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Tom Clancy & Steve Pieczenik

Net Force
WarGame Mortale
Net Force: The DeadEadliest Game © 1999

ISSN 1120-4982

Prologo

Washington, D.C., marzo 2025


Era la tipica stanza senza finestre di uno qualsiasi delle migliaia di
moderni palazzi per uffici, in cui da quando il mondo è diventato
assolutamente virtuale qualsiasi parete può diventare una finestra, a
piacimento di chi vi abita. Sembrava però che le persone presenti in
quella stanza particolare non fossero disposte a indulgere anche
all'illusione di una vista sul mondo; o forse quello che non apprezzavano
era l'implicazione fondamentale di una finestra, cioè la possibilità di
essere visti dall'esterno, oltre che di vedere. Le pareti erano cieche e
spoglie, anche se brillavano di un bianco morbido, gettando una luce
fredda e omogenea sul grande tavolo nero lucido al centro della stanza
e sui cinque uomini seduti a una delle sue estremità.
Sembravano in divisa. Magari un risvolto o una cravatta erano più
stretti o più larghi, ma solo quei piccoli indizi sulla loro età o sulle loro
preferenze nel campo della moda li differenziavano l'uno dall'altro.
Per il resto, le cravatte erano tutte di toni dimessi, le camicie erano
bianche o di colori tenui a tinta unita. Sotto quasi tutti i punti di vista
erano persone prive di aspetti degni di nota e indossavano quella loro
normalità come un travestimento.
Era l'una.

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"Allora quando sarà pronto?" disse quello seduto al centro del
gruppo.
"È già pronto", disse quello che si trovava più lontano da lui nella
parte a sinistra del tavolo, un uomo di aspetto giovanile con i capelli color
ferro e occhi grigio metallico. "I controlli sono stati installati diciotto mesi
fa, hanno consolidato le loro posizioni e si sono preparati per passare
alla modalità di massimo intervento."
"E nessuno ha avuto sospetti?"
"Nessuno. Non abbiamo avuto alcuna tolleranza per le fughe di
notizie... e anche se ce n e fossero state non avrebbero costituito un
grosso problema. L'ambiente è così intrinsecamente caotico che si
potrebbe lasciar cadere una bomba nucleare tattica e ci sarebbe un sacco
di gente che si strappa i capelli e recrimina, ma non ci sarebbe un'analisi
di qualche utilità." L'uomo dall'aspetto giovanile fece una risata
sprezzante. "Non c'è più nessuno interessato all'analisi, comunque. Il
contesto è tutto rivolto all'immediatezza delle sensazioni e
all'esperienza'. Anche quando il programma partirà, nessuno avrà la
minima idea di quello che sta succedendo finché non sarà tutto finito, e
allora sarà troppo tardi."
L'uomo al centro si rivolse a uno dei due alla sua destra, un uomo più
vecchio con la faccia profondamente segnata dalle rughe e capelli biondi
ispidi ormai tendenti al bianco. "E la gente a Ecs? È sistemata?"
L'uomo con i capelli brizzolati annuì. "Hanno raggiunto il punto di
massimo risultato economico parecchi mesi fa. Tutte le proiezioni sono
state conformi agli esiti nel mondo reale... se 'reale' è la parola giusta.
Possiamo sollevare il mondo, perfetto. La leva è pronta. Tutto quello di
cui abbiamo bisogno è scegliere il posto a cui appoggiarci."
L'uomo al centro annuì. "Va bene. Le vostre due sezioni dovranno
lavorare a strettissimo contatto su questo punto, come avete già fatto in
passato. Fate attenzione a scegliere il 'punto' giusto... e quando
cominciate a fare forza, non risparmiatevi. Voglio che tutto sia buttato
all'aria. Un sacco di gente sta guardando questa dimostrazione e si
aspettano di vedere qualcosa di spettacolare per tutti i fondi che hanno
investito in questo affare. Scusatemi. Volevo dire 'investito
lateralmente'", gli altri sorrisero, "per ottenere i migliori risultati possibili.
Dovete essere assolutamente sicuri che la posizione finale corrisponda ai

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modelli. Non voglio che poi qualcuno mi venga a raccontare di 'risultati
ambigui'."
I due a cui si era rivolto annuirono.
"Benissimo", disse l'uomo al centro. "Il pranzo con quelli di
Tokagawa è all'una e mezza. Non arrivate in ritardo. Vogliamo fare una
presentazione unificata, e sapete quanto sia ligio alle buone maniere
quel miserabile vecchio nanerottolo."
"Se funzionerà", disse uno degli uomini a cui non si era mai rivolto,
"non dovremo preoccuparci più delle buone maniere. Sarà lui quello che
dovrà guardarsi alle spalle."
L'uomo al centro si volse a guardarlo: un movimento lento, deliberato,
di rotazione della testa, come un meccanismo di puntamento che ruota
sulle sue sospensioni cardaniche e si fissa sul bersaglio.
"Se...?" disse.
L'altro impallidì leggermente e abbassò lo sguardo sul tavolo.
L'uomo al centro mantenne fissa la propria espressione per qualche
secondo ancora, poi si alzò. Gli altri lo imitarono. "L'auto sarà qui all'una
e cinque", disse. "Andiamo avanti."
L'uomo che era impallidito fu il primo a uscire, seguito subito
dall'unico che non aveva parlato. Il giovane dai capelli grigio metallico
lanciò un'occhiata all'uomo al centro, poi seguì gli altri. La porta si
chiuse.
Allora l'uomo al centro ridacchiò sottovoce. "Una bomba nucleare,
eh? Potrebbe anche essere divertente."
L'uomo con i capelli brizzolati assunse un'espressione leggermente
sardonica e si alzò per raggiungere gli altri. "Beh", disse, "francamente,
non so se me ne importerebbe. Probabilmente penserebbero che sia
un evento magico..."

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Guado di Artel Talairn.


Regno Virtuale di Sarxos: tredicesimo giorno del mese verde.
Anno del Drago-sotto-la-pioggia.
Quel posto era talmente maleodorante che sembrava di trovarsi
vicino a un impianto di trattamento dei liquami che avesse subito un
guasto. Fu ciò che colpì di più Shel mentre scostava l'orlo della tenda
e guardava all'esterno, nella luce del tramonto che sfumava.
Gettò uno sguardo stanco allo spettacolo, illuminato da una luce
color ruggine e striato d'ombre, dei boschi di pini, dei campi
digradanti e delle rive del fiume che erano diventati, intorno a
mezzogiorno, un campo di battaglia. Poi, per la magia di un istante, era
stato esattamente quello che un luogo del genere sarebbe stato nei
sogni più belli: gli eserciti schierati a ranghi serrati, le lance che
luccicavano, le insegne che sventolavano brillanti nel vento vivace e
sotto il sole e le trombe d'ottone che squillavano la propria sfida da
una parte e dall'altra del fiume che era stato il confine fra i due
schieramenti, il suo e quello di Delmond. Delmond era sceso
marciando lungo la strada che portava al fiume, con i suoi duemila
cavalieri e tremila fanti e aveva inviato l'araldo Azure Alaunt
sull'acqua con la solita aria sprezzante, o meglio con lo spregio che era
diventato tipico di Delmond man mano che si apriva la strada fra i
principati minori di Sarxos. Non c'era stata nessuna delle cortesie che
di solito un comandante offriva all'avversario; nessuna offerta di
combattimento in singolar tenzone per risparmiare agli eserciti lo
spargimento di sangue che doveva seguire; neanche il suggerimento,
di buon senso e pragmatismo, che gli ufficiali dei due eserciti si
incontrassero per valutare la possibilità che una delle due parti
acquistasse i contratti dei mercenari dell'altra, una mossa che
spesso poteva risparmiare una battaglia, dal momento che uno dei due
eserciti avrebbe in questo modo raddoppiato le proprie forze a spese
dell'altro, che le avrebbe dimezzate. No, Delmond voleva
conquistare il piccolo territorio di Talairn, che era di Shel, dall'altra

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parte dell'Artel; e più ancora, cercava lo scontro a tutti i costi, voleva
l'odore del sangue nel pomeriggio e gli squilli delle trombe.
Così Shel aveva deciso di accontentarlo.
Non aveva senso far finta che non fosse stato sufficiente. Le tattiche
di Delmond erano state davvero insolenti: nessun esploratore, nessun
tentativo di effettuare una ricognizione o di preparare il campo di
battaglia in anticipo. Era semplicemente sceso direttamente dalla Via
del Nord verso il fiume Artel come se non ci fosse assolutamente nulla
da temere e, dopo quella breve pausa per esibire il suo sprezzo
formale alle truppe schierate sull'altra riva, Delmond aveva guadato
l'Artel alla testa delle sue truppe, puntando direttamente alla dolce
salita erbosa sull'altra riva del fiume, come se non ci fosse
assolutamente nulla di cui aver paura nell'attaccare dal basso, con
una cavalleria già schierata.
Delmond era diretto a Minsar, la piccola città a circa due miglia
sulla strada del guado dell'Artel. Evidentemente aveva deciso che la
forza combinata di cinquecento cavalieri e duemila fanti che Shel
aveva posizionato fra il fiume e la strada per Minsar era un ostacolo che
poteva spazzar via facilmente; tanto più che, a giudicare dalla
mancanza delle insegne di comando sul grande stendardo delle forze di
Talairn, Shel evidentemente non era con loro.
Ma l'Artel era un vecchio fiume, che si piegava in meandri e anse
semicircolari fra le morbide colline rivestite di pini fra le quali
scorreva. Quelle colline celavano molti segreti, ben noti a chi era
abituato a percorrerle. Un vasto numero di sentierini e strade
nascoste, percorsi dei cacciatori e piste della selvaggina, che si
intersecavano più e più volte fra i meandri del fiume... e i percorsi e i
sentieri erano tutti ben nascosti fra i rami fitti dei pini e degli abeti
torreggianti. Il terreno sotto quei grandi alberi antichi era rivestito da
una fitta coltre di vecchi aghi secchi che avrebbero attutito il suono
di chiunque si spostasse là sotto.
Era stato così che, quando le forze di Delmond si erano trovate a
metà del guado (la cavalleria davanti, i fanti a seguire, con la
cavalleria che cominciava quasi per caso ad affrontare la cavalleria di
Talairn disposta più in alto), erano state colte del tutto di sorpresa da
Shel e da ottocento cavalieri scelti che erano piombati giù dalle colline

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circostanti da entrambe le rive del fiume e avevano attaccato i cavalieri
e i fanti di Delmond ai fianchi.
La cavalleria di Delmond, bloccata sulla riva del fiume dalla parte
di Minsar o ancora impegnata a tentare di uscire dall'acqua, era
stata spinta fra il fango, le canne e i falaschi dalle due parti del
guado e lì era stata massacrata dai fanti di Shel, armati di alabarde. I
soldati a piedi di Delmond, come era prevedibile e sensato, avevano
cercato di scampare all'agguato, ma non c'erano posti in cui
avrebbero potuto rifugiarsi. La cavalleria di Talairn, con Shel alla testa
di uno dei quattro gruppi che erano spuntati dal riparo dei pini, li
aveva circondati e aveva cominciato ad abbatterli come un raccolto di
sangue. Nel giro di poco tempo, la battaglia era terminata.
Messa così, sembrava un'impresa semplice, ma niente era stato
facile. Un resoconto veritiero della battaglia avrebbe dovuto ricordare
anche le ore e ore, a partire da prima dell'alba, che Shel aveva passato
a sistemare le sue truppe a cavallo sulle colline, tutti gli spostamenti
effettuati in un silenzio totale, mentre pregava che la nebbia che
copriva il fiume non si levasse finché tutti i suoi uomini non fossero
al riparo. Per non parlare del freddo micidiale sotto i pini, nelle
prime ore del giorno, con il fiato che si condensava in nuvolette di
fumo e i denti che battevano, seguito, nel volgere di un paio d'ore
soltanto, dal calore soffocante di una giornata primaverile
insolitamente calda, da togliere il respiro; i morsi degli insetti, il
prurito pazzesco degli aghi di pino sotto la tunica di Shel e sotto la
cotta mentre strisciava da postazione a postazione, per controllare
che i suoi fossero dove dovevano essere, rincuorandoli qui e là con
qualche parola di incoraggiamento ben mirata, quando in realtà
sarebbe stato lui ad aver bisogno di essere rincuorato, ma non osava
farlo trasparire.
La descrizione avrebbe dovuto includere la fitta di paura allo stato
puro che lo aveva attraversato quando aveva sentito la sfida delle
trombe d'ottone di Delmond che scendeva dalla strada sulla riva
lontana del fiume, mentre si avvicinava al guado. L'attesa, mista al
timore estremo che almeno a quel punto Delmond potesse pensare
di inviare qualcuno in ricognizione fra i pini, ma poi era arrivato il
sollievo, accompagnato da un'ira irrefrenabile, quando realizzò
che Delmond non aveva fatto nulla di simile. Grazie a Rod per questi

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piccoli favori, pensò Shel e, un secondo dopo, furioso: Per che razza di
generale mi ha preso? Farò vedere a quel figlio di...
E poi un ultimo, tremendo brivido di paura, quando le forze di
Delmond stavano guadando il fiume, continuando a suonare a
perdifiato le loro trombe. Che cosa pensano che sia, una parata del
Memorial Day?... Vedremo chi avrà bisogno di una commemorazione, fra
un paio d'ore! Frattanto l'esercito avversario era arrivato fino all'altro
lato del guado, di fronte alle sue truppe in attesa: le sue truppe,
guidate dalla giovane ed entusiasta Alla, suo luogotenente, che non
aveva ricevuto altro ordine se non "Non farli passare! Resisti!".
Avevano resistito. Avevano dovuto stare lì fermi senza tregua e
combattere da soli, abbastanza a lungo da garantire che tutta la
cavalleria di Delmond abboccasse all'amo e attraversasse il fiume per
arrivare al terreno in salita, a loro sfavorevole. Se qualcuno fosse
rimasto sull'altra riva del fiume, tutta la tattica di Shell, pianificata
con cura, sarebbe andata direttamente al diavolo. Ma la psicologia di
combattimento del suo avversario a quel punto era fin troppo evidente.
Qualche vittoria contro avversari negligenti o sfortunati aveva
convinto Delmond della sua abilità come valido stratega, anche se
Shel sapeva che Delmond non aveva grandi capacità in nessuna delle
due arti. Tutto quello che serviva allora era un'apertura ovvia, per una
vittoria apparentemente facile, che inducesse Delmond a compiere la
mossa apparentemente vincente. Delmond l'aveva bevuta... e anche
allora Shel aveva dovuto soffrire parecchi minuti di tormento e di
incertezza, mentre la sua piccola forza sull'altra riva del fiume
manteneva le posizioni e sosteneva la prima carica di Delmond.
Allora, insieme ai suoi cavalieri scelti, allora Shel aveva potuto salire
in sella e dare fiato al suo corno per segnalare la carica e aveva
condotto i suoi cavalieri all'attacco dai fianchi delle colline in un
frastuono di zoccoli e pietre smosse, prendendo la fanteria di Delmond
allo scoperto da sinistra e da destra e la sua cavalleria divisa alle
spalle e sui due fianchi. L'urlo "Per Shel! Per Shel!" era salito dalle
sue truppe sulla riva del fiume di Minsar, la disperazione trasformata in
rabbia e trionfo in un solo attimo, mentre le forze del nemico
avevano cominciato ad aprirsi la strada verso di lui, e lui con i suoi
cavalieri verso di loro.

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Il peggio era effettivamente passato circa mezz'ora dopo, anche
se la pulizia, come al solito, aveva richiesto fino al tramonto... non
che alla fine ci fosse qualcosa di molto più pulito. Tutti i sopravvissuti
trovati erano stati raggruppati e disarmati. I combattenti feriti erano stati
raccolti e condotti da lui; quelli che potevano essere riscattati, quelli
che era stato possibile identificare dopo che avevano tentato di
rendersi irriconoscibili, erano stati separati dagli altri; poi erano state
raccolte le loro garanzie ed erano stati lasciati in libertà. Shel aveva
dovuto sovrintendere a tutto, sempre più esausto con il passare del
tempo.
E ora era tutto finito, tranne la parte più importante, il motivo per
cui tutta la battaglia era stata combattuta: trattare con Delmond. A
dire il vero Shel non ci aveva veramente pensato in anticipo, ed era
ancora sorpreso che Delmond fosse cascato nella sua trappola. Ma in
fondo anche gli svizzeri si erano stupiti quando gli austriaci erano caduti
a Morgarten per una variazione sullo stesso tema. Delmond non era
mai stato un grande studioso, perciò era condannato a ripetere i
madornali errori militari dei secoli passati. Shel, per parte sua, pensava
che Delmond se l'era proprio meritata.
All'esterno, le trombe stavano suonando una versione stanca del
recheat, con cui segnalavano che tutti i feriti erano stati raccolti e che
a quel punto i civili, i mariti e le mogli dei caduti che avevano seguito
i due eserciti, potevano reclamare i corpi dei loro parenti. Shel diede
un ultimo sguardo al campo di battaglia, che si andava sempre più
immergendo in un'ombra rarefatta tinta di rosa, mentre la nebbia
saliva dall'Artel e copriva il terreno, nascondendo pietosamente quello
che ancora vi giaceva. Dopo un momento lasciò ricadere l'orlo della
tenda e andò a sedersi sulla sedia da campo vicino alla sua tavola da
carteggio, con un profondo sospiro che esprimeva tutta la stanchezza
della lunga giornata.
Quando aveva combattuto la sua prima battaglia a Sarxos, qualche
anno prima, Shel portava con sé le immagini consuete di come poteva
presentarsi il campo dopo una grande battaglia: il suo stendardo che
ondeggiava coraggiosamente sopra il campo distrutto, e quello del
nemico calpestato nella polvere. Ora, con un po' più di esperienza
alle spalle, molte battaglie perse e vinte, sapeva che la polvere preziosa
su uno di quei campi di battaglia valeva davvero poco. Quella mattina,

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nella luce del sole, la leggera salita che partiva dal guado era stata una
grande distesa di erba verde, pascolo per le greggi di pecore, tutta
punteggiata di margherite bianche e di fiori gialli. Ora, dopo essere
stata calpestata da ventimila zoccoli e diecimila piedi, era ridotta a
fango. Fango rosso, che si attaccava agli stivali con orribile tenacia. Lo
stendardo del suo nemico, ben calpestato, era solo un altro pezzo di
tessuto madido, indistinguibile dalla tenda crollata di qualsiasi
soldato, o dalla sopraveste di un nobilotto, abbandonata dal
proprietario per non essere catturato e trattenuto in attesa di un
pingue riscatto.
E il mattino dopo, l'odore del campo devastato faceva sentire Shel
sopraffatto da tanta forza distruttiva. Non stupiva che i mariti, le mogli
e gli altri parenti dei caduti si presentassero sempre non appena la
battaglia fosse finita, o comunque molto prima dell'alba, a chiedere il
permesso di cercare i corpi dei propri cari. Sapeva, per dolorosa
esperienza, quale olezzo sarebbe aleggiato in quel luogo non appena il
sole fosse sorto e avesse cominciato a riscaldare ogni angolo della
terra.
Shell aveva intenzione di trovarsi ben lontano da lì in quel
momento. Era già fin troppo duro bandire l'odore nauseabondo del
campo di battaglia, di intestini calpestati o di corpi sventrati, risultato
del primo incontro con la guerra di molti giovani e coraggiosi
soldati. La guerra è un inferno, diceva un vecchio adagio. Ma Shel si
sentiva più incline a sostituire un'altra parola di cinque lettere al posto
di "inferno". Certo avrebbe preferito il puzzo dello zolfo all'odore
prevalente in quel momento.
"È solo un gioco", si disse... e poi fece una smorfia. Il creatore del
gioco, un artigiano attento e preciso, aveva eseguito il suo lavoro
con troppo zelo perché quelle blande rassicurazioni potessero fare la
differenza. Non era permessa alcuna azione per sfuggirne le
conseguenze. L'aria avrebbe dovuto avere la dolcezza della sera
incombente, ma non era così. Poi, ovviamente, ci sarebbe stata una
grande celebrazione della vittoria di Shel, quando fosse tornato a
Minsar, un vasto raduno per festeggiare gli eroi che avevano
contribuito al successo; le bandiere avrebbero sventolato, le trombe
avrebbero suonato e i bardi avrebbero cantato le loro lodi... ma non
qui. Quel luogo non avrebbe potuto essere ripulito da nessuna forza

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eccetto che quella della Natura, che pure avrebbe avuto bisogno di
qualche mese. Anche dopo che l'erba fosse tornata verde e le
margherite fossero fiorite nuovamente, le pecore che pascolavano in
quei prati avrebbero dovuto passare fra le spade, le punte delle frecce
e le ossa macchiate dei teschi per parecchi anni.
Per lo meno l'erba sarebbe stata di ottima qualità e lussureggiante,
nella tarda estate. Il sangue è un fertilizzante straordinario...
L'orlo della tenda si alzò. Una delle guardie di Shel sbirciò
all'interno, un vecchio compagno che si chiamava Talch. Shel alzò lo
sguardo su di lui.
"Quando volete incontrarlo, signore?" gli chiese Talch. Era grosso,
un cavaliere, ancora tutto inzaccherato di fango e sangue e Rod sa
cos'altro. Puzzava, ma anche Shel non era certo profumato, e così tutti
gli altri per un miglio intorno.
"Fra venti minuti o giù di lì", disse Shel, tendendosi ad afferrare,
dall'altra parte del tavolo, una caraffa di bibita al sapore di miele. "Ho
bisogno di fare qualcosa per gli zuccheri del mio sangue, prima. Ha
detto qualcosa?"
"Neanche una parola."
Shel alzò le sopracciglia, incoraggiato. Delmond era famoso per la
sua tendenza a fare lo spaccone anche quando aveva perso, purché
pensasse di avere una possibilità di cavarsela. "Bene. Hai mangiato
qualcosa?"
"Non ancora. Nick è stato a caccia. Ha preso un cervo e adesso lo
stanno macellando. Ma nessuno a dire il vero ha molta voglia di
mangiare qui..."
"E perché dovrebbero? Non lo faremo. Spedisci qualcuno a Minsar
per accendere i fuochi e cucinare al di fuori delle mura. Ci
accamperemo là stanotte. È di ad Alla che la voglio a rapporto
immediatamente."
Talch annuì e lasciò ricadere l'orlo della tenda. Shel rimase a
fissarlo, chiedendosi, come faceva a volte, se Talch fosse un giocatore o
un costrutto, uno dei tanti personaggi "extra" contenuti nel gioco
stesso. Ce n'erano molti, perché la maggior parte dei giocatori
preferisce interpretare personaggi più interessanti rispetto ai soldati o
ai civili al seguito della truppa; ma non si può mai dire. Uno dei più
grandi generali dei ventidue anni di esecuzione di Sarxos, il maestro

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di cavalleria Alainde, aveva passato quasi due anni a ricoprire il ruolo
del lavandaio al servizio del granduca Erbin, prima di iniziare la sua
stupefacente ascesa nei ranghi dell'esercito. In ogni caso, nell'etichetta
di Sarxos, la domanda "Sei un giocatore?" non si formulava mai.
Rompeva l'incantesimo.
Se un giocatore sceglieva di rivelarsi era diverso, e a quel punto lo si
ringraziava per la fiducia. Ma a Sarxos c'erano decine di migliaia di
giocatori che preferivano restare nell'anonimato sia per il nome, sia
per la propria condizione sociale, individui che magari
sprofondavano nel Regno Virtuale per divertirsi una sera ogni tanto, o
che arrivavano tutte le sere, come faceva Shel, inseguendo qualcosa di
specifico, divertimento, eccitazione, avventura, vendetta, potere, o
semplicemente per fuggire dal mondo reale che talvolta diventava un
po' troppo opprimente.
Shel bevve un lungo sorso della sua bibita melata, si sedette e si mise
a riflettere, distraendosi un istante per sgranchirsi e grattarsi. Altri
aghi di pino nella tunica... ci sarebbero voluti giorni, prima di riuscire
a liberarsene completamente. Avrebbe preferito svolgere il resto del
lavoro che lo attendeva quella sera al mattino, ma non c'era modo di
scoprire che genere di trucchi avrebbe potuto tentare di mettere in
atto Delmond, se gliene si fosse lasciato il tempo. Anche nella sua
posizione di forza, Shel non poteva ignorare la fama di viscido
ingannatore che Desmond si era guadagnato. Sua madre, Tarasp delle
Colline, era una principessa maga, notoriamente non allineata, che
cambiava posizione fra la Luce e il Buio senza preavviso. Da lei
Delmond aveva ereditato sia una piccola quantità di potere perché in
grado di cambiare forma, sia una pericolosa instabilità di
temperamento che lo rendeva capace di firmare un trattato di pace con
una mano, mentre teneva nascosto nell'altra il coltello per sventrarti.
Una volta aveva effettivamente tentato un assassinio di quel genere in
una tenda in cui avrebbe dovuto scendere a patti con qualcun altro che
lo aveva sconfitto in battaglia. Nel gioco c'era chi ammirava quel tipo
di tattiche, ma Shel non ne aveva molta stima e non aveva alcuna
intenzione di farsi imbrogliare proprio in quel momento.
Allo stesso tempo, Shel non era troppo affascinato dall'idea di
ucciderlo. Appoggiata al palo che sosteneva la tenda, senza fodero,
c'era la sua spada dalla lama ampia un palmo e mezzo: un'arma

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dall'aspetto molto semplice, in acciaio grigio con una sfumatura
leggermente azzurra. Aveva molti nomi, come del resto la maggior
parte delle spade di Sarxos, almeno quelle che valessero qualcosa. La
spada che la gente lì intorno chiamava Ululante aveva una pessima
reputazione, ed era famosa per la sua capacità di proteggere chi la
possedeva senza che questi dovesse effettivamente impugnarla. Pochi
avevano sentito l'urlo di Ululante ed erano sopravvissuti per
raccontarlo.
Shel inclinò il capo all'udire dei passi all'esterno accompagnati da
una serie di rimproveri e quindi da robuste imprecazioni, nella lingua
di Elstern.
"Talch?"
Una pausa, poi la sua guardia infilò la testa nella tenda. "Il ragazzo
sta diventando impaziente?", chiese Shel.
La guardia fece un sorrisetto sardonico: "Sembra che la sua dignità
sia stata ferita, perché non gli abbiamo assegnato una tenda
personale."
"Dovrebbe considerarsi fortunato perché la sua dignità è l'unica
cosa che gli sia stata ferita." "Penso che la maggior parte
dell'accampamento sarebbe d'accordo. Nel frattempo, signore, Alla
sta aspettando che lei sia pronto a cominciare."
"Dille di entrare."
"Subito, signore."
L'orlo della tenda ricadde, poi fu scostato nuovamente. Alla entrò, con
la maglia che tintinnava leggermente sulla sua lunga tunica di pelle di
cervo mentre si muoveva e il cuore di Shel ebbe un sobbalzo, come
gli capitava ormai da un po' di tempo quando la osservava dopo un
combattimento. Era per la struttura fisica una valkiria: grande,
robusta ma non troppo muscolosa, con i capelli di un biondo
splendente, il volto che poteva passare dall'amichevole al selvaggio nel
giro di pochi secondi... come le accadeva regolarmente sul campo di
battaglia. Era un'altra delle persone nei cui confronti Shel provava una
particolare curiosità, a Sarxos. Era reale da entrambi i lati
dell'interfaccia, o solo da questo? Non glielo avrebbe chiesto, ma, nel
caso di Alla, la reticenza di Shel aveva a che fare più con il suo
nervosismo che con le regole del gioco. Non gli avrebbe fatto piacere
scoprire che non c'era una Alla nel mondo reale, così come venire a

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conoscenza del fatto che ne esistesse una gli avrebbe immediatamente
sollevato qualche problema. E che cosa farai allora? Ver il momento,
lasciava perdere. Ma un giorno, pensò, un giorno troverò un modo per
affrontare l'argomento... molto gradualmente. E se vorrà dirmi qualcosa,
beh...
"Come ti senti?", le chiese Shel. "Hai visto il chirurgo?"
Lei si sedette, con un'espressione da cui si capiva che non ne vedeva
molto la necessità. "Sì... mi ha ricucito la gamba. Non c'è voluto
molto. Dice che sarà guarita per domani, mi ha curato con una di
quelle pozioni magiche a effetto prolungato. E tu? Ti sei tolto il tremito
dal tuo sistema nervoso?"
"Per favore", disse Shel. "Ci vorrà una settimana o anche di più. Odio
le battaglie."
Alla fece roteare gli occhi in modo espressivo. "Devi... ne hai fatte
così tante. Vuoi il resoconto adesso?"
"Sì."
"Dalla nostra parte: centonovantasei morti, trecentoquaranta feriti,
dodici dei quali in condizioni critiche. Dalla parte delle forze di
Delmond: duemilaquattordici morti, centosessanta e rotti feriti, di cui
quaranta in condizioni critiche."
Shel fischiò sottovoce. La notizia della spettacolarità di quel successo
si sarebbe diffusa e sarebbe servita a tener lontani per un po' alcuni
dei più affamati di territori e combattimenti fra gli abitanti del
Continente Meridionale di Sarxos. Molti avrebbero pensato
all'impiego di una strategia sofisticata. Molti più ancora avrebbero
pensato che fosse stato merito della magia... il che andava benissimo a
Shel. "Altri prigionieri?"
"Trenta soldati di fanteria non feriti. Pochi i nobili non feriti, circa
una decina. Quasi tutti gli altri sono rimasti feriti o sono caduti nel
combattimento. Gli scampati sembra siano fuggiti, in prevalenza
verso sud."
"Verso le sue città. Che cos'ha questa gente? Vuole finire in pasto
alla cavalleria?"
Alla scrollò le spalle. Non era particolarmente interessata alla
politica. Preferiva combattere e mangiare, anche se quel che faceva di
tutte le calorie ingerite era un mistero eterno per Shel, e un po' anche

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fonte di invidia. Se solo guardava un pasticcio di carne o una fetta di
cinghiale arrosto lui metteva su peso. "C'è altro?" chiese.
"Faresti bene a dare un'occhiata ai contenuti delle loro salmerie",
disse Alla, estraendo dalla tunica un pezzo di pergamena e
tendendoglielo.
Shel lo scorse e, nel leggere, rimase a bocca aperta. "Ma che... A che
cosa gli serviva tutta questa roba?"
"Sembra che dovesse esserci una grande celebrazione per la vittoria a
Minsar stanotte", disse Alla, stirandosi pigramente, anche se il suo
volto aveva quell'espressione ferina. "Vestì pregiate e cibi speciali,
l'esibizione di un ricco bottino per i vincitori e l'umiliazione rituale
per i perdenti... le solite cose. Cappio intorno al collo, mentre loro ci
scagliano addosso ossa di manzo e piedini di maiale."
Shel sbuffò. "Come se fosse probabile trovarne qualcuno in questo
paese di pecore."
"Già. Così, invece di un gran banchetto per la vittoria e di una
collettiva sbornia colossale, ideati per innervosire gli altri signori
locali, ora Delmond raccoglie i cocci e noi abbiamo le sue salmerie."
Shell annuì, benché stesse ancora leggendo incredulo il manifesto
di carico. "L'assoluta stupidità di portarsi appresso tutta questa roba...
Non posso credere che sia così ingenuo... deve avere in mente
qualcosa. Mi chiedo che cosa. Con chi ha trattato negli ultimi tempi?
Qualcuno a cui poteva far comodo dar intendere di essere stupido, o
dissennato?"
Alla sollevò le sopracciglia. "Noi?"
Shel la guardò. "Stai suggerendo che ci abbia ammannite questa
battaglia intenzionalmente? Che si sia infilato nella trappola di
proposito?"
"A lui non importa molto della vita dei suoi, se gli fa comodo",
rispose Alla. "Ma questa non sarebbe una novità."
"Hmm." Shel rimase immobile a riflettere. "Beh, vedremo. Se non
stava cercando di imbrogliare noi..."
Si allungò sulla schiena, domandandosi se qualcuno dei suoi
avversari recenti potesse nascondersi dietro le azioni di Delmond.
Chi ne avrebbe tratto vantaggio? Argath forse? No, lui no... di solito è
un po' più diretto. Elblai? No, lei si sta preparando a misurarsi con Argath,
da quel che ho sentito dire... un tentativo di minare l'Alleanza Tripartita.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 14 1999 - WarGame Mortale


Shel continuò a pensarci, lasciando vagare la mente sulle diverse
possibilità mentre i suoi occhi si spostavano sul tavolino delle carte,
dove giaceva un pezzo rotolante e fumante di pergamena. In quel
momento le alleanze in tutto Sarxos stavano cambiando, da quando il
Signore delle Tenebre aveva iniziato la nona uscita dell'anno dal suo
territorio chiuso fra le montagne, nel tentativo di conquista finale di
tutti i territori del Regno. Ogni volta che ci provava, i signori di Sarxos
si univano per ricacciarlo indietro, ma l'ultima alleanza era stata un po'
meno organizzata del solito, poiché aveva impiegato un po' troppo
tempo per costituirsi... e il Signore delle Tenebre aveva avviato il suo
giro di "iniziative diplomatiche" dopo la sconfitta molto prima del
solito. Come se pensasse che questa volta potesse effettivamente
vincere...
Era una situazione complicata, come quasi tutto a Sarxos. Ecco
perché quel gioco era così attraente. Nel frattempo, Shel avrebbe
dovuto trattare Delmond in modo tale da non trovarsi
immediatamente addosso i suoi nemici, in particolare sua madre, che
aveva un certo potere nel Regno, con molti legami potenzialmente
pericolosi. Doveva trattare Delmond in modo che sembrasse corretto,
magari addirittura mostrarlo sotto una buona luce.
"Penso che dovresti ucciderlo", disse Alla.
Shel le rivolse un sorrisetto di traverso. "Non si guadagnano
abbastanza punti", le rispose; ma non era la ragione vera, ed era certo
che Alla ne fosse consapevole. Lei fece nuovamente roteare gli occhi.
"Ti farà solo perdere tempo", gli disse.
"Chi vuole diventare un giorno il Signore di Tutto il Grande
Regno", disse Shel, "deve comportarsi correttamente anche all'inizio
del gioco, non solo alla fine. Diciamo che si tratta di fare pratica, va
bene? Qualche altra cosa che devo sapere a proposito del repulisti?"
Alla scosse la testa. "I quartiermastri vogliono sapere quando
trasformeremo tutta questa spazzatura in denaro. Le truppe stanno
diventando un po', beh, irrequiete essendo così vicino a tanto oro."
"Ero pronto a scommetterci. Ci occuperemo dei pagamenti
domattina a Minsar. Domani è giorno di mercato; i gioiellieri e i
commercianti di metalli preziosi di Vellathil saranno lì, felici di ritirare
questa roba. Di' alle truppe che il pagamento sarà rigorosamente a

Tom Clancy & Steve Pieczenik 15 1999 - WarGame Mortale


percentuale, e che cederò la mia parte, in modo che sia destinata
come contributo ai fondi per i funerali."
Alla inarcò le sopracciglia. "Hai preso un brutto colpo in testa, oggi,
capo?"
"No, voglio solo assicurarmi una forza di volontari su cui far conto
nel giro di qualche settimana. Nel frattempo, spilla qualche barile del
vino che ci mettono a disposizione le salmerie del nostro previdente
avversario e distribuiscilo fra le truppe. E libera le danzatrici. Dando
per scontato che vogliano essere libere."
"La maggior parte di loro sono già abbastanza 'libere'."
"Beh, fai solo sapere loro che sono libere di andare dove vogliono."
Shel sospirò. "Altro?"
Alla fece un cenno di diniego. "Va bene", disse Shel. "Talch?"
Costui infilò la testa nella tenda. "Signore?"
"Signore" significava che Delmond era lì fuori. "Fai entrare il
prigioniero", disse Shel.
Un attimo dopo Delmond entrò con aria arrogante nella tenda di
Shel. Gli avevano tolto l'armatura nera che era il suo elemento
distintivo, ma anche in calzamaglia e haqueton trapuntato rimaneva una
figura imponente: spalle larghe, muscoloso e tarchiato, il volto
momentaneamente deformato dall'ira. L'unico capo d'abbigliamento
che non gli era abituale era il collare di ferro chiuso attorno al collo,
metodo infallibile per mantenere nella forma attuale qualcuno che
poteva mutare aspetto.
Lo seguiva un uomo alto, bello ed esile, vestito con una cotta d'arme
decorata con un grande cane azzurro. Sia l'uomo che la cotta erano
scrupolosamente puliti, notò Shel, mentre l'araldo si affrettava a
spolverare la sedia vuota davanti al tavolo delle carte.
Delmond si sedette con un grugnito. L'araldo si alzò e recitò, con
un tono di voce più alto del dovuto: "Annuncio alle vostre Grazie la
presenza del Signore Delmond Lavirh della Nera Veste, Principe di
Elster e Signore Supremo di Chax".
Ambedue i titoli erano abbastanza importanti, ma nessuno era tale
che valesse la pena vantarsene con tanto fragore. Elster era un paese
così diviso per motivi ereditari da avere decine di principi, e Chax era
una regione di Sarxos piccola ma molto popolata nota soprattutto
per le foreste di betulle, i suoi vini rossi leggeri, la posizione di

Tom Clancy & Steve Pieczenik 16 1999 - WarGame Mortale


importanza strategica per la confluenza di due grandi fiumi, e il
continuo passaggio di mano in mano fra i giocatori principali almeno
una volta ogni due settimane. Delmond, però, era arrivato a dominare
Chax per caso... un fatto che divertiva seriamente alcuni dei giocatori
più assidui ed esperti di Sarxos. Da quando l'aveva conquistato (perché
il suo avversario aveva condotto malamente una battaglia) si era
pavoneggiato fra i Regni come se fosse di gran lunga più prestigioso di
quanto lo era realmente.
Era una reazione tipica dei giocatori, soprattutto di quelli alle prime
armi. Ogni tanto si assestavano e diventavano forze con cui bisognava
fare i conti. Più spesso, incorrevano, in campo diplomatico o in
battaglia, in momenti di declino spettacolari e almeno altrettanto
rapidi di quanto lo era stata la loro fortuna, dopodiché si bruciavano e
abbandonavano il gioco; oppure esaurivano a tal punto gli altri
giocatori che qualche volta si riunivano le forze più improbabili con il
dichiarato obiettivo di schiacciare ed eliminare il seccatore, in modo
pubblico e ostentato. Finora Delmond non aveva raggiunto quella
condizione, ma ci si stava avvicinando.
Shel guardò l'araldo, poi Alla, e Alla annunciò, senza alzare la
voce: "E qui c'è Shel Lookbehind di Talairn e Irdain, libero
condottiero di un popolo libero, che oggi vi ha sconfitti in battaglia.
Spetta a noi dettare le condizioni".
L'araldo, Azure Alaunt, era inorridito, come se qualcuno avesse
proposto una discussione sugli odori corporali. "Ascolterete ora le
parole del Signore Supremo di Chax..."
"Lui non dirà nulla", intervenne Alla, "finché il vincitore non avrà
parlato e precisato le condizioni per accettare la vostra resa."
Azure Alaunt si rizzò. "Prima il mio signore chiede che dimostriate
la dovuta cortesia a noi suoi soldati, ferocemente armati, dalla
grande forza, che abbiamo lottato con tragico esito nelle terribili
fatiche della guerra odierna."
"Scusami", disse Shel all'araldo. "Tu eri in mezzo alla battaglia,
oggi, Azure Alaunt? Non penso proprio, perché non hai l'aspetto di
tutti noi, e sicuramente non odori come tutti noi. Perciò puoi
tralasciare il 'noi'."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 17 1999 - WarGame Mortale


"Ehm. Ricordando che nessuno può resistere da solo contro le
grandi forze del Signore delle Tenebre, se non restiamo uniti,
saremo tutti..."
"Oh, per favore, non tirare in ballo Benjamin Franklin", disse Shel.
"Per quanto riguarda il resto, beh, in questo momento del Signore
delle Tenebre non mi importa nulla."
Delmond strabuzzò gli occhi. Aprì la bocca, come per dire
qualcosa, poi la richiuse. "E adesso veniamo al sodo", disse Shel.
"Non dovresti trovare così strano questo atteggiamento, dal
momento che hai venduto il tuo contratto con le Forze Nere e ti sei
messo in proprio non appena ne hai avuto la possibilità. Una decisione
incerta, ma non c'è bisogno che te lo dica io adesso, anche se tutti
hanno cercato di avvertirti a tempo debito. Anche tua madre. E adesso
te ne stai seduto qui sperando che grazie alla stupidità, voglio dire la
bontà, del mio cuore io sarò clemente e 'rispetterò le usanze della
guerra' salvando il tuo posteriore dal pasticcio in cui ti sei andato a
cacciare."
Prese una lunga sorsata di bevanda addolcita col miele. "Beh, ho
qualche novità per te. Le 'usanze della guerra', come sono onorate
a Sarxos, dicono che di un prigioniero non riscattato posso fare quello
che voglio. I miei maghi hanno parlato a tutte le parti potenzialmente
interessate, sin dal primo pomeriggio. Non sono riusciti a
raggiungere tua madre, per inciso; i suoi apprendisti maghi dicono
che oggi 'è il giorno in cui si lava i capelli'. Non sono state avanzate
offerte di riscatto per te... nemmeno quando abbiamo abbassato il
prezzo. Mi dispiace. Perciò, a meno che non ci sia una proposta entro
domani a quest'ora, cosa di cui francamente dubito, io potrò fare di te,
personalmente, tutto quello che vorrò."
Shel si appoggiò allo schienale della sedia e rimase a contemplare per
un momento la sua coppa di bibita melata. Alla osservava Delmond
senza batter ciglio, sorridente, come un gatto che aspetta di vedere da
che parte salterà il topo. Poi Shel parlò nuovamente. "Ora, per parte
mia io penso che sarebbe veramente divertente vederti trascinare in
eterna schiavitù nelle fosse degli schiavi di Oron, Signore della
Lunga Morte. Vedi, questo è il messaggio che mi ha inviato questo
pomeriggio, chiedendo il privilegio della tua piacevole compagnia."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 18 1999 - WarGame Mortale


Shel allungò la mano sul tavolo e afferrò con il coltello il frammento
di pergamena fumante, augurandosi dentro di sé che l'inchiostro
smettesse di fumare. L'effetto era sconcertante, e lui non riusciva a
fare a meno di preoccuparsi che il messaggio incendiasse qualcosa di
prezioso. "Non è un'offerta di riscatto. È un'offerta di acquisto. E ci
sono circa duecento altri generali, signori e signore, insieme a piccoli
e grandi nobili del Grande Regno e del Regno Virtuale di Sarxos, che
mi consiglierebbero caldamente di accettare l'offerta. A me però la
schiavitù non piace molto e i miei quartiermastri mi hanno convinto
che sarebbe un affare assai più vantaggioso semplicemente spogliarti
di ogni avere e abbandonarti a mendicare il pane sulle strade, in
modo che i contadini, a cui hai rovinato la vita, bruciando i campi e
distruggendo ogni loro mezzo di sostentamento, possano lanciarti
mangime per animali mentre passi."
Delmond rabbrividì visibilmente. "Sicuramente sarebbe più utile
per te, intendo dire dal punto di vista politico, sequestrare il mio
esercito e rimandare me e la mia proprietà a casa con una scorta
adeguata."
"Scusa?" Shel si infilò un dito nell'orecchio e cominciò ad agitarlo
come per stapparselo. "Giurerei di averti sentito affermare di possedere
un esercito. Quella misera banda di rimasugli nel recinto là fuori,
incatenati, col sedere floscio, quelle duecento reclute senza cavalli e
senza armi: quell'esercito? Oh."
Si diceva da tempo che Delmond non cogliesse l'ironia, e Shel
scoprì a quel punto che era proprio vero. "Non quest'esercito", disse
Delmond frettolosamente. "L'altro."
Shel scoppiò in una risata fragorosa. "Mi dispiace", disse. "Se ne
hai un altro nascosto da qualche parte, cosa di cui dubito molto, non
sarà tuo a lungo. Non dopo che si diffonderanno le notizie su quel
che è accaduto questo pomeriggio." E Shel sperava che fosse vero. Era
abbastanza probabile che Delmond avesse un altro esercito... ma non
era una cosa che Shel fosse disposto ad ammettere in quel momento.
"E anche se ne avessi un altro, perché dovrei ambire a possederlo,
vista la qualità delle tue truppe? Sempre che 'qualità' sia la definizione
appropriata in questo caso."
"Terra, allora."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 19 1999 - WarGame Mortale


Shel sospirò. "Non voglio i tuoi possedimenti." Considerevoli pensò,
ma non era il momento giusto per parlare delle sue ambizioni personali
con Delmond. La battaglia appena conclusa faceva parte di una lunga
serie di iniziative di cui aveva discusso con altri due generali di Sarxos
di cui Shel si fidava... beh, nella misura in cui era possibile fidarsi di
chiunque giocasse a Sarxos: cioè mantenendo la debita distanza.
Se le cose fossero andate per il verso giusto nei mesi successivi,
Shel sarebbe entrato e avrebbe preso con la forza le terre di Delmond
e tutti gli altri a Sarxos, comprese le popolazioni che vivevano in quei
luoghi, avrebbero approvato con gratitudine il cambiamento. Per il
momento, però, Shel disse: "No, grazie. Sono molto più interessato ai
tuoi beni mobili e ti sta proprio bene perderli. Non riesco a
immaginare perché ti porti appresso tutta questa spazzatura, se non
che tu sia troppo viziato per mangiare in piatti normali sul campo,
come chiunque altro. Mezzo acro di broccato per una tenda, mezza
tonnellata di stoviglie d'oro, una decina di armature cerimoniali
complete, una brigata di danzatrici..."
"Non puoi prendermi quelle cose! Sono la dote regale della mia
casa da tempo immemorabile!"
"Delmond, le ho già prese. Oggi hai perso la battaglia. Questa è la
parte della guerra che si chiama 'dettare le condizioni della resa'. Non
te n'eri accorto? E comunque, i nove decimi dei tuoi averi perduti li
hai rubati a Elansis di Schirholz un anno e mezzo fa. Hai messo a
sacco il suo castello quando era presente solo il minore dei suoi
fratelli, il Giovane Langravio, con una forza insufficiente per
difenderlo. Gran brutto affare, Delmond, rubare gli argenti di famiglia
ai bambini di nove anni. Immagino che non ci sia da meravigliarsi se
non lasci questo bottino a casa. Hai paura che qualcuno possa tentare
lo stesso trucchetto con te. Beh, allora ti sei fregato da solo, perché
tutta questa roba, ora, non è altro che 'bottino di guerra', dato che è
stata conquistata correttamente e inequivocabilmente sul campo di
battaglia. Se l'avessi lasciata a casa, nessuno avrebbe avuto la possibilità
di toccartela.
"Ma Elansis sarà proprio contenta di riavere indietro l'Occhio di
Argon. Significherà che quest'anno qualcosa crescerà nei campi di
Schirholz e Talairn acquisterà un paio di alleati così potenti da destare
scalpore da qui fino al Mare del Tramonto. Anche questo ti sta bene.

