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AN
Il libro di David 24 Spy

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Ringraziamenti

I miei più sinceri ringraziamenti vanno ad ogni persona che ho


incontrato sul mio percorso di vita e che ha generato le
ispirazioni per i miei scritti, non sottraendosi a donarmi il suo
ascolto e la sua attenzione ed a fornirmi, quando era possibile,
ogni informazione supplementare e novità conoscesse, utili ad
arricchire il tema che ho trattato in questa opera, ottenuta
mediante la ricerca di importanti spunti di approfondimento,
ma soprattutto per merito della pura fantasia.
Fantasia, che come una musa ispiratrice viene fuori sempre
quando ne ho bisogno ed in molti casi è la medicina che uso
per salvarmi la vita.
Grazie, anche e soprattutto a lei, per essere la mia più
amorevole compagna di strada.

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Questo libro è da considerarsi un’opera tratta dalla pura
fantasia dell’autore.
I personaggi ed i luoghi sono frutto solo e semplicemente di
immaginazione, anche se ispirati alla sua vita reale, per
consentirgli di avere spunti e di dare maggiore autenticità alla
narrazione.
Qualsiasi riferimento a fatti, luoghi e persone, vive o defunte,
è da considerarsi infondato e puramente casuale.

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Prologo

In un piccolo centro situato a nord delle Puglie, il muratore


Cecco Spadaro e la camiciaia Mariele Battista trascorreranno
quasi dodici anni a casa del Conte Augusto Sarti de Piavonelli
perché presi a suo servizio.
La vita, nonostante la grande povertà di quei brutti tempi, per i
due andava avanti con il solito fluire di chi la lascia scorrere
senza resistergli più di tanto.
Il lavoro per conto degli aristocratici veniva svolto dai coniugi
con il garbo e la grande dedizione che li contraddistingueva.
In fondo, non poteva essere diverso da così, perché proprio per
quelle caratteristiche erano stati scelti.
Nessuno immaginava cosa stesse per accadere in
quell’immensa tenuta che giaceva in uno spettrale silenzio di
campagna interrotto solo sporadicamente dai versi dei corvi e
dalle più allegre grida dei bambini che l’abitavano e qualche
volta uscivano fuori nei dintorni degli appezzamenti o in
giardino a giocare.
I contadini faticavano col sudore della fronte ed ognuno si
guadagnava minuziosamente ogni piccolo tozzo di pane che
portava a casa per sfamare la propria famiglia.
Ma qui, in questo scenario arido e di un colore simile ai grani
di cui era pieno, si sarebbe potuta scrivere una nuova
sconosciuta pagina dell’umanità, in uno strano ed anonimo
silenzio e senza che nessuno ci facesse neppure caso.

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Questo posto avrebbe dato i natali ad Andrea Spadaro, figlio di
donna Mariele.
La sua vita, in sordina, avrebbe misteriosamente potuto
cambiare le sorti di ognuno di noi.
Una famiglia di gente umile la sua, che non era abituata
neppure a lamentarsi dei problemi seri che in questi anni
sembravano quasi sempre parlare di fame e di morte.
Presto la Grande Guerra sarebbe arrivata ed avrebbe decimato
la popolazione di tutta Europa.
Vi avrebbero preso parte più della metà dei nostri giovani in
età di leva e avrebbe ucciso anche tanti vecchi e bambini con
le sue pericolose quanto catastrofiche epidemie, come
l’influenza spagnola, che trovò terreno fertile nella sua
diffusione pandemica proprio nel 1918, servendosi appunto
della feroce guerra, seppure volgesse quasi alla fine.
In questo triste scenario, tra viaggi nel tempo che partono dal
primo conflitto mondiale e giungono fino a guerre religiose tra
Cavalieri Templari e Saraceni, si muove un’energia nascosta
che si sviluppa sin dal più antico passato, fatto di Sumeri,
Ebrei ed Egiziani ed arriva ai nostri tempi carica di
enigmatiche e pericolose motivazioni.
A volte il destino viene cambiato proprio sotto gli occhi di chi
non immagina, da gente che non sa di avere un ruolo neppure
nella sorte di sé stesso, figuriamoci nelle sorti di un’intera
razza.
Ma è lì che si giocano le vere parti.
Nessuno sa di essere attore di un immenso ruolo, se prima non
lo vive e non né carpisce l’immensità.
Eppure le decisioni importanti dovrebbero prenderle solo le
persone potenti.
Chi nasce umile rimane sempre poco importante davanti a sé
stesso e non sarà mai in nessun ruolo se non nella sua
disarmante semplicità.
E’ di persone semplici che parleremo, in questo viaggio nella
storia degli uomini, tramite un viaggio nella storia di uomini.

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Nella nobiltà dal sangue blu vedremo esserci persone di
sangue rosso puro che amano la vita e vogliono il bene dei
loro cari, così come lo vogliono per i loro vicini e per il mondo
intero.
Il Padre nostro sa come deve agire nei confronti della sua
creazione e sa quali sono i tasti che deve toccare.
Egli ha bisogno solo di uomini coraggiosi che credono in Lui e
non lo tradiscono nei suoi valori e nelle sue fondatezze, come
molti di noi spesso sono portati a fare con i loro continui, vili e
bugiardi comportamenti umani.
Ecco perché la tenuta dei conti è piena di gente reale, bella
nella sua più originale sostanza e brutta in tutte le sue false
essenze di parata, ma comunque sempre estremamente vera.
E’ quindi tutto scritto quello che accade, ed avviene solo
perché il Signore lo vuole?
E’ inutile nasconderlo, tanti uomini di potere credono di dover
salvare il mondo dai plebei e tanti altri sono convinti di averlo
già salvato, quando in realtà siamo solo tutti dei miseri,
semplici e curiosi strumenti nelle mani del Padre nostro e non
facciamo altro che danni quando crediamo di dover guidare un
gregge che ha già il suo pastore.
Il Signore che è dentro ognuno di noi.
Non è per uomini distruggere una creazione della sorta di
quella in cui viviamo e per uomini solo esserci dentro e
parteciparvi come scintille divine, nel bene e nel male.
Il Padre Eterno infatti è creatore di entrambi, seppure
l’oscurità altro non è che la mancanza di Luce.
Non muore un corpo intero solo perché una sua cellula smette
di esistere, anzi, le cellule di un corpo non fanno altro che
morire, rinascere e rinnovarsi continuamente.
E noi, non siamo forse stati creati ad immagine e somiglianza
del Creatore?
Non meravigliamoci quindi, se come le cellule di un corpo
universale siamo destinati a morire e rinascere più informate
ed evolute.

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Però, lasceremo che i nostri protagonisti abbiano la loro storia
avvincente e capiscano tutto questo, vivendo, e non leggendo o
ascoltando il racconto di altri.
Parleremo quindi dei discendenti di Mariele e Cecchino e della
razza a cui essi si sono accorti di appartenere.
Una razza umana che parla di esseri umani, così come però
parla di Dei e Creatori.
Gli uomini che prenderanno parte a questa storia cercheranno
di spiegarsi il perché di tanta ferocia e cattiveria in questo
genere umano.
Vorranno capire perché non facciamo altro che combatterci da
quando siamo sul Pianeta e non riusciamo invece a
comprendere che siamo qui solo di passaggio e la cosa più
bella sarebbe vivere in armonia e condivisione.
Forse il nostro vero problema è nel non saper comunicare.
Forse non sappiamo capirci tra noi e non abbiamo mai
imparato a farlo, insieme ad altri di noi che invece sembrano
non averlo mai voluto fare.
Forse, neanche questo racconto riuscirà ad essere un po’ utile
al fine per cui viene dettato e scritto.
Il nostro viaggio, che ha inizio a Lucera, in una grande tenuta
di gente aristocratica di questo angolo di Puglia, ci condurrà in
mondi infinitamente più grandi che appartengono più allo
Spirito che alla geografia ed alla fisica materica.
Il Signore ci ha creati tutti semplici, ma forse siamo noi che
rendiamo difficili le cose e magari le difficoltà della vita sono
la parte più interessante di questa inspiegabile e meravigliosa
creazione.
Gli attori del nostro racconto sono Dei, Demoni, Angeli, ma
sono soprattutto uomini, che operano tutti per lo stesso fine,
realizzare e compiere il volere di un Padre che è più in alto di
noi e che non vuole far altro che donarci la Sua Eternità e
godersi la nostra coscienziosa consapevolezza.
Un nostro amico alieno, o meglio, l’alieno che potrebbe
mettersi in contatto con ognuno di noi ci guiderà come
Virgilio all’interno di una surreale quanto originale visione

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della storia umana, espressa mediante un semplicissimo
racconto, narrato da lui stesso, uno dei personaggi chiave
dell’intera vicenda, Hac Him di Asterope.
Hac Him finalmente si mostrerà ad un essere umano per
parlargli delle origini dell’uomo e del suo ruolo nel cosmo e
nel pianeta Terra.
I due rimarranno legati da un affetto e da un’amicizia che li
accompagnerà durante l’intera narrazione e mediante la quale
si comprenderà che l’umanità, in senso emozionale, può
appartenere anche ad un demone alieno, se questo pentito si
redime e si abbandona al volere del Padre Eterno.
Quest’uomo e questo alieno vivranno coraggiosamente episodi
di una realtà pericolosa, agghiacciante e sconcertante, che
metterà in dubbio ogni mera certezza sull’esistenza e sulla vita
stessa.
Insieme, cercheranno di diventare dei veri esseri viventi
parlandoci di loro con le loro gesta.

L’uomo è destinato ad affrontare il rischio.


Fallire è per lui meno dannoso che restare al riparo.
Dio non desidera uomini alla ricerca di uscite di sicurezza
metafisiche, ma individui alla ricerca del perfezionamento
della propria umanità, dal piano sensoriale a quello
sovrasensoriale.
Herbert Fritsche

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Capitolo primo
CONFESSIONE DI UN ALIENO

So bene che presto vorrai smettere di leggere, ma se non lo hai


già fatto, accetta la sfida, supera pagina 26.
Nessuno può dire che sia vero ciò che vi racconterò, ma allo
stesso modo, nessuno può dire che non lo sia.
Tutti però potranno dire cosa hanno sentito mentre leggevano,
in questo racconto che vi arriva da qualche parte lontana di un
Universo alla cui fonte si disseta chiunque sappia bere dalla
conoscenza.
Vi parlerò di uomini, semplicemente di uomini, e di quello che
sono stati sin dalla notte dei tempi.
Di uomini di potere, di bambini innocenti, di madri premurose,
di nobili aristocratici, di religioni perdute, di tradizioni
massoniche, di illuminati che tengono a custodire la verità per
poi svelarla e di illuminati che tengono a nasconderla per
mistificarla e per non condividerla, di luoghi segreti, di riti
esoterici, di storie nascoste, di verità perdute e poi ritrovate, di
atei che inconsapevolmente credono in Dio e di persone che
non sanno di avere fede, che non ne sentono nemmeno
l’esistenza, ma si comportano come dei veri credenti.
Ci sono cose che vanno ascoltate almeno una volta nella vita,
perché raccontano vicende mai perse ma non più raccontate,
su uomini che hanno fatto la vera sconosciuta storia degli
umani e del cosmo, ma non sono tra i valorosi di sempre, né
mai celebrati, né mai cantati.
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Vi parlerò del tempo in cui gli Dei vennero a trovarvi,
all’epoca dell’uomo di Neanderthal, gigante e valoroso essere
dal cuore puro, grande e generoso e dalla fronte lunga ma
stretta fino alla chioma, che abitò il vostro pianeta circa
450.000 mila anni fa, fin al fatale incontro col suo epico rivale,
il Sapiens.
Vi parlerò di nostro Padre An, l’Elohim che condusse il suo
popolo a fondersi col vostro e con altri.
Vi palerò di suo figlio En Lil, che combatteva i popoli di tutti i
Multiversi e ne batteva i migliori eserciti da migliaia di anni.
Vi parlerò di suo fratello En Ki, valoroso amante della vostra
umanità, uguale a lui nel ruolo, ma diverso nell’animo, che
non fu tanto un generale di eserciti, quanto uno scienziato
fisico e biologo, che con sua moglie Ninhursag persuadeva gli
esseri sottomessi a riconquistare la loro perduta ed amata
libertà, generando le guerre tra Dei più grandi che il creato
avesse mai voluto, quelle famose guerre che qualcuno definì
“tra Titani”.
Vi parlerò del popolo degli Elohim Anunnaki, il popolo tra i
popoli, tiranno tra i tiranni, che conquista i pianeti ed erra di
galassia in galassia, senza nessuna paura di conquistare e
senza alcuna pietà per i conquistati.
Il mio popolo.
Nelle vostre sacre scritture venimmo chiamati Knakim o anche
Nefilim.

1 Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi


sulla terra e nacquero loro figlie.
2 I figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano
belle e ne presero per mogli quante ne vollero.
3 Allora il Signore disse: « Il mio spirito non resterà
sempre nell'uomo, perché egli è carne e la sua vita
sarà di centoventi anni.
4 C'erano sulla terra i giganti a quei tempi e anche
dopo quando i figli di Dio si univano alle figlie degli

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uomini e queste partorivano loro dei figli: sono
questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi.
(Genesi 6. 1/4)

Vi parlerò del giorno in cui il vostro essere si unì al nostro,


nella genetica e nella forma fisica, di quando decidemmo di
andare e vi eleggemmo nuovi prediletti al nostro grande ed
immenso fine supremo, succhiare la linfa della vita lunga,
poiché nei secoli perdemmo l’eternità dello spirito, sia come
fine ultimo che come fede, a vantaggio del lungo seguito alla
nostra sola materia.
Vi parlerò dell’eterna lotta tra i comandanti di En Lil e noi
comandanti di suo fratello En Ki, per cercare di stabilire il
tanto desiderato equilibrio e per cercare di liberarvi dalla
vostra celata, cinica, subdola, palese e secolare schiavitù, in
cui, aimè, il nostro popolo vi ha sempre tenuti.
Vi parlerò degli uomini che si fecero da canali al messaggio
dell’Elohim che vi amava, En Ki, del suo comandante
supremo Michele, chiamato da voi l’Arcangelo e che
parlarono in suo nome e di tutti i suoi comandanti che
trasmisero il nostro messaggio di uomo in uomo, di anunnaki
in anunnaki, tramite voi ed il vostro gene puro ed aristocratico,
per cercare una fine alla più grande guerra che i cosmi abbiano
mai conosciuto.
La guerra contro Elì, unico, innocente ed indiretto Creatore, il
Signore che è in tutto, anche negli Elohim, i Signori che tutto
vogliono governare, ma nulla governano.
Vi svelerò che non esiste alcuna differenza tra Elì ed Elohim
nelle vostre scritture sacre, ma che in effetti sono aspetti
completamente diversi della sfera creativa del vostro universo,
anche se vi partecipano entrambi.
Vi parlerò della fine, che si nasconde dietro l’inizio, che
nessuno vede, ma tutti sentono gemere, di quando gli esseri
che vibrano basso e vibrano alto inizieranno a vibrare senza
tono, senza fuoco e di quando l’anima temerà come mai ha

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fatto e gli è occorso fare, perché scintilla divina e di quando si
accorgerà che qualcuno potrebbe portare la fonte ad un
minimo mai raggiunto, dove, l’antica primordiale esplosione
che ancora dall’eterno dura e di cui si sente ancora il tuono
nello spazio, che conserva odore di cenere e di bruciato,
inizierà a non essere più alimentata dal suo stesso frutto
esplosivo.
Questo frutto è il fuoco generato dal Cocreatore El Oah, voluto
dall’Onnipotente Elì e che corrisponde a ciò che voi chiamate
Amore, che alimenta il movimento della vita e dalla cui
energia si crea e che per questo in passato fu chiamato dal
poeta dei Fedeli d’Amore, che risveglia i suoi lettori:
“Amore che muove il Sole e le altre stelle”.
Vi dirò che noi temiamo il tempo in cui, senza quel calore che
l’Amore produce, nulla continua e tutto implode in un nuovo
inizio, dove l’eterno è finito.
Vi dirò che il Cocreatore El Oah non lo teme questo tempo e
magari avesse ragione, mi perdoni per la mia infedeltà alla sua
sacra parola.
In questo attimo, temiamo che un nuovo Cocreatore muoverà
la massa incandescente, ma un altro pensiero caratterizzerà la
nuova essenza, e se di pensiero mai fummo fatti o siamo, di
questo stesso pensiero non saremo più, ma solo della sua
materia atomica.
Rimarrebbero di noi soltanto polvere ed atomi, che mai si
perdono, ma solo si trasformano negli eoni di tempo, e nella
nuova veste, il vecchio pensiero, scomposto tra elettroni,
neutroni e protoni e le sue più piccole particelle, lascerà spazio
a quello nuovo che vagherà l’etere, cercando il suo creato per
renderlo immortale e mai trovando il precedente, che
dell’eternità perderà il sapore, avendo ormai un nuovo gusto.
Acqua di sorgente, vita primordiale, ma non più essere
pensante, così come era stato pensato per creare questa nostra
infinita ma finita realtà.
In questo Universo non esiste la fine per nessuno, ma esiste un
nuovo inizio molto simile ad una fine dell’ego, dove

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l’esistenza diviene così infinitamente piccola da essere quasi
inesistente.
Immagina di essere il pensiero che genera la parola, perché
quando sarai cenere lo diventerai, così come sei stato creato
pensando, se cenere sei, cenere ritornerai e di te solo il
pensiero che avrai scritto nell’Anima scintilla di Eli rimarrà.

Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la


Parola era Dio.
Essa era nel principio con Dio.
Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure
una delle cose fatte è stata fatta.
In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno
sopraffatta.
Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni.
E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di
noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la
sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre.
Nessuno ha mai visto Dio; l'unigenito Dio, che è nel seno del
Padre, è quello che l'ha fatto conoscere.
(Giovanni 1. 1/18)

Secondo noi altri, se l’Universo dovesse vibrare così basso per


via di questa guerra e della causa che la generò, in quell’epoca
che avete chiamato Diluvio Universale, quel pensiero potrebbe
non sopravvivere e svanire, scritto e frammentato nel DNA di
ogni piccolissima particella di mondo, che sarebbe rigettata
alla vita da una nuova esplosione e da un nuovo pensiero e
parola, segnando l’inizio di un nuovo Universo e di nuove
giovani anime di cui parlare e riempire le galassie, che
continueranno a sentire tutti noi, ma senza saperlo, né mai più
ricordarlo.

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Siamo stati pensati e creati 13 miliardi e mezzo di anni prima
che venissimo alla luce e siamo sempre esistiti. I nostri
pensieri sono l’archiviazione di materia pensata sempre esistita
che noi liberamente selezioniamo nel corso della vita.
Noi non siamo gli artefici del pensiero creativo che genera la
nostra realtà, ma siamo solo coloro che lo tirano fuori e lo
trascinano nella propria esistenza con le proprie azioni.
I più puri lo fanno a loro immagine e somiglianza, rispetto a
ciò che più ad essi si confà, una realtà creata dalla loro mente
pura e dal loro cuore puro.
Il pensiero è così inteso come il passato ed il futuro che si
incontrano nel presente.
Il nostro stupido timore è che questa realtà possa ritornare alla
fonte per essere rigenerata in un nuovo big bang, se verrà a
mancare quell’energia che l’ha spinta fino a noi.
Potrebbe accadere solo per colpa nostra.
L’energia che l’ha spinta fino a noi è fuoco, ed il fuoco è
amore e l’Universo è fuoco e vita, pronto a venirci incontro
per aiutarci ogni volta che glielo chiediamo.
Noi altri perdemmo Dio e perdemmo questa credenza, questa
meravigliosa speranza ed iniziammo a sentire il freddo di una
lunga ma gelida esistenza.
Una mente non fa altro che scegliere tra i pensieri che già
vivono nell’Universo, e se essa è pura e consapevole, la
coscienza a cui fa capo le suggerisce di scegliere tra i pensieri
di fuoco e luce, perché quelli di gelo ed ombra, finiranno per
sciogliersi e diventare il nulla.
E lo faranno continuamente.
E continua la mente, fin quando gli sarà consentito.
Un cuore non fa nulla di ciò, sente di affidarsi alla Fonte e li si
ferma, producendo eterne e pure emozioni.
I pensieri creativi possono chiamarsi emozionali, sono frutto
della mente e sono quelli che generano le pure emozioni, che
sono invece frutto del cuore.

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Essi sono individuali e riconducono alle emozioni, vivranno
per sempre e faranno vivere con loro chi li ha pensati, tramite
il ricordo indelebile.
Però, va detto che non siamo con la nostra mente creatori dal
nulla, ma selezionatori dal Creato, che è anche il ricordo
eterno di ogni azione pensata da quando esiste il mondo e di
ogni sua emozione.
La nostra vita eterna è solo ciò che la mente ha cavato fuori
dall’intreccio di tutti i pensieri individuali da noi scelti e
concepiti in quella precisa forma per caratterizzare la nostra
esistenza mentale individuale ed a cui sono seguite l’emozioni.
Il creato è un universo di emozioni, di azioni generiche
sviluppate in pensieri e dinamiche individuali.
Ma tutto ciò già esiste da sempre, i nostri pensieri, le nostre
emozioni conseguenti.
Il nostro essere diventa “noi stessi” quando sceglie nel paniere
del mondo di che cosa consapevolizzarsi ed avere coscienza.
Un pensiero emozionale individuale è soltanto la dinamica
precisa che ti ha spinto a far nascere un episodio, e
corrisponde a quella forte emozione che ne può derivare. Ma
l’azione generica e la sua conseguente energia, scaturita
dall’emozione provata, sono sempre esistite nella creazione e
nell’equilibrio vitale creati dal Padre Eterno.
Ecco cosa si intende precisamente quando si usa la tipica
frase: “E’ tutto scritto”.
Sono scritte tutte le infinite manifestazioni del Creatore.
E’ come dire che il Padre Eterno ha già scritto la musica e noi
siamo quelli che la interpretano esercitando il proprio libero
arbitrio nello scegliere ognuno il suo strumento e se essere una
nota alta, una nota bassa, oppure una pausa.
Ed ecco perché il Creatore è così sicuro della sua infallibile
creatura, la Vita, come la chiamate voi umani.
Forse un esempio servirà ad esprimere meglio il mio concetto.
Il vostro sommo poeta Dante Alighieri fu consapevolmente e
coscientemente innamorato della sua Beatrice.

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In quell’epoca, frequentemente gli innamorati rapivano la loro
amata e per evitare ogni possibile rifiuto, la conducevano
forzatamente con loro, contro ogni sua volontà e desiderio.
Dante agì diversamente.
Volle farle un dono come prova del suo sincero, libero e puro
sentimento.
Il pensiero di dedicare o fare qualcosa per celebrare l’amore
provato verso la donna, secondo quanto appena detto,
corrisponde ad un’azione generica che esiste da sempre nel
percorso scelto dalla sua anima. Si traduce in fare qualcosa a
servizio dell’amore provato.
La dinamica precisa in cui questo si manifestò è invece la
celebrazione della sua innamorata con poesie e canti, che
condusse la donna ad essere persino inserita tra i protagonisti
della sua più grande opera.
La Divina Commedia.
L’amore celebrato nella sua poesia ha poi prodotto emozioni
provenienti dal cuore, sia della donna amata, che dei lettori
che contemplano nei secoli il meraviglioso poema.
Dante avrà vita eterna data dall’amore manifestato nelle sue
opere poetiche e dal suo sincero sentimento.
Il fruttivendolo Pietro invece, fu consapevolmente e
coscientemente innamorato della sua Sara.
Egli ogni giorno le fece dono dei suoi migliori frutti.
Con la sua azione generica di offrire, produsse una dinamica
precisa, quella di donare i suoi frutti, porti con le sue stesse
mani. Il suo amore ricambiato produsse emozioni che già
esistevano nell’equilibrio dell’eternità, ma questa volta
parlarono e scrissero con i frutti di Pietro e non con i versi di
Dante.
Anche Pietro avrà scritto la sua eternità nell’amore donato alla
sua Sara.
E’ da questa miracolosa selezione ed intreccio delle azioni
individuali che nasce la possibilità di eternità dell’essere in
libero arbitrio che abita questo vostro pianeta ed anche quello
nostro.

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E’ questo il modo in cui gli esseri viventi pensanti scrivono
indelebilmente nell’eternità con la loro esistenza amorevole
che è l’unica che può diventare eterna.
L’emozione non c’entra con la mente, ma essendo tuttavia
scaturita dal pensiero, sarà ciò che ci renderà eterni insieme al
ricordo del pensiero stesso e dell’azione che lo ha
caratterizzato.
Non c’è uomo eterno senza emozioni e non c’è uomo senza
ricordo di sé, infatti, se perdessimo ogni ricordo di noi non
saremmo più noi stessi.
La nostra esistenza non è altro che il ricordo di tutte le
esperienze vissute in vita.
Il poeta Dante ed il fruttivendolo Pietro rimarranno eterni,
poiché eterno è stato il loro amorevole agire ed il pensiero che
ha creato le loro azioni dedicate all’amore ed alla bellezza.
Più facile e diretto per la mente oscura sarebbe stato agire da
bestia, come il brigante che rapì la donna rendendola sua,
ignorando se ella lo ritenesse a sua volta degno delle sue
attenzioni, violentandola nel suo profondo e causandole dolore
e sofferenza. Tutt’altro che emozioni d’amore.

Bellezza, ogni incanto della vita passa, resta eterno solo


l’Amore, causa di ogni opera buona, perché l’Amore è Dio.
In tutte le vostre opere, mirate al Cielo e all’Eternità della vita
e dell’anima e vi orienterete allora diversamente da come vi
suggerirebbero pure considerazioni umane.
San Giuseppe Moscati da Napoli

Una folta parte di noi, che anche noi stessi combattiamo, non
prova più tali emozioni, perché ha perso amore verso la vita e
non sceglie che realtà basate sulla sterile e basso vibrante,
insignificante longevità.

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Parassita, attaccato al vostro essere, si nutre delle vostre paure
più profonde, evitandovi di creare realtà di felicità per timore
di staccarsi da voi e perdere il defraudato nutrimento.
La vostra Anima, madre di tutti i figli, non sente tale peso e
glielo consente.
La vostra coscienza però, più silenziosamente attenta,
l’avverte e ne soffre spesso per tutta la durata di una intera vita
terrena.
Ed è per questo che venimmo a fare questa battaglia.
Ed è per questo che cercammo il vostro aiuto, e voi il nostro.
Ed è per questo che ci unimmo a voi, esseri di carne ed ossa,
che un’anima grande e divina avete nascosta dalla brama
bavosa di chi vi ha violato e vi controlla sin dalla vostra
infanzia cellulare, noi altri.
Per questo, per questo nostro timore, per il timore che
l’Universo si spenga per via del nostro cattivo agire, per poi
riaccendersi come 13 miliardi e mezzo di anni fa, perdendo
tutti i ricordi di noi, semmai un giorno provammo anche noi
emozioni vere, combattiamo una guerra da cui non sappiamo
sottrarci.
Fratelli contro fratelli, abbiamo messo voi altri nella stessa
condizione e viviamo nella disperazione di recuperare ciò che
abbiamo perso per nostra brama e che vorremmo riprendere
usando la brama stessa che ogni guerra genera.
Per questo motivo rispettiamo tanto il vostro amato Messia che
nella lingua degli Esseni parla molto bene di quello che sarà e
fa trasparire sempre quello che era.
Soltanto a Lui ci inginocchieremo se verrà a dirci di arrenderci
al nemico e subire come Lui ha insegnato a fare ma noi non
abbiamo mai fatto.
Solo così sconfiggi, non, il male stesso, ma la sua antica e
radicata pianta.
Due, possono essere le strade da seguire, e nessuna è meritata,
ma solo e semplicemente quella in cui ti trovi.
Una fatta di ombra e di battaglie contro il male, dove si usa la
stessa spada impugnata da esso per contrastarne l’esistenza,

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che è la strada percorsa dal generale degli Arcangeli, Michele
ed i suoi arditi comandanti.
L’altra, fatta solo di luce, di perdono e di abbandono, che è la
più forte, e basterebbe da sola, ed è quella percorsa
dall’Esseno che chiamarono il Messia, che potrebbe lasciar
piede volutamente alla prima e poi scendere come è scritto
sulla sua scia.
Fu proprio di questo, che chiesi al mio Signore, quando mi
vergognai di essere un comandante dei guerrieri anunnaki,
avendo capito ciò di cui vi ho appena parlato.
Impugnavamo una spada, ed anche tra le statue delle vostre
cattedrali, il nostro Generale Michele, da voi venerato con
rispetto e grazia, è l’unico a farlo.
“Ma perché?”
Gli chiesi.
“Perché, non capisco. Cosa ci facciamo tra di voi, noi
comandanti che crediamo che la giustizia si conquisti con la
guerra e con le battaglie di spada, e non riusciamo a sottrarci
alla nostra verità?”
Gli domandai:
“Signore, ma non dovrò combattere il male, quando minaccerà
il bene?”
“Si, ma senza dare colpi di spada, né batterti fisicamente.”
“Signore, ma come si combatte il male senza usare la forza?”
“Ma io non ho detto che non devi usarla.”
“Allora come farò quando minacceranno di uccidermi, di
togliermi la libertà e la vita, non sarò costretto ad usare
la forza?”
“Si.”
Mi rispose.
“Signore, ma di che forza parli, senza potermi difendere che
forza è?”
“Userai la forza, la maggiore forza esistente, quella per la
quale sei venuto al mondo.”
“Ah! Ora capisco! Abbiamo un'arma segreta? Una spada fatta

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di incantesimi e magia?”
“Si, l'abbiamo.”
Mi rispose l’Esseno, il Signore che merita il mio rispetto.
“Signore, ma allora dammela ed io combatterò per Te già da
oggi.”
“Ma io già te l'ho data.”
“Non capisco Signore, ma io non ho avuto niente, a cosa ti
riferisci?”
“Mi riferisco alla forza che ti ho dato quando nascesti.”
“Quale Signore, quindi non abbiamo alcuna spada di magia?”
“Si, l'abbiamo, la più potente di esse.”
“Ah sì? E qual’è?”
“E’ l'Amore, comandante di En Ki e di Michele, è l’Amore.”
“Ah! L’amore? E come farò a combattere il male che usa la
violenza, le armi, il sangue, con questo amore, come lo chiami
tu?”
“Lo combatterai non facendoti trascinare nel suo gelido
inferno, ma inebriandolo e riscaldandolo con la tua calorosa
Luce.”
“Funzionerà?”
“Ha sempre funzionato, da quando esiste questo Universo.”
“Ah si? E come lo sai?”
“Lo so, perché esiste solo per questa ragione.”
“E' così?”
“E' così, e se avrai la forza di farlo, lo farai. Se non l'avrai,
anche se vincerai, perderai, seppure di una sconfitta che non
peserà vilmente sul tuo Spirito.”
“Ma Signore, perché allora ci permetti di combattere, noi
crediamo di farlo per Te?”
“Lo fate per me, perché ogni comandante dato alla guerra,
seppure giusta, perché di difesa contro la malvagità, viene
tolto comunque all’Amore, ed è forza che ancor più mi spinge
ad intervenire per voi e ritornare come vi promisi.
Un leone che viene dato in pasto al male come se fosse un
agnello e come se al male non bastasse già tutto il nutrimento
che gli è stato dato dal Creatore, che volutamente ha dato vita

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alla Luce, così come alla sua assenza, in un mondo da Lui
desiderato in questo preciso modo.
A volte però nei secoli il male ha esagerato ed è andato oltre i
piani del Padre nostro, creando massacri vergognosi,
distruzione e perdizione, ed è per questo che ci siete.
Perché ad esso è stato dato un freno dalla sua stessa pianta.
Anche se ciò non spaventa la Luce, che non conosce tale
sentimento, ma riconosce solo chi non ancora la vede chiara.”
Così mi rispose il Figlio dell’Uomo.
Facendomi riflettere sulla mia oscurità, che adombrava le mie
prospettive e mi faceva stupidamente temere l’assenza di
Eterno e la fine di tutto.
Ma io adesso, non vi parlerò di questo.
Vi parlerò dell’uomo che per primo comunicò con l’anunnaki
che lo abitava da sempre e che per primo lo amò come suo
nemico e suo fratello, nel modo in cui ad ogni cristiano le
scritture indicano di fare, dandogli spazio nella sua natura
ambigua e di ugual misura benevola e malevola.
Vi parlerò di uomo straordinario, senza sapere di esserlo,
Andrea Spadaro, della sua innata bontà e della sua capacità
naturale di essere vettore, che insieme alle basse vibrazioni,
aveva nel suo seme l’uguale alta misura.
Vi parlerò di suo padre e della madre Mariele Giuseppina, dei
suoi quattro figli ed in particolare del figlio Denis e della sua
anomala genetica ed ereditata schizofrenia, non inguaribile e
distruttiva come le altre conosciute, ma portatrice sana di un
mistero che nascondeva il segreto dell’ammalata gente umana.
Tutto ciò, senza evidenziare, ma senza mai nascondere una
domanda da sempre posta e mai soddisfatta.
Esiste un ospite dentro di noi?
Vi parlerò del suo tentativo di convincere nostro padre An di
dare un’altra possibilità all’essere umano, fatto da El Oah per
mezzo di Elì e figlio di Elohim e di Neanderthal, che popolò la
Terra al tempo degli Dei.
Ogni essere dell’Universo ha un’anima, uno spirito che lo
collega alla sorgente creatrice, se è stato messo al mondo, ma

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non tutti gli esseri ricordano di averne una e dimenticano il
Dio univoco che è in ognuno e che li accomuna, poiché anima
corpi di materia e vive in loro per farli essere tutt’Uno con la
sua fonte, ma non sempre riesce nell’intento, anche se sempre
riesce nella forma fisica.
Vi dirò, che se ogni Elohim ricordasse tale verità, sarebbe la
fine del mondo come lo abbiamo sempre conosciuto e l’inizio
di un nuovo mondo dove le scintille vengono lasciate brillare
senza paura dell’alto e senza paura del basso e dove l’amore
viene riconosciuto come l’alimento di quell’Eternità che
nessun essere deve temere, perché ne è fatto.
Verrebbe dunque annullata la parte degenerante del male, che
pure ha un suo ruolo, anche se è purtroppo diventato
innaturale.
Vi parlerò di me, uno dei comandanti della mia gente
annunaki, che abitai il corpo di Denis sin dall’inizio e che
trovai in lui, non la solita mucca da mungere, ma un vero
amico e compagno di lunghe conversazioni, con cui cercare
uno spiraglio di salvezza per il mio popolo ed una via di
libertà per il vostro. La stessa salvezza che non riguarda solo
gli anunnaki, ma tutti gli esseri dell’Universo in cui il male
degenera. Una salvezza che coinvolge interamente il Cosmo,
minacciato dalla nostra stupidità di esseri erroneamente
evoluti, per aver perso il filo della creazione ultima, perché
credemmo di poter ingannare la morte della materia,
dimenticando il calore dell’amore che vive nel boato
primordiale e pensando di poterlo sostituire con i nostri
artifici. Quale errore peggiore, sapendo che la vita contiene
anche la morte, ma nella morte c’è ancora vita e vita.
Commettemmo l’errore che ci condanna ad essere fratelli
contro fratelli, padri contro figli, fazioni contro fazioni e che ci
rende consapevoli che stiamo uccidendo voi, ma in voi
uccidiamo ogni giorno anche noi stessi.
Accecati dalla brama e dalla inutile voglia di potere, la
trasferimmo a voi, flagellando il vostro mondo con guerre e
sofferenza, di cui siete pieni da sempre, fino a quando un

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insperato dialogo iniziò e per la prima volta senza che voi
perdeste il senno, riuscimmo a stabilire un contatto che ci
potesse finalmente far sperare nella fine di una lotta inutile tra
noi ed in una salvezza che riguardasse anche voi e tutti gli
esseri del Cosmo.
Prendemmo contatto con alcuni uomini di sangue, che voi
chiamate blu, e che noi definiamo vettori terrestri, che sarebbe
meglio definire misto, perché mezzo umano e mezzo alieno,
questa volta non impazzirono e né furono rinchiusi, come
sempre era avvenuto nei nostri svariati precedenti tentativi,
dove qualcosa non funziona e si rompe ogni possibilità di
utilizzare il contatto.
Questa volta la mistura delle due specie era forte e ben
equilibrata ed il dualismo era perfetto. Tutto era possibile,
l’anunnaki era un buon umano e l’umano era un buon
anunnaki.
Come poteva essere e come mai era successo?
Un errore, un grande errore di valutazione tra i tramandati di
padre in figlio creò la pazza discendenza che ci fruttò la prima
vera possibilità di comunicare con voi e quindi di salvezza.
Se un vero uomo consapevole, avesse potuto parlare con il
grande Elohim, An, forse il padre del nostro popolo si sarebbe
ricreduto e ci avrebbe condotti tutti verso la più grande pace
mai stabilita tra le razze dell’Universo.
Non avevamo troppo tempo, An ad ormai quasi due miliardi di
anni di esistenza poteva non esserci più da un momento
all’altro ed iniziava a sentirne la stanchezza di tutti quei secoli
senza emozioni, se non rare ed inspiegabili, che di solito
provenivano dall’operato del figlio En Ki.
Questa possibilità però, non era mai andata bene ed era spesso
stata ostacolata nei secoli passati dall’Elohim En Lil, figlio
guerriero di An, che ci aveva solo combattuti, come soldati di
suo fratello e nemico En Ki, con l’intento di eliminarci per
sempre dalla faccia del creato.
Si scatenò tra noi l’ennesima terrificante guerra, combattuta
proprio per eliminare quei benevoli vettori terrestri, che

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avrebbero potuto mediare la pace non riconosciuta ed
insperata tra i nostri popoli.
Voi, il popolo che è fuori e calpesta la Terra, e noi, il popolo
che è dentro di voi.
Chi vi racconta questa storia, sono io, ed abito in uomo che è
mezzo anunnaki, per la metà di me, e mezzo uomo per la sua.
Mi chiamo Hac Himact Toraus, su questo piano, credo si
pronunci così.
Il pianeta blu di Asterope delle Pleiadi, situato nella
costellazione del Toro, riscaldato da tre soli, di cui Alcione è
quello maggiore, è il posto da dove provenivo quando Denis
mi accolse nel suo corpo, ed anche io, seppur inconsapevole,
come quelli del mio popolo possiedo una straziata anima.
Vi parlerò quindi della mia storia e del mio incontro con un
vero amico e fratello essere umano come voi, a cui devo
l’onore di essermi affiancato nella lotta contro l’oscurità e il
decadentismo della creazione suprema.
Io posso essere chiamato il suo ospite ed alleato o quello che
vola in lui, così come alcuni scrittori, che narrano di vicende
oscure ed ombre provenienti da altri mondi, hanno voluto
definire quei volatori alieni, che i vostri sciamani ambiscono a
riconoscere e sfidare.
Con lui abbiamo avuto scontri su come convivere, su come
concepire la vita, l’amore, l’odio.
Lui, cristiano, con i suoi coscienziosi valori di cultura essena,
perdono, comprensione, passione ed io con la mia guerra
sempre da fare, non so se per timore di finire o per timore di
cambiare, quando Denis mi aveva sempre detto che non c’era
nulla da temere e che l’amore vince sempre e non ha bisogno
di essere difeso da alcuna guerra se non dalla sola Luce che
propone nuovi modi di vincere le guerre senza spade.
Abbiamo passato dei brutti ma anche dei meravigliosi
momenti, rischiando il fallimento della mia più importante
missione e quindi di tutta la mia esistenza, la sua malattia
mentale e la nostra stessa vita e scampando a grossi pericoli e
persino alla morte. Episodi che mi hanno donato ancora

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l’odore della mia natura nel sentimento rigenerato della mia
scintilla vitale.
Nella sua storia, cercherò di parlarvi anche della mia e di
quella del mio popolo.

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Capitolo secondo
VILLA DEI CONTI SARTI DE PIAVONELLI

La nostra storia ha inizio qui, in uno splendido giorno di


primavera del 27 aprile 1942.
Siamo alla Villa del Conte Augusto Sarti de Piavonelli.
Nel piccolo paesino contadino di provincia pugliese sembrava
essersi fermato di colpo il tempo.
Un pomeriggio caldo e particolarmente luminoso, pieno di
colori e foglie verdone, che parevano smeraldi al riflesso del
sole, cariche di linfa, che sembravano barcollarne e cingevano
i fiorellini rosa appena spuntati dovunque, nel bel giardino
della imponente tenuta, proprietà degli uomini più influenti del
paese e forse anche più.
Andrea aveva soli quattro anni e nemmeno li aveva compiuti,
era molto legato all’amichetto fraterno Gaetano, che ne aveva
dodici già compiuti, suo unico compagno di giochi sin da
quando ad un solo anno aveva iniziato a camminare, quando il
suo amico più grandicello ne aveva invece nove. Non sapeva
di essere per lui come un fratellino, e nemmeno di stare
correndo e giocando con un Conte Sarti de Piavonelli dei
Conti di Lucera, ma per adesso la sua semplicità di bimbo lo
faceva essere solo il figlio di Cecco il maggiordomo col suo
amorevole amichetto Gaetano, e di Mariele, moglie di Cecco e
governante della villa, situata quasi nella prima campagna del
piccolo paesino.

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Lei, mamma affettuosa, premurosa, dalla bellezza imponente e
radiosa e dalla bontà disarmante, che aveva per Andrea, non
una semplice passione di madre, ma qualcosa di più. Quasi un
amore sovrannaturale, perché l’aveva concepito a più di
quarant’anni, quando mai lo avrebbe sperato, nell’epoca in cui
le donne della sua età erano già nonne ed anche per questo era
diventato la gioia immensa della sua esistenza, per quanto e
come aveva desiderato averlo.
Aveva visto nascere e morire prima di lui già due piccole
creature.
Perché quelli erano i tempi in cui si partoriva senza alcuna
consapevolezza e sicurezza, in case di campagna abbandonate
a se stesse, spesso in giornate freddissime e con piogge
torrenziali che rendevano i piccoli tratturi di campagna simili a
dei canali di pantano impercorribili, con medici che arrivavano
stanchi dalle estenuanti visite ed in un comprensibile ritardo,
col loro lento malandato calesse, e messo tutto nelle mani della
sorte, se ti andava bene tuo figlio poteva vivere, ma non dando
per scontato di sfuggire ai malesseri futuri che decimavano i
fanciulli di quegli avvincenti ma impietosi anni quaranta,
senza alcuna pietà.
Si moriva anche per gli aggravamenti di un iniziale e banale
sintomo ignorato, per una varicella, per un morbillo. Guai
grossi erano se ti arrivava una meningite o una polmonite o
una banale febbre aggravata e fatalmente lasciata correre dal
comune modo di fare della gente di quell’epoca, che viveva in
stato di abbandono o spesso non aveva nemmeno denaro per
assicurarsi l’intervento celere di un medico ed affidava le cure
dei propri figli alla misericordia dell’unico esistente nel paese,
che interveniva sovente senza nemmeno essere pagato, o
all’esperienza della vicina di casa, o spesso e purtroppo,
direttamente alla pietà del destino.
Niente stanze di ospedale, niente medici o infermieri con le
loro cure speciali, niente sala parto, niente incubatrici, niente
di niente.

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Solo la fortuna di riuscire a vivere e salvo un destino
impietoso, riuscire anche a crescere.
Anita, tredici anni prima di lui, non ce l’aveva fatta ed ormai
Mariele, che era del 1897, pensava, con i suoi 41 anni
compiuti, di essere troppo vecchia per poterlo persino sperare
un figlio, in un’epoca dove le donne di quell’età avevano già
una mezza dozzina di nipotini. Ma la speranza, per una donna
come lei e per un miracolo come quello, va di pari passo con i
desideri e poi riesce ad avverarli.
Quel giorno Andrea e Gaetano giocavano sul viale
dell’ingresso come sempre a rincorrersi, acciuffarsi e
schiaffeggiarsi. Senza alcuna ombra di cattiveria, ma con la
giocosità degli anni che avevano e ridendo all’impazzata.
Si adoravano i due bambini e si muovevano con una curiosa
somiglianza, nonostante la differenza di età, che però non ne
limitava l’attaccamento reciproco come fossero due gocce
d’acqua, ed ogni giorno la vista della loro similitudine
trasmetteva stranamente attimi di vero ma celatissimo
imbarazzo al Conte Augusto che in un impietoso orgoglio da
sangue blu, non faceva trasparire proprio nulla a chiunque
fosse con lui, ma in realtà non lo gradiva.
Andrea, quasi nove anni più piccolo, aveva una forza ed una
vivacità che ricordava la poderosa mamma Mariele.
Lui invece, Cecco il maggiordomo, soldato del primo conflitto
mondiale, era calmo e taciturno uomo, con baffi neri e ben
pettinati ed occhi cupidamente scuri, di chi aveva visto troppo
per essere comunque ancora così giovane, ma dalla saggezza e
quiete esemplari.
Il bimbo correndo e giocando ad acchiapparello prendeva
sempre Gaetano, nonostante messo accanto a lui fosse un
folletto più gracile e magrolino ed acciuffandolo per le tasche
posteriori del pantalone scuro, con cappottino grigio e
bombetta nera, gli faceva volare il cappello a suon di spintoni
e strattoni e mamma Mariele urlava nel viale:
“Andrea! Smettila mamma! Non rovinare il cappello al Conte!
Vuoi strappargli il cappottino nuovo?”

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Ma Andrea era preso dai suoi giochi, era trasportato dalla sua
innocenza e dalla sua evidentissima nobiltà d’animo, tuttavia
adorava il suo amichetto Gaetano che in realtà non aspettava
altro tutti i giorni che poterlo incontrare con la sua nuova idea
dell’ultimo gioco, che aveva immaginato di fare con lui sin
dalla notte precedente, sognandolo.
La vita sembrava essere magica per Andrea, non aveva
malizia, non aveva alcuna paura di essere quello che era. Si,
certo era un bambino, non è difficile per un bambino essere
così, è naturale, ma in lui c’era qualcosa di diverso dagli altri,
ecco, dava l’impressione di essere speciale, qualcosa che
avrebbe un giorno forse fatto qualche differenza.
Gaetano sapeva di essere una sua inevitabile e piacevole
vittima, ma si faceva fare di tutto, dal suo particolare
amichetto, spinte, strattoni, scappellotti, abbracci, pizzicotti,
morsi e carezze, alla fine di interminabili corse nel giardino
della villa che per loro sembrava essere un immenso e colorato
campo di giochi, dove il Conte Gaetano correva quasi
camminando pur di farsi acchiappare, date le sue gambe molto
più lunghe.
Usciva sempre fuori dal loro giocare con dei lividi, il piccolo
conte, e con dei graffi, a volte sul viso, a volte sul collo, a
volte ginocchia sbucciate e sanguinanti, che Mariele doveva
sempre prontamente giustificare, con imbarazzanti scuse
coloratissime agli occhi del Conte Augusto che non credeva
nemmeno un po’ a quelle storie, ma che chissà perché faceva
sempre finta di crederci, senza ulteriori commenti o proteste
nei confronti dell’operato della governante che era pur sempre
pagata per fare bene quel lavoro con i bambini e soprattutto
con il piccolo Gaetano.
Spesso il conte padre rientrava all’improvviso, quando aveva
dimenticato documenti in villa, che servivano per le grosse
vendite di grano o di olive, che con le loro quasi 7000 versure
di terreno in proprietà, rischiavano di essere innumerevoli e
quindi quasi non entravano nella sua borsa in pelle nera, con
fibbia color oro, che portava salda nella mano destra, e gli

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capitava sovente di osservare i due bimbi nei loro soliti giochi.
Era allora che in alcuni casi osservava rapidamente quello che
stava accadendo, Andrea che metteva come sempre sotto
Gaetano e lui che alla vista del padre entrato di sorpresa, come
se non volesse farsi vedere sotto ad un nanerottolo per
orgoglio, ma più perché amava l’amichetto fino al punto di
evitargli ogni possibile rimprovero dal severo conte padre,
faceva finta di ridere all’impazzata, ma comunque si era
beccato un doloroso ed irritante schiaffetto in piena guancia
che gli avrebbe fatto pagare appena possibile e quando il
Conte Augusto fosse andato finalmente oltre la grossa porta di
ferro pieno, con gli innumerevoli sistemi di chiusura, che era
tra il giardino e le scale di accesso ai piani della villa, che
dentro ne aveva un’altra ancor più ingegnosamente blindata.
Mariele li teneva d’occhio costantemente, mentre era a far
faccende nell’abitazione semi interrata all’ingresso del
giardino, il cui accesso era nel pianerottolo della villa e che i
Conti avevano allestito per le famiglie dei maggiordomi che si
erano succeduti fino a Cecco.
Una casa molto confortevole, non mancava del suo angolo per
la cottura al caminetto, ma non era effettivamente casa di
nessuno, era la casa tuttavia di chiunque avesse avuto
quell’incarico dal Conte.
Dentro, se ne sentiva tutta la freddezza, perché Mariele
rimaneva sempre affezionata alla casa natale, che si trovava in
una stradina nei pressi della Cattedrale del paese, dove spesso
andava per salutare i suoi genitori e le sue sorelle, ed in
particolare Simona, che insieme a lei faceva girare la testa ai
giovani di tutto il paese, nonostante le loro gonne lunghissime
da sembrare imbarazzanti, le loro camice tinta unita ed i loro
capelli legati per la troppa riservatezza, da farle scambiare per
hostess di bordo di un boeing, più che per donne aventi una
qualche capacità seduttiva. La timidezza era tanta, da farle
apparire paradossalmente quasi sordo mute. Ma era l’epoca
della serietà, della troppa paura del giudizio e delle voci di
popolo, che in quei tempi, in un paesino meridionale di Puglia,

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se avessero voluto, avrebbero potuto anche ucciderti di
pregiudizio.
Nonostante ciò, ai giovani non era mai sfuggita la loro
bellezza ed i loro rari ma compiacenti sorrisi, che spesso
donavano un po’ di speranza a chiunque avesse velleità
conquistatrici.
I pretendenti sapevano di fronte a quali donne si trovassero.
Ognuno di quelli che osava avvicinarsi, lo sapeva bene.
Cecco, era un uomo serio, buono e che non osava. Eppure
Mariele lo aveva voluto sin dal primo momento che si erano
incrociati i loro sguardi.
Cecco l’aveva conquistata senza nemmeno sapere come,
sposata e condotta nella Villa dei potenti, dove vivevano e si
incontravano i nobili napoletani, romani e spesso anche di
provenienza europea, perché il conte padre apparteneva ad una
famiglia importante, non solo di derivazione dal ceppo
aristocratico di sangue blu, ma anche di abilissimi
commercianti di grani, olive e tutti i prodotti della terra del
sud, e di terra fertile da quelle zone ce ne era in abbondanza.
A Villa Sarti de Piavonelli si viveva bene dopotutto.
In quei tempi avere una dimora era già un passo verso
l’insperato benessere. Alcuni campavano in sei, sette e pure il
cavallo, tra figlie e genitori, in case di una stanza sola che
conteneva tutto, tra soggiorno, cucina e camera da letto,
separata semplicemente da una tendina di tessuto fradicio ed
invecchiato o al massimo da un divisorio, per chi poteva
permettersi il lusso, il cosiddetto tramezzo, che non era
nemmeno a tutta altezza ma si interrompeva ad un paio di
metri e che lasciava giusto quel po’ di privacy a papà e
mamma che così non dovevano far vedere al resto della
famiglia, che poteva comunque sentire, se fossero pronti per
un nuovo figlio e che tra l’altro non era insolito, perché dopo il
sei ed il sette, l’otto e il nove venivano senza troppi
complimenti.
La loro casa non era così male. Mariele, Cecco ed Andrea,
avevano spazio a più non posso. Tre scalini per scendere la

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prima rampa e subito a destra altri cinque, conducevano ad una
bella tana, con tanto di stanzetta per Andrea e camera da letto
patronale.
Loro si che erano stati fortunati, abitavano dai Conti con tanto
di muri perimetrali di protezione, giardino rigoglioso e grande
cancello d’ingresso.
Un posto davvero accogliente, con forno a legna, cucina
spaziosa, con il suo angolo cottura e larghi e comodi ripiani,
dove Mariele, nonostante il suo tempo molto limitato dalle
faccende che doveva affrontare quotidianamente per portare
avanti la gestione della villa, di cui si prendeva una grande
cura da farla sembrare sempre luccicante in tutti i suoi androni,
riusciva comunque a preparare dei leccorniosi e succulenti
dolcetti o salatini da offrire ad Andrea e Gaetano, quando
voleva un po’ calmarli dalla loro solita furia goliardica.
Li chiamava ogni giorno Mariele ad una certa ora:
“Gaetano e Andrea, qui e subito!”
Con aria imponente e tono di comando, che gli uscivano da
favola. Certo, avrebbe dovuto dire “Signor Conte” prima di
dire Gaetano, ma non gli usciva mai quella strana parola. Una
donna così non poteva usare innaturalezza, anche se questo
comportamento avrebbe sicuramente potuto contrariare il
conte padre, se solo avesse fatto uno dei suoi ritorni
improvvisati e l’avesse sentita.
Venivano a mangiare come se fosse un rito quotidiano,
affannati e gioiosi. Era tanta la differenza di età, ma non
sembrava ci fosse. C’era tra loro qualcosa di diverso dal
normale, qualcosa che li legava al di sopra di un semplice
momento di gioco.
Lui, “Signor Conte”, il migliore amichetto di suo figlio, che
abitava ai piani superiori, ma scendeva tutti i giorni giù a
giocare, scuola permettendo, che lo trattava e lo amava come
nessun fratello avrebbe potuto fare, che si sarebbe fatto fare di
tutto dal piccoletto, pur di accontentarlo e non vederlo
piangere, appellarlo Conte, come un uomo già formato, non lo
avrebbe mai fatto Mariele.

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Gaetano era un ragazzino di 12 anni compiuti ed era anche
molto educato ed affettuoso, non faceva parte di quel tipo di
persone superbe, o forse non ancora, aveva in se la semplicità
di un galantuomo e la bontà di un grande, ma era solo poco più
che un bambino, aveva conservato nel suo corpo ancora esile e
poco sviluppato, la purezza di un fanciullo, insieme alla sua
esemplare educazione che aveva visto partecipe anche
Mariele, oltre che alla Contessa madre, Luigia Sammaria dei
Principi di Valletta.
Quindi, niente “Signor Conte” e via a mangiare a più non
posso le bontà preparate dalla buona Mariele, che i bambini
non vedevano che come una premurosa madre.
Tornando alla casa di Cecco, per come si presentava
all’interno del grande complesso, non somigliava di certo gran
che al resto del caseggiato, però era immensa rispetto alle altre
abitazioni popolane, visto che non aveva neppure l’esigenza di
ospitare il cavallo dentro, che a Cecco non serviva, disponendo
dei calessi del conte, tirati da cavalli i quali avevano i loro
enormi stalloni lì di fronte alla villa, a qualche centinaio di
metri e di cui si occupavano i cocchieri.
Totonno era uno dei tanti stallieri del casato, uomo che dalle
sembianze sembrava più un turco che un pugliese, ma che per
il resto aveva un cuore grande, essendo un tipo generoso ed
altruista.
Andrea ci andava a vedere i cavalli del conte, quando Totonno
gli permetteva di entrare negli stalloni, che al bambino
sembravano immense gallerie che facevano persino l’eco se ci
urlavi, ma spesso sbirciava e curiosava nelle stalle anche
all’insaputa del cocchiere.
Qualche volta si divertiva a strillare quando i cavalli erano
fuori, perché incuriosito dal forte e nitido eco che si sentiva
dopo lo stridente strillo, ed aveva persino scoperto, per sbaglio
a dire il vero, che ai cavalli faceva uno strano effetto eccitante,
perché senza accorgersi, una di quelle volte, aveva strillato
con dentro i possenti equini, che al suo grido squillante

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avevano risposto con una eccitazione un pò divertente, un po’
preoccupante.
Nonostante avesse vissuto la sua ancor breve vita quasi sempre
all’interno della gigantesca villa Sarti de Piavonelli, il
fanciullo aveva visto anche alcuni cavalli di quelli che erano in
casa dei braccianti, quando andava con sua madre a casa dei
nonni, che abitavano in una stradina sterrata, piena di piccole
casette contadine, vicino al convento delle suore a pochi passi
dalla Cattedrale.
Li sì che ce n’erano, ogni casa ne aveva uno, accanto al letto
matrimoniale.
Andrea si divertiva a sollevare leggermente la tenda un po’
lercia ed appesa all’asse con anelli di ferro arrugginito, a
cacciare il naso ed un pezzo del viso dentro la casa per spiare,
e quando si accorgeva che c’era la bestia, toma toma, zitta
zitta, accanto al letto, subito di colpo faceva partire lo strillo:
“Hiiiiiiiiii! Hiiiiiiiiiiiiii!”
Nel silenzio più cupo, in cui giaceva lo stallone o la giovenca,
strideva il suo grido ed il cavallo prendeva un gran colpo e se
non stavamo attenti distruggeva il letto del malcapitato
padrone a suon di zoccolate.
Mariele si sarebbe arrabbiata all’istante come sempre,
acciuffando Andrea e pizzicandogli la guancia con rabbia e un
po’ di ridere sotto i baffi, per aver assistito ad una delle sue
solite marachelle, dall’elaborazione al quanto pittoresca ed il
cavallo sarebbe tornato calmo, con un grido maggiore di
quello del bambino, fatto dal contadino, che imprecava per
salvare il suo letto che avrebbe perso tra i frantumi se non
avesse fatto qualcosa per calmare celermente l’ira dell’animale
spaventato.
Capitava spesso, ma la mamma ormai ci era abituata e
pensava:
“Se lo sapesse il Conte Augusto delle imprese di questo qui,
non so cosa direbbe, che esempio sarebbe per il piccolo Conte
Gaetano?”

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Ma tanto dopo tornava tutto normale, bastava vedere la faccia
da grullo del bimbo colpevole per riderci su e non pensarci
ancora.
Andrea faceva una faccia come se non fosse stato lui, come se
l’innocenza fosse la sua più alta delle virtù. Però, Mariele lo
amava troppo per punirlo o addirittura picchiarlo e non riderci
su anche lei. Sapeva che non sarebbe stato di buon esempio
ridere delle imprese goliardiche del suo piccolo diavoletto, che
sarebbe stato capace di importunare anche le formiche, se solo
ne avesse avuto l’occasione. Ma non poteva farne a meno, la
prima a divertirsi del figlioletto era lei stessa.
Dopotutto il piccolo era piuttosto simpatico per come si
poneva, dopo aver commesso il fanciullesco reato.
La sua vivacità era comunque derivante da una intelligenza
curiosa e brillante, mai nata da semplice cattiveria da piccolo
delinquente, ma sempre da dubbi di curioso birbante.
Per Mariele l’importante era che Andrea non conducesse
l’amichetto conte a fare le stesse cose.
Gaetano era un piccolo grande ometto, ma non era capace di
dire di no ad Andrea e soprattutto non era capace di mentire a
suo padre e se fossero stati scoperti avrebbe detto tutto
assumendosene le responsabilità, ma la pura verità avrebbe
coinvolto anche il suo amichetto, che avrebbe dovuto anche lui
fare “i conti col conte”.
La donna non lo sapeva, ma era già successo.
Andrea in uno dei pomeriggi di inizio primavera, aveva
condotto Gaetano negli stalloni, quando sapeva che Totonno e
gli altri cocchieri sarebbero stati fuori per sbrigare le solite
faccende che si svolgevano con carrozze e calessi.
Ormai il bambino aveva fatto caso a tutte le usanze della Villa.
Una volta entrati nello stallone più grande, Andrea aveva
mostrato a Gaetano come fosse bello sentire l’eco di uno
strillo fatto in una stalla, che sembrava immensa ai suoi occhi,
composta dalle ripetute campate scandite da altissime volte a
crociera ed il piccolo conte aveva trovato la cosa sorprendente,
divertente ed anche interessante, perché le vibrazioni facevano

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sentire lo scricchiolio dei vecchi legnetti utilizzati per
alimentare gli svariati camini della villa, posti sulle dispense
costruite sulle travi in legno invecchiato, ma ancora possente,
e la polvere cadeva a nuvoloni come se fosse stata lanciata con
il tiro di un pugno, da qualcuno nascosto lì dietro. Al che, i
due bambini guardandosi negli occhi impallidivano, e
Gaetano, passato l’attimo e capito che era solo polvere,
guardava divertito il più piccolo amichetto e gli diceva:
“Ecco piccoletto, la dietro c’è il fantasma di un mio vecchio
conte antenato, boooooo!”
Faceva spaventare Andrea, solo con l’espressione e con la sua
interpretazione a dir poco empatica. Dopodiché si aspettava la
solita reazione del piccolo, che dopo essersi spaventato, gli
infilava un calcio pizzicante sulla gamba sporcandogli il
pantalone grigio scuro e facendogli anche un po’ male, ma non
da non consentirgli di continuare a ridere, facendogli ancora:
“Booooo! Eccolo là il mio antenato! Booooo!”
Non era il tempo di Disneyland, non c’erano videogiochi o
telefoni smartphone. Allora, ci si divertiva con delle cose
semplici e banali da non sembrare neanche giochi, se
paragonati ai tempi attuali, bisognava sempre inventarsi
qualcosa per arrivare all’ora di andare a letto, avendo un po’
giocato e trovato sollievo per ricrearsi, visto che non c’era
nemmeno l’energia elettrica ed iniziare il giorno dopo una
dura ed impegnativa giornata degli anni 40’, che all’epoca
anche per un bambino potevano sembrare duri, ma che per un
bambino di questi nostri tempi sarebbero sembrati un incubo.
Però oggi per un bel pezzo i bambini erano scomparsi alla
vista di mamma Mariele. Ma non era la prima volta che
accadeva, la villa era grandissima, non si poteva avere il
controllo assoluto della situazione e questo infastidiva molto la
donna, che si muoveva già con un certo nervosismo, su e giù
per il viale sterrato d’ingresso, in mezzo al giardino e poi
faceva il giro dell’enorme casa per vedere che fine avessero
fatto i due.
Niente, quel giorno era diverso, sembravano essere svaniti.

37
Lei sapeva comunque che come sempre sarebbero tornati, che
magari potevano essere andati a rincorrersi tra i campi lì
vicino e che non potevano certo rimanere sempre dentro il
perimetro come dei cagnolini, erano già grandicelli per
allontanarsi di qualche metro da casa senza perdersi e né
rischiare chissà che.
Sicuramente questo era un permesso da mamma Mariele, non
di certo da Contessa Luigia o da Conte Augusto, che di questa
permissività non avrebbero nemmeno voluto sentirne parlare.
Ed era forse anche per questo motivo che il piccolo
aristocratico amava così tanto la sua governante, per la fiducia
che riponeva in lui e di cui egli stesso si era accorto, visto che
la donna non aveva il tipico atteggiamento possessivo di tutti
quelli che gli rivolgevano l’attenzione, ma lo lasciava fare.
Come se non sapesse badare a sé stesso. Certo che lo sapeva
fare. Gaetano era un ragazzino di 12 anni, ma già con la
maturità di un vero uomo.
E poi del resto, dove potevano essere se non nel posto che
Andrea aveva fatto da breve scoprire a Gaetano?
Erano lì, certo.
Andrea continuava a dire all’amichetto di fare in fretta, perché
primo, poteva rientrare Totonno il cocchiere e secondo, la
mamma avrebbe potuto incuriosirsi e questa volta mettersi a
cercarli per bene, per poi trovarli e scoprire il loro segreto, di
cui sapeva già il rocambolesco funzionamento e vietargli di
poterci ritornare per il resto della vita. Oh no! Che triste
proibizione sarebbe stata per i due.
“Che esagerazione.” Diceva Gaetano.
“Prima o poi, non solo ci verrò con il permesso di papà qui,
ma anzi, cavalcherò anche Brunetta, la sua cavalla, prima che
si convinca a comprarne una bella così anche a me.”
“Possibile? Venir sempre qui di nascosto, anche se lo trovo
molto divertente, non mi va bene!”
Andrea era già pronto per lo strillo, ma via, Gaetano lo
precedette come se già conoscesse le intenzioni del suo
amichetto, solo a guardarlo.

38
Grande urlo ed eco e via una grande risata in mezzo alla
polvere sollevata.
C’era qualcosa di strano però quel pomeriggio.
Eppure avevano guardato, niente cavalli, lo stallone sembrava
veramente vuoto.
Pochi secondi e vai, Andrea non stava nei panni per fare uscire
il suo secondo strillo:
“Hiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!”
Con tanto di eco, ma ancora Gaetano lo aveva preceduto,
ormai lo conosceva come le sue tasche.
Ma qualcosa era sfuggito di mano ai due bambini.
All’improvviso si sentì un grande boato.
Non era vuota la stalla, sembrava solo esserlo.
Brunetta, si proprio lei, la cavalla del conte Augusto, aveva gli
zoccoli delle zampe anteriori puntate verso la recinzione in
legno dell’ultimo dei box che contenevano i cavalli dello
stallone.
La imponente e poderosa giovenca era irrequieta e sofferente
quella mattina e Totonno voleva farla vedere a Don Peppino, il
veterinario, pertanto l’aveva lasciata lì, poiché sembrava
essere stordita ed avere bisogno di riposo.
Lui aveva pensato che le condizioni dello splendido nero
esemplare di razza murgese, si potessero attribuire al troppo
lavoro che la bestia aveva dovuto sopportare in quegli ultimi
giorni, dove gli impegni nei campi, per la conta ed il controllo
delle giornate di lavoro dei quasi 100 braccianti della tenuta,
avevano impegnato pesantemente il povero conte, ma povero
anche il cavallo, che vi era rimasto atterrito.
Ecco però, presa dallo spavento provocato dalle grida di
Gaetano, la cavalla, già nervosa di suo, non riuscire proprio a
contenersi e pian piano a suon di pesanti zoccolate, messo giù
il cancello di legno pezzo per pezzo, uscire di corsa dallo
stanzino e correre verso Andrea.
Gaetano ebbe un momento di sconforto, l’amichetto sembrava
essere veramente in serio pericolo questa volta.
Oggi l’avevano combinata davvero grossa.

