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Mi chiamo Mark. Sei sicuro di voler conoscere la mia storia?

Ti avverto che è quella che possono raccontarti molti avventurieri qui in locanda, con poche modifiche, anche se,
almeno nel mio caso, molto importanti. Ti ho incuriosito? Diciamo solo che non sto facendo quello che tutti si
sarebbero aspettati facessi, visti i miei esordi.
D’accordo, visto che mi hai offerto questa ottima birra nanica mi sento in dovere di allietarti questa serata gelida
almeno con il racconto della mia gioventù
Sono nato ad Asbram ventiquattro anni or sono, in una soleggiata mattina di tarda primavera, da una famiglia di
guardiacaccia. Tutti nella mia famiglia lo erano o lo erano stati: il nostro nome, nella zona, era subito associato ad
esplorazioni nei boschi e a cacciate di goblin fino alle pendici dei Colli Lontani.
Fin da piccolo mio padre Railek e mio fratello maggiore Bryor cominciarono a portarmi con loro nei boschi intorno
casa per insegnarmi a muovermi in quegli ambienti così selvaggi ma allo stesso tempo tanto affascinanti. Ed io adoravo
andare con loro.
Già all’età di cinque anni riconoscevo molte piante delle nostre terre, le loro proprietà e sapevo come utilizzarle…
Ero anche più abile degli altri miei coetanei nel tiro con l’arco. Ricorderò sempre la prima quaglia che cacciai, e la gioia
che mi diede il colpirla al primo tiro. Se consideriamo che ero anche abbastanza robusto, sicuramente sarete d’accordo
con me nel ritenere che il mio futuro nella società di Asbram era già segnato. Un altro eccellente guardiacaccia della
famiglia Dunlea li avrebbe protetti e difesi negli anni a venire.
Ma come vedete dai miei abiti qualcosa nel mio futuro avrebbe stravolto le mie aspirazioni.
Accadde tutto quando avevo dodici anni.
In paese era arrivata una nuova carovana da Iriaebar diretta verso Berdusk e poi, chissà, Baldur’s Gate o addirittura la
lontana Waterdeep.
Mio padre e mio fratello erano riusciti ad uccidere un paio di cinghiali che da qualche settimana stavano devastando le
coltivazioni dei contadini nostri vicini, e visto il numero di mercanti in città, volevano andare a vendere le carni dei due
ungulati… Come dice? Si, ungulati vuol dire cinghiali… Dove ero rimasto? Ah, già, stavo dicendo che volevano vender
le carni delle due bestie – veramente enormi, lo giuro – e con l’occasione comprare quel po’ di cose che nella vita di
campagna potevano esserci utili.
Giunti al villaggio gli altri due si misero subito in contrattazione con il locandiere, mentre io andai a salutare i miei
amici e a raccontar loro l’epica (allora mi sembrava tale..) lotta che mio padre e mio fratello avevano ingaggiatocon i
due animali.
Poco più in là sedeva un nano con una folta barba nera, una tunica piuttosto vistosa e delle strane borse appese ai
fianchi, che mi ascoltava e sorrideva beffardo. Avevo già sentito parlare di maghi e stregoni, ma era la prima volta, vista
la mia vita nei boschi, che ne vedevo uno dal vivo.
Appena Tykas, questo era il suo nome, si fu allontanato per andare dall’erborista, io mi informai subito dai miei amici
su chi fosse e se fossero vere tutte le storie che si sentivano raccontare su di loro. Morivo dalla voglia di vedere i loro
prodigi: parole che al solo pronunciarle facevano tremare la terra, esplosioni di luci e colori, arti subdole che piegavano
la volontà dei loro avversari….
Ma i miei amici non seppero dirmi nulla, perché il mago, oltre a stare in locanda o a recarsi di tanto in tanto
dall’erborista non aveva mai fatto niente di particolare, eccetto che star spesso alzato la notte fino quasi all’alba. Anzi,
questa era forse l’unica cosa strana che faceva, e dalla finestra, seppur coperta da spesse tende di panno, filtravano in
continuazione bagliori multicolori che più di una volta avevano spaventato le guardie, e avevano dato al mago una
nomea di iattore. Eh?… Portaiella, si!
Io fui subito molto incuriosito dalla storia, e non valutando i pericoli della cosa, decisi impulsivamente che avrei
scoperto il mistero delle luci.
Comunicai la mia intenzione agli altri ragazzi e mi diressi fischiettando alle stalle della locanda. Lì salutai lo stalliere, il
figlio del locandiere, che già allora stava sviluppando quella pancia tonda che ancora adesso lo contraddistingue, e,
facendo finta di interessarmi ai cavalli, riuscii a sgattaiolare nel retro della locanda.
Arrivare, nascosto, dall’altro lato della cucina fu quasi altrettanto facile, visto che, tutte intente come erano a cucinare,
le locandiere non avevano molto tempo per guardarsi in giro. Salire le scale fu invece molto più complesso. Nella sala
principale, a trattare con l’oste, c’erano infatti mio padre e mio fratello, e più di una volta credetti di essere stato
scoperto mentre salivo lentamente i gradini più silenziosamente che potevo.
Quando giunsi finalmente al piano superiore il mio cuore batteva così forte che credevo mi sarebbe uscito dal petto.
Arrivai alla porta in fondo al corridoio, quella che doveva essere la porta della stanza del mago, e provai ad entrare, ma
prevedibilmente era chiusa. Mi misi quindi a cercare di scassinare il lucchetto e, grazie ad un piccolo stiletto (non
avrebbe ucciso nemmeno un coniglio) che mi aveva regalato mio fratello qualche anno prima, riuscii nel mio intento
dopo qualche minuto.
