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Foibe: lorrore della vendetta

Lesposizione della semplice realt dei fatti sempre scomoda e dolorosa. Da una parte o dallaltra ci sar sempre chi avr qualcosa da obiettare e preferisce modellare pi o meno spudoratamente laccaduto per adattarlo alle proprie esigenze. La vicenda delle foibe istriane appartiene ad un passato ancora troppo vicino per superare lesame della storia e la ricerca della verit su quei tragici avvenimenti continua ad incappare in ferite ancora aperte o non del tutto rimarginate. Ma non si pu continuare a far finta che nulla sia successo, cos come non si pu continuare ad offendere la memoria dei caduti per vergognosi fini propagandistici. E accaduto, e questo un fatto innegabile. Il perch ed in quali circostanze quanto invece ci dovuto sapere se veramente vogliamo rispettare il dolore e la sofferenza di chiunque, da qualunque parte del modo, costretto a subire e cadere sotto i colpi del pi forte. Se ne fatto un gran parlare negli ultimi tempi, ma quanti sanno rispondere alla pi semplice delle domande: cosa sono le foibe? La risposta che si ottiene quasi sempre univoca e tende a mettere molto semplicisticamente tutti i buoni da una parte (le vittime) ed i cattivi (i carnefici) dallaltra. Una risposta prevedibile, perch in tutti questi anni non si fatto altro che alimentare, con plauso generale, unopinione a senso unico. Ha senso individuare, in una tragedia come la seconda guerra mondiale, i morti nelle foibe come martiri della destra ed i morti nei lager come martiri della sinistra? Chi ha a dato ai rispettivi schieramenti il diritto di arrogare a s gli uni o gli altri caduti mettendoli in concorrenza come fossero un trofeo di guerra da usare a fini propagandistici? Eppure esattamente quanto accaduto sinora e continua ad essere sotto gli occhi di tutti, come dimostrano le continue dispute (anche parlamentari) sullopportunit o meno di effettuare retoriche commemorazioni o istituire giorni della memoria per le vittime delle foibe. E giunto il momento che la storia cessi di essere usata per far politica e serva invece alla politica per non ripetere gli errori del passato.
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Gli antefatti
Solitamente si pensa alle foibe come a quelle aperture carsiche del terreno nelle quali i partigiani jugoslavi gettarono migliaia di italiani dopo la fine della seconda guerra mondiale. Preso cos, il fatto non pu che risuonare riprovevole a chiunque ne venga a conoscenza e ben si presta a facili schematismi. Ma ogni fatto preso isolatamente non dice nulla se non viene inserito nel contesto in cui si verificato, non solo in quel momento, ma anche prima, a volte molto tempo prima. Perch per queste come per tutte le atrocit collettive il movente sempre e solo uno: lodio. E lodio non fa parte del patrimonio genetico dellindividuo ma sempre alimentato da qualche condizionamento esterno. Da cosa nasce, dunque, lodio che ha provocato gli infoibamenti nella primavera del 1945 ? Se si ha la pazienza di ripercorrere a ritroso i fatti della storia, chiunque potr giungere a conclusioni che allontaneranno definitivamente il desiderio di ricorrere a quei comodi schematismi che invitavano a separare i buoni dai cattivi, spogliando tutti gli attori di ogni etichetta per lasciar spazio solo ad un generico sgomento e a tanta amarezza per quanto accaduto. Salvo poi rendersi conto che da allora lumanit riuscita a cadere ancor pi in basso e non sembra avere nessuna intenzione di fermare la discesa verso il fondo. Innanzi tutto pochi sanno che gli eccidi ebbero due momenti: il primo nel 1943, allindomani dellarmistizio dell8 settembre, quando si scatenarono vendette e rancori mai sopiti dopo 20 anni di italianizzazione forzata; il secondo, con molte pi vittime, nella primavera del 1945, quando le truppe jugoslave occuparono temporaneamente Trieste e la Venezia Giulia. Ignorando quasi del tutto le prime, alle vittime della seconda ondata di violenza titina che si rivolge solitamente il pensiero quando si parla di foibe. Eppure si tratta dello stesso odio e degli stessi rancori la cui origine non va cercata in un passato troppo remoto ma nei primi decenni del XX secolo. solo dopo la prima guerra mondiale, cio quando i nazionalismi si affermarono fino a sfociare in razzismo di Stato, che il Regno dItalia cominci la sua politica di italianizzazione forzata delle terre irredente, gettando i germi dei primi risentimenti nei confronti degli italiani. Da ogni regione dItalia giunsero funzionari ed impiegati pubblici per sostituire quelli locali e litaliano divenne lingua ufficiale ed obbligatoria, limitando quanto pi possibile lutilizzo di ogni altra forma linguistica alla sola sfera privata. Se nelle citt della costa, dove gli italiani erano gi in maggioranza ed il bilinguismo piuttosto diffuso, leffetto non fu particolarmente disastroso, nelle zone rurali dellinterno gli slavi (sloveni, croati, dalmati, cici), in gran parte contadini poco alfabetizzati, si ritrovano ad essere stranieri in patria. Le durissime condizioni imposte dal Regno si fecero ancora pi rigide ed intolleranti con lavvento del fascismo. Le scuole elementari slovene e croate furono definitivamente chiuse e con la riforma scolastica del ministro Gentile del 1 ottobre 1923 il sistema scolastico sloveno e croato in Istria sub il colpo definitivo. Negli stessi territori l'uso dello sloveno e del croato nell'amministrazione e nei tribunali, gi fortemente limitato durante i primi anni di occupazione, scompare del tutto: nel marzo 1923 il prefetto della Venezia Giulia viet l'uso dello sloveno e del croato nell'amministrazione, mentre per decreto regio il loro uso nei tribunali fu vietato il 15 ottobre 1925. L'attivit delle societ e delle associazioni croate e slovene era gi stata vietata, ma con l'entrata in vigore della Legge sulle associazioni (1925), della Legge sulle manifestazioni pubbliche (1926) e della Legge sull'ordine pubblico (1926) la maggior parte degli esponenti pi in vista del modo culturale, politico
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ed associativo sloveno e croato mandato al confino in Sardegna o in altre localit italiane. Nel 1923 si decise di cambiare tutta la toponomastica e qualche anno (1927) dopo la stessa sorte tocc ai nomi e cognomi delle persone: un vero e proprio atto di brutalit verso le identit personali. Le famigerate leggi razziali antiebraiche e genetiche del 1938 (che seguirono le meno famose leggi razziali del 1936-37 emanate nei confronti dei popoli di pelle nera e altri popoli coloniali) divisero ancor di pi la cittadinanza in due categorie: gli italiani puri e gli inferiori. Ma era solo linizio. Il peggio doveva ancora venire e con la guerra non tard ad arrivare.

Lo spostamento dei confini della Venezia Giulia dopo la I Guerra Modiale

Dopo il disastroso attacco italiano alla Grecia, non solo le terre irridente ma tutta la Jugoslavia fin sotto il giogo delle potenze nazi-fasciste diventando territorio di stragi e di crudelt. Tanto che alla fine della guerra risulter essere uno dei paesi che avr pagato il pi alto tributo in termini di caduti: circa 1 milione e mezzo di persone su 16 milioni di abitanti. E la responsabilit, anche se indiretta, fu tutta italiana: senza le mussoliniane velleitarie manie di grandezza, loccupazione nazista e la conseguente brutale soggezione del popolo jugoslavo si sarebbe probabilmente limitata allultima fase del conflitto. Grazie agli italiani, il tragico destino si comp con qualche anno di anticipo e con molti morti in pi. Nei primi anni di guerra la politica tedesca nei Balcani era infatti volta fondamentalmente a garantire il petrolio rumeno e le derrate alimentari ungheresi nonch, tramite un sistema di alleanze, la possibilit di attraversare liberamente il territorio per realizzare i programmati piani di espansione ed est. Tali equilibri furono per improvvisamente compromessi dallavventata politica estera del partner italiano, illusosi di poter condurre una propria vantaggiosa guerra parallela. Lapertura di un nuovo fronte in Grecia aveva destabilizzato completamente larea balcanica, portando il nemico proprio nel luogo meno opportuno e soprattutto nel momento sbagliato, quando il mosaico delle alleanze per poter dare tranquillamente il via all Oerazione Barbarossa non
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era ancora completato. Per garantire il libero movimento delle truppe al sicuro da ogni azione di disturbo, solo due paesi non avevano ancora aderito al patto tripartito (lalleanza nazista per il nuovo ordine mondiale, inizialmente firmato da Germania Italia e Giappone): la Bulgaria e la Jugoslavia. Riuscire a convincerle con il nemico alle porte (in Grecia) e senza che la vicina Unione Sovietica ne venisse a conoscenza diventava difficile e la situazione sfugg presto di mano. La Grecia, seppur governata da un regime nazionalista (guidato dal Primo Ministro Metaxas) ideologicamente molto vicino al nazionalsocialismo, era un paese tradizionalmente e storicamente molto legato alla Gran Bretagna che non tard a correre in suo aiuto sia con mezzi e uomini che con pressioni su Belgrado affinch fornisse aiuti all'esercito greco.

