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15 12 2011 Sono lieto che si faccia notare quanto sia ridicola lidea che io possa esser considerato responsabile

della benefica sindrome che va diffondendosi in questi mesi sui media e persino tra gli alti ranghi delle istituzioni monetarie e finanziarie (dopotutto io leggo Blinder dai tempi di Is there a Core of Practical Macroeconomics, non viceversa). E vero tuttavia che lo avevo preannunciato (con molti altri) in tempi non sospetti: le politiche restrittive stanno facendo piombare lEuropa in una nuova recessione, rafforzano la tentazione dei paesi indebitati verso lestero di sganciarsi dalla moneta unica, riconquistare la sovranit monetaria e svalutare, inducono quindi gli operatori finanziari ad esigere spreads pi elevati per cautelarsi contro un rischio di cambio e dunque ci sospingono verso la deflagrazione della zona euro. Per comprendere quanto siamo lontani da una soluzione della crisi, basta tener presente che per salvare lunit europea avremmo bisogno non solo dellagnognatoprestatore di ultima istanza, che tarda ad arrivare, ma anche e soprattutto di unnuovo motore interno dello sviluppo economico europeo, fondato su programmi coordinati di investimento pubblico e di riequilibrio tra i conti esteri dei paesi membri dellUnione. Se una svolta in questa direzione non dovesse compiersi, la crisi della zona euro si intensificher e si porr il problema di scegliere tra due opzioni, entrambe in grado di toglierci il sonno: subire passivamente una mezzogiornificazione delle periferie europee oppure delineare una modalit pilotata di uscita dallarea euro che contempli, se necessario, anche una ridefinizione degli accordi di libero movimento dei capitali e delle merci.

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