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IMMERSIONE SUI RELITTI

LST 349

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Corso di Immersione sui relitti

OGGI PARLIAMO DI…

Ponza: LST 349, il relitto di Punta del Papa


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DESCRIZIONE
Profondità:

da 18 a 26 metri

Descrizione:

Immersione sul relitto del


mezzo da sbarco americano
LST 349 affondato nel
febbraio del 1943 per una
collisione contro gli scogli
durante una tempesta. Data
la ridotta profondità a cui si
trova il relitto, è
un'immersione di media
diffficoltà adatta a tutti.

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CHE NAVE E’ UNA LST


Gli LST (Landing Ship Tank) sono una particolare tipologia di nave
da trasporto progettata come supporto logistico alle operazioni
militari della Seconda Guerra Mondiale per imbarcare e sbarcare
direttamente su costa truppe, mezzi e rifornimenti senza avvalersi
delle normali attrezzature portuali (gru, carrelli, scivoli etc.).

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CHE NAVE E’ UNA LST


LST-1 Class Tank Landing Ship:

Inizio lavori : 10/11/1942


Varo: 7/2/1943
Entrata in servizio:
11/2/1943 con nome USS LST-349
Assegnata al teatro europeo ha
partecipato allo sbarco in Sicilia.
Affondata nelle vicinanze di Ponza il
26/2/1944.
Radiata dai registri navali: 25/3/1944

Specifiche

Dislocamento: 1780 t. - 3880 t.


Lunghezza: 328 piedi
Velocità massima: 12 kts.
Equipaggio: 8-10 ufficiali e 100-115 marinai
Capacità di trasporto: 140 soldati
Armamento: 5 cannoni da 40mm, 6 cannoncini da 20mm, 2 mitragliatrici da .50 e 6 da .30
Propulsione: 2 motori diesel General Motors 12-567, due timoni gemelli a poppa

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LA STORIA
Partecipa allo sbarco a Salerno e, nelle settimane precedenti quello di Anzio, al
trasporto di uomini e mezzi tra Biserta, Palermo e Napoli. Il 22 gennaio 1944
con l’inizio dell’operazione Shingle la nave è tra le prime a sbarcare truppe e
materiale bellico sulle spiagge di Nettuno.
Iinizia un’incessante spola tra il fronte ad Anzio e la base alleata di Napoli,
trasportando rifornimenti e truppe. I viaggi durano in media tra le trenta e le
quaranta ore e spesso vengono effettuati senza alcuna scorta.
Il 25 febbraio 1944 l’unità si appresta a completare il suo tredicesimo viaggio. Le
condizioni meteo sono proibitive: una tempesta si sta abbattendo da alcune ore
in quell’area del Mar Tirreno e il mare è così agitato che ad Anzio può entrare in
porto una nave alla volta. Nonostante le raffiche di vento e i relitti
semiaffioranti che ingombrano il porto, il 349 riesce comunque ad ormeggiare
abbastanza agevolmente; carica 25 camion vuoti, 54 prigionieri di cui tre
italiani e vari uomini della fanteria americana di ritorno dal fronte. Il ritorno si
rivela ben più problematico dell’andata: le onde arrivano di prua e la visibilità è
scarsissima. Il rischio di finire su un campo minato o essere attaccati da un
sommergibile è reale; il capitano si consulta con gli ufficiali di bordo e decide di
riparare a ridosso dell’isola di Ponza e rimettersi in viaggio il giorno seguente.
Alle ore 19 getta l’ancora a Cala dell’Acqua, sul versante occidentale dell’isola.
Lì il mare è calmo e nulla lascia presagire cosa accadrà la mattina seguente, 26
febbraio 1944.

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LA STORIA
La cala rappresenta un buon ridosso, con mare calmo e poco vento; nonostante
questo, il comandante lascia precise disposizioni al personale di guardia:
considerando il pericolo d’improvvisi cambiamenti nella direzione del vento, per
prevenire gli scarrocci si dovranno controllare tre mire a terra. Anche la sala
macchine è avvertita. Tutto fila liscio fino alle 5.30 quando l’equipaggio
sottocoperta viene svegliato dal campanello d’allarme. Dai ponti sottostanti
ognuno raggiunge la propria postazione di servizio; le urla dell’ufficiale di
macchina, che richiamano il comandante in coperta, fanno intuire la gravità
della situazione. La nave sbanda leggermente ed i primi uomini che escono
all’esterno vengono investiti da violente raffiche di acqua e vento.