Appena il lucchetto scattò vidi la prima magia di tutta la mia vita: un getto di fiamme silenziose eruppe dal nulla e
investì tutto il corridoio, mancandomi solo perché ero ancora un bambino e mi ero accucciato per stare più comodo. In
compenso avevo i capelli bruciati sul lato destro e quel lato del volto tutto arrossato dal gran calore.
Entrai rapidamente nella stanza ancora spaventato e richiusi la porta dietro di me pregando che nessuno avesse visto il
bagliore dell’incantesimo. Appena riuscii a rifocalizzare le idee diedi un’occhiata intorno, e rimasi molto male nel
constatare che a prima vista nella stanza non vi era nulla di insolito.
Nulla eccetto una scatola riccamente intarsiata in avorio appoggiata sulla cassettiera.
Mi avvicinai con una cautela quasi comica, memore della trappola alla quale ero appena sopravvissuto, e la aprii
lentamente dopo averla coperta con un lenzuolo, per evitare che aghi o altre trappole potessero ferirmi. Quanto ero
sciocco allora… Come se un semplice lenzuolo avrebbe potuto salvarmi da un’altra eventuale trappola…
Ebbene non accadde niente, lo scrignetto si aprì silenziosamente rivelando al suo interno una piccola fiala contenente un
liquido multicolore che ruotava ed emetteva una flebile luce.
In quel momento sentii confusione venire dal piano inferiore e passi rapidi che salivano le scale.
Con una decisione tanto improvvisa quanto sciocca stappai la fiala e inghiottii d’un fiato tutto quanto il suo contenuto, e
cercai di correre verso la finestra.
Cercai, perché non vi riuscii.
I miei piedi si rifiutarono di muoversi e tutto il mondo cominciò a girare vorticosamente.
La mia testa sembrò avvampare e sentivo come una fiamma che consumava tutto il mio corpo.
L’ultima cosa che vidi prima di perdere conoscenza fu il mago che mi afferrava prima che cadessi in terra e mio padre e
Bryor che entravano correndo nella stanza.
Rimasi incosciente per più di due settimane, sospeso fra la vita e la morte, e quando riaprii gli occhi vidi mia madre, il
mago e un chierico del villaggio che subito mi si fecero intorno.
Subito mia madre emise un grido ed il chierico arretrò di un passo. L’unico a mantenersi calmo fu Tykas, che mi afferrò
per le spalle e mi scrutò a lungo.
“Sei stato molto sciocco” mi disse “La pozione era ancora incompleta e solo il caso ha voluto che tu sopravvivessi ai
suoi effetti”.
Il giorno dopo potei finalmente alzarmi e quando mi guardai nello specchio e vidi i miei occhi, gridai. Non erano più
quelli di sempre ma erano divenuti completamente neri, di un nero così profondo che mettevano paura, ed avevano uno
strano bagliore bluastro intorno.
Ma non era tutto qui. Inizialmente diedi la colpa allo sfinimento che aveva dovuto sopportare il mio corpo, ma dopo una
settimana, volendo aiutare mio fratello nello spaccare la legna, mi resi conto di avere meno forza del solito, ed anche la
mia destrezza era diminuita di molto.
Più tardi parlando con Tykas, e sottoponendomi a strane prove di intelligenza sotto la sua supervisione, venni a
conoscenza dei reali effetti del liquido che avevo bevuto: aveva diminuito le mie abilità fisiche per affinarmi invece
quelle intellettive, soprattutto la mia capacità di raziocinio.
Quella sera stessa il mago parlò con i miei genitori e si offrì di portarmi con lui a Baldur’s Gate, nella sua casa, per
seguire tutti gli effetti che avrebbero ancora potuto sorgere dopo l’incidente, e, aggiunse guardandomi torvo, per farmi
lavorare come servo nella sua casa a parziale risarcimento del danno che gli avevo procurato.
I miei genitori accettarono a malincuore l’offerta, capendo che non mi sarei mai del tutto ripreso dall’ingestione del
liquido multicolore, e sperando nel profondo del loro cuore che sotto la guida del potente mago forse sarei riuscito nella
mia vita ad essere qualcosa di più di un semplice guardiacaccia.
La mattina dopo presi le mie poche cose che Ellae, mia madre, aveva raccolto, e dopo averli baciati ed abbracciati a
lungo tutti e tre, mi avviai con il mago verso Asbram, alla volta della mia nuova vita.
Gli anni ad Baldur’s Gate scorsero via molto rapidamente, ed anche se uscivo poco dalla casa di Tykas, ebbi modo di
conoscere molte persone che venivano spesso a parlare con lui e fui istruito dal mio maestro all’inizio nelle conoscenze
generali del nostro mondo, dalla geografia all’ingegneria, dalla natura allo studio delle gemme, poi, dopo qualche anno
cominciai anche ad essere istruito nelle arti arcane e nell’alchimia, con evidente orgoglio del mio mentore che
apprezzava i miei progressi.
Il resto , come dire, è storia.
Dopo aver terminato il mio apprendistato presso Tykas sono tornato a trovare i miei genitori e sono rimasto due mesi da
loro, ma ormai la vita di un tempo non faceva più per me, e così ho deciso, come vedi di darmi all’avventura. Ed eccomi
qui con i miei tre nuovi compagni.
Bhe, domani dobbiamo ripartire per il nostro viaggio, quindi mi perdonerai se ti lascio e vado a riposare un po’.
Buona notte e grazie per la birra.

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