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Non posso credere che tu abbia rubato quell'oggetto. Lo sanno tutti
che lo Smeraldo Cremisi porta alla rovina chiunque lo prenda in
mano, tranne i membri della casa del Langravio. Suppongo che ti
abbia istigato tua madre, verdi"
Delmond assunse un'espressione attonita. Shel ci pensò un
momento, poi archiviò la questione alla voce "Madri/matrigne,
malvagie, estrema cautela nell'affrontarle". "Giusto", disse Shell.
"Nel frattempo ci prenderemo cura dei nobili sopravvissuti e li
riscatteremo con la solita procedura. Per fortuna, per loro abbiamo
avuto parecchie offerte. I soldati di fanteria che sono sopravvissuti
passeranno un mese di lavoro a Minsar, a titolo di riparazione per il
danno che hanno provocato al territorio di Talairn, poi saranno
rilasciati. Chi lo sa, qualcuno di loro potrebbe decidere di rimanere
con noi alla fine. Una combriccola malnutrita, ecco quel che sono.
"Tu, invece, avrai un pasto stasera e un pasto domattina, poi ti
forniremo dell'otre di pelle pieno d'acqua e di una sacca di pane e
carne che ti spettano di diritto, quindi un cavaliere ti porterà per dieci
miglia all'interno dei tuoi territori e da lì potrai avviarti a piedi verso
casa. Ci potrai arrivare a metà estate, se non sprechi il tuo tempo. Il
collare resta al suo posto, incidentalmente. Volare a casa in forma di
uccello o di pipistrello non ti lascerebbe proprio il tempo sufficiente
per riflettere sui tuoi errori."
Delmond diventò di un meraviglioso color grigio, fece un lungo
respiro e cominciò a dire cose terribili a proposito del passato di Shel e
dei suoi parenti. Stava cominciando a prenderci gusto quando dalle
vicinanze del palo della tenda cominciò a diffondersi un suono
lamentoso. Ululante stava tremando leggermente, ma comunque
abbastanza perché si vedessero i disegni della tempra nel metallo
oscillare, come se l'acciaio respirasse, e il suono si fece sempre più
forte. Simile al verso di un gatto che attacca un altro gatto... tranne che
era più intenso, e la minaccia era assolutamente personale, come la
nota irritata nella voce di una madre quando scopre perché il figlio è
rimasto in bagno con la porta chiusa così a lungo.
Delmond inghiottì a vuoto e si zittì. "Io penso che tu debba moderare
il tuo linguaggio", disse Shel. "Sanno tutti che Ululante ogni tanto
esce dalla mia tenda di notte e se ne va a spasso, non vorrei che
cogliesse 'le sue legittime occasioni'; non sempre i suoi comportamenti

Tom Clancy & Steve Pieczenik 21 1999 - WarGame Mortale


sono rigorosamente leciti. Ma poi sono sempre io che pago peri
funerali."
Delmond a quel punto si era seduto e stava perfettamente
immobile.
"Così dunque sarà", disse Shel. "Azure Alaunt, come araldo incaricato
del Dominio, ora dite: le disposizioni sono conformi alla legge?"
"Sono conformi alla legge", disse l'araldo, guardando con un po'
di nervosismo il suo datore di lavoro.
"Bene. Ora sono disposto ad ascoltare qualsiasi protesta formale
contro le disposizioni."
Delmond inspirò profondamente, poi cercò le parole, infine, dopo
un momento, sbottò: "Tutto questo non sarebbe successo se tu non
avessi avuto la magia al tuo fianco! Non erano cavalli quelli che vi
hanno portato giù dalle colline contro di noi, ma diavoli! Scopriremo
dove prendi questi tuoi demoni, e ti distruggeremo dove tu..."
"Vengono da Altharn, la maggior parte", disse Shel in tono
tranquillo. "Una piccola, bella fattoria da quelle parti. È di mia
proprietà. Incrociamo i nostri Delvairn neri con i pony delle montagne
e si dice che nella miscela ci sia anche un ingrediente segreto... forse
capra. Non penso che avrai molta fortuna con loro, però, Delmond.
Mordono, e non si può far altro che abituarcisi... perché è il loro spirito
che rende il loro incedere così sicuro."
"Spiriti!", urlò Delmond, rivolgendosi ad Azure Alaunt. "Hai
sentito? Lo ammette, erano spiriti!"
Azure Alaunt gettò una rapida occhiata a Shel, un'espressione di
totale impotenza che il suo padrone non vide. Shel si chiese se, in
futuro, non sarebbe stato il caso di offrire un impiego a quell'uomo.
"Mmmm", disse Shel a Delmond. "Non è una risposta degna della
tua consuetudinaria alterigia. Le cose debbono andare proprio male
giù al supermercato Wal-Mart."
Delmond diventò molto più scuro in volto. Non era considerato di
buon gusto fare riferimento, all'interno di Sarxos, alla "vita reale" di
un giocatore. Il gioco, in fin dei conti, doveva essere un sollievo
rispetto all'"esterno", un posto in cui i giocatori potevano lasciare le
pressioni e la routine della propria vita per provare qualcosa di più
esotico e dagli orizzonti più vasti in compagnia di molti altri impegnati
nella stessa cosa. Ma in fin dei conti a Sarxos si verificavano un gran

Tom Clancy & Steve Pieczenik 22 1999 - WarGame Mortale


numero di eventi non proprio "da manuale", un fatto che il creatore
del gioco evidentemente considerava un indice di corretto
avanzamento del gioco stesso, che man mano diventava autonomo,
come se creasse se stesso, quasi un'entità dotata di una propria vita. E
comunque Delmond aveva piegato ai suoi interessi parecchie regole,
in questo scontro. Ricambiarlo era del tutto corretto, pensò Shel.
"Va bene", disse Shel. "La disposizione è presa. Talch?" La guardia
ricomparve. "Portalo fuori e dagli da mangiare. Poi chiudilo in un
carro per salire a Minsar, non uno dei suoi, uno dei nostri. Chissà quali
trucchetti ha incorporato nei suoi equipaggiamenti. Fate preparare per
lui la sacca abituale da mendicante domani mattina. E per dimostrare
che non siamo degli spilorci, metteteci dentro anche un pezzo di
formaggio duro."
Tremante di rabbia, ma in silenzio, Delmond fu accompagnato
fuori. Azure Alaunt si fermò sulla soglia della tenda e disse: "Una
parola al vostro orecchio, signore, se posso..."
Shel annuì.
"Sua madre non è una persona che si possa offendere impunemente.
Se a suo figlio dovesse succedere qualcosa sulla strada potrebbe
rivelarsi dannoso per i vostri stessi interessi."
Shel rimase in silenzio un attimo. "Parole audaci", disse poi. "E
probabilmente anche vere. Prenderò il tuo avvertimento in seria
considerazione, Azure Alaunt."
L'araldo si inchinò e scivolò fuori dalla tenda.
Shel rimase immobile ancora un poco, mordendosi il labbro
pensosamente. "Un po' irritabile, quel tipo", disse Alla, alzandosi e
stirandosi.
"Forse. Andiamo", disse Shel, alzandosi a sua volta. "Facciamo
smontare questa tenda dagli uomini delle salmerie e mettiamoci in
cammino per Minsar e per la nostra cena. Abbiamo fatto un buon
lavoro oggi."
Alla annuì e uscì dalla tenda.
Un attimo dopo, Shel uscì a sua volta nell'oscurità quasi completa e
camminò un po' nel fango rosso appiccicoso, cercando un punto
solido. Finalmente trovò un angolo che come per miracolo non era
stato completamente ridotto in fanghiglia dalle migliaia di zoccoli, e si

Tom Clancy & Steve Pieczenik 23 1999 - WarGame Mortale


volse ad ammirare, verso sud, la prima luna, quella più piccola, che
sembrava galleggiare bassa sopra la nebbia.
Si girò a guardare a nord, verso Minsar, tra le colline coperte di
boschi. Alla luce della luna, le punte dei pini erano leggermente più
chiare del resto dei rami: argento lucido contro l'argento leggermente
brunito e le ombre scure degli alberi. Era appena arrivata la
primavera, nel Continente Meridionale, e alla luce del giorno si
sarebbe visto correttamente che il colore delle punte delle conifere
era quella particolare sfumatura di verde dei nuovi germogli. Altrove ci
sarebbe stato un sottile velo di verde sulle gemme di querce e aceri;
tutto splendeva di freschezza e di novità. Al mattino, i campi erano
lucenti. Fra l'erba, oltre al giallo delle calendule e al bianco delle
margherite del Continente Meridionale che arrivano dopo la neve,
ci sarebbero state altre macchie di bianco, gli agnellini che
saltellavano su gambe malferme nel sole primaverile, stupiti e felici di
essere vivi. Perciò quando arrivava la notizia che qualcuno come
Delmond era arrivato ai tuoi confini, pronto ad attraversarli e a ridurre
a una polpa sanguinolenta i villaggi, gli abitanti, gli agnelli e le
margherite, tutto quello che aveva valore, e molte cose che non
avevano avuto importanza fino a quel momento, ti irritavi e ti ergevi a
difensore di quel luogo.
Shel aveva cominciato a farlo, sorprendendo se stesso, un po' di
tempo prima. Raramente vedeva le margherite, tranne che dal fioraio
in fondo alla strada e non aveva mai visto un agnello che non fosse
stato ridotto a pezzi e avvolto nella plastica, sui banchi del
supermercato, ma a Sarxos aveva scoperto che cosa significavano i
fiori e il bestiame per gli abitanti della campagna, per i contadini e i
piccoli proprietari fra cui si muoveva. E quando si era fermato per la
prima volta e aveva scelto quella parte di Sarxos come casa-lontano-da-
casa e qualcun altro a Sarxos lo aveva seguito, con l'intenzione di
prendersi il bestiame e di uccidere gli uomini e le margherite (e non
per necessità, ma per quello che considerava un espediente politico),
Shel si era detto "Al diavolo", e aveva cominciato a organizzare un
esercito.
Sembrava passato tanto tempo da quella prima battaglia... da
quella, e dai problemi che erano venuti in conseguenza di quel primo
"salvataggio del paese". Gli eserciti, per piccoli che siano (e il suo lo

Tom Clancy & Steve Pieczenik 24 1999 - WarGame Mortale


era), hanno una penosa tendenza a voler essere pagati. Se la paga
tarda, tendono ad andarsene altrove, o a rivoltartisi contro. Shel aveva
trovato il modo di pagare il suo esercito, qualche volta di tasca propria,
facendosi fama di eccentrico fra gli altri generali e i regnanti di
Sarxos.
Poi erano arrivati i padroni originari del "suo paese", risvegliati dalla
lunga negligenza dall'azione: regnanti che sentivano (a ragione) che
Talairn era loro proprietà e che non approvavano che qualcuno
organizzasse un esercito per difenderla senza il loro permesso. Quel
particolare disaccordo era andato avanti per quasi un anno, finché i
regnanti non si erano resi conto che combattere con Shel non li
portava da nessuna parte, e che il prezzo che offriva loro, per
acquistare il paese, era effettivamente più che conveniente. Dopo, nel
complesso, era stato lasciato in pace... se si faceva eccezione per
quelli come Delmond. Quando persone come lui spuntavano a
Talairn, Shel li combatteva come meglio poteva... perché si era
innamorato di quel posto. Sapeva che era sempre pericoloso. Quando
si ama si finisce spesso per farsi del male.
Ma ci sono casi in cui vai la pena ferirsi.
Shel rimase lì per qualche respiro ancora, guardando la luna, poi
disse: "Il gioco finisce qui."
Tutto attorno a lui improvvisamente acquistò l'aspetto perfettamente
immobile di una fotografia fissa o di un ologramma. "Opzioni", disse
la voce del server che controllava il "contesto" dell'esperienza
virtuale. "Continua; salva; salva e continua."
"Salva", disse Shel. "Bilancio, per favore."
"Salvato. Bilancio per Shel Lookbehind", disse il computer
principale dei giochi, mentre lo sfondo congelato cominciò
lentamente a dissolversi in un colore azzurro omogeneo. "Totale
ripreso dall'ultima esecuzione precedente del gioco:
quattromilaottocentosedici punti. Punteggio acquisito in questa
sessione: cinquecentosessanta punti. Totale complessivo:
cinquemilatrecentosettantasei punti. Richieste?"
"Nessuna richiesta", disse Shel.
"Conferma approvazione bilancio, nessuna richiesta. Lettura dei
messaggi in attesa?"
"Salva per dopo", disse Shel.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 25 1999 - WarGame Mortale


"Ricevuto", disse il computer. "Per favore inserisci i codici del tuo
zaino personale per un salvataggio in archivio di questo risultato."
Shel sbatté le palpebre due volte, richiamando la copia presente nel
suo computer della "firma" costituita dal codice di zaino che registrava
e verificava senza alcuna possibilità di errore i risultati del gioco per il
computer principale del gioco. La firma era complessa, troppo
complessa perché qualcuno potesse imitarla. Una parte del codice
mutava a ogni sessione e si combinava con una seconda parte, che
rimaneva permanentemente nella sua macchina, e con una terza, che
era conservata dalla macchina "master" di Sarxos. Shel annuì al
computer, rendendo definitivo il salvataggio.
"Salvataggio confermato", disse il computer. Sbatté un po' le
palpebre, rendendosi conto per la prima volta che la voce del
computer era molto simile a quella di Alla. "Questa sessione di
SarxosTM è completata. Sarxos è copyright di Christopher Rodrigues,
1999, 2000, 2003-2010 e anni successivi. Tutti i diritti riservati a
livello universale e in tutti gli altri mondi che si potranno scoprire."
E tutto era svanito. Ancora una volta Shel era seduto in una stanza
piena di libri e nastri e di tutti gli altri ammennicoli della sua vita, fra
cui la grande poltrona reclinabile (che occupava la maggior parte
della stanza) che gli permetteva di allineare il suo impianto con il
collegamento nel suo computer di casa. E ora Shel era lì, che
sbadigliava, in carne e ossa, alle sei del mattino nel suo appartamento di
Cincinnati, con l'alba che cominciava a farsi strada fra le tapparelle, e
la sua carne cominciò a lamentarsi perché, dopo una lunga notte di
battaglia, era rigida e intorpidita. L'apparecchiatura doveva
comunicare con i muscoli svariate volte ogni ora, per mantenerli attivi,
ma qualche volta quei movimenti di routine non erano sufficienti per
liberare l'acido lattico in eccesso che si accumulava nei muscoli per la
tensione. Per questo quanti giocavano regolarmente a lungo
sollevavano pesi e facevano molta attività fisica con assiduità. Un luogo
comune voleva che quanti si dedicavano troppo alla realtà virtuale
fossero magri e senza tono muscolare, ma i giocatori di Sarxos in
genere mostravano un livello sorprendentemente elevato di forma
fisica. Sarebbe stato ben difficile combattere con tanta efficienza da
conquistare un regno, se il tuo corpo non avesse sostenuto il gioco.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 26 1999 - WarGame Mortale


Nel frattempo, il suo corpo stava dicendogli qualcosa di molto
specifico. Cereali!, urlava. Cereali e latte!
Shel si alzò e si stirò, sorridendo al pensiero di qualcosa da
mangiare, poi all'espressione sulla faccia di Delmond quando si era
reso conto che non avrebbe potuto scamparla con i suoi beni intatti
con grande disappunto di sua madre. Tarasp delle Colline, pensò Shel,
cercando le chiavi di casa. Che cosa faremo con te, signora? Sei una
minaccia, anche per la carne della tua carne e il sangue del tuo sangue.
Devo parlarne con i maghi...
Si cambiò e si infilò una T-shirt meno spiegazzata, chiuse a chiave
l'appartamento e scese le scale che lo portavano in strada due gradini
alla volta, d'umore estremamente allegro. Nonostante fosse un sabato,
non sarebbe stato libero. I turni serali in ospedale iniziavano alle tre e
mezzo. Sarebbe stata un'altra serata entusiasmante di prelievi di
sangue e di raccolta di campioni di laboratorio da un centinaio di
pazienti, ciascuno dei quali odiava la sua vista. Nonostante tutto,
quando entrò nel negozio, prese i cereali e il latte e poi passò dieci
minuti o giù di lì a chiacchierare con Ya Chen, la commessa della
notte, prima che il suo turno finisse. Il cuore di Shel cantava. Che
splendida campagna. Che battaglia indimenticabile. Non vedo l'ora di
cominciare ad affrontare il nido di vermi che questa storia avrà messo a
nudo...
Mentre tornava verso casa dal vicino negozietto, aperto tutta la notte,
continuava a formulare piani... a pensare a quali giocatori avrebbe
dovuto consultare. Il pensiero gli tornava alla continua minaccia del
Signore delle Tenebre. Quali erano le sue vere intenzioni con
quell'offerta di "acquistare" Delmond? La cifra che gli aveva offerto era
il triplo del valore potenziale del riscatto. A meno che non ci fosse
qualche accordo clandestino fra la madre di Delmond e il Signore delle
Tenebre. Non ci sarebbe di che stupirsi, pensò Shel mentre saliva le scale
di corsa. È un serpente, quella donna. In effetti, non era stato così fin
dall'inizio? Una sorta di...
Si fermò sul pianerottolo del suo appartamento, con le chiavi in
mano, fissando la porta. Era accostata.
Non dirmi che l'ho lasciata aperta.
Aprì del tutto la porta, con cautela, e sbirciò dentro.
Il cuore gli si fermò. Qualcuno era stato lì. Qualcuno era stato lì...

Tom Clancy & Steve Pieczenik 27 1999 - WarGame Mortale


... e aveva buttato all'aria l'appartamento.
Entrò in punta di piedi. Una metà di lui si chiedeva se l'intruso
fosse ancora lì, l'altra metà non se ne curava dal momento che oltre il
salotto, dove c'era la sua scrivania e la poltrona con la sua interfaccia...
era avvenuto un disastro. La scrivania era stata rovesciata. Il computer
giaceva su un fianco, il contenitore principale del sistema aperto, le
schede sparse ovunque. Lo schermo sfasciato, il suo sistema distrutto.
Per prima cosa, Shel andò diritto al telefono e chiamò la compagnia
di assicurazioni. Naturalmente, alla fine, avrebbero pagato un nuovo
sistema. Ma c'era qualcosa per cui non avrebbero potuto far nulla, ed
era il suo disco rigido. Shel scoprì poi, il lunedì, quando portò il disco
rigido al negozio, che era stato riformattato. E le sue ultime speranze
sfumarono.
Non aveva fatto una copia di riserva dei suoi file nel suo archivio di
"emergenza", prima di uscire. E, in particolare, non aveva fatto una
copia dei suoi codici zaino, i codici complessi, del tutto impossibili da
ricordare, che, combinati con i codici salvati nel server master dei giochi
di Sarxos, gli consentivano di accedere al suo personaggio e alla
storia di questo.
Ci vollero giorni prima che smettesse di voler sbattere la testa contro
a un muro, per la sua stupidità. Gli ci sarebbero volute settimane per
risolvere quel pasticcio; quelli di Sarxos erano molto attenti, addirittura
ossessivi, per tutto quello che riguardava la sicurezza. Ma alla fine
sarebbe riuscito a rientrare nel gioco. Avrebbe inviato i risultati del suo
ultimo salvataggio dai suoi backup remoti (come molti utenti di
computer a quei tempi era abbonato a un servizio "salvavita", una
società che conservava copie dei suoi file di riserva in un'altra sede) e
le copie dei codici zaino che erano stati usati in quel salvataggio. La
società avrebbe confrontato i suoi ultimi file archiviati con i loro e
avrebbe controllato la validità delle sue altre identità, del mondo reale
e del mondo virtuale e finalmente gli avrebbe assegnato una nuova
password con cui rientrare nel gioco.
Ma fino a quel momento, Shel non avrebbe più potuto vagare fra i
campi verdi di Talairn. Poteva tornare a Sarxos con uno di quegli
"abbonamenti introduttivi" a poco prezzo che venivano venduti a
quanti non erano sicuri di volersi impegnare seriamente nel gioco. Ma
non avrebbe potuto tornare ad essere Shel fino a che non gli

Tom Clancy & Steve Pieczenik 28 1999 - WarGame Mortale


avessero dato una nuova password e a quel punto la stagione di guerra
di quell'anno sarebbe stata conclusa. Due anni di preparazione accurata
del terreno per la campagna di quell'anno, due anni di affascinanti
progetti con altri giocatori andati a farsi benedire. Alcuni di quelli
con cui Shel aveva cospirato sarebbero stati furiosi; non avrebbero più
voluto avere a che fare con lui in futuro, indipendentemente dal fatto
che l'accaduto non fosse affatto colpa sua. Altri, in sua assenza,
potevano semplicemente passare ad altre alleanze.
E che cosa sarebbe successo ad Alla? Se era reale, poteva andarsene
per l'assenza del giocatore con cui stava lavorando, magari poteva
anche pian piano abbandonare completamente il gioco. Se invece
non fosse stata reale... beh, i personaggi generati dal gioco che non
avevano interazioni con regolarità in genere venivano "richiamati", un
eufemismo per "cancellati". Sarxos, in fin dei conti, era un sistema
organizzato e non sciupava le risorse che non venivano utilizzate. La
possibilità che Alla potesse svanire, cessare di esistere, a causa della
sua assenza, lo preoccupava ancora più della campagna persa.
Tutta la situazione era estremamente irritante. Ma quelli erano solo
alcuni dei rischi del gioco... e non c'era nulla che Shel potesse fare.
Ricominciò di nuovo, ovviamente. Non era nella natura di Shel
lasciar perdere qualcosa. Era una delle caratteristiche che lo avevano
messo in luce come giocatore a Sarxos. Ma mentre iniziava il lento
processo di recupero della sua vita virtuale (dopo che gli ebbero
finalmente riassegnato una password), cercando di ricostruire la
credibilità del suo personaggio, si poneva una domanda che
continuava a restare senza risposta.
Perché proprio a me? Perché?
Qualche giorno dopo, alle sette e mezza del mattino, Megan
O'Malley stava in cucina e frugava negli armadietti mormorando tra
sé. "Non posso credere che siamo rimasti senza, ancora..." Avere
quattro fratelli più grandi le aveva creato parecchi problemi, nel
corso degli anni, ma il peggiore era che nessuno di loro smetteva mai
di mangiare, o almeno così sembrava. Arrivavi per colazione, pronta a
ingurgitare qualcosa di corsa prima di andare a scuola e ti accorgevi che
la cucina era stata ripulita come un campo del terzo mondo dopo il
passaggio di uno sciame di locuste. Quando i fratelli erano diventati
abbastanza grandi da andarsene al college (almeno quelli che se

Tom Clancy & Steve Pieczenik 29 1999 - WarGame Mortale


n'erano andati), Megan aveva sperato che la situazione migliorasse, e
invece era addirittura peggiorata; sembrava che Mike e Sean avessero
cominciato a mangiare di più per compensare l'assenza di Paul e
Rory. Nascondere il cibo ai due che studiavano vicino a casa alla
George Washington University e a Georgetown funzionava solo in certi
casi, cioè se si trattava di qualcosa che a loro non piaceva, ma non
c'erano molti generi alimentari che ricadessero in quella categoria. I
muesli erano fra quelli, per un po'... finché una sera tardi Sean, nel
frugare fra gli armadietti, aveva scoperto la scorta di Megan. Aveva
dovuto cominciare a spostare continuamente le sue riserve, da allora, e
qualche volta quella tattica aveva portato qualche risultato.
Non sempre. "Locuste", mormorò Megan disgustata, prendendo la
scatola che aveva nascosto al sicuro sotto il lavandino, dietro il
detersivo e i guanti di gomma. Era una scatola di veri muesli svizzeri, i
Familia, non una delle marche locali che sapevano di segatura. Era
una scatola vuota.
In piedi in mezzo alla grande cucina con le piastrelle dorate,
inondata dal sole, Megan sospirò, poi gettò la scatola di Familia nel
cestino dei rifiuti, si diresse al banco dove stava il contenitore del pane
e lo aprì.
Niente pane. Così sono sfumati anche i toast, pensò Megan,
lasciando ricadere il coperchio della confezione. È un peccato che non
debba perdere peso, perché potrei cominciare da adesso. Oh, beh. Del
te...
Quello, almeno, c'era. I suoi fratelli, fortunatamente, erano
diventati tutti bevitori di caffè non appena era risultato chiaro, ai
loro genitori, che non avrebbe ostacolato la loro crescita (nulla, a dire
il vero, avrebbe potuto farlo). Megan versò dell'acqua nel bollitore, lo
mise sul fornello, regolò il bruciatore al massimo e cercò una tazza,
guardando l'orologio. Sette e quarantacinque. Mezz'ora prima che mi
vengano a prendere... potrei fare in tempo a controllare la posta.
Si avviò verso la taverna nel seminterrato, una grande stanza che
ospitava uno dei tre computer di casa messi in rete, e che per il resto
era piena, dal pavimento al soffitto, su tutte e quattro le pareti, dei
libri di consultazione di suo padre e di sua madre. Una giornalista del
Washington Post e uno scrittore di romanzi gialli, perciò la loro
biblioteca era una raccolta molto eclettica e in qualche caso

Tom Clancy & Steve Pieczenik 30 1999 - WarGame Mortale


apparentemente casuale; anche se i libri di politica ed economia
internazionale, sull'ambiente e la storia mondiale e volumi un po'
strani come Orrori innominabili e cosa fare in proposito e Progetti
segreti della Luftwaffe, 1946 finivano sullo stesso scaffale o nella stessa
pila con una raccolta davvero stupefacente di libri sulla medicina
legale, le armi e i veleni, libri con titoli come Snobismo e violenza e Che
cosa fare e cosa evitare nel commettere il crimine perfetto, Animali
velenosi dalla A alla Z e Giurisprudenza medica e tossicologia del
Glaister. Megan sapeva che suo padre era una persona assolutamente
rispettosa della legge e che non avrebbe fatto male a una mosca.
Una volta l'aveva visto piangere perché per errore aveva ucciso un
topo che stava tentando di catturare per liberarlo poi all'esterno,
dopo che uno dei gatti lo aveva portato in casa. Comunque,
sperava che mai nessuno lo sospettasse di omicidio perché, chiunque
fosse sceso lì sotto, non avrebbe creduto alla sua innocenza.
Si sedette nella poltrona del computer e sospirò all'immancabile
pila di libri sul tavolo di fronte all'interfaccia principale. Nonostante
tutte le volte in cui l'aveva ricordato loro, suo padre e sua madre
continuavano a lasciare il loro materiale di consultazione in modo da
ostruire il percorso fra la macchina e la poltrona dell'impianto. Ma
loro usavano impianti retinici/ottici, che si allineavano con la
macchina molto sopra il livello del tavolo, mentre quello di Megan
era un impianto di tipo più recente, collegato ai neuroni del collo e a
vista laterale (un droud), che si allineava con un angolo minore.
Mentre spostava il mucchio di libri di quel mattino (erano
soprattutto di suo padre, che normalmente rimaneva a scrivere fino
alle tre o alle quattro di notte), guardò i titoli con scarso interesse.
In cima alla pila c'erano l'Orario delle ferrovie europee di Thomas
Cooky la Guida Jane all'identificazione delle pistole e il Libro del Curry
Club dei 250 piatti piccanti e speziati Rimase sconcertata da
quest'ultimo. Fino a quel punto il possibile "intreccio" del libro a cui
stava lavorando le si era formato in mente con naturale perfezione:
attira qualcuno su un oscuro treno dell'Europa orientale, sparagli... e
poi mettilo nel curry?
Nooo. Comunque, decise che nel tornare a casa si sarebbe fermata
in qualche negozio per acquistare un po' di yogurt. Se papà era

Tom Clancy & Steve Pieczenik 31 1999 - WarGame Mortale


intenzionato a preparare la cena, sarebbe stato indispensabile per
estinguere i bruciori, se il chili fosse stato troppo infuocato.
Megan fece ruotare la poltrona del computer per portarla nella
posizione corretta. Le ci volle un istante per "ricordare" le
impostazioni preferite, alzare un po' i piedi, reclinare lo schienale
secondo l'angolo giusto. Allineò il suo impianto con l'interfaccia
principale del computer e percepì la leggera scossa, ormai familiare,
dell'interconnessione, come se qualcuno premesse un interruttore
dentro le sue ossa: si spegne l'universo normale e se ne accende un
altro.
Megan sapeva che qualcuno organizzava il suo "spazio di lavoro"
come un ufficio, pieno di classificatori, ma disprezzava quella
ristrettezza di vedute. Dal momento che nella realtà virtuale era tutto
possibile, perché la gente non faceva, beh, proprio niente. Dato il
modo in cui si comportavano, non aveva risposte. Per quel che
riguardava lei, proprio in quell'istante si trovava al centro di un
gigantesco anfiteatro di pietra, con gradinate di sedili in calcare
bianco che si elevavano per l'equivalente di un paio di piani. Al di
sopra dell'ultima fila di posti, c'era un cielo nero con stelle luminose
che arrivano fino allo zenit. Dietro le sue spalle, oltre la parte
"frontale" dell'anfiteatro, c'era una lunga discesa, scarsamente
illuminata, di ghiaccio dai riflessi rosa e di sabbia, spruzzata di neve di
metano color bluastro; basso sull'orizzonte, schiacciato ai poli e di color
arancione come una pesca matura, si vedeva Saturno, con gli anelli
inclinati, mentre la lunga ombra lasciata dalla faccia rivolta verso il sole
tagliava la superficie del pianeta lungo una diagonale dalla linea
elegante. La luce riflessa dal pianeta rivestiva di un'aura pallida e
dorata la superficie della luna Rea. Rea rivolgeva sempre verso il
pianeta principale la stessa faccia, ma Megan sapeva che, se fosse
rimasta lì a guardare abbastanza a lungo, Saturno avrebbe pian piano
cominciato a calare, gli anelli si sarebbero spostati e il sole sarebbe
salito sopra l'orizzonte di Rea e avrebbe mutato il colore predominante
della luna da quell'oro tenue a un accecante bianco ghiaccio,
mentre sull'anfiteatro sarebbe scesa la grande ombra gettata dal bordo
elevato del vicino cratere d'impatto Tirawa.
Purtroppo Megan aveva molte altre cose da fare quella mattina e non
poteva dedicarsi all'osservazione dei pianeti. "Poltrona", disse, e dietro

Tom Clancy & Steve Pieczenik 32 1999 - WarGame Mortale


di lei ne comparve una, una copia di quella di casa. Si sedette, alzò i
piedi e disse al computer: "La posta, per favore".
"Posta in esecuzione", disse il computer con una piacevole voce
femminile e cominciò a visualizzare una serie di "miniature" video-
audio, identificate da didascalie, dei messaggi in attesa, senza
accompagnare l'operazione con alcun suono. Altri personificavano il
loro computer e lo facevano diventare una "segretaria" che parlava
loro come una persona, offrendosi di aprire la corrispondenza e così
via, ma Megan preferiva avere una macchina che semplicemente
facesse il suo lavoro quando lei glielo chiedeva. Non aveva alcun
interesse per interfacce chiacchierone con personalità dominanti.
"E perché ne hai già una tu", le aveva detto Mike, qualche mese
prima, quando gli aveva raccontato le sue preferenze. Mike poi si era
lamentato per giorni dei segni che gli aveva lasciato. Gli stava proprio
bene, pensò Megan, sorridendo ancora al ricordo. Se non è capace di
imparare le arti marziali almeno quel tanto da impedire alla sua sorellina
di buttarlo a terra ogni tanto, beh, non è certo un mio problema.
La posta non conteneva quasi nulla di importante. "Primo", disse
Megan, e la piccola immagine in miniatura di colpo si ingrandì, si
sviluppò in tre dimensioni e cominciò a parlarle. L'etichetta al di
sotto diceva che il messaggio arrivava dal suo assistente scolastico. Il
signor Macllwain era seduto alla sua scrivania, che somigliava molto a
quella dei suoi genitori, coperta di carte, dischi, libri e chissà che altro
ancora. "Questo è per ricordarti che il tuo appello per i test SAT III e
SAT IV/NMSQT è stato rinviato al 12 marzo. Se ti sei iscritta anche
agli esami di assegnazione avanzata, l'appello relativo è stato rinviato
al 15 marzo. L'esame di Scrittura creativa in inglese si svolgerà a livello
nazionale solo ad aprile, perciò controlla di..."
"Sì, sì, basta, cancella", disse Megan. Si era già preoccupata di tutte le
cose citate nel messaggio ed era pronta per i test SAT come meglio
non avrebbe potuto, anche se, ogni volta che le veniva sotto gli occhi
la data dell'esame di assegnazione avanzata pensava, Le Idi di marzo,
splendido... Come se Shakespeare e Giulio Cesare non avessero già
fatto abbastanza per renderla una data maledetta. Comunque mancava
ancora più di un mese all'esame. Un altro mese da passare in tensione...
"Successivo", disse.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 33 1999 - WarGame Mortale


La "miniatura" successiva si ingrandì e assunse la forma di Carrie
Henderson, una compagna di scuola. "Ciao, Megan! Senti, so che non
eri proprio interessata al comitato per il ballo, ma avremmo proprio
proprio proprio..."
"Stop", disse Megan, "salva". Io proprio proprio proprio non voglio
essere impegolata in questa storia, che lo faccia qualcun altro. Se la ignoro
per un po' magari trova qualcun altro al posto mio. "Successivo."
La terza miniatura si trasformò in un uomo in giacca e cravatta che
teneva in mano un tappeto campione e stava su un'estensione
apparentemente infinita di tappeti, che formava un orrendo motivo a
disegni astratti fino ai bordi dell'anfiteatro di Megan e per fortuna
svaniva lì. "Caro utente del sistema", stava dicendo con entusiasmo
l'uomo, "il tuo indirizzo è stato scelto tra un gruppo ristretto di utenti
che sappiamo saranno in grado di apprezzare il valore di..."
"Stop, cancella!", Megan sbottò infastidita. Ciberspazzatura... deve
esistere un sistema per farla finita. Si chiese se qualcuna delle iniziative
contro la ciberspazzatura, la posta pubblicitaria del ciberspazio, che la
Net Force stava sostenendo, sarebbe mai riuscita a ottenere
l'approvazione del Congresso. Il problema era che le lobby della
"spazzatura" erano così potenti... e non appena il governo trovava
un modo per fermarne un tipo ne spuntava fuori un altro.
Significava che la sua casella postale, come quelle praticamente di
ogni individuo che conosceva, continuavano a riempirsi di
pubblicità indesiderata. Perlomeno le promozioni dei tappeti erano
del tutto innocue. Alcuni dei messaggi pubblicitari che arrivano alla
sua casella invece erano così irritanti e insistenti che avrebbe
desiderato cominciare a esercitare le sue mosse di arti marziali sul
computer, o, meglio ancora, sulle persone che inviavano quei
messaggi...
L'acqua ormai starà per bollire, pensò, guardando le didascalie
delle ultime miniature restanti. Non c'è niente di veramente importante,
questi messaggi possono aspettare...
All'improvviso il suono morbido di un campanello riempì l'aria, e
Megan si guardò intorno, sorpresa. Qualcuno stava cercando di
raggiungerla per una chiacchierata in diretta. A quest'ora? "Chi è?",
chiese al computer.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 34 1999 - WarGame Mortale


"L'identificativo del messaggio indica James Winters", rispose il
computer.
"Davvero? Fantastico", disse Megan. "Accettato."
Su un lato dell'anfiteatro comparve improvvisamente un ufficio
decisamente più ordinato di quello dei suoi genitori. Il sole del primo
mattino entrava attraverso le veneziane alle finestre e si rifletteva, in
ampie bande, sulla grande scrivania in primo piano. Dietro la
scrivania, che in quel momento era vuota, fatta eccezione per
qualche stampa, qualche lettera e un po' di dischetti impilati, era
seduto James Winters, uomo massiccio, dalle spalle larghe, ufficiale in
servizio alla Net Force, agente di contatto per tutti i Net Force
Explorers. Mise da parte il foglio di carta che stava leggendo e guardò
"fuori", verso Megan: per un istante sembrò un impegnato uomo
d'affari, se non fosse stato per il taglio di capelli alla marines e per gli
occhi. Agli angoli di quegli occhi poteva formarsi una rete di rughe per
un sorriso, ma in essi c'era una freddezza che la maggior parte degli
uomini d'affari poteva soltanto augurarsi di avere.
"Megan? Spero che non sia un brutto momento."
"No, mi stavo preparando per andare a scuola, ma ho ancora qualche
minuto." Ma tu lo sapevi, pensò, subito interessata. Winters conosceva
perfettamente tutti i programmi dei Net Force Explorers. C'è qualcosa
in ballo!
La guardò con aria pensosa. "Megan, volevo solo controllare una
cosa. Il tuo incartamento dice che sei una giocatrice di Sarxos."
Le sue sopracciglia si alzarono. "Entro nel gioco ogni tanto."
"Più di una volta ogni due settimane, diciamo?"
Lei pensò. "Sì, direi di sì. Forse una volta alla settimana in media,
qualche volta anche di più se comincia a succedere qualcosa di
interessante. Ma è un bel posto anche solo per farsi un giro, anche
quando non sono in corso guerre o faide fra maghi. Ci sono persone
interessanti... e Rodrigues ha fatto proprio un bel lavoro con quel
gioco. Lo si 'percepisce' come più reale di un sacco di altri giochi
virtuali."
Winters annuì. "Che cosa sai a proposito dei giocatori che vengono
'espulsi'?"
Megan sbatté gli occhi. "Si riferisce alle persone i cui codici zaino
vengono cancellati? Virus, personaggi sabotati, quel genere di cose? Ho

Tom Clancy & Steve Pieczenik 35 1999 - WarGame Mortale


sentito che qualche volta succede. Vendette, immagino. Qualcuno che
prende le cose troppo sul serio..."
"Qualcuno, sempre che si tratti solo di qualcuno, ha preso la
faccenda un po' troppo a cuore negli ultimi tempi. Ci sono state circa
una dozzina di persone 'espulse' nell'ultimo anno."
Quella era una novità per Megan. "Una al mese... ma ci sono
centinaia di migliaia di giocatori a Sarxos. Non sembra un gran
numero."
"Non sembrerebbe un granché nemmeno a me, ma so che non ci
sono state 'espulsioni' per otto anni, fino a un anno e mezzo fa. Sta
succedendo qualcosa e le aziende che sponsorizzano Sarxos si stanno
innervosendo. Non vorrebbero proprio dover chiudere il server."
"Immagino", disse Megan, un po' seccamente. I giocatori di Sarxos
pagavano una tariffa a sessione oppure un "abbonamento" annuale. Ad
ogni modo, ci doveva essere un mucchio di soldi in ballo, forse
milioni e milioni di dollari ogni anno.
"Beh, abbiamo avuto un "espulsione' particolarmente energica",
disse Winters. "Non identificherò il giocatore con il suo nome vero,
ovviamente, ma si tratta di un tizio che nel gioco aveva il nome di
'Shel Lookbehind'."
"Davvero, Shel?, disse Megan, stupita.
"Lo conoscevi?"
"Un po'", disse Megan. "L'ho incontrato durante la campagna di
guerra di circa un anno fa. Molti erano rimasti interessati alle
schermaglie che aveva con la Regina di Mordili. Non c'erano
protocolli che prevedessero che una persona potesse occupare il
territorio di un altro, prima che fosse stato dichiarato abbandonato e
tutti gli altri volevano vedere se si fosse creato un precedente. Sono
andata a Talairn per vedere che cosa accadeva. Shel sembrava un buon
giocatore, una persona davvero simpatica. Perlomeno, lo era il suo
personaggio."
"Beh, quel personaggio ora è nel limbo, come puoi immaginare",
disse Winters, "finché la persona che lo interpreta non riuscirà a farsi
riassegnare una password. E questa è stata l''espulsione' più violenta
fin qui, ed è per questo che è arrivata alla mia attenzione. La maggior
parte delle espulsioni, come hai detto tu, sono state provocate da
'persona o persone sconosciute', che inoculavano nel sistema della

Tom Clancy & Steve Pieczenik 36 1999 - WarGame Mortale


vittima un cavallo di Troia o un virus di un tipo o dell'altro. Inoltre
c'è stato almeno un furto di un sistema domestico che può darsi sia o
non sia una espulsione. Le prove non sono conclusive. Nel caso di
Shel, però, qualcuno è entrato nel suo appartamento, ha buttato tutto
all'aria, ha cancellato il suo dispositivo principale di memoria e
sostanzialmente gli ha distrutto il sistema."
Megan scosse la testa. "E nessuno ha idea di chi sia stato?"
"Niente che i tecnici della polizia locale siano riusciti a scoprire,
comunque. Ma speravo che tu potessi aiutarci un po'."
"Vuole che vada a Sarxos e 'faccia qualche domanda'", disse Megan.
"Saresti perfetta per questo lavoro. Hai già un'identità nel gioco, il
che fa proprio comodo. Qualsiasi nuovo personaggio che arrivi e
cominci all'improvviso a fare domande sulle espulsioni attirerebbe
immediatamente l'attenzione e il sospetto. Ma tu no. Penso che
sarebbe meglio, viste le circostanze, avere qualcuno che lavori con te.
Un altro punto di vista potrebbe essere utile... e Sarxos è, in fin dei
conti, un posto assai vasto. Una gran quantità di terreno da coprire."
Megan si mordicchiò le labbra soprappensiero. "Qualcun altro dei
Net Force Explorers?" "Sarebbe preferibile."
Rimase a pensarci per qualche istante. "Devo confessare che non so
quali dei Net Force Explorers che conosco possano essere 'giocatori'.
Di solito è una cosa che non si chiede."
"Beh", disse Winters, "io conosco almeno un altro Explorer che ha
un'identità già stabilita. Ha già dichiarato il suo interesse e non gli
importa se qualche altro Explorer viene a sapere che gioca. Conosci
Leif Anderson?"
Megan fu colta di sorpresa un'altra volta. "Vuol dire il Leif Anderson
che vive a New York? Il ragazzo con i capelli rossi che conosce tutte
quelle lingue? Lui è a Sarxos?"
"Sì, e fa la parte di un..." Winters si fermò e diede un'occhiata al
foglio che aveva in mano e ridacchiò. "Un 'mago delle siepi', dice qui.
Immagino che non sia qualcuno che ti cura il giardino con la magia."
Megan represse un risolino. "No. Significa indicare qualcuno che si
dedica a piccoli incantesimi, invece di tentare quelli grandi e
pericolosi. Può significare o qualcuno che preferisce lavorare a
contatto con la terra e con 'la gente comune' o qualcuno che non è

Tom Clancy & Steve Pieczenik 37 1999 - WarGame Mortale


molto bravo a fare il suo mestiere e cerca di nascondere le proprie
magagne. Questi maghi sono un po' degli incompetenti."
Winters aveva un'aria divertita. "Bene. Beh, sarà una buona
copertura, non pensi?"
"Dovrebbe esserlo", disse Megan, pensandoci. "I maghi delle siepi
viaggiano sempre in cerca di erbe rare, di strane formule magiche e di
imprese da compiere. Di solito finiscono per conoscere un sacco di
gente. Anche il mio personaggio conosce tanta gente, ma per motivi
diversi... quindi dovrebbe funzionare."
"Devo dirgli di mettersi in contatto con te, allora?"
"Certo", disse Megan. "La cosa può aspettare fino a stasera? Oggi è
una giornata un po' frenetica."
"Nessun problema. Prendila con i tuoi ritmi. Preferisco che
procediate con calma; arrivare con troppo impeto e mettersi a scavare
con troppa insistenza potrebbe far sì che la 'persona' o le 'persone'
responsabili si mettano tranquille... e non vogliamo che succeda."
"No di certo. Avrò bisogno di un elenco degli altri personaggi che
sono stati espulsi", disse Megan.
"Eccolo qui", disse Winters. Con un altro scampanellio, nello
spazio di lavoro di Megan comparve una piccola piramide in lenta
rotazione, il simbolo di un file in attesa di essere aperto, che fluttuava
nell'aria accanto a lei. "Sei hai qualche altra domanda, se c'è altro di
cui hai bisogno, mettiti in contatto."
"Sì, signor Winters. Grazie!"
Winters e il suo ufficio svanirono. Megan rimase seduta: cominciava
a sentirsi molto più eccitata di quanto avrebbe dovuto, visto che
l'aspettava ancora una giornata di scuola che ora le sembrava
interminabilmente lunga. Una cosa era appartenere ai Net Force
Explorers, associata (sia pure non troppo strettamente) a persone
che svolgevano un lavoro che poteva essere fra i più entusiasmanti,
un'altra era avere un incarico, mentre le persone, con cui speravi di
poter lavorare un giorno, ti osservavano... interessate e così fiduciose
nelle tue capacità da assegnarti un lavoro e stare a vedere come lo
svolgevi.
Questo, pensò Megan, sarà proprio un bel colpo!
Si alzò dalla poltrona e disse al computer: "Interrompi interfaccia", e
si trovò seduta nella poltrona in taverna, con un fischio lacerante che

Tom Clancy & Steve Pieczenik 38 1999 - WarGame Mortale


echeggiava tutto intorno. Proveniva dalla cucina. Il bollitore preferito
di sua madre, quello che all'uscita del vapore emetteva il fischio di
un treno, in quel momento stava sbattendo rumorosamente e
fischiando come se stesse per esplodere; e da fuori arrivava il suono di
un clacson per avvisarla che erano arrivati a prenderla.
Megan si precipitò in cucina per togliere il bollitore dal fuoco
prima che succedesse un disastro. Niente tè, pensò, ma, mentre
spegneva il fornello, afferrava dal tavolo la borsa del computer, i
libri, i dischetti e la carta magnetica della serratura di casa e si
affrettava verso la porta, sorridendo entusiasta.
Sarxos, sto arrivando!