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L’AFFONDAMENTO
In meno di dieci minuti la direzione del vento è cambiata e la tempesta entra
direttamente nella cala; le ancore iniziano ad arare sul fondo e la nave scivola
verso le rocce di punta Papa, nell’oscurità totale. Quando i motori vengono accesi
è ormai troppo tardi, il fianco destro della nave urta violentemente gli scogli
danneggiando le tubazioni del carburante con il conseguente spegnimento dei
motori. Senza possibilità di governo la nave è condannata. Dalla sala radio viene
lanciato un SOS; sull’isola c’è una guarnigione inglese e il comandante dà l’ordine
di sparare alcuni razzi di segnalazione e alcune raffiche di contraerea, sperando
che accorrano in loro aiuto. Le onde sommergono il ponte di comando e spingono
con ritmo regolare ed ineluttabile la nave contro gli scogli; la prua urta contro uno
scoglio alto 10 metri, la poppa contro un altro appena affiorante; entrambe le
rocce sono abbastanza distanti dalla costa e non c'è traccia di spiaggia nei
dintorni. Un marinaio, approfittando del rollio della nave, è riuscito a saltare sulla
terraferma nel momento di maggiore vicinanza alla roccia delle strutture superiori
della nave. Immediatamente vengono lanciate delle cime per stabilire un
collegamento. In breve viene organizzato il trasferimento dell'equipaggio sulla
terraferma, passando dalla torretta del cannoncino, sul ponte più alto. Gli ufficiali
recuperano i libri di bordo, i codici segreti e i documenti dell'equipaggio; nel
trambusto non viene dimenticata neanche la mascotte di bordo, una cagnetta di
nome Suzy; nonostante il pericolo, l'equipaggio la trasferisce a terra utilizzando
alcune cime a mo’ di teleferica.

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L’AFFONDAMENTO
Le operazioni proseguono ininterrottamente fin quando un'esplosione dalle stive
accelera drammaticamente l'affondamento. Ormai la distanza tra la nave e la
parete di roccia rende i salti quasi impossibili. Quando il 349 inizia a spezzarsi in
due, gli uomini rimasti la stanno abbandonando da centro nave con le zattere di
salvataggio. Purtroppo da quel punto non è possibile raggiungere la scogliera
principale ma solo le grosse rocce contro cui la nave urta; queste distano circa
30-40 m dalla terraferma. Il capitano è l’ultimo a lasciare la nave e rimane
isolato, sullo scoglio più esterno, insieme al primo ufficiale, il medico di bordo ed
alcuni prigionieri tedeschi.
La situazione è veramente drammatica: equipaggio e prigionieri sono divisi fra la
terraferma ed i due grossi scogli. La nave, ridotta a due tronconi, affonda
definitivamente esponendo alla furia del mare in tempesta gli uomini abbarbicati
sulle rocce. La guarnigione inglese, gli abitanti di Ponza e gli uomini sulla
terraferma cercano di organizzare un sistema di cime per recuperare quelli
rimasti sugli scogli e prestare soccorso a chi finisce in acqua. Il salvataggio
prosegue incessantemente fino al recupero di tutti i superstiti.
Gli abitanti di Ponza e gli inglesi si prodigano nei soccorsi offrendo cibo, vestiti
puliti e riparo per le notti successive.

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L’IMMERSIONE
Lo  scafo,  diviso  in  due  tronconi,  poggia  su  un  fondale  di  circa  28  m: 
quello  di  prua,  più  vicino  all’estremità  esterna  della  baia,  poggia  sul 
fondo in assetto di navigazione, con il portellone anteriore abbassato sul 
sedimento,  come  a  voler  raffigurare  un  ultimo  immaginario  sbarco; 
quello  di  poppa  si  trova  verso  l’interno  della  cala,  ad  una  profondità  di 
circa 18 m.