LEuropa nel 1940

La decisione di attaccare la Grecia fu presa da Mussolini sin dai tempi della conquista dellAlbania, nellaprile del 1939, col chiaro intento di controbilanciare il peso sempre maggiore assunto dell'alleato tedesco rafforzando la presenza italiana nellEgeo e nel Mediterraneo, che oltre al prestigio avrebbe aumentato anche la potenza offensiva dellItalia in Nord Africa. Ma le cose non andarono come previsto e quella che doveva essere una dimostrazione della potenza dell'esercito italiano si tradusse sin dallinizio in una tremenda disfatta. Duramente provati dallinaspettata resistenza della popolazione e dalla controffensiva dellesercito nazionale, i comandi italiani abbandonando posizioni su posizioni e nel novembre del 1940, dopo solo un mese di guerra, quasi un terzo del territorio albanese da cui part loffensiva era gi finito nelle mani dei greci. Di fronte allevidente sconfitta, Mussolini fu costretto a chiedere aiuto allalleato tedesco, cui aveva
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sempre tenuto nascosto i suoi propositi per metterlo di fronte al fatto compiuto. La disfatta pose fine ad ogni illusione circa la possibilit di condurre una guerra parallela fascista, ma pi che ferire lonore e lorgoglio nazionale stravolse i piani nazisti, che dovettero urgentemente correre ai ripari ed andare in soccorso dell'esercito italiano per evitare una estensione del conflitto a tutta l'area balcanica: lapertura di un altro fronte per l'esercito tedesco avrebbe infatti compromesso definitivamente i piani di invasione dell'Unione Sovietica, prevista per la primavera del 1941. Per risolvere la spinosa situazione vennero ammassate in Bulgaria (che nel frattempo aveva aderito al Patto Tripartito) e in Romania diverse divisioni tedesche pronte ad intervenire, ma rimaneva lincognita della Jugoslavia che ancora non si era ufficialmente allineata alla politica dell'Asse. Soltanto il 25 marzo 1941, dopo pesanti pressioni e la promessa del porto di Salonicco in Grecia, il reggente principe Paolo (che aveva assunto la reggenza del Regno di Jugoslavia nel 1934 dopo lassassinio di Re Alessandro I) acconsent a firmare ladesione al Patto Tripartito, ottenendo specifiche garanzie che il territorio del suo Paese non sarebbe stato utilizzato dai nuovi alleati come campo di battaglia. Fu Hitler in persona a rassicurarlo che il territorio jugoslavo non sarebbe stato utilizzato per le operazioni militari in Grecia, poich i suoi imminenti piani di attacco all'Unione Sovietica rendevano assolutamente necessaria la pacificazione dell'area danubiano-balcanica. Un evidente successo diplomatico per il principe, non sfruttabile per in nessun modo a fini politici in quanto le clausole del Patto, su esplicita richiesta del Fuhrer, dovevano per il momento rimanere segrete per non allarmare Mosca. Un segreto che gli cost molto caro: pochi giorni dopo, nella notte tra il 26 ed il 27 marzo, un gruppo di ufficiali serbi contrari all'intesa con la Germania nazista, istigati dal governo britannico, portarono a termine un colpo di Stato ai danni del principe filo-tedesco ponendo sul trono il giovane Pietro II Karageorgevic, figlio di re Alessandro, di cui erano noti i sentimenti filo-britannici. Al contrario di Hitler, per gli inglesi lo scoppio di complicazioni militari in Jugoslavia rivestiva un'importanza strategica ed andava alimentato in tutti i modi. Il nuovo governo jugoslavo, su consiglio di Londra, denunci immediatamente l'adesione al Patto Tripartito e chiese aiuto a Mosca ma Stalin, ancora alloscuro della sorte che lattendeva, nel timore di irritare la Germania rifiut di impegnarsi preferendo attendere l'evolversi della situazione. Hitler fu profondamente colpito dal voltafaccia di Belgrado che stravolgeva completamente i suoi piani e reag nellunico modo che riteneva possibile per non compromettere ulteriormente lOperazione Barbarossa, ritardata di quattro settimane per risolvere la crisi balcanica. Ordin quindi allo Stato Maggiore tedesco di predisporre le necessarie operazioni affinch nel pi breve tempo possibile si procedesse ad una spedizione punitiva nei confronti della Jugoslavia, da occupare militarmente in funzione di una pi rapida soluzione della questione greca. L'operazione contro la Jugoslavia da parte dell'esercito tedesco fu brutale ma efficace: nel giro di qualche giorno la Germania occup l'intero paese, annient la resistenza greca e salv la faccia a Mussolini, con cui effettuer la spartizione dei Balcani. Operazione sicuramente brillante per la macchina bellica tedesca, che per avr (col senno del poi) conseguenze catastrofiche: quelle settimane ritardarono l'invasione dellUnione Sovietica giusto di quel lasso di tempo che avrebbe permesso allesercito tedesco di arrivare a Mosca prima dellinverno e sconfiggere definitivamente l'Armata Rossa. Senza la spedizione punitiva in Jugoslavia lesito della guerra sarebbe stato, forse, molto diverso. A nulla serv il cambiamento di atteggiamento da parte di Stalin quando, il 6 aprile 1941, inizi loccupazione della Jugoslavia da parte dei tedeschi. La firma di un trattato di amicizia (non ancora, quindi, di alleanza) in
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sostituzione del precedente meno impegnativo accordo di neutralit, cui Stalin fece apporre la data del giorno precedente linizio delle ostilit per dimostrare alle potenze occidentali la buona fede del governo sovietico, non ebbe effetti sulla sorte della Jugoslavia. L'attacco tedesco inizi con un massiccio bombardamento sulla capitale jugoslava, che dur due giorni consecutivi e la rase completamente al suolo provocando la morte di oltre 20.000 civili.

Bombardamento di Belgrado

Provenendo da Austria, Romania e Bulgaria lesercito avanz molto rapidamente riuscendo ad occupare quasi tutta la Jugoslavia in pochissimi giorni. Con l'esercito Jugoslavo ormai in dissoluzione, anche l'Armata italiana si mostr pronta a fare la sua parte ed entr in Montenegro occupando dall'Istria e dall'Albania il litorale della Dalmazia. Anche lUngheria non volle sottrarsi al gioco, ed a partire dall11 aprile inizi ad occupare la Vojvodina e Novi Sad con la speranza di partecipare fruttuosamente alla imminente spartizione del bottino.

Offensiva tedesca nei Balcani - aprile 1941

Il governo del Regno di Jugoslavia firm la propria resa il 17 aprile e tre giorni dopo anche la Grecia capitol, offrendo la propria resa nelle mani dei tedeschi rifiutandosi invece formalmente di firmare un armistizio con gli italiani dai quali non si sentivano affatto sconfitti. Larmistizio fu firmato il 23 aprile, ma per lItalia, anche se ottenne il controllo della maggior parte del territorio (come indicato sulla cartina), si tratt di una vittoria umiliante, se si pensa che Mussolini si era addirittura personalmente raccomandato presso il Furher affinch, per ragioni di immagine, fosse l'Italia per prima ad assicurarsi una vittoria sul campo con le sue truppe provenienti dallAlbania.

La spartizione della Grecia nel 1941

In compenso l'offensiva di aprile nei Balcani frutt allItalia, come premio di consolazione, la partecipazione alla spartizione dellex regno di Jugoslavia. Con la fine delle ostilit, il paese slavo fu suddiviso tra coloro che lo avevano occupato, riservando a ciascuno pressappoco quei territori di cui avevano avuto maggiormente il controllo durante il conflitto. Il Reich tedesco si annesse formalmente solo la parte settentrionale della Slovenia alle porte dellAustria ed il Banato, che venne posto sotto la sua amministrazione, mentre in quel che rimase della Serbia, che perse tutti i suoi territori periferici (annessi all'Ungheria, alla Bulgaria ed all'Albania, che faceva parte dell'impero italiano) fu creato uno stato fantoccio tedesco affidato da Hitler al Generale Milan Nedi, una specie di Ptain slavo il cui governo filonazista collabor pienamente con la Germania sino alla liberazione congiunta della capitale da parte dell'Armata Rossa e dei partigiani jugoslavi nell'ottobre 1944. Gli ungheresi si riservano sostanzialmente i territori in cui erano penetrati con la loro offensiva, riprendendosi anche alcuni territori minori in Croazia persi alla fine della I guerra mondiale.
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La spartizione della Jugoslavia nel 1941: Blu = germania - Verde = Itlaia Rosso = Stato Indip. Croato Marrone = Ungheria

All'Italia tocc tutto il resto, ovvero buona parte della costa Dalmata, parte del Montenegro, quasi tutta la Slovenia e la Croazia, sotto forma di protettorato. Ma si trattava di un magro bottino, perch di fatto leffettivo dominio e lo sfruttamento delle risorse economiche andava condiviso coi tedeschi, che riservarono per s tutte le principali risorse, soprattutto quelle minerarie. Per contro, i costi delloccupazione militare ricaddero tutti sullItalia, che fu cos costretta a tenere impegnate nella penisola balcanica oltre 650.000 unit, pari a quasi la met delle intere forze dellesercito nazionale. La parte meridionale della Slovenia e quasi tutta la parte costiera della Dalmazia settentrionale (con i principali centri urbani, come Zara, Spalato e Sebenico) furono formalmente annesse al Regno dItalia, diventando rispettivamente Provincia di Lubiana e Governatorato della Dalmazia. La restante parte della Dalmazia fu invece annessa al nuovo Regno di Croazia, uno stato indipendente retto formalmente da un membro di Casa Savoia (Aimone di Aosta, cugino di Vittorio Emanuele III, che accett il trono ma non ne prese mai possesso) ma di fatto guidato da un governo fantoccio dominato dagli Ustascia di Ante Paveli, un fascista feroce e sanguinario che finir col creare molti problemi in tutta la regione posta sotto il controllo italiano. Il partito fascista e razzista croato degli Ustascia, formato da fanatici religiosi e nazionalisti, appoggiati dal vescovo di Zagabria e primate di Croazia Stepinac, intraprese fin da subito una vasta opera di pulizia etnica nei confronti dei Serbi (che costituivano pi del 30% dell'intera popolazione del nuovo stato) e delle altre minoranze (ebrei e zingari in particolare), spesso spalleggiati dalle truppe italiane e
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tedesche. Mentre i musulmani bosniaci venivano considerati da Pavelic di "purissimo sangue croato" e trattati di conseguenza, per i serbi fu varato un complesso piano di eliminazione, che prevedeva il massacro di una parte di essi, la deportazione dei sopravvissuti o la loro forzata conversione al cattolicesimo.

