche dopo questo momento. pertanto naturale che siano capi assai ricercati, costosi e dunque inizialmente riservati ai ceti pi ricchi della societ campidanese. Gli esemplari di serenccu raccolti tra il 1905 e il 1911 per la Mostra di Etnografia Italiana, inserita nellEsposizione Internazionale di Roma del 1911, costituiscono una fonte preziosa per la loro descrizione e confermano le peculiarit e lalta qualit sartoriale di questi capi. Sono confezionati con il tessuto di lana gi descritto, lunghi fino al polpaccio, hanno maniche lunghe e cappuccio. Un tono particolare dato

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Popolari di Roma: Questo caratteristico indumento di origine balcanica e lavorato a Cagliari da cappottari greci presente in due preziosissimi capi, i soli sopravvissuti. Nella letteratura del costume sardo sono frequenti le descrizioni del serenicu, spesso anche particolareggiate, ma non si riscontra in alcuna la indicazione della qualit della stoffa che qui si accerta corrispondere a rustica lana, che non orbace e in nessun testo si rileva la presenza nellinterno del cappotto di una finta pelliccia di lana scura, a filo ritorto, di lunghezza variabile da capo a capo, di cui sono dotati entrambi gli esemplari.106 I cappotti prenderebbero il nome serenccu dalla citt di Salonicco dalla quale venivano importati sia gli indumenti confezionati sia il particolare tessuto; il nome pilrzus, con cui sono anche conosciuti, sembra particolarmente adatto a definire il tessuto peloso con il quale sono realizzati. Proprio la mancanza di questo tipo di tessuto a causa della guerra greco-ottomana costrinse i cappottari greci, attivi a Cagliari gi nella seconda met 266

del Settecento, a rivolgere le loro energie nella produzione di altri tipi di cappotti di orbace e panno, modelli sardi, sollevando cos le rimostranze del gremio dei sarti cagliaritani. La lunga causa che vide la comunit dei greci difendersi contro le pretese del gremio dei sarti cagliaritani fin con la vittoria dei primi nella sentenza, emessa nel novembre del 1826, che li assolveva dallaccusa di esercizio abusivo della professione, fino ad allora esclusivo monopolio del gremio dei sarti di Cagliari. La sentenza venne emessa dalla Reale udienza, la massima magistratura dellisola, e nasceva in un nuovo clima sociale e culturale, dopo un quindicennio di presenza continuativa della corte sabauda e di tutto il suo enturage a Cagliari; quello fu il periodo di maggiore successo dei maestri greci in citt e nellhinterland, al punto che i loro manufatti erano preferiti rispetto a quelli dei sarti del gremio cagliaritano.107 I cappotti del tipo serenccu giungono a Cagliari gi confezionati, attraverso i porti di Livorno e Napoli e per

dalle rifiniture e dalle guarnizioni in panno rosso e bianco inserite lungo le linee di taglio della parte anteriore, in corrispondenza degli angoli inferiori e delle tasche, dove anche applicata una frangia celeste. Lindumento non viene abbottonato, ma le parti anteriori sono semplicemente accostate, lasciando intravedere le falde interne in panno rosso con fitta impuntura longitudinale. Davvero particolare la minuta ornamentazione inserita lungo il taglio delle maniche: minuscole spirali in panno rosso e bianco alternate tra loro a formare come un gioco di roselline. Il cappuccio presenta gli stessi motivi decorativi e la fodera in panno rosso. Cuciture e ornamentazioni sono tutte realizzate a mano.108

432. Cappotto lungo, piccinnu o serenccu, Quartu S. Elena, prima met sec. XX Oristano, coll. Enrico Fiori.

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Gabbnu Pi fonti danno testimonianza di questo cappotto, confezionato esclusivamente in orbace, certo il modello pi antico tra quelli usati in Sardegna, che cos viene descritto da La Marmora: Questindumento usato nella provincia di Iglesias e in quasi tutta la parte settentrionale dellisola. Il colore sempre nero, non foderato, n guarnito di stoffa di altro colore, come il soprabito greco. La descrizione, alla quale si deve aggiungere la presenza del cappuccio, la mancanza di abbottonatura e lattaccatura della manica impostata ad angolo retto, corrisponde perfettamente alle raffigurazioni dei primi decenni dellOttocento109 nelle quali questo tipo di cappotto ben distinto da quelli decorati. Molto interessante la tavola 27 della Collezione Luzzietti, Uomini del Marghine, che descrive un capospalla lungo, presumibilmente di orbace, tutto nero, senza guarnizioni colorate, con lungo spacco posteriore. La figura mostra le due falde posteriori del cappotto rialzate simmetricamente: ci fa supporre che questo sia dotato di fessure o di cordelle mediante le quali possibile, alloccasione, sollevare le due parti laterali sia per cavalcare sia per evitare di infangarle. La funzione di questo capo, associato a insiemi vestimentari di medio livello, non pare essere festiva cos come non lo quella dei cappotti lunghi di orbace che li sostituiranno a partire dal primo Novecento. Tali cappotti mantengono la stessa denominazione dei loro predecessori, vengono ancora confezionati con orbace

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nero, ma sono di concezione moderna, probabilmente derivati da modelli militari. Il taglio a petto semplice o doppio, con o senza risvolti, chiuso con bottoni moderni a due o a quattro fori. Il cappuccio, sagomato, unito con bottoni nascosti nella parte posteriore del colletto e sagomate sono anche le maniche, tagliate a scalfo asimmetrico. La parte posteriore mantiene il lungo spacco

che termina appena sotto una martingala alta, chiusa da uno o due bottoni. Le persone agiate aggiungono spesso un colletto di pelliccia nera di agnellino (astrakan) o di pelliccia finta o di tessuto in lana boucl. Pi raro il modello senza maniche, probabilmente derivato dal cappotto da postiglione, con mantella staccata, dotata di cappuccio, abbastanza lunga da coprire le braccia. Le raccolte pubbliche e private conservano ancora numerosi capi di questo tipo provenienti per lo pi dalla Sardegna centrale dove sono stati utilizzati anche in associazione a completi di velluto o fustagno. Cappotti di orbace o panno, detti capptte de saile, fiortto, piccinnu,110 sono stati a lungo oggetto di contesa tra i cappottari greci e il gremio dei sarti di Cagliari che accusavano i primi di non limitarsi a confezionare solo i serenccus, per i quali avevano apposita licenza, ma di tagliare e cucire anche cappotti lunghi, di orbace o panno di lana di vario tipo. La contesa ebbe termine nel 1826 con la vittoria dei cappottari greci che cos poterono confezionare tutti i modelli di cappotto, anche quelli alla sarda, come evidentemente sono considerati questi ultimi. Possono essere ritenuti varianti dellantica versione del gabbnu di cui sopra, un po pi corti, e soprattutto caratterizzati da profili e guarnizioni in tessuto di colore contrastante e dotati di cappuccio con nappina variopinta.111 Per alcuni aspetti sembrano essere unimitazione a buon mercato dei serenccus, ma non si pu escludere che forme di gabbnu ornate, destinate ad un uso festivo o riservate ai ceti abbienti, fossero gi presenti in Sardegna e che linfluenza dei sarti greci abbia in qualche modo alimentato il gusto per lornamentazione policroma. Allo stato delle conoscenze non sembra essersi conservato alcun cappotto di questo tipo, n tra le collezioni pubbliche n tra quelle private.

433. Anonimo, Uomini del Marghine, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 434. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora. 435. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora. 436. Anonimo, Majoli, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 437. Iglesias, foto depoca, inizio sec. XX. 438. Cappotto lungo, gabbnu, Bitti, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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CAPPOTTI CORTI, GIACCONI E GIACCHE

e i cappotti lunghi sembrano essere destinati soprattutto ad un uso invernale, non pu dirsi ugualmente per i capispalla di lunghezza media. Cappotti corti, giacconi e giacche, che rientrano in questa categoria, infatti, si utilizzano, indipendentemente dalla stagione, in tutti i momenti della vita sociale fuori dalla cerchia familiare, ma non raro un impiego anche in ambito privato. Le occasioni ufficiali, di rappresentanza e cerimoniali, prescrivono luso di simili capispalla quasi per mitigare il tono eccessivamente informale e intimo dei corpetti, gilet, giubbetti e giacchette indossati sotto.
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Cappotti corti Gabbannlla, cappottnu, cappottnu e coidra, evidenti diminutivi dei termini che sono propri dei cappotti lunghi, sono attribuiti ad un particolare capospalla corto diffuso in tutta lisola. In qualche localit gli esemplari realizzati in orbace o panno con applicazioni di tessuti, nastri e cordelle ornamentali, vengono anche chiamati serenccu forse proprio per la presenza di questi elementi. La parte superiore tagliata come i cappotti lun-

ghi, mentre le falde, di lunghezza pari a quella delle rgas, sono sagomate e svasate per accompagnare il taglio dei calzoni a gonnellino: ci particolarmente evidente negli esemplari di Bitti, Fonni, Oliena, Orosei, Nuoro, per citare qualche esempio. Sono capi molto diffusi sia nelle varianti festive sia in quelle giornaliere, tutti presentano ornamentazioni di tessuto, passamanerie, soutache. La parte anteriore non viene chiusa e proprio per questo motivo foderata, con un largo bordo di velluto di cotone o seta nei colori nero, blu, rosso o granato fino allinterno del cappuccio; la realizzazione di questa parte molto curata e presenta fitte impunture longitudinali parallele che possono essere in tinta col tessuto, o

439. Zappatore sassarese, 1850-63, litografia a colori dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. 440. N.B. Tiole, Paysans de Samassi, 1819, acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni. 441. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora.
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442. Cappotto corto, gapptte, Orosei, primo decennio sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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in contrasto cromatico. Tali impunture possono essere realizzate a mano o a macchina con cordoncini di seta. Lindumento viene indossato aperto, tuttal pi affibbiato in corrispondenza del collo con fermagli e catenelle dargento; in qualche caso sono comunque presenti alamari e bottoni anche a solo scopo ornamentale. In corrispondenza dellavambraccio e intorno alle tasche sono anche applicate guarnizioni in velluto bordate con passamanerie e cordoncini. Nella Sardegna centrale e settentrionale i cappottini sono quasi sempre ornati con tessuti in tinta, dunque nero su nero, in un raffinato gioco di chiaroscuri determinato dalla lucentezza del velluto in contrasto con lorbace. Si tratta di modelli in gran parte risalenti ai primi decenni del Novecento e non da escludere che esemplari pi antichi potessero mostrare una policromia maggiormente accentuata, abbandonata in favore delle tonalit cupe che caratterizzano la moda maschile a partire dalla seconda met del XIX secolo. Da non trascurare il fatto che le norme per il lutto prevedevano che i vedovi indossassero sempre, fuori di casa, il cappottino nero col cappuccio calato sul volto e che in molti casi, dato lalto costo di questi indumenti, la variante in nero pu avere alla fine prevalso su quella policroma anche fuori dalla condizione di lutto. Tutti i cappottini presentano rifiniture estremamente accurate con fodere in rasatello di cotone stampato a grandi fiori, pekin, o altri tipi di tessuto rigato; le cuciture sono spesso realizzate a macchina mentre passamanerie e cordelle sono applicate a mano. Il ricamo raro e limitato a pi corsi a punto catenella, erba o motivi a punto festone scalato (dentelle).

443. Cappotto corto festivo, cappottnu o serenccu, Dorgali, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 444. Cappotto corto giornaliero, cappottnu, Gavoi, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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Giacconi I giacconi, simili per lunghezza ai cappottini, o le giacche, pi corte, sono confezionati sia in panno sia in orbace e sono denominati gianchtta, zanchtta. Hanno taglio simile a quello di una giacca moderna, con linea diritta, risvolti e abbottonatura anteriore. Le tasche sono ad apertura trasversale, con bordo piatto o, in qualche caso, a battente. Il ricamo con cordoncini di seta o le applicazioni di alamari e passamanerie sono piuttosto rari, mentre frequente lapplicazione di un profilo di soutache di lana di colore nero o marron. Le fodere sono di tessuto di cotone o di lana in tinta unita o in fantasia, comunque di colore scuro.112 In molte localit questi indumenti sostituiscono il cappotto corto e vengono indossati sia sopra i corpetti di foggia tradizionale che sopra gilet e panciotti di taglio pi moderno.

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445. Giacca festiva, gianchtta, Pula, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 446. Giacca festiva, gianchtta, Sinnai, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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MANTI

unico mantello tradizionale usato in Sardegna, conosciuto come sccu o sccu e cobrri, formato da due teli di orbace uniti tra loro in senso longitudinale, sovrapposti ad altri due, e poi cuciti tra loro per tutto il perimetro cos da formare un grande rettangolo.113 Su uno dei lati lunghi sono cuciti due grossi ganci che consentono di fermare lindumento sul petto se lo si posa sulle spalle, o sotto la gola se lo si posa sul capo; per il resto le fonti orali non dicono molto di pi rispetto a quanto scritto da La Marmora: Questa veste, fatta di solito con due teli di furesi nero applicati luno sullaltro e cuciti nel senso della lunghezza, ancora molto comoda per viaggiare a cavallo, quando un po ampia e allora copre il corpo, dietro, fin sotto le reni e, davanti, le cosce e anche le gambe. Non che una veste per la pioggia e per linverno, ma tanto pi utile in quanto tiene poco posto e in viaggio pu servire da letto, da coperta e persino da tappeto per mangiare in aperta campagna. Questi sono, per lo meno, i servizi che io ne ho avuti e che il saccu offre ogni giorno ai pastori sardi.114 I mantelli esaminati non hanno datazioni anteriori alla fine dellOttocento e mantengono inalterato questo modello. opportuno precisare che spesso il lato lungo anteriore ha angoli arrotondati e che in qualche caso applicato un cappuccio. Lorbace nero, pesante e ben follato, senzaltro il pi usato, ma di grande bellezza sono anche i mantelli in orbace screziato ottenuto con lana di colore naturale abbinata nelle tonalit del marrone/nero o del grigio/nero. Tutte le fonti concordano sullorigine di questo mantello risalente, se non al nuragico, almeno al periodo romano. La funzionalit e la semplicit di realizzazione, anche in ambito familiare non specializzato, ne ha decretato, nel tempo, la fortuna. Il modello cos riuscito che ancora negli anni Settanta del Novecento parte importante del corredo dei pastori dellinterno che per il resto hanno da tempo abbandonato labbigliamento tradizionale.
447. Mantello, sccu, Orroli, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

448-449. Mantello, sccu, Nuoro, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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SOPRAVESTI IN PELLE E PELLICCIA Indumenti in pelle e pelliccia, senza maniche, hanno caratterizzato labbigliamento maschile in Sardegna fin dalla pi remota antichit. Non si riportano gli innumerevoli studi che hanno trattato questo tipo di vesti realizzate in pelle e pelliccia di pecora, capra, agnello o capretto cui si accompagna, altrettanto numerosa, la documentazione iconografica, n sar il caso di riaffermare quanto questi elementi siano comuni a tutte le societ pastorali e agricole del bacino del Mediterraneo. Questa tipologia vestimentaria continua ad essere largamente utilizzata, soprattutto nelle attivit agricole e pastorali, fino alla prima met dellOttocento, nei modelli arcaici pi semplici, a pelo lungo. Per i capi destinati ad un uso pi formale possono essere seguite delle linee di evoluzione e trasformazione, in relazione alle occasioni di utilizzazione, nellarco di tempo al quale fa riferimento il presente studio.
Collttu Coietto il nome italiano rinascimentale della pi diffusa e ricercata sopraveste in pelle, priva di maniche, chiamata collttu. Non a caso tra gli indumenti pi citati dalle fonti antiche che ne documentano la presenza in tutta lisola con particolare frequenza nel Sassarese, nellOristanese e nel Cagliaritano, zone nelle quali si realizzano esemplari di grande pregio e dove luso si protrae, almeno nelle occasioni festive e cerimoniali, fino al primo Novecento. Luso del cojetto (sos corios) mancato e credono bene di supplire col cappotto e col gabbano: cos scrive lAngius descrivendo labbigliamento degli uomini di Oliena e poi in riferimento ad Orani scrive: Spiace che anche i vecchi abbiano con grave danno della loro sanit dimesso luso del cojetto e di altre vesti nazionali.115 Gi nella seconda met dellOttocento dunque, la diffusione del collttu ovunque in calo e anche nella Sardegna centrale, in genere pi conservativa, questi capi sono gi scomparsi o indossati da persone anziane. I reperti depoca, rarissimi e in mediocre stato di conservazione, sono tutti relativi ad un ambito di utilizzazione cerimoniale. Lausilio delle fonti iconografiche, per fortuna assai numerose, permette di descrivere sostanzialmente due modelli di collttu : uno aperto nella parte anteriore e laltro con aperture laterali, da indossare infilandolo attraverso il capo; costituisce elemento di differenziazione anche la profondit della scollatura che sembra essere maggiore nei capi festivi per dare risalto alla parte anteriore del corpetto o del giubbetto, mentre nei capi associati ad insiemi vestimentari pi modesti la

450. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora. 451. Giovanni Marghinotti (attrib.), Vaccajo di Cagliari, prima met sec. XIX, acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni. 452. Luciano Baldassarre, Capo dei cavallanti, 1841, litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 453. Bosa, ante 1905, fotografia di Giovanni Nurchi. 454. Coietto festivo, collttu, Oristano, seconda met sec. XX (riproduzione del modello usato dal gremio dei falegnami) Oristano, coll. Enrico Fiori.

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scollatura, quadrangolare, molto ridotta. Cordelle di cuoio e una cintura, di varia altezza e modello, chiudono questo capo, mantenendolo ben aderente al busto. I collttus festivi possono essere confezionati con morbide pelli di capretto o cervo, quelli duso giornaliero con pelli di minor pregio, sempre di colore chiaro. In tutti i casi il modello sempre accuratissimo con taglio in corrispondenza del punto vita dove le pelli sono disposte ad ampi gheroni in modo che la parte inferiore risulti larga e scampanata e consenta la pi ampia libert di movimenti. Vale anche la pena di precisare che questo tipo di sopraveste deve essere indossato sopra linsieme completo di camicia, corpetto o gilet, giubbetto, calzone di tela e calzone a gonnellino oltre, naturalmente, alle uose, dunque la qualit di un capo morbido e ben sagomato anche quella di ricoprire, senza appiattirli, tutti i capi sottostanti. Soltanto raramente il collttu sembra essere usato senza i calzoni a gonnellino, con i soli calzoni chiari, molto aderenti, come attesta una tempera di Agostino Verani che mostra un uomo di Tempio con collttu corto e aperto su un fianco cos da mostrare tutta la lunghezza del calzone.116 Pellami di prima scelta e tagli accurati sono poi completati da ricami e applicazioni di tessuto, anche in tinta contrastante, disposti attorno alla scollatura anteriore, che come si detto particolarmente profonda nei capi festivi. La presenza di bottoniere dargento, fermagli e catene in lamina dargento, persa la funzione originale, mantiene evidentemente solo quella ornamentale che dichiara anche il rango e la posizione sociale del proprietario. Sopra il collttu possono essere indossati tutti i tipi di capispalla in tessuto o in pelliccia in relazione alla stagione e ai momenti di utilizzazione. Gilet di pelle e pelliccia Gilet di pelle e pelliccia corti o lunghi sono diffusi in tutta lisola dove vengono chiamati bste pddi, ste pdde, pddes. Sono capi di taglio diritto, di fattura piuttosto semplice ed anche relativamente economici soprattutto nella versione lunga pi comune, fatta con pelli di pecora o capra, preferibilmente di colore scuro che si adatta alle varie esigenze climatiche e lavorative. Si indossano comunemente con il pelo allesterno, ma possono anche essere indossati al contrario. Una bella tempera del Verani mostra un gruppo di mercanti di bestiame che indossano sia le pellicce con il pelo allesterno sia quelle con il pelo allinterno; queste ultime, di colore chiaro, appaiono particolarmente eleganti e presentano

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455. Gilet di pelle, pddes, Orani, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 456. Nuoro, fine sec. XIX, fotografia di Antonio Ballero. 457. Giovanni Marghinotti (attrib.), Viandante di Bosa, venditore dolio, prima met sec. XIX, acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni. 458. Gilet di pelle, pddes, Nuoro, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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459. Villamar, 1906 ca., foto depoca. 460. Gilet di pelliccia, pddes, Tonara, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 461. Orgosolo, 1954, fotografia di Pablo Volta.

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profili in tinta contrastante. Meno elegante, corto, ma sempre di colore chiaro e con pelo allinterno, il gilet indossato da una figura maschile raffigurata nella Collezione Luzzietti.117 Cos scrive il La Marmora a proposito dei diversi modelli di pelliccia: La forma di questa pelliccia ovunque la stessa; bench abbia qualcosa di selvaggio e semibarbaro, essa molto utile e comoda perch, come il collettu, ripara dal sole, dal vento e dalla pioggia. Il modo comune di portarla con il pelo allesterno; tuttavia la si mette al contrario, secondo il tempo e la stagione, soprattutto quando le pelli sono ben conciate e ben bianche. Gli abitanti del Campidano di Quartu sono quelli che pi la usano in questultima ma282

niera e, grazie a dei successivi raffinamenti dovuti al piacere degli ornamenti, la pelliccia ha perduto in questa zona il suo aspetto grossolano: essa costituisce ora un capo molto elegante nellabbigliamento di questi contadini.118 Le pellicce di questo genere rimangono a lungo in uso specie nelle zone dellinterno e in ambito pastorale, ma gi nella seconda met dellOttocento diviene pi frequente lutilizzo di gilet di pelle di agnellino nero di forma sagomata e di tono pi raffinato. Questi capi restano completamente aperti nella parte anteriore dove risulta in evidenza il giubbetto e coprono la parte posteriore della figura fino alla lunghezza dei calzoni a gonnellino, cos da rendere necessaria una precisa sagomatura della parte

inferiore e un accorto impiego dei pellami. La parte interna mostra il cuoio accuratamente conciato o finemente foderata in tessuto; spesso sono presenti tasche a battente impunturate con fili di seta policromi. Sul finire dellOttocento si producono anche capi in pelle ben conciata con tasche esterne, del tipo a battente gi descritto, e fodere in tessuto di cotone (fustagno, rasatello, tela spazzina), preferibilmente di colore scuro. Esemplari festivi o comunque di lusso in uso tra la fine dellOttocento e i primi del Novecento vengono confezionati con pellicce di agnellino persiano (astrakan). Nei primi decenni del Novecento, capi di tono elegante e adatti alla stagione pi calda vengono confezionati con tessuti

boucl ad imitazione della pelliccia; gli uni e gli altri vengono denominati a Nuoro stracnnu con chiaro riferimento al termine astrakan che lindustria manifatturiera attribuisce, in quegli anni, anche ai tessuti che imitano la pelliccia. Nelle raccolte pubbliche e private gli esemplari di pellicce lunghe sono assai rari, sia per le oggettive difficolt di conservazione, sia per la poca considerazione di cui godevano persino presso i collezionisti: capi di uso giornaliero e con scarsa valenza estetica. Pi numerosi sono i gilet del tipo corto e sagomato, dei quali si conservano ancora diversi esemplari di datazione compresa tra la fine dellOttocento e i primi decenni del Novecento. 283

CALZONI

calzoni sono, per definizione classica, indumenti destinati a coprire il corpo dalla vita alle caviglie, con funzione sia intima sia esterna. Essi, in Europa e nel bacino del Mediterraneo, presentano le forme e le origini pi varie. Tra il XVIII e la prima met del XX secolo, i calzoni esterni usati in Sardegna corrispondono sostanzialmente a quattro gruppi: a gonnellino, a gamba diritta, sagomati o a campana e quelli definiti come pantaloni a tubo, di foggia pi moderna.

Calzoni a gonnellino Possono essere considerati lindumento pi particolare del sistema vestimentario maschile, quello che ha destato il maggiore interesse tra gli studiosi di ogni tempo. La loro diffusione interessa tutta lisola dove sono variamente denominati (rgas, frcas, crazznis de arrda, carznes de fursi). Vengono definiti calzoni a gonnellino perch tutte le varianti presenti nellisola possono essere ricondotte al modello del corto gonnellino arricciato, in orbace o panno di lana, i cui lembi inferiori sono uniti da una striscia dello stesso tessuto. Da pi parti si sono fatte congetture sullorigine di tale indumento: alcuni lo fanno rientrare nellampio gruppo dei calzoni corti a gonnella che interessa tutta lEuropa, altri ne colgono la diretta discendenza dallabbigliamento dellet nuragica o romana, altri ancora li ritengono derivati dai calzoni cosiddetti alla Rhingrave diffusi tra gli abiti di corte alla fine del XVII secolo. Va anche considerato che i calzoni a gonnellino vengono sempre indossati in combinazione con gli ampi e lunghi calzoni di tela, dei quali si dir in seguito, che sono una via di mezzo tra capo intimo ed esterno: dunque ipotizzabile che il gonnellino sardo sia entrato in uso per soddisfare lesigenza di coprire il bacino in modo adeguato, necessit risolta altrove, in et medievale e rinascimentale, con le falde lunghe, ampie e arricciate delle casacche. Nella storia della moda europea, con labbandono delle vesti lunghe, si assiste infatti a continue variazioni dellinsieme dei capi destinato a ricoprire la parte inferiore del tronco, con le pi bizzarre soluzioni che ora evidenziano, ora nascondono la zona pubica e le natiche. dunque possibile che in ambito popolare sardo si sia consolidato luso di un gonnellino derivato dalla casacca di cui si detto prima e che ha assunto una propria fisionomia regionale da indossare in combinazione con i larghi calzoni, in una soluzione flessibile e pertanto adattabile alle specifiche esigenze

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462. U. Martelli, Rigattiere cagliaritano, fine sec. XIX, litografia a colori. 463. Calzoni a gonnellino, carcine de ursi, Oliena, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 464. Calzoni a gonnellino, frca, Dorgali, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
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culturali e climatiche. In Sardegna questo indumento mantiene evidentemente vivo un gusto tutto locale che, come le acconciature a trecce, richiama pienamente quello rappresentato dalla bronzistica nuragica.119 Quale che sia la loro vera origine, si possono comunque cogliere, anche se a grandi linee, dei veri mutamenti di moda dagli esemplari esaminati e dal confronto delle fonti iconografiche. I modelli anteriori alla seconda met dellOttocento si desumono solo sulla base delliconografia, non essendo giunto alla nostra conoscienza alcun reperto depoca; essi sono presumibilmente di orbace, generalmente di colore nero, marrone o foglia morta, ma anche giallo miele, fulvo o rosso.120 Non si pu escludere che, in qualche parte dellisola, gi allepoca, alcuni esemplari fossero confezionati in panno di lana, come accertato per il periodo successivo. certo invece che in tutta la Sardegna centrale il panno non mai utilizzato per la confezione dei calzoni e lorbace mantiene il suo primato fino alla scomparsa dellabito tradizionale. Veniamo dunque al periodo compreso tra la fine dellOttocento e il primo ventennio del Novecento quando, anche a seguito del primo conflitto mondiale, i giovani smettono completamente linsieme tradizionale o sostituiscono i calzoni a gonnellino con quelli a tubo, di foggia moderna.121 In tutta lisola il calzone a gonnellino ampio e la lunghezza media arriva sino a mezza coscia. Lorbace o il panno, vengono arricciati in minute pieghe allaltezza della vita, dove si applica un cinturino in tessuto di varia altezza, mentre lampiezza della falda ricade in pieghe sciolte o fitte plissettature. La parte anteriore presenta una brachetta longitudinale a fessura, con sottile orlo nascosto; talvolta la stessa apertura si ripete, perfettamente simmetrica, anche nella parte posteriore. Lorlo inferiore spesso rinforzato con un profilo di tessuto (panno in tinta o in colore contrastante) che lo tiene leggermente rialzato; lo stesso profilo anche applicato alla striscia di tessuto che unisce al centro i lembi del gonnellino. In alcune localit del Sassarese lorbace viene accuratamente plissettato e lo stesso accade nei capi di Dorgali dove allinterno del bordo inferiore applicata una striscia di tessuto policromo. In alcune localit dellinterno, a Nuoro, Oliena, Fonni, Bitti, Orgosolo, per citare solo alcuni esempi, la moda locale vuole gonnellini piuttosto corti e ben svasati. Per ottenere ci si inserisce un tessuto o un

cordino di rinforzo in corrispondenza del bordo inferiore che pu essere guarnito con un sottilissimo profilo di panno scarlatto. A Fonni questo dettaglio ha acquisito un tale risalto che il gonnellino risulta fortemente scampanato. Cortissimi, quasi a fascia, sono i calzoni di Samugheo, Busachi, Laconi, Atzara, talmente succinti da arrivare appena a coprire il bacino. Lorbace, accuratamente pieghettato, forma, in questi esemplari, una banda compatta intorno ai fianchi, ricamata a punto catenella a motivi curvilinei e rettilinei intersecati tra loro; la parte di tessuto risparmiata da tale lavoro si apre a volant, bordato di velluto di cotone in tinta. Non esistono modelli specifici per un uso festivo o giornaliero, o per fasce di et; la condizione del capo a segnare la differenza; si pu per notare che, laddove il calzone a gonnellino di foggia molto corta, gli anziani ne indossano di pi lunghi: uno stile pi modesto, dunque, paragonabile a quanto accade anche per i pantaloni moderni. Alcuni esemplari festivi campidanesi mostrano tasche bordate con velluto in tinta contrastante e profili in cordoncino o soutache, mentre quelli da lutto sono rigorosamente neri. Le cuciture risultano realizzate a mano o a macchina, con ricami e rifiniture comunque realizzati a mano; non sono presenti fodere, se non parziali, in corrispondenza dellorlo inferiore. Calzoni Confezionati in tela o diagonale di cotone o di lino, qualche volta di sottile orbace o tela di lana, sempre di colore bianco, rappresentano, come si visto, lindispensabile

465. Calzoni a gonnellino, crazzni a rda, Pula, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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466. Calzoni a gonnellino, rgas, Tonara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 467. Calzoni a gonnellino, rgas, Meana, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 468. U. Martelli, Costume festivo di Nuoro, fine sec. XIX, litografia a colori. 469. Villagrande, fine sec. XIX, foto depoca. 470. Bosa, ante 1905, fotografia di Giovanni Nurchi.
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complemento dei calzoni a gonnellino. Il modello ha tale diffusione in Europa, presso le classi popolari, che davvero arduo fare ipotesi sulla sua origine. Quello sardo realizzato unendo tra loro elementi di tessuto di forma rettangolare non sagomati, e presenta varianti determinate unicamente dallampiezza dellinserto quadrato cucito allaltezza del cavallo. Tale inserto ha dimensioni medie di cm 20 x 20, ma raggiunge anche cm 40 x 40 negli esemplari pi antichi del centro Sardegna. Per il resto la confezione piuttosto semplice: tutti gli elementi vengono uniti tra loro con cuciture a costura doppia, la brachetta formata da una lunga apertura longitudinale con piccolo orlo, lampiezza del tessuto viene raccolta in vita con semplici arricciature o piccole pieghe; lacci o semplici bottoni chiudono in vita lindumento. La lunghezza di norma a met polpaccio sia per i calzoni da raccogliere dentro le uose sia per quelli ricadenti sulla gamba. Gli esemplari provenienti dai paesi pi freddi dellinterno hanno la parte inferiore confezionata in pesante tessuto diagonale di cotone, quella superiore, che rimane coperta dai calzoni a gonnellino, di tela di cotone pi sottile. La cuciture sono

in genere realizzate a macchina. Alcuni capi festivi in lino mostrano semplici ricami in corrispondenza delle cuciture laterali lungo le gambe; pi spesso la differenza tra i modelli festivi e quelli giornalieri data soltanto dalla scelta di tessuti pi sottili per i primi, pi pesanti per i secondi. Non attestata nessuna variante cromatica e anche negli insiemi da lutto il colore chiaro resta invariato. Calzoni a campana Spesso confusi con i calzoni a gonnellino molto lunghi, i calzoni a campana (carznis, crazznis) costituiscono un modello a s stante diffuso in prevalenza nel Sulcis Iglesiente, ma attestato anche in alcune localit della costa orientale.122 Linfluenza iberica chiarissima, le differenze tra i capi spagnoli e quelli sardi sono determinate solo da piccoli dettagli. Si tratta sempre di calzoni sagomati, confezionati in pesante orbace o panno di lana nero, con la parte superiore piuttosto ampia e leggermente arricciata in corrispondenza del punto vita, rifinita con cinturino in tessuto di varia altezza. La brachetta longitudinale con orlo sottile. La lunghezza oltrepassa il ginocchio e lorlo inferiore, negli esemplari festivi e di gala pi recenti, spesso guarnito di pizzo, memoria del fatto che questi calzoni a campana si indossassero sopra quelli di tela, descritti in precedenza, il cui orlo sporgeva al di sotto per alcuni centimetri. In prossimit dellorlo, sul lato esterno della gamba, sono talvolta presenti piccoli spacchi.

471. Calzoni a gonnellino, crazzni a rda, Pula, inizio sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 472. Calzoni a gonnellino, fra, Orgosolo, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 473. Teulada, 1926 ca., foto depoca.

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Pantaloni a tubo La descrizione che segue prende in considerazione soltanto i modelli di pantalone lungo, indossati con camicie, gilet, capispalla e copricapo di tipo tradizionale. Compaiono nelliconografia del primo Ottocento relativamente ad alcune localit della Sardegna settentrionale e meridionale, che pi facilmente hanno subito linfluenza della moda cittadina. Cos scrive a questo proposito

il La Marmora: Labbigliamento dei Sardi perde qualcosa del suo carattere quando si lascia la classe dei contadini: il primo cambiamento riguarda i carzones. Le persone agiate e non titolate che abitano nei paesi e che nellisola sono chiamati mussara (messire francese, messere italiano), indossano a volte sul collettu un abito elegante, fatto che mi ricorda lo strano miscuglio dabiti che fanno ancora certi re negri dellAfrica. I nobili del paese (cavalieri dei villaggi ) si distinguono dai contadini esclusivamente per i pantaloni e per un maggior numero di ghiande e di bottoni sul loro serenicu o cabanu ; in genere usano, come i campagnoli, il berretto. Gli abitanti di citt seguono in tutto la moda francese o meglio quella del Continente.123 I pantaloni pi antichi risalgono alla seconda met dellOttocento e non sembrano differenziarsi dai modelli raffigurati nelle tavole a colori del primo Ottocento.124 La tipologia rimane quasi inalterata con differenze nella forma delle tasche o nella brachetta che pu essere diritta, con bottoni in vista, pi spesso nascosta in una piega del tessuto, oppure a patta anteriore chiusa sui due lati o solo su uno. I tessuti usati, conformemente alla moda alla quale si ispirano, sono di colore piuttosto scuro, in fustagno, panno e altri tipi di tessuti di lana. In qualche caso lunghi pantaloni a tubo di colore scuro sono utilizzati anche sotto un corto calzone a gonnellino. Il loro uso, insieme ai capi tradizionali, dura fino al secondo dopoguerra, poi, fatte salve le eccezioni, vengono abbinati a gilet e giacca di foggia moderna confezionati nello stesso tessuto. Influenze esterne, ma di antica data, sono anche quelle che hanno portato allintroduzione dei pantaloni a tubo di colore rosso tra i pescatori del Cagliaritano, particolarit che gi il La Marmora segnala: I pescatori dello stagno di Cagliari e alcuni marinai dei paraggi, sono i soli, tra la gente del popolo, a portare i calzoni lunghi. Questi sono sempre color garanza.125 Tali pantaloni devono essere ritenuti festivi e, nelluso giornaliero, durante la pesca, comunque alternativi ai calzoni bianchi di tela come quelli indossati sotto i calzoni a gonnellino. Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma conserva un raro esemplare di pantaloni di panno rosso risalenti alla fine dellOttocento. Sono piuttosto ampi nella parte superiore caratterizzata dallapertura centrale, con

bottoni a vista, e tasche verticali con bordo nello stesso tessuto. Le due gambe si restringono considerevolmente verso lorlo che tagliato al vivo. La confezione accurata nel taglio e nelle cuciture e, in particolare, nellapplicazione del cinturino in vita e delle tasche rinforzate con ponticelli a punto occhiello per evitare strappi.

GREMBIULI DA LAVORO

474. Pantaloni a tubo festivi, carznis, Cagliari, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 475. U. Martelli, Pescatore cagliaritano, fine sec. XIX, litografia a colori.
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476. Costume di Ploaghe, 1898, litografia a colori, in E. Costa, Costumi sardi, Cagliari 1913. 477. Ozieri, seconda met sec. XIX, foto depoca.

on si differenziano da quelli usati ancora oggi, con o senza pettorina. I materiali variano per le differenti professioni: sono in gran parte in tela pesante, anche incerata, per mugnai, casari, pescivendoli, in cuoio per macellai, fabbri, maniscalchi. Le informazioni si traggono dalle fonti antiche e dalle testimonianze orali perch non se ne conserva alcun esemplare come accade per tutti gli indumenti da lavoro e di poco pregio che si utilizzano fino alla loro completa distruzione.

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GHETTE E UOSE

e ghette o uose sono indispensabile indumento dellabbigliamento maschile nellinsieme costituito da calzoni a gonnellino e calzoni di tela, ma possono anche essere indossate con pantaloni a tubo. Se ne conoscono modelli a gamba chiusa, da infilare, detti crzas, e modelli a gamba aperta, da allacciare o chiudere con bottoni, che vengono chiamati burzighnos. Entrambi possono essere in cuoio o orbace; in panno sono confezionati solo gli esemplari pi recenti. Liconografia relativa a questi capi davvero sterminata126 e numerosi sono anche i tipi risalenti alla fine dellOttocento e ai primi del Novecento, soprattutto del modello in orbace sia a gamba chiusa sia con lacci. Rarissimi invece gli esemplari in cuoio, noti soprattutto grazie alle fonti: I borzeghinos sono aderenti alla gamba, spesso aperti e allacciati sul polpaccio, di cuoio in alcune parti, in altre in furesi nero. Questa calzatura, pi comune nel settentrione, si mette in genere sopra le mutande di tela di cui si parlato. Nel Campidano, al contrario, e nei dintorni della capitale, si usano di frequente le carzas, che si possono considerare come delle grandi ghette larghe, senza lacci o bottoni, che si infilano come calze, sono fatte di furesi nero e talvolta di cuoio molto sottile finemente pieghettato. Sono allora di una notevole eleganza. Le carzas si infilano, di solito,

sulle gambe nude.127 Dalle stesse fonti pare si deduca la predilezione dei modelli in pelle sottile, anche di daino, per lestate o comunque quando si voglia vestire in modo pi elegante.128 Sia le crzas che i burzighnos sono gambaletti ben sagomati per seguire la linea della caviglia e del polpaccio, dotati di una parte allungata che copre parzialmente la tomaia della calzatura e che pu essere munita o meno di sottopiede in cuoio. In entrambi i modelli sembra essere pi comune la lunghezza al ginocchio o a met ginocchio, ma non mancano esemplari che arrivano alla coscia. La parte superiore viene sempre fermata con lacci, nastri allacciati o affibbiati che possono essere in vista, anche a scopo ornamentale, o nascosti sotto la piega superiore della stessa uosa. Qualche esemplare in orbace mostra minuti ricami in cordoncino di cotone o di seta lungo le cuciture, altri hanno applicazioni di tessuto, anche in contrasto cromatico, sul bordo superiore; in altri casi lungo la parte che copre la scarpa presente un sottile bordino di panno rosso, nero, o comunque abbinato al colore del giubbetto o del corpetto. Tutti gli esemplari, anche quelli cuciti a macchina, presentano molte parti accuratamente rifinite a mano. Le fodere, dove presenti, riguardano solo la parte interna della soprascarpa e sono in pesante tessuto di cotone di colore scuro (rasatello, fustagno, tela spazzina).

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478. Uose, borzeghnos, Cagliari, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 479. U. Martelli, Costume attuale di Bitti, fine sec. XIX, litografia a colori. 480. Uose, crzas, Atzara, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
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481. Uose, crzas, Tonara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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CALZATURE

operte quasi totalmente dalle uose, le calzature sono rappresentate in modo approssimativo nelliconografia antica, ad eccezione di quelle dotate di grandi fibbie dargento. Grazie alle fonti orali, alla consultazione di fondi fotografici e allesame delle raccolte pubbliche e private, prima fra tutte la raccolta del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, possibile affermare che, tra la prima met dellOttocento e i primi decenni del Novecento, le calzature pi utilizzate sono gli scarponcini allacciati (bottnos, cosnzos) sia per un uso giornaliero che festivo. Solo tra la fine dellOttocento e i primi del Novecento, ma di rado, compaiono scarpe allacciate (iscrpas, iscrpas de crmo), pi eleganti, da indossare con insiemi festivi e nuziali. Gli scarponcini allacciati sono quasi sempre in pelle naturale, scurita per luso e lapplicazione di grasso; non mancano anche esemplari pi raffinati in pelle nera con tomaia alta, quasi a stivaletto, dotati di elastici ai lati. La gran parte di queste calzature ha la suola in cuoio chiodato con bullette lisce o scanalate, talune di dimensioni davvero ragguardevoli, applicate anche sul tacco. Tutti gli scarponcini hanno tacco medio-alto, spesso sagomato e rientrante; la tomaia sempre a punta rialzata e con allacciatura impostata in corrispondenza del collo del piede. Uno scarponcino proveniente da Fonni presenta tomaia a punta particolarmente affilata con allacciatura profonda e la solita suola con grandi bullette metalliche. Di estremo interesse sono le scarpe basse, di chiara origine settecentesca, con tacco ridotto, che presentano lacci e fibbia in lamina dargento applicata in prossimit della punta. Questa tipologia di scarpa spesso rappresentata nelle illustrazioni del primo Ottocento, raffiguranti gli abiti festivi dei macellai e dei pescatori di Cagliari o insiemi vestimentari dei ceti agiati. Un bellissimo paio di scarpe di questo genere completa linsieme festivo del pescatore di Cagliari conservato presso il Museo di Roma sopracitato, mentre le sole fibbie dargento sono pi frequentemente presenti nelle raccolte pubbliche e private.

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482. Scarpe, buttnus, Cagliari, seconda met sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

483. Orgosolo, 1956, fotografia di Pablo Volta. 484. Scarpe, bttes, Orgosolo, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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BIANCHERIA

ACCESSORI VARI

alla trattazione sulla biancheria sono escluse le camicie che vengono descritte come capo esterno; per il resto il corredo minimo costituito da maglie e mutande, rarissime nelle raccolte pubbliche e private, data anche la diffusione relativamente recente di questo tipo di indumenti, entrati in uso diffusamente solo a partire dalla prima met del Novecento.

Maglie intime Non si conosce nessun tipo di maglia intima di produzione artigianale o domestica; nel passato, infatti, la consuetudine di sovrapporre pi indumenti per proteggere e isolare il corpo era tale da renderne superfluo lutilizzo. In tutti i casi solo a partire dalla fine dellOttocento sembra venissero utilizzate maglie intime in flanella o maglia di lana o cotone a manica lunga. Lunico modello conosciuto (mllia, franlla, flanlla), ricordato dalle numerose testimonianze raccolte durante le ricerche sul campo, di colore bianco o beige, a manica lunga, a girocollo aperto, nella parte anteriore, con tre o quattro bottoncini. Mutande Indumenti poco descritti dalle fonti e rarissimi nelle raccolte museali e private, sono senzaltro diffusi sul finire dellOttocento. Gli unici esemplari di mutande risalenti con certezza al primo Novecento che si siano potuti esaminare, sono conservate al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma nellinsieme maschile di Fonni. Sono mutande lunghe confezionate in pesante cotone felpato di colore bianco, sagomate sulla gamba, chiuse alla caviglia con due lacci. Le cuciture sono realizzate a macchina a costura semplice. Incerta invece la definizione di un secondo indumento proveniente da Bitti e conservato nello stesso Museo. Si tratta infatti di calzoni in grosso orbace bianco, a gamba diritta e lunghezza al ginocchio, che, probabilmente, venivano indossati nella stagione invernale sotto i calzoni di tela, comunque sovrapposti ad una mutanda vera e propria in un tessuto pi adatto a stare a contatto con la pelle. Dopo la prima guerra mondiale, le mutande (mudndas) diventano duso comune e si diffondono in tutta lisola i modelli in maglia di lana o di cotone, flanella o tela di cotone, lunghi fino alla caviglia; le forme sono sagomate, di tipo moderno, con chiusura anteriore a bottoni o a semplice fessura; in questo secondo caso vengono chiuse in vita con una coppia di lacci. Camicie da notte Solo le fonti orali danno testimonianza di questo capo di abbigliamento, chiamato camsa e ntte, diffuso so-

prattutto in ambiti agiati tra la fine dellOttocento e i primi del Novecento o comunque usato pi frequentemente da persone anziane. I modelli descritti, lunghi fino ai piedi, sono confezionati in pesante tela di cotone, anche felpato, con o senza carr con abbottonatura centrale, manica ampia, lunga, completa di polsino. Per il periodo precedente si pu supporre che la sua diffusione fosse ancor pi ristretta o del tutto sconosciuta tra le classi pi povere. Calze e pezze da piedi Le fonti iconografiche pi antiche non sono di grande aiuto per quanto riguarda questi indumenti, per la descrizione dei quali si deve piuttosto ricorrere a fonti scritte e alla memoria di quanti, nel corso delle ricerche sul campo, hanno potuto darne testimonianza. Nessun dubbio, perci, sulla loro diffusione, con le differenze gi rilevate tra le varie classi sociali, anche se rarissimi sono i capi anteriori agli anni Trenta del Novecento conservati nelle raccolte pubbliche e private. possibile che le calze siano state precedute dalle pezze da piedi (pzze pi) delle quali si poi rinnovato luso dopo il primo conflitto mondiale. Per quanto le fonti dicano che le carzas si infilano, di solito, sulle gambe nude,129 non significa che il piede non fosse comunque protetto con pezze da piedi o con calze basse, ipotesi non chiarita neppure dalle denominazioni pi diffuse, mzas, mggias, pencus, pincos, riferite sia a calze basse che a calzettoni. La produzione artigianale di calze non sembra avere caratteristiche particolari, infatti, salvo luso di filati di cotone o lino per gli esemplari festivi e di lana sarda non tinta per tutti gli altri, i modelli sono a mezza gamba, lavorati con giro di ferri a maglia rasata nel piede e a coste sulla gamba.130 invece interessante la continuit della produzione fino a tutti gli anni Sessanta del Novecento, a cui contribuisce anche la ripresa forzata dovuta alle ristrettezze economiche durante il secondo conflitto mondiale; ci ha portato ad una vitalit nella produzione e nelluso di questo genere di calze, soprattutto allinterno delle comunit a forte vocazione pastorale dove, anche in insiemi non tradizionali, si continuato a utilizzare scarponi di pelle anchessi di confezione artigianale, eredi dei modelli ottocenteschi.

gioielli maschili definiti come ornamenti della persona sono meno numerosi di quelli femminili e restano comunque fuori dalla presente trattazione tesa a esaminare, anche se brevemente, solo gli accessori propri dellabbigliamento che hanno importanza pari, se non maggiore, a quelli femminili come risulta dallo studio delle fonti.131 I bottoni gemelli (buttnes) in lamina e filigrana dargento o doro, da usare con le camicie, sono diffusi in tutta lisola e spesso vengono utilizzati in doppia coppia per fermare i colli delle camicie festive e nuziali. Bottoni simili, dotati di catenelle o barrette di sospensione, sono anche impiegati per chiudere lapertura delle maniche di giubbetti o vengono posti in una o due file sulla parte anteriore di giubbetti e corpetti. Ganci, fermagli e catene in lamina e filigrana dargento (gancras, cancras), talvolta con pietre e vetri policromi, sono poi utilizzate per chiudere la parte anteriore di giacche, cappotti, sia lunghi sia corti, e per ornare il collttu. La presenza di tasche, nei calzoni a gonnellino e nei capispalla, rende meno necessario luso delle tasche staccate ( buzzccas, busciccas, bucciccas) tipiche del vestiario femminile. Scarselle in cuoio, sospese alla cintura, con la funzione di portapolvere o portamonete, sono descritte con una certa frequenza nelliconografia del primo Ottocento.132 Poco si conosce dei borsellini o portamonete da tasca dei quali si conserva qualche esemplare in tessuto ricamato, risalente al 1920, e alcuni modelli in pelle impressa. I fazzoletti da naso entrano nelluso comune tra la fine dellOttocento e i primi del Novecento e sono raramente documentati nelle raccolte pubbliche perch oggetti piuttosto comuni, in tela di cotone di vario pregio e colore, talvolta cifrati su un angolo.

485. Giovanni Marghinotti, Miliziano di Cagliari o Rigattiere, 1842 ca., Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.

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Labbigliamento infantile

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Custu pizzinneddu non porta manteddu, nemmancu curittu, in dies de frittu non narat titia (Questo bambinello non indossa fasce, n camicina, non si lamenta nelle giornate pi fredde). Con questi versi di un canto natalizio, noto e diffuso mediante numerose varianti in tutta la Sardegna, pu avere inizio una breve analisi dellabbigliamento infantile nella Sardegna tradizionale in un periodo di tempo compreso tra la prima met dellOttocento e gli anni Cinquanta del Novecento. Mantddu e corttu dunque, corredo minimo necessario per vestire il Bambino Ges, al quale il canto fa riferimento, ma anche corredo minimo di ogni altro neonato sardo. Mantddu il termine con il quale si indica la copertina o piccolo manto per il neonato, mantddos sono anche dette le fasce da cui avvolto il corpo dei lattanti, altrimenti denominate fscas o zimssas, termini che nel Sulcis indicano

486. Abito infantile festivo e di gala, Nuoro, inizio sec. XX Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. 487-488. Copertine da neonato, mantddos, Ollolai, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 489. Giuseppe Biasi, Battesimo a Nule, fine anni Dieci-inizio anni Venti, tempera e pastello su carta. 490-491. Completo da Battesimo, Capoterra, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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492. Abitino da passeggio e da visita, istirddu nu, Benetutti, 1926 Benetutti, coll. privata. 493. Abitino da passeggio e da visita, Capoterra, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 494-497. Cuffiette, Capoterra, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 498. Abito da Battesimo, Berchidda, 1871 ca. Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Labitino, mai utilizzato, reca, lungo il bordo inferiore, letichetta con la scritta: Firenze, 1871. 499. Nuoro, fine sec. XIX, foto depoca.

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attivit lavorativa. La fasciatura daltra parte, modellando artificialmente il corpo del bambino consente di omologarne laspetto a determinati valori ideali ed estetici, adornandolo secondo la tradizione e la classe sociale di appartenenza. indubbio che liberare il bambino dalla stretta fasciatura consenta la possibilit di vivere i primi momenti dellinfanzia in modo sicuramente pi ricco se si pensa soltanto agli stimoli derivanti dallessere pi facilmente accarezzato e coccolato, dallentrare, insomma, in un pi stretto rapporto fisico con i genitori o con chi lo accudisce. Bisogner attendere il pieno Novecento perch questo avvenga. Con tempi e modalit differenti da zona a zona, alla fasciatura completa succede quella parziale che riguarda il tronco, avvolgendo laddome e sostenendo la schiena. La parte superiore del corpo viene ricoperta con camiciole e coprifasce, quella inferiore con panni stratificati e con sacchetti allacciati mediante lunghi nastri. Si utilizzano anche vestine, la cui lunghezza supera di gran lunga laltezza del bambino, confezionate con materiali pi o meno pregiati in relazione al differenti, ed ha attraversato indenne i diversi momenti storici per arrivare fino a tempi a noi prossimi. Proprio la straordinaria diffusione di questa consuetudine ha attratto lattenzione di numerosi studiosi che hanno proposto le pi varie spiegazioni. Motivazioni pratiche o funzionali alla sopravvivenza dei bambini e simboliche o magico-rituali sono state pi volte messe in relazione tra loro, nel tentativo di dare una credibile spiegazione di questa usanza. Per quanto riguarda le motivazioni funzionali, queste erano determinate dalla necessit di offrire protezione dal freddo, contenimento delle membra per permettere uno sviluppo armonico degli arti, un controllo alle intemperanze del neonato, si badava a non sollecitare il suo istinto, non permettendogli, ad esempio, la pratica del gattonare. Non trascurabile anche la considerazione che la fasciatura protratta nel tempo sia stata anche un espediente per consentire alla madre di dedicarsi con maggiore libert ai lavori quotidiani ai quali era richiamata dopo la breve pausa post partum tanto pi limitata quanto meno fortunate erano le sue condizioni economiche. Tale espediente si sarebbe poi trasformato in una vera e propria pratica di puericultura applicata anche in ambiti familiari agiati dove le madri venivano comunque risparmiate da qualunque tipo di 303

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anche la fascia di tessuto, una sorta di marsupio, nella quale le donne portavano i neonati.133 Corttu, vocabolo anche questo ampiamente diffuso nellisola per i capi destinati agli adulti, indica, per labbigliamento infantile, una camicina, con o senza maniche, confezionata con tessuti leggeri di cotone o di lana; lo stesso termine vale anche per definire un corpetto realizzato in panno di lana variopinto, destinato a bambini un po pi grandi, e per il quale sono note nellisola diverse denominazioni affini a quelle dei capi per adulti: cropttu, cropttu, csso e solopttu. Tornando ai lattanti corretto affermare che la pratica della fasciatura doveva essere ampiamente diffusa. Valery, infatti, in un passo del Viaggio in Sardegna pubblicato nel 1837, scrive: Tra gli usi e i costumi del popolo applicati ai neonati alcuni sembrano risalire agli antichi: i bambini vengono ancora cosparsi di vino, di sale, avvolti nelle bende e non per questo sembrano poi stare tanto male. Lo stesso autore annota anche: Un celebre ostetrico parigino, Alphonse Leroy, ha anche lui raccomandato di incipriare i neonati con sale e di frizionarli con vino.134 noto che luso di fasciare i bambini non naturalmente esclusivo dellisola, ma diffuso in tutto il mondo, in paesi distanti geograficamente e culturalmente

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momento di utilizzazione. Per le occasioni che presuppongono una visibilit pubblica anche il neonato ed eventualmente la sua balia devono confermare la posizione sociale della famiglia mediante una dotazione vestimentaria adeguata. Le riviste di moda per signore, che fin dalla seconda met dellOttocento dedicano alcuni settori allabbigliamento infantile, lattivit delle balie e luso di passare gli abiti smessi alla servit, contribuiscono alla graduale diffusione di modelli che influiranno in maniera determinante sulla produzione vestimentaria infantile e finiranno per sostituire del tutto le fogge tradizionali. Fin dai primi giorni di vita la testa del piccolo viene coperta con cuffie modellate di vario genere, in panno, tela di lino e cotone, raso o taffett di seta, chiamate cartta, cambssu, iscffia. Spesso consistono in esemplari molto elaborati e dai cromatismi accesi, ornati di ricami policromi, passamanerie e frange in uno stile coerente con quello dellinsieme vestimentario tradizionale degli adulti, in altri casi si tratta di modelli pi comuni e non distinguibili rispetto a quanto comunemente usato a livello popolare. Un capitolo a s stante meritano gli abitini da battesimo. Fin dalla seconda met dellOttocento inizia a scomparire luso degli insiemi tradizionali caratterizzati da colori squillanti, soprattutto per le copertine in panno rosso bordate con nastri colorati, e si attesta gradualmente limpiego dei lunghi abiti bianchi comuni, anche fuori dallisola, in area italiana ed europea. Gli insiemi tradizionali sono raramente conservati e si deve ricorrere alle fonti iconografiche e alla ricerca sul campo per averne una migliore conoscenza. Nelle raccolte pubbliche e private invece presente una grande variet di cuffiette e vestine battesimali lunghe, confezio304

nate in raso, taffett e gros di seta che seguono i modelli alla moda sia nel taglio con corpino corto e gonna lunghissima, sia nelle applicazioni di pizzi a mano o meccanici, di soutache o nei ricami realizzati soprattutto a punto inglese, erba e pieno. Talvolta questi abitini sono completati da copertina e cuscino coordinati. Superata pi o meno facilmente questa fase critica della loro esistenza i bimbi vestono in modo pi comodo in una gamma di varianti coerenti con la foggia locale degli abiti per adulti, adeguate al ceto sociale della famiglia. Dalla fonti scritte e iconografiche si deduce che nel periodo compreso tra la prima met dellOttocento e gli anni Trenta del Novecento i bambini, dopo il primo anno di vita e fino allet di tre o quattro anni, indossano abiti che possono essere ricondotti a due grandi gruppi. Abitini con breve carr e gonna a pieghe o arricciature, modello indifferenziato per entrambi i sessi e di lunghezza variabile, talvolta eccessiva; a ci fa riferimento il termine incoedddu, usato in area logudorese per indicare il bambino che, cos vestito, impacciato nei movimenti proprio per leccessiva lunghezza dellabito che pu formare una sorta di strascico (codda).135 Questi abitini hanno varie denominazioni, le pi comuni sono:
500. Abitino, istirddu, Bitti, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 501-502. Camicine, camisddas, Capoterra, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 503. Giacchino coprifasce, corttu, Bitti, seconda met sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 504. Gonnellina, mantddu puzzondu, Bitti, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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505. Camicia, camsa, Bitti, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 506. Camicia, provenienza sconosciuta, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 507-508. Camicia e gonnellina, amsa e vestdda, Ollolai, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

istirddu, ste, bste, estdda ecc.; pi raro il termine cavardna usato nel Goceano e in una vasta parte del Logudoro, per definire un abito di tela per ragazzi riconducibile allantico termine italiano gavardina che un tipo di veste da casa. Questi abiti sono confezionati con i tessuti pi disparati, anche in funzione della stagione, e non presentano particolari segni distintivi che consentano di ricondurli ad un preciso luogo della Sardegna senza altri dati di contesto, e precorrono, in un certo senso, lomologazione dei modelli infantili usati dopo i primi decenni del XX secolo.

Pi interessanti sono gli insiemi vestimentari maggiormente complessi di chiara impronta locale adatti a bimbi molto piccoli, ma realizzati con tessuti, taglio e ornamentazioni che sono rappresentativi e distintivi del gruppo culturale che li ha prodotti. Labito di una bambina di Ollolai di due anni perci assolutamente distinguibile da quello delle coetanee di Bitti o Desulo. Questi abiti vengono indossati per un lasso di tempo abbastanza breve prima del passaggio alla fase successiva, compresa tra i cinque e gli undici anni, per la quale si ricorre a varianti semplificate dellabbigliamento degli

adulti. Si tratta ovviamente di schematizzazioni utili per un approccio generale con largomento, ma che possono essere soggette a notevoli revisioni quando si analizzano in dettaglio gli usi propri delle diverse comunit. Tra i cinque e gli undici anni, dunque, maschietti e femminucce indossano abiti molto simili a quelli dei loro genitori, con le gradualit di pregio che le condizioni sociali consentono, e con qualche differenza anche per luso festivo o giornaliero non tanto nel modello quanto nellornamentazione e nelle condizioni di usura dellabito stesso. La documentazione sullabbigliamento infantile 307

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per questa fascia di et non vasta, n lo sono i capi depoca arrivati sino a noi, destinati, infatti, a passare di fratello in fratello fino alla loro distruzione. Si rintracciano per notizie interessanti anche attraverso fonti inaspettate: nel mese di maggio del 1911 mor improvvisamente ad Orosei una bimba di cinque anni; una lettera anonima accus il patrigno di aver causato la morte della piccola per avvelenamento mentre la moglie, allalba, lavava i panni al fiume. Ne deriv un procedimento penale al termine del quale il patrigno risult essere innocente. Lo studio degli atti processuali si rivelato prezioso per la precisa descrizione dellabbigliamento della piccola. Fu infatti ordinata lesumazione della salma, ma essendo stato esumato per errore il cadavere di unaltra bimba, morta nello stesso periodo, fu chiesto alla madre della piccola di riferire dettagliatamente sugli indumenti che sua figlia indossava al momento del decesso e dellinumazione, proprio per fugare ogni dubbio sul riconoscimento del corpo. Nella dolorosa deposizione della madre troviamo pertanto sia la descrizione dellabbigliamento giornaliero generalmente usato da tutte le coetanee del paese, sia degli abiti che costituiscono linsieme tipico dellabbigliamento festivo. La madre informa anche della qualit e dello stato di conservazione dei vari indumenti e precisa che alcuni capi e i gioielli furono rimossi prima dellinumazione.136

differiscono dai modelli giornalieri delle donne adulte; dove le condizioni climatiche lo consentono si utilizzano zoccoli di legno o si va del tutto scalze. Labbigliamento dei maschietti di pari et anchesso una versione semplificata di quello degli adulti, composto da calzoni e camicia di tela di cotone o lino con o senza luso del calzone a gonnellino di orbace. Linsieme di base ovunque costituito dai calzoni di tela bianca e dalla camicia di tela sulla quale pu essere sovrapposto un corpetto o un giubbetto; in questo caso le calzature sono spesso assenti. I bambini pi grandetti o i figli dei possidenti completano linsieme con gonnellino di orbace, cintura e uose e, in questo caso, indossano sempre scarponcini di pelle con suola chiodata. I copricapo sono simili a quelli degli adulti sia nei modelli a sacco sia nelle fogge basse rotondeggianti. Per qualit e originalit spiccano i modelli detti zizza o gigga con i relativi diminutivi zizziddu o cicciddu ; si tratta di berretti bassi, rotondi, confezionati in panno di lana, velluti di cotone e seta, decorati con ricami, applicazioni di vetrini e lustrini,

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Si pu dunque affermare che, nella gran parte dei casi, labbigliamento delle bambine comprendeva capi analoghi a quelli delle giovani donne realizzati con tessuti pi modesti e con scarso ricorso a ricami e altre ornamentazioni. Limpiego dellorbace per le gonne infantili scompare rapidamente sostituito dalle indiane, pi a lungo per resiste nelle zone montane. Linsieme costituito da corpetto e camicia bianca comune ancora nel primo ventennio del Novecento quando inizia ad essere sostituito dalla camicia o blusa di cotone a piccoli decori, tagliata nei modelli alla moda. Le calzature, che sono assai costose, non

509. Corpetto festivo, solopttu, Bitti, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 510. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima met sec. XX, Sassari, coll. privata. 511. Corpetto festivo e di gala, pla a spra, Nuoro, inizio sec. XX, Nuoro, coll. privata. 512. Gonna festiva e di gala, tnica, Nuoro, prima met sec. XX, Nuoro, coll. privata.
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bambini pi piccoli portano sulle vestine dei bottoni o dei nastri neri; quelli pi grandi indossano abiti neri o scuri per un periodo di tempo che varia dai sei mesi ad alcuni anni; la prescrizione del nero riguarda soprattutto le bambine, mentre per i bambini sufficiente luso di abiti scuri. Seguire le prescrizioni vestimentarie per il lutto costituisce un impegno economico rilevante: pertanto naturale che la pratica pi diffusa sia quella di tingere di nero gli abiti solitamente usati, ottenendo spesso colori scuri, ma non il nero assoluto, o di riciclare indumenti neri da adulto. Al lutto stretto segue almeno un anno di lutto intermedio o mezzo lutto segnato da abiti dalle tinte sobrie e dalluso di un fazzoletto giallo o nero per le

femminucce. Molti sono i casi in cui lo stato di indigenza di gran parte delle famiglie non permette di osservare queste regole se non ricorrendo alla carit di vicini di casa e parenti; in mancanza di questi aiuti i bimbi continuano ad indossare i loro abiti giornalieri, spesso malconci, che nello stato di usura, piuttosto che nel colore, mostrano il segno della loro dolorosa condizione di orfani. Lo stato di mezzo lutto o di lutto leggero interessa soprattutto le bambine che, in caso di morte di fratelli, nonni o zii, aggiungono allabito giornaliero un fazzoletto scuro, mentre i maschietti portano una fascia di tessuto nero o bruno sul braccio o su uno degli indumenti che coprono il tronco.

513. Luciano Baldassarre, Ortolana sassarese, 1841, litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 514. Ottana, inizio sec. XX, foto depoca. 515. Bitti, inizio sec. XX, foto depoca. 516. Nuoro, fine sec. XIX, fotografia di Antonio Ballero. Le due ragazze indossano labito di Oliena. 517. Desulo, 1955, fotografia di Mario De Biasi.

