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Fortunato era un poeta del VI secolo, di cui oggi rimangono 11 libri dei suoi Carmina e Vite dei santi.
Radegonda era una regina di Neustria, moglie del re merovingio Clotario I, divenuta poi santa e patrona di Poitiers in Francia. Nel
Carmen XI si legge:
«Ista meis manibus fiscella est vimine texta
Credete mi, carae, mater et alma soror
Et quae rura ferunt, hic rustica dona ministro
Castaneas molles, quas dedit arbor agris»
«Questa cestella di vimini è stata intrecciata dalle mie mani
Credetemi, care, madre e venerabile sorella
In essa vi offro i rustici doni che produce la campagna
E le tenere castagne che l’albero sparse per i campi»
I prodotti della campagna sono presentati come prodotti di Dio e della natura, senza il lavoro del contadino. È una campagna svuotata
dalla presenza umana,
III. TRIPLICE EREDITA’
Una triplice eredità ha un peso sull’atteggiamento nei confronti del lavoro e della figura del
contadino.
Il lavoro nella società cristiana è visto come colpa, nella regola di San Benedetto il lavoro è di fatto non
una nobile attività, bensì espiazione del peccato originale. Società della colpa ( una categoria culturale
ideata dall’antropologa Ruth Benedict
La realtà contadina è spesso condannata, venendo rappresentata come una classe indifferenziata. I
contadini, non più differenziati nelle varie attività diventano anonimi, marginali ed usati come esempi di
peccatori, fra i quali essi hanno una colpevolezza maggiore.
Salviano di Marsiglia, autore cristiano del V secolo, afferma nel De Gubernatione Dei
«Malos esse servos ac detestabiles satis certum est»
«è certo che i servi sono malvagi e abbastanza detestabili»
Il loro più grande peccato è l’orgoglio, il desiderio di non restare al proprio umile posto, sono superbi,
essi vogliono travalicare l’ordine sociale stabilito.
IV. ARTE SIMBOLICA
Sulpicio Severo nella Vita Martini identifica i rustici con i gentiles ed i pagani e scrive
«rustica turba vetat divelli fana profana»
«La moltitudine rustica vieta che siano distrutti i templi profani»
«Aeduorum templum dum evellere vellet, obstant inculti cultores ruricolares»
«Mentre si vuole abbattere il tempio degli Edui, si frappongono gli incolti contadini rustici».
Anche quando i rustici divengono cristiani, sono più peccatori degli altri. Viziosi di
nascita e di natura, sono i lussuriosi e gli ubriaconi per eccellenza, la lebbra dei loro figli è
il segno della lussuria dei genitori secondo Cesario di Arles nei Sermones (XLIV)
«Denique quicumque (filii) leprosi sunt, non de sapientibus hominibus, qui et in aliis diebus
et in festivitatibus castitatem custodiunt, sed maxime de rusticis, qui se continere non sapiunt,
nasci solent».
«Infine qualsiasi figlio lebbroso suole nascere non da uomini saggi che rispettano la castità
sia negli altri giorni che nelle festività, ma soprattutto dai rustici che non sanno contenersi.»
V. TRAVESTIMENTI
2. Il secondo è PAUPER
Il Pauper è considerato dagli strati superiori della società come un oggetto e un pericolo.
È una creatura semplice, funzionale a mettere in risalto il santo o il ricco; strumentalizzato
alla salvezza, il povero permette al ricco o al santo che gli fa l’elemosina di salvarsi.
Le parole di Cesario di Arles nei Sermones (XXV) definiscono la sua funzionalità:
«ideo enim in hoc mundo Deus pauperes esse permisit ut omnis homo haberet quomodo
peccata sua redimeret».
«In questo mondo Dio permise che ci fossero i poveri affinché ogni uomo avesse un qualche
modo per redimere i suoi peccati».
V. TRAVESTIMENTI
Abbiamo quattro testi di Gregorio di Tours dal Liber in gloria confessorum, in cui il pauper non ha un nome, bensì è un oggetto
anonimo del racconto agiografico, mentre l’eroe di ogni storia è un santo.
Nel primo racconto si stabilisce la corrispondenza pauper-rusticus in quanto il contadino si alza prima dell’alba per andare a tagliar
legna nella foresta e, «sicut mos rusticorum habet».
Anche nel secondo e terzo racconto vi è la corrispondenza pauper-rusticus in quanto i buoi sono indicati come «quos ad exercendam
culturam habebat».
Il pauper è anche un pericolo, è nella massa contadina che si reclutano gli pseudo-prophetae, sobillatori religiosi e popolari, gli
Anticristi che si spingono fin nelle città ad inquietare vescovi e ricchi.
Gregorio di Tours nella Historia Francorum (x, 25) narra di uno pseudo profeta che nel 590, mentre imperversavano peste e carestia
in Gallia, si spaccia per Cristo, predice il futuro e guarisce malati, migliaia di adepti lo seguono e non ritornano sulla retta via
neanche dopo la sua morte:
«Homines illi quos ad se credendum diabolica circumventione turbaverat, nunquam ad sensum integrum sunt reversi»
«Quegli uomini che egli aveva turbato con una circonvenzione diabolica per fare in modo che credessero in lui, mai furono riportati ad
un senno integro».
V. TRAVESTIMENTI