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Afferrato il più piccolo per il collo del cappottino, si mise
davanti alla grande furia di Brunetta, sperando che dopo averlo
riconosciuto, l’animale potesse ricredersi e rallentare fino a
fermarsi o almeno scansarli. Dopotutto, la conosceva
benissimo. Tante volte gli aveva dato biada da mangiare
direttamente dalla mano, ed ora lei, nonostante la sua evidente
irritazione ed indisposizione fisica, non poteva tradirlo in quel
modo ed andargli addosso.
Il piccolo conte, guardava verso la sua traiettoria, mentre si
avvicinava con i forti rumori degli zoccoli che scoccavano sul
pavimento battuto del grande corridoio centrale dello stallone,
che quasi sembravano provenire dall’oltretomba, con tanto di
criniera che ondulava da un fianco all’altro del robusto e
lucido collo nero, per effetto della corsa sfrenata.
Ed ecco Brunetta a due passi da loro, il tempo sembrava non
passare più, erano solo dieci secondi, ma sembravano essere
ore e ad un tratto Gaetano urlò:
“Giù Andrea! Giù!” E lo spinse con tutta la sua forza sulla
biada di uno dei box vuoti della stalla e lui al volo si legò al
fianco della bestia con la mano sinistra, impugnando la folta e
spessa criniera nera.
“Hiiiiiiiiiiiiii! Brunetta Hiiiiiiiiii! Hiiiiiiiiiiii! Brunetta!”
Ma la cavalla era proprio indispettita e trascinava Gaetano che
ormai ondeggiava al suo fianco come una bandiera.
Già fatti due giri tra l’oliveto appena fuori dalla stalla.
Sembrava durare per sempre quel momento. Con il piccolo
conte che urlava all’animale di fermarsi e lei che non
sembrava esserne proprio per niente disposta.
Ormai il bambino non ce la faceva più, stava quasi per cedere.
Aveva attaccato da un po’ anche l’altra mano al crine della
bestia inferocita, che procedeva sempre più accostata ai
possenti e secolari alberi di olivo, per cercare di strapparsi di
dosso il ragazzo che sembrava gli fosse incollato, facendolo
sbattere contro gli alberi. Ormai i piedi si lasciavano trascinare
e strisciavano a terra che avevano quasi consumato le scarpe di
suola e vernice scura, ma che ora sembravano bianche.

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Andrea era impietrito, non sapeva se urlare aiuto, o di fermarsi
a Brunella, oppure gridare a Totonno, con la vana speranza
che se fosse stato nei pressi, forse il cocchiere avrebbe potuto
sentirlo. Ma nel frattempo non riusciva a fare proprio nulla
fuor che morire di paura e stare immobile a guardare
l’amichetto nei guai grossi.
Adesso però, ecco l’atteso miracolo, mentre il piccolo conte
stava per mollare la presa ad una velocità che gli avrebbe
potuto veramente costare la vita, la cavalla decise di fermarsi
ed arrestare la frenetica e sconvolgente corsa.
Se ne andava al lento galoppo, quasi a passo veloce d’uomo e
dopo un po’si fermò, col collo a terra ed un movimento come
se facesse di no.
Fortunatamente, non stando molto bene in salute non aveva la
solita forza e caparbia di sempre ed ora era stremata, da
mettersi quasi giù a due zampe con il collo chino.
Gaetano non le era più attaccato, era finito a terra. Ma per
fortuna, ormai quando la corsa era quasi giunta al termine.
Il vestito era irriconoscibile, sporco e strappato, le mani piene
di graffi, al cappottino grigio mancava quasi un’intera manica
e il viso era pieno di escoriazioni, con i capelli ormai bianchi
come un garzone di fornaio, perché era finito giù, prima
strisciando e poi si era lasciato cadere.
Andrea gli si avvicinò correndo e col viso bagnato di lacrime.
Gaetano non lo lasciò nemmeno parlare.
“Nulla! Non è nulla Andrè! Sto bene, non mi sono fatto nulla,
grazie al cielo mi sono salvato!”
Il bambino lo abbracciò scoppiando in un forte ma benevolo
pianto liberatorio. Aveva veramente temuto il peggio per il suo
insostituibile amichetto.
“Potete dirlo forte signor Conte Gaetano!”
Si sentì una voce bassa e atona. “Potete dirlo forte!”
Era Totonno, appena rientrato dall’altro stallone, per il forte
baccano che l’incidente aveva provocato era corso a vedere di
cosa si trattasse ed aveva assistito alla scena finale, risultando

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comunque del tutto inutile, poiché quando ormai Gaetano era a
terra a parlare con Andrea.
Preso il bambino da terra, gli diede uno sguardo.
“Ce la fate signor conte?”
Andiamo dentro, vediamo se Mariele riesce a mettere a posto
questo pasticcio e vi da una ripulita. Volete che vi porto in
braccio?”
“No Totonno, sto bene, ce la faccio da solo.”
Ma al piccolo coraggioso tremavano ancora le gambe per la
paura e barcollavano sia per quello, che per i dolori ai piedi ed
al torace.
Totonno non lo ascoltò, lo guardò un’ultima volta e via, lo
prese nelle sue robuste braccia da cocchiere e procedette verso
la villa con Andrea, che li seguiva mezzo tramortito di paura
ed ancora un po’ piangendo.
Dalle parti della Villa, stava però succedendo ciò che non
avrebbe dovuto.
Il Conte Augusto era appena tornato, la sua carrozza era quasi
davanti all’ingresso posteriore della tenuta.
Fermatosi e sceso, diede le ultime disposizioni a Gianni il
ragioniere, che sedeva con lui ma non scendeva li, e chiusa la
porta del cortile, si diresse verso casa, procedendo con una
certa fretta, poiché aveva giusto il tempo di mangiare qualcosa
e doveva immediatamente ripartire per Napoli, dove la
trattativa delicata di una grande commessa di grano stava per
andare all’aria per alcuni stupidi cavilli burocratici, ed un
fallimento in questo momento non poteva proprio
permetterselo, visti gli ultimi investimenti ancora non a frutto.
Mariele era sempre là fuori ad aspettare il rientro dei bambini.
Da lontano vide che Totonno ne portava uno in braccio e
portandosi immediatamente le mani in faccia iniziò di botto a
lacrimare, rimanendo comunque in un represso e dignitoso
silenzio di compostezza che l’aveva sempre distinta.
Vide subito che si trattava di Gaetano, ma questo non
significava nulla per lei che amava i due bambini allo stesso
modo.

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Ecco le coincidenze che portavano a frutto le loro intrigate
corde.
Il Conte Augusto, entrato, assistette alla scena da lontano e
lasciò cadere la borsa con tutti i documenti per correre verso
Totonno, che subito con affanno:
“Non vi preoccupate signor Conte Augusto, non è successo
nulla, il Conte Gaetano sta bene, sta bene!”
Il conte arrivato in un balzo davanti al cocchiere, che ripose
subito Gaetano sulle sue gambe dinanzi al preoccupatissimo
padre, si chinò a terra piegato verso il figlio e guardatolo per
qualche secondo lo abbracciò.
La sua severità era di pari passo con la devozione che aveva
verso il bambino, figlio unico, anche se ne avrebbe desiderato
altri che la Contessa Luigia purtroppo non gli aveva dato.
Lo guardò con sguardo severo ma contento, perché comunque
lo vedeva in salvo e davanti ad un imbarazzato Totonno,
un’atterrita Mariele ed uno smarrito Andrea, che assistevano in
timoroso silenzio, gli disse:
“Allora giovanotto hai deciso di ammazzare te o me, con un
colpo al cuore?”
Gaetano gli sorrise e disse:
“E’ stato solo un incidente papà, è scappata Brunetta e mi è
venuta addosso.”
“Scappata? E perché sarebbe scappata, è una cavalla
obbediente, la migliore della scuderia.”
Al che Andrea, sapendo della sincerità del suo amichetto e che
avrebbe detto tutto, per filo e per segno, prendendosi una
durissima punizione, che non avrebbe fatto incontrare i
bambini chissà per quanto tempo, senza il permesso di
nessuno si inserì nella delicata discussione tra padre e figlio:
“Sono stato io signor conte! Ho urlato nella stalla e Brunetta si
è spaventata iniziando a correre verso di me e Gaetano, che mi
ha salvato!”
Il Conte Augusto, dopo aver dato uno sguardo fulminante ad
Andrea, si girò ribadendo:
“E’ così giovanotto?”

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“Ma no papà, è stata colpa mia, ho urlato per ben due volte,
pensando che la stalla fosse vuota e poi ho visto Brunetta che
ci veniva addosso, così l’ho afferrata al volo e ci sono rimasto
acciuffato alla criniera per un po’, mentre mi trascinava in giro
per l’oliveto vecchio.”
Andrea continuava a dire piangendo:
“Non è vero, non è vero! Sono stato io, Gaetano mi ha
salvato!”
Poi, guardò ad un tratto Gaetano, che gli fece cenno di tacere,
strizzandogli l’occhio, senza farsi vedere dal padre, che
invece, oltre a conoscere già la grande intesa che c’era tra i
due ed a guardarla con molta difficoltà, li aveva persino visti
ammiccarsi con il fare di due inseparabili complici.
Questa cosa non era mai stata bene al conte padre, ancor prima
di quell’increscioso episodio. Era un atteggiamento che lo
metteva in uno strano imbarazzo.
Dopotutto il ceto era troppo differente tra i due bambini per
poter instaurare qualsiasi tipo di relazione, ed a maggior
ragione un’intesa quasi da fratelli.
Il conte padre fu tutto ad un tratto preso da un cocktail di
sensazioni. Li guardò, prima arrabbiato, poi con
disapprovazione e rabbia, con uno strano ed imbarazzante
senso di colpa e poi dopo persino anche con ammirazione e
fierezza, infine con un residuo di biasimo, mettendosi le mani
sul volto e capendo comunque la prevalente gravità
dell’accaduto, si diresse commosso verso Gaetano e ritornando
immediatamente con la sua solita severità, lo prese per mano
ed urlò:
“Salvato o non salvato adesso andiamo e poi si vedrà.”
Era sempre stato e rimasto fiero di suo figlio e del suo modo
straordinariamente maturo di essere un bambino.
Mariele d’altro canto, guardò Totonno che stava andando via,
gli fece un segno di dissenso con una smorfia d’intesa
eloquente, prese a sua volta per mano Andrea ed entrò dentro
casa sapendo che questa volta la cosa era seria.

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Il Conte Augusto era ormai ai piani superiori della tenuta e
stava presentando Gaetano alla vista dell’apprensiva e
petulante Contessa Luigia, che solo intravedendolo da lontano
iniziò a portarsi le mani ai capelli ed imprecare che non era
possibile quello a cui i suoi occhi dovevano assistere, il suo
bambino ridotto così come un mendicante di strada.
Gaetano aveva ormai superato la paura dell’accaduto da un
pezzo e sentita la madre usare quello strano paragone, non
riuscì a trattenere una sghignazzante e peggiorativa risata:
“Ma andiamo madre, cosa c’entrano gli straccioni con i miei
graffi ed i miei lividi, non dovreste preoccuparvi di quello che
sembro, ma di cosa mi sono fatto!”
“So io di cosa devo preoccuparmi figliolo, e ben presto lo
saprai anche tu!”
Ribadì la contessa, che ormai più che pensare alla salute del
piccolo conte, già aveva altri pensieri.
Adesso ti faccio un bagnetto per lavarti le ferite, getto via
quegli stracci e di corsa a letto, poiché io e tuo padre avremo
da discutere stasera.
La contessa Luigia amava molto Gaetano. Per quanto una
nobildonna della sua levatura aveva imparato ad amare nel
corso della sua vita.
Era pur sempre una Sammaria dei Principi di Valletta e non
aveva di certo vissuto tra i veri sentimenti, se non tra
matrimoni combinati a tavolino e con una stretta di mano tra
genitori, come accadeva per tutti gli aristocratici del pianeta
per motivi apparentemente inspiegabili.
Ma il sangue blu non doveva confondersi in nessun caso con
quell’altro.
Prese la mano a Gaetano e lo portò nella stanza da bagno per
metterlo in ordine con cura. Quando ebbe finito, accompagnò
il piccolo nella sua stanza e messolo a letto, si sedette a
capitale ed accarezzandolo con un sorriso ed un bacio sulla
fronte gli augurò una buona notte ed andò nella stanza dove
aveva lasciato il Conte Augusto. Questi, nel frattempo, seduto
su una enorme dormosa di velluto verdone, aveva acceso la

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sua curiosissima pipa orientale ed attendeva con apprensione
l’arrivo di sua moglie, perché aveva compreso che ci
sarebbero state da chiarire alcune cose quella sera, avendo
rimandato al giorno dopo il ritorno a Napoli.
Arrivata la contessa nella stanza e subito accomodatasi
accanto a lui, gli chiese come fossero andate le cose.
Il conte non amava dilungarsi in premesse o lunghi discorsi,
anche se adorava conversare, questi erano argomenti che non
voleva toccare, ma ora purtroppo ne era costretto.
Da tempo aveva notato che il rapporto tra i due bambini si
stava facendo sempre più incontrollabile. Di certo la colpa non
era di Mariele. Lei non faceva altro che accontentare i desideri
di Gaetano, che il conte stesso conosceva e che erano quelli di
passare tutto il suo tempo libero con l’amichetto Andrea.
L’aveva visto nascere e crescere e l’aveva amato sin dal primo
momento che l’aveva guardato piangere nelle braccia della
madre, appena nato, con la sua strana cuffietta di lana,
nonostante il caldo di primavera.
Ma questo, ai Sarti de Piavonelli non era consentito.
Si amava solo chi si doveva, maschio o femmina che fosse
doveva essere di rango pari, oppure nulla di fatto.
Chissà perché, il conte padre finora aveva sempre lasciato fare
e dopotutto non aveva ostacolato gran che la situazione, ma
col passare degli anni, oramai ben quattro, la cosa non poteva
più essere rimandata.
Si rivolse alla contessa raccontando l’accaduto come gli era
stato descritto dal figlioletto e precisando che la colpa del fatto
non era del piccolo Andrea, che era con lui e che Gaetano
stesso aveva ammesso di essersi messo in pericolo con le sue
mani, anzi con le sue urla.
Andrea l’aveva persino protetto, cercando di prendersi la colpa
e questo per un bimbo di quattro anni era straordinario, ma
non c’era riuscito, perché Gaetano non gli e lo aveva
permesso. Non andava bene così. Non poteva continuare.
I due erano troppo legati, era tempo che il conte stava
cercando una soluzione.

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L’educazione di un aristocratico non doveva confondersi con
quella di un plebeo e persino appartenente alla diretta servitù.
Ma questo era piuttosto quello a cui pensava la Contessa
Luigia.
Augusto Giuseppe Sarti de Piavonelli non era fatto così, anche
se proveniva dall’antica stirpe dei Conti di Lucera.
Lui aveva sempre avuto timore, non tanto dell’educazione del
figlio, di cui non si preoccupava affatto, quanto dello strano
rapporto che c’era tra i due bambini, che col tempo avrebbe
potuto degenerare in una pericolosa relazione e che magari
avrebbe creato un’amicizia, un sentimento ed un affetto
ingestibili per le enormi divergenze di rango dei due.
Il Conte Augusto palesò alla contessa l’intenzione di parlare a
Cecco e Mariele della cosa il giorno dopo stesso.
Purtroppo la decisione era presa, ed era precisa ed
incontrovertibile, Andrea andava allontanato da Gaetano e
messo in collegio dalle suore domenicane e questo non aveva
nulla a che vedere con l’incidente, ma quest’ultimo ne era
stato semplicemente il pretesto.
Mariele e Cecco potevano rimanere se volevano.
Detto questo e trovata sua moglie in pieno accordo, anche se
con motivazioni del tutto diverse dalle sue, e con lei, che non
avrebbe mai saputo comprendere quelle del marito, poiché le
une parlavano di apparenza, mentre le altre di sentimenti, il
conte spense la pipa ormai senza tabacco e andò a letto, con
una espressione che poco aveva a che fare con la
soddisfazione, quanto piuttosto con l’incertezza e la vergogna,
per ciò che aveva promesso di fare l’indomani, anche perché il
suo atteggiamento avrebbe dovuto essere impeccabile e pieno
di giusto come sempre.
Mariele, dall’altra parte, aveva spiegato ciò che era successo a
Cecco, che con aria molto dispiaciuta, aveva risposto che non
sapeva quali potessero essere le conseguenze, ma che se ne
aspettava qualcuna seria di sicuro.
Una notte di tempo e la loro curiosità sarebbe stata appagata.
Mattino seguente.

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Erano giunte le sei e trenta del mattino, tutti svegli a Villa
Sarti de Piavonelli, nonostante fosse domenica mattina.
Il conte sarebbe sceso da un momento all’altro per andare a
vedere cosa fosse accaduto a Brunetta e magari farle fare
anche una passeggiata di rilassamento, visto lo stress che la
mansueta cavalla aveva dovuto sopportare negli ultimi giorni.
Scese dopo un minuto dallo schiocco delle campane della
chiesa proprio accanto alla villa.
Arrivato giù al piano terreno, dov’era la dimora dei
governanti, trovò tutti già ad aspettarlo di fronte all’ingresso di
casa.
Avevano visibilmente l’aria da falsi indifferenti, soprattutto
Andrea, nella sua fanciullesca ingenuità.
Dopotutto era gente semplice, non sapeva e non aveva mai
nulla da nascondere.
Cecco il maggiordomo, Mariele ed il piccolo Andrea, neanche
se avesse dato loro un appuntamento.
Si fermò, e precedendo di un attimo l’inizio del suo
imbarazzante ma dovuto discorso, Cecco lo invitò ad entrare:
“E’ casa vostra Signor Conte, entrate a prendere un caffè, vi
preghiamo.”
Raramente in passato era successo che il Conte Augusto
avesse varcato la soglia di casa loro, per motivi che non
riguardassero la presenza di Gaetano al suo interno. Per
esempio, una volta era successo quando nacque Andrea ed in
alcune altre rarissime occasioni, quando il piccolo non stava
bene, conoscendo i precedenti delle figlie di Mariele, se ne
preoccupava ed entrava a dare un’occhiata di persona.
Comunque questa volta preferì entrare. Ed i quattro si
avviarono a passo spedito in casa accomodandosi alle sedie in
legno pieno del tavolo di cucina.
Mentre Mariele preparava il buonissimo caffè che sapeva fare,
il conte iniziò il suo deludente monologo.
Nell’ansiosa attesa che l’uomo iniziasse a parlare, erano tutti e
tre zitti e molto tesi, perché sembrava una rara occasione e di

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certo non prometteva di essere delle migliori, questa volta non
era nato nessuno, né tanto meno era ammalato.
“Ecco.” Disse il conte, visibilmente imbarazzato.
“Lo so che è difficile accettare quello che vi dirò, ma
purtroppo mi rendo conto che sono costretto a farlo.
La situazione che si è verificata ieri pomeriggio non è delle
migliori. I due bambini insieme costituiscono un pericolo per
la loro stessa incolumità e magari anche per quella degli altri.
La colpa non è di nessuno, se non della loro vivacità e della
piccola età. La decisione è presa, non posso permettermi che
accada qualcosa a Gaetano, né tanto meno desidero che accada
ad Andrea, a cui non nascondo di essere molto affezionato e
per il quale nutro ormai un vero affetto, avendolo visto
nascere.
E’ proprio per questo che insieme alla Contessa Luigia,
abbiamo deciso di chiedervi, ed altrimenti di imporvi, di
mettere Andrea nel collegio vicino delle suore domenicane,
almeno fino a che superi la sua più giovane età.”
E dopo un grande intervallo di imbarazzante silenzio:
“Voi. Per quanto riguarda voi due, potete rimanere.”
Cecco lo guardava impietrito, ma non sembrava saper
aggiungere altro.
Mariele no, lei sapeva aggiungere sempre altro, fosse stata
costretta a ribattere anche a sua Santità il Pontefice, se solo si
fosse trattato del suo piccolo Andrea.
“Ah! Grazie conte!”
Quindi ci imporresti di vivere lontani da nostro figlio, è questo
che ci stai chiedendo, soltanto perché gioca troppo col tuo e ti
fa stare con uno strano patema d’animo! E’ così?”
Tutto ad un tratto Mariele, aveva evidentemente smesso di
dare del voi al Conte Augusto, nello stupore un po’ di tutti i
presenti.
“Ma Augusto cosa dici, andiamo, lo sai che non è possibile
ottenere quello che ci chiedi, facevi prima a cacciarci
direttamente via tutti, evitando di dare vita a questa inutile

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farsa. Lo sai che non mi separerei mai da Andrea e ti permetti
di chiedermelo lo stesso!”
Cecco ed Andrea, non avevano mai sentito nessuno rivolgersi
al Conte Augusto, dandogli del tu, chiamandolo per il solo
nome e usando quelle parole, ma soprattutto quel tono.
Mariele sembrava essere diventata tutto ad un tratto una di
loro.
La donna lo guardò con aria di rabbia e delusione e disse:
“State tranquillo Augusto Sarti de Piavonelli dei Conti di
Lucera, da domani al collegio ci andiamo pure noi.”
Si voltò, lo guardò con sguardo severo un’ultima volta dritto
negli occhi, versò il caffè, ormai fumante, nella tazzina del
servizio buono ed andò via da quella stanza senza chiedere
permesso e come se la presenza dell’uomo non fosse più
desiderata.
Il conte non era mai stato trattato così in presenza di altri, e per
giunta da una donna, anche se dopotutto non aveva neppure
mai detto una cosa così delicata e grave a nessuno fin’ora.
Bevve il caffè con rapidità, quasi scottandosi ed alzatosi si
ricompose e disse:
“Così è stato deciso, mi dispiace avervelo dovuto dire senza
troppe inutili premesse, non siate precipitosi, abbiate la
saggezza e la comprensione per ripensarci, perché riconosco
che il vostro servizio in questi undici anni è stato di grande
aiuto e svolto con devozione verso la mia famiglia che vi è
riconoscente.”
A queste parole, Mariele tornò ancora nella stanza da cui si era
assentata, come se vi fosse stata spinta dentro, guardò in faccia
il Conte Augusto e con un sorriso ironico ed amaro lo invitò
ad uscire di casa, nello stupore estremo della sua famiglia.
Non l’avevano visto fare neppure alla Contessa Luigia un tale
affronto.
Cosa strana, il conte, che nelle questioni gravi di mancanza di
chiunque nei suoi confronti non avrebbe badato a sesso gentile
né a bambini, chinò il capo, si mise il cappello e si recò

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rapidamente verso l’uscita di casa, senza aggiungere neppure
una parola a quello che gli era stato appena detto:
“Conte Augusto! Adesso potete pure uscire per cortesia,
abbiamo capito, ce ne andiamo!”
Questa volta era lui in seria difficoltà, perché mentre era
giunto in quella casa con intenzioni che non erano lontane dal
cacciare praticamente i suoi governanti dalla tenuta, con una
proposta a dir poco inaccettabile e vergognosa, non si sarebbe
mai aspettato che prima ancora sarebbe stato anticipato e
messo lui stesso alla porta, nella sua proprietà, in quel modo
brusco e diretto e persino da una donna.

51
Capitolo terzo
MARIELE, CECCO ED ANDREA

Mammà, è così che la chiamava Andrea quando iniziò a


diventare grandicello.
Lei, mammà, era una donna incapace di fare cose diverse dal
bene puro e sincero, donandolo a chiunque avesse la fortuna di
conoscerla.
Aveva un buon rapporto con tutti, con i genitori per primo, che
l’adoravano particolarmente nonostante avessero altre tre
splendide figlie, Michela, Clementina e Simona.
L’intera famiglia era sicuramente composta da persone
deliziose caratterizzate da una grande bontà d’animo.
Michela, la più piccola ma sorprendentemente la più scaltra,
aveva un temperamento irruento ed una pungente e sempre
pronta risposta.
Se non le andavi a genio, usava prima guardarti con una
curiosa aria di sufficienza e poi al momento giusto, se lo
riteneva opportuno dalle circostanze, non si faceva passare
foglia da sotto al naso e tirava fuori un caratterino davvero
piccante e tutt’altro che innocente, freddandoti con una delle
sue smorfie, seguite da occhiatacce fulminanti.
Diversamente, era di una giocosità e simpatia unica, se non le
davi noia o se semplicemente ne aveva voglia.
Tuccio era il suo spasimante e nonostante lo terrorizzasse con i
suoi continui sguardi di ammonizione, Michela, in segreto

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aveva sempre confessato a Simona, la sorella strappa
confidenze, che prima o poi lo avrebbe sposato.
D’altronde lui era un bravo ragazzo, non faceva altro che
guardarla come se l’avesse vista sempre per la prima volta e
per la timidezza non le aveva mai detto, nemmeno di sfuggita,
una frase carina o fatto un complimento, visto che era evidente
che la reputasse di una bellezza irresistibile.
Si limitava a sorriderle e salutarla con rispetto, e ad esserle
sempre di aiuto ogni volta che ne mostrasse il bisogno.
Dopotutto erano cresciuti insieme, vicini di casa, spesso si
incrociavano nella stradina dove si aveva sempre un’occasione
per darsi una mano.
Una giara di acqua fresca riempita alla fontana, lì in fondo alla
stradina, una tinozza di panni lavati da stendere alle forche con
le funi, là vicino nello spiazzo, troppo pesanti da portare a
mano, ed ecco Tuccio che si offriva di aiutare, nonostante
Michela facesse finta di non averne bisogno e che non avesse
fatto nemmeno richiesta di aiuto.
Orgogliosa e dispettosa ma solo in apparenza.
Ma il ragazzone era così, non demordeva. Pazientava e
sorrideva, strappandole il peso dalle mani e lei lo adorava
facendole credere di biasimarlo e per questo divertendosi da
matta.
Con lui, non molto tempo dopo, ci avrebbe fatto tre figli, due
maschietti ed una femminuccia, a dimostrazione che quando
due persone si vogliono bene non servono gli atteggiamenti di
alcun tipo a sviarne la sorte.
Clementina, la penultima nata, era invece la sognatrice delle
tre sorelle di Mariele.
Guardava i capi di moda dai modelli dei sarti, affacciandosi
ogni tanto ai loro laboratori a piano terreno, chiamati, “potee”
in gergo dialettale e cercava di tagliare modelli anche lei, che
cuciva come le altre sorelle, ma con un modo diverso di
vedere il domani.

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Si, perché Clementina non voleva rimanere nel paesino a fare
la “sartina” di confezioni come Simona o la camiciaia come
Mariele e Michela, lei voleva di più.
Aveva confidato a Simona che non avrebbe esitato ad
andarsene via di casa se le fosse capitato, e Simona un pò
preoccupata le aveva risposto:
“Mentì, ma dove vuoi andare? Statti con noi, che qui si sta
bene!”
“Se, se, prendila pure a gioco.”
Rispondeva lei.
“Tanto sta tranquilla che poi comunque ti scrivo.”
Aveva preso sul serio la sua esperienza nella bottega di un
sarto bravissimo che le stava insegnando il mestiere e avendo
la giovane veramente nel cuore, avrebbe fatto di tutto pur di
farle fare bene quel lavoro, anche persuaderla ad andarsene a
Foggia o ancora più lontano a Bari.
Vedeva del vero talento nella giovane apprendista e la riteneva
una sua degna allieva che prima o poi lo avrebbe superato ed
anche molto di più.
Clementina era la sorella più riservata e silenziosa, ma anche
la più determinata.
Fece l’allieva per più di tre anni, fino all’età di diciannove e
poi esagerò.
Aveva già fatto capire alle sue sorelle ed a sua madre che il
paesino le stava un pò stretto, ma quello che stava facendo
avrebbe sbalordito tutta la famiglia e persino tutti i suoi
conoscenti.
Nell’aprile 1929 lesse un annuncio, sul giornale al bar del
paese, che cercavano sarti italiani in America, per lanciare la
prestigiosa sartoria fashion italiana e che quello era il posto
dove ogni sogno poteva essere realizzato, dove dopo la crisi
sarebbe scoppiato l’ennesimo boom economico e dove si
potevano portare le gonne corte senza che lo sapesse persino la
gente del paesino accanto. Ed a lei, erano sempre piaciute le
gonne sopra le ginocchia.
Brooklyn, è li che andò a finire con la sua sartoria.

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“Menty Battista & Sisters”, la chiamò così, sapendo che
difficilmente le avrebbe più riviste le sue sorelle, nonostante
gli svariati tentativi, tutti puntualmente falliti, di fermare la sua
partenza, da parte delle ragazze e le sue moltissime promesse
mai mantenute, di tornare almeno una volta l’anno in Italia.
Mariele Battista, aveva ormai solo due sorelle, Clementina
Battista era andata in America e non si sarebbero mai più
riviste.
Simona, la seconda della famiglia, nata due anni dopo di lei,
era la sua affezionata. Ma dopotutto, di chi non lo era.
Era la sorella più simpatica ed intraprendente, sempre col
sorriso sulla bocca e con la battuta pronta.
Mariele le diceva spesso:
“Eh Simò, tu sì che capisci! Te ne esci sempre con una
battutella pronta e freghi tutto il paese.”
Quello che Clementina stava facendo nelle lontane Americhe,
Simona lo fece in un paesino di borgo della vecchia Daunia.
All’inizio fu molto chiacchierata, certo.
Una boutique in un paese di contadini dalla mentalità così
arretrata era scomoda ed evidente come un pugno nell’occhio
ad un albino.
Ma Simona era forte, e poi aveva Mariele, la sorella grande, la
sua costola, che con la faccia da perenne indifferente e gli
occhiali da vista sulla punta del naso, anche se le fosse cascato
il mondo sui piedi le avrebbe detto che non era nulla.
Si poteva fare, si fece, continuò, ed anche bene.
Mariele proseguì con le sue camicie invece. Le cuciva dentro
casa e Michela le dava una mano con i polsi e con i colletti.
Erano brave, forse non era esagerato definirle le più brave del
paese.
Da loro si servivano i più facoltosi uomini del circondario.
E venivano pure da più lontano, ricchi ed aristocratici, non si
facevano mancare le camicie di Mariele e Michela Battista.
E poi va detto, andava pure bene, non solo perché erano
bravissime, ma anche perché erano due gran belle donne ed
anche se non davano confidenza a nessuno, il solo fatto di

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dover essere toccati, per prendere le misure al collo ed al
polso, faceva impazzire tutti i bei ragazzi del paesino, che tra
l’altro indossavano una loro camicia mostrandola con grande
orgoglio.
Fu li a casa sua, che Mariele vide per la prima volta il Conte
Augusto. Pensate, lui era uno dei suoi clienti più affezionati.
Il conte era un uomo serio e posato e non faceva mai una
battuta fuori luogo o diceva qualcosa di sconcio, era un vero
gentiluomo.
A Michela e Mariele piaceva molto.
Ma naturalmente, questo non voleva dire proprio nulla.
Il conte era di un altro mondo, di ranghi che Mariele e Michela
non avevano neanche mai pensato di sfiorare, neppure con la
più fervida immaginazione.
Questo, il conte lo aveva notato.
Quando andava li, per farsi prendere le misure della prossima
camicia, anzi solitamente ne faceva almeno due per volta,
cambiando leggermente il solo colore della stoffa, ostentava
piacenti sorrisi alle ragazze, proprio per evitare che si creasse
un distacco così netto, che ne faceva trasparire il grandissimo
imbarazzo e che le due donne non riuscivano proprio a
nascondere nei riguardi del galantuomo.
Era l’unico a creare questo tipo di situazione.
Una soggezione dovuta non solo all’appartenenza di classe,
ma anche e soprattutto al fatto che era un uomo di grande
fascino, stile e gentilezza, ed in quel periodo ce n’erano
veramente pochi così.
Quando usciva, perché aveva finito di farsi prendere le misure,
alle due ragazze solitamente veniva fuori, dopo uno sguardo
ammiccante tra loro, ed una volta guardatolo allontanarsi,
un’enorme risata liberatoria.
Poi basta, di nuovo serie.
Dopotutto, per rispetto a Tuccio ed a Cecco che erano i loro
fidanzati, già erano andate oltre, considerando i limiti
consentiti dall’educazione che le donne dovevano dimostrare,

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anche e soprattutto nei comportamenti, all’epoca in cui
vivevano.
Il 1915, Mariele aveva 18 anni, ma era già fidanzata in casa da
uno con Cecco e non era di certo una novità in quei tempi,
anzi, la normalità era anche sposarsi prima dei 20 anni di età,
cosa che tra l’altro sarebbe successa, visto che a Mariele il bel
giovane, che era solo tre anni più grande di lei, piaceva
moltissimo.
Bruno, con occhi neri e baffi tipici del periodo.
Il ragazzo era anche un gran brav’uomo ed un eccellente
lavoratore.
Insieme ai fratelli Ginetto e Vincenzino, i fratelli Spadaro
avevano messo su una piccola impresa di famiglia.
Facevano i muratori e decoratori di tufo e legno.
Cecco si occupava della parte delle incisioni e delle
scalpellature, dei fregi, dei capitelli, dei timpani e delle lesene
di finestre, dei cornicioni marcapiano e dei balconi, mentre gli
altri due, delle opere murarie portanti vere e proprie.
All’inizio del novecento ogni palazzo aveva un suo perché ed
il decoratore scalpellino non poteva mancare, in una equipe
che costruiva case o chiese come quella loro.
Nei lavori artistici di scultura, il ragazzo era veramente
portato. E con il legno era capace di creare oggetti realmente
ben fatti, a volte veri e propri capolavori artistici.
Ma purtroppo le cose per il giovane si stavano notevolmente
complicando.
Era il 20 giugno del 1915, il postino a casa dei fratelli
Spadaro, cercava Francesco.
“Potete dare a me se volete.”
Disse la donna davanti alla porta, con lo sguardo un po’
disorientato nel vedere due gendarmi che accompagnavano il
signore con la lettera in mano.
“No signora, è strettamente personale e va consegnata al
diretto interessato.”
Erano quasi le tre del pomeriggio, Cecco faceva un pisolino
pomeridiano di mezzora al massimo e ritornava a lavoro.

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La mamma non voleva disturbarlo, ma pare che questa volta
ne sarebbe stata costretta.
Tra l’altro quel giorno, il giovane, chissà perché non riusciva
proprio a prender sonno.
Sentito il chiacchierio poco fuori casa sua, tra la mamma e
quegli uomini, si alzò in piedi e si recò subito sull’uscio fuori
dalla porta.
“Chi cercate?”
“Lei è Spadaro Francesco?”
“Si, sono io.” Rispose sicuro Cecco.
“Questa è la chiamata alle armi, ecco a voi, partite il 25
Giugno, da qui a quel giorno rendetevi disponibile a qualsiasi
cosa ed a qualsiasi ora, perché siete già da subito un soldato,
da quando prendete in mano questa lettera.”
La mano impietrita del ragazzo, che era il più pacifico e
religioso della famiglia, mollò la carta lasciandola cadere sui
suoi piedi ancora in pantofole, sentita la frase del postino.
Non la lesse neanche. Tanto quelli gli avevano detto già il
peggio che potevano e dentro non ci poteva essere scritto di
meglio.
Entrando dentro casa, l’appoggiò sul mobile dell’ingresso e si
sedette al tavolo della cucina, subito dopo la porta a sinistra.
“Adesso chi lo dice a Mariele.”
Pensava il giovane con aria di sconfitta.
La Grande Guerra era iniziata a Luglio del 1914 e lui si era
convinto di essersela cavata, poiché giunti a fine giugno 1915
ed essendo state fatte le chiamate, quasi tutte, tra l’ultima
settimana di Aprile e l’ultima settimana di Maggio, in quella
fase della guerra che il giorno 22 di Maggio stesso, fu
chiamata, non a caso, “La grande mobilitazione.”
Questo, perché l’Italia era entrata in guerra soltanto il 24
Maggio 1915, in netto ritardo di un conflitto iniziato dagli
alleati, di cui faceva parte, già nel Luglio del 1914.
Il 30 giugno si doveva essere pronti per il primo vero assalto
all’Impero Austro-Ungarico, le cui forze erano appaiate lungo

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il fiume Isonzo, ma, per giunta con gravi perdite, non si era
riusciti a conquistare se non la sola postazione di frontiera.
Occorrevano più uomini per l’assalto, che sarebbe fallito e
provato più di una volta, per poter aprire le strade alla
conquista di Trieste e Gorizia.
Ecco quindi nuove chiamate al fronte.
Adesso Cecco doveva dirlo alla sua fidanzata.
Avevano già festeggiato il fatto che, secondo lui, se la fossero
cavata tutti e tre i fratelli dal non essere stati chiamati al fronte,
ed ecco invece la sorpresa. La cosa era seria.
Si mise una giacchetta e si recò immediatamente da Mariele,
doveva liberarsi di quel bruttissimo peso, la guerra lo aveva
coinvolto, ormai era tutto nelle mani di Dio, persino la sua
vita.
Arrivato a casa sua, la ragazza si accorse subito che qualcosa
non andava.
“Che c’è Cecchì?” Disse la donna vedendolo bianco e con gli
occhi rossi.
“Mi hanno chiamato al fronte Mariè, parto tra neanche una
settimana.”
I due si abbracciarono e scoppiarono in lacrime.
Era veramente una bruttissima notizia.
Cecco partì venerdì 25 giugno del 1915, soldato di leva solo
poco tempo prima, aveva a malapena imparato ad impugnare
un fucile ed aveva sparato soltanto due volte, tra l’altro
terrorizzato della cosa.
Lo prepararono prima per 3 giorni e poi il 30 Giugno, in prima
linea, al fronte contro l’Austria.
Il ragazzo era uno dei giovani più buoni del paesino, ma
servire la patria era obbligatorio e non avrebbe mai rischiato il
disonore della diserzione, nonostante la sua indole pacifista.
Nel carcere militare l’avrebbero trattato peggio che al fronte,
considerandolo un traditore della bandiera.
Bisognava farsi venire una buona idea per salvarsi la vita.
Ma in guerra tutti ne cercavano una.

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In questa guerra avrebbero partecipato 70 milioni di giovani in
tutto il mondo. Ne sarebbero morti quasi 9 milioni e sarebbero
stati uccisi anche 6 milioni di civili.
Il compito più crudele lo avrebbero svolto le epidemie, dovute
alle conseguenze di una guerra di tale sorta, che avrebbero poi
portato i morti alla drastica cifra di 65 milioni, rendendo il
conflitto uno dei disastri più crudeli che l’umanità avesse mai
subito.
L’Europa era spaccata tra Germania Austria e Ungheria,
avversari di Inghilterra, Francia e Italia. Ma anche gli Stati
Uniti, la Russia ed il Giappone erano presenti al conflitto.
Cecco, al paese, sembrava tutto fuori che un uomo violento.
Raccontava storie allegre, organizzava incontri per pregare
recitando il rosario tra amici e parenti, amava la banda e
quando c’era, non si perdeva mai un concerto.
Una volta la banda suonava in paese per la festa.
Il palco su cui si esibiva veniva chiamato cassa armonica.
Finita la festa, Cecco aveva visto una valigetta nera li vicino
ad un albero, nei pressi di dove era stata appena smontata la
cassa armonica, per essere subito trasferita nel pesino che
festeggiava la prossima festa.
Il ragazzo l’aveva afferrata per il manico nero. Sembrava
essere una vecchia valigetta di quelle che portano gli strumenti
musicali. Ma era chiusa con la chiavetta.
Non c’era nessuno, ormai il vecchio furgone degli orchestrali
era partito da più di tre ore.
Il giovane andò a casa e con uno scalpello forzò la serratura
della valigia per vedere cosa ci fosse dentro.
Era un vecchio ed ossidato flicorno, che aveva almeno una
ventina d’anni.
Cecco, non solo fu tentato, ma non poté fare a meno di tenerlo
per sé, e qualche volta, tiratolo fuori dalla sua consumata
custodia nera, amava suonarci delle note, tanto che aveva
anche imparato ad intonare qualche piccola musichetta, a dire
il vero non molto fedele all’originale, ma che ci andava
abbastanza vicino.

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Qualcuno dice che nulla accade per caso, bene questo
qualcuno questa volta pare abbia proprio ragione.
Il giovanotto non poteva immaginarlo, ma quella valigetta un
giorno gli avrebbe salvato la vita.
Tornando qui al fronte, non c’era davvero nulla di allegro.
Era il 30 giugno del 1915 e il primo assalto dei soldati italiani
era andato male, adesso toccava al secondo plotone di cui
Cecco faceva parte.
Gli austriaci ci stavano massacrando, in prima linea quasi tutti
morti e l’intero plotone dimezzato.
Il Capitano Tersicore urlava a tutti quanti come un matto:
“Ritirata! Ritirata! Siamo senza ritirata! Siamo senza carica e
senza ritirata!
Hanno sparato al trombettiere!
C’è qualcuno che suona qui!?
Presto! Serve un trombettiere!”
Cecco ci pensò un attimo, alzò timidamente la mano e con
voce soffocata e balbettante disse:
“Io, Capitano Tersicore, ma, ma, a dire il vero non, non suono
molto bene!”
Il Capitano non ascoltò nemmeno la fine della risposta, gli
mise intorno al collo la cintura con la tromba appesa e rispose
con uno strano sorriso:
“Nemmeno quell’altro era un granché, presto ragazzo, mettiti
dietro le linee e fatti coprire. Senza carica e senza ritirata
possono annientarci molto più facilmente, come faccio a
dirigere i miei uomini, ti prego non farti ammazzare anche tu e
voi tre intorno, stategli incollati dovunque sia e proteggetelo,
non ne abbiamo un altro! Avete capito!?!”
Il ragazzo era stato nominato trombettiere del plotone, con
scorta personale, così su due piedi e quel posto gli avrebbe
salvato la vita per tutta la durata della sua guerra, solo che
questo non poté evitare quella bomba al gas nervino presa
quella indimenticabile notte, purtroppo e clamorosamente,
verso la fine della grande guerra.

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Fortunatamente lo colpì non si sa come senza ammazzarlo,
insieme ai suoi compagni di plotone che erano con lui nella
trincea, compresi Russo, De Simone e Marinaro, che erano i
soldati con l’ordine di proteggerlo e che morirono tutti e tre
facendo del loro meglio per rispettare gli ordini.
Mezza squadra che era laggiù morì sul colpo, quella notte del
25 Luglio del 1917.
Non ne uscì però illeso Cecchino, l’ordigno gli provocò un
gravissimo enfisema polmonare che comunque gli avrebbe
cambiato il resto della vita e per pura fortuna non
togliendogliela.
Si ritrovò in ospedale militare e non sapeva nemmeno come ci
fosse arrivato.
Era stato 5 giorni senza parlare e senza mangiare con gli occhi
sbarrati nel vuoto.
Il sesto giorno, una grassa, buona e laboriosa suora, un po’
un’istituzione di quel ricovero militare, porgendogli un
bicchiere di latte caldo, gli sussurrò:
“Spadaro se lo bevi starai meglio e potrai tornare a casa tua,
tanto tu non combatti più, di questo puoi starne certo!”
Il giovane non era così malmesso da non capire che se ce
l’avesse fatta, avrebbe potuto tornare a casa da Mariele.
Ce la fece, mise tutto sé stesso e dopo sette mesi di
convalescenza, riuscì a riprendersi.
Il 23 Febbraio del 1918, dopo più di 2 anni e mezzo di grande
guerra, Spadaro Francesco, detto Cecco, 24 anni, trombettiere
del 239° reggimento fanteria, a quasi 8 mesi dalla fine della
guerra, tornò a Lucera, per la gioia della sua famiglia e della
sua fidanzata Mariele Battista, ancora vivo e con una grande e
salvifica passione per la tromba.
La corriera era appena arrivata da Alessandria e Mariele era lì
che l’attendeva da più di un’ora nonostante non portasse che
solo 5 minuti di ritardo.
Cecco scese con la valigia legata con gli spaghi ed una faccia
sciupata e provata, come se avesse visto uno spettro dentro
quella corriera.

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In realtà, lo spettro lo aveva visto prima di salire su quel
mezzo, che avrebbe dovuto portarlo invece nuovamente alla
normalità, ma che in effetti non ebbe mai modo di ritrovare.
“Cecchì come stai?” Disse la donna abbracciandolo.
Mariele, emozionata e sconvolta, alla visione del suo
fidanzato, fece la domanda più scontata che si potesse porre in
quel momento, non solo per l’oggetto, ma anche e soprattutto
perché, si vedeva e si capiva perfettamente che l’uomo non
stava affatto bene ed avrebbe avuto bisogno di molto tempo
per ritornare sé stesso.
La guerra è così, è come la morte, chi non la vive direttamente
non lo sa di cosa sta parlando.
Ti attraversa l’anima e te la macchia di paura. E quello sporco,
che intinge chiunque ti si avvicini, non si lava mai più, se non
ricevendo tutto l’amore del mondo, quello stesso mondo da cui
si è sentiti essere abbandonati.
Ma paradossalmente e cinicamente, ti regala quelle sensazioni
uniche e rare che ti consentono realmente di capire quanto tu
sia innamorato della vita.
Lì, ritrovi la voglia di continuare, la voglia di farcela, di
salvarti, di tornare a casa vivo, di pregare il Signore di aiutarti
a sopravvivere.
Anche se fino a pochi giorni prima eri ateo, lì diventi un
fervido credente.
E’ un trauma la guerra, un trauma paragonabile ad un
elettroshock.
C’è chi vuole salvarsi e chi capisce che non è il caso di
continuare, se gli uomini sono quelli visti là, e spera persino di
non farcela, trovandosi in una fase acuta di depressione,
perché ha perso tutti i compagni sotto i propri occhi e non si
sente meritevole di essere sopravvissuto.
“Sto bene Mariè, tu come mi vedi?”
Disse Cecchino, sorridendo sotto i baffi mozzicati, che non
aveva perso il suo tipico senso dell’umorismo.
Era evidente ad entrambe che non fosse così.

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Mariele, era un pezzo di donna, forzuta e robusta, lo prese
sotto braccio e lentamente andarono a casa.
La ragazza non gli chiese mai cosa avesse visto in quei tre
lunghi anni e Cecco non gliene parlò mai. Ma si capiva che il
solo ricordare, semplicemente parlando di argomenti che
riconducevano a quegli attimi, gli portava un’ombra sul viso
che l’uomo prima non aveva mai avuto.
Quell’ombra che si chiamava Russo Arcangelo, De Simone
Mario e Marinaro Giuseppe.
Non si sposarono più, presto come avrebbero voluto, i due
giovani promessi.
Cecco non riusciva a lavorare come prima, anche se i fratelli
non facevano altro che coprirlo ed assecondarlo, quando non si
presentava a lavoro o quando all’improvviso decideva di
andarsene a casa ancora a metà giornata.
Gli volevano un bene dell’anima, e poi si ricordavano di
quanto fosse diligente e premuroso a svolgere i suoi compiti
solo 3 anni prima.
Aveva rimandato ancora anche il suo matrimonio e Mariele
non gli aveva detto nulla, perché aveva capito che in guerra
qualcosa era andata storta.
“Si riprende vedrai.” Diceva Vincenzino a Ginetto.
Ma c’era qualcosa da sapere, che il ragazzo non voleva
rivelare ai suoi fratelli.
Era il luglio del 1923, erano sull’impalcatura, stavano
lavorando ad una chiesa del paese del diciottesimo secolo, che
non era mai stata completata ed era stato affidato a loro il
compito.
Cecco sembrava non reggersi in piedi, barcollava sulle fasce di
legno dei soppalchi a 20 metri di altezza, come se stesse
ubriaco.
Vincenzino lo vide da sotto al ponteggio, mentre stava
prendendo dei marmi da portare dentro la chiesa.
Di corsa lasciò tutto, si recò sopra il ponteggio e senza essere
troppo sfacciato, con un tono basso di voce, per evitare
situazioni di panico e di spavento, disse al fratello:

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“Cecchì, tutto bene? Vuoi una mano? Aspetta che ti aiuto a
scendere.”
Il ragazzo si lasciò aiutare dal fratello senza troppi
complimenti o domande.
Aveva un’aria spaventata e disorientata.
Scesero giù e Vincenzino lo guardava molto preoccupato,
senza però pronunciare alcuna parola.
Allora fu Cecco a parlare:
“Vincè, io credevo che ve n’eravate accorti, ma sai, io non sto
bene da tempo, ed ora la cosa sta peggiorando sempre di più.
In guerra ho avuto un problema grave, ho inalato del gas,
buttatoci addosso con una bomba in una trincea, e per un po’
di secondi, il cuore non ha pompato come doveva.
I medici laggiù dissero che mi sarebbe passato e che molto
probabilmente sarei tornato come prima, ma la morsa al cuore
che mi fa perdere i sensi e l’equilibrio, soprattutto quando
sono in situazioni di pericolo o in altezza, quella non mi è
passata più.
Se continuo a fare questo lavoro, anziché scolpirlo, prima o
poi ci cado da un cornicione.”
Vincenzo lo guardò sorridendo e subito disse:
“Cecchì, tu sei il padrone, se ritieni sia importante per la tua
vita, non devi neppure dirlo, da domani non venire più.
Sarà una grossa assenza, ma a questo punto preferisco tenermi
vivo il fratello, piuttosto che il lavoro.”
“Credo proprio che andrà così, Vincenzì.”
Rispose Cecco.
I due si abbracciarono e si recarono subito a dirlo a Luigi.
Tornato a casa, l’uomo lo disse anche a sua madre, che subito
gli suggerì di chiedere consiglio a Mariele, che veniva vista
dalla donna con occhi tutt’altro che di una suocera, anzi, come
una ragazza posata e molto saggia, che avrebbe saputo
consigliare suo figlio anche meglio di lei stessa.
Non era semplice nel 1923, a 29 anni, rimanere senza lavoro.
E poi, il ragazzo sapeva fare solo il muratore scalpellino, ma
aveva tirato avanti già per 5 anni rischiando di cadere e

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nessuno sa quante volte si era trovato seduto sulle tavole delle
impalcature senza nemmeno sapere dove fosse, in stato
confusionario.
Il lavoro è importante Cecchì, si ripeteva il giovane tra sé, ma
senza la vita anche il lavoro più prestigioso non serve più a
nulla.
Mentre pensava a questo, era quasi arrivato a casa di Mariele,
che stava come al solito, un pò cucendo e un pò badando alla
casa, tra le varie faccende domestiche sempre da fare.
Da sotto agli occhiali da vista, la ragazza guardò il suo
fidanzato arrivare a passo veloce, era inconfondibile la sua
camminata e da quando era tornato dal fronte era diventata
ancora più caratteristica, tanto che alla ragazza scappava
sempre un mezzo sorriso di approvazione che la faceva essere
orgogliosa della sua scelta.
Lui arrivato lì davanti la guardò, e senza nemmeno dirle
buongiorno le disse:
“Mariè, ho detto ai fratelli che lascio l’impresa.”
Mariele conosceva il ragazzo meglio di chiunque altro ed
aveva già immaginato da tempo che questo momento prima o
poi sarebbe arrivato.
Lo guardò con aria molto dispiaciuta, ma allo stesso tempo
con una smorfia che trasmetteva comprensione:
“Perché Ce?”
“Stamattina stavo cadendo dal ponteggio e Vincenzino mi ha
visto, si è spaventato a morte ed anche io a dire il vero.”
Rispose l’uomo con aria sconvolta.
“E le altre volte?”
Disse la donna, che in un unico scambio di frasi aveva già
capito veramente tutto.
“Le altre volte?”
Ribadì aggiungendo Cecchino con un sorriso amaro:
“E tu che ne sai delle altre volte?”
E Mariele:
“Io, lo so, lo so. E le altre volte?”
Ripeté ancora la donna.

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“Le altre volte Mariè, non mi ha visto nessuno.”
“Ecco, lo sapevo!”
Continuò la donna, chiudendo gli occhi, in chiaro segno di
disapprovazione.
“Ti prego Cecchì, non andarci più su quei ponti. Un’altra cosa
si trova da fare, vedrai.”
Non era di certo il massimo, ormai il giovane aveva un’età
matura sia per sposarsi che per iniziare un nuovo lavoro.
E criticamente ora gli mancavano entrambi le cose.
Ventinove anni nel 1923 erano tanti per essere in tali
condizioni.
Ma una cosa era certa, Mariele non l’avrebbe mai
abbandonato.
Fu allora che gli disse:
“Sai una cosa Ce, facciamo il contrario noi, invece di
abbatterci, festeggiamo, e sai che si fa?”
“Che si fa?” Disse l’uomo.
“Ci sposiamo!” Chiuse Mariele.
Francesco Spadaro, detto Cecco e Mariele Battista, si unirono
in matrimonio martedì 22 gennaio 1924.
Francesco non lavorava più con i fratelli da ormai più di 6
mesi e nel frattempo aveva trovato solo qualche piccolo
lavoretto in cantieri che avevano bisogno di manovali per
l’impasto della calce o per dare qualche mano d’intonaco.
Spesso si trattava di tombe cimiteriali o di piccoli interrati da
risanare.
Cecco nel suo lavoro era veramente bravo, ma da terra non si
poteva fare altro.
Quel mestiere si faceva in alto e lui in alto non ci sarebbe
tornato più.
Mariele, dal suo canto, era una donna che dava una grossa
mano anche nel bilancio della famiglia. Anzi, ormai era lei che
aveva il maggior peso economico sullo stesso.
Di questo, il giovane era molto dispiaciuto.
Così tanto che aveva una grandissima stima di sua moglie.

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Non che non l’avesse anche prima, ma ora sicuramente aveva
imparato a capire che era un vero pilastro per la sua esistenza.
La ragazza lo sapeva ed a dire il vero era evidente lo facesse
molto volentieri, perché amava veramente quel giovane.
Andarono ad abitare nella stessa stradina dove si erano
conosciuti e cioè dove abitava Mariele con la sua famiglia
quando era ancora signorina, nei pressi della nuova cattedrale.
I loro vicini gli portavano un grandissimo rispetto e gli
volevano tutti bene. Li avevano visti crescere insieme.
A quei tempi era solito starsene seduti alle sedie di legno
impagliate, fuori dalla porta di casa, specie nelle calde serate
d’estate ed il vicinato aveva un ruolo molto importante in fatto
di trascorrere una serata gradevole ed in compagnia di qualche
esilarante chiacchiera.
Annina era poco più che una bambina, abitava accanto a casa
di Mariele e Cecco, con la sua famiglia ed era sempre presente
a questo tipo di intrattenimento.
La ragazzina molto vispa, ma altrettanto sensibile, era
affezionatissima a Mariele e Michela.
Era purtroppo una bambina con uno stato di salute molto
delicato e pertanto trascorreva molto tempo a casa di Mariele
per chiacchierare con lei e Michela e per guardarle cucire.
Era appassionata di aghi, fili, gomitoli di lana, seta e cotoni e
di tutto ciò che riguardasse il cucito, che amava maneggiare
con maestranza e padronanza, quando gli si chiedeva una
mano, che lei, a dire il vero, dava molto volentieri.
Da grande avrebbe messo su una bottega, proprio nel
commercio di questi oggetti, che gli avrebbe dato da vivere
con la sua famiglia, che sarebbe stata costretta a portare avanti
dopo la morte del padre, che sarebbe scomparso in modo
immaturo in età ancora giovane, per un infarto.
La sua famiglia era insolita per essere quella di un paesino di
provincia del genere.
Suo padre, uomo di larghe vedute, aveva messo su un
cinematografo e per un pelo non l’aveva fatto diventare una
miniera, se non fosse stato per un immeritato ed inaspettato

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fallimento, dovuto ad un grave errore finanziario, che per
un’ingenuità aggravata da svariati cavilli burocratici, gli costò
grossi guai legali per i quali dovette chiudere bottega.
Nell’altro sottano confinate, abitava Totonno il cavallaro che
era uno degli stallieri e cocchieri del Conte Augusto.
Cecco era simpatico e benvoluto da ognuno.
La sera, verso le nove, si riunivano tutti da loro, appena fuori
dalla casa, nella stradina.
Raccontavano storie e bevevano un bicchiere di vino insieme.
A volte, se ce n’era bisogno, per la salute di un conoscente
ammalato o per benedire la nascita di un bimbo del vicinato, si
recitava il Santo Rosario e subito dopo ci si alternava con
racconti e fatterelli che facevano passare il tempo, che
altrimenti sarebbe trascorso con la sola dura fatica del lavoro,
nell’epoca in cui non esistevano passatempi, ma solo grossi e
duri sacrifici.
A Cecco però, c’era un’altra cosa che faceva dispiacere, oltre
al fatto di non aver ancora trovato un lavoro che facesse stare
più tranquilla la sua famiglia.
Nel 1925, Anna, la loro bambina, morì alla nascita per
malformazioni contratte durante lo sviluppo in grembo.
Nel 1927, nacque la seconda Anna, la più bella bambina del
paese.
Aveva uno stato di salute molto precario, era delicata come un
bicchiere di cristallo.
Dopo 2 anni e mezzo, trascorsi tra malattia ed ospedali, la
bimba passò ad altra vita, distruggendo definitivamente il
morale dei due giovani.
Cecco aveva un forte dubbio dentro di sé, uno di quei tormenti
che ti logorano l’anima.
Sapeva di non essere tornato indenne da quella maledetta
guerra.
Si, erano passati 9 anni, ma quello che sentiva in cuor suo era
chiaro. C’era qualcosa che non andava più bene in lui.
Di questo, si dava tutta la colpa per la morte prematura delle
sue bambine.

69
Era convinto di non essere più adatto ad avere figli per i danni
fisici riportati al fronte e che li avesse trasmessi alle sue figlie
col suo genoma ormai compromesso dal gas della bomba.
Non l’aveva mai detto chiaramente a Mariele, che non era di
certo una donna a cui andavano dette le cose, perché tanto
prima o poi le capiva da sé.
Aveva sempre cercato di coprirlo la ragazza. Ed anche se
questa era una cosa che la struggeva di dolore, preferiva
credere che non fosse così.
Era stata l’impietosa fatalità ad uccidere le piccole, perché il
marito era un uomo indiscutibilmente sano ed abile.
Ma al di là delle sue convinzioni, forse non era proprio così.
A quei tempi non si facevano dei grandi controlli per la salute
o lo stato di fertilità.
Si viveva e se ti andava male si moriva.
Non ci badarono più, anzi, quando a Mariele faceva male la
pancia, non ci pensava due volte, non passava nemmeno dal
dottore, prendeva una purga ed andava a letto.
Lentamente ed a suono di terribili batoste, i giovani
diventavano sempre più maturi, ma qualcosa di
straordinariamente bello stava succedendo che avrebbe
migliorato di molto la loro stabilità.
Nell’agosto del 1931, Totonno il cocchiere fu chiamato dal
Conte Augusto per conferire.
L’uomo era umile e di poca parola, ma il conte lo stimava
molto, perché era diligente e preciso nel lavoro, sia nel rispetto
dei tempi di viaggio che nella cura dei cavalli e delle stalle.
“Antonio.” Disse il conte, quando lo ebbe di fronte a sé, con
una faccia tutt’altro che buona.
“Siamo rimasti senza maggiordomo, perché Paolo ed Anna
Chiara mi hanno detto che tornano a Taranto.
Il papà di Anna Chiara è venuto a mancare ed ha lasciato 8
versure di terreno che adesso non si sa a chi affidare.
Il povero Paolo, anche se non è del mestiere, non ha potuto
sottrarsi.

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Tornano dal funerale sabato mattina e poi vanno via, ed oggi è
già martedì ed io venerdì notte parto a Roma, senza
maggiordomi alla Villa.
Certo la Villa è a prova di ogni vigliacca ladroneria, ma lo sai
quanto sia rischioso e quanto non mi vada questa faccenda.
Ce l’hai tu un giovane serio da suggerirmi?”
“Tu conosci tutti al paese e la gente ti rispetta e ti stima, sono
certo che puoi aiutarmi.”
A Totonno venne subito in mente di quante volte aveva
pensato ai poveri Cecco e Mariele e quante volte si era
dispiaciuto di quello che gli era successo.
Non si fece nemmeno pregare e rispose al Conte Augusto:
“Si, Signor Conte, i giovani li conosco, sono una coppia di
bravi ragazzi. Lei fa la camiciaia ed è anche brava, si chiama
Mariele, e lui Francesco, faceva il muratore scalpellino in
un’impresa di famiglia, ma ha dovuto lasciare per motivi di
salute ed ora fa piccoli lavoretti di ristrutturazione, ma non è
grande roba, quindi credo che dovrebbe accettare.
La ragazza mi ha chiesto tante volte se potevo mettere una
buona parola per il giovane, ma questa volta credo proprio sia
arrivato il momento di farlo, lo merita è un brav’uomo e lei, lei
l’ho vista nascere.
Signor Conte, chiamateli, possono andare bene per il compito
richiesto.”
Il Conte Augusto sorridendo, lo guardò e disse:
“Certo Antonio che li chiamo, guarda la mia camicia.”
Totonno non riusciva a capire cosa volesse dire il conte e
guardava curiosamente la camicia cercandone il motivo.
“Ma no Antonio, non ha nulla, la camicia è perfetta.”
L’uomo continuava a guardarlo in modo curiosamente buffo.
“Voglio dire, questa me l’ha fatta Mariele.”
“Allora la conoscete Signor Conte?” Ribadì Totonno.
“Si, è la sarta da cui ogni tanto faccio fare le mie più belle
camice.”
“Io abito vicino a casa loro, se volete posso riferire.”
“Falli venire domani mattina alle nove.

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Se dicono sì, venerdì mattina facciamo il trasloco ed io parto a
Roma tranquillo.”
“Certo Signor Conte, riferisco subito, intendo appena sarò
arrivato a casa.”
Totonno, appena giunto a casa, non fece neppure in tempo a
lasciare la roba dentro e riuscire. Vedendo Mariele che
chiudeva una tendina della porta di ingresso, la chiamò
immediatamente:
“Marièlì!”
Come usava chiamarla solitamente lui sin da bambina.
“ Uhè Totò che c’è?”
“C’è una bella novità!”
“Bene che bello! E quale? Annamaria è di nuovo in attesa?”
“Eh no, per me può fermarsi a sette!”
Rispose l’uomo con un mezzo sorriso.
“E per te la novità, non è per me.”
“Uhè tu! Non farmi stare sulle spine, avanti sputa l’osso!”
“Stamattina sono stato chiamato alla Villa ed il Conte Augusto
mi ha chiesto una gentilezza, mi ha domandato se conoscevo
due bravi ragazzi che potevano prendere il posto di Paolo ed
Anna Chiara a fare i guardiani alla Tenuta, perché i due
ragazzi hanno avuto un grande lutto e ritornano a Taranto.”
“E tu che hai detto Totò?”
“E che dovevo dire? Si! Ho detto! Non siete forse tu e Cecco
ancora due bravi ragazzi?”
La donna non rispose nemmeno.
Gli sorrise, come faceva quando da bambina la prendeva in
braccio e la faceva saltare in alto e lo abbracciò come si fa solo
con un padre.
Totonno, per quanto potesse, gli spiegò tutto ciò che c’era da
sapere, riguardo alle condizioni in cui erano stati accolti dai
conti i precedenti giovani e gli disse che era intenzione del
Conte Augusto incontrarli l’indomani mattina alle nove.
Appena arrivato Cecco, Mariele gli disse della bella notizia.
L’indomani sarebbero andati dal Conte Augusto alle nove in
punto, per dirgli di sì.

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Forse la vita dei due giovani stava avendo una svolta positiva.
Andarono dal conte e dopo alcune brevissime domande su
cose che c’entravano poco e nulla con il lavoro che gli veniva
proposto, tranne che per il chiarimento sul conveniente
trattamento economico, che prevedeva naturalmente anche un
comodissimo alloggio al semi interrato nel pianerottolo
accanto all’ingresso ai piani della Villa, il gentiluomo guardò
dritto negli occhi la ragazza e poi subito dopo anche il marito e
disse:
“Allora Signor Cecco Spadaro, che lavoro fate voi adesso?”
“Signor conte, mi arrangio, faccio il muratore.”
“Ecco, un muratore ci voleva, proprio come me, un perfetto e
libero muratore.”
Il conte esclamò la frase, tra la sua espressione molto divertita
e la faccia di Cecco invece pallida e sbigottita, che non aveva
affatto capito la suonata.
“Non vi preoccupate Cecco, è tutto apposto, è solo la
farneticante ironia di un vecchio e solitario aristocratico di
borgata.
Portate tutte le vostre cose qui alla Villa, al massimo entro
giovedì pomeriggio.”
Certo, la richiesta aveva delle aspettative molto alte, visti i
tempi molto risicati, si trattava pur sempre di un trasloco, ma
era molto alto anche il valore della proposta offerta loro,
quindi si poteva fare. Si fece, anche con l’aiuto dei carri di
Totonno.
Il 12 Agosto del 1931 i giovani divennero i maggiordomi di
Villa Sarti de Piavonelli ed andarono a vivere nella tenuta più
prestigiosa del luogo ed in una delle migliori della Daunia.
La vita scorreva molto bene adesso.
Il Conte Augusto era molto affezionato a Cecco, che era un
ottimo guardiano e portiere, per la grande onestà e nobiltà
d’animo, per la precisione nei compiti da svolgere a servizio
della aristocratica famiglia ed anche per la forma perfetta in
cui si presentava.