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canutiglia, talvolta ornati anche con nappe e cordoncini o semplicemente percorsi da impunture policrome; questa foggia comune a tutta lisola, ma gli esemplari conservati provengono soprattutto dalla Sardegna centrale e da Bitti anche se le fonti iconografiche, fotografiche e orali ne documentano un uso molto pi esteso. Anche per i maschietti, dopo gli anni Venti del Novecento si assiste alla graduale introduzione di calzoncini, camicie e copricapo di foggia moderna, che finiranno per soppiantare linsieme appena descritto. La quotidianit e la festa prevedono una qualit vestimentaria differenziata anche per labbigliamento infantile; stato gi detto che il primo requisito dellabito festivo quello di essere in buono stato e non sembri cosa da poco in una societ nella quale procurare anche una minima dotazione vestimentaria per tutta la famiglia richiede una attenta gestione delle risorse e frequentissimo ladattamento di capi smessi. La biancheria intima generalmente inesistente o ridotta allessenziale ad eccezione delle sottogonne, dei copribusto, delle sottovestine e delle maglie intime che non differiscono da quelle degli adulti. Le sole fonti orali testimoniano luso diffuso delle mutande, per le bambine, a partire dal primo Novecento, con le solite eccezioni per le classi disagiate o per comunit particolarmente conservative; al contrario nelle famiglie agiate, soprattutto cittadine e di estrazione borghese, il corredo intimo deve ritenersi assai pi consistente. Per i maschietti vale la stessa osservazione, anche considerato che i calzoni di tela dellinsieme tradizionale fungevano al contempo da capo intimo e che solo con lintroduzione dei calzoni di foggia moderna si diffonde luso delle mutande. La condizione di lutto interessa anche i bambini. In caso di morte dei genitori i 311

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Note

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518. Cuffia festiva, cartta, Bitti, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 519. Copricapo festivo maschile, cicca, Bitti, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 520. Cappottino festivo, cappottddu, Nuoro, 1924 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

1. Il dibattito sul termine costume in atto da diversi anni sia in ambito regionale che nazionale. Non possibile rappresentare in nota i contributi dei numerosi studiosi per i quali si rimanda, pertanto, alla bibliografia generale di questo volume. 2. G. Deledda 1972, pp. 103-104. Vedi anche E. Delitala 1964. 3. M. Carosso 1984. 4. E. Vittorini 1952. 5. F. Alziator 1963, Luzzietti, tavv. 21, 39. 6. F. Alziator 1963, Luzzietti, tavv. 21-22, 40. 7. Nicola Tiole 1990, tavv. 87-88. 8. Un vivo ringraziamento per la cortese collaborazione va al personale del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma e a quello del Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde di Nuoro. Non potendo farlo singolarmente si ringraziano tutti coloro che, nel corso delle ricerche sul campo, hanno generosamente offerto informazioni e suggerimenti; importanti momenti di approfondimento e riflessione sono anche derivati dallincontro con appassionati e studiosi locali nellambito delle attivit svolte dallautrice presso lIstituto Superiore Regionale Etnografico di Nuoro. 9. Cfr. la vasta iconografia relativa alla prima met dellOttocento: A. della Marmora 1826; F. Alziator 1963, Cominotti ; F. Alziator 1963, Luzzietti; Nicola Tiole 1990. Nella collezione Piloni di Cagliari sono conservati importanti documenti iconografici del secolo XIX. 10. Il Casu riporta una notizia curiosa al lemma cartta , scrive infatti: Siccome anticamente i cadaveri si seppellivano col capo coperto da una cuffia, si dice per ischerzo: ancu sias in cartta! possa avere in testa la cuffia dei defunti! Forse si vuole anche significare: possa essere come i bimbi in cuffietta. P. Casu 2002. 11. Le bende hanno dimensioni assai variabili, comprese tra cm 160 di lunghezza e cm 40 di larghezza. 12. R.L. Pisetsky (1964-69, vol. II, p. 122) scrive, a proposito delluso di questo tipo di copricapo: Ma in Dante stesso, quando il poeta si fa profetare dal rimatore Buonaggiunta degli Orbicciani, il gentile amore di Gentucca

lucchese, luso delle bende par che sia ricordato soltanto per indicare il passaggio dallinfanzia allet adulta, l dove scritto femina nata, e non porta ancor benda (Dante, Purgatorio, XXIV, 43). 13. Il giallo il colore riservato ai copricapo da lutto il cui uso attestato, almeno fino al primo decennio del Novecento, in gran parte della Sardegna e in particolare a Busachi, Nuoro, Mamoiada, Sorgono e Meana, per citare solo qualche esempio. Ci conferma la regola, diffusa ampiamente in area europea, di riservare questo colore agli esclusi: musulmani, ebrei, prostitute, boia, vagabondi, segnalando la loro diversit con un nastro, un simbolo o un indumento obbligatoriamente giallo. Il giallo viene caricato di significati negativi a partire dal Medioevo e non da escludere che, proprio da un passato cos lontano, provenga luso di questo colore per il copricapo femminile da lutto; la condizione di lutto comporta infatti un tale numero di restrizioni e proibizioni che, a ben guardare, fanno della donna, e della vedova in particolare, una sorta di reietta. Se si considera che la produzione serica gi affermata ad Orgosolo nella seconda met del XVIII secolo e che da sempre si allevano esclusivamente bachi a bozzolo giallo, possibile ipotizzare che il colore del copricapo femminile giornaliero e di gala fosse in origine di colore giallo pallido dovuto al colore naturale del filato. Nel tempo, ormai persa la memoria del simbolismo negativo del giallo, al pari di altre modifiche introdotte nel vestiario, anche il copricapo pu aver subito una sorta di restiling cromatico tramite lutilizzo dello zafferano col quale si tinge la trama prima della tessitura per ottenere un giallo pi intenso e dorato. Anche ad Orgosolo il lutto vedovile prescrive luso di bende di seta tinte di nero ben serrate attorno al volto. 14. Per la produzione serica in Sardegna e in particolare ad Orgosolo vedi G. Carta Mantiglia, A. Tavera 1992. 15. Le dimensioni del lato variano da cm 70 a cm 90-100. 16. I pi grandi misurano cm 175x175, la misura media di cm 100 per lato. 17. I Mezzari tra oriente e occidente 1988. 18. Le dimensioni del lato arrivano ad un massimo di cm 90 per gli esemplari pi antichi, mentre in quelli pi recenti le dimensioni del lato si riducono fino a cm 50. 19. Le dimensioni medie sono di cm 50-60 per lato. 20. ancora in corso lo studio di copricapo di questa foggia provenienti da Nuoro, Oliena, Fonni, Ollolai e da altre localit della Sardegna centrale. 21. Le dimensioni di questo tipo di scialle variano da cm 83x85 a cm 98x98.

22. Sono di dimensioni notevolmente pi grandi dei precedenti; le dimensioni del lato variano da cm 83 a cm 160, ma i pi comuni sono quelli con misure medie di cm 120 circa, per lato. 23. La gran parte degli scialli in tibet vengono importati dalla Toscana, dalla Lombardia e dal Veneto dove sono diffusi a livello popolare, soprattutto a Venezia, fin dalla seconda met dellOttocento. La diffusione in Sardegna, dove si utilizzano come copricapo soprattutto nella versione ricamata, aumenta sensibilmente dopo gli anni Venti del Novecento quando se ne intensifica la produzione e il loro prezzo di mercato li rende evidentemente accessibili ad una larga utenza. La variante in tinta unita di tibet di grandi dimensioni (cm 180x180) e quella di lana boucl con frange tubolari diventer capo caratterizzante dellabbigliamento popolare di transizione costituito da fazzoletto di tibet, scialle, blusa, gonna lunga e grembiule. 24. Le dimensioni medie sono di cm 150x150 nelle forme quadrate, cm 100x120 in quelle rettangolari. 25. costituito da un elemento trapezoidale con lato maggiore di circa cm 185, minore di cm 73 e lati obliqui di cm 137 ciascuno. Lungo il lato breve unito ad un altro elemento di forma rettangolare di cm 73x96; questo elemento fatto in tessuto doppio. Lungo i lati obliqui del trapezio e nel punto di unione con il telo rettangolare sono applicate, a distanza regolare, 44 anelline in metallo o asole a ponte. Attraverso tali anelle si infila un nastro che arriccia lindumento e lo fissa al punto vita. La parte rettangolare doppia ricade sulla parte posteriore della gonna, quella trapezoidale viene rialzata sulla testa, per questa ragione, lungo il lato maggiore presente un alto bordo che d pi consistenza allindumento. 26. P. Casu 2002, lemma capptta : Bunneddha a cappitta gonna che si metteva sul capo e scendeva sulle spalle e la schiena come uno scialle o un mantello. 27. A. della Marmora 1826; vedi anche A. Usai 1977 dove invece il termine suncurinu sta per giustacuore. 28. Per i modelli tempiesi raffigurati dal Tiole vedi E. Delitala in Nicola Tiole 1990, pp. 33-34. 29. A. della Marmora 1826. 30. Copricapo ornati di fiori e piume, indossati in insiemi di gala con casacchini del tutto simili a quelli sardi, sono usati in Spagna. Per luso di copricapo piumati di tradizione cinquecentesca, in ambito popolare, vedi G. Butazzi 1981. 31. F. Alziator 1963, Luzzietti. 32. Cos F. Alziator (1961) commenta: N la descrizione dellAngius n quella del Della Marmora fanno riferimento al copricapo raffigurato nella tavola. Il secondo Autore, tuttavia,

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rappresenta due donne di Sinnai nella tavola VI della I e II edizione dellAtlante con copricapo duro, ma mentre quello di Oristano a cupola, questo a cilindro. 33. M.L. Wagner 1960-64, lemma kams a. 34. Per il termine lnza usato a Nuoro vedi il confronto con il termine linja usato in Albania, Bosnia Erzegovina, Dalmazia e Montenegro per indicare un elemento essenziale dellabbigliamento femminile, cio la camicia lunga, munita di lunghe maniche. (La chemise Dalmatica un lment paleochrtien, in tudes et documents balkaniques et mditerranens, p. 31). Lo stesso termine linja usato nei villaggi calabresi di origine albanese, Vena di Maida e Caraffa per indicare camicie lunghe, vedi M. De Fontans, Les vtements traditionelles de deux villages de Calabre (prov. De Catanzaro) dorigine albanaise, Vena et Caraffa: Essai dapproche historique, in Per una storia del costume mediterraneo 1994. 35. G. Deledda 1972. 36. Le dimensioni variano da cm 2 a cm 5. 37. Per la diffusione del ricamo vedi P. Piquereddu 1990, p. 333 sgg. 38. Per le caratteristiche del ricamo teuladino vedi C. Rapallo 1983. 39. Le dimensioni di queste pieghe sono in media di cm 1 negli esemplari di Bitti, Dorgali, Nuoro, Oliena, Orani, Orgosolo; stirature particolarmente raffinate prevedono anche pieghe di cm 0,5, quali quelle in voga a Orosei, Galtell, Irgoli. 40. A. Bresciani (1850) spiega luso di questo fazzoletto copriseno con lesigenza delle ragazze del circondario di Cagliari, che si recavano in questa citt, di nascondere agli occhi dei forestieri le forme del seno troppo evidenziate dalle camicie senza dover rinunciare ai consueti corpetti. Il fazzoletto poteva tra laltro essere tolto facilmente mentre si rientrava nel proprio paese di origine dove linsieme tradizionale non creava n scalpore, n imbarazzo. Vera o no questa esigenza sembra comunque essere confermata dalliconografia e linizio di questo uso non pare essere anteriore alla seconda met dellOttocento. 41. Per lo studio dei busti rigidi vedi lo studio di G.M. Demartis 1998. 42. Cos lAngius descrive labito di Bitti: Sopra il giubboncino di scarlatto (su corthu) hanno la pala che consta di spalliera, e di antipetto, e questo in una forma non dissimile alla summentovata caretta copre bene il petto, e quello di Orune e il suo corpetto che pare essere proprio uguale a quello bittese: Le donne usano la benda, come esse dicono, o il velo di lino gentile, il giubbetto (su corittu) tutto foderato a velluto rosso o azzurro con vari ricami, con maniche fesse in avanti, che vestesi sopra un busto (simbustu) il quale in avanti gonfiasi a somiglianza dun petto di gallo con la testa senza collo, sotto il quale portasi un corpetto di panno giallo, guarnito a velluto o nastro rosso o in broccato. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. 43. Vedi anche A. della Marmora 1826, Atlas. 44. Dalsani, in Il Buonumore 1878, tav. 32. 45. J.C. Flgel 1987, p. 85 sgg. 46. Tali combinazioni meriterebbero uno studio approfondito che pu essere condotto soltanto allinterno di trattazioni di carattere monografico data la quantit di significati che esse comunicano allinterno delle diverse comunit. 47. A Nuoro ad esempio, dove il giubbetto chiamato zippne di colore rosso scarlatto e presenta la manica aperta per tutta la lunghez-

za, le vedove di condizione agiata indossano, alla fine dellOttocento, un giubbetto di panno nero con la manica completamente chiusa, detto corttu, che viene associato a tutti i capi prescritti per labito nuziale e di gala confezionati in nero e con ricami in tinta. Dopo il 1930 questo capo sembra completamente in disuso e le vedove indossano il modello di giubbetto con la manica aperta, confezionato in nero. 48. A. della Marmora 1826. 49. Valery 1996. 50. Le fonti iconografiche pi antiche e i reperti depoca ne attestano senzaltro luso a Quartu SantElena, Sinnai, Monserrato e Selargius. La diffusione di questa foggia, riservata ad una ristretta cerchia di possidenti, sembra essere documentata anche in altri centri vicini. 51. Altri elementi dellinsieme di gala teuladino, quali la gonna di panno rosso e il grembiule a ventaglio, lo avvicinano al modello vestimentario in questione. 52. Nicola Tiole 1990, tavv. 5, 18, 55, 77; Dalsani, in Il Buonumore 1878, tav. 6; cfr. anche la fig. 159 a p. 110 di questo volume. 53. Si tratta di un raro esemplare conservato presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma. 54. Laltezza dei polsini varia da cm 7 a cm 10. 55. F. Alziator 1963, Luzzietti. Questo tipo di gonna indossato anche da una figura femminile della tavola Costumi sardi di Agostino Verani, nella collezione Piloni di Cagliari. 56. La larghezza del punto vita , in media, di cm 90 ed compresa tra i cm 250 e 280 in corrispondenza dellorlo inferiore. 57. Le ampiezze variano da cm 380 a cm 500. 58. A Quartu SantElena e nei paesi vicini il nome di questo tessuto ha dato il nome ad uno degli insiemi vestimentari detto su bistri de abrodu che sanciva il passaggio dalla fanciullezza alla giovinezza. 59. La larghezza del pannello anteriore corrisponde allaltezza del telo dorbace, vale a dire cm 50-60. 60. Un pittoresco uso delle donne nuoresi il rigettarsi la tunica sulle spalle (a tunica ghettada in coddos). Ed ecco come: dopo averla indossata si piglia per i lembi del davanti e si rigetta prima su una spalla e poi sullaltra in modo che la tunica copre tutto il davanti della persona e ricade dietro descrivendo un V, col suo orlo colorito lungo il dorso. Quando fa freddo e piove si getta in testa. Le nuoresi hanno la mania dei fianchi prominenti. Perci indossano quante pi tuniche hanno. Le spose devono averne almeno tre in modo che sotto lorlo di una si scorga quello dellaltra. G. Deledda 1972, p. 122. 61. Per i modelli di gonne unite al corpetto come lo scarramgnu vedi gli esemplari pubblicati in Il merletto nel folklore italiano 1990, provenienti da Spezzano Albanese, si tratta di gonne molto sottili, con fitta plissettatura, unite ad un sottile corpetto con bretelle (XIX sec.), e da Frascineto, con gonne a pieghe unite al corpetto (pp. 313-316). Vedi anche gli esemplari di gonne in pesante tessuto di lana, con breve corpetto a fascia e bretelle in Espaa: tipos y trajes por Jose Ortiz Echage 1957. 62. Vedi larticolo di T. Putzu, G. Manca, Iscarramgnu, lantico costume di Orani, in Sardegna Antica, a. IV, n. 7, 1 semestre 1995. 63. Il termine iscarramagnu non risulta essere usato in altri paesi dellisola per definire un indumento popolare, mentre proprio lo stesso termine presente alla corte bizantina per de-

finire una veste preziosa detta skaramaggivou crusoufavntou o scaramangum indossata dallimperatore e dai dignitari in occasione della Santa Pasqua e di altre solenni festivit religiose. Tale indumento poteva essere una lunga tunica di colore variabile a seconda del tipo di ricorrenza e con bordi ricamati e dorati ed era riservato appunto allimperatore e ai dignitari di corte. Per il clero era prescritto luso in occasione della morte dellimperatore. Lo stesso nome veniva anche attribuito ad un abito duso militare. Vedi E. Manara, Gli abiti di corte dal De Cerimonis di Costantino VII Porfirogenito e i riferimenti ai costumi dei personaggi raffigurati sui pannelli musivi del S. Vitale in Ravenna, in Aspetti e problemi degli studi sui tessili antichi (II Convegno C.I.S.S.T., Firenze 1981), a cura di G. Chesne Dauphin Griffo, Edizioni C.I.S.S.T., Firenze 1981. Sulla denominazione di skaramangia data ad abiti di corte vedi anche G. Paulis 1983, p. 134. 64. Nicola Tiole 1990, tav. 5 (Nouveaux MarisCap de Cagliari); tav. 8 (Paysanne des environs de Cagliari); tav. 18 figura a sinistra (Paysan des environs de Cagliari aux jours de fte); tav. 35 (Habitans du Campidano de Cagliari ); tav. 77 (sposa con due figure) senza didascalia. F. Alziator 1963, Luzzietti, tavv. 18, 20. 65. Si evita di usare ganci o bottoni metallici perch loperazione di candeggio effettuato con la lisciva poteva corrodere il metallo macchiando il tessuto. 66. Cfr. in Nicola Tiole 1990 le tavole: n. 52 (Desulo); n. 73 (Desulo e Sorgono); n. 76 (Meana) e le tavole in A. della Marmora 1826, Atlas. 67. M.L. Wagner 1960-64, lemma kams a. 68. M.L. Wagner 1960-64 e P. Casu 2002, lemma cnsciu: In cnsciu in camicia. 69. Alcune fonti hanno riportato la consuetudine della minzione in posizione accovacciata o eretta delle donne sarde, continuata, in casi sporadici, fino alla met degli anni Cinquanta; tali funzioni venivano svolte in pubblico, senza spostare alcun capo di abbigliamento a conferma del fatto che le mutande non erano capi del tutto comuni neppure in quegli anni. 70. Valery 1996, p. 204. 71. Sulla gioielleria tradizionale in Sardegna vedi la bibliografia generale. 72. Vedi il ritratto di Maria Piras, e i giubbetti raffigurati nelle tavole n. 14, 31, 35 in F. Alziator 1963, Luzzietti, e in quelle n. 9, 35, 40 in Nicola Tiole 1990; cfr. inoltre le figg. 222-223 a p. 150 di questo volume. 73. Per i fazzoletti da mano e i ventagli vedi in particolare le tavole n. 5, 35, 38, 53, 55, 58, 77, 82, 87, 88 in Nicola Tiole 1990 e quelle del Dalsani, in Il Buonumore 1878, n. 10, 12, 14, 18. 74. E. Vittorini 1952. 75. A. della Marmora 1826, Atlas. 76. A. Bresciani 1850. 77. Vedi, ad esempio, le tavole in F. Alziator 1963, Luzzietti: n. 1 (Macellari di Cagliari), n. 37 (Uomo di Sassari), n. 44 (Villani dOsilo). 78. A. della Marmora 1826, Voyage. 79. Resta incerto il modello del copricapo denominato camuru o camulu che il Wagner (1960-64) traduce lungo berretto (lemma kamuru) e il Casu (2002) berrettone (lemma camulu); dato che sia luno sia laltro autore ne evidenziano luso da parte di sacerdoti e che il termine camauro indica comunemente la cuffia papale di velluto o raso di seta rosso sagomata che scende fin sotto le orecchie, probabile che il termine di origine medievale

si sia conservato in Sardegna, per indicare una cuffia sagomata da utilizzarsi in ambito familiare. Dellesistenza di un copricapo in disuso gi nel primo ventennio dellOttocento, presumibilmente proprio il camulu, d notizia il Della Marmora 1826, Voyage, che cos scrive: Alcuni abitanti del Campidano, vicino a Samassi, raccolgono i capelli in una borsa di tela sulla quale mettono una specie di calotta di panno; ma un uso che sta per finire e non lo si trova pi che tra i vecchi. Vedi anche la descrizione del copricapo di Armungia di V. Angius, in G. Casalis 1833-56. 80. Vedi F. Orlando 1998, p. 54. e F. Manconi 1992. 81. Tra i pochi copricapo depoca ancora esistenti si segnala quello conservato al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, relativo allinsieme vestimentario del pescatore di Cagliari. 82. Cfr. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 2 (Majuoli). 83. La berretta rossa rigida usata dai rigattieri probabilmente un fez. 84. Tale foggia, che assai comune in tutta lisola e potrebbe risalire ad et rinascimentale, attestata in numerose illustrazioni della prima met dellOttocento, vedi F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 37 (Uomo di Sassari), tav. 44 (Villani dOsilo). La stessa definizione a ccciu pare derivare dal cencio che un cappello floscio di tessuto morbido simile alla berretta sarda. 85. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 15 (Uomini di Bosa) la berretta nera, schiacciata, pu essere una berretta corta o anche una specie di berretto a tamburello. 86. Vedi di Raffaele Arui I macellai (met sec. XIX), tavola conservata al Museo G.A. Sanna di Sassari. 87. M.L. Wagner 1960-64, lemma c ic c a. Il Casu (2002), che pure riporta il termine, lo traduce copricapo, berretto, senza alcuna descrizione. Il Wagner li descrive come berrettini rotondi di panno, di fustagno o di orbace senza ala n visiera, senza dare alcuna informazione sul loro uso se non che il diminutivo indica il berrettino dei ragazzini. 88. Vedi la tav. 27 (Uomini del Marghine) in F. Alziator 1963, Luzzietti. 89. Ancora nel primo Novecento i laboratori tunisini alimentavano il commercio di questi copricapo in tutto il Mediterraneo. 90. A. della Marmora (1826, Voyage), ritiene che questo modo di indossarlo non sia molto antico. 91. Dalsani, in Il Buonumore 1878, attesta diversi esempi di questa foggia di copricapo, oltre le tavole qui pubblicate vedi la tav. 40 (Costume giornaliero di Pauli-Pirri). 92. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 9, 17, 19. 93. A. della Marmora 1826, Voyage. 94. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. 95. M.L. Wagner 1960-64, lemma montra log. berretto di pelle. 96. Per labbigliamento dei gremi vedi C.A. Sanna, Sassari: storia dei gremi e dei candelieri, Sassari 1992 e la figura n. 8 della tav. III dellAtlas di A. della Marmora. 97. Ancora nel primo Novecento nei Grandi Magazzini Angelo Tom a Sassari sono venduti i cappelli a larga tesa fabbricati dalla ditta Borsalino proprio per soddisfare la richiesta locale. 98. Per le tecniche di ricamo si rimanda al testo delle camicie femminili.

99. Le camicie sarde della fine dellOttocento presentano in molti casi ricami raffinatissimi anche se poco appariscenti e rifiniture ad archetti a punto in aria. Per questo tipo di rifinitura vedi R.L. Pisetzky 1964-69. 100. Cfr. nota 9. 101. Riguardo al fatto che il corpetto deve essere indossato preferibilmente sotto altri indumenti quali giacche, cappotti ecc., si segnala che il nome solopttu, soropttu e soropu, usato a Bitti, Orune, Lula, Orgosolo, sembra derivare dallo spagnolo solopado che significa nascosto. Vedi M.L. Wagner 1960-64, lemma solopttu. 102. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 2 (Majuoli). 103. Le dimensioni variano dai 5 ai 25 cm. 104. Questa tipologia chiaramente descritta in Nicola Tiole 1990, tavv. 91, 93, 95. 105. A. della Marmora 1826, Voyage. 106. G. Della Maria, Folklore sardo nel Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, in LUnione Sarda, a. LXIX, n. 285, 30 novembre 1957. 107. Per lo studio del cappotto serenccu vedi limportante lavoro di S. Pira 1993. 108. Queste decorazioni sono presenti anche nel secondo esemplare di serenccu, non pubblicato, e conservato nelle raccolte del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma. 109. Vedi tavole in Nicola Tiole 1990, F. Alziator 1963, Luzzietti, e di Agostino Verani conservate alla collezione Piloni di Cagliari. 110. M.L. Wagner 1960-64, lemma pic c innu: camp. spezia de pannu po fai cappottus, fioretto di Spagna e di Napoli (Porru, App.). 111. Cfr. nota 9. 112. F. Alziator 1963, Luzzietti, alla tav. 47 (Tempiesi). 113. Il mantello lungo in media cm 300x140. 114. A. della Marmora 1826, Voyage. 115. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. 116. Cfr. le tavole Costumi sardi e Tempio di Agostino Verani conservate alla collezione Piloni di Cagliari. Simile a questa foggia anche quella raffigurata alla tav. 37 in F. Alziator 1963, Luzzietti. 117. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 10. 118. A. della Marmora 1826, Voyage. 119. Calzoni a gonnellino o a girello di vario tipo sono presenti nellabbigliamento popolare europeo per tutto il XVIII e parte del XIX secolo. 120. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 7 (Venditor derba). Vedi anche G. Della Maria: Il colore nero delle ragas non era comune a tutti i costumi sardi. Oltre la documentazione iconografica suddetta, comprova ci il della Marmora e, particolarmente il Floris, il quale indica che nella seconda met del 700 i cagliaritani, sassaresi e bosani usano le braghe anche dun panno color miele, cio fulvo, ossia giallo rosso, in N.B.B.S. 1956. 121. P. Piquereddu 1987, p. 74. 122. V. Angius (in G. Casalis 1833-56) evidenzia luso nellinsieme di Posada: I posadini vestono un cappotto di panno forese nero, lungo sino a femori, guarnito di velluto nero o azzurro, brache a campana, come dicono per lapertura vasta de cosciali, sopra i calzoni di lino con gambiere o borsacchini dello stesso panno, berretto nero o di colore rosso oscuro. 123. A. della Marmora 1826, Voyage.

124. Cfr. nota 9. 125. A. della Marmora 1826, Voyage. 126. Cfr. la bibliografia generale di questo volume. 127. A. della Marmora 1826, Voyage. 128. Usano i bonorvesi nel vestire maggior eleganza degli altri del dipartimento. Molti per alle brache (sas ragas) sostituiscono i pantaloni di panno ruvido. Nellestate vestono gli usattini, o borsacchini di pelle di daino, in vece delle calze di panno. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. 129. A. della Marmora 1826, Voyage. 130. Labito festivo di Iglesias conservato al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma comprende anche un paio di calze in filo di cotone lavorato a maglia rasata. 131. Sulla gioielleria tradizionale in Sardegna vedi la bibliografia generale di questo volume. 132. Molto spesso, inoltre, alla cintura sono appesi acciarini per pietra focaia. 133. M.L. Wagner 1960-64, lemma c imssa. 134. Valery 1996, p. 149. 135. M.L. Wagner 1960-64; P. Casu 2002. 136. Spogliata degli abiti che indossava, consistenti in un grembiulino di filo a fondo grigio a piccoli quadrettini di colore scuro e di una maglia di lana bianca orlata ai bordi e allincollatura, fu rivestita col costumino di Orosei e cio, conservando la maglia gi notata le fu fatta indossare una camicia di lana cabrik, orlata di pizzo con margini a linguette, lorlo ricamato a trapunta con dei ricami a forma di cuoricini, abbottonata agli occhielli con due bottoncini Inoltre un giustacuore o corpetto foderato allinterno di stoffa color limone e allesterno con stoffe di due colori, uno biancastro e laltro che era giallastro. Il margine anteriore del lato foderato di stoffa color limone, cio interno aveva una orlatura di colore rosso a fiorami e dal lato esterno una orlatura di colore celeste leggermente fiorata. Lorlatura inferiore del corpetto era di stoffa (di seta), di colore rosa e pieghettata Le due alette del corpetto erano tenute assieme da un nastro pure di colore rosa Inoltre una sottanina di tela bianca, liscia e allacciata in vita con un legaccio di cotone, ed una gonnellina fondo blu chiaro con delle righe parallele longitudinali disposte a coppia, una scura e laltra giallastra, senza calze n scarpe. In testa le fu messo un fazzoletto a fondo di colore granato scuro con leggera fioritura e nuovo di bottega. Aveva i capelli di colore castagno chiari, leggermente ricci, abitualmente aveva le trecciuole, ma non ricordo se nel momento in cui fu deposta nella cassa le aveva ancora. Ricordo che io, prima di deporla nella cassa, le avevo messo una rosa infilata nello sparato della camicia non so se nella bara siano stati pure messi altri fiori. So che la stessa mia suocera nel deporla nella bara le mise sotto la testa un capezzalino foderato di stoffa a righe bianche e grigie Ripeto ancora che quando tornai dal fiume trovai che detta mia figlia aveva ai polsi e alle caviglie allacciati dei fili bluastri che le furono messi non so se da mia suocera o da altre persone accorse, contro sos pipios cio rimedio contro le convulsioni dei bambini secondo il costume locale. Fornisco a maggiore chiarimento la foto di detta mia figlia, facendo per notare che degli abiti sopra descritti, al momento in cui fu deposta nella cassa, aveva la camicia che figura di indossare nella fotografia stessa, ma non la sottana e il grembiulino, la collana, gli orecchini e i bottoni della camicia che figurano nella fotografia.

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Tradizione e quotidianit. Labbigliamento femminile a Ittiri


Giovanni Maria Demartis

Ancor oggi chi percorre le vie di Ittiri incontra con facilit donne che indossano gli ultimi esiti dellantico abbigliamento tradizionale, nonostante il paese disti appena una ventina di chilometri da Sassari.1 Essendo scomparsa da qualche anno lultima ittirese che portava quotidianamente il busto e la camicia, le fogge di vestiario popolare che ancora sopravvivono nelluso non folcloristico evidenziano un ibridismo che accosta lunghe gonne, scialli, grembiuli e fazzoletti-copricapo a bluse e maglioni di tipo commerciale, introdotti progressivamente dopo il 1950. Lattuale sistema di abbigliamento, utilizzato da gran parte delle donne che hanno superato i sessanta-settantanni e che appartengono a famiglie dedite per lo pi ad attivit agropastorali o di piccolo artigianato, mostra una spiccata differenziazione fra gli abiti feriali e quelli specifici delle cerimonie. Al contrario, non esistono appariscenti variazioni volte a manifestare i dislivelli socio economici, come avveniva, invece, in passato nel caso dei costumi di gala.2 Le donne che hanno rinunciato a cambiarsi con vesti alla moda, rifiutando una tendenza in auge nel paese soprattutto dal 1960 al 1970, continuano a portare gli abiti tradizionali, sia perch per loro sono divenuti come una seconda pelle, ma anche, come confessano in molte, perch sarebbe dispendioso, con una ridotta aspettativa di vita, acquistare un guardaroba moderno mentre si ha a disposizione un corredo di indumenti tipici che deve essere necessariamente sfruttato. Infatti ormai vengono cuciti rari capi, dato che non si ritiene pi indispensabile affrontare confezioni spesso lunghe e costose. Una notevole cura conservativa interessa, diversamente, gli indumenti buoni, destinati a seguire le proprietarie nella tomba ed i vecchi costumi di gala che verranno ereditati da figlie e nipoti e sono sfoggiati nelle parate del folclore.3 Lelemento che caratterizza maggiormente labito popolare feriale attuale di Ittiri e con poche varianti della vicina Uri certamente la gonna di teletta, sa munnedda de teletta.
521. Giuseppe Biasi, Sera a Ittiri, 1914-18, pastello e tempera su carta (particolare). Le due donne in primo piano indossano la gonna-copricapo, mentre la bambina sulla sinistra avvolta nel grembiule-copricapo.

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Fra le diverse gonne quotidiane si possono distinguere quelle da lavoro, munnedduzzas, che hanno il retro lavorato a semplici pieghe sciolte o ribattute, a pijas bettadas, e quelle pi pregiate, utilizzate per recarsi in rioni diversi dal proprio, fittamente plissettate nel settore posteriore ed ai fianchi con pieghette larghe meno di cm 1 che percorrono verticalmente tutta la superficie del tessuto. In entrambe le tipologie le gonne sono lunghe sin quasi alle caviglie e vengono confezionate con sostenute tele di cotone, un tempo fornite da manifatture dellItalia settentrionale, caratterizzate da motivi a rigato, a scacchiera e scozzesi con fili tinti e non stampati nei vari toni del grigio, dellazzurro, del rosa, su fondo generalmente bianco. La nomenclatura locale delle stoffe definisce tipologie di gonne ormai canoniche: munnedda a rigadinu detta la sottana a righe verticali grigie o blu su bianco, a costas de appiu (a coste di sedano) quella simile, ma a rigato irregolare, a mattones biaittos (a mattoni blu) quella a minuti quadretti turchini e bianchi, a mattones quella con vari decori scozzesi rossi, rosa e blu su fondo color crudo, a petta e sorighe (a carne di topo) quella a piccoli quadrati bianchi e rosa intervallati da righine grigie o celesti, ecc. Tutte le munneddas de teletta hanno il pannello anteriore, su cameddu e nanti, semplicemente ridotto in vita da quattro larghe pieghe, e chiudono su un lato, completamente aperto verticalmente, con bottoni a pressione, in modo che possibile riporle arrotolate a tubo al rovescio per preservarne la pieghettatura. Presso il punto vita, sottolineato da una striscia di teletta che trattiene le pieghe, sa trinza, alla congiunzione del settore plissettato con il pannello anteriore, sono risparmiate due fenditure verticali, sas mesas portas, una per lato, affinch si possa accedere alla tasca sottostante, sa busciacca falza, cinta alla vita con nastri oggi non pi duso generale. Tali aperture fanno s, inoltre, che spostando i gancetti metallici cuciti alla trinza le gonne possano essere adattate ai cambiamenti di taglia della proprietaria. Le mesas portas, per impedire la rapida usura degli indumenti, sono sempre rinforzate con un rettangolo di tessuto in genere uguale a quello impiegato per la balza. Questa di norma pi scura della teletta prevalente, ha unaltezza di cm 20-30 ed orlata in basso con uno 317

stretto nastro nero di lana e seta. Anche le balze hanno una tipologia quasi fissa e, oltre che nelle telette pi cupe gi descritte, venivano confezionate con felpe rigate, peffas, o con una sorta di tela scozzese bianca e blu detta tramagatta. Si deve notare che mentre la stoffa-base delle gonne, quando a righe, le presenta sempre in senso verticale, per la balza si preferisce la disposizione orizzontale. La predilezione per questo genere di tessuti, ampiamente usati nel vestiario giornaliero di svariate zone dellIsola e su una vasta area europea dalla seconda met del 1800, grazie allenorme disponibilit di cotone proveniente dalle Indie, data certamente dal loro costo moderato, dalla discreta resistenza allusura e da motivi estetici leffetto conferito dalla pieghettatura molto gradevole ma anche dal fatto che la griglia regolare delle decorazioni facilitava lesecuzione di pieghe piccole e perfettamente uguali. La pieghettatura era ottenuta a mano, tramite fitte e strette imbastiture orizzontali, praticate alla distanza di circa cm 2 luna dallaltra, con resistenti fili di cotone che fermavano le pieghe. La gonna cos lavorata (infilada) veniva successivamente bagnata con acqua calda perch i tessuti infeltrissero leggermente fissando le pieghe e sovente soltanto dopo diversi anni si rimuovevano i fili, per indossarla. Quando lindumento, per il lungo uso, perdeva il regolare assetto delle pieghe, siscorriolaada, era necessario procedere ad una nuova imbastitura, cos si faceva dopo i rari lavaggi o se si decideva di tingerlo di colori pi scuri. Le sottane di teletta ritenute pi pregiate sono quelle pi ampie, che richiedevano otto teli larghi cm 50-60, otto cameddos, congiunti fra loro. Le giunture dei teli, coincidenti con le cimose, sono sempre cucite nel verso con la balza, al rovescio, perch in tempi anteriori le gonne erano double face e fungevano anche da copricapo, come si dir avanti. Alle sottane appena descritte sempre associato un grembiule, su pannellu e falare, lungo quanto la gonna ed appena increspato in vita. Viene confezionato con le stoffe commerciali pi disparate, dalle stesse telette, al raso di cotone alle tele stampate o operate, con vari colori e fantasie, quasi sempre scuri. Nei grembiuli da lavoro sono applicate una o due tasche. Il copricapo, muncaloru a corru, del quale oggi si fa a meno in diverse occasioni (ma non in chiesa ed ai funerali), un fazzoletto commerciale con decorazioni stampate, piegato a triangolo e modellato a soggolo
522-523. Abito femminile giornaliero, Ittiri, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Le due immagini evidenziano i principali indumenti del vestiario femminile quotidiano di Ittiri, come si presentava attorno al 1950. La gonna di teletta del tipo detto a mattnes.
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524-527. Grembiule da testa giornaliero, pannllu e cugddu, Ittiri, prima met sec. XX Sassari, coll. privata. Solo il grembiule alla fig. 527 ha dei decori stampati in fabbrica, gli altri sono realizzati in loco ; il colore dato con il pennello, a tampone, utilizzando delle mascherine. 528. Grembiule da testa giornaliero, pannllu e cugddu, Ittiri, inizio sec. XX Sassari, coll. privata. Il settore pi stretto del grembiule cadeva sulle reni, mentre la parte larga, ribaltata, poggiava sulla testa, fasciando il busto.

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sotto il mento. Lo si porta di lanetta in inverno e di cotone nelle altre stagioni, scegliendo colori e disegni allegros o serios, a seconda delle occasioni. Quando si esce di casa con la gonna di teletta uso sovrapporre al fazzoletto un grembiule copricapo , che oggi alcune donne poggiano sugli omeri, detto pannellu de cuguddare per distinguerlo da quello normale. A differenza di questo, quello copricapo ha sagoma quasi triangolare ottenuta da un rettangolo di stoffa strettamente plissettato alla base: quando viene indossato, il settore pieghettato, trinza, cade sulle reni ed il lato opposto poggia sul capo, incorniciando il viso ed avvolgendo busto e braccia. Il tessuto lavorato a larghe pieghe, ben visibili quando laccessorio nuovo, e la trinza, orlata di terziopelo violaceo, evidenzia cordoncini di seta policroma applicati, sos cordones,4 che la decorano e nel contempo fissano le pieghette. Per la confezione di questo copricapo si sceglievano pi spesso stoffe nere variamente stampate, soprattutto raso di cotone, ma non sono assenti altri tessuti e colori, sempre scuri. Numerose decorazioni sono ormai codificate dalluso: budrones de ua, fiores indeorados, listrones, rosigheddas, fozas de nughe, ecc. (grappoli duva, fiori dorati, bande, roselline, foglie di noce, ecc.). Le ornamentazioni erano cos radicate che, a seguito della cessazione della produzione delle stoffe divenute tradizionali da parte delle fabbriche continentali che le fornivano, negli anni attorno al 1925-30, alcune artigiane ittiresi le riprodussero stampando in loco raso di cotone nero. questo lunico caso finora noto di stampa di tessuti a livello popolare in Sardegna. La maestra pi rinomata di questarte era Raimonda Ganduffu, scomparsa quasi centenaria pochi anni or sono, alla quale la maggior parte degli informatori ne attribuisce linvenzione, sebbene qualcuno asserisca che fu un pittore locale il primo a dipingere direttamente ad olio un pannllu per fare un dono originale. Tia Remunda, invece, utilizzava s colori ad olio, ma stampava le stoffe mediante mascherine di carta opportunamente traforate.5 probabile che lintelligente artigiana abbia tratto ispirazione dalle tecniche usate dai decoratori che in varie case ittiresi, almeno dal 1920, ornavano soffitti e pareti tramite stampi di cartone.

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dato di sapere che la carta, prima della stampa sul tessuto, veniva pazientemente ritagliata con forbicine e lamette da barba e che con un ago venivano praticati forellini per dare effetti di punteggiato. Successivamente con pennelli usati a tampone era applicato il colore puro (eventuali diluenti avrebbero creato aloni e sbavature) evitando spessori eccessivi. Locchio addestrato dellartigiana, sfruttando abilmente la ripetitivit dei piccoli moduli ornamentali e la guida di righe tracciate sul raso con il gesso, faceva s che si producessero piccoli capolavori che soltanto il tatto permetteva di distinguere da quelli di fabbrica. Risulta, peraltro, che taluni pannellos sono decorati mediante ununica mascherina mentre per altri ne occorrevano sino a cinque, corrispondenti ad altrettanti passaggi di colore. Non di rado, oltre ai pigmenti ad olio, veniva applicata vernice dorata, anche da sola, conferendo particolare preziosit ai manufatti. Dopo il 1960 fu Giuannina Soro a continuare larte dei pannellos con ottimi risultati, ma non era raro che altre donne tentassero la stampa, per se stesse o per una ridotta committenza, con risultati sovente imperfetti, ma gradevoli. Si deve porre laccento sul fatto che le due artigiane sopramenzionate, a cui lesecuzione dei grembiuli, per quanto alternata alle faccende domestiche, permise di contribuire non poco alleconomia familiare, non si limitarono a riprodurre le vecchie decorazioni, ma ne crearono di nuove, assecondando lansia di novit e di esclusiva di molte clienti. A dispetto del costo relativamente modesto, leffetto decorativo dei pannellos de cuguddare era infatti notevole

529. Gonna, munndda, Ittiri, anni Cinquanta, Sassari, coll. privata. 530. Gonna, munndda, Ittiri, inizio sec. XX, Sassari, coll. privata. Il tessuto della gonna detto a mattnes, la balza di felpa a rigadnu.
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531. Gonna, su fursi o sa munndda de fursi, Ittiri, inizio sec. XX, Sassari, coll. privata. Lantica gonna in orbace, su fursi, con la balza di robusta tela azzurra.

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ed il possesso di svariati esemplari consentiva di variare di volta in volta linsieme ripetitivo del costume. Essi permettevano, inoltre, di celare completamente gli indumenti che vestivano il busto quando non erano in ordine e di nascondere fagotti, bottiglie o derrate alimentari, sottraendoli agli occhi dei curiosi. bene rammentare, comunque, che luso del grembiule-copricapo non esclusivo di Ittiri e che, fermando lattenzione soltanto sul circondario, lo si ritrova simile ad Uri, con decorazioni pi modeste a Thiesi e Romana e, monocromo, ad Ossi. A Ittiri, come in quei paesi, la leggerezza di questi accessori motiva lutilizzazione invernale di uno scialle pesante, sisciallu russu, nero o marrone, solitamente orlato con grosse frange. Pare quasi inutile insistere sul fatto che i ridotti lavaggi possibili per gran parte dei capi descritti ne impone una rotazione; per questo essi sono posseduti in discreto numero da ogni donna, alla quale sin dalla giovinezza la famiglia forniva un corredo (sei gonne, sei pannellos, ecc., in quelli pi modesti) da utilizzare lungo tutto il corso della vita. Ci avviene anche per il vestiario indossato attualmente nelle ricorrenze festive, che non si discosta molto da quello del lutto, visto che adotta cromatismi scuri, sino al nero. Si consideri che la condizione di femina in luttu (donna in lutto), bench soggetta a minori restrizioni del passato, secondo la tradizione ittirese non consente di comparire in pubblico o di ricevere visite con vesti sciatte o usurate, per cui il lutto spesso finisce per coincidere col lusso. Le gonne festive sono strutturalmente identiche a quelle di teletta. Sempre perfettamente pieghettate, possono essere di consistente stoffa blu, munnedda calorina (dal nome del tessuto: carolina) o grigio-scuro con quasi impercettibili righine orizzontali bianche o turchesi o, nelle forme pi lussuose, di spesse stoffe di cotone nero, sa munnedda niedda. In esse la balza ha poco risalto essendo della medesima stoffa-base. Anche il tipo del grembiule festivo non si discosta da quelli feriali nelle dimensioni e nella forma, per confezionato con raso, damasco, pizzo, sete con inserti laminati o stampate a fiorami, velluti operati, scelti in unampia gamma commerciale e di norma a fondo nero, viola, blu, marrone o comunque scuro. Anche il fazzoletto dellabito cerimoniale, simile a quello feriale, preferibilmente scuro, con decorazioni, operate o stampate, piuttosto sobrie e sovente di seta o altri tessuti pregiati. Quando si esce di casa uso sovrapporre al fazzoletto uno scialle, isciallu, di lana e seta fine, che la tradizione vuole incornici il viso ed avvolga completamente omeri, schiena, busto e braccia fin sotto la vita (oggi, se non si sta in chiesa, portato anche soltanto sulle spalle). Sisciallu, importato quasi sempre da fabbriche lombarde, rettangolare con corte frange e per lo pi nero, ma anche marrone o color cachi (nel passato le signori324

ne lo portavano color avorio). Tipico dello scialle ittirese su biccu, una punta che sporge sopra la fronte, prosecuzione della piega mediana, impressa con il ferro da stiro, che lo segna verticalmente lungo la schiena. Labbigliamento appena descritto in genere anche quello funebre. Nel lutto stretto, che coinvolge le donne che perdono il marito, i figli, i genitori o i fratelli, sono banditi tutti i colori a favore del nero: tutti gli indumenti debbono essere inornati, si deve portare sempre il fazzoletto e, fuori di casa, lo scialle ben calato sulla fronte; si indossano calze nere, non trasparenti. In circostanze luttuose che non le investono direttamente, come nel caso del decesso di vicini di casa o lontani parenti, molte donne si avvolgono in pubblico con il grembiule-copricapo alla rovescia, mostrando il lato non decorato. Lattuale sistema vestimentario tradizionale ittirese lesito di uno pi articolato e complesso, che ha subto nel corso dell800 e del 900 lente modificazioni, sino allintroduzione, dopo gli anni Cinquanta del 1900, di bluse cittadine, di borse e borsette signorili e di permanenti. Di queste variazioni, segno di vitalit e di capacit di adattarsi a nuove situazioni, possono essere seguite le principali scansioni sin dalla fine del 1800. La documentazione che stato possibile raccogliere fa emergere una foggia femminile che denuncia caratteri di arcaicit e pu essere ritenuta il modello di base di tutto il vestiario popolare di Ittiri, compresi i costumi di gala. Se si prescinde da particolari accessori, da talune scelte cromatiche e dalla qualit dei tessuti impiegati, la struttura di tutti gli abiti femminili popolari ittiresi rimanda, infatti, al costume con la gonna dorbace. Tale tipo dabito era ancora indossato da anziane che vestivano allantica negli anni a cavallo della prima guerra mondiale. Il copricapo di questa foggia era formato da tre elementi sovrapposti, su una pettinatura che prevedeva i capelli raccolti in due trecce, avvolte a crocchia sopra la nuca, e fronte perfettamente libera. Prima si indossava siscoffia, una cuffia a sacco, grosso modo a forma di tre quarti di sfera, che conteneva le chiome lasciandone in vista una stretta striscia sopra la fronte. La cuffia adottava tessuti di cotone scuro a fiorami stampati o calanc e talvolta lampasso di seta; sulla sommit recava una coccarda di nastro o una corolla rigida tempestata di paillettes, sistella lustrinata ; un nastro legato a fiocco sotto la nuca faceva in modo che laccessorio restasse fermo, tenendo in ordine i capelli.6 Sopra si fasciava a soggolo su muncaloru a corru, come quello attualmente in uso, ma con decorazioni su fondo avorio o chiaro (oggi introvabili in commercio): pumas de paone, angheleddos, pira e mela, rosas siccas, colovuros e pans, puzoneddos, faghefarinas, ecc. (piume di pavone, angioletti, pera e mela, rose appassite, garofani e viole, uccellini, farfalle, ecc.), oltre che disegni geometrici. Ancora, veniva steso un ulteriore fazzoletto, legato sotto il mento a fiocco e fluente a drappo sul dorso; il settore

532. Busto, imbstu, Ittiri, inizio sec. XX Sassari, coll. privata. La fitta allacciatura di nastro viola fissa. Attraverso gli occhielli circolari ai lati passava il nastro che lo stringeva sotto il seno. Lindumento realizzato con velluto di seta liscio e operato ed decorato da cordoncini si seta applicati, cordnes.

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533. Busto, imbstu, Ittiri, prima met sec. XX Sassari, coll. privata. Il busto realizzato con velluto di seta operato, adorno di nastri e trine dorate, in alternativa ai pi diffusi cordnes. La chiusura non presenta nastri passanti ma un settore rigido ove i nastri appaiono cuciti orizzontalmente costituendo su pettgliu bsciu.

Lunico indumento frequentemente lavato dellantico guardaroba era la camicia, sa camija, perch stava direttamente a contatto con il corpo e fungeva anche da biancheria da notte. La camicia ittirese per lo pi di tela di cotone candido, pi o meno fine, ma sempre pi compatta e sottile nella parte superiore, dossu, e grossolana nella sottogonna, su cansciu, cucita al punto vita e facilmente staccabile in caso di usura. Lampio volume del tessuto ridotto allo scollo e ai polsini, inornati, a fascia, con fitte pieghette. Lindumento piuttosto sobrio ad eccezione del collarittu, una striscia di tela alta poco pi di cm 1 che ferma le pieghe lungo lo scollo, generoso, a barca. Nellesiguo spazio di questa trinetta, entro due linee ricamate a spina di pesce si stendono minute decorazioni a punto nodo, bianco su bianco; sono schemi codificati: spirali e onde (caragolos e barandiglias), cerchietti (lorighittas), rombi (limones), rettangoli (su quadru), microscopici pallini (pibirinos), zig zag (ancas de musca), ecc. Il collarittu sempre rifinito con file di piccolissimi archetti a punto festone detti baghiglias. Si sa che per eseguire questi ricami, la tela era fissata ad un cuscino e che non era rara la lavorazione da parte di adolescenti o bimbe, perch era una lavorazione che richiedeva soltanto attenzione e pazienza, e la conta delle trame, copiando un collarittu precedente. interessante notare che il taglio delle camicie fa in modo che possano essere indossate anche orientando il lato della schiena sul petto, perch in entrambi i versi aperto uno sparato mediano e sullo scollo sono praticate due asole (per inserire bottoni sardi o un laccetto) sia sul davanti che sul settore opposto. Lespediente facilitava la stiratura e permetteva di mettere in vista il lato pi pulito quando non era possibile lavare e asciugare rapidamente lindumento oppure di scegliere il verso festivo (con le asole grandi). La vistosa scollatura della camicia a memoria duomo era opportunamente dissimula-

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sopra la fronte, inamidato, era perfettamente semicircolare. Le donne pi austere preferivano il fazzoletto di semplice tela bianca, muncaloru biancu o muncaloru e ciaffara, che era tipico anche del lutto stretto, caso in cui veniva fermato con uno spillo sotto il mento, aguzadu, e ingiallito con il fumo. Questo telo, fuori del lut326

to, poteva essere sostituito, tuttavia, soprattutto da parte delle giovani donne, con fazzoletti stampati, identici a quello a corru, detti muncaloros ispartos. Decaduta la cuffia, assieme al fazzoletto bianco, attorno al 1920, il duplice copricapo formato da muncaloru a corru e ispartu perdurer sino agli anni a cavallo del 1940.

ta da un fazzoletto bianco di tela o batista, su muncaloru e coddos, che si disponeva sul petto come il fichu della moda settecentesca. Si indossava quindi simbustu, un bustino irrigidito con bacchette metalliche, bastonettes, e foglie di palma nana, sa pramma, contenute entro una fodera di tela cruda o lino locale, accuratamente impunturata. Come quelli del circondario, il busto ittirese costituito da due met simmetriche munite di sottili bretelle e di spacchi nella parte inferiore, alettas, che lo fanno aderire perfettamente e sostengono la gonna alla vita. In corrispondenza della schiena le due parti sono unite con unallacciatura fissa di nastro di lana (frisu) o di seta (fetta) solitamente rossi, ma anche verdi, azzurri, rosa, viola o cremisi. Il busto feriale (che non poche donne indigenti portavano anche nelle feste) ricoperto allesterno di tessuti serici: terziopelo (velluto di seta) operato o liscio a fondo viola, verde, cremisi, cannella o azzurro oppure lampasso o broccato a fiorami con sfondo giallo, bianco o viola. In non pochi busti sono accostate stoffe diverse, ritagli o avanzi. Le decorazioni peculiari sono quei cordones descritti per il grembiule-copricapo, fissati in senso leggermente obliquo per far aderire le sete al supporto e mascherarne le giunture. Lallacciatura del bustino avveniva con poche passate sotto il seno di un nastro di lana, frisu, per lo pi rosso, entro asole circolari praticate lungo i lati anteriori dellindumento, dette lorighittas. Il busto, la cui origine signorile tardo rinascimentale nota, veniva confezionato da mastras de imbustos (maestre di busti) ed era portato sin da piccine (dallet di cinque o sei anni) e dalle adulte anche durante la gravidanza7 ed i pesanti lavori agricoli e domestici. Il giubbetto, su corittu, in ambito domestico ed in estate non veniva indossato, ma era richiesto per intervenire alle funzioni religiose o per le visite. Si tratta di una sorta di attillato bolero che lascia scoperto il petto e, sulla schiena, la parte inferiore del bustino. Le maniche, unite sulle spalle con una sottile striscia, sono strette e sagomate, squartate inferiormente lungo lavambraccio e con due aperture allincavo del gomito, da cui sbuffa la camicia. Di solito il corittu feriale era di velluto nero o viola oppure di panno nero o rosso; i cordones di seta multicolore, peculiari del costume ittirese, ne seguono le linee di taglio ed i cuciti con contrasti cromatici forti soprattutto in quelli di scarlatto. Dieci o pi finte asole di grandi dimensioni, traucchera, ornano ciascuna manica dal gomito al polso. In genere solo due asole sono aperte per ospitare altrettanti bottoni sferoidali dargento, muniti di ganci a T, in lamina traforata o in filigrana. Le maniche della giacchetta feriale, comunque, potevano essere arrotolate, prive di bottoni, assieme alla camicia fin sopra i gomiti, a corittu pijadu, per assicurare libert di movimenti; del resto anche la camicia, quando non si portava il corittu, veniva spesso piegata in quel modo (in tal caso gli avambracci erano sovente coperti 327

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con le maniche della maglia di flanella che si portava sotto e destate con le manighittas ritagliate da una vecchia maglia di lana). La gonna del costume antico, su furesi o sa munnedda de furesi, come suggerisce la denominazione, era dorbace; di un tipo non finissimo a superficie villosa, tessuto e tinto nel paese. I colori pi comuni erano il fulvo, il marrone, il granato (ma non era assente il nero) ottenuti con infusi vegetali (dafne, robbia, campeggio). Anche le gonne dorbace sono plissettate sul retro, ma con pieghe larghe circa cm 2, in diversi casi pi strette nella met superiore. La balza pi usata detta sa forra de su furesi ed di norma di consistente tela turchina, alta da cm 15 a 20, utilizzata anche come rinforzo delle mesas portas. Per la confezione di queste sottane sono necessari 5-6 teli dorbace larghi circa cm 60, le cui giunture in tutti gli esemplari esaminati sono evidenti sul lato della balza.8 Sa trinza alla vita per lo pi di panno rosso o velluto nero oppure viola; lo spacco laterale tipico delle gonne attuali in teletta non presente. Per quanto diverse informatrici attestino che verso gli inizi del 1900 su furesi veniva associato ad una gonna di teletta (che stava sopra dinverno e sotto destate) si-

gnificativo che in due liste dotali ittiresi del 18409 siano elencate per ciascuna ben quattro gonne dorbace e nessuna di teletta, il che fa intuire lintroduzione di queste ultime in fasi successive. Il gusto per i fianchi pronunciati, enfatizzati dallo stretto bustino, secondo alcune testimonianze orali, portava non solo a stratificare le sottane, ma ad indossare sotto una sorta di corta gonna dorbace impunturata, detta raguzza, o due cuscinetti, sos cabidaleddos. I grembiuli, nella fase duso di su furesi, erano molto simili a quelli utilizzati come copricapo sui quali ci si soffermati, a riprova dellesistenza in passato di ununica tipologia di pannellos, che potevano essere indossati ora sulla gonna ora per coprire la testa. Su pannellu, infatti, sino al 1920 circa era pi ampio e corto dellattuale, di profilo quasi triangolare, utilizzava spesso tessuti commerciali scuri stampati e presentava passamanerie seriche o cordones nel settore vicino alla vita, strettamente pieghettato. Qualche indizio fa immaginare che alla fine del 1800 il pannellu potesse anche essere poggiato sulla testa, con i nastri che lo cingevano normalmente alla vita abbandonati lungo la schiena, quasi come avveniva a Osilo o a Ossi, ove resta testimonianza di una sorta di grembiule posteriore, legato alla vita e ribaltato sul capo. Il copricapo antico pi usato, comunque, era una gonna di teletta, sa munnedda de cuguddu, indossata quando ci si recava lontano da casa o in chiesa (lo scialle venne introdotto attorno al 1935). La gonnella, pressoch identica a quelle gi descritte,10 era disposta a trinza, poggiando il settore normalmente coincidente con la vita sopra la fronte, facendo cadere il resto, come una cappa, sulla schiena e tenendola stretta al petto con le mani; cos il pannello liscio restava allinterno e si evidenziava la pieghettatura. In alternativa la gonna di teletta, indossata sopra le altre, veniva ribaltata sul capo, a munnedda bestida e cuguddada, s da incorniciare chi la indossava in una suggestiva sagoma a mandorla. Entrambi i copricapo perdurarono sino al 1935 circa, anche quando, decaduta la gonna dorbace, venivano abbinati alle comuni sottane di teletta. Le tre tipologie di copricapo descritte, evidentemente collegate fra loro strutturalmente, non esclusive di Ittiri
534. Maniche, manighles, Ittiri, 1930 ca. Sassari, coll. privata. 535. Pettiera, pettira, Ittiri, 1930 ca. Sassari, coll. privata.

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I due elementi, realizzati in tessuti commerciali, soppiantarono rispettivamente il giubbetto ed il fazzoletto-copriseno.

per quel che concerne larchitettura generale, sono diffuse su una vasta area isolana, con notevole concentrazione nel Settentrione, ed in ambito europeo (Spagna, Corsica, Malta, Calabria, ecc.). La studiosa veneziana Doretta Davanzo Poli ne rintraccia la prima attestazione in un dipinto del Bellini (1450 ca), in cui riconosce le premesse delle tonde venete ricorrenti nelle successive opere di Cesare Vecellio, dei Tiepolo e del Longhi. In Sardegna del pi alto interesse un documento, citato dal Costa, che riferisce dellabitudine delle donne sassaresi di intervenire ai funerali avvolte nella gonnella (1527).11 Tuttavia pare percorribile lipotesi che vede limpulso maggiore allacquisizione di copricapo tanto caratteristici nella moda egemone del 1600, quando labito femminile elegante constava di almeno due gonne stratificate con la superiore aperta anteriormente, come una sorta di grembiule posteriore e come la gonna nera detta capitta che, secondo la Deledda, faceva parte del costume da vedova nuorese nel 1800. Non improbabile infatti, che la modestia imposta alle donne nellabito per la chiesa ed ancor di pi quella sorta di annullamento del corpo femminile previsto nel lutto, abbia spinto ad utilizzare le sopragonne ed i grembiuli aldil della loro funzione primaria, come elemento moralizzatore (non esente da civetterie), in una societ, come quella sarda, ove le ben note condizioni di indigenza non consentivano il possesso di un guardaroba articolato.12 Labito con la gonna dorbace sul quale ci si soffermati rientra in una tipologia ben attestata da svariate fonti iconografiche del 180013 per il circondario di Sassari. Questo fatto ne conferma linteresse e ne attesta larcaicit. Come si accennato a proposito del fazzoletto copricapo bianco, il particolare abito ed i suoi accessori a Ittiri erano usati anche per il lutto stretto (fu attorno al 1930 che si adottarono le attuali fogge nere). I soli segni che, sul comune vestiario, informavano del lutto stretto di chi lo indossava, infatti erano il copricapo e la camicia ingialliti col fumo ed il fazzoletto copriseno nero. Da questo si pu forse intuire la rinuncia, anche per motivi economici, non solo a provvedersi di abiti nuovi per il lutto ma persino a tingere quelli gi posseduti. Alcune informatrici ricordano, comunque, che la gonna bestida e cuguddada era di rigore per le vedove e che si poneva notevole attenzione nella scelta di indumenti sobri nelle decorazioni e esenti da colori sgargianti. Il sistema vestimentario ittirese subisce le pi importanti trasformazioni dopo il Primo Conflitto Mondiale. Dimenticata la gonna dorbace, permangono quelle di teletta, indossate sovrapposte sino a sette-dieci; lallacciatura di nastro che stringeva anteriormente il bustino viene sostituita da su pettigliu, un elemento trapezoidale rigido con nastri cuciti paralleli, non pi solo rossi ma anche rosa o verdi o celesti, fermato con ganci metallici (man mano che ci si avvicina al 1940 il pettigliu, diventa sempre pi alto, rendendo il busto scomodo e opprimente). Negli anni 30, nuove abitudini igieniche, propagandate

capillarmente dalla scuola fascista, fecero mettere da parte, in ambito feriale, gli attillati giubbetti, a causa della loro scarsa lavabilit. Alcune sarte crearono, cos, i manighiles, che ricalcano la linea del corittu, ma hanno maniche a palloncino dal gomito in su e sono confezionati con stoffe lavabili, facili da stirare e di costo contenuto, nei colori e nelle fantasie pi varie. Non poche donne, parallelamente, fanno a meno della camicia, altre continuano ad indossarla ma con maniche corte. In quegli anni, al posto del fazzoletto copriseno viene introdotta la pettiera,14 una sciarpetta sagomata che le popolane pi eleganti fanno confezionare spesso nel medesimo tessuto dei manighiles. In questa tappa evolutiva evidente il desiderio di uniformare gli indumenti che coprono il busto in un insieme accordato, come nella moda corrente nelle citt; la premessa allacquisizione di quelle bluse e di quei maglioni che conferiscono carattere ibrido alle fogge che ancora resistono.

Note
1. Altri studi sul costume dIttiri: P. Piquereddu 1987; G.M. Demartis 1990. 2. noto che nelle cerimonie pi importanti e nelle nozze, a Ittiri, erano usate due diverse fogge, il fastoso bestire ruju ed il sobrio bestire nieddu, rispettivamente dalle donne abbienti e dalle contadine povere. 3. Cfr. nota precedente. I costumi di gala non vengono usati dalle anziane che attualmente vestono nella vita normale abiti tradizionali, ma sono sfoggiati da giovani donne, che vestono normalmente alla moda, in occasione di parate folcloristiche o di qualche cerimonia locale. 4. Questa tipica decorazione pu essere forse accostata alla finitura detta cordone de cojuados, citata da G. Calvia 1897. 5. Dalle ricerche effettuate risulta che veniva utilizzata qualsiasi carta consistente, dalla carta straccia al foglio di protocollo alla stagnola. 6. La forma della cuffia feriale non pare discostarsi da quelle delle cuffie festive, ancora confezionate. 7. Durante la gravidanza venivano allentati i nastri di chiusura del busto. 8. Vedi in queste pagine quanto osservato per le gonne di teletta. 9. F. Orlando 1998, p. 223. 10. Le gonne in teletta del primo Novecento non presentano in genere lapertura laterale ed hanno la balza sovente meno alta. 11. D. Davanzo Poli 1990, p. 107; E. Costa 1909, p. 321. La pi antica attestazione della gonna copricapo per quel che concerne Ittiri risale alla prima met dellOttocento e si deve allAngius, che riferisce delluso di gittarsi sul capo le gonne nere durante i funerali. Evidentemente in quellepoca esistevano segni pi eclatanti volti a definire il lutto rispetto a quanto attestato dalla fine del 1800. V. Angius, voce Ittiri, in G. Casalis 1833-56. Si noti che in Sardegna la gonna copricapo non compare mai nelle vesti di gala. 12. Largomento stato trattato in particolare in G.M. Demartis 2000. 13. Basti citare, fra le tante, la Donna di Codrongianos riprodotta in unincisione di Baldassarre Luciano. B. Luciano, Torino 1841. 14. Alcune di queste innovazioni, come lintroduzione del pettigliu e della pettiera, investono anche il costume di gala ittirese e gli conferiscono caratteri distintivi rispetto a quelli del circondario.