Tom Clancy & Steve Pieczenik 39 1999 - WarGame Mortale


2

Regno Virtuale di Sarxos: ventitreesimo del mese verde,


anno del Drago-sotto-la-pioggia
La locanda era costituita da un solo ambiente e il soffitto perdeva.
La pioggia, che cadeva dolcemente con regolarità all'esterno,
penetrava attraverso una parte del tetto su cui mancava la copertura di
paglia, gocciolando cupamente sulla pietra incrinata del focolare,
evaporando con un sibilo dove la colpiva. Il fumo del camino mal
aerato si avvolgeva tutto attorno, azzurro come smog, sotto le travi
annerite. Da quelle travi pendevano alcune lampade crepitanti, la cui
luce nuotava nel fumo e in parte riusciva ad arrivare effettivamente
fino alle antiche e massicce tavole di legno, tutte incise dai coltelli, al
di sotto.
Attorno a quelle tavole sedevano gruppi disparati di persone, che
mangiavano e bevevano: contadini arrivati dai campi, nobili
ostentatamente seduti sui loro mantelli ripiegati, in modo da non
dover toccare fisicamente i banchi, soldati mercenari in armature di
pelle tutte sfregiate, mercanti stranieri vestiti con eleganza che
parlavano animatamente tra loro dei mercati di investimento di Sarxos
e di come le guerre in corso li avrebbero influenzati, in altre parole la
solita folla notturna dei Giorni-delle-Lune da Pheasant e Firkin, che
tracannava bevande alle erbe o gahfeh oppure vino annacquato (ma
fortunatamente senza piombo) dell'oste, dove tutti si guardavano a
vicenda con sospetto e se la spassavano.
Nell'angolo del camino c'era anche l'immancabile straniero
tenebroso, incappucciato, con i piedi appoggiati su un grande alare,
che fumava una lunga pipa e osservava la compagnia con gli occhi che
sfavillavano da sotto il cappuccio. Un grosso gatto con il pelo bianco
sporco, le orecchie seghettate e un occhio cieco lattiginoso passò
accanto allo straniero, guardandolo e dicendo "Uh. Ancora tu..." e
continuò la sua passeggiata.
Leif Anderson, seduto nell'angolo più lontano della locanda, da
solo a un tavolino accanto alla porta, si guardava attorno e pensava
distrattamente che, in un certo senso, quello era proprio il tipo di
posto da cui sua madre lo aveva sempre messo in guardia. Il

Tom Clancy & Steve Pieczenik 40 1999 - WarGame Mortale


problema era che, quando diventava apprensiva, lei si preoccupava
che potesse finire in un posto come quello nel mondo reale, ma Leif
dubitava moltissimo che ce ne fosse qualcuno: perlomeno, non dove
avrebbe potuto incontrarli, a New York o a Washington. Forse nella
Mongolia esterna, o nelle nuove Ebridi, o magari nello Yucon.
Sorrise debolmente. Lo divertiva sempre che una persona dura come
sua madre, che aveva danzato per anni nel balletto di New York City e
perciò aveva un fisico come l'acciaio e una lingua tagliente come un
rasoio, si preoccupasse del suo "bambino", come se non avesse
ereditato a sua volta buona parte di quella durezza.
All'improvviso comparve il locandiere: "Lei usa l'altra seggiola?" gli
chiese. Era un archetipo, proprio come l'uomo vicino al camino:
grasso, quasi calvo, con un grembiule che evidentemente era stato
lavato l'ultima volta prima che cominciasse l'attuale ciclo del Drago e
costantemente di cattivo umore. Leif alzò lo sguardo. "Sto aspettando
qualcuno", disse.
"Grande", disse il locandiere, afferrando con una mano la sedia
vuota. "Quando arriva, può prendere un'altra seggiola. Ho bisogno di
questa per i clienti che pagano"
Leif raccolse il boccale di bevanda alle erbe che stava sorseggiando
e lo scosse significativamente davanti al locandiere.
"Però", disse il locandiere, "se vuole un'altra seggiola paga un'altra
bevanda". Cominciò a ridere da solo a quella che doveva essere una
battuta, mostrando dei denti che sarebbero stati perfetti in un
romanzo horror per dentisti.
"Non è una cosa saggia", disse Leif, "insultare un mago".
Il locandiere lo squadrò con un ghigno di scherno, chiaramente
non impressionato da quello che vedeva: un giovane magrolino in
una tunica un po' malconcia decorata con simboli alchemici e magici
stinti e dal significato oscuro. "Tu non sei nient'altro che un
apprendista", lo schernì il locandiere. "Che cosa farai? Non lasci la
mancia?"
"Certo", disse Leif dolcemente, "che te la lascio." Si tolse il cappello,
vi frugò all'interno per un attimo ed estrasse quello che stava
cercando. Lo lanciò al locandiere, dicendo una parola sottovoce.
Il locandiere lo afferrò istintivamente, rimase per un attimo a fissare
quello che sembrava un semplice pezzo di straccio legato con un

Tom Clancy & Steve Pieczenik 41 1999 - WarGame Mortale


spago e poi assunse un'espressione stupita. Dal nulla comparve uno
sbuffo di fumo, che lo avvolse. Tutte le teste si girarono a osservarlo.
Il fumo si dileguò lentamente. Dove si trovava il locandiere ora c'era
un topolino bianco che si guardava intorno sconvolto.
Leif si chinò e raccolse il talismano avvolto nel cencio al suo fianco.
"Anche i maghi delle siepi", disse, "conoscono qualche formula
magica. Ti basta come mancia?" E lanciò un'occhiata sotto il tavolo
vicino, prima di tornare a guardare il topo. "Buona giornata."
Il topo si girò per capire che cosa avesse attirato l'attenzione di
Leif... e vide il gatto bianco malconcio che gli si avvicinava con
l'espressione di chi è pronto per uno spuntino prima di cena.
Il topo si mise a correre sulle pietre consunte e piene di fessure del
pavimento, con il gatto che lo inseguiva, senza affrettarsi troppo, già
pregustando la prospettiva del suo antipasto.
Gli altri avventori si girarono, non troppo preoccupati della vicenda,
dal momento che la figlia del locandiere, del tutto indifferente, aveva
cominciato a servire e a prendere gli ordini. Leif rimise via il suo
talismano e si appoggiò allo schienale della seggiola con la sua bibita,
distratto ancora una volta dal suono dei mercanti stranieri che
discutevano dei mercati futuri.
Qui, come nel mondo reale, c'era un commercio attivo fra i
mercanti di futures di viscere di maiale e Leif non faceva fatica a
immaginare suo padre seduto in mezzo a quei personaggi a parlare di
margini e di vendite allo scoperto finché non arrivavano le mucche,
o i maiali.
Dovrei proprio farlo venire qui una volta o l'altra, pensò
oziosamente Leif. L'abilità di suo padre nel campo degli
investimenti, però, lo faceva saltare continuamente da una parte
all'altra del pianeta, fisicamente e anche virtualmente: a tal punto che
di solito si rifiutava completamente di passare il suo già scarso tempo
libero in qualunque luogo virtuale, o facendo qualcosa che anche
lontanamente potesse assomigliare a "parlare di lavoro". Se riuscissi a
farlo venire qui, probabilmente preferirebbe essere un guerriero feroce
vestito solo di un perizoma. Qualunque cosa pur di lasciare il
doppiopetto...
Momentaneamente l'attenzione di Leif fu attirata da un avventore
dall'altra parte della stanza, un giovane alto, magro, dallo sguardo

Tom Clancy & Steve Pieczenik 42 1999 - WarGame Mortale


intenso in un farsetto scuro che stava controllando e pulendo
metodicamente una pistola, una semiautomatica simile a una Glock
dei tempi antichi. Normalmente quel genere di situazione avrebbe
potuto generare un po' di agitazione, ma la locanda Pheasant e Firkin
si trovava nel piccolo principato di Elendra, uno dei luoghi di Sarxos
in cui la polvere da sparo non funzionava. In effetti non funzionava
nella maggior parte dei posti a Sarxos. Il creatore del gioco aveva
costruito il suo mondo alternativo soprattutto per quelli che preferivano
armi strettamente meccaniche, in particolare quelle per cui i due
avversari dovevano essere a distanza ravvicinata, faccia a faccia, per
potersi uccidere.
Chris Rodriguez però aveva evidentemente immaginato che ci
sarebbe stato sempre qualcuno per cui la vita non sarebbe sembrata
soddisfacente senza armi che facessero BANG, spesso e con più
fragore possibile, e per loro, ai confini di Sarxos, c'erano i due paesi di
Arstan e Lidios, in cui gli esplosivi e altre armi basate sull'energia
chimica erano abilitate. Erano luoghi rumorosi, in cui si
combattevano spesso guerre con un numero di vittime piuttosto
elevato. Molti sarxoniani si proponevano di evitare completamente
Arstan e Lidios, pensando che fosse meglio che i ragazzi e le ragazze
con quei gusti continuassero a fare quello che li rendeva felici, senza
distrarli o sconvolgerli con visioni irritanti di un mondo in cui la gente
si comportava in maniera diversa.
Evidentemente quelle visioni davano un po' fastidio a qualche
giocatore, perché si verificavano spesso dei tentativi di trovare qualche
esplosivo o qualche sostituto della polvere da sparo che funzionasse
anche nel resto di Sarxos, nonostante il creatore del gioco insistesse
che non c'era alcuna sostanza di quel genere, né ci sarebbe mai stata.
Alcuni giocatori, aspiranti alchimisti o aspiranti trafficanti d'armi, ogni
tanto passavano lunghi periodi di tempo a cercare di inventare una
sostanza di quel tipo. Quasi sempre finivano per avere incidenti
difficili da spiegare, tranne che con un vecchio detto sarxoniano: "Le
regole si sistemano da sole".
La maniglia di ferro nero della porta accanto a Leif si abbassò. La
porta si aprì stridendo, ruotando verso di lui e bloccandogli la visuale.
Gli avventori interruppero ogni attività e si girarono a guardare: lo
facevano sempre, anche se la persona che entrava era qualcuno che

Tom Clancy & Steve Pieczenik 43 1999 - WarGame Mortale


conoscevano. Ma in questo caso evidentemente non lo era.
Continuarono a osservarlo.
L'individuo che era entrato si girò e chiuse la porta. Di altezza
media, costituzione snella, con lunghi capelli castani intrecciati e
avvolti intorno alla testa, abiti scuri, tutti di colori sobri, tunica
marrone, calzoni e stivali neri, un farsetto di pelle aderente, fasce
marroni incrociate sui pantaloni, un mantello scuro a coprire tutto,
tagliato in fondo per andare a cavallo e uno zaino di pelle marrone. Se
era armato, Leif non riusciva a vedere dove tenesse le armi... non che
questo significasse qualcosa.
La ragazza si guardò attorno abbastanza a lungo da completare la
sua parte del gioco di sguardi, perché era un gioco. Bisognava
incrociare gli occhi degli astanti, far sapere che si aveva lo stesso
diritto loro di trovarsi lì... altrimenti sarebbero stati guai seri, che
avrebbero potuto avere inizio o meno, ma che sicuramente
avrebbero avuto una fine. Gli avventori di Pheasant e Firkin,
percependolo, dimostrarono apertamente di aver perso interesse alla
nuova arrivata.
Il suo sguardo si rivolse a Leif. Lui si sollevò di nuovo il cappello,
abbastanza da lasciar intravedere i capelli rossi.
Lei sorrise e lo raggiunse, si sedette sulla sedia libera e si guardò
attorno con un'espressione ironica.
"Vieni qui spesso?" gli chiese.
Leif fece roteare gli occhi a sentire la vecchia battuta.
"No, parlo seriamente. Questo posto è una vera bettola. Come hai
fatto a trovarlo?"
Leif ridacchiò. "L'ho scoperto per caso l'anno scorso, durante le
guerre. Ha un certo fascino, non ti sembra?"
"Ah, topi! disse Megan, sollevando un po' i piedi da terra e
osservando sotto la tavola qualcosa che correva. "Oh, beh, non
importa, ecco che arriva il gatto..."
Leif ridacchiò ancora. "Vuoi qualcosa da bere? Il tè non è male."
"Magari tra un po'. Immagino che tu abbia avuto la lista di
Winters."
"Sì... qualche giorno fa."
Leif allontanò il boccale e assunse un'espressione alquanto seriosa.
"Devo ammettere che mi ha colto un po' alla sprovvista. Il problema

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è che le persone che conoscevo, le conoscevo con i nomi di gioco e
non per la loro identità nel mondo reale, altrimenti forse me ne sarei
resa conto prima; probabilmente ci sarebbero arrivati in molti. Ma
quello che balza subito agli occhi è che tutti i giocatori 'espulsi' erano
molto attivi. Nessun Bile" Leif usò il termine di Sarxos per "dilettanti",
persone che entravano nel gioco con una frequenza inferiore a una
volta alla settimana. "E per quel che posso dire, nessun personaggio
'secondario'. Tutti coloro che sono stati espulsi erano attori principali,
di quelli che fanno muovere in un modo o nell'altro l'azione."
Megan annuì. Anche lei evidentemente l'aveva notato. Ma lo
guardò un po' storto. "Qualche giorno fa? Pensavo che avessi
cominciato a guardarti intorno qui subito."
"Oh, l'ho fatto." Leif le fece un sogghigno. "Ma volevo svolgere
da solo un po' di lavoro di base. Se si fosse rivelata una perdita di
tempo, beh, era solo il mio tempo, non quello di tutti e due."
"Oh, va bene, e allora dove sei andato per il tuo lavoro di base?"
"Verso nord, soprattutto." Sarxos aveva due continenti principali,
uno a nord e uno a sud. Da quello settentrionale si stendeva un grande
arcipelago, "la Mezzaluna" che scendeva verso sud, offrendo migliaia
di paradisi adatti per i pirati, i ribelli e per quanti volevano trascorrere
qualche settimana lontano dagli affari del gioco per perfezionare le
proprie abbronzature virtuali. "Ho parlato con un po' di gente", disse
Leif. "Uno di loro era un tizio il cui nome nel gioco era Lindau."
"Lindau, quello dell'attacco del Porto Interno?" chiese Megan.
"Già. Non che abbia attaccato un granché ultimamente, da quando è
stato espulso. Ho chiacchierato anche con Erengis, che è stata la nemica
principale di Lindau per tanto tempo. È una vera fucina di pettegolezzi
su due gambe." Leif si stiracchiò, dando un'occhiata sotto il tavolo
vicino. "Ho parlato anche ad alcuni nemici di Shel o di qualcuno degli
altri espulsi; e anche con qualche loro amico."
Doveva sembrare un po' compiaciuto, a giudicare dall'espressione
sulla faccia di Megan. "Bravo", disse lei. "Ed è saltato fuori un nome
particolare in mezzo a tutti? Sì, vero?"
Leif fece un sorrisetto. "Sei stata là prima di me.
"Argath", disse Megan.
Leif annuì.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 45 1999 - WarGame Mortale


Argath era il re di Orxen, uno dei paesi più a nord, una regione
montuosa e scarsa di risorse, fatta eccezione per un gran numero di
barbari vestiti di pelli di animali, uomini che amavano combattere
senza preavviso. La regione si era guadagnata il soprannome di
"Regno Nero", perché nell'arco dei tanti anni del gioco aveva avuto la
tendenza a schierarsi con il Signore delle Tenebre durante le sue
periodiche campagne. Chissà come, però, non era mai stata
conquistata, cosa che provocava parecchia irritazione e invidia in
alcuni altri giocatori.
Argath era arrivato subdolamente alla guida di Orxen nell'ultimo
decennio di gioco con mezzi che erano considerati normali a Sarxos. Si
era fatto un nome come valoroso generale delle forze orxeniane nel
corso del periodo di regno di un re debole e inefficace. Nessuno
rimase particolarmente sorpreso quando il vecchio re Laurin una notte
ebbe quello che sembrava un incidente vicino alla sua peschiera e fu
trovato la mattina dopo dai suoi servitori annegato da parecchie ore.
Nessuno si stupì quando l'omicidio non poté essere attribuito ad
alcuna persona specifica e nessuno rimase sorpreso quando Argath
fu eletto per acclamazione, visto che lo sfortunato re Laurin era
sopravvissuto a tutti i suoi eredi.
In seguito, la carriera di Argath era stata priva di eventi notevoli,
secondo gli standard di Sarxos. Aveva fatto campagne di guerra in
estate, come facevano quasi tutti, e durante l'inverno aveva intessuto i
suoi intrighi, siglando accordi con altri giocatori o sottraendosi ad altri.
Aveva vinto battaglie, e altre ne aveva perse, ma aveva soprattutto
dominato: Argath sapeva far bene quello che faceva. Shel lo aveva
combattuto circa un anno prima, con uno scontro simile a quello che
aveva avuto con Delmond in cui era risultato il vincitore, fra la
meraviglia della gente del luogo. L'esercito di Argath era molto più
grande di quello di Shel.
"E Argath", disse Megan, "non è un costrutto, non è un artefatto o
una caratteristica intrinseca del gioco."
"No, è un 'vivente', lo so", disse Leif. "Qualcuno una volta mi ha
detto che cosa fa nella vita reale. Certamente uno come Argath
potrebbe avercela con chiunque lo abbia sconfitto in un
combattimento regolare."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 46 1999 - WarGame Mortale


"Ma solo recentemente", disse Megan. "Tutte queste espulsioni sono
avvenute nel corso degli ultimi tre anni di tempo-gioco. Perché
avrebbe dovuto cominciare a dare la caccia ad altri all'improvviso?"
"E perché no?" rispose Leif alzando le spalle. "Potrebbe essergli
accaduto qualcosa nella vita reale che l'ha portato a giocare duro."
"Può darsi, ma non abbiamo nessuna prova a sostegno di questa
idea", disse Megan, "Sherlock Holmes afferma che è una mossa
azzardata fare ipotesi senza avere abbastanza dati. Comunque, tutto
quello che abbiamo fin qua sono prove circorstanziali."
"Sì, ma da qualche parte si deve cominciare", disse Leif. "E sarà da
Argath, a meno che tu non trovi qualcosa di meglio."
"Non so se sia meglio", disse Megan. "Stavo pensando di andare a
Minsar."
"Dove è successa l'ultima espulsione."
"Non tanto per il posto in sé, ma lì, come dicono, 'sono raccolte le
aquile'. Non è possibile che il comandante di un esercito, anche di
piccole dimensioni, finisca disperso-e-presunto-espulso senza attirare
molta attenzione, e lì staranno fino a che la situazione non si
risolve... finché non troveranno un nuovo signore a cui giurare
fedeltà, o decideranno di sciogliersi. Potremmo scoprire parecchie
cose mentre tutti scendono sul posto per trovare una soluzione."
"Non è un'idea malvagia. Ma io continuo a pensare che
dovremmo guardare ad Argath."
Megan fece una faccia del tipo "e perché no". "E dove si trova
esattamente il grande A al momento?"
"Indovina."
"Minsar?" Megan sembrava confusa. "Stai scherzando. E cosa ci
farebbe là? Minsar è troppo piccola per lui. Una città libera non è
qualcosa che possa suscitare il suo interesse. Argath si muove per
interi paesi. Guarda che cosa ha fatto a Sarvent, e su a nord a
Proveis! La città non è neanche un punto di particolare valore
strategico. E il fiume non è navigabile fino a quell'altezza."
"Nessuno saprà che cosa stia facendo là", disse Leif. "Può darsi che il
motivo sia semplicemente la vendetta. In fin dei conti, Shel lo ha
battuto una volta. C'è un vuoto di potere. Può darsi che ora pensi di
poter arrivare e prendere il sopravvento."

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"Non so." Scosse la testa. "In passato Argath è stato un abile stratega.
Perché dovrebbe fare una cosa così ovvia?"
"Noncuranza", disse Leif. "La certezza di non essere colto in fallo."
"Beh... può darsi. Comunque, come dici tu, da qualche parte si deve
cominciare..." Megan si guardò intorno. "A chi si ordina qualcosa da
bere qui?"
"Alla figlia del locandiere. Il suo papà è impegnato."
Leif fece un sorrisino che gli procurò una breve occhiata penetrante
da parte di Megan. Leif se ne rimase lì con l'aria innocente finché non
arrivò la figlia del locandiere. Megan ordinò del tè. Quando arrivò, per
qualche momento si limitò a sorseggiarlo e a riflettere, mentre Leif
rivolse la sua attenzione a qualcosa che stava succedendo nella
penombra sotto un tavolo alla loro destra. "Allora", disse lei. "Come ci
arriviamo? A piedi? O hai dei cavalli qui fuori?"
"Uh?" Leif la guardò, sconcertato per un attimo. "Oh, no. Io cado da
cavallo."
"Oh."
"Non me lo dire. Tu cavalchi."
Megan storse la bocca. "In realtà, non è proprio il mio forte. Non mi
importerebbe di marciare per tutta la strada, tranne che Minsar è
parecchio distante da qui e odio perdere tempo."
"Sei fortunata a viaggiare con un mago, allora", disse Leif. "Ho
risparmiato circa tremila miglia."
Fu soddisfatto del rapido sorriso di sollievo che Megan gli lanciò.
Chi non aveva un cavallo che lo portasse in giro per Sarxos, o qualche
altro mezzo di trasporto, come una squadra di lettighieri o un basilisco
addestrato, di solito finiva per camminare... e poteva sembrare che i
viaggi non finissero mai: faceva parte dell'obiettivo del progettista
procurare ai giocatori una "vera esperienza" del proprio mondo. Ma i
giocatori che lo volessero potevano scegliere di ricevere i punti che
guadagnavano nel gioco non sotto forma di danaro o di potere, ma
come transito: la possibilità (utilizzando l'opportuna formula magica
di transito rapido, una formula così semplice che anche chi non era
un mago poteva maneggiarla) di scomparire da un posto e ricomparire
in un altro. Solo gli eserciti non potevano ricorrere a quello
strumento: si raccontava che Rodriguez avesse detto che sarebbe
stato "dannatamente troppo simile alla vita reale". Le persone che

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viaggiavano in pace e in compagnia potevano usarlo per andare
dovunque volessero.
"Sono parecchie miglia", disse Megan. "Che cosa hai fatto per
guadagnare tutti quei punti?"
"I soliti incantesimi dei maghi", disse Leif. "Guarire i malati... far
risorgere i morti."
Megan sollevò un sopracciglio. Erano ben pochi i maghi di Sarxos
che avessero tutto quel potere. "Beh, guarire i malati comunque",
disse Leif con un sorrisetto. "Quando sono entrato nel gioco, ho
acquistato una pietra salutare da una vecchia saggia che si stava
ritirando. È un'ottima pietra, efficace per tutto fino alle ferite di quinto
livello circa e per le malattie di sesto livello."
Megan sbatté le palpebre, evidentemente impressionata. "Quinto
livello? Qualsiasi pietra che possa far ricrescere un braccio o una
gamba tagliati deve averti reso molto popolare sui campi di battaglia.
Come diavolo hai potuto permetterti una cosa del genere?"
Leif rise sottovoce. "Beh, in realtà non avrei potuto permettermelo.
Ma la donna è stata molto gentile. L'ho incontrata nella foresta e lei
mi ha chiesto un sorso d'acqua, io gliel'ho dato."
"Oh", disse Megan, "una di quelle vecchie signore. Hai fatto una
Buona Azione e lei ti ha dato una Ricompensa." C'erano moltissime
cose di questo genere a Sarxos: Rodriguez non si era fatto scrupolo di
rubare soggetti, più o meno noti, da racconti di fate, leggende
popolari e storie di fantasia di ogni epoca, dal presente fino ai tempi
di Luciano di Samosata. Di conseguenza, di solito era bene trattare
gli stranieri con sollecitudine, quando li si incontrava nei boschi.
Potevano essere giocatori sotto mentite spoglie... oppure poteva
trattarsi del creatore del gioco, interessato a scoprire se si giocava
secondo lo spirito che si era auspicato.
"Beh, ricompensato, sì, ma mi ha semplicemente fatto uno sconto,
non me l'ha regalata", disse Leif.
"Comunque, sembra proprio che tu abbia fatto un affare."
"L'ho fatto. Ed è un'ottima copertura per me, per andare a Minsar",
disse Leif. "Probabilmente ci sarà un bel numero di feriti che ancora
non sono stati curati, o perlomeno non da maghi esperti. E qual è il
tuo pretesto?"

Tom Clancy & Steve Pieczenik 49 1999 - WarGame Mortale


"Come al solito", disse Megan. "Guerriero provocatore indipendente,
ladro o spia, a seconda delle occasioni e a seconda di chi mi paga. Me
ne vado in giro, vedo chi fa che cosa e a chi poi vendo l'informazione
a chi paga di più. Ogni tanto rubo anche qualcosa... per una buona
causa, ovviamente. Combatto, se è il caso. Anche qui, dove la gente
dovrebbe essere più accorta, non sempre sospettano che una ragazza
o una donna possano essere in gamba nel combattimento come sono
loro, o anche più in gamba." Sorrise, un po' amaramente. "Nessuno
sospetta di te. Se poi non ti presenti come una scudiera gigante con
un reggiseno d'ottone e una grande lancia. Ti dirò che mi fa perfino
comodo sfruttare i luoghi comuni... anche se lo faccio solo al
negativo."
Leif annuì, pensieroso. "È una buona copertura", disse. "Le spie
hanno un buon motivo per essere ovunque... anche quando, in realtà,
non ce l'hanno. E fanno crescere il livello di paranoia intorno a loro
semplicemente con la propria presenza. La gente si lascia sfuggire
cose che altrimenti non si sarebbe magari lasciata sfuggire."
"Già." Megan bevve altro tè, poi si fermò un attimo a guardare nel
boccale. "Che diavolo... c'è qualcosa dentro questa roba!"
"Che cosa? Altre erbe?"
"Le erbe non hanno così tante zampe. Si tratta di un insetto", disse
Megan fermandosi un istante per ripescarlo, esaminarlo un attimo
con occhio critico e poi lanciarlo dietro le spalle. "Va bene. Ci
aspettano molte miglia da percorrere. Ce ne andiamo appena finito
qui, se sei pronto."
"Certo. Ho bisogno di qualche istante per verificare le coordinate
prima di partire e basta. Non voglio finire in Wussonia per errore."
Megan lo guardò con un'espressione perplessa. "Wussonia? Non ho
mai sentito questo nome."
Leif fece una smorfia. "È proprio dall'altra parte della Baia del
Crepuscolo", aggiunse. "Un posto piccolo, isolato. E per buoni
motivi."
"Oh?"
"Non essere così interessata! Non vorresti mai andarci."
Leif alzò leggermente le spalle. "Il posto è, beh, un po' soft. Pieno
di principesse malinconiche travestite da Barbie che vanno in giro alla
ricerca della Cosa Magica e saggi unicorni telepatici con grandi occhi

Tom Clancy & Steve Pieczenik 50 1999 - WarGame Mortale


pieni di tristezza atavica e piccoli nanetti coi cappelli a punta che
viaggiano in groppa agli animali amichevoli della foresta. Orsetti e
tassi in miniatura che vivono in casette costruite nei tronchi degli
alberi. Fatine svolazzanti con alucce trasparenti."
Megan fece una smorfia. "Sembra una cosa così dolciastra da farti
salire il livello degli zuccheri nel sangue."
"O da far male alla tua salute mentale. Non è molto lontana da
Minsar: è questo il problema.
Basta sbagliare una virgola decimale nella formula magica di
trasferimento e ci ritroviamo là. O, peggio ancora, ci ritroviamo ad
Arstan o a Lidios." Diede ancora un'occhiata al tizio che per la terza
o forse la quarta volta stava pulendo il suo clone di Glock.
"No, grazie", disse Megan, "ci sono già abbastanza pistole dove
vivo."
Leif annuì e si appoggiò allo schienale, stendendo le gambe.
"Anche se non siamo già sulla traccia giusta, cosa di cui dubito", disse,
"dovremmo riuscire a scoprire qualcosa di utile a Minsar, se, come
dici tu, i grandi giocatori stanno tutti convergendo in quel posto. I
pettegolezzi sono sempre più vivaci dopo una battaglia... in particolare
dopo una battaglia in cui uno dei protagonisti è stato espulso."
"È quello su cui conto io", disse Megan. "Se possiamo solo... che
cos'è?" chiese curiosa, perché Leif improvvisamente stava
guardando di nuovo sotto il tavolo vicino.
"Oh, oh", disse Leif. "Beh, penso che la cosa sia andata avanti
abbastanza a lungo. Esmiratovelithothl"
Ci fu un BANG! per lo spostamento d'aria sotto il tavolo. Tutte le
teste si girarono, in particolare quella del tipo che stava pulendo la
quasi-Glock. Tutti rimasero a guardare.
Da sotto il tavolo, sporco e imprecante, uscì carponi l'oste. Il viso e
le braccia erano pieni di brutti graffi: i segni sembravano graffi di
gatto, ma molto più profondi e ampi di quello che avrebbero
dovuto essere. Mormorando, ma senza guardare Leif, l'oste si alzò in
piedi, si spazzolò e si diresse verso la cucina imprecando con
veemenza sempre maggiore quanto più si allontanava.
Il ragazzo con il cappuccio scuro nell'angolo del camino stava
ridendo, più rivolto al tipo con la Glock che all'oste. Megan rimase a
guardare quest'ultimo incuriosita. "Era lui il topo?"

Tom Clancy & Steve Pieczenik 51 1999 - WarGame Mortale


"Uh, uh..."
"Questo non viola la legge del quadrato-cubo o qualcosa del
genere? Voglio dire, che cosa ne è stata di tutta quella massa mentre
aveva le dimensioni di un topo?"
"Ehi", disse Leif, "è magia, il che vuol dire che è il software a
gestire tutti i dettagli più sordidi. Non chiedermi cose che riguardano
la progettazione del software... non è la mia specialità."
Si alzarono. Megan lanciò sulla tavola una moneta tintinnante. La
figlia del locandiere la afferrò, la morse nel modo opportuno e quindi
la nascose nel suo corpetto. "Questa volta tocca a me", disse Megan
mentre la ragazza se ne andava. "Viste le circostanze, potresti avere dei
problemi se tentassi di pagare. L'oste potrebbe pensare che vuoi
lanciargli una maledizione."
"Questa è una cosa che non farei mai."
"Vallo a dire a lui" disse Megan, girandosi a dare un'occhiata
all'oste ancora furioso, che continuava a inveire.
Uscirono.
Megan fu felice di andarsene, dato che si cominciavano a
manifestare le premesse di uno scontro fra il tipo con la Glock e
l'uomo con il cappuccio scuro che sedeva vicino al camino. "Stai
guardando me?" stava chiedendo il tizio con la Glock. "Non c'è nessun
altro da guardare qui? Stai guardando proprio me?"
"L'aria si stava surriscaldando lì dentro", disse Megan mentre si
dirigeva con Leif verso il grande rettangolo d'erba che era il "parco
del villaggio" di fronte a Pheasant e Firkin.
"Meglio andarsene adesso, allora", disse Leif. "A Minsar comunque
succedono fatti più interessanti. Incidentalmente, quando arriviamo là,
noi 'ci conosciamo'?"
Megan ci pensò mentre si dirigevano, nel buio della sera, verso uno
spazio vuoto di fronte alla locanda. Qua e là, nell'erba, c'erano
pecore che brucavano e avevano lasciato nell'erba quel genere di
tracce che le pecore lasciano spesso dietro di sé, perciò Megan stava
attenta a dove metteva i piedi. "Non vedo perché non dovremmo. Ci
sono abbastanza occasioni di incontrarsi per caso a Sarxos che
nessuno probabilmente sospetterà che vi sia qualcosa di strano. E
nessuno di noi ha un profilo tanto alto da attirare l'attenzione, solo
perché è in compagnia dell'altro."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 52 1999 - WarGame Mortale


"Giusto", disse Leif. "Va bene, possiamo fare il trasferimento da qui."
"Non lì", disse Megan, indicando il terreno. "A meno che tu non
voglia portare con te quel mucchio di sottoprodotto di pecora."
"Oh." Leif si allontanò di qualche passo. "Giusto."
"Quanto è grande il cerchio di transito?", disse Megan.
"Un metro e mezzo. Sei pronta? Adesso andiamo."
Megan si guardò intorno per verificare che tutto quello di cui
aveva bisogno non si trovasse all'esterno del cerchio del metro e
mezzo. Andava tutto bene. Le sue armi erano tutte fissate molto
vicino alla sua persona, oppure facevano già parte di lei.
Leif pronunciò una parola di sedici sillabe.
Il mondo diventò nero, poi bianco, poi di nuovo si oscurò e
Megan sentì una specie di scoppio nelle orecchie. Qualche secondo
dopo, un altro scoppio, mentre tentava di far scomparire i puntini
fosforescenti che le danzavano davanti agli occhi, sfregandoseli. Il
problema con le magie di trasferimento era che per un attimo
provocavano nella realtà virtuale la stessa sensazione che si solito si
provava all'entrata e all'uscita dell'iperspazio, e per qualche secondo
ti lasciavano disorientati e semiciechi, come se qualcuno ti avesse
agitato una torcia elettrica davanti al viso.
Megan sbatté le palpebre. La vista stava tornando rapidamente
normale. Si trovavano nel silenzio profondo di una foresta di pini,
buia e fitta, di quelle che compaiono regolarmente nelle storie di fate,
con la notte che incombeva rapidamente. Nessuna traccia della città di
Minsar.
"Hai sbagliato", disse lei cercando di non avere un tono accusatorio.
"Merde", mormorò Leif, "dannazione, come è potuto succedere?"
"Non me ne preoccuperei", disse Megan, facendo uno sforzo per
impedirsi di scoppiare a ridere. Sapeva che Leif conosceva bene le
lingue, ma quello non era il tipo di impiego per cui normalmente
pensava venisse utilizzato un simile talento. "Cerchiamo solo di scoprire
dove ci troviamo."
"Sì, certo..." Leif si guardò attorno, poi si infilò le dita in bocca ed
emise un fischio lacerante.
Megan lo guardò con un po' di invidia. Anche con quattro fratelli, era
un'arte che non era mai riuscita a padroneggiare. Sembrava proprio che

Tom Clancy & Steve Pieczenik 53 1999 - WarGame Mortale


i suoi denti fossero nei posti sbagliati uno rispetto all'altro. Leif
fischiò ancora, più forte, poi si guardò attorno, in attesa.
Ci fu un fruscio in un pino vicino a loro, qualcosa di nero saltò da un
ramo alto a un ramo più basso.
Era un uccello esploratore. Questi uccelli si trovavano qua e là
all'interno del gioco e fornivano indicazioni di carattere generale. A
Sarxos, quando qualcuno chiedeva qualcosa, si poteva affermare
tranquillamente, che "l'aveva detto un uccellino". Qualcuno di quegli
uccelli non era tanto piccolo, però. Questo aveva le dimensioni e il
colore di un corvo, ma con un aspetto intelligente e un po' malvagio
che pochi corvi sarebbero stati capaci di dimostrare.
"Ehi", disse Leif, "abbiamo bisogno di un consiglio."
"Me ne è arrivato un rifornimento proprio questa mattina", disse
l'uccello, con una voce untuosa dalla quale si poteva immaginare che
in una vita precedente fosse stato un venditore di auto di seconda
mano. "Se girate qui e prendete quella strada per un miglio circa", e
indicò alla sua sinistra con il becco, "troverai di fronte a te, su un
picco elevato, una farina sdraiata sulla roccia, circondata dal fuoco..."
"Oh, no, assolutamente no", disse Leif rapidamente. "So come va a
finire questa storia. Sarebbe meglio una guerra nucleare."
"Certo dopo non troveresti più nessuno che canta così", disse
Megan. "Che strada dobbiamo percorrere per arrivare a Minsar da
qui?"
L'uccello la guardò freddamente. "Quanto vale per te questa
informazione?"
"Una mezza ciambella inglese?"
L'uccello sembrò prendere in considerazione la proposta. "Affare
fatto."
Megan frugò nel suo zaino e ne estrasse la frittella, che cominciò a
sbriciolare per terra. L'uccello scese volando e cominciò a beccare le
briciole, ma Megan fece un passo avanti e lo cacciò via.
"Ehi!" disse l'uccello, arrabbiato.
"Prima le indicazioni", disse Megan.
"Proseguite per questa strada per un miglio e mezzo, prendete la
prima a destra, procedete per un altro miglio e vi troverete al guado",
disse l'uccello. "La città si trova giusto due miglia più a nord. Ora
dammi."

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Megan indietreggiò e l'uccello svolazzò in avanti. "Come sono
cambiate le cose", mormorò mentre cominciava a ingozzarsi di briciole
di frittella. "Il problema è che nessuno si fida più di nessuno."
Leif ridacchiò. "Nessuno dà niente per niente qui", disse. "Ciao ciao,
uccellino!"
L'uccello, impegnatissimo a beccare, non rispose.
Se ne andarono. Leif sembrava ancora irritato per avere sbagliato il
suo primo transito. "Posso trasportarci da qui", disse. "Le coordinate
non dovrebbero essere un problema."
Megan alzò le spalle. "Perché consumare buone miglia quando
siamo così vicini? Possiamo tranquillamente camminare. Non è che la
foresta sia infestata di spettri o da qualcosa del genere."
"Non ho sentito niente di simile", disse Leif "ma comunque..."
"Se vuoi saltare va bene", disse Megan. "Ma qualche miglio in
mezzo al buio non mi preoccupa affatto."
"Oh, va bene... hai ragione, immagino. Andiamo."
Si incamminarono. Impiegarono poco più di un'ora per arrivare a
Minsar e sentirono i suoni e gli odori del luogo molto prima di vederlo.
Il primo odore che sentirono non fu proprio quello della città, bensì
quello del campo di battaglia giù vicino al guado. Il tempo soggettivo a
Sarxos passava più lentamente che non nel mondo reale. Era stato
Rodriguez a volere che fosse così sia per consentire ai giocatori di avere
più esperienza (vista la cifra che versavano per partecipare) sia per
rifarsi alle antiche leggende che tramandavano che il tempo scorresse
più lentamente per coloro che erano portati via da Elfi o da altre creature
soprannaturali che popolavano altri mondi. Ciò significava che nel
mondo esterno poteva essere trascorsa una decina di giorni dalla
battaglia di Shel Lookbehind con Delmond, ma qui erano passati
solo pochi giorni; e neanche un intero esercito di spazzini avrebbe
potuto pulire il guado dell'Artel in quel mentre. Dato che era già buio,
gli uccelli necrofagi se ne erano andati. Ma quando Leif e Megan
scesero verso il guado e i loro passi fecero scricchiolare la ghiaia sulla
riva, molti occhi fosforescenti si alzarono a guardarli dall'altra parte
del fiume, curiosi, disturbati nel loro banchetto.
"Sono solo lupi", disse Leif.

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Megan digrignò i denti, sia per l'odore sia per la vista di tutti quegli
occhi interessati, mentre guadavano le acque fredde e veloci del
fiume. "Appena. Appena un centinaio di lupi."
"Dall'odore si direbbe che ci sia già molto che li tenga occupati",
disse Leif. "Non ci importuneranno."
"Sicuramente no", disse sottovoce Megan. Leif si voltò a guardarla e
rimase leggermente sorpreso alla vista del pugnale, lungo e affilato,
che le era comparso improvvisamente in mano.
"E quello dove lo tenevi?" le domandò.
"Certo non in vista", disse Megan, mentre avanzavano al centro del
campo di battaglia. Non aveva senso tentare di aggirarlo; i cadaveri
erano ovunque. Mentre attraversavano il campo, si sentivano gli
sguardi dei lupi puntati addosso, ma poi questi ripresero a occuparsi
del macabro pasto. Nel silenzio della notte, il suono della carne
dilaniata e delle ossa triturate sembrava assordante.
Megan fu molto felice quando finalmente ritornarono sulla strada e
il rumore si allontanò alle loro spalle, dietro una curva. Ci volle più
tempo perché svanisse l'odore e, quando se ne fu andato, stavano già
percependo l'odore del sistema di fognature di Minsar, che scaricava
quanto usciva dai canali di scolo al centro delle strade dentro a stagni
situati all'esterno delle mura.
Minsar risaliva a centinaia di anni addietro e le sue dimensioni
ormai erano il doppio dell'area racchiusa dalle mura. Intorno alla
cerchia delle vecchie mura fatte di blocchi di granito c'era una città
più o meno permanente di tende e baracche, con l'inevitabile piccolo
assembramento di botteghe artigianali dagli odori troppo sgradevoli
o troppo pericolose per svolgere le proprie attività all'interno delle
mura. Come quelle dei conciatori, dei cartai e dei fornai (come altre
città Minsar aveva scoperto che, nelle condizioni giuste, la farina
poteva diventare un esplosivo). Ora, però, c'era un nuovo
accampamento di tende e di strutture temporanee all'esterno delle
mura: il padiglione e i carri dell'esercito che aveva difeso Minsar e gli
equipaggiamenti di numerosi altri gruppi di guerrieri, grandi e
piccoli, che erano venuti sotto gli auspici di un signore o di un altro per
mantenere il controllo della situazione.
Megan e Leif si aprirono la strada verso le porte della città attraverso
un frastuono assordante e un miscuglio di odori sgradevoli. Carne

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arrostita, vino spillato, pane che cuoceva dentro ai forni (i fornai
evidentemente stavano lavorando ininterrottamente per soddisfare le
richieste), sterco di cavalli, pozze stagnanti e maleodoranti sotto le
mura della città, l'occasionale ventata di profumo che arrivava da
qualche civile al seguito dell'esercito o da qualche soldato lavato e
profumato, appena usciti dai bagni costruiti all'esterno delle mura,
tutti quegli odori si fondevano in mezzo al suono di molte voci, che
parlavano o urlavano in molte lingue diverse, ridendo, imprecando,
scherzando, discorrendo. Leif e Megan ascoltavano i discorsi come
meglio potevano, mentre si avvicinavano alle porte e le superavano.
Le guardie alla porta esercitavano una sorveglianza assolutamente
blanda. La città era evidentemente ancora di umore festoso, dopo
essere stata salvata dal sacco minacciato da Delmond. La maggior
parte dei discorsi che Leif e Megan sentivano, dirigendosi verso il
selciato della via principale, non si riferiva ad altro: il pericolo
scampato per un soffio, l'esercito improvvisamente privo di una
guida e quale futuro lo attendeva.
"Dov'è finito il coltello?" disse sottovoce Leif. "L'ho messo via", disse
Megan.
"Bene. I pugnali qui sono fuori legge."
"Non penso che qualcuno sarà in grado di far valere questa regola,
stanotte", disse Megan, guardando tutto intorno le schiere di uomini
e donne armati che si aggiravano, tentando di arrivare alle locande
della piazza, o che ne uscivano con le bevande in mano. Cercò di non
fermarsi alla vista di un nano gobbo, vestito chiassosamente, che
attraversava il loro cammino, facendosi strada attraverso la folla
brandendo una spada in miniatura, con gran divertimento di tutti.
"Tu vuoi provare a disarmare tutta questa gente? Quante guardie
pensi che ci siano a Minsar?"
"Stanotte? Meno del solito", disse Leif. "Sono d'accordo con te."
Oltrepassarono un altro capannello di gente accalcata davanti alla
porta di una locanda. All'interno c'era una folla impossibile, tutta
schiacciata come sardine medioevali, che urlava e spingeva per
arrivare al bancone o per allontanarsene. Una cameriera corpulenta
stava attraversando la calca con le mani piene di boccali di birra, fatti
di pelle, incatramata all'interno. Usava quelle specie di borracce di
cuoio come armi offensive e intorno si formava un po' di spazio,

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quando la gente si tirava indietro per evitare di essere schizzata o
calpestata.
Leif si infilò nel capannello all'esterno della porta e vi si inoltrò un
po', con Megan alle costole. Il turbine di voci si chiuse sopra le loro
teste come l'acqua sopra il capo di un nuotatore.
"Non so perché Ergen insista a venire la sera quando è il momento
più affollato..."
"Andarsene di qui..."
"Su nel salone a cercare Elblai, ma non è rimasta a lungo, perciò
pensavo..."
"Troppi idioti qui che vogliono sbronzarsi e fare a cazzotti, non
vorrei..."
"Cinque di malto e un vino bollito..."
Megan osservò uno dei primi che avevano parlato allontanarsi dalla
folla seguito da un paio di amici. Batté sulla spalla a Leif e fece un gesto
col capo per indicargli di cambiare direzione. Lui annuì, e la seguì un
po' fuori dalla calca. "È un peccato che non abbiano delle docce qui",
mormorò.
"Dopo questo sento proprio di averne bisogno."
"Ehi, la notte è giovane. Ascolta, ho sentito un nome che conosco."
"Oh?"
"Sì. Elblai. Vedi quei tipi. Quelli che sono entrati in quel vicolo.
Vieni con me."
Lui si guardò intorno, e li identificò in mezzo alla folla: due uomini
alti, due più bassi e uno molto piccolo, che stavano infilandosi in un
vicolo. Megan si avviò dietro di loro.
Leif la seguì. "Che cosa dicevano?" "Qualcosa che mi ha
incuriosito." Fece un mezzo sorriso nella luce debole delle torce.
"Quando si fa la spia abbastanza a lungo, si colgono indizi di quello
che vai la pena di ascoltare. Potrebbe trattarsi di qualcosa di
interessante."
Megan si addentrò nel vicolo, con Leif alle spalle. Il vicolo non era
largo più di un metro e mezzo, con porte e finestre chiuse da imposte
su ambedue i lati. "Questa non è una strada", mormorò Leif, "è un
corridoio." Verso la fine del vicolo, c'era una porta leggermente
socchiusa. Dalla fessura si vedeva uscire il tremolio della luce di un
fuoco e dall'interno proveniva il suono smorzato di voci, risa e urla.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 58 1999 - WarGame Mortale


La porta si aprì per far entrare gli uomini che Megan e Leif stavano
seguendo, poi cominciò a richiudersi nuovamente. Megan corse avanti
per seguirli prima che la porta si chiudesse completamente. Si infilò
all'interno, cercando di farlo con noncuranza. All'interno c'era un
camino proprio di fronte alla porta, e accanto a esso un portello che si
apriva sulla cucina. Il portello aveva un ampio davanzale con vari
boccali di birra in attesa e, quando Megan e Leif entrarono, delle mani
si protesero dal portello e passarono a una cameriera un pollo arrosto
su un piatto. Era un locale di medio livello. Mentre altre locande
avevano torce infilate in anelli di ferro alle pareti, questa aveva vere
lampade a olio, coi vetri attorno. Sui vecchi tavoli sfregiati, sparpagliati
nel locale, c'erano candele con lo stoppino di giunco, ogni candela
bloccata in un piccolo sostegno di ferro, che bruciava come una
piccola stella fumosa. La maggior parte dei tavoli era occupata da
persone che mangiavano e bevevano, fumavano e chiacchieravano.
Leif, che era dietro a Megan, le batté sulla spalla, indicando un
tavolo vuoto su un lato, non troppo vicino a quello a cui si stavano
sedendo gli uomini che avevano seguito, ma non così lontano da non
consentire di origliare la loro conversazione. Per fortuna, gli uomini
non parevano affatto preoccupati di farsi sentire. Urlarono per
richiamare l'oste, ordinarono vino, si sistemarono intorno al tavolo e
ricominciarono la loro chiacchierata più o meno da dove l'avevano
interrotta.
"Andarsene via in questo modo."
"È stato espulso. Lo sanno tutti."
"Sì, beh, sono sicuri che sia proprio vero?"
"Oh, via, chi ha mai sentito di qualcuno che abbia finto
un'espulsione? Non penso nemmeno che sia possibile. Le Regole."
"Non mi risulta che ci sia qualcosa nelle Regole che lo impedisca",
disse l'uomo più piccolo, che aveva una faccia da falco e piccoli occhi
saggi. "Potrebbe essere una nuova tattica interessante. Svanire... poi
tornare quando non ti aspetta più nessuno."
Megan fu distratta quando una donna alta e magra si fermò
accanto al loro tavolo e chiese: "Cosa prendete?".
"La vostra migliore bevanda al miele, buona donna", disse Leif. "E
per la mia compagna..."