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Sempre con la sua divisa ben stirata, con i bottoni lucidi e con
il cappello a visiera nera splendente, baffi pettinati e sempre in
ordine, come d’altronde tutto il resto.
Mariele era molto timida nei confronti del conte e spesso
ricordava le risate ammiccanti con Michela, fatte quando
Augusto andava a provare le camicie a casa loro ed anzi si
chiedeva se gli avrebbe ancora chiesto di fargliele le camicie.
Passarono anni in quella bella Villa, come se fosse la loro vera
casa e forse in realtà soltanto un po’ la sentivano essere.
Il conte passava sempre da Mariele per chiedere del piccolo
Conte Gaetano, che era il suo bambino e che sembrava
considerare la donna una seconda mamma, perché spesso se ne
occupava, per via degli impegni romani e napoletani della
contessa madre, che le impedivano di svolgere a pieno il ruolo
di educatrice.
Dopotutto tra i nobili gli affari non possono passare in secondo
piano a nessuna cosa e la nobildonna era pur sempre la
Contessa Luigia Sammaria dei Principi di Valletta.
Al Conte Augusto la cosa comunque andava bene. A lui
piaceva il modo di fare di Mariele e poteva essere una buona
interazione per l’educazione e la crescita del figlio Gaetano.
Questa intesa era molto evidente tra i due, che si
compiacevano della cosa.
Poi, era pur sempre per il Conte Augusto una buona scusa per
vedere un’amorevole donna, cosa che a lui, in fine, faceva
veramente piacere. Tra l’altro, senza dover per forza avere la
scusa di una camicia.
La Contessa Luigia era simile ad un uomo sotto molti punti di
vista.
Non aveva tempo per allevare suo figlio. Questo ad Augusto
dispiaceva molto, tanto che ormai guardava Mariele come se
volesse che fosse Luigia a comportarsi così con il suo bambino
e Gaetano forse se ne stava affezionando molto, come
giustamente doveva essere.
Spesso Mariele, portava la piccola Annina con se a casa loro a
Villa de Piavonelli e la bambina si divertiva a sbirciare tutte le

74
cose ed ogni minimo particolare, comprese le visite che il
Conte Augusto faceva a Mariele per parlare del figlio Gaetano,
che aveva la sua stessa età e quindi i bambini approfittavano
per uscire fuori in giardino a giocare insieme, lasciando soli i
due nei loro discorsi da adulti e Gaetano finalmente poteva
avere una amichetta con cui giocare nel suo immenso ma
disanimato giardino.
Questa era una delle cose per cui adorava Mariele. Gli portava
anche amichette di giochi e non lo faceva mai sentire più
grande di quello che era. Un ometto, ma pur sempre un
bambino.
A Mariele, il momento in cui si parlava del bambino sembrava
essere sempre di più quello che gli mancava con Cecco.
Passavano gli anni ed i due avevano un rapporto sempre più
complice ed armonioso che si incontrava nel crescere il
piccolo Conte Gaetano.
Era una calda domenica pomeriggio del 18 settembre 1938,
erano ormai trascorsi 7 anni dal loro arrivo alla Villa.
Il piccolo conte era giù con Mariele che gli stava preparando
dei biscotti, al forno in pietra nell’angolo cottura, appena
entrati sulla destra, accanto agli scalini.
Il giorno dopo sarebbe iniziata la scuola.
Gaetano doveva andare in terza elementare e come al solito
avrebbe fatto problemi come tutti gli anni, perché odiava
andare a scuola, anche se non odiava affatto imparare.
Mariele, con grande comprensione e sensibilità, lo aveva
convinto a non prenderla così e ad essere paziente. Aveva
usato, come al solito, parole sue ed i suoi splendidi modi, che
conquistavano il bambino, tanto che era riuscita a farsi
promettere che l’indomani sarebbe andato a scuola addirittura
col sorriso.
Il conte Augusto arrivò e si fermò un attimo come solito a casa
della donna per prendere suo il figlio.
Entrando vide il bimbo accanto alla donna:
“Buonasera Mariele, come va? Questo giovanotto ha ancora il
broncio per via dell’inizio della scuola di domani, vero?”

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Al che il bambino, in modo del tutto sorprendente, disse con
un grande sorriso sulla bocca:
“No papà, vi sbagliate, domani ci vado col sorriso a scuola,
dopotutto mi piace, non è poi così tragico.”
“Ahh!”
Disse Augusto con aria sorpresa.
“E da quando?”
“Da domani.” Rispose Gaetano, guardando Mariele ed
ammiccandole.
“Ma che incantesimo dei tuoi gli hai fatto?”
Disse il conte a Mariele, con aria tra il soddisfatto e
l’invidioso.
Intanto, afferrò il figlio per la mano e lo portò di sopra, per
riscendere dalla donna dopo qualche minuto.
“Ah Signor Conte, ancora voi.”
“Si Mariele, volevo ringraziarvi per tutto.”
“Di cosa, Signor Conte?”
“Di tutto quello che fate per Gaetano da quando siete qui con
noi.”
Si avvicinò e le afferrò le mani con un gesto ed uno sguardo
profondo ed allo stesso tempo di grande riconoscenza.
Mariele disse senza esitare, con sguardo commosso e quasi in
lacrime:
“Per me, Conte Augusto, Gaetano è come un figlio, il figlio
che non ho mai avuto e che ormai da anni ho anche smesso di
sperare di avere. Vi chiedo perdono se mi sono permessa di
dire una cosa così personale ed intima, capirei se ora mi
biasimasse o mi rimproverasse per essere stata così
indiscreta.”
Intanto, Augusto non disse parola, ma dall’espressione non
traspariva alcuna aria di rimprovero o biasimo verso la donna,
che anzi, aveva ancora portato più vicino a sé.
I due si guardarono con molta intensità senza più parlare.
In un istante alla donna passarono in mente mille pensieri.
Gratitudine, stima, rispetto, limpidezza, gentilezza,
correttezza, fierezza, galanteria, fascino.

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Ma solo uno ebbe la meglio sugli altri. Avvicinate le labbra al
suo viso, l’uomo le diede un inaspettato bacio.
Il giorno dopo, il piccolo Gaetano passò da Mariele a bere un
bicchiere di latte caldo con dei biscotti fatti da lei ed andò a
scuola quasi contento.
Anche Mariele era contenta.
Le cose procedevano con grande armonia e tranquillità.
Cecco amava quel lavoro e Mariele amava quella vita.
Si sentivano rispettati e stimati da tutti.
Nel mese di ottobre, era di mercoledì sera, e la donna disse a
Cecco che aveva un fortissimo mal di pancia e come al solito
avrebbe preso la purga.
Cecco ebbe come un presentimento.
“No Mariele, non prenderla.”
“E perché non dovrei, Cecchì? Lo faccio sempre, quando ho
questo mal di pancia?’
“Perché domani andiamo dal medico, ti prego fa come ti
dico.”
Cecco aveva uno strano sentore, qualcosa che ti parte
dall’intuito e non dalla ragione.
Il giorno dopo andarono in paese dal medico, che visitò
Mariele.
Era successo qualcosa di inspiegabile per l’uomo e la donna,
dopo 11 anni che non succedeva proprio davvero più nulla,
oggi era diverso, era cambiato tutto.
Il miracolo era avvenuto.
Mariele a 41 anni aspettava un bambino.
I giovani erano così contenti che non credevano ai loro occhi.
La donna non aveva nemmeno le parole per descrivere la gioia
che stava provando e lo leggeva anche nel viso del suo uomo.
Usciti dallo studio medico, guardò in alto e fece quasi per
abbracciare nostro Signore sopra di lei con le braccia levate al
cielo.
Cecco lo disse a tutti immediatamente, era contento come un
ragazzino con la bicicletta nuova, come non lo era mai stato in
vita sua.

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Lo disse a Totonno, agli altri cocchieri, al giardiniere, ai
contadini degli oliveti, ai vicini di casa, a chiunque lo
conoscesse.
Era proprio una bella notizia.
Arrivò presto anche all’orecchio del Conte Augusto.
Il venerdì mattina il conte si recò da Mariele per vederla di
persona, esprimere la sua gioia e congratularsi.
Mariele non disse nulla, era felicità vera, quella felicità
intangibile da qualsiasi ulteriore notizia o commento.
A maggio o a giugno sarebbe nata la terza Anna, oppure un
maschietto magari e lo avrebbero chiamato Andrea, come il
padre di Cecco.
Il 30 maggio del 1938, nacque Andrea Spadaro di Francesco,
di lunedì pomeriggio.
Questa volta sanissimo ed anche molto bello.
Era forte e chiaro in lei, come in qualsiasi madre.
Mariele non lo avrebbe detto mai a nessuno e non avrebbe mai
rinunciato a quel bimbo a qualsiasi prezzo.
Lei lo aveva sempre saputo sin dal primo istante.
Andrea, era figlio naturale del Conte Augusto Sarti de
Piavonelli.
Il Conte Augusto lo aveva percepito quando l’aveva guardata
negli occhi già quel venerdì mattina, ma non avrebbe mai
voluto sentirselo dire.
E Mariele saggiamente, non glielo aveva detto.
Si sa, i nobili non possono confondersi con i plebei.
Nemmeno per amore, figuriamoci in circostanze simili.
Lei lo aveva capito ed aveva taciuto.
Nessuna cosa questa volta doveva mettere a rischio la vita
della creatura che portava in grembo, che le aveva fatto
compiere un gesto che una donna come lei non avrebbe mai
neanche pensato di fare, se non per la voglia immensa di
concepirla.
Ormai era andata e nessuno mai avrebbe saputo nulla della
storia, per nessuna ragione al mondo.
Era il loro segreto.

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Il Conte Augusto sapeva che Mariele non avrebbe mai parlato.
Egli sapeva anche che la donna, di cui nutriva una grandissima
stima, plebea o non plebea, non gli era affatto indifferente.
Ma da quel giorno tra loro tutto cambiò, perché si scambiarono
lo sguardo solo per il saluto e quando era indispensabile.
Tuttavia, questo non impedì a Gaetano di passare molto del
suo tempo quotidiano ancora a casa di Mariele ed ora che c’era
pure Andrea, ogni giorno era una festa per il giovane conte.
Il Conte Gaetano amò il bimbo sin da quando lo vide per la
prima volta.
Pensare che provava a farlo camminare già da quando Andrea
aveva sette mesi e Mariele che glielo lasciava fare volentieri,
era un po’ titubante da tutta questa storia ed un po’
inspiegabilmente contenta.
A otto mesi era riuscito anche a fargli muovere i primi passi,
Gaetano.
Ed urlando aveva detto:
“Mariele, Mariele guarda! Cammina! Andrea cammina.”
Poi messolo a sedere sul tavolo lo aveva guardato, baciato
forte sulle guance paffute e gli aveva detto ingenuamente:
“Hai visto fratellino, ti ho fatto camminare.”
Mariele nel sentire tali parole era corsa via nell’altra stanza
perché non era riuscita a trattenere un’esplosione di pianto.
Quella cosa, detta da Gaetano solo in modo affettuoso e
simbolico, era invece la inimmaginabile e sacrosanta verità.
Andrea, crebbe in modo fantastico tra l’amore di tutti.
Sua madre, che lo adorava come una sorta di divinità
personificata, Cecco che gli avrebbe dato anche l’anima se
fosse servito, strappandosela con le sue stesse mani e Gaetano
che aveva avuto il fratellino che non gli aveva mai dato sua
madre, la Contessa Luigia.
Tutto cambiò improvvisamente soltanto quel 27 Aprile 1942,
quando Brunetta scappò dalla stalla.
Tuttavia i giovani non si erano mai persi d’animo.
Tanto era successo già di rimanere senza niente e partire da
zero.

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Ma ora per giunta, c’era persino Andrea a cui badare.
Tornarono alla casa vicino alla cattedrale, dove avevano
abitato fino al giorno prima del trasloco alla Villa dei Conti.
A dire il vero avevano messo da parte anche qualche quattrino,
perché in quel lavoro erano stati ben retribuiti.
Comprarono i muri in cui andarono ad abitare.
Un giorno Cecco, mentre faceva le pulizie della nuova casa,
ritrovò, tra la roba ancora da mettere a posto, la valigetta nera
col vecchio flicorno.
Lo tirò fuori e lo guardò con molta nostalgia.
Al che, gli passò in mente tutta la vita fino a quel momento.
Aveva quasi 50 anni, era di nuovo senza lavoro ed un
maggiordomo è difficile che trovi un altro conte.
Ma tutto questo sta volta non gli faceva affatto paura.
Sarà che ci aveva fatto l’abitudine o forse era l’età che l’aveva
fatto diventare più saggio ed equilibrato.
Certo è, sapeva che se la sarebbero cavata.
Andrea intanto, che era con lui, guardava lo strumento in
modo curioso e ne sembrava essere affascinato, mentre Cecco
lo impugnava con gli occhi lucidi di nostalgia e gratitudine.
Un attimo dopo, il bimbo lo prese dalle mani del padre,
portandoselo immediatamente alla bocca. E guardate un po’, al
primo colpo, a 4 anni, riuscì persino a fare una nota. E pensare
che Cecco ci aveva messo un giorno intero per riuscirci
quando lo aveva trovato.
Cecco sorrise e lo guardò sbalordito, poi disse:
“Andrè, domani ti porto dal maestro di musica papà. Tu devi
imparare a suonarlo questo, perché noi siamo qui anche per
merito suo.”
Andrea però, quando fu il momento, non scelse il flicorno.
Dopo anni di studio, di solfeggio e di pratica nell’arte del
suono, confermò di essere realmente talentuoso e divenne un
grande trombettista.
Così, diventò famoso.
Fu annoverato tra i più grandi trombettisti italiani di sempre.

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Il Conte Augusto, dal suo canto, lo seguiva con costanza, era
uno dei suoi più appassionati fan. Pensare che anche lui aveva
sempre voluto suonare la tromba sin da bambino. Che strana
coincidenza.
Tante volte andava a vederlo quando si esibiva in piazza, nelle
feste di paese e nei teatri, nascondendosi in un angolo. Si
godeva lo spettacolo di suo figlio, senza farlo sapere né vedere
a nessuno.
Era il suo orgoglio segreto, ma purtroppo era anche la sua più
grande vergogna.
Era Cecco che l’aveva allevato e meritava solo lui tutto
l’amore di unico, vero genitore, quale era. Ed il conte, sapeva
bene che l’uomo era un autentico, generoso ed amorevole
padre.
Per Augusto, tutto questo doveva essere solo il suo triste
segreto da non rivelare mai a nessuno.
La sua grande tragedia interiore che l’avrebbe logorato per
tutta l’esistenza.
Il figlio che aveva sempre desiderato e che più gli somigliava,
amato sia da lui che dal fratello Gaetano, di cui si era
deliberatamente privato.
Andrea non seppe mai di essere un Conte Sarti de Piavonelli.
Anche se ogni suo comportamento ed atteggiamento nei
confronti della vita, lo faceva essere sempre più somigliante a
suo padre naturale, trasparire nobile ed aristocratico d’animo e
con una sontuosa personalità, specie agli occhi di sua madre
che conosceva la verità.
Ancora in età molto giovane, sposò una delle donne più belle
di Lucera. Clarissa Marseglia.
Mariele gli aveva sempre consigliato di sposare una donna
meridionale e possibilmente anche del suo stesso paese, visto
che era sempre in giro per l’Italia, nelle sue lunghe, e riguardo
al fatto di trovar moglie, improduttive tournèe.
Andrea l’ascoltò, perché la mamma era la sua ombra.
Presente anche quando non c’era. Fu sempre la sua guida ed il
suo faro.

81
Ebbe quattro splendidi figli da quella donna, che tanto gli
ricordava sua madre Mariele, per la bontà d’animo, la
saggezza e per la bellezza, da lui reputata quasi celestiale.
Il più grande Riccardo, il secondo Ferdinando, la terza Romina
e l’ultimo dei quattro, Denis.
Tre di loro gli diedero 5 nipoti.
Nessuno della famiglia ereditò il talento artistico del padre,
anche se chiunque si relazionasse a loro capiva che in un modo
o nell’altro, questo talento lo possedevano nel genoma.
Bisognò aspettare la nascita della figlia maggiore di
Ferdinando, per constatare che la genetica, influenza e come,
sul futuro degli uomini.
La nipote di Andrea che si esibiva sin da bambina,
strappandogli continuamente lacrime di commozione, perché
tanto simile a lui stesso, divenne una grande ballerina,
conduttrice e showgirl italiana e presto anche internazionale.
Dalle doti formidabili e dalla caparbietà, tutta suo nonno,
chiamata come la nonna materna.
Clarissa Spadaro, in arte Clara Spada.
Ma adesso parleremo di Denis Spadaro o Sarti de Piavonelli se
si vuole, che nacque ultimo dei quattro figli di Andrea, quasi
per sbaglio.

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Capitolo quarto
HAC HIMACT TORAUS DI ASTEROPE E DENIS

Sono io, quello che parla.


Il viandante, narratore di questo strano racconto.
L’entità che vaga di corpo in corpo ad asciugare l’energia di
chi la ospita.
Hac Himact Toraus è il mio nome.
Le parole che si scrivono per ottenere questo suono dal vostro
linguaggio sono pressappoco queste.
Diversamente, sarebbe quasi impossibile per voi chiamarmi in
qualche altro modo.
La prima volta che Denis riuscì a sentirmi più chiaramente, fu
una mattina di Luglio, in quel posto di mare non lontano da
dove abitava ed aveva sempre vissuto.
Non che io non gli avessi già parlato prima, perché gli ho
parlato continuamente, da quando ha imparato ad usare e
capire il vostro linguaggio.
“Non deludermi ragazzo, non deludermi.”
Non facevo altro che ripetergli questo, da quando ero entrato a
far parte di lui. Ma poi mi chiedevo, di cosa avrebbe dovuto
deludermi?
Non ero mai riuscito a capirlo bene neppure io stesso.
Non posso chiedergli nulla più di quello che già mi dà.
La linfa vitale di cui mi nutro e si nutre ogni essere come me.

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Il contatto con lui non aveva mai prodotto dei veri fallimenti,
anzi, quella mattina avemmo le prove che era andata fin troppo
bene.
Era il 23 Luglio del 1993, il ragazzo aveva 21 anni.
Denis credeva fosse normale sentire qualcuno che ti parla
dentro e che tutti quanti avessero in effetti una loro voce
interiore, una specie di guida intuitiva.
Comunque, una cosa era certa, nessuno aveva voglia di
parlarne, perché non se ne faceva mai parola. Quindi non ne
parlava neanche lui.
Ma lui mi aveva sempre sentito, eccome se mi aveva sentito.
Aveva anche sognato alcune delle mie esperienze passate fatte
in altri corpi sul suo pianeta.
Si, perché noi altri abbiamo l’abitudine di mettere le radici nel
pianeta i cui esseri ci sono più affini, quando lo colonizziamo,
per tale ragione, qualcuno di noi lo sceglie e lo preferisce a
tutti gli altri, persino alla sua base madre.
Si, perché noi tutti abbiamo una base madre. E’ così che
chiamiamo il pianeta in cui nasciamo.
Nel migliore dei casi la base madre coincide con il nostro
pianeta affine, proprio come è successo per me.
Lo scelsero i miei genitori anunnaki, perché ne erano
particolarmente attratti e li mi diedero alla luce.
Si, perché anche noi nasciamo naturalmente, proprio come voi
e come qualsiasi essere vivente nell’Universo.
Denis, era al mare in compagnia delle sue amiche quel giorno.
Aveva visto da lontano alcune di loro sedersi a turno sulla
sabbia con le gambe conserte, di fronte ad una matura
stravagante signora, amica di una delle loro mamme, adagiata
goffamente su una sdraio, con un grosso cappello ed un
prendisole velato dai colori molto esotici, che pareva avere
degli strani poteri medianici che svelavano dei piccoli segreti
di ognuna su presunte vite passate.
Tornavano una alla volta dopo averle parlato e con aria turbata
dicevano che quella ci azzeccava, e pure parecchio.

84
Il ragazzo aveva tanto da volerle chiedere, ma non aveva mai
creduto a cose del genere. Comunque, preso da una forte
curiosità, decise di andarci.
“Ciao sono Denis, lei è la signora Giovanna vero? Piacere.”
“Si Denis, il piacere è il mio, avanti siediti, lo so che vuoi
sapere di te.”
“Veramente io non volevo sapere di me, volevo solo sapere di
cosa si tratta, semplice curiosità.”
“Avanti Denis non fare troppe storie, lascia che ti dica due
parole o ti devo chiamare Hac Him?”
Denis, sentito il mio nome pronunciato dalla signora
Giovanna, rimase un po’ disorientato, ma si sedette di fronte a
lei come richiesto e non disse più altro, se non qualche parola,
per rispondere alla misteriosa interlocutrice.
“Perché tu eri Hac Him nella vita che sto guardando, vero?
Il tuo corpo era di un giovane indiano della tribù dei Navajo,
tu eri un diplomatico della tua tribù e della tua gente, eri amico
dei bianchi e ti battevi per la pace e l’amicizia tra i vostri due
popoli.”
Raccontava la donna, con aria certa di chi sa di non sbagliare.
“Fu un tuo amico messicano a tradirti, un seminatore di guerra
e discordia, così ti sparò al viso e questa vita ti ha riportato
ancora il segno.”
A Denis, che aveva una strano segno, come una sorta di
vecchia cicatrice sotto l’occhio, sin dalla nascita, sarebbe
bastato soltanto quello, ed anche se Giovanna continuava a
parlare di altre vicende riguardanti quel Hac Him, lui aveva
già capito che, per dirla alla maniera indiana e per essere in
tema, bisognava levare le tende, ringraziare ed andare subito
via di li, perché la cosa lo aveva fin troppo turbato, da aver
bisogno di fare subito un bel bagno e dimenticare la breve ma
sconvolgente esperienza medianica.
“Camminavi in mezzo ai boschi nascondendoti abilmente tra i
tronchi ed i cespugli.”
Continuò intanto la signora riferendosi alla vita precedente di
Denis.

85
“Si, si, ci credo signora Giovanna. Grazie per avermi ascoltato,
lei è davvero forte. E’ vero, feci un sogno qualche anno fa che
descrive proprio quello di cui mi ha parlato. Ma ora devo
andare. Mi stanno aspettando e poi vedo che è molto richiesta,
quindi mi alzerò subito perché mi sembra ci sia già qualcuno
in coda che vuole sapere, ed io toglierei il disturbo.”
Giovanna guardò Denis con un mezzo sorriso e disse con tono
convinto:
“Il resto scoprilo tu. Tanto lo so che lo farai, se avrai bisogno
di me fatti pure dare il mio numero dalla mamma della tua
amica Irma, cercherò di darti una mano per quello che posso.
So che potresti averne bisogno.”
Denis andò via con una certezza.
“Allora non sono l’unico a vedere e sentire Hac Him, quindi
esiste non è frutto di qualche mia strana e stupida fantasia o
peggio ancora, patologia psichica.”
Hac Him?
Esiste ragazzo, certo che esiste.
Eppure avevo sempre cercato di dargli dei segnali molto chiari
ed evidenti della mia esistenza.
All’Università, ebbe casa per anni all’inizio di una piccola
stradina di una grande via che percorse migliaia di volte, che si
chiamava viale Alcione, come il nostro più grande dei tre soli,
la finestra della sua camera ci sia affacciava sopra, e una delle
zone centrali più importanti del lungo mare della città, si
chiamava Asterope, come il pianeta dal quale provengo.
In quel rione parecchi tra negozi, alberghi e supermercati,
portavano questo nome.
I segnali sono stati tanti, ma un giorno forse avrebbe capito o
meglio dire, accettato.
Siamo un popolo vecchio come l’Universo stesso.
Voi uomini invece, avete messo il naso sulla vita appena tre
milioni di anni fa all’incirca e vi siete stranamente evoluti, con
un salto inspiegabile, solo circa 300.000 mila anni fa.
Siete dei neonati del cosmo.

86
Noi anunnaki abbiamo invece più o meno 1971 milioni e
mezzo di anni, quasi arriviamo a due miliardi di anni terrestri e
ci tramandiamo di padre in figlio da tutti questi eoni di tempo.
La nostra vita fisica media è ormai di circa trentamila anni.
La nostra coscienza può vivere anche milioni di anni.
Nonostante veterani di questa creazione non abbiamo saputo
fare di meglio.
Per vivere matericamente così a lungo, abbiamo sviluppato
una capacità medianica che ci permette di viaggiare ed essere
in più dimensioni e di scegliere tra esse una dimensione base,
che solitamente preferiamo essere quella del pianeta dove
veniamo concepiti, che chiamiamo anch’esso base madre, ma
che può svilupparsi anche in pianeti base differenti, che
chiamiamo affini.
Se questo non è il nostro pianeta madre itinerante, chiamato da
voi terrestri Sumeri, Nibiru o dai Babilonesi, Marduk, che è il
pianeta base per eccellenza ed in cui il nostro popolo ha avuto
origine, è uno di quelli in cui ci fermiamo per la
colonizzazione.
Non eravamo un popolo ostile inizialmente, seguivamo le
leggi del creato.
Non avevamo intenti di sottomissione e colonizzazione di altri
popoli.
Ma purtroppo questo è ciò che siamo riusciti a diffondere
ovunque ci siamo fermati.
E tragicamente, i popoli che abbiamo colonizzato hanno
ereditato da noi questa triste ed avvilente abitudine.
Avevamo sempre cercato di rispettare le regole sul Cosmo
trasferite da Elì, sul libero arbitrio e sulla libertà di evoluzione.
Ciò nonostante avevamo commesso un grande errore e ne
stavamo pagando tutte le sue conseguenze.
L’ingordigia del prolungare la vita materica, ci aveva fatto
perdere di vista che le rinascite prevedono uno staccamento
consapevole da essa, per poter evolvere e divenire esseri di
luce. E quindi eravamo caduti nell’ombra più avvilente della
sopraffazione energetica.

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Noi, un’anima l’abbiamo sempre avuta, e che nessuno pensi
che il nostro Signore Elì abbia mai concepito qualsiasi essere
senza la Sua scintilla creativa, che è appunto l’anima stessa.
Essa è parte di Sé ed indispensabile, alla base di ogni gesto
creativo della vita di tutti gli esseri dell’Universo.
Ciò che perdemmo, al contrario, fu il contatto coscienziale con
la stessa, tanto che finimmo quasi per non credere più di
averla, un’anima.
Per cercare di assaporarne la dolce energia, da cui eravamo
implacabilmente attratti, credemmo di poter agganciarci ad
ogni essere con maturità genetica elementare, come voi
uomini, vista la giovane età di creazione, quindi ancora in
continuo e giocoso contatto con la vostra anima, tenendovi in
costante bassa vibrazione per evitare che una volta agganciati
l’energia alto vibratoria sviluppata potesse bruciarci.
Abbiamo quindi dovuto vivere dimenticando che la materia è
solo un passaggio e non credendo più nella forma più pura
dell’Anima e della Luce che conduce alla vera Eternità,
abbiamo cercato ogni modo per prolungare la vita della nostra
dimensione più debole, convincendoci che fosse la più forte,
ma invece è solo caduca materia che prima o poi si dissolve in
cenere e diventa il nulla.
Per fare questo abbiamo dovuto introdurre un nuovo modo di
essere.
Il parassita energetico.
Io non scelsi Nibiru come pianeta in cui vivere, scelsi
Asterope.
Anche perché è lì che fu concepita la mia esistenza.
Ognuno di noi può scegliere di vivere in un pianeta base
affine, conosciuto durante i viaggi di escursione o di missione,
oppure può decidere di stare o tornare nel pianeta madre
Nibiru, che dovunque si nasca, è sempre la base centrale
compatibile con ogni anunnaki.
In alcuni altri casi, può rimanere nel pianeta di nascita scelto
dai genitori, che può essere inteso anche come pianeta base,

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solo che in questo caso sarà per lui adottivo e non madre, salvo
non si tratti di Nibiru.
Il pianeta base, a seconda dei casi potrà essere quindi, quello
base madre, quello base adottivo o quello base affine.
Cercando di essere più chiaro vi farò un esempio.
I miei genitori nacquero nel pianeta base e madre Nibiru,
scelsero come pianeta base affine Asterope, e lo fecero
diventare il mio pianeta base adottivo, dandomi lì i natali.
La dimensione base, allo stesso modo, apparterrà comunque e
sempre o al pianeta in cui si è nati, madre o adottivo che sia, o
anche a quello dove si intende spostarsi perché se ne sente
l’affinità.
Se io non avessi più reputato Asterope affine alla mia
evoluzione, avrei potuto scegliere o un altro pianeta
compatibile alle mie esigenze o Nibiru, che rimane sempre la
madre di tutti noi anunnaki.
E’ per questo che se si nasce nel pianeta che si reputa affine al
proprio essere e si riesce a rimanerci, si è particolarmente
appagati. Perché si può far coincidere il pianeta nativo base,
che sia madre o adottivo, con quello affine, e la dimensione
base si manifesta nel posto in cui si desidera vivere, senza
alcun bisogno di dimensione alter. Salvo esigenza di missioni
da compiere in altri pianeti, dove quest’ultima è
indispensabile.
Questa, diventa necessaria, sia quando alcuni di noi non
possono abbandonare il proprio pianeta base nativo, pur
reputandolo poco affine alla loro evoluzione e si devono
collegare altrove, usando dovutamente una doppia dimensione,
sia quando devono compiere una missione in un altro pianeta,
dove non vogliono trasferirsi perché legati al proprio.
Diversamente e ancor meglio, è per quelli nati a Nibiru e che
l’hanno trovato affine allo sviluppo del proprio essere, che
sono indicati come i reggenti, perché hanno come pianeta base
quello madre e tra l’altro è il posto in cui desiderano vivere e
sviluppare la propria dimensione base.

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In sintesi, gli abitanti del nostro popolo possono scegliere dove
è più indicato per il loro essere vivere, sfruttando anche la loro
pluridimensionalità.
Sembra molto complesso lo so, ma per noi è tutto semplice e
naturale. Cercherò di chiarire ulteriormente.
Alcuni di noi nascono per accoppiamento, altri sono creati in
laboratorio.
Io nacqui da mio padre e da mia madre, durante l’occupazione
di Asterope e volli rimanere lì, in quello splendido posto.
Il mio pianeta base è Asterope di Alcione, la mia dimensione
base era sviluppata solo in Asterope, fino a quando non decisi
di venire in missione sulla Terra, con la dimensione alter.
Il mio pianeta è blu, come il vostro, ed è situato nelle Pleiadi,
nella costellazione del Toro dell’emisfero celeste boreale,
riscaldato dai nostri nove soli, Alcione, Merope, Atlante,
Pleione, Maia, Elettra, Taigete, Celeno, Asterope 2 a 368 anni
luce dalla Terra, su quel sistema solare che chiamate Alcione,
proprio come il più grande dei suoi soli, ed anche il più grande
degli unici tre visibili dal nostro suolo, che è il decimo astro
del nostro sistema solare.
Tra la gente del mio popolo, c’è sempre stata una grande
diversità di evoluzione ed una moltitudine di contrasti e
conflitti interni tra clan e tribù.
Abbiamo per questo, ideologie, costumi ed usanze molto
diverse tra noi.
Non veniamo tutti dallo stesso posto, nonostante apparteniamo
tutti alla stessa razza.
Una cosa del genere avviene anche qui sulla Terra, per il
popolo a noi più vicino, che voi chiamate Ebrei e che sono
stati i nostri primi punti di riferimento e di studio, per
applicare il sistema di colonizzazione terrestre e che
sicuramente abbiamo influenzato più degli altri.
E’ facile capire che quelli più antichi di noi vengano da
Nibiru, il pianeta madre d’origine, ma tanti altri sono sparsi in
vari pianeti che abbiamo visitato nei millenni e sono collegati
con la loro dimensione anche altrove, per scopi energetici.

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Nel tempo, capimmo che collegandosi con la multi dimensione
ad un altro corpo materico di un altro pianeta o galassia,
creavamo una doppia dimensione che chiamammo “alter” e
prosciugando la sua energia, non solo riuscivamo ad interagire
ed a condizionarne la libertà d’azione, ma il nostro corpo ne
riceveva benefici nell’allungamento della vita materica stessa.
Purtroppo, anche se sei in buona fede, ma sei in un pianeta
base diverso da quello in cui vuoi proiettare e far operare la
tua dimensione, devi usare la dimensione alter per appoggiarti
e collegarti ad un altro corpo materico del pianeta in cui vuoi
essere e rubi energia dal corpo a cui ti appoggi.
Questo tipo di uso del corpo energetico ti eviterà
indispensabilmente di usurare il tuo corpo fisico d’origine e ti
renderà necessariamente un parassita energetico, anche se
fosse a fin di bene o non fosse per tua volontà.
Alcuni popoli del vostro pianeta hanno tra i loro, uomini con
particolari capacità medianiche, chiamati sciamani.
Questi riuscirono anche a vederci, una volta entrati in uno
stato particolare di trans, ingerendo strane bevande a base di
funghi psilocibinici.
Ci chiamarono “los voladores”, che significa “quelli che
volano.”
In questo caso, siamo in due posti contemporaneamente.
Con il corpo ed una parte della nostra dimensione, dove siamo
nati o dove abbiamo scelto di vivere, con l’altra parte della
nostra dimensione, quella alter, dove vogliamo essere in
missione o in escursione, ospiti di un altro corpo, dove ci
vedono gli sciamani.
Che sia per missioni buone o per ostili, diventammo tutti dei
parassiti energetici.
E’ per questo che sono in Denis con la mia dimensione alter,
sdoppiato e diviso tra il me di Asterope e il me terrestre che è
dentro lui.
Lasciai Asterope, con la mia parte dimensionale alter, dopo 19
mila anni passati li, solo per venire sulla Terra.

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Ma quando sdoppi la dimensione base, condividendola con un
altro pianeta, diverso da quello tuo di origine, devi attaccarti
ad un corpo materico esterno del pianeta che ti ospita,
altrimenti finisci l’esperienza anunnaki della vita lunga e
muori dopo qualche anno.
Io mi attaccai un po’ li, un po’ qui, prima di arrivare a Denis.
Non avrei mai voluto fargli questo.
Vivevo molto bene ad Asterope.
Certo il mio corpo non avrebbe vissuto 30000 anni, come i
parassiti energetici solitamente fanno. Ma mi bastavano i
22000 circa, di chi vive nel suo pianeta base in serenità con la
sua anima e non si attacca mai a nessun altro corpo fisico con
altra anima.
Tutt’uno, in armonia, tra pianeta base, corpo materico ed
un'unica dimensione astrale, non avrei mai viaggiato qui se
non fosse stato per la missione a cui sono stato chiamato dal
mio comandante in campo.
Alcuni di noi viaggiano per missione, benigna o maligna,
questo dipende dalla stirpe di discendenza.
Altri di noi invece viaggiano solo perché parassiti energetici,
spietati e cinici colonizzatori, che vogliono vivere più a lungo
ed a spese di altri esseri incoscienti del Multiverso.
Noi di Asterope proveniamo dalla stirpe del generale supremo
En Ki. Siamo quelli che vogliono la pace e che lottano per la
libertà dei popoli sottomessi, perché combattono l’educazione
alla colonizzazione e sono del tutto contrari alla pratica
dell’invasione ostile, che purtroppo è una caratteristica
dominante dell’ormai gran parte del nostro sofferente ed
aggressivo popolo.
Ma per natura, anche solo per liberare i popoli sottomessi dalla
nostra razza, dobbiamo noi stessi diventare parassiti energetici,
per collegarci a loro e consigliarli o guidarli.
Il nostro ceppo non è quello dei combattenti, ma quello degli
scienziati, che non amano mettersi contro le leggi di Elì.
Per questo motivo nacque una grande guerra interna alla nostra
razza, che vide il grande generale En Ki, scienziato e Signore

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della Terra, affrontare suo fratello En Lil, guerriero e Signore
del Cielo.
An è loro, ed anche nostro padre.
Venimmo qui sulla Terra 315.000 anni fa, la nostra storia
racconta che non fosse la prima volta, ma da allora viviamo in
moltissimi di voi e non vi abbiamo mai più lasciati, così come
abbiamo fatto ovunque siamo andati, trovando le vostre
caratteristiche molto confacenti al nostro scopo.
La guerra dapprima iniziò tra noi. Dopo si protrasse e continuò
tramite la moltitudine di voi di cui riusciamo a controllare le
menti per mezzo della dimensione alter.
Lo scopo è unico ed evidente, far prevalere il vile ideale del
colonizzare a quell’ideale nobile del libero arbitrio e della
libertà dell’anima e della condivisione, invadere e sottomettere
altri esseri senza voler condividere nulla con loro.
Pensateci bene, con noi dentro di voi, siete in guerra da
sempre, da quando esistete, e per un unico motivo, cercare di
prendere ciò che non vi appartiene al vostro prossimo e non
condividere ciò che è vostro con nessuno, non mostrando mai
all’altro che si può donare, si può chiedere e si può ricevere,
essendo questo alla base della normale condivisione.
Fate battaglia ed invadete la terra del vostro vicino per farla
vostra e non condividerne i frutti con nessuno, se non con chi
vi da qualcosa di valido in cambio o nel caso peggiore la sua
stessa libertà.
Da quando esistete non siete mai riusciti a liberarvi da questo
stato.
La Terra, da quando ci siete voi umani, non ha mai conosciuto
un giorno di pace.
I Creatori stanno lasciando accadere per ora.
Uso il plurale perché sono più di uno, ma unificati nell’Uno,
proprio come avviene per gli esseri umani.
Per questo motivo tra i nostri Dei esistono alcune distinzioni
importanti da fare.
Elì è.

93
Come tutto e tutti e dentro tutto e tutti, quindi il Signore
indiscusso di prima generazione.
Signore del Big Bang e creatore della prima arancia di materia.
Nella lingua ebraica El I significa:
“Il Signore mio.”
Creatore indiscusso dalla cui energia non si è mai scollegati.
Lui è l’Amore che muove tutti i soli e tutte le altre stelle.
L’energia primordiale unificatrice.
Dopo El I, c’è invece un El Oah, che significa:
“Il Signore che fece.”
Creatore pratico di Galassie, di Universi e di tutti quei pianeti
simili accomunati dal peccato originale.
E’ un Signore di seconda generazione.
Dopo un El Oah c’è invece un El Yon, Signore di terza
generazione.
El Yon vuol dire:
“Il Signore più alto.”
Creatore iniziale di esseri come noi e come voi umani. Ma
solo dell’involucro contenitore, non della vostra anima che
invece è sempre frutto di Elì, perché sua scintilla.
Dopo un El Yon c’è invece un El Ohim, che significa nella
lingua ebraica:
“I Signori che fecero.”
Il vero significato della parola ebraica è rappresentato da un
plurale, non da un singolare.
Quindi indica “I Signori” e non “Il Signore”.
Esseri come An ed i suoi figli En Ki ed En Lil, che
trasformarono, mischiandoli con il loro stesso gene, ciò che
era stato già creato, in una nuova creatura.
Proprio 315.000 anni fa, furono loro a creare gli esseri umani,
manipolando in laboratorio la creazione genetica originale del
vostro El Yon, che, data la somiglianza, forse era anche il
nostro.
Il primo Sapiens che prese il posto del Neanderthal,
compiendo e giustificando con questa incredibile storia, il

94
salto evolutivo che nessuno di voi umani è riuscito mai a
comprendere.
Venimmo sulla Terra perché Nibiru era in pericolo.
L’atmosfera del pianeta madre stava cedendo.
Il frutto della tecnologia che sostituisce artificialmente ogni
creativa capacità degli esseri del cosmo, compresa la creazione
di voi umani, non è mai buono.
L’evoluzione pura deve passare per mezzi naturali, non
artificiali, perché questi diventano autodistruttivi.
A cosa servirebbe la comunicazione con smartphone o monitor
satellitari Gps, se fosse sviluppata in ogni essere la capacità
telepatica?
A cosa servirebbero aerei o navicelle spaziali, se ogni essere
fosse in grado di teletrasportarsi?
A cosa servirebbe uccidere qualsiasi altro essere vivente per
cibarsene, se ogni essere potesse nutrirsi di sola luce?
Arrivaste ad adorare e pregare esseri viventi che hanno
dimostrato di avere proprio queste capacità, pur
considerandolo un modo irraggiungibile di divenire.
Tutti i Messia venuti nel vostro ed in altri pianeti hanno
dimostrato di essere capaci di ciò che si è appena detto.
Il vostro Gesù ha dimostrato di avere ognuno di questi talenti.
Parlava ed appariva a chiunque volesse parlare o apparire, sia
prima che dopo la sua morte fisica e senza dover essere lì con
lui.
Era dovunque volesse essere. In uno ed in più posti
contemporaneamente.
Poteva digiunare anche per 40 giorni di fila senza morirne.
Amava il suo nemico.
Guariva i ciechi e gli storpi.
Era immortale.
E faceva tutto questo, ignorando ogni forma artificiale di
tecnologia.
Lo faceva solo avvalendosi di sé stesso.
Era tutt’uno con il nostro Signore Elì.

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Ma mai disse di essere superiore a voi uomini, a cui negli
ultimi giorni di esistenza umana lavò i piedi per umiltà, mai
affermò di essere un Dio a cui dovevate sottomettervi e
immolare altari, anzi al contrario, per cercare di rendervi
consapevoli del potenziale che avete nascosto dentro di voi,
parlò così:

12 In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà


le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado
al Padre. 13 Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò,
perché il Padre sia glorificato nel Figlio. 14 Se mi chiederete
qualche cosa nel mio nome, io la farò.
(Giovanni 14. 12/14)

Eppure idolatrate ed usate la tecnologia, di cui sin dall’inizio


del suo sopravvento siete destinati a diventare completamente
schiavi.
A cosa servirebbero armi di distruzione di massa e di controllo
climatico se non ci fosse un nemico da distruggere?
A cosa servirebbero tante ore di lavoro se fosse concesso e
facile a tutti accedere ad ogni forma di risorsa ed ognuno
volesse condividerla con l’altro?
Nessuno avrebbe voglia di sottomettere l’altro, se non ci fosse
nulla per cui sottomettere.
Eppure la razza umana sottomette ogni forma di esseri viventi,
compresi i suoi simili, da quando esiste.
Come avete potuto fare ciò che avete fatto ai vostri fratelli di
pelle nera africani o di pelle rossa indiani?
Non vi siete mai chiesti il perché?
Quando ti fai sopraffare dalla materialità perdi questi punti di
vista.
Vuoi conservare la materia per farla vivere a lungo, ma non ti
rendi conto che vuoi far vivere a lungo la materia non il tuo
vero essere, che non è affatto materia.

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Questo, noi Niburtini lo dimenticammo e lo facemmo
dimenticare anche a voi.
Così, creammo un mondo sterile ed innaturale.
Andando avanti, ci accorgemmo di aver perso di vista che
mentre il progresso tecnologico avanzava, facendoci credere di
avvantaggiarci in tutto, il nostro pianeta madre stava
collassando per i danni subiti da tanti secoli di quella
innaturale tecnologia, a discapito dello sviluppo di quei talenti
espressi direttamente e puramente dall’essere biologico.
Avevamo creato un “cyber essere anunnaki” che usava
macchine e mezzi meccanici informatizzati per ogni cosa.
Macchine volanti usate anche solo per andare a fare una
passeggiata.
Video occhiali in realtà virtuale, per arrivare dovunque in
tempo reale e parlare con chiunque, in ogni parte del pianeta,
guardandosi in faccia come se si fosse li insieme.
Pezzi di ricambio per il corpo fatti di tessuti in materiale
compatibile coltivato.
Tute speciali con arti bionici per migliorare ogni tipo di
prestazione fisica.
Realtà virtuale e vite virtuali parallele.
Non erano pochi ormai quelli che preferivano la loro vita
virtuale alla reale.
Stagioni controllate a comando.
Pioggia o sole e clima controllato a seconda di quello che si
desiderava.
Tutto questo lo ottenevamo con microchip e nanotecnologie
che avevamo costruito a nostra immagine e somiglianza e che
chiamammo “raigòn”, per dirlo con i vostri suoni, qualcosa di
simile a quelli che voi sulla Terra chiamate computer, che è
quella tecnologia che vi abbiamo trasmesso da pochissimo
tempo e che tanto credete vi abbia fatto progredire, se pensate
soltanto che i vostri nonni o bisnonni non avevano neanche
delle semplici lampadine e si illuminavano con il fuoco di
candele in cera.

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Il computer somiglia molto ad entrambi noi, essendo voi per
altro molto somiglianti a noi stessi dal cui gene siete stati
creati.
Ha una hard disk che come il cervello umano contiene tutte le
esperienze fatte fino a quel punto.
Le esperienze e le creazioni, le fa tramite software e hardware,
che sono utensili come braccia ed arnesi da lavoro. Proprio
come avviene per le esperienze umane prive di calcolatore.
La memoria breve per svolgere i compiti immediati è la ram.
La memoria lunga per programmare nel tempo e più
largamente, è la rom.
Proprio come avviene per voi esseri umani.
A nulla servirono i moniti dei vostri profeti visionari che
cercarono di avvisarvi della nostra presenza, come Giovanni
detto da voi l’Evangelista, che ci definì bestie.
Riuscimmo a creare delle “scatole nere” a diodi
elettromagnetici ed impulsi a microchip, con le quali
potevamo persino estrarre la coscienza da ogni essere che ne
avesse una, intrappolarvela dentro e “soffiarla” in altri esseri
viventi, mettendoci contro ogni legge universale sulla buona
condotta di vita e sul libero arbitrio, esistente nel Cosmo
intero.
Potevamo così portare la coscienza di chiunque volessimo,
anima permettendo, anche di noi stessi, in altri corpi svuotati
della propria o in contenitori che non ne avessero ancora una,
perché cloni coltivati in laboratorio.
Potevamo andare in un clone o in un altro essere a cui
avevamo estratto la coscienza, impiantandogli la nostra ed
istaurando un legame con una nuova anima, che sarebbe
arrivata appena corpo fisico e coscienza si fossero incontrati,
reputando ci fosse una nuova vita da affiancare.
Si, perché la tecnica usata era questa.
Bloccare la respirazione con l’introduzione nei polmoni di un
particolare liquido fluorescente elettromagnetico e facendo
cessare il corpo, praticare un taglio netto su una parte specifica
del capo, ben ricucito con l’uso di un particolare tipo di laser

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bisturi, estraendone ed intrappolandone velocemente
l’elemento vitale, con l’ausilio della scatola nera, per poi
iniettarlo dalle narici in un altro essere clonato incosciente,
con un particolare compressore elettronico, trasferendo così
una coscienza ad un essere o ad un clone, che altrimenti non
sarebbe mai potuto essere realmente vivo, se non come automa
in perfetto stato di comatosi, senza una coscienza attiva.
Si, perché l’anima entra nel copro appena formato e si lega per
l’intera esperienza di vita fisica, poi condivide varie esperienze
umane per mezzo delle svariate coscienze individuali a cui si
lega nel corso della sua evoluzione di ritorno all’Uno.
In questo modo l’anima abbandonava il corpo morente e
viaggiava altrove, mentre una nuova anima arrivava a legarsi a
lui, una volta introdotta una nuova coscienza nel contenitore,
clonato da zero, oppure già esistente, a cui era stata sottratta la
coscienza precedente, stabilendo un nuovo contatto.
Nulla veniva fatto all’anima che comunque non avrebbe mai
potuto essere toccata, perché inviolabile, ma ad ogni modo se
ne modificava ingiustamente il suo itinerario e la sua libertà,
che veniva artificialmente modificata e quindi intrappolata in
un percorso che ella non aveva mai scelto.

Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e


soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un
essere vivente.
(Genesi 2. 7)

La vostra parola “anima” infatti, deriva dalla lingua latina


“anima”, ma il termine è connesso col greco “anemos”, che
significa “soffio” o “vento”.
Il termine “spirito”, deriva invece dal latino “spiritus”, che
significa “soffio” o “respiro”, quindi spirito vitale.
Cercammo di sostituirci al vero Dio Elì, che con il suo respiro
dà vita a tutti gli esseri animali della Terra.

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Elì, al contrario, non aveva mai usato elettrocompressori o
scatole nere se non la sua magnificenza creativa, che noi altri
naturalmente non possedevamo nemmeno lontanamente.
Per cui lo imitammo a nostro modo, proprio come facemmo
con i computer.
Fortunatamente nulla potemmo fare contro l’anima, a parte
manipolare ingiustamente il suo alimento più grande, e cioè la
coscienza, che lega la divinità dell’anima stessa all’esistenza
materica dell’individuo e lo caratterizza rendendolo unico ed
immortale.
Anima però, rimaneva intoccabile e proteggeva i corpi e le
coscienze di chiunque fosse in simbiosi ed in costante contatto
con lei.
Rimase sempre ed è, il vero punto di forza dell’Unità con il
Signore Dio.
La vera custode di ogni essere vivente.
Pertanto, potevamo toccare solo gli esseri da essa disconnessi
e contando che non se ne avvertisse, altrimenti lo avrebbe
impedito.
Era pur sempre un gravissimo comportamento a danno della
naturale creazione.
Creammo la possibilità di disturbare l’anima di ogni essere,
umani compresi, interferendo nel rapporto con la sua
coscienza diretta.
Potevamo così sostituire in alcuni di voi la coscienza e solo la
sua anima avrebbe potuto fermarci.
In alcuni esseri con basso livello coscienziale essa non è molto
reattiva, ed essendo in stato di quiescenza, viene purtroppo
tradita da questo sopruso.
Così facendo, nei secoli, sul nostro pianeta usammo così tanta
tecnologia artificiale e contro natura che esso stesso si ribellò a
noi.
Avevamo bucato ogni tipo di protezione della nostra ionosfera,
abusando di combustibili nucleari radioattivi, per alimentare i
nostri motori a fusione, da cui traevamo energia per le nostre
dispendiose macchine.

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Inventammo così un’atmosfera a cupola artificiale che con una
ionosfera altrettanto artificiale dovesse proteggere il nostro
habitat dall’implosione e che divenne una sorta di grosso
scudo formato da particelle di oro sospese sull’atmosfera
stessa, anti impatto, con proprietà di schermo dalle radiazioni e
di gestione elettromagnetica per il controllo della traiettoria e
dell’attrazione di corpi nella nostra pericolosa orbita, tipiche
delle potenzialità di questo metallo, che viene usato in questo
senso anche dai vostri astronauti terrestri, che placcano in oro
per questo motivo, intere finestre delle vostre astronavi, e che
quindi ci proteggesse dagli asteroidi, dalle comete o addirittura
dalle possibili collisioni casuali o che ora potevamo procurare
volutamente noi stessi, visto che ormai eravamo in grado di
direzionare il nostro ormai artificiale pianeta nave.
Le nostre macchine, “raigòn” a calcolo elettronico, che la
facevano funzionare, andavano a chip, schede madre in metalli
vari e silicio, ma l’oro era indispensabile anche per alcuni tipi
di importanti e fondamentali chiusure dei circuiti, che
altrimenti non avrebbero mai potuto funzionare.
Così, adesso potete chiedervi come mai anche le vostre
macchine informatiche terrestri, figlie delle nostre, possono
funzionare solo per mezzo di indispensabili percentuali di oro
nei circuiti di scheda madre, e perché invece per millenni è
stato stranamente il metallo prezioso per eccellenza su tutti i
continenti della Terra, frutto di quasi tutte le guerre, pur non
servendo apparentemente a nulla, perché nei vostri tempi
passati a nulla serviva.
Il suo uso nei secoli, in molte civiltà di umani si è limitato
apparentemente ed evidentemente a delle banali decorazioni
corporee, oppure alla forgiatura di monete di scambio.
Per essere una coincidenza, vista la difficoltà della sua
estrazione, la poca resistenza strutturale rispetto ad altri
materiali e la sua completa inutilità per uso costruttivo,
diversamente dai i comuni metalli, è a dir poco inspiegabile, se
si pensa che l’uso strumentale all’interno dei componenti di

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elaboratori elettronici nel vostro mondo è subentrato soltanto
negli ultimi decenni.
La nostra ionosfera artificiale bruciava continuamente enormi
circuiti chiusi a oro e grandi quantità di particelle sospese
sull’atmosfera, usate per l’attrazione magnetica e la protezione
a schermo dalle radiazioni, con una rapidità paurosa e quindi
dovevamo avere delle immense scorte di tale metallo che non
era affatto prezioso come oggetto decorativo sul nostro
pianeta, se non per la sua concreta utilità nel salvarci la vita,
che noi stessi avevamo messo in pericolo.
Dovevamo quindi procuraci continuamente questo metallo
ormai giunto a termine tra le nostre risorse, oppure
abbandonare per sempre Nibiru ed essere in balia delle onde
sulle nostre navi o sui pianeti colonizzati affini.
Anche se per quelli di noi nati su altri pianeti base poteva non
essere un grave problema, come per quelli di Asterope, per i
Niburtini reggenti era un dramma da non poter neppure
immaginare.
Nibiru era piena di arconti conservatori Enliliti.
Unica direttiva era quindi trovare pianeti con oro e cercare di
depredarli.
Prerogativa degli arconti di En Lil era creare esseri schiavi che
estraessero persino il metallo per conto loro, oppure, peggio
ancora, in modo più subdolo e spregevole far sì che tramite
manipolazioni dimensionali di coscienze e psichiche, quindi
controllandone le azioni, l’oro divenisse in quei pianeti un
metallo diffuso, prezioso ed ambito, anche se prodotto senza
alcuno specifico motivo o utilità, per poi prenderglielo ed
usarlo all’occorrenza.
Gli anunnaki di En Ki non volevano che questo avvenisse.
Preferivano e lottavano per fare direttamente il lavoro di
estrazione senza dover inquinare o sottomettere esseri
innocenti di altri pianeti, compromettendone definitivamente
l’evoluzione e la storia per soli motivi egoistici e contro ogni
etica del cosmo.
Nibiru non è un pianeta con un’orbita semplice.

102
Gira intorno a sé stesso ed intorno al suo sistema solare,
diversamente da ogni altro pianeta conosciuto.
La sua galassia è la Via Lattea.
Si, proprio la stessa della vostra Terra.
Plutone, Nettuno, Urano, Saturno, Giove, Marte, Terra, il
quasi pianeta Luna, Venere, Mercurio ed il Sole, sono oggi i
vostri undici astri ufficiali e conosciuti, perché visibili anche
dai primi primordiali strumenti astrologici terrestri.
Nibiru è il dodicesimo astro della nostra stessa galassia.
Ecco trovata la ragione della non casuale importanza data al
numero 12 nelle usanze più comuni della civiltà terrestre.
Tale numero è oggetto di molte allusioni metaforiche che
alcuni illuminati umani hanno voluto trasmettere per non
perdere questa importante storia che è alla base della vostra
stessa esistenza.
12 sono le ore del giorno.
12 sono i mesi dell’anno.
12 sono le tribù d’Israele.
12 sono gli apostoli di nostro Signore.
12 sono le case dello zodiaco.
12 sono le dimensioni riconosciute nell’Universo, cioè undici
materiali più il tempo.
Sono scelte che pongono il numero 12 sempre sotto la vostra
attenzione.
Pur sembrando casualità, il 12 viene ripetuto quasi in modo
simbolico a voler trasmettere nel tempo un numero che indica
un grande evento da ricordare.
Venne quindi introdotto nella stessa modalità terrestre della
misurazione del tempo.
Quale cosa può rimanere nel tempo più del suo sistema di
misurazione?
La velocità di Nibiru è di gran lunga superiore ad ogni altro
pianeta conosciuto, tanto da portarlo fuori dall’inerzia di
gravità della galassia e da farlo finire ai suoi confini estremi
più lontani per molti anni, per poi riapparire sulla stessa orbita.

103
Almeno così era sempre avvenuto in tutti i cicli, ognuno della
durata di circa 3600 anni fino a quel punto.
Ma l’asse magnetico danneggiato di un pianeta malandato con
ionosfera artificiale non è più attendibile e se un astro e fuori
asse pure di un millesimo di grado la sua traiettoria cambia e
cambia la sua orbita, che non sempre riuscivamo a correggere.
In miliardi di chilometri di distanza percorsa quasi in circolo,
un impercettibile cambio di orbita può essere però fatale.
Lo fu.
450.000 mila anni fa.
Allora, gli astri molto visibili che componevano la Via Lattea
erano ugualmente undici, tra cui Plutone Gagà, che non era
accanto a Nettuno Ea, ma tra Urano Anu e Saturno Anshar,
Giove Kishar, Marte Lahmu, Tiamat Tehom ed il suo quasi
pianeta e satellite maggiore Kingu, Venere Lahamu, Mercurio
Mummu, il Sole Apsu ed i loro altri diversi satelliti minori,
numerosi soprattutto quelli di Tiamat, Giove e Marte, ma non
visibili nelle mappe stellari principali perché troppo piccoli.
Togliendo il Sole e Kingu, i pianeti effettivi erano nove.
Andò proprio così, la traiettoria di Nibiru, decimo pianeta e
dodicesimo astro della famiglia del Sole, cambiò
improvvisamente la sua orbita, percorsa al contrario del verso
degli altri pianeti, per causa di una delle disfunzioni
magnetiche della sua cupola dovuta a carenza di oro per la
manutenzione delle strutture artificiali aggiunte al pianeta, che
provocò uno sfalsamento del suo asse.
Volevamo solo sfiorarlo quel pianeta, come facevamo spesso
per conoscere gli astri che più ci incuriosivano ed
assomigliavano e che avevamo già tempo addietro visitato,
passandovi possibilmente molto vicino, e al più solo per
scendere e per vedere se ci fosse un po’ d’oro da prendere.
Ma qualcosa andò male.
Il nostro pianeta perse quindi la sua traiettoria, dirigendosi
pericolosamente verso un probabile impatto con un altro
pianeta della Via Lattea.
Purtroppo andò così.

104
Nibiru, circondato dai nostri 7 satelliti, chiamati dai Sumeri
“Venti”, in effetti lo sfiorò, ma uno di questi, chiamato “Vento
Malvagio”, impattò con il ventre di Tiamat Tehom.
Cercammo inutilmente di fargli deviare traiettoria, con lo
scudo reticolare prodotto dalla cupola del nostro pianeta e con
missili a lunga gittata, scena che a Sumer descrissero, nelle
loro tavole di racconti storici, come “la battaglia del cielo con
le grandi reti e i fulmini degli Dei”, ma mentre lo facevamo,
un altro dei nostri satelliti colpì Tiamat Theom per la seconda
volta, nella parte superiore e carambolò come una scheggia in
mezzo a tutti i suoi satelliti, frantumandoli.
Tiamat Tehom, triste per voi umani, era il nome che la vostra
Terra aveva prima dell’impatto.
Ci fu una grossa catastrofe, tanto fuoco seguito da incredibili
esplosioni.
Tiamat Tehom era un pianeta colmo di acqua, anche se per la
sua vicinanza al sole e per le sue caratteristiche di movimento
e rotazione, molto diverse da quelle attuali della Terra, era
pieno di vapore acqueo.
Per via di un intermittente, lungo e curvilineo sviluppo
geologico dei suoi livelli di suolo, era piatto, nel senso che
presentava solo immense pianure e grosse distese di ghiacciai,
di mari termali e laghi solfurei a seconda della zona geografica
in cui ci si trovava ed il conseguente tempo di esposizione al
sole, molto diversi tra loro e di conseguenza a seconda dei
globi in cui si era. Niente montagne.
La vita era difficile ma possibile, quindi c’era anche una prima
forma di umanoide diffuso ovunque sul globo più vivibile del
pianeta, nato circa due milioni e mezzo di anni prima, ma
munito di una certa spiccata intelligenza da solo mezzo
milione di anni.
L’Homo Erectus.
Foste spaccati in due parti, una fu sparata in un’orbita
completamente nuova, che è quella in cui vi trovate oggi,
insieme al vostro più grande e visibile satellite superstite
Kingu, che ora chiamate Luna.

105
Dai frammenti dell’altra metà di Tiamat e dei suoi altri 10
satelliti, si formarono asteroidi, comete, altri satelliti, che
iniziarono a girare nell’orbita che li catturò dopo il loro lancio
esplosivo, quella di Giove, e formarono il Bracciale di
asteroidi e di piccolissimi e sconosciuti pianeti, situati nella
grande fascia tra l’orbita di Marte e quella di Giove.
Una vera disfatta per tutti e due i nostri pianeti.
Noi fummo in parte protetti dai sistemi artificiali che avevamo
creato e con la cui energia vi dovemmo respingere, avendo
anche avuto sentore del probabile impatto tre mesi prima che
avvenisse, quando ci accorgemmo che era ormai impossibile
correggere la traiettoria.
Voi terrestri foste fortuitamente e naturalmente protetti dal
fatto che il vostro pianeta, pur essendo stato colpito due volte,
dai nostri venti, sia al centro, che nella sua parte superiore, fu
colpito per miracolo sempre e solo dalla stessa faccia ed
essendo tutti gli astri notoriamente sferici, grazie al cielo era
quella meno vissuta dagli umanoidi.
Terremoti, eruzioni vulcaniche, tempeste di meteoriti, tsunami
ed ogni sorta di cataclisma furono scatenati, ma non riuscirono
però a cancellare il nuovo pianeta Terra e gli esseri che lo
abitavano, che ben presto, trovato il suo equilibrio con il suo
ormai unico satellite Luna, ultimo sopravvissuto degli 11 di
Tiamat, adattò addirittura delle condizioni di vita migliori sulla
sua nuova sfera, fatta di acque, pianure e montagne, createsi
con l’impatto ed emerse dagli oceani, anche perché la nuova
forma fisica e la diversissima orbita conquistata, erano
miracolosamente più permissive delle precedenti, sia come
movimenti e rotazioni intorno agli assi, che come distanze nei
confronti del Sole.
La Luna, come era accaduto per Plutone, satellite di Saturno o
di Nettuno, che era riuscito a sganciarsi in una sua orbita,
diventando così un pianeta a sé stante, stava avendo lo stesso
destino, lasciando Tiamat, ma si sacrificò per voi e per la
creazione del pianeta con le migliori condizioni di vita della
via Lattea, anche per merito suo.

106
La Terra, che come Eva fu creata da una costola di Adamo, fu
creata da una costola di Tiamat Tehom a sua immagine e
somiglianza.
Noi rimanemmo ad un passo dal collasso della nostra
ionosfera, ma ci salvammo. Nulla potemmo fare per i nostri
satelliti, Vento Malvagio e Vento del Nord.
L’unica cosa che si poteva fare era comunque ripararla in tutta
fretta.
Ma avevamo il solito grande problema, l’oro.
L’impatto aveva distrutto tutti i circuiti e le particelle sospese
sulla nostra atmosfera artificiale, che erano stati rapidamente
sostituiti usando le ultime riserve del metallo presenti su
Nibiru.
Non ci rimaneva altro da fare che organizzare una spedizione
sulla Terra, che era il pianeta compatibile con il metallo, più
vicino che avevamo in quel momento, visto che eravamo
volati via non molto lontani, seguendo la sua scia spaziale,
formata dal lancio dovuto all’impatto e visto che le leggende
del nostro popolo raccontavano che il prezioso metallo era
stato scoperto proprio su Tiamat Tehom.
Con le nostre navi, organizzammo una spedizione sul pianeta
blu che si era formato dai resti di Tiamat Tehom o meglio
sulla Terra.
Dai radar gli incendi sembravano essere quasi giunti al
termine, ma per non rischiare scegliemmo la rotta opposta ai
roghi ed alle esplosioni.
Scendemmo in un pianeta completamente nuovo creatosi
dall’impatto.
La zona dove atterrammo è quella che oggi chiamate Sud
Africa.
Trovata velocemente un’incredibile quantità del metallo, che
era affiorante ed abbondante sul pianeta, anche in superficie,
per via della nuova costituzione geologica, ponemmo rimedio
al nostro limite, ma neppure questa volta per sempre.
Purtroppo questa fatale ed incredibile dipendenza non ci
avrebbe abbandonati mai per il resto della nostra esistenza.

107
Dopo circa 135.000 anni, il problema si ripresentò ancora più
violento della prima volta.
Quindi, 315.000 anni fa, ritornammo sul vostro nuovo pianeta
appena formatosi, per rifornirci di materia prima aurea, di cui
fortunatamente per noi, siete ancora in abbondanza.
Iniziammo a costruire tutti i nostri campi base proprio lì, in
quel territorio del vostro pianeta che avevamo già visitato in
precedenza e di cui avevamo tutti i riferimenti per atterrare,
florido e meraviglioso, ma sperando che ci fosse oro
disponibile da estrarre, il Sud Africa.
Scesero le navi del generale En Lil e le navi del generale En
Ki e gli anunnaki erano guidati da loro in persona.
Il fratello guerriero En Lil, sapeva bene che se l’avessero
trovato, avrebbero dovuto estrarsi l’oro di proprio pugno, per
non avere problemi con il fratello scienziato En Ki, che non
ammetteva soprusi sugli esseri indigeni dei pianeti visitati e
sulla Terra ne erano già stati fatti molti.
Facemmo una stima di quanto fosse il fabbisogno e di quanto
avremmo dovuto lavorare, e capimmo che avremmo potuto
rimanere lì anche più di cento trent’anni, tornando volta per
volta a Nibiru, per portare il metallo sul nostro pianeta.
Iniziammo ad organizzare le estrazioni e finalmente capimmo
la cosa più importante, l’oro sulla Terra c’era e fortunatamente
proprio lì dove eravamo atterrati.
Usammo tutti gli anunnaki che avevamo, sia del generale
guerriero che dello scienziato.
Lavoravamo senza tregua, la maggior parte di noi erano
reggenti. Nati a Nibiru da famiglie storiche del pianeta.
Noi soldati di En Ki eravamo quasi tutti zingari di pianeti
adottivi e molti provenivano proprio come me da Asterope.
E’ da loro che abbiamo tramandato questa avvincente storia tra
pianeti e tra popoli.
Io non c’ero, perché sono troppo giovane con i miei 19000
anni, considerando che per scelta etica non ho mai trasferito la
mia coscienza in altri corpi di scorta o clonati o rapiti.

108
Racconto però la storia come se ci fossi stato anch’io lì su
Tiamat Tehom o Terra, 315.000 anni fa, per come sento quello
che dico.
Dopo circa trent’anni di lavoro, accadde la solita brutta storia.
I soldati reggenti di En Lil, si ammutinarono perché non
volevano più lavorare nelle miniere d’oro del Sud Africa.
Erano esausti. Ritenevano di essere nati per fare la guerra, non
per fare gli schiavi minatori.
Stavolta l’estrazione non era semplice come 135.000 anni
prima, si dovevano scavare miniere, perché il metallo era
finito sottoterra durante l’assestamento del pianeta.
A questo punto En Lil chiamò suo fratello En Ki e gli disse
che era indispensabile trovare un essere sulla Terra che
concludesse quel lavoro per loro.
Una forma evoluta di animale, sul pianeta c’era e poteva
prestarsi ad un simile utilizzo di schiavo operaio.
Voi uomini.
Eravate una forma umanoide di scimmia quasi eretta, con il
cranio a fronte bassa, l’uomo che voi terrestri nella storia avete
chiamato, Neanderthal.
Naturalmente andava preso e trasformato geneticamente in
laboratorio, per poter essere duttile e comprendere gli ordini
impartiti senza opporsi.
Doveva crescere in fretta e poter lavorare già a poco più di
quindici anni.
Diventare un essere che temesse la creazione, in modo da
sottomettersi a chiunque in qualche modo si dimostrasse
essere superiore, che fosse un fulmine, un vulcano o una nave
anunnaki in accelerazione, con motore a fusione.
En Lil, il guerriero della famiglia aveva necessario bisogno di
En Ki, lo scienziato, per poter attuare questo elaborato piano.
Quest’ultimo, chiamato a consulto disse a suo fratello che non
avrebbe mai fatto una cosa simile.
Era totalmente contro la sua etica di scienziato evoluto del
cosmo.