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I costumi femminili di gala di Osilo e Ploaghe


Giovanni Maria Demartis

I costumi femminili di gala dOsilo e Ploaghe (SS), centri logudoresi vicinissimi fra loro, sono molto noti. Alcune caratteristiche che li rendono inconfondibili hanno avuto ampia eco nelle parate folcloristiche, sin dalla Prima Cavalcata Sarda di Sassari del 1899 ed ancor prima, nel corso di tutto il 1800, hanno attirato lattenzione di viaggiatori e studiosi, che li hanno descritti e riprodotti in un vasto repertorio iconografico. Le due fogge, come risultano attestate dai manufatti elaborati negli anni a cavallo del primo Novecento, appaiono assai dissimili, a dispetto della vicinanza geografica dei paesi a cui appartengono. Se si prescinde dalla qualit dei tessuti, dai cromatismi e dai dettagli dellornamentazione, comunque, sono evidenti alcune non secondarie analogie strutturali, quali il copricapo a mantellina, il busto rigido portato sopra il giubbetto, che giunge sino alla vita, e lassenza del grembiule. Lanalisi di numerosi documenti a disposizione, ascrivibili ad un arco temporale che va dalla fine del 1700 sino al 1950, infatti, evidenzia interessanti linee evolutive che rendono non solo meno forte limpressione di scelte esclusivamente irrazionali nella creazione degli abiti, ma fanno individuare significative costanti nei fenomeni di modificazione, comparabili con quelle che hanno subito la gran parte dei costumi femminili di gala di tutta lIsola.1 Osilo Il costume femminile dOsilo che ammiriamo nelle sfilate del folclore, ha assunto i caratteri che lo connotano agli inizi del 1900. Si tratta di un abito esclusivo delle donne abbienti, che letichetta osilese riservava alle grandi cerimonie religiose ed alle nozze, tantoch denominato estire e cheja. La veste molto preziosa perch ha come tessuti prevalenti il costoso terziopelo liscio (velluto di seta) ed il raso di seta ed arricchita da elaborati ed estesi ricami. Per lesecuzione del costume occorrevano oltre m 7 di velluto di seta, tanto delicato, come affermano alcune informatrici, che si poteva sciupare in fase di confezione
536. Simone Manca di Mores, Danza accompagnata dalla chitarra, 1870 ca., litografia a colori (particolare).

e che si macchiava se esposto allumido o ad una leggera pioggia e costringeva a manutenzioni accurate e complesse.2 Altrettanti metri di raso candido alto cm 30-40, ricamato da artigiane specializzate a motivi floreali con fili di seta, di ciniglia policroma e laminette dorate e argentate, erano indispensabili per lorlatura della gonna e del copricapo. I ricami si ispirano evidentemente a quelli dei paramenti ecclesiastici sette-ottocenteschi, ma non sono esenti da influssi Liberty. Lindumento pi caratteristico dellintero abbigliamento sa capitta, una mantellina semicircolare che inquadra come in una nicchia, dalla testa sin quasi alla vita, chi la indossa. Questo accessorio viene poggiato sulla testa, sapientemente avvolta da un soggolo di tulle bianco o azzurrato ricamato a fiorami in tono. Il terziopelo cremisi, oltre che per la cappa, impiegato per il giubbetto, gropittu, ermeticamente chiuso sul petto, tanto che spesso non viene indossata la camicia,3 e con maniche aderenti, chiuse su ciascun avambraccio da 10-12 bottoni di filigrana dargento (eccezionalmente doro) che, mediante ganci a T, passano entro altrettante lunghe asole. Sulla giacchetta viene cinto il busto rigido, rivestito di broccati policromi, percorsi da passamanerie metalliche, o di raso finemente ricamato, che chiude anteriormente con ganci dacciaio.4 La gonna, faldetta, tutta di velluto granato, ha il pannello anteriore staccabile e sul retro abilmente composta in larghe pieghe, acannonada, sino alla balza candida di raso ricamato, identica a quella della capitta. Caratteristica della foggia linsolito accordo cromatico di tutti gli indumenti, sostanzialmente limitato al bianco ed al cremisi. Ploaghe Anche il costume femminile ploaghese generalmente conosciuto nella forma assunta attorno al 1900-20, ma si presenta in due tipi principali; luno, riconoscibile per la presenza del terziopelo (velluto di seta) liscio granato, per fastosi ricami di canutiglia doro e per lesteso uso di terziopelo fioradu (velluto di seta operato a fiorami) 331

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a fondo blu, esclusivo del ceto benestante (sa este e velludu) mentre laltro, destinato alle donne meno abbienti, caratterizzato da applicazioni di scarlatto e, in genere, da decorazioni e tessuti pi modesti (sa este de iscrallatta).5 Entrambi gli abiti, identici nella struttura complessiva, si indossavano nelle pi importanti ricorrenze festive e nelle nozze. Si deve sottolineare che, a differenza di Osilo, ove il costume di gala era ben differenziato da quelli feriali, a Ploaghe sino al 1920 gli abiti della quotidianit non si discostavano da quelli cerimoniali neppure cromaticamente, ma solo per la qualit delle stoffe.6 Lelemento pi tipico del costume senza dubbio la cappa-copricapo detta mantddu, ottenuta da un rettangolo di panno giallo-senape rivestivo allesterno di velluto di seta, raso o damasco blu s da risparmiare un settore a forma di croce latina del tessuto di base, spiegata localmente con la leggenda di un antico voto per la fine di una pestilenza. Il giubbetto, corttu, di scarlatto o velluto cremisi, chiuso a ciascun polso da due soli bottoni sardi e lascia sbuffare attraverso ampi squarti le maniche della camicia di tela bianchissima, finemente pieghettate a fisarmonica, afozittadas. Lindumento frunidu, cio rivestito di sete preziose, pi spesso chiare, anche ricamate in oro, ed evidenzia sulle maniche le ribattiture della stoffa principale sui cuciti, segno che in origine era double face.7 Sul petto spicca un fazzoletto morigeratore e pi comunemente una sciarpetta, istla, ricamata variamente a fiori stilizzati. La gonna, tuniga, di panno nero, composta sul retro a pieghe pi o meno larghe ed ha unalta balza, su frunimentu, per lo pi di velluto o seta blu oppure di damasco chiaro; due vistose applicazioni di panno rosso o velluto granato, masculas, si stendono sulla met superiore dellindumento, ai lati, risparmiando anteriormente un piccolo triangolo nero. La caratteristica pi singolare della gonna ploaghese, per, sa groppa, una sporgenza posteriore di circa cm 5-8 alla vita, determinata da una rigida ribattitura delle pieghe e da una semiluna di tessuto imbottito cinta sotto. Da diversi autori stata ribadita lorigine aristocratica secentesca di questuso, volto ad enfatizzare lampiezza della sottana sotto il rigido bustino ed a celare le forme femminili. La croce del mantddu, la stola copriseno, la tipologia dei ricami, esemplati su quelli dei paramenti sacri, manifestano la forte influenza esercitata dalla chiesa sul costume ploaghese.
537. Abito di gala, Osilo, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. La gonna e la cappa sono in scarlatto. 538. Abito di gala, Osilo, 1930 ca. Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. Il panno rosso ormai sostituito dal velluto di seta cremisi.

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539. Giubbetto festivo, corttu, Ploaghe, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Lindumento veniva utilizzato double face. 540. Gonna festiva, tniga, Ploaghe, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Al periodo cui risale la gonna le applicazioni, masculas, non raggiungevano la balza. 541. Manticello festivo e di gala, mantddu, Ploaghe, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale Arti e Tradizioni Popolari. 542. Abito femminile festivo, Ploaghe, anni Cinquanta Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Si osservino i ricami dorati alle maniche del giubbetto e la groppa della gonna che enfatizza i fianchi.
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I processi di trasformazione I due abiti appena descritti sono la risultante di progressivi e lenti processi di modificazione e di arricchimenti avvenuti nel corso del 1800, come ampiamente comprovato da numerosi documenti (stampe, fotografie, acquerelli, fonti letterarie ed archivistiche). Queste attestazioni, opportunamente comparate, evidenziano che, grosso modo tra la fine del 1700 e la met dell800, presso entrambe le comunit erano in uso abiti non eccessivamente dissimili, che impiegavano soprattutto tele bianche e pesanti stoffe rosse o nere sia di importazione (lino, cotone, saia, mezza saia, scarlatto, panno) sia locali (orbace e tela di lino) con un uso limitato di tessuti preziosi (sete, velluti, damaschi, broccati) utilizzati soprattutto per busti e guarnizioni. In questa fase non si rileva una significativa presenza di ricami, ma lapplicazione di galloni e passamanerie.8 Ad Osilo, secondo una norma che pare avere attraversato i secoli sin quasi ai giorni nostri, gli indumenti rossi, particolarmente di scarlatto, segnavano occasioni festive e status socio-economici privilegiati mentre il nero connotava la quotidianit ed i ceti inferiori. Significativi mutamenti, testimoniati fra gli altri dal Tolu Liperi,9 avvennero verso il 1860, relativamente allabito cerimoniale delle donne benestanti. Allora il fine scarlatto soppiant del tutto la saia e lorbace, e venne utilizzato per la capitta, la gonna ed il giubbetto, che non presenta pi lo squarto dallascella al polso nelle maniche, ormai strette e sagomate ed adorne sempre pi spesso di bottoni in filigrana dargento anzich di quelli, prima pi comuni, in lamina (a buccia). In quella fase il soggolo non viene pi confezionato con il lino tessuto in casa ma con giacconetta 10 o bisso trasparenti. Molte gonne e capitte sono ornate, invece che con i tradizionali stretti nastri bianchi o rosa, con larghi galloni commerciali di seta candida a fiorami (sos gallones de peri sa idda). Gi attorno al 1880 queste orlature subiscono arricchimenti: diventano pi alte e recano graziosi ricami floreali policromi eseguiti in loco. Nello stesso periodo si rinuncia spesso al vecchio sistema di

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chiusura del busto con nastri, sostituito da due appendici triangolari munite di ganci metallici. verso i primi del 1900 che il costume di gala assume tutti i caratteri noti: lo scarlatto, infatti, viene soppiantato dal terziopelo, il velo di tulle, le balze delle sottane, non pi fittamente plissate, ma acannonadas,11 ancora pi alte, si ornano di vistosi fiorami che, grazie al sapiente impiego dei punti pieno e raso, appaiono finemente sfumati tanto da dare limpressione di profondit. Anche la capitta circondata dalla medesima balza, sottolineata da ruches di organza, tanto che il terziopelo visibile in un esiguo settore e lindumento, rispetto ai precedenti esemplari in panno, ormai quasi rigido. Il Tolu Liperi individua giustamente fra le cause dei mutamenti del costume la volont delle fanciulle agiate di distinguersi dal resto della popolazione femminile ed il progressivo abbandono delle antiche attivit di tessitura e di filatura che consent alle donne dOsilo di gingillarsi con lago. A questi fattori bisogna senza dubbio aggiungere la massiccia offerta di tessuti serici di importazione presso le comunit isolane, avvenuta a partire dalla met del 1800, la creazione di scuole di ricamo presso gli asili di suore aperti nel paese e la spinta allarricchimento delle fogge determinata dalla ribalta delle parate folcloristiche e dai premi per i costumi pi belli e pittoreschi, in voga gi alla fine del 1800. Per quanto attiene Ploaghe, evidente il netto cambiamento della gamma cromatica dei costumi segnato dallabbandono, nella met del 1800, dellantico abito ricco, denominato este a sa tadaja (veste alla balia),12 che comprendeva la classica gonna scarlatta, il velo bianco ed il giubbetto con buttonera del comune vestito festivo logudorese, in forme non troppo distanti da quelle coeve dOsilo. La foggia che tutti conosciamo, in effetti, sembra trarre verosimilmente origine da un abito non festivo e non esclusivo del ceto egemone.13 Agli inizi del 1800 tale veste conviveva con quella di alta gala rossa ed evidenziava un copricapo formato da un lungo telo giallo appena orlato agli angoli di celeste ed una gonna dorbace nero con bassa balza turchina e con le due aperture verticali ai lati del pannello anteriore, presso la vita, rinforzate con panno rosso. Una ricca serie di immagini consente di seguire le progressive trasformazioni del mantddu, nel quale la banda celeste diviene sempre pi larga sino a delimitare una grande croce gialla, che dalla met del 1800 ridurr in maniera crescente le sue dimensioni.14 Analogamente, nella gonna, che ormai adotta preferibilmente panno nero anzich orbace, la balza aumenta di anno in anno in altezza e le masculas rosse divengono progressivamente pi ampie. Si deve tener conto che, mentre lesistenza della groppa e luso dello scarlatto per il giubbetto e le finiture della gonna sono attestati almeno dal primo venticinquennio del 1800,15 lintroduzione del velluto cremisi e del terziopelo a fiori per labito delle ricche sembra compa336

Note

1. Non questa la sede per elencare le numerosissime fonti riguardanti i due costumi in argomento, certo fra i pi documentati dellintera Isola. Si citano soltanto i pi significativi. Per Osilo: A. della Marmora 1826, Voyage; V. Angius, voce Osilo, in G. Casalis 1833-56; A. Bresciani 1850; E. Costa 1913; F. Tolu Liperi 1913. Fonti iconografiche: F. Alziator 1963, Luzzietti ; F. Alziator 1963, Cominotti; L. Piloni, E. Putzulu 1976. Per Ploaghe: V. Angius, voce Ploaghe, in G. Casalis 1833-56; E. Costa 1913. Fonti iconografiche: oltre a immagini contenute nelle opere sopracitate, risultano molto interessanti due dipinti conservati nella parrocchiale di Ploaghe, pubblicati in: G. Spanedda, Giustizia e Comunit nella Baronia di Ploaghe, Roma 1995. Per i documenti darchivio vedi alla nota 8. 2. Ad Osilo si pu agevolmente osservare la grande cura che viene riservata alla conservazione dei costumi. La gonna di velluto viene spesso riposta, con le pieghe ben sistemate interponendo carta di giornale arrotolata entro unapposita cassa lignea, utilizzata anche per trasportarla. Una sagoma rigida rivestita di tessuto serve per adagiare la capitta affinch non si sformi. 3. Nel paese possibile trovare antiche camicie, di propriet privata, ascrivibili alla met del 1800, non dissimili da quelle di Ittiri descritte in questo volume, ma confezionate in lino. Ad epoca pi recente risalgono esemplari in cotone, con scollo ricamato in rosso, a mezzo punto o punto croce, con motivi di cuori, croci, calici, fiori stilizzati. Oggi, talora, sotto il costume viene indossata una sottoveste di cotone, priva di maniche, di modello cittadino. 4. Alcuni busti recenti sono privi di bretelle. 5. Naturalmente esistono soluzioni per cos dire intermedie fra le due fogge: ad esempio non sono insoliti abiti di scarlatto con ricami in oro ed accostamenti di giubbetti di velluto con la gonna ornata di panno rosso (su mesu velludu). 6. Attorno al 1920 si afferma a Ploaghe la foggia feriale moderna, con bluse, gonne pieghettate scure che giungono al polpaccio e scialli frangiati. 7. Ritengo probabile che nell800 il giubbetto indossato quotidianamente, in occasioni festive venisse rovesciato evidenziando il lato interno pi pulito.
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8. Tutto questo si attinge ampiamente dagli atti darchivio pubblicati dal compianto F. Orlando 1998.

rire non prima del 1880, cos come i ricami floreali.16 Le ulteriori alterazioni subite dal costume ploaghese vengono stigmatizzate dalla giuria della Cavalcata del 1899: la croce del copricapo quasi invisibile ed ormai giallo arancio anzich, come era prima, giallo-oro ed il celeste che la contornava si trasformato in blu; la gonna non pi conclusa dalla tipica balza turchina ma da stoffe variamente operate, in tutti i toni scuri dellazzurro, del blu e del violetto.17 Labito ha ormai assunto le caratteristiche note, ma sar negli anni posteriori alla I Guerra Mondiale che si arricchir di quei ricami doro che segnano la foggia del ceto dominante. Le motivazioni dei cambiamenti appena sintetizzati sono le medesime segnalate per Osilo, ma vanno ricercate anche nella tendenza a differenziare decisamente il costume da quello dei paesi circostanti e nella voga della moda cittadina che imponeva leleganza dei colori scuri e del nero opponendosi a quelli sgargianti del 1700. Questo potrebbe spiegare il rifiuto della foggia comune logudorese con gonna rossa, ma non si possono scartare possibili rivoluzioni nella scala sociale della comunit ploaghese ed il decadere delle famiglie di prinzipales che riservavano per s quegli abiti.

Dalle vicende dei due costumi, in sintesi, emerge come da vesti sette-ottocentesche nelle quali aveva spicco il rosso, attraverso successive scelte di tessuti e cromatismi diversi (cremisi e bianco ad Osilo e tinte scure a Ploaghe) siano stati elaborati abiti cerimoniali esclusivi delle localit di appartenenza. Linee comuni di entrambi i percorsi evolutivi, comunque, sono la rinuncia ai tessuti locali, la crescente importanza assunta dalle sete, il significato di distinzione della classe benestante attribuito al velluto cremisi, laffermarsi di ricami sempre pi elaborati dopo il 1880 e la ricerca di una linea sempre pi snella nella sagoma degli abiti, che nell800 erano caratterizzati dalla stratificazione di pi sottane e da gonne con ampi profili a campana.

9. F. Tolu Liperi 1913. 10. Veniva denominata giacconetta o ciacconetta una sottilissima tela di cotone. 11. Il terziopelo mal si adattava alla fitta pieghettatura, tipica delle gonne di panno, perci veniva lavorato a larghe pieghe stondate, desinenti da una bassa banda increspata alla vita, per prevenire la rapida rottura della delicata stoffa lungo pieghe a sezione acuta. Perci la lavorazione del terziopelo avveniva interponendo fra le pieghe strisce rigide ottenute arrotolando fogli di giornale, per pressione, e tenendole per almeno un anno. 12. La denominazione deriverebbe dal fatto che nellantica cerimonia del trasporto del corredo nuziale, le donne che sostituivano ritualmente le madri degli sposi portavano quel costume. Non escluso per che il costume ricco logudorese fosse imposto alle balie paesane dalle famiglie abbienti sassaresi che le tenevano a servizio. 13. La destinazione non festiva pare emergere dal fatto che la gonna era pi spesso dorbace e che talora il costume non comprendeva il giubbetto. 14. Questo pone seri dubbi sullattendibilit della presunta origine della croce sul mantddu a seguito del voto per una pestilenza.

543. Luciano Baldassarre, Donna dOsilo, 1841, litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 544. Femme de Ploaghe, 1850-63, litografia a colori dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. Molte delle caratteristiche reali dellabito di Ploaghe appaiono male interpretate dallautore della stampa, che ci restituisce un modello di costume poco credibile.

15. Vedi le descrizioni di V. Angius e le immagini del Cominotti. Cfr. alla nota 1. 16. La prima immagine datata che conosco della este e velludu contenuta in: G. Voltan, Lo sport in Sardegna, Torino 1882, p. 90. Nel medesimo volume riprodotto un costume da giovinetta di Ploaghe, di tipo meno evoluto, erroneamente attribuito a Nuoro (p. 96) ed un costume femminile dOsilo, ancora in scarlatto e con balze gi ricamate. 17. E. Costa 1913, p. 210.

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Linvenzione del corpo arcaico. Labito tradizionale sardo nella cultura visiva tra Otto e Novecento
Giuliana Altea

Abiti, corpi, immagini Le immagini delle arti visive costituiscono una fonte riconosciuta per la storia del costume, disciplina che daltro canto deve non poco alla storia dellarte e alla sua preoccupazione per la datazione dei dipinti. Accomunate in origine da un pronunciato interesse per lanalisi e la classificazione formale, negli ultimi decenni la storia del costume e la storia dellarte hanno entrambe imboccato una strada che le ha portate a incrociare le loro prospettive con quelle della storia sociale, della sociologia e dei cultural studies .1 Ecco perch questo scritto, che considera da un punto di vista storico-artistico le rappresentazioni dellabito tradizionale della Sardegna, non si propone tanto di esaminare labbigliamento popolare attraverso i documenti delle arti visive, n di osservarne le rappresentazioni sotto il profilo estetico, quanto di considerarle alla luce delle complesse e stratificate relazioni tra le immagini e i loro significati culturali. Non si vorrebbe, in altre parole, cercare nelle opere darte testimonianze della formazione e dello sviluppo del costume popolare,2 servirsene quale supporto per una descrizione del sistema vestimentario sardo,3 ma interrogarsi invece sui rapporti tra le rappresentazioni (artistiche e daltro genere) dei costumi e i contenuti ideologici di cui esse sono ad un tempo prodotti e produttrici. In particolare, interessa qui vedere come la rappresentazione (e la percezione) del costume sia inseparabile da quella del corpo che lo indossa, e come questa a sua volta dipenda da un insieme variabile di assunti culturali. Se nelle immagini ottocentesche e primonovecentesche il vestiario tradizionale sardo contraddistinto da elementi relativamente stabili, cambia per lapparenza degli abiti, il profilo che disegnano e con cui tagliano lo spazio, la maniera in cui cadono le stoffe; ugualmente, il corpo che essi rivestono cambia nelle proporzioni, nei gesti, nelle posture. Il corpo, in effetti, un costrutto culturale alla cui definizione concorrono idee, propositi e miti collettivi continuamente rinnovati; le immagini di moda offrono la visualizzazione pi clamorosa di queste successive me545. Mario Mossa De Murtas, Sposa del Campidano, 1918-22 ca., olio su tela, Cagliari, coll. Piloni.

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tamorfosi. Secondo Anne Hollander, la cultura visiva delle varie epoche ci mostra non come i vestiti erano fatti, ma come ci si aspettava e si credeva che essi e i corpi dentro di essi apparissero.4 Ogni civilt produttrice di immagini elabora una propria idea circa laspetto pi naturale e desiderabile dei corpi, nudi o vestiti, ed dalle immagini che gli individui imparano ad atteggiarsi, a muoversi dentro gli abiti. Questo discorso, avverte Hollander, vale soltanto per labbigliamento di moda, mentre la non-moda, labbigliamento tradizionale, pertiene a societ generalmente prive di una forte cultura figurativa, anche se provviste di un ricco patrimonio di artigianato; lapparenza del corpo etnico o popolare stata quindi originariamente costruita senza riferimento alle immagini,5 a quelle dellarte come a quelle riflesse dagli specchi.6 La moda autoriflessiva, la non-moda non lo . I corpi etnici, modellati dalla consuetudine con labito tradizionale, hanno una coscienza di s che non deriva dallassimilazione di codici visuali e dal costante confronto con essi. Noi non sappiamo neppure portare il vestito moderno come si deve, dice una delle donne di Desulo intervistate da Marinella Carosso nellambito di uno studio sulluso dellabito tradizionale in quel paese.7 Lindossare labito tradizionale commenta Carosso diventa una maniera di vivere il rapporto col proprio corpo, cos come determina un certo comportamento. In effetti, labito indossato implica un modo di tenersi ritte; le tasche della gonna sulle anche (nsigas) determinano una maniera di tenere le braccia staccate dal corpo e di camminare a mani larghe manos iskappas. Gli elementi appoggiati sulla testa limitano i movimenti del busto e conducono lo sguardo a dirigersi davanti a s. Non si tratta, peraltro, di un condizionamento di carattere esclusivamente pratico e materiale, determinato dalla forma e dalla consistenza degli indumenti (a Desulo, le donne che vestivano il costume abitualmente avevano un portamento e un modo di muoversi diverso da quelle che lo indossavano solo in circostanze particolari, matrimoni, processioni, sfilate);8 piuttosto, la pesantezza e rigidezza di questi, i vincoli che impongono al movimento fisico sono interiorizzati come altrettanti vincoli morali, condivisi con la comunit locale e derivanti dallidentificazione con essa. 339

Posti di fronte al compito di raffigurare dei corpi etnici, gli artisti di ambito non popolare lasciano filtrare nella rappresentazione i modelli della propria cultura visiva, e dunque della propria cultura tout court. Per mezzo di una serie di impercettibili aggiustamenti e correzioni di forme e di linee, i documenti visivi ci mostrano come anche nelle immagini dei costumi emerga la nozione di un corpo contemporaneo, di volta in volta plasmato dalle predilezioni estetiche proprie a ciascun momento storico. Quando non hanno visto in questa circostanza un limite allattendibilit dei materiali iconografici ai fini della propria indagine,9 gli studiosi che si sono occupati dellabbigliamento sardo lhanno attribuita a un premeditato intento degli artisti di adeguare il loro lavoro al gusto del pubblico borghese;10 se si d credito alle tesi di Hollander, si deve invece pensare che si tratti in buona parte del riflesso spontaneo di schemi inconsapevolmente assimilati.

546. Giuseppe Cominotti, Batia (vedova) dOssi, 1825, acquerello su carta, Cagliari, Biblioteca Universitaria (particolare). 547. Giuseppe Cominotti, Taille parfaite, 1826, acquerello su carta, Cagliari, Biblioteca Universitaria (particolare). Busto di linea triangolare, seni alti e ben distanziati, punto vita leggermente rialzato: la vedova contadina ha nelle tavole di Cominotti la stessa silhouette della signorina elegante.

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ci informa sulle usanze dellacconciatura dei capelli e sui copricapi maschili (Fisionomie sassaresi ), registra travestimenti carnevaleschi oggi scomparsi (Li studianti in mascara), e cos via. Malgrado ci, i corpi che Cominotti immagina sotto i vestiti popolari sono quelli costruiti dalla moda: la Batia (vedova) dOssi della tavola n. 4 (fig. 546), col suo doppio soggolo bianco e nero, il corsetto a stringhe e il
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Abiti etnici e corpi di moda: lOttocento Quando Giuseppe Cominotti, architetto piemontese giunto in Sardegna negli anni Venti dellOttocento come funzionario dellamministrazione sabauda, disegna la sua Raccolta di trenta costumi sardi particolarmente di Sassari e suoi dintorni, ha cura di specificare sul frontespizio: disegnati dal vero negli anni 1825 e 1826. Le tavole ad acquarello, ricche di notazioni pungenti e di particolari curiosi, non danno motivo di dubitare dei propositi realistici dellautore. Con uno stile fresco, spigliato, ma attento alla resa del dettaglio, Cominotti ci consegna unimmagine tuttaltro che stereotipa della vita sarda:11 descrive i popolani nel loro abbigliamento quotidiano (La filugnana-Costumi di Tissi ), documenta le fogge di transizione di questultimo dal vestito tradizionale allabito borghese (Venditrici di pane sassaresi, Cucina sassarese, Le donne al Rosello in Sassari, ecc.), 340

grembiule, ha il busto dalla forma a triangolo, i seni alti e il punto vita leggermente rialzato e nettamente sottolineato che ritroviamo nei figurini del momento. Se la mettiamo vicino a una delle due eleganti raffigurate da Cominotti nella tavola Taille parfaite (fig. 547) (inserita nella raccolta anche se priva di ogni riferimento allabito tradizionale), ci accorgiamo di come le sagome delle due figure siano quasi perfettamente sovrapponibili: la taille della vedova, sebbene appena modificata dal lieve gonfiarsi della gonna sui fianchi, non meno parfaite secondo i criteri della moda di quella dellazzimata signorina. Nelle figure maschili, nelle quali lanalogia con la silhouette contemporanea meno evidente, un confronto simile si pu proporre tra il Pizzinnu vindendi

548. Joseph Trentsensky, Sarabus aus Sardinien, prima met sec. XIX, litografia, Cagliari, coll. Piloni. 549. Costume Parisien, 1814. Figurino dal Journal des Dames et des Modes, Parigi. 550. Costume Parisien, 1817. Figurino dal Journal des Dames et des Modes, Parigi. I costumi del Sarrabus visti col filtro della moda del primo Ottocento: foggia aderente che rivela la struttura del corpo per lui, taglio a vita alta per lei, non troppo diversi dai contemporanei figurini delle riviste illustrate. 551. Luciano Baldassarre, Pastora della Gallura, 1841, litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni.
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finociu (ragazzo che vende finocchi) e il giovane spasimante di Li studenti innamorati a Sassari : nel primo, il taglio attillato del giubbetto, la linea delle brache e dei borzacchini echeggia leffetto creato nel secondo dal pastrano e dai pantaloni. Ora, quando si sa, come in questo caso, che un pittore non intendeva idealizzare i suoi soggetti, e tuttavia raffigura abiti e corpi in modo analogo a quello che si osserva in immagini idealizzate, si pu concludere che essi rappresentino non lideale ma la verit secondo la percezione generale.12 Cominotti dipinge quindi effettivamente ci che vede, ma lo vede attraverso il filtro di un complesso di aspettative culturali. Quanto si detto per Cominotti vale anche per la maggior parte degli autori ottocenteschi di tavole raffiguranti costumi sardi. Pochi anni prima dellarchitetto piemontese, Joseph Trentsensky, elegante disegnatore neoclassico, offre unaltra testimonianza dellintrusione della moda nella resa dellabbigliamento e del corpo popolari. Nellincisione di Trentsensky che ritrae una coppia del Sarrabus (fig. 548), la donna indossa un costume curiosamente altocinto, la cui linea, non documentata altrimenti tra le fogge sarde, riporta alle vesti Impero tagliate sotto il seno diffuse fino al principio degli anni Venti (figg. 549-550); nel rappresentare il suo compagno, lartista ha fatto del proprio meglio per lasciar trasparire, sotto gli strati di tessuto, la ben proporzionata anatomia classica richiesta dalla moda maschile dei primi decenni del secolo, quando il taglio degli abiti da uomo puntava a creare, attraverso spalle discretamente imbottite e pantaloni collanti, una sorta di nudo classico fatto interamente di lana, pelle e lino.13 Nel 1841, le litografie che ornano i Cenni sulla Sardegna di Baldassarre Luciano14 registrano il mutamento

dellideale femminile, che ha adesso il busto pi allungato, la linea delle spalle arrotondata e cadente (qualit destinata a rimanere in auge sino alla fine degli anni Ottanta),15 la gonna morbidamente espansa (fig. 551). Un ideale rispecchiato anche, a un diverso livello di qualit artistica, da Giovanni Marghinotti, il maggior pittore sardo di epoca romantica,16 nella cosiddetta Panettera,17 un dipinto pressoch coevo alle illustrazioni di Baldassarre Luciano. La Panettera (fig. 552) mostra infatti un punto vita leggermente ribassato, nonch quel segno di aristocrazia fisica di cui DAnnunzio avrebbe lamentato lestinzione a fine secolo,18 le spalle cadenti, qui sottolineate dalla profonda scollatura e dallincrocio del fazzoletto. Lo stesso tipo femminile ritorna nellolio Festa campestre in Sardegna (fig. 553), dipinto da Marghinotti circa venti anni pi tardi (1861). Nel quadro, giustamente indicato, insieme al suo pendant Partenza per la festa (1862), come un caposaldo iconografico per larte locale,19 le convenzioni pittoriche, il riflesso del canone estetico contemporaneo circa lapparenza del corpo e una probabile volont di idealizzazione da parte dellautore si
552. Giovanni Marghinotti, Panettera, 1842 ca., olio su tela, Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. Nella popolana dipinta da Marghinotti come nelle tavole di costumi di Baldassarre Luciano, la linea cadente delle spalle e lampiezza della gonna rispecchiano le linee della moda degli anni Quaranta dellOttocento. 553. Giovanni Marghinotti, Festa campestre in Sardegna, 1861, olio su tela, Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. 554. Carriage & Morning visiting dresses, figurini inglesi degli anni Quaranta dellOttocento. 555. Femme dOsilo, 1850-63, litografia a colori dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. 556. Femme de Sinnai, 1850-63, litografia a colori, dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. Nelle illustrazioni di met Ottocento, il volume delle gonne dei costumi sardi aumenta in proporzione al gonfiarsi delle crinoline nella couture dellepoca.

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combinano a formare una rappresentazione che, pur essendo ricca di particolari osservati dal vero (la descrizione del ballo tondo, il suonatore di piffero e tamburo,20 perfino la chiesa sullo sfondo, recentemente identificata con quella di S. Lussorio a Selargius),21 colpisce oggi come complessivamente inattendibile. Memore come la critica ha unanimemente notato del Goya dei cartoni per le arazzerie reali, Marghinotti ci mostra villani e forosette, atteggiati con garbo un po lezioso, mentre ballano, amoreggiano e banchettano sullaia. Se i loro abiti sono identificabili, con maggiore o minor precisione, come costumi soprattutto del Campidano, le gonne delle contadine sedute a terra, apparentemente fatte di seta e non di pesante orbace, si allargano con unabbondanza di tessuto che fa pensare alle nuove proporzioni assunte dalla crinolina; un tratto di moda echeggiato anche, nello stesso periodo (1850-63), dalle tavole di costumi sardi pubblicate dal Journal Amusant nel contesto del suo Muse Cosmopolite (figg. 555-556).22 Certo, a differenza dei contadini e dei pastori ritratti nella maggior parte delle illustrazioni etnografiche, quelli dipinti da Marghinotti non sono dei semplici manichini, hanno una vitalit e una carica emozionale che rispecchiano la simpatia con cui il pittore guarda alla gente della propria terra.23 Uomini e donne si muovono per con una scioltezza e disinvoltura inaspettate, e con gesti che non stonerebbero in un salotto borghese, assecondati dalla morbidezza di stoffe leggere e permeabili alla luce. Nella seconda met del secolo, con laffermarsi delle poetiche realistiche e la diffusione della fotografia, le immagini dei popolani sardi consegnateci dalle illustrazioni dei libri di viaggio o dalle stampe etnografiche si fanno meno schematiche, acquistano un aspetto pi naturale. Tanto le litografie di Giorgio Ansaldi (Dalsani) apparse nel 1878 sul periodico cagliaritano Buonumore (fig. 557), quanto le incisioni di cui lo scrittore e pittore Gaston Vuillier correda nel 1891 le sue cronache di viaggio in Sardegna24 risentono meno di altre della suggestione del 343

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corpo contemporaneo; quelle di Vuillier si direbbero almeno in parte elaborate sulla base di materiali fotografici.25 Tuttavia in entrambe le serie si coglie, nelle immagini femminili, una tendenza a sostituire, al torso con i seni alti e ben divisi comune nei disegni degli anni VentiTrenta e alle pi modeste scollature degli anni Quaranta, un indistinto ma abbondante rigonfiamento pettorale, che da un lato corrisponde alleffetto creato dalle camicie sarde, con la loro ricchezza di pieghe, dallaltro fa pensare al busto voluminoso e senza visibile separazione di seni caratteristico dellultimo quarto del secolo.26 Evidentemente, il modo particolare in cui la camicia dellabito tradizionale riveste il corpo comincia ad essere percepito con esattezza nel momento in cui viene a coincidere con la silhouette divulgata dalla moda. Accade inoltre che Ansaldi e Vuillier, come gi i loro predecessori, attribuiscano ai contadini gesti dalla chiara connotazione non popolare. Nelle tavole di Ansaldi, il giovane in Costume di Fonni tiene le mani in tasca con la nonchalance di un cittadino (latteggiamento canonico 344

associato a quel tipo di abbigliamento le vuole invece appoggiate alla cintura),27 la ragazza che porta il Costume ricco di Dorgali regge tra le dita un fiore sollevando il mignolo con gesto di studiata ricercatezza (fig. 558); in Le canefore dAritzo di Vuillier (fig. 560), la portatrice dacqua a destra cammina reggendo con la mano un lembo della gonna, gesto che, entrato nelluso negli ultimi decenni dellOttocento, consentiva alle donne di governare leccesso di stoffa dello strascico, mostrando al tempo stesso il piede e un barlume di caviglia,28 come si pu vedere in vari dipinti dellepoca (fig. 559). Nellultimo quarto del secolo, sul mondo popolare sardo comincia a posarsi lo sguardo dei pittori. Alla fine degli anni Settanta il siciliano Giuseppe Sciuti inserisce, nel programma decorativo del Salone Consiliare del Palazzo
557. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Lanusei, 1878, litografia a colori da Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni. 558. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume ricco di Dorgali, 1878, litografia a colori da Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni.

della Provincia di Sassari, un Ingresso trionfale a Sassari di Giommaria Angioy (1879) (fig. 1) in cui gli abiti tradizionali della folla festante hanno numericamente e visivamente il sopravvento sui panni borghesi e le vesti talari;29 il piemontese Giovanni Battista Quadrone, chiamato in Sardegna dalla passione per la caccia, comincia negli anni Ottanta a trarre spunti pittorici dai propri soggiorni nellIsola.30 Sciuti fedele al noto precetto morelliano di rappresentare cose non viste, ma immaginate e vere ad un tempo mette in scena paesani sardi che, per quanto puntigliosamente descritti nei dettagli del vestito, mancano
559. Giovanni Boldini, Madame Max, 1896, olio su tela, Parigi, Muse dOrsay. 560. Gaston Vuillier, Le canefore dAritzo, 1891, litografia da Les les oublies la Sardaigne, Parigi 1893. Costume popolare e gesti non popolari: la camminata con la gonna raccolta a mostrare la caviglia accomuna la contadina sarda descritta da Gaston Vuillier e la dama elegante ritratta da Boldini.

di ogni caratterizzazione etnica riguardo al portamento. Gesti e atteggiamenti sono pensati in funzione della calcolata regia dellinsieme; se, invece che costumi popolari, i personaggi indossassero abiti alla moda, non noteremmo alcuna differenza. Le scene sarde di Quadrone hanno una verit di resa che le stacca dal tono aneddotico di molti suoi lavori precedenti, tanto che la critica ha attribuito a questa scoperta della Sardegna la svolta dellartista verso un fare meno manierato e pi schietto.31 I suoi contadini (seppure occasionalmente non immuni da stereotipi sentimentali, come la coppia di innamorati in riva al mare di Idillio in Sardegna, del 1884)32 sono ritratti con una cura lenticolare che indugia volentieri sulla descrizione di vesti lacere, rammendate e sporche. Laria straccionesca, da pitocchi che lartista conferisce non di rado ai suoi modelli specchio fedele di una realt di stenti e di miseria, ed daltronde un dato attestato dallabbondante materiale fotografico giunto fino a noi; tuttavia nelle foto questo aspetto finisce per notarsi appena, relegato in secondo piano dalla dignit e 345

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dalla fermezza dei gesti, che riassumono il corpo entro contorni netti e sembrano come ridurre a sintesi anche i cenci e la sporcizia (fig. 562). Proprio quei gesti fermi e sintetici, per, non entrano nellorizzonte del pittore, cos attento a registrare i particolari; il suo occhio si fissa invece su pose e movenze che colpiscono per la loro freschezza e naturalezza (fig. 561), ma che proprio per la stessa ragione non colgono la tipicit di un portamento altamente formalizzato qual era quello delle popolazioni rurali sarde. Il diverso da lui ricondotto automaticamente al gi noto: la donna e la bambina di Cortile campidanese (fig. 563) colte in un atto cos spontaneo ed efficace, sembra di vederle vestite alla moda degli anni Ottanta, o, perch no, addobbate in uno dei travestimenti storici dei quali lartista amava paludare le sue modelle per poi ritrarle in pose squisitamente contemporanee.33 Sembra quindi una forzatura insistere, come si fatto recentemente, su un Quadrone primitivista, preda del fascino solenne e misterioso di una cultura arcaica e volto ad esaltarne la specificit.34 Cronista scrupoloso e attento del mondo popolare sardo, il pittore non ne percepisce lalterit se non per riportarla entro i limiti rassicuranti di una realt conosciuta.
561. Giovanni Battista Quadrone, Il guado, 1884, olio su tavola. 562. Visioni di Sardegna, cartolina illustrata, prima met sec. XX. Editore Giuseppe Dess, fotografia di Alfredo Ferri.
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563. Giovanni Battista Quadrone, Cortile campidanese, 1884, olio su tela.

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Labito tradizionale da marchio di subalternit a simbolo identitario Come si visto dagli esempi citati, per tutto lOttocento principalmente alla curiosit dei viaggiatori che dobbiamo le raffigurazioni dei costumi della Sardegna: diari, memorie, cronache e reportage dallIsola, arricchiti da illustrazioni che ritraggono con spirito documentario le fogge dellabito locale.35 Molto pi rare sono le opere di pittura e, per quel che si sa, addirittura inesistenti quelle di scultura. Quando si aggiungano ai dipinti di Marghinotti, di Quadrone e di Sciuti le decorazioni di Domenico Bruschi nel Palazzo Viceregio di Cagliari,36 lelenco si pu dire esaurito. Dei quattro, solo il primo sardo: nella pittura come nellillustrazione a carattere etnografico, sono quasi sempre gli osservatori esterni a registrare la pittoresca variet dellabbigliamento tradizionale. Nel Novecento, la situazione appare rovesciata: alla penuria di rappresentazioni pittoriche del secolo precedente fa riscontro un diluvio di immagini, in gran parte opera di autori isolani. Chi non conosca o conosca poco
564. Costume di Samugheo (Sardegna), cartolina illustrata, primo decennio sec. XX. Fotografia ritoccata. 565. Giuseppe Biasi, Grande festa campestre, 1910-11, olio su tela, coll. Regione Sardegna.

la Sardegna non pu che rimanere stupito dalla fascinazione, potremmo dire quasi lossessione, per il costume popolare rispecchiata dalla produzione dei suoi artisti tra i primi del Novecento e gli anni Quaranta. Nei dipinti, nelle sculture, nei lavori darte applicata limmagine dellabito tradizionale ricorre senza sosta; messi da parte generi consolidati come la natura morta o il nudo, gli artisti trovano il proprio tema prevalente, quando non esclusivo, nelle scene di vita paesana animate dal colore dei costumi. Amorosamente descritti, i corpetti ricamati, i giubbini di velluto, le gonne dorbace non di rado perdono il ruolo di elementi accessori per diventare il vero centro dellimmagine. Questo interesse per labito tradizionale, prolungatosi ben oltre i limiti di durata del clima culturale che in epoca romantica ne aveva stimolato il sorgere in tutta Europa,37 si lega al diffondersi nella regione, negli anni a cavallo tra Otto e Novecento, di ideali di riscatto politico, economico e sociale. Impegnati nella costruzione di unidentit nazionale sarda, gli intellettuali isolani ne cercano il fondamento nel mondo pastorale e contadino: un mondo che sino a poco prima era stato visto quale sinonimo di fame, miseria e subalternit culturale, e del quale il costume era il simbolo immediatamente riconoscibile.38 Se vero quanto scrive Enrica Delitala,

che i sardi non hanno amato molto labito tradizionale, sentito non come emblema di una etnia ma come specchio di una situazione di soggezione ed arretratezza,39 anche vero che la rivalutazione del costume, innalzato a vessillo di unidentit faticosamente inseguita, gioca un ruolo importante nella cultura sarda della prima met del secolo scorso. Con lo splendore dei suoi colori, la bizzarra eleganza delle linee, lo sfarzo dei tessuti, il costume si presentava come un segno ambivalente: era immagine ancestrale di bellezza ma anche di povert e di sottomissione, e non di rado bersaglio nei contatti dei sardi con il mondo esterno di odiosi episodi di razzismo. Allinizio del Novecento, non era infrequente assistere, per le vie di Roma, allo spettacolo degli scherni e dellilarit suscitati dal passaggio di gruppi di sardi in visita alla Capitale. Gli abiti tradizionali a quellepoca ancora comunemente indossati nellIsola fuori dalle citt maggiori attiravano lattenzione degli sfaccendati: Mentre scappavo da una conferenza e camminavo per il corso Vittorio Emanuele racconta il poeta sassarese Salvator Ruju , ecco, appare un gruppo di pellegrini sardi seguiti, direi quasi oppressi, da una folla di curiosi attratti dalla stranezza e dalla stravaganza teatrale di certi nostri costumi della parte meridionale dellisola.40 Un corrispondente

dellUnione Sarda 41 descrive le reazioni provocate dalla vista di una bella ragazza in costume di Osilo: Gli ammiratori che sul principio saccontentavano di voltarsi, poi di fermarsi, finirono per seguire, da uno diventar dieci, da dieci cinquanta, da cinquanta cento; le frasi salaci, la gazzarra indecorosa, indecente, strappano al giornalista parole indignate: Eppure a Roma di costumi strani, di fogge curiose se ne vedono ogni giorno: africani, siamesi, persiani, beduini, montenegrini, indiani, polacchi, russi, cinesi, americani, svizzeri, borghesi, militari, ecclesiastici, dogni forma, dogni colore eppure mai ho osservato un agglomerato cos cretino di gente intorno a un costume che era bello, che non aveva nulla di ridicolo e che, per giunta, era italiano! Ah, vivaddio, non i barbari siamo noi di Sardegna!. Quando non sono le miserande torme di pellegrini a deliziare questo popolo scettico di Roma, a dar materia di caricature e di arguzie ai giornali umoristici della citt,42 tocca ai commercianti di bestiame in trasferta di lavoro. Allingresso, nel vagone di un treno, di una comitiva di logudoresi con le bisacce di lana in spalla e le berrittas in capo, si ride, si grida, si sente dire: Sono sardignoli. Zul! Che portate dentro quelle bisacce? Guarda un po che zucche sulla testa! E i sardi zitti, e i sardi pazienti vogliono entrare, ma sono respinti, 349

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scacciati, insultati Qui non c posto, non si sale, qui! Andate nei treni merci!.43 Il disprezzo razzista del costume sardo sincontra anche nel ceto colto e fra gli stessi artisti. Nel 1914 il pittore continentale Carlo Mazza, vedendo, nel concorso per la decorazione del Palazzo Civico di Cagliari, il proprio bozzetto superato da quello, folto di costumi e di scene paesane, del sardo Filippo Figari, d sfogo al proprio disgusto per i pastori avvolti in laide e fetide pelli, e inveisce contro questi negri della Sardegna, che (atteggiandosi ) ad intenditori darte vogliono a tutti i costi fare del palazzo municipale tutta una magnificazione e una glorificazione del callo, della mastrucca e del ballo sardo Come se la loro sfera intellettuale non potesse allargarsi al di l della cerchia dei ricordi di schiavit, di servaggio e di tripudio belluino.44 Ma se agli occhi degli italiani il costume popolare identifica laltro, lelemento estraneo che va espulso dalla compagine sociale per garantirne lintegrit, la borghesia intellettuale sarda ne fa la propria bandiera, trasformando, grazie al filtro primitivista, quella disprezzata alterit in una differenza seducente. Assunto a tramite per una visualizzazione dei fermenti politici e culturali che attraversano la societ isolana, labito tradizionale rappresentato in immagini o, come vedremo, indossato fuori dal suo contesto abituale da individui non appartenenti alle classi popolari non si limita ad esprimere le nuove idee identitarie, ma in qualche misura contribuisce esso stesso al cambiamento in atto.45 Linvenzione del corpo arcaico Da questo ribaltamento di prospettiva, lapparenza dei costumi e dei corpi che rivestono esce profondamente trasformata. Basta confrontare i quadri sardi di Marghinotti con quelli del protagonista del movimento artistico primonovecentesco nellIsola, Giuseppe Biasi, per rendersi conto di come lumanit descritta dal primo non abbia niente in comune con quella rappresentata dal secondo. Abbiamo gi visto come in Festa campestre in Sardegna di Marghinotti la tipicit etnica suggerita dallabbigliamento venga smentita dai corpi e dalle movenze: lartista raffigura i popolani sardi avendo in mente unimmagine precostituita di corpo e un campionario di atteggiamenti fornitigli dalla propria quotidiana esperienza di vita borghese; le convenzioni pittoriche e un probabile intento idealizzante fanno il resto. Circa cinquantanni dopo il collega cagliaritano, Biasi dipinge a sua volta una Grande festa campestre (1910-11) (fig. 565). A prima vista, verrebbe da credere che, al pari di Marghinotti, anche lui pecchi di una certa genericit nella descrizione dei costumi, dato che le fogge e la combinazione dei singoli indumenti spesso non corrispondono a quelle richieste dai codici vestimentari che oggi ci appaiono normativi, ma che sarebbero divenuti tali solo pi tardi, a seguito del processo di cristallizzazione messo in moto da manifestazioni come la Cavalcata Sarda e in genere dallo 350

sfruttamento del folklore ai fini dellindustria turistica.46 Biasi, sintende, non meno lontano di Marghinotti dalle preoccupazioni etnografiche degli illustratori dellOttocento, ma al tempo stesso attento a restituire una realt attentamente osservata e fissata non di rado a mezzo di fotografie: gli abiti che vediamo nei suoi quadri sono quelli di un uso quotidiano che aveva regole molto pi fluide di quanto oggi sia dato ricostruire a posteriori (fig. 564). Ci non toglie che, come Marghinotti, anche Biasi reinventi i suoi contadini: solo che, mentre il primo li rimodella in base a stereotipi di freschezza e innocenza arcadica risalenti al Settecento e rivisti alla luce del populismo romantico, Biasi lo fa a partire da una visione primitivista che scorge in loro gli eredi fieri e incorrotti di unantichissima civilt. questo che lo porta a scoprirne le forme statiche e bloccate, condensate nella semplicit di schemi quasi geometrici. In Grande festa campestre, contadine, pastori e venditori ambulanti fanno tuttuno con le loro vesti, che ne modellano le figure attraverso profili netti e decisamente stagliati. Incorniciati dalle bende o incoronati dai berretti, i volti si incastonano entro campiture di tinte omogenee, prive di risalti plastici. Le gonne delle due ragazze a sinistra sono cilindri scuri su cui poggia il cilindro bianco dei torsi; quella della donna a destra una macchia compatta dallorlo curvilineo; altrettanto unite e senza movimento cadono le brache degli uomini. Tranne minimi accenni nelle camicie, gli abiti ignorano ogni panneggio, e non c da stupirsene, perch il panneggio che la stoffa reinterpretata e rimodellata dallarte, cos come il nudo reinterpreta e rimodella il corpo spogliato un simbolo di civilizzazione e di alta cultura,47 carico di associazioni classiche che nulla hanno a che vedere con larcaico popolo sardo. Alla rigidezza dei tessuti corrisponde quella del portamento: tutti, perfino i bambini, sono eretti nella persona, gravi nel passo, parchi nei gesti delle mani posate sulla bisaccia o sul vincastro, chiuse intorno al rosario e delle braccia, tenute strettamente aderenti al busto. Sono questi gli uomini di cui si legge negli scritti degli artisti e letterati sardi del primo Novecento: Figure rudi di montanari, [profilate] sul cielo come se fossero germogliate dagli sterpi dei lentischi,48 uomini che ricordano, nelle linee dure e severe del viso, nellatteggiamento fiero gli antichi padri mastrucati degli storici romani e medioevali;49 donne che incedono con un passo che non il passo di una contadina e il cui gesto, la grazia vengono da lontano,50 donne di sangue e di fuoco dai profili orientali, voluttuose e ridenti nei corpetti di
566. Francesco Ciusa, La filatrice, 1908-09, gesso, Cagliari, Galleria Comunale dArte. 567. Filippo Figari, Cagliari baluardo di casa Savoia, 1916-24, olio su tela, Cagliari, Palazzo Civico, Salone del Consiglio.
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568. Antonio Ortiz Echage, La festa della confraternita di Atzara, 1908-09, olio su tela, San Sebastiano, Museo de San Telmo.

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porpora e doro, severe e composte nellabbigliamento delle bende claustrali, bianchissime.51 Queste presenze fascinose e solenni non popolano soltanto i quadri di Biasi: le ritroviamo, tra il secondo e il quarto decennio del Novecento, nelle opere di uno scultore come Francesco Ciusa, di pittori come Filippo Figari, Carmelo Floris e Cesare Cabras, di illustratori, decoratori e ceramisti come Edina Altara, Federico, Melkiorre e Pino Melis, di creatori di arti applicate come Anfossi e Tavolara, e di altri ancora. In varia misura e con diverse inflessioni stilistiche, questi artisti traspongono nei loro lavori limpressione di staticit, rigidit e compattezza suggerita dal corpo etnico. Se labito tradizionale che lo
569. Cesare Cabras, La sposa, 1923, olio su tela.

riveste appare loro come una sorprendente scultura colorata, il corpo etnico percepito quale vivente incarnazione dellideale arcaico della statua, un ideale centrale, come ha mostrato Maria Grazia Messina, per la definizione delle poetiche primitiviste nellarte a cavallo tra Otto e Novecento.52 Nelle sculture di Ciusa, i rigidi contorni del costume dettano le linee della composizione, semplificando e asciugando il classicismo rinascimentale, assimilato dallartista nei suoi anni formativi: qui il cono di un mantello, l il doppio cerchio creato dalle maniche rigonfie di una camicia a definire il gioco dei volumi (fig. 566). I corpi dei contadini e dei pastori, accademicamente concepiti e veristicamente descritti, sono costretti a obbedire a secche cadenze geometriche che li congelano in una fissit arcaica (e pu accadere, come in Lanfora sarda del 1928,53 che il contrasto tra il naturalismo dellanatomia e la stilizzazione del costume esploda in modo stridente). Classici e accademici di un classicismo tanto sopra le righe da sfiorare talvolta lautoparodia , ma non per questo meno statici e solenni, sono i paesani di Figari, di cui il costume non nasconde la potente muscolatura: la celebrata fierezza del popolo sardo fonde abiti e corpi in una sorta di armatura bronzea, segno esteriore di unintegrit morale altrettanto salda e incrollabile (fig. 567). Ci vorr un osservatore incline alla trasfigurazione mitica come D.H. Lawrence per cogliere nellabito tradizionale sardo la stessa nota di indomita virilit: E vedo il mio primo contadino in costume come bello e splendidamente maschio! Cammina con le mani appoggiate dietro la schiena, lentamente, eretto, distaccato. La splendida inaccessibilit, indomabile Come bella la virilit, se trova la sua giusta espressione! E come resa ridicola dagli abiti moderni! Com affascinante, dopo gli italiani morbidi, vedere queste gambe nei loro aderenti calzoni stretti sotto il ginocchio, cos definite, cos maschie, con ancora tutta la loro antica fierezza.54 In Lawrence come in Figari, labito-corazza che aderisce alle membra rivelandone il turgore, e la berritta, il lungo copricapo di volta in volta pendulo o eretto, diventano chiari traslati simbolici di una mascolinit non piegata dai tempi.55 Aiutando a far scivolare nel mito una rappresentazione altrimenti realistica, linsistenza sulla rigidezza delle pose e sullorgogliosa baldanza degli atteggiamenti stacca Figari da un precedente pittorico che pure non ha mancato di esercitare su di lui una certa suggestione, quello costituito dagli spagnoli Ortiz Echage e Chicharro. Giunti in Sardegna allinizio del secolo, Eduardo Chicharro e Antonio Ortiz Echage hanno raffigurato il mondo popolare isolano nei termini realisti cari alla tradizione del costumbrismo iberico.56 Nei loro quadri robustamente costruiti, illuminati da un colore pastoso e brillante, larchitettura stessa della composizione trova il suo perno nellabito tradizionale, rappresentato con dovizia di dettagli (fig. 568). La loro ricerca di scioltezza e naturalezza, combinata con unattenta resa delle movenze del corpo etnico, riesce a darci unimmagine persuasiva,

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e, da un punto di vista documentario probabilmente fedele, della vita paesana. Mentre innegabile che lesempio di Ortiz e Chicharro abbia contribuito ad alimentare linteresse degli artisti sardi per la realt contadina della loro terra, anche vero per che la prospettiva in cui questi ultimi si pongono diversa. Al corpo etnico dipinto dagli spagnoli sostituiscono un corpo arcaico, che ne esaspera le caratteristiche di gravit, solennit, staticit e fiera eleganza. Una ieratica immobilit contraddistingue i contadini di Carmelo Floris (fig. 570), quelli raffigurati con ossessiva minuzia da Cesare Cabras (fig. 569), quelli di Melkiorre Melis (fig. 572) e di suo fratello Federico (fig. 571), ingabbiati entro spigolose geometrie decorative; veri e propri feticci tribali sono i pupazzi in legno e tessuto di Anfossi e Tavolara (fig. 574), nei quali convivono stilizzazione astratta ed esattezza nella trascrizione delle forme del costume. Una cultura sensibile al fascino del primitivo ha preparato gli artisti sardi a ricercarlo nella realt che hanno sotto gli occhi e ad intensificarne i tratti nelle loro opere. Lo stesso accade a quanti arrivano nellIsola provvisti

di analoghi riferimenti culturali: il caso di Anselmo Bucci, che, giungendo da Parigi dove ha messo a punto la propria formazione postimpressionista e sintetista, visita la Sardegna nel 1912.57 In uno dei quadri che ne riporta, Il sindaco di Dorgali e lassessore anziano (fig. 573) due ruvidi totem intagliati in una pasta di colore spesso e senza finezze , coglie alla perfezione laccordo tra lastratta pezzatura di tinte del costume e limpenetrabile e imperturbabile fermezza dei notabili di paese, seduti ritti con le mani conserte o saldamente posate sulle cosce. Se linteresse di Bucci si arresta prevedibilmente alla suggestione formale del corpo etnico (trasformato dal costume in un mosaico di bianchi, neri e rossi),58 da Biasi e dagli altri artisti sardi dinizio secolo la semplicit
570. Carmelo Floris, Sposa in chiesa, 1932 ca., olio su tela, Nuoro, MAN. 571. Federico Melis, Sposa antica, 1930, terraglia dipinta e invetriata, Cagliari, Rettorato dellUniversit. La figura della sposa contadina, fissata in una posa frontale e statica, incarna il corpo arcaico in tutta la sua rigidezza cerimoniale.

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delle movenze, la rude eleganza del portamento che lo connotano vengono lette come indizi di nobilt ancestrale: ai loro occhi sono segni di appartenenza a una razza eletta (perch se labito del lavoratore sporco, il gesto lo tradisce),59 di cui fame e miseria non sono riusciti a piegare la dignit innata. Lo stesso abito tradizionale visto come prova di una naturale raffinatezza di gusto; le contadine che ne tessono e cuciono le stoffe sono altrettante artiste. Il costume popolare isolano una composizione astratta di colori una vera completa pittura, una sicura opera dArte, alla quale il pittore ultimo arrivato non avrebbe potuto aggiungere che la propria inesperienza ogni piccolo villaggio poteva essere una buona accademia, purch il pittore avesse avuto occhio per imparare. Chi non conosce quel piccolo capolavoro che il grembiule delle donne di Orgosolo?.60 Corpi arcaici, moda e modernit Per quanto sottoposte a una forzatura in senso primitivista (o forse proprio per questo motivo), le rappresentazioni della vita sarda di Biasi e dei suoi colleghi isolani dovevano apparire agli occhi dei contemporanei notevolmente pi efficaci e convincenti di tutte quelle che le avevano precedute: non stupisce che nel 1910 si pensasse allartista sassarese come al pi adatto per disegnare dei manichini destinati allesposizione di costumi sardi nella Mostra Etnografica in seno allEsposizione di Roma dellanno dopo.61 Ma, se Biasi e compagni vedono per la prima volta il corpo etnico dei sardi, che labitudine al corpo costruito dalla moda sottraeva allo sguardo degli illustratori e dei pittori dellOttocento, non per questo li si pu dire immuni dallinflusso del loro tempo. La filatrice di Ciusa, per esempio, trova una coincidenza con le linee asciutte della silhouette femminile della seconda met del primo decennio grazie allespediente della gonna trattenuta fra le ginocchia (fig. 566). I corpi dipinti da Biasi, poi, risentono inequivocabilmente delle immagini suggerite dalla moda dinizio secolo, in particolare di quelle create da un grande couturier come Paul Poiret e divulgate attraverso le tavole di Georges Lepape, Paul Iribe e Georges Barbier. Mentre Poiret trasforma la figura femminile in una svelta sagoma adorna di esotici turbanti, inguainata in abiti quasi tubolari a vita alta o coperta da pantaloni da odalisca, Lepape e Iribe operano un deciso cambiamento nellillustrazione di moda, introducendo disegni semplici e compatti, privi di dettagli ma capaci di restituire lessenza dello chic contemporaneo con la stessa immediatezza degli scatti di pionieri della fotografia moderna come Lartigue o Steichen (fig. 575). Moda, illustrazione di moda e fotografia si alleano allarte primitivista degli anni Dieci nel definire la nuova sensibilit verso una forma astratta e sintetica. Mettendo accanto alle illustrazioni di Lepape (fig. 576) le tavole e le xilografie di Biasi, si ritrovano nelle une e nelle altre le stesse figurine eleganti stagliate a coppie contro sfondi dallorizzonte basso, la stessa semplificazione 356

572. Melkiorre Melis, Donna con velo e spighe, 1930, terracotta dipinta e invetriata, Nuoro, Archivio per le Arti Applicate. 573. Anselmo Bucci, Il sindaco di Dorgali e lassessore anziano, 1912, olio su tavola. A chi sensibile al fascino del primitivo non sfugge la rigidezza del corpo etnico. Anselmo Bucci, reduce da Parigi, coglie alla perfezione il portamento impettito e fiero dei due notabili di paese. 574. Casa ATTE, Uomo di Teulada e Donna di Sennori, 1925-29, corpi in legno intagliato e policromato, vesti in feltro e tela, bottoni in filigrana dargento.

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dei contorni, la stessa stilizzazione vagamente esotica dei visi. Nella xilografia Giovinette (1912-15) (fig. 577), Biasi manipola i contorni delle gonne in modo da evocare la jupe-culotte lanciata da Poiret nel pieno della sua ispirazione orientalista;62 in Visi di donne,63 lo scialle incornicia il volto triangolare con un effetto simile a quello prodotto dal turbante in una nota illustrazione dellalbum Les Choses de Paul Poiret.64 Qui, probabilmente, non il caso di parlare di schemi e forme inconsciamente interiorizzati: il glamour della moda uno degli strumenti di cui Biasi lettore della Gazette du Bon Ton, rivista davanguardia in questo campo e una delle principali testate che contribuiscono alla diffusione del nuovo look di Poiret si serve consapevolmente per condurre a termine il proprio progetto di valorizzazione della Sardegna, della sua cultura e della sua tradizione. Stabilire unanalogia visiva tra gli abiti delle contadine sarde e le creazioni della couture parigina significava infatti rovesciare un segno di rozzezza, arretratezza e miseria in uno di eleganza cosmopolita, far coincidere lidea dellarcaico con quella della pi sofisticata modernit. una strategia cui il pittore si atterr anche in seguito, in una serie di immagini femminili a figura intera, concepite come ritratti in costume. Raffigurate con indosso abiti tradizionali piuttosto scenografici, apparentemente rielaborati dallartista nelle fogge e nel colore,65 le

modelle di questi quadri hanno tutta laria di essere signore della buona societ vestite da paesane, e a volte lo sono davvero: cos Javotte Bocconi Manca di Villahermosa e sua sorella Anna posano impassibili e distaccate in sontuosi e abbastanza improbabili costumi di Nule color verde acqua e giallo senape.66 Qui Biasi tiene presenti esempi iconografici di Zuloaga, pittore da lui molto guardato, ma sembra anche rispondere in qualche modo alla voga della robe de style, un tipo di abito dal corpetto attillato e dallampia gonna alla caviglia, che a cavallo tra gli anni Dieci e i Venti costitu per qualche tempo unalternativa conservatrice ai semplici e corti abiti a tubo venuti di moda nel dopoguerra. In genere rappresentata nelle illustrazioni con immagini frontali a figura intera, di grande effetto decorativo, la robe de style aveva in s un elemento di travestimento (rispecchiato anche dal nome) che si accordava bene con lo spirito dei dipinti di cui parliamo. Per chi accettava o chiedeva di essere ritratta in questo modo, la scelta di un abito tradizionale non doveva essere priva di significato. da credere che questo sia il caso di Javotte e Anna di Villahermosa, aristocratiche cagliaritane trapiantate a Milano, spinte verosimilmente da un sentimento nazionale a segnalare la loro appartenenza sarda, tanto pi in un momento in cui lIsola, innalzata agli onori delle cronache di guerra dalleroismo 357

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della Brigata Sassari, godeva agli occhi degli italiani di una popolarit senza precedenti. Allincirca negli stessi anni, luso dellabito tradizionale come simbolo identitario documentato da parte di diversi artisti. Figari non esita a vestire i panni di uno dei suoi maschi e impettiti miliziani (fig. 567) nei dipinti
575. Edward Steichen, Bakou et Ptre. American, in Art e Dcoration, Parigi 1911. 576. Georges Lepape, illustrazione per Paul Cornu, LArt de la robe, in Art e Dcoration, Parigi 1911. 577. Giuseppe Biasi, Giovinette, 1912-15, xilografia. La Sardegna vista dal salotto: la linea asciutta dei figurini di Lepape e delle foto di Steichen ritorna nelle figure femminili di Biasi. Le contadinelle sarde vestono Poiret. 578. Stanis Dessy in costume di Teulada, 1920. Fotografia di Alfredo Ferri. 579. Tarquinio Sini, Autocaricatura, in T. Sini, A quel Paese, Cagliari 1929. 580. Mario Mossa De Murtas, Autoritratto, 1916. Foto depoca. Labito tradizionale sardo come contrassegno di identit: leleganza spagnolesca del costume di Teulada, col grande sombrero e il colletto bianco inamidato, seduce tra gli anni Dieci e i Venti pi di un artista. 581. I sardi ballano il fox-trot, illustrazione da Il Giornale dItalia, Roma 1921.

del Salone Consiliare del Palazzo Civico di Cagliari;67 nel 1916, Mario Mossa De Murtas espone nella Mostra dellAutoritratto alla Famiglia Artistica di Milano la propria effigie in un abito sgargiante di contadino cagliaritano (fig. 580),68 gesto le cui implicazioni ideologiche sfuggono ai critici, che vi scorgono solo una delle tante eccentricit e stranezze, non sempre di ottima lega presenti nella rassegna.69 Labito in questione quello di Teulada, prediletto dagli artisti per il suo stravagante garbo spagnolesco. Questi non si accontentano di esibirlo in ritratti e autoritratti, ma in qualche caso arrivano ad indossarlo nella quotidianit: mentre il pittore Stanis Dessy (fig. 578) e lillustratore Tarquinio Sini (fig. 579) lo mettono per posare davanti al fotografo (e il secondo se ne fregia in unautocaricatura), Mossa De Murtas ne disegna per s uno che fa eseguire da un sarto di grido, e che porta con noncuranza per le vie di Roma. Un giorno me lo vidi arrivare in casa vestito da teuladino, ricorda un conoscente con tanto di sombrero, di collo alto ricamato, di larghe brache sulle uose nere e bottoniera sul corsetto. Era di una eleganza sopraffina.70 Portare gli abiti tradizionali da un lato una dichiarazione identitaria, dallaltro un segno di paradossale dandismo, personale

eccentricit e spirito di contraddizione, lo stesso che spinge lartista a partecipare in abiti da equitazione a una sfilata folkloristica, rispondendo, a chi gli domandava di quale paese fosse il suo costume, io partecipo alla cavalcata vestito da Sardo comune.71 Laneddoto acquista sapore se si tiene conto del fatto che buona parte dellaristocrazia sarda indossava, in atto di omaggio al re in visita nellIsola, i panni tradizionali dei vari paesi.72 La mise da teuladino suscita sensazione nel 1921, al Gran Ballo delle Nazioni allHotel Excelsior di Roma, dove Mossa si lancia in scatenati fox-trot con la nota cantante Gabriella Besanzoni, vestita di un costume di Orgosolo (fig. 581).73 Ben conscio della carica simbolica espressa dallabbigliamento, il pittore non si perita di attribuire quasi una coloritura politica al successo riscosso in questa occasione dai costumi sardi, dandogli il senso di un atto diplomatico di avvicinamento della Sardegna allo stato italiano: Perch talvolta ci si affiata e ci si intende di pi ballando lo jazz, al suono di unorchestra diabolicamente sincopata, anzich affliggendo il prossimo con la eterna questione del pecorino che ha reso tanto temuti e famosi i nostri parlamentari fra i loro colleghi.74 Verso il 1929, il costume adottato come divisa quotidiana dal pittore Brancaleone Cugusi,75 in un momento in cui il fervore identitario dinizio secolo, dopo aver trovato uno sbocco politico nel sardismo del dopoguerra, ormai entrato in fase discendente con il consolidarsi del regime fascista. Anche Cugusi un dandy eccentrico e sofisticato: Personaggio strano e misterioso del quale nessuno sapeva nulla,76 colpisce la fantasia del giovane Costantino Nivola. Di nobile nascita, egli era giovane, distinto e raffinato. Estremamente magro e pallido il costume sardo che indossava sempre, autentico o di sua invenzione, gli stava alla perfezione. Passeggiava in piazza da solo o in mia compagnia. Il sarcasmo della gente di Sassari non lo toccava.77 I sardi ballano il fox-trot: la dinamizzazione del corpo etnico Quella della coppia di ballerini che, coperti di ruvido orbace, si dimenano seguendo i ritmi alla moda unimmagine che sembra ironicamente prefigurare la trasformazione del corpo etnico e del corpo arcaico che ne costituisce il riflesso primitivista nellarte per effetto dei processi di modernizzazione del dopoguerra. Prima ancora che lincalzare dei mutamenti sociali e culturali porti in vaste aree dellIsola allabbandono dellabito tradizionale, questo comincia ad acquistare nuovi caratteri nelle opere di alcuni artisti sardi, resi pi ricettivi ai temi della modernit dal contatto diretto con lindustria culturale e dallesperienza della vita urbana in centri come Milano, Roma, Torino. Tarquinio Sini, Edina Altara e lo stesso Mario Mossa De Murtas sono tra i primi a sciogliere, nelle loro opere, lesasperata rigidezza del corpo arcaico (figg. 582-583). Si tratta non a caso di artisti look-conscious, attenti alla loro apparenza, e nella cui attivit la moda occupa un

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582. Edina Altara, illustrazione per il racconto di G. Fernando, Lacqua muta, in Il giornalino della Domenica, 1 agosto 1920. 583. Mario Mossa De Murtas, Carnevale, copertina de Il giornalino della Domenica, 1920. Il corpo arcaico si dinamizza al ritmo sincopato della musica degli Anni Ruggenti.