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"gahfeh, per favore", disse Megan. "Tostatura morstofiana, crema
densa e doppio dolcificante."
La donna alta e magra gettò all'indietro i capelli e disse: "Niente
crema. Il dolcificante doppio è extra".
"Oh, va bene, niente crema, dolcificante singolo", disse Megan,
rassegnata.
La donna se ne andò, con un'espressione che sembrava dubitare
della salute mentale di Megan per aver chiesto un extra.
"... Penso che sia una tattica che vorrei provare", disse uno degli
uomini. "E non mi sembra neanche nello stile di Shel".
"Oh, tu lo conosci bene, vero?"
"No, ma io sento le notizie come tutti gli altri. Se lui..."
Si interruppe quando al loro tavolo arrivò la cameriera, e ci fu una
lunga digressione, che riguardava principalmente bevande calde e
fredde. Megan non era interessata, ma era incuriosita dalla reazione
di alcuni avventori, guerrieri e mercanti che sedevano abbastanza
vicino da sentire quello che succedeva. Alcuni cercavano di
avvicinarsi a quegli uomini senza farsi notare. Quando la cameriera si
allontanò, gli uomini che Megan era stata ad ascoltare avevano
abbassato notevolmente le voci. Aggrottò un po' le sopracciglia e si
dedicò al suo gahfeh che era appena arrivato.
"Tutta teoria", disse Leif sottovoce.
"Qualche volta la gente non riesce a credere a quello che è successo
veramente", disse Megan. "Cominciano a razionalizzare. Vorrei
soltanto che citassero ancora quel nome, è tutto."
Leif scosse la testa in un gesto che voleva dire "che importanza può
avere". La voce degli uomini stava crescendo. "Perché dovremmo
stare a marcire qui giù quando tutti gli altri sono su nel salone?"
Megan si scoprì a desiderare che non fosse un gioco, ma qualche altra
forma più tradizionale di intrattenimento in cui si potesse
semplicemente alzare il volume per sentire meglio. "Non ci lasceranno
sicuramente entrare", rispose l'uomo a cui era stato rivolto l'invito.
Ci fu un'altra pausa quando arrivarono le bevande. Il primo uomo
afferrò il boccale di pelle con la birra che aveva ordinato e ne ingollò
rapidamente un lungo sorso. "Noi no forse, ma tutti i grandi Giocatori
entrano tranquillamente. Non possono permettersi di lasciar fuori
qualcuno stanotte. Chi sa mai chi può presentarsi; non riuscire a

Tom Clancy & Steve Pieczenik 60 1999 - WarGame Mortale


entrare, andarsene irritato... e ripresentarsi la prossima settimana con
cinquemila altri che nessuno avrà il coraggio di mandare indietro? La
città pagherà il conto per il divertimento dei grandi, stanotte, sono
pronto a scommetterci. È nel loro interesse. Domani, chi lo sa;
potrebbero non avere più riserve di viveri e trovare una scusa per buttar
fuori tutti. Ma nessuno caccerà di là i pezzi grossi, non stanotte. Ci
sono troppe trattative in ballo."
"E tu che cosa ne sai di queste trattative?" "Oh, lo so e basta."
"Certo, tu sei il miglior amico di Argath, lo so. È per questo che sei
giù qui con tutti noi a bere questa roba annacquata."
Ci fu uno scoppio di risa e un grugnito, dal quale si poteva dedurre
che le cose avrebbero potuto mettersi male, se gli altri avessero
insistito nel prenderlo in giro. Leif guardò Megan.
"Hai sentito un nome? Che nome?" le chiese.
Lei glielo disse.
"Beh", disse lui, "penso di averne appena sentito un altro. Sembra
che valga la pena fare una capatina".
"Sì, certo, se riusciamo a trovare un modo per intrufolarci là senza
essere presi per le orecchie buttati fuori."
Leif si concentrò. Megan rimase tranquilla per qualche secondo, la
discussione all'altro tavolo era scesa al di sotto della soglia di udibilità
mentre un paio degli uomini cercava di calmare quello che era
sembrato irritato, poi disse molto sottovoce a Leif: "Quanto te la cavi
come mago delle siepi?"
Lui la guardò con l'aria offesa per aver dubitato delle sue capacità
professionali. "Sono un ottimo mago."
"Vuoi fare un altro transito?"
"Da qui? Se sbaglio solo un decimale ci ritroviamo dentro una
parete, e così finisce una coppia di apprezzati personaggi. E tutta la
missione va in fumo. No, grazie!"
"Va bene. Puoi usare l'invisibilità?"
Leif la guardò, un po' sorpreso. "Ovviamente."
"Per due?"
Ci pensò un poco. "Non a lungo."
"Non ce n'è bisogno. Deve durare soltanto quel che basta per farci
arrivare al salone dove i pezzi grossi si sono riuniti. Dopo possiamo
nasconderci dietro un arazzo o qualcosa di simile."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 61 1999 - WarGame Mortale


"Mi costerà parecchi punti", disse Leif.
"E per una buona causa. Dai, Leif. Ti darò un po' dei miei punti
per compensare quelli che usiamo! I punti non mi mancano."
"Va bene", disse Leif. "Cerchiamo però di arrivare il più vicino
possibile. Dov'è il salone?"
"Nel maschio centrale, ne sono sicura."
Fingendo la massima indifferenza, finirono le loro bevande,
pagarono il conto e uscirono nel vicolo, chiacchierando in modo che
speravano risultasse normale. In una notte come quella, persone che si
muovessero silenziosamente nel buio avrebbero attirato l'attenzione.
"Se ci sono tutti e due", disse Leif, "ci siamo."
"Se sono lì", disse Megan. Si diressero verso il maschio, un'alta
struttura quadrata in pietra che torreggiava sul retro della piazza
centrale del mercato.
Attorno alla porta d'ingresso, aperta, stazionavano quelle che
sembravano parti di varie compagnie di guardie del corpo. Stavano
bevendo in coppe di metallo pregiato e parlavano tranquillamente,
guardandosi attorno, per aver almeno l'aria di non aver abbandonato
ogni tipo di sorveglianza. Molti avevano dei giacconi colorati sopra
le armature e quasi tutti avevano lo stemma di qualche signore
ricamato sul petto del giaccone. Osservarono con scarso interesse il
passaggio di Megan e Leif, diretti verso la zona in ombra sul fianco
del maschio, dove passava una strada stretta che scendeva in mezzo
alla città. Passando, Megan riuscì a lanciare un rapidissimo sguardo
attraverso il portone a quello che succedeva all'interno: un turbinio di
colori, suono di voci che rumoreggiavano e rimbombavano sotto
l'alto soffitto del salone, grandi arazzi sul fondo del salone che si
muovevano leggermente al vento che entrava dalle alte finestre, che
quegli stessi arazzi nascondevano.
Leif si fermò in un punto, appena girato l'angolo, in cui la luce delle
torce non arrivavano e si frugò in una tasca. "Interazione di gioco",
mormorò all'aria.
Megan sentì la leggera vibrazione nell'aria da cui si capiva che il
computer del gioco stava parlando a Leif in modo da non essere
sentito da nessun altro. "Trasferimento punti", disse. "Invisibilità.
Posto per due." Si fermò e le sue sopracciglia si alzarono. Guardò
Megan, "Sai quanto ci verrà a..."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 62 1999 - WarGame Mortale


"Non mi importa, basta che non sia più di tremila", disse lei, "perché
quelli sono tutti i punti che ho."
"Oh, no, sono solo duecento."
"Bene. Interazione di gioco", mormorò lei. "Ascolto", le disse
sottovoce il computer all'orecchio.
"Trasferisci duecento punti a Leif."
"Fatto."
"Finito."
"Va bene", disse Leif. "Sai come funziona?" "In linea di massima."
"Non metterti mai fra gli occhi di qualcuno e una sorgente di luce
intensa", disse lui. "Per fortuna, là dentro ci saranno soprattutto torce.
Stai vicino alle pareti, è la cosa migliore e, se devi passare davanti alla
luce, piegati. Parla a voce bassissima: il locus che ci rende invisibili
amplifica i suoni. E, per Rod, non andare a sbattere contro qualcuno."
"Bene."
"Intervento di gioco", disse Leif.
Seguì un breve silenzio. "Locus di invisibilità", disse Leif.
Improvvisamente tutto ronzava e la pelle le faceva prurito. Megan si
guardò intorno. Era tutto come sempre, eccetto che se adesso alzava le
mani davanti agli occhi, non riusciva a vederle.
Si girò, e scoprì di non poter vedere nemmeno Leif. Era un effetto
collaterale che, per qualche motivo, non aveva previsto. "Va bene",
disse la voce di Leif, con un forte rimbombo innaturale. "Guarda,
proverò a passare dalla porta principale quando le guardie non
prestano molta attenzione allo spazio fra loro e non c'è nessuno che
entra o esce. Tu fai lo stesso. Poi mi dirigerò verso il nascondiglio più
vicino sulla destra, tu invece, una volta entrata, nasconditi a sinistra.
Gira per un po', poi scegli l'arazzo più grande e infilatici dietro.
Lascerò diminuire un po' l'invisibilità finché siamo dentro, ci si stanca
molto a conservarla a lungo."
"Va bene, ma se c'è già qualcuno nascosto dietro l'arazzo?"
"Scegline un altro e prega che non sia occupato anche quello."
Avanzarono con cautela verso il portone. Megan dovette spostarsi
rapidamente un paio di volte, quando qualcuno le passava accanto,
quasi toccandola. Dovette farlo varie volte ancora mentre stava davanti
al portone aperto, in attesa del momento giusto. Ma finalmente ci fu

Tom Clancy & Steve Pieczenik 63 1999 - WarGame Mortale


qualche secondo di tempo in cui nessuno entrava o usciva e i soldati
di guardia erano girati in direzioni opposte.
Si intrufolò, urtando qualcosa che non poteva vedere: Leif. Le ci
volle un attimo per riprendersi dal colpo, poi oltrepassò la soglia e si
scansò dal percorso di un nobile vestito elegantemente che avanzava
dritto verso di lei. Rimase immobile per il tempo sufficiente a un rapido
esame del salone. Era un luogo decorato con eleganza, per essere
una camera che all'inizio era costituita solo da quattro pareti spoglie e
una serie di fori in cui infilare travi di copertura. Adesso c'era un
soffitto permanente, al posto di quello che ci doveva essere quando il
maschio serviva esclusivamente a scopo di difesa. Per tutta la
lunghezza della sala erano stati disposti alti pilastri bianchi, levigati. Al
centro c'era un grande tappeto a motivi rossi e blu; pelli di vari animali,
in particolare di pecore, erano distese un po' ovunque, accanto alle
pareti lontane, dove gli arazzi coprivano la pietra nuda e riparavano
dalle correnti. Al centro del salone c'erano molte persone, in
prevalenza in gruppetti di tre o quattro, intente a bere e parlare. In
fondo alla stanza, davanti all'arazzo più grande, c'era un palco, se tale
poteva essere definito. Si elevava solo di uno scalino, sopra il quale si
trovava una sedia bianca. La sedia era vuota.
Quella sedia esprimeva, forse più eloquentemente di tutto il resto, la
situazione. La città di Minsar ora non aveva un vero padrone: non più,
da quando Shel se ne era andato. Ora la sua sala dei ricevimenti era
piena di potenziali dominatori... persone che stavano esaminando la
proprietà dando per scontato che il vecchio signore non sarebbe
tornato, o comunque non in tempo per impedire l'usurpazione da parte
di uno di loro, e alcuni non erano certo quelli che un agente
immobiliare avrebbe definito "perditempo".
Megan si guardava attorno, mentre avanzava con molta cautela verso
la parete di sinistra e ci si appoggiava per riprendere fiato un istante e
togliersi il ronzio dalle orecchie. Probabilmente, pensò, Minsar
avrebbe dovuto passare un brutto periodo. A meno che la città non
riuscisse a trovarsi, e in fretta, un protettore potente, molto presto si
sarebbe trovata alle porte uno o l'altro di questi potenti, alla testa di
un esercito e il messaggio sarebbe stato: "Accettaci come 'protettori'...
o perderai tutto quello che hai". C'era una possibilità che il potenziale
protettore si trovasse in mezzo a quella folla; quello, sospettava Megan,

Tom Clancy & Steve Pieczenik 64 1999 - WarGame Mortale


era il vero motivo per cui si teneva il ricevimento. Nessuna città avrebbe
voluto mettersi in cattiva luce con il nuovo padrone, o essere accusata
di avere offerto a lui (o a lei) un'ospitalità insoddisfacente, una volta
che la polvere si fosse depositata.
Guardò in giro per la sala per stabilire quale fosse l'arazzo più
grande. Era quello che stava dietro il trono: non c'era alcun dubbio.
Perlomeno sembrava che nessuno facesse capannello da quelle parti.
Molti guardavano il trono, da una certa distanza, ma nessuno si
avvicinava troppo. Probabilmente nessuno vuole mostrarsi troppo
interessato, in questa prima fase, pensò Megan.
Si mosse con cautela e si avviò lentamente lungo il lato sinistro del
salone verso il palco, ascoltando attentamente tutto quello che sentiva.
Più avanti c'era una gran quantità di cibo disposto su una serie di tavole
disposte a U, e i nobili ospiti stavano per lanciarsi sul buffet come se
non mangiassero da giorni. Fra loro si muoveva, affettando
indifferenza (o così almeno parve a Megan), un uomo vestito in
modo abbastanza semplice, in grigio scuro, ma con una grossa
catena d'oro al collo, i cui anelli erano grandi quanto un pugno.
Era il sindaco della città, l'unica autorità costituita rimasta a Minsar, in
assenza di Shel. Agli occhi di Megan l'uomo aveva un'espressione
piuttosto tormentata, nonostante l'aria disinvolta; guardava gli ospiti
come se si aspettasse che da un momento all'altro potesse scoppiare,
proprio in quel salone, una rissa per il possesso della sua città. Per
fortuna non c'erano segni di possibili scontri. Megan guardò i nobili e
i guerrieri di alto lignaggio che mangiavano e bevevano a spese di
Minsar, ed ebbe l'impressione che tutti fossero interessati soprattutto a
cogliere l'occasione di una buona cena. Quello che non vedeva,
invece, era quel tipo di assembramento o di circolo di persone che
indica la presenza di una personalità davvero importante. Aveva
imparato a cercare quei piccoli raggruppamenti determinati dallo
status dei partecipanti, da quando li aveva identificati nei cocktail che
ogni tanto davano sua madre e suo padre. La regola era che la persona
più importante della festa diventava inevitabilmente il centro di quei
capannelli, anche se le persone nel gruppo potevano variare nel corso
del party. L'altra regola era che prima o poi tutti finivano in cucina...
ma qui era alquanto improbabile. La cucina era riservata
rigorosamente ai servitori.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 65 1999 - WarGame Mortale


Si avvicinò al buffet fin quando ne ebbe il coraggio, ascoltando
attentamente, non osando andare oltre per paura che qualcuno potesse
urtarla. Era una faccenda pericolosa, l'invisibilità. C'erano giocatori
che, sentendo qualcosa che non potevano vedere, avrebbero reagito
estraendo il loro pugnale.
"... il salmone è davvero squisito..."
"... senza vino. Dov'è quella ragazza? È proprio vergognoso, in
questo posto non ci sono abbastanza servitori..."
"... non ne valeva la pena, penso. È sul lato corto, e la discussione è
già cominciata."
"Oh?"
"Certo. Guardati in giro. Chiunque sia davvero interessato è in
disparte, che cerca qualche accordo. Ma non con lui, lui è fuori dal
giro..."
La persona che parlava, qualche duca o barone, a giudicare dalla
piccola corona nobiliare informale, rivolse lo sguardo al sindaco,
sorrise e volse la testa altrove. Poi girò intorno alla tavola, dalla parte di
Megan, diretto nel punto dove era stato servito un maialino di latte.
Arretrò rapidamente per togliersi dal suo cammino. Il duca o barone
le girò le spalle e prese un coltello.
Megan si mise fuori portata. C'erano persone che potevano percepire
le cose invisibili, ed era meglio essere cauti, specialmente quando
c'erano in giro coltelli che potevano sfuggire dalle mani di qualcuno
senza preavviso... come sapeva molto bene. Megan si mosse il più
adagio possibile fino a raggiungere il grande arazzo dietro il trono,
poi ci si infilò dietro.
Un bel po' più avanti poteva vedere un rigonfiamento nell'arazzo con
la forma di Leif. Immaginò che anche lui potesse sentirla. Stava in
piedi proprio nel punto in cui il palco e l'arazzo si toccavano e nessuno
avrebbe potuto vedere i suoi piedi. Si avvicinò a lui.
"Lo vedi?", gli disse.
"Ah, sei tu. Che cosa?", mormorò Leif.
"Il sindaco della città", disse lei. "Sta ungendo i dignitari.
Letteralmente."
"Già."
"Guarda, toglimi questa cosa per un po'. Questo ronzio è
fastidiosissimo. Non riesco a sentire altro."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 66 1999 - WarGame Mortale


"È una conseguenza dell'incantesimo", disse Leif. "Non c'è modo di
liberarsene senza annullare anche la magia. Se proprio vuoi..."
"Niente affatto", disse Megan subito. "Sono vestita troppo male per
questa gente. E per quanto ti riguarda, sembra che tu abbia dormito
su un albero. Lo sapevi che c'è della paglia che spunta dal tuo
cappello da mago?"
"È per l'atmosfera", disse Leif, con un tono che sembrava un po'
offeso. "Un mago delle siepi deve avere l'aria di uno appena uscito da
una siepe."
Megan frenò un risolino, perché Leif aveva controllato bene
quell'aspetto del suo personaggio. "Voglio uscire ancora", disse lei.
"Ma è proprio una sofferenza. Tu puoi renderti ancora invisibile, se
vuoi, ma io sono tentata di tramortire una delle cameriere, prenderle i
vestiti e mettermi a girare lì in mezzo con una caraffa di vino.
Sarebbe più facile origliare."
Leif sollevò le sopracciglia. "Fai un po' tu. Hai scoperto qualcosa?"
"Niente, e anzi ho il sospetto che tutti quelli che ci interesserebbe
ascoltare probabilmente siano altrove."
Leif grugnì. "Immagino che non ci sia da meravigliarsi. Eppure...
Rivediamoci qui fra qualche minuto. Vuoi la magia, o sei proprio
intenzionata a mettere fuori gioco quella cameriera?"
Lei sospirò. "La magia." Un istante dopo il ronzio nelle orecchie era
tornato e Leif non si vedeva più. "Grazie. Ci vediamo tra poco."
L'arazzo ondeggiò un po': Leif se n'era andato. Megan uscì dalla
parte opposta, stando bene attenta a dove si dirigeva. Essere invisibili
era utile, ma bisognava avere gli occhi anche sulla nuca, per non
scontrarsi con nessuno, ed era molto strano camminare senza riuscire a
vedere i propri piedi.
Si avvicinò nuovamente ai tavoli del buffet e nei quindici o venti
minuti successivi diventò assai abile nell'arrivare nei pressi del cibo e
delle conversazioni senza urtare nessuno e senza inciampare.
Cominciò addirittura a rubare un po' di cibo, con molta circospezione.
Il salmone era ottimo, e si sentì davvero soddisfatta, dato che aveva un
debole per il salmone.
"... quasi finito qui, penso", disse un uomo vestito molto
semplicemente con un abito con tagli ornamentali e i bordi ricamati in
blu notte.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 67 1999 - WarGame Mortale


La donna anziana a cui stava parlando aveva dei bei capelli
argentati raccolti all'indietro e indossava un abito riccamente ornato,
nero e argento. "Beh, immagino che il destino di questo posto sarà
segnato nell'arco di qualche giorno, nel bene o nel male. Peccato. Mi
piaceva questa piccola democrazia. Ma qualcuno farà un'offerta,
probabilmente in conseguenza di quello che succede nelle Marche."
"Che cosa, le Marche del nord? Così vicino? E così presto? Pensavo
che questa faccenda si trascinasse ancora per qualche altra settimana,
almeno."
La vecchia signora si guardò intorno prima di rispondere. Non c'era
nessun altro vicino (o così sembrava) e lei abbassò la voce: "Elblai ha
qualche asso nella manica, penso. L'ho vista salire per parlare con
Raist... e se non c'è il capo qui, Raist sarà disposto a negoziare."
"Argath non è qui?"
"Se n'è andato da circa un'ora, l'ho visto con i miei occhi. E di fretta,
anche. Penso che stia succedendo qualcosa... qualcosa che ha a che
fare con i suoi eserciti e che richiede il suo noto carisma."
"E se n'è andato lasciando Raist l'Ambiguo a sistemare i dettagli?"
"Non penso che Raist riuscirà a sistemare un granché." La vecchia
signora ridacchiò. "Scommetto su Elblai..."
Si allontanarono. Megan guardò gli arazzi dietro il trono vuoto, li vide
ondeggiare, deglutì e si diresse da quella parte.
Dietro l'arazzo, Leif si stava grattando. "Il prurito proprio ti
distrugge", mormorò.
"Non avresti dovuto parlarne", disse Megan, sentendosi
all'improvviso come una pubblicità ambulante di un preparato
antipulci. "Guarda, ho appena sentito una cosa curiosa. Argath non è
qui.
"Non c'è?" Leif si fermò, poi respirò a fondo e cominciò a
mormorare sottovoce qualcosa, in una lingua che Megan immaginò
fosse nordico. Non sembrava che si trattasse di preghiere.
"Senti, dacci un taglio per un momento, va bene?" disse Megan.
"Tutte quelle miglia sprecate..."
"Non cominciare a fare il tirchio, Leif. Non c'è tempo. Sai invece
chi è qui?"
"Chi?"
"Elblai."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 68 1999 - WarGame Mortale


Ammiccò. "Quella Elblai?"
"Proprio lei. È di sopra da qualche parte, che sta parlando con uno
degli uomini di Argath, a quanto pare."
"Zaffermets", disse Leif. Ricordi che cosa diceva quel tizio alla
taverna..."
"Sì, e non ho intenzione di parlarne ulteriormente finché non mi
dirai in che lingua è zaffermets" Ho l'impressione che talvolta tu ti
diverta a inventare qualcuna di queste parole solo per far colpo sulla
gente. Come se tu non parlassi già abbastanza lingue.
"È romancio", disse Leif con noncuranza, guardandosi attorno.
"Dialetto sursilvano, penso.
Guarda, penso di riuscire a reggere ancora un po' di invisibilità."
"Sei sicuro?"
"Vuoi andare a origliare che cosa dice Elblai, o no?"
"Ohh..." Megan era esasperata. "Dai... dobbiamo trovarli."
"Non dovrebbe essere difficile. Rimanendo invisibili, però..."
"Non lasciartelo scappare", disse Megan, "qualunque cosa tu faccia.
Vieni, le scale sono da questa parte. Staremo vicino al muro e
cercheremo di non intralciarci a vicenda, va bene?"
Le scale erano sorvegliate, ma le sentinelle non erano un ostacolo
per Megan e Leif: erano attente, ma di certo non erano in condizioni
di accorgersi di persone invisibili. Megan e Leif scivolarono dietro di
loro e salirono in silenzio le scale, che seguivano la parete di sinistra
fino al secondo piano. Leif si concentrò meglio che poteva per riuscire
a mantenere attiva l'invisibilità. È vero che avevano pagato per averla,
ma si doveva prestare attenzione poiché si poteva perdere l'invisibilità
in qualsiasi momento.
Il secondo piano era uno spazio unico, una grande stanza con
paraventi di legno o coperti di tessuto posizionati qua e là alla maniera
settentrionale, in modo da creare angoli appartati per chiunque
volesse un po' di privacy. Sulle pareti erano appesi altri arazzi per
riparare dalle correnti d'aria provenienti dalle feritoie. Da una
parte c'era Elblai seduta su una grande poltrona adorna, di fronte a
un paravento intagliato, mentre un uomo sedeva su una sedia più
piccola di fronte a lei. Era un uomo di bassa statura, magro, con i
capelli e la barba corti, vestito con abiti scuri.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 69 1999 - WarGame Mortale


Leif si spostò cautamente nella loro direzione, restando sempre
molto vicino alla parete. Poteva sentire i suoni attenuati di Megan che
lo seguiva. L'illuminazione lì era meno intensa: due lampade a olio
su sostegni metallici a volute intricate spargevano luce soprattutto al
centro della stanza.
Leif decise di non avvicinarsi a più di tre o quattro metri, e si
appiattì contro l'arazzo, attento a non farlo muovere. Sentì un leggero
ondeggiare della lana quando Megan fece lo stesso, e per un po'
rimasero entrambi a esaminare Elblai. È una donna che vai la pena
di analizzare, pensò Leif: sui cinquantanni, abbastanza robusta, con
capelli biondo-argento tagliati corti e un viso piuttosto in contrasto
con il corpo da casalinga. Aveva occhi dal taglio leggermente
diagonale, che le davano un aspetto vagamente esotico, ma gli occhi
erano grandi, pensosi e del blu più profondo che Leif ricordasse di
aver mai visto, quasi viola. Sembrava una nonna... ma una nonna che
si trovava a proprio agio con una spada in mano, la punta rivolta al
pavimento di pietra e con indosso una bella cotta di maglia metallica
lucente, su una lunga tunica di seta imbottita, che aveva il colore
della punta della fiamma di una candela. I suoi stivali consunti erano
appoggiati a un poggiapiedi di fronte alla sedia su cui Elblai era
reclinata. Teneva la spada con una mano appoggiata all'elsa e la
faceva dondolare, un po' da una parte, un po' dall'altra, con un lento
movimento ondeggiante mentre parlava.
"Quei tre sono una spina nel mio fianco da mesi", stava dicendo
con una cadenza morbida del Midwest all'uomo basso ed elegante che
le sedeva di fronte. "Ora, il vostro capo è in condizione di rendermi
un buon servizio."
"Sono sicuro che si possa convincerlo a fare ciò che vi preme",
disse l'uomo accarezzandosi la barba, tagliata corta, "purché possiate
dimostrargli che un intervento simile vada a suo vantaggio". Era
vestito tutto di nero lucente, con una tunica di satin decorato e una
lunga spada alla cintura.
Elblai fece una grossa risata. "Raist, non puoi dirmi che Lillan e
Guglielmo e Menel non abbiano rotto le scatole a lui almeno quanto a
me. Da quando è arrivata la primavera sono andati in giro per il nord
alla ricerca di una guerra in cui interferire. Io non avevo niente in corso
in cui volevo che intervenissero e gliel'ho detto, chiedendogli di

Tom Clancy & Steve Pieczenik 70 1999 - WarGame Mortale


togliersi di mezzo prima che perdessi la pazienza. Beh, si sono tolti
dai piedi, certo, ma dove se ne sono andati? Diretti alle Marche
Orxeniane, e che cosa fanno, se non vendere ad Argath i contratti dei
loro eserciti?"
"Oh, via", disse l'ometto elegante, "via, signora, state facendo un po'
di confusione. Quei contratti sono stati acquistati da Enver, Signore
delle Marche, che, come tutti sappiamo..."
"... che, come tutti sappiamo, non scoreggia se Argath non gli dice di
farlo", disse Elblai, con un gesto di impazienza. "Non offendete la mia
intelligenza cercando di convincermi che Enver sia un cane sciolto.
Argath gli ha dato istruzioni di acquistare quei contratti senza tanto
rumore, e poi di schierare gli eserciti di quei tre signori contro il
mio, che, potrei aggiungere, è rimasto negli accampamenti estivi
molto pacificamente pensando agli affari suoi. Uno stato di cose che il
vostro padrone non riesce a capire, così pensa che dietro ci debba
essere qualche genere di complotto."
Elblai abbassò una gamba, poi accavallò l'altra, sempre continuando
a far ondeggiare la spada con la punta in giù, pigramente, lentamente,
avanti e indietro: la spada catturava la luce di una delle lampade a olio e
il riflesso saettava di qua e di là su un arazzo appeso, così che i cani a
caccia disegnati sull'arazzo sembravano fissare la chiazza di luce in
movimento. "Beh, se vuole un complotto, gli daremo un complotto.
Non pensate che non abbia notato i movimenti di truppe negli ultimi
giorni. So riconoscere un accerchiamento quando lo vedo. Un
tentativo di accerchiamento. Il vostro padrone, Argath, farà meglio a
guardare a oriente, perché i miei rinforzi stanno arrivando. Ed è un
numero di guerrieri tre volte superiore a quello che può mettere in
campo lui in questo momento. So i suoi effettivi, e le sue intenzioni, se
lui non sa le mie. Ma è per questo che assumo i miei maghi e faccio
in modo di avere sempre i migliori."
L'ometto elegante se ne stava immobile. Il suo volto non tradiva
alcun cambiamento di espressione.
"Ora il vostro padrone ha davanti a sé diverse strade possibili",
continuò Elblai in modo ragionevole. "Può andare avanti sulla via che
ha intrapreso. Nel qual caso domani sul tardi o alle prime luci del
giorno dopo Lillan, Guglielmo e Menel saranno ridotti a concime,
insieme con i loro eserciti. E dopo avere fatto di loro il miglior uso

Tom Clancy & Steve Pieczenik 71 1999 - WarGame Mortale


possibile, mi dedicherò a fare lo stesso con Argath. Ci vorrà magari
un po' più di tempo, ma i miei sono mobilitati e pronti, mentre i suoi
sono dispersi un po' dappertutto nel paese, con l'obiettivo di
tenere i regni circostanti fuori da queste lotte. Beh, provvederemo
anche a questo. La mia idea è che, nel momento in cui qualcuno
attacca Argath con una forza abbastanza robusta da fare la differenza,
allora tutti i suoi vicini, che hanno sopportato troppo a lungo i suoi
saccheggi, gli si rivolteranno contro. Pensate che potrà parare un
attacco su cinque fronti? Perché è di questo che stiamo parlando. Se
non di più. Argath, re degli orxeniani, sarà ridotto a una viscida
poltiglia di carne umana, quando i nostri cavalli avranno finito di
passargli sopra."
Elblai fece una pausa. La stanza era avvolta nel silenzio più completo,
se si escludeva il piccolo r u mo r e prodotto dalla punta della spada di
Elblai che strisciava sul pavimento di pietra. Leif trattenne il respiro,
sicuro che qualcuno l'avrebbe sentito in quel silenzio. Accanto a lui,
sospettò che Megan stesse facendo lo stesso.
"Ora", riprese infine Elblai, "questa è una possibilità. Un'altra è che
richiami i suoi tre amichetti e dica loro di portare i loro eserciti da
qualche altra parte, nel qual caso tutti sapranno subito che cosa è
successo esattamente. Nessuno di loro riesce a conservare un segreto
che valga qualcosa, specialmente se pensa di essere stato usato per
fini che non aveva previsto. In questo caso sicuramente lo
penseranno, il vostro padrone perderà un bel po' di faccia e si
esporrà a ogni genere di guaio, se non quest'anno, certo il prossimo.
Ma scommetterei su quest'anno."
"Siete molto sicura di tutto questo, vero?" le chiese Raist.
"Oh, ci può scommettere", disse Elblai. "Sono altrettanto sicura che
il tuo padrone non approfitterà della possibilità numero due. Troppo
rischio di uscirne facendo una brutta figura. Perciò c'è anche la
possibilità numero tre... nella quale affronta Lillan e Guglielmo e
Menel lui stesso, e distrugge i loro eserciti, così dà alle sue truppe
qualcosa da fare che non sia farsi spazzar via dalle mie e si fa la fama
di "quello che mantiene l'ordine nelle Marche". Tanto per cambiare ci
fa una bella figura. Una seccatura, voglio dire quei tre con i loro
eserciti, eliminata. E Argath non perde la faccia."
Raist aprì la bocca.

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"Ma normalmente non sceglierebbe nemmeno la possibilità numero
tre, penso", continuò Elblai, "perché non è venuta in mente a lui per
primo."
Raist chiuse nuovamente la bocca. "Probabilmente dovrà ammazzare
anche Lord Enver", aggiunse Elblai come se ci avesse appena pensato,
"ma in fondo è un po' di tempo che avrebbe voglia di farlo."
Ci fu ancora silenzio per qualche attimo. "Così", disse Elblai, "tornate
al vostro signore, se n'è andato un'ora fa, diretto verso nord
all'accampamento del suo esercito, e spiegategli le sue possibilità. Fate
attenzione. Io per parte mia preferirei proprio la terza. Ma se cerca di
forzarmi la mano, sono pronta a spazzare via lui e i suoi eserciti dalla
faccia di Sarxos e neanche Rod verserà una lacrima. Fateglielo ben
presente, perché mi è sempre piaciuto un bello scontro prima che
arrivi l'autunno... e se insiste, sarà con lui. Questa è la sua ultima
opportunità di cambiare idea e di preparare un bell'autunno tranquillo
per tutti... e per essere sicuro di vivere abbastanza a lungo da vedere
l'autunno."
Raist si alzò. "Se ho il permesso di vostra signoria di andare..."
"Tra un momento. Io so anche che dopo questa campagna ha dei
progetti che riguardano Lord Fettick e la duchessa Morn. I loro paesi
finora sono stati in posizioni molto precarie. Beh, abbiamo parlato un
po'... e loro sono pronti a stringere un'alleanza strategica con un'altra
potenza, che non sono io, ma lasciamo che il vostro signore e padrone
scavi un po' per i fatti suoi, che è particolarmente interessata ad
arruolarli. Quando questa alleanza sarà siglata, nel giro di qualche
giorno, penso, le forze che potranno mettere in campo saranno
davvero notevoli. Quasi certamente entreranno direttamente in
guerra, non vedono l'ora di togliersi Argath dai piedi. Ed elimineranno
anche il duca Mengor. Sanno perfettamente come Argath ha usato la
collaborazione di quel piccolo pupazzo. Perciò fategli capire che i
suoi problemi sono appena cominciati."
Raist era rimasto in piedi, nervosamente in silenzio. Dopo un istante,
Elblai gli fece un cenno con la testa. "Andate, dunque. Fate attenzione
sulla strada. Ci sono molti lupi sciolti in giro in questo momento..."
Raist si inchinò frettolosamente e se ne andò. I suoi passi
echeggiarono sulle scale.

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Elblai rimase immobile nella stanza silenziosa. Dopo poco si
sentirono altri passi sulle scale e comparve una ragazza bionda, con
una tunica azzurra. "Zia El?" la chiamò.
"Sono qui, tesoro."
Zia?pensò Leif.
La giovane si avvicinò. "E allora?"
Elblai sospirò e appoggiò la spada contro il bracciolo della sedia.
"Attaccherà", disse, "ne sono sicura."
"E allora che cosa farai?"
Elblai si alzò e si stirò. "Stenderò a terra lui e le sue truppe",
rispose. "Non vedo molte altre possibilità, se voglio difendere la mia
posizione. Per quel che riguarda lui, preferirei evitare di ucciderlo, ma
non ha nemmeno il cervello che Rod ha dato alle ostriche a punta
azzurra e insisterà nel voler mettere in scena il suo spettacolo. Non gli
sarà di aiuto; non questa volta."
La giovane sospirò, un sospiro quasi identico a quello che aveva
emesso la zia. "Va bene", disse. "Parlerò agli altri capitani e li
aggiornerò, e manderemo nostri messaggeri ai rinforzi."
"Fallo. Di' loro che penso che Argath cercherà di raggruppare un po'
di truppe dai regni tributari. Non penso che troverà molto più di un
paio di migliaia di guerrieri, però, almeno non in così poco tempo. Gli
saremo ancora superiori, tre contro uno, che è proprio come piace a
me. Non ho mai avuto inclinazione per le imprese disperate del tipo o-
morte-o-gloria." Sbuffò, un suono che Leif aveva sentito ogni tanto da
sua nonna e che lo fece sorridere. "Vediamo di fare questa cosa... e poi
scendiamo a mangiare qualcosa prima che finiscano tutto."
Uscirono.
Leif attenuò ancora una volta la magia dell'invisibilità. Per loro
sollievo, il ronzio nelle orecchie scomparve.
Leif guardò Megan.
"Abbiamo un grosso problema", mormorò Megan.
"Ah, sì? E quale?"
"Abbassa la voce. Non hai sentito? Batterà Argath", disse Megan. "E
questo la rende un bersaglio primario per l'espulsione."
Leif la guardò storto. "Aspetta un attimo. Tu eri quella che prima
parlava di non formulare teorie senza dati. Non abbiamo più dati di
prima... se non a proposito di un attacco che sta per avvenire."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 74 1999 - WarGame Mortale


"Certo... ma l'hai sentito, Leif! Ha su Argath una superiorità
schiacciante, tre contro uno. Lo farà a pezzi. E sono le persone che
l'hanno fatto a pezzi in passato che sono state espulse."
"Ascolta, io spero che lei lo faccia a pezzi", mormorò Leif. "Non è
esattamente un modello di elevati standard morali sarxoniani, no? E
poi, se il suo personaggio viene ucciso e le espulsioni continuano, allora
magari avremo qualche prova che non è lui il colpevole."
Megan lo fissò. "Sarebbero prove circostanziali come quelle che
abbiamo adesso", disse. "Leif, se Elblai verrà attaccata in qualche
modo e noi abbiamo qualche sospetto, dobbiamo rischiare un po',
uscire allo scoperto e farglielo sapere! Qui interpreta un personaggio
molto forte, non sarebbe giusto lasciare che venga espulsa solo per
indurre in tentazione l'espulsore' e farlo uscire allo scoperto. È il
caso che prenda qualche precauzione."
"Se noi l'avvertiamo", disse Leif, "potremmo mettere in guardia
Argath o chiunque sia responsabile di queste espulsioni. E
perdiamo un'occasione per scoprire chi sia, lui o lei."
Megan si prese la testa fra le mani. "Non posso credere che stiamo
facendo questa discussione. Non puoi usare un altro giocatore come
esca!"
"Megan, cerca di ragionare per un momento. Avvertirla cornei Non
sappiamo chi sia, nella vita reale e non lo scopriremo. Che cosa mi dici
delle regole di riservatezza? Se la sua identità è segreta e sceglie di
restarlo, non c'è modo di trovarla."
"Se riusciamo a raggiungere il gamesmastetf" disse Megan,
"attraverso la Net Force..."
"Certo. E gli chiediamo di violare la riservatezza sulla base di un
sospetto. Non lo faranno mai. Anche se potessimo convincerli, ci
vorrebbe troppo tempo per riuscire a combinare qualcosa di buono."
"Dobbiamo avvertirla adesso, allora", disse Megan.
Leif rimase a guardarla per un po'. Poi, con un po' di riluttanza:
"Va bene. Hai visto il suo stemma, il basilisco. C'erano diversi dei
suoi giù da basso, con quello stemma. Scendiamo e ci presentiamo...
usciamo allo scoperto".
"Va bene."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 75 1999 - WarGame Mortale


Leif lasciò andare la magia dell'invisibilità, sollevato di non doverla
mantenere più, e scesero nuovamente le scale. Nel salone si
guardarono intorno, ma non c'era segno di Elblai.
"Ci sono delle stanzette private sui lati", disse Leif. "Potrebbe
essere in una di quelle..."
"No", rispose Megan. "Ci sarebbero delle guardie. Ma osserva lì."
Era la giovane che avevano visto con Elblai prima. Sulla semplice
tunica azzurra ne aveva indossata una più scura, con lo stemma del
basilisco rampante di Elblai. Stava guardando pensosamente in giro
per la stanza i nobili e i guerrieri che mangiavano, bevevano e
parlavano.
Megan e Leif si diressero verso di lei, suscitando l'interesse e il
divertimento dei nobili, non appena videro l'abbigliamento strano
dei due che avevano fatto irruzione nel loro festino. "Mi scusi", disse
Leif alla giovane donna bionda e si inchinò leggermente. "Se, come
penso, lei è con la nobile signora Elblai..."
"Se volete avere un'udienza", disse la donna, guardandolo con
espressione interessata, "mi dispiace, ma stanotte non è disponibile."
"Non un'udienza", disse sottovoce Megan, "un avvertimento."
La donna inarcò le sopracciglia. "A che proposito?"
"Argath", disse Leif.
L'espressione della donna diventò molto più cauta.
"Se, come corre voce, la vostra signora sta pensando di attaccare le
forze di Argath", disse Leif, "dobbiamo avvertirla che potrebbe
accaderle qualcosa di funesto. Tutti coloro che hanno battuto Argath
recentemente in battaglia sono stati danneggiati... come si vede da
questo consesso stasera."
L'espressione sul volto della nipote di Elblai cominciava a farsi
veramente gelida. "Un avvertimento interessante", disse. "Chi vi
manda?"
Leif aprì la bocca, poi la chiuse.
"Si potrebbe pensare che questo avvertimento sia a vantaggio di
Argath", disse la giovane, "se in effetti si fosse pensato a un tale
attacco."
"Non ci manda nessuno", disse Megan. "Siamo indipendenti... e
vogliamo solo il bene di vostra zia."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 76 1999 - WarGame Mortale


Gli occhi della giovane si spalancarono per un attimo, poi si fecero di
nuovo duri. "La nostra parentela non è nota a molti", disse. "Chi siete
voi?"
"Uh", disse Megan.
"Stiamo indagando sulle 'espulsioni'", disse Leif e Megan provò un
improvviso senso di sollievo perché non aveva aggiunto "per la Net
Force". Sarebbe stato spingersi un po' troppo oltre. "Temiamo che
vostra zia corra il rischio di diventare un"espulsa', se continua per la
strada che ha intrapreso."
"Ah, sì? E quale sarebbe quella strada?"
Come faccio a mettergliela nel modo più diplomatico? pensò Leif,
chiedendosi come l'avrebbe formulata suo padre. Probabilmente in
modo molto esplicito. "Se Lillan e Guglielmo e Menel..." cominciò
Leif.
Gli occhi della giovane si strinsero ancora di più. "Non parlo
normalmente di avvenimenti esterni", disse, "con persone che non
conosco, e della cui buona fede non posso essere certa." La
sua espressione a quel punto era completamente
gelida. "Penso di dovervi chiedere di andarvene."
"Per favore... vogliamo solo parlare un attimo con Elblai."
"È impossibile. Ha dovuto andarsene per affari: il che forse è una
fortuna."
"Guardi, è davvero importante", disse Megan.
"Forse lo è per voi", disse la giovane donna con freddezza. "Avrei
accolto il vostro avvertimento più cortesemente se non fosse ovvio
che voi, o qualcuno collegato a voi, recentemente ci ha spiato. I
consigli delle spie sono a doppio taglio, dicono, ed è mio compito
proteggere mia zia contro quanti la vogliono danneggiare."
"Ma questo è esattamente quello che stiamo cercando..."
"Buona notte", disse la ragazza rigidamente. "Andatevene, adesso...
prima che vi faccia buttar fuori."
La fissarono, poi si diressero verso la porta.
Leif si girò a guardarla un'ultima volta mentre uscivano. La nipote di
Elblai aveva chiamato qualcun altro che presentava le insegne di sua
zia, un uomo alto e calvo, che gli stava sussurrando qualcosa
all'orecchio. L'uomo guardò in direzione di Leif e Megan, poi lasciò di
fretta il salone, passando per una delle uscite laterali. Megan e Leif

Tom Clancy & Steve Pieczenik 77 1999 - WarGame Mortale


erano ancora in mezzo alla confusione della piazza principale quando
accanto a loro passò veloce un cavaliere e poi semplicemente svanì
con un botto di spostamento d'aria.
"Fantastico", mormorò Leif. "Ora non abbiamo alcun modo di
sapere dove se ne sia andata."
"Ho una bruttissima sensazione", disse Megan. "Penso che questa
storia con Argath si sia appena infiammata, in qualche modo.
Altrimenti perché se ne sarebbe andato anche lui?"
Leif scosse la testa. "Beh, almeno abbiamo tentato."
"Tentare non significa finire il lavoro", sentenziò Megan con aria
triste. "Fare significa portare a termine."
Leif la guardò ironicamente mentre attraversavano la piazza. "Ah,
ancora i classici. Chi è? Emerson? Ellison?"
"Mia madre", rispose Megan. "Andiamo... vediamo di uscire da qui.
Abbiamo bisogno di pensare e, per quanto mi secchi dirlo, penso
sempre meglio quando non sono collegata."
Uscirono dal gioco ed entrarono nello spazio di lavoro di Leif. Era
qualcosa che Megan aveva visto solo in foto, una casa di legno in stile
islandese antico, completamente coperta con assicelle, gli spioventi
fortemente inclinati, ornati di teste di drago intagliate con grande
raffinatezza. All'interno la casa era molto pulita e semplice, una
versione high-tech di una moderna casa danese, con le grandi finestre
polarizzate che guardavano su un paesaggio di morbidi campi verdi su
cui si stendeva un cielo azzurro chiaro.
Megan non era d'umore adatto per apprezzare lo spettacolo che la
circondava. Discusse con Leif per quasi un'ora di quello che avevano
fatto e di come avrebbero potuto migliorare.
"Non sono sicuro che avremmo potuto fare di meglio, francamente",
disse Leif. "Era una missione per scoprire dei fatti. Bene, li abbiamo
trovati e anche significativi, direi."
"Sì... ma, Leif, non riusciremo a trovare niente abbastanza in fretta da
poterci cavare qualcosa! Non riesco a liberarmi dalla sensazione
che avremmo dovuto affrontare la situazione in modo più strutturato."
"Ah sì? E da quando hai questa sensazione? Non mi sembra che
l'avessi quando ce ne siamo andati."
"Non importa. Ce l'ho adesso. E mi preoccupano anche gli altri due che
ha citato Elblai, Fettick e Morn." Megan stava camminando avanti e

Tom Clancy & Steve Pieczenik 78 1999 - WarGame Mortale


indietro, scuotendo la testa. "Supponiamo che Argath riesca a venir
fuori dallo scontro che si profila, ipotesi da non escludere affatto, visto
che è già successo in passato che lui sia riuscito a farla franca, anche
quando il suo intero esercito è stato massacrato, e poi decida di
prendersela con loro? Da quel che ha detto Elblai, saranno nelle
condizioni di batterlo... il che li rende potenziali 'espulsi'."
"Non è", disse Leif, "che stiamo finendo in un vicolo cieco con tutte
queste congetture?"
"Se hai in mente qualcosa di meglio", disse Megan, "mi piacerebbe
tanto sentirlo." Leif si sedette su un divano molto semplice e si passò
le dita tra i capelli rossi, con un gesto eloquente da cui si capiva che
non aveva proprio niente in mente. "Sentì", disse, "facciamo una
pausa, va bene? Stiamo solo girando a vuoto adesso."
Megan sospirò e annuì. "Va bene. Quando ci rivediamo?"
"Domani sera?" propose Leif.
"Non posso. Domani sera c'è una riunione di famiglia. In quelle
occasioni non gioco. Resto a guardare i miei fratelli che divorano la
casa. Dopodomani sera?"
"D'accordo."
Megan si preparò a dire al suo impianto di uscire. "Sentì, mi
dispiace di essermela presa con te."
"Non è vero che ti dispiace", disse Leif e sorrise, anche se il sorriso
era un po' storto.
"Va bene. Non mi dispiace. Ma comunque avevi ragione. Abbiamo
fatto del nostro meglio."
Leif si infilò un dito in un orecchio come per pulirselo. "Deve
essere colpa di tutto il tempo per cui ho dovuto mantenere
l'invisibilità, ma giurerei di averti sentito dire che avevo ragione."
"Dirò qualcos'altro fra un momento", disse Megan. "E in inglese.
Ci vediamo dopodomani."
Leif le fece un gesto di saluto mentre svaniva.
Megan sbatté le palpebre e si trovò seduta nella poltrona nell'ufficio.
Le luci nella stanza erano molto basse. Guardò l'orologio. Era molto
tardi, visto che il giorno dopo doveva andare a scuola.
Per fortuna aveva svolto i suoi compiti prima di entrare a Sarxos per
incontrare Leif. Ci mancherebbe solo di avere addosso anche la
mamma...

Tom Clancy & Steve Pieczenik 79 1999 - WarGame Mortale


Si alzò dalla poltrona intorpidita. Devo proprio scambiare ancora
quattro chiacchiere con il programma muovi-i-tuoi-muscoli. Mi sento
come se fossi rimasta nella stessa posizione per ore. Silenziosamente si
mosse nell'ufficio nel seminterrato e spense le partì del sistema che
dovevano essere spente la sera, poi si fermò vicino alla scrivania
dove qualcuno, una volta tanto, aveva gentilmente spostato una pila
di libri in modo da lasciare scoperto il ricevitore dell'impianto ottico.
A cena con William Shakespeare. Qual è il futuro del caos. La guerra nel
2080. E cavaliere, la morte e il diavolo.
Su che cosa stava facendo ricerchi pensò Megan sbadigliando, mentre
se ne andava a letto.
La mattina dopo si alzò presto e trovò suo padre seduto al tavolo della
cucina che guardava la finestra videostereofonica appesa alla parete con
un'espressione preoccupata. "Non è una cosa che fai anche tu nel tempo
libero?" le disse indicando la finestra.
Megan, che stava lottando con un maglione, riuscì finalmente a
infilarselo sopra la camicetta e guardò la finestra. Mostrava il logo di
Sarxos e, sotto, un filmato con una barella che veniva scaricata da
un'ambulanza e portata in un pronto soccorso da paramedici con i tipici
camici arancione e la scritta LifeStar in blu sulla schiena, "...l'attacco,
secondo la nipote della donna, anche lei giocatrice di Sarxos, potrebbe
essere legato a una faida o a una vendetta di cui sarebbe responsabile
qualche altro giocatore. Ellen Richardson, che in Sarxos, il famoso
gioco di ruolo della realtà virtuale, interpreta la parte di Elblai, stava
recandosi al lavoro all'ufficio postale di Bloomington, Illinois, quando
un pirata della strada ha spinto fuori dalla carreggiata la sua auto,
facendola finire contro un palo della luce. La donna è stata ricoverata
al Mercy Downtown Hospital, dove si trova in stato di coma. Le sue
condizioni sono descritte come 'critiche ma stabili'."
Venne inquadrata una donna in camice di laboratorio che leggeva un
comunicato scritto. "La paziente in questo momento non risponde alle
stimolazioni, ma sarà sottoposta a intervento chirurgico non appena
possibile. I medici attualmente danno una probabilità di settanta a
trenta di..."
"Oh mio Dio", disse Megan sottovoce.
"Non la conoscevi, vero?" le chiese il padre.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 80 1999 - WarGame Mortale


Scosse la testa, senza riuscire a staccare gli occhi dalla finestra video,
ora occupata dal volto della giovane donna dai capelli biondi con cui
aveva parlato non più di otto o nove ore prima. Era rigato di lacrime e
distorto da una rabbia controllata a stento. "Abbiamo ricevuto un
avvertimento", stava dicendo, "che se mia zia avesse continuato a
seguire una determinata linea d'azione nel gioco le sarebbe potuto
succedere qualcosa di non meglio specificato ma sicuramente
spiacevole. Mia zia non ha dato peso a quell'avvertimento. Si sente
spesso questo genere di cose nel gioco, ma per lo più si tratta di bluff
per metterti fuori strada. Nessuno aveva la benché minima idea che
qualcuno potesse..."
Non riuscì più a trattenere le lacrime e girò il viso dall'altra parte,
facendo segno alla telecamera di andarsene.
Megan rimase bloccata, invasa da ondate alternativamente calde e
fredde di terrore.
Siamo arrivati troppo tardi. Troppo tardi. E che cosa succede se...
... oh, no, e se qualcuno pensa che noi...
Corse al computer per chiamare James Winters.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 81 1999 - WarGame Mortale


3

Quando lo trovò nel suo ufficio, le veneziane erano chiuse e Winters


stava guardando pensosamente un blocco di informazioni audio-stereo
sulla scrivania. "Sì", disse, senza alzare lo sguardo. "Pensavo che ti
saresti fatta viva adesso. Che cosa sai di quello che è successo?"
"Ho sentito di quella donna a Bloomington", disse Megan.
"Signor Winters, mi sento malissimo, eravamo con lei proprio la
notte scorsa..."
"Me lo ha detto Leif", disse Winters "lei però non sa che c'eravate."
"Dimmi qualcosa", riprese Winters e poi alzò una mano. "No,
aspetta un attimo. Prima di cominciare..." si chinò nuovamente a
guardare il blocco. "È appena arrivata una nota dall'ospedale di
Bloomington. Sta entrando in sala operatoria proprio in questo
momento. La maggior parte delle ferite non sono molto gravi, ma la
situazione resta comunque critica per quel che riguarda i traumi
cerebrali. Non si può dire quanto siano gravi finché il cervello non ha
avuto il tempo di 'registrare' il danno e di reagire.
Evidentemente si tratta di un caso di quello che chiamano
"contraccolpo", in cui il cervello va a colpire l'interno del cranio e si
danneggia all'impatto. Se riescono a far diminuire il rigonfiamento in
tempo... andrà tutto bene. Almeno non sembra che sia in pericolo
imminente di morte."
"Oh, Dio", disse Megan "avremmo dovuto cercare di insistere di più,
avremmo dovuto trovare qualche modo per avvisarla comunque,
avremmo dovuto..."
"Sì", disse Winters, solo un po' seccamente "del senno di poi... ma
in questo caso, devi osservare quello che è successo con un po' di
distacco e vedere se il tuo giudizio è annebbiato da ciò che è
successo. Lo ammetto, è scioccante."
Sospirò e allontanò il blocco. "In ogni caso, voglio che lasci subito
perdere questa faccenda da questo istante e la lasci gestire a noi.
Quando ci sono in gioco solo apparecchiature, furti, distruzioni di
proprietà, è una cosa. Ma quando comincia la violenza... in questo
caso, la violenza automobilistica con un arma letale... allora non è
più soltanto una faccenda che riguarda solo noi. Apprezzerò
comunque tutto quello che puoi dirmi sui tuoi sospetti."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 82 1999 - WarGame Mortale


"I sospetti sono l'unica cosa che abbiamo", disse Megan. "Ma non
riesco a liberarmi dall'idea che avrebbero potuto essere sufficienti per
salvarla."
"Forse", disse Winters. "Leif mi ha parlato un bel po' di un
personaggio che si chiama Argath."
Megan annuì. "Praticamente tutti quelli che si sono scontrati con
lui negli ultimi tre anni di gioco e lo hanno battuto, sembra siano
stati espulsi."
"Ma non sei sicura che sia lui il responsabile." "Non lo so più. Ieri ne
avevo proprio il sospetto ma... non c'erano abbastanza dati."
Winters sorrise amaramente. "Può darsi che non ci siamo ancora.
Dobbiamo essere un po' Sherlock Holmes al proposito.
Naturalmente, quando entrerà in gioco la Net Force, saremo in grado
di chiedere la collaborazione della gente di Sarxos e di farci dare i
nomi veri, le registrazioni del gioco e altre informazioni simili.
Ovviamente ci vorrà un bel po' di lavoro. Non divulgano mai
facilmente informazioni proprietarie."
Megan disse: "Magari se un giocatore avvicinasse Chris Rodrigues."
"A questo punto non possiamo passare molto tempo con i 'forse'.
Dobbiamo seguire perfettamente il manuale. Comunque, in base alle
indagini che avete compiuto fin qui c'è qualcun altro su cui potrebbero
ricadere seriamente i sospetti."
"Nessuno che ci sia risultato evidente, no. Il problema è che ci sono
così tanti giocatori. Anche se potessimo accedervi, il database è
veramente enorme. Continuo a pensare che debba esistere qualche
modo per esaminare tutti, ma non so quale potrebbe essere. Moltissimi
giocatori avrebbero caratteristiche tali da far pensare a un motivo
plausibile d'attacco, ma soltanto uno è responsabile. Non si può
andare in giro ad accusare degli innocenti semplicemente in base alla
possibilità che siano colpevoli."
"Così parla una futura operativa", disse Winters, con una nota di
approvazione nella voce. "Beh, Megan, sei ancora sotto choc, è
comprensibile. Lo era anche Leif. Lasciamoci per il momento. Ma
gradirei avere un resoconto scritto da te nelle prossime 18-24 ore:
qualcosa che possa informare i nostri agenti quando li manderemo
sul campo. Scrivi un resoconto il più dettagliato possibile. In effetti,