109
Vi fu un brutto litigio tra i due fratelli, da richiedere
l’intervento di loro padre An.
An non dava mai ragione a nessuno dei due in particolare,
ogni volta che nasceva una disputa tra loro. E ne nascevano
molto di frequente.
Sentite le versioni dei fatti, si disse neutrale e prese tempo
prima di esprimere ogni qualsiasi suo punto sulla delicatissima
faccenda.
En Lil non aspettava nessuno, neanche suo padre, quando
aveva un suo obiettivo in testa partiva come un tornado e
travolgeva chiunque fosse davanti ai suoi passi, reggenti e
parenti compresi.
Ordinò ai suoi di attaccare la Terra, senza pietà.
En Ki fu subito informato degli attacchi assurdi di suo fratello
ed intervenne con i suoi uomini.
Ci furono grandi battaglie nei cieli del vostro pianeta blu.
Mentre un lato non si era ancora spento completamente dal
brutto precedente impatto, l’altro si accendeva dalle esplosioni
di una guerra nucleare.
Succedeva così quasi in ogni pianeta colonizzato.
I due fratelli si facevano guerra da secoli.
I Titani si stavano battendo.
Gli enkiliti non erano guerrieri, ma erano grandi scienziati,
sapevano costruire ogni sorta di arma catastrofica ed avevano
armi potenti e di alta gittata.
Gli enliliti era signori della guerra. Potevano stare nei cieli
anche per cinque giorni di fila senza dormire, né cibarsi, ma
combattendo e bombardando a dirotto.
La guerra durò meno del solito questa volta.
En Lil conoscendo il punto debole di suo fratello, mirava agli
umanoidi e vi stava massacrando tutti senza pietà.
En Ki non sopportando il comportamento vile del fratello,
chiamò così la tregua e si decise ad incontrarlo per trovare un
punto d’accordo e non continuare a distruggere un pianeta
innocente.
Si videro in un campo nel Madagascar.

110
En Ki dopo molte ore di trattativa, accettò di costruire l’uomo
da lavoro come comandava suo fratello.
Da un clone ibrido, composto dal Neanderthal esistente e
l’anunnaki, nasceste così voi, l’Homo Sapiens.
Tale uomo doveva però essere sterile e fabbricabile solo in
laboratorio.
Naturalmente, doveva essere privo di ogni forma sviluppata di
coscienza.
Un automa inventato per un unico scopo, estrarre oro.
Possibilmente non doveva mai uscire da riserve appositamente
costruite per lui.
L’uomo fu collocato nel golfo Persico, nella zona poi chiamata
Mezza luna fertile, dove oggi si trova l’Iraq meridionale e
nella regione che era chiamata Sumer o in lingua accadica Mat
Shumerim, dove furono individuate delle nuove miniere più
ricche di oro, che quindi potesse renderlo molto più
produttivo.

Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi


collocò l'uomo che aveva plasmato.
(Genesi 2. 8)

En Ki creò l’uomo con il prezioso aiuto di Ninhursag, sua


sorellastra e moglie, tra l’altro una grandissima scienziata bio
genetista.
Ad En Ki, non era affatto andata giù la minaccia subita dallo
spietato fratello.
Insieme alla sua consorte avevano già pensato a come reagire
per rispondere al grande sopruso subito, che per altro avrebbe
potuto condannare un essere innocente del creato
all’automatismo ed alla sterilità perenne, qualora le estrazioni
fossero durate a lungo, cosa probabile, essendo la Terra un
pianeta molto ricco di riserve auree.

111
Estraevano coscienze con scatole nere ben nascoste all’interno
dei loro laboratori, sempre piantonati dalle guardie enlilite, da
gruppi di Neanderthal che avevano raggiunto già un’età
matura per finire il loro ciclo vitale fisico e le impiantavano
nei nuovi esseri, trasformandoli da sterili cloni in esseri viventi
veri e propri.
En Lil naturalmente non era al corrente di questo.
Egli temeva le coscienze proprio come temeva la morte.
Quegli esseri, se muniti di coscienza ed anima, prima o poi
avrebbero potuto chiedere o farsi giustizia di tanta malvagità,
nei confronti del loro habitat e dei loro fratelli umani.
Ci furono due noti generali Arcangeli in questo periodo ed
ebbero un grande ruolo in questa storia.
Michele Arcangelo e Lucifero Arcangelo.
Michele, il guardiano della pace degli anunnaki, era per la
calma e l’armonia tra i popoli.
Controllava ogni tipo di ribellione e si affiancava in difesa di
chiunque fosse aggredito.
An stesso gli lasciava campo libero per agire come meglio
credesse, era quindi considerato quasi come un terzo figlio, al
di sopra delle parti.
Solo un altro essere aveva quasi il suo stesso potere.
Lucifero Arcangelo.
Essi dovevano dare conto solo alla saggezza del reggente An,
e solo lui aveva un qualche potere su di loro.
Ben presto, En Lil si sarebbe accorto della brutta sorpresa che
gli era stata riservata dal fratello scienziato.
Nel campo Eden, gli automi umani vivevano senza cibarsi dei
frutti della Terra e senza unirsi in accoppiamento, così come
erano sati progettati.
Si creavano solo in laboratorio.
Venivano nutriti con speciali microcapsule lanciate nell’aria
da appositi droni, ricavate in nanotecnologia e respirate a loro
insaputa, che gli facevano credere di non aver quasi bisogno di
cibarsi e che costituivano anche un limite inibitorio alle
possibilità di accoppiamento, essendo solo un nutriente capace

112
di dare energia per compiere lavoro, ma scarso di ogni
proprietà proteica complementare per riprodursi.
Gli esseri umani venivano allevati fino a giovanissima età
nelle riserve naturali Eden, costruite appositamente per lo
scopo ed appena pronti per eseguire il lavoro di estrazione,
venivano condotti nelle miniere ritrovandosi di colpo da un
probabile paradiso ad un vero e proprio inferno.
Passarono così circa venti anni.
Quando un giorno Lucifero fu chiamato da En Ki a rapporto,
in una caverna nascosta nel golfo Persico.
En Ki gli rivelò la vera natura dei fatti.
Non chiamò Michele, perché di lui era stato sempre troppo
rispettoso e non voleva, in questo memento, atti di
disobbedienza che spesso il generale compiva ragionando da
sé, potendosi permettere di non rispettare i ruoli.
Lucifero era più gestibile, anche se ugualmente forte.
Gli spiegò tutto quello che era accaduto tra lui e suo fratello,
per dar vita a tale essere.
Gli disse che gli umanoidi non erano stati creati come previsto
e che erano dei veri e propri esseri viventi e che invece nel
ricatto inferto da En Lil era prevista l’inutilità completa di tali
esseri, al di fuori della possibilità di estrarre oro.
En Ki e Ninhursag avevano quindi disobbedito all’accordo
creando un vero e proprio essere umano.
L’Arcangelo portatore di Luce, ascoltato ciò, non aveva altro
da fare che agire.
Era sempre stato insieme a Michele il più giusto tra i serafini.
Commise un grosso errore però.
Per poter essere l’unica mano della giustizia e del recupero
della retta via per quel popolo, che da tempo stava percorrendo
un sentiero sbagliato, peccò di superbia.
Come En Ki, non volle coinvolgere Michele nell’azione e lo
tenne all’oscuro di tutto, come se non avesse potuto essere di
aiuto ma piuttosto di ostacolo al compimento della missione
che aveva in mente di fare.
Ma perché? Michele era un serafino forte e giusto quanto lui.

113
Nemmeno lui stesso lo capì mai il perché avesse deciso di
agire così. Sarebbe bastato solo riferirgli tutto.
Era per una giusta causa, avrebbero potuto agire insieme.
Raggiunse così l’Eden da solo e venne a contatto con gli esseri
che erano sperimentati prima di essere messi a lavoro, a cui
veniva fatto credere di essere i figli prescelti in una sorta di
paradiso terrestre.
Lucifero Arcangelo avvicinatoli con uno dei suoi trucchi
illusionistici sotto sembianze di serpente, spiegò loro cosa gli
era stato fatto e che potevano fare cose che non avevano mai
neppure immaginato e che costituivano la vera bellezza della
loro altrimenti inutile esistenza. Dio li aveva ingannati.
Egli sapeva bene come parlare agli umani, portatore di luce
quale era, si fece ascoltare con la sua forza di persuasione ed
alla fine li convinse a fare quello che diceva.
Iniziare a cibarsi di ogni delizia del giardino Eden, unirsi in
accoppiamento e scappare da quel finto, inutile paradiso
terrestre.

1 Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte


dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «E' vero che Dio ha
detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?».
2 Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del
giardino noi possiamo mangiare.
3 Ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha
detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare,
altrimenti morirete».
4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto!
5 Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i
vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il
male».
6 Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare,
gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza;
prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito,
che era con lei, e anch'egli ne mangiò.

114
7 Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di
essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
8 Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino
alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero
dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino.
9 Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?».
10 Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto
paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto».
11 Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse
mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non
mangiare?».
12 Rispose l'uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi
ha dato dell'albero e io ne ho mangiato».
13 Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose
la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
14 Allora il Signore Dio disse al serpente: «sii tu maledetto
più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul
tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni
della tua vita.
15 Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la
sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il
calcagno».
16 Alla donna disse: «moltiplicherò le tue pene e i dolori della
tua gravidanza, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito
sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà».
17 All'uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie
e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne
devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con
dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.
18 Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre.
19 Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché
tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu
sei e in polvere tornerai!».
20 L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di
tutti i viventi.
21 Il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e

115
li vestì.
22 Il Signore Dio disse allora: «Ecco l'uomo è diventato come
uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli
non stenda più la mano e non prenda anche dell'albero della
vita, ne mangi e viva sempre!».
23 Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché
lavorasse il suolo da dove era stato tratto.
24 Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i
cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la
via all'albero della vita.
(Genesi 3. 1/24)

Michele saputo ciò che era successo nell’Eden, non aveva


bisogno di alcun ulteriore chiarimento.
En Lil si accorse che gli esseri umani avevano bisogno di
cibarsi e di accoppiarsi come mai era avvenuto prima.
Era ormai nato il disordine in Eden.
Quegli esseri, chissà da quanto tempo iniziati a creare in quel
modo diverso dagli accordi stabiliti, erano diffusi in tutta la
Terra.
Vennero messi altri soldati a guardia del laboratorio per
piantonarlo giorno e notte ed evitare che “l’albero della vita”,
come fu chiamato nelle vostre scritture venisse ancora usato a
tal sproposito e contro gli accordi.
Fu facile per En Lil chiamare l’Arcangelo Michele a rapporto,
e scatenarlo contro l’Arcangelo Lucifero e contro lo stesso En
Ki, che tanto era da lui rispettato, al pari di un vero fratello.
Il Generale Arcangelo Michele non era mai stato ben
informato della cosa, a cui comunque aveva potuto assistere e
che quindi aveva visto con i suoi stessi occhi.
L’unica evidenza che gli era sorta all’attenzione era quel caos
di uomini in Eden, che in precedenza non si era mai verificato.
Timore e paura ovunque, da parte di un essere che prima di
allora era sottomesso, mansueto e calmo nei confronti del suo
creatore.

116
Ora sembrava esserne spaventato ed in alcuni casi sembrava
volersi ribellare a lui.
Per Michele, non avendo mai chiarito con l’Arcangelo
Lucifero, alcuna minima situazione accaduta, si trattava di una
grave insubordinazione da parte dell’altro Serafino, che aveva
senz’altro appoggiato una rivolta degli uomini.
Il suo Arcangelo fratello aveva fatto qualcosa di molto
sbagliato, secondo lui.
Andava fermato e combattuto.
L’Arcangelo Lucifero non volle mai spiegare quello che era
successo, sapeva che Michele non l’avrebbe ad ogni modo mai
compreso. Accettò le sue colpe di aver appoggiato gli uomini.
Il Serafino che finora era stato conosciuto come “portatore di
Luce”, si circondò del suo esercito, composto da altri
Arcangeli caduti nell’infedeltà al loro giuramento che gli
erano rimasti accanto, ed iniziò una battaglia inevitabile.
Fu guerra sul vostro pianeta.
La sua superbia inabissò la sua luce.
Dopo una serie di lunghe e sanguinose lotte, l’Arcangelo
Michele, col suo esercito composto anche da molti dei miei
fratelli di Asterope, lo sconfisse e lo schiacciò sotto i colpi
della sua spada e sotto i suoi piedi.
Però, mentre lo sottometteva, guardandolo negli occhi non
vide la vera e vigliacca vergogna di chi ha tradito ed intuì che
c’era qualcosa in più da scoprire su quella triste, strana
vicenda, che aveva messo un grande serafino contro l’altro.
Sentì come se qualcosa di superiore gli indicava di lasciarlo
andare.
Alzò il piede e la spada e lo lasciò volare via, urlandogli:
“Ci rivediamo sul campo fratello! Sempre se non cambi idea!
Adesso non posso, ma avrei dovuto ucciderlo.” Pensò tra sé.
Era stato uno degli Arcangeli Serafini più giusti mai creati.
Michele non se la sentì di infilzarlo con la sua spada.

117
Come mai sei caduto dal cielo,
Lucifero, figlio dell'aurora?
Come mai sei stato steso a terra,
signore di popoli?
Eppure tu pensavi:
Salirò in cielo,
sulle stelle di Dio,
innalzerò il trono,
dimorerò sul monte dell'assemblea,
nelle parti più remote del settentrione.
Salirò sulle regioni superiori delle nubi,
mi farò uguale all'Altissimo.
(Isaia 14. 12/15)

L’Arcangelo Lucifero scappò via moribondo, raggirato


dall’unico ma grave peccato che aveva commesso dall’alba
della sua creazione.
Gli costò caro quel vile quanto ingenuo atto di superbia con
cui voleva farsi uguale all’Altissimo.
Ogni volta che non si vuole condividere, ma si vuole agire in
egoismo, si sbaglia ed il risultato è il caos.
Ed il Serafino Lucifero aggiunse caos al caos.
Sarebbe bastato parlare a suo fratello e dirgli quella verità, che
comunque l’Arcangelo Michele prima o poi avrebbe capito o
saputo lo stesso.
Ma era la vergogna che lo tratteneva adesso.
La vergogna di aver agito come quelli che avevano sempre
combattuto. Coloro che ambivano alla gloria di sé stessi e non
alla gloria del Signore dell’Amore e della condivisione, Elì.
Dopotutto erano stati creati e mantenuti così a lungo in vita,
per intervenire solo quando le situazioni erano disperate, non
per scagliarsi l’uno contro l’altro.
Perché se vivevano da così tanto tempo, non era per artificio
loro, ma perché un’altra forza superiore era intervenuta per
acconsentirlo.

118
Erano antichi come An stesso.
Ora l’Arcangelo Lucifero era costretto a scappare come un
demone. E chissà, ormai lo sarebbe diventato davvero.
Il sentiero dell’oscurità una volta imbarcato è difficile da
lasciare.
Il portatore di luce, dopo aver illuminato per un’ultima volta
gli esseri umani, scappò via.
I migliori guerrieri che il mondo avesse mai conosciuto
avevano fatto la loro più grande battaglia, non sapevano che
forse sarebbe stata l'ultima, credevano di essere venuti alla vita
solo per quello scopo, combattere la tirannia e difendere il
coraggio e l'onore delle tradizioni virtuose e nobili degli esseri
viventi.
Il generale Michele Arcangelo non riusciva a spiegarsi quello
che era avvenuto ed aveva molto dolore per come erano andate
le cose. Sentiva che si era battuto bene con i suoi Arcangeli
guerrieri, ma sentiva anche che aveva versato sangue di
fratelli, in una delle più violente battaglie fratricide mai
esistite.
Fu allora che il loro comandante in campo Michele li sorprese,
poiché li riunì per parlargli, per dire loro cose che li avrebbe
feriti, non di un taglio di spada, ma di quelli che non ti uccide,
al più ti guarisce.
Egli disse loro che il tempo di combattere con la spada era
finito ed un altro tempo era ora cominciato, quello in cui si
combatte col perdono e la compassione verso lo stesso tiranno
contro il quale si erano sempre misurati.
Tutti lo ascoltarono delusi e amareggiati, ma egli disse loro:
"Se voi foste bilancia ed aveste sempre una coppa piena e
l'altra vuota, come fareste a portare equilibrio in essa, per non
farla essere sbilanciata da una sola parte?"
“Aggiungeremmo nella coppa vuota della bilancia.”
Risposero i guerrieri, non capendo dove il loro comandante
volesse arrivare.
” Orbene.” Disse il loro comandante:

119
“Come faremo a sconfiggere la tirannia se daremo ad essa il
peso della stessa coppa?”
“Non l'avremo sconfitta, ma saremo caduti nel suo stesso
incubo vizioso ed avremo alimentato solo la sua coppa."
"Allora.” Risposero i guerrieri:
“Perché abbiamo combattuto e perché ci hai guidati in
battaglia?”
"Perché?” Ribadì il comandante:
“Io stesso avevo bisogno di comprendere che quando nasce un
vero essere vivente, non viene alla vita, ma viene alla Luce e
quando avrà compreso cos'è la vita, combattendo in campo
come un vero guerriero, sarà bene che comprenda cos'è la
Luce a cui è venuto, così che, oltre ad essere un grande
guerriero di Terra e di Materia, sia anche un grande guerriero
di Cielo e di Spirito."
Nel momento in cui Michele si accorse di quello che era
realmente successo, si presentò al cospetto di En Ki, l’Elohim
da lui più stimato, perché ritenuto un giusto.
En Ki gli spiegò tutto quello che era avvenuto e che mai aveva
fatto una vera preferenza, se chiamare all’azione un serafino
anziché l’altro, tanto sapeva che non avrebbe fatto differenza,
poiché in fine avrebbero dovuto agire insieme, come sempre
era successo.
Questa volta le cose però erano andate diversamente.
Neanche En Ki si aspettava il comportamento che avrebbe
assunto l’Arcangelo Lucifero.
Aveva fatto eccome differenza e forse quel male era venuto
come sempre per far emergere la Luce.
Sulla Terra intanto regnava il caos.
Il sapiens umano, clonato da un neanderthal ed un anunnaki, si
era diffuso ed incrociato con il neanderthal puro, che era
naturalmente già presente e sparso da secoli sul pianeta.
Era stata data vita a diversi tipi di umani in quel trentennio.
Quelli che si erano accoppiati con il neanderthal e quelli che
avevano scelto sapiens loro simili.
Vi era una sostanziale differenza tra i due.

120
Il colore del sangue dei sapiens accoppiati con altri sapiens era
di una tonalità che tendeva al bluastro, poiché gli esseri
sapiens creati in laboratorio erano di sangue predominante
anunnaki, che era proprio di questo colore tendente al bluastro.
Per dirla breve, i cloni sapiens erano dei sangue blu.
Gli altri avevano un colore del sangue quasi da neanderthal
puro, poiché in questo caso, era prevalso invece il gene di
quest’ultimo, quindi era rosso scuro.
En Lil mandò dei soldati in missione per capire quale fosse la
gravità della situazione.
Nulla da fare. Gli uomini si erano ormai diffusi in tutto il
territorio terrestre, gestendo in modo autonomo il lavoro nelle
miniere, diffuse dovunque.
Questo, se la situazione fosse stata normale, sarebbe pure
potuto stare bene al Signore della guerra e del cielo.
Ma la situazione era invece diversa.
Quegli esseri avevano coscienza e anima.
Il generale supremo En Lil sarebbe stato quindi costretto ad
applicare il piano riservato a tutte quelle volte in cui si fosse
manifestata questa necessità, nel caso in cui fosse fallito il
primo piano, come infatti era capitato sulla Terra.
Visto che non era stato possibile creare un essere schiavo
automa, privo di libera coscienza, sottomesso ad obbedire agli
ordini per l’estrazione dell’oro, e non riproducibile se non in
laboratorio, adesso avrebbe dovuto creare una intera civiltà
sottomessa, agendo sulle coscienze ormai presenti in quei
corpi e condizionando le loro azioni al fine di creare una razza
succube dell’oro, senza capirne bene nemmeno il motivo, data
la non eccellenza di tale materiale in nessun uso, se non nel
campo tecnologico, che non era ancora di certo alla portata di
esseri da considerarsi appena nati, come erano gli umani
primitivi di 315.000 anni fa.
En Lil decise di mettere a capo delle prime grandi tribù che
formò, con caratteristiche e stampo anunnaki, alcuni dei suoi
reggenti, accompagnati da fedelissimi sapiens, a cui era stata

121
inviata un’apposita dimensione alter di uno di noi che
manipolasse i suoi comportamenti a nostro comando.
Erano esseri molto alti quelli puri, perché si erano accoppiati
tra cloni, mentre gli incroci di seconda generazione accoppiati
con i neanderthal erano di altezza simile a quella degli uomini
contemporanei.
Non fu facile organizzare tali gruppi.
Molti dei capi erano più neanderthal che sapiens, poiché erano
frutto di accoppiamento tra sapiens e neanderthal puri e non
tra sapiens e sapiens clonati.
Il loro sangue era rosso, non blu.
Andava studiata una strategia precisa e meticolosa.
I sapiens con prevalenza neanderthal non si facevano
soggiogare facilmente.
Quelli col sangue blu erano quasi anunnaki, quindi erano
facilmente controllabili.
L’oro doveva diventare un bene di prima necessità, anche se in
quel momento storico, non sarebbe servito a nulla, se non ad
adornarsi.
I capi tribù, istruiti direttamente dal generale En Lil ed a lui
obbedienti, cercarono di fare perdere agli uomini la storia
dell’Eden e del lavoro dell’estrazione del metallo, iniziata
dagli umani allo giungere dell’età giusta per lavorare e
tramandata di padre in figlio, per far felici i loro Signori, gli
Elohim.
L’estrazione doveva diventare un sistema predominante, non
un sistema educativo tradizionale.
Ormai l’essere umano aveva perso la sua docilità.
Inizialmente furono costruiti monili, coppe ed oggetti
ornamentali corporali preziosi, sfruttando la qualità del
metallo, per la quale ha una resistenza al tempo molto lunga
senza ossidarsi né rovinarsi particolarmente e si può
facilmente lucidare e ripulire.
Ogni capo tribù e membro stimato, doveva avere oggetti di
tale tipo per ricevere una buona sepoltura ed essere tumulato

122
con un tesoro che evocasse i vecchi tempi di quando si veniva
allevati per tale ragione, l’estrazione dell’oro dalle miniere.
Doveva rimanere come una sorta di leggenda alla portata di
pochi e che man mano sarebbe stata persa.
Più in là nel tempo, sarebbe stato il metallo usato per lo
scambio commerciale tra le varie tribù e sarebbe stato forgiato
in monete.
Poteva funzionare, perché comunque una sua caratteristica
evidente è che quella di essere difficile da trovare e da estrarre.
Anche se lo scambio commerciale sarebbe potuto avvenire in
tantissimi modi possibili, tanto fu fatto bene il lavoro di
lavaggio psichico negli umani, che nessuno pensa come mai su
tutto il pianeta sia stato attuato sempre e solo con quell’unica
risorsa mineraria, l’oro.
Una volta istruiti tutti i capi tribù di tali direttive si visse
comunque in questo modo.
Tutti gli scambi tra popoli su quasi l’intero globo terrestre
divennero ben presto regolati dall’oro.
Se ne produceva in grandissime quantità, dove era possibile.
Ogni tribù manifestava la sua potenza dal quantitativo che
riusciva a possederne.
Tutto ciò fu tramandato fino ad oggi nella vostra civiltà
terrestre moderna.
La riserva aurea di una nazione è indice del suo buono stato di
salute economica.
Ed ecco servita la pillola di En Lil anche per il pianeta Terra.
Il piano era stato applicato.
I reggenti se ne andarono dopo circa 300.000 mila anni e
lasciarono i loro umani sangue blu al comando 13.000 anni
prima di Cristo.
Avrebbero governato da Nibiru o dai pianeti adottivi,
collegandosi ai sangue blu per mezzo della facile e
programmata possibilità di sintonizzarsi con loro mediante la
dimensione alter.

123
Facilità dovuta alla compatibilità genetica dei sangue blu stessi
molto più alta che nei sangue rosso, progettata volutamente in
laboratorio all’origine della creazione umana.
Avevamo fatto sì che la prevalenza della nostra stirpe ed il
nostro gene venissero rigorosamente tramandati in modo
diretto, reputando tale principio un vincolo inoppugnabile per
chiunque volesse regnare sulla Terra.
Chiamammo questo filo di collegamento, aristocrazia, poi
denominata potere temporale, e religione, poi denominata
potere spirituale, che erano i due maggiori sistemi di controllo
che introducemmo nel pianeta.
Facemmo in modo che in queste famiglie terrestri di sangue
blu, ogni primogenito continuasse la stirpe sul sentiero
aristocratico e temporale, mentre ogni secondogenito su quello
religioso e spirituale, per non perdere in nessun caso il filo
genetico diretto tra i cloni puri più fedeli.
Tutto ciò, altro non era che una linea diretta tra la dimensione
anunnaki e quella umana, per poter meglio controllare il
pianeta e di conseguenza il nostro “prezioso” metallo.
Ogni capacità umana doveva essere occultata e nascosta agli
occhi degli uomini.
Esseri potenti oltre ogni misura, essendo padroni di coscienza
e anima.
Dovevate invece essere obbedienti e docili, per poter essere
sempre a servizio del vostro padrone e creatore.
I nostri reggenti vi chiesero nel tempo sacrifici di ogni tipo,
per testare ed essere sempre certi e confortati dalla vostra
sudditanza e che non eravate coscienti di voi stessi.
Prima statue e costruzioni, poi grosse piramidi, immensi
edifici e templi innalzati in nostro onore.
Poi dopo, anche sacrifici di animali immolati ai nostri altari e
spesso purtroppo anche sacrifici umani.

1 Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse:
«Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!».

124
2 Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami,
Isacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di
un monte che io ti indicherò».
3 Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé
due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l'olocausto e si
mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato.
4 Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel
luogo.
5 Allora Abramo disse ai suoi servi: «Fermatevi qui con
l'asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi
ritorneremo da voi».
6 Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio
Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono
tutt'e due insieme.
7 Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!».
Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la
legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?».
8 Abramo rispose: «Dio stesso provvederà l'agnello per
l'olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutt'e due insieme;
9 così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui
Abramo costruì l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco
e lo depose sull'altare, sopra la legna.
10 Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare
suo figlio.
11 Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse:
«Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!».
12 L'angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e
non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai
rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio».
13 Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato
con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete
e lo offrì in olocausto invece del figlio.
(Genesi 22. 1/13)

125
L’oro, una risorsa quasi insignificante sulla Terra, se
paragonato all’acqua, all’ossigeno o agli alberi, riuscimmo a
farlo arrivare, come sempre, all’apice del sistema di vita degli
esseri del posto colonizzato, che lo facevano essere più
prezioso anche della stessa acqua, senza la quale invece la vita
stessa non sarebbe mai esistita.
Non ci sarebbe stata fretta poi per farlo diventare un’unica
riserva virtuale ed imporgli i nostri sistemi di controllo
computerizzati, che erano stati già sperimentati in altri pianeti
e che governavano lo stesso nostro Nibiru.
I raigòn.
Come li chiamate voi qui, i computer.
Secoli dopo, i nostri sistemi informatici furono fatti giungere
fino a voi da cyber piloti clonati, tramite finti incidenti di
nostre navicelle spaziali, ben equipaggiate con raigòn
all’avanguardia, schiantate appositamente sul suolo del vostro
pianeta.
I sistemi informatici ad alta tecnologia furono decifrati tramite
la vostra retro ingegneria.
Quando capimmo che ne eravate capaci vi mettemmo nelle
condizioni di farlo, ed in pochi anni passaste dal cavallo
all’aereo a propulsione e dalla calcolatrice elettronica ai
personal computer.
Uno degli incidenti più noti alla vostra storia fu quello
avvenuto a Roswell, una cittadina degli Stati Uniti, nel Nuovo
Messico.
Presto comunque, i nostri sangue blu, che avevano una parte di
gene neanderthaliano, si rivelarono poco sicuri alla
discendenza della stirpe ed a tramandare l’antico segreto.
Gli aristocratici iniziarono ad innamorarsi e scegliere qualsiasi
altro umano per accoppiarsi, senza voler accettare il nostro
inoppugnabile vincolo al sangue blu, come avevano fatto
millenni prima con il neanderthal.
In tal proposito, ci fu una donna in particolare sul vostro
pianeta, che fece di questo nostro principio il suo martirio.
Il suo nome era Rose Cross, nobile aristocratica d’Inghilterra.

126
In questo caso, avremmo rischiato di perdere il filo diretto
genetico, studiato appositamente in laboratorio ed era quindi
prevista la morte a chiunque di voi umani si opponesse.
Non potevamo permetterci di perdere il controllo ed il contatto
con voi altri e l’ottenevamo tramite coscienze impiantate in
esseri influenti del vostro pianeta o tramite controllo con
dimensionale alter.
L’impianto di coscienza funzionava quasi solo su esseri di
sangue blu, quello del controllo dimensionale alter si poteva
applicare su entrambi, anche su molti umani di sangue rosso,
ma su questi ultimi, non sempre funzionava ed era rischioso e
poco sicuro.
Dovevamo quindi avere sangue blu tra i vostri leader, per
essere tranquilli di avere infiltrati tra i terrestri.
Il messaggio della minaccia di morte, credetemi, veniva fatto
recapitare per bene nonostante la distanza tra i popoli.
Molti vostri aristocratici appartenevano ormai al nostro
popolo, perché era stata impiantata loro una coscienza
anunnaki ed all’inizio del loro corso di vita erano stati presi
contro il loro volere, sostituiti e riportati alla loro vita, come se
nulla fosse accaduto.
Voi, quando vi siete accorti di qualcosa, li avete chiamati
rapimenti.
Ne facemmo molti, anche senza sostituire, ma solo per
confondere le nostre reali intenzioni o per sperimentare.
In altri casi, venivano solo pilotati con le dimensioni alter, con
pratiche di controllo mentale a distanza che impartivano ordini
e condotte.
Comunque, se ci interessava ottenere qualcosa tramite
influenza diretta sui vostri potenti, in un modo o nell’altro ci
riuscivamo.
L’unica cosa era, che il caso di quella vostra Rose Cross,
dimostrava che dovevamo lasciare perdere gente in vista e
cercare un metodo alternativo più discreto.
Troppa attenzione di umani e di media nei confronti di
quell’increscioso episodio non andava affatto bene.

127
Decidemmo quindi di optare per persone meno in vista che
avevano il sangue blu, ma non si facevano chiamare più né
conte, né contessa.
C’era una tribù della Terra in particolare, che sin dall’inizio
aveva sempre voluto in qualche modo collaborare con il nostro
popolo ed in essa trovammo un’ottima compatibilità genetica
per comunicare e dare direttive.
Voi li chiamate gli Ebrei Sionisti.
Li facemmo presto diventare i padroni del vostro mondo.
Lo governavano tramite il sistema economico del debito che
avevamo già sperimentato in passato ed applicato su molti
pianeti colonizzati e che è basato sulla globalizzazione delle
economie di scambio e sull’usura.
Presto facemmo diventare ogni essere della Terra un nostro
ideale debitore sin dalla sua nascita, tramite delle banche
centrali che erano comandate da gruppi di uomini dal sangue
blu, ma poco in vista, che dovevano prima o poi sostituire i
nobili aristocratici.
Molti degli aristocratici finirono per riciclarsi proprio tra i
Sionisti.
Le banche, in origine, le facemmo nascere usando uomini che
derubavano le vostre navi commerciali delle monete d’oro
ricavate dagli scambi.
Pertanto, consigliammo ai mercanti tramite nostri uomini, di
lasciare l’oro come garanzia nelle nostre casse e scambiare nel
commercio con titoli cartacei di valuta da noi minuziosamente
elaborati e firmati, con tanto di marchio in cera lacca.
Presto diventammo padroni di tutto l’oro e lasciammo a voi
umani la carta dei nostri titoli di credito, che i predoni non
potevano usare per farci proprio nulla.
Quindi, voi aveste la sicurezza, noi avemmo l’oro.
I carichi erano troppo difficili da derubare, per cui il problema
dei saccheggi sembrava risolto.
Con i famosi pirati del commercio, sicuramente sì, ma con noi,
no di certo.

128
Ben presto il costo di queste operazioni diventò così caro, che
sarebbe stato meglio rischiare di essere depredati, perché tanto
gran parte dei proventi di tutti i commerci, finivano
ugualmente derubati, ma abilmente e quasi completamente
nelle nostre mani.
A suo tempo portammo questi titoli cartacei ed anche semplice
denaro di scambio in forma virtuale, in una banca dati
possibile tramite elaboratori computerizzati e carte denaro con
chip.
Con il denaro virtuale ed il sistema di tassazione diretta agli
esseri umani, che passava tramite il debito, che il loro Stato
aveva contratto direttamente con noi, e che quindi gli umani
avevano contratto con il loro Stato, abilmente ottenuto con
inganno informatico dei dati e manomettendo i risultati dei
calcoli computerizzati, il nostro sistema piramidale ben presto
è riuscito a controllare ogni tipo di risorsa sul pianeta Terra e
dovunque abbiamo applicato questo stratagemma.
Tutto è diventato sotto il nostro controllo.
L’energia, per illuminare, per scaldarsi, per lavarsi, per
cucinare. Il cibo. Il lavoro.
Tutto controllato dal nostro sistema centrale tramite gruppi e
società che voi oggi chiamate multinazionali, che fanno capo
ad un unico data base globale comandato dalle lobbie
massoniche di illuminati, col quale nome soprannominaste i
vostri leader ed i nostri schiavi.
Lavoravamo a quest’ultimo progetto sin dal XIV secolo d.C.
Siamo riusciti a metterlo in pratica sulla Terra, quasi
integralmente, nel XXI secolo d.C.
Ma il piano non è ancora del tutto concluso.
Oggi ogni essere umano può vendere e può comprare solo
tramite il nostro sistema, tranne per le più piccole operazioni
di scambio che sono possibili ancora anche con la moneta
denaro.
Tutto il resto si può fare solo tramite un chip, presente sulle
carte moneta magnetiche, che strisciano su una macchinetta
elettronica che sottrae la cifra spesa.

129
In molti casi la spesa totale è calcolata da un’altra macchinetta
elettronica, che striscia direttamente su un codice a barre di
colore nero, presente ormai su tutti i prodotti di consumo, che
calcola dettagliatamente l’intera cifra dovuta dal commercio
effettuato.
Presto il nostro progetto sarà ultimato.
Davvero ogni cosa potrà essere acquistata senza mezzi
intermediari ottenuti con macchinette elettroniche, ma
direttamente dall’uomo, strisciando la sua carta moneta ed il
relativo chip sul codice a barre del bene che si intende
acquistare.
Rappresenta il completamento della nostra invenzione, ed
inoltre è la garanzia che tutto passi tramite il nostro controllo.
Il vostro cibo, la vostra salute, la vostra posizione, il vostro
lavoro, le vostre scelte di consumo su ogni aspetto della vita,
saranno nel nostro data base.
Successivamente faremo in modo che tale chip sia impiantato
in ognuno di voi, al capo o alla mano destra, così potrà fare a
meno anche della carta moneta ed il chip diverrà un marchio
che chiunque deve portare per forza con sé, perché lo porterà
dentro di sé.
Si è iniziato a sperimentarlo solo suoi vostri animali domestici
e su pochi esseri umani.
Questo è comunque il nostro obiettivo finale.
Meglio dire, questo è l’intento di una parte del mio popolo.
Non di certo di noi di Asterope.
Il vostro evangelista Giovanni, il visionario, aveva intuito che
sarebbe giunto questo giorno.
Egli infatti scrisse:

16 Inoltre faceva sì che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e


poveri, liberi e servi, fosse posto un marchio sulla loro mano
destra o sulla loro fronte.

130
17 E che nessuno potesse comperare o vendere, se non chi
aveva il marchio o il nome della bestia o il numero del suo
nome.
18 Qui sta la sapienza. Chi ha intendimento conti il numero
della bestia, perché è un numero d'uomo; e il suo
numero è seicentosessantasei.
(Apocalisse di Giovanni 13. 16/18)

Ecco, allora il numero 666 dov’è?


Chi ha intendimento può contare questo numero?
Certo che può. Abbiamo parlato di lettori con chip e di codici
a barre per avere il controllo. Quindi chi ci consente di fare
tutto questo?
Si è ampiamente capito che tutto avviene tramite raigòn o i
computer, come li chiamate voi, a data base centralizzati.
Ora, si guardi il numero di posizione delle lettere che
compongono la parola “computer”, nell’alfabeto più comune
del vostro pianeta, quello inglese, che è il linguaggio più
diffuso sulla Terra, considerando il seguente elenco
dell’ordine alfabetico, saranno:

A=1
B=2
C=3
D=4
E=5
F=6
G=7
H=8
I=9
J = 10
K = 11
L = 12
M = 13
N = 14

131
O = 15
P = 16
Q = 17
R = 18
S = 19
T = 20
U = 21
V = 22
W = 23
X = 24
Y = 25
Z = 26

E pertanto:

C corrisponderà alla lettera numero 3


O corrisponderà alla lettera numero 15
M corrisponderà alla lettera numero 13
P corrisponderà alla lettera numero 16
U corrisponderà alla lettera numero 21
T corrisponderà alla lettera numero 20
E corrisponderà alla lettera numero 5
R corrisponderà alla lettera numero 18

Adesso provate a moltiplicare ognuno di questi numeri per il


numero 6, tema ripetuto tre volte nello stesso 666.

Avremo 3x6 = 18
Avremo 15x6 = 90
Avremo 13x6 = 78
Avremo 16x6 = 96
Avremo 21x6 = 126
Avremo 20x6 = 120
Avremo 5x6 = 30
Avremo 18x6 = 108

132
18+90+78+96+126+120+30+108= 666

Una vera forma di “Sistema organizzativo umano”, dominato


proprio dai computer e reso possibile tramite essi, primeggia
dovunque sul pianeta Terra ed è strutturato a pennello per
proporvi uno schema di vita in cui finire intrappolati e
manipolati, e come direbbe Giovanni Evangelista, porta
proprio davanti alla vostra intelligenza ed ai vostri occhi la
relazione tra gli stessi computer, che lo rendono possibile, ed il
numero 666.
Si consideri pertanto, che il termine Sistema, può essere
intuitivamente associabile alla parola scomposta dal latino
“Six Tema” ovvero “Tema del Sei”, tema che infatti viene
ripetuto tre volte in questo, non più fantomatico, ma evidente
numero chiave.
Ecco anche l’importante parola “Sistema”, con la quale oggi si
indica tutta l’organizzazione politico economica appena
descritta, avere ancora una stretta relazione con il numero 666.
Questo calcolo, per chi ha intendimento per contare il numero,
nulla ha a che vedere con la casualità, poiché erano infinite le
possibilità che il numero potesse essere qualsiasi altro, viste le
ventisei posizioni possibili nell’alfabeto inglese delle singole
lettere che compongono la parola “computer” e guarda caso, il
mezzo per governare gli uomini, viene in forma ridotta
chiamato, anche e proprio, “Sistema”.
Adesso spero abbiate intuito quello che voleva intendere
Giovanni con il 666. Un codice a barre regolato in qualche
oscuro modo, proprio da questa sequenza del numero sei,
senza del quale uso saranno tutti esclusi dal mondo.
Anche agli uomini stessi è stato dato, poiché soprattutto loro
stessi sono il principale prodotto di consumo per il mungitore
di energia.
Dietro alla scheda che viene assegnata ad ognuno di essi, dal
sistema chiamato “Tessera Fiscale”, ogni uomo ha un suo
personale codice a barre. Come se l’uomo appartenesse già
dalla nascita a qualcuno, allo stesso modo di una penna Bic o

133
di un brick di latte. State certi, ognuno di voi è collegato ad un
titolo di credito bancario dell’istituto che in qualche modo vi
possiede come esseri produttivi di consumo.
Questo è il mondo che vi abbiamo confezionato su misura.
Ma non siamo tutti così.
Noi anunnaki siamo anche enkiliti.
Il nostro generale En Ki vuole ancora combattere la vostra
causa. Egli è un reggente reimpiantato migliaia di volte, quindi
vive ancora oggi.
Così anche Michele, combatterebbe per un’ultima volta,
perché ormai sa dov’è la ragione.
Combatteremo con voi se ce lo permetterete.
Con Denis abbiamo capito che una strada possibile ci sarebbe,
per riuscire a farvi scoprire che cosa realmente ci sia, dietro a
questo segreto ed oscuro piano. Cosa si nasconde realmente
dietro al numero della bestia.
Un umano, ma per puro caso con sangue blu, che non è un
reggente e nemmeno un impiantato, ha sentito il nostro
richiamo e non è ancora impazzito. Gestisce bene la sua
schizofrenia data dall’ospite esterno, cioè da me, e forse con
lui potremmo diffondere la verità sul pianeta Terra. Potrebbe
non risolvere nulla, ma almeno sapreste, ed a volte essere
informati crea saggezza e soluzioni, come insegna lo stesso
principio creativo che accomuna tutti gli esseri viventi, il
DNA, basato proprio sull’informazione.
Si potrebbe cercare ancora un punto di unione tra i nostri
popoli e continuare tutti il nostro normale cammino di
evoluzione in pace ed armonia.
Io, Hac Him di Asterope, voglio un gran bene a Denis e so che
anche lui me ne vuole. Sono sempre un anunnaki, non è facile
portarmi con sé, ma lo fa con forte sacrificio, coraggio e
grande amore. Spero di poterlo presto lasciare in pace.
Vorrei incontrarlo fuori dal suo corpo e passare un po’ di
tempo con lui, come due esseri concretamente e realmente
diversi, che scambiano e condividono reciprocamente.
Grazie a lui, noi enkiliti abbiamo trovato un’altra speranza.

134
Che l’uomo sappia e tramite la conoscenza si risvegli.
Che la Terra sappia cosa vi è successo.
Che gli anunnaki non sono tutti uguali e non sono tutti
demoni, e che tra noi c’è ancora chi sente la propria anima
come voi umani. Tramite l’uomo, potrebbe essere possibile
aiutare anche quelli di noi che non la sentono più, e quelli di
voi che sentono solo il peggio di noi.
Il vostro Cristo Gesù disse:
“Ama il tuo nemico.”
Denis lo ascoltò e cercò di amare sé stesso in tutto e per tutto,
amando anche me.

135
Capitolo quinto
DENIS E LA STRANA SCHIZOFRENIA.
Il PRIMO ADDESTRAMENTO E L’ADDESTRAMENTO
ONLINE COL PRETE EBREO

Denis Spadaro dunque, o Denis Sarti de Piavonelli, sarebbe


meglio poter dire?
Figlio del Conte Andrea Sarti de Piavonelli, famoso musicista
italiano, chiamato però col suo unico vero nome di nascita,
dovuto alla sua unica, chiara origine conosciuta, Andrea
Spadaro, in arte Andrea Spada.
Bella famiglia di artisti per avere un sospettoso e sinistro
sangue blu. Qui, sicuramente aveva avuto un ruolo
fondamentale l’incrocio genetico con nonna Mariele.
Andrea con le sue orchestre girò l’Italia per prestigiosi teatri,
suonando nelle riviste più famose delle città della penisola e
lavorò persino in televisione, al secondo canale nazionale.
Ma in famiglia non rimase l’unico artista stravagante.
La nipote Clarissa, in arte Clara Spada, come si è già detto,
divenne una grandissima ballerina, cantante dalla splendida
voce e conduttrice stimata e rinomata per la sua originale e
meravigliosa vena artistica, anche a livello internazionale.
Sembrava avere un magico e magnetico collegamento
ancestrale con suo nonno Andrea, che purtroppo morì prima di
poter assistere alla sua espressione artistica più florida, anche
se avrebbe scommesso su di lei sin da quando, commosso, la
vide apparire in televisione a soli 7 anni.

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Tutti loro, in famiglia, avevano una chiara propensione all’arte
in generale, da cui erano notoriamente ed indiscutibilmente
affascinati.
Romina una voce da soprano, Riccardo uno spiccato
umorismo da comico di cabaret, Ferdinando un regista e
coreografo mai messosi realmente alla prova, Denis uno
scrittore e poeta mancato.
Nessuno tra loro aveva sospettato mai niente riguardo alla, a
dir poco strana, vera origine genetica.
Ormai il Conte Augusto aveva smesso di seguire Andrea di
nascosto, quando lo aveva saputo sicuro in un lavoro, che
nulla aveva a che fare con le capacità artistiche del figlio
illegittimo, ma più stabile dal punto di vista della possibilità di
condurre una vita tranquilla accanto a sua moglie Clarissa ed
ai suoi quattro figli.
Andrea infatti iniziò a lavorare come impiegato al Tribunale di
Foggia.
Il suo zampino nella stabilità del figlio, né riconosciuto, né
mai messo al corrente di nulla, non mancava mai.
Senza farsi notare da alcuno, e forse pure sull’aspetto artistico,
una buona parola ma meritata, viste le indiscutibili capacità di
Andrea, era sempre e puntualmente partita proprio dal Conte
Augusto.
A Lucera, qualcuno la storia la sapeva pure, ma si trattava
ormai di vecchietti che narravano i fatti, come se una fiaba non
sembrasse più vera a sentirla raccontare.
Il tempo era passato e la storia pure.
Nessuno ci avrebbe né mai pensato, né più ci sarebbe tornato
sopra.
Ma il destino incontra sempre chi vuole incontrare e Denis un
giorno avrebbe saputo.
Tra i figli di Andrea, era quello più simile a suo padre.
Mamma Clarissa gli diceva sempre:
“Ho visto la sua immagine quando nascesti.”
Era nato quando Andrea stava decidendo di lasciare tutto
definitivamente, famiglia e paese.

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Nessuno lo sapeva ancora.
Doveva fare una scelta importante, poiché era evidente che a
Lucera non ci fosse mai.
La famiglia o la carriera artistica.
Tornava a casa solo per salutare i bambini, di ormai nove anni
Riccardo, otto Ferdinando e sette Romina.
Aveva bisogno di capire cosa desiderasse. Stare a casa con la
sua famiglia, o lasciare tutto ed andare in giro per la sua vera
grande passione.
La musica.
Fu davvero difficile prendere una strada anziché un’altra, ma
doveva farlo e pure velocemente.
Ormai la situazione era diventata insostenibile.
Andrea prese la sua decisione.
Non scelse la cosa giusta per lui. Scelse la cosa giusta per loro,
come spesso fanno i troppo buoni di cuore.
Rimase a casa e lasciò la carriera artistica, impiegandosi al
Tribunale dopo una serie di concorsi, sempre fatti in pubbliche
amministrazioni.
Non so se si poté mai perdonare di questo e forse credo
proprio di no, ma fu proprio da questa folle ed apparentemente
ragionevole scelta che ebbe origine l’idea di far nascere Denis.
A volte le scelte ragionate sono peggio di pugnalate al petto.
Infatti, Andrea non lo disse mai, ma questa importante
decisione pesò sulla sua vita come una coltellata al cuore.
E chi può nascere nel pieno corso di una coltellata al cuore?
Ma certo, un figlio che manifestasse il momento di follia
metaforicamente suicida del padre.
Un figlio metaforicamente matto.
Matto, ma di una pazzia di cui nessuno si accorgeva se solo lui
non volesse.
Denis era un bambino più che strano, ma spesso anche più che
chiaro e normale.
Dotato di una vivacità simile a quella di suo padre Andrea da
bambino, aveva una sensibilità enorme, come nonna Mariele,
morta prima ancora che lui nascesse e come nonno Cecco

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morto ancor prima di Mariele, accompagnata da
un’intelligenza intuitiva, che spesso lo faceva essere persino a
disagio, poiché sembrava una strana e curiosa fortuna nel dare
le risposte a qualsiasi cosa.
Il suo maestro delle elementari a tratti non riusciva a capire né
a credere.
“Ma come diavolo fa?” Si chiedeva.
“Non ho ancora finito di scrivere il periodo alla lavagna, devo
ancora formulare la domanda e lui cosa fa, mi dà già la
risposta, ma almeno mi facesse chiedere prima!”
Aveva inteso come se fosse una specie di genio, tanto da
portarlo, quando Denis faceva la prima elementare, a seguire
le lezioni di quelli di terza nella classe di una sua collega,
ormai curiosa come lui, per i racconti ascoltati durante le
pause dall’amico maestro vicino di aula, per poi poter
rispondere alle domande finali insieme agli altri e per vedere
se fosse all’altezza di rispondere a quesiti su programmi di due
classi superiori.
Bene, a dire il vero spesso lo era.
Attività pomeridiane e recite scolastiche in ruoli da
grandicello, quindi da bambino di quinta elementare ad
esempio, anche quando faceva ancora soltanto la seconda.
Troppo esuberante, prima o poi si farà scoprire mi dicevo,
perché talune volte le soluzioni partivano proprio da me e lui
le ripeteva soltanto, meravigliandosi di sé, senza sapere
neppure lui stesso come avesse fatto a rispondere giusto.
Ed io dentro di lui assistevo, un po’ divertito, un po’ attratto e
un po’ sorpreso, a tutto questo.
Il maestro, chiamati Andrea e Clarissa al colloquio scolastico,
fece capire che non aveva mai visto nulla del genere, sembrava
assistere ad un’intelligenza intuitiva al di sopra del normale.
Ed in effetti non era andato tanto lontano dalla verità.
A scuola, il bambino ci andava volentieri, anche se va detto
invece, che quando era più piccolo all’asilo non voleva proprio
andarci.

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Odiava mettersi in riga ed allinearsi come tutti gli altri, sin da
piccolissimo.
In prima elementare, al primo giorno di scuola, sedutosi
accanto al suo amichetto, scelto un po’ a caso, un po’ a
simpatia, vide che sia questo che tutti gli altri bambini
impugnavano la penna con la mano destra, per iniziare a
scrivere su un quaderno alcuni trattini ed alcuni puntini che
alla lavagna il maestro mostrava e proponeva per far partire la
prima lezione di scrittura.
Denis rimase fermo a guardare gli altri e ad un tratto il maestro
Gino che girava per i banchi, con aria terribilmente
minacciosa:
“E tu? Non scrivi?
Che c’è, hai paura che la penna ti mangi?”
Al che Denis prese la penna con la mano sinistra ed iniziò.
Sinistro naturalmente, non potei resistere dall’invogliarlo a
scegliere la mano che molti terrestri imputano ai demoni.
Qualche ragione gli anziani l’hanno sempre, prima di
diffondere qualsiasi mito.
Il maestro sorridendo lo lasciò andare.
Era un uomo molto intelligente, non avrebbe corretto un
mancinismo, rischiando problemi psicologici per il bambino,
ma lasciò fare senza nemmeno pensarci su due volte.
Vide subito che sarebbe stato un alunno speciale nel bene o nel
male che fosse, e comunque era mancino anche lui.
Tornando ai tempi dell’asilo, fu una tragedia.
Scappava alle suore non appena ne avesse l’occasione di farlo
e azzuffatosi più di una volta con Suor Elisabetta, che cercava
disperatamente e rocambolescamente di fermarlo, indusse
mamma Clarissa a decidere che forse era il caso di mandarlo
all’asilo pubblico e che magari li sarebbe stato più invogliato a
rimanere con gli altri bambini.
Inizialmente sembrava essere così.
Certo li era più bello, facevano pure lo spettacolo delle
marionette, delle quali i bambini stessi muovevano i fili dietro
la piccola quinta del teatrino mobile.

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Ma la tregua non durò a lungo.
Nel giardino dell’asilo, in uno di quei giorni di fine maggio,
prima che le scuole pubbliche e gli asili chiudessero per le
vacanze estive, Denis non potendone veramente più, arrivato
vicino al muretto di cinta con una piccola sedia presa dalla sua
aula, ci salì, per poi salire ancora sulla sella della bici del
custode, dopodiché scappare via dall’asilo come solito,
saltando giù dal muretto nemmeno tanto basso.
La sorellina di dieci anni Romina, uscita di scuola, quando
andò a prenderlo per portarlo a casa con sé, come faceva tutti i
giorni, non trovandolo più li, nello stupore delle maestre che
non sapevano che fine avesse fatto, aveva quasi avuto un
colpo.
“Hanno rapito Denis?”
Ripeté tra sé, con aria spaventata e smarrita.
Era lei che si occupava ogni giorno di Denis, e adesso come
faceva a dirlo alla mamma?
Anche se non era per nulla responsabile dell’accaduto,
sembrava volersene assumere tutte le colpe.
Tutti e tre i fratelli volevano molto bene a Denis, perché era il
piccolo di famiglia, ma Romina lo aveva sempre tenuto con sé,
quasi appiccicato, come se fosse una bambina madre, per lei si
trattava di un attaccamento completamente diverso.
Fortunatamente Denis tornò a casa e disse a mamma Clarissa
quello che era successo e nei minimi particolari gli spiegò
come era avvenuta la sua evasione dall’asilo.
Clarissa, capito l’accaduto, si recò rapidamente all’asilo
trovando Romina in lacrime e subito la portò con sé a casa,
consolandola e ripetendole che non era stata colpa sua.
Denis era così, un ragazzetto a dir poco strano.
Quando il bambino aveva tre anni, la vicina di casa chiamò
Clarissa a telefono, con tono molto spaventato, avvisandola
che suo figlio Denis passeggiava come se nulla fosse sul
cornicione di casa loro ad undici metri e mezzo di altezza.
Avvisato Andrea, il padre si fece coraggio ed andò a prenderlo
con il terrore che potesse cadere giù, se solo lo avesse

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spaventato, pur semplicemente chiamandolo a voce bassa,
dovendo arrivare li all’improvviso per tirarlo fuori da quel
pasticcio.
Altre volte, gironzolava per i tetti del mercato ortofrutticolo
poco vicino a casa sua, oppure per i tetti dell’intero isolato,
arrivando fino al tetto di zia Michela e bussando alla botola,
gli chiedeva di farlo scendere dalla scala di legno, con lo
stupore della zia, sorella di nonna Mariele, che non sapeva
neppure come ci fosse arrivato a quella botola.
Abitavano tutti sempre lì, nella vecchia stradina accanto alla
cattedrale, dove avevano abitato i bisnonni paterni, genitori di
Mariele e Michela e gli stessi nonni paterni.
Infatti, la zia Michela abitava nella casa ereditata da suo padre
e sua madre a pochi metri dalla casa di Totonno il cavallaro,
che ormai morto, aveva lasciato casa a sua figlia Lucia, mentre
Andrea e Clarissa andarono a vivere dove avevano vissuto
Cecco e Mariele.
Denis aveva sempre avuto la sensazione di vivere una vita non
sua.
Come se qualcuno gli indicasse alcuni percorsi che lui a volte
avrebbe voluto tutt’altro che fare.
Vivere spinto da qualcosa che dentro di te ti indica e ti guida, e
cosa strana, spesso ti guida persino negli errori che sembrano
gravissimi, anche se servono, perché quando vengono superati
ti fanno crescere e diventare uomo.
Diventare uomo, che grande ed impegnativo obiettivo di ogni
essere umano.
Una cosa bellissima, che apparentemente si sviluppa in una
cosa bruttissima. Maturare con l’anzianità e diventare più forti
nella saggezza e nello spirito ed allo stesso tempo invecchiare
col corpo e diventare più deboli e deperiti nel fisico.
Come se il Creatore voglia sempre sottolineare quanto nella
natura umana il bene ed il male siano interconnessi.
Infatti sul vostro pianeta si nasce esseri umani, ma la vera
fortuna è quella di riuscire a diventare veri uomini.

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Un po’ come metaforizza la famosissima fiaba del vostro
burattino Pinocchio.
Denis visse per la strada, anche se i genitori fin quando non
ebbe compiuto 6 anni, non gli avevano concesso neppure un
giorno di vera libertà.
Vista la grande vivacità del bambino, i genitori lo avevano
affidato sotto la completa sorveglianza di sua sorella Romina,
che gli stava addosso come una calamita.
Ma quando Denis iniziò a capire che non gli avrebbero fatto
vedere nemmeno il quartiere se non si fosse imposto,
iniziarono i guai.
Scappava di casa quando Romina ed i genitori erano a dormire
nei caldi pomeriggi d’estate, e via, andava allo sbaraglio nella
zona antica del paese, dove a quell’ora c’erano solo bambini di
strada e personaggi di ogni tipo.
Pensate che ridere, io, guerriero al suo interno, quando capii
che pur avendolo accettato tra loro, dopo tante difficoltà e riti
iniziatici, che compresero anche una grossa pietra lanciatagli
contro che lo colpì in piena fronte, gli altri bambini del
quartiere pensavano fosse del nord Italia, solo perché non
sapeva parlare il dialetto del posto.
Nel paese tutti i bambini lo sapevano parlare.
Presto lo avremmo imparato anche noi.
Ops! Scusate!
Lo avrebbe imparato anche lui.
Ecco, questo è uno dei casi in cui potreste iniziare a capire
meglio di che schizofrenia stiamo parlando.
Denis finì in zone assurde delle periferie del paese.
Frequentava ragazzi molto particolari, direi anche a rischio.
Gli insegnarono a difendersi a parlare in dialetto e persino a
rubare. Nei paesi del Sud Italia è una pratica iniziatica
comune.
Rubavano di tutto, nelle auto, anche solo un portachiavi o un
pettine lasciato lì, qualsiasi cosa nei cortili dei palazzi, oppure
le olive dagli alberi delle campagne più vicine all’abitato.

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Una volta si trovarono persino nella Casa del Lavoro, entrati
dalla finestra, presero tre penne, una spillatrice ed un telefono.
Naturalmente ci giocavano e subito dopo buttavano via tutto.
Presto a Denis questa esperienza sarebbe però bastata.
Infatti, io ero molto divertito, dopotutto erano esperienze del
tutto basso vibratorie, ma quello non era il percorso che avevo
pensato per il suo addestramento, che era iniziato, ma che
sarebbe finito molto più avanti negli anni con la mia scoperta,
o meglio dire con la scoperta e la consapevolezza di avere me
dentro, per poi procedere insieme nella missione ormai nostra
e non solo mia.
Imparò molto dalla strada Denis, e più tardi gli sarebbe
servito.
Da grande sarebbe diventato un uomo di pace e lealtà è vero.
Avrebbe mirato sempre ad evitare gli scontri fisici o la
violenza, per trovare una soluzione bonaria che andasse bene
per tutti.
Anche se in alcune occasioni quella caparbia che impari dalla
strada ti serve ed in taluni casi ti salva la vita.
L’infanzia e l’adolescenza comunque le passò con ragazzi di
strada.
Andrea e Clarissa si aspettavano molto da lui ed in più si
aggiungevano anche i fratelli maggiori Riccardo e Ferdinando
che lo proteggevano continuamente e controllavano ogni suo
minimo passo falso, che preannunciasse anche una benché
piccola possibilità di mettersi nei pasticci.
Denis a scuola elementare ed alle medie era tra i primi della
classe e questo faceva sentire tranquillo suo padre Andrea, che
credeva non avrebbe mai fatto guai, essendo così diligente
negli studi.
Ma fuori dalla scuola si circondava sempre di ragazzi di strada
che erano tutt’altro che tipici bravi ragazzi.
Fino a sedici anni ebbe amicizie di ragazzi che prima o poi
sarebbero finiti in galera, ma cosa strana e che non
coinvolgevano mai, per nessuna ragione al mondo, lui.

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Parlavano di tutto davanti a Denis, trattandolo come se fosse
stato veramente uno di loro, decidevano anche su cose che
scottavano.
Va detto che la vita che vedeva fare a questi suoi amici e che
ascoltava essere quella delle loro famiglie, dei loro genitori,
aveva sempre un chissà che di affascinante per lui.
In queste famiglie si è sempre a rischio di finire in carcere,
quindi si vive giorno per giorno, di quello che offre la
quotidianità.
La felicità è una cosa che si prende alla giornata.
Si festeggia perché si ha denaro per vivere un giorno soltanto,
per vivere un mese, o per essere ricchi tutto l’anno, forse.
Infatti è sempre tutto in forse.
Nessuno pianifica mai nulla, perché oggi ci sei, domani il
processo ti porta via dalla tua famiglia, da tua moglie e dai tuoi
figli e non ci sei più.
In uno strano modo gli mostrarono una forma di vita basata
sull’essere felici giorno per giorno evitando inutili
pianificazioni.
Una forma di buddismo in salsa sud Italia che comunque
proponeva le stesse finalità di vita, anche se con sviluppi
completamente diversi.
Un po’ come dovrebbe fare chiunque si goda la vita ed un po’
come tanti personaggi eroici tratti da romanzi di Hemingway.
Ma mai una volta si permettevano neppure di proporgli di
essere nella squadra per compiere qualcosa di illecito.
Denis aiutami a scrivere questa lettera o a compilare questa
domanda, Denis che ne pensi di questo, Denis che ne pensi di
quello, che significa quello, che significa quell’altro, ma mai
nulla di compromettente.
Sembrava quasi che l’avessero accettato tra loro per mostrargli
il proprio modo di essere ed il proprio modo di vivere,
unicamente per scambiare esperienze.
Loro insegnavano a lui e lui insegnava a loro, ma solo e
semplicemente per fare esperienza.

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Se succedeva una scaramuccia non volevano che si buttasse
nella mischia, nemmeno solo per dividere i compagni.
Niente di fatto.
“Tu stai da parte Denis, ce la sbrighiamo noi.”
Ed io, che sono un guerriero, che quasi mi vergognavo di non
poter combattere e vivere nuove esperienze di scontro.
Rispettavo però, eravamo li per imparare non per essere
violenti o fare del male a qualcuno.
Non ho mai spinto il ragazzo in cui ero a provocare il suo
prossimo o a fargli del male deliberatamente.
L’ho visto solo difendersi in casi estremi. E lo faceva anche
molto bene.
Da ragazzo nella fattoria di suo zio, si fabbricava delle armi
artigianali e se ne andava in giro a caccia per predare qualche
animale qua e là, ma era solo esperienza, ben presto avrebbe
fatto a meno persino di mangiare animali per cibarsi.
Spesso gli capitò di non poter evitare scontri fisici, anche
perché sulla Terra qualche scazzottata è quasi inevitabile, fa
parte della vita.
Certo io dal di dentro c’ero, e partecipavo ai movimenti che
faceva per difendersi che erano comunque, senza che lui
sapesse, l’arte di parecchie migliaia di anni di esperienza di un
guerriero di Asterope.
Denis era capace di tener testa a due o tre ragazzi senza farsi
troppi problemi e spesso senza farsi nemmeno toccare e se
veniva colpito, anche violentemente, non avvertiva il dolore se
non successivamente, ma al momento rimaneva concentrato su
come evitare ogni possibile danno alla sua incolumità e su
come difendersi.
Era importante che lui capisse che bisognava sapersi
difendere, ma solo per essere equilibrati, mai per provocare
nessun altro uomo. Solo e soltanto per conoscere sé stessi.
Mai attaccare, solo difendersi se è strettamente necessario.
Fu bella l’esperienza dell’apprendimento dello scontro fisico
per Denis.
Anche se ad Asterope, come era a Sparta, è tutt’altra cosa.

146
Presto il ragazzo avrebbe capito che non occorre arrivare allo
scontro fisico e che quasi tutti gli uomini possono essere
fermati prima che inizino ogni azione violenta con la sola
forza della psiche.
Riguardo all’esperienza con l’altro sesso si aprì per lui un
capitolo molto determinante.
Lo guidavo io, spesso senza che si accorgesse di nulla, a
confrontarsi ed a porsi in relazione con delle specifiche donne.
A dire il vero, trovai interessante il fatto che ne divenne molto
attratto.
Tramite loro avrebbe potuto apprendere molto di noi e del
nostro piano applicato su questo pianeta.
Dovevo trovare un modo per fare partire questo tipo di
esperienza e condurlo alla mia scoperta, utilizzando magari
proprio la sua grande attrazione per il genere femminile.
Non che non sia una caratteristica di quasi tutti gli uomini del
pianeta Terra, essere attratto dall’altro sesso, ma per Denis non
si trattò mai di una semplice forma di attrazione fisica.
A lui interessava intuirne il mondo.
Avevo capito che sarebbe stata un’impresa a dir poco ardua,
ma mi poteva interessare, perché potevo usarla per condurlo
verso di me e verso la mia conoscenza.
Fatto strano, forse un effetto collaterale della mia subdola
influenza, che aveva una sorta di attrazione e repulsione nei
confronti del genere femminile, ma l’attrazione prevaleva di
gran lunga.
Di solito l’aspetto fisico delle sue scelte sembrava farla da
padrone, ma poi in effetti la cosa continuava solo se c’era il
coinvolgimento intellettuale o lo stimolo della curiosità
intuitiva.
Denis conobbe tante ragazze, ma nessuna, fino a quanto ebbe
trentadue anni, lo aveva ancora rapito in qualche suo mondo
dove voler essere trasportato.
Adesso, mentre sto narrando pagina 147, Denis che scrive
sotto mia dettatura, ha smesso di farlo, perché ha ricevuto una
telefonata.

147
“Ciao, sono Miriam Brandi, vorrei parlarti di una cosa
importante, puoi incontrarmi?”
“Ciao Miriam, va bene. Vediamoci al Bar Aurora. Sono le
18,15, dammi un quarto d’ora, alle 18,30 sarò la.”
“Ok va bene, ci vediamo al Bar Aurora.”
Denis vide per la prima volta Miriam a teatro.
Aveva sempre avuto una grande passione per la recitazione sin
da bambino, si è già detto.
Proprio da bambino il suo primo colpo di fulmine lo ebbe per
Lulù, una fanciulla con stupendi occhi azzurri, che recitava al
teatrino delle elementari con lui.
Quella sera la commedia era bella e divertente.
La protagonista prima attrice giovane, pure.
Era Miriam.
Denis non si fece problemi, incontrata dopo alcuni giorni in un
bar del paese, si avvicinò e le parlò.
Dopo qualche settimana la invitò a bere qualcosa in un posto
carino di un vicino paese di mare.
Miriam subito gli parlò di una storia strana riguardante la sua
famiglia, che era così assurda da sembrare un film.
Denis, un po’ confuso e disorientato, fu spinto a primo impatto
a non chiamarla più.
Dopo qualche mese, alcune amiche in comune che recitavano
nella compagnia teatrale con Miriam, chiesero a Denis se
avesse potuto piacergli fare un corso di teatro con loro.
Sarebbe stato molto interessante, perché tutti i partecipanti
erano già attori dilettanti ed i maestri erano famosi insegnanti
di teatro che si erano offerti straordinariamente per un corso
rivolto a dilettanti.
Fu qui che Denis rincontrò Miriam Brandi.
Le amiche di Denis la facevano stare alla larga da lui.
Una di loro, Paola Tigre, disse subito a Denis di stare lontano
da quella donna, che aveva spesso manifestato delle stranezze
preoccupanti e quindi andava tenuta a dovuta distanza.
Naturalmente erano le parole giuste da dire a Denis per fargli
fare giusto il contrario.