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posto non secondario.78 Lavorando come illustratori per le riviste, come cartellonisti pubblicitari, bazzicando in vario modo gli ambienti dello schermo, sono divenuti pi acutamente partecipi della nuova consapevolezza dei corpi in movimento provocata dal diffondersi del cinema e dellistantanea fotografica.79 Locchio meccanico, ormai onnipresente nella vita quotidiana, ha familiarizzato la gente con la propria immagine e lha abituata ad avere coscienza dei propri gesti; questi si sono fatti via via pi fluidi, liberandosi da quella sorta di impaccio da cui in precedenza apparivano intralciati nelle rappresentazioni fotografiche, e per constatare il quale sufficiente paragonare lelegante naturalezza delle mannequin nelle illustrazioni di moda dinizio secolo con laria infagottata e a disagio delle donne in carne e ossa riprese dal fotografo. Chi guarda ai corpi rivelati dalla moda, animati dalla danza e plasmati dallo sport, a corpi magri ed atletici, abbronzati e cosmetizzati, non pu pi coltivare come ideale la ieratica staticit dellidolo primitivo, e nemmeno pu concepire lannullamento del corpo, la sua identificazione totale con gli indumenti creata dallabito tradizionale. Il primitivismo statico del corpo arcaico distrutto

prorompente fisicit del nudo urta contro lastratta geometria del costume, mentre laccenno alla maternit smussa, senza eliminarla, lantitesi ideologica tra sardit e sensualit femminile. Restando in tema di anfore, il rifiuto del nudo associato alla sardit superato con disinvoltura da un allievo di Ciusa, il ceramista Ciriaco Piras, che verso il 1924 modella due morbidi nudini in cuffietta di Desulo come anse per una delle sue brocche in terracotta (fig. 584); ma il tab si dimostrer comunque duro a morire. Ne ancora condizionato, nel 1930, Stanis Dessy, che dopo aver dipinto due Bagnanti contadine in atto di spogliarsi sulla spiaggia ci ripensa e taglia il quadro in due, sopprimendo ogni riferimento al costume.81 Nessuna pruderie ingombra invece il lavoro di Sini, che sulla contrapposizione tra gli abiti castigatissimi della contadina sarda e quelli rivelatori della garonne, la giovane donna disinibita dai capelli e dalle gonne corte che come unepitome del clima degli anni ruggenti, e sul contrasto tra i rispettivi stili di vita, imbastisce un fortunato ciclo di vignette (figg. 632-634). Il tema dei Contrasti tra citt e campagna, che non mancava di

precedenti nella grafica primonovecentesca, e che in riferimento alla Sardegna era stato toccato qualche anno prima da Mossa in una copertina (fig. 585), verr replicato dallartista instancabilmente in successive serie di cartoline.82 Nelle sue vignette, il mondo urbano impersonato quasi esclusivamente da piccanti fanciulle scollate e in calze di seta: una femminilizzazione che rispecchia lidentificazione, diffusa nella cultura del momento, tra moda, consumo, donna e modernit.83 La metropoli frivola, sensuale e prona alle seduzioni della merce confrontata con una Sardegna ipervirilizzata, simboleggiata da irsuti e satireschi paesani di Teulada (fig. 586): e non si fatica a immaginare quali fantasie avr suggerito un simile accostamento, gi ricco di sottintesi sessuali, in altre suites di immagini pi os ,84 oggi irreperibili ma citate dalla stampa dellepoca. (Non era la prima volta, va detto, che le possibili implicazioni erotiche del rapporto tra la donna cittadina alla ricerca di sensazioni forti e il rude, primitivo maschio sardo solleticavano limmaginazione degli illustratori: si vedano, nel 1914, le peraltro caste tavole di Renato Ferracci per il racconto La cena tragica di Nino Frongia).85

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da un nuovo primitivismo ritmico e dinamico, quello del jazz, dellart ngre, dei vari balli moderni che impazzano tra la giovent degli anni Venti; lacquisita abitudine alla semi-nudit, allesposizione di porzioni pi o meno vaste di epidermide (sulle spiagge, sulla scena e sullo schermo, ma anche in contesti ordinari grazie a fogge di vestiario sempre pi succinte) frantuma lidentit corpo-costume, rende possibile per gli artisti pensare allesistenza del corpo sotto il costume. Ad una delle sue contadine Mossa addirittura toglie la gonna (coprendola con una foglia di fico) nella copertina di un romanzo, una parodia della letteratura deleddiana del giornalista Pasquale Marica;80 le attraenti donnine in abiti sardi che popolano le illustrazioni di Sini hanno anchesse evidentemente un corpo, delle membra agili e tornite: non sono diverse da quelle che in altri suoi disegni ritroviamo in vaporosi e audaci dshabill. In queste illustrazioni, il registro ironico e scanzonato risolve lopposizione tra nudit e abiti tradizionali manifestata da opere come Lanfora sarda di Ciusa, in cui la
584. Ciriaco Piras, Anfora con nudini ai manici, 1924 ca., terracotta da stampo dipinta a freddo, Nuoro, Archivio per le Arti Applicate. Nel clima pi disinvolto degli anni Venti, gli artisti sardi arrivano a conciliare identit etnica e fascino del corpo femminile. 585. Mario Mossa De Murtas, Contrasti, copertina de Il giornalino della Domenica, 1920.
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586. Tarquinio Sini, Mondanit, 1928 ca., tempera su carta.

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La garonne e il suo corrispettivo maschile, il dandy vagamente effeminato, vestono labito tradizionale nelle rare illustrazioni di soggetto sardo di Loris Riccio, disegnatore di moda di Lidel e quindi, a Parigi, di Vogue e di Modes et Travaux. In ossequio allimperativo della magrezza imposto dai codici delleleganza anni Venti, Riccio rimuove qualsiasi accenno di seno o fianchi dalla figura delle sue sofisticatissime contadine. Magri sono anche gli improbabili paesani imbrillantinati dipinti sulle ceramiche di Edina Altara, nelle quali il costume sardo acquista le linee dellultima couture. Il corpo arcaico si dissolve insomma sotto lazione congiunta della moda e dellironia, elementi daltronde inseparabili. Incline al pastiche, alle mescolanze, allaccostamento irriverente, la moda tende sempre a presentare una visione ironica di tutto ci che stato consacrato dal tempo, della storia come della politica o della religione; labito tradizionale, per converso, presuppone la fede in un insieme di valori stabili, che non concesso prendere alla leggera. Quando labito tradizionale si colora dironia, come accade con Sini, Mossa, Altara o Piras, vuol dire che stato gi intaccato dai fluidi corrosivi della moda. Il tramonto dellabito tradizionale Con la fine della guerra, la moda ha cominciato a penetrare nei paesi della Sardegna, portandovi la sua promessa di cambiamento, di evasione dai ruoli prefissati, di nuove occasioni e di possibilit alternative. a partire da questo periodo che labito tradizionale comincia a venir modificato dalle donne con lintroduzione di accessori moderni (le scarpe sono tra le prime a essere sostituite), e quindi via via trasformato nelle fogge di transizione del mezzocostume,86 mentre dagli uomini gradualmente abbandonato per il completo in fustagno o in velluto, abito etnico destinato a lunga vita87 (sar questo abbigliamento di transizione ad ereditare nel secondo dopoguerra le valenze identitarie gi proprie del costume: negli anni Cinquanta, a New York, Costantino Nivola (fig. 592) poser spavaldo in velluto e gambales davanti a una fontana di tubi metallici. Bench negli anni Venti luso dellabito tradizionale abbia gi iniziato a diradarsi, c chi, non pago dei meccanismi di modernizzazione in atto, vorrebbe affrettare la naturale opera del tempo: secondo i giovani intellettuali fascisti raccolti a Cagliari intorno alla redazione del Luned dellUnione, i costumi sporchi e maleodoranti, case popolari per le pulci, devono sparire; possono sopravvivere tuttal pi come strumento di attrazione turistica,
587. Giuseppe Biasi, Ragazze di Osilo, 1929 ca., olio su tela (particolare). 588. Rina De Liguoro, foto depoca. 589. Melkiorre Melis, Donna di Oliena, 1925-30, terracotta dipinta e invetriata. Rina De Liguoro, gloria isolana del cinema muto, diventa una paesana sarda nelle ceramiche di Melkiorre Melis.
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entro villaggi appositamente ricostruiti, e come documenti del passato, in un museo etnografico di cui si auspica listituzione (seppure alcuni obiettino che alla Sardegna servirebbe di pi una mostra delle toilette di Gloria Swanson che unesposizione di mastruche e berrittas); allo stesso modo, leterna cuffietta di Desulo deve cessare di infestare la letteratura e la pittura isolane.88 I proclami del Luned hanno ovviamente scarse possibilit di influire sulle usanze vestimentarie dei sardi, ma non si pu dire neppure che riescano a modificare in misura apprezzabile il corso dellarte locale. Pittori e scultori continuano imperterriti a fare dellabito tradizionale il motivo centrale delle loro opere; alcuni di essi per non mancano di coglierne puntualmente le trasformazioni. Tra questi Biasi, che pure lamenta la miseria striminzita di quei villaggi dellIsola dove il rullo compressore della civilizzazione standardizzata ha distrutto le tradizioni e la gente divenuta miserabile, indossando definitivamente la divisa della povera gente.89 Ragazze di Osilo (fig. 587), un grande olio da lui esposto nel 1930 alla Biennale di Venezia, sciorina davanti allo spettatore un quintetto di bellezze paesane

col rossetto sulle labbra, gli occhi e le guance ritoccati dal make-up; invece dei rustici zoccoli calzati dalle modelle dei quadri giovanili dellartista, le gonne corte alla caviglia espongono scarpette col tacco alto, e quel poco di capigliatura che si affaccia dagli scialli ha tutta laria di essere passata per le forbici e i ferri del parrucchiere. Coperti di maquillage sono anche i volti delle donne raffigurate nelle ceramiche di Federico e Melkiorre Melis, immagini (ovviamente da non intendersi come registrazioni della realt popolare, ma comunque sintomatiche di un cambiamento in atto) di contadine che sotto i cappucci, le cuffie e i veli tradizionali esibiscono gli occhi pesantemente bistrati e il trucco da maschera tragica delle dive del muto (figg. 588-589). La somiglianza tra i soggetti di alcune mattonelle di Melkiorre Melis, in particolare, e le foto dellattrice Rina De Liguoro, gloria isolana dello schermo, tale da far pensare a un richiamo premeditato. In altre opere, sono gli uomini a mostrare i segni del nuovo che avanza. Brancaleone Cugusi ci offre, nel 1936, la pi attenta e convincente descrizione dellabito di velluto (fig. 591): ampia camicia senza colletto, gilet slacciato e pantaloni sdruciti nel colore verde dorato prediletto dai contadini,90 il tutto portato con ruvido aplomb di marca tradizionale. Unanaloga camicia bianca, dispiegata con lusso di panneggi, forma il motivo centrale di un altro quadro di Cugusi, La cucitrice (fig. 27),91 affascinante sintesi di realismo quasi documentario (nella registrazione della posa e dellabito da lavoro delle due donne, in dettagli di sapore etnografico come i due cesti intrecciati) e di straniata, atemporale sospensione. Se quella posata sul panchetto a sinistra della rammendatrice , come sembra, una giacca ma-

schile di velluto, si pu dire che a riscontro dellasimmetria dei ruoli sessuali (la mobilit delluomo, evocata in absentia dagli indumenti vuoti, contrapposta alla staticit della donna) la tela riassuma la diversa evoluzione dellabbigliamento maschile e femminile nel corso degli anni Trenta, il primo ormai sensibilmente staccato dai codici tradizionali, il secondo ancora legato ad essi. Un contadino in abito di fustagno appariva gi in un quadro del 1932 di Antonio Mura,92 artista privo delle qualit pittoriche di Cugusi e del suo occhio per i particolari. Ma ancora prima, nel 1930, Il vecchio Elia di Carmelo Floris (fig. 590) aveva deposto la berritta per il cappello a visiera e mostrava, sotto il mantello da pastore, giacca e calzoni di foggia cittadina; nelle tele di Biasi per la Stazione di Tempio, del 1932, con le gabbanelle nella parte superiore, i bei corpetti di pelle o di velluto, i pantaloni si erano fatti stretti e lunghi, europei.93 Cos li ritroviamo in molte opere tarde del pittore, che verso la fine degli anni Trenta doveva registrare anche il diffondersi di forme pi compiute dellabito di transizione. Si pu dire insomma che Biasi non avesse torto quando, nel 1935, affermava che la Sardegna che viene descritta dagli artisti sardi non affatto la Sardegna di trentanni fa. la Sardegna di oggi.94
590. Carmelo Floris, Il vecchio Elia, 1930, olio su compensato. 591. Brancaleone Cugusi, Contadino in verde, 1936, olio su tela. 592. Costantino Nivola nel giardino della sua casa ad East Hampton, anni Cinquanta. Dai contadini in posa per gli artisti allartista che posa da contadino: col tramonto dellabito tradizionale, il completo di velluto a ereditarne il valore di simbolo identitario.

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E, potremmo aggiungere noi, sarebbe rimasta la Sardegna di domani, almeno per unaltra buona ventina danni, per quanto profonde e sconvolgenti fossero le trasformazioni sociali e culturali attraversate dalla regione. Messe accanto ai quadri del pittore sassarese, le fotografie scattate nellIsola a partire dal 1955 dal suo quasi omonimo, Mario De Biasi,95 mostrano infatti una realt ancora sorprendentemente simile: le desulesi inginocchiate in preghiera, le processioni con i confratelli biancovestiti, le donne di ritorno dalla fonte con lanfora in capo. Certo, in altre foto il sapore dei tempi mutati si fa sentire con prepotenza, generando contrasti non meno acuti di quelli tratteggiati nelle vignette di Tarquinio Sini: la benzinaia di Desulo che manovra la pompa del distributore (fig. 593) unimmagine altrettanto icastica del brusco urto tra modernit e tradizione, soltanto che ormai incredibilmente, siamo alla met degli anni Settanta la prima penetrata fin nel cuore della seconda. Banalizzazione commerciale e cristallizzazione folkloristica Gli artisti che fra gli anni Dieci e i Venti costruiscono liconografia della sardit contribuiscono anche, indirettamente, ad affrettare il declino dellabito tradizionale. Se da un lato ci tramandano la memoria di fogge e usi vestimentari non pi esistenti, dallaltro operano una selezione di tipi che non sar senza effetto, negli anni a venire, sulla riduzione e lirrigidimento normativo della straordinaria variet del vestiario tradizionale, provocati dallorganizzazione del folklore a scopo turistico. Gli abiti pi spesso raffigurati sono quelli di Desulo, Fonni, Ollolai, Atzara, Teulada, Sorso, Sennori: i costumi delle zone interne, dai volumi nettamente scanditi e profilati geometricamente, soddisfano il gusto secessione-Dco, nel quale la maggior parte degli artisti sardi si sono formati, pi dei pizzi vaporosi del Campidano, cari invece agli illustratori dellOttocento. Se Biasi, pur raccogliendo materiale per le sue opere un po in tutta lIsola, dimostra in giovent come lamico Mossa una decisa predilezione per Teulada, Figari si concentra su Atzara, Floris su Ollolai, Delitala sui centri della Barbagia. Labito tradizionale femminile di Desulo, particolarmente accattivante nel suo accordo di rossi, gialli e blu e reso pi aggraziato dalla caratteristica cuffia ricamata, comunque il pi popolare in assoluto. Il tema della cuffietta di Desulo conosce, tra gli anni Venti e i Quaranta (e oltre), variazioni senza numero in dipinti, oggetti darte applicata e illustrazioni (figg. 594-596), incrementando una voga che finisce per varcare i confini della regione, se vero che, come riferisce Emma Calderini, nella Penisola si diffonde negli anni Trenta luso del cappottino e della cuffietta desulese come eleganza infantile assai ricercata per loriginalit e la vivacit della foggia e del colore.96 Anche la Lenci mette in commercio la sua brava bambola in costume di Desulo, incongruamente bionda. 364

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593. Desulo 1974, fotografia di Mario De Biasi. La benzinaia in costume di Desulo un efficace emblema del contrasto tra modernit e tradizione. 594. Melkiorre Melis, Desulese, 1925 ca., terracotta dipinta e invetriata.

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Le desulesi imperversano con stucchevole ostinazione nei cataloghi delle ditte ceramiche: sempre la Lenci (marchio gi prestigioso, ma negli anni Trenta ormai in decadenza e non restio ad appaltare su base regionale, ad artisti di secondo piano, il disegno dei modelli),97 la Essev e la C.I.A. di Sandro Vacchetti ne sfornano in quantit. Nella loro produzione si coglie un progressivo sfocarsi dei tratti del costume, rappresentato in modo via via pi generico e indifferenziato, finch da ultimo a fare Sardegna baster la linea di un qualsivoglia grembiule o velo con un accenno di bottone sardo. La genericit della descrizione riscontrabile anche nelle immagini della pubblicit a partire dagli stessi anni (fig. 599) va di pari passo con laffermarsi di iconografie di un blando esotismo,98 in una serie di statuine-soprammobili in cui sorridenti acquaiole e portatrici di cesti sono colte in movimento, toccate da una brezza birichina che solleva loro le gonne e i veli (fig. 598). Con le movenze sinuose di una statuina di Cacciapuoti, siamo in pieno musical anni Quaranta: il cestino, completo di casco di banane tanto per aggiungere un tocco di esotismo in pi, echeggia un copricapo alla Carmen Miranda (fig. 597). Va da s che neppure lombra del corpo etnico o del corpo arcaico sopravvive in queste leziose figurine. Distribuite e vendute sul mercato nazionale, devono aver fatto la loro parte nel rimuovere dallidea di Sardegna ogni fastidiosa connotazione di orgoglio identitario, per consegnarla definitivamente al limbo zuccheroso del folklore, di quel mondo agreste sterilizzato e addomesticato che la cultura del ruralismo fascista veniva ormai propagandando. Oltre che nelle arti applicate, labito sardo comincia, col procedere degli anni Trenta, a perdere i propri contorni anche nellarte pura, per effetto da un lato della lenta diffusione dei nuovi linguaggi, che portano a privilegiare lelemento pittorico o plastico a svantaggio di quello descrittivo, dallaltro delle rampogne della critica italiana, che esorta assiduamente i pittori sardi ad accantonare i soggetti regionalisti, considerati un inquinante elemento illustrativo, o perlomeno a sfumarne i tratti pi appariscenti.99 Mentre gli artisti isolani tendono a minimizzare, da un certo punto in poi, il contenuto folkloristico delle loro opere, a met decennio accade che i costumi sardi conoscano una qualche inattesa popolarit sulla Penisola: alcuni pittori, desiderosi di ingraziarsi Cipriano Efisio Oppo, potente segretario della Quadriennale romana, rendono omaggio alla sua origine sarda dipingendo figure graziosamente edulcorate, vestite di costumi che sono puri pretesti figurativi. (I colleghi isolani, abbastanza naturalmente, non vedono di buon occhio questa incursione nel proprio territorio; alludendo alla Donna di Sardegna di Salietti esposta alla II Quadriennale, il solito Biasi lascia cadere commenti sprezzanti su quel paludamento sardo indossato da una donna lombarda. Opera di un pittore lombardo).100

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Generalmente malvisto nellarte, il costume viene risospinto nellambito degli studi demologici, e, nel clima di attenzione per il folklore regionale alimentato dal regime, conosce un ritorno dinteresse da parte degli illustratori. Fra le duecento tavole del volume Il costume popolare in Italia, pubblicato da Emma Calderini nel 1934, sono quelle dedicate alla Sardegna, legate alla tradizione del figurino teatrale ancor pi che a quella dellillustrazione etnografica, mostrano gli abiti tradizionali, efficacemente stilizzati, indosso a personaggi che sono neutri ed eleganti manichini. Da unesperienza diretta della realt sarda nasce invece lalbum di acquaforti acquerellate di Guido Colucci, conservato nelle collezioni del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma. Portata a termine nel 1936, sulla base di materiali raccolti nel 1928 durante un viaggio nellIsola di circa un mese e di successivi studi al Museo di Villa dEste a Tivoli,101 la raccolta rivela lo sforzo di restituire, accanto allapparenza dei
595. Pino Melis, Uscita dalla chiesa, met anni Venti, terracotta dipinta e invetriata. 596. Federico Melis, Testina di desulese, 1928 ca., Nuoro, Archivio per le Arti Applicate.

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vestiti, qualcosa della specificit antropologica di coloro che li indossano; non solo movenze e atteggiamenti (le mani infilate sotto il grembiule o nella cintura, un dato modo di sedere a terra con le gambe incrociate, ecc.), ma anche quella rigidezza del portamento sulla quale tanto avevano insistito gli artisti sardi dinizio secolo. Di questi ultimi, Colucci dovette probabilmente vedere le opere (sappiamo che nel corso del suo viaggio entr in contatto con pittori quali Delitala e Figari), e leco se ne avverte nella decisa geometrizzazione delle figure, sulla quale incide per, in qualche misura, anche una certa imperizia grafica dellautore, particolarmente evidente nei disegni preparatori.

597. Manifattura Cacciapuoti, Donna sarda, anni Quaranta, porcellana policroma. 598. Essev, Acquaiola, seconda met anni Trenta, terraglia a colaggio maiolicata dipinta a mano e allaerografo. 599. Mario Caffaro Rore, La Littorina sulla ferrovia del Sulcis, 1935, manifesto, Genova, coll. Wolfson. 600. Fresca, freschissima Sardegna, 1997. Campagna pubblicitaria. La sineddoche pubblicitaria: velo e corsetto al posto dellintero abito tradizionale. Da segno identitario forte, il costume diventa riferimento giocoso a unidea di tradizione tanto generica quanto immediatamente riconoscibile.

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Epilogo: labito tradizionale nella cultura di massa Assecondato inizialmente dal clima ruralista degli anni Trenta, il processo di banalizzazione dellabito tradizionale, assunto a emblema di una rassicurante Arcadia paesana, subisce unaccelerazione nel dopoguerra, con le crescenti fortune del turismo. Nel diluvio di immagini e di oggetti prodotti tra gli anni Quaranta ed oggi dallindustria del souvenir e da quella pubblicitaria, il costume sardo va incontro a bizzarre e spesso esilaranti trasformazioni. La biondina che sotto il velo e il corsetto vagamente tradizionali esibisce le gambe nude e i piedi calzati di tacchi a spillo per la pubblicit di un condizionatore (fig. 600) non che uno dei tanti esiti delle peripezie attraversate da quello che fu una volta lespressione coerente ed organica di una cultura. Seguirne le metamorfosi sarebbe lavoro affascinante, ma impossibile da svolgere in questa sede, cos come impossibile (e poco utile al nostro discorso) sarebbe osservare gli sviluppi di quellestremo filone ormai dilettantesco di pittura regionalista che sopravvive fino ai nostri giorni, alimentando un mercato locale di piccolo cabotaggio. Ridotto a parodia di se stesso nella cultura di massa, espulso ormai da tempo dallarte ambiziosa, labito tradizionale pu occasionalmente riemergere nel lavoro di qualche artista, nel clima di rinnovato interesse per il tema identitario sorto con gli anni Novanta: cos in Real Good Time n. 3 (1999) Aldo Tilocca (fig. 601) alterna a una foto della statua nuorese del Redentore (soggetto ricorrente nella locale iconografia da cartolina) tre ritratti che raffigurano, in una eroicizzante ripresa dal basso, lui stesso, la moglie e il figlio vestiti di un

identico costume femminile di Busachi. Nel sovrapporre, allironia sul Kitsch turistico, un disincantato commento sulla costruzione dellidentit etnica e di quella sessuale, Tilocca recupera le pose e lallure del corpo arcaico, e addirittura trova, nel proprio autoritratto, inaspettate assonanze con Il Cainita di Ciusa, modellato circa novantanni prima.

601. Aldo Tilocca, Real Good Time n. 3, 1999, proiezione di diapositive. Collezione dellartista. Allinsegna dellironia sul Kitsch turistico e della riflessione sullidentit etnica, personale e sessuale, il costume sardo riappare nellarte degli anni Novanta.

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Note

43. S. Ruju, La Sardegna che non piace, in La Nuova Sardegna, 26-27 luglio 1905. 44. Lettera di Carlo Mazza allUnione Sarda, Cagliari, 21-22 marzo 1914. 45. Sul ruolo delle pratiche di vestiario e di adornamento come strumento di trasformazione sociale e politica, cfr. Fashioning the Body Politic 2002. 46. Devo queste indicazioni alla cortesia di Franca Rosa Contu, che ringrazio. 47. G. Doy 2002. 48. F. Figari, La civilt di un popolo barbaro (1921), in Il Nuraghe, Cagliari, a. II, n. 17, giugno-luglio 1924; ora in G. Murtas 1996, pp. 194-199.

in Modern Art and Fashion, Cambridge, MA London 2003, pp. 124-126. 63. Fig. 112, in G. Altea, M. Magnani 1998. 64. Les Choses de Paul Poiret, VI, Paris 1911. 65. Lo fanno pensare leccessiva ampiezza delle gonne e la totale monocromia degli abiti raffigurati in questa serie di dipinti, elementi insoliti nellabbigliamento tradizionale sardo. 66. Ritratto di Javotte Bocconi Manca di Villahermosa (1918 ca.), collezione Banco di Sardegna, Sassari. Tetesedda (1918 ca.), collezione privata, Sassari. Si deve alla famiglia Manca di Villahermosa lidentificazione di Tetesedda con il ritratto di Anna Manca di Villahermosa. 67. I dipinti del Salone Consiliare furono cominciati nel 1916 e portati a termine dopo la guerra. 68. G. Marangoni, Le ultime esposizioni. Lautoritratto. La mostra degli alleati, in La Cultura Moderna, Milano, a. XXVI, n. 2, 15 dicembre 1916, p. 70. 69. G. Marangoni, Le ultime esposizioni cit. Lautoritratto di Mossa, noto da fotografie, sembra sia andato smarrito nel 1927, dopo essere stato inviato ad una mostra a Firenze. 70. P. Marica, Sardi e battaglie daltri tempi a Roma, in Frontiera, Sassari, a. I, n. 1, gennaio 1968, p. 27. 71. A. Simon Mossa, Ritratto di famiglia: zio Mario, in Frontiera, Sassari, a. IX, n. 101, 1976, p. 158. 72. Lepisodio si riferisce alla cavalcata tenutasi nel 1921 in occasione dellarrivo a Sassari del re Vittorio Emanuele III; tra i mille cavalieri che sfilarono vi erano anche diversi membri dellaristocrazia locale, vestiti in abiti tradizionali. Cfr. M. Riccio, Le cavalcate in Sardegna in onore del Re, in Noi e il Mondo, Roma, a. XI, n. 9, settembre 1921, pp. 653-657. Nel 1939, per festeggiare larrivo dei Principi di Piemonte, i nobili sardi avrebbero ugualmente indossato il costume al ballo tenuto nella villa algherese dei conti S. Elia. 73. Cfr. G. Altea, M. Magnani 1990, p. 131. 74. Il Sardo in frak (M. Mossa De Murtas), La Sardegna al Gran Ballo delle Nazioni, in Il Giornale dItalia, Roma, 20 aprile 1921. 75. Pochissimo si sa di Cugusi (Romana 1903Milano 1942), artista di notevoli qualit vissuto tra Sassari, Milano e Roma. Cfr. G. Altea, M. Magnani 2000, pp. 163-165. 76. C. Nivola, dattiloscritto inedito. Ringrazio Ruth Guggenheim per avermi consentito di citare il testo prima della pubblicazione. 77. C. Nivola, dattiloscritto inedito. 78. Sini nel 1914 lavor come grafico a Parigi per una ditta di cosmetici, in seguito divenne, come Mossa, ritrattista di dive e divette; Altara stata attiva quale illustratrice di moda e negli anni Trenta per qualche tempo anche come creatrice di moda a Milano. 79. Cfr. A. Hollander 1978, p. 332 sgg. 80. P. Marica, Perch gli uomini a Tiul portano le mutande, Roma 1922. 81. Cfr. G. Altea, M. Magnani 2002, pp. 71-72. 82. Cfr. P. Pallottino 1998, pp. 68-101, con scheda di A. Pau. 83. Questo aspetto sottolineato da Tag Gronberg a proposito dellExpo di Parigi del 1925:

T. Gronberg, Paris 1925: Consuming Modernity, in Ch. Benton, T. Benton, G. Wood, Art Deco 1910-1939, London 2003, pp. 157-163. 84. P. Pallottino 1998, p. 18. 85. Pubblicate in Sardegna, Milano, marzoaprile 1914. 86. Consistente in una gonna pieghettata nera, marrone o blu, portata con una camicia non tradizionale, un fazzoletto e talvolta uno scialle. Cfr. M. Carosso 1984, p. 76. 87. Cfr. U. Cocco, G. Marras 2000. 88. Cfr., sulla campagna di modernizzazione lanciata dal Luned dellUnione, G. Altea, M. Magnani 2000, p. 280 sgg. 89. G. Biasi 1935, p. 41. 90. I pastori preferivano il marrone. Cfr. U. Cocco, G. Marras 2000, p. 124. 91. G. Altea, M. Magnani 2000, pp. 163-165. 92. Antonio Mura, Contadino, 1932, collezione privata, Cagliari. Cfr. M.L. Frongia, Catalogo della collezione del Man, Nuoro 1999; Antonio Mura, cat. a cura di M.G. Scano, Nuoro 1999. 93. U. Cocco, G. Marras 2000, p. 132. 94. G. Biasi 1935, p. 33. 95. Il fotografo Mario De Biasi si rec in Sardegna per la prima volta nel 1955, insieme ad Alfonso Gatto, come inviato della rivista Epoca. Cfr. Mario De Biasi 2002. 96. E. Calderini 1934, p. 66. 97. A. Cuccu 2000, p. 101. 98. A. Cuccu 2000. 99. G. Altea, M. Magnani 2000, pp. 24-25. 100. G. Biasi 1935, p. 8. 101. Per le vicende dellesecuzione e la successiva storia delle acquaforti del Colucci, cfr. F. Orlando 1998.

1. Cfr. J. Entwistle, E. Wilson 2001. 2. Ci serviamo, qui e altrove nel testo, del termine costume per brevit, pur non dimenticando che, come ha giustamente rilevato G. Carta Mantiglia (1982) si tratta di definizione inappropriata perch segnata da forti connotazioni culturali. Su questi temi cfr. P. Piquereddu 1987. 3. In questo quadro di interessi si collocano contribuiti di ambito storico-artistico come quelli di W. Paris, Moda del passato e costumi popolari, in Insularit 1996, pp. 85-90, e, per quanto riguarda i gioielli, A. Sari, La gioielleria dal Medioevo allet moderna, in Gli ornamenti preziosi dei Sardi, a cura di E. Atzori, Sassari 2000, pp. 141-219. 4. A. Hollander 1978, p. XII; pi di recente, la Hollander tornata sullargomento con una mostra alla National Gallery e col relativo catalogo: Fabric of Vision. Dress and Drapery in Painting, London 2002. 5. A. Hollander 1995, pp. 17-24. 6. M. Carosso 1984. Carosso ricorda che nelle case tradizionali, gli specchi sono rari, e che a Desulo le donne che vestono in modo tradizionale non se ne servono per pettinarsi (p. 91). 7. M. Carosso 1984, p. 79. 8. M. Carosso 1984, p. 77. 9. G. Carta Mantiglia 1982, p. 159. 10. F. Orlando 1998, pp. 51-52. 11. Cfr. F. Alziator 1963, Cominotti. Cfr. anche le schede n. 97a-97m di M.G. Cossu Pinna, in Insularit 1996, pp. 193-196. 12. A. Hollander 1978, p. 327. 13. A. Hollander 1995, p. 95. 14. O Luciano Baldassarre. Non chiaro se si tratti dellautore del testo (il cui titolo completo Cenni sulla Sardegna ovvero usi e costumi, amministrazione, industrie e prodotti dellisola ornati di 26 tavole miniate, Torino 1841) o se sia solo lautore delle illustrazioni, siglate con le sue iniziali. Cfr. A. Gutierrez, scheda n. 46, in Insularit 1996, pp. 165-166. 15. Cfr. H. Koda 2001, pp. 17, 33. 16. Su Marghinotti cfr. M.G. Scano 1997; G. Dore, Giovanni Marghinotti nel Museo Sanna, Sassari 1998. 17. Sul dipinto, cfr. M.G. Scano 1997, p. 117 e scheda n. 82 di G. Dore, p. 119; Insularit 1996, scheda n. 96 di C. Limentani Virdis, p. 193. 18. In Il piacere (1889) Maria Ferres ha la linea delle spalle che dallappiccatura del col-

lo agli omeri cadeva gi alquanto, quella cadente grazia che un segno daristocrazia fisica divenuto ormai rarissimo. 19. S. Naitza, Arte in Sardegna tra realismo e folklore, cat., Nuoro 1977. 20. Si tratta di strumenti musicali il cui uso simultaneo fu presto abbandonato: cfr. la scheda di Festa campestre in Sardegna di G. Dore (n. 112) in M.G. Scano 1997. 21. Cfr. R. Serra, La chiesa di San Lussorio a Selargius. Considerazioni in merito alla questione sul prospetto romanico del San Lucifero di Cagliari, in Sardegna, Mediterraneo e Atlantico tra Medioevo ed Et Moderna. Studi storici in memoria di Alberto Boscolo, a cura di L. DArienzo, vol. I, Roma 1993, pp. 177-188. 22. Fa eccezione la Dame de Sassari, ma solo perch desunta da una litografia della raccolta di A. Pittaluga, Costumi della Sardegna Royaume di Sardaigne, incise da Levilly e Vittesse e stampate a Parigi nei primi decenni del secolo. Dalla stessa fonte deriva anche la Dama di Sassari di Baldassarre Luciano. 23. Cfr. M.G. Scano 1997, pp. 49-50. 24. G. Vuillier 1893. La parte del testo relativa alla Sardegna apparve dapprima nella rivista Le Tour du Monde, a partire dal settembre 1891 (cfr. la traduzione Le isole dimenticate. La Sardegna, pref. di A. Romagnino, trad. di M. Maulu, Nuoro 2002). Le 65 tavole che illustrano il testo, disegnate dallautore, furono incise da Barbant. 25. Unincisione come Donna di Desulo (n. 58), ad esempio, sembrerebbe derivare da una fotografia; la si confronti con la molto pi idealizzata figura del Costume della festa (n. 46). 26. Cfr. H. Koda 2001, pp. 53, 63. La preferenza per un busto voluminoso dai seni non visibilmente separati sarebbe giunta poi allapice verso il 1900, col trionfo del monopetto, contrappeso anteriore al sedere prominente richiesto dalla silhouette a s in voga nella Belle Epoque. 27. Quelle presenti nellabito tradizionale sardo maschile sono in effetti finte tasche, in cui impossibile riporre qualcosa. Nelle foto dellOttocento e del primo Novecento, la posa con le mani in tasca non appare quasi mai (fa eccezione una delle tavole di M.L. Wagner 2001, fig. 5; il volume riunisce degli articoli pubblicati tra il 1907 e il 1914). La si ritrova invece, alla fine degli anni Venti, nelle illustrazioni umoristiche di Tarquinio Sini, giocate sul contrasto tra la Sardegna paesana e le usanze moderne; ma lintento in questo caso attribuire ai contadini sardi un atteggiamento di nonchalance di fron-

te alle novit del progresso. 28. A. Hollander 1978, p. 340. Hollander lega il diffondersi del gesto alla nuova consapevolezza delle gambe femminili creata dallabitudine della bicicletta. 29. Su Sciuti, cfr. M. Calvesi, A. Corsi, Giuseppe Sciuti, Nuoro 1989; sulla decorazione del Palazzo della Provincia, cfr. M. Magnani, Il Palazzo, in AA.VV., Il Palazzo della Provincia di Sassari, Sassari 1986, pp. 88-96; M.G. Scano 1997, p. 221 sgg. 30. M.G. Scano 1997, p. 265 sgg.; Giovanni Battista Quadrone 2002. 31. Cfr. G.L. Marini, La colpa di essere troppo bravo, in Giovanni Battista Quadrone 2002, pp. 11-35. 32. Cfr. G.L. Marini, La colpa di essere troppo bravo cit., p. 24. 33. Si veda ad esempio Annoiata (1874), in G.L. Marini, La colpa di essere troppo bravo cit., p. 51, n. 13. 34. Nel recente catalogo Giovanni Battista Quadrone (2002), i brani del testo di G.L. Marini (La colpa di essere troppo bravo) dedicati al rapporto dellartista con la Sardegna riecheggiano con puntualit sorprendente un altro studio dedicato a un diverso artista, Giuseppe Biasi, questo s autore, alcuni decenni dopo, di una scoperta della Sardegna concepita in termini di genuino primitivismo (cfr. G. Altea, M. Magnani 2001. Per un riscontro fra i due testi, si vedano le pp. 12, 13 e 16 di Altea-Magnani accanto alle pp. 25-27 di Marini). 35. Per una rassegna pi ampia di questi materiali (dei quali abbiamo qui considerato solo gli esempi direttamente funzionali al nostro discorso), si rimanda a F. Orlando 1998, pp. 43-52. 36. Per una ricostruzione del panorama artistico sardo nellOttocento, cfr. M.G. Scano 1997. 37. Il gusto revivalistico determinato in molti paesi europei dal National Romantic Movement si protrasse generalmente fino ai primi anni del Novecento. 38. Per un esame dello sforzo identitario del movimento intellettuale e artistico sardo del primo Novecento, cfr. G. Altea, M. Magnani 1995. 39. E. Delitala 1981. 40. S. Ruju, Note romane, in La Nuova Sardegna, 23 maggio 1902. 41. C. Mariotti, Barbari ma chi?, in LUnione Sarda, 2 settembre 1902. 42. P. Mureddu, Note romane, in La Nuova Sardegna, 5 giugno 1902.

49. S. Ruju, Tipi e paesaggi sardi di Grazia Deledda, in La Nuova Sardegna, 11 gennaio 1902. 50. G. Biasi 1935, p. 40. 51. S. Ruju, Tipi e paesaggi sardi di Grazia Deledda, in La Nuova Sardegna, 11 gennaio 1902. 52. M.G. Messina 1994. 53. Galleria Comunale dArte di Cagliari. 54. D.H. Lawrence 2000, pp. 104-105. Il tema della virilit primordiale espressa dallabito sardo efficacemente sottolineato nella prefazione di Luciano Marrocu. 55. L. Marrocu, Prefazione, in D.H. Lawrence 2000, p. 19. 56. Cfr. M.L. Frongia 1995. 57. Cfr. Anselmo Bucci 1887-1955, cat. a cura di E. Pontiggia, Milano 2003. 58. Ecco come Bucci descrive labito tradizionale di Nuoro: Mastruca irsuta, gi nera; camicia di tela, gi bianca; gran cintura che reggeva infilata una cote che sembrava uno stiletto; brache di tela, gi bianche; ghette di orbace, gi nero (A. Bucci, Pane e luna, Urbino 1977, p. 85; poi in Anselmo Bucci cit., p. 62). 59. G. Biasi 1935. 60. F. Figari, La civilt di un popolo barbaro cit., p. 196. 61. In una lettera a Lamberto Loria conservata nellarchivio del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, Gavino Clemente, responsabile della raccolta dei materiali relativi alla Sardegna, propone di affidare a Biasi, appena tornato da un viaggio nellinterno dellIsola, il disegno dei manichini per lesposizione degli abiti tradizionali sardi. La realizzazione sarebbe stata poi affidata a uno scultore. Clemente diceva Biasi disposto ad eseguire tutti i tipi pi caratteristici, almeno una ventina, al prezzo di lire 15 per testa (G. Clemente a L. Loria, Sassari, 2 agosto 1910), e allegava due bozzetti di prova, oggi scomparsi. Malgrado il prezzo pi che modesto, Loria optava invece per delle fotografie (L. Loria a G. Clemente, Roma, 6 agosto 1910). Anche queste sembrerebbe venissero in un primo momento richieste al pittore, solito a fotografare i suoi soggetti e a conservare le immagini come documentazione; ma alla fine si decise di assegnare lincarico al fotografo cagliaritano Renzo Larco. Ringrazio Anna Pau per avermi segnalato questi documenti, da lei rintracciati nel corso delle ricerche effettuate per questo volume. 62. Sulle jupes-culottes o jupes-sultanes e la loro ricezione da parte della societ degli anni Dieci, cfr. N. Troy, Couture Culture. A Study

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Un tipico costume sardo: editare i costumi in cartolina


Enrico Sturani

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Siti e tipi Le cartoline regionali appartengono a due grandi tipologie: siti e tipi. Essi sono compresenti solo nelle cartoline con cui si inaugur a fine 800 questo tipo di supporto postale illustrato; poich esse nacquero nelle zone turistiche delloltralpe di lingua tedesca, sono tuttora note come Gruss aus; da noi questa formula suona Saluti da o Ricordo di. Ricordo di Cagliari (fig. 602), qui edita e da qui spedita nel 1899, ne un buon esempio: essa riproduce insieme tre piccole fotografie, con angoli accartocciati e ombra portata, a trompe loeil, come fossero appoggiate sulla cartolina, pi che riprodotte su essa; sono coordinate tra loro da fiori e dal cartiglio con la scritta che s detto. Una mostra via Roma a volo duccello, unaltra una veduta ravvicinata del monumento a Carlo Felice; infine, con effetto zoomata, si passa alla figura in piedi di un Rigattiere; al tempo stesso ci siamo spostati dallesterno allinterno, nello studio stesso del fotografoeditore. Se con una lente guardiamo i personaggi che compaiono nei due spazi pubblici, ci rendiamo conto che dallabito da citt, borghese o moderno che dir si voglia, si passati al costume tradizionale. Unaltra cartolina di impostazione simile, Ricordo dIglesias (fig. 603), accoppia tre uomini impalati in studio (Costume dIglesias) con la veduta di fumanti ciminiere della Miniera di Monteponi. Appare dunque chiaro che, agli albori della cartolina, gli editori sardi intendevano caratterizzare il proprio popolo
602. Ricordo di Cagliari. Editore Giuseppe Dess, Cagliari, 1899. Stampa in fototipia. 603. Ricordo dIglesias. Editore Fratelli Centos, Iglesias, 1899; spedita nel 1901. Stampa in fototipia. 604. Costume sardo. Editore non indicato, 1902 ca.; spedita nel 1905. Stampa in fototipia. 605. Tempio (Sardegna). Costume: alla fonte. Editore Stengel, Lipsia, 1902 ca.; spedita nel 1905. Stampa in fototipia. 606. Costume di Orzulei (sic). Editore Casa Editrice Cartoline Illustrate Dallay, Sassari, 1910 ca. Stampa fotografica. 607. Costumi sardi. La trebbiatura nel Nuorese. Editore Alterocca, Terni, 1908 ca. Stampa in fototipia. Esiste anche una identica cartolina edita dalla SAT e spedita alla fine degli anni 10 in fototipia colorata a mano.

e la propria terra come una sorta di ossimoro iconografico: un paese al tempo stesso aperto al futuro (nel Ricordo di Cagliari spicca lilluminazione pubblica coi fanali a gas) e radicato nel passato. Insomma, la Sardegna come sintesi di antico e moderno, di staticit e dinamismo. Vedremo poi come, negli anni 20, questo contrasto fu al centro di alcune serie di cartoline di gusto umoristico dellillustratore Sini, mentre, nel secondo dopoguerra, analoghe cartoline-ricordo composite di siti e tipi muteranno di immagine e significato. Ora soffermiamoci sui tipi presenti in questi Ricordi. C costume e costume Costume dIglesias, riferendosi a tre signori perfettamente impalati dinanzi al fotografo e identicamente vestiti, non pu che indicare labito tradizionale del luogo. Il tipo cagliaritano in Ricordo di Cagliari, altrettanto impalato, viene invece indicato come Rigattiere, lasciando intendere che labito che indossa sia tipico del suo mestiere (svolgibile solo in un grande centro), ancor pi che della citt in cui lo svolge. Numerose cartoline, anche edite in serie, esplicitamente titolate Costumi sardi mostrano per dei mestieri (o, meglio, le fasi salienti del loro svolgimento) a cui si attende senza necessariamente indossare labito tradizionale (oppure usandone solo alcune sue parti, in modo incompleto e casual ). Per citare solo alcuni casi, ecco, nel primo 900, un Costume sardo (fig. 604) mostrante una ragazza che, in gonna tradizionale e scialle e foulard correnti, rammenda usando dei rocchetti cucirini importati dal continente tenuti entro un cesto di produzione locale. Negli stessi anni, anche in Tempio (Sardegna). Costume: alla fonte (fig. 605) si pu notare una certa coincidenza fra il costume di andare ad attingere acqua e lindossare, magari in modo non filologicamente ineccepibile, il costume. Dei primi anni 10 la cartolina Costume di Orzulei (sic) (fig. 606): essa mostra un gruppo di uomini colti dal vivo, allesterno, in costumi che conoscono tutte le varianti e le incertezze proprie del caso e del casual, della miseria e del tocco personale, compreso luso assortito di pipa, sigaro toscano e sigaretta. A partire dai primi anni 10, prima per conto di committenti locali, poi in proprio, la torinese SAT edita vari 371

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608. Costumi sardi. Bono: larcolaio. Editore SAT, Torino, da foto S. Guiso, Nuoro, 1914 ca. 609. Costumi sardi. Il balletto in Gallura. Editore Alterocca, Terni, 1920 ca. Fototipia colorata manualmente. 610. Costumi sardi. S. Antioco: suonatore di launeddas. Editore SAT, Torino, da foto Alinari, 1919 ca. Fotografia dipinta, rifotografata e stampata in fototipia. 611. Costume di Nuoro. Editore G. Modiano, Milano, 1925 ca. Da acquerello di Giacinto Satta. Quadricromia.

612. Scavi di Congiaus. Miniera Monteponi. Editore Giuseppe Dess, Cagliari, 1900. Stampa in fototipia. 613. Sassari. Gara poetica fra improvvisatori Contini, Pirastru, Cubeddu, Testoni, Farina. Editore Tabaccheria Salvatore Porcu, Sassari, 1910 ca. Stampa in fototipia. 614. Sassari. Rinomato venditore di spugne. Editore A.C., spedita nel 1904. Stampa retinata a colori.

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soggetti che, dopo la Grande Guerra riprender nella serie Costumi sardi: ecco La trebbiatura nel Nuorese (fig. 607) con contadino etno-casual ; mentre Bono: larcolaio (fig. 608) mostra delle donne in abito tradizionale mentre svolgono unattivit tradizionale (essendo sedentaria, il costume inteso come folk way e quello inteso come vestito coincidono). Analoga coincidenza si registra per S. Antioco: suonatore di launeddas (fig. 610) e per Il balletto in Gallura (fig. 609) (che nella prima edizione per conto di Dettori della Maddalena era pi correttamente indicato come La Maddalena, concorso di costumi sardi alle feste patronali di S.M. Maddalena: il balletto). Dei primi anni 20 la cartolina-quadretto di genere Costume di Nuoro (fig. 611) mostrante degli uomini in costume alle prese con un cinghiale sgozzato. In tutti questi casi (scelti solo tra quelli esplicitamente titolati costume) la persona colta preferibilmente in esterno, mentre svolge unattivit onde siccome suole, in un contesto sociale e urbano pi o meno ampio e specifico; posa e sceneggiata permangono, ma non sono dominanti; il costume-veste, non essendo il fulcro dellattenzione, quello che . Ovviamente gli esempi si moltiplicherebbero se prendessimo in considerazione le altre numerose cartoline di

attivit e mestieri edite con relativa abbondanza sin dal primo 900: i minatori di Monteponi (fig. 612) o i pescatori di tonno allIsola Piana mostrano gente del popolo in tenuta di lavoro che hanno il sapore della praticit (e della miseria) quotidiana pi che quello dellesibizione festiva di una tradizione; e lo stesso vale per il Ritorno dalla caccia (edita da Dess senza localit), mostrante dei borghesi e dei nobili in una tenuta che allora, pi che da caccia, era definita sportiva. In queste cartoline laspetto documentario prevale sulla tipizzazione, spingendosi a volte sino allindividuazione dei singoli personaggi ritratti: Sassari. Gara poetica fra improvvisatori (fig. 613) precisa i cognomi di ognuno dei cinque competitori (di cui solo un paio con berretta e lacerti di costume); sempre per Sassari, il Rinomato venditore di spugne (fig. 614) gratificato dal mittente con uno Spero che lo conoscer seguito, ad ogni buon conto, da nome e cognome del raffigurato. In tutti questi casi ci si avvicina al ritratto e alla foto documentaria; il singolo individuo rappresentato non dunque sublimato nella generica idealit del tipo; non lo si presume un esempio perfetto; lo si prende per quello che e non ci si stupisce n scandalizza se il suo modo di vestire segue criteri personali o casuali piuttosto che attenersi alla norma di un modello locale. 373

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615. Ulassai (Sardegna). Editore Stengel, Dresda, 1901 ca. Stampa in fototipia. Si noti lo sfondo con cortecce di quercia da sughero che danno un tocco di esotismo locale. 616. Cacciatore Sardo di Fonni con muflone ferito. Editore Giuseppe Dess, Cagliari, 1902 ca. Stampa tipografica a retino colorata a mano. Si noti la funzione del muro di sfondo a far spiccare la figura e il suo costume. 617. Costume di Busachi (Sardegna). Editore Marietta Saba, spedita nel 1935. Stampa in fototipia. Si noter che la coppia in posa costituita da due uomini, Eraldo in costume da donna. 618. Orani (Sardegna). Editore Tabaccheria Salvatore Porcu, Sassari, spedita nel 1930. Si noter che la coppia in posa costituita da due donne, quella di destra con costume da uomo. 619. Costume di Sennori (Sassari). Editore A. Zonini, Sassari, 1904 ca. Stampa in fototipia. Si noter come nello studio del fotografo lo sfondo sia stato azzerato ad arte (salvo la punta delle foglie di una palmetta che sbucano sulla destra). 620. Costume di Monserrato (Sardegna). Editore non indicato, 1905 ca. Stampa in fototipia colorata manualmente. Notare il poggiabraccio in carattere con le altre decorazioni riccamente borghesi dello studio fotografico. 621. Costume di Codrongianus (Sardegna). Editore Pietro Valdes, Cagliari, 1902 ca. Stampa in fototipia colorata manualmente. Notare il mostruoso accrocco ornamentale in stile oltraggioso ancor pi che neobarocco.

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Paese che vai, costume che trovi Completamente diverse sono invece le numerosissime cartoline dedicate ognuna a un differente costume (maschile e femminile) di una diversa localit. Anche se lartista Maria Lai ha potuto riconoscere suo nonno in uno di tali personaggi Ulassai (fig. 615) , come a teatro, la persona serve solo a mostrare il personaggio; il valore documentario legato allhic et nunc cede al valore esemplare; il singolo sparisce per lasciare apparire il tipo. Non a caso, come ai tempi di Shakespeare, a volte troviamo dei costumi femminili indossati con grande nonchalance da uomini (sbarbati per loccasione) (figg. 617-618). Questopera di transustanziazione dallindividuo al tipo, dal piano della realt fattuale a quello ideale dei modelli, compiuto dal fotografo attraverso le varie tecniche di studio: anzitutto la posa assolutamente statica e stereotipata; essa spicca su uno sfondo che pu essere: a) neutro o azzerato dal ritocco (con effetto metafisico) (fig. 619); b) convenzionale (la presenza di una palmetta crea un effetto distanziante di sapore esotista); c) borghese (questi popolani nel costume della festa sono fatti assurgere alla stessa dignit dei signori posando appoggiati, con incongruo effetto surreal-grottesco, a sedie, tavolinetti e ciarpame arredatorio di stile neobarocco) (figg. 620-621). Le tecniche di stampa fanno poi il resto, grazie al ritocco e a un abbozzo di colorazione che attenuano o cancellano i particolari inutili, oppure enfatizzano quelli ritenuti significativi. La fissit estatica, la sospensione dellazione, lazzeramento temporale, lo spaesamento, la decontestualizzazione, lisolamento del singolo (anche la coppia o i gruppi finiscono per risultare semplici somme di singoli) garantiscono leffetto irreale. Ma, proprio in tal modo, ognuno dei costumi esibiti, perde sia la sua casualit di indumento reale usato nel presente, sia il suo carattere storico di fossile vivente, di sopravvivenza segnata dal tempo; esso acquista allora il valore eterno di un simbolo, non altrimenti che se fosse uno stemma, una bandiera locale o un celebre monumento (la Mole Torino cos come la Torre Pendente Pisa e il Duomo Milano). E, poich ci che proprio della Sardegna non avere un proprio costume regionale, ma il fatto che ogni sin376

golo centro, anche piccolo, anche distante pochi chilometri dallaltro, abbia il proprio costume, sin dal primo 900 si scaten fra gli editori di cartoline la nobile gara a documentare lesistente; unendo lideologia illuminista e positivista, si fece trapassare il gusto enciclopedico nella mania tassonomica, sposando la molla della concorrenza commerciale con la richiesta collezionistica del mercato. Ma questa tendenza, caratterizzante allora i produttori di cartoline del mondo intero, assunse in Sardegna una forma particolare. Se in altre regioni italiane o in altri Paesi si moltiplicavano i soggetti relativi ai piccoli mestieri in via di sparizione (Sicilia, Turchia, Nordafrica) o alle ultime mode (Parigi), se a Napoli prevale la tendenza al ritratto di genere, in Sardegna dominano le serie composte anche un centinaio di costumi locali diversi. Non che questi siano assenti per le altre regioni dItalia, ma la curiosa cartolina che accoppia la Contadina di Varallo (con ombrello e scarponcini) al Costume di Osilo (fig. 622) un esempio di scambio ineguale: la serie avrebbe potuto continuare quasi allinfinito con altri costumi sardi, mentre per il Piemonte non si sarebbe andati molto oltre quel reperto valsesiano. Croce e delizia per letnografo Chi pratica letnografia con spirito positivistico-entomologico non pu che rallegrarsi per questa abbondanza di costumi sardi raffigurati nella loro ideale purezza. Ma non pu che scandalizzarsi quando scopre una inesatta indicazione di localit, che un costume locale assemblato con pezzi di origine geografica diversa, che incompleto o che stato completato con parti posticce e di fantasia (magari aggiunte a disegno sulla base fotografica). Osservazioni di questo tipo sono state fatte per quanto concerne unaltra area geografica, lAlgeria; esse sono sfociate nella demonizzazione della cartolina tout court, bollata come perverso veicolo di false apparenze, merce dozzinale destinata a compiacere il facile gusto di coloni tanto ignoranti quanto arroganti; altri autori, pi cauti, prendono viceversa queste cartoline di donne in costume per quello che sono: composizioni, se non proprio di fantasia, composte allinsegna di un esotismo che usa persone e capi di vestiario veri per costruire una fotografia rispondente allimmaginario orientalista dei destinatari; allora, una volta applicato il beneficio dinventario, essi si rallegrano di trovare documentate, malgrado leventuale inaffidabilit dellinsieme, dei tatuaggi, dei gioielli, delle stoffe che sono realmente esistiti e che altrimenti non avrebbero lasciato traccia di s. Non so se e in che misura le cartoline dei costumi sardi siano affidabili. Per queste, come per ogni altro tipo di documento iconografico, dovrebbe comunque valere la pregiudiziale metodologica formulata da Magritte: Ceci nest pas une pipe . Queste cartoline non vanno prese come uno specchio della realt; la realt che mostrano, prima di quella dei costumi esibiti, anzitutto la propria, quella di un particolare tipo di merce prodotto in un certo modo e per un certo pubblico. Esse filtrano la

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realt dei costumi attraverso un immaginario condiviso dal fotografo-editore, dai committenti-rivenditori, e dagli utenti-acquirenti. E questi ultimi non sono necessariamente i personaggi fotografati in costume, n i loro compaesani per lo pi analfabeti e comunque affatto alieni dalluso (borghese e costoso) di spedire cartoline e soprattutto (almeno sino al 1905) di collezionarle. La verit di queste cartoline (direi delle cartoline in generale) non va dunque necessariamente posta in rapporto alla realt raffigurata, ma alle attese del loro pubblico. Nel nostro caso, la verit di queste cartoline di costumi sardi, non leggibile in ognuna di esse, prese singolarmente; essa sta nella loro realt editoriale e collezionistica di formare una serie. Una per una, esse possono anche essere prese in castagna, smascherate come false, imperfette, fantasiose (ma proprio cos esse documentano la realt della prassi degli studi fotografici del tempo); nel loro insieme esse ci comunicano una verit pi generale: che ogni singola localit sarda ha il proprio costume; esse testimoniano globalmente la variet specificata del popolo sardo; esse forniscono il ritratto psicologico e sociale di un popolo che, pi che nellimmagine articolatamente composta dellaffresco o della sinfonia, si riconosce (o accetta di essere riconosciuto) in quella atonale di un quadro puntinista o di un mosaico. Il lento evolversi dellimmutabile Al Museo dArte Greca di Atene rimasi affascinato dal fatto che, di sala in sala, i soggetti erano immutabili, congelati nella stereotipicit dellicona; ma, poich ogni sala corrisponde a un secolo, in corrispondenza del Rinascimento si poteva notare sui volti sacri un vago sospetto di ritratto, mentre in corrispondenza del barocco le punte dei cipressi sullo sfondo sembravano mosse dal vento. Che cosa capita per le cartoline dei costumi sardi, anchesse autentiche icone? Ricordiamo alcune tappe della specifica storia della cartolina e vediamo quali leggere, ma significative varianti, presentino i costumi sardi su esse raffigurati. Il periodo doro delle cartoline illustrate inizia alla fine 800, quando esplose a livello mondiale il boom maniacale del loro collezionismo; esso termina attorno al 1905, quando il raddoppio della tariffa di spedizione (i pi le collezionavano viaggiate) si aggiunge allo scadere di una moda che, diffondendosi socialmente, aveva cessato di costituire un segno distintivo per i ceti elevati. In questo breve periodo la cartolina rispose a una sete di sapere, di vedere, di documentarsi, di sognare a cui non rispondevano ancora il turismo, la stampa periodica illustrata fotograficamente, la TV. Poich la stampa in fototipia (e pi raramente in vera fotografia) era commercialmente redditizia a partire da tirature di anche solo 200 pezzi per tipo (e quindi pure con i piccoli impianti locali), si moltiplic ogni genere di imprese: locali, provinciali, regionali, nazionali, internazionali. Per le cartoline di costumi sardi prevalse su tutti Pietro Valdes di Cagliari; ma in questa citt operavano anche 377

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622. Contadina di Varallo. Costume di Osilo (Sardegna). Editore A. Guarneri, Milano, spedita nel 1902. Cromolitografia. 623. Costumi sardi. Lanusei. Editore SAT, Torino, 1919 ca. Stampa in fototipia. 624. Costumi sardi. Lanusei. Editore SAT, Torino, 1923 ca. Fotografia ritoccata, dipinta e stampata in fototipia. 625. Costumi sardi. Campagna di Laerru. Editore SAT, Torino, 1923 ca. Fotografia ritoccata, dipinta e stampata in fototipia. 626. Sardegna. Costume di Teulada. Editore Fotocelere, Torino, 1925 ca. Stampa fotografica colorata manualmente. 627. Sardegna. Costume di Ittiri. Editore Fotocelere, Torino, 1925 ca. Stampa fotografica colorata manualmente. Le cartoline di questa serie furono annualmente ristampate sino ai primi anni 40, anche per conto della cartoleria Giuseppe Dess di Cagliari.

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Evaristo Mauri e Giuseppe Dess. A Sassari spiccavano i nomi di G.B. Briasco e di Antonio Zonini. In questo periodo precedente il 1905 (identificabile dal dorso unito destinato al solo indirizzo), fanno la loro apparizione rari editori del continente e anche alcuni stranieri come la NPG (Neue Photographische Geselschaft del berlinese Reutlinger con filiale a Parigi) e soprattutto Stengel (con sede a Dresda e Berlino). In questa girandola di editori, spesso lo stesso clich edito da uno veniva ripreso da un altro (sia che fosse piratato, scambiato o ceduto), con tutti i rischi che, in questo passaggio di mani, andasse compromessa lesattezza filologica della didascalia di accompagno. Le cartoline di costumi, nei due sensi del termine, allora edite sono comunque quelle sinora descritte. Dopo la crisi, molti editori locali spariscono oppure si ridimensionano nettamente. Il fenomeno verificabile su scala mondiale: molti editori sopravvivono limitandosi a ristampare i pochi soggetti pi richiesti da parte di un pubblico socialmente sempre pi esteso, ma meno colto e raffinato; lorigine della banalizzazione delle cartoline, che vedono aumentare le tirature e ridursi la variet dei soggetti, sta proprio in questo fenomeno di crisi commerciale e di mutamento del mercato. A partire dagli anni 10 il mercato sardo sempre pi in mano a grandi ditte nazionali; prima la SAT e poi

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(dagli anni 20) la Fotocelere, entrambe di Torino; non mancano lAlterocca di Terni, la Marzari di Schio, la Fratelli Pagno di Genova, la Grazzini & Pezzini, la Bromofoto e la Cecami di Milano. Per tutte la mutazione stilistica simile. Si gi visto come con la serie Costumi sardi della SAT, negli anni a cavallo della Grande Guerra, la fissit iconica del costume-vestito scossa e dinamizzata dalle esigenze documentarie del costume come mestiere e come usanza; ivi compresa lusanza di svolgere le proprie attivit in costume o di esibirsi in costume in occasione di feste. I personaggi in costume cessano insomma di fare le belle statuine, escono dallo studio e ritrovano allesterno, dinanzi o dentro le loro abitazioni, una realt contestuale; la quotidianit dellambiente finisce per dare un tocco di verismo realistico in cui il costume mantiene a stento la propria purezza esemplare. Gli editori del continente non spingono certo in questa direzione documentaristica, ma piuttosto verso il pittoresco, sottolineato dallintroduzione via via pi spinta delluso del colore. Ci particolarmente evidente in due diverse edizioni di identici Costumi sardi da parte della SAT; la prima edizione si presenta come una normale cartolina con il colore dato qua e l a grandi macchie e lo sfondo ritoccato allingrosso per non disturbare le figure che devono spiccare su esso; la seconda edizione presenta gli stessi identici soggetti (alcuni costumi di un tipo e alcuni dellaltro) interamente ridipinti a vivaci colori e poi rifotografati; in questo modo il soggetto non viene solo colorato, ma ne viene ridelineato il volto e lespressione; lo sfondo soprattutto oggetto di interventi pittorici: esso viene ridipinto di sana pianta, in certi casi azzerando un muro scrostato, sostituito con un fondo azzurro unito su cui spicca un ramo fiorito, a dare profondit e allegria allimmagine. Anche se la didascalia resta inalterata (Costumi sardi. Lanusei, oppure Costumi sardi della Baronia, Costumi sardi. Campagna di Laerru), ledizione ridipinta a colori ha valore di quadretto di genere pi che di documento fotografico (figg. 623-625); il pittoresco, il recupero nostalgico della tradizione, laura romantica conferiscono un tono poetico-artistico che esula dal valore documentario e mantiene queste immagini fuori dal tempo, ma con una sfasatura rispetto allideale eternit iconica dei costumi-emblemi. Noteremo poi che i costumi-vestiti non sono pi inquadrati a piena cartolina, ma con un mezzo busto abbondante (sino alla coscia) o ristretto (sino al seno). Questa tendenza al ritratto, un tempo quasi ignota, andr affermandosi nellultimo dopoguerra, quando a poco a poco spariscono i costumi maschili e le belle ragazze sarde in costume cominciano ad allargare nel sorriso la bocca truccata. Anche l dove si resta in studio, con i personaggi in costume a figura intera e senza interventi pittorici prevaricanti, possiamo notare una mutazione. Negli anni 20, la Fotocelere di Torino, escludendo gli anziani e i ceffi

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briganteschi, limita i propri abiti locali alle belle ragazze in costume; il vestito sar pure quello ereditato dalla nonna, ma il modo di atteggiarsi posando ormai dettato da unaltra, differente tradizione, quella delle foto glamour dello spettacolo: un braccio poggiato ad anfora sul fianco, la bocca ben delineata dal rossetto si schiude al sorriso, lo sguardo malizioso o spavaldo, riccioli tirabaci sfuggono dal foulard, scarpe col tacco alto sporgono da sotto la gonna (fig. 627). Questa serie sar ristampata sino ai primi anni 40, anche per conto di Giuseppe Dess, ora ridotto al ruolo di rivenditore. Ormai la persona che posa in costume ha cessato di essere una sorta di manichino indifferente; laccento si posa su di lei e il costume diviene un suo abbellimento. Negli anni 50 certe ditte di Milano o di Spagna si spingono ancor oltre, costruendo il costume sul supporto stesso: con ricami, appliques di stoffa, spolverature di pelo di feltro, questo diviene un semplice abbellimento della cartolina stessa (fig. 628). A partire dagli anni 50 la rivitalizzazione del folklore a opera degli Enti Turistici in funzione del nascente turismo, sia interno che dal continente, porta alla contemporanea ripresa sia delle feste tradizionali (con i relativi balli e cavalcate) sia dei costumi; le cartoline lucide, in vera fotografia allora edite da varie ditte del nord Italia, pi che le singole persone in costume, documentano ormai maggiormente dinamiche scene di ridenti bellezze in costume e a cavallo, bimbetti che, sempre a cavallo e infagottati in un costume su misura copiato da quello del nonno, fingono di fumare la pipa (fig. 630), sfilate per le vie cittadine, balli. Sempre alla met degli anni 50, la Bromofoto di Milano riprende lantica tradizione delle cartoline polittiche; il titolo non pi Ricordo di, ma Costumi sardi: quattro piccole foto mostrano a mezzo busto altrettante ridenti belle ragazze, una per paese, pi una veduta

628. Costume sardo. Pula (Cagliari). Editore VAL-VIT, Roma, 1960 ca. Prodotta in Spagna. Stampa a retino con ricamo e appliques in tessuto. 629. Costumi sardi. Editore Bromofoto, Milano, 1953 ca. Stampa in vera fotografia con forte smaltatura (donde il nome corrente di Cartolina lucida). 630. Costumi sardi. Editore Bromofoto, Milano, 1953 ca. Stampa in vera fotografia.