La spartizione della Jugoslavia nel 1941

Le persecuzioni scatenate contro i serbi non soltanto dagli Ustascia, ma anche dagli ungheresi della Vojvodina, dai musulmani nella Bosnia-Erzegovina e dagli albanesi nel Kosovo, unite alla sempre pi diffusa repressione da parte dei nuovi occupanti, misero in moto in tutta la ex Jugoslavia dei disperati tentativi di autodifesa che indussero un parte sempre pi consistente della popolazione ad organizzarsi in bande armate per opporsi ai loro persecutori. Contro le atrocit commesse dai vari regimi si sollevarono sia la resistenza partigiana plurietnica capeggiata da Tito, sia varie fazioni nazionalistiche e monarchiche serbe (i cetnici). Ma la specificit di queste ultime era troppo marcata perch lunit dintenti potesse durare e condurre ad una vittoria comune. Diventato nel 1939 capo del partito comunista jugoslavo (PCJ), Josip Broz, meglio noto come Tito, si pose a capo di unampia coalizione in cui, indipendentemente dalla loro nazionalit, serbi e non serbi erano rappresentati su base paritaria e lottavano per un comune obiettivo di liberazione nazionale, seppur spinti da motivazioni molto diverse tra loro. Oltre a coloro che professavano unideologia manifestatamene antifascista, Tito riusc ad attirare a s gli Sloveni, desiderosi di riunificate il proprio paese frazionato dal Terzo Reich e dall'Italia fascista; i Serbi provenienti dalla Croazia e dalla Bosnia-'Erzegovina, minacciati di sterminio da parte del regime Ustascia; i Croati delle regioni meridionali annesse allItalia; i musulmani della Bosnia, nonostante le allettanti offerte di collaborazione governative
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nella speranza di una futura autonomia bosniaca e come immediata protezione nei confronti dei cetnici, di orientamento fortemente antimusulmano; i macedoni, delusi dalla natura del regime bulgaro e attratti dalla promessa formulata da Tito della creazione di una repubblica macedone nell'ambito della federazione jugoslava che sarebbe emersa dal dopoguerra; gli albanesi del Kosovo, che auspicavano di potersi riunire allo stato albanese. Sar questa grande coalizione a liberare il paese e gettare le fondamenta del futuro stato federale.

Formazioni partigiane guidate da Tito

I cetnici (cos venivano chiamati in passato i ribelli ai turchi) fin dall'aprile 1941 erano invece una realt molto pi particolare e non stupisce che alla fine abbiano avuto un destino diametralmente opposto gettandosi a braccia aperte nelle mani dei loro nemici iniziali. In alcune aree serbe e montenegrine, soldati decisi a non accettare passivamente la sconfitta si coalizzarono attorno ad alcuni ufficiali dell'esercito regio sfuggiti alla cattura, formando un movimento di opposizione a s stante, fortemente motivato dalla fedelt alla tradizione, alla dinastia ed ai miti della propria storia che si pose sotto la guida del colonnello Mihailovic e di Kosta Pecanac pi per contrastare le ambizioni degli altri jugoslavi che per cacciare linvasore straniero. Inizialmente il neonato Esercito Jugoslavo in Patria (JVUO), fedele al re Pietro II in esilio e pronto a combattere con ogni mezzo l'occupazione tedesca negozi con Tito la possibilit di unire le proprie forze, ma la profonda differenza di obiettivi dei due leader non solo fece naufragare qualsiasi possibilit di accordo ma fece nascere una fiera ostilit tra le due formazioni. I Cetnici erano monarchici ed i loro valori erano quello propri della destra conservatrice, incentrati sulla difesa della famiglia e della propriet privata. La stessa bandiera di cui andavano fieri la dice lunga su quale fosse la loro vera natura: due ossa incrociate ed un teschio su sfondo nero con scritto "per il Re e la Patria libert o morte". Lottavano per la restaurazione della monarchia, ma in funzione del loro fanatico nazionalismo panserbo, ovvero per la creazione di una Grande Serbia dove non
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cera spazio per altri popoli e altre nazioni. Non per nulla trovarono terreno molto fertile in Serbia, dove non esitarono ad allearsi col governo filonazista di Nedic in funzione anticomunista con la scusa di preservarlo da distruttive rappresaglie tedesche contro laccanita resistenza partigiana. Strategia perfettamente condivisa dalla maggior parte dei serbi residenti in Serbia, i quali ritenevano che una politica temporeggiatrice, basata su un mix di collaborazione e di debole resistenza alle forze di occupazione, fosse pi in linea con gli interessi nazionali e preferibile agli incauti tentativi rivoluzionari dei partigiani comunisti, che al contrario avrebbero potuto condurre a massicce rappresaglie da parte delle forze di occupazione ed alla distruzione incontrollata del territorio.

Serbia: manifesto di propaganda filonazista ed anticomunista

Cera poi la convinzione che, come avvenne durante la prima guerra mondiale, la Serbia sarebbe stata liberata dalla vittoriosa avanzata degli Alleati occidentali provenienti dalla Grecia o dalla costa adriatica, ai quali sarebbe andata molto pi a genio una politica moderata, seppur collaborazionista, rispetto alla radicalit delle posizioni partigiane titine. Ma si sbagliavano. Dopo le entusiastiche reazioni ed i conseguenti aiuti dei primi tempi, gli alleati finirono col ricredersi sullopportunit di sostenere un movimento che si dimostrava sempre meno utile, anzi addirittura dannoso, alla conduzione della guerra. Gli interessi inglesi nella regione erano soprattutto di tipo contingente e finalizzati allo scontro militare in corso. Lappoggio andava fornito a chiunque fosse disposto ad uccidere il maggior numero di tedeschi e per questo motivo non esitarono a scaricare i cetnici per fornire tutto laiuto possibile allesercito di liberazione popolare di Tito. Al contrario, per quattro lunghi anni (1941-45) i cetnici, esercitarono il terrore sulla popolazione che aiutava le formazioni partigiane, massacrando migliaia e migliaia di persone, senza contare il vero e proprio genocidio perpetrato nei confronti dei musulmani serbi, croati e montenegrini, al pari, se non peggio, degli Ustascia che tanto si vantavano di combattere. Il 10 gennaio 1943 nel distretto di Prijeoplje furono bruciati 33 villaggi musulmani e uccise circa 1400 persone; il 3 agosto 1943 nel territorio di Ustikolina ne furono trucidati duemila e pi di 10000 a Foca e nei dintorni; altri duemila musulmani furono trucidati il 23 ottobre nei dintorni di Prozor. L'Italia fascista non combatt i cetnici, ma al contrario si alle con loro sia in funzione antipartigiana che, segretamente, anti-ustascia.

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1944 Italiani e cetnici in Herzegovina prima di unazione contro i Partigiani comunisti

Nelle coste dalmate questi ultimi, infatti, costituivano un problema. Il governo croato, seppur legato allItalia da profondi vincoli militari ed ideologici, non si era fatto scrupoli a rivendicare i territori costieri strappatigli in Dalmazia che divennero, ironia della sorte, rifugio per le popolazioni dell'entroterra che fuggivano dalle persecuzioni e dalle atrocit commesse degli Ustascia. Gli scontri ed i massacri tra croati, serbi e mussulmani gettarono sin dalla fine del 1941 tutta la Dalmazia in una spaventosa e crudele guerra civile, che raggiunse livelli di massacro nell'estate 1942 creando non poche tensioni con le forze d'occupazione italiane, che non tolleravano intrusioni nei territori da loro direttamente amministrati. Nelle regioni meridionali sotto il controllo delle truppe italiane, verso il Montenegro, molti serbo-croati in fuga dal regime di Pavelic e nello stesso tempo ostili ai progetti comunisti di Tito avevano infoltito le schiere delle milizie cetniche che le autorit italiane non esitarono ad usare sia per contrastare la guerriglia partigiana che per tenere il pi possibile gli Ustascia lontani dai territori italiani. Incorporati sin dal 1942 nella Milizia volontaria anticomunista (MVAC), i cetnici divennero una non indifferente componente aggiuntiva della forza repressiva fascista nei Balcani.

Linaudita ferocia dei cetnici su partigiani comunisti

In tutti i territori jugoslavi la presenza militare italiana fu, a partire dal 1941, quella di truppe di occupazione, con una repressione sempre pi dura e feroce, rappresaglie sulla
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popolazione civile, deportazioni e fucilazioni. Le province annesse subirono una brutale opera di italianizzazione forzata unita alla violenta propaganda razzista delle bande armate fasciste che usavano lo squadrismo per intimorire la popolazione e favorire l'esodo degli indesiderati. Non sempre la ferocia degli italiani distinguibile da quella dei tedeschi, con cui in parte condividevano loccupazione del territorio.