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Tutti la destra? Bene, allora io la sinistra.
Era rimasto sempre così.
Si videro più volte dopo il corso di teatro.
Si innamorarono nonostante gli strani racconti di Miriam
sull’origine della sua famiglia continuassero e dopo qualche
anno si sposarono.
Miriam Brandi era la figlia di Stefano Brandi, a sua volta
figlio del Comandante di Polizia Cesare Brandi.
Al comando di un intero nucleo dell’antiterrorismo di più
regioni del nord Italia.
Suo nonno Cesare aveva guidato le operazioni di polizia che
avevano condotto all’arresto di pericolosi terroristi rossi degli
anni di piombo italiani, alla fine degli anni settanta.
Vivevano tutti a Torino, quando Cesare fu tragicamente e
brutalmente assassinato con un numero esagerato di colpi di
arma da fuoco, da un comando di terroristi all’ingresso del
terminal degli autobus.
Suo padre Stefano fu risparmiato solo per semplice e pura
fortuna, poiché essendo casualmente in ritardo, non era ancora
li con Cesare per prendere l’autobus ed andare a lavoro
insieme, come qualche volta accadeva.
Arrivato li subito dopo, Stefano vide suo padre in un fiume di
sangue, gli assassini avevano purtroppo infierito sul corpo più
del dovuto per farla essere un’esecuzione esemplare.
Il comandante era stato minacciato più volte dai malviventi,
ma non poteva mollare proprio ora, seppure fosse ad un passo
dalla pensione, perché quasi dieci anni di indagini già svolte,
che portava sempre con sé nella valigetta nera, sarebbero
andate in mano a chissà chi.
In quel mondo non ci si poteva fidare più di nessuno.
C’erano talpe insabbiate dovunque.
In polizia, nei carabinieri, nei servizi segreti.
Cesare cambiava mezzi e percorso ogni giorno, per andare a
lavoro.
Oggi con l’auto, domani col taxi, domani l’altro con l’autobus
e poi ancora a piedi.

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Usava anche dei travestimenti, che indossava in uno stanzino
della cantina, prima di uscire dal portone di casa.
Era un poliziotto barese molto bravo nel suo mestiere ed alla
fine del servizio, diceva se ne sarebbe tornato a Bari a pescare
nel favoloso mare pugliese, con la sua barchetta di cinque
metri.
Ma non fu così.
Era troppo importante il contenuto della sua borsa.
Non si trattava solo di foto identificative e prove su rapine
commesse per autofinanziarsi.
Qui c’era molto altro.
Come tutti quelli che vengono uccisi in questo terribile modo,
il comandante era andato troppo oltre con le sue indagini.
Cesare Brandi aveva finito per cacciarsi, suo malgrado in
quelli che vengono chiamati “segreti di Stato”, che tutti
sentono nominare e di cui nessuno vuol parlare, tanto meno gli
organi di Stato.
La famosa strategia della tensione, così come i vostri addetti ai
lavori la chiamarono quando la scoprirono, applicata dal vero
governo occulto, naturalmente sotto forma di “Stato Ombra”,
che si nasconde dietro i “finti governi” o “Stati Facciata”, cioè
quelli che voi vedete sedere nelle vostre “finte camere dei
deputati”.
Strategia applicata dai leader dei poteri economici forti che
formano governi ombra dovunque e che prendono piede
destabilizzando gli stati e modificandone a proprio piacimento
le normali dinamiche politiche con atti di terrorismo, per poi
poter attuare un ulteriore piano a scala molto più ampia, una
volta avuto il controllo dappertutto e da dietro le quinte.
Quest’altro piano che sentite spesso nominare e di cui nessuno
vuole parlare, del quale tra l’altro siete vittime voi stessi
oggigiorno, è ciò che voi chiamate Globalizzazione.
Questo piano comprende la costituzione di un unico Stato
Globale, di origine economica, ma con sviluppi politici ed
anche naturalmente geografici.

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Il progetto è avere un unico grande ordine mondiale che porti
gli uomini, dopo una voluta separazione, per continenti, per
stati, per regioni, per città, per lingue, per etnie, che li
caratterizza da sempre, ad una unione indotta solo per ottenere
un migliore controllo delle coscienze e non per pura
condivisione tra esseri.
Ed anche a proposito di questo tra voi è stata diffusa solo
confusione.
Quei gruppi che voi chiamate “No Global”, che sono
movimenti contro la globalizzazione capitalistica, sono ritenuti
di colore politico rosso ed i terroristi usati per favorire la
destabilizzazione che avvantaggiava paradossalmente i
globalizzatori lobbisti, erano pure di colore rosso.
Infatti venivano chiamate Brigate Rosse.
E’ evidente che questi terroristi, senza saperlo, erano
strumentalizzati da qualcuno, oppure logicamente i “No
Global” avrebbero dovuto essere fascisti, quindi neri.
Qualcosa evidentemente non torna.
Meglio ancora, c’era qualcuno alle spalle che manovrava il
tutto con un piano ben preciso.
Naturalmente noi, o meglio i nostri umani infiltrati tra voi.
Un piano che applichiamo con i nostri adepti ovunque
andiamo a colonizzare.
Prendiamo prima piede con atti terroristici che noi stessi
condanniamo, tramite i media e la diffusione di massa di
informazioni, ma che noi stessi abbiamo procurato,
condizionando così le dinamiche politiche del posto che
abbiamo puntato, fino a conquistarne il controllo e quindi le
risorse economiche.
Interveniamo così poi dopo per spegnere ciò che noi stessi
abbiamo acceso e mettendo le mani sui governi di qualsiasi
posto e ovunque vogliamo, addebitando tutto al fatto di dover
ristabilire pace ed equilibrio a difesa di attacchi terroristici
procurati da noi stessi o da altri popoli amici, che non sono
mai stati effettivamente voluti o sono stati pianificati solo per
essere strumentalizzati.

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Sembra un gioco complicato ma non lo è.
In altri casi, come nell’Italia degli anni 70’, gli episodi
terroristici servirono solo per spingere il vostro paese verso il
nostro progetto capitalistico, che non doveva perdersi in ideali
di uguaglianza diversi, come quelli proposti dagli uomini di
colore politico rosso, che ostacolassero quelli nostri e che in
questo modo indisturbati vi avrebbero portato fino al punto in
cui siete.
Il capitale doveva diventare l’unica vera meta da raggiungere,
portando agli uomini una finta libertà che li rendeva vittime
del consumo e quindi della produzione.
Le politiche socialiste o comuniste opposte al capitalismo,
diffuse sul pianeta, erano servite solo per dividervi e mettervi
uno contro l’altro.
Un vostro proverbio recita: “Divide et impera” o forse magari
è nostro?
Siamo noi che vogliamo globalizzarvi per potervi controllare
meglio.
Se lavorate dodici ore al giorno non potete pensare, se non
pensate non siete, se non siete non esistete.
A noi altri ci servite così.
Siete già sfuggiti di mano una volta al mio popolo, e cioè
quando il nostro antico comandante En Ki vi ha liberati.
Adesso è in atto il nuovo piano per assoggettarvi tutti e per
ritornare sotto il nostro completo controllo.
Prima vi assoggettiamo politicamente e geograficamente, poi
economicamente, chippandovi come si marchia una grossa ed
immensa mandria di mucche.
Naturalmente io, come allora, sono sempre dalla vostra parte
essendo un anunnaki comandante del mio Signore En Ki.
Denis invece non sapeva nulla di tutto questo.
Non immaginava neanche che queste cose esistessero.
Di alcune di esse ne sentiva parlare in modo strabiliante solo
da Stefano Brandi, senza capire mai bene di cosa si trattasse e
ne aveva spesso sentito parlare, anche se solo relativamente

152
riguardo alla tragedia ed al grande lutto subito, da sua moglie
Miriam sin dal primo giorno in cui si erano conosciuti.
Ma io Hac Him, quello che narra la storia, l’avevo condotto fin
qui, perché sapevo che prima o poi avrebbe capito.
Il percorso che gli avevo fatto imboccare lo avrebbe portato
da me.
Miriam non era nemmeno nata all’epoca dei fatti tragici della
sua famiglia.
Una volta sposatosi con sua moglie Linda, Stefano Brandi
dopo qualche anno si trasferì con lei e sua figlia Miriam, prima
a Bari e poi a Lucera, paese nativo della donna, perché Torino
non era più sicura nemmeno per loro.
Stefano avrebbe passato il resto della sua vita a cercare la
verità sulla morte di suo padre e questa non era una buona idea
per la serenità della sua famiglia, che presto sarebbe anche
aumentata con la nascita della seconda figlia Gessica.
Stefano Brandi era stato così addolorato da quella tragedia da
diventare un uomo triste e tormentato, poiché nemmeno lui
stesso aveva ben capito cosa nascondesse suo padre in quella
valigetta di tanto importante da essere ucciso così brutalmente
da quella gente.
Era sempre lì a parlare ed a cercare i famosi quanto
fantomatici segreti di Stato.
Con Denis ne parlava spesso, ed io dal mio canto speravo che
prima o poi sarebbe venuta un po’ di curiosità al ragazzo, che
l’avrebbe condotto sulla mia strada.
Ma a Denis non importava gran che di queste cose era sempre
connesso unicamente al suo mondo, fatto di lavoro, studi
universitari e sport.
Perché nel mentre lavorava in una sua azienda, che si
occupava di comunicazione visiva, messa su da lui stesso nel
1998, cercava di ultimare gli studi per laurearsi in Scienze
Politiche, che comunque era sempre stato il sogno della sua
vita, per poi magari fare anche lo scrittore.
Ma ben presto le cose sarebbero cambiate.
Lui non avrebbe potuto più fare a meno di vedermi.

153
Nell’Agosto del 2008, Denis Spadaro sposò Miriam Brandi,
dopo un certo periodo di fidanzamento.
Miriam era davvero una brava ragazza, brillante, generosa,
onesta e leale. Buon sangue non mente, era pur sempre la
nipote del comandante di Polizia Cesare Brandi, medaglia
d’oro al merito civile.
Purtroppo non poteva nascondere il suo grande disagio
psicologico, di aver vissuto una vita nel dolore immenso,
iniziato quel 23 Febbraio 1978, un anno prima che lei
nascesse, quando fu assassinato nonno Cesare.
Il padre Stefano aiutato da una generosissima donna, come sua
moglie Linda, aveva sempre cercato coraggiosamente di
superare quel tragico trauma, da cui risultò impossibile
liberarsi per tutto il resto della sua esistenza.
Povero uomo, senza volerlo lo aveva trasferito anche alla
propria famiglia, dove ormai tutti avevano dei grossi problemi
psicologici, legati al dolore che non era mai stato
metabolizzato da Stefano.
Non è semplice vivere e crescere nel dolore, con una persona
che avrebbe voluto essere uccisa con suo padre, pur di non
continuare a vivere sapendo di non aver potuto far nulla per
aiutarlo e per giunta non sapendo cosa ci fosse dietro il suo
crudele assassinio.
Stefano apprezzava molto Denis, quindi spesso lo coinvolgeva
nelle sue iniziative, volte sempre alla celebrazione della
memoria di Cesare, ma che comunque ambivano in ogni caso
a non far dimenticare mai l’accaduto, per poter in tutti i modi
favorire la scoperta di nuovi aspetti sui fatti successi.
Una volta fu invitato persino con tutta la loro famiglia, dalla
segreteria della Presidenza della Repubblica, per incontrare il
vostro Presidente al Quirinale, in una delle solite celebrazioni
a memoria delle vittime del terrorismo.
Ma a Denis tutto questo non interessò fino a quando capì che i
problemi psicologici che avevano travolto questa gente
innocente avrebbero coinvolto anche lui stesso che ormai ne
era entrato a far parte.

154
Miriam non gli aveva nascosto nulla riguardo al suo delicato
stato psicologico e gli aveva anche detto, prima di sposarsi,
che uscire da quella casa avrebbe potuto essere la risoluzione
di tutto.
I ragazzi si affidarono alle speranze di Miriam, in nome del
bene che si erano sempre voluti e provarono.
Miriam cercò di essere una brava moglie e per alcuni tratti ci
riuscì dignitosamente.
Purtroppo i due giovani non furono in grado di superare i
normali ostacoli che la convivenza gli portò davanti, perché
sentivano in modo amplificato ogni difficoltà, considerandola
spesso uno scoglio immenso e invalicabile.
Erano indeboliti dal passato e questo fu determinante.
Ben presto il loro matrimonio cadde in una profonda crisi.
Vivendo con Denis, Miriam soffriva pesantemente la
lontananza dalla sua famiglia che invece, secondo le
aspettative dei ragazzi, avrebbe dovuto essere la risoluzione
dei loro stessi problemi.
Con i suoi familiari si cercavano e volevano essere sempre e
comunque insieme, come se ormai fossero dei tasselli uniti
nella loro sofferenza, che non potevano, né volevano essere
più spostati.
Il dolore è un fenomeno strano e difficile da comprendere, ma
va rispettato, perché comunque nelle sue personali, ciniche e
variegate manifestazioni non risparmierà nessuno di noi.
Miriam quindi scappò di casa più volte per ritornare da loro.
Denis l’assecondava, e tornava a prenderla, aveva compreso
tutto ormai.
L’unica sua grande sconfitta era non sapere cosa fare.
Si convinse che forse il solo modo possibile per risolvere quel
grande disagio fosse quello di capire personalmente cosa
potesse essere successo a questa povera gente e quali fossero
le origini del malessere di Stefano.
Il suo percorso verso la scoperta di me stava finalmente
iniziando.

155
Nel 2010 creò un blog su un diffuso social network per cercare
di capire in incognito qualcosa in più sulla faccenda, in cui
ormai era lui stesso stato direttamente coinvolto, avendo
sposato la nipote di Cesare Brandi.
Creò un account con un nickname che suscitasse molta
curiosità, al punto di avere amici virtuali che potessero essere
personaggi vicini o in qualche modo legati alle forze di
Polizia.
Quale nickname poteva essere più appropriato se non il nome
di quello che viene celebrato come il Santo patrono e
protettore delle forze dell’ordine di Polizia?
Si chiamò quindi Michele Arcangelo.
Eccolo giunto a me, come avevo sempre desiderato.
Si chiamò col nome del mio sommo Generale, che servo da
tutta la mia esistenza.
Adesso era a un passo dallo scoprirmi realmente.
Una notte gli andai in sogno per consentirgli di fare tutto in
modo preciso e gli suggerii quello che la mattina seguente
avrebbe dovuto fare.
Il giorno seguente lo fece.
Censì finalmente quell’account che avevo suggerito
mettendomi in contatto direttamente col suo subconscio.
Denis Spadaro, nickname Michele Arcangelo.
Inizialmente non era molto convinto di quello che stava
succedendo.
Iniziò a scrivere delle frasi nella sua home, che io stesso gli
suggerivo, senza che lui sospettasse molto delle mie
interferenze e che spesso neppure lui capiva bene.
Nel giro di qualche mese aveva il numero massimo degli amici
che il social ti consente di avere, perché ricevette quasi 4000
richieste di amicizia ed oltre 1000 suggerimenti.
Tutti lo cercavano, erano gentili e disponibili con lui in chat ed
erano sempre predisposti a dargli una mano per capire e per
arrivare alla risoluzione di molti dei suoi quesiti posti, che
andavano dalla psicologia, alla letteratura, alla filosofia, per

156
poi passare dalla spiritualità, arrivando persino alla politica ed
alla massoneria.
In quel giro di amici del social c’era davvero di tutto, tante
persone a dir poco stravaganti, artisti, musicisti, cantanti,
poeti, pittori, matti ed asceti.
Molti, dopo qualche tempo gli chiesero persino aiuto e
supporto psicologico per scelte importanti della loro vita.
Gli svelavano senza tante difficoltà i loro segreti più intimi e le
loro paure più profonde.
Cosa strana, quando finivano di parlare con Denis, tutti
dicevano di sentirsi meglio.
“Grazie. Mi hai dato un motivo per cantare ancora e trovare
nuovi stimoli per continuare a vivere.”
“Grazie. Non ce l’avrei fatta senza te. Non ho lasciato più mio
il mio compagno, ora siamo di nuovo felici insieme.”
“Grazie. Con te ho superato meglio la mia malattia.”
“Grazie. Per merito tuo ho trovato il coraggio di scappare dalle
botte di mio marito.”
“Grazie. Mi sei stato vicino altrimenti avrei lasciato il lavoro
in albergo.”
“Grazie. Non avrei mai superato le violenze subite da mio
padre senza di te.”
Tutti messaggi di questo tipo, dopo qualche mese di chat line.
Ma Denis non sapeva come stesse accadendo tutto ciò e
credeva di non essere servito a nulla per tutta questa gente,
convinto che forse avevano solo e semplicemente trovato nelle
sue parole il coraggio di fare quello che già da tempo avevano
nel proprio cuore.
Questo era l’inizio del suo addestramento.
Empatia e condivisione delle sensazioni.
Io sapevo a cosa gli sarebbe servita, ma Denis purtroppo no.
Infatti era felice di sentirsi utile a qualcuno, ma allo stesso
tempo triste, perché sapeva che Miriam, che era in casa con lui
e non dall’altra parte di una chat, ne aveva bisogno più di ogni
altra persona e lui non aveva ancora potuto fare gran che per
aiutarla.

157
Richieste d’amicizia nel social, ormai quasi trecento in
sospeso, Denis non ne aveva concessa più una.
Era stanco.
Ogni volta si trattava di qualcuno che voleva parlargli.
“Sono Lorenzo, ho undici anni, mamma ti conosce e ti ha già
parlato, mi ha detto che posso chiederti l’amicizia, che posso
parlarti e tu puoi aiutarmi, l’accetti?”
Quindi anche se era un’esperienza bellissima, bisognava
alleggerirsi un pò.
L’incontro cruciale arrivò però un lunedì mattina.
Quel nome era strano rispetto agli altri, con quella immagine
del profilo dalla faccia dolce e la barba bianca che sembrava
Babbo Natale.
Don Carmelindo Abaclater.
“Vabbè, figuriamoci se questo con sto nome e sta faccia da
santo bevitore mi può dare una mano!”
Comunque, chissà perché, amicizia accettata.
Iniziò così con Mek, perché è così che Denis lo chiamò da
quel punto in avanti. Una lunga ed epistolare conversazione
prima, e un vero e proprio addestramento dopo.
“Salve ragazzo, come va? Grazie per l’amicizia è un po’ che ti
leggo.”
“Buonasera Don Lindo, posso chiamarla così credo, vedo che
tutti lo fanno, va bene e a lei?”
“Benone, tranne qualche piccolo acciacco dovuto all’età.”
“A cosa devo il piacere della sua richiesta di amicizia?”
“Niente, l’ho detto, ho dato uno sguardo alla tua bacheca ed ho
letto cose interessanti, poi anche il nickname che hai scelto,
quindi ho inoltrato la richiesta, spero di non aver sbagliato.”
“No, Don Lindo, non ha sbagliato, solo che mi guardo un po’
ultimamente prima di accettare amicizie senza esitare, perché
sono arrivate visite indesiderate, quindi prima cerco di capire
bene con chi devo relazionarmi.”
“Caspita! Chiamami pure Mek, tutti mi chiamano così in chat,
tranquillo Michele Arcangelo, credo di essere una brava
persona.”

158
“Ho fatto una breve ricerca su Google del suo cognome
Carmelindo Abaclater, ma lei è ebreo?”
“Si certo, spero non sia un problema per te, e tu piuttosto, non
sarai mica un vero Arcangelo, chi sei veramente e quanti anni
hai?”
“No, non sono un Arcangelo certamente, sono Denis, un
normale ragazzo di 39 anni.”
“Bene a cosa dobbiamo la magnificenza della tua scelta del
nickname?”
“Senta Mek, ora non faccia umorismo su cose che non sa,
piuttosto dalla mia ricerca in Google, che faccio mentre le sto
parlando, è già uscito qualcosa che non mi piace.”
“Santissimo! E cosa?”
“Il suo cognome compare nella lista della massoneria italiana,
che io per sua informazione sono riuscito ad avere in un file
pdf.”
“Certo ragazzo, è esatto, la mia famiglia di provenienza è una
famiglia importante sotto quel punto di vista, è un problema
per la nostra interazione?”
“Non lo so adesso, vedremo.”
Denis dimostrò di essere molto diffidente nei confronti
dell’uomo sin dalle prime frasi scambiate, ma mentre ci
parlava, dando uno sguardo alla sua bacheca, notò centinaia di
messaggi postati che ringraziavano, facevano i complimenti ed
inviavano cuori al prete, per la sua bontà e le grandi capacità
di meditazione e di preghiera per chi ne richiedeva aiuto.
Questo era più che indicativo per moderare un po’ i toni ed
essere più aperto alla relazione, nonostante il catastrofico
inizio.
“Sai ragazzo mio, la mia famiglia non è che sia stata il
massimo per un uomo che come me volesse dedicarsi al
servizio di nostro Signore.
Una potente famiglia di massoni ebrei, disposti ad arrivare
ovunque in posizioni di prestigio, se solo se ne fosse
presentata la possibilità.

159
Ed io, dal mio canto, non ero neppure un grande talento in
questa vocazione.
In realtà, inizialmente la mia scelta è stata prevalentemente
fatta con l’unico obiettivo di compiere una grande scalata nella
carriera ecclesiastica, che in verità credo proprio di aver
centrato.
Infatti, conoscendoti, avrai visto nelle informazioni del mio
account, sarei un Alto Prelato del Vaticano.”
“Scusi l’ignoranza Padre Mek, ma cosa significa Alto
Prelato?”
“Un Prelato è un componete del Foro esterno del Vaticano che
viene nominato direttamente dal Papa, una sorta di Cardinale
ambasciatore aggiunto, scelto per gestire affari diplomatici nei
rapporti con l’esterno.”
“Quindi abita lì, a Città del Vaticano?”
“Adesso non più, vivo a Cuneo, il posto dove sono nato e
dov’è tutto il resto della mia famiglia.
Le cose col Vaticano non sono andate più bene ed ho lasciato
tutto sotto consiglio dei miei più stretti amici e collaboratori.”
“Ma se la sua scelta è stata volta alla carriera ecclesiastica, lei
quindi non crede veramente in Dio?”
“Ragazzo, ti ho detto, inizialmente, leggi pure meglio nella
chat tra i messaggi inviati, poi le cose sono andate
diversamente.”
“Diversamente come? Posso chiedere?”
“Si che puoi, altrimenti non ti avrei cercato.
Negli anni, anche se non credevo all’esistenza di alcun
Creatore al di sopra di noi comuni mortali, ebbi modo di
interagire con un prete esorcista per affari che riguardavano la
mia mansione di Prelato.
Il migliore tra quelli che erano nel Vaticano.
Preparava gli altri preti ad assolvere il delicato compito di
esorcisti, che è una delle missioni più alte che si possano avere
agli occhi di Dio Padre, ma forse non è riconosciuta dal
sistema ecclesiastico ai fini della disgustosa carriera, che tanto
stona con la vera fede.

160
Collaborammo in alcune importanti situazioni che
coinvolgevano il Vaticano in affari delicatissimi e finimmo per
diventare molto amici, sino al punto che Padre Gabriele mi
chiese di aiutarlo in alcuni esorcismi, ed io accettai.”
“Ma Padre Mek! Come fece a fare degli esorcismi senza avere
fede?
Non avrebbe potuto mettere in pericolo tutti quanti così?
E’ stato un incosciente, non avrebbe dovuto dirglielo?”
“Certo, ma non lo feci, perché all’inizio accettai solo a patto
che l’unico compito che avessi dovuto avere dal Vaticano in
questo affare, avrebbe dovuto essere assistere come testimone
della Chiesa, per verificare che nello svolgimento della prassi
non avvenissero irregolarità che potessero mettere a rischio la
salute del povero esorcizzato, con tanto di collaborazione da
parte di medici, cartelle cliniche disponibili ed ospedali
specializzati.
La cosa fondamentale in queste delicatissime situazioni e non
scambiare una malattia psichica per possessione, ne va della
vita del malcapitato e si può anche essere incriminati se non si
è cauti.
Poi dopo, i miei programmi furono completamente stravolti.
Infatti, il Signore decide tutto per noi altri comuni mortali.
I nostri progetti sono solo una linea guida di percorso
suggerito, ma la vera strada la disegna Lui stesso per ognuno.”
“Quindi come le è andata Padre?”
“Non male ragazzo, grazie al cielo no.
Avvenne al primo esorcismo. Si trattava di una ragazza di 19
anni in Sardegna, che si stava spegnendo, ridotta ormai alla
fine della sua resistenza fisica.
Fummo chiamati li dall’Arcivescovo di Cagliari, per cercare di
aiutare questa povera creatura di Dio.
Andammo in questa vecchia fattoria nella prima campagna di
Cagliari, a pochi chilometri dalla periferia. Era una famiglia di
agricoltori.

161
Lei si chiamava Marta Serra, ma ci accolse sua mamma Laura,
con la faccia di una che aveva pianto ininterrottamente da
alcuni mesi.
Gabriele non faceva troppi convenevoli, dopo un minuto che
eravamo entrati e parlato un po’ con la madre del male di sua
figlia, chiese dov’era la ragazza e di vederla, non accettando
nemmeno l’invito della signora a bere un po’ di liquore fatto in
casa.
La mamma senza insistere, ci accompagnò al piano di sopra,
dove salimmo da una scala in legno un po’ rovinata, ma
ancora apparentemente sicura.
Aperta la porta, la ragazza era lì a guardarci come se stesse
aspettando due fantasmi.
Il Padre prese prima la Santa Corona e poi l’Acqua Benedetta.
Quando vidi che iniziò a recitare il Padre Nostro, mentre mi
chiedeva di chiudere la porta a chiave e di sedersi accanto a lui
ai piedi del letto della ragazza, non nascondo che non mi sentii
molto contento di aver accettato quell’incarico.
Non avevo mai assistito a nulla del genere e non credevo
neppure che esistesse qualcosa del genere.
Lei ci lasciò pregare per dieci minuti, sembrava essersi
tranquillizzata.
Chiuse gli occhi ed iniziò a diventare bianca come il gesso.
Ebbi paura che avesse spirato e che fosse morta.
Ma all’improvvisò aprì gli occhi, che non avevano più delle
pupille ma due palline rosse e ci parlò con una voce da uomo
ed anche un po’ rauca”
“Buonasera Gabriele, hai avuto il coraggio di venire fino qui
con questo idiota al tuo fianco?
Bella stronzata, ma che ti gira in quella testa vuota?
Quell’ebreo infedele non crede nemmeno al Dio che mi sei
venuto a portare per salvare la mia anima!
Non è vero Lindo Abaclater, fratello di Remo Abaclater, figlio
di Giuseppe Abaclater, come sono andati poi gli affari di tuo
nonno?

162
Tuo fratello ce l’ha ancora la maggioranza nella banca
ereditata da tuo padre e creata con il denaro dei fascisti?”
“Io stavo per svenire.
Sapevo della banca di mio nonno, ma non mi avevano mai
detto di questa storia dei fascisti, che mi sembrò subito una
brutta faccenda.
Si vedeva che ero spaventato e molto turbato, Gabriele lo
aveva intuito, quindi cercò di porre l’attenzione della ragazza,
per modo di dire ragazza, su di lui, mettendosi col suo corpo
davanti a me, in modo tale che non mi vedesse più.”
Don Lindo raccontava questo episodio in chat a Denis, che
leggendola era sempre più sicuro che non si trattasse di un
ciarlatano, ma solo di un povero uomo che voleva vivere la
sua vita ed a cui il destino aveva presentato il conto.
Gli chiese:
“Padre Mek, ma come avete fatto a cavarvela e cosa è
successo a questo punto?”
“La ragazza iniziò ad urlare e sputarci addosso, poi ad un
tratto il letto si sollevò ed io cascai a terra di spalle sul
pavimento, mentre il Padre mi diceva di non perdere il
controllo e non mollare la corona e la Sacra Bibbia che
stringevo in mano. Subito mi urlò:
“Padre Lindo, legga Tobia 8,3, lo cerchi e lo legga
ripetutamente, c’è un segna libro proprio in quella pagina!”
“Nonostante il segna libro, Tobia 8,3 non riuscivo proprio a
trovarlo, perché le mani mi tremavano fortissimo.
Ad un tratto, la ragazza fece precipitare il letto a terra da quasi
due metri, con il Padre che si trovò anche lui sul pavimento,
dall’altra parte della stanza.
Finalmente trovai la pagina ed iniziai a leggere, non tanto per
fede, ma quasi per legittima difesa!
La Fede arrivò presto, quando Gabriele rimessosi gli occhiali
caduti accanto a lui, con una lente vistosamente scheggiata,
cominciò a pregare con me, prima leggendo Tobia 8,3 e poi
guidandomi in altre preghiere.
Riuscimmo a fare quell’esorcismo in quasi tre lunghe ore.

163
La ragazza sembrava tranquilla e fuori pericolo.
Scendemmo giù per avvisare la madre.
La signora Laura ci ascoltò ed andò subito al piano di sopra a
vedere sua figlia Marta.
Quando scese giù, piangeva e rideva insieme dalla gioia.
Aveva capito che il pericolo era passato e che forse questi due,
apparentemente impacciati sacerdoti mandati dal Vaticano,
erano riusciti insperatamente a salvare la sua amatissima figlia.
Questa volta, accettammo il secondo invito della signora a
bere un po’ del suo liquore sardo fatto in casa e facemmo pure
il bis.
Io ero sconvolto e provato, mentre Padre Gabriele era solo
molto stanco.
Uscimmo da quella casa, ed io capii che anziché dare soltanto
qualcosa, l’avevo anche e soprattutto ricevuta.
Avevo capito di avere avuto finalmente il dono di cui non
credevo l’esistenza.
La Fede.”
“Quindi Padre Mek, ora ci crede in Dio?”
“Certo ragazzo che ci credo. Anche se sono dovuto arrivare a
lui passando per la porta di servizio del male e non soltanto e
semplicemente tramite il bene e l’amore.
Nostro Padre ha degli strani disegni per tutti noi.
Ma sono strani solo ai nostri occhi, se invece si pensa bene a
questi apparenti ed incomprensibili tracciati, si nota che sono
fatti a pennello per ognuno di noi.”
Denis fu molto impressionato dal racconto del Padre ebreo e
tra l’altro si era sempre chiesto lui stesso se veramente avesse
avuto fede in qualche Dio.
Adesso quindi, aveva trovato una brava persona con cui
parlare e da cui poter trovare un po’ di coraggio in più per
continuare a vivere la sua vita e la sua convivenza con Miriam.
I due si parlarono in chat per diverso tempo.
Denis aveva sempre qualche domanda da porre al Prelato e lui
aveva sempre piacere che qualcuno gliela ponesse, soprattutto
Denis.

164
Nel tempo, il loro rapporto diventava ancor più sincero e leale.
Denis addirittura, dopo qualche mese gli era affezionato
proprio come ad un vero padre spirituale che gli potesse
indicare la strada per dare una risposta a molti dei suoi dubbi
esistenziali.
Padre Mek però, non volle mai essere considerato in quei
termini.
Don Lindo, come lo chiamavano gli atri nel social network,
credeva molto in Denis, che ringraziava sentitamente dopo
ogni conversazione, facendo capire chiaramente che era egli
stesso che doveva essere grato per l’interazione scambiata a
prescindere dall’ammirazione e la stima palesemente ricevuta
dal ragazzo, che il Prelato ricambiava comunque con grande
rispetto.
I due parlavano di argomenti molto delicati, legati spesso
all’esistenza ed all’accettazione della vita.
Col tempo Padre Mek spiegò a Denis che era stato allontanato
dal ruolo canonico nel Vaticano e spostato a compiere altri tipi
di servizi, forse per essere stato troppo chiaro riguardo ad
alcune faccende ritenute dagli apici della Chiesa,
notevolmente scottanti, riservate per discuterne con chiunque,
anche se con Denis ne stava parlando sia direttamente che tra
le righe dal primo giorno che si erano conosciuti.
Il Prelato, dopo una lunga esperienza con Padre Gabriele, si
era imbarcato in discorsi e soluzioni sul risveglio collettivo di
massa delle coscienze degli uomini e sulla rivelazione di
antichi segreti contenuti nei vangeli apocrifi e in rotoli trovati
o trafugati dai Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni in Terra
Santa.
Aveva sempre avuto libero accesso alla Biblioteca Apostolica
Vaticana ed alla consultazione dei suoi più antichi e rari testi
presenti sul pianeta, ereditati forse dal vecchio Scrinium
Bibliothecarius Teofilatto, esistito tra il IV ed il secolo VIII
d.C., nella Città del Vaticano.
Le domande di Denis erano sempre pane per i suoi denti,
perché, anche il ragazzo era molto affascinato dall’eterna lotta

165
tra bene e male, con un grande sguardo di curiosità soprattutto
alla comprensione del male e dell’ombra, che giustificava
anche, ed in qualche modo, la mia presenza in lui e la mia
chiara, o meglio scura influenza, nella sua poliedrica
personalità.
Purtroppo, l’Alto Prelato gli aveva nascosto il proprio stato
terminale di malattia dei polmoni, che lo portò a scomparire
prematuramente, prima che Denis gli potesse parlare della sua
delicatissima situazione con Miriam.
Questo, in un primo momento, portò il ragazzo a credere che
quella morte improvvisa, aveva impedito all’uomo di Dio di
potergli essere d’aiuto, soprattutto su quel triste aspetto della
sua vita.
Invece Denis, col senno di poi, capì che si sbagliava e che era
stato molto più che utile anche in quello, Padre Mek.
Anche se la telefonata a pagina 148 non ha in sé nulla di
positivo.
Denis e Miriam si videro al Bar Aurora, ma per parlare
purtroppo del loro divorzio consensuale al Municipio e
dell’annullamento del loro matrimonio alla Sacra Rota,
davanti ad un caffè come due vecchi amici certo, ma dopo sei
anni di grandi disaccordi e tanta inutile sofferenza dovuta ad
una lunga ed estenuante causa di separazione.
A Miriam non era andato giù il fatto che Denis avesse mollato,
rifugiandosi in una chat e lasciando fuori i veri problemi che la
vita gli stava servendo davanti.
Volle convincersi che fosse un debole ed un vigliacco e quindi
lo lasciò andare come se invece lo avesse perso solo per colpa
sua.
Non ho capito mai se lo avesse fatto per liberarlo o per
liberarsi e se ci credesse veramente a quello che faceva e
diceva ai suoi genitori, ed agli amici, ma durante il periodo
della separazione, lo trattò come un uomo malvagio ed un
plagiatore, legato a qualche strana malevola forza sinistra.
Forse era solo frutto della grande confusione che si crea in
mezzo a troppa sofferenza, e magari lei, aveva firmato, ma non

166
aveva nemmeno letto le memorie legali in cui appariva tale
quadro di Denis, a dire il vero, spesso arrivate in udienza con
qualche anomala cancellatura, fatta prima di mostrare le carte
al Giudice, a dimostrare qualcosa che non tornava sul fatto che
fosse tutta farina del suo sacco o ci fosse lo zampino di
qualche spregiudicato e precipitoso avvocato.
Tutto comunque fu dimenticato in quell’istante ed in un caffè
e un bicchiere d’acqua col limone.
Ed ora, quella pace che avevano insperatamente ritrovato nel
perdono reciproco dei propri errori, tutto sommato ragionevoli,
era la loro vera vittoria e quella sera tornati a casa, lo sentirono
tutti e due.
Denis, più tardi, a cena con alcuni suoi amici per tutta la serata
non pensò ad altro che a quello.
Pace e perdono.
Si erano perdonati ed ora godevano della serenità dell’anima
che ti lascia quel grande tesoro che è il perdono.
Denis a Mek non aveva mai parlato di Miriam, ma forse i loro
discorsi servirono a capire alcune cose sul fatto di cambiare la
gente piuttosto che lasciarla essere quella che è, poiché il
perdono e l’accettazione, sono una guarigione per l’anima.
Molto spesso gli argomenti discussi col prete parlavano di
esistenza e di cose che prima o poi sarebbero venute fuori nel
corso della vita.
“Padre Mek, ho sempre in testa una fastidiosa battaglia tra
bene e male.” Sosteneva Denis. “Che viene dalla minaccia nei
nostri confronti da parte di un’oscurità che sento stia per
dilagare nel mondo.
Ma poi mi chiedo, ma sarà giusto imbattersi su questo
cammino?
Certo, se mi ricordo dei Vangeli, dicono, ama il tuo nemico, e
non, pensa ripetutamente a come fare a batterlo.
Non mi starò sbagliando?
Non dovrei forse vivere nella rassegnazione?
Oppure c’è un’altra strada?”

167
Padre Mek lo ascoltava sempre con tanta pazienza, anche se
sin dall’inizio aveva capito che Denis aveva bisogno di battersi
con qualcuno, e visto che era avverso ad ogni tipo di scontro
tra uomini, che questo qualcuno, non fosse un essere umano
ma un’entità, e che rappresentasse il nemico che tanto si
materializzava nel suo dolore, derivato dalla consapevolezza a
cui stava arrivando nella sua vita e che, se tutto fosse andato
per il verso giusto, si sarebbe trasformato in crescita ed
equilibrio.
Un giorno capì che era arrivato il momento di parlargli più
chiaramente.
“Ragazzo.” Disse il Prelato nell’ambito di uno dei discorsi su
quell’argomento che sempre finivano per affrontare.
“Credo che tu non debba batterti proprio con nessuno, se non
con te stesso, perché il vero grande nemico è dentro di noi. Ed
è lì che si nasconde.”
“Padre Mek, si spieghi meglio, non capisco.”
“Quante volte nel parlarti, tra citazioni di vangeli apocrifi e
scritture di rotoli del Mar Morto, ti ho detto che la criticità è
qualcosa di dentro e che “come dentro così fuori” e “come in
cielo così in terra” sono tutt’altro che insignificanti frasi
casuali, messe qua e là in preghiere e testi sacri?”
“Sempre, Don Lindo, me lo ha ripetuto molte volte fin’ora.”
Disse Denis, curioso di sapere dove volesse arrivare il Prelato.
“Quindi non possiamo stare qui in eterno a parlare di lotte tra
bene e male, non ne usciremmo vivi, sia noi, dall’asfissiante
dibattimento, che gli altri, dalle prospettive proposte.
Questo è il pianeta del giorno e della notte, dell’autunno e
della primavera, del bene e del male e ad ogni modo lo sarà
per tutto il tempo che occorre a Dio, tenerselo così.
A volte prevarrà l’uno, a volte prevarrà l’altro.”
“Allora cosa consiglia di fare Padre Mek?”
“Bhe, credo di avertelo appena suggerito!”
“Si riferisce a quel qualcosa che è dentro di noi vero?”
“Tu che ne pensi?”
“Si, penso proprio di sì.”

168
“Bene giovanotto, allora mi stupirai con le tue solite grandi
intuizioni adesso, vero?”
Don Mek Lindo si aspettava una grande risposta dal ragazzo
che aveva seguito e formato con molta passione.
“Non lo so Padre Mek, ma penso che questo sentimento sia
una cosa che ho sempre avvertito dentro di me, sin da quando
ero ancora un ragazzino.
Siamo noi che creiamo il nostro mondo, quando vediamo luce,
siamo luce e tutto quello in cui ci imbattiamo è luce, anche i
nostri discorsi diventano tali da essere completati ed arricchiti
da intrecci fatali con altre persone che dicono la loro, proprio
quando ne abbiamo bisogno e per far evolvere le nostre teorie
ed i nostri pensieri, una forma di entanglement quantistico,
proprio come quello di fisica, individuato da Albert Einstein,
Boris Podolsky e Natan Rosen, quasi come è avvenuto adesso
con la sua introduzione a questa mia ennesima analisi, delle
quali lei, brav’uomo, non si stanca mai di ascoltare.
Quindi, perché combattere e soprattutto con chi combattere?
Se non siamo in guerra dentro di noi, non c’è nessuna guerra
da fare là fuori.
Il nostro corpo è o non è fatto ad immagine e somiglianza del
nostro Signore Creatore?
Infatti siamo fatti di miliardi di cellule, ed ognuna di loro ha
un’informazione completa su tutto noi stessi che è intrappolata
e custodita nelle eliche del nostro DNA.
Il nostro vivere dà nuove informazioni a questo DNA, che si
aggiorna e muta con lo scorrere del tempo, cercando in questo
modo di migliorare sempre più la nostra percezione del mondo
e quindi delle sue bellezze creative.
Cos’altro può essere l’evoluzione di ogni specie, se non la
possibilità di percepire meglio ogni bellezza dell’amorevole
creazione?
Lo sviluppo del nostro cervello e della nostra intelligenza
serve proprio a questo.
Il passo successivo è l’ascensione nell’aldilà e la perdita del
corpo materico.

169
Quindi noi, secondo me, tramite le nostre anime saremmo una
sorta di cellule di nostro Signore. E con la nostra coscienza,
più o meno attiva, prenderemmo da Lui ogni sorta di saggezza
e scienza, ed in cambio gli daremmo informazioni sul mondo,
trasferendogli soprattutto il nostro modo di percepire, per Lui
nuovo, rispetto alle informazioni già tutte in Suo possesso.
Come se Lui fosse il nostro DNA e noi le Sue cellule che lo
aggiornano costantemente, trasmettendogli le nostre
esperienze di vita, tramite lo Spirito che comunica all’Anima.
Immaginiamo tutto questo come se fosse una proporzione
matematica.
Una sola cellula di un uomo, sta al suo DNA umano, come
l’Anima sta al suo DNA Divino. Microcosmo e Macrocosmo
si incontrano nelle informazioni che diamo alla nostra Anima.
Quindi moriamo nel corpo fisico, perché tutte le cellule sono
informate integralmente della nostra unicità e si ripetono
inutilmente quando ormai l’Anima ne possiede ogni dato.
La Natura, che evita ogni inutilità, non le ripete più una volta
immortalate nell’Anima, che decide quando l’esperienza è
giunta a termine.
La coscienza di ognuno di noi, deve superare un grande
ostacolo però. Verrà messa alla prova svariate volte nel corso
della sua intera esistenza.
La prova consisterà nel sapere essere tutt’uno con l’Anima.
Coscienza e Anima. Coscienza è Anima.
Accettare così ogni cosa che avviene come un ostacolo messo
lì solo per sentire quanto sia sublime poterlo superare senza
resistenza, ma affidandosi al volere dell’energia Divina che
fluisce, e che senza un nostro rilevante intervento, agirà e
risolverà nel migliore dei modi per noi, ogni situazione.
Questo non significa accettare passivamente gli eventi, ma
assistere in modo attivo a ciò che ci accade, considerando che
non siamo l’unica mano che muove il pennello sulla tela e che
sceglie i colori e le linee del dipinto della nostra storia.
Ecco risolto il problema dell’equilibrio, della pace dei sensi e
la pace del cuore.

170
Come in cielo così in terra.
Come dentro così fuori.
Come sopra così sotto.
Non sono altro che frasi che uniscono le più alte teorie della
scienza, alle più alte teorie dello spirito umano.”
“Quindi?”
Il Prelato aveva intuito che Denis non era molto lontano dallo
scoprirmi e mi diede una grossa mano con il suo entanglement,
manifestato proprio con questo:
“Quindi?”
“Quindi Padre, fuori non c’è altro che la caratteristica naturale
di questo pianeta e di ogni pianeta simile nell’Universo, e
quando non ci sarà più, metterà fine allo stesso pianeta in
quanto tale, che rinascerà con una nuova identità ed un nuovo
livello di sviluppo, semplicemente manifestando la sua fase
successiva.
Universo, si chiama proprio così.
Ecco spiegata la lunga continuità tra uno e due, e due e uno.
Sotto la guida di un’anima, uno spermatozoo tra milioni
incontra un ovulo e riesce a riportare quel due nel verso di
uno, quindi uni-verso, e fecondandolo, fa nascere così un altro
essere umano, che nell’amore di un altro suo simile, si unirà
ancora e riporterà il due a cercare nuovamente l’uno.
Amore, due, uno. Uno, due, Amore.
E così si proseguirà, per tutti gli esseri viventi del pianeta, fino
a quando ci sarà vita su questo posto.
Quindi nessuna guerra.
Nessun nemico da battere.
Anzi, farsi battere come mostrò il Cristo.
Amare il proprio nemico per amare sé stessi.
Perché se dentro ti senti un nemico che ti minaccia, lo troverai
subito anche fuori da te.
E quando ci accade qualcosa di brutto che non dovrebbe,
perché crediamo di non averla mai attratta a noi, allora vuol
dire che è intervenuta la nostra anima, che vuole condurci su
un altro percorso di questa o di un’altra esistenza.

171
Tutto ha sempre un senso, anche quando non è per nulla
evidente e la sorte sembra atroce ed inspiegabile.
Ma una cosa è certa. Non dobbiamo porre resistenza agli
eventi, ma lasciarli scorrere.”
Mek gioì, era contento della risposta di Denis ed io ancora di
più del prete ebreo.
A quel punto Denis finalmente gli disse:
“Padre Mek, io, a dire il vero, ho sempre sentito qualcosa
dentro di me, come se questo qualcosa volesse parlarmi in
qualche strano modo possibile.”
“Ed allora parlami.”
“Padre Mek è lei?” Si chiese Denis, un po’ sbalordito.
“Si deve essere aperta una chiamata vocale nella chat.”
“Non sono Mek, sono Hac Him di Asterope.”
“Hac Him? Ma chi? Quell’Hac Him?”
“Si, quell’Hac Him.”
“Allora è vero che esisti?!?”
“Certo che sì, e tu finalmente è vero che mi parli.”
Denis era ancora timidamente e paurosamente incredulo, nel
sentire una voce proveniente dal nulla e mi disse con voce
tremante:
“Parlavo con Padre Mek a proposito di combattere e salvare il
nostro mondo dall’oscurità in cui sta finendo e se quindi sia
giusto, non rimanere fermi soltanto a guardare la fine.”
“Se ti piace convincerti che salverai il mondo, convincitene
pure. Perché, credimi, se salvare per te, è fare del bene, anche
il bene fatto ad un solo altro essere, nella propria esistenza,
può paragonarsi a salvare il mondo intero.”
“Ma se io uscissi da te per un attimo, o tu da me, come
preferisci che dica, potrei vederti e parlarti, Hac Him?
Vorrei vederti per convincermi che questa tua presenza dentro
di me non sia solamente una mia illusione, una mia visione e
tu non possa essere semplicemente una schizofrenica
proiezione di me stesso.”
“Se ti piace pensarla così, fallo pure.
Nulla cambierebbe.

172
Ciò che importa non è chi pensi che io sia o possa essere.
Ciò che importa è che tu finalmente sia riuscito a parlarmi ed
abbia cercato di unificare la tua dolorosa esistenza separata,
come chiunque dovrebbe fare.
Cos’è il demone di ognuno di noi, prescindendo dalla mia
reale esistenza e dall’ospite alieno, che io posso o non posso
essere, se non il grande separatore?
La prima separazione di cui si è vittime, è quella con sé stessi.
Trovare quindi un equilibrio con me, coinciderà a trovare un
equilibrio ed un dialogo con te stesso, creando il tuo proseguo
sul pianeta a tuo piacimento.
Ti assicuro non è, né esoterismo, né una forma di magia o
altro. Ama il tuo nemico interiore e diventerà il tuo alleato.
Amati dunque, non vivendo contro la tua verità, che
rappresenta il tuo “Se vero” e non rinforzando la versione di te
menzognera, che rappresenta il tuo “Se falso”.
Solo così ritroverai te stesso e la tua autenticità.”
Denis subito ebbe un ulteriore intuizione.
Cercò su Google l’etimologia del termine Satana o Diavolo,
per cercare di capire cosa precisamente gli stesse dicendo
quell’Hac Him, che asseriva seriamente di essere dentro di lui.
Il termine ebraico Satan, fu tradotto nel 408 d.C. in diabolos,
da cui derivò il termine latino diabolus.
La parola diabolus significa, colui che divide.
Ormai Denis credeva che Hac Him esistesse, quanto meno in
una delle forme descritte pocanzi da lui stesso.

173
Capitolo sesto
LA STREGA ROSSA.
IL PASSAGGIO ALL’ADDESTRAMENTO SUL CAMPO

Adesso Denis mi aveva finalmente riconosciuto.


Da quel momento in poi non mi avrebbe più ignorato, né
lasciato nel dimenticatoio, insieme a tutte le cose inspiegabili
che gli erano capitate nella vita.
Avremmo vissuto il resto della nostra coesistenza inseparabili
o quanto meno gli avrei parlato per tutta la sua vita con la mia
dimensione alter, qual’ora fossi stato chiamato a ritornare sul
mio pianeta madre Nibiru, rinunciando a collegarmi, con
l’unica altra dimensione alternativa per noi possibile, persino
con il mio Asterope, ma preferendo il terrestre.
Lui imparò ad apprezzarmi e ad essermi amico.
Ormai non mi temeva più.
Eravamo in due dentro al suo corpo a parlare e decidere su
ogni cosa, ma a Denis non dava fastidio, tanto da non
considerarlo più neppure un limite o una fastidiosa e
preoccupante forma di patologia schizofrenica.
Il ragazzo si sentiva in forma ed in perfetta condizione
psicologica.
Ogni complicazione che gli procuravo, con la mia forte
presenza “mentale”, seppure la considerasse un grande
ostacolo e gli procurasse anche delle preoccupanti
conseguenze fisiche, come forti stati d’ansia, somatizzati in

174
nevralgie, con lancinanti dolori al petto e grossi mal di
schiena, tutto sommato non lo spaventava più.
Denis aveva sempre la forza per sé, per sopportare me e spesso
anche qualcosa in più da donare agli altri, e se la cavava
decisamente.
Certo, aveva i suoi buoni santi protettori, San Michele
Arcangelo per primo, ma anche la volontà non gli mancava.
Di questa sua nuova condizione di vita, inizialmente ebbe
tanta paura, ma piano imparò a conoscerla questa mala pianta
e ad affrontarla, superandola dignitosamente, ogni volta che
gli si presentava.
Aveva capito che la vita lo aspettava con grande amore
materno e non lo avrebbe mai lasciato impantanato.
Se l’era fatta amica la vita.
Di sicuro, la sua vita non era affatto normale, con grandi
diversità in ogni tipo di abitudine e consuetudine.
Era difficile che lui potesse avere una vera famiglia, anche se
non desiderava altro nei suoi sogni.
Mangiava quando aveva fame e dormiva quando aveva sonno
ed il suo lavoro era fatto su misura per lui.
Lavorava a casa, dove poteva essere attivo anche di notte,
quando nel silenzio, i creativi producono le loro migliori
opere.
Io, tra l’altro, lo aiutavo con qualche piccolo trucco esoterico
che gli avevo insegnato sui sigilli di pensiero, per centrare gli
obiettivi preposti, di cui lui, a dire il vero, non abusava mai,
oppure a volte leggevo la mente ai suoi assistiti e lui gli
indovinava la strategia comunicativa e con un decimo del
lavoro richiesto, archiviava ogni elaborata commissione
affidatagli, in pochissime mosse.
In questo modo Denis poteva studiare e si poteva dedicare
anche alla missione.
Perché, credo si sia capito limpidamente, la missione che io
stavo svolgendo sulla Terra con la mia dimensione alter, era il
“Progetto Denis”, direi di poterlo chiamare così ormai, che

175
rappresentava la nostra unica speranza per vincere lo scopo
comune a voi umani.
Liberarvi da noi, salvare il vostro popolo dall’oscurità in cui si
era proiettato da secoli ed in questo modo liberare anche il mio
popolo, che aveva conosciuto grandi, veri momenti di gloria
evolutiva, ma che era ormai caduto da migliaia di anni nella
vergogna al cospetto di Dio Padre.
La vita del ragazzo proseguiva velocemente e si svolgeva al
contrario di quello che il sistema normalmente ti impone.
Arrivò quasi a 50 anni, senza troppi inghippi, anche se spesso
la sua consapevolezza andava in contraddizione con le brutte
difficoltà a cui ti sottopone la realtà sulla Terra, mandandolo in
forte conflitto, ma per poi tornare alla normalità ed
all’equilibrio dopo averci lavorato diligentemente sopra.
Iniziammo a diventare grandi amici io e Denis.
Arrivammo a dialogare costantemente e lui mi nominava
anche con una certa simpatia e senza essere terrorizzato che
potessi essergli in qualche modo nocivo, come avveniva in
principio.
Ombra.
Con questo nome Denis mi chiamava scherzosamente ed
affettuosamente.
A me, questo nomignolo mi divertiva molto, non mi dava per
nulla fastidio che qualche volta si prendesse gioco di me,
faceva parte del nostro grado di confidenza ed intimità ormai
raggiunti da tempo.
Amò, ed interagì con tante donne, di cui alcune veramente
speciali caratterizzarono la sua vita, ma mai riusciva a trovare
il suo vero incastro, che pure c’era da qualche parte e di cui lui
stesso era fermamente convinto.
Volevo aiutarlo in questo.
La nostra missione era delicata e difficile, ed avevamo bisogno
della caparbia che solitamente si sviluppa in un’intelligenza
femminile, che ci supportasse.
Ad Asterope, le nostre femmine occupano posti molto
importanti nella struttura gerarchica ed organizzativa.

176
Certo è molto diverso da qui sulla Terra.
Voi la chiamereste organizzazione di famiglia matriarcale, ma
è una cosa diversa anche da questo.
Esse hanno la possibilità di rimanere ad allevare i propri figli
fino alla loro età matura, che si conta in circa trentamila soli,
che corrispondono ai vostri cento anni di vita.
Se si considera che noi ne viviamo almeno ventiduemila, in
rapporto non sono tanti, corrispondono a scarsi cinque dei
vostri mesi terrestri ed anche se sembrano tantissimi, sono solo
sufficienti per avere un’impronta, seppure significativa, su
ogni anunnaki che svolge ogni tipo di conduzione degli affari
comuni, compreso il ruolo di leader.
Le femmine delle Pleiadi contano quasi più di noi maschi,
perché ci formano ad ogni sorta di responsabilità e mansione
da avere nella vita futura, che loro stesse hanno il compito di
individuare per ognuno di noi.
Se una femmina dice che suo figlio sarà un leader, sarà così,
lui diventerà un leader.
Se una femmina dice che suo figlio sarà un guerriero, sarà
vero, lui diventerà un guerriero.
In questo, non vige alcuna forma d’imposizione matriarcale o
personale, ma semplicemente il ruolo e l’amore di madre,
espresso nel comprendere in cosa il proprio figlio potrebbe
essere maggiormente utile al bene comune del suo popolo.
Tutto si fa e si svolge in questi termini.
Aiutarci a formare la nostra coscienza.
Allo stesso modo vengono individuati, i medici, gli operai, gli
artigiani, gli insegnanti, gli artisti e chiunque, con molta
sincerità di scelta.
Purtroppo questa grande ed importante caratteristica del nostro
popolo, è venuta meno ed è caduta in una profonda crisi,
soprattutto in altri posti, diversi da Asterope, dove sono
concentrati gli anunnaki reggenti e dove stranamente i leader
sono diventati innumerevoli, rispetto agli operai e a chiunque
altro, a manifestare la grande perdita di concretezza e valori in
cui il nostro mondo versa.

177
Dove tutti vogliono prevalere e nessuno vuole condividere e
svolgere il proprio compito seguendo le proprie attitudini con
umiltà.
Dove le macchine elettroniche computerizzate hanno sostituito
gli esseri viventi in tutto e per tutto ed ogni sentimento è stato
cambiato in sterile automatismo.
Ed è proprio questo ciò che purtroppo vi abbiamo trasmesso di
noi. La parte più brutta in cui siamo finiti dopo centinaia di
migliaia di anni di evoluzione.
Noi di Asterope stiamo tenendo duro però, ed abbiamo cercato
di conservare quasi integro il ricordo della nostra vera, buona
essenza.
Gli anunnaki non sono un popolo cattivo, anche se molti di noi
lo sono diventati, cadendo in un brutto tranello, tiratogli
dall’oscurità e dalla paura della morte, in cui si finisce se si
perde di vista il grande segreto della vita, che pure è evidente
agli occhi di tutti, ma a volte terribilmente sfuggente.
Il timore di morire tiene in sé il più importante segreto della
vita stessa, alla luce del giorno, ma allo stesso tempo
all’ombra degli esseri viventi.
Tutto quello che passa per il possesso ed il potere, esercitati
dall’ego per sottomettere il prossimo, deriva proprio da questa
antica paura.
Considerare la morte un episodio che distrugge la vita o una
iattura da evitare a tutti i costi, a rischio di qualsiasi cosa ed a
discapito di qualunque altro essere vivente, che invece dovrà
patire, lavorare e morire al posto nostro, e quindi considerarla
qualcosa di diverso ed opposto alla vita stessa e non un
fenomeno che è parte integrante di essa, anzi, oserei dire, in
sua perfetta continuità.
E’ quest’ultimo il grande segreto della vita che ci è sfuggito.
Sia a noi anunnaki, che ora anche a voi umani, forse per colpa
nostra.
Cosa sarebbe un fiore se non morisse in un frutto?
Forse un chicco di grano non muore nella terra perché rinasca
nuova vita in lui?

178
Aver paura di morire è come essere un atleta e passare la vita a
prepararsi fisicamente e mentalmente per affrontare la grande
gara di sempre, ma una volta in corsa, avere terrore di arrivare
al traguardo.

Abbiamo reso l’esistenza qualcosa di spaventoso da vivere.


La vita è diventata una battaglia. E questa è una cosa molto
evidente.
Un costante, lottare, lottare, lottare.
E abbiamo diviso quel vivere dalla Morte.
Separiamo la morte come qualcosa di orribile, qualcosa da
dover combattere. E invece questa vita, che per noi è
infelicità, la accettiamo così!
Se non ammettessimo questa esistenza come sofferenza, allora
la Vita e la Morte diverrebbero parte di un unico movimento,
che è Amore, Morte, e il vivere questo tutto in Uno.
Bisogna totalmente morire per scoprire cos’è l’Amore.
E poi, addentrandoci in quelle domande del tipo:
Cos’è la Morte?
Che cosa c’è dopo la Morte?
Se c’è la Reincarnazione.
Se c’è la Resurrezione.
Insomma, tutte quelle cose.
Beh il chiederselo diventa piuttosto insensato, se non si sa
come vivere.
Se l’Essere Umano, impara a vivere in questo mondo senza
conflitto, allora la Morte acquista un significato
completamente diverso.
Jiddu Krishnamurti

Denis comunque, andava aiutato nella ricerca di una


compagna di viaggio umana.
Secondo me il suo percorso aveva bisogno di risolvere
questioni con le vite passate dalla sua anima in altri corpi, ed

179
in questo io, con la mia esperienza di esploratore di corpi, ed
anche di uomini, potevo aiutarlo.
Certo, non avevo mai fatto esperimenti con l’estrazione della
coscienza dagli umani, usando la scatola nera ed i raigòn,
come erano soliti fare altri miei fratelli anunnaki, che
abbandonavano i loro vecchi corpi contenitori, per entrare in
nuovi altri e poi ancora in altri, estraendo la propria coscienza
da loro stessi, per impiantarla in contenitori nuovi umani già
esistenti, violati, perché svuotati della loro coscienza nativa,
intrappolata ed archiviata in una scatola nera. Questo, perché
nutrivo un forte rispetto per le anime, sia che appartenessero a
corpi umani naturali, sia che fossero di cloni umani o
anunnaki, ed inoltre volevo tenermi stretta la mia anima
nativa, anche se con la dimensione alter ero stato in
convivenza con parecchi corpi, tanto da avere una buona
esperienza per guidare il ragazzo.
Purtroppo è così, gli esseri del mio popolo erano ormai capaci
di entrare con la loro coscienza in uomini già adulti,
intrappolandogli e sottraendogli la loro vecchia coscienza
originale e sostituendogliela con la propria, oppure in cloni di
bambini umani, che venivano sostituiti abilmente, senza che se
ne accorgesse nessuno, neanche le loro madri.
Potevamo così manipolare il vostro popolo, entrando in esseri
che occupavano posizioni di potere ed allo stesso modo
potevamo vivere per molte centinaia di migliaia dei vostri anni
terrestri, perché la coscienza non invecchia mai, ma invecchia
solo il suo contenitore.
Nel migliore dei casi ci clonavamo un nuovo corpo con gli
stessi nostri geni, e vi portavamo dentro la nostra coscienza
per tutti gli anni che volevamo.
I reggenti anunnaki in questo modo vivevano migliaia di anni
e venivano considerati da voi umani, degli El Ohim.
Se Anima l’avesse capito, si sarebbe accorta di essere stata
ingiustamente intrappolata in coscienze non scelte liberamente
da lei stessa, si sarebbe ribellata e sarebbero stati problemi
serissimi per tutto il mio popolo, ma la sua purezza non

180
comprende sospetti di questa sorta, per cui non si accorse mai
del sopruso e non se ne sarebbe mai accorta, a meno che
qualcuno non avesse trovato il modo per metterla in guardia.
Diversamente dai reggenti di Nibiru, noi di Asterope, come
pochi altri anunnaki, ci saremmo accontentati dei nostri 22000
anni di vita, che normalmente ci sono concessi o 30000 se
abbiamo delle missioni dove siamo costretti ad usare la
dimensione alter che allunga la vita. Sicuramente non
avremmo mai invaso un corpo umano o di altre parti del
cosmo, per il solo gusto di allungarci l’esistenza.
Tornando a Denis, secondo me, doveva ricordare alcuni viaggi
passati della sua anima, se voleva avere la possibilità di
scoprire il suo vero karma ed incontrare la via giusta.
In questo viaggio avrebbe imparato anche tante cose che gli
sarebbero tornate utili per la missione.
Gli avrei dato una mano, in questo poteva contare su di me.
In chat conobbe una donna, dopo aver rotto con la compagna
avuta dopo sua moglie Miriam.
Si chiamava Louisiana, ma Denis la soprannominò, Strega
nera.
La donna disse subito che aveva avvertito qualcosa di strano
sin dai primi momenti in cui avevano iniziato il contatto.
Era una ragazza dai capelli lisci e neri e dal corpo prosperoso.
Denis era abbastanza stanco delle solite conoscenze online,
che sarebbero finite in poche settimane e senza aver portato a
nulla di buono se non a litigi per accorgersi di non essere
affatto in sintonia.
Ma con lei fu diverso.
Iniziarono col sentirsi in chat, ma subito dopo anche al
telefono.
Separati geograficamente da parecchie centinaia di chilometri,
non potevano vedersi tanto facilmente.
La donna sembrava essere molto recettiva e non era di certo
una persona nella norma.
Sentiva che aveva qualcosa da rivelare a Denis sin dal primo
momento che si scambiarono parola.

181
Dopo un breve periodo di conoscenza in chat ed al telefono,
dove la donna gli rivelò dei suoi ripetuti viaggi in India e della
sua grande esperienza nel tentativo continuo di mettersi in
contatto con la Fonte Divina e della sua buona capacità di
aiutare la gente a sapere di se e della propria vita, sia presente
che passata, anche con l’utilizzo di regressione ipnotica o con
la psicoterapia di gruppo delle costellazioni, ci fu un episodio
molto strano che portò Denis ad una grossa scoperta su di se.
Un giorno quella donna fece un sogno.
In questo, i protagonisti erano lei e Denis.
Aveva sognato il giovane in tenebrose quanto sinistre
sembianze ed il fatto strano era che lei non aveva provato
paura o ribrezzo nel vederlo in tali panni, ma solo una
stranissima ed inspiegabile attrazione.
Quella sera lo chiamò, molto determinata.
“Ehi Denis come stai?”
“Ciao Louisiana, sto bene e a te come va?”
“Diciamo bene.”
Louisiana a dire il vero sembrava sin dalle prime parole star
nascondendo il suo vero stato d’animo nel sentirlo.
“Perché questo, diciamo? Qualcosa non va?”
“Beh! Effettivamente ho fatto uno strano sogno la notte
scorsa.”
“E quindi mi hai chiamato perché magari vuoi parlarmene?”
“Veramente si, vorrei proprio parlartene.”
“Avanti allora, che aspetti.”
La donna prese un attimo di tempo per raccogliere le idee ed
iniziò il racconto.
“Eravamo insieme in una strana casa al centro di Torino, una
di quelle antiche residenze settecentesche.
Tu eri vestito con degli strani abiti eleganti ed un cilindro
grigio, ma direi alquanto vintage, sembravi essere anche tu
uno strano personaggio di quell’epoca.
Ci guardavamo intensamente senza parlarci e nessuno dei due
sembrava essere interessato a farlo.

182
Fino a quel punto non ho avuto alcuna strana o spaventosa
sensazione, anzi il sogno scorreva sereno ed anche piacevole.
Ma ad un tratto mi sei venuto accanto ed il tuo sguardo si è
spento, come se di colpo non ti appartenesse più, ed hai
avvicinato le tue labbra per baciarmi e lo facevi, stranamente
facendomelo trovare eccitante.
Louisiana, un po’ sconvolta ed imbarazzata, fece una pausa
per prendere fiato, al che Denis la interruppe, dicendo con
voce divertita:
“Beh! Non mi sembra poi tanto preoccupante!”
“Invece lo è.” Ribadì duramente la donna, che non
manifestava alcuna voglia di scherzare.
“Tu ad un tratto tiravi fuori una lingua che non era di essere
umano, ma era lunga e molto spessa come se appartenesse più
ad un rettile che ad un uomo e poi i tuoi occhi diventavano di
uno stranissimo colore nero intenso da non distinguere più
neanche la pupilla, che pulsava a tratti di uno strano colore
rosso fuoco.”
“Oh cavolo! Stando così le cose, allora è preoccupante.
Cosa credi di fare ora, sei turbata?”
Rispose Denis, con aria meravigliata.
“Turbata, sicuramente parecchio, ma so già cosa voglio fare
perché ho sentito subito la sensazione.
Verrò a Monte Sant’Angelo a visitare la grotta dell’Arcangelo
Michele, appena possibile, anche la settimana prossima.”
“Bene, quindi vuoi che ti guidi io?”
“Beh, dopo averti parlato di questo, mi sembra assurdo venire
li e non passare un po’ di tempo con te.”
Al che Denis ribadì:
“Vieni appena puoi, potresti far arrivo anche alla stazione di
Foggia. Monte Sant’Angelo è poco collegata con i mezzi
pubblici, li ci sarò io a prenderti, ti accompagnerò e ti guiderò
io stesso per il resto della permanenza, se vorrai.
Sono sempre un abitante dello sperone di Puglia, quindi qui
sono a casa mia.”