Tom Clancy & Steve Pieczenik 83 1999 - WarGame Mortale


gradirei molto se tu parlassi con la gente di Sarxos e ci concedessi
l'accesso alle tue registrazioni di gioco dell'ultima notte."
Megan arrossì. "Signor Winters" disse molto sottovoce "penso che
qualcuna delle cose che abbiamo detto possa essere vista come una
minaccia..."
"Ho sentito la dichiarazione della nipote della signora Richardson",
rispose Winters. "Capisco che tu possa avere qualche preoccupazione
sulla tua posizione legale in questa situazione. Penso che tu sappia di
poter contare sulla mia riservatezza. Dovesse esserci qualsiasi
ripercussione legale, sai che ti sosterremo. Ma nel caso si dovesse
arrivare a questo, qualcuno a casa tua può fornirti un alibi per la notte
scorsa?"
Megan scosse la testa. "Nessuno tranne la Rete stessa", rispose. "È
impossibile falsificare la propria identità quando si accede. E il tuo
cervello, il tuo corpo, il tuo impianto. E per il resto "No..." Alzò le
spalle, poi aggiunse, con un sorriso tirato: "Non so come avrei potuto
guidare da qui fino a Bloomington, Illinois, in tempo per mandare
fuori strada Elblai, la signora Richardson, in macchina."
"Hai ragione", disse Winters, facendo a sua volta un piccolo
sorriso. "Non ti preoccupare. Per il momento sei coperta. Vai avanti,
vai a scuola e preparami quel rapporto questa sera, se appena te la
senti. Manderemo sul campo degli operativi il più rapidamente
possibile. Nel frattempo, sei sollevata di ogni responsabilità per
questa faccenda. Ma voglio ringraziarti moltissimo per l'aiuto che ci
hai dato fin qui. Per lo meno, voi due ci avete dato una pista da
seguire e qualche teoria che potrebbe rivelarsi utile. E anche una
valutazione strategica di gran lunga migliore di quella che avremmo
potuto formulare noi in breve tempo. Lo apprezziamo molto. Avete
messo in gioco i vostri talenti e il vostro tempo... e forse, vista la
natura della persona che a quanto sembra stiamo cercando, anche la
vostra sicurezza personale, se quella persona ha avuto il minimo
sentore di chi eravate e di quello che stavate facendo."
"Non penso che gli siamo mai stati vicini", disse Megan. "Grazie
comunque."
Chiuse il collegamento, rimase a riflettere per un poco, poi parlò al
suo impianto e gli fece chiamare Leif.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 84 1999 - WarGame Mortale


Leif era seduto nel suo spazio di lavoro nella casa islandese e
sembrava profondamente depresso, un atteggiamento del tutto
inusuale per lui. Quando Megan comparve nel suo spazio alzò il capo.
"Gli hai parlato?", le chiese.
"Sì."
"Siamo fuori dal caso."
"Già."
Leif guardò Megan incredulo. "Siamo fuori dal caso?"
"Che cosa vuoi dire? Certo che sì. Ci ha tolto dal caso."
"E tu hai intenzione di sederti e lasciar andare le così in questo
modo? Proprio così?"
"Beh". Megan rimase a fissarlo.
Leif si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro.
"Guarda, non voglio sembrare inutilmente un eroe né niente di
simile, ma non so tu, io mi sento un po' responsabile."
"Per che cosa? Noi non abbiamo buttato fuori strada quella donna!"
"Abbiamo cercato di avvertirla. L'abbiamo fatto nel modo sbagliato.
Non ci ha creduto. Non ti senti responsabile per questo?"
Megan si sedette sul divano spartano e si prese la testa fra le mani.
"Sì, sì. Tantissimo. E non so che cosa possiamo farci, adesso che è
successo."
"Non mollare", disse Leif.
"Ma, Leif, hai sentito Winters. Ci ha tolto dall'indagine. Se ci
pescano..."
"E come fanno a pescarci? Non è che non siamo giocatori di Sarxos.
Non è che non abbiamo il diritto di stare nel gioco quando abbiamo
voglia di farlo. O no?"
"Sì, ma... Leif, se lo facciamo, sapranno subito quello che stiamo
facendo!"
"Davvero? Ma noi siamo Net Force Explorers, o no?" Il sorriso di Leif
spuntò di colpo e per un attimo sembrò malizioso come non mai.
"Chi mai sospetterebbe che noi disobbediamo agli ordini?
Intenzionalmente, comunque." Leif tenne la testa eretta e per un
attimo assunse un atteggiamento da innocente e offeso.
Megan non riuscì a trattenere una risata. "Non che ci possano
dare ordini", continuò Leif. "Consigli, sì..."
"Sei incredibile."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 85 1999 - WarGame Mortale


"Grazie. £ modesto."
"Ohi", disse Megan.
"Guarda, pensaci un po'. La ragione per cui siamo stati tanto
fortunati da diventare Explorer è perché hanno visto in noi qualcosa
che non era il solito tipo di comportamento. Un po' più disposti della
media a buttarci incontro all'ignoto, forse. Se adesso abbandoniamo
solo perche ci è stato detto..."
"Se facessimo parte della Net Force, dovremmo fare quello che ci è
stato detto, Leif! La disciplina..."
"Al diavolo la disciplina", disse Leif. "Beh, non volevo dire proprio
quello. Ma noi non siamo del tutto parte della Net Force. E questo ci
consente un po' di..."
"Elasticità?", disse aggrottando le sopracciglia.
"
Megan, sono sicuro di aver ragione in questo caso. E anche tu lo
sai. E per quello che stai facendomi quelle brutte facce. Dovresti
vederti."
Lei lo guardò perplessa. Ignorare il "suggerimento" di Winters
andava contro la sua natura. Capiva la sua preoccupazione. Sapeva
che cosa avrebbero detto i suoi genitori se avesse detto loro qualcosa
in proposito. Ma se contasse di dir loro qualcosa, proprio in quel
momento almeno, era tutta un'altra storia. Magari più tardi Ma
adesso... devo fare una scelta.
"Beh..."
"E guarda", riprese Leif, "abbiamo ancora dei problemi. Argath, o
chiunque sia, è ancora là fuori e scommetto che lui, lei, loro o quella
cosa...
"Lui, ci scommetterei", intervenne Megan.
"Sì, comunque, stanno ancora prendendo di mira qualcuno. Che
cosa ne dici di quegli altri due personaggi di cui parlava Elblai?
Fettick e Morn? A giudicare da quello che diceva lei la notte scorsa,
è probabile che siano i prossimi bersagli. Voglio dire, pensaci, Megan!
Chiunque stia facendo queste cose, non stanno più aspettando di
colpire qualcuno che abbia battuto Argath. Che sia Argath stesso, o
qualcun altro che usa qualche strana copertura..."
"Quel che continuo a non capire è perché qualcuno possa fare una
cosa del genere."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 86 1999 - WarGame Mortale


"Rancore", disse Leif. "Oppure è pazzo. Non importa... abbiamo
ancora tempo per capirlo. Ma, quale che sia la causa, chiunque sia
dietro a quanto è successo ha smesso di essere paziente. Sta colpendo
la gente prima che combatta effettivamente contro Argath, quando
sembra che ci sia semplicemente una possibilità che lo batta."
"Sì. Va bene. Vedo che cosa intendi. E allora... che cosa facciamo?
Andiamo e tentiamo di avvertirli? Quali erano i regni in ballo?"
"Errint e Aedleia. Li conosco vagamente: sono regni sul confine
settentrionale di Orxen. Ho transito più che sufficiente per arrivare
fin là. Possiamo andarci stasera. Non era previsto che le loro battaglie
dovessero verificarsi subito. È possibile che si riesca..."
"Che cosa? Convincerli a non proseguire in una campagna che
hanno pianificato e che vogliono fortemente? Sarà proprio un bel
problema."
"Dobbiamo tentare. Non abbiamo tentato con sufficiente
convinzione ieri... e guarda che cosa è successo. Vuoi vedere anche
questi nuovi bersagli buttati fuori strada... o peggio? E tutti gli altri che
potrebbero presto trovarsi nella stessa situazione? Ci devono essere
altri giocatori che stanno aspettando il momento opportuno per
attaccare Argath. Dopo questi, anche loro saranno una minaccia. Se
riusciamo a scoprire quali altri giocatori non vedono l'ora di
combatterlo, magari possiamo trovare un filo conduttore, qualche
linea di dati che ci porti a chi sta dietro questa storia. E io li voglio",
disse Leif sottovoce. "Io li voglio."
Megan annuì lentamente. Non le capitava spesso di sentirsi
fisicamente violenta. Anche quando riusciva a creare situazioni che le
davano la scusa, ogni tanto, di malmenare i suoi fratelli, aveva
l'impressione di giocare; e provava una soddisfazione divertita a vedere
le loro facce, quando ricordava loro che la vita non sempre è
prevedibile. Ma in quel momento... in quel momento aveva voglia,
quasi contro la sua natura, di far del male a qualcuno. E più
precisamente, a chi aveva spedito Elblai all'ospedale, pallida, con una
maschera di ossigeno che nascondeva il suo bel viso materno.
"Guarda", disse Leif. "Prepara il tuo rapporto per Winters. Una volta
terminato, lascialo pronto per l'invio nel tuo computer e programma
l'invio a lui stanotte... quando saremo già a Sarxos. O per dopo che
ne saremo ritornati."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 87 1999 - WarGame Mortale


"Leif, stasera non posso", disse Megan. "Te l'ho già detto, ho questa
cosa di famiglia..."
"Questa è un'emergenza, o no? Non puoi semplicemente
sganciarti per una volta?"
Lei ci pensò, pensò allo sguardo preoccupato sul volto di suo padre.
"Forse", disse. "Di solito non lo faccio mai."
"Su, Megan. È importante. E non si tratta solo di quelle altre
persone." La guardò con intensità. "Che cosa pensi di fare dopo che
sarai uscita da scuola?"
"Beh, operazioni strategiche, è ovvio, ma..." "Ma dove? Per qualche
centro di ricerca? A farlo in qualche posto noioso dove non si esce
mai effettivamente a vedere se quello che è stato pianificato succede
effettivamente? Vuoi farlo alla Net Force, non è vero?"
"Sì", disse Megan. "E... penso che sia una delle agenzie più
importanti che ci siano ora, anche se probabilmente ci sono persone
che pensano sia sopravvalutata." Si mosse sul divano, un po' a disagio.
"È un posto all'avanguardia."
"Beh, vuoi stare lì, no? Se ti ritiri adesso da questa cosa, solo
perché Winters ti ha detto di evitare il pericolo, di evitare i rischi... Se
riusciremo a entrare un giorno nella Net Force, ci saranno pericoli e
rischi. Questo è solo un esercizio. Inoltre lo sai che siamo sotto
osservazione. Se entriamo con loro, magari addirittura prima di loro, e
riusciamo a risolvere questa faccenda, tenendo gli occhi aperti e
facendo lavorare il cervello, pensi che saranno irritati con noi? Io
penso di no. Saranno ben impressionati. Se li impressioniamo ora..."
Megan annuì. "Non credo", disse lentamente, "che siamo meno bravi
degli operativi che spediranno là. Inoltre, noi conosciamo Sarxos
meglio di tutti loro. Per questo ci hanno chiesto di andare là,
inizialmente. Perché siamo i migliori..."
Alzò lo sguardo su Leif, sorrise e si alzò. "Sono con te. Guarda,
però, che non so a che ora riuscirò a entrare nel gioco. Per poter
lasciare la riunione di famiglia dovrò dare qualche spiegazione."
"Va bene... beh, io entrerò prima, ti aspetterò e lascerò un po' di
transito sul tuo conto. Ci troviamo a Errint e vediamo se possiamo
trovare prima Fettick e avvisare lui. Si tratta di una piccola città-stato,
un po' come Minsar. Quando arrivi in città, c'è una modesta locanda

Tom Clancy & Steve Pieczenik 88 1999 - WarGame Mortale


subito all'interno della terza cinta di mura, un posto che si chiama Da
Attila."
Megan alzò le sopracciglia.
"Sì", disse Leif, "fanno dell'ottimo chili. Mi siederà lì e passerò un po'
il tempo intanto che arrivi. Poi cercherò di riuscire ad avere un
incontro con Fettick... ci vuole pazienza e fare in modo che capisca."
"Va bene", disse Megan. "Dobbiamo tentare. Ma tentare di
convincere qualcuno a rinunciare a una campagna sarà sicuramente
un'impresa interessante."
"Penso che possiamo fargli cambiare idea. Dopo, possiamo
cominciare a guardarci in giro alla ricerca di altri indicatori di quello
che sta effettivamente succedendo. Sono sicuro che possiamo trovare il
bandolo della matassa, basta un po' più di tempo..."
"Giusto. Ci vediamo stasera, allora."
Megan svanì.
Leif arrivò a Errint nel tardo pomeriggio di una giornata dorata.
La città sorgeva in una piccola valle glaciale nel massiccio più
orientale della grande catena settentrionale Highpeak. In un tempo
molto lontano della storia geologica del luogo, quando il continente
di Sarxos doveva essersi trovato in un'era glaciale, un enorme fiume
di ghiaccio, dal letto molto ampio, era sceso lentamente, erodendo il
terreno, dal vasto circo nevoso del monte Holdfast sopra la valle, in
cui aveva scavato un solco con la sezione a U, lungo una quindicina
di chilometri. Ora il ghiacciaio se ne era andato, si era ritirato fino
ai piedi dell'Holdfast; aveva lasciato a ricordo il fiume che scendeva
dalla morena terminale e percorreva la valle, in mezzo a pietre
bianche arrotondate sparse qua e là, con la tipica acqua
lattiginosa bianco-verdastra che rivelava che il fondale era coperto di
"sabbia" glaciale.
Errint si ergeva su un piccolo spuntone di roccia che in qualche
modo era riuscito a evitare di essere eroso dal ghiacciaio. Nelle sue
prime incarnazioni era stata una città tutta di legno, ma continuava a
bruciare, così finalmente fu ricostruita in pietra e aveva preso la
fenice come simbolo. Non aveva molti abitanti, ma la sua popolazione
era famosa: gente di montagna robusta, indipendente, pericolosa in
battaglia, abile con un'alabarda o con un arco. Tendevano a
rimanere isolati e a non andarsi a infilare in guerre estranee... a

Tom Clancy & Steve Pieczenik 89 1999 - WarGame Mortale


meno che non fossero pagati bene. La loro città traeva una fonte di
ricchezza, non grande ma regolare, dalle miniere di sale e ferro fra
le montagne, miniere che venivano controllate gelosamente, e mai
erano stati rivelati i segreti delle labirintiche vie di ingresso e uscita.
Coltivavano la lunga valle di roccia, poco ripida, soprattutto a orzo e
avena, e cercavano di farsi gli affari loro.
La cosa era diventata sempre meno facile negli ultimi tempi.
L'ascesa di Argath nelle terre del Nord aveva fatto sì che i regni posti
ai bordi del suo dominio cominciassero a cercare alleati o stati-
cuscinetto che li proteggessero dal vicino poco amichevole insediato
subito oltre i passi delle montagne. Ai paesi a nord (cioè quelli di
Argath) e a quelli a sud (i regni del duca Morgon e altri) Errint
appariva come una possibilità perfetta: una popolazione ridotta, che
non aveva molte possibilità di resistere; territorio che non valeva
molto se non come cuscinetto, così che le battaglie combattute su
quelle terre non ne avrebbero guastato il valore; e le miniere, fonte
dell'impareggiabile ferro di Holdfast, assai ricercato a Sarxos come
materia prima per le armi.
Errint però non aveva accettato docilmente l'idea di fare da stato-
cuscinetto per qualcun altro. Quando Argath era sceso dalle
montagne per annetterselo, gli abitanti lo avevano combattuto e
costretto a ritirarsi. L'anno precedente l'avevano fatto di nuovo. Ma
Argath aveva commesso due volte l'errore di attaccare senza tener
conto del tempo atmosferico in quella zona, che gli abitanti di Errint
conoscevano meglio di chiunque altro. Anche in estate, quei picchi
dolomitici dall'aspetto sonnacchioso potevano circondarsi di nubi e
diventare ostili, e allora la valle veniva percorsa dal vento mortale
ululante, il fiero vento caldo che si riversava sulle creste delle
montagne settentrionali, faceva impazzire le acque dei piccoli laghi
glaciali e provocava tempeste che sembravano quasi patologicamente
innamorate dell'idea di colpire con i loro fulmini le truppe degli
invasori.
Era un osso duro, la piccola Errint. Non che fosse inespugnabile e i
suoi capi non erano così mal avvertiti da pensarlo. Conoscevano
benissimo il potere incombente di Argath a nord. Non erano mai stati
nelle condizioni di attaccarlo da soli. Ma forse le cose stavano
cambiando...

Tom Clancy & Steve Pieczenik 90 1999 - WarGame Mortale


Leif si fermò sulla porta aperta della città, guardandosi attorno, e
le guardie, appoggiate alle loro alabarde affilate, lo guardarono a loro
volta serenamente. Erano uomini di grande corporatura, capelli scuri e
tratti grossolani, tipici del sangue di Errint, vestiti di pelle anziché di
tessuto. Leif fece loro un cenno, sapendo che lo avevano giudicato
innocuo e amichevole, altrimenti si sarebbe già trovato disteso con uno
di quegli apriscatole militari sovradimensionati infilato nella pancia.
Le guardie gli fecero a loro volta un cenno abbastanza cortese e Leif
entrò nella città.
La struttura fondamentale di Errint era un po' come quella di Minsar,
ma su scala molto più piccola. Inoltre non erano permesse costruzioni
oltre la quinta cinta di mura, la più esterna. Fornai e conciatori e così
via erano confinati in fondo alla curva più lontana fra la quarta e la
quinta cinta, ma nessuno erigeva tende o edifici temporanei all'esterno
per il semplice motivo che una di quelle improvvise tempeste di vento
o di pioggia avrebbe potuto semplicemente spazzarli via dalla collina
di Errint e farli finire nel fiume. L'area del mercato, all'interno della
terza cinta, perciò, era affollata più del solito di tende, tendoni, tavole,
tavolati e balle. A Errint tutti i giorni erano giorno di mercato. E ogni
giorno su e giù per l'unica strada della valle, che portava verso la
pianura, c'era un gran movimento di persone che venivano per
acquistare metalli o una pelle d'animale e si fermavano a scegliere
qualcosa d'altro, un barilotto di burro delle montagne o il famoso vino
delle montagne.
La giornata ormai volgeva al termine e l'agitazione del mercato era
molto scemata. Si sentiva ancora qualche grido di "Comprate la mia
birra" o "Pelli, pelli bellissime, senza buchi!", ma con scarsa
convinzione, senza continuità, come se tutti stessero già pensando ad
andarsene a trovare qualcosa da mangiare o da bere. L'unico suono
costante era un ting-CLANK, ting-CLANK che Leif conosceva e lo fece
sorridere un po' mentre si dirigeva verso la sua fonte attraversando i
banchi del mercato.
In un paese di miniere di ferro, molti sapevano qualcosa dell'arte di
forgiare, almeno i rudimenti, ma un bravo fabbro ferraio era più
difficile da trovare e ancora più difficile era scovare un maniscalco
davvero provetto. Chi sapeva quel mestiere tendeva a viaggiare per i
luoghi in cui si facevano buoni affari. Solo i più bravi potevano avere

Tom Clancy & Steve Pieczenik 91 1999 - WarGame Mortale


una sede di lavoro stabile e aspettare che i loro clienti arrivassero fino
alla loro porta trascinandosi dietro i cavalli. Quello, però, era davvero
molto bravo.
Leif superò la parte del mercato riservata ai macellai, superò le
ultime carcasse di manzo appese nel sole del tardo pomeriggio con
nubi di mosche che vi ronzavano attorno e giunse a un punto, vicino
alla curva delle mura, dove qualcuno aveva parcheggiato un carro.
Era da lì che giungeva il ritmico ting-CLANK. Vicino, la testa
abbassata e le briglie legate a un anello di ferro all'estremità posteriore
del carro, c'era un grosso cavallo da tiro biondo e paziente. Di fronte al
cavallo, al lavoro su un'incudine appoggiata a quella che era stata la
pietra per montare di qualche ricco abitante di Errint, si trovava un
uomo non molto alto, di bell'aspetto, vestito con una leggera camicia
di tela marrone logora e pantaloni di pelle altrettanto rovinati e un
grembiule di pelle robusta al di sopra, che forgiava con un martello un
ferro di cavallo appena tolto dalla fucina portatile scaricata dal carro e
ora appoggiata sul terreno vicino all'incudine. Dalla struttura del carro
pendevano i mantici, a portata di mano, pronti per l'impiego. Il
maniscalco si fermò un istante per prendere il ferro di cavallo con le
molle e rimetterlo fra i carboni per riscaldarlo ulteriormente. Quando
diventò rosso ciliegia, lo estrasse con le molle e cominciò nuovamente
a martellarlo sull'incudine.
"Wayland", lo chiamò Leif.
Il viso che si alzò a guardarlo era solcato da rughe profonde. Gli occhi
avevano quell'espressione distante che ha chi è cresciuto fra le
montagne, anche se non quelle di quei luoghi. "Guarda guarda, il
giovane Leif', disse Wayland. "Ben incontrato nel pomeriggio! Che
cosa ti porta fin quassù in questo periodo dell'anno?"
"Me ne sto solo andando in giro", rispose Leif, "come al solito".
Wayland lo guardò con un sorriso. "Ah, beh, può essere, può
essere."
"Potrei chiedere la stessa cosa a te", disse Leif. "Di solito non sei da
queste partì in tempi così vicini all'autunno. Pensavo che avessi
deciso di non voler più sopportare questo tempo. Mi sembra che
dicessi 'la pianura fa per me, quando viene l'autunno'".
"Aha, ma è ancora estate, no?", disse Wayland. Poi abbassò la voce.
"E per quanto riguarda te, la tua pietra curativa e tutto il resto, non

Tom Clancy & Steve Pieczenik 92 1999 - WarGame Mortale


penso che tu stia semplicemente andandotene in giro. Scommetterei che
hai qualche altro motivo per arrivare qui."
"Mi dispiace vederti perdere la scommessa", disse Leif, sedendosi
sul predellino del carro, in modo da non essere d'ostacolo. Per un paio
di minuti rimase seduto a guardare Wayland che finiva di lavorare il
ferro di cavallo. Wayland lo infilò in un secchio d'acqua lì vicino;
l'acqua si mise a bollire e a fischiare, in un turbine di vapore. Il
cavallo mosse le orecchie avanti e indietro, tranquillamente. "Se vuoi
avere di che vivere", disse Wayland con indifferenza, "bisogna andare
dove ci saranno affari."
"E tu pensi che ci saranno affari qui?"
"Oh, sì", disse Wayland, frugando con le pinze nel secchio per
estrarne il ferro. "Un sacco di affari, presto, penso." Diede uno sguardo
in direzione delle porte della città, su e oltre le mura, verso est alla
lunga vallata. "Fra non molto qui intorno ci saranno scontri."
Sollevò la zampa anteriore destra del cavallo, la strinse a morsa fra le
ginocchia e diede la schiena a Leif. "Chi, secondo te?" chiese Leif.
Per un momento Wayland non disse nulla. Si guardò alle spalle
piuttosto preoccupato, o almeno così pensò Leif poi tornò a
guardare il suo lavoro. Anche Leif a quel punto si guardò alle spalle,
come aveva fatto Wayland, e vide, al di là delle varie persone che
passavano per il mercato, al di là delle carcasse di manzo, una piccola,
strana forma. Uno strano piccolo uomo, alto meno di un metro e
trenta. No, per essere precisi, non una persona piccola ma decisamente
un nano. Era vestito in un chiassoso abito da buffone arancione e verde
che faceva male agli occhi, con un liuto in formato ridotto appeso a
una bandoliera a spalla.
Il nano scomparve alla vista per un attimo. "Il duca Mengor è venuto
in visita", disse Wayland, apparentemente cambiando discorso.
"In visita a Lord Fettick?"
"Sì, sì." Wayland mise il primo dei chiodi nel primo dei fori
predisposti nel ferro, lo infilò a metà, poi cominciò a battere la parte
restante verso l'alto e verso l'esterno, in modo da fissarla attorno al
bordo dello zoccolo. "È stato qui un giorno o giù di lì, per parlare
delle cose di cui parlano di solito i grandi signori. Bella cena ieri notte
sulla Casa Alta." Guardò di traverso il modesto castello che si trovava

Tom Clancy & Steve Pieczenik 93 1999 - WarGame Mortale


entro l'anello più interno della città. "Qualcuno dice che la figlia di
Fettick sia in età da matrimonio."
"E lo è?"
Il volto di Wayland si contrasse in una smorfia, poi il maniscalco
sputò. "Beh, ha quattordici anni. Può darsi che sia in età da
matrimonio giù a sud, ma..." Alzò le sopracciglia. "Beh, non si può
discutere delle usanze altrui."
"Pensi che questo matrimonio si farà?"
"Non se succede qualcosa d'altro", disse Wayland, molto sottovoce.
"Qualcuno sta cercando di salvargli la pelle."
Leif abbassò la voce a sua volta. "Questo non avrà per caso qualcosa
a che vedere con Argath, vero?"
Wayland lanciò un'occhiata a Leif e sputò nel fuoco: un vecchio
gesto da montanaro per far capire che certe parole è meglio non
pronunciarle affatto, tanto meno ad alta voce. Dopo qualche secondo,
riprese. "Ho sentito dire che i suoi eserciti si stanno raccogliendo.
Non so dove sia in questo momento, però."
Leif annuì. "Ho sentito dire, anche", disse Wayland, con voce a
malapena al di sopra di un soffio, "che qualcuno che avrebbe dovuto
scontrarsi con lui e batterlo... non ce l'ha fatta."
"Elblai", disse Leif, anche lui con un soffio di voce.
"Si dice", continuò Wayland, "che sia stata espulsa". E sputò di
nuovo nel fuoco.
Leif rimase in silenzio per un poco, riflettendo mentre osservava
Wayland che tornava a fissare i chiodi al ferro. Finì di mettere a posto
l'ultimo, quindi lasciò andare il martello, raccolse una grossa lima
grezza e cominciò a limare le estremità dei chiodi. "Wayland", disse
Leif, "avrai tempo di parlare un po', più tardi?"
"Certo", disse Wayland dopo un istante. "Perché no?"
"In un posto tranquillo."
"Conosci lo Scrag End nella Via delle Osterie? Fra la seconda e la
terza cinta, procedendo con il sole dalle porte."
"Il locale con l'alveare all'esterno? Sì."
"Quando sarà buio, allora?"
"Bene. Due ore dopo il tramonto?"
"D'accordo." Wayland si raddrizzò. "Beh, allora, ragazzo..."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 94 1999 - WarGame Mortale


Leif alzò la mano in un saluto informale e se ne andò per il
mercato, guardando senza particolare interesse le poche cose ancora
esposte sui banchi: pezze di tessuto, qualche ultima porzione di
formaggio dall'aria stantia.
Era contento di essersi imbattuto in Wayland. Era uno che sapeva
notare le cose e che valeva la pena conoscere. Leif lo conosceva da
tempo, dalla prima battaglia che aveva visto a Sarxos dopo aver ottenuto
la sua pietra curatrice. Si erano incontrati infatti in un ospedale da
campo, perché i maniscalchi, esperti di metalli ardenti e cauterizzazione,
erano molto richiesti sui campi di battaglia, quando non si trovavano
operatori di magia. Wayland era stato straordinariamente gentile con gli
uomini che trattava, anche se il trattamento in sé era brutale. Ben pochi
particolari di quel che succedeva attorno a lui gli sfuggivano e aveva una
memoria fenomenale. Al momento, Leif era felice di poter parlare delle
faccende di Sarxos con qualcun altro oltre a Megan. Un punto di vista
diverso non fa mai male.
Ritornò lentamente in direzione della locanda. E il cuore gli balzò in
petto quando qualcuno gli batté su una spalla da dietro.
Si girò allontanandosi da chi gli aveva battuto sulla spalla, come gli
aveva insegnato sua madre, e lo affrontò con la mano pronta sul pugnale.
Era Megan.
Gli diede un'occhiata storta. "Mi sembrava avessi detto che ci
saremmo incontrati dentro la locanda."
"Oh... scusa. Mi sono distratto. Ho incontrato una persona che
conoscevo."
"Vuoi dire che non sei ancora entrato ad abbuffarti di chili?"
Il suo stomaco improvvisamente brontolò. "Chili", disse.
"Megan fece un sogghigno. "Andiamo", disse, poi si fermò sentendo il
suono di una voce che si alzava cantando una canzone strana dall'altro
lato dei banchi del mercato.
"Che cosa diavolo è questo,?" disse Megan. La voce era accompagnata
da uno strumento molto simile a un ukulele.
Ora canterò della triste fanciulla,
ed era una fanciulla davvero triste,
che aveva perso il suo amore per il figlio del tritone
nelle onde del grande mare salato...

Tom Clancy & Steve Pieczenik 95 1999 - WarGame Mortale


Il proprietario della voce, se così si poteva chiamarla, sbucò in
mezzo a tavoli e banchi, seguito dalle risate rauche e dai motteggi di
alcuni dei mercanti, mentre la canzone diventava più volgare. La
sorgente era il nano con il chiassoso vestito variopinto. Si fermò presso
uno dei banchi, un banco di frutta che i proprietari stavano smontando,
e cominciò a strimpellare accordi piuttosto atonali con una sola mano,
mentre con l'altra cercava di far scomparire qualche pezzo di frutta. La
venditrice, una donna florida con gli occhi strabici, alla fine perse le
staffe e colpì il nano sulla testa con un cesto vuoto. Quello cadde, si
rialzò e trotterellò via, con una risatina cattiva e acuta che faceva
pensare a uno scarafaggio da cartoni animati.
Megan rimase a fissarlo. "Che cos'era quello?", chiede Leif alla
venditrice.
"Il Gobbo", disse la donna.
"Scusa?", disse Megan.
"Il Gobbo. È quella piccola peste del nano del duca Mengor. Una
sorta di menestrello."
"Non è una sorta di menestrello, signora, non con quella voce", disse
uno dei macellai che stava passando con un quarto di bue sulle spalle.
"Una sorta di buffone, allora", disse la fruttivendola. "E un bel tipo
di seccatore. Te lo ritrovi sempre intorno, che approfitta, rubacchia e va
in cerca di guai. Si infila sotto gli abiti della gente...
"Sei solo gelosa perché non si è infilato sotto il tuo vestito", disse un
altro dei mercanti che stava impacchettando la sua mercanzia.
La fruttivendola si girò verso l'uomo e cominciò a riempirgli le
orecchie con una sfilza di improperi tale che il poveretto si affrettò a
scomparire dietro il banco di qualcun altro. Leif, ridacchiando, si
rimise in moto verso Attila. Megan rimase ferma un momento, con lo
sguardo fermo nel punto in cui era svanito il nano.
"Non so perché", disse a Leif, "ma mi sembra di averlo già visto..."
"Sì..." Leif guardò nella stessa direzione, poi: "Ti dirò io il perché.
Lo hai visto a Minsar."
"Davvero? Può darsi." Poi ricordò la strana piccola figura con la spada
che correva per il mercato illuminato dalle torce, con quella sua
risatina bizzarra. Rabbrividì, senza riuscire a capire perché. "Se era
là", disse sottovoce, "che cosa ci fa all'improvviso qui?"

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Leif le prese il braccio e la trascinò verso Attila "Guarda, noi
eravamo laggiù, e adesso siamo arrivati fin qui. Non c'è niente di
strano."
"Ne sei sicuro?" disse Megan.
Osservò Leif che assumeva quella sua aria pensierosa... e poi pian
piano quell'aria si trasformò in qualcosa d'altro: sospetto.
"Mi chiedo...", disse.
"Anch'io. Ma una cosa alla volta", disse Megan e questa volta toccò
a lei afferrare il braccio di Leif. "È dura interrogarsi a stomaco vuoto."
"Va bene. E poi... dopo... abbiamo un appuntamento."
"Ah?"
"Andiamo... Ti spiegherò tutto. Ammesso che riesca a parlare intanto
che mangiamo. Questo chili è così forte..."
"Quanto forte?"
"Lo usano per castigare i draghi."
"Dai! Io sono pronta!"
Circa un'ora più tardi erano seduti da soli in un angolo da Attila e
cercavano di riprendersi dalla cena. "Non posso credere di aver
mangiato quella roba" disse Megan. "E non posso credere di averla
presa due volte." Stava guardando i resti della sua seconda porzione.
Leif ridacchiò e ingollò un sorso della sua bevanda. Non c'era cura
per il chili di Attila, tranne il tè dolce freddo con la panna, perciò
entrambi lo stavano bevendo, in alte tazze di ceramica.
"Mi dispiace per i draghi di cui parlavi", disse Megan.
Leif gettò un'occhiata alla finestra. "Siamo ormai abbastanza
vicino al tramonto", disse Leif. "Probabilmente dovremmo
cominciare ad andare."
"Va bene, ma prima finisci di raccontarmi quello che avevi
cominciato a dire", replicò Megan, "a proposito di Wayland."
"Oh, no. Avevo finito."
"Era qualcosa a proposito del suo nome."
"Oh, quello... è solo un nome generico per un fabbro itinerante,
un piccolo scherzo. Ma lui è uno di quelli bravi. E va molto in giro.
Sente un sacco di cose. C'era qualcos'altro di cui dovevo parlarti
prima di incontrarlo, però."
Leif si guardò attorno. La proprietaria di Attila era uscita a
prendere il fresco della sera che scendeva e stava appoggiata alla

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porta che si apriva sulla piazza del mercato, dove stava chiacchierando
con qualche passante.
Leif continuò sottovoce: "Prima di venire a Sarxos, oggi, ho fatto
qualche ricerca su un'altra questione."
"E cioè?"
"Beh, tu hai detto che ci doveva essere qualche modo più
sistematico di procedere nella ricerca dell''espulsore'. Mi sembrava
che tu avessi ragione. Perciò ho pensato, se non si tratta di chi vince
Argath in battaglia, visto che chiaramente ci stanno spingendo a
pensare che sia così, allora la domanda diventa chi, quale giocatore
o quale p e r s o n a g g i o , è stato a sua volta battuto in battaglie o
scontri dalle stesse persone? Da tutte le stesse persone che hanno
battuto Argath?"
Megan lo stava guardando pensierosa. "Vedi", continuò Leif,
"bisogna considerare il problema come se fosse un problema di teoria
degli insiemi, qualcosa che si può rappresentare con un diagramma di
Venn, qualcosa che sembri un po' una versione di Sarxos del logo
della MasterCard. Bisogna prendere in esame tutta la storia delle
battaglie combattute a Sarxos negli ultimi due anni, per vedere se ci
sono sovrapposizioni, in termini di combattenti da una parte e
dall'altra. E le sovrapposizioni debbono essere esatte, perché la
copertura abbia successo. Mi segui?"
Megan ammiccò e poi annuì. Sapeva che l'analisi era uno dei punti di
forza di Leif; era semplicemente stupefacente vedergliela tirar fuori
dal cappello in quel modo. "Va bene", disse lei. "E allora che cosa hai
scoperto?"
"Beh, tanto per cominciare, tutta la faccenda delle battaglie a Sarxos
non è molto organizzata. Non è che ci sia una pianificazione o
qualcosa del genere. Ma c'è una tendenza per cui i membri di un dato
gruppo di giocatori combattono la maggior parte degli altri membri
dello stesso gruppo e i raggruppamenti sono grosso modo basati sulle
regioni. In parte è per la logistica stessa del gioco. È costoso, in
termini di settimane di tempo-gioco, spostare un gran numero di
persone, eserciti numerosi, da una parte di Sarxos all'altra. Non è
fattibile, dal punto di vista logistico. Quand'è stata l'ultima volta che
hai sentito parlare di una battaglia fra Continente Settentrionale e
Continente Meridionale?"

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Megan scosse la testa. "Non mi sembra di aver mai sentito nulla del
genere."
"Ce n'è stata una", disse Leif, "ma è stato dodici anni fa, tempo di
gioco, e ha mandato in bancarotta ambedue le parti. Peggio,
nessuno l'ha veramente vinta e si è conclusa con uno stallo, perché vari
paesi ai confini dei regni del Continente Settentrionale e del Continente
Meridionale che si stavano combattendo hanno colto l'opportunità
per attaccare i paesi che si stavano combattendo a vicenda. Si è venuta
a creare una situazione simile a quella verificatasi durante la
Rivoluzione americana, ma di gran lunga peggiore: Francia e Olanda
e altri paesi, sul fronte diplomatico o sul campo, hanno colto
l'opportunità di schierarsi contro l'Inghilterra mentre questa cercava
di entrare in guerra con gli Stati Uniti.
"Comunque, le guerre intercontinentali sembra non succedano più,
qui; non c'è niente da guadagnarci." Leif si appoggiò allo schienale
della sedia. "Perciò si arriva ai paesi che possono raccogliere
abbastanza persone per gli eserciti e cioè la maggior parte; tutti amano
combattere e metà della gente di Sarxos è qui per 'lavorare sul campo' e
quindi nella buona stagione tendono a combattere chiunque altro sia
disponibile in quel periodo. Finiscono per combattere praticamente
con tutti gli altri di quel 'girone" o di quel 'gruppo', semplicemente
perché sono vicini fisicamente. I 'gruppi' sono dispersi in modo
piuttosto regolare su tutta l'area di gioco."
"Non è un po' strano?"
"Nel mondo reale, forse lo sarebbe. Ma qui... Mi sono messo a
esaminare la carta di Sarxos e ho notato qualcosa di molto
interessante a proposito di quel che ha fatto Rodrigues quando ha
costruito questo luogo. Ha fatto in modo che non ci siano aree
popolate del tutto prive di valore strategico. Dovunque tu viva,
qualunque sia il paese che hai ereditato o conquistato, c'è sempre
qualcosa di utile. Ma, ancora più importante, c'è sempre qualche
posto più interessante, qualche posto che possiede cose che ti
potrebbero essere utili, subito oltre l'orizzonte o oltre la prima collina.
Hai un paese ricco chiuso in mezzo a due o tre più piccoli, più
poveri. Oppure un paese grande e potente si troverà circondato da
vari altri paesi che non potrà attaccare. Guarda Errint, per esempio.
Argant è subito lì dietro e avrebbe potuto conquistare facilmente

Tom Clancy & Steve Pieczenik 99 1999 - WarGame Mortale


questo posto con i suoi grandi eserciti, ma non può farlo a causa
della catena di montagne che sta fra lui e Errint i suoi passi
evidentemente sono stati collocati con grande attenzione in modo
da rendere difficile l'invasione."
"Frustrazione intrinseca", disse Megan.
"E qualcosa di più ancora, penso", disse Leif. "Rod, nella sua
infinita saggezza", Leif alzò gli occhi al soffitto con aria divertita,
"ha messo i semi del conflitto in questo posto. Ma anche i semi
della stabilità, in modo da mantenere il tutto in equilibrio. Ma è stato
molto sottile."
"Hai pensato tutte queste cose da solo?", disse Megan, al tempo
stesso colpita e divertita.
"Uh? Quasi tutto", rispose Leif. "Sono stati scritti un paio di libri su
Sarxos, ma nel complesso gli autori non conoscevano quello di cui
parlavano, oppure sono stati catturati dall'ammirazione per i
particolari esterni, l'interfaccia per computer, il sistema dei punti e
tutto il resto, e non sono mai entrati veramente in profondità."
"Beh, mi sembra tutto molto sensato", disse Megan. "Se sei il
progettista di un gioco, vuoi essere sicuro che i giocatori non finiscano
per annoiarsi. E devo dire che non mi sembra ci sia un pericolo del
genere nel caso di Sarxos."
"Vero. Ma Rod è stato tortuoso. Lasciando fuori dall'equazione
Arstan e Lidios che sono casi speciali per la 'regola della polvere da
sparo' e per lo più si combattono fra loro anziché combattere altri
paesi, mi sembra che nel gioco ci siano fondamentalmente due insiemi
alternativi di pressioni. Uno è determinato dai giocatori, che vogliono
che le cose continuino a funzionare così, nel complesso, e vogliono
che cambino solo nel modo che garba loro. L'altro insieme di pressioni,
penso, viene da Rod: pressioni per garantire che le situazioni statiche
non rimangano statiche per sempre e per impedire che avvengano
mutamenti eccessivi o frettolosi. Se guardi i riepiloghi di gioco per gli
ultimi dieci anni-gioco, hai la sensazione che, qua e là, a Sarxos
venga data una spintarella... un calcetto. Comincia una tendenza in
una certa direzione in un paese, ti ricordi quella storia della schiavitù
a Dorlien?, e poi succede qualcosa che rimette sulla strada giusta quel
luogo. Oppure un altro posto si è comportato sempre nello stesso
modo a lungo e all'improvviso accade qualcosa, apparentemente

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proprio al momento giusto, per mandarlo fuori strada e spedirlo in una
direzione del tutto nuova."
Megan rimase silenziosa un momento. "Sembra un gran bel modo
per mantenere le cose in movimento. Ma stai forse pensando", disse
mentre l'espressione sul viso cambiava all'improvviso, "che queste
espulsioni siano a loro volta delle 'spintarelle'. Non pensi che
Rodrigues... che Rod..."
Leif la guardò, annuendo lentamente. "Mi stavo chiedendo se anche
tu saresti arrivata a formulare questa conclusione."
Megan rimase pensierosa. "Sai, la paranoia è una cosa terribile.
Comincia a intrufolarsi dappertutto."
"Sì", disse Leif. "Ma resta la domanda: questa è solo paranoia, o no?
Se il collegamento con Argath è effettivamente una copertura per
qualche altra cosa, per la vendetta di qualcuno o per qualcosa di
ancora più oscuro, allora, da come mi sembra vadano le cose, quel
qualcuno prima si è messo a tavolino e ha condotto un'analisi molto
attenta del gioco, della sua struttura e del modo in cui è stato
configurato per trovare dove avrebbe potuto interferire nel modo più
efficace e come avrebbe potuto interferire in modo che la colpa
potesse cadere su qualcun altro. Se dici che una persona che si trova in
una buona posizione per una cosa del genere è il progettista stesso
del gioco, quello che manda avanti questo posto..."
Megan scosse la testa; perplessa. "Molte altre persone si troverebbe
in quella posizione."
"Sì, lo so. Ma è una possibilità che dobbiamo prendere in
considerazione."
Megan cominciò a far ruotare la sua tazza di tè. "Un gamesmaster
può gestire il suo gioco come vuole... ma perché comincerebbe a
espellere i suoi clienti paganti? Senza movente, questa teoria non sta in
piedi."
"Non è ancora una teoria. È solo una possibilità."
"Sherlock Holmes non la riterrebbe degna neppure di quel termine,
penso." Ma poi Megan scrollò le spalle. Non aveva senso continuare in
quella direzione al momento. "E allora proviamo a stare più sul
generale. Ora mi sembri abbastanza certo del fatto che Argath non sia
responsabile delle espulsioni. Pensi che sia qualcuno che sia stato

Tom Clancy & Steve Pieczenik 101 1999 - WarGame Mortale


sconfitto dalle stesse persone che hanno battuto Argath. Bene. E
quante sono le persone con queste caratteristiche?"
"Sei", rispose Leif. "Sono generali o comandanti che si chiamato
Hunsal, Orieta, Walse, Rutin, Lateran e Balk il Cavatappi."
"Che nome", disse Megan.
"Già. Beh, quando si analizzano i dati in questo modo si è un po'
aiutati, perché tutti questi giocatori hanno la propria 'base' nell'area
nord-orientale del Continente Settentrionale. O le proprie città, i
regni o gli eserciti si trovano lì, o le battaglie hanno avuto luogo
nell'area di quel 'gruppo'."
"Sembra che questa analisi faccia aumentare le probabilità che il
vero 'espulsore' sia una di queste sei persone. Se non è Argath."
"Giusto. O, perlomeno, così sembra a me. Ti viene in mente un altro
modo di leggere i dati?"
Megan scosse la testa. "Non al momento. Vorrei dare un'occhiata ai
dati grezzi anch'io... ma ormai sarei influenzata. Questa è la tua
specialità e, se la vedi così, sono disposta a seguirti."
"Splendido. E allora questa sembrerebbe debba essere la nostra linea
di indagine", disse Leif. "Ma hai preparato il tuo rapporto per Winters,
vero?"
"Sì. Dovrebbe riceverlo adesso. Aspetta un momento. Intervento di
gioco" disse Megan all'aria. "In attesa."
"Controllo ora, base casa."
"Nove e quarantatré di sera."
"Finito. L'ha ricevuto un quarto d'ora fa" disse Megan a Leif. "E tu?"
"Oh, sì, il mio è stato programmato per l'invio, lo riceverà fra
un'ora o giù di lì."
"E questa linea d'indagine?" disse Megan, guardandolo con
un'espressione maliziosa. "Gli hai parlato di queste nuove informazioni
che hai scovato?"
"Uh, beh..."
"Glielo teniamo nascosto per vedere prima che cosa possiamo fare,
eh?"
"Beh, mi sembra coerente con quello che abbiamo discusso in
precedenza... o no?"
Megan si sentiva solo un po' incline a irritarsi. Al tempo stesso, aveva
l'impressione che potessero essere davvero su una buona pista. "Senti,

Tom Clancy & Steve Pieczenik 102 1999 - WarGame Mortale


procediamo in questa direzione per un altro giorno o due", disse Leif.
"Siamo vicini, lo sento. E dato che non ci sono nuove battaglie davvero
imminenti..."
"Sono d'accordo con te sul seguire questa pista per un altro giorno o
giù di lì", disse Megan, "ma non sulla base della falsa premessa che
non ci siano battaglie immediatamente in arrivo. Non possiamo
assumere che avranno qualcosa a che fare con il fatto che il nostro
'espulsore' attacchi qualcuno o eviti di attaccarlo. Penso che espellerà
tutti quelli che vuole, adesso, non appena si sente pronto e vorrei fare
tutto il possibile questa sera. Dopo aver parlato con Wayland, dobbiamo
subito metterci in contatto con Fettick e poi, la prossima volta che
torniamo, con la duchessa Morn. Dobbiamo fare in modo che siano
avvertiti e che credano all'avvertimento."
"Sì. Poi dobbiamo cominciare a parlare con quei sei generali",
aggiunse Leif, "oppure parlare di loro con qualcuno. Dovremo usare
un bel po' di transiti, ma..." Alzò le spalle.
"Sì, beh, puoi dividere un po' del lavoro di gambe con me" disse
Megan. "Anch'io ho un po' di transiti, non quanti ne hai tu, forse, ma
è una questione importante. Dobbiamo metterci in movimento.
Probabilmente ci vorrà tempo per raccogliere su questi sei
informazioni sufficienti per stabilire quale di loro abbia maggiori
probabilità di essere l'espulsore."
"E poi che cosa facciamo? Se siamo sicuri di aver trovato la persona
giusta, voglio dire?"
"Chiamiamo la Net Force", disse Megan. "Passiamo a loro tutto quello
che abbiamo e diciamo loro di andare a prenderlo."
"Vorrei molto insistere per essere presente a quel momento", disse
Leif.
"Insistere? E con chi? Winters?" Megan gli lanciò uno sguardo
scettico. "Vuoi una stima delle tue possibilità di cavartela liscia?"
"Uh, beh... comunque lo suggerirei con forza. Solo per la
soddisfazione."
"Sarebbe bello essere là, o qua, quando succede", disse Megan.
"Anch'io vorrei esserci. Ma penso che gli 'adulti' ci vogliano sapere al
sicuro da tutt'altra parte. Ma la soddisfazione? Ne avremo moltissima
quando butteranno nella spazzatura l'espulsore." L'immagine del volto
di Elblai mentre veniva trasportata all'ospedale, gli occhi viola chiusi, il