Partigiani jugoslavi uccisi dai soldati italiani

Alla responsabilit diretta delle truppe di occupazione italiana sono da attribuirsi almeno 250 mila morti, di cui solo una minima parte in combattimento. La stragrande maggioranza delle vittime riguarda repressioni, saccheggi e brutalit di ogni genere commesse nei confronti della popolazione civile, azioni in cui la II Armata Italiana al comando del generale Roatta si distinse in modo particolare soprattutto nella Jugoslavia meridionale, dove si apr una vera e propria caccia al serbo. Spedizioni italo-croate partivano alla volta dei villaggi e delle cittadine serbe, dove, in unorgia di violenze di ogni tipo, centinaia di uomini, donne e bambini venivano torturati e uccisi. Sono oltre 250 i villaggi distrutti dagli italiani, nei quali mutilazioni, stupri ed accecamenti erano allordine del giorno e non rari erano i casi in cui gli indifesi abitanti venivano bruciati vivi assieme ai partigiani su roghi di fascine o allinterno delle chiese ortodosse. Sebbene fosse nelle coste e sulle isole annesse che si concentr maggiormente la repressione della II armata, non diversa fu la sorte che tocc alla Slovenia dove pi massicce furono invece le deportazioni della inferiore razza serba verso la vicina Risiera di San Sabba o direttamente verso i campi di sterminio nazisti. Gli stessi campi di concentramento costruiti dagli occupanti italiani, seppur non predisposti scientificamente allo sterminio, furono causa di migliaia di morti e di infinite sofferenze. Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, Rab in Jugoslavia, cos come Gonars e Monigo in Italia furono solo alcuni dei campi dove vennero internati quasi 30.000 sloveni e croati. In un incontro avvenuto a Gorizia il 31 luglio 1942
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gli alti comandi militari discutono con Mussolini il trasferimento forzato di tutti gli abitanti di Lubiana ed in una lettera spedita al Comando supremo in data 8 settembre 1942 il generale Roatta propone addirittura la deportazione in massa dellintera popolazione slovena. Solo per quel che riguarda la piccola Slovenia, nei lager italiani morirono 13.606 persone, di cui oltre 2500 nel solo lager di Arbe (sullisola di Rab).

Campo di concentramento di Arbe

Nel campo di Gonas, vicino a Udine, sono migliaia i bambini, soprattutto croati, lasciati morire letteralmente di fame. I civili ed i partigiani fucilati sul posto durante azioni belliche furono pi di 2500, cui se ne devono aggiungere altri 1.500 trattenuti come ostaggi e fucilati in seguito come ritorsione contro azioni verso i militari italiani. Chiunque si addentri nel cuore montano dellIstria non potr non imbattersi nel piccolo villaggio di Vodice (in italiano Vodizza, situato in linea daria a non pi di 20 km dal confine friulano) che si presenta ancor oggi con macerie e abitazioni distrutte. Una lapide sul palazzo principale ricorda come nel 1944 il paese fu prima attaccato dalle camice nere e dallesercito repubblichino (che massacrarono pi di 400 vecchi, donne e bambini) e, subito dopo, raso completamente al suolo dallaviazione tedesca, che, con unoperazione combinata, si fece scrupolo di bombardare anche i dintorni per annientare gli eventuali scampati alla strage. Lunica colpa di questa inerme popolazione era di essere di etnia cicik, ovvero istriani non latini.

Le rappresaglie dei soldati italiani sui civili 14

Dopo lotto settembre, alla ritirata elle truppe regie, subentrano i tedeschi e i repubblichini di Sal. La parte italiana della Dalmazia, ad eccezione di Zara dove il Governatorato di Dalmazia rimase vigente fino all'occupazione partigiana della citt nel 1944, fu occupata dallesercito tedesco ed annessa allo Stato Indipendente di Croazia, che con grande soddisfazione vide cos riunificato il suo territorio. Le terre irredente furono precipitosamente abbandonate: le autorit civili, composte in gran parte da ferventi fascisti, quasi tutti meridionali, fuggirono verso le loro citt natali lasciando quelle terre, che evidentemente non avevano mai sentito come loro, nella pi totale anarchia. Le autorit militari consegnarono alle poche centinaia di tedeschi presenti non solo lintera regione, ma anche migliaia di soldati e carabinieri, che furono in gran parte uccisi o deportati in Germania. Crollato il regime fascista, nella Venezia Giulia e nella Slovenia i partigiani slavi, ai quali nel frattempo si erano uniti anche migliaia di soldati italiani sbandati, intensificano le loro azioni ed assieme alla popolazione, comera logico aspettarsi dopo decenni di repressione e violenze, insorgono contro tutto ci che poteva essere riconducibile al fascismo, identificato purtroppo molto semplicisticamente con tutto ci che era italiano. Sebbene il leader del partito comunista sloveno, Kardelj, avesse dato precise disposizioni affinch lepurazione avvenisse non sulla base della nazionalit ma sulla base delladesione o meno al fascismo, inevitabilmente furono gli italiani a patire le peggiori persecuzioni, anche perch per forza di cose i posti del potere economico e politico erano tutti in mano italiana. Nel caos generale di quei mesi furono oltre 300 gli italiani giustiziati ed infoibati dai partigiani o dal popolo in rivolta, ma impossibile determinare il loro numero con certezza. Rapporti ufficiali parlano di 355 salme esumate, molte delle qual non riconosciute (e quindi non attribuibili con certezza a vittime italiane), ma la conta dei dispersi risulterebbe molto pi alta, almeno stando alle segnalazioni della popolazione locale. Certo che subito dopo loccupazione dellIstria da parte delle truppe germaniche furono iniziate le ricerche per recuperare i cadaveri, prontamente usati come strumento di propaganda antislava ed antipartigiana dai nuovi occupanti. Le macabre immagini dei ritrovamenti vennero diffuse e pubblicizzate tra la popolazione italiana di confine per alimentare timori ed insicurezze che facilitassero laccettazione del nuovo regime se non come la miglior soluzione almeno come il male minore di fronte alla barbaria proveniente dallest.

Foibe alcune immagini dei ritrovamenti del 1943

Ed effettivamente buona parte della comunit italiana della Venezia Giulia aveva una certa predisposizione ad assimilare in modo efficace tale propaganda. Per molta gente, nata e cresciuta imbevendosi dellantislavismo fomentato da un particolare fascismo nazionalista di confine, lesperienza vissuta nei mesi di settembre ed ottobre del 1943
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suonava come il preludio di una possibile definitiva opera di slavizzazione del territorio contro la quale loccupazione tedesca rappresentava concretamente una valida garanzia in funzione antislava. Seppur consapevoli che tale occupazione avrebbe comportato una completa assimilazione in vista di una programmata annessione allo stato tedesco, con un conseguente ridimensionamento della propria identit nazionale, era convinzione diffusa che ci costituisse davvero il male minore perch in fondo, soprattutto per pi abbienti, meglio essere tedeschi che slavi. In citt come Trieste e Gorizia, cos come in generale nellIstria, le truppe tedesche sono viste quasi come liberatrici dal pericolo slavo e dal terrore comunista. In particolare, a Trieste sono i ceti alto borghesi delle dinastie industriali e finanziarie dellex impero austro ungarico a dimostrarsi particolarmente sensibili verso una progressiva germanizzazione, fiduciose che ci avrebbe comportato un sicuro rilancio economico dopo la delusione della politica fascista degli ultimi ventanni. E certo non persero tempo a stringere alleanze ed accordi pi o meno occulti con i nuovi padroni, come dimostreranno poi le lucrose amicizie con i massimi vertici nazisti della costituenda amministrazione del Litorale Adriatico.

Foibe altre immagini dei ritrovamenti del 1943

E da ritenersi perlomeno disgustoso che le stesse raccapriccianti immagini diffuse nel 1943 siano ancora oggi ampiamente usate per gli stessi scopi propagandistici in molte pubblicazioni sia locali che nazionali, rimescolando la storia del 1943 con quella del 1945 al solo fine di suscitare maggior disgusto nellignaro lettore e quindi, con molta probabilit, maggior predisposizione ad accettare verit di parte sfruttabili politicamente. Ci che invece non viene mai ricordato che contestualmente alla violenta reazione di quei giorni verso tutto ci che sembrava ricordare il passato, la stessa popolazione che si dimostr capace delle pi sanguinarie vendette in altri casi aiut e protesse centinaia di soldati italiani allo sbando, salvandoli da una sicura deportazione nei lager tedeschi. Molto probabilmente il risentimento nazionale era pi diffusamente indirizzato verso i carabinieri, i gerarchi, le camicie nere ed i funzionari dellamministrazione pubblica che non verso i militari dellesercito regolare, trasformatisi improvvisamente in vittime al pari della popolazione locale con cui fin per condividerne le sorti. Molti di loro si unirono ai partigiani, altri si mimetizzarono in mezzo alla popolazione, alcuni riuscirono a tornare in patria dalle proprie famiglie, ma la maggior parte fu catturata dai tedeschi e deportata nei campi di lavoro in Germania. La riscossa popolare non fu altro, per, che una breve parentesi: nel giro di poche settimane lesercito tedesco assunse il completo controllo di tutto il territorio sostituendosi con molta pi ferocia ai precedenti invasori. Per molti mesi la popolazione jugoslava fu
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costretta a subire, grazie anche al volontario contributo di molti irriducibili fascisti, sofferenze ancora pi grandi di quelle sino ad allora patite. La preoccupazione di mantenere sotto stretto controllo quel corridoio tra lItalia ed il fronte balcanico temporaneamente caduto in mano ai resistenti jugoslavi dopo la dissoluzione delle truppe di occupazione italiane, indusse , i tedeschi ad adottare una politica di feroce repressione senza mezzi termini. LIstria e le terre di confine andavano definitivamente bonificate dalla presenza partigiana e per raggiungere lo scopo si applic il Bandenkampf in der Operationzone Adriatisches Kstenland una variante locale della direttiva emanata da Hitler il 18 agosto 1942 per la lotta contro le bande nel territori orientali dopo l'invasione dell'Unione Sovietica. Un vero e proprio prontuario per le truppe tedesche sulle tecniche d'applicazione della guerra di sterminio secondo il quale i rastrellamenti, le distruzioni dei paesi e le rappresaglie sulla popolazione civile non sono che il primo livello di un efficiente sistema di terrore di cui l'apparato di polizia ed i luoghi di detenzione e tortura costituiscono le principali istituzioni permanenti. Tutta l'Istria venne letteralmente messa a ferro e fuoco: nei soli primi due mesi, tra l'ottobre ed il novembre 1943, si parla di oltre 2000 partigiani eliminati e pi di 5000 persone inermi uccise o arrestate per essere con molta probabilit avviate verso i campi di sterminio.