183
“Va bene Denis, prenota per venerdì prossimo un albergo a
Monte Sant’Angelo per una notte, fammi sapere dove e prendi
anche tu una stanza, se ti va di rimanere per un paio di giorni
con me ed aiutarmi a capire cosa stia accadendo.”
“Certo che mi va, lo faccio questo pomeriggio e ti metto subito
al corrente.”
Denis cercò online un buon albergo a Monte Sant’Angelo ed
una volta trovato quello che gli sembrava ideale per la
circostanza, prenotò due stanze.
I due si videro il venerdì mattina successivo per passare un
paio di giorni insieme.
Denis andò a prendere Louisiana alla stazione di Foggia ed
insieme si recarono a Monte, è così che i paesani del posto
chiamano la cittadina della grotta dell’Arcangelo Michele.
Arrivati, lasciarono frettolosamente le valige nelle loro stanze
e fecero subito visita alla cattedrale dell’Arcangelo.
Louisiana conosceva la storia di Denis, perché avevano un
rapporto abbastanza confidenziale da essersi rivelati alcuni dei
loro segreti più intimi.
Pertanto erano molto emozionati nel vivere quella esperienza
insieme.
La donna volle parlare a Denis di ogni aspetto del suo rapporto
con l’Arcangelo Michele e lo trovava al quanto originale e
straordinario, ma allo stesso tempo reputava ci fosse qualcosa
in più da scoprire che superava quell’originalità e che il posto
in cui si trovavano era un luogo adatto per andare oltre.
Si fece tardi ed andarono a letto soddisfatti dell’interessante
giornata passata insieme, ma anche abbastanza esausti.
La mattina successiva il ragazzo decise di portare la donna a
visitare il mare dello sperone del Gargano e la portò a Vieste.
Era una giornata un po’ piovosa ma di un grigio perla
particolarmente luminoso.
Nel viaggio, Denis iniziò stranamente a parlare di cavalieri
dell’ordine di San Giovanni di Gerusalemme e di massoneria
templare, rivolgendosi a tali personaggi con definizioni che
comunque facevano trasparire che fosse molto critico e quasi

184
polemico, nei confronti di alcune loro scelte, notando
comunque uno strano e curioso interesse da parte della donna,
che lo spinse a continuare senza sentirsi pesante nel discorso.
Non era nuovo Denis a tirare fuori questi argomenti, per via
della sua grande passione per la storia, ma mentre parlavano
iniziarono a notare dei fenomeni abbastanza curiosi.
Nel tragitto, il primo simbolo dei templari con la croce greca
scolpita nella pietra dei muri di contenimento della scarpata
della montagna, apparve ai due.
Denis disse:
“Ehi guarda lì, parli dei Templari e spuntano le croci.”
“Si, ho notato.” Rispose Louisiana, con aria meravigliata e con
uno strano sorriso ammiccante.
Alla seconda scultura crociata, con tanto di scritta in latino,
Denis rallentò con l’auto e disse alla sua amica:
“Ho iniziato il discorso casualmente, non sapevo che questo
posto avesse una tradizione templare di questo tipo, adesso lo
sto guardando in veste completamente diversa.”
Si guardarono, sorrisero e comunque Denis cambiò discorso e
continuò a guidare.
Stavano arrivando a Vieste ed era quasi ora di pranzo.
Parcheggiata la macchina vicino al porto turistico, i due si
recarono in centro anche per trovare un posto dove poter
mettere qualcosa sotto i denti.
Nel frattempo Denis faceva visitare a Louisiana la parte più
antica della caratteristica e bellissima cittadina, tra gli orgogli
del Gargano, fino a condurla al belvedere che lasciava
osservare il piccolo suggestivo golfo, il quale nonostante la
pioggerellina che non faceva trasparire il sole, restava
comunque di una bellezza suggestiva e disarmante, che ti
faceva trattenere il fiato dall’emozione, soprattutto se ci
arrivavi come loro da una piccola stradina e te lo trovavi
subito di fronte a te.
Un attimo dopo decisero di andare a mangiare e si misero a
cercare qualche posto che potesse andare bene.

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Di novembre non c’era grande scelta a Vieste, perché questo è
il periodo in cui gli albergatori ed i ristoratori chiudono
bottega per godersi il loro meritato e tanto aspettato momento
di riposo feriale, avendo finito le ultime fasi di stagione
nell’appena trascorso ottobre.
Ad un tratto però, un signore, dalle sembianze distinte e
gentili, in una lunga auto scura, gli si avvicinò stranamente e
rivolgendosi a Denis:
“State cercando un posto per sedervi a mangiare vero?”
E Denis senza indugiare e sorridendo un po’:
“Perché abbiamo l’aspetto di due affamati?”
Ed il tipo ancora dalla macchina, sorridendo per la pronta
risposta, con il finestrino fianco guida tirato giù per poter
parlare:
“No, non direi. Comunque salendo quella strada di fronte a voi
ci sono tre o quattro posticini, tra lato destro e lato sinistro,
andando fino in fondo. Sono tutti molto accoglienti e validi
nella qualità delle pietanze, magari fate ancora in tempo, vista
l‘ora, a trovare un posto a sedere. Considerando che siete solo
in due, dovreste farcela.”
“Benissimo, grazie! E’ stato molto gentile, vediamo subito
cosa fare, arrivederci.”
“Di nulla, dovere, arrivederci e buon pranzo a voi.”
Denis e Louisiana si misero a cercare un posto tra quelli
suggeriti.
Entrati nel primo, sembrava molto caratteristico, ma alla
reception non c’era nessuno e nonostante le molte chiamate
non arrivava alcuno a riceverli, per cui dovettero desistere ed
andare via.
I posti indicati da quell’uomo più avanti nella strada erano tutti
pieni di gente o chiusi per ferie, non rimaneva che tornare
indietro e provare in un altro quartiere.
Sulla via del ritorno, la porta del primo posto in cui avevano
provato ad essere accolti, era ancora aperta, per cui Denis si
affacciò riprovando a chiamare, chissà, magari questa volta
qualcuno avrebbe potuto rispondere.

186
“Buongiorno! C’è qualcuno? Si Può?”
Ed ecco quel qualcuno farsi avanti frettolosamente e scendere
le scale del ristorante, situato in un vecchio palazzo
seicentesco, per andare velocemente alla reception ad
accogliere gli ospiti all’ingresso.
“Un attimo, sto scendendo! Scusate ma non siamo del tutto
aperti al pubblico.”
Disse l’uomo, con ancora un po’ di affanno, per le scale scese
rocambolescamente.
Al che Denis.
“Oh mi scusi allora, non volevamo disturbare! Sa, ma vedendo
la porta aperta, abbiamo pensato fosse aperto anche il
ristorante.”
“Beh in effetti non lo è! Stiamo pranzando noi in famiglia.
A novembre non si hanno molte prenotazioni, per cui a volte
veniamo a mangiare noi stessi con le nostre famiglie, come
quando ci vivevamo qui, perché una volta questa era la nostra
casa.”
“Buona idea direi! Ma lei, scusi, mi sembra un viso
conosciuto!”
Rispose Denis all’uomo che si poneva in modo estremamente
cordiale, nonostante l’ora ed il disturbo.
“Si certo, lo sono. Sono l’uomo in macchina che vi ha dato le
indicazioni pochi minuti fa.”
“Ecco, anche se l’ho solo intravista nell’abitacolo dell’auto dal
finestrino, ricordavo l’aspetto sommariamente, ma la voce
limpidamente.
Perché non ci ha detto subito che aveva un suo ristorante, forse
perché siete chiusi al pubblico?”
“Beh, sinceramente, volevo esservi utile prescindendo dai miei
interessi personali. Ma se volete mangiare qualcosa, potete
salire, solo che oggi mangereste quello che mangiamo noi, non
c’è un menù, ma semplicemente quello che mia suocera cucina
per noi e lo divideremo anche con voi. Se per voi non è un
problema, salite pure.”

187
Denis e la donna, un po’ meravigliati dallo strano quanto
gentile invito, accettarono e salirono nel palazzo, recandosi
verso le stanze superiori del ristorante.
L’uomo, mentre guidava i due nel visitare l’enigmatico
palazzo seicentesco, spiegò che la fabbrica era stata ereditata
dagli avi di sua moglie e che prima ci abitavano loro stessi.
Si trattava di un vecchio convento di monache che la loro
famiglia aveva comprato qualche secolo prima.
Intanto, in un ristorante completamente vuoto, i proprietari
pranzavano in una delle sale all’ingresso, mentre Denis e
Louisiana furono fatti accomodare in una delle ultime stanze
con balconcini vista mare, proprio con affaccio su una
insidiosa insenatura delle verdi montagne che cadevano a
picco nel mare grigio perla, lucente e luccicante dalla
pioggerellina.
Tutto molto suggestivo e surreale.
Da rischiare di non trovare nemmeno un posto a sedere a
trovarsi in una struttura da sogno tutta per loro.
Improvvisamente intima come situazione.
“Denis.” Disse Louisiana. “Continuami a parlare della tua idea
sui Templari?”
“Perché? Credevo ti avessi annoiata, te ne ho parlato per tutto
il viaggio fino a Vieste.”
“Invece no! Poi ti dirò il perché, ma tu continua pure.”
“Si, intendevo dirti che ho una sorta di ammirazione, ma anche
un po’ di rancore per il loro ruolo nella storia della spiritualità.
Non mi è piaciuto per nulla che abbiano tenuto per loro segreti
troppo grandi. Si sono comportati come la più oscura delle
aristocrazie massoniche. Loro, che avevano il compito di
diffondere al popolo ciò che il Clero e l’Aristocrazia avevano
intenzione di non rivelare mai. I più intimi segreti sulla
Cristianità e sulla vita di nostro Signore.
Le rivelazioni dei Vangeli apocrifi e della gnosi a cui avevano
avuto libero accesso in Terra Santa, li avevano condotti alla
conoscenza dei segreti sul potere più grande dell’essere
umano, sulla sua vicinanza a Dio Padre e sulla sua capacità di

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esercitare e manipolare l’energia quantica, fino a compiere
prodigi come la trasformazione della materia tramite il proprio
pensiero e la creazione di eventi con la sola forza della psiche.
Poi, perché prendersela con le donne di libero pensiero e di
cultura?
Sai Louisiana, cosa facevano per conto della Chiesa Cristiana
a donne come te?
Le accusavano di magia e di eresia e le mettevano al rogo!
Non saresti mai stata libera di fare i tuoi studi in India o le tue
sedute di regressione ipnotica, se non i tuoi seminari di
costellazione familiare, senza essere condannata come strega
davanti ad un tribunale dell’inquisizione ed essere messa al
rogo.”
La donna guardava Denis con aria sbigottita. Anche se il
ragazzo non credeva di star dicendo nulla di male.
“Cosa hai? Perché mi stai guardando in quel modo?”
Disse la donna.
“In che modo, Louisiana?”
“In quello in cui mi guardi! Nonostante la tua
disapprovazione, sembra che tu non sia del tutto contrariato
dalla storia dei roghi per gli eretici, non è vero?”
“Ma che stai dicendo?”
“Invece mi è apparso proprio così. Ho avuto una visione
mentre parlavi?”
“Visione?”
“Si, mi sei apparso in una tua antica veste.”
Denis credeva che la donna avesse bevuto troppo vino rosso e
stesse dando un po’ i numeri, ma a guardare la bottiglia ed il
bicchiere ancora quasi pieni, si chiese cosa potesse essere
realmente accaduto e se stesse bene con la testa.
Comunque non le impedì di continuare.
“Mi sei apparso in un modo e vestito di panni che non potrò
mai dimenticare. Ti ho ricordato e ti ho riconosciuto.”
Intanto, salvifico, arrivò il tizio del ristorante che iniziò a
portare a tavola le prime pietanze e Denis approfittò per
cambiare ancora argomento.

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“Ne parliamo dopo Louisiana, adesso brindiamo al nostro
incontro e godiamoci il bel pranzetto, te l’ho detto che è
meglio cambiare discorso e tu ancora con questi Cavalieri
Templari.”
I due finirono il pranzo con qualche altro interessante
argomento, ma con il pensiero sempre a quella strana
sensazione che avevano provato ogni volta che si parlava di
Cavalieri Templari.
Dopotutto fu una bella esperienza mangiare insieme e da soli
in quell’affascinante palazzo, uscirono anche fuori al balcone
per prendere un caffè, seduti ad un vecchio tavolino tondo con
sedie in ferro battuto, sotto la pioggerellina, ma ormai si stava
facendo tardi e dovevano tornare in albergo, anche perché la
strada del ritorno non era per nulla facile tra i montanti sinuosi
del Gargano che con la pioggia non promettono mai nulla di
confortante.
Denis e Louisiana si recarono a pagare il conto nell’altra
stanza, dove c’era una signora con una bambina, seduta di
spalle all’arcata d’ingresso dall’altra sala da cui provenivano,
che aveva sopra al suo centro un grosso quadro, raffigurante
un antico signore con cappa e manco a farlo apposta, una
croce templare rossa cucita sopra.
La signora seduta col bambino era la moglie del titolare
dell’albergo, nonché la vera padrona ereditiera del palazzo.
Denis non poté fare a meno di sospirare ed esclamare con aria
scocciata:
“Ecco la, ancora i Templari! Sa signora, detto tra noi, non che
mi siano molto simpatici, secondo me potevano essere più
sinceri nella loro infida storia, ma è tutto il giorno che ci
perseguitano con degli strani seppure chiari segni e con la loro
silenziosa e subdola presenza.”
La donna guardò Denis con aria, tra lo stranito ed il
dispiaciuto, e conservando un certo sorriso di cortesia, gli
rispose subito a tono:
“Sa, dipende dai punti di vista, a volte quello che per lei è
sbagliato per altri potrebbe essere invece l’unica via di uscita.

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Per esempio, quello nel quadro è il mio bisnonno paterno ed
ho sempre sentito parlar bene di lui, sia dai miei che dalla
gente che ebbe modo di conoscerlo.”
Denis di colpo arrossì completamente, avendo capito di star
provando ancora una volta disagio, ed il motivo era sempre lo
stesso, i Cavalieri Templari.
Si giustificò subito con la signora, dicendo che forse si era
spiegato male e che in effetti non aveva nulla contro il suo
bisnonno paterno, ma la ragazza sorridendo, sembrava non
esserne neppure scalfita e comunque accettò senza indugiare le
scuse dovute a quella gaffe involontaria ma pesante.
Per l’ennesima volta Denis cambiò discorso, chiedendo il
conto ad un’altra signora che era dietro il banco di fronte a
loro, che doveva essere la mamma della donna con cui Denis
aveva appena parlato e che aveva cucinato per loro ed aveva
spiacevolmente sentito l’intero discorso.
Nel frattempo Louisiana lo guardava con un sorriso che era tra
la meraviglia e la comprensione, per le strane coincidenze che
avevano messo il ragazzo in una situazione di serio imbarazzo.
I due pagarono il conto ed uscirono dal palazzo, ringraziando
per il trattamento di favore e promettendo di ritornarci appena
possibile.
Fuori di li, Louisiana finì subito in uno strano silenzio, al che
Denis dopo un po’ non poté fare a meno di chiederle cosa
stesse pensando.
“Era da un po’ che volevo dirtelo Denis, ma ho avuto alcune
visioni poco fa, che mi hanno fatto emergere alcuni vecchi
ricordi, adesso mi spiego anche il sogno che ho fatto a
Torino.”
Denis ad un certo punto sentiva che c’era qualcosa su cui
approfondire e che non si poteva rimandare più.
“Bene, dimmi pure Louisiana, non mi fare stare sulle spine,
sento anch’io che dobbiamo chiarire qualcosa noi due.”
La donna continuò il suo discorso.

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“Mentre parlavi, ho ricordato di quando nel novembre del
1265, giovanissimo cavaliere mi catturasti e mi mettesti a
bruciare senza alcuna pietà.”
A Denis era passato tutto per la testa, ma non si sarebbe mai
aspettato una cosa simile.
Il ragazzo rimase sbalordito e senza parole, gli venne
immediatamente una strana reazione.
“Scusami Louisiana, scusami davvero, io non potevo
immaginare.”
Ad un tratto anche a Denis fu chiaro, tanto da chiedere scusa
come se avesse ammesso inconsciamente la verità di quella
storia.
In vita passata era stato un Cavaliere del Sacro Ordine
Templare ed aveva servito per tutta l’esistenza i Papi, in
battaglie crociate e nella cattura delle streghe che avrebbero
dovuto andare al rogo accusate e giustiziate per eresia.
Louisiana era solo una di quelle tante donne condannate a
morte.
La verità è che la ricordava perfettamente ora.
Ricordava anche che sapeva della loro innocenza e che erano
solo delle libere ed innocue studiose della spiritualità e
dell’alchimia e non facevano veramente nulla che fosse
demoniaco o magico, se non elaborare liberi pensieri, basati
spesso sulla sperimentazione chimica e l’empirismo.
Molte di loro venivano catturate ed imprigionate nelle peggiori
carceri dei feudi, senza avere commesso alcun illecito, ma
semplicemente per poter ricattare i loro ricchi genitori, che se
volevano rivederle vive, avrebbero dovuto cedere parte dei
loro possedimenti alla Chiesa.
I Cavalieri si prestavano ed eseguivano per il Clero dei veri e
propri rapimenti autorizzati, con tanto di richiesta di riscatto.
La cosa orrenda era che i Templari erano costretti a farlo pur
sapendo della totale innocenza delle donne, anzi, spesso
avendoci modo di parlare a lungo, le ritenevano persino grandi
menti e preziose pensatrici, ma dovevano eseguire tacitamente
gli ordini dall’alto.

192
Denis, in quei panni, era riuscito a liberarne molte, ma non
poteva farlo con tutte, altrimenti se si fossero accorti della sua
tendenza, avrebbero giustiziato anche lui per alto tradimento e
stregoneria.
Louisiana era una di quelle donne completamente innocenti
che aveva dovuto sacrificare per essere ritenuto credibile.
Lei, guardandolo negli occhi per porgergli l’ultimo saluto, gli
aveva detto:
“Non posso perdonarti Conte Cesare Savio di Monterchi, se
fossi veramente un barbaro forse potrei, ma malauguratamente
per te, non lo sei, magari verrò a farlo in un'altra vita.”
Ed era quello che era successo.
Louisiana lo aveva ritrovato nel 2015 ed avevano trascorso del
piacevole tempo insieme, perché Denis si potesse far
conoscere in panni diversi e farsi perdonare.
Adesso il ragazzo sembrava essere collegato con il suo passato
animico e poteva andare oltre.
In uno stato quasi di shock, in semiveglia, sedutosi ad una
cordolo di pietra nel pieno centro di Vieste, Denis ricordò
subito anche altre vicende del passato da Templare e si accinse
a raccontarle subito a Louisiana, che comunque non aveva
nulla contro di lui ed aveva apprezzato molto il
comportamento del giovane, che avrebbe potuto anche
scambiarla per matta e nella disapprovazione accompagnarla
subito in albergo per chiudere quella stranissima interazione,
ma che invece le aveva chiesto scusa, evidentemente molto
commosso e dispiaciuto, e continuava ad ascoltarla con
attenzione, aspettando di poter parlare anche dei suoi ricordi,
che adesso sembravano apparirgli molto più chiaramente.
Denis prese quindi a spiegare.
“Fui un Cavaliere dell’Ordine di San Giovanni di
Gerusalemme, in seguito conosciuti come Cavalieri di Cipro,
poi di Rodi, ed infine di Malta.
Eravamo frati benedettini guerrieri e nobili aristocratici,
spesso imparentati, perché tutti appartenenti alla casta di

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sangue blu, che era al corrente di segreti riguardanti lo spirito
dell’umanità, reputati inaccessibili ai comuni mortali.
Qualcuno nella storia usò chiamarli segreti del Santo Graal,
termine che è riconducibile all’acronimo Sangue Reale, cioè il
sangue nobile a cui la conoscenza di tali rivelazioni erano
destinate.
Spesso questi segreti costituivano la benedizione di noi
Cavalieri Templari, ma paradossalmente frequentemente
anche la nostra maledizione.
In realtà, in Terra Santa si andava a combattere per il primato
sulla conoscenza dello spirito e non per l’oro o per i
possedimenti terrieri.
I testi erano lì, in casa dei Saraceni, dov’era nato nostro
Signore. Avvolti in rotoli di pergamena o papiro, scritti in
sanscrito o in aramaico, ed i cardinali della nostra chiesa,
seppure ne conoscevano l’importanza, non avevano di certo
tempo da dedicare alla lettura o alla contemplazione dello
spirito umano desumibile da tali insegnamenti, presi
com’erano nelle lotte di potere per favorire quella che sarebbe
diventata l’espansione della multinazionale più ramificata del
pianeta, Santa Romana Chiesa.
Si resero presto conto che le cose andavano però
pericolosamente parallele.
Non era possibile avere potere sul pianeta senza la conoscenza
di quei segreti, che non potevano più demandare a noi nobili
Templari, che comunque non rappresentavamo una nobiltà
puro sangue diretta, anche se aristocratici, ma più che altro una
selezione di cultori e coraggiosi guerrieri di ranghi non molto
alti della casta.
Ma noi Cavalieri tra l’altro non ci eravamo persi d’animo, anzi
eravamo corsi preventivamente al riparo.
E’ fu guerra interna tra noi e loro.
Iniziammo a prestare i denari estorti alla Chiesa, in cambio
delle preziose rivelazioni spirituali ed esoteriche estrapolate
dall’attenta lettura di molti di quei testi e facemmo in modo
che questi si moltiplicassero rapidamente e copiosamente,

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tanto da poterci permettere di finanziare anche interi Stati e
famiglie reali.
Il nostro potere divenne presto illimitato e minaccioso sia per
il Clero che per le Monarchie.
I segreti ed i testi trafugati nelle guerre sante venivano letti ed
immagazzinati nella nostra memoria come il più sacro dei
tesori e poi venivano accuratamente nascosti come i bottini
stessi che ci facevano guadagnare.
Iniziammo ad esercitare la conoscenza della geometria sacra,
tramite la costruzione delle nostre roccaforti e qui iniziò la
nostra cultura dell’iniziazione.
Dovevamo rivelare ai nostri manovali esecutori, le accortezze
matematiche e geometriche minuziose e particolari, da
apportare per poter costruire precisamente le nostre fortezze
con il reale potenziale esoterico.
Ogni architettura, ogni grande costruzione di origine
aristocratica che vedete realizzata, ha una sua logica
geometrica ed esoterica legata alle stelle, dalla quale si può
attingere grande energia ed immenso potere, derivante non
solo dai riti propiziatori, ma anche dalla sua precisissima e
giusta agrimensura, fondamentale per poterlo fare.
Tanto valeva iniziarli alla conoscenza.
I muratori, figure indispensabili per realizzare le nostre precise
opere, vennero quindi a sapere quasi tutti i segreti legati alla
geometria sacra ed alla sua discendenza astrologica ed
esoterica.
Fu detto loro di custodire tali conoscenze, al pari della
custodia che avevano per la loro vita e che la loro stessa
esistenza sarebbe stata messa in pericolo qualora, per un qual
si voglia motivo, non avessero rispettato i patti.
Si formarono quindi le prime logge massoniche di liberi
muratori, che ancora oggi si fanno chiamare con questo nome,
create perché potessero continuare a custodire e tramandare i
nostri segreti, se ci fosse accaduto qualcosa come
sospettavamo potesse avvenire.
Essi, non erano di casta più umile.

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Non erano affatto di casta aristocratica, ma appartenenti alla
plebe.
Per la prima volta nella storia dell’uomo, mettemmo il segreto
nelle mani dei comuni mortali, dopo che ci fruttò ricchezze
incredibili.
Creammo la massoneria iniziatica del sapere.
Alcuni di loro oggi, vengono chiamati i Massoni Progressisti,
che si contrappongono in secolari e violente lotte di potere ai
Massoni Conservatori Aristocratici che non sono affatto
scomparsi dalla scena, anzi si sono adeguati intelligentemente
e messi in un comodissimo secondo piano massonico, da cui
impartiscono i loro ordini senza che neppure si sappiano i loro
nomi.
E così anche oggi come ieri, vedete chi si affianca e parteggia
per il popolo, opporsi a chi lo vorrebbe inutile e sottomesso.
Così come in passato gli enkiliti si opposero agli enliliti, da cui
deriva tale antico contrasto.
Presto arrivò il nostro triste momento.
La Chiesa chiamò a sé Philippe le Bel di Francia, Filippo IV il
Bello, marito di Giovanna I di Navarra ed organizzò la nostra
fine.
Tra l’altro ci doveva anche parecchi denari, dovuti alle sue
larghe e sconsiderate spese di cassa, che tra i suoi vizi e le sue
manie di grandezza, non seppe mai controllare.
Accolse quasi subito l’inaspettato e conveniente invito del
Papa Clemente V che anziché difenderci, come spesso i
Pontefici facevano nei confronti delle loro templari guardie del
corpo, questa volta, ritenendo l’alto tradimento, ci aveva
condannati ed abbandonati al nostro severo destino.
Filippo non avrebbe più restituito il debito, maturato un po’
per colpa della sua cattiva gestione, un po’ per colpa dell’usura
applicatagli da noi altri, proprio come avviene oggi, tra le
nazioni dell’Europa e la BCE.
L’imboscata fu organizzata con molta cura, ci uccisero quasi
tutti.
Venerdì 13 ottobre, 1307.

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Con l’aiuto di nostro Signore, alcuni di noi riuscirono a
cavarsela e si fecero integrare mischiandosi con i liberi
muratori.
Ancora oggi, i posteri di quelli di noi sopravvissuti, lottano
perché anche gli uomini comuni possano essere partecipi ed al
corrente di quelli che dovrebbero essere ritenuti da tutti, i
segreti più alti della conoscenza.”
Gli eredi sopravvissuti dei Templari, sono quindi la parte
migliore di loro.
Adesso era più chiaro quello che volesse dire la signora al
ristorante, quando aveva asserito che ogni storia dipende
sempre da come viene letta, per difendere l’opera del suo
bisnonno.
Denis proseguì il suo racconto nello stupore di Louisiana che
trasmetteva comunque anche una certa consapevolezza e
conoscenza di quello che ascoltava.
“Sai Louisiana, l’errore che commisi con te non fu l’unico
purtroppo.
Si chiamava Jeanne ed era della discendenza di quella
Giovanna che più tardi sarebbe stata chiamata dagli italiani
D’Arco, nel 1412, quando sarebbe nata, quasi un secolo e
mezzo dopo di lei.
La sua cattura avvenne in Borgogna nel 1283 e fu subito
condotta da me, quand’ero Cesare Savio di Monterchi, nelle
prigioni dei Baroni di Castel Nuovo a Napoli per essere
processata e subito dopo giustiziata, ma dove visse prima 5
anni prigioniera.
Era una cattura su commissione.
In effetti il marito di Jeanne, era Philip Arthur Romèe, un ricco
uomo d’affari, che aveva messo su un vero gigantesco
patrimonio, completo di palazzi e possedimenti, ottenuto dal
commercio della seta, alla cui Chiesa faceva parecchio gola.
La donna era molto attraente e con spettacolari e lunghi capelli
rossi, sembrava avere una bellezza non appartenente ad esseri
di questo mondo.”

197
Denis nel raccontare l’episodio a Louisiana, chiamava quella
donna, Strega Rossa.
La ragazza aveva colpito il crociato sin dal primo momento
della sua cattura.
Sottratta dal suo letto nel cuore della notte, già in camera sua
gli aveva subito esclamato:
“E così voi sareste un cavaliere guerriero e giustiziere della
Santa Romana Chiesa?”
Rivolgendosi a lui, con uno strano ma corretto italiano,
dall’accento francesizzante.
“Si Signora, lo sono.”
Aveva risposto il Conte crociato.
“E quale sarebbe la giustizia che si fa nei miei confronti?”
La donna lo guardava dritto negli occhi, con la sua bellezza
devastante, illuminata ancor più da un sorriso innocente ed
amichevole e dagli spiragli di luce che entravano dai
drappeggi delle tende delle finestre della sua camera,
provenienti dalla luna piena che dominava nel cielo oscuro.
Il Conte Cesare rispose molto timidamente:
“Nessuna, Signora. Nessuna giustizia. Ma devo condurvi in
una fortezza a Napoli per ordine di Sua Santità.”
“Quindi, state dicendo che il Pontefice si scomoderebbe per
una come me?”
La donna, da come si poneva, sembrava essere senza paura di
nulla e di nessuno.
“Andiamo Signora Giovanna, non vi accadrà nulla di grave.”
“Va bene Cavaliere guerriero non mi fiderò dei vostri modi
barbari di prendere una gentildonna, in casa sua, così, nel
cuore della notte e della vostra armatura piena di ferri e lame,
ma mi fiderò dei vostri occhi. Seppure neri come questa notte,
non mi sembrano per nulla infidi e lasciano trasparire qualcosa
di buono.”
Il Conte sapeva che la donna sarebbe andata a morte sin dal
primo momento, ma i suoi occhi nascondevano una possibilità
di intercedere per salvarla.

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La Chiesa non poteva permettersi che qualcuno raccontasse
nello specifico cosa accadeva in quelle carceri, le violenze e le
torture a cui erano sottoposte le donne erano inaudite, ed una
volta ottenuto quello che chiedevano dai genitori delle vittime
sacrificali, a cui veniva estorta una probabile e sofferta
confessione, quasi sempre questi perdevano figlia ed averi.
Denis ricordò la sofferenza di quella volta, che era
sopravvissuta nei suoi pensieri ed era arrivata fino a lui,
tramite l’energia dei ricordi ereditati dal Conte Cesare Savio di
Monterchi, di cui condivideva l’anima per essersi reincarnato
in lei, nel 1971, l’anno in cui nacque.
Nel viaggio, durato ben sette lunghi, meravigliosi ed
indimenticabili giorni, per arrivare a Napoli, Cesare aveva
avuto modo di parlare e confrontarsi con la donna, trovatosi
completamente solo con ella.
L’uomo capì subito che non andava trattata come una
prigioniera, ma come la gentildonna che era e lasciò che
questa viaggiasse nella sua carrozza e non in quella con le
sbarre e la paglia alla base, apposita per i prigionieri eretici
trasportati in viaggio.
Si accorsero, in quel percorso di strada e di vita fatto insieme,
che avevano molto in comune le loro anime.
Riuscirono a dirsi cose molto ricche di significato, che li
facevano sentire tanto vicini e parecchio simili nella loro
essenza più profonda e nel considerarsi come puri esseri
viventi, nonostante così lontani per il ruolo che avevano in
quella precisa circostanza.
Carceriere e prigioniera.
Ella rivelò di non essersi sentita neanche un minuto prigioniera
al cospetto dell’insolito cavaliere.
Cesare comunque fece di tutto per non rimanere coinvolto,
perché la fine della donna era abbastanza prevedibile.
Sua Santità, chiamato da un suo Arcivescovo, non arrivava
sino in Borgogna per perdere tempo e profitti.

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Quei giorni sarebbero rimasti indelebili nella coscienza dei
due, ma Giovanna sarebbe poi dopo morta, senza che lui fosse
riuscito fare nulla.
Il Tribunale dell’Inquisizione aveva una pronuncia sulla quale
nessuno poteva mettere lingua senza rischiare di tagliarsela.
Ed aveva decretato.
Jeanne Romeè di Borgogna, moglie del ricco Philip Arthur
Romeè, era una strega eretica ed andava processata e quasi
sicuramente condannata a morte.
Così infatti avvenne, l’8 gennaio 1283.
Cesare, prima che ella fosse giustiziata, si recò a farle visita
nella fortezza di Castel Nuovo dov’era carcerata.
Dopo mezz’ora di conversazione, la donna gli sussurrò, alla
fine nell’ultimo saluto, con un dolce sorriso sulle labbra che
faceva trasparire la nobiltà d’animo di chi non teme la morte
fisica, perché sa dove sta andando:
“Non sentirti in colpa crociato, so che esegui solo i tuoi ordini
per non cacciarti in guai seri, quindi togliti quelle tue lacrime
dagli occhi.”
Il conte rispose con voce flebile:
“Qualora andrò di là, se nostro Signore me lo consentirà e sarà
così magnanimo da perdonare le mie vili malefatte compiute
in questa vita, reputando di non dimenticarsi di me, come
meriterei, cosa dirò quando mi chiederà di ora, che non volevo
cacciarmi nei guai seri?”
“Certo! E perché no, credi che non faccia parte della tua
umanità? Dirai così, che hai avuto paura e Lui ti concederà
una seconda opportunità per salvarmi la vita, magari nella
prossima, dove ci rincontreremo e credimi ti farò pagare
dignitosamente il tuo conto con me e con il Padreterno, stanne
certo!”
“Ma io avrò sempre paura, anche in una prossima vita?”
La donna rispose prontamente:
“L’avrai, ma fino ad allora avrai imparato a superarla, ed io ti
lascerò andare libero da colpe, perché ti capirò come sto
facendo ora, ma questa volta solo dopo avermi salvata dalla

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morte e dopo aver salvato da essa anche te ed il tuo coraggio,
che oggi invece muore con me.”
Il Conte Cesare Savio di Monterchi non aveva in se neanche
più il fiato per respirare, figuriamoci per ribattere qualsiasi
cosa, e se ne andò sconfitto da quella fortezza.
Non visse mai più sereno per tutta il resto della sua esistenza,
dove andò ad uccidersi in una battaglia che fece solo per
procurarsi volutamente la fine.
Riguardo a Denis, la incontrò veramente la splendida strega
dai capelli rossi come il tramonto e dal profumo di rose di
giardino nella sua vita attuale ed a dire della donna, gliela
salvò realmente la vita e chissà come andrà a finire con lei.
La Strega Rossa è ancora qui.
Ma di questa storia ne parlerà la sua vita, non il suo racconto.
I Cavalieri templari erano così.
Uomini di spada, di coraggio e di intelletto.
Ma spesso si trovavano a scambiare la loro vita con i loro
principi ed i loro ideali e se volevano continuare a vivere erano
costretti a barattarli per la loro stessa salvezza.
Logge massoniche di ogni genere sono sempre esistite ed
hanno sempre dominato le sorti degli uomini semplici.
Iniziando dalla loro coscienza, per finire alla loro spiritualità
ed al loro intero mondo in cui esistere.
Tutto finto, confezionato e condizionato dalle logge
massoniche.
L’Aristocrazia ed il Clero hanno sempre avuto a che fare con
tutto questo.
Primo figlio alle armi.
Secondo figlio alla Chiesa.
Questa, la tradizione delle grandi famiglie affiliate, per avere
così investito sia nel potere temporale che in quello spirituale.
Ed a proposito di spirito, i Templari erano la loro guardia del
corpo, quindi i loro servizi segreti.
Quando fu istituito l’Ordine Sacro di San Giovanni di
Gerusalemme, l’intenzione del Pontefice era proprio questa,

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avere un grosso esercito segreto che facesse gli interessi solo
della Chiesa e di null’altro.
Denis adesso ricordava bene di esserne appartenuto e continuò
a raccontarlo a Louisiana, che ormai ascoltava assorta e non
interrompeva se non per porre alcune domande.
Avevano un ruolo molto importante i Cavalieri Templari
dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme.
Le Crociate quindi vennero organizzate per andare a
conquistare la città di sempre, e per avere il potere sulle
scritture e sulla conoscenza che, tra vangeli apocrifi e vecchi
rotoli gnostici, erano ancora patrimonio del medio oriente, ma
facevano gola agli aristocratici religiosi che erano nel
continente, perché rappresentavano la vera conoscenza a
differenza di quella che invece doveva essere servita al popolo
ignavo.
Denis continuò:
“Noi Cavalieri di San Giovanni avevamo rispetto per i nostri
nemici Saraceni e la sera prima della battaglia, spesso ci
incontravamo in luoghi segreti, dove spogliati delle nostre
armature, sia materiali che mentali, parlavamo dei vangeli
apocrifi, della gnosi, della parola degli esseni e di tutto quello
che ci interessava sapere sulla vera scrittura di nostro Signore.
Il giorno dopo esserci confrontati ed arricchiti con lo scambio
delle nostre conoscenze, ci combattevamo e ci ammazzavamo.
Il mio amico, nemico, una sera mi disse:
“Ci vediamo domani sul campo, Cristiano, spero di essere
ammazzato da te, così saprò nelle mani di chi vanno le
scritture che stiamo proteggendo e non sarò tanto triste di
essere stato ucciso dal nemico.”
“Avevamo letto e parlato per ore del Vangelo apocrifo di
Didimo Giuda Tommaso ed eravamo arrivati ad un punto
molto interessante.
Tommaso riprendeva duramente suo fratello Gesù, perché
andava ad affrontare i rabbi ed i Farisei nei loro templi, per poi
controbatterli violentemente, seppure solo verbalmente, sulle

202
loro interpretazioni delle scritture, spesso rischiando anche la
vita stessa.
In un tratto preciso, Tommaso chiedeva a Gesù il perché si
comportasse in quel modo, e se gli Esseni consigliavano di
abbandonarsi al volere di Dio Padre e lasciare fluire la Sua
volontà nelle nostre vite, amando il proprio nemico e
porgendogli l’altra guancia, perché lui sembrava invece
resistere a quella gente, come se fossero demoni da
combattere.

Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura


che voi avete udita con i vostri orecchi». Tutti gli rendevano
testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che
uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di
Giuseppe?». Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il
proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che
accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!». Poi
aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico
anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia,
quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una
grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu
mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone.
C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo,
ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro».
All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di
sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo
condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era
situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in
mezzo a loro, se ne andò.
(Luca 4. 21/30)

Gesù aveva risposto a Didimo Tommaso:


“Io sono il Cristo quando supero i miei limiti umani, ma
quando sono uomo, sono anche quei miei stessi limiti.

203
E comunque sia, non combatto il male cercando di
sconfiggerlo come fa Barabba, con spade e lance reali che
trafiggono la carne dei nemici romani.
Io lo combatto con spade ideali che cercano di fare chiarezza
su quale sia il modo giusto di fare davvero il bene degli
uomini.
Mi rivolgo a pecore smarrite e solo a chi, nella sua confusione,
rischia di far perdere il verso anche al fratello suo.
Per me, questa è una forma di amore incondizionato e
condivisione, e non di resistenza, perché mai alimento il male
con il male stesso, ma semmai cerco di disarmare la
confusione con acqua pura di sorgente.
Ogni uomo deve avere un libero arbitrio incondizionato e se
invece un qualsiasi demone lo inquina con la sua presenza, il
libero arbitrio ci sarà comunque, ma sarà condizionato, e
l’anima inconsapevole, sarà imprigionata in un circolo vizioso
la cui scoperta non la farebbe felice.
Qui nasce il problema di questa umanità.
Perché l’ospite alieno esterno, crea un libero arbitrio
condizionato dal suo esterno, quindi inquina la libera scelta
dell’anima.
E’ vero che viene attratto da ognuno di noi, che può
liberarsene quando vuole, ma è anche vero che egli si attacca
viscidamente alla povera esistenza di chi lo ospita e la
condiziona a modo suo, e non uscendo da se, impedisce di
andare verso la conoscenza e verso l’abbandono a Dio Padre.
Quindi il demone è come un pericoloso parassita aggiuntivo
che aggrava la condizione di ogni uomo, non lasciandolo più
guarire naturalmente dall’ombra, tramite l’ombra stessa, e non
lasciandolo più evolvere liberamente con un naturale rapporto
tra la sua coscienza e la sua anima.
Per questo il Padre Elì mi fece chiamare Sofia, che significa
sapienza, saggezza.
E’ a questo punto che interviene il Cristo che è in me, che
altrimenti avrebbe lasciato scorrere le cose naturalmente.

204
Il Cristo interviene, senza aver clemenza per nessuno stato
terreno e con tutte le sue forze ed i suoi poteri, solo quando la
natura si perde per colpa di un agente esterno, chiunque esso
sia ad interferire.

34 Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra;


non sono venuto a portare pace, ma una spada.
35 Sono venuto infatti a separar, il figlio dal padre, la figlia
dalla madre, la nuora dalla suocera:
36 e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa.
37 Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me;
chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me;
38 chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di
me.
39 Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto
la sua vita per causa mia, la troverà.
40 Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie
colui che mi ha mandato.
41 Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa
del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la
ricompensa del giusto.
42 E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a
uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi
dico: non perderà la sua ricompensa.
(Matteo 10. 34/42)

Tommaso era rimasto senza parole alla risposta di Gesù, che


comunque lo adorava proprio per questi suoi dubbi, che
portavano alla chiarezza.
Io e il saraceno parlavamo proprio di questo, perché spesso i
credenti pensano di dover subire il male così come a volte
godono del bene, ma non è affatto così.
Il bene è un progetto a cui partecipare, perché pone alla sua
base la voglia di condividere.

205
L’ombra è un percorso che porta alla luce, ma nessuno può
forzare l’ombra senza che la luce ponga rimedio.
Questo stavamo dicendo, io e Rani Isaam Mustafà di
Casablanca, in quella splendida serata del 25 maggio 1271.
Ma il giorno dopo io lo trafissi in battaglia.
Ecco cos’eravamo in realtà noi Cavalieri di San Giovanni.
La contraddizione fatta a persona.
Ogni uomo perde il suo valore nel momento in cui è costretto
ad eseguire ordini.”
Louisiana guardava Denis con gli occhi pieni di lacrime, ma
ad un certo punto gli fece un enorme sorriso.
Poi gli chiese:
“Ma secondo te esistono realmente questi esseri di cui parlano
i vangeli, che possiedono il corpo degli uomini e che Gesù
liberava?”
“Non so Louisiana, ma ne parlano palesemente anche i vangeli
tradizionali, basta solo saper cercare.”

21 Andarono a Cafarnao e, entrato proprio di sabato nella


sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. 22 Ed erano stupiti del
suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha
autorità e non come gli scribi. 23 Allora un uomo che era
nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a
gridare: 24 «Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto
a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio». 25 E Gesù lo
sgridò: «Taci! Esci da quell'uomo». 26 E lo spirito immondo,
straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 27 Tutti furono presi
da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai
questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda
persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!». 28 La sua
fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea.
(Marco 1. 21/28)

206
Nessuno di noi quattro, in questa parte del racconto, poteva
dare una vera risposta a Louisiana, anche se ognuno gli poteva
indicare una possibile strada.
Io, il narratore alieno, parlavo a Denis e lui aveva anche
riconosciuto la mia esistenza, perché mi rivolgeva la parola.
Gesù, nei Vangeli di cui si dibatteva, si scagliava a cuore
fervido contro ogni demone che gli si presentasse davanti al
cammino.
Didimo Giuda Tommaso era spesso con il Cristo ed aveva
assistito personalmente ad alcune liberazioni.
Diversamente, forse non ci avrebbe mai creduto.
Avevamo tutti delle prove concrete, almeno noi quattro.
Al che, un po’ stizzito dalla sua ripresentata titubanza e
miscredenza, dissi a Denis:
“Allora Denis, vuoi che continui a narrare il tuo libro?”
“Non dovresti dire, il nostro libro, alieno?”
“Allora Denis, vuoi che continui a scrivere il nostro libro?”
“Va bene Hac Him, vai avanti.”
” Se vado avanti, quindi esisto?”
” Certo che esisti, continua pure.”
Denis disse pertanto a Louisiana che in fondo ci credeva e non
riteneva potesse esserci ormai alcun dubbio riguardo a tali
esseri alieni, strane presenze, angeli o demoni che fossero.
Esistevano.
Va bene, allora Capitolo VII.

207
Capitolo settimo
PADRE GIACOMO.
DEMONI ED ARCANGELI

Conosceva Denis da quando era poco più di un bambino.


E’ nel campo giochi della sua parrocchia che il ragazzo imparò
a giocare a calcio.
Padre Giacomo De Cirillis.
Lo vedevano tutti come un padre vero e proprio.
Proteggeva ognuno dei suoi parrocchiani come se fosse un suo
reale figlio e non trattava nessuno con occhio di riguardo, ma
l’aveva per tutti.
Il prete, manco a farlo a posta, si sarebbe occupato
dell’occulto e del maligno, nella sua lunga carriera
ecclesiastica, divenendo uno degli esorcisti più stimati del
Vaticano e svolgendo la sua missione con profonda umiltà,
senza avanzare mai alcuna pretesa di carriera nei confronti di
nessuno.
Sarebbe diventato Cardinale senza nemmeno battere ciglio e
solo per volere di sua Santità il Pontefice, che lo riteneva una
risorsa immensa per l’intera Chiesa Cattolica.
Ma quando Denis era adolescente, Padre Giacomo era solo un
semplice prete di paese, con una profonda fede ed una grande
curiosità per la conoscenza.
Denis non gli disse mai nulla sulle sue stranezze e Padre
Giacomo comunque, non gli aveva mai dato l’impressione di
aver notato qualcosa che non andasse.

208
Voleva solo la sua parrocchia piena di gente e che questa
partecipasse alle funzioni religiose ed alla preghiera, oltre che
alla ricreazione, durante le adunanze con amici ed amiche
all’interno della sacrestia, alle gite estive o al campo scuola in
montagna.
Parlava con tutti e dava modo a tutti di dire ciò che non
andasse, preoccupandosi spesso anche di problemi personali,
che in età adolescenziale sono un bel peso da sopportare ed un
antipatico periodo da superare per ogni ragazzino.
Ci passò un po’ della sua adolescenza in quella sacrestia,
Denis, tempo sufficiente da rimanere nei ricordi del sacerdote,
specie quando per fargli uno scherzo gli aveva sgonfiato tutte
e quattro le gomme della Citroen nocciola, lasciandolo
rincasare a piedi.
Padre Giacomo non si arrabbiava mai, ma sapeva farsi
rispettare, quindi era meglio non esagerare.
Comunque, Denis sapeva che un giorno avrebbe potuto
chiedergli aiuto, proprio come quando era un ragazzino.
Arrivò quel giorno.
Denis aveva bisogno di dire a qualcuno di cui potersi fidare,
quello che gli stava succedendo, naturalmente senza correre il
rischio di essere additato come matto o anche, nella peggiore
delle ipotesi, vista l’importanza di ciò che c’era in ballo, senza
correre il rischio di essere fatto internare in un ospedale
psichiatrico da qualcuno che avrebbe preferito liberarsi di lui.
Quel giorno faceva caldissimo a Roma.
Era il 28 Luglio 2021.
Padre Giacomo era lì al Vaticano, perché avrebbe dovuto
sostenere una conferenza stampa sul tema degli Arcangeli, in
una famosa Biblioteca di Roma, quella Casanatense di via
Sant’Ignazio.
Iniziava alle undici.
Denis, arrivato a Roma in autobus, il mattino alle sette e
mezza, giunse puntuale alla Biblioteca che si trovava in rione
Pantheon.

209
Era lì in seconda fila, seduto ad assistere a quella conferenza,
più che altro per aspettarne la fine e sperando di poter avere
cinque minuti per potergli parlare.
La conferenza iniziò puntuale.
Padre Giacomo fu accolto da un lungo applauso a cui
partecipò anche Denis, che notò subito che il Cardinale era
molto cambiato e che i quasi trentaquattro anni passati in
effetti erano davvero tanti.
Finito il suo bel intervento, presero parola anche altri
sacerdoti, che lo affiancavano nella presentazione
dell’interessante argomento.
Demoni ed Arcangeli.
I suoi affiancati parlarono piuttosto degli Arcangeli Raffaele e
Gabriele.
Dell’Arcangelo Michele aveva voluto parlarne in precedenza
abbondantemente lui stesso.
In chiusura della interessante conferenza, fu data parola ancora
a Padre Giacomo, per consentirgli di poter avere l’ultima
sull’argomento.
Il Cardinale mentre parlava, aveva notato Denis e lo guardava
con aria incuriosita, anche se non l’aveva ancora riconosciuto.
“Chiuderei dicendo a tutti voi che il male non va temuto,
perché la Luce attraversa indenne la sua ombra, ed esso può
considerarsi uno dei suoi strumenti, più che un suo nemico.
Ma devo anche dirvi che non va affatto sottovalutato, né tanto
meno ignorato, perché non perdona nessuno. Ognuno di noi
può solo degenerare nella sua totale incomprensione e può
quindi non capirne più la motivazione, che invece sempre c’è.
Non c’è ombra che venga senza ragione e non c’è Luce che
venga per non farla svanire in sé.
Non capirne la ragione o non accettarla è l’effetto
indesiderato.
Guardate la luna.
Brilla nel cielo di luce propria, bianca e splendente.
Nessuno vede il fascio luminoso che l’illumina, eppure tutti
vedono il suo emozionante occhio raggiante.

210
Questo è il messaggio che ognuno di noi ha sotto i suoi occhi.
La Luce apparentemente si perde nell’ombra e nel buio, per
poi riemergere dal nulla ed impattare nella materia scura ed
illuminarsi ancora per mezzo di essa.
Si perde nella materia scura e riemerge dalla materia scura.
La Luna ci mostra questo.
La sua fonte luminosa sembra il riflesso in uno specchio
argentato d’acqua, ma non è altro che il riflesso di un
monotono terreno scuro, grigiastro.
Il buio suolo dei pianeti e dei satelliti, lo spazio profondo e la
sua oscurità, servono la Luce, facendola prima sembrare
scomparsa ed ingoiata dalle tenebre, per poi consentirle di
riaffiorare su sé stessi, mostrando di esserne solo
apparentemente privi e lontani.
L’oscurità è quindi solo un attimo, più o meno lungo, di
mancanza di Luce.
L’una non è eterna come l’altra, anche se va rispettata per il
suo importante ruolo.
Per questo ne sono molto affascinato e l’ho scelta come mio
maggiore argomento di studio e motivo di evoluzione
personale.”
Tutti levarono un grosso scrosciante applauso al sacerdote per
il discorso, a dir poco entusiasmante, che chiudeva una
conferenza unica ed originale sull’argomento.
Denis invece, era rimasto interdetto e scioccato, perché il
discorso mi aveva così tanto inebriato che gli avevo tolto ogni
forza energetica per reagire, facendolo sentire ubriaco come
mi sentivo io.
Dopo un po’ ci riprendemmo entrambi e capimmo che Padre
Giacomo era il nostro uomo.
Aveva appena detto, con un discorso pieno di contenuto
riflessivo e di altrettanta chiarezza espressiva, che il mondo
non era in pericolo per via del male, che non si deve però
ignorarlo e neanche temerlo e che sarebbe invece interessante
cercare di comprenderlo per poterlo accettare, come una
manna che il Signore dell’Universo ci manda per farci

211
cambiare ed evolvere o per condurci sulla strada che ha scelto
per noi e per la nostra esistenza tridimensionale, limitata e
restrittiva.
Il pericolo che esso porta con sé, non è esistere in di per sé, ma
non essere compreso e per questo motivo creare solo
distruzione in chi si imbatte in esso.

Le situazioni che noi chiediamo a Dio di cambiare, sono di


frequente quelle che Dio usa per cambiare noi. Ecco perché
spesso crediamo che non ascolti le nostre preghiere.
Denis

Denis aspettò con pazienza ed atteso che tutti i presenti


parlassero con il Sacerdote e ponessero le loro domande
riguardanti la conferenza, gli si avvicinò con uno strano ed
imbarazzato sorrisino sotto i baffi.
“Cardinale De Cirillis, complimenti per il discorso, è stato
emozionante ascoltarla.”
“Scusi, ma noi ci conosciamo vero?”
Disse il Sacerdote incuriosito dal volto abbastanza familiare.
“Beh, una volta si, credo.”
Disse Denis, molto imbarazzato.
“Sono Denis Spadaro, forse si ricorda ancora di me?”
Il Cardinale fece un sorriso e gli diede subito un buffetto
amichevole sulla spalla.
“Che ci fai da queste parti? Sei venuto allo scoperto?”
Denis impallidì immediatamente e disse con voce flebile:
“Vedo subito che non ci sono molti segreti tra noi!
Ho bisogno di lei Padre Giacomo e se per lei non è un
disguido, mi andrebbe di dirle con calma di cosa si tratta.”
“No ragazzo, per me non è un disguido, anzi ti aspettavo da
tempo, anche se visto il ritardo che hai portato, ti avevo quasi
dimenticato.”

212
Il Cardinale, che non aveva mai perso il suo sanissimo senso
dell’umorismo, scrisse il suo indirizzo su un foglietto di carta e
disse a Denis:
“Ci vediamo oggi pomeriggio alle 16.00, qui a questo
indirizzo e mi dirai quello che vuoi.”
Denis era molto contento di aver trovato quella solita vecchia
disponibilità, di un uomo che poteva essere l’unico capace di
dargli un consiglio utile, su cosa fare per continuare il suo
percorso in quella assurda storia che stava diventando la sua
vita.
“Grazie di cuore Eminenza, sarò puntuale. Ci vediamo nel
pomeriggio.”
Denis si sentiva per la prima volta un po’ più al sicuro.
Si fidava del sacerdote e sapeva che sarebbe stato importante
conoscere il suo parere sulla questione e che non avrebbe
rischiato nulla di grave per la sua sicurezza, affidandosi ai suoi
consigli.
Il pomeriggio il ragazzo si recò a Trastevere, dove si trovava
l’abitazione che era scritta sul foglietto che il Cardinale gli
aveva dato la mattina alla conferenza.
Un vecchio palazzo del settecento, che il religioso aveva scelto
come residenza, quando non doveva stare al Vaticano, dove
comunque ne aveva un’altra che occupava quando teneva i
seminari per l’iniziazione all’esorcismo ad altri sacerdoti che il
Vaticano individuava come possibili talenti da sfruttare nella
lotta contro il maligno.
Denis citofonò, Cardinale Giacomo De Cirillis.
Rispose un’anziana signora, che sentito il nome, lo invitò a
salire al terzo piano, avvisandolo del fatto che non ci fosse
ascensore.
Il ragazzo salì le scale molto emozionato, ma allo stesso tempo
imbarazzato per quanto fosse delicato l’argomento.
La donna gli aprì la porta e lo fece accomodare in un enorme
salone, con un tappeto persiano rosso porpora e con dei divani
in cuoio marrone scuro, con un grosso camino ed uno scrittoio

213
in noce, con una poltrona sempre in cuoio testa di moro, in
mezzo alla parete più corta.
L’evidente antichità dell’ambiente, era interrotta solo dalla
moderna attualità di un computer bianco con monitor 21
pollici, che era sulla scrivania e con i suoi fili collegati alla
ciabatta sotto di essa.
La signora chiese a Denis di accomodarsi su uno qualsiasi dei
divani del salone, se volesse una tazza di tè e se gli volesse
porgere la borsa per appoggiarla da qualche altra parte e farlo
sedere più comodo, visto che l’uomo l’aveva sulle sue gambe.
La custodiva con una particolare cura, neanche se contenesse
dei gioielli e rispose di non disturbarsi, al ché la signora andò
via senza insistere, ma incuriosita da cosa potesse contenere,
facendogli addirittura un ghigno a sottolinearlo.
Dopo cinque minuti arrivò Padre Giacomo, in jeans e camicia
grigia con tipico colletto da prete.
“Ehi ragazzo buona sera! Come andiamo?”
“Bene Eminenza! Non so se poterlo dire con convinzione, ma
io mi sento bene!”
Il Cardinale si accomodò sul divano, sulla poltrona di fronte a
Denis.
“Allora, cosa vuoi dirmi e vediamo cosa posso fare per te!”
“Padre è una storia lunga da raccontare ed è così delicato
l’argomento che non so neppure da dove partire.”
“Bene.”
Disse Padre Giacomo sorridendo.
“Inizia a dirmi meglio come stai e posa pure la tua borsa da
qualche parte, che non te la ruba nessuno.”
Il Sacerdote era anche un medico, aveva conseguito la laurea
in medicina prima ancora degli studi in Teologia, per cui
poteva anche riuscire a capire lo stato di salute reale
dell’uomo, senza farsi prendere troppo in giro dalle apparenze.
Denis replicò:
“Grazie sua Eminenza, la borsa non mi dà fastidio e
sinceramente credo di stare molto bene, ma quello che mi

214
succede potrebbe essere considerato anche tra i cattivi stati di
salute di una persona.
Per la precisione quelli della mente.
Premetto che non ho mai dato fastidio ad alcuno e mai
manifestato segni di instabilità, anzi, tante persone mi
chiedono addirittura pareri sulla loro vita e si fidano di me,
scegliendomi come loro confidente.
In pochi minuti sono capace di mettere a proprio agio qualsiasi
persona, tanto da fargli raccontare i suoi segreti più intimi,
senza capirne neanche bene il perché me li stia confidando.
Lavoro e cerco di avere un rapporto cordiale con tutti.
Mi capita di perdere la calma, ma come ad ogni essere umano
per motivi validi, almeno per la mente.
Nessuno mai mi ha fatto qualche appunto sul modo di essere,
tranne la mia ex moglie, che su quello ha veramente esagerato,
ma lei aveva le sue ragioni, dato il divorzio.
Vengo al punto.
Da un po’ di anni sento qualcuno dentro me che mi parla, sua
Eminenza.
Non mi dice cose orribili, di uccidere o di far del male ad
alcuno.
Qualche atteggiamento simile all’irruenza è avvenuto solo per
frustrazione o per avvilimento e per stanchezza dal non essere
mai ascoltato, ma il messaggio veniva immediatamente
cancellato quasi da un pentimento, da non arrivare neppure
seriamente al mio cervello, che lo ignorava considerandolo
una strana ed ineseguibile anomalia.
Ha passato un bel po’ di anni solo a farmi capire che esisteva
ed a farsi accettare.
La sua, sembra una presenza motivata e costruttiva, non
insensata o volta alla violenza.
Sembra essere in pace e serenità.
Il suo dialogo è per me motivo di crescita e di riflessione su
tutto e sembra essere invece per lui scopo di vita.
Dice che mettersi in contatto con me è la missione per cui è
nato.

215
Dice di poter vivere circa trentamila anni, ma anche molti più
se volesse insediarsi in altri contenitori fisici umani.
Dice di avere una dimensione alter con cui si può collegare a
me dalla sua dimensione reale, che si trova nel suo pianeta
base e che, a quanto pare, ha un luogo designabile che può
essere individuato geograficamente nella nostra galassia, ma
non credo si trovi nella nostra realtà dimensionale.
Dice di venire da Asterope, nella Costellazione del Toro, una
delle due stelle delle Pleiadi chiamate così, a 440 anni luce da
noi.
Mi ha convinto con grande fermezza ed onestà che è una
presenza reale, ma che se non ne fossi sicuro, mi avrebbe
lasciato definitivamente in pace, senza troppa insistenza.
Sono io che gli ho detto di rimanere.
Non mi dà fastidio, né mi complica il rapporto con la gente,
quella, diciamo normale.
Inizialmente credevo tutti fossero come me e che ognuno non
volesse rivelare il suo segreto per vergogna, ma poi ho
compreso che devo essere un caso più unico che raro.
Almeno ad avere una presenza apparentemente benigna e
condivisibile.
Dentro di me sono sempre stato convinto che quando mi
sentirò minacciato o in qualche modo in pericolo, se dovessi
chiedergli di andare via, se ne andrebbe immediatamente.
Sono sereno non ho paura di nulla.”
Padre Giacomo lo guardò con un’espressione molto profonda.
“Quindi sai cosa c’è dentro di te? Nel senso, sai di cosa
precisamente si tratta?”
“No, sua Eminenza, credo di essere qui proprio per questo
motivo.”
Il Cardinale guardò per un attimo Denis e prese a parlare:
“Benigno per quanto tu possa reputarlo, quello che mi descrivi
è un demone, ragazzo mio.
Credo provenga dalla stirpe di An.
I Sumeri li chiamavano Anunnaki.

216
Loro sono tra quelli che volano e si aggrappano alla coscienza
degli uomini.
L’unica cosa che mi sembra strana è che solitamente riescono
a stabilire un contatto così netto solo con esseri umani facenti
capo a ceppi aristocratici, definiti in gergo, di sangue blu, per
via della buona conduzione genetica del loro gruppo
sanguigno, e che questo purtroppo non è davvero mai a fin di
bene come dici tu possa essere.
Almeno, che io ne abbia conoscenza.
Riguardo al gruppo sanguigno, che è il vero problema serio
che si pone di fronte alla fattibilità di questa storia, perché
diversamente non sarebbe possibile un contatto così nitido, se
ci penso meglio provengo dal tuo stesso paesino e se “vox
populi” spesso è “vox Dei”, qualche vaga notizia indiscreta
sulla tua famiglia è arrivata anche al mio orecchio, anche se
nessuno ha osato mai parlarne palesemente, il popolino vive di
questi stupidi pettegolezzi e storie da raccontare alle spalle.”
Denis guardò profondamente il Sacerdote e disse:
“Qualcosa l’ho sentita anch’io Padre, ma non ci ho mai dato
né alcun peso né alcuna credenza.”
“Sai Denis, mi dispiace dirlo ma potrebbe essere vera la
leggenda, altrimenti non saprei spiegarmi la mancanza della
genetica nel contatto, che a questi livelli deve per via di cose
esserci.”
Va bene Padre Giacomo, andiamo avanti, non è un particolare
che mi scoraggia e comunque sia, mio nonno nel mio cuore
rimarrà sempre Cecco Spadaro, che ho sempre amato
profondamente, da ciò che mi è stato raccontato di lui, seppure
non lo abbia mai realmente conosciuto, perché morto prima
che io nascessi, e non mi interessa sapere altro.”
Intanto il Cardinale parlava stando anche attento a leggere
qualcosa in uno dei libri che aveva portato con sé e quando
sembrava aver trovato quello che cercava, si rivolse a Denis:
“Hai una qualche infarinatura di massoneria e di illuminati
ragazzo? Altrimenti qui facciamo notte.”
Denis lo guardò dritto negli occhi:

217
“Non dimentichi Cardinale, che c’è sempre un demone a
dividere il corpo con me, non Paperino.”
Il Sacerdote lo guardò sorridendo vistosamente, si avvicino
alla grande libreria di noce massello a vista, che sovrastava il
salone in fondo alla parete più lunga, cercò per qualche minuto
e prese un altro libro, riportandosi al divano per continuare a
parlare.
“Chi parla di complotti e congiure di solito viene deriso,
perché la verità è talmente ovvia che deve rimanere anonima
ed inosservata sotto gli occhi dei molti e deve sembrare tutta
una stupida convinzione di lettori internauti o maniaci della
teoria del complotto, che devono essere scherniti e che invece
che operare per far venire a galla la verità, come vorrebbero,
otterranno giusto l’effetto contrario, trasformando il tutto in un
ridicolo segreto di Pulcinella.
Sei milioni di fratelli massoni distribuiti in quasi centomila
logge sono lì a decidere a vari livelli, le sorti di circa sette
miliardi e mezzo di persone e tutti pensano sia solo una
leggenda metropolitana.
Ma sai ragazzo, non è semplice fare un discorso su questo
argomento, dove la religione si intreccia con il potere
economico bancario e con l’oro, dove forme di esseri satanici
e alieni sarebbero venuti più volte sulla Terra ad assicurarsi
che tutto fosse secondo i loro piani, dove avvengono riti
esoterici ed iniziazioni a dir poco sinistri, dove aristocratici e
clero si sono dovuti riciclare in diverse vesti e dove il piano è
stato accuratamente architettato per sembrare del tutto assurdo
ed incredibile, dal non essere creduto vero.
Un sistema piramidale ignorato dalla maggior parte
dell’opinione pubblica, di cui nessuno conosce chi sta sopra di
lui e di cui nessuno ha mai né visto, né immaginato l’apice.
Nacquero già nel settimo secolo, i liberi ed accettati muratori,
che dovevano costruire per i potenti, le immense strutture
dall’acustica perfetta e dall’elaborazione geometrica
sopraffina.

218
Si preparavano durante un apprendistato che durava circa sette
anni, ma ciò consentiva loro solo di essere compagni d’arte, e
soltanto molto dopo di diventare maestri massoni.
Nella gerarchia vi erano vari livelli.
Prima si era apprendista, poi si diventava compagno d’arte ed
infine maestro massone.
Una loggia che riusciva a conferire tutti e tre i gradi al fratello
massone, veniva detta Loggia Blu o Gran Loggia.
Pare li accomunasse tutti, l’odio ed il disprezzo che essi
avevano verso il loro più grande cliente e committente, la
Chiesa Cattolica Aristocratica, intesa come società
multinazionale, nata per esercitare il controllo delle coscienze
e fondata dopo l’Editto di Costantino, e nei confronti
dell’Aristocrazia nobiliare, altra loro grande committenza.
I famosi primo figlio all’Arma e secondo figlio alla Chiesa,
ecco chi erano realmente i loro nemici.
Da queste famiglie nacquero quasi tutti i Conti ed i Cardinali
di varie epoche storiche.
I sangue blu, tanto per essere più chiari, quelli che sono in
combutta da secoli con i presunti demoni alieni, poiché
sospettati di avere un gruppo sanguigno molto più
direttamente discendente di ogni altro uomo sul pianeta,
secondo la teoria che noi stessi saremmo un loro esperimento
genetico, che io non do per scontata, ma che nemmeno
disdegno come impossibile.
Muratori, liberi, perché non si accoglievano servi del potere tra
loro, accettati, perché venivano accettati anche coloro che non
erano muratori o costruttori, ma solo se volti a combattere i
poteri tradizionali e storici che manipolavano l’umanità, il
Clero e L’Aristocrazia.
Per tale ragione i Cavalieri Templari riuscirono ad infiltrarsi.
La loro reale comparsa avvenne tra la fine del Medioevo ed il
Rinascimento, nel XVI secolo.
Ogni iniziato veniva condotto nella camera di riflessione.