Tom Clancy & Steve Pieczenik 103 1999 - WarGame Mortale


viso coperto di escoriazioni, era sempre molto presente a Megan. "E in
ogni caso avremo la gloria. La Net Force saprà chi ha fatto il lavoro di
gambe."
"Giusto. Andiamo", disse Leif, e si alzò, stirandosi. "Usciamo di qui e
andiamo a vedere Wayland."
Fecero la strada verso lo Scrag End con calma e attenzione. Le
strade erano molto buie e la luna, anche se era già sorta, non si era
ancora alzata abbastanza da gettare molta luce oltre le mura. Leif e
Megan camminavano con cautela sull'acciottolato, tenendo le
orecchie ben aperte. Non che Errint fosse una città poco sicura, per le
condizioni generali di Sarxos. Ma in qualsiasi città può esserci il
malvivente occasionale nascosto nell'ombra, qualcuno che vorrebbe
alleggerirti del portafoglio o di qualsiasi bene tu porti. In effetti, a
Sarxos esisteva una solida corporazione di ladri, persone che nel mondo
reale conducevano vite del tutto rispettabili, ma passavano il tempo
del gioco acquattati nell'ombra dei vicoli, vestiti di stracci, parlavano
fra loro nel gergo della malavita e in generale facevano cose che, nelle
loro esistenze normali, sarebbero state tremendamente antisociali,
mentre a Sarxos erano solo puro divertimento ed erano considerate
parte del paesaggio, come gli escrementi dei cani su un marciapiede di
New York.
Una sgradevole risata in fondo a un vicolo fece alzare la testa a
Megan. Leif si fermò, scrutando nel buio, e Megan abbassò il tono di
voce. "Molto interessante" sussurrò dopo un momento.
Leif non riusciva a vedere niente, ma la voce gli era familiare.
"Chi era?" chiese.
"Ancora il nostro amichetto", rispose Megan. "Il Gobbo, il nano
canterino."
"Oh, davvero", disse Leif.
"Avrei pensato che a quest'ora fosse al castello, intento a propinare
le sue buffonerie al signore", disse Megan.
"Magari è in giro a svolgere una commissione. Penso che siano
mansioni che gli spettino."
"Ma..." fece Megan, con aria non particolarmente convinta. "Beh,
andiamo."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 104 1999 - WarGame Mortale


Ripresero a camminare, superarono un arco fra due pareti e si
diressero lungo un'altra via stretta, curva e buia. Leif si fermò, mentre
Megan procedeva.
"Uau", disse lui. "Eccolo."
Megan si fermò e guardò su e giù per la via. "Che cos'è?"
"Questo."
Leif si ricordava che Megan aveva chiamato Pheasant e Firkin una
bettola. Fermi davanti allo Scrag End, con la luna che faceva
gradualmente capolino sopra la cima della cinta di mura più esterna,
Megan guardò la struttura che si protendeva sulla via, con le assi di
legno tutte crepate e la porta con i rinforzi di ferro, segnata da colpi
d'ascia.
"Sembra una stalla!" disse.
"Può anche darsi che un tempo lo sia stata", disse Leif. "Vieni,
entriamo."
Diede un pugno alla porta. Una piccola fessura rettangolare,
all'incirca all'altezza degli occhi si aprì dalla parte interna della porta
e un raggio di luce debole, parzialmente ostruito dall'ombra di una
testa, si riversò nella strada buia. Due occhi socchiusi esaminarono
Leif attraverso lo spioncino.
"Wayland", disse Leif.
Lo spioncino si richiuse e si sentì all'interno il rumore di un
catenaccio di legno che veniva fatto scivolare di fianco e poi sollevato
dai suoi sostegni. "Alta tecnologia", disse Megan sottovoce.
Leif ridacchiò. Il battente si aprì pesantemente verso l'esterno e
prima Leif, poi Megan, si infilarono nell'apertura.
Leif osservò Megan che si guardava intorno e gli parve di vederla
completare il pensiero: È una stalla! Probabilmente era effettivamente
stata una stalla delle vecchie scuderie che si trovavano in quella zona.
Il pavimento era dello stesso acciottolato della via e le pareti erano
costituite di antiche assi di legno annerite e crepate, accostate una
all'altra, rivestite qua e là da qualche tipo di stucco, nel fallimentare
tentativo di sigillare le fessure. C'erano quattro o cinque piccoli tavoli
di legno, ciascuno con un portacandela e una porta chiusa da una
tenda che si apriva su una qualche area di servizio dietro la sala
principale: probabilmente il posto in cui venivano conservati i barili di
birra.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 105 1999 - WarGame Mortale


L'uomo che aveva aperto loro la porta, un giovane alto e di
bell'aspetto, in grembiule sporco e pantaloni, con una incongrua
calvizie in cima alla testa, ma capelli lunghi tenuti ordinatamente legati
sulla schiena, finì di chiudere con il catenaccio la porta, poi li squadrò
dall'alto in basso e scomparve dietro la tenda che chiudeva la porta. A
un tavolo proprio in fondo alla stanza, vicino a quella porta, c'era
Wayland. Aveva un boccale di fronte a lui e due altri che attendevano
sul tavolo.
Si sedettero di fronte a Wayland. Leif gli fece un cenno di saluto con
la testa, poi guardò i due boccali.
"Vi ho visti da Attila", disse Wayland. Poi si volse verso Megan.
"Penso che ci siamo già incontrati, noi due."
"Credo anch'io", disse Megan, tendendosi per toccargli le mani, il
cenno di saluto tipico. "Festival estivo di Lidios, vero? Il mercato."
"Giusto. Il mio solito banco. Due anni fa?" "Sì."
"Sei stata a Lidios?" le chiese Leif, leggermente sorpreso. "Che cosa
ci facevi là?"
"Curiosavo nei quartieri poveri", disse Megan, sorridendo
leggermente. "Volevo dare un'occhiata a quel posto. Ma una volta mi è
bastata."
"Comunque, sii la benvenuta", disse Wayland. Alzarono i boccali e
bevvero la debole birra chiara di Errint, più simile a un succedaneo
della birra che altro.
"Sono venuto via adesso dalla piazza", disse Wayland. "Il posto è
tutto agitato come un nido di calabroni."
"E perché?"
"Novità su quello che sta succedendo"? disse Wayland e ingollò un
altro sorso di birra, come per liberarsi la bocca da un cattivo sapore.
"Tutta questa storia del duca che arriva quasi dal nulla e cerca di
convincere il povero Fettick a formulare un'alleanza con Argath."
Wayland scosse la testa. "Molti degli altri paesi che stanno da questa
parte, sei o sette dei piccoli, hanno ricevuto molte pressioni,
all'improvviso, per stringere alleanze. Qualcuno sembra abbia una
gran fretta."
"Perché?" chiese Megan. "Di chi pensate che abbia paura?"
"Non so se si tratti di paura", disse Wayland. "Più probabile che si
tratti di rabbia."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 106 1999 - WarGame Mortale


Si distese sul banco, appoggiando la schiena alla parete scheggiata,
e studiò la sua bevanda. "Ero dalle parti di Arstan e Lidios, come ho
detto, e mi sono fermato sulla strada per sbrigare un po' di lavoro alla
posta..."
"Posta?" chiese Megan, "Oh sì", rispose Wayland. "Il sistema Swift-
Post ha un percorso orientale che va dai Lidi a Orxen e poi gira
attorno alla penisola di Daimish. Il loro deposito di dispacci è a Gallev,
circa... quanto sarà? Cento leghe a sud di qui. Qualche volta, tra un
lavoro e l'altro, o se ho bisogno di un po' di denaro, mi fermo là e
ferro i cavalli della posta. C'è sempre lavoro. Ci sono sempre
cavalieri di posta che arrivano e ripartono, corrieri speciali e cose
simili."
Sorseggiò ancora la sua birra. "Questa volta, nero, sono arrivato là
intorno a metà estate. In quel periodo dell'anno sfruttano le giornate
più lunghe per aggiungere corrieri giornalieri alle corse normali e ci
sono sempre anche più corrieri privati che vanno avanti e indietro per
lo stesso motivo. Se ne vede arrivare uno ogni paio d'ore. Un giorno
sono arrivati quattro corrieri diversi da Argath, tutti con le sue
insegne, tutti di fretta e furia. Due non si sono neanche fermati, due si
sono fermati per cambiare i cavalli e poi proseguire, ma non senza
buttar lì una parola o due su quello che andavano a fare; sai com'è,
deve essere un lavoro noioso portare la posta a cavallo e a questa gente
piace far colpo sugli altri facendo credere di rivestire un ruolo di
grande importanza.
"Beh, due di questi corrieri, uno di quelli che non si sono fermati e
uno di quelli che hanno fatto sosta, arrivavano da Argath in persona,
dal Palazzo Nero, e andavano direttamente alla città di Gema a
Toriva."
"Che cosa, al re Sten?" chiese Leif.
"No, no. Al suo generale, Lateran."
Leif improvvisamente si interessò alla sua birra. Megan alzò le
sopracciglia. "Non lo conosco."
Wayland alzò le spalle. "Un altro giovane generale molto brillante in
ascesa. Qualche vittoria brillante, negli ultimi due anni. Qualcuna anche
contro Argath. Schermaglie piuttosto imbarazzanti e poi la gente ha
incominciato a guardare Argath e a dire Torse sta per cadere'.
Qualcuno pensa che siano dovuti a questo tutti i problemi con Elblai

Tom Clancy & Steve Pieczenik 107 1999 - WarGame Mortale


su a nord." Wayland scosse la testa. "Così all'improvviso ci sono tutti
questi messaggi che vanno avanti e indietro. E quel messaggero che si
è fermato ha detto che l'altro corriere, quello che non si era fermato,
stava portando la Freccia Nera."
Anche Megan concentrò la sua attenzione sulla birra. Leif fece del
suo meglio per fingere disinvoltura. La Freccia Nera era una
tradizione del Continente Settentrionale, una dichiarazione di lotta
all'ultimo sangue.
"Forse Argath si è stancato di essere sconfitto", disse Leif.
"Non so se sia solo questo", disse Wayland. Bevve, riappoggiò al
tavolo il suo boccale. "Ma questo... era quello che mi stavi
chiedendo, in un certo senso. Vero?"
Leif annuì. "Di Elblai hai detto... che è stata espulsa."
"È quello che ho sentito dire", rispose Wayland. "Le notizie
viaggiano veloci."
Leif annuì. In un contesto medievale, le notizie potevano impiegare
giorni o settimane per arrivare da un posto all'altro, ma quello era un
ambiente medievale dotato di posta elettronica. C'era ancora bisogno
di corrieri a cavallo, ma per portare oggetti fisici, non notizie.
"Quella battaglia non avverrà adesso", continuò Wayland. "Ma
all'improvviso... sembra che Argath stia rivolgendo la sua attenzione
a sud, verso Toriva e verso Lateran, almeno a quanto si dice in giro."
"Perché questo cambiamento? chiese Megan sottovoce.
Leif guardò Wayland, il quale altrettanto sottovoce rispose: "Non sei
mai stato il tipo da impiacciarti di queste faccende, Leif. Qual è il tuo
interesse? Hai intenzione di schierarti con una delle due parti? Se vuoi
la mia opinione, io cercherei di non farmi invischiare in questa
faccenda."
Leif rimase in silenzio un momento, poi guardò Megan di traverso.
Molto lentamente, lei annuì.
"Non è che voglia schierarmi pro o contro qualcuno", disse Leif.
"Vogliamo scoprire chi è la causa di queste espulsioni."
Wayland annuì. "Molte persone vorrebbero saperlo. Quest'ultima..."
Scosse la testa. "Brutto affare. Non è questo il motivo per cui Rod ha
creato il Gioco. Non che qualcuna di queste 'espulsioni' sia stata
buona. Qualcuno perde un anno, due anni, magari cinque, a costruire
un personaggio, a diventare qualcuno, poi tutto all'improvviso..." Fece

Tom Clancy & Steve Pieczenik 108 1999 - WarGame Mortale


un gesto con le dita, come chi lancia una briciola di pane via dal tavolo.
"Andato. Così. Tutto il lavoro, tutte le amicizie. C'è qualcosa che non
torna." Il tono di voce era basso, ma impetuoso.
"Vero", disse Leif. "Ascolta."
Raccontò brevemente a Wayland ciò di cui avevano parlato lui e
Megan: la possibilità che Argath fosse semplicemente un paravento
dietro cui si nascondevano le vendette di qualcun altro contro i
giocatori che lo avevano battuto in battaglia. E citò i nomi dei generali
e dei comandanti che avevano perso campagne contro tutti i giocatori
da cui anche Argath era stato sopraffatto: Hunsal, Rutin, Orieta,
Walse, Balk il Cavatappi... e Lateran.
Wayland fece un sorriso storto. "Questo è proprio interessante.
Molto. Mi domando, c'è qualcun altro che ci abbia pensato? Qualcun
altro è andato a fondo in questo modo?"
"Ci stiamo provando noi", disse Megan. "Prima che il Gioco venga
rovinato per tutti. È ancora un gioco... non è stato pensato per finire
al pronto soccorso."
Wayland annuì. Dopo un momento sospirò e disse: "Vi aiuterò, se
posso. Mi muovo da qui fra un giorno. Volevo andare ancora a est, ma
potrei andare invece a sudovest. In questo periodo dell'anno, se uno
ama il clima dell'estate ha tutto il diritto di cambiare idea..."
"Se tu potessi farlo, ci sarebbe di aiuto. E se trovi qualcosa..."
"Ti mando un messaggio di posta elettronica."
"C'è ancora una cosa che dobbiamo fare prima di andarcene", disse
Megan. Dobbiamo parlare a Lord Fettick... per cercare di avvertirlo
che probabilmente è un bersaglio. Se almeno conoscessimo qualcuno
qui che potesse garantire per noi. L'ultima volta che abbiamo tentato di
avvertire qualcuno, non è stato un gran successo."
Wayland sorrise. "Ma c'è qualcuno che conoscete. Ci sono io. Sono
io che ferro i cavalli di Fettick. Ho appena finito di sistemarglieli
questa mattina. Prima di andarmene, domani, se volete, vi posso
portare dal maggiordomo alla Casa Alta e posso presentarvi. Non
possiamo farlo stasera, temo... saranno lì ancora con il duca, a
festeggiare. Questa faccenda con la sua giovane figlia..." Wayland
scosse la testa.
"Non la mariteranno veramente a lui, no?" disse Megan, con
espressione incerta.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 109 1999 - WarGame Mortale


"Lei? Oh, no, no, di sicuro. Fettick stravede per lei. La
strozzerebbe pur di non farla andar via in un'età così giovane. O a
qualsiasi età, dicono le voci... ma ci vorrà comunque qualche anno
prima che la cosa diventi un problema. Anche se dicono che la
piccola Senei faccia di testa propria. Nel frattempo Fettick deve parlare
con tranquillità al duca per impedire che compia azioni avventate o
repentine, almeno per il momento. Spera, penso, che le cose cambino
abbastanza in fretta, in questa parte di Sarxos, in modo che il duca
non sia più un problema per lui."
"Se possiamo scoprire quello di cui abbiamo bisogno", disse Leif,
"potrebbe andare proprio così."
Wayland si stirò. "Va bene. Domattina, allora. Ci vediamo al
mercato. Non sposterò il carro fuori città finché non sarò proprio
pronto ad andarmene."
"Splendido. Grazie, Wayland."
Wayland alzò una mano in un saluto amichevole e si diresse alla
porta. Il giovanotto emerse dalla sala posteriore e lo fece uscire nella via
buia poi chiuse nuovamente la porta.
Si fermarono per finire la loro birra, poi a loro volta uscirono sulla via e
si incamminarono lentamente per tornare alla zona del mercato.
"Peccato che non abbiamo potuto risolvere la faccenda questa sera",
disse Megan.
Leif alzò le spalle. "Non importa. Riuscirai a collegarti domani
mattina presto? Dovremo occuparcene in quel momento."
"Non dovrebbe essere un problema. Le mattine sono molto
tranquille a casa mia. E la sera che..."
All'improvviso si zittì.
"Uh?", disse Leif.
"Niente", disse a bassa voce. "Continua a camminare."
"Non è vero che non è niente. Che cos'è?"
"È la sera che è un problema", continuò Megan ad alta voce,
scrutando in un vicolo mentre lo superavano. "Mio padre può essere
un vero seccatore per quel che riguarda le serate in famiglia. È ancora
lui" mormorò.
"Oh, beh, sono padri" disse Leif continuando a camminare. Megan
vide che anche lui cercava di scrutare nel vicolo che aveva appena

Tom Clancy & Steve Pieczenik 110 1999 - WarGame Mortale


esaminato lei. Ma sembrava ancora perplesso. Immagino che la mia
visione notturna sia migliore della sua...
"Sono dei seccatori, ma non possiamo vivere senza di loro e non puoi
mica eliminarli... Lui, chi?"
"Il Gobbo", mormorò lei. "Una volta può essere una coincidenza...
due può essere un caso... ma tre volte è un'azione ostile."
"Scusa?"
"Ci sta seguendo."
"Ne sei sicura?"
"Deve essere così. E sai una cosa? Ci segue da Minsar."
"Potrebbe essere pura paranoia, Megan."
"No, non lo è." Si infilò all'improvviso in un altro vicolo e trascinò
Leif dietro di sé. Per un attimo si fermarono appoggiati a una delle
umide mura di pietra nel silenzio assoluto.
Non proprio assoluto. Passi frettolosi, poi silenzio. Poi un'altra
corsetta, più vicino.
"Giù di lì", mormorò Leif.
"Forse è lui. Non voglio aspettare. Non mi piace essere seguita... mi
fa venir voglia di praticare il lancio del nano."
"Che cosa?"
"Lancio del nano. Uno sport molto antico e scorretto. Mia madre
sarebbe scioccata solo a sentirmelo nominare." Megan fece un
sogghigno, poi si guardò attorno. "Dove siamo?" "Fra la terza e la quarta
cinta di mura." "No, voglio dire, da che parte è l'est?"
Molto più avanti di loro, verso sinistra su un muro di pietra c'era una
chiazza di luce lunare. Leif indicò a destra.
"Oh, sì", disse Megan sottovoce e rimase a riflettere per un istante.
Insaziabile lettrice di mappe, Megan quel giorno, prima di muoversi,
aveva dato un'occhiata alla mappa di Errint memorizzata nel gioco.
In quel momento confrontò il punto in cui si trovavano con quel che
ricordava della mappa e rimase a pensare ancora per un secondo o due.
"Va bene", mormorò poi. "C'è una porta nella cinta alla tua sinistra,
una cinquantina di metri più avanti. Porta alla cerchia successiva.
Adesso io vado avanti. Conta trenta secondi e poi seguimi. Cammina
nel centro della strada. Non fermarti alla porta. Continua a
camminare."
"Che cosa hai intenzione di fare?"

Tom Clancy & Steve Pieczenik 111 1999 - WarGame Mortale


Lei sorrise. E scomparve.
Leif rimase con lo sguardo fisso. Non poteva aver fatto ricorso alla
magia, poiché l'uso della magia a breve distanza lascia un'aura tipica,
una sensazione nell'aria, che avrebbe percepito. Ma in silenzio,
molto semplicemente, fra un batter di ciglia e un respiro, Megan
aveva smesso di essere lì dove pensava che dovesse essere. La cosa
gli dava un po' sui nervi.
Uno, due, tre, pensò, chiedendosi come sempre se i suoi secondi
fossero precisi come pensava che fossero. Leif rimase in ascolto
della città addormentata, con grande attenzione. Da qualche parte, in
alto, un pipistrello emetteva il fine squii-squii-squii del sonar, forse per
localizzare gli insetti attirati dalle luci ancora accese dietro le finestre
delle torri della Casa Alta. Non si muoveva nient'altro.
Passi frettolosi.. una corsetta.
Quindici sedici, diciassette, diciotto, pensò Leif. Diciannove, venti..
Lontano, in aperta campagna, risuonò breve, lontano e
stupefacente il canto di una voce dolce. Un usignolo intonò una
melodia, degna di un compositore, e Leif si distrasse quasi
perdendo il conto. Per un attimo i passetti frettolosi si fermarono.
Poi ricominciarono.
... ventotto, ventinove, trenta...
Leif si portò al centro della via e cominciò a camminare con calma
verso la porta. Non era particolarmente calmo, però. Errint era una
città in cui era permesso portare armi all'interno delle mura, perciò
aveva un pugnale. Era abbastanza abile con quell'arma da risultare
pericoloso e aveva avuto un addestramento generale all'autodifesa
sufficiente per farlo sentire a suo agio in qualsiasi grande città del
mondo reale. Ma quella non era una qualsiasi grande città del
mondo reale. Quello era Sarxos e non si poteva mai sapere quando
qualcuno poteva assalirti uscendo da un vicolo buio con un
basilisco carico... contro il quale le arti marziali non avrebbero avuto
alcuna possibilità.
Leif continuò a camminare, resistendo alla tentazione di
fischiettare. Avrebbe potuto farlo sentire meglio al buio, ma
avrebbe anche reso più facile la sua localizzazione per chiunque
avesse avuto una visione notturna non particolarmente buona.
Camminò, con tutta la calma di cui era capace, e superò il quadrato

Tom Clancy & Steve Pieczenik 112 1999 - WarGame Mortale


di luce lunare sulla parete di sinistra, un raggio sottile che sbucava tra
due alti edifici sul lato orientale. La porta di cui aveva parlato Megan
era distante forse altri venti metri. Molto, molto tranquillamente, Leif
abbassò la mano e cominciò a liberare il pugnale dalla fodera.
Dietro di lui, molto silenziosamente, qualcosa cominciò a muoversi
furtivamente.
Non si fermò a guardarsi alle spalle, anche se ne era fortemente
tentato. Continuò a cammina re. Sentiva dentro di sé la voce di sua
madre. Nessun malvivente comune ti arriva di nascosto proprio alle
spalle. Fanno sempre una corsa, negli ultimi metri.
Se è un professionista che tifa la posta, non hai alcuna speranza.
Probabilmente sei già morto. Ma se è solo un delinquentello, se senti
almeno quegli ultimi passi, hai ancora almeno qualche metro fra te e lui o
lei. Quando senti quei passi, però, sono a portata. Fai qualcosa
rapidamente.
Leif si limitò a continuare a camminare. Corsetta. Passetti affrettati,
pausa... passetti affrettati, pausa...
Continuò a camminare.
Ecco la porta, un punto di leggera luce, ampio e ad arco,
nell'oscurità della parete alla sua sinistra. Leif la oltrepassò con aria
innocente, senza girare la testa per guardare oltre, solo prendendosela
comoda: ma con la visione periferica riuscì a capire che lì non c'era
nessuno.
Corsettina.
Rumori di passi. Scarpe morbide sulle pietre. Molto più vicine ora.
Leif deglutì.
Corsetta. Passi affrettati..
... e qualcuno che si metteva a correre.
Leif si girò di scatto, estraendo il coltello, piegandosi in avanti sulle
punte dei piedi quanto bastava per prepararsi a saltare o a correre.
Non ebbe il tempo di fare né una cosa né l'altra. Una forma scura
saltò fuori dalla porta e si abbatté sulla piccola massa scura che stava
correndo verso di lui. Leif non riuscì a capire bene quello che successe
poi, tranne che le due forme scure sembravano essersi fuse in una cosa
sola... poi una delle due si separò dall'altra e finì contro la parete di
fronte alla porta, con forza incredibile. Ci fu un grido, subito interrotto

Tom Clancy & Steve Pieczenik 113 1999 - WarGame Mortale


quando la forma più piccola scivolò contro la parete e finì
sull'acciottolato.
Leif si avvicinò di corsa. Megan era lì in piedi, neanche
particolarmente affannata. Dominava la forma più piccola, con le mani
appoggiate ai fianchi, e guardava verso il basso con un'espressione che
era difficile decifrare nel buio, ma sembrava pensierosa.
"Pesa quasi quanto il mio terzo fratello", disse mite. "Interessante. Va
bene, Gobbo, tira su quel sedere, non ti ho fatto così male."
Il nano se ne stava per terra, lamentandosi e contorcendosi. "Non
farmi male, non farlo più!"
Megan si abbassò e sollevò il Gobbo prendendolo per il farsetto
colorato e per un po' lo tenne contro la parete, con il braccio teso, quasi
all'altezza degli occhi. Osservarono il suo volto. Era quello di un uomo
di mezza età, molto contratto per il nanismo: un viso cattivo, che
faceva pensare a un sacco di guai.
"Sono una persona molto importante e posso farvi finire in un sacco
di pasticci!", squittiva il nano. "Lasciatemi andare!"
"Oh, sì", disse Leif, "stiamo tremando, tutti e due. Era questo il
lancio del nano?" chiese a Megan.
"Molto scorretto", disse lei, con un tono di voce distante. "Ma ci si
può fare l'abitudine."
Il volto del nano si contorse per la paura. "No!"
"Perché ci seguivi?", gli chiese Leif.
"E perché ci hai seguito sin da Minsar?" chiese Megan. "Rispondi in
fretta, oppure ti lancio oltre questo muro, te lo assicuro, e vediamo
quanto la gravità pensa che tu sia importante, quando scenderai
dall'altra parte."
"Che cosa vi fa pensare..."
Megan lo sollevò un po' più in alto.
"Il tuo braccio si sta stancando?" disse Leif. "Posso prenderlo io.
Riesco a sollevare quasi ottanta chili di questi tempi."
"No", disse Megan, "non ce n'è bisogno. Non ho intenzione di
aspettare molto ancora. Gobbo, questa è la tua ultima possibilità. Ho
visto una donna a cui hai fatto male oggi e la cosa mi ha maldisposto,
così adesso non mi sento molto paziente con le persone che non
rispondono alle domande ragionevoli." Cominciò a sollevarlo
ulteriormente.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 114 1999 - WarGame Mortale


Il nano la guardo, con una strana espressione. "Mettimi giù",
disse lui, "e ti dirò tutto quello che vuoi sapere."
Megan lo osservò per un istante, poi lo rimise a terra.
"Va bene", disse. "Sentiamo un po'."
Il nano cominciò a frugarsi nelle tasche. Megan lo teneva d'occhio
come un falco. Leif si stava chiedendo che cosa potessero contenere
quelle tasche.
"Ecco", disse il nano e alzò un braccio, tendendo qualcosa a Megan.
Lei abbassò la mano e prese l'oggetto, curiosa. Lo portò vicino agli
occhi, girandolo e rigirandolo nella quasi oscurità. Sembrava una
moneta, solo che i bordi erano perfettamente lisci, non zigrinati. E non
era un oggetto metallico. Era un cerchio di qualche minerale scuro, in
cui era stato inciso un disegno. Megan lo sollevò contro un altro
quadrato di luce lunare che finiva su una parete vicina e lo guardò, ci
guardò attraverso. Leif stava facendo la stessa cosa. Colse un guizzo di
rosso scurissimo, anche nella luce argentata. L'oggetto era di rubino
rosso scuro e, incisa in profondità, in un vecchio tipo di carattere
onciale, c'era la lettera S.
Megan guardò Leif con una strana espressione sul volto.
"Intervento di gioco", disse.
"In ascolto."
"Identifica questo oggetto."
"Oggetto identificato come Simbolo del Creatore", disse la voce del
computer. "Il Sigillo di Sarxos, identificazione positiva nel gioco del
progettista del gioco e detentore del copyright."
Ambedue si girarono a guardare il nano a bocca aperta.
"Sì", disse il Gobbo, con voce del tutto differente. "Sono Chris
Rodrigues."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 115 1999 - WarGame Mortale


4

Raggiunsero di nuovo lo Scrag End. Quando ci arrivarono era


chiuso e completamente vuoto, c'era solo un giovane che faceva da
guardia alla porta.
Si aprì lo spioncino. "Mostragli quello che ti ho dato", disse il nano.
Megan sollevò il sigillo di rubino in modo che il portiere potesse
vederlo. I suoi occhi, anche attraverso lo spioncino, si spalancarono. Lo
spioncino si chiuse e la porta si aprì.
Mentre entravano, il giovane aveva lo sguardo fisso su Megan, con
estremo stupore. "Tu?"
"No, no, lui" disse la ragazza indicando il nano. Solo che non era
più un nano.
Di colpo davanti a loro stava un uomo abbastanza alto, in jeans, T-
shirt e scarpe da ginnastica dall'aria provata. Un uomo robusto, di
mezza età, con capelli ricci scarmigliati e una barba riccioluta e occhi
marroni, gli occhi più gentili che Megan avesse mai visto. "Senti", disse
Rodrigues al giovane, "so che vorresti parlare con me, ma io ho bisogno
di parlare con queste persone adesso, ed è davvero urgente. Posso
tornare e incontrarti la prossima settimana, ti va bene?"
"Oh, certo, certo, va benissimo", disse il giovane. "Basta che
chiudiate bene la porta quando ve ne andate."
"Nessun problema."
Il portiere uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Chris rimase immobile un istante, poi sollevò il chiavistello, lo
rimise a posto e tornò a sedersi al tavolo in fondo, dove era avvenuta la
conversazione con Wayland.
Leif si era seduto e guardava fisso Rodrigues, ancora frastornato.
"Sei davvero tu, non è vero?"
"Certo che sono io. Non c'è modo di falsificare questo." Chris diede
un colpetto al sigillo sul tavolo. "Ho sempre pensato che prima o
poi avrei dovuto far conoscere a qualcuno la mia presenza, perciò ho
cercato un modo per cui i giocatori potessero sapere che ero proprio
io, un modo che non potesse essere falsificato."
Megan annuì. Perché stavi seguendoci?" chiese.
"Perché avete qualcosa a che vedere con queste espulsioni, vero?"

Tom Clancy & Steve Pieczenik 116 1999 - WarGame Mortale


Megan e Leif guardarono R o d r i g u e s completamente attoniti.
"No, non voglio dire che siate implicati!" disse Rodrigues. "Ma state
intorno a qualcuna delle persone che può darsi siano state coinvolte...
o no? È una di loro... Elblai..."
"Sì. Eravamo con lei la notte scorsa."
"Sì, l'ho visto dalla documentazione del gioco. E la descrizione che
sua nipote mi ha dato di voi era molto accurata." Rodrigues si
appoggiò allo schienale. "Perciò ho pensato di dover dare un'occhiata
in prima persona, questo prima che succedesse a Elblai, ricordatevelo,
e poi vi ho seguito qui. Ho fatto in modo che il sistema mi avvertisse
nel momento in cui foste tornati nel gioco.
"Devo dirtelo", disse Leif, "non lo stiamo facendo per divertimento.
Facciamo parte degli Explorers... siamo con la Net Force."
"La Net Force, sì", disse Rodriges e si piegò in avanti sul tavolo,
passandosi le mani fra i capelli. "Sì. C'è stata un po' di gente loro qui
oggi. Naturalmente ce li ha portati la storia di Elblai e sono contento
che siano venuti. Ma non so che cosa possano fare. Non so proprio che
cosa possa fare chiunque di noi."
Sembrava scoraggiato. Intervenne allora Megan: "Chiunque abbia
fatto questo... non è possibile che sia riuscito a farlo senza lasciare
tracce. Deve aver lasciato dietro di sé qualche indizio... secondo noi. È
solo questione di tempo, ma prima o poi noi, o gli adulti operativi
della Net Force, riusciremo a..."
Rodrigues alzò la testa. "Tempo", disse. "Ma quanto ne abbiamo
prima che questa persona espella qualcun altro? E lo faccia in modo
violento? Le prime espulsioni, quelle con i vandalismi e la distruzione
delle apparecchiature, quelle erano già una cosa grave. Ma un tentato
omicidio?
Non sono queste le cose che volevo succedessero nel mio gioco."
"Lo sappiamo", disse Leif. "Neanche noi lo pensavamo. Per questo
siamo venuti e abbiamo cominciato a guardarci in giro per vedere che
cosa potevamo scoprire."
"Ho fatto lo stesso anch'io", disse Rodrigues. "Ma non mi
aspettavo di essere lanciato contro una parete."
"Mi dispiace", disse Megan, arrossendo. "Pensavo che fossi..."
"Un piccolo nano intrigante", concluse Rodrigues, con un sogghigno.
"Sì. È uno dei miei personaggi preferiti, il Gobbo."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 117 1999 - WarGame Mortale


"È il personaggio che interpreti, allora?" disse Leif, "È solo uno di
una ventina", rispose Rodrigues. "Alcuni sono molto tranquilli... altri
più appariscenti. Mi danno la possibilità di andare in giro e interagire
con la gente in modi diversi... e controllare che giochino in modo
corretto." Sorrise un attimo. "Uno dei piaceri di giocare a fare il
Creatore, o Rod." Il sorriso diventò più ironico.
"Ma negli ultimi mesi l'ho fatto più con l'intenzione di scoprire
qualcosa su queste espulsioni. Non è solo che non mi piaccia che la mia
creazione venga usata in questo modo... anche questo, comunque. Ma
Sarxos ha sempre avuto la fama di essere un luogo sicuro, un posto in
cui il Gioco si svolgeva nella massima correttezza... non una di
quelle avventure ambigue in cui il creatore ti cambia le regole del
gioco senza avvertirti. È non è solo un gioco, ovviamente. È
un'attività guidata dai clienti. Bisogna trattare i clienti nel modo giusto.
Se si sparge la voce che cominciano a succedere fatti di tal genere, se
si verifica un solo altro caso di attacco come quello che ha subito
Elblai, il gioco subirà un danno irreparabile. Potrebbe persino finire.
Lascio alla vostra immaginazione che tipo di problemi legali ne
potrebbero derivare. I ragazzi dell'amministrazione della società
proprietaria non sarebbero contenti di me, non lo sarebbero proprio per
niente."
Leif stava studiando il tavolo con un'espressione non
compromettente sul viso. "Guardate", disse Rodrigues, solo un po'
duramente. "Sono già milionario, i miei milioni sono ormai così tanti
che non mi diverto nemmeno più a contarli la sera, quando non riesco
ad addormentarmi. Ho un grande privilegio: posso fare quello che mi
piace per vivere. Non c'è niente di meglio di questo. Ma ci sono cose
molto più importanti del mio godimento e del denaro. Se non c'è altro
modo di fermare questa vicenda, mi darò da fare perché il gioco venga
chiuso. Molte persone deluse sono meglio di poche morte. E questa è
la piega che stanno prendendo i recenti accadimenti, secondo me.
Vorrei tanto sbagliarmi, ma in fondo sono un pessimista, altrimenti
non sarei un progettista così bravo."
Sospirò. "Comunque, ho detto a quelli della Net Force che avrei
cooperato con loro in qualsiasi modo mi fosse possibile. L'azienda non
mi permette di consegnare direttamente a loro la documentazione del
gioco, tirano fuori la storia della privacy, ma posso leggerla io e passare

Tom Clancy & Steve Pieczenik 118 1999 - WarGame Mortale


loro informazioni particolari. Hanno chiesto la vostra documentazione,
incidentalmente."
Megan annuì. "Lo sappiamo. C'è un messaggio di posta elettronica
che sta per partire adesso, sempre che non sia già partito, con la mia
liberatoria."
"Perfetto, va bene. Anche tu?" Si rivolse a Leif. "Sì."
"Bene."
"E che cosa mi dici della tua documentazione di gioco?" chiese Leif
all'improvviso.
Rodrigues lo guardò. Megan per un attimo avrebbe voluto che la
Terra si aprisse e la inghiottisse.
"In che senso?"
"Quelli della Net Force potrebbero farti capire", disse Leif con voce
assai calma e quasi gentile, "che esiste l'eventualità che tu sia coinvolto
in queste espulsioni."
"E perché mai avrei dovuto fare una cosa simile?" disse Rodrigues,
guardando in modo strano Leif.
"Non ne ho idea", disse Leif, "e neppure credo che tu l'abbia fatto.
Ma..." alzò le spalle.
"Beh", disse Rodrigues, "se è per quello, i server del gioco tengono
traccia di quello che faccio esattamente come fanno per chiunque
altro. Non si può mai dire, potrei impazzire e cercare di sabotare il
codice." Assunse di nuovo q u e i r espressione ironica che sembrava
spuntargli sul volto ogni paio di minuti. "I giornali di bordo del
server confermeranno quando ero qui... il che significa,
francamente, la maggior parte delle ore in cui sono sveglio. Se non
faccio lavoro di manutenzione per i bug che, contrariamente a
quanto si crede comunemente, continuano a saltar fuori, sono anch'io
dentro il gioco e passo buona parte del tempo correndo su e giù per
scoprire chi è malvagio e chi è cortese. Fortunatamente non c'è modo
di falsificare queste informazioni."
Megan guardò Leif e i loro sguardi si incrociarono. Ambedue si
chiedevano quanto quell'affermazione corrispondesse a verità. Poi
ritornarono al loro compito. "Sai", disse Megan, "parlavamo di un
modo più strutturato per condurre la nostra ricerca." Gli spiegò il
complesso filo logico che avevano seguito. "Ma c'è un'altra
possibilità", disse. "I giornali."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 119 1999 - WarGame Mortale


Leif la guardò. "I giornali del server", disse Megan. "Tengono
traccia di tutti quelli che giocano, di chiunque sia nel gioco. Ma, per
eliminazione, indicano anche quando i giocatori non sono nel gioco. E
le espulsioni, gli attacchi fisici alle apparecchiature e, nel caso di
Elblai, alle persone si sono verificati quando il giocatore che
commetteva quell'azione non era nel gioco. Se si potesse eseguire una
ricerca sui computer..."
Rodrigues la guardò con aria un po' triste. "Lo sai quante
centinaia di migliaia, a volte quanti milioni di persone possono
essere fuori del gioco in ogni istante? Bisogna trovare qualche altro
criterio di esclusione, in modo da poter ridurre le dimensioni di quel
campione."
"Abbiamo altri gruppi di criteri,,, disse Leif. "In effetti, abbiamo un
elenco di sei nomi che vorrei tanto confrontare con i giornali del
server."
"Quali sei nomi?"
"Orieta, Hunsal, Balk il Cavatappi..."
Rodrigues scosse la testa. "Dove vanno a trovare certi nomi..."
"...Rutin, Walse e Lateran."
"Uh", disse Rodriguez. "Tutti generali e condottieri, eh? Come mai vi
interessano questi particolari personaggi?"
Leif glielo disse.
"Beh", disse Rodrigues, "questi sei dovremmo proprio essere in grado
di controllarli."
"Avete tutti gli orari degli attacchi effettivi?" disse Megan.
"Oh, sì, credimi." Rodrigues intrecciò le dita e appoggiò il mento sulle
mani. "Intervento di gioco.
"In ascolto."
"Qui è il capo."
"Verificato."
"Accedi ai tempi del mondo reale degli attacchi ai giocatori espulsi."
"Accesso effettuato. In memoria."
"Accedi ai record del server per l'uso del gioco relativo ai giocatori
seguenti: Hunsal, Rutin, Orieta, Walse, Balk il Cavatappi e Lateran."
"Accesso effettuato. In memoria." "Confronta."
"Confronto in corso. Criteri?"

Tom Clancy & Steve Pieczenik 120 1999 - WarGame Mortale


"Identifica quali giocatori non erano nel gioco nei momenti degli
attacchi."
Leif e Megan erano immobili.
"Walse, fuori gioco ad attacco uno, attacco tre. Orieta fuori gioco ad
attacco cinque. Balk il Cavatappi, fuori gioco ad attacco sette. Tutti gli
altri giocatori erano in gioco in tutti i momenti degli attacchi."
Megan e Leif si guardarono a vicenda.
Leif fece una smorfia. "Non ha funzionato. Speravo in qualcosa di
un po' più decisivo. Tutti gli altri stavano giocando."
"Così dice il computer."
"Ci sono possibilità di errore?" disse Leif. "O che il programma o i
giornali siano stati manomessi?"
Rodrigues rise sottovoce. "Bel tentativo", disse, "ma non hai idea di
come sia controllato strettamente il nostro sistema e di come venga
gestito con estremo rigore l'accesso. È il computer stesso che scrive il
codice. Non ci sono più programmatori umani che lo gestiscono. La
macchina contiene una quantità sufficiente di euristiche per trattare
tutto e, inoltre, ci sono non so più quanti miliardi di righe di codice da
manipolare. Non esiste un numero abbastanza grande di umani, di
scimmie o di altri primati incatenati alle tastiere che potrebbe lavorare
abbastanza in fretta da soddisfare tutte le esigenze del sistema.
Mi limito a dire alla macchina di che cosa c'è bisogno e l'operazione
viene eseguita. Nessun altro ha accesso al codice, o ai giornali del
server, tranne un paio di persone nell'azienda proprietaria. E non è
affatto possibile che siano coinvolte in questa faccenda... gestiscono i
giornali solo per l'archiviazione. Tutto comunque è cifrato, come
succede per le chiavi private di gioco e così via."
"Allora non c'è modo per manipolare queste cose."
"No. Credetemi", disse Rodrigues, "c'è un sacco di interesse da
parte di altre agenzie che hanno usato Sarxos, il suo codice e la sua
struttura di base, come letto di prova per altri tipi di simulazioni, che
non sono pubbliche. Tutta la nostra attività è controllata alla
perfezione proprio a causa di queste affiliazioni."
"Ma le persone che non erano in gioco durante gli attacchi", disse
Megan, "non c'è modo di stabilire dove fossero, allora..."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 121 1999 - WarGame Mortale


"Beh, no, almeno in una certa misura è possibile", disse Rodrigues,
"perché possiamo verificare nei giornali quando sono rientrate di
nuovo. Intervento di gioco."
"In ascolto."
"Esamina i giornali estratti. Nota se qualcuno di questi giocatori è
stato assente dal gioco per più di... un'ora."
"Walse. Assente per quattro ore tredici minuti."
"Poi è tornato nuovamente al gioco."
"Sì."
"C'è solo un problema", disse Rodrigues, con uno sguardo
leggermente sfuocato, che fece pensare a Megan che fosse in
grado di vedere nell'aria qualche tipo di visualizzazione a loro
preclusa. "Il primo attacco è stato ad Austin, in Texas, e Walse vive
a Ulan Bator. Anche un trasporto quasi-spaziale non può portarti dalla
Mongolia Esterna al Texas in quattro ore. Tanto per cominciare, non
ci sono voli diretti. Pensate quante volte bisognerebbe cambiare."
Scosse la testa. "No, non funziona."
Si riaccomodò sulla sedia, incrociando le braccia. "È possibile", disse,
"che la linea di ragionamento che state seguendo non sia quella giusta."
"È tutto quello che abbiamo", disse Megan.
"Ascoltate, non sto tentando di deprimervi", disse Rodrigues. "Io
stesso non sono riuscito a trovare niente di meglio. Ho tentato di
elaborare i dati in tutti i modi possibili e non sono approdato da
nessuna parte. Spero proprio che i vostri della Net Force possano fare
qualcosa per me adesso, perché sono ormai senza risorse. Vi dirò, però,
che quando riusciremo a mettere le mani su colui che sta facendo
questo..."
"Quando", disse Megan, facendo un piccolo sorriso. Le piaceva il
suono della certezza... ma al contempo la rattristava. Continuava a
pensare a Elblai.
"Hai saputo niente di Elblai, o meglio di Ellen?" gli chiese.
"È uscita dalla sala operatoria", disse Rodrigues, "ma non ha ancora
ripreso conoscenza. È sempre nei miei pensieri." Sospirò. "Ascoltate
comunque. Debbo ringraziarvi per aver tentato di aiutare, per aver
cercato di fare qualcosa. Posso contraccambiare in qualche modo il
vostro interessamento?"
Megan scosse la testa. "Non mi viene in mente niente, al momento."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 122 1999 - WarGame Mortale


Leif disse all'improvviso: "Potrebbe farci comodo un po' di transito.
Io ne ho consumato buona parte di quello accumulato, in queste
ricerche."
Rodrigues ridacchiò. "Continuerete a lavorare su questo problema?"
Annuirono.
"Uh, considerate i vostri conti aperti finché questa faccenda non
sarà risolta. Intervento di gioco."
"In ascolto."
"Qui è il capo. Fai in modo che i personaggi Brown Meg e Leif
mago-delle-siepi abbiano conti aperti da questo momento fino a una
nuova ordinanza da parte mia."
"Fatto."
"Se non altro, un problema in meno di cui dobbiate preoccuparvi."
Sospirò, guardò le mani congiunte sul tavolo, poi alzò di nuovo la
testa. "Amo questo luogo", disse. "Avreste dovuto vederlo quando è
iniziato. Piccolo, pieno di buchi, appena abbozzato, un universo solo
video. Si poteva mettere tutto in un PC." Rise. "Poi ha cominciato a
sfuggirmi di mano. Fanno questo, immagino, i mondi: sfuggono dal
controllo dei propri creatori. Adesso ci sono qualcosa come quattro
milioni di utenti... un vero popolo. Persone che sembrano proprio
pensare che si tratti di qualcosa di speciale." Ancora una risatina
sottovoce. "Ho ricevuto un messaggio di posta elettronica da
qualcuno, qualche mese fa, in cui mi diceva che avremmo dovuto fare
una petizione al governo perché ci lasciasse trasformare Marte e
impostare Sarxos là. Ricevo un sacco di posta da gente che vorrebbe
trasferirsi. Voglio dire, questo..." Picchiò leggermente sul tavolo.
"Questo è assai vicino alla realtà, molto valido. Qui si può mangiare,
si può bere, si può dormire, si può combattere... si può fare ogni
genere di cosa. Ma non si può restare. C'è qualcuno che ha cominciato
a dire che vorrebbe stare qui... vivere qui."
Scosse la testa. "L'unica cosa che non sono stato capace di
prevedere... è che le persone potessero cominciare a fare qualcosa
l'uno all'altro nel mondo reale sulla base di quello che accadeva qui.
Non è mai stato un posto pacifico. Non è stato costruito per essere un
luogo pacifico. È un gioco di guerra, un war game! Anche se la
maggior parte dei personaggi vorrebbe la pace... e questo mi sorprende
sempre di più, che la gente volesse vivere qui, non semplicemente andare

Tom Clancy & Steve Pieczenik 123 1999 - WarGame Mortale


alla guerra in tutto il paese e combattersi a vicenda. Ma ora... è come se
il serpente fosse sceso nell'Eden. Non mi piace questo serpente. Vorrei
schiacciargli la testa."
"Anche noi", disse Megan.
"Lo so. È per questo che stiamo facendo questa conversazione."
"Abbiamo intenzione", disse Leif, "di andare avanti... fino a che non
troviamo il serpente. E di schiacciarlo."
"Fatelo", disse Rodrigues. "Questo abuso, se mette le radici e non viene
estirpato immediatamente... è destinato a distruggere questo mondo.
Non voglio che succeda." Guardò attorno a sé le pareti scheggiate, la
copertura di paglia del tetto e i ciottoli sul pavimento e quello che c'era
stato rovesciato sopra. "Non voglio che tutto questo svanisca. Questo e le
catene di montagne dove fanno il nido i basilischi, gli oceani con i mostri
marini e il chiaro di luna... le stelle... le persone che vengono nel mio
mondo per giocare... Non voglio vedere tutto questo collassato e archiviato
per sempre. Voglio che mi sopravviva. Sarebbe proprio una bella forma
di immortalità, un mondo che continua a funzionare quando il suo
creatore se n'è andato, o è semplicemente nascosto..." Sorrise
debolmente. "Un po' come quello che dobbiamo fare ora, là fuori nel
mondo fisico."
Rodrigues li guardò, intensamente. "Fate quello che potete... ma state
attenti. Se lo fate, non posso assumermene la responsabilità... avete
firmato la liberatoria quando siete entrati."
"Siamo assai abili quanto a responsabilità", disse Megan. "Ce la faremo."
"Va bene. Ecco, prendete questo." Infilò la mano in tasca e ne uscì con
un altro sigillo con la S sopra: non di rubino, ma d'oro, o comunque di
qualcosa somigliante all'oro. "Continuerete a lavorare insieme,
perciò tenete questo. Se avete bisogno di qualcosa dal sistema come
informazioni su altri giocatori, o capacità aggiuntive, sei un mago,
sai che cosa intendo, chiedete al sistema. Nell'ambito del lecito,
soddisferà ogni vostra richiesta. Questo vi permetterà anche di
instaurare un canale di comunicazione con me o con il mio conto.
Potete lasciarmi un messaggio di posta elettronica, oppure
parlarmi, se sono nel gioco."
"Ehi, grazie. Questo è veramente..."
"Non ringraziate me. Sono io che vi sono grato per quello che
state facendo. C'è qualcun altro oltre a voi che sta facendo ricerche

Tom Clancy & Steve Pieczenik 124 1999 - WarGame Mortale


con molta discrezione. Immagino che quanti più siamo a cercare,
tanto meglio è. Ma nel frattempo, state in guardia."
"Lo faremo", disse Leif.
Rodrigues si alzò. "Va bene... si sta facendo tardi. Debbo andare.
Grazie ancora."
Lo salutarono con un cenno del capo. Rodrigues fece un cenno
che sembrava una piccola onda rivolto verso di loro... poi con un
botto per lo spostamento d'aria, svanì.
Leif e Megan si guardarono a vicenda. "Non Lateran", disse Leif.
"Merde?
"Dobbiamo tornare al tavolo da disegno..." disse Megan.
Si alzarono e uscirono dallo Scrag End, chiudendosi con cura la
porta alle spalle.
Wayland li aspettava al mercato, il mattino dopo, avendo già
impacchettato tutto, pronto a partire. Aveva quello che Leif ricordava
come il suo "cappello da viaggio", un grande cappello floscio con una
piuma malconcia che gli dava un aspetto a metà strada fra un
moschettiere in disarmo e una divinità normanna disoccupata. "Non sono
ancora andato alla Casa Alta oggi", disse, conducendoli su per la cerchia
successiva della città, "ma non dovremmo incontrare difficoltà a trovare
il vecchio maggiordomo Tald. Vi porterà subito a vedere il Signore.
Fettick comunque non è pretenzioso come molti altri. Niente grandi
cerimonie da queste partì. La gente non lo sopporterebbe."
"Pensavo invece che amassero le cerimonie da queste parti", disse Leif.
"Dopo tutto c'è la Festa dell'Inverno, in cui bruciano l'uomo di paglia, e
la Follia di Primavera, in cui tutti si sbronzano per tre giorni."
"Probabilmente il vecchio Tald non se ne cura", disse Wayland, mentre
attraversava la porta di comunicazione con la cerchia successiva e
salutava con la mano alcuni conoscenti. "Ma è a posto, non vi creerà
problemi."
Megan osservò Wayland, un po' perplessa per l'improvvisa oscurità della
risposta. Ma Wayland stava superando un'altra porta, davanti a loro con
Leif subito dietro. Alzò le spalle e li seguì.
La cinta interna di mura di Errint era il vecchio castello stesso, costruito
con massi del ghiacciaio tagliati perfettamente in blocchi come se
fossero stati formaggio. "Come abbiano fatto gli Antichi, ancora non

Tom Clancy & Steve Pieczenik 125 1999 - WarGame Mortale


lo sappiamo", disse Wayland, guardando in su le mura. "Non è un tipo
di magia che si possa fare più di questi tempi."
"Magari avevano dei laser", disse Megan, osservando la precisione dei
tagli e quanto fossero lisce le superfici, senza essere state levigate.
All'interno, pensò con ammirazione alla creatività di un uomo che
riusciva a trovare il tempo per lasciare dettagli come quelli in tutto il
suo mondo: non solo opere complesse o fuori dalla norma, ma misteri
e rompicapo da elaborare a parecchi livelli diversi; il luogo stesso
poteva essere argomento di ore di passatempo divertente, quando si
tentava di capire se Rod avesse semplicemente buttato lì a caso qualche
particolare, o se avesse voluto che la gente ci si spremesse le meningi
per scovare qualche significato nascosto. E c'era sempre la possibilità
che fosse uno scherzo, che non ci fosse alcun senso: una burla che
Megan sospettava un Creatore fosse disposto a fare.
"È piuttosto bello, questo è certo", disse Wayland e li condusse verso
le porte del castello, che erano aperte. Nel cortile antistante, c'erano
alcune donne che stendevano i panni al sole e un uomo grande e
florido, vestito di blu scuro, che girava impartendo ordini a tutti,
agitando le mani, fornendo indicazioni. Quando i tre entrarono, si
rivolse immediatamente a Wayland. "Non ci sono posti vacanti, buon
fabbro, non ci sono altre opportunità di impiego qui!"
"Mastro Tald", disse Wayland, "non cominciare a urlare. Queste
persone sono qui per affari" "Che tipo di affari?"
"Meglio chiederlo direttamente a loro", disse Wayland.
Leif si inchinò educatamente al maggiordomo e disse: "Signore, se
possibile avremmo bisogno di vedere Lord Fettick, per una faccenda
di una certa urgenza".
"Non so, giovanotto, oggi è davvero molto impegnato."
"Pensi che abbiano fatto ricorso a qualche incantesimo per queste
pietre?" chiese improvvisamente Megan a Wayland, indicando la
parete più vicina. Wayland si girò seguendo il gesto e, nel contempo,
Leif si tolse il sigillo dalla tasca e lo mostrò per un attimo a Tald.
Gli occhi di Tald si spalancarono. "Beh", disse, "è ancora presto e
penso che i primi con cui ha appuntamento si presenteranno solo fra
un po" Seguitemi".
"Difficile dirlo", stava dicendo Wayland mentre Leif rimetteva in
tasca il sigillo, "a questo punto...