Fucilazione di civili da parte dei tedeschi

Il destino dei prigionieri politici jugoslavi nei lager nazisti

Un altro terribile incubo si prospettava inoltre allorizzonte: quello dei bombardamenti alleati sulle citt occupate dai nazisti, che da soli faranno in due anni, a partire dal 1944, migliaia di vittime innocenti.

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I fatti
Con il crollo della Germania le formazioni jugoslave si gettarono in una corsa contro il tempo verso le coste adriatiche per impedire agli anglo-americani di prendere il controllo di quelle terre di cui rivendicavano il possesso. Il 30 aprile del 1945 il CLN (di cui non faceva parte il PCI per contrasti con gli altri partiti sull'atteggiamento da tenere verso i partigiani slavi) proclam l'insurrezione e riusc a impadronirsi di molti importanti edifici pubblici. Ma non a liberare definitivamente la citt, dove ancora resistevano alcune postazioni fortificate tedesche che preferirono arrendersi alle truppe anglo-americane arrivate il giorno successivo quando ormai i partigiani di Tito, molto pi numerosi di quelli italiani, si erano gi impadroniti della citt, iniziando senza perdere tempo la caccia a tutti coloro che potevano essere accusati di collaborazionismo. Per circa quaranta giorni tennero sotto controllo tutta la fascia adriatica scatenando una violenta epurazione per creare uno stato di fatto che spianasse la strada allannessione. Tutti coloro che potevano essere considerati per un motivo o per laltro ostili al progetto vennero arrestati, deportati o addirittura uccisi. Le stesse giunte partigiane del CNL formatesi nelle varie citt dopo la liberazione furono disarmate, destituite ed in certi casi arrestate. Per chi messo in condizione di vendicarsi per la politica antislava del fascismo e per le repressioni subite durante l'occupazione italo-tedesca in Jugoslavia non facile distinguere chi veramente sia colpevole e chi no. Chiunque indossasse una divisa, sia esso carabiniere, finanziere o miliziano, necessariamente considerato parte del sistema e quindi da condannare. Nelle altre zone occupate dellIstria e della Dalmazia la distinzione ancora pi sottile e la complicit di collaborazionismo pu essere facilmente estesa a tutta letnia italiana presente sul territorio. Odio razziale e odio politico si fondono in ununica sete di vendetta, che come conseguenza porter oltre 150 mila italiani (su un totale di 187 mila) ad abbandonare l'Istria e la Venezia Giulia (da Pola se ne and praticamente quasi tutta la popolazione) e circa un migliaio ad essere uccisi e gettati, spesso dopo umiliazioni e tormenti, nelle foibe carsiche. In quei giorni si vive un clima di autentico terrore, ma non ha senso paragonarlo con quello precedente appena lasciato alle spalle. Diverso il contesto, diverse le motivazioni e soprattutto diversi sono i numeri. Ma pur sempre di terrore si tratta e chi lha vissuto sulla propria pelle non certo disposto a declassarlo a fenomeno marginale. Un terrore che ha coinvolto un po tutti. A Fiume, ad esempio, i primi ad essere eliminati furono i fautori dello Stato Libero, cio coloro che negli anni a cavallo tra il 1919 e il 1925 si erano opposti alla annessione italiana. A Gorizia, al contrario, furono soprattutto i partigiani italiani non comunisti ad essere additati come pericolosi concorrenti da neutralizzare, e come tali furono quasi tutti fatti prigionieri. E per nella cruciale Trieste che si raggiunse lapice della violenza. In citt operavano lesercito popolare jugoslavo, lOzna (la polizia segreta jugoslava) e numerose bande irregolari croate, serbe e slovene, ciascuno come una scheggia impazzita che procedeva per proprio conto ad arresti, confische, torture e soprattutto uccisioni sommarie. Nel mirino finivano soprattutto gli ustascia, i cetnici, i collaboratori, le spie, i delatori, i corrieri e tutti quelli che si riteneva appartenessero a formazioni armate al servizio del nemico. Ma non solo. Una completa violenta anarchia che sfugg immediatamente di mano alle autorit militari e politiche jugoslave, costrette sin dal 6 maggio ad ammettere che ci sono stati troppi arresti e fucilazioni arbitrarie e che bisognava riprendere rapidamente il controllo della situazione poich tali errori avrebbero potuto compromettere seriamente lallargamento
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della federazione a questi territori, la cui ostilit si sarebbe prestata a equivoche interpretazioni nella imminente conferenza internazionale di pace che doveva definire i nuovi confini della sconfitta Italia. Nonostante le preoccupazioni, le esecuzioni si susseguirono ad un ritmo impressionante ed i cadaveri ammucchiati in fosse comuni o gettati nelle foibe. Chi non cadde fucilato sul posto nella generale mattanza del momento fu avviato verso inumani campi di prigionia (come quello di Borovnica, alle porte di Lubiana), dove ad attenderli cerano fame, fatica e maltrattamenti che in molti casi furono il preludio per una fine solo ritardata ma scontata. Pochi di loro, infatti, fecero ritorno.

Trieste maggio 1945: deportazione di finanzieri e arresto di civili

Furono per le foibe le protagoniste indiscusse del terrore titino. Per le popolazioni dellentroterra giuliano, la foiba costituiva una specie di discarica naturale, il luogo dove si era soliti buttare ci che non serviva pi e di cui era difficile liberarsi altrimenti.

Schema di una foiba

Ubicazione principali foibe giuliane

Scaraventare un uomo in una foiba era quindi qualcosa di pi che celarne i resti in un luogo praticamente inaccessibile, significava, nella mentalit corrente, trattare quel uomo alla stregua di un rifiuto. Tali erano considerati, infatti, i nemici dei nuovi persecutori. Molte testimonianze hanno purtroppo confermato le voci secondo cui anche persone
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ancora vive sarebbero state infoibate legate ai cadaveri, seguendo quella che era diventata una prassi abbastanza comune: legare tra loro i malcapitati posti sullorlo della foiba uccidendo i primi in modo tale che, cadendo, trascinassero anche gli altri. I racconti e le testimonianze dei pochi miracolosamente sopravvissuti, probabilmente proprio perch infoibati ancora vivi, sono a dir poco raccapriccianti. Servano per da monito per lumanit e non per scatenare nuovo odio e nuovi rancori facendo degli infoibati dei martiri di parte. Le dimensioni di una tragedia, inoltre, non si dovrebbero mai misurare solo con il numero delle vittime, perch lindegno balletto di cifre che si scatena a fini propagandistici per confrontarli con i morti degli altri quasi sempre distoglie lattenzione dallessenza del problema. Accanto alla destra che per anni ha sbandierato esorbitanti cifre di alcune decine di migliaia di vittime, ci sono le centinaia sfoggiate dalla controparte per minimizzare la tragedia. La realt che non si sa n si sapr mai quante siano state le vittime degli infoibamenti, anche perch, salvo rare occasioni, non si mai riusciti a riesumarne i cadaveri. Sinora sono stati solo cinquecentosettanta i casi accertati, ma tale cifra non pu e non deve essere usata come pretesto di scontri politici buoni solo a falsificare la storia. Nulla giustifica i bilanci di fantasia stilati a puro scopo di propaganda perch si sa, le cifre sono sempre di forte impatto. N ha senso contare i morti degli altri per fare paragoni. Ma un chiarimento doveroso per chi tende ad esasperare gli animi insistendo nel mettere il dito nella piaga di questa ferita amplificandone, a volte a dismisura, la gravit. Cinquecento o cinquemila, epurati oppure meritatamente giustiziati, questi morti vanno considerati purtroppo per quello che in realt sono, cio lultimo capitolo di una tragedia collettiva le cui proporzioni non trovano eguali nella storia dellumanit. Non ha alcun senso speculare sul loro numero, se si pensa che, anche nella peggiore delle ipotesi, tele numero non si avvicina neppure lontanamente ai caduti civili dei bombardamenti di pochi mesi prima. Qualcuno si ostina a definirle vittime del comunismo, come se le vittime, chiunque esse siano, debbano per forza avere un colore. Al dolore di chi ha dovuto piangere quelle vittime, cosa avrebbero dovuto raccontare le migliaia e migliaia di famiglie che pochi giorni prima hanno dovuto piangere i loro cari caduti innocentemente sotto i colpi dei bombardamenti anglo-americani, vittime di una morte letteralmente piovuta dal cielo? Dovrebbero forse chiamare i loro cari vittime del capitalismo solo perch a sganciare le bombe sono state le potenze occidentali e non gli aerei russi? La stragrande maggioranza delle perdite italiane durante la seconda guerra mondiale deriva da quei bombardamenti, come i 20 mila morti (documentati) di una piccola citt come Foggia o di Isernia, che perse un terzo dei suoi abitanti sotto gli attacchi aerei. Oppure della stessa Triste, dove da solo il bombardamento del 10 giugno 1944 (effettuato come rappresaglia per lanniversario dellentrata in guerra dellItalia) fece pi di 400 morti e migliaia di feriti. O della piccola Zara, lultimo baluardo fascista a restare in mano italiana dopo la disfatta dell8 settembre, che sub ben 54 bombardamenti con oltre 4.000 caduti su 38 mila abitanti. Per i professionisti della cantilena anticomunista, questi corpi dilaniati, straziati e bruciati dagli ordigni caduti dal cielo non contano, come non contano tutte le vittime jugoslave delle atrocit perpetrate dagli occupanti italiani e tedeschi sino a poco prima. Sono vittime di un nemico che non esiste pi, che devono cedere il passo ai nuovi martiri di un nuovo nemico che si accinge a distruggere la civilt occidentale e con essa ogni possibilit di benessere futuro. Per contro, in Italia nessun generale, nessun comandante di armata, nessun ufficiale che si fosse macchiato di crimini di guerra e crimini contro lumanit in Jugoslavia fu mai processato o anche solo destituito. Gerarchi, federali, comandanti fascisti non solo evitarono punizioni ed
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epurazioni, ma furono lasciati ai pi alti gradi di comando. Mentre nel resto dellEuropa altri paesi subivano mutamenti territoriali tali da provocare trasferimenti forzati di milioni di persone (come gli otto milioni di tedeschi che dovettero abbandonare la Prussia, dove vivevano da generazioni), in Italia ci si scandalizzava per le clausole del trattato di pace di Parigi, presentato come un affronto alla Patria, dimenticando non solo di essere uno dei paesi che hanno perso e non vinto la guerra ma anche uno dei paesi maggiormente responsabili di averla provocata ed alimentata. Nessuno vuole negare n disconoscere il dramma dei 250 mila profughi istriani e dalmati che dovettero abbandonare le loro terre in conseguenza della revisione dei confini orientali dellItalia, ma attribuirne le responsabilit solo alla ferocia persecutrice delle armate comuniste decisamente un po troppo semplicistico. Prima ancora di essere comunisti, i nuovi padroni di casa erano slavi, desiderosi di riappropriatisi di terre che consideravano loro e che in effetti geograficamente poco o niente avevano in comune col resto della penisola italiana, trovandosi esattamente sul lato opposto del mare da cui sono naturalmente separate. Eppure ancora oggi c chi rivendica le terre dalmate e istriane perdute come antica culla di italianit sin dal tempo dei romani, come se bastasse aver conquistato un territorio in tempi remoti per fare di diritto patrimonio nazionale. E come se i greci rivendicassero diritti sulle nostre coste adriatiche e ioniche per il solo fatto di averle colonizzare 2000 anni fa.