(fig. 629); questa non ha pi nulla a che fare con la modernit: un nuraghe; a conferma che le radici della tradizione sarda non sono solo antiche, ma antichissime (e anche un poco misteriose). Dalla fotografia allillustrazione Non qui il caso di ripercorrere la storia delle matite di un popolo barbaro; ma, poich gli illustratori sardi hanno largamente fatto coincidere la propria attivit con la raffigurazione dei costumi della loro terra, occorre rilevare alcuni casi. Le prime cartoline documentanti graficamente dei costumi sardi sono quelle edite tra fine 800 e primissimo 900 da G. Dess di Sassari come Album di costumi sardi ; si tratta spesso di riprese grafico-tipografiche di fotografie, secondo labitudine invalsa prima dellavvento della fototipia di tradurre le fotografie con sistemi manuali al tratto; rispetto alle foto stampate che succederanno loro, esse hanno unincisivit e una leggibilit che ne esalta al tempo stesso il valore documentario (si distingue perfettamente ogni particolare del costume) e la forza espressiva dei volti, ripresi anche in primo piano (Paesano di Sorso firmata da Gaston Vuillier) (fig. 631). Questa tradizione, interrotta dallavvento della fototipia (ben pi impastata e incerta, ma con il fascino della verit fotografica), riprende oltre trentanni dopo (1936) nella serie di xilografie e bianchi e neri edita dal Comitato Nuorese Onoranze a Grazia Deledda; significativo 381

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che i personaggi raffigurati non siano indicati come simboli locali, ma come specifiche persone (per esempio Ziu brazzos de ferru di Mario Delitala, xilografia pi nota con il titolo Ziu brancas de ferru) oppure come generici emblemi romantico-poetici (Il re della Montagna di Francesco Congiu Pes). Di gran lunga le serie pi interessanti sia sul piano stilistico che dei contenuti sono quelle create negli anni 20 da Tarquinio Sini per le edizioni G. Ledda di Cagliari e per G. Dess della stessa citt, entrambe di dieci soggetti. Liberatosi dallimpaccio di una identificazione geo-

grafica specifica, Sini coglie con arguzia, nelle sue pi varie articolazioni, il grande tema dellincontro-scontro tra modernit e tradizione che caratterizza la Sardegna in quanto tale e che sar destinato a segnarne il futuro. Questo lo stesso tema che gi abbiamo visto emergere nelle primissime cartoline di Ricordo di; esso presente, qua e l, anche in altre cartoline fotografiche del primo periodo centrate su una coppia-contrasto formata da una persona in costume che si rapporta ad una senza costume: Giovinetta di Sennori (fig. 638), in costume, serve compostamente da bere a un borghese in camicia e gambe accavallate; il Costume di Tempio quello delle ragazze che girano per strada con un recipiente tenuto in equilibrio sulla testa, servendo da bere ai passanti, nel nostro caso un giovanotto in giacchetta a quattro tasche e paglietta. La situazione pare invertirsi nella cartolina pubblicitaria LAmaro Felsina Ramazzotti in Sardegna (fig. 637): a mescere sono due signori in abito di citt davanti a un gruppo di ragazze in costume. Sini coglie queste e altre simili situazioni, sottolinea le arie impacciate degli uni e quelle smaliziate degli altri, rileva la comicit insita nel contrasto (figg. 632-634); egli mostra lo stupore dei sardi dinanzi allirruzione della modernit portata dalle primissime turiste, limbarazzo di queste a adattarsi a certe situazioni. Con humour leggero, con buona dose di autoironia, egli rivela un problema di sempre: come lincontro tra genti diverse (per sesso, origini, tradizioni, vestiario) sia spesso un dialogo fra sordi in cui ad avere ragione a volte solo quello che urla di pi. Il contrasto tanto pi evidente e ridicolo quanto pi Sini carica i tratti distintivi dei due elementi della coppia: lo scostumato costume della turista e quello rigido, serio, mummificante dei sardi. La verit colta da Sini in questo costume non sta nella sua resa filologica, ma nel suo essere considerato in modo comparato e differenziale. Senza troppe pretese artistiche la serie bamboccesca firmata Griso, con una cartolina per localit e priva di ogni specificit sia nel soggetto (Meditazione, Pane quotidiano, Fichi dIndia ecc.), sia nel costume che, pi che stilizzato, risulta abborracciato.
631. Paesano di Sorso (Sassari). Album di costumi sardi. Editore Giuseppe Dess, Cagliari. Stampa tipografica. Lautore, Gaston Vuillier, realizz questo e altri ritratti di tipi sardi attorno al 1891; spesso si avvalse di una base fotografica. Leditore Dess li trasform in cartoline operando spesso dei tagli per riquadrarli sul nuovo formato. 632. Le gambine nude. Autore Tarquinio Sini. Editore Giuseppe Dess, Cagliari, 1925 ca. Stampa in quadricromia da originale a tempera. Tra le due ragazze, la pi vergognosa non la pi scostumata, ma proprio quella che indossa il costume tradizionale, forse conscia della propria arretratezza. 633-634. Istantanea strapaesana e Istantanea stracittadina. Autore Tarquinio Sini. Editore G. Ledda, Cagliari, 1927 ca. Stampa in quadricromia da originale a tempera. Fanno parte di una serie di 10 soggetti esistente anche con la sovrastampa dei Vini tipici sardi per le Cantine Sociali di Quartu (Cagliari). I sardi non sono qui solo tipi da cartolina, ma soggetti pittoreschi per le istantanee dei nuovi turisti; e ad essi, a loro volta, guardano con altrettanto curioso interesse. Lalterit, per una volta, costituita da una coppia dialettica il cui rapporto reciproco.

635. Costumi sardi. La danza. Autore Bakis Figus. Editore Garami, Milano, 1928 ca. Stampa a retino. 636. Costumi sardi. Desulese. Autore Bakis Figus. Editore Stabilimento Arti Grafiche Bertarelli, Milano, 1928 ca. Stampa a retino.

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Splendide nella loro curiosa impaginazione (stilizzatissime figurette alte appena pochi centimetri al centro della cartolina bianca) sono le nove litografie a due o a tre colori di Battista Ardau Cannas di Sassari. Pi che esemplificazioni geograficamente precise, questi personaggiideogrammi sono una sorta di variazione formale sul tema che d il titolo alla serie: Costumi sardi. Altri illustratori, come Giacinto Satta, Lety Loy, Perrotti e un tardivo Primo Sinopico, con pi o meno grande prolificit e riuscita, tra gli anni 20 e 50, hanno creato cartoline di tipi sardi in costume. Assolutamente eccezionali per bellezza decorativa sono le numerose serie ricavate da splendenti bozzetti a tempera dedicati da Bakis Figus soprattutto ai costumi femminili; se una serie dedicata ai costumi di specifiche localit, altre tre hanno invece carattere pi generico (come rivelano titoli come Maternit, Alla fonte, Sullaia, Primavera, Ninna Nanna, La danza (figg. 635-636) ecc.). La sua capacit di stilizzare lo porta a rispettare la specificit e leggibilit del soggetto trattato, facendone al tempo stesso una autentica sinfonia coloristica e compositiva. Queste sue cartoline, edite sia per Garami di Milano che in proprio, ed anche come pubblicit dellAmaro Felsina Ramazzotti, vanno dalla fine degli anni 20 sino ai 40; esse accendono di squillanti colori mediterranei la stilizzazione di Cambellotti; in certo qual modo traghettano il dco entro una luce solare. In questo modo egli fedele alla tradizione dei costumi sardi, non tanto perch li rappresenta fedelmente, ma perch ne fa rivivere in modo personale e moderno i colori violenti e le linee geometriche. Assolutamente banale, con risvolti kitsch, poi, nellultimo dopoguerra, la stampa impastata di abborracciati costumi su foglio di sughero, come se una curiosit merceologica potesse vivificare usanze ridotte alla sopravvivenza ad uso turistico. 383

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637. LAmaro Felsina Ramazzotti in Sardegna, 1920 ca. Stampa tipografica colorata manualmente.

638. Giovinetta di Sennori. Editore A. Zonini, Sassari, 1903 ca. Stampa tipografica.

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Tre casi esemplari Torniamo alle cartoline fotografiche edite a cavallo dellultima guerra. La prima, stampata verso la fine degli anni 50, documenta la realt di un centro minore, seppure in un giorno eccezionale: Bitti. Festa del Miracolo (fig. 640). Fotografo, editore e paese coincidono: M. Bitti. Essendo ripresa un po dallalto, mostra ampiamente uno di quei luoghi attrezzati di botteghe e cappelle, sorte di caravanserragli, ove i sardi si radunano anche per pi giorni fuori del paese in occasione delle feste principali. La ripresa coglie sul fatto una folla eterogenea in cui si mescolano persone e mezzi di trasporto, banchetti di vendita di cibo e apparecchi radio, sacro e profano, tradizione e modernit. I due chierichetti che vanno a toccare la grossa motocicletta stanno accanto, ma senza degnarli dattenzione, a due bimbi borghesi in fiammante costume tradizionale; un carro tirato da vacche, guidate da un uomo in tabarro e berretta sta pericolosamente manovrando fra un 1100 e una 600 da cui appena scesa unintera famigliola (forse 8 persone, infanti compresi). Vediamo uomini in doppiopetto e altri in camicia; donne in nero che si stanno meglio coprendo la testa con il foulard e altre a capo nudo e gonna a quadretti; quelli in costume tradizionale sono issati sui loro cavalli; i carabinieri, in costume dordinanza, fanno crocchio. Chi chiacchiera in gruppo, chi vende, chi compra, chi si esibisce e chi sta a guardare; perfettamente al centro della scena un fotografo; uno solo; fra pochi anni, invaso il campo, faticheranno a escludersi a vicenda dallinquadratura. La struttura paratattica, priva del filo conduttore di una messinscena o sceneggiatura, quella di un quadro fiammingo che possiamo descrivere ma non raccontare; c di tutto, ma manca un senso che distribuisca i vari elementi secondo un criterio gerarchico. La Sardegna si mostra qui, anche vestimentariamente, per quello che di fatto : una realt composita. Ma, nella testa di tutte queste persone c forse una comunanza di attese, di aspettative, un immaginario collettivo condiviso; o, perlomeno, questa ipotesi fa comodo ai commercianti di cartoline che devono produrre merci destinate a piacere a un mercato quantomeno abbastanza esteso da assorbirne la tiratura. Saluti da Oristano (fig. 639) di almeno dieci anni precedente, ma mostra una mutazione antropologica ormai compiuta: questa scritta tipicamente localizzante marchia il ritratto di una biondona sorridente (forse la torinese Marisa Canavero, allora la pi ricercata modella per cartoline); il capo scoperto a mostrare la vaporosa messa in piega, le sopracciglia sono depilate ad arte, il sorriso abbozzato, per non siupare il trucco, gli orecchini sono di false perle nello stile che i romani chiamano generone, del vestito si vede solo semicoperto da rose una spallina imbottita e un girocollo Grand Hotel assieme ai film strappacore con Yvonne Sanson e Amedeo Nazzari hanno diffuso a scala nazionale un unico modello con cui identificarsi; lasciato nel

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639. Saluti da Oristano. Editore Cecami, Milano, 1942 ca. Stampa in fototipia. 640. Bitti. Festa del Miracolo. Editore e foto M. Bitti, spedita nel 1959. Stampa in vera fotografia. 641. C per gli occhi la grande gioia dellabbigliamento. Editore Bromofoto, Milano, spedita nel 1957. Stampa in vera fotografia con forte smaltatura.

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cassetto il costume che sar ormai riesumato una volta lanno, il d di festa, questo il modello cui aspirano le ragazze sarde di citt (e tutte vorrebbero andare a vivere in citt). Questa immagine riassume un immaginario ormai nazionale, gi diffuso prima che si dovesse demonizzare la TV. Possibile che limmaginario sardo abbia per solo esito una perdita di identit? La nostra terza cartolina (fig. 641) mostra una realt pi complessa. Raffigura una coppia di giovani sposi in costume montata su cavallo bianco (gi prima di Lawrence dArabia i cavallini sardi potevano andare a nascondersi), stagliati su uno sfondo per met di mare e per met di nuraghe. Lincongruo fotomontaggio, ancor pi che vero, ben trovato, perfettamente consono con limmaginario di promoter turistici,

Enti per lo sviluppo locale, vacanzieri e sardi in cerca di facili radici. Il carattere documentario ha ormai ceduto alla sceneggiata di genere: i sardi, a forza di raffigurarsi in costume, hanno finito per divenire dei sardi di maniera, per sardizzarsi; come tanti altri popoli che hanno trovato nelle proprie tradizioni folkloriche una risorsa turistica, anchessi finiscono per autoproporsi e autorappresentarsi come attori di una sceneggiata in costume. Di quale costume si tratti, poco importa, purch sia pittoresco. La didascalia deve allora finalmente rinunciare a qualsiasi pretesa localizzante; non raffigurando un luogo della realt, ma uno stato danimo, essa suona: C per gli occhi la grande gioia dellabbigliamento. Anche se la cartolina in bianco e nero, possiamo sognare. 385

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Sa veste
Bachisio Bandinu

Labito dei pastori, composto da bonette, gianchetta e pantalones a sisporta, gambales e iscarpones, ha un forte carattere identitario, sino a porsi come metafora stessa dellessere pastore. Definito da unappartenenza e rigorosamente caratterizzato per stoffa, colore e foggia. Obbligata la relazione tra i capi che lo costituiscono. un modello istituzionale e sociale. unimmagine psichica dellidentificazione profonda. Est pro sa vita, non soggetto al variare delle stagioni e degli anni, non appartiene al sistema mutevole della moda. Sa este est semper ipsa, comente shomine. Proprio come luomo riconferma se stesso nel tempo. Il primo approccio con labito un rito di iniziazione. Su pitzinnu devet essire a campu, bisonzat de li picare sas misuras. Il ragazzo, finite le scuole elementari, va allovile per diventare pastore: occorre prendergli le misure. Le misure sono quelle del vestito e degli scarponi. La madre lo accompagna dal sarto e dal calzolaio perch si tratta di misurare il corpo in senso fisico e simbolico. Si stabilisce una forte relazione tra este e corpus. Il vestito personale e identitario. Quando tutto pronto c la vestizione che opera una metamorfosi: su pitzinnu diventat homine. Est zovanu fattu, fatto improvvisamente giovane, pronto per lovile. C stato un fare e un farsi per diventare homine de campu. Quellabito segna un distacco dalla madre, dalla casa, dal paese. Si entra nel regno del padre, si frequenta luniversit dellovile pro si fachere homine. un cambiamento radicale: il passaggio dal cotto al crudo, dal molle al duro, dal dolce al salato. Nellovile non c letto, non c tavolo n cucina. Quellabito in campu indurisce il corpo e anche lanimo per non temere i fantasmi, per non avere paura n dei vivi n dei morti. Dormire a costas a terra vuol dire abituarsi a una vigilanza inconscia, a una psicologia dello stare allerta. Di notte non ci si spoglia dellabito. Di giorno e di notte, destate e dinverno, sa este una seconda pelle che definisce, conforma e difende. D la forma al tempo che corre come il vento e lo definisce nelleterno ritorno della scansione festa-lavoro.
642. Orgosolo, dicembre 1954, fotografia di Pablo Volta. C una corrispondenza tra scarpone, gambale e bonette. Labito risponde a uno stile di forma, linea, colore.

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La moda nel gioco del tempo, nel ritmo del suo variare. Nella cultura pastorale il verbo variare riferito alla malattia mentale, variatu de conca, indica comunque leggerezza, leggeri de cherveddu, e inconsistenza. Apre il tempo alla novit e allarbitrio, alla mutevolezza e allostentazione. Insomma, la moda una maniera di vestire esposta allinvenzione e alla meraviglia: come al vento della novit, senza fermezza. Sa este istituisce il tempo lungo della tradizione nella riconferma de su connotu. Labito, proprio perch linterpretazione personale di unistituzione sociale, deve essere caratterizzato da uno stile: c una grazia, un decoro, unu ghettu, che non indica soltanto un portamento, il modo con cui cade addosso alla persona, ma esprime anche una vicendevole corrispondenza tra corpo e vestiario. Segna una differenza fondamentale tra luomo e il pagliaccio, tra identit e mascheramento. Il giudizio si fa severo: gli hanno messo addosso unu battile, uno straccio (battileddu una maschera arcaica del paese di Lula). Vuol dire che una persona non se stessa, subisce una conformazione esterna nellordine del comico, del farsesco, del camuffamento. Dechet, decet il termine che indica una pertinenza e una connotazione stilistica. Su bonette la metafora de sa conca. Il berretto la testa. Chentu concas, chentu berritas viene tradotto alla lettera con cento teste, cento berretti, in verit rimanda ad un altro detto: a ciascuna testa il suo berretto. Non si vuole indicare tanto la disparit delle opinioni quanto la corrispondenza tra berretto e testa. Non esistono teste in serie e neppure berretti standard. Bisogna affidarsi al racconto per registrare la scena vestiaria. Giovanni mandava la sorella in tre negozi diversi per portare in casa una ventina di bonettes. Davanti allo specchio iniziava la cerimonia delle prove. Mano a mano che indossava un berretto commentava: custa no est sa conca mea e cos di seguito continuava lesercizio della prova. Infine ne selezionava due per verificare con maggior cura la pertinenza allabito. Il giudizio definitivo veniva dato in relazione alla figura totale dellabito-corpo, dagli scarponi alla testa. Il rito aveva fine quando mormorava: sono io, mi ci vedo, mi ci trovo, ci siamo. Ma non sempre le cose 387

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andavano per il verso giusto. A volte lunico berretto scelto serviva come modello per una ricerca ulteriore presso altri negozi. Poteva infatti capitare una differenza minima della tonalit del colore o una non precisa ampiezza del cerchio del berretto per continuare linvestigazione. Se la sorella, ormai provata dallandirivieni inconcludente, consigliava di andare egli stesso nel negozio per provare e misurare, le veniva duramente obiettato che nel negozio egli non era libero di provare a lungo e di atteggiare il corpo, e che non gli andava di recitare in un luogo pubblico, oltre al fatto che il negoziante avrebbe frettolosamente approvato che quel determinato berretto gli andava a pennello, per quel che gli importava, tanto la testa non la sua. Il colore un indicatore di identit e di riconoscimento paesano. Vietati lazzurro, il rosso, il giallo, larancione, il viola, il bianco e in genere i chiari. Preferito il grigio nei suoi toni oscuri, con difficili concessioni in qualche paese al marrone e al verde cupo. Lidentificazione cromatica cos forte da esprimersi nella frase custu est su colore naturale , quello vero, quello che non si nota. Limmaginario strutturato nellordine del nascondimento, contro la visibilit manifesta. Non meno importante lampiezza del berretto che connota specificatamente identit paesane o di zona: il formato piccolo quello di Orgosolo, quello medio di Bitti, Orune e Santu Lussurgiu, quello pi largo riferito alla Baronia e alle localit centro-meridionali dellIsola. Una volta scelto, su bonette, bisognava domarlo affinch si adattasse perfettamente alla testa. Si prendeva una spazzola bagnata e la si passava ai bordi affinch la stoffa perdesse la rigidit e si abbassasse ai lati per fare tuttuno con il capo. Daltro canto la fabbrica li produceva in serie e dunque bisognava personalizzarli. La domatura indicava un intervento attivo e artistico,
643. Famiglia di Escalaplano, 1921, fotografia di Max Leopold Wagner, Berna, Istituto di Filologia Romanza Karl Jaberg. La famiglia una declinazione di abiti, nella differenza sessuale e nella differenza di et.

effettuava un processo di accomodamento. Si trattava appunto di renderlo domestico in modo che stesse sul capo come in domo sua. La giusta postura indicava equilibrio e giustezza estetica: non troppo rialzato sulla testa e non troppo incarcatu dentro, a volte con un leggero abbassamento della visiera sulla fronte. Ogni variazione della postura indicava un mutamento dellanimo. Girare la visiera allindietro, su bonette a sala mala, esprimeva un rovesciamento delle emozioni, una tensione ludico-agonistica o uno stato di ebbrezza alcolica. Metterlo di traverso indicava un atteggiamento di sfida o di spavalderia, per esempio nel gioco della morra o comunque in una forte concitazione emotiva. Ma certamente il segnale pi distintivo era legato ai momenti e situazioni in cui bisognava togliersi il berretto. Questo gesto di grande valore simbolico era giustificato soltanto in due occasioni: il passaggio della bara durante il funerale e la processione in onore del santo nelle feste comandate. La presenza perturbante della morte e il mistero della divinit. Scappellarsi, dunque, non aveva un carattere sociale in riferimento al ceto, allo status o al ruolo di una persona e neppure alla differenza di genere come gesto di deferenza verso la donna. Non rientrava negli atti di rispetto e di saluto. Da questo punto di vista la societ pastorale era strutturata sul fantasma di parit: semus paris, tu non sei migliore di me n io pretendo di esserlo. Certo, cerano le differenze sociali ed economiche, ma nella psicologia pi profonda emergeva il sentimento di uguaglianza. Al di l di ogni classificazione di valore aggiunto, vigeva un diritto naturale di parit che si esprimeva nel detto: che cosa hai tu pi di me?. Quando qualcuno distratto tardava un attimo nel rimettersi il berretto veniva subito redarguito: a ti lu pones su bonette . Essere a conca nuda la metafora della nudit. Senza difesa, la testa scoperta esposta allo sguardo che sempre critico e persecutorio. Nellantropologia sarda complesso il rapporto tra nascondimento e svelamento. La prima difesa costituita dalla pelle che deve ispessire, accogliare, diventare scorza dura e resistente. Di un uomo debole e malaticcio si dice che a una pitza, ha un solo strato di copertura e di difesa. Il bimbo appena nato est in pedde de mama, proprio perch nudo esposto a mille insidie. indifeso e pu essere colpito dal malocchio e persino dai complimenti che gli si rivolgono. Ecco perch bisogna subito avvolgerlo con le fasce che tengono il corpo stretto e tengono unite le membra che rischiano la disarticolazione. Le giunture sono i punti deboli attraverso cui penetrano sguardi e parole malefiche. La nudit umanit senza difesa. Naturalit senza cultura. rischioso il passaggio dalla protezione e dal nascondimento del ventre materno alla nudit disarmata. La visione del nudo insostenibile e richiama immediatamente la copertura, il vestimento. Essere esposto allo sguardo significa correre il rischio di introspezione, di uno svelamento, di una caduta in possesso dellaltro. Tra i ragazzi quando capitava di scorgerne

uno nudo scattava subito laggressione: tenelu, ca nos lu coddamus e non certo mossi da una tensione erotica quanto invece animati da una istanza punitiva. La nudit perturbante, ha a che fare col domestico e con lestraneo: lo sguardo nella proiezione dellhorribile visu, il monstrum. Visione soggetta a tab. Non meno rilevante il rapporto tra il nudo e il sentimento di vergogna: cuati sa irgonza , nascondi il sesso. Lo sguardo mette in atto processi violenti: denudare, ispilire, scoprire, svelare. Questa forza di denudamento dello sguardo opera a livello inconscio, basti pensare ai numerosi sogni di vedersi svestita in chiesa o anche solo con il capo o con i piedi nudi ed essere osservati con sorriso beffardo e con atteggiamenti di giudizio severo. Nella cultura sarda il complesso di vergogna molto pi forte del complesso di colpa. Questultimo pi disposto ad una elaborazione attraverso la reciproca distribuzione della colpa nel gioco vendicativo, invece lesperienza di vergogna non ha rimedio e richiama il fantasma di sparizione e di sotterramento: per non sopportare laffronto preferibile stare tre palmi sotto terra. La nudit legata al sentimento della vergogna. Coprirsi in senso reale e simbolico rivela nellinconscio sardo una costellazione dinamica di obblighi e divieti. Il nascondimento inseparabile dal senso di vergogna. La nudit un segreto protetto: una parte vulnerabile del s. La vergogna protettiva ha la funzione di serbare lidentit, il mondo dei valori condivisi dalla comunit. Freud ha scritto che la vergogna una forma di resistenza contro la libido: una limitazione del suo investimento. Chi non prova vergogna non ha dignit sessuale. Il nudo richiama la castrazione e il tab della natura femminile. Il massimo della vergogna lesposizione sessuale: essere messo in scena, al centro della derisione sociale. Saper portare labito implica una coscienza di s. Lo stile il buon portamento. Bragare lautostima di vestire labito in perfetta sintonia con il corpo secondo una visibilit calcolata e sapiente. Al contrario sa creita darsi un credito estetico senza la giusta misura e senza la qualit confermata dal giudizio della gente. Est ocande creita, sta tirando fuori un credito arbitrario; cusse no istat ritzu de sa creita, atteggia cio il corpo in movenze ostentate e non giustificate. La differenza tra braga e creita sta nellattribuzione e nel riconoscimento sociale. In una comunit ipercritica bisogna dosare il modo e il tempo del mostrarsi per controllare i rischi dellesposizione. Nessuna ostentazione: bragare secondo uno stile sancito dalla dimensione festiva. la gente stessa che riconosce alla persona i tratti eccellenti del portamento. La valutazione stilistica si condensa in una frase: cusse ja nche la pesat sa este . Il verbo pesare in sardo copre un ricco campo semantico: alzare e alzarsi, lievitare riferito al pane, valutare il peso di una cosa, dare il nome del nonno o di un parente a un bambino: una pluralit di senso che richiama i verbi pensare e crescere. Pesare sa este ha un duplice significato: uno fisico, riferito al

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rapporto tra corpo e abito, un altro psichico che rimanda a sispiritu che anima la dote della grazia stilistica. Avere sispiritu nel portare labito vuol dire possedere coscienza estetica dellindossare. delicata e problematica la linea che divide il serio dal faceto, il sublime dal farsesco, il volto dalla maschera, luomo dal pagliaccio. Custode di questo confine il sentimento di vergogna, un super-io giudicante che non permette debordamenti ma anche una linea divisoria che discrimina i codici etici ed estetici dallapprossimativo e dallimparaticcio. Saper portare labito non riferito tanto a unalta o bassa statura quanto alla grazia del portamento: una persona alta pu non avere garbo cos come una di bassa statura pu sembrare goffa. E tuttavia spesso nei paesi una persona di media-bassa statura poteva eccellere per grazie ed eleganza proprio per la capacit di governare corpo e abito. Dallo stile promana leros del corpo e dellabito. Il detto essire foras de sa este indica compiutamente lidentit tra vestito e corpo simbolico, stato personale, appartenenza, condizione dequilibrio, codice sociale. Come me lo immagino e me lo vedo il vestito?. Questa la domanda che indica la partecipazione dellindividuo nellideazione e nella fattura del vestito. Quando si va
644. Orgosolo, 1955, fotografia di Mario De Biasi. Il rito di iniziazione avveniva attraverso un vestiario: rito di passaggio da pitzinnu a homine.

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dal sarto per le misure si insiste nelle raccomandazioni: sisporta de sos pantalones non deve essere troppo larga ch risulterebbe sgraziata e vistosa ma neppure appena pronunciata ch connoterebbe una maniera alla cavallerizza. Il cavallo dei pantaloni non deve essere troppo basso ma neppure deve evidenziare le forme del corpo. La giacca, precisa sulle spalle, deve stringere lievemente sulla vita. La giacca deve essere n lunga n corta: unindicazione nientaffatto generica perch misura rigorosamente un modello ideale, ma lo stesso sarto possiede il prototipo immaginario rispondente alla moda del proprio paese, che pu avere tratti minimi distintivi rispetto ad altri paesi. Tra gamba e gambale ci deve essere una rispondenza assoluta. Obbligata laderenza al polpaccio, la giusta cadu-

ta sullo scarpone e la distanza dalla piega del ginocchio. Era pi facile ottenere questi requisiti dai gambali a corrias regolabili in larghezza e meno vistosi; quelli a buttones risultavano pi eleganti ma non regolabili. Lucidare i gambali era un impegno tuttaltro che ovvio: occorreva un lavoro insistente e quasi ossessivo per renderli lucidi. La stoffa dei pantaloni di velluto liscio. Il colore pi diffuso il marrone scuro ma anche il nero e il verde oliva, vietati il rosso, il giallo, lazzurro, il viola, larancione, raro il grigio. La giacca a un petto con due bottoni, con o senza martingala. Alla camicia tradizionale in tessuto bianco di lino o di cotone, a colletto basso, succede ben presto la camicia col colletto dellabito a sa civile. Negli anni Cinquanta

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si cominci a usare anche il maglione a collo alto di colore preferibilmente grigio. Gli scarponi di pelle potevano avere il fondo di gomma o di suola con i chiodi. Il modello canonico, sia per la festa che per il lavoro. La distinzione tra este de campu ed este de bidda, este de arribu ed este de fitianu, este de festa o de diatoglia riguarda soltanto lo stato duso del vestito e pu essere ricondotta a este nova / este vetza. un abito che occupa un tempo totale, per esempio impensabile luso di una tuta per particolari momenti di lavoro come la mungitura o la tosatura delle pecore o luccisione del maiale. Un abito per tutte le stagioni: non c scansione tra tempo di lavoro e tempo libero. Il lavoro del pastore non un mestiere, come quello del fabbro o del falegname o del calzolaio, anzi non un lavoro, un modo di vivere, la vita. La variante a sos pantalones a sisporta era labito lungo di velluto a coste. In molti paesi pastorali convivevano indifferentemente, per esempio a Fonni, a Lula, a Mamoiada, mentre a Bitti e a Orune e Orgosolo i pastori usavano soltanto sos gambales.
645. Orgosolo, agosto 1955, fotografia di Pablo Volta. Su bonette fa la testa, labito fa il monaco. Labito gioca tra il chiaro e lo scuro.
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646. Sardegna, 1968, fotografia di Gianni Berengo Gardin. Labito un rapporto con lo spazio e col tempo.

Lalternativa al vestito pastorale era labito di panno con giacca e calzoni lunghi: lo si usava in occasioni particolari, alla cerimonia del matrimonio o in un viaggio a Cagliari o in Continente, ma non si smette il bonette che rimane a garanzia dellappartenenza e dellidentit. un abito sostanzialmente estraneo che connota un momento particolare della vita ma non mette in atto un investimento estetico ed erotico. Negli anni Sessanta avviene in Sardegna una mutazione antropologica: trasformazione del sistema degli oggetti, contaminazione linguistica, crisi delle forme tradizionali del ballo e del canto, affievolirsi degli usi e costumi tradizionali. Il mutamento di mentalit, di comportamento e di valori in riferimento ai nuovi sistemi di comunicazione, televisione, pubblicit, alla nuova merceologia consumistica (seppure nella forma impoverita di periferia), allindustrializzazione, al turismo e allincremento del terziario. Una mutazione di gusti, di orientamenti e di scelte che, con termine a un tempo generico e preciso, viene chiamata modernitate. Tutti questi fattori nella loro segreta e manifesta tessitura hanno determinato un cambiamento della scena tradizionale: lingua e linguaggi, vestiario e alimentazione, espressioni della festa e del lutto, forme della delinquenza e della conflittualit sociale, tipologia del divertimento. Si pu affermare che labito attraversi con filo distintivo tutta la tramatura del cambiamento. La civilt pastorale entra in crisi, lovile 391

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muore come universo culturale, non pi centro di formazione e di sapere, cessa di essere il polo alternativo e corrispettivo del paese. Il pastore diventa mungitore, versa il latte alla cooperativa e rientra in paese. Il mondo femminile, pi aperto alle nuove sollecitazioni, non vede pi nel pastore un referente affettivo. La societ tradizionale considera lindustria come tecnica della riproducibilit degli oggetti. Ciascun abito assolutamente originale, non c copia. Se fosse riproducibile metterebbe in crisi lidentit, la specificit della persona. Lopera artigiana inventa ciascuna volta il manufatto: il tentativo delluguale produce la ripetizione del diverso. Ebbene questa trasformazione antropologica pu essere osservata attraverso la destrutturazione dellabito. Il primo a entrare in crisi il pezzo del vestiario pi connotato in senso pastorale: sos gambales e sos pantalones a sisporta. Si usano pi spesso i pantaloni lunghi di fustagno e di velluto, e ben presto i giovani pastori passano al blue-jeans. In questo passaggio si perde il rapporto attivo e profondo con labito tradizionale. Viene meno la competenza del codice vestiario. Gradualmente la giacca viene sostituita dal pullover e dal giubbotto, la camicia dalla maglietta, le scarpe si acquistano nel negozio. La perdita dellabito esprime disagio, disadattamento e una caduta di autostima vestiaria e pi in generale una perdita di personalit. Il passaggio dal gambale al bluejeans rimarca un salto culturale notevole, il jeans veicola una costellazione di atteggiamenti, di relazioni, di comu392

nicazioni culturali che seppure confusamente pervadono lintera comunit paesana. Daltronde bisogna pur fare i conti con la modernitate, anche nelle forme di ibridazione, di compromesso e di disagio. Labito tradizionale perde spessore e peso, spazio privato e pubblico. Si cambia col rischio di una difficile imitazione, ma sono arrivati i tempi in cui occorre far fronte al nuovo. Non c pi una sintassi dellabito, c una liberalizzazione: un nuovo modo di vestire pi che un nuovo abito. Il nuovo vestire nel segno della variabilit, della mutevolezza e della leggerezza. Come se labito avesse un basso grado di realt e di definizione. Diverso il rapporto col tempo. Una babele dei segni, delle fogge, delle mode. Il cambiamento vestiario potrebbe narrare mille storie di timori e di speranze, di attaccamento al passato e di nuove acquisizioni identitarie, di atteggiamenti autoironici e di tentativi dintegrazione. Basti pensare allesperienza della donna nel passaggio dalla brusa, funnedda (fardetta), scialle al tailleur e al soprabito. Il commento era rigoroso: no li dechet, sidet chi non best naschita , si vede che col nuovo completino non c nata. Proprio perch nellabito ci si nasce. Cambiando vestiario su corpus perdet su zeniu, perde identit, grazia e consapevolezza. Nellabito femminile tradizionale il primo pezzo a cadere su mucatore, il copricapo, a mucatore chintu (legato sotto il mento) esprimeva la forma pi arcaica della tradizione. Lo scialle rinforza la sua funzione estetica,

privilegiando la dimensione erotica del bragare. Tradizionalmente, nel vestiario femminile cera una ricca opzione di colori. La gonna finemente plissettata poteva essere blu (biaita), marrone (colore de caff), bordeaux (colore de granata), grigia, beige, il nero che indicava vedovanza divenne poi indice di eleganza. La camicetta era in sintonia cromatica con la gonna, blu, marrone bruciato, molto elegante il golfino nero. Le scarpe erano blu, marrone, grigio, nero e poi anche bianche. La prima rivoluzione fu laccorciamento della gonna, dalla caviglia ad appena sotto il polpaccio. Un ulteriore accorciamento al polpaccio o appena sopra fu subito abbandonato perch non corrispondeva al corpo. La critica era sembrano ballerine, tre centimetri assolutamente antiestestici. Lo scialle di tibet a frunzas (frange) de seta blu, marrone, grigio. Per le donne barbaricine il passaggio allabito moderno stato certamente una perdita di stile e di coscienza estetica ed etica. Purtroppo non c stata unelaborazione moderna del vestiario tradizionale ma bene auguranti sono alcune proposte di modiste e stilisti, per esempio il recupero dello scialle, unelaborazione della gonna e della brusa. Sarebbe una variante singolare nella molteplicit delle mode. Un fenomeno interessante la riproposta moderna dellabito tradizionale maschile, giacca, pantaloni lunghi di velluto a coste ma anche liscio, spesso con lantica camicia a collo basso. Una vera e propria moda che ha

coinvolto anche personaggi pubblici della politica, del giornalismo, dellarte e dellimprenditoria e che ha trovato in molti stilisti la consacrazione di abito etnico come lo definisce Marras nel libro scritto con Cocco, Una moda fuori legge. Significativo il recupero (ma per molti una continuit) dei pantaloni, soprattutto neri, dei giovani pastori come segno di appartenenza e di riconoscimento. Questo fenomeno vestiario, sia quello pastorale sia quello borghese, rilevante come rivalutazione e rilancio dei caratteri identitari della tradizione vissuti in un rapporto arricchente con la molteplicit delle identit contemporanee. Specificit e globalit. Habitus come abitare: in domo propria e nella casa del mondo.

647. Desulo, 1958, fotografia di Henri Cartier-Bresson. Labito sollecita lo sguardo: vedere ed essere visto. Il segreto di una corrispondenza. 648. Sardegna, 1968, fotografia di Gianni Berengo Gardin. Lesodo e il ritorno pongono labito tra conservazione e mutamento. Su bonette e sa fardetta sono segni di identit.

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Le mode del vestire sardo


Michela De Giorgio

Esiste il racconto che in ordinata cronologia mostra laccelerazione delle mode, il gioco sociale dei conflitti dapparenza, la valenza simbolica di un capo di vestiario, la velocit dellimitazione che ne fa un oggetto di desiderio, un polimorfo segno di distinzione con tanti poteri: differenziare le et, esaltare lo status sociale? Questo esemplare: Sino alla fine circa dellanno 1753 non sapevano le Dame Sarde cosa fosse il porta Cuffia, ed usavano dandare col Capo scoperto, e senza altra acconciatura che quella della Coronata [s ]. Ma alcuni Uffiziali Piemontesi avendo cominciato ad ottenere da una Dama giovane di lasciarsi acconciar li Capelli alla piemontese, a poco, a poco tutte le altre di Cagliari la imitarono e gli stessi Uffiziali essendo andati nellanno 1755 in Sassari ottennero la stessa riforma nelle Dame Sassaresi di maniera che nelle dette due Citt non si vede pi Coronita nelle Dame giovani, e portano cuffie di ottimo gusto, che si fanno mandare da Torino, ed amano le mode nelle medesime, tanto quanto le nostre Dame.1 Gli storici della moda (o piuttosto gli storici che si occupano di vestiti) sanno che dalla penna di un uomo del Settecento il racconto di una nuova moda pu essere enfatico, perfino bugiardo, mai futile. La moda o meglio le mode, e soprattutto le mode dei vestiti dal Settecento non pi la pietra di paragone per misurare ladattamento dei costumi agli imperativi della morale religiosa. Sul vestito gli economisti del tempo cominciano a misurare il potere sociale di un prodotto che cambia la qualit della vita e stimola i consumi. Non un caso che nel XVIII secolo appaiano i primi libri sui vestiti, non pi semplici descrizioni ma codificazioni dei diversi tipi di abbigliamento in correlazione ai mestieri, alle classi sociali, le citt, le regioni.2 Da questa base descrittiva prende forma il discorso degli esegeti settecenteschi che nel dettaglio di un vestito, nella scelta di un accessorio o di un colore, nel modo di allacciare un nastro, scovano, oltre la materialit dei tessuti e degli ornamenti, la sostanza sociale della moda, il suo immenso potere di esaltare il desiderio dei privilegiati di distinguersi rispetto a chi sta pi in basso.
649. Edina Altara, Figura femminile in costume, anni Venti, collage di carte colorate.

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Il racconto del tramonto delle coronitas di un anonimo autore piemontese. Grazie a lui (era probabilmente un ufficiale che soggiorn in Sardegna dal 1755 al 1759) lisola remota gioca per la prima volta un piccolo ruolo dinamico nel riassetto delle sensibilits collettive e nelle profonde trasformazioni delle abitudini vestimentarie, che dalla met del Settecento toccarono soprattutto la Francia prerivoluzionaria e, in misura minore, tutti i paesi dellEuropa occidentale. Leloquenza sociale di questo tipo di racconti che assegna al tramonto di un accessorio (o di un vestito) una fine rigorosamente datata ha un vizio di metodo di molte storie di costume, che non sfugg quasi mezzo secolo fa al geniale intuito di Roland Barthes: sono storie affascinate dal prestigio cronologico del regno e del sovrano, considerato par essence le Porteur du Vtement .3 Oltre che sabaudizzare, attraverso i mediatori galanti, la leadership aristocratica della moda nella Sardegna passata da poco ai Savoia, lanonimo piemontese rileva lesistenza di ceti che rispondono allimpulso acceleratore delle mode anche nellisola gravata da un passato atavico e immobile. Nelle societ di antico regime le donne degli ambienti aristocratici urbani sono state le pi duttili nellaccogliere mode che innovano e distinguono, le pi veloci nel promuovere una cultura delle apparenze. In condizioni di ipoconsumo vestimentario (come erano quelle della Sardegna settecentesca), se la cima della piramide sociale d qualche segnale mobile ed evidente, la base indossa luniforme della povert: a Cagliari scrive lanonimo piemontese labito delle donne del popolo generalmente miserabile, ed appena sono coperte. Vanno scalze anche nellInverno, ed in Capo, o non hanno niente o portano un straccio di tela od un pezzo di forese.4 La repentina sparizione delle coronitas sembra uneccezione nella storia dellabbigliamento delle sarde. Le caratteristiche geografiche della Sardegna che per secoli la precludono al confronto con altre culture, larretratezza della sua economia rurale e delle forze sociali che la rappresentano hanno determinato limmobilit dellabbigliamento dei sardi, il legame duraturo con la loro tradizione vestimentaria. C un tempo sociale un tempo a mille lentezze e a mille velocit anche nella storia dei 395

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vestiti, affermava Fernand Braudel nelle Strutture del quotidiano. Tra due mondi, le mobili societ dellOccidente, trascinate dalle follie della moda, e le stabili societ dellOriente, conservatrici nelle abitudini e nelle fogge dei vestiti, c, anche in Europa, un Oriente di calma e di stabilit gli ambienti rurali, dei contadini e dei poveri dove i vestiti sono quasi immutabili.5 La Sardegna del Settecento e dellOttocento appartiene allOriente della stabilit vestimentaria. Una stabilit che si prolunga nel Novecento, fino alla prima guerra mondiale. I racconti di viaggio ottocenteschi, che testimoniano la lunga durata dei vestiti tradizionali, sono anche le prime fonti della loro visibilit. I vestiti fanno impressione, creano la differenza, ma anche corrispondono alle attese, ha osservato Daniel Roche di fronte agli abiti spettacolari di cui gi pullulavano i racconti di viaggio settecenteschi.6 In realt, eliminato un po di invadente colore locale, i racconti di viaggio possono essere considerati delle vere e proprie prove proto-etnografiche. DallOttocento, i viaggiatori hanno occhi pi acuti, percepiscono anche la trama nascosta dei vestiti, il loro voler essere segno di distinzione sociale, di appartenenza di classe, di funzione professionale o di mestiere. Impeccabile lo schema delle abitudini vestimentarie delle sarde tracciato dal capitano inglese William Henry Smyth nel suo Sketch of the present state of the Island of Sardinia, pubblicato a Londra nel 1828. Dietro le donne di 396

pi alto rango [che] adottano usualmente le mode italiane, c la base allargata della piramide sociale costituita dalle donne dei paesi, divise per ceto Dama, Signora, Nostrada, Contadina principale, Artegiana, Contadina rustica , tutte fedeli al costume delle loro rispettive divise.7 Pi o meno degli stessi anni il 1834 un colto viaggiatore francese, Valery, pseudonimo di Antoine-Claude Pasquin, rest incantato dalle contadine di Selargius abbigliate a festa in onore della Madonna dellOdegistria. Quei vestiti sontuosi erano lantidoto al turbinare delle mode: Durano molto a lungo e senza mai variare, sono economici nonostante lalto costo. Quelle che li portano sfuggono ai capricci continui e dispotici della moda. Il loro primato di bellezza era indiscutibile i cappelli parigini e i vestiti di tela indiana delle signore di Cagliari in mezzo alla folla sembravano proprio ordinari al confronto dei nobili e brillanti costumi delle contadine tutte in ghingheri 8 ma non era ferrea la frontiera che separava i vestiti autoprotetti dalle dinamiche del cambiamento perch prodotti da uneconomia statica da quelli obbedienti alle leggi della moda. Il sovraconsumo di vestiario,
650. Gaston Vuillier, Il ritmo sardo e la danza del duru-duru, 1891, acquaforte, da Les les oublies. La Sardaigne, Parigi 1891. 651. Gaston Vuillier, Le lavandaie dOsilo, 1891, acquaforte, da Les les oublies. La Sardaigne, Parigi 1891.

la moda come volont di distinzione sociale, sono parte integrante della cultura delle apparenze delle lites parigine della prima met dellOttocento a cui Valery appartiene. Ma il cappello, simbolo infranciosato di uno statuto sociale, se si sardizza, la piuma del ridicolo, unestetica del vestiario separata dal contesto della cultura materiale. Qualche decennio dopo, Grazia Deledda racconter un cappello che diventa accessorio iniziatico, il simbolo ambito del rito di passaggio dallo stato di rustiche ovvero le donne vestite in costume, di civil condizione a quello di signore. un uso strano e barbaro, secondo la scrittrice, quello che dispone che le fanciulle signorili di una certa condizione, o che hanno la madre vestita in costume, non possono portare il cappello. Hanno invece fazzoletti di seta, che sfigurano il volto e il vestito, anche se bellissimo. Andando per a marito possono adornarsi del cappello.9 Maritata una parola magica nellItalia di fine Ottocento, dischiude le porte di molte libert comportamentali e di apparenza. Sul canto del cuculo le ragazze nuoresi contavano il tempo che le separava dal matrimonio e dal cappello, segno di distinzione sociale, emblema di un ruolo molto desiderato.10 Sarebbe rimasta poco eloquente la rappresentazione dei vestiti tradizionali dei sardi e delle sarde, chiusa nei resoconti di viaggio (spesso non tradotti e rivolti ad un cerchio ristretto di lettori), se nella seconda met dellOtto-

cento Paolo Mantegazza, antropologo, viaggiatore, divulgatore deccezione, non ne avesse decantato la spettacolarit. Nel febbraio del 1869, come componente della Commissione Depretis, il deputato Mantegazza viaggi per pi di un mese in lungo e in largo per la Sardegna, curiosus naturae e di sardi e sarde. Nacque dal viaggio il racconto antropologico Profili e paesaggi della Sardegna. NellItalia immediatamente postunitaria lo scienziato pioniere dellantropologia (che insegna dal 1870 nellUniversit di Firenze)11 era stato il primo a tracciare mappe comparate della bellezza femminile. Nel cupo orizzonte delle malattie sociali (pellagra, rachitismo, malaria, colera, ecc.) dellItalia appena unificata, aveva diffuso la fede ostinata nel risorgimento dei corpi, piedestallo fisiologico per la costruzione del nuovo stato nazionale. Il suo Fisiologia della donna (1893), che proclamava le pratiche e i diletti della cultura del self-help (diffusa gi dagli anni Settanta),12 divenne il manuale pi credibile del volere potere femminile dellItalia di fine secolo. La pi realista (e pi nota) cartografia di corpi perfettibili. Darwinista eterodosso, Mantegazza profan la stilizzazione agiografica della bellezza femminile che il moralismo formalistico ottocentesco rappresentava come effetto della benefica virt plasmatica dellanima sul viso e sul corpo delle donne.13 Esercitato allo studio del dettaglio anatomico, indovin nelle sarde corpi eleganti e sottili, crani dolicocefali, visi 397

ovali e pallidi, occhi orizzontali, spesso grandi, ricchissimo seno, linee posteriori di Venere Callipigia.14 Nellabbagliante dovizia di colori dei loro vestiti (la tavolozza pi tizianesca del mondo) vide le schermaglie del desiderio e deliberate volont di seduzione. Due erano le caratteristiche della disciplina vestimentaria delle donne sarde: molta copertura del capo e una grazia infinita per lasciar indovinare il pi che si pu le bellissime bellezze del seno. Pi di una volta vedete intorno a quel nido damore un duplice, un triplice, un quadruplice sistema di baluardi, cortine, fossi, contrafforti e contraffossi: tutta una strategia di fascie, fascette, e camicie e merletti; un arsenale strategico che dovrebbe esser fatto alla difesa, ed invece unoffesa continua, formidabile; tutto un esercizio di parapetti attraverso a cui gli occhi profani non dovrebbero neppure gettare uno sguardo; e dove invece e occhi e sguardi si ostinano ad entrare; tutto un artificio di grazia che vuol molto nascondere e riesce invece a mostrare assai; tutto un sistema di graziosissima, castissima e provocantissima ipocrisia.15 Erano vestiti di dissimulazione, indiretti nellerotismo come tutti gli abiti femminili ottocenteschi. La connotazione sessuale delle pratiche legate al modo di indossare la camicia o di stringere il corsetto, poteva a buon diritto far parte della psicologia ed etnografia dellamore che Mantegazza nel 1884 avrebbe fatto oggetto di un corso universitario. Una disciplina dai confini elastici che analizzava i mutamenti dei rapporti reali e simbolici fra i sessi, delle coercizioni normative che ne regolavano le condotte relazionali, gli stili di corteggiamento e di seduzione, le norme vestimentarie. Nellisola lontana molte delle donne visibili a cielo aperto avevano il viso coperto (in molti paesi della Sardegna le donne si coprono oltre il capo anche la met inferiore della faccia; od anche tutta la faccia meno gli occhi).16 Sul saliscendi dei fazzoletti si misurava il desti-

no del pudore femminile, virt individuale e sociale, con tempi regolati dalla civilt che in Sardegna avanzava a passi troppo piccoli per liberare le donne da unipocrisia e sottrarle alla tirannide dei loro mariti. La civilt, ovvero il progresso, per Mantegazza era il concorso mirabile, armonico di cento movimenti, il risultato di cento processi di affinamento, di elaborazione, di transustanziazione.17 Come compatibile questa fede nellindefinita perfettibilit del progresso con lo spettacolo della moda immobile a cui lantropologo assiste nella Cattedrale di Nuoro durante la messa della Domenica delle Palme? Un gruppo di ben cento donne colla gonna bruna e lorlo rosso nel fondo; con una giacchetta scarlatta che copriva una fascetta azzurra quasi aperta e colle punte rivolte allinfuori, una camicia a merletti e una pezzuola o bianca o gialla sul capo. Lo sfoggio degli acconciamenti femminili, il repertorio dei modelli armoniosamente sgargianti, si chiama Natura. effetto di ispirazione naturale, di imitazione con un orizzonte fisso, il paesaggio circostante. Mantegazza ne entusiasta: Comeran graziosamente montanare! Comera artistica quellinterpretazione dei monti! Il bruno maritato allo scarlatto; un bosco di pini con una chiesuola ornata di terra cotta: un castagno indorato dal rosso dun tramonto alpino!.18 Gli abiti paesaggistici delle nuoresi aggiungono un tassello (finora inedito) alla rappresentazione ottocentesca del legame donna-natura. La Donna intesa come alterit profonda, elemento cosmico che pu farsi fiore, sangue, terra feconda, sempre uno stato superlativo della materia, come la definiva Jules Michelet. Quando si veste la donna sarda in intima continuit con la natura, come lo erano le dame dOriente prima di adottare le sciocche mode dOccidente (che il grande storico francese detestava).19 Specchio cromatico delle montagne, labito tradizionale vince in bellezza il vestito alla parigina

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indossato da poche signore locali. Che isterilisce le bellezze bionde e nere, alte e basse , tutte sotto lo stupido giogo di un sarto parigino.20 La voracit della moda francese rosicchia dove pu, fino a Nuoro. Battistrada come sempre, Mantegazza il primo a confrontare il vestito tradizionale delle sarde con il famigerato figurino. Miracolo della moda di Parigi, prova inimitabile di disegnatori e incisori insuperabili nellevidenziare con grazia gli elementi strutturali degli abiti, il figurino , dalla fine del Settecento, il contrassegno dellegemonia della moda francese in Europa. Nella fase di ostilit politiche e culturali dei primi anni Settanta dellOttocento, quando la Francia veniva rappresentata in preda alle mollezze e alla degenerazione dei costumi, il figurino doltralpe fu particolarmente strapazzato e il te-

652. Donna in costume sardo, Sassari, 1865 ca., fotografia di Adolphe Peuchet. Limprobabile abbigliamento sintomatico dellinteresse ottocentesco soddisfatto della sola e bastante aria esotica della modella: genericamente cipriota, turca, balcanica, calabrese o sarda, incredibilmente identificata dal solo titolo. 653. Donna di Samugheo, fotografia di Renzo Larco, in Le vie dItalia, marzo 1934. 654. Donna di Teulada, in Le vie dItalia, gennaio 1939. La didascalia originale su questa bellezza femminile autarchica, nitido esempio di pulizia provinciale da riscoprire, riportava come in un cinegiornale: Un aperto sorriso e una fronte spianata, indici sicuri di sanit fisica e morale. 655. Donne di Mamoiada, fine sec. XIX, fotografia di Antonio Ballero. 656. Donna di Desulo, fine anni Venti, foto depoca.
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ma della nazionalit della moda riprese ardimento nelle testate di moda italiane.21 I vestiti tradizionali delle sarde e dei sardi avevano un numero limitato e quantificabile di forme, di scansioni volumetriche, di colori e tessuti che variavano di villaggio in villaggio senza infrangere la tradizione originaria: appartenevano al folclore, erano la moda immobile, lantimoda. La moda parigina era sempre lultima moda. Mutevole, futile, irrequieta, un trionfo inesauribile di tessuti, guarnizioni infinite, colori inediti, rinati ogni volta dalla sfumatura precedente, come li raccontava, sotto volubili pseudonimi femminili, Stphane Mallarm (lavana detta ieri cachou e oggi gyzle).22 La moda lo spettacolo di un immenso desiderio di spendere, uno dei tanti effetti della democratizzazione delle apparenze, i cui motori, imitazione e mobilit sociale, erano stati accesi in modo irreversibile dalla rivoluzione francese (dopo il 1789 non cera pi modo di distinguere attraverso labbigliamento, le classi, notava J. Quicherat, autore di una fondamentale Histoire du costume franais, pubblicata nel 1879).23 La vita elegante della prima met dellOttocento, quella che Balzac teorizzava e raccontava (soprattutto attraverso i vestiti),24 era nata dal movimento stesso della nostra rivoluzione, che era stata anche una questione di moda, una lotta tra il panno e la seta. Si chiamava LUltima moda. Messaggero dellEleganza il periodico illustrato a cui Grazia Deledda cominci a collaborare da Nuoro, nei primi anni Novanta. Era diretto da Epaminonda Provaglio, disinvolto editore piemontese trapiantato a Roma, che, travestito la Mallarm da contessa Elda di Montedoro, si vantava di offrire alle lettrici 399

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il meglio dei pi reputati periodici francesi congeneri, ovvero, plagio di figurini.25 Da quei disegni accattivanti al servizio della moda dalle mille facce, la ventiduenne scrittrice apprese il linguaggio della cultura delle apparenze, lo statuto della descrizione delle riposte corrispondenze fra corpo e vestito, scopr la loro specifica forza di persuasione letteraria rispetto alle pervasive descrizioni di paesaggio. Nel bozzetto La donna in Sardegna, pubblicato dalla rivista Natura ed arte nel marzo 1893, la rappresentazione della versatilit dei vestiti tradizionali delle sarde sembra aver assorbito la lezione mantegazziana: anche Deledda racconta vestiti-paesaggio: in Barbagia, ad Orune e a Bitti, le vesti donnesche sono ruvide, strane, di orbace e di panno giallo lass la donna lincarnazione perfetta del paesaggio. Letnologa debuttante interpreta con acume la funzione sociale del vestiario, dalla nascita alla pubert, dal matrimonio alla morte. Individua lopposizione fra la modestia (talvolta ridicola e barbara, come a Tonara) dellabito di tutti i giorni e quello della ritualit e dello sfoggio festivo. Il suo racconto dei vestiti della donna sarda evita gli stereotipi della trionfante folclorizzazione tardottocentesca. Grazia Deledda, scrittrice e lettrice dellUltima moda, ha locchio addestrato alla teatralizzazione delle apparenze di cui i giornali di moda sono maestri narratori. Sa che ne esistono di buone e di cattive: educata alle linearit dei figurini, nei vestiti delle conterranee vede ununiformit che non abbellisce La donna stretta nei ruvidi giubboncelli di orbace, sotto le lunghe e ridicole cuffie, sotto gli immensi e oscuri fazzoletti neri, nelle gonne strette e ridicole sembra brutta anche se bella.26 La tradizione sfigura, lorbace un peso, un ostacolo alla modernit: la donna sarda comincia a incivilirsi, nel linguaggio, nei tratti e nel vestire,27 il tramonto del secolo: nel cammino dellincivilimento c anche una silhouette che si affina. Dellisolana tenacit, virt conservatrice che secondo Mantegazza tenne i sardi e le sarde fedeli agli inalterati vestiti tradizionali, difficile scandire la durata. Le testi400

monianze di viaggio degli anni 60-80 raccontano le metamorfosi del vestiario e labbandono progressivo del costume sardesco maschile e femminile tra lentezze, resistenze o veloce adeguamento. Il passaggio al vestire secondo lusanza corrente dItalia fu un processo a chiazze, non omogeneo.28 Il barone tedesco Heinrich von Maltzan, infaticato e sagace viaggiatore che percorse la Sardegna nel 1868, fu loquace sul pittoresco dei costumi che andava perdendosi. A Sassari, lavoranti, facchini, conduttori dasini, tutti gli uomini dellinfimo ceto, si vestivano ormai come gli ordinari proletari europei, cio in un vestimento che non si distingue da quello del ceto migliore se non perch logoro e stracciato. Von Maltzan racconta di aver visto neri capannelli di uomini vestire il loro cupo vestiario moderno, con in testa la berretta ancor pi scura della notte.29 La conformit del nero, scelta cromatica che d orgoglio e potenza alla virilit borghese, avanzava verso il basso della societ. Gli storici che si occupano di vestiti hanno in Sardegna un campo di lavoro vergine. Chi far questa storia del vestiario non potr accontentarsi dellimpiego di opposizioni comode ma inadeguate: colto/popolare, ricco/povero, citt/campagna, creazione/consumo, reale/immaginario. Le forme di acquisto e di possesso dei vestiti sono anche lotte simboliche e il vestiario instaura una lingua comune parlata da chi sta in fondo alla piramide sociale come da chi sta in cima. Daniel Roche ricorda che la dinamica della distinzione e dellimitazione non coincide necessariamente con una cultura del sottosviluppo: seppure con materiali frustri e con mezzi limitati, con accessori ridotti e allinsegna delleconomia dei dettagli, la competizione sociale e individuale si fa aperta.30 Le frontiere che separano il vestito della tradizione da quello alla moda sono dunque porose e di difficile individuazione. Il circuito delle fiere e dei mercati, la presenza di venditori ambulanti, possono aver determinato lampiezza, la cronologia, le variabili locali di un processo di trasformazione che ancora tutto da verificare. Nei paesi la moda non stende le sue ali, ma quelle dellideologia volano e ne preparano lavvento. Il desiderio di abbandonare il vestito tradizionale, il gusto della moda, come nasce a Seui, in piena Barbagia, alla fine dellOttocento? Charles Edwardes, lultimo degli scrittoriviaggiatori inglesi dellOttocento che visit lisola nel 1888, racconta di aver incontrato proprio a Seui una piccola avanguardia vestimentaria di ragazze emancipate da ogni residuo di rustichezza. Vestite alla cittadina, mettevano in ridicolo la vita paesana, e vagheggiavano il Continente.31 Madre e figlie emancipate gestivano una bottega, un miscuglio di merci, spilli ed aghi, carne in scatola e verdura fresca (modestissima mercanzia che fa delle esercenti un gruppo socialmente intermediario con il mondo produttivo doltre Barbagia). Oltre labbigliamento
657. Scolarette di Desulo, fine anni Venti, fotografia di Enrico Costa. 658. Donne di Iglesias, 1914, fotografia di Vittorio Alinari.
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che le distingue dalle compaesane (che si coprono la testa con fazzoletti di seta oppure di seta rossa, cos che il copricapo scende ad angolo retto sulle scapole; le gonne son color porpora con ampie guarnizioni color cremisi), le ragazze manifestano apertamente la loro fede anticlericale (si fanno beffe del prete, non vanno a messa, dissuadono il viaggiatore dal visitare la chiesa del paese). Dalla sfera delle idee a quella delle cose e viceversa: nasce dalla dinamica culturale del progresso unestetica morale alternativa fondata sulla consapevolezza che anche i vestiti sono colpevolmente figli della tradizione. Di volta in volta, gli storici dellabbigliamento hanno cercato di misurare le rispettive posizioni di forza dei gruppi di individui che nellambito delle proprie gerarchie sociali hanno dettato il tono dei gusti: notabili di paese, spose di contadini, ambulanti, merciaie, ragazze da marito, mogli di nobilucci e rispettivi domestici. In tutte le categorie sociali sono le donne che si impegnano maggiormente nel far circolare i nuovi oggetti e i nuovi valori dettati dalla diffusione delle mode. Maestre di civetteria, le negozianti di Seui potrebbero essere state creatrici a credito di nuovi bisogni cercando di far guadagnar terreno alle gonne nere o marroni del costume di transizione. Charles Edwardes osservava che il vento del cambiamento aveva travolto per prima la mastruca, la gran pelliccia nera di pecora che portano i Sardi sulle spalle, fatta di quattro pelli di montone o di capra,32 descritta da tutti i

viaggiatori ottocenteschi. Mantegazza (al solito, apripista) si era chiesto se non fosse in quella essenzialit arcaica il punto pi alto della libert vestimentaria, quella per cui ognuno pu farsi sarto di s stesso (a questo serve lo sguardo antropologico, a misurare la distanza tra il naturale e lartificiale, il selvaggio e il civilizzato, lisola e il continente, lOriente e lOccidente).33 Verso la fine del secolo cominciavano ad intrecciarsi progetti e teorie sul vestito utopico, il vestito che avrebbe realizzato la perfetta affinit fra abito e figura, un continuum tra panno e tessuto organico. I progetti di riforma del vestire moderno Mr. Oscar Wilde On Dress del 1884 si moltiplicarono di l a pochi anni. Non si tratta di un revival antiquario di un costume antico, sosteneva Oscar Wilde, ma della ricerca di una nuova regola del vestire dettata dallarte, non dallarcheologia.34 Erano riformismi davanguardia da cui lItalia fra i due secoli restava esclusa. AllEsposizione Internazionale di Milano del 1906, prima occasione per fare il punto sullo stato della moda italiana, la sarta milanese Rosa Genoni mise insieme Rinascimento, tradizione folclorica, sete e velluto. Labito da ballo ispirato alla Primavera di Botticelli, quello da visita che rievocava la Santa Cecilia di Raffaello attingevano direttamente dalla tradizione artistica quattro e cinquecentesca. Molte decorazioni erano riprese dai costumi regionali. il risultato pi appariscente del nazionalismo quotidiano dei comitati di moda antifrancesi,35 nellaria orgogliosa dellItalia nova giolittiana, politicamente e economicamente rispettabile. Pochi anni dopo, il Padiglione sardo, allestito per la Mostra Etnografica delle Regioni dItalia in occasione della grande Esposizione di Roma per il cinquantenario dellUnit dItalia, fu per la Sardegna una vetrina di visibilit nazionale. Amplificata anche dal prestigioso periodico torinese La Donna che dedic alla dimenticata Sardegna quattro pagine con fotografie dei vestiti tradizionali femminili: una sorpresa fantastica; un godimento estetico, una meraviglia per la ricchezza di tanti abiti di povera gente, scriveva Renzo Larco, letnologo amateur che ebbe lincarico di fotografare i paesi pi pittoreschi della Sardegna per documentare lambientazione che sarebbe servita allallestimento della mostra. Oltre la descrizione delle minute differenze fra i costumi pi ricchi dellisola, Fonni, Osilo, Sennori, Bono, Quartu SantElena, Larco racconta le diverse modalit di indossarli secondo stato civile e condizione sociale. Vestiti, ma anche volto e mani, le uniche parti che la moda del tempo consentiva di lasciar scoperte: Certe mani rugose, secche, che sembrano staccarsi da qualche antica tela, sono in contrasto colla freschezza della restante persona. Le donne della Sardegna nei momenti dozio incrociano sempre
659. Grazia Deledda in costume di Nuoro, anni Dieci, cartolina postale. 660. Sardegna, 1927, fotografia di August Sander, Archivio A. Sander. Gli edifici retrostanti, laratro e soprattutto labbigliamento indentificano la scena prossima allarea agricola dei Campidani di Oristano.