Tom Clancy & Steve Pieczenik 126 1999 - WarGame Mortale


"Penso anch'io", disse Megan. "Senti, Wayland, può darsi che ci
voglia un po' di tempo."
"Sarò giù al mercato, allora", disse lui, "o magari no". Li salutò con
un gesto della mano e uscì dal castello.
Leif lanciò a Megan uno sguardo dubbioso mentre seguivano il
maggiordomo attraverso la porta del castello vero e proprio e su per
una scala circolare che cominciava a salire attorno alle pareti della
torre centrale, circolare. Megan scosse la testa e alzò le spalle.
Il secondo piano era costituito da un'unica grande sala ariosa,
simile al salone di Minsar, eccetto che per gli arazzi che sembrava
fossero stati tolti per l'estate. Dato che in quella stagione il clima era
abbastanza caldo e piacevole, non occorreva ripararsi dalle ingiurie
del freddo. Il maggiordomo li guidò al centro della stanza, dove si
trovavano un tavolo e una sedia su cui era seduto un uomo.
"Lord Fettick", disse Tald, "questi due viaggiatori sono arrivati per
affari urgenti, portando il sigillo di Rod".
L'uomo sulla sedia alzò il capo, un po' sorpreso, poi si alzò per
salutarli: cortesia di un tempo, a cui Leif e Megan risposero entrambi
inchinandosi. "Davvero? Allora porta un paio di sedie, per favore e falli
accomodare. Poi vai pure."
Tald corse via, portò un paio di sedie di legno, che collocò all'altra
estremità del tavolo, poi se ne andò. L'uomo indicò loro di
accomodarsi. Leif e Megan si sedettero.
Megan pensò che non aveva mai incontrato di persona qualcuno che
indossasse occhiali con le lenti rosa, dato fra l'altro che conosceva
pochissime persone che continuassero a portare gli occhiali, dopo gli
sviluppi della chirurgia laser. Ma ecco che Fettick li aveva: un uomo
alto, magro, dall'aspetto un po' divertito in un impermeabile di
gabardine, che era il massimo dello stile per il quattordicesimo secolo,
ma agli occhi di Megan risultava piuttosto un incrocio fra l'abito di
un monaco e un accappatoio. Probabilmente è molto comodo, però, pensò.
Se quella era la stanza del trono della Casa Alta, non era
particolarmente adorna. Il trono in effetti era piuttosto una poltrona
comoda, bene imbottita, accostata a quello che probabilmente era un
tavolo per le cene di gala, ma che ora era adoperato come scrivania. La
bella superficie lucida di ebano era quasi completamente coperta da
carte e pergamene di ogni genere, rotoli e libri cuciti, piume, penne,

Tom Clancy & Steve Pieczenik 127 1999 - WarGame Mortale


stili e tavolette. Sembrava il risultato di un'esplosione in una biblioteca
antica.
"Signore", disse Leif, "grazie per avere acconsentito a riceverci".
"Beh, siete i benvenuti... ma per poco. Spero che capiate che questa
mattina sono molto impegnato e non ho molto tempo." Accennò
vagamente alla scrivania.
"Capiamo perfettamente", disse Leif. "Signore, riconosce questo
sigillo?" Mostrò la moneta d'oro che Rodrigues aveva dato loro.
Fettick gli rivolse uno sguardo vagamente scettico. "Intervento di
gioco", disse sottovoce, poi mormorò qualcosa al computer. Quello gli
rispose a sua volta con un mormorio impercettibile.
Le sopracciglia si alzarono. Mormorò ancora. Poi aggiunse: "Davvero
l'onnipotente Rod è stato qui!"
"Sì, signore. L'abbiamo visto la notte scorsa. Le manda i suoi
omaggi", disse Leif. Non era proprio vero, ma era una cosa che
probabilmente Rod avrebbe detto.
"Che cosa voleva?"
"Voleva parlare con noi di una faccenda che ci sta a cuore... e per la
quale siamo venuti a trovarla", disse Leif.
"Signore", disse Megan, "le vostre forze sono entrate in conflitto con
quelle del re Argath di Orxen non molto tempo fa."
"Sì." Fettick si sedette e sul suo volto si disegnò un sorrisetto con
un'aria vagamente ferina. Tutto d'un colpo non sembrava più troppo
mite. "Sì, e abbiamo vinto, no?"
"Sì, avete vinto. Il problema ora è, signore, che tutti quelli che
hanno combattuto contro Argath e hanno vinto sembra corrano il
rischio di essere... mi scusi, debbo usare una parola indecorosa...
'espulsi'."
Gli occhi di Fettick si spalancarono per un momento. "È
indecorosa", disse. Poi guardò nuovamente la tasca in cui Leif aveva
rimesso il sigillo. "Comunque, avete quello... perciò immagino che
possiamo parlare di cose come l'Esterno. Volete dire che la signora che è
stata espulsa l'altro giorno era..."
"Stava per avere uno scontro con Argath e con ogni probabilità
avrebbe vinto. È stata espulsa proprio poco tempo prima dell'ora in
cui avrebbe dovuto iniziare il combattimento. È successo anche ad altri,

Tom Clancy & Steve Pieczenik 128 1999 - WarGame Mortale


di solito dopo la battaglia. Ma ora sembra che cose di questo tipo
comincino ad accadere prima che avvenga lo scontro."
"E il responsabile è Argath, o è uno dei suoi oppure..."
"Non lo sa nessuno. Tutto quello che abbiamo notato è il
collegamento. Perciò stiamo avvertendo le persone che hanno
combattuto recentemente con Argath e hanno avuto la meglio,
perché badino alla loro sicurezza. Qui e altrove."
"E che tipo di precauzioni dovrei prendere?" chiese Fettick.
Leif e Megan si guardarono a vicenda. "Uh", disse Megan.
"Fate più attenzione del solito quando uscite e rientrate", disse Leif.
Era una cosa che conosceva abbastanza bene, viste le relazioni
diplomatiche del padre. "Se seguite dei percorsi abituali quando
viaggiate o nel lavoro esterno, variateli. Se avete programmato dei
viaggi che non sono veramente necessari, annullateli. Controllate nel
luogo in cui vivete che non ci siano oggetti che non siano stati messi
da voi o che non riconoscete."
"Rintanarsi in casa?", disse Fettick. "Oscurare le finestre? Chiudere
a chiave la porta?"
Leif lo guardò e pensò che forse era più saggio stare in silenzio per
un attimo.
Fettick si sedette nuovamente, allacciando le dita sul suo abito.
"Giovane signore", disse. "Lei sa che cosa faccio io per vivere... 'là
fuori'?"
Leif scosse la testa. Non aveva scavato così a fondo nel retroterra di
Fettick.
"Raccolgo spazzatura", disse Lord Fettick, "a Duluth, Minnesota. E
il tipo di lavoro che svolgo comporta che ripeta la mia routine senza
sgarrare assolutamente, due volte alla settimana, su ciascuno dei tre
percorsi. 'Variare' un percorso di raccolta della spazzatura verrebbe
notato dai miei superiori con grande disappunto". Sospirò. "E sì, so
come quella signora sia stata espulsa l'altra sera. È una tragedia.
Sapete qualcosa sulle sue condizioni?"
"È ancora in ospedale", disse Leif, "e al momento non ha ripreso
conoscenza."
"Sì. Beh", disse Fettick. "Stava andando al lavoro, penso, quando
qualcuno le si è affiancato e ha buttato fuori strada la sua auto. Io
lavoro tutto il giorno in mezzo a un traffico da medio a pesante, tutti i

Tom Clancy & Steve Pieczenik 129 1999 - WarGame Mortale


santi giorni e se qualcuno volesse uccidermi o ferirmi, credetemi, non
avrebbe alcun problema. La mia unica preoccupazione è che possano
mancarmi e uccidere uno dei miei compagni di lavoro. E, da quello che
mi avete raccontato, sembra che non ci sia un granché che si possa
fare per risolvere il problema alla radice in questo momento. Quelli fra
noi che sono entrati nel mirino hanno già commesso l'offesa che li ha
fatti diventare dei bersagli, e non c'è nulla che possiamo fare per fare
ammenda."
"Probabilmente no", disse Leif.
"Stando così le cose", disse Lord Fettick, "posso passare i miei
giorni da ora fino a quando quella persona verrà a cercarmi in una
nebbia di paura, nel tentativo di proteggermi contro un assalto di cui
non so nulla, chissà da quale direzione, oppure continuare a vivere la mia
vita e rifiutare di farmi terrorizzare. Di solito è questo il modo di
affrontare i terroristi, no?"
"Questa è una posizione, eticamente, superiore", disse sottovoce
Megan, "ma nella pratica qualche volta è poco efficace contro i
terroristi, che hanno la tendenza ad andare dritto per la propria strada,
cercando di spazzare via ogni ostacolo e a qualunque prezzo."
"Beh, che vengano", disse Fettick. "Io ho intenzione di star saldo e
continuare a fare il mio lavoro. Là, e qui."
L'uomo alto e magro si alzò e girò intorno al tavolo per avvicinarsi a
loro. "Ti dirò una cosa", disse. "Sono sfinito. Da due notti di tempo di
gioco, che mi costano abbastanza visto il mio salario, il duca, miserabile
lacchè di Argath, sta qui e si prende gioco di me con il suo pestilenziale
nanetto, guarda avidamente mia figlia, divora tutto quello che ho in casa,
beve tutto il mio vino migliore, cerca di farmi credere che un matrimonio
dinastico con lui sarebbe una buona idea. Brutto vecchiaccio. E se n'è stato
qui, queste due notti, facendo del suo meglio per ricattarmi. O peggio, per
intimorirmi. Cerca di coinvolgermi in un'alleanza a cui non ho alcun
interesse, un'alleanza per cui sarei condannato da un capo all'altro del
nordest, un'alleanza con un uomo che ha attaccato me e il mio paese,
neanche otto mesi fa! Il tipo più scadente e più sgradevole di racket di
protezione. E debbo starmene qui e dire stupidaggini per amor di
politica. Non crediate che non sappia almeno questo dell'arte della
diplomazia. Ne ho fin qui di pressioni! Non ho bisogno di una vita
come questa. Non ne vale la pena."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 130 1999 - WarGame Mortale


Si sedette e sospirò, volgendo lo sguardo verso il pavimento.
"Prenderò delle precauzioni ragionevoli", disse, "ma niente di più.
Chiunque stia dietro a questa faccenda, mi rifiuto di lasciargli
controllare la mia vita. Ma vi ringrazio per esservi dati la pena di
avvertirmi. Immagino che ci saranno altre fermate nel vostro
itinerario."
"Sì", disse Megan. "La duchessa Morn..."
Fettick scoppiò in una risata. "Avete intenzione di portare a lei lo
stesso messaggio che avete portato a me?"
"Sostanzialmente sì", disse Megan.
"Avete un'armatura?"
Megan e Leif si guardarono a vicenda. "Dovremmo averne
bisogno?"
Se andrete a dirle che deve variare la sua routine quotidiana, avrete
bisogno di una testuggine, almeno", disse Fettick. "Beh, vi auguro buona
fortuna. So che siete ispirati dalle migliori intenzioni... e se, come penso,
siete in qualche modo coinvolti nel tentativo di scoprire chi si è messo a
espellere persone, vi auguro tutta la fortuna che vi serve. Ora debbo
continuare con le faccende di qui. Ma siete sicuri di non volervi
fermare per colazione?"
"Uh, no, signore", disse Leif. "Grazie, comunque. Dobbiamo andare
direttamente dalla duchessa Morn."
"Sicuri di non volerci ripensare a proposito dell'armatura?"
Leif fece un sorriso forzato. "Penso che ce la faremo."
Si inchinarono a Fettick e uscirono.
Si guardarono attorno nella piazza del mercato, prima di effettuare
il transito, ma scoprirono che Wayland se n'era già andato. Nessuno
sapeva esattamente quando. "Oh, beh", disse Leif, "ci farà avere sue
notizie. Pronta per il transito?"
"Sì. Cerchio sempre delle stesse dimensioni?"
"Stesso locus."
"Pronta. Tappati le orecchie, avremo un bel cambiamento di
altitudine."
Il mondo diventò nero e bianco e pieno di fosfene. Megan deglutì
per stappare le orecchie, poi deglutì di nuovo. Alla fine le orecchie si
aprirono e abbassò lo sguardo su un paesaggio che era diverso da
quello di Errint come il giorno dalla notte. Fin dove arrivava il suo

Tom Clancy & Steve Pieczenik 131 1999 - WarGame Mortale


sguardo c'era solo pianura, un basso delta paludoso con un'ansa
semicircolare, in cui innumerevoli pozze e rigagnoli d'acqua brillavano
e scintillavano nel sole del mattino. Ovunque c'erano canne, merli
dalle ali rosse e rigogoli appollaiati sulle canne, che ondeggiavano e
cantavano al vento che soffiava. Al centro di tutto c'era una grande
piattaforma costruita su enormi piloni sprofondati nell'acqua e sulla
piattaforma c'era una grande casa di legno, dotata di spalti e torrette
come un castello. Per raggiungerla occorreva percorrere un corridoio
in legno che attraversava il paesaggio umido, per finire davanti a un
ponte levatoio e a una strada lastricata a tornanti stretti che portava
alla piattaforma.
Megan e Leif cominciarono ad attraversare il sentiero di legno che
portava al castello della duchessa. Megan schiacciò una zanzara e
disse: "Hai notato Wayland, questa mattina?"
"Uh? No, non particolarmente."
"Forse sono io che me lo sono sognato", disse Megan, "ma c'era
qualcosa, non so, sembrava un po' 'fuori fase' questa mattina.
Sembrava che fosse distratto, per qualche motivo."
"A me sembrava che fossi tu a distrarlo. Come mai?"
"Ho pensato che non era giusto far sapere a tutti del sigillo", disse
Megan. "Rischiamo di farcelo rubare. A proposito, fammelo tenere
per un po'.
"Certo." Leif glielo passò.
"Inoltre..." Megan divagò. "Hai notato il modo in cui rispondeva
alle domande?"
"No. Perché?"
Megan alzò le spalle. "Niente, solo che continuava a propinarmi
quelle risposte molto generali o... non lo so... non proprio adeguate
a ciò di cui si stava parlando..."
"Può darsi che abbia problemi di udito", disse Leif.
"Oh, via."
"No, seriamente. Se ha problemi di udito dovuti a nervi
danneggiati, neanche la virtualità può fare molto in proposito,
immagino. Può darsi che non ci sentisse bene. Ho visto succedere
cose di quel genere con gli apparecchi acustici."
"Uh." Megan ci ragionò sopra un po'. "E normalmente non è una
cosa che si chiede."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 132 1999 - WarGame Mortale


"Sei sicura di non esserti immaginata tutto?"
Megan gli diede un'occhiata storta, poi si strofinò gli occhi. Si sentiva
un po' provata, forse per tutti quei transiti. "Oh, non so... può darsi. O
magari era solo stanco. Dio sa se lo sono io in questo momento. Tutto
è possibile." Sospirò.
Ma poco dopo, mentre camminavano, Megan ripensò a quello che
aveva detto e alle risposte che aveva avuto e infine decise, No. No,
era decisamente reale. Lui era proprio un po' fuori, in qualche senso.
Non era concentrato... Immagino che chiunque possa essere distratto,
anche quando sta giocando. Anche se, visto quello che si paga per giocare
qui, uno penserebbe che eliminino i motivi di distrazione dai loro sistemi
per non sprecare denaro.
Pensò ancora per qualche istante, poi disse sottovoce mentre
camminavano: "Intervento di gioco."
"In ascolto."
"Rilevi il sigillo del tuo capo qui?"
"Sigillo di riconoscimento rilevato. Come posso aiutarti?"
"Il giocatore che si chiama Wayland. È reale o generato?"
"Vuoi sapere se il giocatore è un umano?" "Sì."
"Sì, il giocatore è umano."
"Uh. Fine", disse Megan e rimise in tasca il sigillo. Odio quando il
computer mi dice cose che non varrei sentire.
"Vedo che le guardie sulle mura ci hanno notati", disse Leif. "Guarda
tutti quegli archi."
"Forse è per questo che avevamo bisogno dell'armatura", disse
Megan mentre arrivavano all'estremità del ponte levatoio, sotto l'ombra
del corpo di guardia.
"Troppo tardi per tornare indietro", disse Leif, con un'allegria
esagerata per essere uno sotto il tiro di così tante armi.
"Non so", disse Megan sottovoce, mentre le guardie cominciavano a
riversarsi fuori dei corpi di guardia e a disporsi sul lato del castello
del ponte levatoio, "Mi sembra che una tarda colazione cominci a
risultare molto appetibile."
* * *
Megan uscì da Sarxos e tornò nel suo spazio personale, dove trovò
un mucchio di posta elettronica da sbrigare: cose di ogni genere che

Tom Clancy & Steve Pieczenik 133 1999 - WarGame Mortale


avrebbe dovuto risolvere, ma semplicemente non era nelle condizioni
giuste. Troppe delusioni, troppa eccitazione. Troppe cose non erano
andate per il verso giusto.
Uscì dal suo spazio personale, sentendosi totalmente esausta... come
se fosse stata colpita su tutto il corpo con una mazza da baseball.
Stress... Mentre si alzava dalla poltrona, diede un'occhiata
all'orologio. 0516. Ooooh... non è possibile che sia così tardi... o no?
Sì, è possibile...
Megan passò dallo studio alla cucina, lamentandosi un po' a ogni
movimento. Qualcuno premurosamente le aveva lasciato in vista il
necessario per preparare il tè e una banana sul mobile.
Papà, pensò, sorridendo. Le banane sono eccellenti per chi sta
sveglio tutta la notte, diceva sempre. Il potassio aiuta il cervello a
rimanere attivo. E dato che passava così tante notti al lavoro, queste cose
le sapeva bene.
L'abbandono della "serata in famiglia" da parte di Megan aveva
provocato meno ripercussioni di quel che aveva temuto. Suo padre
aveva capito chiaramente che stava succedendo qualcosa di
importante. Evidentemente ne aveva parlato anche con sua moglie, e
non aveva fatto domande in merito a Megan... il che era gentile da
parte sua e tipico. Ma oggi ci sarebbero state sicuramente domande su
ciò che le stava accadendo. Avrebbe dovuto dare spiegazioni... ed era
agitata. Sapeva che ciò che aveva tralasciato di spiegare a Winters, suo
padre l'avrebbe dedotto rapidamente e le avrebbe detto di scordarsi dei
problemi delle espulsioni a Sarxos e di lasciare che se ne occupasse la
Net Force. Se glielo avesse rivelato, avrebbe dovuto obbedire. Megan lo
rispettava profondamente.
Però...
Mise il bollitore sul fornello e accese il bruciatore, sbucciò la banana
e si sedette al tavolo della cucina mangiandola assorta nelle
riflessioni. Per la decima volta forse ricominciò a rivedere di nuovo
completamente, nella sua testa, le linee di indagine che avevano
seguito lei e Leif. Era difficile pensare, però. Si sentiva sfinita e
l'immagine della duchessa Morn che rideva loro in faccia a più non
posso continuava a intrufolarsi nei suoi pensieri.
Non avevano avuto esattamente bisogno di un'armatura per parlare
con lei. Forse Fettick aveva un po' esagerato da quel lato. Ma il

Tom Clancy & Steve Pieczenik 134 1999 - WarGame Mortale


disprezzo di Morn all'idea che qualcuno potesse avere intenzione di
espellere lei era abbastanza simile a quello di Fettick. Morn aveva
almeno settantanni, era piccola e magra e dura come un vecchio
cuoio da stivali e intensamente divertente. Fiera, pensò Megan. Si era
trovata a desiderare di poter essere simile a lei a settantanni.
"Che provino ad attaccarmi", era stato l'atteggiamento di Morn a
proposito di tutta la faccenda. Era soddisfatta che il suo computer
fosse abbastanza sicuro, che la sua vita fosse abbastanza protetta. Ma
anche se non lo fosse stata, pensò Megan, Morn aveva la totale
mancanza di timore di chi è convinto di aver vissuto bene la propria
vita, e a lungo, e non ha paura di "andarsene" se quella è la carta che
le capita al prossimo giro. Megan e Leif se ne erano andati dalla Casa-
di-legno con le orecchie piene delle ingiurie divertite di una vecchia
signora nei confronti di chi avesse tentato di intromettersi nei suoi
affari personali. Poi loro due avevano dovuto uscire da Sarxos,
perché li aspettava una giornata di scuola ed erano entrambi stanchi
morti, anche se non l'avrebbero mai ammesso l'uno all'altra.
"Ho avuto una lunga giornata", aveva detto Megan a Leif. "Ma
magari ritorno più tardi. Mi lasci il sigillo di Chris, ti dispiace?"
"Nessun problema", aveva detto Leif. Glielo aveva dato ed era
scomparso, con l'aria di essere stanco quanto Megan e ancor più
depresso.
E adesso la questione stava lì, sulla sua "scrivania", nel suo spazio di
lavoro virtuale. Finita la banana, il bollitore aveva cominciato a
sibilare. Megan si alzò rapidamente a spegnerlo e pensò nuovamente al
sigillo.
Non Lateran. Ancora non riusciva a dimenticarsene. Sembrava
proprio sbagliato. Ma Sherlock Holmes le sussurrava all'orecchio,
Elimina l'impossibile, e quello che rimane è la verità. O almeno il
possibile.
Cinque e mezza. Non posso credere di essere rimasta là tutta notte.
Ma... aggrottò le sopracciglia, sospirò, versò l'acqua bollente nella
tazza da tè, poi andò nel piccolo bagno accanto alla cucina, inumidì
un asciugamano con l'acqua fredda e se lo appoggiò sugli occhi per
un attimo. Il freddo sul viso fu un po' uno shock, ma gradito.
Megan lo tenne sul viso per un po' e guardò le luci leggere che si
muovevano sotto le sue palpebre, sottoprodotti al fosfene della

Tom Clancy & Steve Pieczenik 135 1999 - WarGame Mortale


stanchezza dei suoi occhi. Poi levò l'asciugamano, lo lasciò vicino al
lavandino e tornò a prendere il tè.
Megan si sedette, lo sorseggiò con precauzione e cominciò a
riesaminare tutto da capo. Non riusciva a liberarsi dalla sensazione di
aver perso qualcosa nei giornali del server. Ma Leif sembrava pensare
che avessero ricavato tutto il possibile dall'esame di quell'insieme di
informazioni e lei era abbastanza disposta a inchinarsi alla sua
competenza nel campo. Deve esserci qualcos'altro, pensò. Qualcosa
che abbiamo trascurato...
Ma la sua mente continuava a tornare ai giornali del server e non si
placava. È solo una fuga del cervello, pensò Megan dopo un po',
bevendo nuovamente il tè e scottandosi di nuovo. Sono come un topo
che scende in un tunnel in cui non c'è formaggio e continua a
cercare. Era lo stesso tipo di comportamento per cui prendeva in giro
sua madre, quando metteva le chiavi della macchina da qualche parte e
poi non riusciva più a trovarle, ma continuava a ricontrollare nello
stesso punto, sempre lì, anche se ormai sapeva benissimo che lì non
c'erano. Non sono meglio di lei.
Il tè cominciava a raffreddarsi abbastanza. Megan lo sorseggiò ancora
una volta. Mi sento così malmessa. Che cosa mi metto per andare a
scuola oggi? Sono giorni che non controllo la situazione della
biancheria.
Poi imprecò sottovoce, si alzò di nuovo e si diresse rapidamente verso
lo studio.
Andò alla scrivania e spostò di lato un'altra pila di libri. Il Baedeker di
Londra, 1875? Funghi del mondo? Sapori d'Oriente? Che cosa fa, vuole
tornare indietro nel tempo per trovare il curry adesso? Magari con i
funghi dentro, immagino. Si sedette di nuovo nella poltrona
dell'impianto e allineò il suo impianto.
Davanti a lei si stendeva la superficie ocra di Rea, tutta ricoperta di
polvere blu per la neve appena fuoriuscita da una delle vicine bocche
del metano, ed ecco là Saturno, dorato, appeso e privo di
comunicativa nella lunga oscurità fredda, come un messaggio
consegnato e non letto. Tutta quella posta... pensò Megan.
"Computer? Poltrona, per favore." Comparve la poltrona. "Fammi
vedere che cosa è arrivato."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 136 1999 - WarGame Mortale


Nell'aria, davanti a lei, comparvero le icone di una quindicina di
messaggi, alcune immobili, altre in lenta rotazione, altre ancora in
continua e rapida oscillazione, a indicare l'urgenza. I messaggi
urgenti erano la maggioranza, anche se Megan, leggendoli, si
convinse una volta di più che il concetto di urgenza degli altri di solito
non corrispondeva al suo. Altri due messaggi da Carrie Henderson, che
proprio proprio voleva che facesse qualcosa che Megan non ebbe
nemmeno la pazienza di stare ad ascoltare fino in fondo. Poi un altro
avviso inutile a proposito degli esami SAT. Qualcuno che vendeva
abbonamenti a un nuovo servizio di notizie virtuale, con una
dimostrazione che cominciò a girare rumorosamente in un angolo
del suo spazio, mostrando una distesa piena di fumo attraversata
dalle linee brucianti dei laser da campo di battaglia, uno scontro a
fuoco che stava avvenendo in qualche luogo oscuro dell'Africa.
Avrebbe voluto avere a portata di mano un martello con cui colpire il
mittente, ma dovette accontentarsi di dire alla macchina di disattivare
la dimostrazione e proseguì a ridurre la confusione, icona per icona.
Vari inviti a una chat, una conversazione in diretta... Beh, di solito
rifiutava quelle conversazioni quando si trovava a Sarxos. J. Simpson?
E chi è costui? Scosse la testa. Qualche volta si ricevono inviti a una
chat da persone che non si sono mai viste o che non si sono mai
nemmeno sentite nominare prima. Probabilmente qualcuno che aveva
incontrato nel gioco e che voleva continuare qualche discorso.
Aprì i messaggi, ma non contenevano nulla se non la solita frase,
"messaggio fallito, chat rifiutata". Oh, beh, pensò Megan. Come diceva
sua madre in questi casi, se è una cosa importante richiameranno.
Anzi, richiameranno in ogni caso.
Magari ha lasciato della posta a Sarxos, pensò Megan. "Computer?
Collegamento a Sarxos."
"In elaborazione."
"La sua area non scomparve, ma si oscurò mentre nell'aria, come
al solito, comparivano il logo di Sarxos e le dichiarazioni di
copyright, il suo punteggio e le ore dell'ultima sessione di gioco.
"Riprendere dall'ultimo punto di estrazione?" chiese il computer. "O
iniziare il gioco in una nuova area?"
"Altra alternativa."
"Formula, per piacere."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 137 1999 - WarGame Mortale


"Riconosci questo sigillo?" Raccolse il sigillo dorato di Rodrigues,
facendolo girare in mano.
"Sigillo di riconoscimento rilevato. Come posso aiutarti?"
Giù per lo stesso vecchio tunnel, pensò Megan, rassegnata.
"Identifica i tentativi di connessione per chat al mio conto fra le 1830
locali della notte scorsa e le 0515 di oggi."
Un istante di silenzio. "Nessuna connessione dall'interno di Sarxos."
"Va bene." J. Simpson. Scosse la testa. "Posta elettronica in attesa?"
"Nessuna messaggio di posta."
Perciò Wayland non aveva trovato niente di nuovo. "Voglio
accedere ai giornali del server", disse Megan.
"Accesso consentito con il tuo sigillo. Quali giornali vuoi vedere?"
"Giornali per i giocatori Rutin, Walse, Hunsal, Orieta, Balk il
Cavatappi e Lateran."
"Specifica modalità. Audio? Testo? Grafica?"
"Grafica, per favore", disse Megan. I suoi occhi non erano in
condizioni di leggere molto testo in quel momento.
"Quale intervallo temporale?"
"Gli ultimi..." Megan fece un gesto con la mano, di indifferenza.
"Quattro mesi."
"In elaborazione."
Nell'aria di fronte a Megan si impilarono sei istogrammi, che
sembravano il resoconto dell'andamento dell'indice Dow Jones per
l'ultimo trimestre. Ogni colonna verticale rappresentava un periodo di
ventiquattrore: al suo interno, una serie di trattini luminosi disposti in
verticale rappresentava il numero delle ore che la persona in questione
aveva trascorso a Sarxos.
I sei giocatori erano di quelli seri. Nessuno di loro sembrava avesse
giocato meno di quattro ore al giorno, nell'arco di tutti i quattro mesi.
Alcuni ne avevano giocate sei o otto; di norma. Alcuni avevano
estensioni enormi, in particolare durante i fine settimana o nei periodi
di vacanza, in cui stavano all'interno del gioco per quattordici ore di
seguito, o anche più. Chissà quali programmi di massaggio usano,
pensò Megan, stirando il suo corpo dolorante. Cavoli, pensavo di
essere una che prende sul serio il gioco. Ma questa gente è proprio
ossessionata.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 138 1999 - WarGame Mortale


Per divertimento, disse al computer, "Recupera il giornale di server
corrispondente a Brown Meg."
Quando venne visualizzato, si lasciò sfuggire una risata tranquilla.
Negli ultimi giorni, il suo ritmo d'uso del gioco, benché scaglionato
nel tempo, era diventato ossessivo quanto il loro. Papà vorrà fare
quattro chiacchiere con me, pensò. E per quel che riguarda mamma...
no, non voglio nemmeno pensarci adesso.
"Visualizza corrispondente uso del server per Leif mago-delle-siepi",
disse Megan. Accanto al suo comparve un altro istogramma. L'uso di
Leif era molto simile al suo, per gli ultimi giorni. Non va meglio di me.
E ancora il tunnel, sempre senza formaggio alla fine. Fece una
smorfia e disse. "Oh, avanti, visualizza l'uso del server per Lateran."
Visualizzato. Lateran non era meglio degli altri. Anzi, era peggio.
Un altro impazzito, continuamente dentro e fuori. "Visualizza tempo
di gioco per Argath."
Argath, curiosamente, non era presente nel gioco con la costanza
che Megan aveva pensato. Il suo uso del sistema negli ultimi mesi in
effetti sembrava più simile al suo schema normale, anche se era stato
più presente del solito negli ultimi giorni. Non sembrava normale, in
qualche senso... ma, in fin dei conti, qual è un tempo normale per un
giocatore di Sarxos? Esiste una cosa simile? Probabilmente no.
Megan alzò le sopracciglia al pensiero, poi disse al computer
"Visualizza schema d'uso per... oh, Wayland."
Il suo grafico fu visualizzato sotto quello di Argath. Megan
ricominciò a sorseggiare il suo tè, che si era "portata" nello spazio
virtuale, e rimase a guardare un po' annebbiata tutti gli istogrammi
che fluttuavano luminosi nell'aria di fronte a lei. Dovrei uscire e
ripetere il trucco dell'asciugamano con l'acqua fredda, pensò,
ammiccando.
E poi si fermò e guardò nuovamente i grafici: non come li avrebbe
guardati normalmente, ma con gli occhi un po' socchiusi, come aveva
fatto prima.
Il grafico di Lateran era molto simile a quello di Wayland.
Nell'andamento generale, il modo in cui i trattini illuminati e
gli spazi vuoti erano disposti... c'erano molti più trattini, cioè tempi
"dentro" il gioco, che non spazi vuoti. Il grafico di Lateran incuriosì
sempre di più Megan, mentre osservava ciascun periodo di

Tom Clancy & Steve Pieczenik 139 1999 - WarGame Mortale


ventiquattrore e si rendeva conto in che misura fosse occupato da
ore di gioco. Quasi tutto. Tantissimo. E se si metteva a confronto la
fine di una giornata con l'inizio della successiva, nella maggior parte
dei casi c'era continuità. Beh, mezzanotte. Ora di picco per il gioco,
in fin dei conti.
Ma c'era anche qualcosa d'altro. Intervalli di ventiquattrore filate.
Quattordici, sedici qualche volta. Lo schema si ripeteva, tornando
indietro lentamente nell'arco dei quattro mesi. Sei ore dentro,
venti minuti fuori. Otto ore dentro, un'ora fuori. Due ore dentro,
un'ora fuori. Cinque ore dentro...
Lo schema si ripeteva. E l'impegno di Lateran andava oltre
l'ossessione. Era veramente patologico. Quando dorme? si chiese
Megan. Meglio ancora, quando lavora? Anche se lavorasse a casa, non
gli sarebbe certo facile tenere orari simili. Senza farsi licenziare, per lo
meno...
"Computer."
"In ascolto."
"Profilo utente del giocatore Lateran."
"Il tuo sigillo di riconoscimento non consente questo accesso.
Consulta Chris Rodrigues per ulteriori informazioni."
"Che ore sono per Chris Rodrigues?" chiese Megan.
"0242."
È in qualche punto della West Coast. Non lo sveglierò certo alle tre
meno un quarto del mattino. A meno che... "Chris è nel gioco in
questo momento?"
"No."
Dovrò aspettare. Guardò ancora il giornale del server per Lateran.
Se questa persona ha un lavoro, deve svolgerlo a casa. Ma anche così,
non può essere che un lavoro a tempo parziale... non con un impegno
simile nel gioco. E non è un bambino. Il limite d'età per accedere a
Sarxos, data la violenza del gioco, era stato fissato a sedici anni. Perciò
Lateran deve frequentare la scuola o svolgere qualche tipo di lavoro...
Scosse la testa. Il grafico del suo uso del server non aveva alcun senso.
Megan esaminò il grafico di Wayland. Era proprio molto simile a
quello di Lateran. Sei ore dentro, due ore fuori... otto ore dentro, due
ore fuori... sette ore dentro... E lo schema si ripeteva ciclicamente

Tom Clancy & Steve Pieczenik 140 1999 - WarGame Mortale


nell'arco dei quattro mesi. Sono un po' fuori sincronizzazione. Non
esattamente simili, ma... Scosse la testa.
Aveva ancora in mente lo strano modo in cui le aveva risposto
Wayland quel mattino. Cominciò a formarsi un sospetto molto
particolare. Era impossibile, ovviamente, perché il giornale del server
per Wayland e quello di Lateran indicavano che spesso erano in linea
contemporaneamente... e non era possibile interpretare due
personaggi allo stesso tempo.
O no?
"Computer"? disse Megan.
"In ascolto."
"Numero massimo di personaggi interpretati da un utente di
Sarxos."
"Trentadue."
"Qual è il nome dell'utente?"
"Questa informazione non è disponibile con l'attuale sigillo di
riconoscimento. Consulta Chris Rodrigues per ulteriori informazioni."
"Va bene, va bene. Accedi alla documentazione del giocatore
Lateran."
"Accesso alla documentazione effettuato: presente in memoria."
"Quanti altri personaggi interpreta la persona che fa la parte di
Lateran?"
"Cinque."
"E uno di questi è 'Wayland'?"
Silenzio per un istante, poi: "Sì".
Megan provò una sensazione di caldo e poi di freddo a sentire la
conferma. "Ascolta", disse, mentre davanti a lei cominciava ad
aprirsi tutta una serie di possibilità orribili. Ora il suo compito era
cominciare a limitarle. "Con questo sigillo, posso accedere al file di
Chris Rodrigues delle espulsioni tentate ed effettivamente avvenute ai
danni di giocatori di Sarxos?"
"Questo accesso è consentito."
"Accedi a quel file, per favore, e tienilo in memoria."
"Fatto."
"Visualizza i periodi di espulsione su un istogramma simile.
Evidenzia ciascuno."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 141 1999 - WarGame Mortale


Il computer eseguì. I tempi delle espulsioni erano sovrapposti,
sotto forma di asterischi luminosi, a un istogramma scuro traslucido
corrispondente ai grafici sovrastanti.
"Abbassa i grafici di Lateran e Wayland. Sovrapponi al diagramma
delle espulsioni."
Ubbidiente, il computer eseguì. Tutte le espulsioni, compresa
l'ultima di Elblai, cadevano all'interno di periodi di tempo in cui sia
Wayland sia Lateran risultavano presenti nel gioco.
Ma è impossibile, pensò Megan, mentre cominciavano a farsi strada
dentro di lei, sensazioni contemporanee di orrore e di trionfo. È
impossibile. Questi due giornali di Wayland e Lateran non possono
essere giusti. Non possono essere presenti entrambi
contemporaneamente. A meno che...
"Computer!"
"In ascolto."
"È possibile che un giocatore interpreti due personaggi
contemporaneamente durante lo stesso periodo di gioco?"
"Solo in sequenza. L'interpretazione simultanea di più personaggi è
stata esclusa dal progettista e non è lecita nel sistema."
Sono lo stesso giocatore. Sono nel sistema contemporaneamente.
Non è possibile. E il computer non se n'è accorto, perché non è stato
addestrato a notare una cosa simile.
Qualcuno ha trovato un modo per far finta di essere nel sistema.
"È troppo importante", mormorò. "Computer, ho bisogno di
parlare con Chris Rodrigues adesso. È un'emergenza."
Ci fu un istante di silenzio, poi il computer disse "Chris non
risponde al suo cercapersone. L'utente è pregato di riprovare più
tardi."
"Questa è un'emergenza", disse Megan. "Mi capisci?"
"Il sistema capisce 'emergenza'", rispose il computer, "ma non
ha l'autorità, dato un sigillo di riconoscimento del tipo attualmente
in possesso dell'utente, di contattarlo a quest'ora. L'utente è pregato
di riprovare più tardi."
È lui, pensò Megan. L'espulsore è lui.
Oh, merda...!
"Vuoi lasciare un messaggio per Chris Rodrigues?"

Tom Clancy & Steve Pieczenik 142 1999 - WarGame Mortale


Megan aprì la bocca, poi la richiuse mentre le veniva in mente
un'altra idea. "No".
"Quali altri servizi richiedi?"
Megan rimase ferma a osservare tutti quegli istogrammi.
"Mostrami gli altri giornali del server", disse, "stesso periodo, per
tutti gli altri personaggi interpretati dal giocatore che fa la parte di
Wayland e Lateran."
"In elaborazione." Comparvero tre altri grafici. Il primo e il terzo
erano molto simili all'andamento di quelli di Wayland e Lateran.
C'erano piccole differenze nei tempi e gli schemi erano un po' più
complessi, ma anche in questo caso quei personaggi passavano
troppo tempo nel sistema per essere reali e anche loro ciclavano
lentamente nell'arco dei quattro mesi. Automatici, pensò Megan. Non
c'è alcun dubbio.
Il grafico centrale aveva un andamento più realistico. Tre ore dentro,
venti ore fuori. Quattro ore dentro, trentacinque ore fuori... uno
schema d'uso molto più parco. Non un dilettante, ma nemmeno una
persona ossessionata.
Megan lasciò che il suo sguardo si sfocasse ancora, un buon modo
per essere sicura di vedere le configurazioni che pensava di vedere. Le
somiglianze erano troppo forti, fra tutti i grafici in questione, per
essere una coincidenza.
"Memorizza la visualizzazione", disse Megan.
"Nome file?"
"Megan-e-Leif-Uno. Posso copiare questa visualizzazione in un
messaggio di posta elettronica?"
"Sì."
"Copia al giocatore Leif mago-delle-siepi." "Fatto. In attesa di ritiro."
"Copiaglielo anche al di fuori del sistema." "Messaggio inviato sulla
Rete alle 0554 locali." E adesso che cosa faccio?
Megan deglutì, poi dovette farlo ancora. Aveva la bocca secca.
Lateran. Avevamo ragione. Lo so che avevamo ragione. Il nuovo
generale in rapida ascesa... Sorrise con un po' di amarezza.
Bell'analista. E bel pericolo, a giudicare da questi grafici. Chiunque sia
capace di inventare un modo per raggirare un sistema di realtà
virtuale e fargli pensare che sei presente quando in realtà non lo sei...