Il 10 febbraio del 1947 lItalia ratifica il


trattato di pace e la fascia costiera dellIstria (Capodistria, Pirano, Umago e Cittanova ) passa sotto amministrazione jugoslava (zona B); il resto dellIstria, Fiume e Zara passano in maniera definitiva sotto sovranit jugoslava. La fascia costiera da Monfalcone a Muggia va sotto amministrazione alleata (zona A) mentre Gorizia e il resto della Venezia Giulia tornano sotto la sovranit italiana.

5 ottobre 1954 con il "Memorandum d'intesa la parte amministrata dagli Alleati (la
cosiddetta zona A) viene restituita all'amministrazione dell'Italia. E l'atto che permetter, il 26 ottobre dello stesso anno, il ritorno definitivo di Trieste alla madrepatria.

Il 10 novembre 1975 con il trattato di Osimo, nelle Marche, ilallora Ministro degli Esteri
Rumor firm la cessione in via definitiva della zona B alla Jugoslavia.

I confini politici, si sa, non sempre seguono logiche strettamente geografiche per dividere popoli e nazioni. Mentre per le terre giuliane diventa piuttosto difficile stabilire cosa debba stare da una parte e cosa dallaltra, per le coste istriane e dalmate ed il relativo entroterra non vi sono dubbi che geograficamente costituiscano parte integrante della penisola balcanica e non di quella italiana. Il sogno panslavista di Tito per una grande Jugoslavia non poteva che realizzarsi a spese di quella che era lunica minoranza etnica non contemplata nel progetto in quanto estranea e, non dimentichiamolo, sino a poco prima anche ostile. Non bisogna quindi scandalizzarsi troppo se un radicato odio razziale prima
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ancora che politico ha prodotto nuove violenze in aggiunta a quelle della guerra appena conclusa. Odio e violenze che la nuova Italia liberata non ha mai cercato di fermare ed ha, al contrario, continuato ad alimentare. Ignorando deliberatamente, ad esempio, la lista dei criminali di guerra fascisti presentata dalle autorit jugoslave a quelle italiane, le cui richieste di estradizione furono respinte. O addirittura aiutando i peggiori criminali jugoslavi a mettersi in salvo, trovando in Italia protezione ed aiuti per la fuga in Sud America (come Ante Pavelic, il pi sadico dei dittatori dEuropa, rifugiatosi in Vaticano per poi imbarcarsi verso lArgentina assieme a molti gerarchi nazisti). La lista completa dei nomi disponibile presso gli archivi ufficiali di molti paesi e mostra chiaramente come nessuno di loro abbia mai risposto delle proprie azioni di fronte alla giustizia. Anzi, in molti casi ha potuto addirittura continuare per anni ad occupare i vertici dei posti di comando sia civili che militari. Il Gen. Mario Robotti comandante dellXI corpo darmata, il grande deportatore di Lubiana che sintetizz gli ordini del suo superiore (il Gen Roatta) nella frase diventata proverbiale qui si ammazza troppo poco, stato congedato e letteralmente dimenticato sino alla sua morte, avvenuta nel 1955. Il Gen. Gastone Gambara, comandante a Lubiana e della piazza di Fiume (succeduto a Robotti nel frattempo promosso Comandante Generale per la Slovenia-Dalmazia), da convinto fascista fu un degno successore del suo predecessore, tanto da riuscire a dire, in merito alle miserevoli condizioni degli internati, che campo di concentramento non significa campo d'ingrassamento formulando lequazione individuo malato uguale individuo che sta tranquillo. Fedele al fascismo sino allultimo, ader incondizionatamente alla Repubblica di Sal dove ricopr lincarico di Capo di Stato Maggiore. Il Gen. Taddeo Orlando, comandante della 21 Divisione Granatieri di Sardegna alle dirette dipendenze di Robotti e Gambara, diventato dopo larmistizio sottosegretario nel governo Badoglio e nel dopoguerra comandante dellArma dei Carabinieri. Lunico a finire nelle mani della giustizia fu il Gen. Mario Roatta, comandante della II Armata in Croazia, processato e condannato non per crimini di guerra ma per lassassinio dei fratelli Rosselli. Evaso il 4 maggio 1945 con la complicit dei carabinieri (al cui comando in quel periodo si trovava, guarda caso, il Gen. Taddeo Orlando) si rifugi in Vaticano per partire poi con la moglie verso la Spagna franchista, da dove ritorner, amnistiato, nel 1966. Mentre in Germania si celebravano i processi di Norimberga (a quello principale contro i massimi responsabili nazisti ne seguirono negli anni successivi molti altri contro responsabili minori), in Italia le responsabilit della guerra e delle sue atrocit vennero per anni ignorate e nascoste, se non addirittura negate. Solo recentemente, con la scoperta del famoso armadio della vergogna, sono saltate fuori e rese pubbliche le prove di decine e
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decine di massacri compiuti nellItalia centro-settentrionale da tedeschi e repubblichini. E solo recentemente sono diventati di dominio pubblico anche i crimini fascisti compiuti in Jugoslavia durante gli anni di occupazione.