219
Una stanza dipinta di nero, dove si trovava uno scrittoio, con
una candela, del pane e due coppe piene, una di zolfo, l’altra di
sale.
Alle pareti vi erano incisi dei simboli, come il falcetto, la
clessidra, il gallo e le lettere VITRIOL che sono l’acronimo
delle parole latine:

VISITA
INTERIORA
TERRAE
RECTIFICANDO
INVENNIES
OCCULTUM
LAPIDEM

Visita l’interno della Terra e rettificando, troverai la pietra


nascosta.”
Ecco il Cardinale fare un chiaro riferimento alla relazione tra
la massoneria ed un prezioso nascosto nella terra, che in
questo racconto sembra essere il vero motivo di ogni evento e
che collega tutto a tutti. L’oro.
Il Sacerdote continuò a raccontare:
“L’iniziato doveva fare un giuramento, dove occorreva, una
squadra, un compasso, ma anche una Bibbia, perché il
massone non è avverso a Dio, che concepisce con un libero
modo di pensare, ma rifiuta comunque severamente le
Istituzioni Ecclesiastiche.
Il rotolo di carta in cui veniva scritto il giuramento, veniva poi
bruciato ed i massoni partecipanti all’iniziazione gli puntavano
addosso una spada, che in taluni casi gli veniva data per
giurare di difendere la loggia dai suoi nemici, ma anche per
vendicare, stranamente, l’ultimo Cavaliere Templare ucciso da
Filippo il Bello, Jacques de Molay.
Ed ecco i Templari integrarsi perfettamente con i massoni ed
intingere un’altra volta di sangue blu le logge del potere

220
segreto nate per esercitare una sorta di benefico controllo sugli
uomini.
Le logge con loro tornarono di sangue blu aristocratico ed
anche ecclesiastico, perché i Cavalieri erano sì avversi alle
Istituzioni Ecclesiastiche tradizionali, essendo stati
perseguitati da esse, ma quasi sempre, essi stessi erano monaci
Benedettini provenienti da famiglie nobili ed aristocratiche.
Nessun Papa avrebbe ammesso guardie del corpo, come
spesso erano i Cavalieri Templari, che non fossero di alto
rango.
Non ci deve sorprendere quindi, se Ugo de Paganis, primo
maestro dell’ordine dei Cavalieri Templari, compagno di
crociata dello Scozzese Henry Sinclair, Conte delle Orcadi,
fondò l’Ordine dei Cavalieri del Tempio a Gerusalemme nel
XII secolo e fondò un Oratorium proprio nella terra del clan
dei fondatori della massoneria Scozzese, i Sinclair, che
qualche voce apocrifa vuole far essere i discendenti dei
Merovingi e di Gesù Cristo.
Il sodalizio tra Templari e Massoneria era stabilito ed
accomunato dall’odio verso la Chiesa e verso le Monarchie
Aristocratiche, aumentato ancor più, quel venerdì 13 ottobre
1307, quando Clemente V accusò le sue guardie del corpo
Templari di eresia ed autorizzò Filippo V il Bello a
sterminarli, per abbonarsi tutti i danari che i Cavalieri avevano
prestato ad entrambe.
Naturalmente non tutti furono uccisi e quelli che sopravvissero
continuarono la loro missione.
Si divisero in tre grandi filoni di logge, in cui i maestri
massoni si perfezionavano, caratterizzate dai conseguenti riti,
quello Scozzese, con i suoi trentatrè gradi, quello di York, con
i suoi dieci gradi e quello dei Rosacroce, in cui si fusero anche
conoscenze alchemiche, mistiche e filosofiche di avanzato
livello.
Tra il 1738 ed il 1890, il Vaticano emanò 17 bolle papali per
combattere e sconfiggere la temuta massoneria, ma tanti
cattolici ed aristocratici ne vennero affascinati e ne entrano a

221
far parte, nonostante la nota avversità dei massoni per i loro
ranghi.
I sangue blu non volevano mollare il loro eterno ed ereditario
primato sugli uomini e si erano perfettamente infiltrati tra gli
anticlericali e gli antimonarchici.
L’Aristocrazia, fatta uscire dalla finestra dai liberi ed accettati
muratori, fu riaccolta dalla porta dagli stessi e finì per creare
una nuova classe di potere, molto più organizzata e pericolosa.
Alcuni dicono che la Rivoluzione Francese sia stata
volutamente provocata dal Duca d’Orleans, Maestro del
Grande Oriente di Francia, che a tal scopo comprò tutto il
grano dello Stato per nasconderlo o venderlo aldilà dei confini
francesi, provocando i presupposti di una rivolta che fu
pilotata quindi da un nobile imprenditore contro gli stessi
nobili suoi nemici al governo.
Nacque di conseguenza nel XVIII secolo, da questa realtà e
dal cittadino bavarese Johann Adam Weishaupt, l’Ordine degli
Illuminati, che furono indicati tra gli altri, come i massoni
infiltrati più apparentati ai vecchi nobili scalzati, che volevano
tornare al timone ed avevano serie intenzioni di controllo
verso gli uomini della Terra.
Potere, che avevano rischiato di perdere agli arbori delle prime
libere massonerie di accettati muratori, ma che questa volta
molto ben determinati, in pochi e con un piano accuratamente
preciso, avrebbero venduto caro.
Conquistare il pianeta, questo il loro piano.
I Templari, senza immaginarlo, né volerlo e forse senza
neanche intenzioni malvagie, erano stati effettivamente il
collante che aveva riattaccato l’Aristocrazia e la Chiesa alla
corsa al potere sugli uomini della Terra, negando alla
massoneria nascente, una salvifica ed indispensabile estraneità
di uomini nobili o cristiani al loro progetto e questi ultimi
avevano dimostrato di avere una fissazione per questo insano
desiderio di conquista, del quale non potevano proprio fare a
meno, avesse voluto significare il rischio della loro stessa vita.

222
L’alternativa alla Chiesa ed all’Aristocrazia, costituita dalla
Borghesia dei liberi ed accettati muratori, fu soppiantata in
tempo reale dall’Aristocrazia Templare e dal Clan dei Sinclair
dalle indiscutibili origini nobili e di sangue puro.
Quindi il cambiamento radicale si rivelò solo un cambiamento
di fronte.
Alcuni di loro, soprattutto la branca templare del sodalizio,
dimostravano un nuovo atteggiamento di benevolenza nei
confronti del popolo con una volontà di proteggerli e condurli
a nuove conoscenze che questa volta erano veramente
intenzionati a rivelare, per poter creare un nuovo stato di
consapevolezza degli esseri umani ed un nuovo mondo.
Ma un’autonoma, nuova e pericolosa fazione di loro stessi,
considerata anche più forte e spietata, si ebbe con l’imminente
ingresso degli Illuminati Ebrei Bavaresi, perché in possesso di
un piano preciso e privi di quell’inutile egocentrismo di parata
dei burattini monarchici che si mostravano al popolo ignavo
dai palazzi reali, che avrebbero potuto rimanere lì o essere
soppiantati dalle repubbliche nascenti ed inoltre privi di ogni
forma di comprensione per la condivisione col popolino,
ignorando che comunque costituiva la grande maggioranza
degli abitanti del Pianeta.”
Il Sacerdote guardò Denis che non sembrava stesse ascoltando
cose nuove, ma non era neppure rimasto indifferente al suo
chiarissimo resoconto della storia della massoneria.
“Hai capito con chi ti stai misurando ragazzo?
O credevi di essere venuto a Roma in gita di pellegrinaggio?
Essi sono dappertutto e dovunque ci sia potere, ed anche se
spesso convivono con uomini appartenenti a fazioni
massoniche più comprensive nei confronti della gente comune,
come sono i Templari, occupano talvolta i posti più importanti
dal punto di vista decisionale.
Non lasceranno che nessuno rovini i loro piani, perché non
credono in quello che penso tu vorresti fargli capire, che la
vita sia altrove non su piani dimensionali materici e che anche
loro potrebbero evolvere se solo informassero il proprio DNA

223
e che cercando la longevità fisica a tutti i costi hanno preso un
granchio e sono sulla rotta sbagliata.
Sono inarrestabili e sono sopravvissuti alle persecuzioni dei
Cattolici, delle Monarchie, dei Bolscevichi, dei Nazisti, di
Francisco Franco e di Saddam Hussein.
Che umiltà occorrerebbe affinché un gigante ascoltasse un
microbo?
Temo che i tuoi amici demoni non conoscano neanche il
significato della parola, umiltà.
Dio Padre Creatore, il Cristo, che si fece picchiare ed uccidere
dagli uomini senza reagire, Lui conosceva tale umiltà.
I potenti, idolatri della materia, credono solo in essa.
Comunque se volete provarci, tu ed il tuo simpatico demone
ingabbiato in te, accomodatevi pure.”
Denis lo guardò molto disorientato e spaventato.
“Ma Eminenza, quindi anche lei si è convinto che sia
veramente dentro di me quell’essere?
Immaginavo di essere e rimanere l’unico a sentirlo e crederlo,
ma lei non ha esitato neppure un minuto, da quando gliene ho
parlato la prima volta, ha subito fatto capire di averci creduto.”
Al che il Cardinale ribadì:
“Se ti fossi recato a confidarti dal tuo meccanico, forse sarebbe
andata diversamente figliuolo, magari avrebbe telefonato alla
Neuro per informarli del tuo nuovo modo di essere, ma sei dal
Cardinale Giacomo De Cirillis, hai presente?
Quello dei libri? Dei convegni e delle conferenze sull’occulto?
L’odore della tua dualità mi è arrivato un’ora prima di te in
quella sala, caro ragazzo.”
Denis ora era abbastanza tranquillo, almeno si stava parlando
con qualcuno che sapeva quello che diceva.
“Quindi Padre Giacomo siamo certi che oggi esistano
ancora?”
“Puoi metterci entrambe le mani sul fuoco ragazzo.
Forse non esistiamo io e te, ma loro si, stanne certo.”
Denis chinò il capo per qualche secondo e disse:
“Mi aiuti Padre Giacomo, non so cosa fare.”

224
Il Sacerdote, seppur divenuto Cardinale, era rimasto un
bravissimo ed umile uomo, ma non era abituato a fare false
promesse, per cui esclamò:
“Io ti dirò quello che so, tu mi dirai quello che senti.
Vediamo se può venir fuori una via di uscita a tutto questo.
La prima cosa di cui dobbiamo accertarci e che nessuno,
tranne me, sappia quello che mi hai raccontato.
“A chi dovevo dirlo Padre?
Le sembra una storia raccontabile a chiunque?
O meglio comprensibile a chiunque?”
“Beh, in effetti no, nessuno avrebbe potuto capirti, è vero.”
“Sa Padre, semmai avevo pensato di scrivere un libro, ma non
è facile con la vita frenetica che si conduce oggigiorno, avere a
disposizione tutto quel tempo e soprattutto essere capace di
scriverlo, a meno che una qualche forma di ignota energia che
ci collega e ci accomuna tutti come una grande rete online,
non mi avesse regalato sia il tempo che le capacità.”
Il Cardinale:
“Bene, scriverlo, non sarebbe stata una cattiva idea per te,
perché se ci fosse stato anche un minimo effetto mediatico, ti
avrebbe sicuramente protetto dalla tua delicata posizione
nell’aver appreso tali pericolose indiscrezioni su persone
intoccabili e nel volerle diffondere ai comuni mortali.
Perché tu ben sai che la conoscenza se non va condivisa è
andata sprecata, ma ti stai misurando con gente che a diversi
livelli è comunque accomunata dal non pensarla così.
Però ai fratelli non piace farsi pubblicità o peggio ancora
creare martiri.
Indebolisce i loro piani.”
Il Cardinale aveva sempre lo sguardo impegnato nella lettura
dei libri che aveva accanto a sé, sempre alla ricerca di
qualcosa che lo indirizzasse in un discorso che aveva già in
mente.
“Denis hai parlato di rete online e di energia che ci accumuna
tutti riferendoti al computer.

225
Bene, sai da chi è stato inventato e sai anche perché è stato
creato. Me ne accorgo dalla tua stessa affermazione.”
“Certo Padre, è un’invenzione dei potenti che vuole imitare la
nostra natura fatta di DNA e la nostra possibilità di attingere
tutte le informazioni che vogliamo alla fonte superiore, una
sorta di Hard Disk Globale e approfittando del fatto che
pochissimi conoscono il modo in cui collegarsi, fanno credere
che non sia una copia artificiale della realtà naturale, ma
un’idea nuova ed originale che ha cambiato il mondo ed
ancora lo dovrà cambiare.
Esso invece è una scopiazzatura ridicola ed artificiale per
tenere gli uomini chiusi e schiavi, ignari del loro vero potere.”
“Chiaro ragazzo, se gli uomini conoscessero il loro vero
potenziale energetico e spirituale, ogni forma di
organizzazione volta al loro controllo ed alla loro riduzione in
schiavitù, sarebbe morta il giorno stesso.
Anche le massonerie più benevole, nate per proteggere gli
uomini da quelle degenerate, non avrebbero più motivo di
esistere.
Perché va detto, tra le migliaia di logge, esistono anche
massonerie con tali intenti puliti.
L’Evangelista Giovanni, aveva avuto delle visioni molto
dettagliate di questo momento storico e nonostante
appartenesse ad un’epoca completamente diversa, cercò di
esprimersi a sue parole.
Nessun uomo potrà né vendere, né comprare, se non avrà il
marchio della bestia, ci scrisse Giovanni nel suo Vangelo
dell’Apocalisse.
Il chip Rfid che presto sarà impiantato nella mano destra di
ogni uomo del Pianeta o nella sua tempia, è già stato pensato
anni fa ed è già pronto per la diffusione.
La famosissima azienda MBI lo pubblicizza già da tempo nei
video online di Tuber-You.
Si sta solo aspettando il momento giusto per agire in combutta
con gli Stati, che lo faranno sembrare, tramite una copiosa ed
elaborata propaganda, qualcosa di ottimo, per essere

226
localizzabili e controllabili sempre e comunque con un sistema
GPS che impedisca di compiere ogni reato, violenza o
omicidio che sia, per non essere derubati, data l’inutilità che
avrà di conseguenza il denaro contante, poiché si potrà
prendere ogni cosa che si desidera ed avere ogni servizio, solo
strisciando il chip sul codice a barre, ormai presente ed
indispensabile su ogni prodotto del Pianeta.
I polli sullo spiedo sono tantissimi, che accetterebbero con
entusiasmo tale momento, ma i risvegliati che hanno capito
l’inghippo sono ogni giorno sempre di più.”
A Denis brillavano gli occhi per quante volte gli avevo parlato
di questo.
Adesso, finalmente gliene parlava un rispettabilissimo altro
essere reale come lui stesso, umano e che respirava, ed era
proprio lì di fronte a sé.
“Quindi Padre Giacomo, lei naturalmente ha intuito che il chip
servirà ad altro, sotto le parvenze di una utilità dovuta solo a
problemi di criminalità e cattiva convivenza tra uomini, tra
l’altro incrementata appositamente dai potenti della Terra,
tramite media, internet, tele notiziari, film ed immagini, di cui
siamo quotidianamente tempestati, dovrà quindi giustificare
tale soluzione come un geniale rimedio a tali azioni, per
proteggere l’umanità.
Nulla di geniale invece.
Saremo controllati e manipolabili in tutti i movimenti che
facciamo.
Dove camminiamo, che sport pratichiamo, cosa e dove
mangiamo, che malattie abbiamo, cosa leggiamo, dove
lavoriamo, quanto guadagniamo, come ci vestiamo, cosa
visitiamo, dove ci piace andare in vacanza, tutto sarà in un
data base ad uso del vero genio inventore della nostra
oppressione e del vero grande assassino della nostra privacy e
della nostra libertà di agire.
Cosa più grave, il chip avrà una frequenza espressa in HZ e
potrebbe essere stato elaborato per impedire volontariamente il
risveglio delle coscienze umane e l’evoluzione della specie,

227
tramite deviazioni ottenute con vibrazioni sonore in bassa
trasmissione di frequenze.”
Il Cardinale non sembrava estraneo a tali informazioni, ma
iniziò a guardare Denis con più attenzione e molta sorpresa,
lasciando cadere uno dei libri che sfogliava, accanto a sé sul
divano e dedicandogli, con lo sguardo fisso, tutta l’attenzione
del momento.
“Cardinale lei lo sa è vero?
Il codice a barre non è casuale.
La frequenza che si usa per decodificare e per estrarre le
informazioni elettroniche dal codice a barre, i prezzi, la
trasmissione delle operazioni di transazione ed i vari dati, non
è casuale.”
“Accidenti ragazzo ma chi ti ha dato la possibilità di accedere
a queste informazioni?
Devo stare molto attento persino io a parlare di queste cose.”
Il Cardinale chiuse per un attimo gli occhi e guardandosi
intorno, come per concentrarsi sul da dirsi, respirò
profondamente e continuò.
“Credo che sia così.
La frequenza è identificabile a 666 HZ.
Un rilevatore di frequenza in mani esperte ci mostrerebbe che
ogni codice a barre conduce ai 666 HZ di frequenza.
Questa frequenza ogni giorno viene usata in tutto il mondo per
piccole e grandi operazioni di transazione economica estratte
dal codice a barre, invadendo elettromagneticamente la nostra
atmosfera ed il nostro campo magnetico come se ormai ne
facesse parte.
E se essa disturbasse il processo di risveglio che era stato
innescato dall’Universo dopo il passaggio che si è avuto
dall’Era dei Pesci a quella dell’Acquario?
Gesù è spesso rappresentato con i Pesci, proprio perché vuole
celebrare questo importante accadimento astrale.
Famoso il suo miracolo simbolico ricordato nei Vangeli del
nuovo testamento della moltiplicazione dei pani e dei pesci a
Betsàida.

228
Già, proprio di pesci.
Il messaggio del passaggio di Era è sempre stato significativo
e voluto dal Cristo.
Qualcosa di importante sarebbe avvenuta per l’umanità intera.
Temo proprio questo ragazzo mio.
Qualcuno disturba i piani dell’Universo per scopi individuali
ed egoistici.
Questo qualcuno ha molto a che fare con noi e con la nostra
schiavitù e forse è seriamente collegato a quegli illuminati
deviati che vogliono guidare il mondo.
Certo, non che all’Universo importi gran ché.
Ma a noi esseri umani dovrebbe.
Per l’Universo l’Anima vola di contenitore in contenitore e
vive le esperienze che desidera fare.
Il contenitore è naturalmente il nostro corpo fisico.
Questo può o non può trasmettere, per l’Anima non fa
differenza, andrà a trovare in altri posti l’esperienza che cerca.
Voglio spiegarmi meglio.
Userò l’esempio del personal computer per chiarire questo
concetto, servendomi della loro stessa arma per fare ordine
usandola contro la loro confusione.
Si è detto, volutamente copiato dal nostro modo di funzionare
e di essere, il computer però può servirci allo scopo contrario,
capire noi stessi.
L’anima può essere vista come una sorta di Hard Disk in rete
con tutti gli altri e collegata a quello centrale, nel quale,
tramite il processore, che è costituito dal cervello di ogni
essere umano, scrive dentro la storia di quell’individuo
operante alla sua tastiera, che ha prodotto le sue opere usando
memoria ram a breve termine, costituita per esempio dai
ricordi convenzionali che servono per la vita quotidiana e
memoria rom a lungo termine, come può essere l’esperienza
che si matura nel corso della vita, ed usando hardware, che
sono i nostri occhi le nostre braccia e gambe e tutto ciò che ci
occorre per compiere le nostre opere terrene.

229
L’operatore potrà però scrivere nell’Hard Disk solo quando
compirà opere in cui si esprime amore e comunque azioni che
producono alte vibrazioni, calore ed energia, altrimenti sarà
come non essere mai esistito e nel migliore dei casi dovrà
aspettare la prossima vita che gli servirà a riprovarci, dove il
subconscio avrà però conservato il ricordo della vita appena
passata, anche se di essa si è scritto poco o nulla nell’Hard
Disk, si potrà riprovare.
Se l’essere umano si estinguesse, l’Universo troverebbe un
altro essere da mettere tra i tanti, in cui incarnare la propria
Anima.
Quest’ultima altro non è che una piccolissima parte di sé,
come può essere un atomo per il nostro copro fisico.
Quindi sopravvivere o meno, è una questione nostra personale
e non cambierebbe alcun equilibrio universale se non quello
dell’essere umano, che comunque resta un contenitore di
Anima miracolosamente ben strutturato.
Nessuna salvezza del mondo quindi, figliuolo mio.
Il mondo è cosa ben più alta dell’essere umano.
Qui si tratta di un'unica, semplice e banale dimensione.
La 3D, termine che impropriamente viene usato per indicare
spesso ben altro che la nostra essenza.
Qui si tratta di salvare la nostra storia fisica e nemmeno quella
energetica e spirituale che sopravvivrebbe comunque con la
nostra Anima.
Non sto consigliando di lasciare perdere, sia chiaro.
Semplicemente di non dare quella grande importanza agli
esseri umani, che spesso si auto accollano e che agli occhi di
Dio Creatore non hanno mai avuto, poiché creati al pari di tutti
gli esseri viventi dell’Universo.
L’uomo è realmente un essere come tanti altri nel cosmo.
Questo può finire come i dinosauri o come tanti esseri sono già
finiti ed altri poi sono cominciati.
Sta a lui avere amore, non solo per esistere, ma anche per
ricevere tanto da voler desiderare far proseguire la sua
manifestazione divina che il corpo fisico gli permette di avere.

230
Un uomo che non abbia tali attitudini è come già morto ed
estinto.
Ed oggi siamo circondati da questo tipo di morti.
Quindi l’estinzione va vista non solo come la scomparsa di un
essere dal piano esistenziale, ma anche come la sua perdita del
potenziale spirituale e della sua capacità di sentirsi Uno con
Dio Padre.
Un uomo schiavo equivale ad un uomo morto, estinto, senza
Spirito.
Non dobbiamo salvare il mondo dall’estinzione, ma noi esseri
umani dalla nostra stessa scomparsa.
Il mondo continuerebbe come fa da sempre e nella nostra
dimensione tre D, come fa da tredici miliardi e mezzo di anni,
per tutte le undici dimensioni esistenti, dodici se si conta il
tempo come una dimensione a sé stante perché non presente
necessariamente in tutte le altre.
Non credo che il Signore voglia gettare via tredici miliardi e
mezzo di anni di evoluzione di una delle sue più interessanti
dimensioni, perché negli ultimi duecentocinquantamila anni
qualcosa è andata storta.
Certo per Lui tredici miliardi e mezzo di anni possono essere
paragonabili al nulla, perché l’eternità non ha tempo e lui è
l’eternità, ma ha pur sempre creato forme di vita materiche che
possono dargli un’idea su cosa voglia significare, miliardi di
anni.
Rendo l’idea?”
Denis lo guardava quasi con le lacrime agli occhi, tanto chiaro
e cinico era quello che l’uomo di Dio stava dicendo, parlando
non sicuramente come un prete convenzionale, ma forse più
come uno scienziato della Chiesa.
“Perfettamente Eminenza, perfettamente.
Il mondo non è in pericolo.
In pericolo ci siamo noi umani e forse questo stesso pericolo lo
manda l’energia Divina affinché noi possiamo finalmente
capire che essere sulla via sbagliata equivale ad estinguersi.

231
Ma se questi esseri o demoni, dir si voglia, ci hanno inquinato
con la loro costante e parassita presenza, non abbiamo una
qualche attenuante agli occhi del Creatore?”
“Attenuante?”
Disse il Cardinale e subito dopo scoppiò a ridere, tornando
immediatamente serio e proseguendo con la sua tipica severità
espressiva.
“Il Creatore non conosce attenuanti o giustificazioni, quelle
sono frutto della nostra mente.
Egli conosce evoluzione o involuzione a cui applicare
estinzione.”
Al che Denis con atteggiamento tristemente contrariato:
“Ma non è troppo severo?”
A questo punto il Cardinale ribadì con fervore:
“Troppo severo sarebbe se tu non te ne rendessi conto e non
riuscissi ad attingere a nessuna fonte.
Ma a quanto pare demone o no, tu hai maturato una
consapevolezza che solo se non ti porta a nessun risultato non
sarà servita a nulla.
Questo vale per tutti i risvegliati.
Il risveglio della coscienza non è uno stato dell’essere statico,
ma l’inizio della sua più grande dinamicità.
E’ la porta che conduce ad un presente costante, dove non c’è
spazio o tempo, ma solo un’azione che prende forma, che è il
riassunto pratico di ogni atto creativo e che in italiano si
chiama appunto, informazione, come direbbe un docente di
fisica, l’azione che prende forma.”
Denis aveva recepito completamente il messaggio ed il suo
volto si rattristò, come quando pensi di essere tra gli uomini
prediletti da Dio e ad un certo punto ti accorgi che non sei
nemmeno l’ultima ruota del carro.
Il Sacerdote notò la sua tristezza e subito continuò:
“Questo non vuol dire che ci lascerà da soli o ci abbandonerà
nella tua o nella mia missione, se mai ne abbiamo una da
compiere.

232
Il Signore Dio, chiunque e qualunque cosa scelga di essere per
manifestarsi, si è incarnato anche in uomini.
Uno di questi era Gesù.
Se un uomo Esseno è stato così vicino a Lui da identificarsi
come Suo figlio e definirsi Principe del Suo Regno Celeste,
sicuramente non ha preso un’iniziativa personale.
Questo vuol dire che il disegno del male e dell’ombra, che
rientra comunque in un unico percorso di Luce, è stato deviato
dalla sua direzione d’origine, e che il disegno del bene è subito
stato allertato dall’energia che crea l’equilibrio della vita.
La vita è anche e soprattutto il risultato dell’equilibrio tra bene
e male.
Ecco mandato il Cristo dell’armonia e dell’equilibrio, come
tutti gli altri santi delle varie religioni, in ogni parte della
Terra.
Naturalmente non solo manifestazione di Dio Padre, ma anche
dell’uomo.
Non solo volere di Dio Padre, ma anche dell’uomo.
L’uomo merita la sua occasione, perché ai piani alti non
esistono regali, ma misericordia ed amore verso gli esseri che
realmente comprendono chi sono e divengono consapevoli
della loro essenza amorevole.
Se tali esseri non la meriteranno più, saranno estinti e daranno
spazio ad altre manifestazioni di Dio Creatore.
Ma questo noi non lo vogliamo, giusto ragazzo mio?”
Denis annui e come se fosse arrivato al dunque disse al prete:
“Proprio da qui siamo partiti, cosa devo fare Padre Giacomo?
Io non so quale sia la mia missione e se posso ritenere di
averne una.
Questa è una storia troppo più grande di me.
Non voglio dipingermi più importante della nullità che sono.
Magari sto solo travisando tutto e devo tornarmene a casa.
Dirò a questo essere che ritiene di stare dentro di me di
andarsene via, visto che mi ha promesso di farlo, qualora
glielo avessi chiesto, e se non dovesse avvenire, andrò da uno
psicanalista.

233
Sono solo e poco informato su questa grande materia che parla
del dominio dell’intero pianeta.”
Il Cardinale sorrise e subito cambiò l’espressione in seria.
“Chi ti ha detto che sei solo?”
Si alzò dal divano prese la Sacra Bibbia e sfogliandola la mise
nelle mani del ragazzo già aperta e gli indicò col dito il rigo
che aveva individuato in pochi secondi lui stesso.
Leggi!”
Denis quasi balbettando ed a voce bassa iniziò a leggere il
Vangelo di Matteo:

“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a
loro.”
(Matteo 18. 3)

“Quindi?”
Lo interruppe subito il Sacerdote.
“Quindi non sono solo.”
“Ecco, se ne fossi veramente convinto, già saremmo ad un
ottimo punto di partenza.”
Padre Giacomo si tolse gli occhiali e fece un sorriso a Denis
che non era affatto tranquillo della piega che aveva preso quel
discorso.
“Ascolta ragazzo, io adesso non posso venire con te, ma credo
tu dovrai fare invece parecchia strada.
Quello che posso fare però e seguirti con molta attenzione.
Si alzò ancora una volta dal divano, aprì uno degli scrigni
segreti presenti nell’immensa libreria di noce massello e prese
due aggeggi che sembravano essere due smartphone
dall’aspetto insolito, dandone uno al ragazzo.
Più tardi Augusta ti spiegherà come funziona, ma tu mi
chiamerai al numero che ti dirà, solo con questo e solo ogni
volta che riterrai che ce ne sia una forte necessità.

234
Non farti scoprire, perché se è vero quello che secondo me
potresti rappresentare, presto qualcuno potrebbe volerti
mettere seriamente le mani addosso, sperando che non sia già
sulle tue tracce.
Il discorso che facevi prima sul chip e sulle frequenze in HZ
che disturbano l’evoluzione dell’essere umano non è proprio
una tua illusione, anzi è molto vicino a quello che sta
accadendo ed ancor di più accadrà con la diffusione di massa
di tale tecnologia.”
“Padre ma lei come fa a saperlo?”
“Beh non sono solo uno scaccia diavoli, ho amici anch’io tra i
poteri forti economici e le Lobbie, dopotutto faccio parte della
Chiesa, che suo malgrado è un’organizzazione che ha a che
fare parecchio col denaro.
Mai sentito parlare dello IOR?
E’ l’Istituto per le Opere di Religione o meglio conosciuto
come Banca Vaticana.
Vuoi che loro non sappiano.
Qualche amico da quelle parti, mi ha accennato qualcosa,
pensando che potesse essermi utile per la mia missione.
Dopotutto non siamo tutti uguali noi preti.
Alcuni lo sono veramente.”
Al ragazzo partì subito uno sghignazzo ed una domanda
spontanea:
“I preti buoni le hanno detto altro?”
Credo di sì.
Faranno prima la prova ad addestrarci con il telefono
smartphone, dove nascerà anche una tecnologia di quinta
generazione con segnali così forti da devastare gli esseri umani
nel loro campo magnetico.
Si acquisterà tutto ciò che si vuole strisciando il display sul
codice a barre.
Questo in parte è già possibile oggi.
In Inghilterra ed in molti altri stati, ci si prende anche
l’autobus così.

235
Più avanti, questo metodo verrà sostituito con un anello a
sensore che tutti saranno costretti ad indossare al dito.
Poi subito dopo a seguire, il nano chip innestato nella pelle
della mano destra o della fronte, accanto all’occhio.
E quindi l’Apocalisse di Giovanni.
I due, dopo uno sguardo breve d’intesa, presero a recitare
insieme i versi che conoscevano a memoria:
“Inoltre faceva sì che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri,
liberi e servi, fosse posto un marchio sulla loro mano destra o
sulla loro fronte, e che nessuno potesse comperare o vendere,
se non chi aveva il marchio o il nome della bestia o il numero
del suo nome.
Qui sta la sapienza.
Chi ha intendimento conti il numero della bestia, perché è un
numero d'uomo; e il suo numero è seicentosessantasei.”
Ad un certo punto dopo qualche secondo di silenzio, Denis
continuò a parlare:
“Logge massoniche di illuminati o Ur Lodges, se si vuole.
La loro determinazione ad ottenere una globalizzazione che
generi un controllo più semplice ed ordinato delle masse non
ha limiti.
Usano da secoli il loro potere subdolo che gli consente di
governare in sordina ormai moltissimi stati del pianeta, per
plagiarli e persuaderli ad entrare in guerra con altre nazioni a
tutti i costi.
Per assecondare gli spropositati interventi bellici, trovano
anche delle motivazioni false o fabbricate su misura, che
quindi giustificano guerre che reagiscono ad altrettanto falsi
attentati o falsi attacchi, ipoteticamente subiti dagli stati che
invece si intende attaccare.
Tutto, solo per interessi politico economici, sempre mirati
all’espansione ed all’unificazione globale.
Paradossalmente non hanno nessun problema nei loro ambienti
a rendere noti i modi ed i tempi in cui intervenire.
Anche se a volte questa pratica è rischiosissima.

236
Immagini Cardinale, il più grande attentato ai danni di civili
degli ultimi tempi.
World Trade Center, 11 Settembre 2001, le Twins Tower di
New York.
Può sembrare assurdo, ma la data è palesemente preannunciata
ed anticipata nel 1999, ben due anni prima.
Come?
Nel noto film cult Matrix, vincitore di quattro Oscar.
E’ la data di scadenza del passaporto che gli agenti che
inseguono Neo, il protagonista, per ucciderlo, gli controllano
quando lo interrogano.
Neo guarda caso è un uomo che si ribella al sistema di
controllo delle masse, meravigliosamente immaginato nel
bellissimo film.
Nessuno l’avrebbe detto che chi ha visto il film ci facesse
caso, eppure qualche strano curioso ha fatto quel fermo
immagine e l’ha scoperto.
Qualcuno voleva far capire di sapere già prima dell’attentato?
Oppure una palese disposizione della produzione che non ha
neanche reso giustificazione al cast ed al regista, che non si è
accorto?
Un po’ bizzarra per essere una coincidenza?
Non si saprà mai.
Eppure è tutto evidente ed ancora provabile, basta guardare il
film e fermare l’immagine in quel punto.
Che erano potenti, questo l’avevo intuito a mio modo anch’io,
Padre Giacomo.
Ma ci deve essere un modo per fermarli?”
Il Cardinale riprese la Sacra Bibbia ed aprì cercando i versi
che voleva leggere al ragazzo:

Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il vostro


Signore stia per venire.

237
Ma sappiate questo, che se il padron sapesse a quale vigilia il
ladro deve venire, veglierebbe e non lascerebbe forzar la sua
casa.
Perciò anche voi siate pronti; perché, nell’ora che non
pensate, il Figliol dell’uomo verrà.
(Matteo 24. 42/44)

“Come vedi, anche il Vangelo usa metafore che fanno


accenno al male, prendendo in riferimento i ladri, ma lo fa solo
per fare chiarezza sulla Luce e sul bene.
Quindi figlio mio, ognuno farà il suo per preparare la strada al
Figlio dell’Uomo, ma a nessuno è dato sapere come e quando
agirà.
Se pensi che dentro di te ci sia qualcosa di buono per tale
scopo, offrila al mondo e non pensare a quanto ti costerà, a
quando e come tornerà utile, fa solo in modo che lo sia.
Ed io ti dico che se il tuo cuore è pulito come sembra, lo sarà.
Ma nessuno osi sentirsi addosso l’intero fardello del nostro
Signore Gesù.”
Denis ad un tratto si sentì sollevato.
Come se il Cardinale gli avesse rivelato qualcosa di unico e
grande, e forse era davvero così.
L’immenso Amore che provate per Lui deriva proprio dal fatto
che ha offerto tutte le sue lacrime e tutto il suo sangue per voi
e per la vostra salvezza.
Voi uomini lo aiuterete perché vi ha mostrato la strada ed ha
bisogno del vostro aiuto, ma Egli si manifesterà ancora per
voi, come ha promesso quando è risorto dalla morte.
Ed ora non solo è la speranza di voi terrestri, ma anche di
molti di noi demoni alieni, i vostri antichi nemici, che per
questo abbiamo cominciato persino ad amarlo il vostro
Signore, che pure ispirato dalle sue visioni sempre originali ed
autentiche delle cose, vi disse di non odiarci:

238
Avete inteso che fu detto:
Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico;
ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri
persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa
sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa
piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?
Non fanno così anche i pubblicani?
E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di
straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi
dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
(Matteo 5. 43/48)

Noi demoni alieni, così come potremmo essere definiti nel


linguaggio di voi umani, senza troppo scandalizzarci, da chi
conosce bene i fatti che sono stati raccontati, che seguiamo le
orme del nostro antico generale En Ki, siamo quelli che
vengono rappresentati nelle tavole di argilla sumere da
Ningishzida, due serpenti che salgono per uno scettro, proprio
come due eliche del DNA, che è l’acido che ci accomuna e ci
ha resi compatibili con voi. Ningishzida, simboleggia sia noi
scienziati biologi e medici anunnaki, sia ancora oggi, quelli
umani, che lo chiamano Caduceo.
La sala delle udienze del Papa, situata ai confini del Vaticano,
progettata dall’Ingegnere Pierluigi Nervi e terminata nel 1971,
presenta una grandissima non casuale somiglianza nella forma
sia interna che esterna, proprio ad un serpente, con andamento
curvilineo a simularne la particolare conformazione della testa,
con all’interno finestre ogivali che sembrano palesemente
occhi rettili e con pilastri a terminazione acuta, che sembrano i
suoi due denti più lunghi ed appuntiti.
Come se qualcuno avesse voluto, usando la solita arte
muratoria, lanciare un segnale a chi riuscisse a captarlo, nel
contemplare l’architettura della particolare struttura della sala.

239
Se non dovesse bastare, c’è una scultura nel mezzo del palco
che rappresenta il Cristo e nei suoi capelli è molto evidente la
faccia di un serpente che si fonde con essi, più chiara se vista
dalla parte posteriore. Se invece si unisce la metà frontale con
la sua speculare orizzontale, verrà fuori ancora la nitida
immagine di un serpente. Ciò ricorda che il vero nemico rettile
del vostro Signore è lo stesso essere che potrebbe giacere, sia
geneticamente che come reale presenza occulta, dentro ognuno
di voi, e che potreste, come dicono le scritture appena
enunciate, perdonarlo, mettendo finalmente in pratica la
possibilità di amare il vostro nemico, amando interamente voi
stessi. Non è un caso che lo scettro con i serpenti intrecciati,
simboleggi noi alieni scienziati e ricordi le eliche del DNA che
ci accomuna. E’ quindi una chiara metafora.
Amare il proprio nemico è anche e soprattutto amare sé stessi.
E’ il Vangelo che parla di noi e se ci amaste e ci perdonaste,
pur sapendo cosa rappresentiamo per la razza umana, forse ci
sarebbe ancora possibilità di convivenza ed armonia con voi
uomini.
Non avremmo più bisogno di sopraffazione o di imporvi
subdolamente il nostro modo di vedere le cose e la vita.
Potreste ricordarci da dove veniamo e perché siamo al mondo.
Potremmo essere salvati dalla nostra stessa creazione ed
anziché aver creato la nostra distruzione, potremmo aver
creato in voi la nostra benedizione.
Se solo qualcuno di voi riuscisse in qualche modo a rendere
credibile questa assurda storia che mi sono accinto a
raccontare e vivere con questo giovane e matto uomo che mi
ascolta e mi dà persino retta.
Intanto in casa di sua Eminenza De Cirillis, il Cardinale diede
alcuni altri consigli paterni a Denis, prima di lasciarlo al suo
destino e lo mandò dalla signora Augusta, la sua perpetua, che
gli diede disposizioni su come doveva cercare Padre Giacomo
con quello strano smartphone, qual’ora gli servisse aiuto o
consiglio, per poi accompagnarlo all’uscita e poterlo
finalmente congedare.

240
Capitolo ottavo
IN FUGA DALL’OPUS DEI

Ragazzo.
L’ho sempre chiamato così Denis Spadaro.
Quasi cinquant’anni suonati che ne dimostrava appena
quaranta.
Ma la sua antica anima che gli pesava come millenni.
Mentre scendeva le scale di quell’antico palazzo, pensava e
ripensava alle parole del Cardinale, quando gli aveva detto che
se qualcuno avesse saputo di lui, lo avrebbe cercato per
fermarlo in tutti i modi.
Fermato, ma da cosa?
Si chiedeva l’uomo.
Se non sapeva neanche chi fosse, cosa rappresentasse, come
potesse essere un problema e soprattutto per chi, in che modo
doveva agire e poi quale strada doveva imboccare?
Denis era sempre stato un uomo razionale sulle decisioni da
prendere, ma non aveva però mai chiuso la porta al suo intuito
che spesso e volentieri conquistava l’ultima parola sul da farsi.
Certo, la sua forma mentis gli era sempre sembrata comunque
del tutto razionale.
Ma adesso doveva cambiare stile, se voleva agire senza
rischiare la vita inutilmente.
Doveva usare l’intuito.

241
L’intelligenza intuitiva è la straordinaria arma segreta di voi
esseri umani, anche se la usate solo quando siete in grossi guai
e diversamente non vedreste altre vie d’uscita.
Adesso per il giovane era il momento giusto per sperimentare
se ne avesse una ben sviluppata.
Occorreva essere utili a questa importante missione a cui io lo
avevo chiamato, ma anche cercare di rimanere vivi.
Tra le tante cose, considerare che il lavoro non poteva essere
trascurato, perché comunque era il mezzo per procurarsi da
vivere.
A dire il vero non gli avevo mai fatto mancare nulla.
Il giovane si era accorto che aveva vita facile e le sue
preoccupazioni erano prettamente semplici paranoie mentali,
che mai si trasformavano in veri gravi problemi.
Per un anunnaki creare materia e sostentamento materico non
è un problema.
Il nostro problema è creare Spirito e sostentamento
dell’Anima.
Uscito dall’abitazione del Cardinale, direttamente nel quartiere
Trastevere di Roma, Denis notò tra il traffico sconsiderato
della grande città, due grosse auto nere, parcheggiate una
dietro l’altra.
A Roma non è difficile incrociare auto di ambasciate o di
ministri della Repubblica, che sono ferme ed aspettano
l’ambasciatore o il politico di turno per portarlo a casa, ma
quello che in particolare lo aveva colpito era una strana targa
mai vista prima.
Una delle due auto inoltre, aveva un grosso graffio bianco sul
paraurti anteriore, poco sotto al fanale.
L’uomo decise di andare da un suo amico d’infanzia che
viveva li da molto tempo e col quale avevano sempre avuto un
grandissimo affetto reciproco, dove avrebbe passato se
possibile almeno un paio di giorni e poi avrebbe deciso cosa
fare.
Niente sarebbe stato accennato all’amico di quello che gli era
successo, conoscendolo, non aveva alcuna intenzione di

242
creargli preoccupazioni, perché i due si volevano parecchio
bene.
Chiamato Antonio, lo raggiunse a casa sua con la
metropolitana dopo circa un’ora.
Antonio abitava in un palazzo abbastanza moderno del
quartiere E.U.R. e lo ospitò volentieri a casa sua.
Menomale, Denis in questo momento aveva proprio bisogno di
un amico.
Lasciata la valigia nella stanza degli ospiti, Antonio che
conosceva Denis da quando avevano undici anni, gli disse:
“Bene, di un poco tu, hai la faccia di quando hai rubato la
moto a tuo padre e sei rimasto a piedi a trenta chilometri da
casa perché ti si è spezzata la catena.
La conosco molto bene, in che guaio ti sei cacciato?
“Nessun guaio Antonio, sto bene. Solo ho bisogno di stare un
paio di giorni lontano da casa, da quando non ci sono più
mamma e papà mi sento spesso troppo solo persino per
riflettere, anche se a volte sembra che io lo preferisca, questa è
una delle volte in cui ho bisogno di compagnia.
Sono stato a trovare un amico del paese e poi ti ho chiamato.”
La casa aveva una bellissima finestra che dava in Viale
dell’Arte e Denis si affaccio chiedendo ad Antonio se andasse
bene aver aperto un pò.
“Si Denis, con questo caldo certo che è una buona idea,
lasciala pure aperta, però dopo che rientri, metti a posto la
zanzariera, io ti preparo qualcosa da mangiare, ma non voglio
darti in pasto alle zanzare stanotte.”
Denis gli sorrise e continuò affacciato a guardarsi in giro.
Mentre guardava alcuni passanti che portavano a passeggio il
cane, notò qualcosa di strano.
Sembrava una di quelle due macchine che aveva visto quando
era sceso dall’abitazione di Padre Giacomo, parcheggiate là
sotto.
Se non fosse stato per l’insolita targa non si sarebbe nemmeno
accorto.

243
Ma era sempre la stessa targa, Denis ne era sicuro e da lontano
non riusciva nemmeno a vedere di che nazione fosse, pur
avendola riconosciuta più dell’auto nera a cui era attaccata.
Qui forse c’era un problema.
Denis disse ad Antonio che sarebbe sceso di casa per ricaricare
lo smartphone ad un tabacchi nei dintorni, gli chiese se ce ne
fosse uno ed una volta ascoltata la spiegazione dell’amico,
decise di scendere.
Aperto il portone, vide quell’auto parcheggiata proprio di
fronte sull’altro lato della strada.
Il giovane fece qualche metro per avvicinarsi e fece caso alla
targa svizzera dell’auto che aveva notato sin dal primo minuto,
se non fosse per il graffio bianco sul paraurti avrebbe anche
potuto essere una qualsiasi altra auto nera svizzera, ma invece
era proprio quella vista poco prima.
Dentro, c’era un uomo che faceva finta di leggere qualcosa
vestito con giacca e cravatta, nonostante il caldo asfissiante di
Luglio.
Denis fece finta di nulla e continuò verso il tabacchi.
L’uomo scese dall’auto ed a dovuta distanza iniziò ad andare
dietro di lui.
Il giovane voleva essere certo che quell’uomo lo seguisse e
rallentò appositamente.
Denis si sapeva difendere e non aveva poi tanta paura.
Quell’uomo dalla statura sembrava essere alla sua portata.
L’uomo in nero seppure lo seguisse evidentemente, si teneva
sempre a dovuta distanza.
Allora Denis che lo aveva sempre guardato con la coda
dell’occhio, dopo quasi cinquecento metri, svoltò
improvvisamene e gli andò incontro.
L’uomo accortosi, cambiò immediatamente strada e Denis
iniziò ad inseguirlo.
I ruoli si erano invertiti.
Denis cominciò addirittura a correre e quando l’uomo lo vide
iniziò un inseguimento a piedi, svoltarono parecchie strade del
quartiere e quando l’uomo in nero si infilò in un grosso

244
negozio di detersivi, credendo di non essere visto, si trovò il
mio ragazzo accanto, di fronte ai bagno schiuma, che gli
chiedeva con aria minacciosa come mai corresse così tanto.
L’uomo in nero disse:
“Mi tengo in allenamento, non facciamo ulteriore caos, esca
fuori e le darò tutte le spiegazioni che vuole.”
Uscirono fuori e Denis disse alterato:
“Chi è lei e cosa vuole da me?”
“Per il momento non voglio niente da lei, glielo giuro.”
“Allora mi dica cosa potrebbe volere in futuro e perché mi sta
seguendo da Trastevere e soprattutto, se io ho preso la
metropolitana, lei come ha fatto a seguirmi con la sua auto?”
L’uomo in nero, con fare molto dimesso e stanco dalla corsa,
aveva capito che l’altro uomo che si trovava di fronte, non era
comunque un tipo morbido e rispose:
“Sono armato, ma non ho alcuna intenzione di spararle, posso
solo dirle che la seguo per motivi di sicurezza del mio Stato e
che sono dei Servizi di Sorveglianza dello IOR.”
“Ma io non ho fatto nulla, cosa volete da me?”
Da lei niente, ma seguo solo il protocollo.
Una telefonata mi ha detto di seguire questa pista ed io sono
qui, fino all’arrivo di altre persone che invece sanno perché la
sto seguendo.”
Denis era interdetto dall’affermazione di quell’uomo.
“Ma cosa mi sta facendo capire che lei non sa perché mi
segue?”
“No signore, può anche non credermi, ma io non lo so.
Per il resto non posso più risponderle a nulla e comunque se
non vuole risolvere la cosa in modo diverso, io posso anche
andare, visto che la mia sorveglianza, da prassi finisce se
vengo scoperto.
Quindi stia pure tranquillo, arrivato all’auto me ne andrò.”
Il ragazzo ora sapeva pure che quel tale fosse armato ed anche
se non aveva visto l’arma, non aveva alcuna voglia di non
crederci, dopotutto il tipo in nero stava dicendo che sarebbe
andato via.

245
Denis quindi se ne andò lasciando andare anche lui.
Tornò a casa di Antonio dopo mezz’ora, fingendo di essersi
perso per trovare il tabacchi, e constatò che quell’auto non
fosse più presente nemmeno nei dintorni.
Comunque sapevano che lui fosse li ed il giorno dopo doveva
andare via da quella casa, anche per non mettere in pericolo
l’amico che era stato così gentile da ospitarlo.
Come avevano fatto a scoprire qualcosa se non c’era ancora
nulla da scoprire?
Denis decise di cenare con Antonio e poi il mattino dopo
partire per un'altra destinazione, dopo aver chiamato il
Cardinal De Cirillis, che era l’unico che poteva chiarire quella
strana situazione che non aveva alcuna spiegazione
apparentemente logica.
I due uomini cenarono insieme ed Antonio fece assaggiare
all’amico un ottimo bianco fermo freddo, un Fiano Romano
che scendeva una meraviglia.
Andarono a letto.
La mattina seguente, Antonio svegliò Denis per chiedere se
volesse fare colazione con lui o se voleva continuare a
dormire, visto che l’ora ancora lo consentiva, ma non a lui, che
invece doveva andare a lavoro e si era svegliato quindi molto
presto come sua abitudine.
Denis lo sorprese perché disse sì e soprattutto perché gli
spiegò che dopo colazione sarebbe andato via e non poteva
trattenersi di più, come aveva preannunciato.
Dopodiché Antonio:
“Ma Denis, si può sapere perché?”
“Ho letto un messaggio stamattina Antonio, che mi dice di
tornare a casa e chiamare appena possibile, perché pare sia
successo un imprevisto.”
“Sei sicuro?”
“Sono sicuro.”
“Va bene, facciamo colazione e ti accompagno alla stazione.”

246
Dopo colazione i due si misero in macchina di Antonio, che lo
accompagnò a Roma Termini e lo salutò con un grosso
abbraccio.
“Se non ti sei già cacciato nei guai, per favore non ti ci
cacciare dopo che ti avrò lasciato e se hai qualsiasi problema
non esitare a chiamarmi, siamo intesi?”
“Intesi Antonio.”
I due si lasciarono e subito Denis cercò nello zaino lo
smartphone che gli aveva affidato il Cardinale.
Lo trovò, lo accese e seguì le istruzioni della signora Augusta
per chiamare.
“Padre Giacomo sono io.”
“Perbacco mi chiami già? Non sono passate nemmeno dodici
ore ragazzo, cos’è successo?”
“Non so come sia successo, ma un uomo con una macchina
nera, targa svizzera, mi ha seguito fino all’E.U.R., dove sono
andato una volta sceso da casa sua, per raggiungere un amico
d’infanzia del paese che vive a Roma da anni e rimanere a
dormire da lui.
La cosa non mi è piaciuta affatto, anche perché è riuscito a
seguirmi con l’auto anche se io ho preso la metro.
Sono sceso da casa di quel mio amico, dove dalla finestra mi
sono reso conto che mi aveva seguito fin lì e l’ho affrontato.
Stranamente lo avevo notato fin da casa sua e per via di un
segno particolare procurato da un grosso graffio sul suo
paraurti anteriore, che spiccava su un’auto così lucida, l’ho
riconosciuto.
Lui non ha reagito, anche se ha detto che fosse armato è
riuscito a mantenere calma la situazione.”
Il Cardinale a questo punto l’ho interruppe.
“Servizi Segreti dello IOR.”
“Certo, così mi ha detto, anzi per la precisione mi ha detto
Servizi di Sorveglianza.”
“Si, non voleva ti impressionassi ed ha usato una parola più
comune, ma le auto nere con targa svizzera sono le loro.

247
Intervengono quando sono chiamati da piani più alti e per
intrattenere qualcuno fino all’arrivo di pezzi più grossi.”
“Ma come hanno fatto Padre Giacomo? Io non sono nessuno e
non ho ancora fatto davvero nulla di cui preoccuparsi.”
“Mi dispiace giovanotto, ma credo che tu non abbia fatto
proprio nulla di sbagliato.
Un mese fa quegli uomini vestiti di nero seguivano me, come
fanno per routine ogni tanto, visto il mio ruolo così delicato
all’interno del Vaticano.
Conosco quasi tutti nel clero ed ognuno mi dimostra stima e
spesso vogliono incontrarmi per confessare le proprie
malefatte non certo da sacerdoti provetti, quindi io sono un bel
punto di riferimento per individuare coscienze sporche e
possibili tradimenti da segnalare ai piani alti.
Devono averti visto quando sei venuto alla conferenza,
aspettandosi che qualche pezzo grosso del Vaticano venisse a
chiedermi udienza, devono avere notato invece te, che sei un
tipo insolito e sicuramente desti curiosità.
Li avrà incuriositi il fatto che ti ho dato un buffetto affettuoso
o che ti ho lasciato un bigliettino dove su ho scritto qualcosa.
Si saranno avvicinati e ti hanno messo una cimice da qualche
parte, forse nella borsa o in una tasca dei pantaloni, spiegato il
motivo che ti abbiano individuato anche se hai preso la metro,
quindi secondo me non ti seguivano da casa mia, ma già dalla
conferenza della mattina.
Purtroppo eri venuto da me per chiedere aiuto, ma per il
momento ti ho solo messo nei guai.”
Denis iniziò nervosamente a cercarsi addosso e nella valigia,
ma messa una mano nella tasca larga del dietro dei suoi
pantaloni, la toccò e la prese tra le dita.
Un po’ più grande di un chicco di riso, argentata come una
vite.
La cimice.
“Cardinale ho trovato la cimice?”
“Dov’era? Dov’era?”

248
“Purtroppo non nella valigia, era nella tasca dei pantaloni, sta
pensando anche lei quello che sto pensando io?”
“Certo che si e se i disturbatori di frequenza che ho nei miei
appartamenti non hanno funzionato come devono, hanno
registrato la conversazione e adesso sanno di te.”
“Quindi ha dei disturbatori di segnale?”
“Denis, ti ho già detto che non faccio il chierichetto nel
Vaticano e le mie utili conoscenze del settore mi hanno messo
in guardia sin da quando i Servizi Segreti mi hanno sorvegliato
per la prima volta ed io ricevo tante persone in questo salone
del mio appartamento.
Non è stato difficile per me procurarmi dei disturbatori, non
dimenticare che ho fatto il prete nei paesini per tanti anni.
Adesso però, compra un pacco di gomme da masticare,
mettitene tre o quattro in bocca, masticale bene per un po’ e
mettici la cimice dentro, avvicinati ad un taxi, fa finta di
allacciarti le scarpe ed attaccala sotto al paraurti o in un posto
poco visibile.
Li terrà impegnati per un po’ di tempo.”
Denis iniziò a sperare vivamente che i famosi disturbatori di
segnale, avuti probabilmente da qualche tecnologico ladro di
auto di paese, che li usava per depistare i sistemi antifurto GPS
che consentono alla polizia di ritrovare il corpo del reato
insieme a loro, funzionassero veramente come si diceva.
Caso contrario, si sarebbe trovato qualcuno dello IOR
attaccato alle calcagna per un po’di anni.
A questo punto, l’uomo, prima di andare a comprare le gomme
da masticare in stazione domandò al Cardinale:
“Ma se ci hanno sentito, con chi avrò a che fare, con i Servizi
Segreti dello IOR?”
“No Denis, non credo.
Loro sono venuti solo per sorvegliarti, fino all’arrivo di chi
invece potrebbe aver ascoltato la registrazione della nostra
conversazione e vuole capirne di più.”
“E chi sarebbe? E da dove arriva?”

249
Per Denis stava per rivelarsi una delle telefonate più assurde
della sua vita.
“Non vorrei sbagliarmi, ma credo si tratti di Praelatura Sanctae
Crucis et Operis Dei, meglio conosciuti come Opus Dei.
Hanno quasi duemila sacerdoti affiliati e la loro chiesa di
riferimento a Roma è Santa Maria della Pace.
Qui non siamo né in un film, né tantomeno in un libro, quindi
non credere di essere già morto, potrebbero solo voler
semplicemente controllare di cosa si tratti, ma comunque come
ti ho detto in altre circostanze, non bisogna disdegnare il detto
“Vox populi, vox Dei”, quindi staremo particolarmente
attenti.”
“Cosa si fa?”
Disse Denis, che non sapeva neppure cosa pensare,
figuriamoci cosa fare.
Il Cardinale tacque per qualche secondo, poi continuò:
“Domani farò qualche ricerca.
Potrebbero volerci un paio di giorni per sapere cosa si dice in
giro, il tempo di fare circolare la voce e verrò a sapere.
Nel frattempo tu scompari e non vai più né dal tuo amico di
ieri notte e nemmeno a casa al paese.
Tra una mezzora ti richiamerò per dirti dove devi andare a
stare in questi giorni.”
“Cardinale, credo di essere nelle sue mani. Non mi abbandoni
la prego.”
“Non lo farò Denis, dopotutto se non fosse per colpa mia, la
tua sarebbe solo un’incredibile storia da raccontare e speriamo
che per questa gente lo rimanga.
Ti chiamo tra un po’, adesso lascia che io mi mobiliti.”
Denis era molto preoccupato ed incominciò a camminare
senza sapere neanche dove, ma guardandosi attentamente
intorno e soprattutto facendo caso che ogni macchina non
fosse lunga, nera, di marca Chrysler e targa svizzera, che
comunque non era difficile da individuare.
Arrivò fino all’Altare della Patria senza rendersene conto e
guardando continuamente se il telefono squillasse, per non

250
rischiare neanche un altro minuto di rimanere là fuori allo
sbaraglio.
Non aveva paura, ma essere tranquillo sarebbe significato
essere irresponsabile, doveva sapere almeno qualcosa in più
sulla faccenda e su come potersi eventualmente difendere,
avendo capito che la gente con cui probabilmente doveva
misurarsi non aveva di certo voglia di scherzare.
Da lontano, ad un tratto vide una auto nera e lunga avvicinarsi
rapidamente proprio a lui, e col finestrino abbassato al lato
accanto al guidatore, tendendo una mano fuori, con dentro un
giornale o una rivista, gliela puntò contro, chiedendogli se
fosse lontano dal quartiere VIII Sant’Eustachio.
Il giovane impallidito e quasi svenuto rispose:
“Mi spiace signore, non sapevo nemmeno fosse un quartiere
questo Eustachio e comunque non sono di Roma, qualcuno più
avanti saprà sicuramente indicarle.”
Nel frattempo pensò:
“Ma porca miseria, non hanno un navigatore, ormai è in tutti i
telefoni in vendita e poi con un’auto così dovrebbero averlo di
serie, mi hanno fatto prendere un colpo, con quella mano fuori
ed il giornale che sembrava coprisse un revolver, la mia
fantasia mi stava fulminando.”
L’uomo andò in un bar a prendere un bicchiere d’acqua ed un
tramezzino ed una volta mangiato, rimase seduto al tavolino
fuori sotto la tenda granata, con scritto il nome del posto sulle
frange lunghe e pendenti.
Ecco finalmente il cellulare del Cardinale squillare.
“Denis ascolta, prendi carta e penna e scriviti questo nome e
questo indirizzo.”
“Un attimo Eminenza, solo un attimo.”
L’uomo prese carta e penna dalla borsa e pronto a scrivere:
“Prego Cardinale, mi dica pure.”
“Franco Brizio, Via Calvarione, 3, devi andare a Nemi, è al
centro dei colli Albani, nella zona dei Castelli Romani, ora sei
nei pressi di Termini, quindi di là partiranno sicuramente degli
autobus per Nemi.

251
A qualsiasi ora arrivi, quando sarai li, aspetta sotto quel civico
e non spostarti di là per nessuna ragione al mondo, arriverà un
uomo di fiducia a prenderti e ti accompagnerà all’alloggio
dove risiederai per questi giorni, seguendo tutte le sue
disposizioni su come muoverti, naturalmente.
Per ovvi motivi di sicurezza, non ti dico la via precisa
dell’abitazione dove starai, anche se so che il mio smartphone
è sicuro, non mi fido più di nulla ugualmente.
Franco Brizio è un nome di copertura, lui ti dirà come si
chiama realmente, quando vi incontrerete.
Adesso purtroppo lasciati indicare da noi e segui tutte le nostre
misure di sicurezza, che anche a me, amici di fiducia stanno
suggerendo di prendere.”
Il Cardinale salutò l’uomo, rassicurandolo che non sarebbe
successo nulla e che quelle erano precauzioni di sicurezza
particolarmente severe, solo perché si sentiva responsabile per
averlo messo in quel pasticcio, seppure senza poterlo neppure
immaginare, né evitare.
Denis andò immediatamente all’ufficio informazioni della
stazione Termini, per informarsi sul luogo e sulla partenza
dell’autobus per Nemi e dopo un po’ ci salì a bordo.
Arrivato sul posto, seguì le istruzioni ed andò in via
Calvarione, 3, usando il navigatore del suo smartphone.
Nervosamente prese ad aspettare il signor Brizio, che doveva
arrivare li senza destare sospetti.
Dopo circa venti minuti, ecco un uomo bassino, dall’aspetto
dimesso e con uno strano modo di camminare che gli si
avvicinava.
Giunto lì:
“Lei è Denis Spadaro, vero?”
“Si, lei è il signor Franco.”
“Sono Mauro Canati, per te Franco Brizio.”
Disse l’uomo, che era vestito con bermuda larghe, una camicia
hawaiana, scarpette da ginnastica, cappellino ed occhiali,
come se fosse un turista americano di sessant’anni passati.

252
“Vieni Denis, ti porto a quella che sarà casa tua per questi
giorni.”
I due si recarono a tre isolati da lì, non proprio vicino.
Nemi è un piccolo centro e comunque qualunque posto non
poteva essere più lontano di circa ottocento metri.
L’appartamento era al primo, di una palazzina di tre piani
dall’aspetto gradevole.
Sulla targa della porta d’ingresso c’era scritto, Brizio Franco.
I due entrarono ed il signor Franco, meglio dire Mauro, gli
fece vedere la casa e gli disse che lui abitava a poche centinaia
di metri da lì e di qualsiasi cosa avesse avuto bisogno, doveva
chiamarlo col telefono del Cardinale al numero che gli scrisse
su un bigliettino con una biro.
Denis gli chiese:
“Signor Mauro, ma lei chi è?”
L’uomo si mise di nuovo gli occhiali da sole e mentre si
recava alla porta per uscire, gli disse:
“Servizi Segreti dello IOR, ma per il Cardinale De Cirillis,
sono l’amico Mauro Canati, per lui anche Franco Brizio.
Gli devo molto, per cui puoi stare tranquillo,
momentaneamente stai scappando dallo stesso servizio che ti
protegge, quando arriverà l’Opus Dei, poi si vedrà.
Ci vediamo per cena, se vuoi mangiamo qualcosa insieme.
Ormai sono le 16.00, suppongo vorrai rinfrescarti e riposare un
po’, ci sentiamo appena sei pronto.”
“Va bene signor Mauro, grazie davvero. La chiamerò appena
sarò pronto.”
Denis posò la valigia a terra e si appoggio sul letto della
camera in fondo a sinistra, crollò immediatamente in un sonno
profondo.
Ad un tratto:
“Signor Canati! Signor Canati!”
Una voce strillante di donna che bussava alla porta fuori al
pianerottolo lo svegliò, facendogli prendere un ennesimo
colpo.

253
Naturalmente Denis non rispose e corse subito in bagno per
darsi una rinfrescata e raggiungere Canati.
Si era fatto tardi, il telefono segnava le 19.45 e doveva correre
dal signor Mauro a cui aveva da fare più di una domanda, tra
le quali, cosa dovesse fare quando qualcuno suonava o
chiamava dal pianerottolo.
Una volta vestito, prese lo smartphone dalla valigia e chiamò
Canati.
“Signor Franco, sono Denis posso raggiungerla per andare a
cena?”
“Ciao, certo puoi venire sempre in via Calvarione, quello sarà
il nostro punto d’incontro ogni volta che ci dovremo vedere.
Ci vediamo li alle 20.15.
Ci sai arrivare?”
“Beh credo di sì, ma se non dovessi, ho lo smartphone con me,
proverò col navigatore.”
“Ah perbacco! Questo l’ho proprio dimenticato!
Prendi quello smartphone, copiati i numeri più utili da
chiamare su un foglio, spegni e lo metti in quella cassetta nera
che troverai in frigo. Si apre da quella rotella che è al suo
fianco sinistro, girandola in senso antiorario e prima scrivendo
sui numeri in combinazione 161.
Ti do un altro quarto d’ora, ci vediamo alle 20.30 sempre li.”
“Bene signor Franco sto arrivando.”
Denis seguì le disposizioni che gli aveva dato Canati e lasciato
il telefono, scritti su un foglio i numeri più utili che aveva in
mente, scese per raggiungerlo in via Calvarione.
“Ricordò la strada, anche se l’orientamento non era il suo
forte, ma solo perché ormai aveva gli occhi aperti dovunque e
per qualsiasi cosa, visto che era consapevole di non essere
proprio lontano da possibili e serissimi guai.
Riconosciuto il posto in cui era stato qualche ora prima,
riconobbe anche Canati, che questa volta aveva un jeans, con
camicia celeste e giacca blu, capelli con brillantina e sembrava
un altro uomo rispetto a quello visto poco prima.
“Buonasera Denis, allora fame?”

254
“Buonasera Franco, fame, in questo periodo direi quasi per
niente! Ma forse dovrei mangiare un po’ solo per mantenermi
in piedi!”
“Bene, vieni con me. Ti porto in un bel posto, dove cucinano
un’ottima amatriciana. Non che qui a Nemi ce ne siano molti
altri, ma questo è il migliore.”
“Va bene signor Franco, mi fiderò dei suoi gusti.”
“Certo Denis, ma chiamami Franco o Brizio se ti pare, solo
davanti a gente che non mi conosce, altrimenti cerca di
chiamarmi Mauro o nel dubbio cerca di non chiamarmi per
nome, ma dimmi solo cosa vuoi.
Questa è la città di mia moglie, molta gente mi conosce come
Mauro Canati.
Tra l’altro Franco Brizio, è un nome che abbiamo preso in
prestito da uno zio di mia moglie che è morto nel 1987.
Non vorrei che mi prendano per un fantasma.”
L’uomo sorrise in modo evidente e fece sorridere anche Denis.
Aveva un ottimo senso dell’umorismo che faceva trasparire
chiaramente la sua abitudine a situazioni di tensione, anche
molto più gravi di quella in cui immaginava si stesse trovando
a vivere questa volta e non era nemmeno per lavoro, ma solo
per la stima che nutriva per il Cardinal De Cirillis che lo aveva
molto aiutato nella sua vita passata.
Mauro Canati aveva due figli.
Per via del suo lavoro, non molto consueto, né tanto meno
stabile, che lo vedeva spostarsi in tutto il mondo, si era sposato
fortuitamente a circa quarant’anni ed aveva una figlia di 22 ed
un figlio di 25 anni.
Eleonora e Massimiliano.
Quando la ragazza ne aveva solo 16, aveva avuto un brutto
incidente stradale in motorino col suo ragazzo ed era stata per
quasi venti giorni in coma e per quattro mesi in coma
farmacologico.
Una volta sveglia, non sapeva più quasi riconoscere nemmeno
sua madre e suo padre, figuriamoci gli altri.