Tom Clancy & Steve Pieczenik 143 1999 - WarGame Mortale


Ma poi, pensò Megan, perché sprecare tanta abilità tecnica qui
dentro? È solo un gioco. Vero, c'erano persone che sembravano
pensare che Sarxos fosse questione di vita o di morte, che passavano nel
gioco quasi tutte le loro ore di veglia, che ci vivevano, ci dormivano, ci
mangiavano, ci bevevano e, come aveva detto Chris, ci si volevano
trasferire. Ma questo... Megan scosse la testa. Qui c'è qualcuno che
vuole usare, o magari inventare, una tecnologia il cui unico fine è
sfruttare l'aspetto fondamentale della presenza in un ambiente
virtuale.
Aveva sempre pensato che l'"impronta digitale" che si lasciava nella
Rete in conseguenza della presenza con un impianto collegato fosse
indelebile e non falsificabile. Era una delle verità fondamentali su cui
era basato l'uso sicuro della Rete: sei chi il tuo impianto dice che sei,
eri dove hai dichiarato di essere e quando hai detto di esserci stato.
L'impianto attaccato alla tua fisicità doveva rendere definitiva e certa
l'autenticazione delle tue azioni in Rete. Ma qualcuno, Wayland?
Lateran? chiunque fosse aveva trovato un modo per "esserci" quando
in realtà non era lì. Mentre la sua componente fisica genuina era da
qualche altra parte e faceva qualche altra cosa. Entrava illegalmente
nella casa di qualcun altro e gli sfasciava il computer... buttava fuori
strada una nonna di mezza età e la faceva schiantare contro un palo.
E poi?
E tutto per un gioco.
Davvero era tutto lì? Perché le conseguenze di una tecnologia simile
erano orribili.
Megan rabbrividì e deglutì di nuovo, con la bocca ancora secca.
Non abbiamo ancora prove conclusive. Abbiamo solo prove
circostanziali.
Ma sono prove circostanziali buone e solleveranno un bel po' di
interrogativi.
E adesso?
Rivolta al computer, disse: "Memorizza i grafici... toglili dal mio
spazio di lavoro. Copia i file per James Winters alla Net Force."
"Fatto."
Megan si distese e si mise a osservare Saturno fuori dalla finestra.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 144 1999 - WarGame Mortale


Lui lo sa, ovviamente. Glielo abbiamo detto in faccia su che cosa
stavamo indagando, quali erano i nostri sospetti. Gli abbiamo parlato
anche di Lateran. Sa che siamo sulle sue tracce.
Non è di Fettick e di Morn che dovevamo preoccuparci. Dovevamo
preoccuparci di noi stessi.
E non è nemmeno che sia tanto difficile trovarci, pensò Megan.
Programmi che non cambiano. Indirizzi noti. Fece un sorriso amaro.
Ho bisogno di trovare Winters immediatamente. Ma...
Poi si fermò.
Quello che aveva in mente era l'immagine di Wayland, Lateran o
chiunque lo interpretasse che veniva lì, che veniva per lei. O per Leif.
Era molto facile recuperare indirizzi e numeri telefonici e
informazioni "personali" di ogni genere dalla Rete. Ma al tempo
stesso...
Perché dovrei preoccuparmi? pensò Megan, mentre la bocca
cominciava a inumidirsi un po'. Abbiamo il normale numero di armi
da fuoco per difesa, qui, e io so come usarle. Qualcuno mi affronta in
strada, o cerca di assalirmi... Sorrise con una smorfia. No, mi
piacerebbe consegnare questo tizio a Winters, su un piatto d'argento...
Beh, non lo posso fare. Devo procedere secondo le regole. Ma questo
non significa che debba starmene qui ad aspettare che succeda, che
Wayland venga a cercarmi...
Guardò ancora pensierosamente a quei tentativi di contatto per una
chat. J. Simpson, pensò. Chi sei, J. Simpson?
"Computer di Sarxos", disse. "Grazie. Esco."
"Di niente, Brown Meg. Buona giornata." L'informazione di
copyright comparve e scomparve in un lampo viola.
"Computer", disse Megan. "Accedi all'indirizzo di posta elettronica di
J. Simpson. Apri nuovo messaggio di posta..."
Sorrideva.
Leif comparve nel suo spazio di lavoro con la casetta islandese e si
sedette sul divano di design moderno, sfregandosi gli occhi. "Posta?"
disse al suo computer.
"Molta, mio signore. Come vuoi vederla? Prima le cose importanti?
Le cose noiose? In ordine di arrivo?"
"Sì, l'ultimo", disse Leif, sfregandosi ancora gli occhi. Si sentiva
stanco morto.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 145 1999 - WarGame Mortale


Aveva pensato di dormire come un ghiro (comunque dormano i
ghiri), quando era uscito da Sarxos la notte prima. Ma invece aveva
continuato a girarsi da una parte e dall'altra nel letto e non era
riuscito a mettersi calmo. Qualcosa lo preoccupava, qualcosa che non
riusciva a identificare, qualcosa che gli era sfuggito.
Non è Lateran. Sukin syn, non è Lateran. Non poteva liberarsi da
quell'idea. E pensava anche a Wayland. Quello che aveva detto Megan.
"Una qualità "prefabbricata"..."
Era in esecuzione un messaggio relativo a qualche evento a cui
sua madre voleva che assistesse. "Guarda", disse alla macchina, "metti
tutto in attesa per un momento."
"Va bene."
Leif ripensò agli altri incontri che aveva avuto con Wayland,
risalendo fino ai primissimi. L'uomo gli era sembrato un po'
eccentrico... ma era una sensazione che si provava ogni tanto con la
gente di Sarxos. Quando più Leif pensava a quelle conversazioni,
però, tanto più gli sembrava che quel che aveva detto Megan fosse
vero. E un giocatore poteva rivivere le sue esperienze, se aveva avuto
l'accortezza di salvarle.
Leif sorrise amaramente. Per carattere tendeva a conservare
qualsiasi cosa, fino a che suo padre aveva cominciato a lamentarsi
della mancanza di spazio nella macchina per le attività lavorative.
"Senti", disse Leif, "recupera i miei archivi di Sarxos."
"La loro macchina è in linea, Capo", disse il suo computer, "e le
cose che dice di te non mi sento di ripeterle. Lo spazio di
archiviazione che stai usando..."
"Sì, ma lo pago. Non ti preoccupare. Ascolta, voglio sentire tutte le
conversazioni che ho avuto con il personaggio 'Wayland'."
"Subito servito."
Cominciò ad ascoltare. Alla terza conversazione, aveva già
cominciato a cogliere frasi ripetute. Non solo perché erano familiari,
ma perché erano pronunciate esattamente con la stessa intonazione
tutte le volte. I capelli cominciarono a drizzargli sul collo. Un'altra
frase: "Questo è proprio interessante". Ripetuta ancora, un paio di
mesi dopo: "Questo è proprio interessante." Stessa intonazione. E poi
una terza volta: perfetta, stessa durata, al millesimo di secondo.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 146 1999 - WarGame Mortale


Ma poi... fece riprodurre la registrazione della conversazione che
lui e Megan avevano avuto con Wayland. "Questo è proprio
interessante."
Un'intonazione diversa. Molto più divertita... e decisamente più
consapevole.
Deglutì e girò lo sguardo su qualcosa che vibrava proprio lì su un
lato. Era uno dei messaggi di posta elettronica... e come mittente
aveva l'indirizzo di Megan.
"Dannazione. Aprilo!" disse al computer.
Leif si trovò a esaminare una serie di istogrammi impilati. Erano i
giornali del server di varie persone, messi a confronto in funzione del
tempo. Erano...
Rimase a bocca aperta guardando gli ultimi grafici nella parte
inferiore: due gruppi, sovrapposti uno all'altro, e, ancora sopra, gli
asterischi che evidenziavano i tempi di tutte le espulsioni degli ultimi
mesi.
La gola gli si chiuse. Non riusciva neanche a imprecare. Non
c'erano imprecazioni abbastanza pesanti per quello che stava
osservando.
Avevamo ragione. Era Lateran.
E Lateran è Wayland, anche. E Wayland è "prefabbricato" in
qualche modo. Ascoltavamo frasi pre-programmate...
Tranne la notte scorsa. Questo è proprio interessante... e il sorriso di
Wayland.
Dov'è Megan?!
Non aveva il suo codice di comunicazione vocale. Non ne avevano
mai avuto bisogno: tutti i loro contatti erano avvenuti attraverso la
Rete.
"Computer! Invita Megan a una chat."
"Non è disponibile, Capo."
"Accedi a Sarxos. Cercala là."
Attese alcuni interminabili secondi mentre la macchina si
accreditava al sistema e mentre venivano visualizzati il logo e le
informazioni di copyright. Dopo un attimo la macchina disse:
"Non c'è, Capo."
Non poteva neanche scoprire quando era stata là l'ultima volta,
perché non aveva il sigillo. Ce l'aveva lei.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 147 1999 - WarGame Mortale


Con il peso di quelle informazioni di fronte, i dati che adesso lei
aveva, con il ricordo dell'incontro con Wayland la notte scorsa, le
informazioni che adesso Wayland sapeva che loro avevano e il fatto
che Leif non riusciva a trovarla, tutto si saldava insieme e
all'improvviso Leif capì che cos'era successo: se era fortunato, che cosa
stava succedendo in quel momento.
Poi cominciò a imprecare, prima nei confronti di Megan, poi di
Wayland, espressioni in russo che senza dubbio avrebbero fatto
impazzire sua madre se le avesse sentite. Era sconvolto dalla
completa impotenza di essere virtuale quando aveva disperatamente
bisogno di essere concreto: la totale impossibilità di essere a
Washington, proprio in quel momento, quando era in effetti bloccato a
New York.
Leif urlò al computer: "James Winters! Emergenza Net Force!
Connessione immediata!"
Una voce leggermente impastata disse "Winters..."
Leif cercò faticosamente di prendere fiato, poi urlò:
"AIUTO!"
Spedì il messaggio di posta elettronica e aspettò... e non successe
nulla. Qualche persona sensata è ancora a letto alle sette del mattino,
pensò. E perché no?
Infine Megan rinunciò ad aspettare. Si stava facendo tardi. Salì al
piano superiore, si fece una doccia e si vestì. Facendo meno rumore
possibile, perché suo padre chiaramente era stato alzato fino a tardi a
lavorare in qualche altra stanza, visto che lo studio era occupato, e si
era coricato da poco. Sua madre, come succedeva spesso, era già
uscita. I suoi fratelli non erano rincasati quella notte: uno aveva il
turno di chirurgia con inizio nelle prime ore del mattino, l'altro aveva
parlato di un esame imminente per un corso intitolato "Cemento
armato sotto sollecitazione, corso avanzato 302", e tutti e due si erano
eclissati subito dopo cena.
Scese nuovamente in cucina, pensò se farsi un'altra tazza di tè, poi
decise di no. Non c'era niente di veramente importante a scuola; quel
giorno... ma non era un buon motivo per non andarci. Tutti i compiti
erano fatti. Il portatile era carico, tutti i contenitori di dati necessari,
che contenevano i suoi testi di consultazione, erano già nella borsa. E
fuori il clacson la stava chiamando.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 148 1999 - WarGame Mortale


Megan afferrò la borsa e il portatile, infilò la chiave magnetica nella
tasca, predispose la porta anteriore perché si chiudesse dietro di lei, uscì
di corsa, sentì chiudersi la porta e sentì scattare la serratura, provò la
maniglia per essere sicura che fosse chiusa bene, si girò...
... e lui era lì, in piedi davanti a lei, che stendeva il braccio, impugnando
qualcosa di nero.
Solo la prontezza di riflessi salvò Megan. Si gettò da una parte,
mentre lui cercava di afferrarla, e gli lanciò addosso la borsa,
facendolo arretrare un po'. Megan sentì vicino il fischio soffocato e lo
sfrigolio di un destabilizzatore di campo corporeo. Un colpo a segno e la
sua bioelettricità sarebbe impazzita per qualche secondo, abbastanza
per farla cadere come un sacco dove si trovava, "cortocircuitata". Il
raggio di azione efficace di quell'oggetto era di poco più di un metro.
Megan rotolò appena toccò terra, puntò i piedi, si alzò e danzò
lontano dall'uomo nel giardino davanti a casa, attenta a tenerlo
abbastanza lontano. Lui scattò verso di lei e di nuovo Megan si ritirò,
per quanto fosse seccata di doverlo fare.
Metà di lei era spaventata da morire, il resto di lei era assorbito
nell'impegno della danza. Non lasciarlo avvicinare, stai fuori dalla sua
portata e dietro, nel profondo del cervello, le sembrava di sentire una
tranquilla telecronaca diretta di quello che succedeva. Ho sentito il
clacson, dov'è chi doveva darmi un passaggio, non è la macchina
giusta, stessa marca, però, forse anche lo stesso anno, come ha fatto?
Da quanto sospettava che lei e Leif fossero sulle sue tracce? Da
quanto li stava controllando da vicino? Leif, pensò, perché non ho...
L'uomo andò all'attacco ancora, senza parlare. Sperava quasi che
urlasse, dicesse qualcosa. Circa un metro e settantacinque, diceva
un'altra parte della sua mente, con precisione clinica: corporatura
media, maglietta grigia, jeans, mocassini neri, calze bianche... naso
grande. Baffi. Occhi... occhi... Non riusciva a stabilirne il colore da
dove si trovava, ma non aveva nessuna intenzione di avvicinarsi per
scoprirlo. Mani grandi, enormi: un volto sorprendentemente poco
teso e immobile nonostante tutta l'attività che stavano compiendo,
danzando in mezzo al giardino alle sette e quarantacinque del
mattino, e perché non se n'è accorto nessuno, perché i vicini non...?
Megan aprì la bocca per urlare con tutta la forza che aveva.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 149 1999 - WarGame Mortale


E in quel momento si rese conto che lui aveva buttato via il
destabilizzatore, e aveva in mano qualche altra cosa, con cui stava
prendendo la mira.
Non sentì mai il rumore dell'arma sonica che la colpì. Quando
riprese coscienza era distesa a terra e non riusciva a muovere un
muscolo in tutto il corpo. Era quasi una beffa di tutto l'addestramento
che aveva avuto, di tutti i buoni consigli del suo istruttore di
autodifesa. Chiusa fuori casa, senza alcun posto dove ripararsi, e
neanche il tempo per fuggire.
L'uomo si chinò su di lei, il volto non troppo espressivo, solo un po'
irritato del fastidio che lei gli aveva provocato mentre cominciava a
sollevarla, a metterla in posizione quasi seduta, in preparazione, lo
sapeva, a prenderla e metterla in macchina per portarla via. Non
lasciare mai che un assalitore ti porti da qualche parte, aveva detto
uno dei suoi istruttori nei corsi di autodifesa, in un tono più
pressante di quello che gli avesse mai sentito usare in precedenza.
L'unico motivo per cui qualcuno può volerti portare da qualche parte è
per avere un ostaggio, o per violentarti o ucciderti. Costringeteli a
farlo in pubblico, se non potete impedirlo. Potrà essere terribile, ma
è sempre meglio che morire...
Fai qualcosa, disse alla sua gola, ai suoi polmoni. Urla! Un respiro
profondo, poi urla! Ma il respiro profondo semplicemente non veniva
e tutto l'urlo che le uscì era un "uh, uh". L'urlo era tutto nella sua
testa, solo nella testa, e Megan si perse per un istante in un parossismo
di rabbia e paura, ma solo per un istante perché, una cosa strana,
l'urlo era nell'aria sopra la sua testa.
L'uomo guardò in alto, sorpreso, la forma scura che scendeva
come un masso verso di lui dal cielo. Guardò in basso di nuovo
Megan, gli occhi stretti per un attimo, penetranti e mosse la mano.
... poi cadde di lato, pesantemente, vicino a lei e in parte sopra di lei.
Sentì il rumore sgradevole della sua testa che colpiva il terreno. Era stato
un periodo molto asciutto, il giardino era in gran parte marrone e il
terreno era duro...
Megan ricadde all'indietro, con lo sguardo fisso verso l'alto. Non
riusciva a girare la testa, poteva sentire solo l'urlo del motore, il ronzio
nelle orecchie. E allora avrebbe potuto cedere e mettersi a piangere,
non per paura, ovviamente, ma per il sollievo, al suono di tutti i passi

Tom Clancy & Steve Pieczenik 150 1999 - WarGame Mortale


intorno a lei, alla vista, con la coda dell'occhio del beli*elicottero nero
della Net Force con la fascia dorata sul fianco, e dell'elicottero della
polizia che atterrava subito dietro.
... e alla vista di James Winters che all'improvviso comparve sopra di lei,
e diceva al personale medico: "Sta bene, grazie a Dio, ha solo preso un
colpo sonico, su, avanti, datele una mano. E per quanto riguarda lui..."
Guardò in basso, al di fuori del ristretto cono visivo che era tutto
quello che rimaneva a Megan in quel momento. "Ecco il nostro
espulsore", disse Winters con una voce aspra per la rabbia e la
soddisfazione. "Chiudetelo a chiave."
Ci vollero parecchi giorni perché tutta l'agitazione si calmasse.
Megan ne passò un paio in ospedale, i colpi sonici non sono cosette
da cui ci si riprende in un attimo, e il terzo parlando con la polizia,
con il personale della Net Force che era venuto a trovarla, compreso
Winters, e con Leif, che era arrivato da New York.
Tutti la trattavano con estrema gentilezza, come se potesse rompersi.
Il primo giorno, non le diede particolarmente fastidio. Il secondo
giorno, ogni tanto si irritava. Ma il terzo giorno cominciò proprio a
darle sui nervi e lo disse, con impeto, a parecchie persone. Anche a
Winters, alla fine.
"Starà benissimo", lo sentì dire all'infermiera fuori della porta,
mentre se ne andava. "Ma il giorno in cui esci di qui, tu e lui..." disse
indicando con il dito Leif. "Nel mio ufficio, alle dieci in punto."
"Ma io sarà a New York", disse Leif con voce speranzosa.
"Che cosa c'è, il tuo computer si è rotto? Dieci in punto."
Ed era andato.
Megan si abbandonò sulla comoda poltrona nell'angolo... si era
ormai alzata dal letto e disse a Leif: "Gli uomini della Net Force sono
entrati con te questa mattina?"
"Sì."
"Ti hanno fornito qualche altro particolare più tecnico su come
pensano che il signor Simpson, o Wallace o Duvalier" aveva infatti
parecchie identità, "riuscisse a far credere al sistema di non essere lì
quando c'era, e viceversa?"
Leif scosse la testa. "Devo confessare che non sono molto ferrato sul
lato tecnico della faccenda. Evidentemente aveva un secondo impianto
a cui in qualche modo aveva insegnato a fingere di essere collegato al

Tom Clancy & Steve Pieczenik 151 1999 - WarGame Mortale


suo corpo. Non chiedermi come funziona... loro evidentemente sono
molto interessati. E gli faceva eseguire un 'programma esperto', una
routine di sistema consapevole."
Leif si appoggiò al davanzale. "Si tratta di faccende molto vecchie.
Hai mai sentito parlare di un programma che si chiamava Racter? Uno
dei miei zii conosceva il tizio che l'aveva scritto."
Megan scosse la testa.
"Il nome è una abbreviazione di 'Raconteur'", disse Leif. "Era un
discendente di quei vecchi programmi per il test di Turing,
programmi che dovrebbero simulare un essere umano, almeno in
misura sufficiente per essere scambiati per un uomo in una
conversazione. L'obiettivo di Racter era convincerti che stavi
chiacchierando con qualcuno, in modo informale. Simpson, o come
diavolo si chiamava in realtà, aveva scritto un programma 'cosciente' su
misura per Sarxos, che poteva sostenere conversazioni relativamente
buone con altre persone sotto la sua maschera... e riusciva a cavarsela.
Non c'è da meravigliarsi che abbia funzionato, immagino. Quando ti
trovi a Sarxos dai automaticamente per scontato che quello con cui
stai parlando possa essere un giocatore vero oppure un essere generato
dal gioco stesso... e qualche volta i personaggi generati dal gioco si
comportano in maniera un po' bizzarra. Anche Sarxos ha i suoi bug,
in fin dei conti. E sembra che il nostro amico avesse quattro di questi
programmi in esecuzione, qualche volta tutti insieme. Il quinto 'sé' era
proprio lui, che si presentava qua e là, interpretando i vari personaggi
in modo da essere sicuro che tutti pensassero che fossero proprio
quello che dovevano essere... mentre lui si dedicava al resto della
faccenda: cioè a interpretare la parte di Lateran e a liberarsi di tutti
quelli che gli sembrava ostacolassero il cammino di Lateran, uno
dopo l'altro."
"Hanno idea del perché abbia espulso Elblai in modo così duro?"
Leif scosse la testa. "Gli psichiatri della polizia gli hanno parlato, ma
penso che l'impressione generale sia che Elblai gli ha fatto troppa
pressione. È crollato. Può darsi che sia andato avanti così per un po'.
Shel aveva esercitato parecchia pressione su di lui... ma non tanta
quanta Elblai. Semplicemente è stato troppo per lui. Ma è stato molto
attento, veramente astuto. Ha coperto le sue tracce a lungo... per più
di quattro mesi, evidentemente." Leif fece una faccia divertita. "Non

Tom Clancy & Steve Pieczenik 152 1999 - WarGame Mortale


penso che, qualsiasi cosa riescano a trovare gli strizzacervelli, gli possa
servire quando si troverà davanti a un tribunale. Pirateria della strada,
tentata strage, vari furti e distruzione di proprietà privata e, nel tuo
caso, tentato omicidio... dubito che lo rivedremo molto presto a
Sarxos. O in qualsiasi altro posto."
Leif si girò a guardarla, incrociando le braccia e volgendo le spalle
alla finestra. "Sono contento che tu stia bene."
"Sì, beh, se non fosse stato per te, probabilmente non starei bene."
"Avevo una gran paura che fosse troppo tardi."
"Anch'io ho avuto molta paura", disse Megan. "Ma basta adesso,
lasciamo il passato alle spalle. Ci sono cose più importanti di cui
preoccuparsi, ora."
"Ah, sì?"
"Dopodomani", disse Megan, "alle dieci in punto..."
Quando arrivò il momento, Megan e Leif erano seduti,
virtualmente, nell'ufficio di James Winters; ma il non essere lì
fisicamente non rendeva affatto meno scomoda la loro presenza.
La scrivania era ben ordinata. Di fronte a lui c'erano un paio di pile
ordinate di stampate, un paio di solidi per la memorizzazione di dati su
un lato. Winters sollevò lo sguardo dalle scartoffie, e il suo volto era
molto freddo.
"Ho bisogno di parlare un po' con voi due", disse, "di
responsabilità."
I due rimasero muti. Non sembrava il momento giusto per
controbattere.
"Ho avuto qualche colloquio con entrambi a proposito di questo
problema", disse. "Te ne ricordate?"
"Uh, sì", disse Megan.
"Sì", disse Leif.
Winters guardò con particolare intensità Megan. "Sei sicura di
ricordartene, adesso? Perché le tue azioni da allora sembrerebbero far
pensare a un grave episodio di amnesia. Sarei proprio tentato di
consigliare ai tuoi genitori di portarti al centro di neuropsichiatria
della Washington University per quello che mio padre, ai suoi tempi,
avrebbe chiamato 'farti controllare la testa'. Se tu potessi dimostrare
qualche patologia fisica che giustifichi il tuo comportamento, la mia
vita sarebbe molto più semplice."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 153 1999 - WarGame Mortale


Il volto di Megan era decisamente rosso di vergogna.
"No, eh? Lo temevo. Perché non avete fatto quello che avevo
detto?" riprese Winters. "Certo, non era un ordine, non siete ai miei
ordini... ma normalmente, richieste di questo tipo da parte di un
ufficiale anziato della Net Force a un Net Force Explorer si possono
considerare dotate di qualche efficacia."
Megan guardò il pavimento e deglutì. "Ho pensato che la
situazione non fosse pericolosa come lei pensava", disse infine,
sollevando lo sguardo. "Ho pensato che Leif e io potessimo
affrontarla."
"Non vi è passato magari per la testa che avreste voluto fare bella
figura?"
"Uh. Sì. Sì, ci abbiamo pensato."
"E tu?" chiese Winters a Leif.
"Sì", disse Leif. "Ho pensato che potessimo affrontarla da soli. E ho
pensato che sarebbe stato bello risolverla da soli, prima che entrassero
in gioco i membri anziani."
"E allora", Winters lo guardò, "non stavate pensando di
risparmiarci pericoli, o problemi, non specificamente."
"No."
"Tempo, forse", disse Megan.
"E gloria?" chiese sottovoce Winters.
"Un po'", disse Leif.
Winters si appoggiò allo schienale. "Non posso dire che sia un
interrogatorio facile. Beh, ho avuto il tempo di esaminare tutti i
giornali del server. Non c'è dubbio che siate stati tenaci. E debbo
dire che sento anche un po' di dedizione. C'eravate proprio dentro,
vero?"
"Non volevo mollare", disse Megan.
"Avevamo iniziato un lavoro", disse Leif sottovoce. "Quando lei ci
ha parlato... non avevamo finito. Volevamo finire."
Winters rimase immobile, guardando il pacco di carta sulla sua
scrivania. Prese l'angolo della pila e fece scorrere le molte pagine. "Ho
ricevuto parecchia pressione dall'alto", disse, "affinché vi buttassi fuori
dagli Explorers perché siete un rischio. L'esempio di sventatezza e
mancanza di rispetto per l'autorità che offrono le vostre azioni degli
ultimi giorni non sono giudicati un bene per il resto degli Explorers.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 154 1999 - WarGame Mortale


Come sempre, si diffonderanno voci sull'accaduto e c'è chi è
preoccupato che altri Explorers, con la loro giovane età e la loro
inesperienza, comincino a pensare che questo tipo di comportamento
sia effettivamente appropriato. Siamo riusciti a limitare i danni
almeno in una certa misura, ma..." Fece roteare gli occhi. "Quella
scenetta nel tuo giardino non ha aiutato, Megan. I particolari di quello
che è successo e di quello in cui eri coinvolta finiranno sicuramente
per trapelare. Spero per te che non ci siano ripercussioni legali.
Quando fate quello che vi viene consigliato, abbiamo un po' di
potere per difendervi, ma quando non lo fate..."
Winters alzò gli occhi al soffitto come se stesse chiedendo
silenziosamente aiuto, e scosse la testa. "Nel frattempo, debbo
decidere che cosa fare di voi... perché stiamo subendo pressioni da
più di una parte. C'è qualcuno, in questa organizzazione, che mi dice
che l'analisi che vi ha portato alle vostre conclusioni è un bel caso di
pensiero laterale, e loro vorrebbero lavorare con voi in un tempo
futuro. E se io adesso vi butto fuori, questa opzione diventa molto
difficile. Allo stesso tempo, però, altre persone scuotono la testa e
dicono 'Buttali fuori di corsa!' E allora che cosa devo fare? Qualche
suggerimento?"
Li guardò. Leif aprì la bocca, poi la richiuse. "Vai avanti", disse
Winters. "Non vedo come potresti rendere la tua situazione peggiore
di quello che è già."
"Ci tenga", disse Leif, "ma in prova."
"Che cosa vuol dire per te essere in prova?" "Non lo so di preciso."
"E tu?" Winters si rivolse a Megan. "Hai qualche idea?"
"Solo una domanda." Deglutì. "Che cosa succede ai professionisti
della Net Force quando fanno cose di questo genere?"
"In genere vengono licenziati", disse Winters amaro. "Solo per
circostanze attenuanti straordinarie qualche volta si salvano. Avete
qualche attenuante?"
"Che abbiamo scoperto forse una delle tendenze più pericolose in
trent'anni di esperienza virtuale?" disse Leif, con aria innocente.
Winters lo guardò in tralice e si lasciò sfuggire solo un sottile sorriso
a malincuore. Leif lo colse e capì, subito, che era dalla loro parte, che
sarebbe andato tutto bene. Non una soluzione comoda... ma tutto
bene.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 155 1999 - WarGame Mortale


"Questo, per vostra fortuna, è vero", disse Winters. "Finora tutto il
sistema di virtualità è stato diffuso sulla base della certezza che le
transazioni eseguite in remoto attraverso circuiti impiantati fossero
genuine. E adesso, all'improvviso, tutto diventa molto confuso. Non
c'è probabilmente parte della Rete che non sia toccata da questa
vicenda. Bisognerà riesaminare tutti i protocolli di autenticazione,
ovunque, e renderli inattaccabili al tipo di eversione che il vostro
amico sarxoniano è riuscito a inventare. Con l'aiuto di chi, non
sappiamo... ma ci stiamo pensando. Sarxos è stato il campo di
collaudo per alcune tecnologie a cui sono interessati vari paesi.
Quando qualcuno comincia a interferire con quel particolare gioco...
beh, cominciano a suonare i campanelli d'allarme. E continueranno a
suonare per parecchio tempo.
"Lasciando da parte questo, comunque, questo incidente è stato una
sveglia per moltissime persone convinte che i loro sistemi fossero sicuri.
Sarxos aveva un sistema di sicurezza proprietario molto apprezzato. La
scoperta che è stato aggirato in questo modo, riempito di dati spuri, e
che nessuno abbia sospettato quello che stava succedendo, per mesi,
forse per molti mesi... è stato un bello shock. Se qualcuno ha potuto
sovvertire in quel modo Sarxos, lo stesso potrebbe succedere a molti
altri sistemi proprietari. Sistemi bancari. Sistemi di borsa. Sistemi
'intelligenti' che gestiscono vari aspetti della sicurezza nazionale per
diverse nazioni in tutto il mondo. Sistemi di controllo delle armi..."
Winters lasciò la frase in sospeso.
"Non si riesce nemmeno a immaginare in che misura bisognerà
intervenire e riprogettare. Solo che bisogna pensarci, e subito, grazie a
voi." Il sorriso a denti stretti diventò ironico. "Probabilmente in questo
momento ci sono più responsabili e analisti di sistema ed esperti di
hardware e di software che stanno maledicendo il vostro nome di quelli
che vi capiterà mai in futuro di avere contro, se siete fortunati. E quelle
stesse persone vi stanno benedicendo. Se doveste morire proprio
adesso, è difficile stabilire in che direzione ve ne andreste."
Si rilassò. "Nel frattempo... Sarxos stesso..." Raccolse uno dei fogli
di carta dalla cima della pila, lo lesse, lo mise da parte. "Sarxos
probabilmente è riuscito a sopravvivere come azienda grazie a quello
che avete fatto voi. Era una grande fonte di profitti per la casa madre,
e l'attacco a quel giocatore, insieme con l'incapacità di catturare il

Tom Clancy & Steve Pieczenik 156 1999 - WarGame Mortale


responsabile, cominciava ad avere effetti negativi sull'andamento
dell'azienda sul mercato. La Legge del Mercato è 'guarda quando sono
avidi, guarda quando sono spaventati'. Gli azionisti di Sarxos si sono
spaventati, e il mercato ha cominciato a perdere fiducia nell'azienda. Il
valore delle loro azioni è sceso in tutto il mondo, ovunque il titolo
fosse trattato.
"Ora, il progettista del gioco, una persona che non è esattamente
priva di ascendente politico, visto che è ricco almeno la metà di
Creso, ci ha chiesto di darvi ogni possibile credito, nel prendere le
nostre decisioni. L'amministratore delegato della casa madre ha fatto
pressioni in vostro favore, una cosa inaudita per un uomo che tutti
pensano non si scompaginerebbe se il Lupo cattivo facesse un
boccone di sua nonna, a meno che la povera vecchietta in quel
momento non portasse una borsa piena delle sue azioni.
"La polizia di Bloomington è molto contenta di voi, perché la
testimonianza del vostro sospetto li ha portati diritti al veicolo a
noleggio usato nell'incidente che ha messo in pericolo la vita di quella
signora. L'FBI è contento perché lo stesso sospetto ora ha confessato
crimini in vari stati e cerca probabilmente di scendere a un
compromesso, ma non so quanto gli gioverà. Ci sono varie
organizzazioni, di cui né voi né io dobbiamo conoscere l'esistenza, che
sono contente a loro volta, per motivi che o non mi dicono o che non
sono autorizzato a discutere. E sembra che in questo momento tutto
il pianeta sia attraversato da un'ondata generale di benevolenza
scatenata a vostro favore."
La sua voce era molto asciutta. "È curioso. Persone che normalmente
non ti darebbero retta se chiedessi loro che ore sono ci stanno
chiedendo di essere clementi con voi." Winters si appoggiò di nuovo
allo schienale e li guardò. "Francamente, penso che non capiscano
esattamente che cosa avete fatto, in qualche caso, o perché l'avete
fatto, in altri casi... ma comunque, alcuni di loro hanno ragione."
Leif lanciò un'occhiata a Megan, che stava del tutto immobile e
silenziosa. "Stando così le cose", disse Winters, "dubito che sacrificarvi
sull'altare dell'obbedienza cieca possa dare qualche vantaggio a
qualcuno. Preferisco lasciare aperta la possibilità che un giorno,
magari, possiate essere assunti fra... com'è l'espressione che vi ho
sentito usare? 'i grandi'?"

Tom Clancy & Steve Pieczenik 157 1999 - WarGame Mortale


Megan si contorse e lo stesso fece Leif. "Lei legge il pensiero?" gli
chiese all'improvviso Megan.
Winters la guardò, alzò un sopracciglio, poi disse: "Di solito no. Mi
viene il mal di testa. Le facce sono più che sufficienti. Per tutto il
resto..."
Winters alzò le sopracciglia, si risistemò sulla poltrona, spostò un po'
di lato la relazione. "Una cosa che dovete imparare, nell'eventualità
che arriviate a lavorare con i 'grandi', nell'eventualità che arriviate
anche voi a raggiungere quello stato beato, è che il vostro lavoro
all'interno di una squadra non ha necessariamente l'obiettivo di
'essere nel giusto', e che c'è una sottile, sottilissima differenza fra
'essere nel giusto' e 'avere ragione'. Quest'ultima condizione può essere
fatale. La distanza fra le due cose è sufficiente a farvi ammazzare, o a
far ammazzare il vostro partner, o a far ammazzare qualche persona
innocente che vi sta intorno." Si rivolse a Megan.
"Che cosa sarebbe successo se tuo padre fosse uscito di casa nel
mezzo di quell'attacco, qualche giorno fa? Che cosa sarebbe successo
se uno dei tuoi fratelli ci si fosse trovato casualmente coinvolto?"
Megan stava fissando ancora il pavimento, il viso in fiamme. "Va
bene", disse Winters. "Non ho intenzione di andare avanti ancora su
questo punto. Sembra che tu sia almeno vagamente cosciente delle
conseguenze. Ma allo stesso tempo, la domanda vale anche per te." Si
rivolse a Leif. "Tu eri il successivo nella lista. Aveva l'indirizzo della
tua scuola. Ti avrebbe trovato là. Avrebbe tentato di rapirti, e
probabilmente ci sarebbe riuscito, nel qual caso ti avremmo trovato in
una fossa da qualche parte, o in un fiume, oppure avrebbe tentato di
farla finita con te subito. Avrebbe potuto farlo in molti modi diversi, e
ci sono molte possibilità che avrebbe potuto uccidere 'accidentalmente'
anche qualcuno dei tuoi compagni di scuola. E la responsabilità
sarebbe stata tutta tua."
Anche Leif cominciò a provare un profondo interesse per il
tappeto. "Un giorno può darsi che capiti a voi", disse Winters. "Tutto
quello che posso offrirvi, per il momento, è come vi sentite adesso:
questa vergogna, questo senso di colpa, questa paura. Tutto quello che
posso fare è dirvi che è infinitamente meglio di quello che sentirete
quando, perché non avete ubbidito a un ordine, uno dei vostri

Tom Clancy & Steve Pieczenik 158 1999 - WarGame Mortale


compagni cade nell'adempimento del suo dovere. Una morte senza
senso: o qualcosa di peggio della morte."
La stanza era avvolta nel silenzio totale. "E a proposito di questo",
disse Winters, piegandosi nuovamente un po' in avanti, "la vostra
amica Ellen..."
"Elblai! Come sta?" disse Megan.
"Ha ripreso conoscenza questa mattina", rispose Winters. "Le è
stato raccontato quello che è successo: evidentemente ha insistito per
saperlo. Dicono che si riprenderà bene. Ma sembra che sia proprio
irritata a proposito di qualche battaglia a cui è mancata con
questo..." Si piegò in avanti sulla scrivania, guardò un altro dei fogli
della pila. "Questo personaggio 'Argath'. Che, incidentalmente, si è
rivelato completamente estraneo al caso."
"Lo avevamo pensato", disse Leif.
"Sì, è vero. Il che è interessante, vista la quantità molto limitata di
dati che avevate a disposizione. Ma anche le intuizioni hanno un posto
nel nostro genere di lavoro, non solo l'hardware... e saper cavalcare a
briglia sciolta un'intuizione è sicuramente un talento che possiamo
sfruttare."
"Perché l'ha fatto?", chiese Megan.
"Chi? Ah, vuoi dire il signor Simpson dalle molte identità?"
Winters si ridistese sulla poltrona. Senza quasi preavviso, in un
angolo dell'ufficio di Winters comparve un uomo seduto su una
sedia. L'uomo aveva la divisa dei prigionieri, una semplice tuta blu, e
la stessa espressione fredda che Megan aveva visto sul suo volto
mentre le puntava addosso un'arma. Si trattenne a malapena dal
rabbrividire.
"Io non vinco mai", diceva l'uomo, con una voce piatta che
corrispondeva al viso senza emozioni, e Megan fu felice che durante
l'attacco non le avesse rivolto la parola. Sembrava un robot, in quel
filmato olografico. "Voglio dire, non vincevo mai. Ma adesso, a
Sarxos... vinco sempre. Nessuno è furbo come me. Nessuno conosce
la strategia come me."
"Specialmente quando interpretavi tutti quei personaggi diversi",
disse una voce tranquilla, fuori campo, probabilmente uno psichiatra.
O un programma psichiatrico, pensò Megan.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 159 1999 - WarGame Mortale


"Come avrei potuto altrimenti essere tutte le persone che sono?
Come avrebbero potuto vincere tutte, altrimenti? Non solo io", disse
Simpson. "Io posso essere il principale... ma vincere, vincere è così
importante. Mio padre lo diceva sempre, 'non importa come giochi,
l'unica cosa che importa è se vinci o perdi'. Poi è morto..." Solo in
quel momento il suo viso dimostrò qualche emozione: un lampo di
rabbia pura del tutto incontaminata dalla maturità o dall'esperienza.
Si sarebbe detto che appartenesse a un bambino di tre anni che stava
per buttarsi per terra per un capriccio su grande scala, con tanto di
urla, fino a diventare cianotico. Solo che il bambino di tre anni in
realtà aveva ormai superato la quarantina. "Ho vinto un sacco di
volte", riprese la voce, nuovamente tranquilla, ricucitasi sul volto
senza smagliature quella maschera senza emozioni, "e avrei continuato
a vincere. Tutti i miei vincevano, tutte le persone che sono dentro. E
io vincerò ancora, un giorno, anche se adesso sono fuori dal gioco.
Prima o poi, vincerò di nuovo..."
La figura sulla sedia scomparve, e Megan e Leif rimasero a
guardarsi a vicenda con una combinazione di pietà, paura e
repulsione. "Non usiamo più l'espressione 'matto come un cavallo'",
disse Winters, "ma se la usassimo ancora direi che questo tipo è un
buon candidato per questa descrizione. Ci vorrà un bel po' di tempo
perché i terapeuti riescano a raggiungere il fondo dei suoi
problemi... ma direi che un disturbo da personalità multipla fa parte
del quadro clinico, complicato dall'incapacità di distinguere la realtà
dal gioco... o di capire che un gioco è per giocare."
Nella stanza ricadde il silenzio. Winters sospirò. "Va bene, voi due.
Non vi butterò fuori dagli Explorers, più che altro perché odio
sprecare della materia grezza che ha qualche valore. E voglio
sottolineare la parola 'grezza'."
Li guardò entrambi, ed entrambi abbassarono nuovamente lo
sguardo sul tappeto, con il volto in fiamme. Ma Leif rialzò la testa.
"Grazie."
"Sì", disse Megan.
"Per il resto... se in un prossimo futuro troveremo una faccenda che
sia adatta per i vostri talenti speciali di ficcanaso, la vostra incapacità
di accettare una risposta negativa, la persistenza irritante, e il vostro
ragionare contorto..." sorrise, "sarete i primi ad avere mie notizie. Ora

Tom Clancy & Steve Pieczenik 160 1999 - WarGame Mortale


andatevene e preparatevi per la conferenza stampa. Sarà meglio che
entrambi abbiate il buon senso di comportarvi come piccoli e modesti
Net Force Explorers, altrimenti, per Dio, io..." Sospirò. "Non
importa. Avete visto che cosa mi avete combinato? Tutta una mattina di
contegno serio andata in fumo. Fuori, fuori di qui alla svelta."
Si alzarono. "E prima che ve ne andiate", disse Winters, "solo questo.
Non c'è niente di più tragico che credere che una menzogna sia la
verità. Pensate a tutte le menzogne tragiche da cui avete salvato il
mondo. Anche con tutte le altre cose che avete sbagliato e che avete
fatto male... questa è una cosa di cui potete essere orgogliosi."
Si girarono e uscirono, lanciandosi a vicenda un rapido sorrisetto...
ben attenti a non farlo vedere a Winters.
"Ah, e un'ultima cosa."
Si fermarono sulla soglia, e si guardarono alle spalle.
Winters stava scuotendo la testa. "Che cosa diavolo è un 'Balk il
Cavatappi'?"
Altrove, in una stanza senza finestre, tre uomini in doppiopetto si
stavano guardando a vicenda.
"Non ha funzionato", disse quello che stava a capotavola.
"Ha funzionato", disse un altro, cercando di non sembrare
disperato. "Era solo questione di qualche altro giorno. Il primo
annuncio ha avuto sulle azioni dell'azienda conseguenze sempre più
negative, man mano che i media hanno diffuso la notizia del primo
attacco. Qualche altra ora, un altro paio di attacchi, e le notizie
successive avrebbe influenzato le loro azioni in modo così drastico
che avrebbero dovuto bloccarne la contrattazione. La gente avrebbe
abbandonato quell'ambiente a frotte. Cosa più importante, la
tecnologia ha funzionato."
"Ha funzionato una volta", disse l'uomo a capotavola. "Adesso sanno
che esiste. Doveva funzionare e non essere scoperta. Adesso è una
causa celebre. Chiunque abbia sentito parlare di questa cosa si
metterà a frugare nei suoi database, alla ricerca di tracce di non
presenza o di presenza surrogata fra i suoi utenti. Era una finestra di
opportunità straordinaria... ma ora si è chiusa."
La stanza cadde nel silenzio. "Beh", disse l'uomo che aveva cercato
di non sembrare disperato, e non c'era riuscito, "la documentazione
necessaria sarà sulla vostra scrivania in mattinata."

Tom Clancy & Steve Pieczenik 161 1999 - WarGame Mortale


"Non aspettare fino a domani mattina. Falla arrivare entro un'ora.
Svuota la tua scrivania e vattene. Se te ne vai adesso, avrò una scusa
quando Tokagawa arriverà qui, domattina."
Il terzo uomo si alzò e uscì di corsa.
"E adesso?", chiese il secondo.
Il primo alzò le spalle. "Proviamo in un altro modo", disse. "È un
peccato. Questo aveva delle possibilità. Ma sono state avanzate delle
proposte per ulteriori possibili vie d'attacco."
"Eppure... è un peccato aver perso questo. In un paradigma come
questo si sarebbero potute combattere delle guerre. Guerre vere..."
"Ma vere solo quanto le rende il software di controllo", disse il
primo uomo con il sorriso più tirato e più freddo. "Quello che
abbiamo dimostrato è che la tecnologia attuale è insufficiente per
quello che abbiamo in mente... non è abbastanza sicura da convincere
i nostri clienti a usarli al posto dei campi di battaglia più tradizionali.
Non è necessariamente una brutta cosa, però, perché tutti daranno
per scontato che, quando arriverà la prossima ondata di tecnologia,
sarà a prova di bomba. E ovviamente non lo sarà. Saremo ancora lì, a
predisporre le nostre 'porte di servizio'. E sin dall'inizio del
processo, questa volta, invece di cominciare a metà. Grazie a questo
insuccesso saremo più furbi. E quelli fra noi che non saranno più
furbi dovranno svuotare le loro scrivanie." Guardò il secondo uomo.
"E dove sarai tu?"
"Se non ti dispiace", disse il secondo, alzandosi per uscire, "devo
fare una telefonata."
Quando fu uscito, il primo uomo rimase seduto a riflettere. Oh, beh.
La prossima volta... perché quello che l'uomo può inventare, un
altro uomo può smontare e falsificare, e in tutti i giochi c'è sempre il
modo di barare, se li si studia abbastanza.
La prossima volta di sicuro...
Agli estremi confini di Sarxos, dicono le leggende, c'era un luogo
segreto. Aveva molti nomi, ma quello usato più spesso era anche il
più breve: la Casa di Rod.
Alcuni sarxoniani, saliti sulle cime più alte delle montagne
nordorientali del Continente Settentrionale, guardando verso ovest
nelle giornate di tempo più bello, sostenevano di averlo visto là:
un'isola da sola, un picco enorme e isolato nelle acque selvagge,

Tom Clancy & Steve Pieczenik 162 1999 - WarGame Mortale


lontano nel Mare del Tramonto. I racconti su quel luogo non
mancavano certo, anche se era improbabile riuscire a trovare qualcuno
che fosse stato là. Le anime dei buoni si recavano là, dicevano alcuni
dei racconti, e vivevano in completa beatitudine per sempre con Rod;
altri racconti dicevano che Rod stesso ci andava, nei fine settimana, e
guardava il mondo che aveva fatto, e lo trovava buono.
Pochi sapevano che cosa ci fosse di vero in quei racconti. Ma
Megan e Leif adesso lo sapevano.
Era un castello. Più o meno, era inevitabile. Ma la somiglianza
finiva subito, perché il posto sembrava fosse stato progettato da un
architetto che aveva avuto un incubo sullo Schloss Neruschwanstein
e aveva cercato di creare una copia in un incrocio fra antico assiro e
tardo rococò. Tutto attorno erano disposti giardini verdi, con aiuole
organizzate con gusto, piene di asfodeli. C'era una piccola spiaggia
bianca a cui si poteva attraccare con una nave. Si diceva che gli Elfi
amassero farvi tappa, sulla strada verso l'Ovest.
"Il Vero Ovest, però", disse Rod, divertito. "Questo è il Falso Ovest.
Se vuoi quello vero, devi continuare per la tua via, direttamente fuori del
pianeta, piegare a destra alla seconda luna e poi avanti diritto, non
puoi mancarlo."
Dal corpo principale del castello si alzava verso il cielo un'alta torre,
con un terrazzo rivolto a est. Tutte le finestre del castello guardavano
a est. Tutta Sarxos si trovava da quella parte, le montagne che si
perdevano nelle nuvole e i mari, i laghi, il luccicare lontano delle nubi
che riflettevano il sole al tramonto...
"Bella vista, vero?", chiese una voce alle spalle di Megan.
Si girò e annuì a Rod, che teneva in mano una lattina di cola e
guardava fuori dalla finestra al di là di lei. "Abbiamo dei tramonti
splendidi, qui", disse, "ma li si può vedere solo dalla torre."
"Motivi personali?" chiese Megan.
Rod sembrava rassegnato. "Dell'architetto, forse. Questo posto è stato
progettato dalla mia ex moglie. Lei lo chiamava una 'caratteristica'.
A me sembra invece una seccatura. Penso che volesse solo essere
sicura che io facessi molto esercizio fisico."
"Ci vuole molto per arrivare fino in cima?"
"Il numero tradizionale di scalini", disse Rod, "trecentotrentatré. Per
questo ho fatto mettere l'ascensore." Rise.

Tom Clancy & Steve Pieczenik 163 1999 - WarGame Mortale


Anche Megan rise, girandosi a osservare tutte le persone riunite
nella grande stanza del primo piano. Nessuno rifiutava un invito a un
party come quello! C'erano in giro molti dei giocatori "estinti" che in
un modo o nell'altro erano morti nel corso del gioco, e tutti i giocatori
che erano stati espulsi. Shel Lookbehind era in piedi non molto
lontano dalla tavola del buffet, e stava felicemente discutendo di
ricostruzione del terzo mondo con Alla. C'era Elblai, che
chiacchierava amichevolmente con Argath, che non aveva mai
incontrato in precedenza in carne e ossa. "Io sono la cara estinta
onoraria", stava dicendo allegramente, "e credimi, non m'importa..."
C'erano anche alcuni dei fortunati viventi di Sarxos. Alcuni non
capivano molto bene perché ci fossero anche Megan e Leif, ma non
avevano intenzione di essere curiosi. Alcuni, il personale di assistenza
di Sarxos, oppure amici di Rod, lo sapevano, o almeno avevano
qualche sospetto, e tenevano la bocca cucita. "Non posso pubblicizzare
troppo la cosa", aveva detto Rod a Leif e Megan in precedenza. "Il
perché lo sapete. Ci sono persone che si agiteranno. Ma comunque...
volevo dirvi grazie."
Megan se ne andò all'altro capo della stanza, dove suo padre e sua
madre erano in piedi, con i bicchieri in mano, e parlavano
animatamente con i genitori di Leif. Quando le si avvicinò, sua madre
si guardò intorno con un sorriso che non era affatto duro come
avrebbe dovuto essere, vista la discussione che avevano avuto il giorno
prima. "Così questo è la causa di tutto, tesoro."
"Forse non di tutto, mamma. Ma... queste sono le persone che
stavamo aiutando."
"Beh..." Sua madre le strofinò una mano sulla testa, un gesto
affettuoso a cui Megan reagì immediatamente cercando di rimettersi
in qualche modo in ordine i capelli. "Immagino che tu abbia fatto
bene..."
"Più di questo", disse Elblai, arrivando alle spalle di Megan con la
nipote: ambedue sorridevano a Megan. "Volevo ringraziarti ancora
per quello che hai fatto. È molto raro che qualcuno si interessi degli
altri, e cerchi di aiutarli."
"Dovevo", disse Megan. "Tutti e due dovevamo." Guardò Leif,
desiderando disperatamente che le fosse di qualche aiuto in quella
situazione imbarazzante.

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Ma Leif rimase muto e si limitò ad annuire.
"Dovete essere molto orgogliosi di vostra figlia", disse Elblai, e sua
nipote, rivolta a Megan: "Mi sento ancora così stupida per non avervi
creduto quella sera. Se vi avessi creduto, ci saremmo potuti risparmiare
così tanti guai."
"Stavi giocando secondo le Regole", disse Megan. "Così vanno le
cose. Le Regole sì mettono a posto da sole."
"Vero", disse Elblai. "Avete preso un po' di quel sushi, l'omelette?
Sono davvero ottimi."
"Omelette?" disse il padre di Megan, le lanciò uno sguardo di
approvazione e si diresse verso il tavolo del buffet.
Megan lo seguì. "Papà..."
"Hmm?"
"Che cosa stai scrivendo in questo periodo?"
Lui sorrise. "È una storia del commercio delle spezie. L'avresti mai
detto?"
"Non è vero! Mi stai prendendo in giro!"
"Certo. Devo vendicarmi in qualche modo." Sogghignò. "Senti,
Megan. Sono contento che quello che hai fatto giovedì sera fosse
davvero importante. Altrimenti mi avresti sentito. Ma dopo questo,
una cosa così importante da rischiare di farsi sparare... Sostengo di
avere il diritto di sentire tutta la storia per primo. Va bene?" Lo
sguardo che le lanciò era al tempo stesso irritato e profondamente
preoccupato, e le riuscì impossibile avercela con lui.
"Uh, sì. Sì, papà."
"Bene. Nel frattempo, potrai leggere quello che sto facendo quando
sarà finito. Un giorno o l'altro della prossima settimana." Si girò con un
sorriso. "Imparare l'arte della pazienza non ti farà male."
"Entrerò di nascosto nella tua macchina."
"Sei libera di provare", disse lui con un sogghigno diabolico e se ne
andò a cercare le omelette.
Megan andò vicino a Leif, intento a guardare fuori dalla finestra.
"Vuoi andare sulla torre?"
"Certo, tutti gli altri sono già andati là, a questo punto."
Scelsero l'ascensore. Al termine della corsa, si fermò all'altezza di
una piccola stanza circolare al di sopra della quale c'era il tetto a
punta, fatto come la punta di una candela: sembrava che stesse su da

Tom Clancy & Steve Pieczenik 165 1999 - WarGame Mortale


solo, senza che nulla lo sostenesse. L'ultima luce del tramonto si stava
spegnendo verso occidente. A est, sopra Sarxos, stava salendo la luna,
piena e rotonda. La seconda luna saliva da una parte, per così dire
"nella corsia di sorpasso", superò progressivamente la prima e si diresse
rapidamente verso l'alto nel cielo.
Lontano, la luce lunare faceva luccicare le nevi delle montagne
nordorientali. Sopra di loro, nel cielo, le stelle cominciarono ad
accendersi come fuochi artificiali.
Da sotto arrivarono tanti ooh e aah. "Ehi", disse una voce allegra da
molto più sotto, sulle scale, "sono le mie stelle. Posso farle sparire, se
voglio. Poi ricrescono il mattino dopo, comunque."
Lontano, dalla parte orientale, arrivò librandosi una forma alata.
Diventò più grande, più grande, ancora più grande in modo
incredibile. "Che cos'è quella cosa?", disse Megan.
Leif scrollò la testa e rimase a guardare.
La forma enorme si avvicinò, sempre più vicina, più vicina, le ali
dalle nervature nere come nubi da temporale contro il cielo che si
andava facendo sempre più scuro. Subito dopo aver superato la torre
virò, guardandoli: un'esperienza come essere osservati da un trasporto
spaziale a bassa quota. Il vento provocato dal suo passaggio era una
tempesta.
Le enormi ali si aprirono in posizione di stallo, sbattendo. Il vento
diventò più forte per un attimo, poi diminuì quando il re dei basilischi
si abbassò lentamente sul picco della montagna su cui si trovava la
Casa di Rod, assicurò la presa e ripiegò le ali. Avvolse la lunga coda
sottile attorno alla cima della montagna per avere più presa, e piegò il
capo, lungo più di tre metri, per osservare pensosamente Leif e Megan
con i suoi occhi brucianti come il sole.
Giù nell'acqua, un mostro marino mise il capo sul lungo collo
slanciato, seguito dal numero prescritto di nodi, e gridò il suo
disprezzo all'intruso. Persi nello stupore e nell'ammirazione, Megan
e Leif riuscivano solo a far correre lo sguardo dall'uno all'altro.
"Benvenuti nel mio mondo", disse la voce di Rod dietro di loro,
"dove chi bara non ha successo."
Questa volta, pensò Megan... e rimase in silenzio.
FINE

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Ringraziamenti

Vorrei ringraziare le seguenti persone, senza le quali la


realizzazione di questo libro non sarebbe stata possibile: Diane Duane
che mi ha aiutato nella revisione del manoscritto; Martin H.
Greenberg, Larry Segriff, Denise Little e John Heifers della Tekno
Book; Mitchell Rubenstein e Laurie Silvers della BIG Entertainment;
Tom Colgan della Penguin Putnam Inc.; Robert Youdelman e Tom
Mallon di Esquire; Robert Gottlieb della William Morris Agency,
mio agente e amico.
Grazie a tutti.

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