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sul ventre le mani, senza intrecciare le dita, senza stringere la carne, ma superficialmente, con uninerzia indolente, cos come gli scultori quattrocentisti atteggiavano le mani alle nobili sulle pietre sepolcrali nelle chiese. Sullo scarto di giovinezza, effetto della bellezza di classe, i fisiologi coevi avrebbero chiamato in causa povert, fatica, ingiustizia sociale. Qui la rugosit delle mani solo objet dart di arcaica e dura concretezza. Objet dart, come i costumi che hanno una corporeit autonoma da chi li indossa la gonnella che ricade gi per le spalle come un sacco piegato; una balza scarlatta, che guizza come una fiamma; viste di dietro le fonnesi pare che indossino una coda di rondine rossa con ornamenti azzurri. Un oggetto alla moda: soltanto alla cuffia del costume di Desulo (ma infantilizzata, mentre indossata dalle nubili e dalle coniugate) toccher in sorte, unico accessorio proveniente dallampio corpus vestimentario tradizionale sardo, il balzo fra le novit esposte in vetrina. La Donna ne esalta il successo commerciale in Italia e allestero (andranno a ricoprire civettuolamente la testina di eleganti bambini), dopo le mostre organizzate dalle Industrie femminili italiane.36 Non sappiamo se i due spicchi rotondeggianti di stoffa scarlatta cuciti nel

mezzo e chiusi da un nastro azzurro, abbiano davvero coperto i capelli ribelli di Maria Jos del Belgio, principessa di Piemonte dopo il matrimonio con Umberto di Savoia, nel 1930. Per incarnare le molteplici quintessenze regionali dello spirito nazionale la principessa ereditaria si assoggetter a molti travestimenti con costumi locali. Le mode di corte, noto, hanno sempre avuto potenzialit unificanti, e il busto di ceramica di Essev che la raffigura adolescente desulese certamente il punto sommo della nazionalizzazione della cuffia. Limpronta principesca ne avvia la riproducibilit sino alla trasformazione pi ambita in panno Lenci, su trecce bionde inequivocabilmente nordiche. Pi modesto fu il destino della cuffia del costume di Isili, anchessa omaggiata dalle pagine del periodico torinese insieme a tappetti e passatoie, frutto dellumile lavoro delle artigiane isilesi, ruskiniane osservanti sotto la guida della buona signora Filomena Piras Calamida. Le tessitrici sarde non pi estranee lavoratrici ma sorelle care, voi collofferta del vostro lavoro, noi collaccoglienza onesta e lieta entrano nel cerchio allargato femminilfemminista che la redazione de La Donna anima con benemeriti resoconti delle nobili imprese del lavoro 403

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femminile. Dal medagliere della solidariet di sesso sembra esclusa Grazia Deledda. Unignota Donna Maria accusa leroina culturale della Sardegna di aver privilegiato banditi e pastori a discapito delle opere delle donne: Se avesse consacrato un poco del suo tempo e del suo ingegno fervidissimo ad illustrare i meravigliosi lavori dellarte muliebre, lasciati dalle bisnonne, e che linvenzione della macchina ha portato via, oggi, chi scrive, avrebbe buon giuoco, ch tutte le simpatie sarebbero gi guadagnate alla causa del lavoro sardo femminile.37 Mentre gli abiti immaginati da Oscar Wilde cercavano nuove regole del bello, mentre la moda italiana era ancora unutopia,38 la Sardegna del primo Novecento restava la roccaforte della fedelt ai vestiti locali tradizionali. Una delle rarissime indagini italiane sulle onorate virt della moda, la moda che adora ci che strano, anormale, inatteso, senza preoccupazioni di euritmia, descrive la Sardegna come lisolata eccezione nellavan661. Ballo in casa SanElia, Cagliari, 28 marzo 1925, foto depoca. Labito tradizionale, dismesso da tempo dalle classi abbienti sarde e in particolare da quelle cittadine, divenuto travestimento gi a questa data.

zante nazionalizzazione delle apparenze: Gli abbigliamenti caratteristici delle regioni sono scomparsi completamente dalle citt, persistono ed indugiano tra la gente montanina, e la Sardegna deve, al suo isolamento, i ricordi fenici e greci chessa conserva nelle sue fogge, afferma, nel 1914, Emanuele Gallo, autore de Il valore sociale dellabbigliamento.39 Il giudizio era condiviso dalla Guida della Sardegna del Touring Club Italiano che nel 1918 assicurava che in nessuna regione dItalia i tradizionali costumi popolari sono conservati quanto in Sardegna. Se nelle citt e specialmente nel mezzogiorno dellIsola si vanno perdendo (e si nota a questo proposito linfluenza del servizio militare: gli uomini al ritorno abbandonano il costume e lo indossano solo nelle feste e nelle cerimonie), se ivi i costumi si perdono anche per il costo e la poca praticit, nelle parti di pi scarsa penetrazione del movimento, il costume si conservato largamente ed usato dalla generalit dei locali. I mercati, le cerimonie di famiglia nascite, matrimoni, funerali , le feste locali, le ordinarie funzioni religiose domenicali (Non si saprebbe consigliare a sufficienza di assistere a qualcuna, raccomandava la Guida) raccoglievano folle completamente in costume che ridipingono altri tempi, anche nei loro comportamenti caratteristici.40 Forse era in tasca di D.H. Lawrence, rude viaggiatore che scopr sulla sua pelle quello che la Guida metteva nero su bianco: lisola non sito per il viaggiatore che ami i propri comodi; il viaggio non adatto n a ragazzi, n a vecchi, n a uomini molto bisognosi di cure, ed anche poco adatto per signore.41 Lo scrittore inglese, in viaggio nellisola nellinverno del 1921, si entusiasm dei lunghi berretti dei sardi, cimieri superbi, artificiali e antifunzionali come un cilindro. Pi di un copricapo, un prolungamento psicofisico della testa, una parte del loro ineluttabile io. un segno di tenacia ostinata e potente. Non hanno nessuna intenzione di farsi domare dalla consapevolezza del mondo. Non vogliono indossare i banali abiti del mondo. Rozzi, vigorosi, decisi, persevereranno nella loro rozza, oscura stupidit e lasceranno che il grande mondo trovi la sua strada per il suo illuminato inferno. Il loro inferno solo loro e lo preferiscono non illuminato, scriveva Lawrence.42 Lo sconquasso postbellico autorizzava tutte le profezie, soprattutto vestimentarie. Il risultato comune dellassimilazione capitalistica mondiale o della grigia omogeneit proletaria, quelluniformit delle apparenze che D.H. Lawrence paventava, sembra approdare anche in Sardegna. La Grande Guerra era stata la cesura. Lo scrittore aveva incontrato molte paesane diventate eleganti. Si davano delle arie con labito da citt e scialli di seta nera sulla testa.43 Ma i costumi resistevano. La performativit dei vestiti delle sarde interna alla scrittura di D.H. Lawrence, specchio dellanima dei personaggi e dei loro caratteri morali. La descrizione delle stoffe e dei colori rosso scarlatto, vermiglio, geranio intenso, papavero, rosa malva, lavanda, verde smeraldo, malachite, blu cielo, blu savoia, marrone

rossiccio, color pulce, marrone robbia (nellesattezza florealcromatica riconoscibile la cultura dei fiori anglosassone) 44 parte integrante dello statuto della narrazione, spesso prevalente rispetto alle descrizioni del paesaggio.45 Lantropologo, il filosofo, il romanziere, il saggista-viaggiatore, il poeta sanno bene che la fine dei vestiti arcaici ineluttabile: Si pu dire che la tendenza dello spirito moderno aveva scritto Giacomo Leopardi nello Zibaldone di ridurre tutto il mondo una nazione, e tutte le nazioni una sola persona. Non c pi vestito proprio di nessun popolo, e le mode in vece desser nazionali, sono europee:46 distinguersi per maggior somiglianza, il tratto moderno della moda che Leopardi il primo a individuare. La moda che detta legge al sentimento, alla pratica del bello, allemulazione sociale (limpulso moderno di uguagliare ogni cosa), la moda che decreta lopinione dominante in materia di costume, la moda polimorfa e dittatrice, avanzava a piccoli passi anche nei paesi della Sardegna. Dalle trincee del 15-18 molti reduci tornano in grigioverde (D.H. Lawrence ne ricorda la detestabile invadenza: Ovunque andiate, dovunque vi troviate, vedete questo cachi, questo abbigliamento da guerra grigio-verde il simbolo di quella universale foschia grigia che si posata sugli uomini, dellestinzione di tutta la luminosa individualit, la distruzione di ogni selvaggia unicit).47 I vestiti tradizionali duso quotidiano che, rattoppati alla bene meglio, sarebbero stati usati fino a consumarsi, interpretano parti impreviste: a Pattada (nei primissimi anni Venti) i ragazzi indossano lantico costume (su costumene antigu) per mascherarsi a Carnevale, ormai nel paese sono solo tre o quattro gli uomini che lo indossano quotidianamente. 48 Dobbiamo accontentarci di ipotesi sulle fasi di apprendistato e sui tempi di diffusione effettiva delle abitudini vestimentarie postbelliche. August Sander nel 1927 fotografa un campione che non detto sia indicativo: vicino ad Abbasanta, otto contadini allineati, nessuno

indossa il cimiero superbo, tre hanno il cappello, cinque il berretto (su bonette), il pi vecchio in ragas e calzoni bianchi, rattoppi evidenti. La leggibilit dei valori egualitari dellavvenuta democratizzazione delle apparenze sta in quei banali copricapo. Ogni paese potrebbe raccontare la retroguardia vestimentaria locale: a Desulo, nei primi anni Settanta del Novecento, lultimo vecchio vestito con labito tradizionale era gi un personaggio nella storia orale della comunit.49 La scomparsa nelluso corrente del vestito tradizionale femminile segnata da un ritmo pi moderato di rinnovo che stato osservato con attenzione dalle etnologhe (in Barbagia, a Desulo, quasi tutte le donne appartenenti alla fascia det fra i cinquanta e gli ottanta anni hanno indossato il vestito tradizionale fino ai primi anni Ottanta).50 Dobbiamo ricordare alcune funzioni inedite del vestito tradizionale, in circostanze impreviste. La moda moderna degli anni Venti, la pi moderna di tutte le mode (quella che Tarquinio Sini esemplific nel faccia a faccia fra la giovane, non a caso, desulese, in postura di religiosa sorpresa, e la Signorina con gesti e vesti canonici del garonnismo cosmopolita) nascondeva nellincontenibile baldanza femminile gusci di riservatezza. Lenfasi della stampa fascista che esortava le novelle figlie dItalia ad emulare le antenate dellAlma Roma in vista delle Olimpiadi di Amsterdam del 1928 (le prime con partecipazione femminile) si scontrava con la scarsissima diffusione dello sport fra le donne, denunciata dalla stampa femminile pi illuminata. La mancanza di confidenza con
662. Lenci, Bambola in costume di Desulo, anni Trenta. Giocattolo significativo perch destinato senza pregiudizio alle bambine di Venezia come a quelle di Firenze (difficilmente a quelle sarde), facilitato in questo dalle inverosimili trecce bionde e dal faccino anonimo quanto caramelloso. 663. Essev, Maria Jos di Savoia in costume di Desulo, seconda met anni Trenta, terraglia a colaggio maiolicata.

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lo sport agonistico era testimoniata dalle tenute ginniche delle italiane, infagottate, anche nelle gare internazionali e nazionali, in un abbigliamento antiquato e pesante e impiccioso. Il punto estremo dellarretratezza estetica delle squadre italiane testimoniato dalla piccola schiera di sarde che al concorso ginnico internazionale di Firenze si presenta vestita con i ricchi costumi sardi Facevano pena a vederle saltellare sul ripiano di legno con quelle sottanone larghe non so quanti metri e lunghe fino ai piedi, sollevando polvere e ilarit insieme.51 Un tournant, quello degli anni Venti, che le lites sarde vivono allinsegna di una mondanit pi movimentata, t danzanti, merende allaperto, balli mascherati, esportati sulla scena nazionale da Lidel (il raffinato periodico fondato nel 1918 da Rina de Liguoro) che ha il monopolio del racconto dettagliato, da Aosta a Messina, delle eleganze araldiche italiane. difficile interpretare con chiarezza il sentimento di appartenenza alle tradizioni locali dellaristocrazia sassarese paludata nei costumi di Sennori, Dorgali, Bitti, Desulo per il ballo organizzato dal conte Gaspare di SantElia in omaggio al Duca di Pistoia o al Conte di Torino, in visita in citt nella primavera del 1925.52 Berrittas e corittos, credenziali dellantica fedelt dellaristocrazia sarda alla monarchia sabauda, rinnovano la memoria della perfetta fusione sardopiemontese settecentesca. Ancora berrittas e corittos (messinscena immutata, ballo in casa SantElia, senza principi di Casa reale da riverire). Inidonei ai charleston e ai fox della socialit aristocratica, i costumi sardi dismettono il valore emblematico della fedelt. Della scelta fra orbace, panno, lam argento e oro arbitro il gusto individuale. Il poter pescare cos facilmente dal guardaroba folclorico un vestito da maschera prova, oltre che labbondanza di costumi tradizionali, le solide relazioni gerarchiche con i paesi del contado che offrono i panni del travestimento. I veri raduni di eleganza dellalta societ aristocratica testimoniati da Lidel non ammettono nei salotti i vestiti tradizionali regionali. Fra danze a tema (pastor fidi, gitani, pirati, ecc.) e tableaux vivant laboriosi e spettacolari che il bel mondo produce negli instancabili anni Venti, una rarit la Marianna Sirca incontinentata, quadro-vivente interpretato da una gentildonna fiorentina secondo una voga mondano-letteraria (ma labito tradizionale nuorese ha subito interventi arbitrari).53 Negli anni fra le due guerre, lentusiasmo per le tradizioni locali si manifest anche nellarredamento. Linfatuazione della borghesia per i mobili in stile sardo, deriva regionalista dello stile umbertino (salotti, sale da pranzo e da studio), ricorse al panno colorato delle gonne (camiseddas) con galloni giallo o azzurro per foderare i cuscini che fiammeggiavano sul noce annerito dei divani prodotti dai fratelli Clemente. Quando fin lantichit della Sardegna? Si potrebbe suggerire, come data limite, anche una particolare contingenza, interna allevoluzione delle fogge del vestire. La sfilata di moda del 1957 al Padiglione dellArtigianato sardo a Sassari ebbe in Mario Praz un testimone eccezionale. 406

Note

1. Anonimo piemontese 1985, p. 41. 2. R. Barthes 2001, p. 113. 3. R. Barthes, Histoire et sociologie du vtement. Quelques observations mthodologiques, in Annales, n. 3, Juillet-Septembres 1957; ora in R. Barthes 2001, p. 31. 4. Anonimo piemontese 1985, p. 49.
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27. G. Deledda 1995, p. 255. 28. G. Deledda 1995, pp. 85-89. 29. H. von Maltzan 1973, p. 311. 30. D. Roche 1991, p. 506. 31. C. Edwardes, La Sardegna e i sardi, trad. e cura di L. Artizzu, Nuoro, Ilisso, 2000, p. 180. Sui viaggiatori inglesi in Sardegna, cfr. M. Cabiddu, La Sardegna vista dagli Inglesi (I viaggiatori dell800), Quartu 1982. 32. C. Edwardes, La Sardegna e i sardi cit., p. 47. 33. P. Mantegazza 1973, p. 365. 34. O. Wilde, More Radical Ideas upon Dress Reform, in Miscellanies, citato in Cartamodello. Antologia di scrittori e scritture sulla moda, a cura di P. Colaiacomo e M.V. Caratozzolo, Roma, Luca Sossella Editore, 2000, p. 94. 35. R. Carrarini 2003, p. 810. 36. R. Larco 11 maggio 1911, pp. 20-21; R. Larco marzo 1934, pp. 161-176. La diffusione fino agli anni Trenta della cuffietta desulese (e del cappottino assortito) confermata da E. Calderini 1934, p. 60. 37. Donna Maria, Sorelle nostre. Per una nobile impresa di lavoro femminile in Sardegna, in La Donna, 20 maggio 1911, n. 154, pp. 2223; sulle vicende del periodico torinese, cfr. D. Alesi, La Donna 1904-1915. Un progetto giornalistico femminile di primo Novecento, in Italia contemporanea, marzo 2001, p. 222. 38. N.G. Caimi, Lutopia della moda italiana, in La Donna, 5 agosto 1909. 39. E. Gallo 1914, pp. 310-313. 40. L.V. Bertarelli 1918, pp. 19-20. 41. L.V. Bertarelli 1918, pp. 15-16. 42. D.H. Lawrence 2000. 43. D.H. Lawrence 2000. 44. Cfr. J. Goody, La cultura dei fiori, Torino, Einaudi, 1993. 45. A. Hollander 1978. 46. G. Leopardi, Zibaldone, vol. I, Firenze, Sansoni, 1969, p. 100. 47. D.H. Lawrence 2000. 48. P. Gaias, Sa Meliagra. (Lagrodolce del ricordo), Sassari, EDES, 2001, pp. 133-134. 49. M. Carosso 1984, p. 77. 50. M. Carosso individua tre modalit di scelta nellindossare il vestito tradizionale: permanente, parziale, circostanziale; tra il 1981 e il 1983, gli anni della sua ricerca sul campo a

Desulo, durante la prima messa domenicale nella chiesa parrocchiale, cont fra le ottanta e cento donne che indossavano il vestito tradizionale; cfr. M. Carosso 1984, p. 78. 51. M. De Giorgio 1992, pp. 251-252. 52. Gazzettino, in Lidel, 1925, aprile, fasc. 4, pp. 10-11; maggio, p. 19. 53. Gazzettino, in Lidel, 15 giugno 1928, p. 20. 54. M. Praz 1959, pp. 509-513.

Anglista, storico delle arti decorative, del gusto, delle apparenze, vide il primo ed ultimo esercizio di moda regionalista. Le figurazioni stilizzate e simmetriche delle stoffe inserite nelle fogge moderne erano state una proposta di Maria Foschini, direttrice dellESVAM (Ente Sardo Valorizzazione Artigianato Moda). Giacconi sportivi, completi da spiaggia in stile caprese, ecc., accolsero duttili gli innesti ispirati alle produzioni tessili sarde: avevano, peraltro, nobili antecedenti, come nelle prime basiliche cristiane si incastonavano frammenti di romanit, scrisse Praz magnanimo. Allora lisola era povera e intatta e ai viaggiatori come Praz il suo passato non si presentava sfacciatamente come qualcosa di artificiale. Tappeti, cestini dasfodelo, perfino i vestiti sardizzati, non sapevano di art-and-crafty tenuto in vita per attirare il turista, ma ancora penetrato danima, ancora vissuto distinto. Mezzo secolo fa nel paesaggio sardo che odora di sempre il critico letterario dai cento occhi e dalle curiosit sterminate vide unincantata solitudine. Gli ospiti sardi gli mettevano in mano cartoline vistose, di sapore moderno, con allettanti didascalie, Sardegna pastorale, Silenzi primitivi, ed altre con gli splendidi costumi sardi. Verosimilmente ebbe sotto gli occhi anche la Pampanini, procace maggiorata di cui si avvantaggi il costume di Sennori, nellinventiva nuova serie di cartoline turistiche. Basta poco per scompaginare il tempo, la stagione fissa delle cose semplici e eterne, che sembrava antica per sempre.54

5. F. Braudel, Civilt materiale, economia e capitalismo (sec. XV-XVIII), vol. I: Le Strutture del quotidiano, Torino, Einaudi, 1982. 6. D. Roche 1991, p. 14. 7. W.H. Smyth 1998, pp. 165-166. 8. Valery 1996, pp. 166-167. 9. G. Deledda 1995, p. 210. 10. M. De Giorgio, Raccontare un matrimonio moderno, in M. De Giorgio, C. Klapisch-Zuber, Storia del matrimonio, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 307-311. 11. Su Paolo Mantegazza ancora una guida essenziale G. Landucci, Darwinismo a Firenze tra scienza e ideologia (1860-1900), Firenze, Olschki, 1977. 12. Cfr. S. Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in Italia 1870-1925, Venezia, Marsilio, 1979. 13. Cfr. M. De Giorgio 1992, pp. 147-149. 14. P. Mantegazza 1973, p. 357. 15. P. Mantegazza 1973, p. 367. 16. P. Mantegazza 1973, p. 367. 17. Citato in G. Landucci, Darwinismo a Firenze cit., p. 152. 18. P. Mantegazza 1973, p. 369. 19. Citato in R. Barthes, Michelet, Napoli, Guida Editori, 1973, p. 112. 20. P. Mantegazza 1973, p. 369. 21. S. Franchini, Editori, lettrici e stampa di moda. Giornali di moda e di famiglia a Milano dal Corriere delle Dame agli editori dellItalia unita, Milano, Angeli, 2002, p. 253. 22. S. Mallarm, La Dernire Mode. Gazzetta del Bel Mondo e della Famiglia, Milano, Edizioni delle Donne, 1979, p. 87. 23. Citato in D. Roche 1991, p. 33. 24. F. Boucher, Le vtement chez Balzac. Extraits de la Comdie humaine, Paris, Editions de lInstitut franais de la Mode, 2000.

664. Silvana Pampanini in costume di Sennori, in Artigianato Sardo, Cagliari 1957.

25. Cfr. M. Giordano 1983, pp. 154-156. 26. G. Deledda 1995, p. 260.

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Moda e tradizione. Sardegna: una realt da cui attingere


Bonizza Giordani Aragno

La moda vive di rimandi, di sentimenti carichi di nostalgia, produce richieste, accende desideri, alimenta il bisogno etico di produrre manufatti deperibili nati per assurgere a simboli effimeri dellessere umano. Nella nostra societ globalizzata vale ancora quello che sosteneva Simmel: Quanto pi rapidamente cambia la moda, tanto pi gli oggetti devono diventare economici, tanto pi invitano i consumatori e costringono i produttori a un rapido cambiamento.1 La trasformazione rapida ed efficace, fatta di segni usati con i codici giusti che si mescolano attingendo a culture e tradizioni dimenticate dai pi, ma che assumono con luso indiscriminato del taglia-cuci una valenza contemporanea, ambita da tutti perch velata dalla nostalgia, riducendo il passato a ruolo dispirazione. La moda, oltre ad essere immagine che si democraticizza nel quotidiano, anche forma. Essa appartiene alla parte visibile del reale ma come ogni codice estetico travalica la forma e si trasforma in sostanza, diventando artificio e poesia. Come non ammettere limportanza di un capo che indossato riesce ad avere un suo linguaggio, una sua identit? Come scegliere allora i simbolismi inconsci relativi alle forme, al colore, al tessuto e quantaltro, cambiando contesto, cambiando i significati? questo il mistero che avvolge la moda? Il perch una tendenza si dice di moda? Forse perch linterpretazione suscita desideri irrefrenabili? Non vi sono mai segni uguali, la moda riorganizza di continuo nuovi codici soltanto perch ne esistono di precedenti, essa in realt il supporto visivo dei fenomeni che interessano il sociale. Non si pu infatti relegarla solo ad evento mondano: vuol dire avere una concezione ottusa del sistema. La moda va inglobata in campi diversi del sociale: quelli che trattano i temi della vita.
665. Umba (Umberto Giacopazzi), 1956 ca., modelli ESVAM, Sassari, archivio ISOLA. Gli inserti in tessuto sardo a motivi geometrici, selezionati da Maria Foschini, direttore artistico dellESVAM, erano disegnati da Eugenio Tavolara. Perno e motore del progetto dellEnte, che stabiliva unapertura del tessile sardo verso la moda, tali inserti diverranno una costante riconoscibile nelle collezioni firmate da Umba.

La moda al centro del cambiamento delle tendenze, segue le leggi della ripetizione, scadendo poi nellimitazione. Per dare nuove idee modifica il corpo mediante forme, lunghezze, ampiezze: la costante di tutti gli stilisti. La moda vive per la sua diffusione planetaria, capace di sintonia tra lessere e lapparire in quanto terreno di ricerca del s. Al suo interno esistono eccezioni, differenti figure che rappresentano una realt distinta per cronologia e ruolo sociale; personalit che hanno in comune la terra dorigine, la Sardegna, e assieme un interesse nella ricerca, laudacia, lanticipazione, la tecnica, la conoscenza, lintuizione nel dare forma a ci che si vuole rappresentare. Analizzando labito-costume, vi si pu notare levoluzione storica del modello vestimentario, icona fortemente identificabile nella cultura di provenienza ma che presenta unaccentuazione di caratteri modali presi da una coscienza che trae alimento dalla profonda radice esistenziale. E sono diverse le interpretazioni suggerite dalle atmosfere e dalle soluzioni stilistiche pi note, quelle che la globalizzazione produce con il tritar tutto. Diviene interessante rileggere gli stili in una dimensione irta di accentuate differenze, attraverso lopera creativa di designers per la moda che hanno in comune lidentit territoriale, messi insieme dalla radice storica dellabito, per un desiderio comune di contenuti da tramandare. Un filone, quello del costume, che alimenta da sempre il rinnovamento dei canoni modali, nel quale risulta importante la fase della scomposizione, fonte del vissuto e dello stratificato. Applicarsi allimpiego obsoleto di un tessuto, di una piega, di una camicia, di un orlo, oppure di una determinata foggia, per creare una nuova silhouette che esige un costante rinnovamento, per poi partecipare allo spettacolo della vita nei tempi giusti della moda, equivale a tracciare un percorso a ritroso nei luoghi della diffusione di uno stile, in cui i riferimenti alla tradizione sartoriale e allinventiva stilistica sono litinerario. Siglienti: uno stilista ante litteram La citt leader della Sardegna allinizio del secolo XX fu Sassari, polo dinteressi artistici e culturali al di fuori degli schemi creati dallimmagine da cartolina dellisola. 409

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Viveva e lavorava nella citt un gruppo di artisti e intellettuali che credettero in un rinnovamento culturale grazie alle istanze moderniste di inizio Novecento, che port lunificazione dei linguaggi regionali a vantaggio di unarte, una cultura nazionale e italiana. Fu vitale la tendenza ad abbandonare il regionalismo per avviarsi verso unindustrializzazione del folclore.2 Esempi straordinari furono i ricami antichi eseguiti dalla Sardiniae Ars, nata per riaffermare stile e qualit alle lavorazioni industriali oramai invasive del mercato, sulla scia del successo dellomologa societ Aemilia Ars, fondata nel 1898 con il contributo della regione Emilia. Nel ricco panorama culturale sassarese degli anni Dieci e Venti del Novecento, si distingue un giovane, figlio della borghesia illuminata, Nino Siglienti (Sassari, 1903-1929),3 dimostrando subito una profonda predisposizione al disegno, accompagnata da una forte attenzione a quegli oggetti e a quelle cose artigianali fatte in casa che rimandano ad una solida radice storica legata alla terra dorigine. Curioso e attento a tutti i mutamenti culturali, Siglienti sinteress al filone di ricerca nato proprio allora, in cui la tradizione regionale, e soprattutto il costume, costituiva una scelta allinterno della cultura vestimentaria, orientamento che aveva radici antiche e allo stesso tempo sollecitazioni moderne: il costume cambia, si adegua alle esigenze delle mode, alle necessit pratiche. Colpito dallevolversi degli stili e dalla mobilit di unidentit che andava perdendo i suoi connotati linguistici, Siglienti volle affermare attraverso il proprio lavoro lattualit fra tradizione e contemporaneo. Affascinato dalla dicotomia di una societ antica (rurale) e la nuova realt pre-industriale, che poi con landar del tempo diventer sempre pi tecnologica e post-moderna, ne intu la trasformazione epocale, carica di conflitti e di lusinghe. Nei suoi bozzetti di moda si evince quello stile che guardava al Dco internazionale, trattato alla maniera 410

dei disegni primitivi in cui il racconto, dato dal colore, dalla linea e dalla forma, allude agli antichi splendori regionali. Nei suoi progetti il colore, oltre che il disegno, sar determinante. soprattutto la forma dello scialle ad attrarre il suo interesse, vista come le ali fruscianti, che rivelano disposizione erotica e tendenza allintrigo amoroso. Lo scialle ha avuto nella storia un lungo percorso di cui si perdono le tracce: dai Fenici allOriente per poi riemergere nel suo splendore sensuale in Catalogna. Molto popolare in Occidente nel XIX e XX secolo, ha avuto una diffusione paragonabile a quella del kimono in Oriente (importato in Europa allinizio del XX sec.). Era considerato un capo-base dellabbigliamento popolare, accessorio di gran lusso per le donne alla moda. Lo scialle fu lindumento pi in voga,4 che permise allabito una valenza maggiore proprio per la decorazione che ne accentuava lo stile, esaltando la sovrapposizione delle forme. Scialle dunque quale indumento eclettico a carattere autonomo, metafora di unappendice decorativa che Siglienti pot assorbire dalle suggestioni pittoriche del capofila fra gli artisti sardi, quel Giuseppe Biasi suo concittadino. Nino Siglienti, a met anni Venti, decise di lasciare Sassari per Milano. Il pretesto sarebbe stato la frequenza della Scuola Superiore di Agricoltura: entrer in realt come figurinista nel prestigioso atelier di Luigi Sapelli, in arte Caramba, importante figura manageriale e direttore degli allestimenti per il Teatro alla Scala. La terza Biennale Internazionale delle Arti Decorative a Monza, nel 1927, segn il suo successo. Vi present i propri lavori come espressione della sua bottega darte, ambiente allestito al pianoterra della Villa Reale, sede della prestigiosa esposizione, vicino ad altri di noti artisti piemontesi. Colp il pubblico e la critica lallestimento dal carattere moderno, fuori dagli schemi scenografici di Caramba, capace di creare tra spazi e volumi suggeriti

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a stuoia, ad erba, che abbelliva le vesti nei giorni di festa e quello, pi prezioso e di forma rettangolare, in tulle bianco-avorio, leggero e impalpabile, fittamente ricamato e simile ad una mantiglia, da indossare intorno alla scollatura della camisa. Nella sua visione, il grafismo decorativo popolare si trasforma in una sontuosa decorazione dalle linee sinuose cariche di fiori e fronde, in perfetta sintonia con il linearismo Dco.8 La forma geometrica si ripete nella funzione strutturale del capo nato per coprire, proteggere ed avvolgere. Gli scialli di Siglienti, ricamati da COSARIVE (Cooperativa Sarte Ricamatrici Veneziane), furono anche esposti, nel dicembre 1928,9 alla I Biennale dArte Sarda a Sassari e venduti a costo elevato10 insieme a cuscini, tende, tessuti per arredamento e tappeti ricamati; sguardo complessivo nello spirito di un alto artigianato proposto dalla Wiener Werksttte, movimento doltralpe che influenz non poco liter progettuale del giovane artista sardo. Orientamento radicato nei soggiorni a Milano che, nellardente desiderio del fare, lascia intuire le peculiarit di quelleclettica professione, allora sconosciuta, dello stilista. un rigore formale essenziale: La candida teoria di arcate a tutto sesto che cinge le pareti della sala rivela uno spirito non troppo lontano, nella sua semplicit di ascendenza metafisica,5 da un nitore protorazionalista. Il damier del pavimento, luso del manichino-stampella da lui disegnato rimandano agli interni della scuola La Martine di Parigi, diretta da Raul Dufy e creata dal coutourier Paul Poiret. Il senso dellartigianato come strumento didattico per fare moda ben chiaro nelloperare di Siglienti. Considerato un artista ben inserito nellambiente lombardo, la sua attivit spaziava dalla grafica pubblicitaria, al figurino teatrale, ai giocattoli in legno, ai mobili, alle mattonelle in ceramica, ai disegni per ricami e soprattutto alla gi menzionata produzione di scialli in seta, in cui si coniugano quei richiami al Dco di gusto internazionale che definiranno il suo come uno stile anticipatore degli anni Trenta,6 sviluppo purtroppo precocemente interrotto nel 1929 con la morte. Dei suoi scialli di ampie dimensioni, guarniti al fondo da un lunga frangia di seta, se ne conosce lesistenza per una serie di testimonianze orali, e se ne ammira la composizione stilistica attraverso i documenti fotografici in bianconero che rimandano per il colore alle tavole e ai disegni dei figurini.7 I motivi decorativi erano ispirati a tralci fioriti, che si dipanavano intorno al bordo, invadendo talvolta anche il centro. Una rivisitazione del prezioso indumento tradizionale, in un misto tra quello sobrio e ingenuo di lana ricamata con filo a punto pieno,
666. Nino Siglienti, Bottega Siglienti, 1927, allestimento per la III Biennale Internazionale delle Arti Decorative, Monza, Villa Reale, foto depoca. 667. Nino Siglienti, scialle ricamato, 1927, foto depoca. Anche il manichino-portascialle stato realizzato su disegno dellautore. 668. Nino Siglienti, indossatrice con scialle ricamato, 1927 ca., foto depoca.

Il dopoguerra: ESVAM, ISOLA, OECE Nellimmediato dopoguerra, in pieno risveglio della Moda Italiana, abiti e accessori dispirazione sarda tornarono ad interessare quelli che facevano moda. Capi in piena tendenza firmati anche da prestigiose sartorie dAlta Moda come le Sorelle Fontana a Roma o Noberasko a Milano ecc. elaborati nei tessuti e nei ricami per una valorizzazione di un artigianato forte di preziosi tessuti rustici, merletti, ricami. Nasceranno una serie di attivit istituzionali, tra le quali una delle pi importanti in Sardegna sar costituita dallESVAM (Ente Sardo Valorizzazione Artigianato Moda), sostenuto dallAssessorato al Lavoro e Artigianato della Regione Autonoma. Lidea per un Ente sifatto si former tra il 1951 e il 1952, inizialmente per volont privata, caldeggiata tra gli altri dallallora sindaco di Cagliari Luigi Crespellani, il segretario regionale della Confartigianato Giorgio Meli,11 il mobiliere Marino Cao e la signora Laura Migliavacca, amica cordeliana della intelligente e brillante giornalista esperta di moda Maria Foschini. Corrispondente per Cordelia e residente nella capitale, Maria Foschini incaricata della direzione artistica dellESVAM. Sar la coppia Meli-Foschini a visitare i vari laboratori dellisola per la selezione dei tessuti da impiegare nei capi sartoriali. Con Maria Foschini e lESVAM si attua un esperimento suscettibile di notevoli sviluppi nel settore della haute couture. I motivi del costume sardo assumono il ruolo di un utile suggerimento dove lo scopo di impiegare la materia prima e la manodopera isolana mettendole al servizio dei creatori della moda.12 In questottica, nel 1951, in un momento decisivo che prepara listituzionalizzazione dellESVAM, era stato coinvolto lallora giovanissimo Roberto Capucci, collaboratore nel laboratorio Foschini appositamente attrezzato a Roma in via Boncompagni. Nasce una prima collezione di circa 70 abiti, 411

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669. Sfilata Grotta Marcello, Cagliari, 1951, foto depoca. Al centro, fra le modelle, lesordiente sarto dalta moda Roberto Capucci mentre raccoglie gli applausi del pubblico al termine della sfilata. Capucci aveva disegnato e realizzato per loccasione circa 70 modelli. 670. Umba (Umberto Giacopazzi), 1956 ca., modello ESVAM, in Artigianato sardo, Cagliari 1957. 671. Umba (Umberto Giacopazzi), 1956, modello ESVAM, in Novit, n. 68, Milano, giugno 1956. 672. Umba (Umberto Giacopazzi), 1954 ca., modello ESVAM, in P. Marica, Orgosolo, Roma 1954. 673-674. Giovanni Antonio Sulas, gonna, 1959 ca., modello OECE, carta con decori a inchiostro, Nuoro, Archivio per le Arti Applicate. 675-676. Giovanni Antonio Sulas, decoro per calzatura femminile, 1959 ca., modello OECE, tempera e pastello su carta, Nuoro, Archivio per le Arti Applicate. Queste tomaie, progettate in seta elasticizzata colore nero o oro, presentano motivi sardeschi da Sulas riletti in piena adesione al gusto anni 50. Alla realizzazione erano chiamate le ricamatrici di Oliena, esperte nelluso dei fili policromi. I preziosi manufatti finali erano destinati al mercato nordamericano.

proposti in una sfilata cagliaritana allestita presso la Grotta Marcello in piazza Jenne, occasione il cui intento ha pi un senso dimostrativo che la consacrazione di un filone di ricerca sardo, ancora da mettere a fuoco.13 Allesperimento, subentrando a Capucci, partecipa pi tardi il disegnatore Umberto Giacopazzi (Umba era il suo pseudonimo) le cui creazioni, fotografate nel 1954 da Scrimali (alcune locations saranno ambientate presso le Saline di Cagliari), vengono indossate, come gi per Capucci, dalla celebre modella di Dior, Ivy Nicholson. Lo spirito delloperazione, centrata sullabito moderno a partire dal reimpiego di tessuti artigianali, ribadito nelle parole di Pasquale Marica che, nel suo libro Orgosolo,14 riportando limmagine di un modello disegnato da Umba, descrive il progetto portato avanti da Maria Foschini (della quale pubblica uno scritto) come uno dei mezzi pratici coi quali si pu saldare lanello rotto che non consente alla Sardegna di ancorarsi del tutto allItalia.15 Loperato dellESVAM sar ereditato dal nuovo Ente regionale ISOLA (Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Artigiano, ufficialmente varato nel 1957) che ne acquisisce i modelli, proponendoli nel corso di una sfilata lanno successivo a quello inaugurale del Padiglione sassarese, vetrina istituzionale aperta dal novembre 1956. Evento che tuttavia posticipa quello di Napoli nel quale gli eleganti abiti dispirazione sarda erano stati presentati il 18 febbraio 1956 al Palazzo dei Congressi nellambito della Mostra dOltremare, accanto alle collezioni di sarti dalta moda italiana gi affermati: erano presenti con i loro abiti Schubert, Mingolini-Guggenheim, Ferdinandi, Giovanelli-Sciarra da Roma, Bellenghi e Pucci da Firenze, Germana Marucelli da Milano, e come giovani promesse furono premiati per i loro abiti Fausto Sarli e Umba.16 Sar il fondatore e ideologo dellISOLA, Eugenio Tavolara (Sassari, 1901-1963),17 a sostenere in Sardegna lattenzione

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sulla moda (lISOLA organizzer altre occasioni di sfilata sino agli anni Settanta), impegnandosi a far conoscere il prodotto artigianale regionale che, grazie ad uneconomia interna, non aveva mai cessato di esistere. Questo ambito sperimentale avrebbe dovuto vigilare e valorizzare il lavoro delle donne dedite al ricamo o alla tessitura, complessivamente intente a costruire con la paglia o palma nana la cestineria, ad annodare il refe dei filet e del macram frangiato. Programma dellISOLA che sul fronte maschile vedeva pure orafi, incisori del legno, bulinatori del cuoio e ceramisti. ancora nel clima di ripresa e riorganizzazione che Giovanni Antonio Sulas (Nuoro, 1911),18 quasi sconosciuto a quelli del settore, realizza opere da sarto dalta moda. Sar designer per lartigianato e larredo dinterni,

collaborando soprattutto col Consorzio Costa Smeralda. Sulas disegna intorno alla fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta, su committenza del Progetto Sardegna finanziato dallOECE (Organisation for European Economic Cooperation), una collezione composta da sciarpe, acconciature da sposa e soprattutto gonne femminili. Per queste ultime progetta su carta i modelli in scala, in modo da poter essere realizzate dalle donne-ricamatrici di vari paesi: Oliena, innanzitutto, ma anche Samugheo, Santu Lussurgiu, Borore. I motivi decorativi, nella loro grafia essenziale, rispecchiano una cultura che rielabora segni primitivi circoscritti in un geometrismo arcaico, quasi caratteri di alfabeti non traducibili (forme e atmosfere che non a caso influenzeranno il pittore Giuseppe Capogrossi, pi volte ospite in quegli anni a Stintino).

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Interessanti sono pure i disegni di Sulas ispirati al primitivo popolare (legno, ceramica, tessitura, oreficeria) della Sardegna, sorta di figurativo arcaico, destinati alle tomaie per calzature femminili, realizzate in seta elasticizzata. I ricami delle artigiane di Oliena, spostati dai bellissimi scialli tradizionali alle scarpe, erano destinati a un vasto mercato il cui termine definitivo era lAmerica. Una cultura della tomaia, in cuoio o altro materiale decorato, che troviamo gi presente nelle scarpe tradizionali della festa, con motivi creati da fili colorati e migrati di volta in volta dalle scarpe femminili sino ai capispalla dei pastori indossati nella giornata buona. Lo stile sardo, lungo il percorso dagli anni Sessanta ad oggi, perder molta della sua identit, ridotto a decoro per lindumento o per loggetto rustico, deprivato della sua funzione pratica. Gli anni Settanta e la riscoperta della tradizione In un periodo di dispersione (ma immediatamente antecedente al movimento di recupero degli anni Ottanta) importante segnalare il lavoro di ricerca, catalogazione ed elaborazione condotto dallo stilista cagliaritano Luciano Bonino (Carbonia, 1951) che, a partire dagli anni Settanta, per primo fra i moderni, legge e propaganda unattenzione verso il geometrismo architettonico riposto nella costruzione dellabito tradizionale. Bonino esordisce nel 1972 come stilista nelle collezioni di Alta Moda per la maison Genova-Roma di Sergio Soldano, applicando elaborati ricami di matrice turca ai giubbini in pelliccia. Lanno seguente apre il suo primo atelier a Cagliari, varando unattivit che prova a radicare nellisola alcune dinamiche della moda: utilizza per i suoi modelli un tipo di jersey prodotto dalla ditta locale Nuova Quirra di Assemini. Verso la fine degli anni Settanta, nella boutique aperta a Cagliari dal 1975, compie con successo linteressante esperimento di tagliare gli scialli tradizionali in boucl (colori nero, blu, marrone) per ottenerne delle giacche-cardigan. Dal 1977 la confezione dei capi da lui disegnati affidata a laboratori esterni. del 1982, sponsorizzata dallISOLA, la sua partecipazione al prt--porter di Parigi, alla quale seguono Milano, Dsseldorf, New York. La figura di Luciano Bonino, dai contorni oggi ben definiti, propone in modelli unici, assorbiti da una ristretta committenza privata o proposti in mostre temporanee (spesso accompagnate da quegli stessi abiti tradizionali allorigine dei suoi ragionamenti compositivi), il costante tentativo di recupero della parte moderna e astratta contenuta nellabbigliamento tradizionale, da lui rintracciata soprattutto nelle lavorazioni insistite delle pieghe a fisarmonica, nella magia delle simmetrie, nella sobria e raffinata eleganza del colore, nel misurato inserto di sontuoso ricamo, nel ricorso allaccessorio prezioso in filigrana, divenuto pretesto per microsculture di grande libert creativa, spesso reinventate anche nella sostanza materica.19 Tuttavia la situazione sarda negli anni Ottanta, per quanti desiderassero cimentarsi nel campo della moda, 414

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stata penalizzata (oltre che coperta e bloccata dal pregiudizio, appena stemperato nellambito dei grandi centri: Cagliari produrr in ogni modo negli anni Novanta la figura di Alessandro Lai, attivo e apprezzato costumista cinematografico e teatrale, di formazione internazionale) dalla fondamentale assenza della filiera, prassi che si potrebbe definire latitante a tuttoggi. Non solo sono mancate le botteghe o le scuole,20 ma bisogna sottolineare come nellisola fosse allora difficile superare le mille esigenze che investono lambito della moda: confezioni, trasporti, comunicazioni, diffusione, reperimento di mano dopera specializzata, ecc. Prassi oggi forse in via di superamento. Basti pensare inoltre che la prima pubblicazione specifica sullabito tradizionale, al di l del gran parlare sullargomento, databile solo al 1981. Firmato da una fotografa, Chiara Samugheo, e arricchito da un saggio della studiosa Enrica Delitala,21 il testo iniziatico e ancor oggi
677. Luciano Bonino, Trame di luce, collezione 1990, dettaglio di un modello femminile, fotografia di Daniela Zedda. Interessante la riproposizione del bottone sardo, accessorio che costantemente ha attratto linteresse dello stilista, qui, in un chiaro riferimento agli orecchini di tradizione mediterranea in oro e corallo (racles). 678. Luciano Bonino, camicia, 1992, foto archivio Bonino.

interessante per gli orientamenti di gusto che esso segnala, dovuti a tutti quei gruppi folcloristici, soprattutto quelli di recente formazione, che, come sostiene letnoantropologo Paolo Piquereddu in questa stessa pubblicazione, hanno assicurato continuit vitale allabito tradizionale, pur apportandovi vistose modificazioni. Antonio Marras: fare moda dalla Sardegna I riferimenti alla grande pittura di Giuseppe Biasi, alla tradizione artigianale delle donne di Ittiri, alle fotografie ingiallite, traccia e ricordo di volti sbiaditi, di corpi vestiti di anonimi emigranti, alle storie-leggenda di figure femminili eroiche e umane, presenze nelle sere dinverno nelle tradizioni contadine, ricompaiono intense e aggiornate dopo tanti anni nelle collezioni di Antonio Marras (Alghero, 1961).22 Con lui rinasce vigoroso il filone costante e continuo di ricerca nella tradizione sarda, non solo per quella strettamente legata al taglio degli abiti ma soprattutto (forza e novit di Marras) alle atmosfere, alle storie, alle percezioni e suggestioni ad essi intrinseche o legate; ricerca improntata sulla primitivit, ingenuit, e schiettezza.23 Sar proprio lalgherese Marras a risvegliare con la sua arte in ambito internazionale un forte sentimento di riscoperta di antiche culture legate alla tradizione medi-

terranea con preferenza per la Sardegna. Un figlio della sua terra, un isolano del secondo millennio. Antonio Marras ha modificato e ampliato ogni forma di comunicazione come scelta semiotica, allinterno di quel patrimonio culturale non solo del costume ma dellarte, della letteratura, della mitologia arcaica dellisola, dei simboli antichi e dei materiali tradizionali alfabetizzati come sapiente simulatore di battaglie gi vissute, in una visione narrativa in cui la violenza della storia si veste di glamour. stata una necessit tra il tempo della tradizione, le tendenze internazionali del fare moda e il rapporto con larte che hanno permesso a Marras quella indipendenza linguistica che ha caratterizzato la sua ricerca. Si servito delle nuove tecnologie e della contemporaneit dei messaggi, alternate allantico modo di fare artigianato, per alimentare quelluniverso di segni tra lonirico e il letterario, evocando volta per volta magiche presenze. una cerimonia antica e sacra quella della vestizione che Marras propone ogni volta nelle sue performances. Vero rifiuto ultraconsumista della moda a favore di unancestrale tradizione vestimentaria pensata per una donna quale parte centrale di una societ matriarcale. I gioielli in filigrana, gli amuleti, le trine, le tele ricamate per lui dalle donne di Ittiri, gli intarsi di tessuti preziosi e poveri assemblati da mani artigiane sono i frammenti di un discorso tra storia e contemporaneit che lo stilista non ha mai interrotto. Il tutto recuperato, studiato nelle varie soluzioni sempre diverse tra loro ma stilisticamente precise. Labito-costume nella sua struttura compositiva ripetitivo nei secoli, si trasforma con Marras in un serbatoio di suggestioni. Marras si presenta in maniera diversa dal solito look prevedibile e crea da subito un interesse curioso. Il suo messaggio ha travalicato i confini delllite ed ha conquistato i giovani. I costumi hanno preservato una serie di dettagli preziosi che messi insieme danno una visione particolareggiata di unantica societ rurale che viveva di pastorizia nelle aree interne montuose, di agricoltura nelle distese pianeggianti e di pesca sul mare; ovunque le donne erano attive nellabitudine industriosa del lavoro artigiano. Labito-costume sardo, come si pu constatare (si vedano quelli nella raccolta del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, a Roma, o altri presso il Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde, a Nuoro), non ha subito radicali cambiamenti in questi ultimi tempi. Esso rimasto fedele alla tradizione, si ossidato nei musei ed forte nella memoria degli isolani, presentandosi generalmente integro da contaminazioni immediate.24 Questa immobilit, questorgoglio di esistere, questo intendere un vivere fatto di lavoro il rituale che ha permesso ad Antonio Marras di esprimersi con nuovi e antichi canoni fuori dal coro, forte di una vastit di soluzioni innovative. Marras, che non ha mai frequentato scuole di stile, si impadronito, da buon isolano, di questa cultura che per nascita gli appartiene, ha celebrato con la sua moda una 415

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rinnovata identit culturale e dalla sua terra dorigine ha preso spunto per narrare le sue collezioni dAlta Moda che nascono dallidea di una tradizione etnica estetizzata e primitivizzata. Il percorso di questo singolare stilista non mai fine a se stesso. un appuntamento stagionale in cui vengono presentate cose da indossare che si arricchiscono volta per volta dinterventi sartoriali, di intuizioni stilistiche, di storie, di racconti che ogni volta stupiscono in un crescendo. Collezioni che segnano nelliter creativo una ricerca tormentata da cui lo stilista parte per mai arrivare. Nella sua prima collezione, presentata a Roma nel 1996, fu importante il contrasto tra barbarico e sontuoso per dare alle forme uno spessore. Il tutto sottolineato dalle trasparenze, dalle leggerezze e dalle fragilit in contrasto a forme che drappeggiavano i corpi in tessuti lavorati a mano. Fu lanno in cui la stilista giapponese Rei Kawakubo sbalord Parigi con luso crudele delle protesi che modificavano la figura femminile, rendendola deforme, cercando nellinnaturalit una frattura con lo stereotipo di bellezza edulcorata e commerciale in auge da troppo tempo. Unoperazione di rottura che Marras intu e che interpret alla sua maniera, guardando verso il patrimonio mitico e leggendario della sua terra: donne come fate gigantesche con abiti che per la loro forma non permettevano un atteggiamento banale. Abiti non solo di lusso per donne esclusive ma indumenti nati per vestire antiche leggende, mescolate a realt urbane, stratificate dal tempo e dalla memoria per il recupero dellautentico. Eppure Marras non si accontent di sole citazioni del passato n di soli dettagli, bens analizz le esigenze della vita quotidiana, servendosi dinterventi preziosi, alternati a manipolazioni come bruciature, slabbrature a vivo sul tessuto. Importante fu lapporto di Maria Lai,25 straordinaria artista e musa ispiratrice, che seppe idealmente dare alla collezione il suo contributo concettuale: la moda guarda larte visiva e viceversa. Gli anni Novanta, per una forte connotazione democratica, hanno segnato un vestire diverso con la scoperta dellusato (vintage), inteso non come bisogno economico ma come ricerca per un mercato saturo di moda.
679. Antonio Marras, Adelasia di Torres, collezione Alta Moda autunno-inverno 1998-1999, foto archivio Marras. Marras costruisce le sue collezioni mediante il racconto: la grande cappa rigida dalla quale emerge la testa della modella-regina, ricoperta di ornamenti e simboli, costituisce leco formale della rocca di Burgos o piuttosto di monte Gonare in Sardegna: Montagna sacra, metafora delluniverso femminile. E i fianchi della montagna sono campi arati realizzati con i tessuti dei quali pervasa lintera collezione, per la quale questo modello, in sfilata, ha costituito apertura e riassunto. 680. Antonio Marras, Adelasia di Torres, collezione Alta Moda autunno-inverno 1998-1999, foto archivio Marras. La gorgiera ricavata da una gonna plissettata del costume di Ittiri.

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681. Antonio Marras, Il sogno di andare restando, collezione autunno-inverno 2000-2001, foto archivio Marras.

Lusato ha dato accesso ad una miriade di stili, livellando in maniera impressionante le scelte, alimentando il vasto mondo del consumo. Marras, abituato a guardare gli abiti della sua gente, nellusato cerca i contrasti e le forme trattando gli elementi base dei capi come parti vitali della propria emotivit. E il costume sardo usato come spartiacque fra passato e presente. Con la collezione primavera-estate 1998, lo stilista arriva allabito destrutturalizzato, riletto attraverso una visione interdisciplinare dei linguaggi. Gli indumenti vengono trasformati, frantumati, ripresi e slabbrati da interventi artigianali fatti dintarsi di pizzo; si aggiungono alle lane ruvide maschili i broccati e i nastri con ricami in filo e paillettes, alla stessa maniera con cui le donne sarde decoravano lo zippone da festa. Ancora per lAlta Moda, collezione autunno-inverno 19981999 (Galleria Nazionale dArte Moderna, Roma), la protagonista la regina medievale Adelasia di Torres, morta rinchiusa nella torre dove era stata segregata. Colpisce la costruzione del mantello-icona dalla forma grandiosa: montagna, tessuti giustapposti come campi arati, cono rigonfio, rigido e avvolgente, simile a sale, simbolo di ricchezza per una societ arcaica, statua che nasce dal lago di Baratz alle porte di Alghero. Sale, acqua, per una regina che indossa preziosi cristalli, ricami pietrifi-

cati che si scontrano con la rude realt materica. Creare nuove immagini evocative con la complicit degli stili, contaminando linformale e il formale in un fantastico segno dequilibrio in cui il riferimento al costume sardo per immagini e per materie costante. Marras lo tratta alla stessa maniera sacrale di come Yohji Yamamoto ha usato il kimono, ma per il giapponese tutto ridotto allessenzialit della forma, per Marras dettaglio, frantumazione, racconto. Labito-costume, sia maschile sia femminile, ha nella camicia di lino, di cotone o di canapa un elemento basico. La camicia pu essere allungata, larga o corta, con o senza collo, spesso ricamata, pieghettata, fornita di asole, guarnita talvolta da accessori in argento (gemelli); i polsini per la donna spesso sono sapientemente ricamati in tinta. Non a caso Marras ha scelto questo indumento da cannibalizzare, facendolo protagonista di due collezioni presentate a Milano per Sans titre. La camicia un indumento che per lo stilista non presenta sostanziali differenze tra femminile e maschile. Costruita di cotone dai diversi pesi, lino o canapa, essa presente nellabito-costume e sindossa quasi sempre direttamente sul corpo. Essa diviene per Marras pretesto per un fantastico esercizio di stile. La camicia, visibile, vive di piccoli accorgimenti (le differenze sono dovute al tessuto, come nei cotoni classici da uomo) assumendo forme che si allungano a tunica da educanda, sopra grembiuli a piegoni e gilet nei toni del grigio come indumenti da lavoro. Il tutto prodotto in Sardegna, tessuto e confezione artigianale, dalla griffe emblematica Sans titre. Un esperimento interessante che mette in luce il rapporto tra imprenditoria locale e stile, un metodo promozionale che aveva avuto un precedente regionale con lESVAM. Anche per difficolt gestionali, lesperimento finir ma la camicia sar presente nelle successive collezioni di Antonio Marras, il filo conduttore nel primo prt--porter, collezione autunno-inverno 1999-2000, a Milano, dedicata alla poetessa Annemarie Schwarzenbach. Lemancipazione femminile si tutelava allinzio del Novecento sotto le spoglie dellandroginia. La camisa, uno dei pezzi arcaici del costume stesso,26 viene presentata da Marras in una serie realizzata in candido popelin, abbinato a morbidi tweed mescolati a sete indiane, velluti e preziosismi e morbidezze alternate a linee severe dai caratteri maschili; i colori severi vivono nel gioco dei rossi, segnali forti e decisi come i bordi delle cimose, in una mescolanza di tessuti pregiati (panno, velluto liscio o operato, broccato). Una citazione che ritroviamo negli abiti femminili regionali, per la festa, al fondo delle pesanti vesti pieghettate o nel doppio petto dei corsetti (imbustu, cosso). Altere composizioni minimali, decostruite, che narrano di un nomadismo urbano. Piccoli segni di un passato da opporre al consumismo degli abiti griffati, per una moda democratica. Per il prt--porter primavera-estate 2000 che sfila a Milano le cose cambiano, il pubblico diverso, diventa importante il prodotto. La moda, frutto di necessit sociali e 417

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formali, non pi distinzione di classe. I vestiti si esprimono quali linguaggi in cui il sociale vive solo come citazione. Non il nuovo o il vecchio il motore di una diversificazione ma il desiderio che spinge a scegliere di indossare gli abiti. E Marras narra di un parco allinglese fiorito, creato nellarida Sardegna da una esule. Un contrasto di desideri, un bisogno di contaminazioni. A Marras sono permessi tutti i codici estetici, purch siano rispettati gli estremi. La moda sinserisce nellarte, reinventando i ruoli, rendendola popolare. Per Eleonora, judicessa dArborea, Marras disegna la collezione primavera-estate 2002. Sono abiti illustrati da acconciature incredibili, create da pezze vintage come giacche arrotolate cosparse di metallo alla maniera di una preziosa filigrana, oppure bisacce di feltro con puntali e bottoni filigranati, immagini suggestive che ricordano i ritratti di Biasi dedicati a Teresita e a Tetesedda. Ogni singola parte dellabbigliamento vive una sua identit, architetture che sincastrano con abile sapienza nel gioco delle proporzioni in cui la bellezza corporea si abbina allabito razionalmente studiato: le lunghezze variabili del gonnellino nero (ragas o carzones), indossato sopra i pantaloni, si prestano ad ogni trasformismo dei generi tra allegorie, citazioni e memorie. Anche il mantello vive il suo momento, presentandosi nella sua fattura semplice: due rettangoli cuciti fra di loro su due lati consecutivi, e sul petto lacci come fermagli: Marras cerca di abbattere le barriere fra tradizione e contemporaneit, tra forma e materia, tra ruolo e personaggio, tra scena e racconto in una visione atemporale. Le modelle delle sue performances non sono qualsiasi ma scelte, vestite, truccate con una professionalit da pice teatrale. I capi risaltano su questi corpi gracili e dai volti severi che interpretano lidea registica dello stilista. Un fenomeno glam con connotazioni biografiche. Importante il luogo di svolgimento della storia, che va disegnato con elementi scenografici che definiscono la poetica della collezione. ancora il trip, il leitmotiv della prima collezione uomo, primavera-estate 2003, a Firenze. Il personaggio Costantino Nivola, artista noto e autorevole che emigr a New York e che soffr come tutti gli isolani di nostalgia.27 Linvito alla sfilata era un fazzoletto maschile che racchiudeva un pugno di terra sarda e i versi finali di una bellissima poesia di Nivola: Anchio come te non ero nato per vedere il mare. Sfilano uomini che indossano abiti in velluto dai tagli sartoriali e con la berretta in testa, una tradizione nellabbigliamento delluomo sardo ancora presente ad Orune con il sarto Giovanni Porcu, detto Papassedda, e ad Orani con Paolo Modolo.28 Un passaggio epocale tra strapese e stracitt: sfilano insieme uomini che indossano il gabbanu e la mastruca accompagnati dai suoni duri dei mamuthones, maschere popolari con campanacci, ricoperti di pelli di pecora in contrasto con operai che vestono panni ruvidi e T-shirt colorate, scritte e slabbrate. Unevocazione di realt ur418

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bana contemporanea e il ricordo lontano di un paese ancora vivo nel suo orgoglio isolano. Il futuro da esplorare Da Anversa, citt antica del Nord Europa, arriva un altro aspetto della Sardegna.29 Questa volta un nomade che ha scelto di vivere lontano dalla sua terra, sublimandola attraverso i contrasti e le provocazioni. Un giovane talento che lavora intorno ai temi della ricerca in cui lorigine antica il riscatto per lindividualit. Angelo Figus (Cagliari, 1975) figlio di una madre sarta; tutte le donne della famiglia materna sono sarte, da loro ha appreso larte del cucire, mentre suo padre, figlio di un pastore, scegliendo il mestiere del macellaio, gli ha trasmesso, dice Figus con ironia, lamore per il taglio.30
682. Angelo Figus, Quore di cane, giugno 1999, fotografia di tienne Tordoir. Labito-involucro, memoria di ataviche stratificazioni culturali, evidenzia la fragilit dellessere umano che lo indossa. 683. Angelo Figus, Abracadabra (Su pilloni e ferru), collezione primavera-estate 2001, fotografia di Marleen Daniels. La stessa formula magica accomuna queste scarpe affusolate, che Figus immagina in grado di trasformarsi in ali per i piedi, e laereo (luccello di metallo).

Per Figus stato fondamentale lincontro stimolante con Linda Loppa, la direttrice del Dipartimento di Moda dellAccademia Reale di Belle Arti ad Anversa, che con grande sensibilit e competenza ha seguito i suoi studi. Alla fine del corso, Figus presenta il suo Graduate Colletion (1999), dal titolo Quore di cane. Un lavoro di moda maschile ispirato al nonno pastore, un omaggio alla sua terra dorigine attraverso il mantello-capuccio. Il suo stile asciutto interagisce con labito, il corpo e le forme che vi gravitano intorno. Lo spazio elemento coagulante, materia forte ed arcaica, creata da lui con la manipolazione del materiale che sembra feltro o orbace; la forma ricorda il gabbanu ma pi avvolgente, ha il colore naturale del cuoio, ma feltro. Interpreta la Sardegna come la terra del futuro, madre di forme pulite e primordiali che definisce lecorbusieriane, forti come il nuraghe: stile essenziale tra architettura e natura che gli suggerisce forme scarne, prive di bellurie. Simbolo-totem di una cultura rupestre. Nascono allora forme simili ad architetture razionali e organiche allo stesso tempo, scolpite per un corpo nudo e con drappeggi complessi, volumi e vuoti per restituire allindividuo la sua primordiale natura priva di stagioni, senza tendenze, fuori tempo e astorica, priva di feticci in una sintesi scultorea nella quale il corpo diventa arte. Il tirocinio per la costruzione di questa collezione in feltro lavorato a mano, trattato con la cardatura e poi la filatura (tecniche per arrivare al panno), loperazione ultima di una manipolazione effettuata sul tessuto grezzo. Labito-involucro ha il colore caldo della lana non tinta, materia scelta da Angelo Figus come segno, simbolo di calore, matrice e madre dal generoso grembo. Egli sceglie il ruolo difficile di viaggiatore cosmico, elabora lesercizio delle acquisizioni di memorie per esprimere il disagio di unepoca ipertecnologica che ha procurato solo disastri. Ha successo ed invitato a Parigi per lhaute couture. Critico per gli eccessi dinformazione, dice che bisogna esserci nati con labito-involucro. Questo permette di comporre quel filo diretto tra fisicit corporea e materia, per arrivare ad una finalit estetica. E il tutto nasce specificamente per unesigenza di corporalit. La prima collezione autunno-inverno 2000-2001 di prt-porter, presentata in marzo a Parigi, un coinvolgimento totale oltre il corpo, una progettualit oltre la fisicit multifunzionale, interfacciata con sistemi di riproduzione tecnologica estrema. Coraggioso, intenzionato a confrontarsi con mezzi evoluti della propria storia. Sfilano fanciulle accompagnate dalla voce di Maria Callas che canta son giunta nei panni di Eleonora ne La Forza del destino. Indossano abiti in lana, feltro e velluto, in una rivisitazione post-moderna. Lispirazione costituita dalle forme dei mobili di una casa vissuta da donne, ibridazione tra contemporaneit e passato, il sof come curva femminile, corpo come silhouette, per una dimensione nuova. Una dimostrazione simbiotica tra forme inanimate e forme umane. La natura che si riappropria della pel-

le con cui ricoperto il sof e delle piume con cui fatto linterno dei cuscini: lerotico, il materico, in una concentrazione spirituale di purezza. Bisogno di spaziare tra forme inusuali, versione di un tecnocorpo che cita corpi in forme rinascimentali, apportando protesi visibili, sontuosit di larghi cannelli, di buion, di pieghe e volute dettate da unesigenza di travestimento, per il bisogno di storicizzazione dei racconti e dei luoghi con una precisazione senza senso, coinvolgendo in una performance funzionale la moda che diviene opera darte. Decisivo in questo lintreccio tra mobilit intellettuale e globalizzazione degli stili. Performance come seduta alchemica, rito e cerimonia terapeutica, fase preparatoria, intorno ad una figura centrale femminile tra danza cerimoniale e rituale. Scansione ossessiva nellattuale processo di omologazione culturale, larcaico e il primordiale che diventa e si trasforma in un racconto fatto dincubi e di autodistruzione. Lultima collezione autunno-inverno 2002-2003 pi moda, una ricerca ironica e surreale delle forme, che presenta nei dettagli camicie, gonne, giacche, cappelli e scarpe; una voluta citazione alle stravaganze del Novecento, secolo della moda. In una summa di fatto a mano, ogni pezzo un total look nella ricerca del comunicare emozioni. Le vesti sono da indossare a strati in una sorta di confidenziale rapporto con il corpo; il soprabito senza maniche di pelle conciata, oppure veste senza maniche in pelli dagnello o di pecora come quelli in uso tra i pastori; le scarpe, fatte a mano alla maniera dei calzolai sardi, hanno un verso solo, il tacco di cuoio e la tomaia battuta, con le stringhe, di colore naturale.31 Si privilegia la donna-icona, tra seduzione mondana e universo grandioso. Il teatro affascina Figus nel 2000: nascono i costumi per Ugo Rondine a Gand, in Belgio, ad Amsterdam per Claude Vivier, in Rves dun Marco Polo, e per il Lohengrin di Wagner nel 2002. Ultimo appuntamento lallestimento concettuale per la mostra dal titolo Genovanversaeviceversa. La moda per Angelo Figus importante ma solo una parte del suo iter creativo, il futuro tutto da esplorare. Indubbiamente, essere figlio della Sardegna una realt da cui attingere.