Si possono effettuare due immersioni:
 LA PRUA
 LA POPPA

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L’IMMERSIONE A PRUA
Si inizia l’esplorazione osservando lo scafo dall’esterno con tutte le strutture ben
conservate presenti sul ponte: gruette, argani, postazioni antiaere, cannoncino
di prua, ventilatori di aerazione per i locali sottostanti, passi d’uomo e
numerose altre attrezzature. Si effettua un primo passaggio all’interno del
mezzo da sbarco, dall’apertura del portellone anteriore. Ci si trova nel punto
dove venivano stipati uomini, mezzi e approvvigionamenti vari. Uscendo dalla
parte posteriore ci si può addentrare in uno dei condotti laterali che conducono
ad alcuni piccoli locali, disposti parallelamente allo scafo fin proprio alla prua. Il
passaggio è stretto e bisogna fare attenzione a non alzare sedimento;si arriva
in una zona dove si scorgono stivali militari ancora ben conservati, marcati US
Navy, mentre poco distante si intravedono piccoli cumuli di oggetti metallici di
vario genere, insieme a molti proiettili. Si Torna indietro verso il condotto che
porta ai locali interni, ai quali si accede facilmente entrando da una struttura
che si trova sul lato sinistro del ponte; lungo una scaletta di non più di un paio
di metri si arriva in prossimità di un pannello elettrico con le spie in vetro blu.
Qui lo spazio è più ampio, girandoci vediamo chiaramente un portellone stagno
aperto che porta ad un altro piccolo locale, quasi completamente ricolmo di
sabbia.

Ci portiamo verso prua, transitando per locali più piccoli ma ben illuminati dalla
luce ambiente che passa attraverso alcune feritoie laterali e che guardano al
vano di carico centrale. Giunti all’estremità della prua, ci si trova proprio sotto il
cannoncino, e si torna verso l’uscita. Si Risale sul ponte e ci si dirige verso la
parete dove si effettua la risalita.
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L’IMMERSIONE A POPPA
Il troncone di poppa si trova a circa un centinaio di metri da quello di prua; i resti
della poppa sono facilmente raggiungibili verso il centro della cala proprio dove
la sabbia lascia il posto alla prateria di posidonia. Con poche pinneggiate si
arriva sul relitto. Un motore giace sulla sabbia poco distante dallo scafo. La
poppa appare più danneggiata rispetto al troncone di prua a causa della
maggiore intensità dell'azione del moto ondoso a queste profondità;
nonostante tutto anche qui è possibile entrare per esplorarne l’interno. Sotto la
cabina di controllo degli argani di carico, si apre un ampio locale dove si può
penetrare facilmente tramite due portelloni laterali. Si scorgono dall’interno
tutta una serie di feritoie che lasciano filtrare la luce, anche se non è possibile
addentrarsi ulteriormente a causa della sabbia che ha completamente ricoperto
i locali adiacenti; si intravvedono alcuni seggiolini ribaltabili attaccati alla
parete. Lasciato questo locale si entra in un lungo corridoio, percorribile in fila
indiana; non vi sono altre possibilità di penetrazioni interessanti, sul fondo si
vedono chiaramente due volantini per la chiusura e l’apertura di alcune
condutture. Ci si sposta nei locali più vicini alla poppa della nave, e si entria in
un locale dove si intravedono diverse e interessanti attrezzature (pulegge,
volani e parti meccaniche, quadri elettrici e fusibili); l’altezza del soffitto e
alcune tubature che attraversano orizzontalmente l’area non permettono
l’accesso. Si esce e si termina l’immersione iniziando la risalita.

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RIFERIMENTI
BIBLIOGRAFICI
• Irving B. Gerson, The story of LST 349. My own experience of the wreck.
• Samuel  Eliot  Morison,  Hystory  of  US  Naval  operations  in  World  War  II:  Sicily­
Salerno­Anzio. Little Brown & co. Boston, 1954.
• Naval  Historical  Center,  Dictionary  of  American  Naval  Fighting  Ships,  1981, 
volume 7: p. 569­731

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CONCLUSIONI

Come avete visto un’immersione su un relitto, 
per  essere  “completa”,  necessita  anche  di 
una qualche ricerca da topi di biblioteca!

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