Le rappresaglie dei soldati italiani sui civili

Si contesta molto frequentemente il fatto che tutti, fin dall'immediato dopoguerra, sapevano che qualche migliaio di italiani era finito nelle foibe del Carso durante i quaranta giorni dell'occupazione jugoslava di Trieste e dintorni. Sapevano, ma hanno taciuto per anni. Ci che non viene quasi mai contestato che gli stessi sapevano anche dei massacri precedenti, quelli fatti dagli italiani in camicia nera contro le popolazione slave di Istria e Slovenia. Anche su questi hanno taciuto, lasciando che ognuno si creasse una propria verit ritrovando memoria e sdegno solo per le vittime del comunismo, ignorando tutte le vittime slave che rimangono sepolte sotto una pietra di silenzi,omissioni e falsit. La storia della pulizia etnica italiana che precede quella slava una storia rimossa, che riemerge a fatica dalle pieghe della memoria. Dopo pi di 60 anni molti non riescono ancora ad accettare lidea che un popolo civile come si vanta di essere quello italiano abbia potuto, tra il 1942 e il 1943, internare e ridurre in schiavit sino alla morte migliaia di persone al solo fine di ripopolare le regioni conquistate con abitanti italiani in sostituzione della popolazione locale, riparandosi dietro lalibi che in fondo si trattava solo di operazioni di guerra e la guerra, si sa, crudele. Eppure esattamente quanto successo e pertanto non c da stupirsi se, alla prima occasione, quelle popolazioni prima umiliate poi massacrate abbiano ripagato le loro sofferenze con la stessa moneta. Unattenuante pi che comprensibile, ma non una giustificazione perch lo spargimento di sangue non mai giustificabile, in nessun caso. Non ci pu essere assoluzione per i carnefici, solo comprensione. Lattenuante storica non basta per da sola a spiegare le atrocit commesse dopo la liberazione, perch, per quanto la sete di vendetta possa aver animato la mano di quei carnefici, rimane comunque il dato di fatto che allepoca era in atto un indiscutibile tentativo espansionista jugoslavo ai danni dellItalia che escludeva ogni possibilit di opposizione. Una prospettiva che metteva daccordo tutte le anime della Jugoslavia di allora: non solo lesercito di liberazione di Tito ma anche il governo filonazista degli Ustascia (che per conto suo gi aveva proclamato subito dopo l8 settembre lannessione di Fiume e dellIstria allo stato indipendente della Croazia), il governo monarchico jugoslavo in esilio a Londra e lOF, il fronte di liberazione sloveno che ambiva ad una Slovenia indipendente (seppur federata al resto della Jugoslavia) che includesse sia i territori austriaci che quelli italiani, sino allIsonzo. Ricostruire la memoria facendo perno solo su queste istanze sarebbe per unoperazione sterile, poich anche la componente
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nazionalista, da sola, non basta a spiegare laccaduto Che piaccia o no, la componente ideologica fondamentale per interpretare complessivamente il fenomeno. I territori contesi oltre che slavi dovevano diventare socialisti e, come lo stesso Lenin insegna, non esiste rivoluzione comunista (come qualsiasi altra rivoluzione) senza un minimo di terrore iniziale che elimini progressivamente ogni manifesta forma di dissenso verso il nuovo ordine. Un movente che pi di tutti gli altri si prestato ad ogni sorta di manipolazione. Un movente innegabile, condizione forse necessaria ma certo non sufficiente a scatenare una simile catena di atrocit. Ci che pi offende la verit storica che tutti, indistintamente, hanno cercato di riesumare quelle vicende enfatizzando una o laltra componente interpretativa per pura opportunit politica. La sinistra stessa, in preda ad un eccesso vittimismo, sembra essersi indirizzata verso un revisionismo mascherato da autocritica che non solo non rimedia alle lacune informative che si sono create nel tempo, ma insiste nelloffrire risposte che non devono e non possono essere solo ideologiche. Il grande sciopero generale proclamato nel 1947 dal sindacalista comunista Giuseppe Di Vittorio contro il trattato di pace che assegnava gran parte dei territori contesi alla Jugoslavia non pu certo essere definito un atto di complicit della sinistra e di sottomissione alla volont titina o di Mosca. In fondo quelle terre fortunate sarebbero entrate a far parte del grande mondo del socialismo reale, cera da gioirne, non da protestare. Ma gran parte della sinistra invece protest ed insistendo nelladdossarsi colpe che le competono solo in parte, la sinistra di oggi non contribuisce certo a far luce su quella triste pagina della storia italiana. Se veramente si vuole rendere omaggio a quei caduti e rispettare la loro memoria, non vi altra strada che imparare ad attribuire pari dignit a tutte le componenti corresponsabili dellaccaduto, guardando alla realt dei fatti nella loro interezza senza voler ad ogni costo attribuire maggior peso ad una spiegazione piuttosto che ad unaltra. In caso contrario qualsiasi ricorrenza o giorno della memoria sar solo un insulto allintelligenza umana.

Giorno della memoria: le disgrazie altrui al servizio della propaganda politica

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Percorrendo la strada che da Basovizza conduce a S. Lorenzo, si intravede sulla destra unarea recintata piuttosto curata che invita a fermarsi. Nessuno si accorgerebbe si essere in prossimit di una foiba se non leggesse i cartelli, perch effettivamente di quella che tutti immaginano essere una cavit naturale del terreno rimane ben poco. Niente in quel giardino ben curato sembra tradire levidenza se non numerose lapidi commemorative ed uno strano gigantesco monumento. Una specie di enorme carrucola posta ad indicare che in quel punto, sotto la grande piattaforma di acciaio che ne ricopre lapertura, si trovava una tra le pi grandi foibe carsiche usate come tomba per centinaia di persone uccise durante e dopo la seconda guerra mondiale.

Monumento e copertura della foiba di Basovizza

Contrariamente a tutte le altre, quella di Basovizza non per unapertura naturale del terreno creata da fenomeni di carsismo, ma un pozzo artificiale scavato allinizio del 900 per lo sfruttamento della lignite picea e presto abbandonato per improduttivit. Una
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voragine di oltre 300 metri di profondit in cui per anni si sono accumulati detriti di ogni tipo prima di diventare tristemente famosa come fossa comune per centinaia di salme. Un documento allegato a un dossier sul comportamento delle truppe jugoslave nella Venezia Giulia presentato dalla delegazione italiana alla conferenza di pace di Parigi del 1947 descrive molto dettagliatamente come nel maggio del 1945 quel vecchio pozzo divenne un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili, da parte dei partigiani di Tito. Condotte sul posto con appositi autocarri dopo essere stati prelevati nelle loro case di Trieste, le persone incriminate, legate tra loro a catena col filo di ferro con le mani dietro la schiena, venivano sospinte a gruppi verso l'orlo dellabisso dove una scarica di mitra li faceva precipitare. Sul fondo, dopo un volo di 200 metri, chi non trovava subito la morte continuava ad agonizzare tra gli spasmi per le ferite e le lacerazioni riportate nella caduta tra gli spuntoni di roccia. Alcune di quelle salme sono state recuperate, ma le difficolt del recupero e la convenienza a lasciare spazio alla libera immaginazione sulla quantificazione delle vittime hanno indotto le autorit a chiudere la foiba considerandola la tomba definitiva per tutti i corpi rimasti. Nessuno sa certezza quanti corpi vi siano sepolti, ma c chi ha azzardato un calcolo: considerando la profondit del pozzo prima e dopo la strage, si giunti a stabilire approssimativamente una differenza di una trentina di metri corrispondente ad uno spazio volumetrico di circa 500 metri cubi (poi ridotti a 300) che consentirebbe di contenere oltre 2000 salme di infoibati.