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Note

23. G. Altea, M. Magnani 1998, p. 19. 24. Allinizio del secolo, fino agli anni Cinquanta, ci fu una vera e propria mobilitazione popolare che chiedeva di preservare, conservare e garantire una serie di esemplari dabiti come testimonianza di un patrimonio tradizionale di manufatti. Questo interesse, alimentato da un insieme di iniziative istituzionali e da studiosi, ha formato una coscienza e una conoscenza del valore non solo delle fogge, ma anche della ricerca sulluso delle materie, delle tinture, dei ricami, degli interventi e delle stratificazioni che il tempo ci ha tramandato. La posizione geografica dellisola, il suo essere circondata dal mare, se da un lato ha limitato o ha reso difficile i contatti, ha per altri versi preservato integra la sua tradizione, che abbraccia oltre al costume anche il folclore, la lingua e le strutture socio-economiche. La scelta di tanti giovani stilisti di ispirarsi alliconografia attinta ad una salda ed orgogliosa tradizione la dimostrazione di come le forme scelte nelle varie tipologie vestimentarie di diverse classi sociali, di paesi differenti, abbiano in comune labito: immagine sobria ed austera per luomo, elegante e preziosa per la donna. Liconografia legata in particolare allo studio della forma nella tradizione del costume sardo rivela unautonomia di linguaggi da sempre sentita e sottolineata dai piccoli dettagli che permettono una sostanziale diversificazione. 25. Maria Lai nata a Ulassai (NU) nel 1919; allieva di Arturo Martini, ha sviluppato dal 1958 a Roma la sua ricerca. Trasferitasi in Sardegna nel 1994 vive e lavora a Cardedu (NU). 26. P. Toschi 1963, p. 49, nota. 27. Costantino Nivola nasce a Orani (NU) nel 1911, luogo che oggi ospita un Museo e una Fondazione a suo nome. Muore a East Hampton, Long Island, New York, nel 1988. 28. Sono queste, tra le tante sparse nei vari centri, le sartorie pi conosciute anche perch vantano tra i loro clienti molti personaggi noti dello spettacolo, dello sport e del mondo politico nazionale e internazionale. Questo aspetto rende evidente come, da una decina danni a questa parte, si possa realmente parlare di fenomeno circa il risveglio dinteresse verso labito in velluto (per questo argomento si rimanda al saggio di Bachisio Bandinu e a quello di Marco Vannini in questo volume), che esce dallambito agro-pastorale per divenire simbolo distintivo di eleganza (esito analogamente portato alla ribalta da Dolce & Gabbana per labito in velluto e coppola di matrice siciliana). 29. Nella Sardegna contemporanea, anche sulla scia di un riconoscimento e di una attenzione mai riscontrati prima per la moda sarda allinterno di quella italiana, si assiste ad appuntamenti oramai cadenzati e costanti: Monte Gonare (Orani), Scalinata di Bonaria (Cagliari), Piazza Eleonora (Oristano), Moda Mare (Porto Cervo), sostenuti da figure molto attive, responsabili di altrettanti atelier sartoriali, quali Paolo Modolo, Francesca Pilotto (nota per avere messo a punto un tessuto composto dal sughero, risorsa locale), le Sorelle Piredda, recentemente presenti alle sfilate di prt--porter di Milano. Questa indubbia vivacit regionale, oltre che tenere viva lattenzione dei media sul settore, ha avviato la formazione e il consolidamento di quella filiera della quale lisola soffre

ancora la mancanza: stampa specializzata, fotografi, documentaristi, grafici, editori, ecc., oltre che del pi agevole consenso da parte del largo pubblico. 30. Angelo Figus frequenta il Liceo Scientifico ad Oristano. Vuole fare larchitetto e decide discriversi al Politecnico di Milano, frequentando (con poco entusiasmo) i corsi di Architettura. Sfogliando i giornali conosce i Sei dAnversa e stabilisce definitivamente di frequentare, a partire dal 1996, il Dipartimento di Moda presso lAccademia Reale di Belle Arti. Scopre con gioia che in questa citt di trecentomila abitanti si pu vivere e studiare con poca spesa e con serenit. Si getta a capofitto in quattro anni indimenticabili. LAccademia offre la possibilit di una sperimentazione costante e allargata. Si pu lavorare in laboratorio, oltre alla frequentazione delle lezioni teoriche, e soprattutto si possono concretizzare le individuali elaborazioni in piena libert, con il supporto intelligente dei docenti. Qui Figus completa la sua formazione mediante lo studio delle materie di Arte, Figura dal Vero e Storia del Costume. 31. Le calzature tradizionali della Sardegna, di difficile reperimento, sono ampiamente documentate, sia nella variante maschile che femminile, nella straordinaria raccolta di abiti tradizionali sardi del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma.

1. G. Simmel 1985, p. 49. 2. Seguono la scia di un artigianato artistico di grande valore, le ceramiche Dco di Federico Melis e i giocattoli di legno e stoffa dalle forme cubiste della casa ATTE, di Tosino Anfossi ed Eugenio Tavolara. Anche larte figurativa dimostr gli stessi interessi, cerc nella propria cultura dorigine spunti per esaltarne i contenuti. In ambito sassarese furono alcuni pittori a raccontare la propria terra con magica poesia, come Giuseppe Biasi e Mario Delitala. 3. Per Siglienti cfr. il volume monografico a lui dedicato di G. Altea, M. Magnani 1989. Nel 1922, lanno in cui termin gli studi allIstituto Tecnico La Marmora, Nino Siglienti fu preso totalmente dalle arti applicate e visse con partecipazione attiva il clima artistico sassarese. Allinizio lo troviamo coinvolto dai soggetti isolani, sinteress agli ornati, alle decorazioni in ceramica tra il rustico e il fiabesco; grande amico di Eugenio Tavolara e Mario Onofaro, formarono insieme un vivace trio, sognando dimporre nel Continente uno stile sardo attraverso il filone popolare delle arti decorative. Tavolara e Anfossi emergeranno con i pupazzi, mentre Siglienti con la sua bottega milanese. Il soggiorno a Milano fu un periodo doro per il giovane che si ciment su vari fronti delle arti decorative non ultimo la moda. Apprezzamento confermato con la III Biennale Internazionale delle Arti Decorative di Monza alla quale furono invitati, dopo una severa selezione, solo due artisti sardi: Melkiorre Melis con opere in ceramica e Nino Siglienti con la bottega. Per un approfondimento sul clima artistico della Sardegna del primo Novecento si veda, G. Altea, M. Magnani 1995. 4. Non a caso la nota ditta Carlo Piatti, nel 1925, band un concorso nazionale per disegni di gusto moderno destinati al tema dello scialle in seta (G.R. Fanelli 1986). 5. G. Altea, M. Magnani 1989, p. 57. 6. G.R. Fanelli 1986. 7. Archivio Siglienti, Grottaferrata, Roma. 8. G. Altea, M. Magnani 1989, p. 61, fig. 44. 9. Lanno successivo, nel 1929, la Sardegna vide lo svolgimento di un importante evento: la Mostra dellArtigianato. Questa fu un riepilogo di quella bella stagione del Dco di cui fecero parte Nino Siglienti, i fratelli Melis, Tarquinio Sini, Tosino Anfossi, Eugenio Tavolara, Edina Altara, Loris Riccio e le sorelle Coroneo, un drappello che anim un filone artistico che

seppe imprimere un rinnovamento a quelle istanze regionalistiche, prima che la creativit isolana si trasformasse in stile sardo. 10. G. Altea, M. Magnani 1989, scheda p. 181, fig. 41. 11. Nostro cortese informatore in questa occasione. 12. M. Foschini 1957, p. 55. 13. da questa congiuntura che alcune signore cagliaritane vestiranno in quegli anni abiti Capucci, anche in particolari occasioni come quelle legate al matrimonio. il caso dellabito da sposa e di un altro da ricevimento non solo disegnati ma anche cuciti (testimonianza diretta della proprietaria), verso la fine degli anni Cinquanta, dal celebre sarto dalta moda, unici superstiti di un pi vasto guardaroba, in collezione privata cagliaritana; la stessa dalla quale provengono due interessanti fotografie della sfilata 1951, ambientata nella Grotta Marcello (fig. 669); limmagine non pubblicata riprende il solo Capucci a figura intera mentre, tra gli applausi del pubblico cagliaritano, attraversa la passerella. 14. P. Marica 1954. 15. P. Marica 1954, p. 241. 16. B. Giordani, Fausto Sarli, cinquantanni di stile italiano, Roma 2002. 17. Per un approfondimento dellopera di Tavolara, massimo designer sardo per lartigianato, si veda il volume di G. Altea, M. Magnani 1994. 18. Per un approfondimento sulla figura di Giovanni Antonio Sulas cfr. G. Altea, M. Magnani 2000, pp. 155, 165, figg. 160a-b. 19. In uno scritto introduttivo a scopo didattico, composto per descrivere il proprio lavoro e soprattutto gli esordi di esso, inserito nella mostra del 2001 titolata Le pieghe del presente, da lui allestita nello spazio comunale del Lazzaretto di Cagliari, Luciano Bonino scrive: Il colpo di fulmine avvenne nei primissimi anni 70. Allinterno di uno di quei grandi magazzini al centro di Cagliari con dentro ogni tipo di merce. L arrivavano una volta alla settimana da tutti i paesi della Sardegna con le macchine a nolo, le proprietarie degli Empori. Vestite ormai del loro mezzo costume, gonna a pieghe, camicetta o golfino e scialle di tutti i giorni. Rientravano cariche dei loro pacchi gialli legati con lo spago a riempire i loro: al paradiso delle signore. Erano l, allineate sugli alti scaffali di legno, delle grosse pezze di tessuto di lana plissettato fine-

mente. Alcune sfumavano da tutti i grigi al nero, altre dal verde cupo al grigio-verde, altre ancora da tutti i toni del marrone. Ebbi, credo, la stessa sensazione della moglie di Lawrence durante il suo viaggio in Sardegna, nello scovare in un magazzino una pezza di bordau . Finirono tutte nel mio studio di Castello. Diventarono le prime gonne, sciarpe, stole di ispirazione sarda. Cominciarono ad uscire indossate dalle amiche e dalle prime sparute clienti. Fu poi la volta de sisciallu de ispugna , scialle di lana: nero, blu, marrone, che le donne sarde indossavano e ancora portano tutti i giorni. Divenne una sorta di giacca-cardigan che finiva con le frange di lana, ritorte, dello stesso scialle. Da allora ogni tessuto, passamaneria, bottone, ricamo ed altro fonte di ispirazione per le mie creazioni alla sardesca. Sono state inoltre: trame di luce, pieghe del presente, segni del tempo. Hanno rappresentato la Sardegna allExp di Siviglia, alla Galleria Comunale dArte e Villa Satta di Cagliari, inseguendo lidea di un bello quotidiano. Vanno in giro portate con orgoglio da ogni tipo di donna; ringrazio le pi coraggiose che le hanno spavaldamente indossate in tempi in cui non erano ancora di moda. Continuo ad affiancare questa ricerca ad altre nello stesso settore, certo che il connubio tra arte-cultura-moda e tradizione possa essere lanello di congiunzione tra la nostra isola ed il resto del mondo. 20. La prima scuola sarda che dedica attenzione allinsegnamento di materie inerenti la moda lIstituto Europeo di Design a Cagliari, che apre un Dipartimento di Moda; luogo fecondo (oggi soppresso) a cui tocc il difficile ruolo del battistrada e che resistette, fino a che fu possibile, al nulla intorno. Tra i suoi insegnanti vi troviamo Luciano Bonino, docente di Storia del costume cinematografico. 21. C. Samugheo 1981. 22. Antonio Marras nasce nel 1961 ad Alghero (SS), antica fortezza regia sul mare. Citt, la pi catalana della Sardegna, che domina con il suo golfo una parte del Mediterraneo proprio dirimpetto a Barcellona. il centro nel quale Marras ha scelto di vivere e lavorare. Da qui ha mosso i primi passi verso la moda, da lui affrontati fin da piccolo tra le pezze, un commercio avviato dal padre Efisio (titolare dellomonimo negozio algherese) che ha indotto Antonio ad usarle in maniera creativa e quale mezzo espressivo per la comunicazione. Per un approfondimento sul lavoro di Antonio Marras cfr. G. Altea, A. Borgogelli 2003.

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Sul concetto sistema di vestiario. Due etnografie a confronto


Marinella Carosso

Il problema insolubile finch non si sia definito il sistema in base a criteri interni (Roland Barthes)

Nei miei percorsi di ricerca etnografica ho avuto modo di analizzare numerosi capi di vestiario ricamati, situati in due contesti culturali diversi. In Italia, in ambito rurale, ho colto, attraverso la configurazione dei valori femminili, il funzionamento di un sistema vestiario tradizionale. In Francia, in contesto urbano, ho identificato, attraverso il mestiere artigianale dei ricamatori, materiali, tecniche, stili di abiti ricamati dellalta moda. Le due unit di ricerca sono situate una in Sardegna, a Desulo, paese della provincia di Nuoro; laltra a Parigi. Esse hanno in comune un fatto curioso, la superficie territoriale: i 7.472 ettari di Desulo sono quasi gli stessi della citt di Parigi intra muros. In entrambi i casi i capi di vestiario analizzati sono femminili e, in entrambi i casi, le fonti orali, visive, materiali sono state raccolte a viva voce attraverso la ricerca etnografica sul campo. Tuttavia, ci che differenzia le due ricerche limpostazione teorica che le sottintende. In Sardegna le fonti orali hanno fatto emergere delle preoccupazioni di definizione di ci che un sistema di vestiario ad un dato momento. Mentre a Parigi, fin dallinizio della ricerca, si imposta una problematica focalizzata sulla nozione di stile proprio ad ogni maestro-ricamatore. Ne consegue che le diverse impostazioni teoriche si iscrivono, per quanto concerne lanalisi del sistema di vestiario sardo, nellambito dellAntropologia dellArte, mentre lo studio del mestiere di ricamatore parigino in quello della Tecnologia Culturale. Tenendo conto che una vera e propria Antropologia del Vestiario o delle Arti del Corpo ha difficolt ad emergere mentre la Storia del Tessile si sta sempre pi affermando , propongo di esaminare in questo saggio alcuni nodi teorici relativi a tali difficolt, in modo particolare il concetto sistema vestiario.1

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684. Abito femminile festivo, Desulo, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

Analizzare un sistema vestiario in Sardegna Perplessa sulluso improprio che si fa del concetto sistema vestiario e visto che continua ad essere inutilizzabile, come direbbe Jeanne Favret-Saada, mi sembra opportuno proporre in questa occasione alcuni chiarimenti su tale concetto a seguito delle riflessioni antropologiche maturate attraverso le mie ricerche. Visto che in questo ultimo decennio si osserva una tendenza generalizzata ad usare il termine analisi come sinonimo generico di studio, devo precisare che sia nel caso sardo che in quello parigino si trattato di una vera e propria analisi: ho scomposto teoricamente oggetti in questo caso capi di vestiario nei loro elementi essenziali e nei loro particolari al fine di coglierne le relazioni di abbinamento o di esclusione fra gli elementi stessi o di identificarne materiali e tecniche. In francese il termine vestimentaire abbastanza recente e si usa infatti soltanto dalla fine del XIX secolo, non lo traduco quindi letteralmente con il neologismo vestimentario. La traduzione in italiano del concetto systme vestimentaire utilizzato nelle pubblicazioni in francese sistema vestiario. Inoltre il termine italiano vestiario si rivela particolarmente adeguato in quanto ingloba nel suo campo semantico sia il costume inteso come fatto sociale normativo che labbigliamento inteso come fatto individuale. Detto ci riprendo il filo conduttore del concetto sistema vestiario. Come sottolinea Barthes, gli studi consacrati al costume, siano essi storici o psicologici, non hanno mai veramente considerato il vestiario come un sistema, cio come una struttura i cui elementi non hanno mai un valore proprio, ma sono significanti solo in quanto legati da un complesso di norme collettive.2 Anche se Barthes non fa riferimento allAntropologia, la sua definizione risulta molto appropriata in ambito etnografico. Ci si pu chiedere come mai una proposta di metodo cos chiara non abbia trovato utilizzazioni adeguate. Come si possono spiegare le difficolt a servirsi della definizione teorica proposta da Barthes? Si pu riaffermare nel 2003 ci che Barthes sosteneva gi cinquanta anni fa: Nessuna storia del costume si preoccupata di definire quel che potrebbe essere a un dato momento un sistema di vestiario. Per definire un sistema 423

vestiario la stessa cosa si pu dire anche per il concetto pi generale di sistema di oggetti etnografici non sufficiente individuare gli elementi materiali che lo compongono ma indispensabile cogliere i nessi normativi immateriali che ne regolano il funzionamento. Sono questi ultimi che permettono di elaborare i complessi significativi del sistema e di collegarli alla configurazione dei valori che Barthes indica come ordine assiologico. Fra le principali difficolt inerenti a questo insieme di operazioni teoriche, la confusione creata dalla diacronia e, in conseguenza, la necessit di distinguere il piano sincronico da quello diacronico stata, nel mio processo di elaborazione teorica, determinante. Senza questa precauzione di metodo non sarebbe stato possibile arrivare ai risultati ottenuti. Tenendo conto che gli antropologi dellarea europea vanno abbastanza facilmente dal sincronico al diacronico ci si pu chiedere: come sono arrivata a formulare chiaramente questa distinzione che ha in seguito totalmente modificato il mio rapporto con il passato anche per gli altri argomenti studiati3 e ad applicarla alle ricerche sul vestiario tradizionale locale in Sardegna? Riflettei sul rapporto fra lAntropologia e la Storia e sulla distinzione fra i metodi di lavoro della Storia delle Tradizioni Popolari e quelli dellAntropologia Sociale, in seguito ad una preziosa critica rivolta da Isac Chiva al mio progetto di Dottorato. Isac Chiva mi rimprover di flirtare con gli storici e mi invit a non integrare in modo acritico le fonti di archivio in un testo etnografico; mi sfid per vedere se, in area europea, avrei trovato un argomento adatto ad essere studiato in modo sincronico, attraverso le sole fonti orali, visive, materiali, raccolte sul campo secondo il metodo classico che caratterizza limpostazione resa prestigiosa da Malinowski. Sul momento ritenni queste osservazioni un po troppo dure ma accettai. Fra i temi di ricerca che ho avuto modo di approfondire nellambito degli studi in Sardegna, quello del vestiario si rivelato il pi adeguato a mettere in pratica le critiche e le sfide di Isac Chiva. Definire il sistema vestiario tradizionale femminile di Desulo stato lo studio dei valori femminili locali a permettermi, attraverso un processo di reificazione, nellaccezione data da Francesco Remotti, di entrare, progressivamente, nel complesso funzionamento del sistema del vestiario tradizionale e a isolare gli elementi che mi hanno consentito di definirlo. I valori femminili, riconosciuti sia dalle donne che indossano regolarmente il vestito tradizionale (una minoranza), sia dalle altre che lo indossano parzialmente o saltuariamente e sia dagli uomini, si modellano su quattro personalit ideali la cui traduzione letterale in italiano da considerarsi, per ora, provvisoria: la donna seria (seria); la donna massaya (buona padrona di casa); la donna briosa (felice); la donna macca tutta (pazzerella). 424

Queste quattro personalit non sono da interpretare come permanenti, ma flessibili. La possibilit di portare al diritto o al rovescio certi capi oppure certi tessuti, certi ornamenti, permettono ad ogni donna di comporre e di sfumare la sua personalit tramite i capi di vestiario che indossa. Anche se il registro di base fondato sulla buona padrona di casa, il sistema offre la possibilit di oscillare ad esempio fra una buona padrona piuttosto seria oppure una buona padrona di casa felice. Questa possibilit di oscillazione indispensabile sia per linterpretazione dinsieme del sistema e sia per la lettura dei ricami che a loro volta offrono la possibilit di cogliere la nozione di sfumature. Se in un primo tempo il sistema pu sembrare rigido, man mano che si penetra al suo interno ci si rende conto che ha un certa elasticit. Inoltre linterpretazione dei ricami fa emergere dei fatti indiziali di sensibilit che sfuggono al sistema.4 Linterpretazione delle quattro personalit ideali femminili che modellano il funzionamento del sistema di vestiario tradizionale di Desulo collegata allaspetto pi saliente del sistema stesso: la possibilit di portare un certo numero di capi al diritto o al rovescio. Il sistema si costruisce e si definisce attraverso: a) i capi di vestiario che ne sono alla base; b) gli insiemi o unit duso; c) la loro tipologia; d) la reversibilit di certi capi; e) le unit di significato; f) i modi di abbinare capi al diritto con capi al rovescio; g) le personalit ideali femminili che reggono lordine assiologico interno. Come dicevo stata linterpretazione dei ricami a permettere di cogliere le sfumature del sistema. I ricami costituiscono pi sottosistemi, o sistemi parziali, del sistema principale. I motivi dei ricami sono una ventina: con un solo punto si formano pi motivi. I colori del cordoncino di seta o di cotone (perl o moulin ) utilizzato per ricamare sono a numero chiuso: sette. Il punto di ricamo dominante un punto pieno la cui esecuzione fa s che lago trapassi interamente il tessuto e in conseguenza il motivo visibile sia al diritto che al rovescio. Nel loro insieme e a prescindere da un certo numero di fattori su cui non entrer in merito, i ricami si suddividono in obbligatori e facoltativi. Detto ci, non si deve pensare che il sistema vestimentario sardo, di cui ho enucleato i tratti essenziali che lo costituiscono e lo fanno funzionare, sia un corpo coerente di significati che aspettavano soltanto di essere scoperti. Fra le principali difficolt: molta opacit nella percezione del funzionamento implicito del sistema da parte degli attori sociali; la difficile connessione tra le diverse fonti; il groviglio e la complessit cognitiva delle unit di significato. Il sistema vestiario tradizionale femminile di Desulo, scomposto secondo linsieme di procedure teoriche parzialmente esaminate in questa sede, ha permesso pi possibilit di interpretazione in funzione dei livelli di descrizione adottati. Approfondire i livelli descrittivi ha

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fatto emergere sottosistemi del sistema principale. Ad esempio, linterpretazione dei ricami a nido dape bianco su bianco della camicia molto sottile e richiede precise competenze tecniche. soltanto a qualche metro di distanza che si pu fare una lettura dei ricami dei polsini. I ricami bianco su bianco permettono unespressione creativa personalizzata, un modo delicato e apprezzato di comunicare fra donne. Ogni donna pu modulare la sua felicit o la sua seriet attraverso i motivi a punti contati del nido dape: a) motivi corti e aperti : dai 3 ai 60 fili che traducono la donna seria; b) motivi larghi e chiusi : dai 60 agli 81 fili che traduco-

no la buona padrona di casa in armonia con se stessa e felice. Identificare dei materiali da ricamo a Parigi A Parigi ci che caratterizza il sapere di un maestro-ricamatore il suo stile inteso come risultato di esecuzione che consente di individuarne, anche in sua assenza, la composizione e limpronta creativa. Loggetto di vestiario ricamato prodotto in un dato atelier artigianale si valuta, in primo luogo, su criteri come: i materiali con

685. Desulo, 1955, fotografia di Mario De Biasi.

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cui stato ricamato, le sfumature dei colori, la perfezione del disegno. Lesecuzione tecnica manuale non fra i primi criteri. Tale gerarchia interna dei saperi del mestiere mi ha condotta a identificare i numerosissimi materiali usati nei laboratori di ricamo artigianale couture, che lavorano esclusivamente per lalta moda dei sarti e il prt-porter degli stilisti. Al fine di evitare che il termine identificare passi inosservato, mi pare utile sottolineare che su un campione di ricamo del 1989, collezione estate, richiesto dal sarto Lacroix al maestro-ricamatore Lesage, di una dimensione di cm 39 di altezza e cm 43 di larghezza, ho identificato ventidue materiali ricamati a mano (a ago o a uncinetto da ricamo) su quattro supporti di tessuti diversi a loro volta gi ricamati a macchina. In effetti fra le principali difficolt con cui mi sono confrontata nel corso delle ricerche a Parigi ci sono state lidentificazione, la classificazione, la distinzione fra gammes e fantaisie di centinaia e centinaia di materiali utilizzati per il ricamo couture. Preciso che per gli altri settori professionali del ricamo, come ad esempio larre686. Rn Bgu detto Rb, maestro-ricamatore parigino, nel suo atelier con una ouvrire, operaia, al telaio da ricamo. Parigi, marzo 1961. Parigi, Bibliothque Nationale de France, Cabinet des Estampes. Nellambito professionale dei mestieri del ricamo artigianale, il genere femminile ricamatrice non utilizzato per definire lesecuzione del lavoro manuale.

damento, la biancheria per la casa o quella intima, il problema del numero dei materiali molto pi limitato, trattandosi principalmente di fili. Mentre per il ricamo couture, tanto per fare un esempio concreto, una ditta francese che produce paillettes di qualit propone un catalogo di duemila forme che a loro volta si possono richiedere in cinquecento tinte differenti. Oltre a queste cinquecento tinte, la ditta accetta di fare delle gamme particolari di colori soltanto per gli atelier che sono fra i suoi migliori clienti e con cui ha affinit di stile. Il ricamo couture il regno delle sfumature dei colori. Come dicevo le sfumature ottenute svolgono un ruolo importante nella definizione dei saperi del mestiere e nella percezione dello stile che caratterizza ogni atelier. La ricchezza delle possibilit di sfumature (nuances, dgrads), di effetti monocromatici chiaro/scuri tono su tono (camaeu) che materiali come paillettes, pietre non sfaccettate (cabochons), strass, perle, fili metallici, cordoncini offrono enorme. Esistono delle sottili differenze di effetto cromatico fra pietre perforate che si cuciono direttamente sul supporto (pierres coudre) e pietre incastonate (bijoux). A queste innumerevoli sfumature di colori si aggiungono gli effetti luminosi delle molteplici forme di sfaccettatura degli strass, gli accostamenti opachi o brillanti degli ori, che possono essere veri, fantasia, soffiati, ritorti, e altri effetti speciali. Ad esempio, su un ricamo per un vestito di Chanel, collezione estate 1986, le sfumature delle paillettes sono state ritoccate a ricamo ultimato con un verniciatore a spruzzo usato da certi pittori contemporanei e dai carrozzieri. Questa padronanza delle sfumature costituisce uno degli aspetti fondamentali dei saperi del maestro-ricamatore. Il quale anche un ricercatore attento a scoprire materiali nuovi che possono essere di produzione artigianale, industriale o di recupero. Per questi ultimi deve frequentare regolarmente i mercati delle pulci, le vendite allasta di abiti vecchi, oppure cercare di procurarsi i materiali dai suoi colleghi. Esiste una circolazione di vecchie scorte di materiali di atelier di ricamatori che sono andati in pensione o hanno dichiarato fallimento. Fino agli anni Cinquanta c stata nello Jura una produzione francese di strass di qualit. Attualmente la provenienza dei materiali fa s che il mestiere di ricamatore sia situato al crocevia di pi culture; essa segue principalmente lasse Parigi, Lione, Milano, Tirolo, Boemia, Germania per quanto riguarda lEuropa. Negli anni Novanta un ricamatore ha scoperto delle decalcomanie dorate prodotte negli Stati Uniti e delle boules in vero oro prodotte in Giappone che hanno suscitato linteresse di altri suoi colleghi, contribuito a mettere in discussione il segreto professionale e sottratto il lavoro al doratore parigino a cui normalmente si ricorreva per ritoccare le sfumature dorate. Sempre in merito ai materiali, allargando le ricerche sul campo a Lione presso i produttori di cordoncino metallizzato dorato (Lione si caratterizza per gli ori), ho avuto modo di constatare che i ricami di numerosi vestiti tradizionali dellAsia e dellEstremo Oriente sono eseguiti

con cordoncino lionese. In tale ambito, limpostazione della tecnologia culturale consente di seguire trasmissioni di saperi fra le culture. Ma sono state le perle e le perline storicamente prodotte a Venezia e in questi ultimi secoli in area alpina, dal Jura alla Boemia passando per il Tirolo, a permettermi di constatare come i materiali da ricamo prodotti in Europa siano stati oggetto di scambio privilegiato con le civilizzazioni degli altri continenti. In effetti le stesse perle che ho identificato su abiti da sera dellalta moda parigina o italiana si ritrovano utilizzate per ricami o collane delle popolazioni della Nuova Guinea o dellAmazzonia.5 Confronto fra i due contesti etnografici: Desulo e Parigi Mentre in Sardegna i livelli di interpretazione si sono via via approfonditi quasi incapsulati sempre pi allinterno della configurazione dei valori, a Parigi le piste di ricerca si sono dilatate conducendomi non soltanto in altre regioni francesi ma anche di l dellarea europea. In effetti i capi del vestiario Made in France disegnati a Parigi, ricamati parzialmente in India con materiali provenienti dallEuropa, si inseriscono nei meandri della globalizzazione. Per i ricamatori artigianali parigini non si pu parlare di sistema ma di altri concetti come reti, stili, trasmissioni. A Parigi il sistema, anche se ci fosse, sfuggirebbe alla definizione. Nello studio del vestiario non tutto fa sistema. A Desulo, i valori che fanno funzionare il sistema di vestiario attestano il potere creativo della societ su se stessa. A Parigi, lassenza dei valori fa s che il sistema non esista. Gli oggetti di vestiario ricamati hanno soltanto un valore economico proprio, sfuggono alle norme collettive e passano attraverso mani anonime che non comunicano direttamente fra loro. Il concetto di sistema vestiario non si dovrebbe utilizzare in modo confuso e ambiguo senza porre in luce i processi di costruzione e le dinamiche che lo sottintendono. Le due ricerche dimostrano che non tutte le fonti consentono di definire un sistema. Ci che accomuna le due ricerche la nozione di sfumatura. Nel caso sardo le sfumature hanno permesso di far respirare il sistema e di inserirlo nella sfera delle emozioni. Nel caso parigino le sfumature costituiscono un criterio importante per la definizione del sapere e per caratterizzare lo stile di un maestro-ricamatore. Visto che per quanto riguarda le analisi del vestiario tradizionale femminile di Desulo le ricerche si sono ristrette nellambito del Muse de lHomme (Dpartement Technologie Compare e Dpartement Europe) e per quanto riguarda lo studio del mestiere artigianale di ricamatore a Parigi al Muse des Arts et Traditions Populaires (sono stata uno dei curatori della mostra Artisans de llgance), trovo che la nozione di sfumature di un sistema vestiario o degli stili di un mestiere potrebbe essere utile a ripensare la museografia.

Alcune ipotesi conclusive Sarebbe creativo se chi studia il vestiario, ad esempio in Trentino, si interessasse anche a quello della Sardegna, se chi lo studia in Africa lo confrontasse anche a quello dellAsia in modo da creare situazioni di ricerca dialogica fra culture attraverso le arti del corpo. Sarebbe euristico se chi svolge ricerche su fonti darchivio, iconografiche, su collezioni di tessili, accessori, ornamenti di epoche diverse, le comparasse con i risultati delle ricerche sul campo; ci consentirebbe di sbanalizzare stereotipi come costume popolare, costume tradizionale, e offrirebbe nuovi spunti per immaginare in altri termini i corpi vestiti e calzati di donne e uomini del passato. Attraverso tali ottiche si creerebbero le condizioni di un aggiornamento epistemologico che dimostrer come certi studi sul vestiario condotti in area europea costituiscano dei contributi inevitabili per lantropologia contemporanea.

Note
1. Lautrice ringrazia le donne di Desulo, soprattutto Sebastiana Gioi, Francesca Pranteddu e Tomasa Zanda; i maestri-ricamatori di Parigi, fra cui Franois Lesage e Annie Trussart, e il personale dei loro atelier che sono stati i suoi interlocutori nellambito delle ricerche sul campo. Un ringraziamento particolare a Giuliana Sellan e a Vanessa Maher dellUniversit di Verona che hanno incoraggiato le ricerche sullantropologia del vestiario e dei mestieri della moda, favorito la realizzazione di questo saggio di sintesi comparativa e ne hanno permesso la ristampa. 2. R. Barthes 1974, pp. 136-152. 3. M. Carosso, La gnalogie muette, in Annales ESC, 4, 1991, pp. 761769. 4. R. Barthes 1974, pp. 136-152. 5. C. Lvi-Strauss, Tristes Tropiques, Paris 1995; Ph. Descola, Les lances du crpuscules. Relations Jivaros, Haute-Hamazonie, Paris 1993.

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Roma 1911. Lavvio di una raccolta museale nazionale


Stefania Massari

La collezione di abiti sardi conservati nel Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari si costituisce tra il 1906 e il 1911 nellambito della Esposizione Internazionale tenutasi a Roma nel 1911 grazie al lavoro svolto dalletnografo Lamberto Loria (1855-1913) che, con laiuto economico del conte Giovannangelo Bastogi (18501915), aveva fondato a Firenze il Museo di Etnografia Italiana, inaugurato in data 20 settembre 1906. LIstituto da poco fondato si era arricchito presto di notevoli collezioni, tanto che quando si penser di preparare a Roma la Mostra di Etnografia italiana per celebrare il Cinquantenario dellUnit dItalia, il Comitato Esecutivo si rivolger proprio alla Direzione del Museo per lorganizzazione. Al Loria viene infatti affidato lincarico di raccogliere il materiale scientifico per lesposizione e con loccasione viene stabilito un accordo tra letnologo e il Presidente del Comitato per il quale le collezioni gi esistenti nel Museo fiorentino avrebbero costituito il nucleo principale dellesposizione romana, assieme agli oggetti che il Comitato avesse acquistato o fossero stati offerti, per loccasione, da privati. Tale collezione sarebbe stata donata, dopo il 1911, allo Stato, insieme alla raccolta di propriet Loria, a patto che il Governo, accettando il dono, avesse costituito un Museo Nazionale di Etnografia, come si legge nel documento darchivio del 17 luglio 1911 risalente allepoca in cui il materiale era ancora situato nel Palazzo delle Scuole in Piazza dArmi, sede dellesposizione, dove, inizialmente, si prevedeva di collocare il costituendo Museo.1 Secondo il progetto che larchitetto Cesare Bazzani2 aveva preparato per tale edificio il costo complessivo delloperazione ammontava a circa due milioni di lire, ed era comprensivo di eventuali ampliamenti in considerazione del fatto che lIstituto, per la sua stessa natura, potr avere una notevole espansione solo durante alcuni decenni: poi lopera livellatrice della civilt e il conseguente sparire dei costumi propri delle varie regioni, renderanno sempre pi difficili e rari gli acquisti del nuovo materiale scientifico e i locali costruiti coi due
687. Corpetto festivo Atzara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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milioni stanziati, saranno ad ogni modo sufficienti a contenere anche quelle poche collezioni che sar possibile mettere insieme.3 Per comprendere la particolarit della raccolta, bisogna ricordare che gli abiti esposti nella Mostra Etnografica rappresentano quanto di meglio era stato prodotto in Italia. Con loccasione erano stati infatti raccolti, sul territorio nazionale, circa cinquecento costumi regionali oltre a centocinquanta maschere la parte pi preziosa dellintera collezione di massimo pregio sia per il suo valore pecuniario che scientifico basti osservare che gli usi e i costumi propri delle varie regioni italiane vanno uguagliandosi ogni giorno di pi: sempre pi rari diventano quindi gli oggetti e gli indumenti caratteristici, e il loro valore aumenta di conseguenza con singolare rapidit.4 La raccolta si inserisce dunque in quella corrente di studi di etnografia italiana che dedica particolare attenzione allabito per le sue caratteristiche identitarie, ritenute essenziali per comprendere gli usi della nazione. Infatti nel catalogo compilato nel 1906 dal Loria e da Aldobrandino Mochi (1874-1931), relativo al Museo fiorentino, il vestiario e gli ornamenti, gli abiti originali di uso quotidiano, festivo, cerimoniale, integri nelle stoffe e negli ornamenti come collane, braccialetti, anelli, spilloni, monili ecc., costituiscono un apposito paragrafo.5 Per la Mostra Etnografica, di fatto, il Loria aveva raccolto sul campo, grazie al suo lavoro e a quello svolto dai suoi collaboratori, centinaia di abiti tradizionali che verranno esposti nel Palazzo delle Scuole e nel Palazzo delle Maschere e dei Costumi (gi Palazzo dei Cimeli) in Piazza dArmi, oggi quartiere Prati.6 Come viene indicato dallo stesso Loria nel suo fondamentale articolo, apparso sul primo numero di Lares,7 per la raccolta di oggetti legati a usi e costumi della Sardegna letnologo si era avvalso in particolare dellaiuto di Domenico Lovisato, dellallora Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio Cocco Ortu, di Raffele Meloni, del prof. Pietro dAchiardi e del prof. Dino Provenzal. Tuttavia la maggior parte della collezione sarda esposta nel 1911 si deve a Gavino Clemente, che acquisisce a Sassari numerosi costumi della sua provincia, oltre a uninteressantissima collezione di merletti e stoffe relativi agli abiti tradizionali di Iglesias, Dorgali, Fonni, Bitti, Oliena, Sarule, 429

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Gavoi, Orani, Sennori, Mamoiada, Orgosolo, Osilo, Ollolai e Nuoro. Diversamente Luigi Caocci di Aritzo si adopera, tra il 1908 e il 1909, per la raccolta di costumi, oltre che della sua citt, di Desulo e di Tonara; da Antonio Costa provengono invece gli abiti di Sorgono, di Atzara, di Samugheo e di Busachi, acquisiti nel 1909-10, anno in cui si data lacquisizione fatta da Giovanni Mura Agus relativa ai costumi di Meana. Si tratta nel complesso di una fantasmagoria di costumi dai colori incredibili, dai bordi ricamati, dagli accostamenti arditi, la cui caratteristica principale la decorazione arcaica che delinea le cuciture appiattite e rinforzate per sostenere la trama pesante dellorbace che negli abiti femminili segnano lattaccatura dei nastri o dei velluti e delimitano le orlature delle tasche o gli spacchi. Diversamente i costumi maschili, da quelli di Silanus, Bortigali a quelli del Campidano, presentano nel complesso colori pi scuri e sono per lo pi costituiti da calzoncini stretti, sempre in orbace, con un corpetto di velluto aderentissimo, chiuso da bottoncini, e una giacchetta corta. Molti sono gli abiti originali ma troviamo anche fantasiose ricostruzioni come documenta la lettera di Mura Agus al Loria del 27 dicembre del 1910 in cui, in aggiunta agli abiti gi inviati, scrive: Ho creduto necessario, oltre a cinti di uso moderno e di impostazione nuorese, inviarle 430

le vere e antiche cinture paesane, dette carrighera, parola che deve corrispondere allitaliano cartucciera perch, sebbene allora non usassero le attuali cartucce, pure in quella venivano riposte, entro piccoli cilindri di latta, le quantit di polvere occorrenti carica per carica, e da ci la parola carrighera da corrige che vuol dire carica. Volendosi usare i cinti tutte e due, contemporaneamente ai nuovi i vecchi cinti, si potrebbero applicare quegli agli abiti da festa e questi allabito da lavoro.8 Come noto a conclusione della Mostra Etnografica tutto il materiale verr imballato e chiuso in casse depositate prima negli scantinati di Palazzo Bazan a Valle Giulia e poi trasferite nel sottosuolo di Villa Mills al Palatino e quindi a Tivoli dove vi rimarranno per decenni nonostante venga costituito ufficialmente il Regio Museo di Etnografia italiana con Regio Decreto n. 2111 del 10 settembre 1923 (art. 1).9 Lart. 1 del Decreto stabilisce infatti che tutto il materiale raccolto per la Mostra Etnografica che era stato imballato nel 1912, doveva essere trasferito nei locali di Villa dEste mentre allart. 2 viene precisato che il museo sar formato dalla raccolta etnografica che lo Stato possiede e dagli oggetti provenienti da doni, da acquisti o da depositi, e che possono, per qualsiasi modo, illustrare la storia, i costumi e le arti della nazione italiana. Si tratta,

nel caso dei costumi, di una collezione importantissima che comprende abiti allepoca gi introvabili o andati in disuso, che resteranno per decenni piegati nelle casse di legno le quali avranno tuttavia il vantaggio di preservare, fino ad oggi, quasi intatto lo stato di conservazione dei tessuti, siano essi di origine vegetale o animale. Villa dEste stata dunque un rifugio di fortuna, provvisorio ma provvidenziale, per la raccolta la cui destinazione finale non poteva essere, come proposto, la villa dei fasti rinascimentali del Cardinale Ippolito dEste (1509-1572), certo non adatta ad esporre il lascito del Loria.10 Di fatto, come si legge negli Atti del III Congresso Nazionale di Arti e Tradizioni popolari del 1934, pubblicati nel 1936, la sezione di Antropologia nella XXI Riunione della Societ Italiana per il Progresso delle Scienze, partendo dalla considerazione che in quasi tutti i paesi civili esistano musei dedicati allantropologia nazionale, si era espressa a favore del trasferimento a Roma del Regio Museo di Etnografia, proponendo una sede degna e consona allimportanza dellistituzione che veniva vista come un centro di ricerca e laboratorio di studi di etnografia. Tuttavia, nonostante lordine del giorno venisse presentato dal Direttore dellIstituto di Antropologia dellUniversit di Roma, Sergio Sergi (1878-1972), in accordo con Raffaele Corso (1883-1965) e fosse approvato allunanimit dallassemblea plenaria, la collezione continuer a giacere ancora per molti anni nelle casse tanto che Giuseppe Ceccarelli (1889-1959), nella sua relazione del 2 febbraio del 1945, lamenta che la sezione pi interessante del Museo, quella che costituisce forse il suo principale centro dattrattiva dei costumi delle varie regioni dItalia circa 1000 esemplari , continui a permanere nei depositi di Villa dEste dove nel 1948, si terr la Maggiolata del Costume popolare italiano. Festa in costume dove saranno presentati gli abiti tradizionali delle varie regioni che scenderanno

in corteo, al suono della musica, dalla villa fino alla fontana dellOvato per disporsi a semicerchio lungo tutta la balconata in occasione della loro prima presentazione al pubblico al ritmo della Canzone di maggio in risposta a quella esigenza di un ritorno alla tradizione avvertita persino dalla Principessa di Piemonte che, nellestate del 1933, si era fatta fotografare con indosso costumi regionali italiani. Nella villa estense la Sardegna il secondo dei cinque gruppi di costumi e segue il Piemonte scelto per primo in relazione alle feste del Centenario svoltesi nel 1948 nella Regione, sede ufficiale delle celebrazioni, come designato dal Capo dello Stato. Ragioni storiche e ideali ricollegano dunque il Piemonte alla Sardegna che per variet, originalit e bellezza delle sue fogge ricopre uno dei primi posti non solo fra le regioni dItalia, ma anche a confronto dei costumi popolari di tutta Europa. La fedelt agli antichi usi, propria dellisola generosa, ha fatto s che alcuni elementi del vestire sardo siano conservati attraverso non solo i secoli ma i millenni, ammirabile sopravvivere di quella che fu la grande civilt mediterranea. Cos nel costume maschile, la mastruca o beste e pedde, pellicciotto senza maniche rivoltabile a seconda delle stagioni, gi ricordata negli antichi classici, e le ragas, specie di sottanella bianca, che ricorda le fustanelle balcaniche e i kilts scozzesi, perpetuano la foggia della balza sottostante alla lorica dei legionari romani. Nel costume femminile invece, dato riscontrare il ricordo di elementi orientali e medioevali, o spagnoli.

688. Grembiule festivo e di gala Nuoro, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 689. Giubbetto festivo Ploaghe, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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Specialmente a questi ultimi si deve lintensit cromatica, la ricchezza e la fastosit che rendono famosi i costumi delle donne di Sardegna, e ne fanno risaltare la naturale bellezza. Grande variet di fogge presenta anche il copricapo, sia con panni da testa o veli ricamati coi quali le donne usano coprire la bocca qualche volta fin sopra al naso: caratteristica, specialmente nelle bimbe, la cuffietta, che riprende nei diversi colori, i motivi cromatici del vestito o ne costituisce un indovinato complemento.11 Gi lanno prima vi erano stati segnali di interesse su questa importante collezione, prodotto di un artigianato specializzato o di unattivit domestica, in occasione della Mostra di Stampe popolari e iconografia del costume organizzata nel 1947 da Paolo Toschi (18931974), in collaborazione con la Societ di Etnografia Italiana, a Palazzo Venezia a Roma con il materiale della Raccolta Loria a cui far seguito la sezione dedicata allarte popolare nella mostra su LArte nella vita del Mezzogiorno dItalia tenutasi nella sede romana dal marzo al maggio 1953. Bisogna inoltre ricordare che gi nel gennaio del 1938 il Ministro dellEducazione Nazionale, Giuseppe Bottai (1895-1959), aveva nominato un Comitato direttivo del Regio Museo di Etnografia italiana presieduto dal Ceccarelli e composto dal Toschi e da Guglielmo De Angelis dOssat (1907-1992) con lincarico di sistemare la raccolta Loria in occasione della prevista Esposizione Universale di Roma del 1942 (E42) approvata con legge n. 2174 del 26 dicembre 1936. Con loccasione il Ministro aveva anche proposto di costituire (grazie alla raccolta Loria) un Museo del Costume italiano nel quartiere dellEUR nelledificio destinato al Museo di Etnografia collocato tra i Musei dArte e di Scienza previsti per la piazza Imperiale.12 Tuttavia la raccolta Loria verr definitivamente trasferita da Tivoli a Roma in occasione della mostra dedicata al folklore italiano a cura di 432

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690. Corpetto festivo Sorgono, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

Toschi, titolare allepoca della cattedra di Storia delle Tradizioni popolari dellUniversit di Roma, tenutasi per lEsposizione Internazionale dellAgricoltura (EA53) nel Palazzo dei Congressi dellEUR.13 La settima sala dellesposizione, dedicata interamente al costume popolare italiano, presenta diversi costumi sardi e singoli elementi come la caratteristica mastruca del pastore sardo. A conclusione della mostra, sempre nel 1953, il materiale etnografico verr collocato nei magazzini dellattuale palazzo situato in piazza Marconi (gi piazza Imperiale), sede definitiva del Museo dove negli anni successivi confluir il resto della collezione come risulta dal documento dell8 novembre 1955 che si riferisce al trasporto della raccolta da Villa dEste e dai sotterranei della Galleria Nazionale dArte Moderna, altra sede provvisoria della collezione,14 nella sede definitiva del Museo. Allatto della sua inaugurazione, avvenuta nel 1956, listituzione reca la denominazione di Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari come da Decreto n. 1673 del Presidente della Repubblica dello stesso anno ; in essa unintera sezione dedicata al costume, secondo quanto stabilito dallapposita Commissione, nominata due anni prima, con il compito di stabilire il programma espositivo del Museo. La Commissione, sotto la presidenza di Toschi, composta da Paolo Dalla Torre, Pier Silverio Leicht (1874-1956), Giuseppe Ceccarelli, Roberto Almaga (1884-1962), Giuseppe Cocchiara (1904-1965), Felice Rimondini, Giorgio Rosi direttore, Gaetano Perugini (1910-1977), Giuseppe Vidossi (1878-1969), Aldo Grillo (1921-2003) a cui si aggiunge, con Decreto del 31 marzo 1955, Tullio Tentori (1920-2003) con lincarico di seguire lordinamento della collezione. Ordinamento che vede la sesta sala dedicata interamente allesposizione dei costumi ed unapposita vetrina con gli abiti sardi collocati accanto agli austeri costumi pugliesi e ai costumi da sposa di Piana degli Albanesi (Sicilia). In particolare, nella tredicesima vetrina vengono esposti gli abiti di Osilo, Busachi, Bitti, Sorgono, Atzara. Allo scopo di movimentare lallestimento, prossimi alla parete duscita, si decide di collocare due cavalli sardi montati da uomini con i costumi di Meana o Sennori e due donne con gli abiti di Samugheo e Sennori.15 Nellattuale sistemazione abbiamo dedicato, allinterno della sezione Riti, Feste e Cerimonie, una sala, allestita in maniera estremamente flessibile, agli abiti e ai loro ornamenti per permettere, sul tema, la sequenza di mostre temporanee,16 convinti che il costume tradizionale, da lavoro o da festa, sia lespressione migliore per illustrare usi e saperi e fonte inesauribile di ispirazione per le generazioni future come dimostrano gli abiti dei giovani stilisti analizzati da Bonizza Giordani Aragno al cui testo, in questo volume, si rinvia. Immagini del presente ma anche di un passato prossimo che rivive nelle forme e nei tessuti degli abiti sardi che ricoprono, ancor oggi, una parte importante nel definire lidentit locale, giacch si ricollegano al modo che ha luomo moderno di pensarsi e rappresentarsi in rapporto con la realt che lo circonda.17

Note
1. Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari (MAT), Archivio Storico, f. 783. 2. Cfr. G. Piantoni, Roma 1911, Roma 1980, pp. 27-38. 3. MAT, Archivio Storico, f. 783. 4. MAT, Archivio Storico, f. 783. 5. L. Loria, A. Mochi 1906, p. 25; cfr. C. Cucinotta 1956. 6. Catalogo della Mostra di Etnografia Italiana 1911, p. 16 sgg. 7. L. Loria, Due parole di programma, in Lares, I, 1912, p. 14 sgg. 8. MAT, Archivio Storico, f. 779, doc. 41. 9. Archivio Centrale dello Stato (ACS), Raccolta ufficiale delle leggi e decreti, R.D. n. 2111. Atti del Governo, Registro 217, f. 11; cfr. G. Ceccarelli, Per il Museo Etnografico Nazionale, in Atti del III Congresso Nazionale di Arti e Tradizioni popolari (1934), Roma 1936, pp. 577-585. 10. Cfr. sullargomento D. Faccenna, S. Massari, T. Tentori, Labito laziale e il donativo Attilio Rossi, Roma 2001, pp. 5-19. 11. MAT, Archivio Storico Museo di Etnografia Italiana, Tivoli, AXT, II Segretariato dep. 6. Mostra Maggiolata del Costume italiano. 12. Cfr. S. Massari 2000, pp. 286-287. 13. P. Toschi, Mostra del Folklore, Roma 1953, pp. 30-34. 14. ACS, AA. BB. AA.; Div. III, 1929-1960, 445; per unanalisi particolareggiata M. Calvesi, E. Guidoni, S. Lux, E42. Utopia e scenario del Regime, II, Roma 1987, pp. 385-402. 15. A. Toschi 1956, pp. 59-61. 16. S. Massari 2000, pp. 268-280. 17. Allo stato attuale presso il MAT si conservano sessantanove costumi completi acquisiti prima del 1911 (inv. 23170-23843), a cui si aggiungono, dopo il 1964, altri tredici costumi e circa cinquanta pezzi singoli.

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Musei e costumi
Paolo Piquereddu

Le ferrovie hanno in pochi anni trasformato laspetto della Sardegna; e sebbene ci abbia portato seco la piena distruzione dei boschi e molte cattive abitudini del Continente, tuttavia nel complesso un grande bene. Sarebbe per utile raccogliere le ultime vestigia del passato prima che la civilt continentale del tutto le cancelli. Nel 1882 quando mi recai a Cagliari per dirigervi il Museo Nazionale di antichit, io aveva da poco visitato i maggiori Musei etnografici dEuropa. Compresi quindi limmenso vantaggio che sarebbe venuto alla Sardegna ed agli studi, se anche a Cagliari si fosse costituito un museo di tal natura. La speculazione delle antichit in Sardegna era allora del tutto ignota. Queste si donavano; e, data la grande generosit ed ospitalit degli abitanti, sarebbe stato assai facile ottenere da ogni comune dellIsola vesti, mobili antichi, che ora scarseggiano e si vendono a prezzo assai caro. La persona alla quale esposi il mio progetto (alla quale spettava nel caso appoggiarlo) non aveva la cultura necessaria per comprenderlo. Auguro ad altri conseguire ci che a me non fu dato compiere. Sarebbe pure utile fare una raccolta scientifica di fotografie di tipi sardi. Dovrebbe esser fatta da persona prudente, accorta, che si assicurasse delle vere origini etniche delle persone di cui raccogliesse e facesse le fotografie. Altrimenti si correrebbe il rischio (ci che di recente avvenuto ad un distinto antropologo italiano) di giudicare del tipo etnico dei Sardi prendendo a base fotografie di Italiani della Penisola, che vollero farsi fotografare in costume sardo.1 In queste parole del grande storico Ettore Pais sono riassunte le tematiche intorno alle quali nelle prime decadi del Novecento si svilupp il dibattito per la creazione di un grande museo di etnografia sarda, e di costumi in particolare: la trasformazione sociale dellisola rappresentata dal Pais attraverso un simbolo dinamico ed efficace come la ferrovia , che minaccia le testimonianze di unantica civilt; la necessit e lurgenza di preservare
691. Gruppo di abiti femminili su manichini degli anni Settanta; da sinistra verso destra si individuano i costumi di Quartu S. Elena, Macomer, Nuoro, Samugheo, Cabras, e ancora Nuoro nel manichino seduto. Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde, fotografia di Virgilio Piras.

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queste testimonianze prima che la civilt continentale del tutto le cancelli; la nascita del mercato di abiti tradizionali, e dunque di un interesse collezionistico, che segnala come questi oggetti siano ormai usciti dallambito duso; la fiducia nella fotografia quale strumento di documentazione oggettiva della realt, e nel contempo la consapevolezza che per luso di questo straordinario mezzo fosse necessaria una correttezza metodologica. Temi che, peraltro, informano le iniziative museali e in generale di documentazione e ricerca dambito etnoantropologico dellultimo ventennio dellOttocento e alimentano la crescita del fenomeno delle esposizioni che, oltre alle innovazioni dellindustria, alle novit artistiche e alle culture coloniali, riservano dei settori alla presentazione e illustrazione comparative delle particolarit culturali regionali del giovane Stato italiano. In fondo le esposizioni temporanee di questo scorcio dellOttocento appaiono come prove generali delle iniziative museali che di l a poco avrebbero avuto il loro avvio nel territorio nazionale. Nel 1881 si tenne a Milano lEsposizione Industriale Nazionale che comprese anche una sezione dedicata a 140 costumi provenienti da tutta lItalia, tra i quali alcuni sardi. La loro partecipazione documentata dallalbum fotografico di Giovanni Battista Ganzini: le immagini mostrano gli abiti indossati da manichini nel sommario contesto scenografico dello studio, come se fossero dentro una vetrina museale. Secondo le intenzioni degli organizzatori, gli abiti inviati per lesposizione avrebbero dovuto costituire il primo nucleo di un Museo Etnografico Italiano a Milano. Lidea non ebbe seguito e i costumi vennero in parte dispersi. Gi da qualche anno prima, peraltro, immagini di costumi sardi venivano presentate da fotografi locali o operanti nellisola in esposizioni nazionali e internazionali; in particolare si ricordano due fotografi attivi a Cagliari: Agostino Lay Rodriguez, che prese parte alla Prima Esposizione Sarda del 1871 e allEsposizione Universale di Vienna del 1873, e Giuseppe Luigi Cocco che, sempre con fotografie di costumi, partecip alla stessa Esposizione viennese e allEsposizione di Parigi del 1878. Ma i costumi sardi sono anche al centro delle grandi manifestazioni di Sassari del 1899 in onore della visita dei 435

Reali, e in particolare della cavalcata che segna la nascita di uno dei grandi eventi folcloristici isolani e nel contempo, per le riprese che ne fece un operatore inviato dai Lumire, la nascita del cinematografo in Sardegna.2 Nel 1911 cinquantotto abiti e un gran numero di altri manufatti tradizionali dellisola si uniscono a Roma agli oltre trentamila oggetti raccolti in tutta lItalia, sotto la direzione di Lamberto Loria, per la grande Mostra di Etnografia Italiana che avrebbe dovuto porre le basi del Museo Nazionale di Etnografia. Per una serie di vicende negative, in primis la morte di Loria nel 1913, il progetto non ha un pronto sviluppo; dopo una prima permanenza nei magazzini di diversi musei, i materiali, dopo il 1923, sono ospitati a Villa dEste a Tivoli e infine, con lapertura del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari nel 1956, trasferiti nel palazzo dellEUR, sede dellimportante struttura museale.3 Per quanto attiene allauspicio di Ettore Pais relativo alla costituzione di un museo di etnografia della Sardegna, negli ultimi anni Venti e negli anni Trenta lidea viene ripresa in numerosi articoli di studiosi e appassionati di cose sarde, che sottolineano in particolare lurgenza di salvaguardare i costumi popolari. Marcello Vinelli, nel 1927, dopo aver segnalato la progressiva sparizione delle tradizionali tipologie di abbigliamento maschile e femminile ed effettuato una documentata rassegna delle sue variet e delle cause della decadenza, concludeva: Se [in] un Museo cui si adunassero questi esemplari dei nostri bei costumi sia ancora possibile salvare o si ricostituissero quelli che non son pi, dai pi antichi agli ultimi sopravvissuti negli elementi essenziali ed accessori; una raccolta in cui si accogliesse tutto quanto possa giovare a loro illustrazione non avrebbe minor numero di visitatori di quelle altre raccolte pur esse degnissime di rispetto, in cui si custodiscono altri pi freddi e meno estetici documenti della nostra vita passata.4 Il tema dellabbandono generalizzato del vestiario tradizionale, del collezionismo degli abiti e dellurgenza della creazione di un museo vengono ulteriormente trattati da Doro Levi in occasione della manifestazione inaugurale della Mostra delle Arti Popolari della Sardegna tenutasi a Cagliari nel 1937: Gi i limiti delle zone circoscritte nel centro dellIsola tra le sue montagne, in cui lattaccamento al costume ancora si mantiene, si vanno restringendo sempre pi; gi la maggior parte delle popolazioni indossa solamente labito di gala, e veste panni comuni nei giorni feriali; gi rifiutano di indossarlo del tutto i giovani, che per un motivo o laltro, per la guerra o per gli studi, sono vissuti qualche tempo sul Continente o nelle grandi citt dellIsola. E la caccia ai costumi, come a tutti gli altri oggetti di arte popolare sarda, da parte di incettatori e collezionisti si fa sempre pi accanita; i costumi autentici si fanno sempre pi rari, si usano solo dei singoli pezzi dellantico costume in mezzo a indumenti, sottane
692. Abito maschile di area campidanese, anni Venti Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna, fotografia di Raimondo Santucci.
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e corpetti, moderni: non passeranno, ahim, molti anni che, smesso ormai del tutto per fatalit della vita umana luso dellantico costume, i pochi autentici abiti di gala ancora rimanenti, quelli delle nozze e delle grandi feste, saranno discesi, per lultimo rito solenne, nelle tombe dei vecchi di oggi. Ecco perch per la Sardegna pi urgente e pi doverosa che per qualsiasi altra regione dItalia lattuazione di quella impresa, che certamente il voto comune e ripetuto da tutti gli organizzatori delle Mostre darti popolari dItalia: la creazione dun Museo dedicato a tali arti; qui far presto significa cogliere ancora in vita quello che domani bisogner riscavare, disseccato e scolorito nei ricordi e negli archivi.5 In questo scenario culturale si inscrive la pubblicazione di unopera quale Arte Sarda (1935) di Giulio Ulisse Arata e Giuseppe Biasi, vero manifesto della concezione del folclore nella Sardegna degli anni Trenta, mantenutasi sostanzialmente uguale fino agli anni Cinquanta del Novecento.6 A parte lepisodio fondamentale della mostra del 1911, solo negli anni Cinquanta del Novecento che gli abiti tradizionali della Sardegna fanno il loro ingresso nelle strutture museali. Ancor prima della citata apertura (1956) del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, nel 1950 si inaugura la sezione etnografica Gavino Clemente del Museo Nazionale Giovanni Antonio Sanna di Sassari, che viene associata alle ricche raccolte archeologiche e darte che formavano la collezione del munifico mecenate cui il museo dedicato, e ai reperti mano a mano acquisiti a partire dal 1880, anno della sua inaugurazione ufficiale come Regio Museo Antiquario di Sassari.7 La collezione di abiti tradizionali e di oggetti vari dinteresse etnografico fu donata al museo con atto notarile del 20 agosto del 1947: Il Signor Clemente Comm. Gavino, allo scopo di lasciare duratura testimonianza del suo affetto filiale per la Sardegna e di incrementare il suo patrimonio etnografico dona allo Stato e per esso alla Soprintendenza alle Antichit della Sardegna, la propria collezione a condizione che venga costruito non oltre lanno 1950, nel parco circostante il Museo Nazionale G.A. Sanna un fabbricato da destinare allesposizione del materiale etnografico, nel quale la collezione venga decorosamente collocata ed esposta in sale separate e contraddistinta dalla speciale dicitura: Museo Gavino Clemente. La collezione composta di 428 oggetti.8 Linteresse della collezione risiede proprio nella figura del donatore, che ebbe un ruolo preminente nellattivit di reperimento e musealizzazione dei documenti di arte popolare sarda nella prima met del Novecento. Gavino Clemente, originale figura di imprenditore che, partendo da motivi e stilemi della tradizione sarda, seppe produrre mobili e arredi con esiti talvolta di sorprendente qualit e originalit, fu il principale collaboratore di Lamberto Loria nellopera di reperimento dei manufatti sardi per lesposizione romana del 1911. Dagli anni Cinquanta ad oggi il Museo Sanna ha acquisito molti altri reperti dinteresse etnografico, ma pochi di essi

attengono al vestiario popolare; sostanzialmente, dunque, gli abiti che attualmente costituiscono la raccolta vestimentaria del museo sono quelli donati da Gavino Clemente. Risalenti per la gran parte alla fine del XIX secolo e ai primi del Novecento, pi della met degli indumenti della collezione Clemente provengono dalle Barbagie e dal Nuorese, ma risulta ben rappresentata anche larea centro-settentrionale dellisola; per quanto attiene alla tipologia si tratta prevalentemente di abiti femminili festivi, con una buona percentuale del tipo vedovile. La raccolta stata oggetto di uno studio di Gerolama Carta Mantiglia che in forma catalografica ha descritto 97 capi di vestiario e accessori maschili, e ben 327 femminili, per un totale di 424 oggetti. La collezione Clemente presenta caratteristiche analoghe alle raccolte italiane dei primi decenni del secolo, con prevalenza di certi materiali, di certe zone di provenienza e nellambito di una medesima classe oggettuale, di materiali estremamente elaborati quanto a decorazioni, forme e materia di costruzione. Preoccupazione costante e grave del Clemente fu quella di raccogliere oggetti non inquinati da elementi recenti e da prodotti di tipo industriale: anzi, in casi limite, per fortuna abbastanza rari, il Clemente giunger a far preparare su commissione oggetti che dovevano rispondere ai requisiti stabiliti non sappiamo su che base dallo stesso Clemente.9 Ancora agli anni Cinquanta risale la raccolta di abiti conservata nel Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia, sorto nel 1953 a Cagliari per iniziativa del professor Carlo Maxia nelledificio dellIstituto di Anatomia Umana Normale, dove fu ospitato per circa 45 anni. Attualmente il museo, che afferisce al Centro Interdipartimentale dei Musei e dellArchivio Storico dellUniversit di Cagliari, ha sede nella Cittadella Universitaria di Monserrato. Nato allo scopo di documentare sia le caratteristiche fisiche dei sardi sia le componenti culturali, dispone di una raccolta di reperti scheletrici umani dal neolitico ai nostri tempi, calchi di ominidi fossili, due mummie, una collezione di vasellame e di utensili depoca protostorica. A questa si unisce la collezione di interesse etnografico; dislocata in una grande sala, comprende oggetti del lavoro pastorale, strumenti musicali popolari e ordigni sonori vari, unimportante raccolta di ex voto, costituita da 56 reperti quasi tutti provenienti dalle Chiese di San Palmerio e di San Serafino di Ghilarza e la citata collezione di costumi. La collezione, solo in parte esposta nelle vetrine del nuovo allestimento, consta di 34 abiti tradizionali, quasi tutti femminili, e 4 da miliziano, risalenti al periodo compreso tra la fine dellOttocento e i primi anni del Novecento e derivanti da acquisizioni effettuate dal professor Maxia nei primi anni di costituzione del museo. La gran parte dei capi attiene alla Sardegna centrale; ci da attribuire al fatto che furono venduti al museo dalla signora Caterina Zoroddu di Bosa, allepoca impegnata in unintensa attivit di intermediazione commerciale nel campo del vestiario tradizionale del Nuorese e delle regioni pi vicine.10 437