Schema della foiba usato per il calcolo degli infoibati

Il problema che in quella enorme voragine assieme ai cadaveri finito di tutto. Dopo la battaglia di Basovizza del 30 aprile 1945 la gente del posto vi gett dentro i corpi dei militari tedeschi caduti, le carcasse dei cavalli morti durante i raid aerei britannici, ogni tipo di materiale militare raccolto nei terreni circostanti. Diventa quindi difficile calcolare anche solo approssimativamente le profondit da prendere come unit di misura e pertanto tale calcolo da considerarsi del tutto inattendibile.
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Gi nel settembre e ottobre 1945 gli anglo-americani recuperarono quanto poterono dal pozzo utilizzando la benna e nel loro rapporto del 13 ottobre 1945 si trovano elencati sommariamente i risultati delle esumazioni effettuate. Le scoperte effettuate si legge nel rapporto si riferiscono a parti di cavallo e cadaveri di tedeschi, e si pu dedurre che ulteriori sopralluoghi potrebbero eventualmente rivelare cadaveri di italiani. Complessivamente furono infatti estratti dal pozzo otto corpi umani interi (di questi due presumibilmente tedeschi ed uno di sesso femminile), alcuni resti umani (per lo pi arti) ed alcune carcasse di cavallo. Pochi corpi smembrati e irriconoscibili non sembrarono per un risultato soddisfacente per confermare le voci che insistentemente stavano circolando circa il massacro e conseguente infoibamento di centinaia di civili e alcuni militari alleati. Si prefer cos di sospendere i lavori: agli alleati sembrava infatti improbabile che corpi di italiani uccisi verso il 5 o 6 maggio potessero trovarsi sotto i corpi dei tedeschi morti una settimana prima durante la battaglia, pertanto, una volta trovati i tedeschi, si giunse alla conclusione che probabilmente nella foiba non potessero esserci n italiani n neozelandesi. La questione, per loro, era quindi da ritenersi chiusa. Tutto era cominciato il 29 luglio 1945, quando era apparsa la notizia (pubblicata su Risorgimento Liberale, organo del Partito Liberale), che grande e penosa impressione ha destato in tutta lAmerica la notizia, proveniente da Basovizza presso Trieste, circa il massacro di oltre 400 persone da parte dei partigiani di Tito, le cui salme sono state scoperte dalle autorit alleate nelle cave di quella zona. Particolare rilievo viene dato al fatto che ivi compresi si trovano otto cadaveri di soldati neozelandesi e si temono di conseguenza complicazioni internazionali. Notizia prontamente smentita sullo stesso giornale dopo soli due giorni: Smentita alleata sul pozzo di cadaveri a Trieste. Il Comando generale dellOttava Armata britannica ha ufficialmente smentito oggi le notizie pubblicate dalla stampa italiana secondo cui 400 o 600 cadaveri sarebbero stati rinvenuti in una profonda miniera della zona di Trieste. Alcuni ufficiali dellOttava Armata hanno precisato inoltre che non si hanno indicazioni circa i cadaveri degli italiani ma per quanto riguarda lasserita presenza di cadaveri di soldati neozelandesi essa viene senzaltro negata. Sin dai primi mesi dopo loccupazione jugoslava ci fu infatti chi si premur di sfruttare sin da subito la situazione, gettando le basi affinch si creasse nellopinione pubblica quel immaginario delle foibe che tanto contribuir ad alimentare il balletto delle cifre negli anni a venire. Per prima cosa si tir fuori la notizia di una cifra enorme di infoibati per destare immediatamente orrore per laccaduto, presentandola come se negli Stati Uniti non si parlasse daltro. Poi, per creare tensione tra il governo jugoslavo e quello britannico da sfruttare politicamente, si pens di colorare ancor di pi la vicenda aggiungendo tra gli infoibati anche otto soldati neozelandesi, manifestando, in conclusione dellarticolo, non poche preoccupazioni per possibili complicazioni internazionali. Pi di recente un altro articolo (pubblicato sul settimanale Epoca nell'aprile 1995) cerc nuovamente di estendere gli infoibamenti ai militari alleati, raccogliendo come risposata unulteriore smentita direttamente dal Ministero della difesa neozelandese. In una lettera pubblicata dal periodico Novi Matajur il 25 aprile 1996, il Ministro Crawford sment infatti la supposta presenza di soldati neozelandesi nel pozzo di Basovizza dichiarando che in passato anche loro avessero indagato approfonditamente sui fatti verificando la completa infondatezza della notizia. Per tutti gli anni in cui la citt di Trieste rimase sotto lamministrazione del governo militare alleato, la foiba di Basovizza venne usata come discarica di materiale militare.
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Forse per verificare di non aver lasciato dietro di se materiale darchivio o altre cose compromettenti, prima di lasciare Trieste, nel 1954, gli alleati decisero di procedere allo svuotamento del pozzo, autorizzato dal comune di Dolina-S. Dorligo della Valle con delibera di giunta n. 854/54 del 23 febbraio 1954. Gli operai addetti arrivarono fino alla profondit di 225 metri, sui 254 totali ed estrassero residui di armi, materiale bellico e rifiuti vari. Ma non vera traccia di resti umani. Dopo lo svuotamento, il sindaco Gianni Bartoli autorizz luso del pozzo come discarica di rifiuti e tale fu luso che se ne fece fino alla fine degli anni Cinquanta. La cosa potrebbe apparire del tutto normale se a concedere tale autorizzazione fosse stato un qualunque altro soggetto. Gianni Batoli, segretario della Democrazia Cristiana triestina nel dopoguerra e sindaco di Trieste dal 1949 al 1957, era infatti un personaggio che aveva costruito la propria immagine pubblica sulla base della nostalgia per le terre perdute dellIstria e sul ricordo dei martiri delle foibe, in particolare sulle centinaia infoibati di Basovizza. Che un uomo con un animo cos sensibile alle disgrazie della sua gente, come lui stesso amava definirsi, potesse autorizzare lo scarico di tonnellate di immondizia sopra i resti di corpi umani davvero difficile da credere. Potrebbe sorgere il sospetto, invece, che sapesse benissimo come l dentro non ci fossero tutti quei corpi che lui stesso, nei suoi libri e nei suoi discorsi, dava per certi. Tra laltro pu non sembrare una coincidenza che a sovrintendere alloperazione di svuotamento lo stesso sindaco avesse posto un certo Griselli (allora capo del settore Nettezza Urbana), un ex squadrista fascista, commissario civile a Novo Mesto nella nuova provincia di Lubiana occupata militarmente dagli italiani, processato ed assolto proprio a Basovizza, sotto la tettoia dellattuale farmacia nei primi giorni di maggio del 1945 per mancanza di testimoni a suo carico. Stando ai documenti ufficiali, le stesse testimonianze utilizzate per accreditare le esecuzioni di Basovizza sembrerebbero dimostrare esattamente lopposto. Si tratta delle deposizioni di due preti incluse in un documento stilato dagli Alleati nellottobre 1945 (una copia di questo, in lingua inglese, conservata anche presso lIstituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste): don Malalan, prete di S. Antonio in Bosco-Bort e don Virgil ek, parroco di Coronale, paesini a pochi chilometri da Basovizza. Don Malalan non riferisce di aver assistito personalmente ai processi ed alle esecuzioni ma le da per scontate basandosi su un colloquio avuto con don ek, sufficiente secondo lui per affermare che i prigionieri erano quasi tutti agenti di polizia ed hanno ben meritato la fine che hanno fatto. Per quanto riguarda la seconda testimonianza, quella di don ek, nel rapporto si legge: Il 2 maggio egli and a Basovizza... mentre era l aveva visto in un campo nelle vicinanze circa 150 civili che erano riconoscibili dalle loro facce quali membri della Questura. La gente del luogo voleva fare giustizia in modo sommario ma gli ufficiali della IV Armata erano contrari. Queste persone furono interrogate e processate alla presenza di tutta la popolazione che le accus. (...) Quasi tutti furono condannati a morte (...) Tutti i 150 civili furono fucilati in massa da un gruppo di partigiani. I partigiani erano armati con fucili mitragliatori, e poi, poich non cerano bare, i corpi furono gettati nella foiba di Basovizza. Alla domanda esplicita se il parroco fosse stato presente allesecuzione o avesse solamente sentito gli spari, questi rispose che non era stato presente n aveva sentito gli spari. Quindi don ek fu testimone oculare s, ma dei processi e non delle uccisioni e degli infoibamenti. Il documento prosegue ancora: Il 3 maggio don ek and di nuovo a Basovizza e vide nello stesso posto circa 250-300 persone (...) queste persone furono anche uccise dopo un processo sommario. Erano per lo pi civili arrestati a Trieste dopo i primi giorni delloccupazione. Don ek dichiara che erano quasi tutti membri della Questura. Ma neanche in tale occasione
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don ek li vide materialmente uccidere. Cosa accadde dunque in realt? Claudia Cernigli, giornalista e scrittrice triestina, in un saggio intitolato Operazione foibe a Trieste (Edizioni Kappa Vu - 1997), tenta di ricostruire laccaduto in questo modo. Come risaputo, nei primi giorni di maggio i partigiani jugoslavi arrestarono molte persone, ma indiscriminatamente come si pensa. Avendo con s precisi elenchi in cui erano segnalati i nomi dei criminali di guerra e dei collaborazionisti, arrestarono per lo pi agenti di polizia, militari, e noti collaboratori dei nazifascisti. Il fatto che fossero in abiti civili non esclude che potesse trattarsi di poliziotti o militari in borghese: nessuna persona intelligente si sarebbe tenuta addosso la divisa dopo larrivo dei partigiani e chi abitava a Trieste aveva la possibilit di cambiarsi. I prigionieri venivano portati a Basovizza, dove aveva sede il Tribunale del Popolo, cos chiamato perch era proprio la popolazione triestina a decidere sostanzialmente, con le proprie testimonianze, la sorte degli imputati. I processi si svolgevano infatti di fronte alla gente, che aveva diritto di intervenire e testimoniare pro o contro gli accusati, che in alcuni casi furono assolti e librati, non esistendo testimonianze dirette a loro carico. Come ad esempio nel caso di Griselli, futuro capo del servizio di nettezza urbana del Comune di Trieste, oppure di Remigio Rebez, lefferato boia della caserma di Palmanova, poi riprocessato ad Udine nel 1946 come criminale di guerra, condannato e successivamente amnistiato come molti altri. Sembra probabile che la IV Armata jugoslava, che secondo lo stesso rapporto degli alleati era contraria alle esecuzioni sommarie se non altro per motivi di immagine ed opportunismo tattico (come riscontrabile in alcune direttive impartite dai vertici del Partito alla polizia segreta), avesse effettivamente condannato a morte i prigionieri per calmare gli animi della popolazione inferocita, ma abbia preferito condurli verso linterno della Slovenia per eseguire la sentenza o a Lubiana per essere riprocessati regolarmente. Nessuno per in grado di confermare come effettivamente si siano svolti i fatti. Quel che certo che rimangono fondati dubbi che la foiba di Basovizza contenga effettivamente quel gran numero di cadaveri che si vorrebbe attribuire ad altrettante uccisioni sommarie, mentre al contrario certo che i campi di concentramento jugoslavi in quegli stessi giorni si popolarono di internati italiani, molti dei quali non fecero pi ritorno. Non ci si stupisca, quindi, se a qualcuno potr sembrare paradossale che proprio Basovizza, una foiba che in realt non lo e che costituisce il caso pi emblematico di ambiguit con cui viene affrontato largomento prestandosi alle pi fantasiose interpretazioni, sia diventata il simbolo del martirio degli infoibati e come tale dal 1992 monumento nazionale. Se non si riaprir quel buco per vedere cosa effettivamente contenga, esiste la seria possibilit che in tutti questi anni si siano portati fiori solo su un mucchio di immondizia.

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NOTE DELLAUTORE:
Il presente lavoro viene pubblicato esclusivamente per finalit divulgative al fine di mantenere viva nelle nuove generazioni la memoria delle atrocit compiute ne passato ed in nessun caso potr mai essere utilizzato a scopi commerciali. Tulle le informazioni contenute in questo articolo sono il frutto di una ricerca personale condotta confrontando tesi e testimonianze contrapposte desunte dalle principali pubblicazioni sullargomento, dai numerosi articoli circolanti sul web e dalla documentazione raccolta in occasione delle visite effettuate sul posto nel corso del 2006. Ogni considerazione e commento in merito a fatti esaminati sono da ritenersi strettamente personali e non riconducibili a nessuna delle fonti utilizzate. Per la ricostruzione storica degli antefatti si fatto ricorso ai principali testi sulloccupazione italiana e tedesca in Jugoslavia reperibili in commercio o nelle biblioteche, nonch ai numerosi articoli disponibili sul web. Tutte le immagini e le fotografie storiche provengono dal pagine web facilmente individuabili tramite i principali motori di ricerca. Le fotografie pi recenti provengono dal mio archivio personale. Qualora i proprietari detentori dei diritti delle fotografie utilizzate ritengano che esse debbano essere tolte o che si debba aggiungere una dettagliata citazione della fonte da cui sono tratte, sono pregati di contattarmi affinch possa celermente provvedere in merito.

AUTORE: FRANCO BORGIS - mail: francoborgis@tiscali.it

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