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Sebbene collocato allinterno di un Istituto universitario, il museo costantemente meta di visitatori, anche grazie alla sua organica collaborazione con le amministrazioni locali e le scuole, per mostre temporanee e iniziative didattiche. Agli anni Cinquanta del Novecento risale infine la costruzione del Museo del Costume e delle Arti Popolari di Nuoro, monumento alle tradizioni vestimentarie della Sardegna in forma di ambiente sardo immaginario, un paese fantastico che vuole rappresentare il paese-isola ricomposto per frammenti e memorie di luoghi diversi, rivissute dal progettista in termini personali, in una dimensione colta per citazioni, moduli stilistici, riferimenti formali fondati su di una interpretazione regionale-vernacolare dellesistente architettonico sardo.11 Alloriginale museo, disegnato dallarchitetto Antonio Simon Mossa su incarico della Regione Sarda, vengono assegnate in dote le collezioni alluopo acquistate dalla stessa Regione.12 Per quanto riguarda in specifico labbigliamento, che ovviamente costituisce la parte pi significativa dei materiali, vengono trasferiti nella nuova sede una cinquantina di costumi pi una serie di indumenti vari. Tra i materiali sono compresi 7 abiti di propriet del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, provenienti dalla mostra del 1911, il cui prestito viene disposto dal professor Paolo Toschi.13 Lattivit del museo, tuttavia, non riesce ad andare oltre lepisodica realizzazione di mostre temporanee, spesso concomitanti con i festeggiamenti di fine agosto del Re438

dentore. A seguito della costituzione, nel 1972, dellIstituto Superiore Regionale Etnografico, il Museo del Costume assume la denominazione di Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde, e viene incorporato nellIstituto quale essenziale strumento di conoscenza e divulgazione del patrimonio etnografico e della vita sociale e popolare della Sardegna. Ancor prima che alla nuova denominazione possa far seguito un rinnovamento dei contenuti e dei significati, il museo viene aperto al pubblico nellagosto del 1976: pur in assenza di unorganica sistemazione espositiva, appare urgente far conoscere alla collettivit i numerosi materiali accantonati da tanti anni. LIstituto Etnografico avvia, nel contempo, una metodica attivit di acquisizione di nuove collezioni nonch del loro studio e catalogazione. Al di l della denominazione, presagio di tematiche afferenti allintero universo del mondo popolare sardo, di fatto il museo trova ancora oggi la sua connotazione nellesposizione di una grande raccolta di abiti e gioielli tradizionali, originata dagli assunti del clima culturale degli anni Venti e Trenta del secolo scorso, che classificavano tali materiali come documenti darte popolare, meritevoli dunque di tutela e conservazione in quanto connotati esteticamente. Lallestimento che negli anni Settanta d corpo a tale intendimento riflette quellassunto di base: gli abiti sono esposti in vetrine isolate, privi di apparati informativi sulla provenienza, funzione e contesto di utilizzo degli stessi: basta mostrarli per giustificarne la funzione e appagare il

visitatore, cos come per i quadri e le sculture nei musei darte. Questo avviene mentre nel resto dItalia il Convegno Nazionale di Museografia Agricola di Bologna e San Marino di Bentivoglio (gennaio 1975) e la pubblicazione di Alberto Mario Cirese, Oggetti, segni, musei,14 pongono al centro del dibattito le forme, le tecniche e lorganizzazione del lavoro contadino. La rappresentazione del lavoro basata sulle tecniche dava vita a impegni comuni di museografia scientifica che sostituivano al modello per tipi doggetti ancora riconoscibile nellantico Museo Pitr, o per ricostruzione di ambienti (Casa-museo di Palazzolo Acreide e altri) considerati ingenui e non scientifici, una sorta di geometria della rappresentazione, in piccoli spazi, di grandi processi produttivi e sociali, quasi radiografati, colti cio in quella che ne appariva lessenza storicamente specifica (le forme del lavoro), e che forse configurava il modo che gli intellettuali non organici a quel mondo avevano di sentire la pietas verso qualcosa di immaginato astrattamente e non vissuto. Basata sul presupposto metalinguistico (ricostruire attraverso gli oggetti la conoscenza delle relazioni della vita passata), questa museografia intendeva anche avvicinare il pubblico di musei e mostre a convenzioni comuni della statistica, del disegno tecnico, della relazione modellistica, delle scritture delle relazioni di parentela, dellergonomia, democratizzando cos gli strumenti dellanalisi scientifica.15 In un simile contesto teorico un museo come quello nuorese, che trovava il suo elemento unificatore nella qualit dei reperti, esempi di arte, ancorch popolare, appariva un po come un organismo alieno. Non a caso il testo di Cirese sottolineava come la maggior parte degli oggetti che essi [i musei folclorici] devono riunire non aveva per destinazione normale le pareti, i piedistalli, le bacheche o lesposizione. Un attrezzo nato per luso in certe condizioni ambientali che non sono certamente quelle delle sale dei musei. Un costume o unacconciatura sono fatti per il corpo che agisce e vive, in contesti reali, e non per il falso movimento (e la falsa staticit) di
693. Interno del Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde, Nuoro, fotografia di Virgilio Piras. Gli abiti montati su manichini sono collocati in vetrine in grado di ospitarne fino a un massimo di quattro; ai reperti non viene associata alcuna scenografia o apparato di contestualizzazione storico-culturale. Questa impostazione risale al 1976, anno dellapertura definitiva del museo. 694. Abito femminile festivo e di gala di Aritzo, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 695. Abito femminile festivo e di gala di Settimo S. Pietro, fine sec. XIX-inizio XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 696. Abito femminile festivo di Tonara, 1956 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 697. Abito femminile festivo e di gala di Orune, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 698. Abito femminile giornaliero di Busachi, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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quei manichini contro il cui impiego nei musei di tradizioni popolari ha giustamente polemizzato Paolo Toschi.16 E, ancora: evidente che il compito dei musei della vita popolare non pu essere solo quello di riunire gli oggetti classificabili come artistici.17 Ma lopera vera del museo sta poi nella ricerca a livello museografico delle connessioni pi profonde. E qui viene di nuovo in campo il compito dei musei folclorici come centri di ricerca e di propulsione della ricerca.18 Di fatto, grazie alla struttura operativa e alle risorse complessive dellISRE, il museo nuorese, direttamente o indirettamente, pu portare avanti quelle attivit di studio e di ricerca indicate da Cirese come fondamentali. Per quanto attiene in particolare allabbigliamento esse si esplicano sia con indagini sul campo relative alle tecniche e ai contesti duso, sia attraverso lo studio dei materiali e delle metodologie di conservazione e di allestimento. Questattivit determina nuove acquisizioni di materiali, dei quali si cerca di sapere il pi possibile (et, proprietari, ragioni della vendita, costi e modalit di confezionamento), e nuove competenze museografiche. Delle vetrine si apprezza la loro funzione protettiva e di evidenziazione dei materiali; dei manichini, umiliati quali esempi di allestimenti posticci, viene confermata linsostituibilit per la buona conservazione degli indumenti, per la loro corretta esposizione e per la migliore comprensione del modo duso, spesso non cos ovvio e intuitivo come potrebbe sembrare; essi assumono dimensioni pi adeguate, spesso con adattamenti e modifiche alla taglia degli abiti; questi vengono curati, puliti, stirati, rispettati, amati. Rispettati e amati perch talvolta ceduti al museo da donne e uomini costretti a privarsene per ragioni economiche, o perch doni di persone, spesso neppure agiate, che attraverso di essi manifestano sentimenti di appartenenza e di affezione al museo e alla sua missione. Un atteggiamento nei confronti delle cose affatto inconcepibile per la museografia demoantropologica italiana degli anni Settanta e Ottanta; riprendendo le parole di Pietro Clemente che, partito dalla lezione del suo maestro Cirese, sviluppa unoriginale riflessione attraverso la quale supera lillusione museografica razionalista, apparsagli precocemente una museografia impossibile: Chi di noi museografi razionalisti dallora amava gli oggetti? Amavamo le nostre idee, con le quali venivamo scoprendo mondi, ma amare gli oggetti! Gli oggetti sono documenti, i documenti non si amano, si studiano.19 Amando gli abiti, dai poco pi di 400 capi di vestiario della fine degli anni Settanta, il museo ha raggiunto gli attuali 1850, quadruplicando quindi la dotazione iniziale e formando la pi ampia e qualificata collezione di abbigliamento tradizionale sardo; un repertorio che comprende prevalentemente reperti risalenti allultimo ventennio
699. Abito femminile festivo e di gala di Oliena, prima met sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 700. Abito femminile festivo di Orani, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

dellOttocento e a quello iniziale del Novecento, con qualche escursione alla fine del Settecento e, allestremo temporale opposto, agli anni Settanta del secolo scorso. Nel frattempo acquisisce una popolarit e un gradimento sorprendenti per un museo etnografico che, con cifre comprese tra le 40.000 e le 60.000 presenze annue, diviene, a quanto dato di sapere, il pi frequentato della Sardegna, nonch la struttura di riferimento per le attivit di assistenza e consulenza a musei e associazioni locali in materia di abbigliamento popolare, e per le relazioni e scambi con istituzioni museali italiane e straniere; in questo ambito sinscrive la recente donazione (2000) di un costume femminile nuziale di Orgosolo al Museo delle Trame mediterranee di Gibellina (Sicilia). Abiti sardi sono approdati con vicende e motivi diversi in vari musei esteri, compresi due dei pi importanti al mondo: il Metropolitan Museum of Art di New York e il Muse de lHomme di Parigi. Il Metropolitan, museo di carattere enciclopedico nato nel 1870, dispone di pi di 2 milioni di opere darte di tutto il mondo, dallantichit ad oggi, compreso uno straordinario patrimonio tessile e vestimentario. Il suo Costume Institute possiede pi di 75.000 abiti e accessori provenienti dai cinque continenti e relativi a sette secoli di storia, da lussuosi costumi di corte a costumi regionali popolari di tutto il mondo; non ha una sua esposizione permanente ma accessibile a studiosi, designer, studenti e ogni anno realizza tre mostre temporanee tratte dalla collezione. Il museo possiede due costumi femminili della Sardegna, uno di Sennori, laltro di Desulo. La scheda descrittiva del primo informa che si tratta di un costume femminile contadino, di gala o di nozze, di Sennori risalente al XIX e al XX secolo, formato da 10 pezzi: un giubbetto di velluto color magenta con maniche aperte decorate con ricami doro; gonna di lana plissettata con larga banda ricamata; corsetto ricamato in oro e argento; grembiule di seta blu chiaro, ricamato; camicetta bianca di cotone, fazzoletto blu chiaro; copricapo di lino bianco e pizzo cru; collana in filigrana doro e cestino di paglia intrecciata. Il corsetto probabilmente del 19 secolo; il resto del 20 secolo. Labito stato donato al museo dallonorevole Claire Boothe Luce il primo marzo del 1956. In nota la scheda precisa che venne offerto alla signora Luce nel 1954 nel corso di una visita ufficiale in Sardegna. Claire Boothe Luce, nata a New York nel 1903, giornalista e scrittrice, fu molto nota negli Stati Uniti quale editor, a partire dal 1933, della rivista di moda e costume Vanity Fair e per aver sposato il magnate della carta stampata Henry R. Luce (Time, Life, Fortune). Membro del Congresso statunitense dal 1943 al 1947, fu ambasciatore americano in Italia dal 1953 al 1957. La scheda del secondo abito riporta:20 Regionale, Sardo, tardo 19-inizi del 20 secolo. Completo femminile, 5 pezzi di lana rossa con applicazioni di pannelli di seta blu, tratti di ricami gialli lungo le giunture e linee

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diagonali ornamentali; segue unaccurata descrizione dei diversi pezzi. Circa la provenienza, la scheda informa che si tratta di un acquisto effettuato nel 1967 da Irene Lewisohn Bequest presso il signor Ermanno De Notti di Roma. La presenza di questo costume al Metropolitan si deve dunque a Irene Lewisohn Bequest, lerudita filantropa che, ritenendo gli abiti una autonoma e universale forma darte, con le sue donazioni permise la nascita nel 1937 del Museum of Costume Art, le cui collezioni vennero incorporate dal Costume Institute del Metropolitan nel 1946.21 Lapprodo al Metropolitan di un abito di Sennori e di un altro di Desulo non pu essere casuale: il primo uno degli abiti pi noti dellisola, sempre presente nelle grandi manifestazioni tradizionali; lo stesso vale anche per quello di Desulo, probabilmente reperito sul mercato antiquario della capitale. Il costume femminile di Desulo presente anche al Muse de lHomme di Parigi,22 insieme a due di Orgosolo, uno femminile, laltro da ragazzo.23 Furono acquistati nel 1963 dallallora direttore del museo Jacques Millot, nel corso di una missione in Sardegna finalizzata allarricchimento delle collezioni europee: Intraprese in occasione delle Esposizioni universali del secolo scorso, le collezioni europee sono state continuamente arricchite; esse si compongono di circa 50.000 pezzi e conoscono ancora una crescita costante. A partire dagli anni Cinquanta le ricerche sul campo si sono moltiplicate assicurando una loro documentazione e arricchimento.24 Oltre a una serie di oggetti vari (timbri per il pane, palme intrecciate, launeddas, taglieri, forchette e cucchiai lignei da pastore, qualche dolce ricoperto di glassa, realizzato per S. Efisio, e altri in pasta di mandorla), nella stessa collezione il museo comprende vari indumenti isolati e accessori dellabbigliamento: un corpetto femminile di Orgosolo; una cuffia di Bitti; uno scialle di Oliena; un copri cuffia di Oliena e un altro di Bitti; una collana di corallo rosso e filigrana dargento e un amuleto di Oliena; un anello di metallo dorato, pietre rosse e blu in un castone di Orgosolo; fermagli e catenella dargento per tenere il grembiule e bottoni per maniche di camicia di Nuoro; dieci bottoni per la camicia di Orani.

Unanalisi della missione sarda di Jacques Millot e delle scelte del suo itinerario sarebbe estremamente indicativa per una ricostruzione degli interessi degli studiosi di etnologia europea afferenti al Muse de lHomme nei primi anni Sessanta. I luoghi di provenienza dei reperti indicano comunque con chiarezza la centralit pressoch esclusiva della Barbagia e del Nuorese. Viene da chiedersi se una cos forte presenza di Orgosolo, ma anche di Nuoro e Oliena, non sia da connettere allo straordinario successo riscosso nellambiente antropologico francese, e del Muse de lHomme in particolare per la presenza di Jean Rouch, dal film di Vittorio De Seta Banditi a Orgosolo (1961) e naturalmente dalla famosa inchiesta di Franco Cagnetta,25 che ne costitu la base di partenza. La presenza di Desulo conferma invece un dato gi noto, pi volte sottolineato anche in questo testo, e cio che il suo costume era quello che pi diffusamente rappresentava limmagine della Sardegna allesterno dellisola, un ruolo favorito dalle prime campagne di promozione turistica che nellabito di Desulo, cos fortemente connotato da tonalit solari e primarie, trovavano un veicolo di immediata ed efficace riconoscibilit geografica e culturale. Ritornando alle collezioni indumentarie dei musei dellisola, si segnalano gli abiti inseriti in alcuni musei locali di recente costituzione: letnografico della Casa Montanaru di Desulo (1995), della lavorazione del lino di Busachi, il Museo Unico Regionale dellArte Tessile di Samugheo (2002) e il Museo Francesco Bande di Sassari. Per il secondo e il terzo si tratta della naturale espansione delle tematiche cui le raccolte sono primariamente dedicate; a Busachi sono esposti alcuni abiti recentemente ricostruiti sulla base di fogge locali di fine Ottocento; a Samugheo, accanto alla vasta collezione tessile, sono in mostra due abiti del paese, uno maschile, la cui datazione pu essere attribuita alla prima met del XIX secolo, e uno femminile, databile ad un periodo compreso tra la fine dellOttocento e linizio del Novecento. Samugheo, Busachi e soprattutto Desulo, rispetto agli altri paesi dellisola, sono tra quelli che hanno mantenuto pi a lungo luso del vestiario tradizionale, e forse proprio per tale motivo in queste comunit il processo di un loro riconoscimento come documenti da riporre in un museo stato pi recente.
701. Lattuale allestimento del Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia, Monserrato, Cittadella Universitaria, fotografia Archivio Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia. Il Museo, che afferisce al Centro Interdipartimentale dei Musei e dellArchivio Storico dellUniversit di Cagliari, sorto nel 1953 per iniziativa del professor Carlo Maxia nelledificio dellIstituto di Anatomia Umana Normale, dove stato ospitato per circa quarantacinque anni. 702. Ritratto del fisarmonicista Francesco Bande, anni Ottanta. Sassari, Museo Francesco Bande, fotografia Archivio Museo Francesco Bande. 703. Costume di scena di Francesco Bande, 1950 ca. Sassari, Museo Francesco Bande, fotografia Archivio Museo Francesco Bande. Si tratta dellabito tradizionale di Bultei, paese dorigine di Bande, indossato sul palco dal musicista, come si vede nellimmagine precedente. In particolare si evidenzia la ricchezza dei ricami del giubbetto, realizzati da Marietta Bande, sorella di Francesco.

sulla camicia chiusa al collo da bottoni doro, giubbetti con spalle, maniche e dorso impreziositi da grandi ricami a motivi floreali, bottoni in filigrana dargento alle maniche, uose profilate di rosso o di trine multicolori corrispondono allabito un poco vistoso di una moderna stella del rock. In genere con risultati meno apprezzabili per le troppe scorciatoie sulla qualit e per la preminenza dellinvenzione rispetto ai modelli originari di foggia ottocentesca, questa moda delliperornativismo sar seguita da diversi singoli artisti e da numerosi gruppi folcloristici. questo uno dei musei privati che la mano pubblica dovrebbe aiutare ad uscire non tanto dalla dimensione affettiva di luogo dedicato a moderni Lari domestici, il che costituisce per lonesta visibilit il maggior pregio del museo, quanto dalla precariet del contesto espositivo che pu pregiudicare nel tempo la conservazione di questi significativi documenti dellabbigliamento e della musica tradizionale e insieme della mentalit e dellimmaginario popolare dellisola nel secondo dopoguerra. Nel caso di Desulo, a prescindere da ogni considerazione sulle modalit espositive, impressiona la marginalit dei pochi abiti (tre femminili e uno maschile) riuniti nel museo, soprattutto se si considera limportanza del suo abbigliamento femminile che fa parte del paesaggio culturale e dellimmaginario tradizionale dellisola. Vero simbolo indumentario della Sardegna, celebrato in uninfinit di stampe, pitture, cartoline, fotografie e filmati, per ci che esso rappresenta per tutti i Sardi, non solo per i Desulesi, meriterebbe da solo un museo. Anche a Macomer, il Museo Arti Antiche, allestito in una casa dellOttocento ove sono ricostruiti alcuni ambienti domestici e di lavoro della societ tradizionale (fabbro, falegname, calzolaio), espone alcuni abiti tradizionali montati su manichino. In particolare appare interessante un abito maschile che alla berritta e al giubbetto associa i calzoni a tubo, indumento che in questo territorio ebbe diffusione pi precoce rispetto alle Barbagie e al meridione dellisola. Il Museo Francesco Bande, iniziativa privata nata in un contesto di carenza finanziaria ma col pregio di una forte motivazione affettiva, un piccolo quanto originale monumento/documento intitolato al pi famoso suonatore sardo di organetto degli anni Cinquanta-Ottanta del Novecento.26 Oltre a una preziosa raccolta dorganetti appartenuti al musicista, lunica sala del museo, ove si tengono anche lezioni di musica sarda, espone su manichini una quindicina dabiti maschili e femminili e, in vetrina, vari indumenti isolati. Molti degli abiti appartenevano ai familiari di Francesco Bande, come per esempio labito di nozze della madre Giuseppina, di Bultei, donde provengono anche alcune altre vesti dellOttocento, e alla vedova Bastianina Mannu, di Ossi. Ma linteresse maggiore deriva dal fatto che quelli maschili sono in sostanza gli abiti di scena dellartista, confezionati tra il 1950 e il 1970 e ricamati dalla sorella Marietta: si tratta di costumi completi di Bultei che per la ricchezza dei particolari ornamentali pizzi abbondanti Alcune recenti decisioni governative in materia di beni culturali annunciano la costituzione del Museo della Moda italiana, una struttura policentrica con sedi a Milano, Roma, Torino, Firenze e Napoli. Nelle comunicazioni ufficiali viene sottolineato che le creazioni di moda che tale iniziativa intende tutelare e valorizzare sono, prima ancora che oggetti duso, delle opere darte: analogamente, negli anni Venti e Trenta del Novecento, per giustificare lingresso del vestiario popolare nei musei se ne sottolineavano i requisiti artistici: il museo nella sua accezione originaria di casa delle Muse ritorna con forza dattualit. Pur senza le referenze autoriali che caratterizzeranno i costituendi musei della moda, anche per quelli delle tradizioni vestimentarie il senso e il requisito primario di attrattivit alla visita passa ancora attraverso i contenuti estetico-artistici e una poetica affettiva: sono questi i primi stimolatori di un contatto tra oggetto esposto e visitatore. Perci lormai avviato progetto di rinnovamento del Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde/Museo del Costume, che modifica tutto dellassetto espositivo da cui stato caratterizzato per circa trentanni, pur superando lattuale frammentazione espositiva delle vetrine, mantiene al centro del suo discorso la grande collezione di costumi popolari. A questi oggetti si affida il compito di introdurre il visitatore alla conoscenza del grande patrimonio tecnico e di significati simbolici del sistema vestimentario della Sardegna tradizionale. Allo stupore, che deriva dalla presentazione in sequenza delle tante variet di fogge, colori e materiali, si chiede di evocare volti, pensieri e sentimenti delle tante donne e uomini della Sardegna che li hanno tagliati, cuciti, ornati, talvolta solo indossati, nella speranza che possano far comprendere come, nella infinita povert della Sardegna di fine Ottocento, quelle donne e quegli uomini siano stati comunque in grado di riservare alla propria vita elementi di grande grazia e dignit. 445

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444

Note

6 gonna ou uresi: jupe en laine tisse orbace rouge, avec ruban de soie bleue & bande de drap fin rouge dans le bas, fronces dans le dos. 7 grembiule: tablier en drap fin rouge, orn soie bleue, et broderie jaune & multicolore; chainette & agrafes en argent avec pierres de couleur pour attacher dans le dos. 8 grembiule: tablier pour la tte, en laine tisse orbace rouge orne soie bleue, et broderie jaune & multicolore. ITALIE. Sardaigne Orgosolo Costume de femme: 1 cuffia: bonnet soie broche multicolore a fleurs. 2 camisa: chemise toile de coton blanc, large encolure plisse & brode, manches longues fronces poignets brods. 3 gros boutons jumels filigrane dor & pierres rouges. 4 gipponi ou corittu: gilet manches longues, drap rouge, orne soie bleue & broderies multicolores. 5 corpetto ou solopattu: gilet sans manches, soie noire borde de drap rouge. 6 gonna ou bunnedda: jupe en laine tisse orbace rouge brique plisse, orne bande de soie verte & drap rouge dans le bas. 7 grembiule: tablier soie noire brode soie multicolore, motif du lotus stylis. 8 fazzoletto ou velu: couvre-tte en soie tisse jaune avec 3 pingles longues en mtal dor. ITALIE. Sardaigne Orgosolo Costume de garonnet: 1 berritta: coiffure, drap noir. 2 camisa ou bentone: chemise toile de coton blanc, encolure ronde fronce & brode, manches longues fronces poignets brods. 3 corittu: veste courte, drap rouge orn de velours bleu fonc, broderies multicolores, manches longues crev. 4 calzonis (1) ou carzones: pantalon en toile de coton blanc avec une jupe courte bragas (2) en laine tisse orbace noire cousue fronces la taille du pantalon. 5 burzichinos, ou bozzochinos ou cambittas: jambires en laine tisse orbace noire, fenneture agrafes. 24. Les muses danthropologie culturelle europenne travers le monde, mme trs riches, ne possdent le plus souvent que des collections caractre rgional, parfois national. Les collections europennes du muse de lHomme, qui proviennent de diffrentes cultures europennes et se distinguent pour leur organisation en ensembles significatifs et cohrents, sont uniques au monde par leur tendue gographique (tous les pays sont reprsents, seule lAngleterre ltant pauvrement) et chronologique. Entreprises loccasion des Expositions universelles du sicle dernier, les collections europennes nont jamais cess de senrichir; elles se composent de quelque 50 000 pices et connaissent encore une croissance rgulire. A partir des annes 1950, les recherches de terrain se sont multiplies, assurant leur documentation et leur enrichissement. Elles ont t rcemment enrichies des collec-

tions de costumes du sud-est du continent acquises dans le cadre de la collection de Jacques dAumale, qui tmoignent des modes vestimentaires de la fin du XIXme sicle en Mditerrane orientale , in Les Collections du Muse de lHomme. Nota redatta da un collettivo per il rinnovamento del Muse de lHomme, 22 juillet 1996. Presentata alla Commissione culturale del Senato nel settembre 1997. 25. F. Cagnetta, Banditi a Orgosolo, Nuoro 2002. 26. Sulla figura di Francesco Bande e sul suo ruolo nella musica sarda del secondo dopoguerra, nonch sul padre Mario, pure apprezzato suonatore dorganetto e la figlia Inoria che continua a tener viva una tradizione musicale giunta alla terza generazione, si veda G. Sanna, Sonadores e Cantadores, Mario, Francesco e Inoria Bande, Cagliari 2001.

1. In E. Pais 1999, pp. 432-433. Lattivazione della linea ferroviaria effettivamente segn un cambiamento epocale; anche un giovane Max Leopold Wagner, chiudendo nel 1914 un suo articolo sulla Barbagia e paventando lulteriore sviluppo delle strade ferrate anche nelle zone pi remote dellisola, notava: E come queste antiche cassapanche, cos scompariranno gradualmente le suppellettili antiche, le tradizioni degli antenati, le usanze patriarcali per fare posto alla tanto lodata civilt. Ancora pochi anni e la ferrovia una societ genovese ha ormai elaborato il progetto render accessibili anche queste regioni vergini, e commercio e traffico trionferanno sulla poesia e sullarte. Cos va il mondo!. M.L. Wagner 2001, p. 167. 2. Si veda G.G. Cau. Pionieri del cinematografo in Sardegna. 1897-1907, Sassari, 1995. Con motivazioni convincenti lautore avanza lipotesi che le scene della cavalcata, le pi belle della serie del viaggio dei Reali in Sardegna, siano state riprese dalloperatore il giorno precedente la vera manifestazione, nel corso delle prove generali. Si tratterebbe dunque di una fiction: una minicavalcata di appena cinquanta secondi, girata con la consapevolezza e la complicit di dame e cavalieri. Ivi, p. 68. 3. Sulla storia del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari si veda il testo di Stefania Massari in questo volume. Cfr. inoltre Lares, vol. I, 1912, pp. 9-55, con saggi di L. Loria, A. Mochi, F. Baldasseroni. 4. M. Vinelli 1927, p. 530. 5. D. Levi 1937, p. 175. 6. G.U. Arata, G. Biasi 1935. 7. Sulla storia e le collezioni del museo si veda Il Museo Sanna in Sassari, Sassari 1986; E. Contu, M.L. Frongia, Il Nuovo museo Nazionale Giovanni Antonio Sanna di Sassari, Sassari 1976; G. Spano, Iniziazione ai miei studi, Cagliari 1997. 8. G. Carta Mantiglia 1979, p. 17. 9. G. Carta Mantiglia 1979, pp. 17-18 10. Alcuni reperti del museo furono riprodotti in una pubblicazione che ebbe notevole risonanza, Vanit sarda 1986. 11. G. Lilliu 1987, p. 15. 12. Si veda al riguardo, G. Tore 1976; P. Piquereddu 1987, pp. 78-79; G. Lilliu. 1987, pp. 11-13. 13. Pi precisamente: Diciotto provenivano da

acquisti effettuati da collezionisti vari; dodici erano stati donati dai Comuni; sette derivavano dalla collezione del sacerdote nuorese Raimondo Calvisi; sette erano di propriet del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, relativi cio alla raccolta costituita per la Mostra del 1911; infine sei provenivano da donazioni di privati. Oltre ai capi di cui sopra vennero trasferiti al Museo quaranta capi di vestiario vari (giubbetti, corsetti, scialli, cuffie ecc.), provenienti da disparate localit. Pare opportuno ricordare come i dodici costumi donati dalle amministrazioni comunali fossero il risultato di un appello che lAssessorato al Turismo rivolse ai Sindaci dellIsola, affinch disponessero la donazione di una coppia di costumi dei rispettivi centri per esporli nel costituendo Museo. P. Piquereddu 1987, pp. 78-79. 14. A.M. Cirese 1977. Sullinfluenza di questo lavoro sulla museologia demoetnoantropologica degli anni Settanta e Ottanta e in generale sul dibattito in corso nel settore si vedano P. Clemente 1996; 1999. 15. In P. Clemente, Il Museo che non un Museo, in Il Bosco delle cose. Il Museo Guatelli di Ozzano Taro, Parma 1966, p. 19. 16. A.M.Cirese 1977, p. 38. 17. A.M.Cirese 1977, p. 40. 18. A.M.Cirese 1977, p. 49. 19. P. Clemente, Il Museo che non un museo cit., p. 21 20. CI 67.29a-f REGIONAL Sardinian, late 19early 20th c. Womans ensemble, 5 pieces, of red wool with applied panels of blue silk and lengths of yellow embroidery along seams and decorative diagonals: (a) short jacket of red wool felt decorated as above, with especially elaborate embroidery on the lower sleeves; collarless; CF opening; long sleeves with notch at ends; red velvet interfacings; (b) skirt, the body of red wool with deep hem band of red wool felt (probably replacement) surmounted by band of blue silk and yellow embroidery; blue silk and embroidery treatment around waist; CB body pleated into waistband, the pleats partly sewn down; flat front, with some additional vertical embroideries at sides and vertically across hem bands; crude slit pocket proper R seam; (c) white commercial cotton chemise; full bodied top gathered into high standing collar with fine geometric smocking; white embroidery on shoulder section; full sleeve finely-gathered into shoulder section and smocked cuff with but-

tonhole; armseye gusset; CF slit; top roughly pleated into (later?) narrower bottom of coarser-grade commercial cotton; machine stitched; open at each side waist, with added narrow side panels below; full length; (d) short corset: entirely pieced of several figured and unfigured silks and silver metal figured ribbons, embroidered elaborately; sleeveless; notched CF opening, with single hook at hem; lining also pieced but with printed cottons and silk brocades; (e) apron: long flat rectangle, tapering at bottom; red felt body with blue panels around edges; yellow embroidery articulating edge of body and corners, especially elaborate at upper corners; horizontal band across mid-center of blue silk with abstract and floral embroidery and metallic ribbon at edges; (f) fitted cap of red felt with blue silk edges and extensive yellow and multicolored embroidery articulating joins and shape; orange ribbon ties (later addition). Wool, silk, metal Class III. Reference : Anna Maria Colombo, Giampiero Speziale, I Costumi della Sardegna, Nuoro, 1983, pp. 116124. Purchase : Irene Lewisohn Bequest. Vendor : Mr. Ermanno de Notti, Rome, Italy, 1967. Note: Probably from the town of Desulo, in the province of Nuoro, east central Sardinia. Apron can be worn over head for church or against rain. Condition: Good; shirt collar smocking torn in one place; general wear. 21. Le schede catalografiche e le fotografie degli abiti sardi al Metropolitan si devono allamichevole disponibilit di Chris Paulocik e Beth Alberty, Costume Institute Metropolitan Museum of Art, New York. 22. Devo tutte le informazioni e le schede sui reperti sardi al Muse de lHomme alla cortesia della signora Yvonne de Sike, Responsabile delle Collezioni europee del museo. 23. Si ritiene utile riportare qui di seguito le schede dei tre abiti ITALIE. Sardaigne. Desulo Costume de femme: 1 cuffia: bonnet, broderie jaune & multicolore, 2 rubans de soie rouge. 2 camisa: chemise toile de coton blanc, encolure ronde plisse & brode, manches longues fronces poignets brods. 3 boutons jumels dors, filigrane & perles rouges. 4 gipponi ou corittu: gilet manches longues, soie broche rouge, broderie jaune & multicolore. 5 corpetto ou solopattu: gilet sans manches, soie broche, broderie jaune & multicolore, galon argent.

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Profili economici del settore abbigliamento in Sardegna


Marco Vannini

Un comparto meritevole di attenzione La presenza di un contributo di analisi economica potrebbe apparire fuori posto nel contesto di un volume dedicato prevalentemente allabbigliamento tradizionale in Sardegna. Un tema, questultimo, caro agli studiosi di antropologia e tradizioni popolari, ma appena sfiorato dagli economisti a causa della modesta incidenza quantitativa del comparto. Tuttavia, allargando il discorso anche al cosiddetto abito etnico e alla confezione artigianale di capi di abbigliamento, si entra in un campo di sicuro interesse non solo sotto il profilo quantitativo ma anche qualitativo. Da alcuni anni, infatti, tanto la riflessione teorica sui fattori chiave dello sviluppo e sullevoluzione dei modelli di consumo nelle societ ricche, quanto i riscontri empirici sullemergere di iniziative produttive con forti connotazioni territoriali, fenomeno inspiegabile alla luce della visione classica dei processi di industrializzazione, hanno richiamato lattenzione dellanalisi economica verso le attivit tipiche. Sul piano strettamente teorico merita ricordare almeno due aspetti. Il primo, sottolineato da P. Romer,1 il riconoscimento che larretratezza economica di un paese pu dipendere non solo da un deficit di elementi materiali (impianti, strade, materie prime ecc.) ma anche da un deficit di idee, intendendo con ci qualcosa di pi ampio del classico divario tecnologico. Lattenzione si sposta da fattori quali il risparmio e laccumulazione ai meccanismi che favoriscono la diffusione delle idee capaci di generare valore economico. Il secondo aspetto rappresentato dallevoluzione dei modelli formali impiegati dagli economisti, allinterno dei quali divenuto possibile studiare le implicazioni di ipotesi meno restrittive (e pi realistiche) rispetto al binomio convenzionale di mercati concorrenziali e razionalit olimpica, come ad esempio lesistenza di prodotti differenziati, rendimenti crescenti, processi di apprendimento e dinamiche spaziali. Sotto il profilo empirico, invece, assumono particolare rilievo i mutamenti dei modelli di consumo: sia quelli
704. Modelli sartoriali in velluto, 2001, fotografia di Salvatore Ligios. Labito in velluto, di pertinenza esclusiva di pastori e contadini, dagli anni Ottanta crescendo come fenomeno di moda (anche da esportazione) fino allattuale diffusione , divenuto labito elegante da indossare per la festa.

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indotti dalla crescita del reddito, che confermano lipotesi che il consumatore ama la variet, ossia che al crescere dellagiatezza tende ad allargare sistematicamente il proprio paniere di consumo per includervi beni differenziati e personalizzati; sia quelli legati allevoluzione dei valori etici, che portano gruppi consistenti di consumatori a considerare attributi finora inediti dei beni da acquistare, come limpronta ecologica o, pi in generale, limpatto sociale. La produzione standardizzata di massa incontra evidentemente notevoli difficolt a soddisfare questi nuovi bisogni; si aprono cos nuove opportunit per molte produzioni tradizionali e per tutte quelle attivit che, a torto o a ragione, vengono considerate in sintonia con i nuovi valori.2 Lattuale risveglio dinteresse in seno al mainstream non deve far dimenticare il lavoro degli studiosi dello sviluppo locale, come Giacomo Becattini3 e Sebastiano Brusco,4 che con molto anticipo hanno riconosciuto nel distretto industriale italiano un esempio di organizzazione produttiva funzionale alla crescita delle competenze e alla diffusione delle idee generatrici di valore. Il comparto dellabbigliamento in Sardegna stato analizzato prevalentemente nellambito di ricerche pi ampie incentrate sul settore tessile,5 che insieme alla chimica ha rappresentato uno degli assi portanti delle politiche pubbliche volte a modernizzare la base produttiva dellisola.6 A questo punto occorre precisare i termini impiegati, in quanto espressioni quali abbigliamento, tessile-abbigliamento, moda, industria della moda, sistema moda ecc. possono assumere significati diversi a seconda del contesto e, soprattutto, non sempre individuano una controparte univoca fra gli aggregati delle statistiche ufficiali. In particolare, a partire dalla pi recente classificazione delle attivit economiche dellIstituto Centrale di Statistica, si definisce come industria della moda laggregato comprendente le sottosezioni industrie tessili e dellabbigliamento e industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio e pelli. Questo sottoinsieme, chiamato a volte TAC per ricordare la triade tessile-abbigliamento-calzature, pu risultare a seconda dei casi troppo ristretto o troppo ampio. Se ad esempio si desidera misurare il peso economico del sistema moda, limitarsi al TAC sarebbe riduttivo,7 in quanto si 449

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lascerebbero fuori almeno tre importanti gruppi di attivit: quelle integrate col ciclo produttivo del tessile-abbigliamento (produzione di bottoni, accessori, cerniere ecc.) o affini a questultimo (produzione di profumi, gioielli, occhiali); quelle riguardanti la distribuzione dei prodotti del TAC; quelle relative alla congerie di iniziative che ruotano intorno al fenomeno moda (showroom, sfilate, editoria specializzata ecc.). Se invece lanalisi vuole approfondire la situazione a valle della filiera tessile, come nellinteressante ricerca del CIRIEC per la Regione Toscana,8 allora si possono omettere le imprese produttrici di beni intermedi, le industrie tessili e quelle conciarie. Nel nostro caso lobbiettivo quello di documentare levoluzione del settore nel suo complesso, cos da poter disporre di una cornice di riferimento dentro la quale interpretare il recente fermento che ha interessato pi da vicino il comparto dellabbigliamento. Con ci intendiamo sia laffacciarsi sulla scena internazionale di alcuni stilisti il cui lavoro affonda le radici nella cultura locale, sia lapparente maggiore dinamismo di un certo numero di laboratori che operano nel campo delle confezioni tradizionali. Il lavoro, pertanto, si apre con unanalisi del TAC in Sardegna alla luce dei dati pi aggiornati (il quinquennio 1996-2000), prosegue con un approfondimento riguardante una selezione ragionata di imprese e artigia450

ni del sistema delle confezioni e si conclude con alcune osservazione sulle politiche economiche rivolte al rafforzamento degli elementi positivi emersi negli ultimi anni. Lindustria della moda in Sardegna: struttura produttiva e analisi finanziaria Prima di addentrarci nellanalisi riguardante la Sardegna, opportuno riassumere gli elementi principali che caratterizzano oggi il settore moda a livello internazionale e nazionale. Da un lato si registra un andamento congiunturale sfavorevole, con riduzione degli scambi commerciali internazionali, dovuto in gran parte alle vicende delleconomia americana e ai suoi riflessi sulle economie dei paesi collegati; dallaltro lato, come conseguenza dei processi di integrazione economica mondiale, si assiste alla crescita impetuosa delle quote di mercato di alcuni paesi in via di sviluppo e in particolare della Cina. Secondo la Banca Mondiale, questultima vedrebbe salire la propria quota complessiva di mercato dallattuale 20% al 50% entro il 2010. A conferma di ci le pi recenti statistiche del WTO relative alle quote mondiali di esportazioni nel settore abbigliamento nel 2001 indicano per la Cina il 18,8% e per lUnione Europea il 24,1%. LItalia, fra il 1990 e il

705. Sartoria Modolo, interno del laboratorio, Orani, 2003.

2001, vede ridursi la sua quota dall11% al 7,2%. Sul versante delle importazioni, laggregato UE-USA-Giappone fa la parte del leone tanto per i prodotti dellabbigliamento (80%) quanto per i prodotti tessili (39,2). Secondo la ricostruzione effettuata dallISTAT col Censimento intermedio del 1996, lindustria della moda italiana occupava 927.000 addetti distribuiti in 105.840 aziende. In base alle cifre delloccupazione lo spessore del TAC, in Italia, risulta doppio rispetto al settore alimentare e circa quattro volte maggiore di quello del settore chimico. In termini relativi, loccupazione del TAC rappresenta il 19% delloccupazione manifatturiera e il 6,7% di quella totale dellindustria e dei servizi. Come sottolinea Hermes Lab9 questi rapporti crescono visibilmente se si usano le definizioni estese del settore, ma in ogni caso, anche guardando al solo tessile-abbigliamento, mostrano una specializzazione produttiva che nellambito dellUE si riscontra solo in Portogallo e Grecia. In termini di fatturato il valore stimato per fine 200310 di 44 miliardi di euro. Questo risultato, che ci riporta a valori inferiori a quelli del 1999, riflette una riduzione del saldo commerciale (esportazioni meno importazioni) con lestero, che rimane comunque positivo e pari a poco pi di 12 milioni di euro, non compensato dalle fonti di domanda interne. La quota delle esportazioni sul fatturato continua a oscillare intorno al 60%. A guidare le esportazioni nel settore sono la Lombardia (31,6%), il Veneto (17,3%), la Toscana (17,2%) e il Piemonte (11,1%). Con una quota dello 0,07% la Sardegna si colloca al terzultimo posto della graduatoria regionale, seguita da Basilicata e Valle dAosta. Sul piano qualitativo importante segnalare come i cedimenti descritti siano da addebitare non solo alle debolezze del quadro macroeconomico interno ed esterno, ma anche allapprezzamento delleuro che ha ridotto la competitivit delle merci italiane in segmenti di mercato, anche di fascia media, ormai molto sensibili a fattori di prezzo e sempre meglio presidiati dallofferta dei paesi emergenti.11 I riflessi negativi sono stati pi pronunciati nellindustria tessile e nellabbigliamento-maglieria-calzetteria, ma allinterno di ciascun comparto le performance delle imprese terziste e, in generale, di quelle con le pi deboli relazioni di filiera sono risultate le peggiori.12 Giova ricordare che nel Paese vi sono circa 15 distretti a prevalente specializzazione nella filiera del tessile-abbigliamento. Alla loro omogeneit interna si contrappone la diversit dei rispettivi sistemi produttivi, evidente anche a livello provinciale e regionale, in termini di propensione allexport, presenza di grandi imprese e utilizzo di marchi propri. Sul piano dimensionale, lintero settore caratterizzato da una forte presenza di imprese micro (meno di 10 addetti) e piccole (10-50 addetti), con unincidenza occupazionale, al Censimento intermedio 1996, pari rispettivamente al 26% e al 44% del totale di settore. Le stesse classi dimensionali nel settore manifatturiero incidono in misura pari al 24,9% e al 31,7%. infine interessante notare che lindustria della moda presente nel

territorio nazionale in maniera significativamente pi equilibrata rispetto al settore manifatturiero. Il settore TAC in Sardegna ha una tradizione artigianale antica e molto spiccata.13 Oltre l83% delle imprese sono artigiane. Esso comprende fondamentalmente i laboratori di tessitura e realizzazione dei tappeti originali insieme ad alcune medie imprese che si occupano di fibre e di confezionamento di vestiti. Il settore, definito dalla classificazione ISTAT Ateco91 con i codici di ramo 17, 18 e 19, si articola nei seguenti sottosettori: preparazione e filatura di fibre tessili; tessitura di materie tessili; finissaggio dei tessili; confezionamento di articoli in tessuto; fabbricazione di maglierie, confezione di articoli di vestiario, preparazione e confezione di articoli in pelliccia, fabbricazione di articoli da viaggio e borse, fabbricazione di calzature. Nel 2000 le imprese tessili, dellabbigliamento e delle calzature in Sardegna erano 967 e costituivano circa il 7% delle aziende dellindustria in senso stretto operanti sul territorio regionale. Si ripartivano per forma giuridica per l85,8% come ditte individuali o societ di persone (rispettivamente 76,1% e 9,7%), per il 7,5% come societ di capitale e per il 6,6% come societ cooperative. Il settore raccoglieva nel 2000 il 6,5% degli addetti totali dellindustria in senso stretto (3.699 occupati), ponendosi al settimo posto nella graduatoria regionale. costituito prevalentemente da piccole imprese (micro imprese secondo la classificazione UE), con una dimensione media pari a 3,8 unit di lavoro. Allinterno esistono delle differenze significative a seconda del tipo di produzione. La dimensione media nellabbigliamento (2,4) e nelle calzature (1,8) rispecchia unorganizzazione di tipo artigianale mentre nel tessile raggiunge un valore di 6,8 addetti come riflesso della presenza delle uniche realt industriali del settore. Dal 1996 al 2000 il profilo complessivo del settore in termini di addetti rimasto pressoch inalterato, mentre aumentato leggermente il numero di imprese. Nel biennio 1997-98 al calo nel numero di imprese del comparto industriale del tessile si accompagnato un incremento delloccupazione nelle produzioni a carattere prevalentemente artigianale.
4000 3500 3000 2500 2000 1500 1000 500 0 897 1996 885 1997 Imprese 864 1998 898 1999 967 2000 3.644 3.566 3.664 3.626 3.699

Addetti

Tav. 1 - Imprese e Addetti del TAC, 1996-2000 (fonte: Elaborazioni su dati Annuario Statistico 2003 - Osservatorio Industriale).

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10,0 8,0 6,0 4,0 2,0 0,0 -2,0 -4,0 -1,3 -2,1 -2,4 Imprese Addetti -1,0 2,7 3,9 7,7

2,0

Il comparto tessile chiude mediamente i propri bilanci in perdita. Il 21% del valore aggiunto assorbito dai creditori, l1,3% dallo Stato per imposte e tasse e circa il 74,5% utilizzato per la remunerazione degli addetti del comparto. Una parte del valore aggiunto rientra sotto forma di ammortamenti per circa il 26,1%.
80,0 60,0 40,0 20,0 0,0 -20,0 -40,0 Oneri finanziari Imposte Costo del Lavoro Ammortamenti Utile o perdita netta dellesercizio 21,0 1,3 26,1 -22,9 74,5

80,0 60,0 40,0 20,0 0,0 -20,0 -40,0 Utile netto desercizio Interessi passivi Ammortamenti materiali e immateriali -19,4 20,3 25,5

72,6

1,0

Retribuzioni al personale lorde

Imposte e tasse

TAV. 6 - INDICATORI DI BILANCIO MEDIANI (PANEL OSSERVATORIO INDUSTRIALE)


ANNI INDICI MEDIANI Variazione fatturato Variazione valore aggiunto Variazione Capitale Netto 1994 13,0 11,1 2,9 0,5 2,0 1,7 0,8 26,7 3,0 1995 7,3 9,1 0,6 4,3 3,3 4,4 0,8 27,4 3,5 1996 -2,0 -6,2 0,0 0,0 1,1 1,2 0,7 23,0 3,6 1997 5,4 6,6 3,6 0,2 1,5 0,7 0,7 23,0 4,3 1998 1,1 -1,0 0,0 0,0 1,0 1,9 0,6 21,9 3,8 1999 -10,6 -1,4 0,4 0,0 0,0 0,0 0,6 15,7 3,1 2000 0,1 -3,1 -3,6 -1,2 0,0 0,0 0,5 15,5 3,1 a) Sviluppo

Tav. 2 - Variazioni percentuali 1996-2000 (fonte: Elaborazioni su dati Annuario Statistico 2003 - Osservatorio Industriale).

Per valutare lo stato di salute del settore dal punto di vista economico e finanziario sarebbe necessario disporre dei bilanci di esercizio di tutte le imprese censite, ma ci non possibile. Tuttavia, grazie alle informazioni dellArchivio Bilanci dellOsservatorio Industriale, siamo in grado di ricostruire per gli anni 1994-2001 landamento di un gruppo particolare di imprese appartenenti al settore. Si tratta in pratica di 37 societ di capitale con lobbligo del deposito di bilancio, 23 fra Srl ed Spa e 14 cooperative, per un totale medio di 1.251 addetti nel periodo considerato, che figurano nella speciale graduatoria delle imprese guida operanti in Sardegna, ovvero di quelle imprese che nella distribuzione statistica ordinata in senso decrescente per fatturato e valore aggiunto si collocano fra il 100 e il 75 percentile. Sulla base del contributo al valore aggiunto dellindustria in senso stretto, il settore si colloca al quinto posto della graduatoria regionale, con una media dell8,9% negli 8 anni considerati. A questo risultato concorre prevalentemente il trattamento delle fibre tessili (86,3%), mentre labbigliamento partecipa per il restante 13,7%.
ABBIGLIAMENTO 13,7%

Tav. 4 - Distribuzione media del valore aggiunto tra i fattori primari 1994-2001 (fonte: Elaborazioni su dati Annuario Statistico 2003 Osservatorio Industriale).

b) Redditivit ROE (Return on Equity) ROI (Return on Investment) ROS (Return on Sales) Turnover Valore aggiunto su attivit Oneri Finanziari su Fatturato Valore aggiunto su Costo del lavoro Valore aggiunto per addetto (migliaia di euro) Fatturato per addetto (migliaia di euro) Costo del lavoro per addetto (migliaia di euro) Cash ow per addetto (migliaia di euro) Immobilizzazioni immateriali su Attivo Immobilizzazioni materiali su Attivo Passivit a BT su Passivit Passivit a MLT su Passivit Disponibilit su Esigibilit Rotazione crediti commerciali gg Rotazione debiti commerciali gg Cash ow su Attivit MOL su Oneri nanziari

I dati della tav. 5, relativi a fatturato e valore aggiunto, mostrano un andamento altalenante: con un picco nel periodo 1996-97, un calo nei due anni successivi e un accenno recente di ripresa. Landamento a livello aggregato trainato dai risultati del settore del trattamento delle fibre tessili e nasconde un calo del settore abbigliamento per tutto il periodo 1995-99, solo in parte controbilanciato dai dati dellultimo triennio.
160.000 140.000 120.000 100.000 80.000 60.000 40.000 20.000 0 45.000 40.000 35.000 30.000 25.000 20.000 15.000 10.000 5.000 0

c) Produttivit 1,2 12,9 33,1 10,1 -0,3 1,4 17,8 42,0 11,9 1,3 1,2 13,1 24,5 10,7 0,3 1,1 14,2 28,0 10,8 -0,1 1,3 10,2 20,9 10,2 -0,2 1,2 8,0 17,1 9,7 -0,6 1,1 15,4 31,3 11,7 -1,6

d) Struttura dellattivo e del passivo 0,1 37,5 78,1 21,9 114,0 73,9 185,8 5,0 2,9 1,9 -0,8 87,4 12,6 89,5 10,5 0,1 29,5 72,5 27,5 126,8 73,0 228,2 9,9 2,5 1,8 6,4 77,3 22,7 87,5 12,5 0,0 41,1 71,4 28,6 125,0 75,1 219,0 3,6 1,9 2,3 0,7 81,1 18,9 83,5 16,5 0,0 31,9 67,5 32,5 116,9 66,9 230,5 0,0 2,2 1,8 -1,6 87,2 12,8 85,2 14,8 0,0 38,7 70,3 29,7 111,0 81,8 214,0 1,1 2,2 1,9 -1,2 84,8 15,2 87,9 12,1 0,1 38,0 72,9 27,1 109,4 162,3 74,7 -7,2 2,1 1,3 -9,7 83,3 16,7 63,5 36,5 0,1 38,3 81,8 18,4 90,0 136,6 64,4 -0,4 2,1 1,4 -2,9 78,5 21,5 79,2 20,8

e) Gestione circolante e liquidit

1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 Valore aggiunto Fatturato

I primi due (a,b), in particolare nellultimo triennio, ci restituiscono un quadro preoccupante. Limpresa tipica stenta ad aumentare la propria presenza sul mercato (variazioni del fatturato modeste o negative), scarsamente dinamica (valore aggiunto calante) e, stando allindicatore relativo alla crescita globale del patrimonio di propriet degli azionisti, vive una fase di stazionariet/regresso. Il rapporto fra risultato netto e capitale proprio (ROE) e fra reddito operativo e capitale investito (ROI), che esprimono rispettivamente il grado di remunerazione del rischio effettivamente sostenuto dallimprenditore (da confrontare in equilibrio con un tasso privo di rischio) e la capacit di produrre reddito a prescindere dalla struttura finanziaria (da valutare alla luce del costo medio del danaro) assumono, anche tenendo conto di alcune peculiarit del contesto locale che comportano la sottostima degli utili contabili, valori estremamente modesti. Dato che il ROI influenzato dal margine sulle vendite (ROS) e dal volume di queste ultime (Turnover), non stupisce che anche questi indicatori assumano valori molto contenuti. interessante valutare gli indicatori di produttivit (c), che dipendono sia da scelte interne allimpresa sia da fattori ambientali che non ricadono sotto il suo controllo, in rapporto alla media regionale. Il valore aggiunto per addetto si attesta su valori inferiori a quelli relativi al sistema, (8-15 migliaia di euro nel comparto tessile contro 2530 migliaia di euro per addetto del sistema Sardegna) cos come il fatturato per addetto (17-42 migliaia di euro contro 71-86 migliaia di euro per addetto per la Sardegna). Il costo del lavoro per addetto lievemente crescente dal 1994 al 2000, mentre il cash flow per addetto mostra un andamento negativo tranne che nel 1995 e nel 1996. Infine, un rapido sguardo ad alcuni aspetti squisitamente finanziari, accanto a una certa rigidit della struttura dellattivo e alla quasi totale assenza di investimenti immateriali, permette di evidenziare: un rapporto fra passivit e capitale netto (leverage), indice del rischio finanziario dellimpresa, inferiore rispetto ai corrispondenti valori regionali (dove le passivit sono circa il triplo del netto); un fragile equilibrio finanziario a breve, testimoniato dal cedimento del rapporto disponibilit ed esigibilit (attivit correnti/passivit correnti); un andamento molto variabile sia delle fonti di natura strutturale sia di quelle autogenerate. Tendenze attuali nel settore abbigliamento-moda Nelle sezioni precedenti abbiamo delineato lo scenario pi ampio entro il quale, da alcuni anni a questa parte, si assiste in Sardegna a un evidente fermento nel campo dellabbigliamento/moda: una miscela di successi eclatanti come quello dello stilista algherese Antonio Marras, rilanci emblematici di attivit sartoriali tradizionali come quella di Paolo Modolo, sviluppo di configurazioni di filiera come nellarea industriale di Tossilo-Macomer. Documentare una congerie cos eterogenea di casi difficile sia perch mancano informazioni ufficiali sia per le 453

TRATTAMENTO FIBRE TESSILI 86,3%


Valore aggiunto Contribuzione % dei sottosettori ABBIGLIAMENTO TRATT. FIBRE TESSILI Totale 1994 24,71 75,29 100 1995 19,5 80,4 100 1996 16,25 83,75 100 1997 11,01 88,99 100 ANNO 1998 10,16 89,84 100 1999 11,88 88,12 100 2000 12,16 87,84 100 2001 4,18 95,82 100 media 13,7 86,3 100

Tav. 5 - Fatturato o valore aggiunto del Tessile e Abbigliamento (fatturato scala di sinistra, v.a. scala di destra, milioni di Euro) (fonte: Elaborazioni su dati Annuario Statistico 2003 Osservatorio Industriale).

f) Equilibrio delle fonti e degli impieghi - Liquidit Passivit su Netto Cash ow su Totale fonti di liquidit Impieghi autogenerati CL su Impieghi di liquidit Impieghi strutturali CL su Impieghi di liquidit Fonti autogenerate CL su Fonti di liquidit Fonti strutturali CL su Fonti di liquidit

Tav. 3 - Ripartizione del valore aggiunto fra i sottosettori (fonte: Elaborazioni su dati Annuario Statistico 2003 - Osservatorio Industriale).

Rivolgendo ora lattenzione agli equilibri economico-finanziari, consideriamo gli indicatori riportati nella tav. 6, che fotografano limpresa mediana (interpretabile come limpresa dal comportamento tipico in relazione alluniverso considerato) sotto sei diversi profili. Inutile dire che in unanalisi esaustiva questi andrebbero commentati in maniera coordinata. Qui possiamo darne solo una lettura veloce.

Tav. 6 - Indicatori di bilancio mediani (fonte: Elaborazioni su dati Le imprese guida in Sardegna 2001 - Osservatorio Industriale).

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706

peculiarit delle attivit considerate. Abbiamo dunque optato per una serie di interviste, effettuate nellottobre 2003, tramite un questionario strutturato (incentrato su struttura aziendale, tecnologia, legami col territorio e con la tradizione) somministrato a un sottoinsieme di trenta operatori rappresentativi dei comparti sartoria e confezione industriale. Non abbiamo invece considerato i casi eccezionali e idiosincratici, per altri versi straordinariamente importanti, di stilisti quali Antonio Marras e Angelo Figus, dei quali soltanto il primo mantiene un significativo rapporto economico col territorio, attraverso la realizzazione accanto alle collezioni disegnate per Kenzo (Parigi) e per BVM (Bologna) di una linea in serie limitata prodotta ad Alghero con personale locale e tecniche semiartigianali.14 Preliminarmente ricordiamo che la produzione di capi di abbigliamento in Sardegna una attivit minoritaria, i cui volumi di produzione sono molto bassi. Ci impedisce il formarsi di una filiera, di una rete densa e articolata di rapporti di fornitura fra le imprese attive nel settore. La tendenza prevalente quella di svolgere in seno allazienda tutte le fasi di produzione. Altra conseguenza dei bassi volumi la scarsit di materiali nel mercato locale: i fornitori italiani non trovano conveniente battere la piazza sarda, in quanto gli acquisti tendono ad essere inferiori al minimo richiesto per la vendita, e i cataloghi non vengono rinnovati se allinvio iniziale non fa seguito alcun acquisto. In questo contesto pi accurato parlare di settore dellabbigliamento in Sardegna avendo in mente due ambi454

ti: quello dei sarti e/o stilisti, dove troviamo essenzialmente microimprese artigiane totalmente dipendenti dalla fama e personalit del titolare; quello dei confezionisti dove operano imprese di dimensioni medie, caratterizzato da strutture industriali pi articolate. Il primo gruppo presente in tutto il territorio, anche nei villaggi pi piccoli.15 Si tratta di artigiani della confezione che operano su scala estremamente ridotta con la forma societaria prevalente di ditta individuale oppure di piccola cooperativa. Alcuni sarti locali sono stati capaci di crescere professionalmente e rimanere innovativi, creando aziende che impiegano intorno ai 10 dipendenti e che partecipano ad eventi di spicco regionali e nazionali. Altri hanno acquisito fama perch tramandano tecniche e/o fogge tradizionali che vanno scomparendo il caso dei completi in velluto dei laboratori Modolo e Papassedda ma anche del macram di Daniela Langione e dei ricami delle sorelle Piredda. La maggior parte dei sarti continua unattivit classica di taglio e confezione su misura. Quanti hanno scelto di utilizzare nel loro lavoro tessuti realizzati artigianalmente sul territorio hanno avuto modo di constatare come gli artigiani (soprattutto le donne) non attribuiscano un valore economico primario alla propria attivit: la produzione artigiana viene messa in secondo piano se gli impegni familiari lo domandano, rendendo cos difficile programmare i volumi di produzione e sviluppare percorsi innovativi che richiedono impegno costante.
706. Sartoria Papassedda, interno del laboratorio, Orune, 2003.

Tutti i sarti curano i propri capi nei dettagli per distinguerli dal prodotto di serie ed aumentarne il valore, e puntano su una clientela fedele che spesso necessita del capo su misura per problemi di vestibilit. Alcuni di loro hanno fatto leva su questo segmento per attrarre anche una clientela che sceglie la moda su misura pur avendo alternative di tutti i prezzi e qualit; altri ritengono che la concorrenza di prezzo delle collezioni di serie sia insostenibile salvo che per i capi una tantum, come labito da sposa, o quelli meno impegnativi, come le camicie, e che la produzione sartoriale sia quindi destinata a scomparire. Nelle sartorie pi moderne la produzione, con fasi di lavorazione tutte interne allimpresa, prevede taglie standard, modificabili su richiesta nei dettagli. La confezione su misura in senso stretto non supera il 40%. Tutti gli intervistati ritengono che non sia ipotizzabile la creazione di una filiera e di comparti specializzati in Sardegna, perch i volumi di produzione non lo consentono. I materiali dai tessuti ai bottoni alle cerniere lampo vengono dallesterno dellisola, specialmente quelli pi eccentrici rispetto ai trend di moda correnti. Acquistando al di sotto del volume minimo richiesto dai fornitori (in genere 25-30 metri di tessuto) si va incontro a una maggiorazione di prezzo di circa il 20%, alla quale si aggiungono le spese di trasporto; accade cos che si tenda ad acquistare pi materiali di quelli necessari al momento, con evidenti inefficienze nella gestione del magazzino. La maggior parte delle sartorie si rivolge al mercato locale e vende direttamente al cliente finale, con una base di vendita che va dai cento ai settecento clienti regolari. In alcuni casi economicamente significativi, tuttavia, circa la met della produzione si divide fra Italia ed estero. Il fatturato delle sartorie del capoluogo si inquadra mediamente tra i 100-250 mila euro allanno. Nelle sartorie pi piccole la reticenza a divulgare gli aspetti contabili non consente alcuna stima. Le sartorie utilizzano generalmente macchinari a basso contenuto tecnologico, evitando le procedure computerizzate, salvo che per la gestione amministrativa e le relazioni esterne. I contatti personali e la partecipazione a eventi di settore costituiscono ancora i principali mezzi per estendere lattivit. Il comparto sartoria molto attivo nella formazione: tutti gli intervistati sono impegnati in iniziative formative e di aggiornamento, la cui qualit tuttavia universalmente criticata. Molti sottolineano come la formazione del personale avvenga comunque sempre nellazienda, soprattutto col ricorso ai contratti di formazione-lavoro. La durata dei contratti, ritenuta insufficiente, e la suddivisione delle ore fra teoria e pratica al loro interno ostacolano tuttavia una piena efficacia di questo strumento. Il richiamo a una generica sardit stato indicato come fonte di ispirazione primaria dalla maggior parte degli intervistati; al tempo stesso, praticamente tutti si dichiarano poco entusiasti di un recupero di temi e motivi della tradizione sarda basato su stereotipi ricorrenti (cultura agro-pastorale, ricordi della preistoria nuragica), pur

riconoscendo che spesso sono i media a sottolineare connotazioni etniche (vere o presunte) nelle collezioni degli stilisti sardi di successo. La sardit insistono molti operatori una cosa che abbiamo dentro e come tale non deve essere citata forzatamente, perch fa comunque parte di noi. Se in alcuni casi le loro creazioni non sembrano confermare questa visione del problema (il richiamo ai segni pi conclamati della cultura locale piuttosto diffuso), in altri il legame con la tradizione si fonda soprattutto sulluso di modelli, tecniche e materiali che derivano dallevoluzione novecentesca dellabito tradizionale (la riproposizione del completo di velluto in quanto abito etnico dei sardi).16 Il settore delle confezioni di serie ha vita difficile e le imprese solide che producono con proprio marchio si contano sulle dita di una mano. Circa 20 altre aziende tra confezioni e maglieria producono interamente in conto terzi.
LA Settore Confezioni Maglieria Intimo, mare, calzetteria Abbigliamento tecnico, moquettes ecc. TOTALE
PRODUZIONE INDUSTRIALE DI ABBIGLIAMENTO IN

SARDEGNA

Numero di imprese 10 5 17 69 101

(fonte: Consorzio 21, Officina Tessile Polaris).

La concorrenza dei distretti industriali italiani e stranieri non facilmente sostenibile sia per la distanza dei mercati sia per i limiti dellorganizzazione produttiva. Tutte le imprese contattate sottolineano il problema della frammentazione produttiva e dei fallimenti dei tentativi volti a conseguire una maggiore coesione. Poich nel comparto gli impianti industriali sono pi sofisticati, la produzione totalmente standardizzata, la specializzazione intensa, evidente che il gap di idee (anche di quelle sottese alle politiche pubbliche) costituisce forse laspetto pi problematico. Fa eccezione il caso dellarea di Tossilo-Macomer, dove a parte le fasi di design e di progettazione sviluppate allesterno esiste una significativa integrazione verticale nello svolgimento delle operazioni di campionatura e raccolta ordini, da una parte e di stiratura, confezione e imbustamento dallaltra. Contrariamente ai sarti, i confezionisti usano le nuove tecnologie anche per la modellistica ed il taglio e utilizzano internet per comunicare con fornitori e clienti. Luso efficiente delle tecnologie trova per un grosso limite nella mancanza, in loco, di figure professionali specializzate (per esempio scarseggia la figura del modellista e dellassistente tecnico ai macchinari). Ci tende anche a mitigare il reclutamento. Raramente le aziende superano i 60 455

impiegati. Molte di esse, inoltre, non hanno un incentivo a lasciare lo status di aziende artigiane per quello di imprese industriali: godono di maggiore flessibilit contrattuale, hanno un migliore accesso agli incentivi pubblici, e di conseguenza una gestione pi leggera. Questo porta a contenere il numero di addetti regolari entro il limite di 15 previsto dalla normativa sullartigianato. La maggior parte delle aziende sarde producono in conto terzi, e non hanno perci contatti diretti con la distribuzione. Per i produttori a marca propria il controllo della distribuzione e dei punti vendita diventa importantissimo proprio quando i mercati, come nellattuale fase congiunturale, non sono in grado di sostenere le vendite. Come testimonia lesperienza dei tre principali confezionisti a marca propria della Sardegna, la possibilit di controllare la distribuzione e spingere i propri prodotti mediante le giuste collocazioni in vetrina e in sala cruciale. Conclusioni Linterrogativo principale cui questo lavoro intendeva dare risposta riguardava le cause dellattuale fervore che caratterizza il comparto dellabbigliamento-moda in Sardegna. A tal fine, dopo aver ricostruito il quadro economico entro cui collocare il fenomeno, abbiamo svolto unindagine riguardante quattro aspetti critici dellattivit delle imprese operanti nei comparti della sartoria e della confezione industriale. La ricerca ha messo in luce il fatto che lo sviluppo osservato il risultato di un adeguamento creativo alle trasformazioni della domanda cui per non corrisponde, oggi, unevoluzione coerente dellorganizzazione produttiva. Ci tanto pi importante se si considera lestrema volubilit della domanda e la sempre pi breve vita commerciale dei prodotti in questo settore. Sono pochi gli operatori che hanno mostrato consapevolezza di ci o che, avendola, sembrano determinati a perseguire i cambiamenti necessari, la cui attuazione non peraltro agevole n scontata. Se infatti si desidera mantenere quella prerogativa artigianale cui il prodotto deve il suo successo iniziale si deve rinunciare ad un rilevante sviluppo dei volumi di produzione. Come indicano molte storie di successo in un settore solo apparentemente lontano da quello della moda, quello enologico, possibile trovare un punto di equilibrio fra queste opposte esigenze solo attraverso una costante opera di diversificazione delle proposte e di miglioramento dei processi produttivi. Ci pu avvenire in vari modi: reinventando vecchi processi, utilizzando tecniche pi sofisticate, intensificando la qualit della formazione, ricercando forme inedite di collaborazione, ideando nuove strategie di marketing. In altre parole organizzandosi al meglio per cogliere le opportunit offerte dalle caratteristiche dei consumatori postindustriali. Chiedere allartigiano di accollarsi da solo gli investimenti che questo obbiettivo richiede velleitario (ma pu succedere, come accaduto recentemente in altre aree del Meridione). Nel caso specifico della Sardegna, inoltre, occorre riconoscere il ruolo cruciale svolto nella 456

moda da elementi culturali le cui dinamiche trascendono la sfera di influenza degli operatori individuali. Affinch un settore costituito da monadi arroccate (ma meritevole di attenzione, non fossaltro per la capacit mostrata da alcune di esse di rispondere ai segnali del mercato) possa crescere ed assumere un rilievo economico significativo dunque fondamentale un intervento pubblico lungimirante, non circoscritto a rimuovere i limiti evidenziati dagli artigiani (per esempio formazione, costi di trasporto, trasmissione delle competenze ecc.) ma rivolto a rafforzare quegli elementi della cultura locale che da un lato ne promuovono limmagine allesterno, dallaltro ne salvaguardano gli aspetti meno banali e stereotipi. Un precedente in questo senso offerto, per il settore tessile come per altri comparti produttivi artigianali, dallesperienza svolta dallISOLA sotto la guida di Eugenio Tavolara a cavallo fra gli anni Cinquanta e i Sessanta. Una felice combinazione di know-how artigianale e competenze progettuali di alto profilo riusc in quegli anni a creare unimmagine della Sardegna ricca di spessore culturale, ma anche di richiamo commerciale. Produzioni a forte connotazione identitaria come quelle del settore abbigliamento sentono oggi il bisogno di un retroterra di questo tipo, anche per contrastare limmagine al momento vincente di un paradiso balneare dorato quanto privo di caratterizzazione. Ma proprio il carattere indiretto e pervasivo di queste forme di intervento le rende particolarmente difficili da mettere in pratica.

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Note
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