255
Inoltre, pare avesse avuto dei sintomi che avevano tanto a che
fare con gli sati di premorte che ti conducono a mondi e vite
parallele, dove aveva acquisito una grossa capacità medianica
ed aveva confessato ai suoi che continuava a vedere persone
morte e strane forme di vita, provenienti da chissà quali
dimensioni parallele, anche adesso che si era svegliata dal
coma.
Per altro aveva aggiunto un particolare non poco rilevante.
Eleonora, anche se non chiaramente come adesso, vedeva
quelle cose sin da bambina e si era sempre vergognata a dirlo,
ma ora chissà perché, una volta svegliatasi dal coma aveva
stranamente trovato il coraggio e ne parlava come se fosse una
cosa del tutto naturale, non sapendosi spiegare il perché non lo
avesse mai rivelato a nessuno fino a quel punto.
Mauro Canati e sua moglie avevano sempre notato qualcosa di
strano in alcuni atteggiamenti della ragazza, sin da quando era
una bambina, ma non gli avevano mai dato il giusto peso,
considerandoli dei semplici capricci di infanzia che loro non
riuscivano a capire per via della differenza di età e visti i tempi
tanto cambiati.
La solita storia dell’amichetto immaginario, anche se
stranamente e costantemente presente nella vita della
ragazzina, aveva avuto la meglio su altre versioni raccontate.
Ma adesso Canati non aveva più scusanti e portò sua figlia
dall’unico uomo con cui poteva parlare del delicato stato di
Eleonora, sua Eminenza De Cirillis.
Al Vaticano lo conoscevano un po’ tutti, per le sue capacità di
gestire alcune faccende di quella delicatezza ed anche Mauro
sapeva bene di lui.
Il Cardinale l’aveva ricevuta più volte Eleonora, ed aveva
anche capito quali fossero le origini del suo strano risveglio.
La capacità medianica era aumentata dopo il trauma
dell’incidente, perché il colpo alla testa gli aveva toccato
anche l’equilibrio della ghiandola pineale, che era già entrato
comunque in attività da solo prima di quell’episodio e che
quando però si riceve un grande trauma emotivo, aumenta

256
smisuratamente la sua attività e può creare dei grossi problemi
al cervello, in rari casi procurando anche la morte.
La ghiandola pineale una volta risvegliata può ingrossarsi e
non fermarsi che dopo aver creato delle grosse complicazioni
cerebrali, fino a toccare dei punti che mettono in pericolo la
vita stessa, perché controllano equilibri del corpo che non
andrebbero proprio mai toccati.
E’ una ghiandola ormai atrofizzata e dovrebbe rimanere tale,
per come il nostro cervello si è organizzato nella sua ultima
evoluzione, in questo caso sarebbe meglio dire involuzione,
perché con la ghiandola attiva, l’essere umano recupera il suo
terzo occhio che tanto lo avvicina a mondi spirituali di più alte
vibrazioni.
Ma questo, in voi esseri terrestri, quando avviene è considerato
un mal funzionamento, ed anche giustamente, perché il vostro
cervello non sa più gestirla questa ghiandola.
Il Cardinale era comunque riuscito a tranquillizzare la ragazza
con la meditazione, la preghiera e la serenità che le aveva
trasmesso, tanto che lei non era più in pericolo di vita e aveva
anche stabilito una sorta di patto con le sue allucinazioni, che
le permetteva di conviverci pacificamente.
Questo risultato, ottenuto sempre perché seguita sia da Padre
Giacomo che da uno psicanalista romano molto bravo e
stimato, che non disdegnava la collaborazione con i sacerdoti
esorcisti, anche se solo per alcuni delicati e particolari casi.
Il Vaticano ha sempre avuto una strana attenzione per la
ghiandola pineale.
Non è difficile che i suoi esorcisti abbiano avuto modo di
leggere nelle biblioteche vaticane, i veramente preziosi e rari
libri che ne spiegano i segreti più sconosciuti.
Il suo funzionamento ed i suoi grandi poteri mistici che gli
uomini hanno ormai dimenticato, ma che il Clero non vuole
per nulla scordare.
Infatti, proprio per questo, la simbologia dell’arte e
dell’architettura ecclesiastica forniscono dei grandi spunti per
la memoria e per avere sempre a mente.

257
La pigna è messa un po’ dappertutto.
La mitra del papa è a forma di pigna.
Su molti dei suoi scettri, c’è una pigna alla base della croce al
loro termine.
In Vaticano, c’è il Cortile della Pigna, che è contraddistinto da
una immensa pigna scolpita in pietra con ai suoi fianchi due
uccelli ibis.
L’uomo di Chiesa conosceva molto bene alcuni dei segreti che
servono per poter combattere il male ed ai quali il Vaticano gli
aveva concesso libero accesso per poter esercitare meglio il
suo servizio.
In questi, era compreso anche l’approfondimento sulla
ghiandola pineale, che nelle Università di Medicina, in alcuni
casi non viene neanche menzionata.
Sua Eminenza De Cirillis era ciò che ci voleva per aiutare il
delicato problema di Eleonora Canati.
Mauro Canati per il Cardinale avrebbe fatto di tutto, gli era
molto riconoscente e Denis in questo momento era un uomo
raccomandato da lui.
I due uomini giunsero al ristorantino di Nemi.
Si accomodarono ed ordinarono da mangiare, anche se Denis
lasciò fare al padrone di casa, che gli aveva detto di fidarsi.
“Allora ragazzo, vino bianco o rosso?
Posso chiamarti ragazzo, si?”
“Certo signor Franco.”
L’uomo, prima di pronunciare la parola Franco si guardò
intorno e fece sorridere Canati, che subito disse:
“Va bene se ti guardi intorno prima di chiamarmi, ma non va
bene né il signor, né il lei.
Ti prego dammi del tu e togli via quell’inutile prefisso.”
“Va bene Mauro, qui tanto ti conoscono tutti, quindi è bene
che ti chiami così.”
“Ecco bravo, devi solo fare attenzione in posti diversi o al
telefono a non chiamarmi così.
Vedrai, se starai attento sarà difficile sbagliarti.”
“Ve bene, io preferisco il bianco, Mauro.”

258
“D’accordo, dal vino posso anche capire cosa ordinare.”
Canati, chiamato il cameriere, ordinò la cena.
Nel frattempo attendevano, era già arrivato il vino bianco in un
cestello con ghiaccio e Canati lo versò a Denis nel calice e poi
si riempì il suo.
“Alla nostra ragazzo, che questa situazione si risolva nel
migliore dei modi!”
“Grazie Mauro, alla nostra!”
Appena finito di bere e posato il calice sul tavolo, Denis disse:
“Ma adesso Mauro, posso farti alcune domande?”
“Va bene, tanto oggi è giovedì, non viene molta gente in
settimana, questo è un piccolo paese, quindi stando attenti a
quel che si dice, possiamo parlare più o meno di tutto quello
che vogliamo.”
Denis annuì e continuò.
“Mauro, volevo chiederti inizialmente cose semplici,
accorgimenti per questi tre giorni.
Per esempio se qualcuno sa che sto qui a casa tua, o meglio a
casa di Brizio.
A questo proposito, poco prima di venire da te, mi ha preso un
colpo.
Una signora è venuta a chiamarti.
Io non sapevo se rispondere o se non rispondere.
Tra l’altro mi sono spaventato perché dormivo e non me
l’aspettavo.”
“Ah si! Ma quella era la signora Nadia, dell’appartamento di
fronte, nello stesso pianerottolo, deve aver sentito le voci ed ha
suonato e chiamato poco dopo.
Credeva ci fossi io, certo!
Lei sa che non c’è mai nessuno a casa di Franco Brizio e sa
anche, come sanno tutti quelli del paese che mi conoscono,
che Brizio è solo scritto sulla targa della porta d’ingresso e sul
citofono, perché non li ho mai voluti rimuovere ed è il vecchio
proprietario, nonché lo zio di mia moglie, che senza figli né
famiglia, le ha lasciato questa casa in eredità.

259
Lei è così gentile che mi ritira la posta ed ogni tanto mi dà le
comunicazioni condominiali.
E’ una nostra amica, sta pure tranquillo.”
“Si certo, adesso che lo so, sono tranquillo.
Ma sanno di me?”
Nessuno nel paese mi fa domande, ma posso dire che sei mio
cugino Denis che viene dalla Puglia, così evitiamo un inutile
anonimato con una piccola bugia.”
“Benissimo, ma quanto tempo dovrò stare qui?”
“Il Cardinale mi ha detto almeno tre giorni.
Quindi fino a Domenica e siccome lui sarà impegnato per la
Santa Messa, fai conto che abbia detto fino a lunedì.”
“Ecco Mauro, ma ogni tanto posso accendere il mio
smartphone?
La mia famiglia, i miei amici, penseranno mi abbiano rapito.”
“Si naturalmente, non vorrai comparire con la foto in tutti i
telegiornali perché scomparso spero?
Ti spiegherò dopo come fare però.”
“Certo, l’ho chiesto proprio per evitare questo.”
Disse Denis sorridendo ed aggiunse:
“E poi, cos’è quella scatola di ferro dove mi hai fatto mettere il
cellulare, che hai nel frigorifero?”
“Ah ah ah! E’ piombo, e lo tengo lì per le radiazioni. Quello è
il posto più sigillato della casa e il piombo è sempre un
derivato proveniente dal decadimento dell’uranio 238.
Serve per isolare il sistema GPS che rimane attivo in ogni
congegno di quelli, anche quando sono spenti.”
“Ma Mauro, se io volessi bere o mangiare qualcosa? Mi
contaminerei però?”
“Ma no di certo. Le radiazioni sono basse e poi dentro quel
frigo non ci tengo nemmeno l’acqua.
Nell’altra stanza ne abbiamo un altro, non preoccuparti.
Puoi usare quello, ma solo per l’acqua e altre sciocchezze.
Per il resto se non hai niente in contrario ti porterò a mangiare
qui, in questi giorni o dove preferisci tu.”

260
“Certo, nulla in contrario, qui credo andrà benissimo, visto che
mi ci hai portato senza indugiare.”
“Alla mia Agenzia ho detto che sono con mio cugino, che è
venuto a trovarmi dopo tantissimo tempo che non ci
vedevamo.
Loro come solito non fanno tante domande.
Di me si fidano e fanno bene quasi sempre.
Questa volta però è diversa.
Gli amici del Cardinale sono i miei amici.”
Intanto iniziarono ad arrivare le portate a tavola ed i due
uomini mangiarono, senza interrompere più con le chiacchiere,
e con grande voglia.
Forse a guardare Mauro Canati, ma a Denis venne fame e
mangiò anche lui con appetito.
Finita la cena, si erano fatte quasi le 22.00.
Era Luglio, quindi ancora una serata da vivere.
Mauro chiese a Denis se volesse fare un giro a Roma a bere
qualcosa, per poi andare a letto.
Ma adesso era ancora troppo presto in quella caldissima notte
di piena estate.
Andarono a casa di Mauro, dov’era parcheggiata una Spider
rossa cabriolet e senza però aprire la cappottina, i due si
incamminarono per Roma.
Durante la strada, Denis gli fece ancora qualche domanda.
“Mauro ti sei dimostrato un amico, quindi se ti faccio ancora
qualche domanda mi risponderai con sincerità?
“Va bene, di pure.”
“Secondo te, quelli dell’Opus Dei hanno ascoltato la
conversazione tra me e il Cardinale?”
“Beh, non mandano agenti di certo a cercarti perché hanno
scommesso su cosa c’era scritto sul bigliettino che ti ha scritto
sua Eminenza alla Conferenza o per chiederti se ti trovi bene
nel Lazio.
Il Cardinale mi ha detto che avevi la cimice nella tasca dei
pantaloni, fortunatamente la posteriore e che sei rimasto tutto

261
il tempo seduto a quei suoi morbidi divani che possono aver
fatto da filtro, impedendo un buon ascolto delle vostre voci.
Poi, se mettiamo anche i disturbatori di segnale di casa del
Cardinale e se conti che l’Opus Dei non è quello dei film
televisivi o dei romanzi americani, ma molto più serio e
ponderato, possiamo dire che forse ti cercano perché devono
aver captato fortuitamente qualche messaggio, che li ha
particolarmente incuriositi, all’interno di una conversazione
che non hanno potuto capire affatto interamente.
A meno che non abbiano fatto poi partire l’immaginazione.
Fermo restando, come ho già detto al Cardinale, che
potrebbero anche non aver capito nulla, ma ti cercano per
motivi o coincidenze o scambio di persona, che ci sono
sconosciute e che sarebbero imprevedibili.”
“Quindi Mauro, come facciamo a saperlo?”
“Per questo ci sono io ragazzo.
Se occorrerà, farò finta di averti preso nel sacco casualmente e
ti consegnerò io stesso a loro, dandoti poi una mano
direttamente dall’interno.
Se vogliono parlarti o interrogarti non puoi sottrarti.
L’Agenzia di Servizi Segreti a cui fa capo l’Opus Dei, non
risulta neanche esistere, ma sa bene quello che vuole e come
ottenerlo, senza mai fallire.
Nemmeno una sola volta.
Non si fermeranno.
L’Opus Dei è un fenomeno Cattolico Cristiano molto serio.
E’ da considerarsi una sorta di Cristianesimo nel Cristianesimo
o Cattolicesimo nel Cattolicesimo, se vuoi.
I collaboratori più influenti sono soprattutto laici e non è detto
che siano Cattolici Cristiani, possono essere semplicemente
dei devoti alla dottrina dell’Opera di Dio.
Questa filosofia Cattolico Cristiana che formò una corrente di
pensiero con affiliati anche non credenti e subito dopo una
Prelatura personale nella Chiesa Cattolica, fu ideata in Spagna
da Josemaria Escrivà.

262
Il dittatore Franco tentò persino di fermarli, aprendo
un’inchiesta per incriminarli, usando il tribunale istituito per la
repressione delle massonerie, avendola subito intesa come una
corrente massonica di fedeli collaboratori alla causa, che però
non era la sua.
Non vi riuscì.
Vescovi e personaggi influenti già lo proteggevano e dovette
lasciarli operare.
La differenza tra l’Opus e gli altri è proprio questa.
Intendere la vita per la causa di Cristo, non solo una dedica
all’unisono, ma aprire anche a chiunque voglia dare il suo
contributo con il lavoro personale, qualsiasi esso sia.
Opus che significa appunto, lavoro, opera dell’uomo.
Una sorta di laicato consentito a chi vuole comunque
collaborare anche se non Cattolico o non credente,
l’importante che osservante della filosofia dell’Opus.
Essi possono essere numerari, aggregati, soprannumerari o
collaboratori.
I collaboratori, solitamente non sono nemmeno Cattolici e
spesso neppure veri credenti.
Furono molto criticati per questo, ma sempre assolti e mai
perseguiti da nessun tribunale cattolico o civile.
Lo stampo massonico dell’organizzazione è sempre stato la
loro principale accusa.
Ma nessuno può dire che questa confraternita possa aver
commesso crimini o sia coinvolta in chissà cosa.
La sua integrità è confermata dai fatti.
Solo accuse mai provate e libri di fantasia che fanno capire
chissà cosa sul loro conto, ma mai uno straccio di prova o di
scandalo documentato e punito dalla giustizia.
Non li vedo come un aspetto negativo della Chiesa, sono una
sorta di nuovi difensori di essa, come furono i Templari e
quelli di loro che ancora esistono ed hanno tale missione da
compiere, con la differenza che l’Opus non ha mai tradito.
Una delle loro pratiche meditative è l’autoflagellazione e la
mortificazione corporale, con l’utilizzo di attrezzi come il

263
cilicio o il flagello, poiché considerano la sofferenza un mezzo
per sentirsi più vicini al Cristo, partecipando al dolore che ha
dovuto sopportare per pagare il prezzo della nostra salvezza,
sentendolo direttamente sul proprio corpo.
Può sembrare un’esagerazione, ma è il loro modo di essere
credenti.
Spesso non riusciamo a capire il dolore, soprattutto quello
corporale, non capiamo perché dobbiamo esserne colpiti, sia
esso naturale o provocatoci da altri uomini.
Loro al contrario, cercano di comprenderlo e renderlo qualcosa
di normale addirittura utile per l’evoluzione della loro anima:

Tanto progredirai quanto farai violenza a te stesso.


(Codex Iuris Particularis Operis Dei)

Sono uomini a dir poco enigmatici.


Fare testamento alla fondazione è consigliato, ma non
obbligatorio.
A loro possono essere affidati i segreti della Chiesa Cristiano
Cattolica.
Anche quelli più intimi.
Fosse per me, glieli farei custodire.
Sono affidabili e devoti a prescindere da ogni apparente
logicità.
Al primo posto l’ideologia dell’Opus, difendere e servire la
Chiesa Cristiano Cattolica. Poi dopo, le proprie opinioni e la
propria moralità.”
Denis guardava sbigottito, mentre Mauro guidava verso Roma
e parlava senza problemi col finestrino abbassato, un braccio
fuori ed uno sul volante.
E disse interrompendolo:
“Quindi non gli interesserà nulla delle mie ragioni e della mia
buona fede?

264
Semmai fossero al corrente e mi parlassero realmente di quello
che potrebbero aver udito dalla cimice?”
“Non lo so ragazzo.
Solitamente no.
Non entrano nel merito.
Però io sono nello IOR, quindi non posso sapere.
L’Opus cambia e si rigenera continuamente.
E’ un movimento positivo per quanto ne sappia.
Severo, rigido, ma positivo.”
“Speriamo che non abbiano capito nulla Mauro e se hanno
capito qualcosa, speriamo che siano cambiati o rigenerati
come dici tu e vogliano ascoltare le mie giustificazioni.”
Mauro sorrise a Denis e gli diede una pacca sulla spalla
cambiando braccio al volante e tirando dentro il braccio
appoggiato al finestrino.
“Sai, Denis.”
Continuò l’uomo dopo qualche minuto di silenzio.
“Cavalieri dell’Ordine di Malta, Opus Dei e tante altre
confraternite cristiane, sono nate sempre e solo per proteggere
la Chiesa di nostro Signore dai tanti attacchi che ha ricevuto da
ogni dove ed in ogni tempo, ma spesso si sono trovate a gestire
un potere così grande, che ha fatto venir fuori una delle più
pericolose deviazioni dell’uomo, che lo fa sragionare.
La superbia.
Così, preso da essa, ogni uomo, anche quello nella miglior
buona fede, tirerà fuori la sua vanità, la sua voglia di
sopraffare i suoi simili, di accumulare ricchezze e di essere
l’unico detentore della verità, che contrariamente ha sempre
detto di voler condividere con gli altri, ma che ha invece
sempre usato per scavalcarli e sottometterli.
Questo, perché?
Perché ogni difensore della Chiesa Cristiana ha sempre voluto
entrare nel merito e ragionare con la sua testa.
Sarebbe stata anche una cosa buona, l’uomo deve ragionare
con la sua testa, se però gli interessi economici e di potere non

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avessero sempre avuto la meglio e se non li avessero deviati
dalla loro iniziale buona intenzione.
Quella di spiegare agli uomini tante verità nascoste, per
permettergli di avere più possibilità di capire ognuno la
propria verità ed arrivarci a modo suo.
Io credo che nessuno detenga la verità suprema.
Ma credo anche che nessuno abbia il diritto di diffondere
enormi inesattezze per creare una verità strumentale che
permetta di esercitare il potere sugli altri.
Questo fenomeno nasce però dal fatto di aver permesso ad
alcuni uomini di entrare nel merito.
Non si deve cambiare il detentore dei segreti, ma si deve
aspettare che chi li detiene reputi che sia il momento di
svelarli.
Al più si dovrebbe fare da garanti a questo obiettivo.
Mettere al corrente il mondo di ogni cosa che c’è da sapere.
Se fosse successo, non saremmo mercificati come possiamo
ritenere di essere oggi noi esseri umani.
Fin’ora, tutti quelli che hanno criticato la poca chiarezza del
Cristianesimo nei confronti dei fedeli, hanno solo dimostrato
che volevano gestire loro stessi la cosa, ma non hanno
manifestato nessuna vera intenzione di condividere verità e
segreti che la Chiesa non ha voluto rivelare al popolo dei
fedeli, per motivi di potere.
L’Opus non entra nel merito.
Ecco la differenza.
Aspetta che i tempi siano maturi e lo fa proteggendo il
presente della sua Chiesa, affinché il futuro possa essere di
condivisione più larga, ma sempre gestito dai Prelati della
Chiesa stessa, che saranno eletti al compito.
Almeno per quanto io ne sappia agisce così, e forse cercherà di
garantire che questo momento arrivi in difesa dello Spirito di
ogni piccolo ed umile credente.
Denis lo guardava con aria spaventata e ormai senza speranza
che la cosa potesse essere migliore di come si stesse
prospettando.

266
“Quindi da quello che sto capendo, mi butteranno nel Tevere.”
Disse Denis, ridendo nervosamente e tornando subito serio a
sottolineare la risata di stizza.
“Non è da escludere.”
Rispose Canati, facendogli uno strano sorriso sinistro ma
divertito.
“Ti ho detto di stare tranquillo, non siamo in un film, né tanto
meno in uno di quei libri dove quelli dell’Opus Dei sono i
cattivi senza pietà.
Stiamo parlando di un’organizzazione che sa quello che fa e
non intende fermare nessuno che non abbia reputato un
pericoloso nemico della Chiesa.
E tu, è evidente che non lo sia.
Il Cardinale mi ha accennato quale fosse l’argomento del
vostro dialogo.
Seppure l’abbiano ascoltato, per quanto ho capito, può esserci
solo una possibilità, quella che tu venga reputato un caso da
isolare e non considerare e che venga messo a tacere senza
bisogno di torcerti un capello.
Cosa mai potresti fare di così terribile?
Nessuno ti crederà mai.
Per quanto gli riguarda, potresti essere un visionario o un
mitomane e con questo tipo di soggetti ci hanno a che fare
continuamente.
Sarei più preoccupato se tu fossi stato convocato dal Consiglio
dei Cardinali C9.
Qui entrerebbero in gioco alcuni equilibri che non possono
essere toccati da nessuno, nemmeno da un visionario.
Ma quello è un altro livello di gravità.
Sempre però conterebbe il peso che ti può essere stato dato.
Credimi, la tua storia è così assurda che non verrebbe presa in
considerazione da nessuno, forse neppure da loro.”
Denis, per la prima volta in vita sua, si sentì soddisfatto e
sollevato nell’ascoltare da qualcuno che non fosse un uomo
credibile.

267
Adesso aveva capito che era molto meglio per lui non
sembrare tale.
Questa cosa avrebbe potuto salvargli la vita.
Sembrare un folle, un visionario, persino un mitomane, ma
comunque un essere innocuo da non considerare più di tanto.
Si fermarono in un posto a Roma.
Canati aprì un cancello automatico con un telecomando che
prese dal cruscotto e parcheggiò l’auto in una villa nei pressi
di un lussuoso bar del rione Pigna.
I due scesero dall’auto e Canati disse:
“Questa è una delle location dell’Agenzia per cui lavoro.
Ho parcheggiato dentro, ma usciamo a bere qualcosa.”
Giunti al bar, si sedettero ad un tavolino un po’ appartato
verso la fine della sala.
Il posto era estremamente elegante e subito arrivò un
cameriere che conosceva Mauro:
“Buonasera signor Canati, cosa posso portarle?”
“Facciamo un’apericena, c’è oggi vero?”
“A dire il vero no, ma per lei ed il suo ospite faremo
un’eccezione. Quindi, si.
Vi porto subito qualcosa.”
Nel frattempo arrivava l’apericena, che comunque a quell’ora
suonava più che strano, i due ripresero a chiacchierare.
Canati prese parola.
In realtà, Denis aveva veramente poco da dire.
“Sai ragazzo, fino a lunedì sapremo cosa dobbiamo fare di
sicuro, sta pure tranquillo.
Anche perché, non posso mica stare con te tutta la vita, non
fosse altro che martedì mattina ho un aereo per Bucarest e
credo proprio di non poter rimandare, sai l’avevo domani
mattina, ma poi sei arrivato tu.”
“Menomale Mauro, non avrei saputo cosa fare senza di te.”
I due bevvero e mangiucchiarono ciò che il cameriere aveva
portato.
In effetti Denis era ancora pieno della cena abbondante finita
un’ora prima, ma per il nervoso gli prese una fame che gli

268
permise di accompagnare Canati, che invece mangiava sempre
con grande appetito.
Verso mezzanotte, i due andarono a riprendere l’auto e Canati
accompagnò l’uomo al suo momentaneo appartamento a
Nemi.
Denis chiese a Canati di spiegargli come fare ad usare il
telefono senza avere problemi, una volta tiratolo fuori dalla
cassetta nel frigorifero e l’uomo gli spiegò che era sufficiente
entrare nel ripostiglio accanto al bagno, perché dentro c’era un
disturbatore di segnale in uscita, cioè che consentiva di usare
l’apparecchio, ma non permetteva di rintracciarne la posizione.
“Si è fatta quasi mezzanotte Denis, non farmi salire
nell’appartamento apposta per spiegarti.
Se vuoi usare il tuo telefono è semplicissimo.
Prendi la cassetta dal frigorifero, vai nel ripostiglio accanto al
bagno, una volta dentro, aprila e prendi lo smartphone, lo
accendi e fai pure la tua chiamata o i tuoi messaggi.
Non staccare la spina a quell’aggeggio con le luci verdi che
vedi sul pensile in metallo.
E’ lui che non ti farà rintracciare, ma solo se ti chiudi nel
ripostiglio.
A proposito, controlla la carica della batteria del tuo telefono e
se occorre caricalo pure, ma lasciandolo nello stanzino con la
porta chiusa.
Usa l’altra presa che è al lato sinistro della scarpiera in
frassino.
Chiaro?”
“Si Mauro, molto bene.
Siamo arrivati, ci vediamo domani mattina a colazione.”
“Con calma ragazzo, credo che verrò verso le 11.00, solito
posto.”
“Perfetto. A domani Mauro, buonanotte.”
“Buonanotte Denis.”
L’uomo scese dall’auto di Canati e salì rapidamente a casa.

269
Appena giunto nell’appartamento fece come gli era stato detto
per usare il telefono ed andò nel ripostiglio, a dire il vero
molto capiente.
Con degli audio messaggi avvisò la sua famiglia e qualche
amico che era fuori sede per una fiera a Milano e si sarebbe
fatto vivo appena tornato.
L’indomani si incontrarono con Canati sempre in via
Calvarione.
Mauro portò Denis in un bar nei dintorni, per prendere un paio
di cappuccini e due cornetti alla marmellata di albicocche.
Seduti al tavolo fuori, nell’attesa che arrivassero le
ordinazioni, Canati gli disse:
“Allora Denis Spadaro o devo chiamarti Denis Sarti de
Piavonelli?”
“Che significa questo, Mauro?”
“Significa che stamattina ho fatto un po’ di ricerche su di te.
Sai, sto rischiando un bel po’ con questa storia, volevo almeno
sapere chi fossi.
Ho chiamato qualche amico di altre agenzie dei Servizi Segreti
dell’Intelligence dello Stato e qualcuno in quasi mezz’ora mi
ha rivelato più di quanto sai tu su te stesso, compreso questo.
Nell’ambiente alto locato non è poco diffusa la vecchia storia
che parla delle vicende del Conte Augusto Sarti de Piavonelli,
che ha frequentato Roma molto assiduamente.
Ed è venuta fuori anche questa indiscrezione, oltre che tante
altre, come il fatto che sei un brav’uomo, che provieni da
un’altrettanta famiglia di brave persone e molta gente nel
vostro paese nutre per voi molta stima, perché reputati uomini
semplici e disponibili.
Siete socievoli e molto chiacchieroni, ma comunque di grande
compagnia ed onestà intellettuale.
Avrete preso da vostro padre, che è venuto a mancare in un
tragico episodio.
Tu sei sempre stato il più strano della famiglia, anche se eri
quello più legato ai tuoi genitori che ora non ci sono più,
perché anche tua madre è mancata pochi anni fa.

270
Sei stato sposato con la nipote del Comandante Cesare Brandi,
pezzo grosso dell’antiterrorismo italiano, molto conosciuto da
quelli dei Servizi Segreti, con cui spesso collaborava.
Hai rifiutato un invito del Presidente della Repubblica ad
incontrarlo, cosa quasi mai accaduta, che ha fatto incuriosire
un po’ tutti sul tuo conto, tanto da inserirlo nel tuo dossier.
Quando sei stato in grande difficoltà per motivi personali,
forse proprio dopo la separazione dalla tua ex moglie Miriam
Brandi, i parenti di tuo nonno illegittimo, se così possiamo
chiamarlo, ti hanno offerto il loro aiuto, dandoti ospitalità,
sapendo che tu non conoscessi nulla della storia che si
nascondeva dietro e che non potessi in alcun modo avere
sospetti.
Dopo un paio di anni, quando hai iniziato a capire qualcosa
per il tuo strano modo di usare l’intelligenza intuitiva, che
possono avere spesso i sangue blu, sei andato immediatamente
via di lì, abbastanza turbato, trovando una banale scusa, senza
far trapelare alcun sospetto che tu avessi intuito e ti sei
trasferito altrove.
Giusto?”
“Esatto Mauro, ma la storia dei Conti Sarti de Piavonelli è
falsa, è solo un assurdo pettegolezzo popolano.
Forse lo credono loro e non so per quale assurdo motivo, ma
secondo me non è vera.”
“Sai ragazzo, Augusto non la pensava come te, e non era di
certo un tipo dalle facili indiscrezioni, ma sicuramente era uno
che amava la compagnia delle belle donne e non è difficile che
alcune di loro possano essere state dell’agenzia dei Servizi da
cui ho preso le informazioni.
Sai, ad una donna in alcuni momenti particolari si può dire ciò
che non diresti a nessuno, magari per sentirti più libero da un
peso.
E’ per questo che le donne dei Servizi sono molto belle ed
alcune di loro sono state anche attrici famose, di cui mai è
stata rivelata l’identità.

271
Ogni notizia ritenuta interessante, viene archiviata in un
dossier che alcuni personaggi devono avere, per essere sempre
ed in ogni caso ricattabili e vincolati ad alcuni giri.
Augusto Sarti de Piavonelli era uno di quelli.
Quindi ha un dossier a cui ho avuto accesso.
Comunque sia non voglio turbarti, volevo solo dirti che ho
scoperto alcune altre importanti novità.”
“Sempre sulla mia vita privata suppongo?”
Disse Denis un po’ scocciato della cosa.
“Ma no! Sulla nostra situazione intendo.
Mi sono messo in contatto con un agente dell’Opus che mi
deve dei grossi favori. Sai, lui beve un po’, anche se è molto
sveglio, qualche volta l’ho tirato fuori dai guai.
Pena evitata, sarebbe stato messo fuori dai Servizi.
Per questo mi tiene a cuore.
La conversazione tra te ed il Cardinale è stata fatta ascoltare ad
alcuni pezzi grossi dei Servizi dell’Opus.
E’ stata fatta poi ascoltare da questi ultimi ad alcuni Alti
Prelati, tra cui un certo Cardinale Arturo De Patris, nonché
figlio spirituale dell’Alto Prelato Carmelindo Abaclater,
soprintendente morale e consigliere particolare di molti tra i
più alti servizi offerti dalla Prelatura dell’Opus al Vaticano,
persona con carattere forte e controverso, ma molto rispettata
nell’ambiente, purtroppo scomparso da qualche anno.
Non De Patris, fortunatamente lui è vivo ed era un grande
amico di Abaclater.
Lindo Abaclater, ti ricorda qualcuno?”
“Si Mauro, mi ricorda che Dio esiste!”
“Vedo che hai intuito, pare che il Cardinale De Patris ti
conoscesse indirettamente per via delle chiacchierate
confidenziali con il suo fidatissimo e caro amico Abaclater e
che lo abbia accompagnato fino all’ultima ora del trapasso.
Abaclater ti voleva bene e ti ha fornito un nome da contattare
tramite il social quando lui non ci fosse stato più, che tu però
non hai mai contattato, giusto?”
“Giusto Mauro, mi ha detto che era suo nipote.”

272
“Non era il nipote in realtà.
Era il contatto con De Patris, sotto copertura di un nickname.
A De Patris è dispiaciuto molto che tu non l’abbia mai cercato,
ma in effetti neanche lui ti ha mai contattato.”
“Vero Mauro, mai più sentiti via chat, né contattati con altri
mezzi, neanche con quello che mi ha detto essere suo nipote.”
“Ora, il Cardinale ricopre un ruolo molto simile a quello che
ricopriva Lindo Abaclater, ed è anche più temuto e rispettato,
per via del suo atteggiamento meno aperto e più riservato nei
confronti di argomenti delicati, dovuto all’essere stato sempre
nell’Opus, mentre il buonissimo Abaclater ci era arrivato a
fine carriera, quasi più da laico che da Cardinale, per via dei
suoi rapporti incrinati con il Vaticano, interpretando un po’ a
suo modo, la grande apertura dell’Opus verso le preziose
collaborazioni intellettuali esterne, che gli aveva permesso di
entrarvi a far parte.
De Patris intende occuparsi personalmente della faccenda.
Quando ho saputo questo, ho colto la palla al balzo.
Ho detto al mio gancio di dire che lo IOR aveva trovato Denis
Spadaro e che se volevano, potevano portarlo all’Opus Dei in
modo consenziente.
Il mio gancio mi ha chiamato dopo dieci minuti e mi ha detto
che il Cardinale De Patris ha accettato l’incontro e possiamo
vederlo domani alle 16.00 nella sede di via dei Farnesi a
Roma.
Forse non dovrai più fuggire da nessuno Denis.”
“Se è veramente un amico di Don Lindo, credo proprio di no.”
Rispose l’uomo rilassato dall’aver appreso questa buonissima
notizia.
“Sai Denis, dovresti sapere cosa significa essere figlio
spirituale prima di parlare di amicizia.
Comunque puoi stare tranquillo, erano amici sul serio.”
I due consumarono la colazione insieme, Denis era molto più
sereno e finalmente poteva vedere più luce, in quella buia e
triste faccenda, per come si stava mettendo per lui.

273
Passarono il giorno insieme ed il mattino seguente Canati non
lo lasciò neppure un minuto fino a giungere al pomeriggio,
quando alle tre in punto passò a prenderlo per portalo dal
Cardinale De Patris nella sede romana dell’Opus Dei.
Durante il tragitto, gli raccomandò di avere alcune importanti
accortezze.
“Ti raccomando Denis, tu non sai nulla di De Patris e di
Abaclater e non sei un mio amico, ma sei in mia custodia, da
giovedì pomeriggio, quando ti ho trovato a Nemi, dove ti eri
rifugiato salendo sul primo autobus in partenza che uscisse da
Roma. Questo deve trasparire dall’incontro che stiamo per
fare.
Non sbagliare o siamo in guai serissimi.”
“Non sbaglierò Mauro, starò attento.”
Poco più tardi, entrati nel palazzo romano sede dell’Opus Dei,
Canati e Denis si sedettero sulle poltroncine di un corridoio al
primo piano, di fronte ad una porta di noce scuro, con la
maniglia color oro.
Aspettarono qualche minuto in silenzio.
Alle 16.00 in punto la porta si aprì ed uscì una signora con gli
occhiali, sulla cinquantina e sorridendo disse:
“Bene, potete accomodarvi, il Cardinale vi sta attendendo nel
suo studio.
Seguitemi, vi accompagno.”
Fatto un altro lungo corridoio, in fondo vi era una pesante
porta di radica e la signora la aprì.
“Prego, potete accomodarvi.”
Di fronte a loro, seduto alla poltroncina della sua vecchia
scrivania, c’era sua Eminenza Arturo De Patris.
“Prego signori, mettetevi pure comodi.
Alice, può andare, vorrei rimanere da solo con queste persone.
Nessuno mi disturbi per almeno mezz’ora.”
“Certo sua Eminenza.”
Il Cardinale De Patris continuò.
“Vi prego di spegnere i vostri smartphone, se ne avete uno con
voi.

274
Non c’è bisogno di presentazioni, ho visto i vostri dossier.
Tu sei Mauro Canati e tu Denis Spadaro.”
Il Cardinale indicò esattamente ognuno dei due uomini, che al
segno annuirono con la testa, dicendo di si.
Non aveva alcuna intenzione di perdersi in chiacchiere e
convenevoli, quindi iniziò subito.
“Allora Denis, quell’audio che ti riguarda e che mi hanno fatto
ascoltare non era troppo basso da non aver capito di cosa si
trattasse, ma non era nemmeno troppo alto da non aver
bisogno di parecchi chiarimenti direttamente dalla tua persona.
Posso farti alcune domande?”
“Certo sua Eminenza, può chiedermi quello che crede
opportuno.”
“Sai chi sono io?
Deve sicuramente averti parlato di me l’agente Canati.
“Si, mi ha detto che siete un Alto Prelato del Vaticano,
precisamente appartenete all’Opus Dei.”
“Non ti ha detto altro?”
“Si, che potrei essermi cacciato nei guai, visto il modo in cui
sono stato seguito dagli agenti dello IOR, di cui mi sono
temporaneamente liberato mercoledì sera, per essere poi dopo
trovato dagli stessi, soltanto poche ore dopo, per l’esattezza,
giovedì pomeriggio a Nemi, dal signor Canati qui presente,
che mi ha fatto capire pacificamente che era meglio che lo
seguissi e che mi affidassi a lui, senza porre ulteriore
resistenza.
Mi ha trovato un alloggio in cui stare a Nemi, senza darmi
troppe spiegazioni, raccomandandomi di non scappare, perché
sarebbe stato inutile e peggiorativo ed oggi mi ha
accompagnato qui da voi, dicendomi che potevate farmi uscire
da questo pasticcio.”
“Infatti.
Non è proprio semplice la situazione in cui ti trovi, soprattutto
perché hai fatto resistenza al primo agente dello IOR, che
doveva solo seguirti per precauzione, aspettando altri colleghi
più esperti in questo genere di cose, ma non aveva ordini

275
diversi dal tenerti d’occhio e vedere semplicemente dove stessi
andando.
Avendoti piazzato anche una cimice in tasca, non è stato
difficile trovarti.
Comunque, non avremmo fatto ciò che siete abituati a vedere
ultimamente in quegli stupidi film o a leggere nei libri di
fantasia.
Stanne certo.
Agiamo solo per proteggere la nostra Chiesa ed anche qualche
sprovveduto come te, che non sa come comportarsi e rischia di
essere preso per matto e farsi male inutilmente.
Quindi, oltre al fatto di averti persuaso con i nostri metodi, non
di certo ordinari, ad avere udienza con noi, non avremmo fatto
altro, cosa che faremo, che ascoltarti e sapere meglio i fatti,
per agire senza che nessuno esca danneggiato da questa
situazione, soprattutto tu, Denis Spadaro.
Quindi la tua fuga e la cimice attaccata al paraurti di un taxi
con la gomma da masticare, che ha fatto girare un nostro
agente per tutta Roma, non sono state idee brillanti, anzi sono
state del tutto inutili.”
L’uomo guardò il Cardinale e lo ringraziò, chinando il capo.
“Certo lo so, volevi solo difenderti, ma forse con un
pregiudizio di base, che chi ti seguisse potesse avere
unicamente intenti negativi nei tuoi confronti.
Cosa niente affatto vera.
C’è un’altra cosa che devo dirti.
Il mio atteggiamento nei tuoi confronti è del tutto migliorato
quando ho saputo una notizia su di te.
Tu hai conosciuto l’Alto Prelato Carmelindo Abaclater in una
chat su un social network, vero?
Sei quel Denis Spadaro, con nickname Michele Arcangelo?”
“Si, sono io Cardinale.
Perché sua Eminenza conosceva Don Lindo?”
“Si, benissimo, era il mio Padre Spirituale.

276
Quel suo nipote che ti ha detto di contattare per avere notizie
di lui, dopo che si è ammalato e che tu non hai mai cercato, in
realtà ero io.
Per non rivelare la mia identità, ti ha detto che fossi suo
nipote, poi dopo avrei deciso io, quando e se dirti la verità su
di me.”
“Quindi è una pura coincidenza se non conosco anche lei
stesso, Eminenza?”
“Si, eravamo vicini a farlo, ma anche io ho deciso poi di non
contattarti più.
Vedi, forse perché il Signore voleva farci incontrare di
persona.”
So bene chi sei, Padre Lindo mi ha parlato molto di te.
Adesso mi confermerai se ho ben compreso ciò che sostenevi
in quell’audio nella conversazione con il Cardinale Giacomo
De Cirillis.
Se ho ben capito, credi di avere a che fare con qualcosa che si
annida dentro la tua coscienza e comunica con te da qualche
altra parte del mondo?
Credi che con lui hai stabilito una sorta di dialogo?
Credi che faccia parte di quei demoni che la buona Chiesa
combatte e che sono i nemici di ogni buon cristiano?
Credi che voglia provare a stabilire una tregua tra noi e loro,
usando te come canale di contatto?
Credi che questo mondo ne potrebbe avere beneficio?”
Denis aveva annuito col capo ad ogni domanda del Cardinale,
che era subito passato all’altra, senza ricevere ulteriore riposta,
con un viso significativamente severo, poiché gli bastavano
solo quelle affermazioni di conferma, e guardando in faccia
Denis, profondamente, con il suo viso particolarmente scavato
e con i suoi occhi profondi. Voleva essere certo che il ragazzo
dicesse il vero e non fosse un mitomane in cerca di strane
avventure.
Dopo un attimo di silenzio ad un tratto De Patris aggiunse:
“E tutto questo come credi di farlo?”
Denis ci pensò un attimo e poi disse:

277
“Non lo so Eminenza, anzi credo proprio che non sappia farlo.
Ero dal Cardinale De Cirillis semplicemente per chiedere
consiglio e per paura di cacciarmi nei guai.
Mi sentivo minacciato ed in pericolo, ma non so come mi
avete messo quella cimice in tasca e ci sono finito per via di
cose, nei guai.”
Dall’espressione che fece, si capiva palesemente che il
Cardinale fosse soddisfatto della risposta che l’uomo aveva
dato alla sua ultima domanda e quindi doveva iniziare a
considerare con più serietà la versione delle cose, sicuramente
in modo diverso dal primo impatto che poteva avere avuto
sull’Opus Dei.
“Bene ragazzo, ti dirò che su ognuna delle domande che ti ho
posto ed a cui hai annuito, ci sarebbe un treno merci carico di
problemi per essere trovata realmente la sua risoluzione, che
uomini piccoli come noi non possono neanche immaginare,
figuriamoci realizzare.
Però, io stimavo Padre Lindo e non so perché lui tra tanti che
lo contattavano per chiedergli consiglio, mi parlò solo di te ed
ormai gravemente malato, mi disse di seguirti nel social
quando non ci sarebbe stato più, per continuare l’interazione.
Per questo motivo e per come mi hai risposto, voglio crederci
e ci vedremo più chiaro in questa faccenda, anche se so come
avrei dovuto agire come Alto Prelato dell’Opus Dei, e ti
assicuro che non sarebbe stato gran che positivo per la tua
causa, agirò invece come figlio spirituale di Carmelindo
Abaclater e prescinderò per una volta dal non entrare nel
merito. Ti aiuterò.
Andremo insieme dal Cardinale Giacomo De Cirillis.
Mauro Canati ci accompagnerà, non voglio coinvolgere
ulteriori persone in questa faccenda, bastiamo noi quattro.
Fisseremo un appuntamento con lui, domenica pomeriggio alle
17.00, se per voi va bene.
Lei Canati mi verrà a prendere qui e porterà con sé Denis, ad
avvisare sua Eminenza De Cirillis ci penserò io.
Siete d’accordo?”

278
I due uomini si guardarono in faccia senza aggiungere altro a
ciò che aveva detto l’influente uomo di Chiesa e si fecero
cenno che andava bene.
Dopo un po’ ribadì solo Canati:
“D’accordo Cardinale, per noi va bene domenica pomeriggio.
Alle 17.00 sarò qui con Denis Spadaro e poi ci dirà lei, come e
dove andare.
Il Cardinale De Cirillis, andremo a prenderlo dove ci dirà
quando saremo in auto noi tre.
Per lei va bene?”
“Si, per me va bene.”
Sua Eminenza De Patris, chiamò la sua collaboratrice con un
telefono interno che aveva sulla sua scrivania e le disse di
accompagnare gli uomini all’uscita.
I due seguirono nuovamente la donna ed uscirono dalla sede.
Dopo qualche minuto saliti in macchina, Denis chiese a Mauro
Canati:
“Che ne pensi Mauro?”
Canati, aprendo il finestrino dell’auto rispose:
“Ti ho già detto che quelle sull’Opus erano solo fantasie per
vendere libri e fare cinema e che eri troppo spaventato, come
solitamente avviene, quando i media ti creano pregiudizi.
Non si scherza con loro, questo è palese.
Però sono sempre un buon e giusto difensore della Chiesa e
vogliono vederci chiaro prima che arrivi chiunque altro, se si
tratta di cose che riguardano il loro terreno.
Adesso ce ne andiamo a casa, ci diamo una sistematina e passo
a prenderti per andare a cena.
Domani si vedrà.”
I due arrivarono a Nemi e Canati accompagnò Denis a casa per
poi portarlo a cena dopo un’oretta, in uno dei soliti pochi
ristoranti che avevano frequentato in quei giorni.
Non fecero molto tardi, ma tra una chiacchierata ed un’altra ed
una passeggiata nella caratteristica cittadina romana, decisero
di andare a letto dandosi appuntamento l’indomani per
colazione al solito bar, verso le undici.

279
Era ancora abbastanza presto, le dieci e tre quarti di sera, e
nonostante le raccomandazioni di Canati, di non uscire di casa
se non per questioni di urgente necessità, Denis salì sopra e
dopo qualche minuto riscese.
Voleva prendere un po’ d’aria, dopotutto la serata si stava
facendo molto piacevole ed in quel paesino, a circa
cinquecento metri sul livello del mare, sui colli Albani ed a
pochi metri dal lago di Nemi, l’afa del pomeriggio aveva
ceduto il posto ad un bel venticello fresco.
Denis iniziò a camminare senza metà, giusto per fare due passi
e dopo un po’ si fermò su un belvedere che lasciava
intravedere il lago in mezzo alla folta vegetazione, illuminato
da una quasi luna piena di fine luglio.
Ad un tratto, tra le persone che camminavano sullo stesso
marciapiedi, scorse un viso che gli sembrava famigliare, e più
si avvicinava più lo era.
Quando i due uomini si incrociarono, Denis si fermò:
“Angelino Ferretti?
E tu che ci fai qui?”
“Denis Spadaro?
Tu semmai, che ci fai qui?
Io ci abito.”
“Non mi dire?
Ma non eri a Roma?”
“Nemi è più tranquilla e poi è Roma lo stesso.”
“Ma come stai Angelino, fatti abbracciare.”
I due si abbracciarono stringendosi la mano in modo
affettuoso.
“Sto bene Denis, vivo qui da parecchio ormai ed è inutile dirti
che il paese non mi manca affatto, tranne per qualche piccola e
rarissima nostalgia, come questa per esempio.
Incontrare il mio vecchio e più affezionato amico di classe qui,
proprio a Nemi.
Sai quanto ci tenessi a te.”
“So che sei ancor nel mondo del cinema, che ormai è la tua
vita e ti ho visto nel social in foto con moglie e figlio, sono

280
contento per te Angelino, il paese ti è sempre stato stretto e
grazie al cielo hai avuto il coraggio da subito di sfidare la sorte
ed andare via per la tua strada.”
“Denis e tu invece? Che fai qui? Sei qui per lavoro?”
“Una storia lunga, non per lavoro.
Devo risolvere alcuni problemi di famiglia.”
“Spero niente di grave?”
“No, nulla di grave tranquillo. Grazie.”
“Denis, io stavo scappando da mia moglie e mio figlio, sono
uscito solo per andare in farmacia a prendere un farmaco.
Mio figlio ha una brutta congiuntivite ed è un’ora che piange
per il disagio.
Te ne vai subito o ti trattieni?
Magari ti invito a pranzo a casa mia e ti faccio conoscere la
mia famiglia.”
“Grazie Angelino, sei sempre gentilissimo.
Domattina parto.”
“Anch’io non sono a Nemi domani mattina, devo girare a
Cinecittà e starò lì per tutto il giorno e forse anche più se avrò
complicazioni con il mio ultimo documentario.”
“Sei sempre stato il mio regista preferito, sin da ragazzi,
quando facevi esperimenti su di me e gli altri compagni di
liceo, per i tuoi cortometraggi a casa di Luigino Torrisi.”
L’amico di Denis sorrise come se fosse accaduto il giorno
prima.
“Va bene Denis, allora ti lascio il mio numero e magari ci
vediamo la prossima volta. Adesso devo proprio andare. Non
voglio lasciare mio figlio ancora con quel brutto fastidio.”
“Vai pure Angelino e dagli un bacio da parte mia, magari se
sta subito meglio, digli che mi hai incontrato e raccontagli di
quando a scuola al paese eravamo i più matti del liceo.”
“Sei sicuro che non vuoi venire adesso a dirglielo di persona?”
“Ma no, non posso disturbarvi a quest’ora, è quasi mezzanotte,
ti chiamerò appena sarò di nuovo qui.”
“Va bene Denis Spadaro, mi ha fatto veramente piacere
rivederti.”

281
“Anche a me Angelino Ferretti, a presto.”
I due vecchi compagni di banco si salutarono ed Angelino
corse a casa sua e dopo un po’ anche Denis si avviò per
tornare al suo appartamento.
“Ma guardate quanto è piccolo il mondo.”
Disse l’uomo tra sé e sé, mentre rientrava.
“Angelino Ferretti.”
Nella piccolissima Nemi, era facile incontrarsi.
Ma neanche tanto se si tratta di un vecchio amico di scuola che
non vedi da quindici anni.
Comunque a Denis aveva fatto piacere ed Angelino non era il
tipo da fare domande indiscrete o curiose, quindi non era stato
neanche un fastidio incontrarlo.
Chissà se si sarebbero più rivisti.
Denis salì a casa di Franco Brizio e dopo qualche minuto era
già a letto a dormire.

282
Capitolo nono
L’AIUTO DEGLI UOMINI DI CINECITTA’.
L’AMICO REGISTA

Domenica mattina.
Quinto giorno a Roma.
Nemi, 1 Agosto 2021.
Denis Spadaro si svegliò molto presto, ormai l’adrenalina
aveva preso il sopravvento ed alle sei e mezzo del mattino
aveva già gli occhi sbarrati.
Il sole era già sorto e la giornata si presentava splendida, come
in realtà erano state le altre quattro precedenti.
L’uomo non aveva la benché minima idea di quello che gli
sarebbe successo nelle prossime ore, anche perché non aveva
nemmeno pensato a quello che potesse essere il piano del
Cardinale De Patris e di sua Eminenza De Cirillis, che
sicuramente stavano decidendo insieme cosa fare con lui.
Decise di servirsi la colazione sul balcone dell’appartamento,
dopodiché tirare fuori il telefono dalla cassetta di piombo nel
frigorifero, per fare qualche messaggio e qualche telefonata
nel ripostiglio schermato dal segnale in uscita.
Rimase un bel po’ di tempo là dentro, così che poté leggersi
qualche notizia su quello che era successo in paese e
rispondere e tutti quelli che lo avevano cercato, per non
sembrare uno scomparso.
Intanto che fece una doccia e si sistemò la barba ormai troppo
disordinata, si erano fatte le dieci.

283
Aspettò ancora un po’ ed uscì a fare un giro per la cittadina,
per poi incontrare Canati e fare la solita colazione in sua
compagnia.
Al bar dove si incontravano sempre, si videro alle undici come
accordi.
Denis prese solo un caffè, Canati dopo aver fatto colazione
con il suo solito cornetto all’albicocca e cappuccino, propose
di andare a fare un giro a Roma per far passare il tempo, ma
non avrebbe mai perso di vista l’uomo di cui aveva la
custodia.
Dopo, avrebbero pranzato in un ristorante nei pressi della sede
dell’Opus Dei, nel rione VI Parione ed aspettato già sul posto
l’appuntamento a cui non potevano mancare e pertanto
dovevano arrivare con un anticipo rassicurante.
“Sai Denis.” Disse Canati al ragazzo pugliese:
“Il giorno del mio matrimonio, dovevo fare qualche
chilometro per arrivare dai Parioli, dove abitavo all’epoca,
fino a Nemi, dove dovevo sposarmi al Santuario del
Santissimo Crocifisso ed una volta vestitomi di punto e
puntino, partii con quello che immaginavo essere il mio tempo
comodo per essere più che puntuale.
Bene, senza essere troppo lungo, non andai a forare una ruota
della mia auto ed andai a sposarmi con un passaggio in
autostop e menomale che a quei tempi si fermavano
tranquillamente ad aiutarti.
Se avessi cambiato la gomma, conoscendola, Anna non mi
avrebbe più sposato, più che per il ritardo, per le mani zozze.
Quindi consiglio di essere sul posto, dopo pranzo faremo una
passeggiata ed arriveremo puntuali dal Cardinale De Patris
senza problemi o imprevisti.”
Denis era contento di come Mauro Canati gestiva ogni
situazione, perché cercava sempre di non essere sorpreso da
casualità impreviste e disse subito di essere d’accordo.
Tra l’altro, Canati aveva sempre quella partenza in aereo per
Bucarest, il martedì successivo, che pare non volesse proprio
rinviare ancora.

284
Tutto andò come previsto, alle tre e mezza erano già fuori dal
ristorante ed avevano un confortante anticipo di un’ora e
mezza per l’appuntamento con il Cardinale.
Alle 17.00 precise erano sotto la Sede dell’Opus Dei, in via dei
Farnesi, 91 e salirono nella stanza del De Patris che già
conoscevano.
Lui era fuori al corridoio, seduto ad una di quelle sedie per
l’attesa a leggere qualcosa.
Alzò lo sguardo, sentiti i passi dei due uomini:
“Ah bene, siete già qui.”
Guardò l’orologio e si accorse che si erano fatte comunque le
cinque.
“Tra l’altro sono le cinque appena passate e l’appuntamento
era proprio adesso.
Perfetto, non mi piace aspettare, quindi apprezzo la vostra
puntualità, andiamo ora.”
I tre si misero nella tipica auto blu, che questa volta Canati
aveva portato al posto della Spider ed il Cardinale, che scelse
di sedersi davanti accanto al guidatore, disse di andare a casa
di sua Eminenza De Cirillis a Trastevere.
Il De Cirillis era già lì sotto casa sua ad aspettarli, in jeans e
camicia grigia con mostrina bianca sul colletto ed
elegantissimi mocassini neri, con una valigetta in pelle
marrone scuro ed aveva comunque un aspetto molto casual ed
insolito per un essere Cardinale del Vaticano.
Era già sceso da casa sua, avendo avuto una telefonata dieci
minuti prima da De Patris, bisognava fare tutto rapidamente,
evitando di farsi notare inutilmente da gente indiscreta.
Mauro Canati lo vide immediatamente e lo fece salire in auto,
accanto a Denis sul sedile posteriore.
Salito a bordo, il Cardinale notò Denis con la sua solita borsa
sulle gambe e sorrise dicendo:
“Buonasera, vedo che non ti sei ancora staccato dalla tua
preziosa borsa. Mi auguro che tu non abbia un ordigno
esplosivo là dentro, anziché la biancheria intima e le camicie
pulite.”

285
“No Cardinale, niente affatto, solo qualcosa a cui sono
particolarmente legato da un punto di vista affettivo ed i miei
indumenti.”
“Certo, certo, immagino, ma lasciati prendere in giro ragazzo.”
I quattro erano insieme, adesso bisognava capire cosa avessero
deciso di fare i due Cardinali.
Prese la parola sua Eminenza De Patris.
“Io ed il Cardinale De Cirillis abbiamo parlato a lungo del da
farsi stamane in tarda mattinata, quando ci siamo incontrati per
pranzare insieme.
Crediamo che Denis abbia bisogno di farsi vedere da un
operatore dell’occulto specializzato in questo tipo di fenomeni.
Io, è inutile dirlo, sono un diplomatico del Vaticano ed anche
se ho conoscenze generiche, non ho alcuna competenza
specifica in materia.
Sua Eminenza De Cirillis è un esperto di esorcismo, che in
questo caso crediamo non occorra fare, visto che quest’uomo
non sembra assolutamente essere posseduto da nulla.
Occorre qualcuno che sappia come regredire con l’ipnosi o
altri metodi simili, che portino il nostro uomo a fare uscire da
se stesso l’entità di cui ci ha parlato in modo evidente, così che
anche noi possiamo avere un contatto con essa ed ascoltare
quello che vuole dirci e se vuole rispondere ad alcune nostre
domande, dal momento in cui finora ha parlato solo a Denis.
Abbiamo a lungo pensato a chi può aiutarci e siamo arrivati
alla conclusione che dovremmo rivolgerci ad un nostro caro
amico che è però nella Chiesa Ortodossa Romena e di cui
spesso abbiamo sentito parlare, quando si trattava di casi che
ricordano soltanto questo, perché uguali crediamo non ce ne
siano, per quello che ne sappiamo.
Domani prenderemo un aereo per Craiova ed andremo da
Padre Patrician Petrescu in Romania.
I voli sono già prenotati, credo che per voi due non ci siano
problemi.
Saremo suoi ospiti per qualche giorno e torneremo giovedì
pomeriggio a Roma.”

286
Mauro Canati aveva avuto un colpo, ma per lui c’era una bella
notizia tra le brutte, il martedì avrebbe potuto raggiungere
Bucarest, per fortuna il prete ortodosso si trovava in Romania.
“Denis?"
Disse Canati rivolgendosi all’uomo.
“Per me va bene.”
Disse Denis, guardando prima Canati e poi il Cardinale De
Patris.
“Per noi va bene allora.”
Ribadì Mauro.
“Domani il volo parte alle 13.50 da Fiumicino.
Canati se per lei non è un problema, verrà a prendermi con
Denis a mezzogiorno, poi andremo a prendere il Cardinale De
Cirillis ed andremo all’aeroporto.”
“No Eminenza, nessun problema.”
Quindi i quattro si incontrano in macchina di Canati e senza
neppure scendere si accordarono sul da farsi e si fecero
riaccompagnare ai rispettivi appartamenti.
Canati si avviò per Nemi con Denis, raccomandandolo di
avere pazienza ed avvisare a casa con una chiamata, che si
stava trattenendo in fiera, perché c’erano stati alcuni imprevisti
che l’avevano bloccato li.
“Ti raccomando Denis, telefona nel ripostiglio e dici che dove
ti trovi, il telefono non ha per nulla campo, subito lo spegni di
nuovo e lo metti nella cassetta di piombo che riporrai nel
frigorifero, ma ti prego, sta attento a non farti scoprire, ne va
della nostra sicurezza.”
“Sta pure tranquillo Mauro, riuscirò ad essere convincente.”
I due, esausti da quei giorni, tornarono subito a casa per far
passare quella serata, riposare e partire l’indomani.
Il giorno successivo, Canati passò da Denis alle nove in punto,
come aveva detto, per andare a fare colazione e partire per
Roma a prelevare De Patris e subito dopo De Cirillis, che
aveva prima un impegno, per cui si faceva passare a prendere
per ultimo e per poi andare tutti a Fiumicino dove li aspettava
l’aereo per Craiova.

287
L’aereo partì puntualissimo.
I quattro uomini arrivarono a destinazione alle quattro del
pomeriggio, che li a Craiova, per il fuso orario erano le cinque.
Ad aspettarli, un pulmino con dentro un autista che aveva la
foto del De Cirillis sul suo smartphone e subito si avvicinò
dicendo:
“Cardinale, sono Cosmin, un uomo di fiducia di Padre
Patrician Petrescu, potete venire con me, vi accompagno.”
Gli uomini salirono sul mezzo che li portò in una Chiesa
Ortodossa, cinta da una struttura che sembrava un convitto.
La Cattedrale Incoronari din Alba Iulia di Craiova, o anche
conosciuta come la Chiesa degli Arcangeli Michele e Gabriele.
Nel cortile accanto all’ingresso, li aspettava Padre Patrician,
che era un grande estimatore di Padre Giacomo.
Aveva partecipato a molti congressi in Italia e conosceva
molto bene la vostra lingua, che tra l’altro essendo neolatina
non è molto diversa dalla loro.
“Giacomo, grand’uomo, come stai?
Da quanto tempo?”
“Patrician amico mio, sto bene, sto bene.
Tu come te la passi?”
“Beh, qualche piccolo solito problema con il Patriarca per la
mia condotta, ma poi hanno bisogno di me e non mi mandano
mai via.”
“Perché dovrebbero, sei un brav’uomo ed un ottimo sacerdote,
anche se bevi birra come un camionista polacco.”
“Va bene a ognuno i suoi demeriti.
Allora non mi presenti i tuoi amici?”
“Certo sono quelli delle foto che ti ho inviato.
Il Cardinale Arturo De Patris, il signor Denis Spadaro ed il
dottor Mauro Canati, nostro accompagnatore di fiducia per la
sicurezza.”
“Onorato di conoscervi signori miei.
Venite vi mostro le vostre stanze, così che possiate rinfrescarvi
o riposare un po’, per smaltire il piccolo volo, che è stato pur

288
sempre un viaggio aereo e poi parliamo di quello per cui siete
venuti a trovare un vecchio prete inutile in Romania.”
I quattro raggiunsero le loro stanze e si diedero appuntamento
alle 19.00 nel cortile d’ingresso.
Puntuali, alle sette erano li.
Denis arrivò poco prima di Canati, ma i due Cardinali erano
già seduti ad un divano a parlare con il Prete Ortodosso.
Quando furono tutti presenti, Padre Patrician li invitò a
seguirlo in una sala congressi con volte a crociera e mattoncini
faccia vista, che sembrava essere del mille e duecento come
tutta la parte del convitto e la corte.
Si sedettero ad un tavolo in legno con un grosso computer a
capotavola, e Padre Patrician disse:
“Allora, cosa mi raccontate?”
Padre Giacomo guardò Denis e disse:
“Adesso tocca a te ragazzo, avanti racconta pure.”
“Non so da dove cominciare Padre Patrician, comunque come
ho già detto a Padre Giacomo, credevo fossi uguale a tutti gli
altri uomini e che magari nessuno aveva il coraggio di rivelare
il proprio segreto, ma in fondo ognuno era come me, poi mi
sono ricreduto, e adesso credo sinceramente di non essere
affatto uguale agli altri uomini.”
“Quale segreto ragazzo?
Di cosa parli?”
“C’è un essere dentro di me.
Dice di chiamarsi Hac Himact Toraus e di venire da Asterope.
Dice di essere di una razza chiamata Anunnaki.
Dice che vive da parecchi secoli in pianta stabile in questo
pianeta della Costellazione del Toro e che quelli della sua
razza possono vivere anche in pianeti diversi da quello madre
che è però Nibiru e che a volte possono anche sdoppiarsi in
più posti, con una coscienza che definisce alter, che gli
permetterebbe di vivere una doppia vita.
In questo modo, lui è ad Asterope, ma la sua missione è qui
sulla Terra.
Dentro di me.

289
Dice che è una missione benefica e che a differenza degli altri
della sua razza, quelli del suo gruppo vogliono liberarci da una
schiavitù subdola ma secolare a cui siamo stati assoggettati.”
“Bene, dice solo questo?”
Rispose, sorridendo vistosamente, Padre Patrician.
“No Padre, dice tantissime altre cose, ma io le ho detto quelle
più importanti per riassumerle la situazione.”
Il Padre Ortodosso guardò sorridendo Padre Giacomo e disse:
“Abbiamo bisogno di una regressione ipnotica, questi sono i
casi più complicati.
Se non viene fuori il problema, occorrerà mettere quest’uomo
in terapia da qualche buon psicologo o psicanalista.”
“Certo Padre Patrician, ne siamo consapevoli, anche se Denis,
in quel caso, vorrebbe provare a risolvere da solo,
acconsentirebbe ad ogni modo ad andare in terapia, qualora
non vi riuscisse.”
Disse Padre Giacomo, che guardava Denis ad avere conferma
da un suo cenno di acconsentimento, che puntualmente ci fu.
“Se non ci fosse bisogno dello psicanalista, la cosa sarebbe
molto più seria.”
Riprese Petrescu.
Questi esseri sono gli alieni più temuti sul pianeta e sono il
caso confondibile con la schizofrenia più diffuso negli ultimi
anni.
Al contrario, sono scambiati quasi sempre per demoni e le loro
vittime vengono sempre esposte ad esorcismi o cure
psichiatriche che nella maggior parte dei casi le uccidono.”
“Io stesso, sono riuscito a stabilire un contatto con loro solo
rare volte nella mia vita ed i soggetti non hanno trovato un
grande giovamento dalla mia interazione, anche se si sono
salvati dalla morte.
Però la mia vita mi ha insegnato a non demordere mai e che un
caso non è come un altro, pertanto non vi avrò fatto venire fino
a Craiova senza provare ad aiutarvi.
Se vorrete azzarderò una regressione, ma non ora.

290
Quest’uomo è stanco del viaggio ed io ho avuto un brutto
lunedì. Domani in primo pomeriggio andrà benissimo, ci
incontreremo nuovamente qui alle 15.00 e proveremo a capire
di cosa si tratta, dopo aver prima preparato Denis ad una
eventuale ipnosi.”
“Certo Patrician è molto saggio il tuo modo di agire, non
possiamo fare diversamente.
E’ chiaro.
Adesso andiamo a cenare, facciamo un giro all’aria aperta di
Craiova e poi ci diamo appuntamento a domani.”
Disse Padre Giacomo iniziando ad andare verso la sua stanza,
mentre faceva strada agli altri ed aggiunse che ci si sarebbe
visti tra un‘ora per uscire a fare una passeggiata per la città.
Verso le 21.00 uscirono da quella, che potremmo chiamare
una specie di piccola meravigliosa Abbazia Ortodossa,
dall’aspetto molto suggestivo, la Catedrala Incoronarii din
Alba Iulia.
Comunque Padre Patrician, per ciò che rappresentava, non
poteva essere in posto diverso da quello.
Craiova è una bella città della Romania, i quattro uomini
uscirono insieme e il prete romeno decise di accompagnarli
per la passeggiata serale.
Visitata la città, tornarono nelle loro stanze per riposare,
poiché il giorno successivo sarebbe stato molto intenso per
tutti.
Padre Patrician disse a Denis che il mattino seguente lo
avrebbero trascorso insieme, perché aveva bisogno di parlargli
e mostragli alcune cose, prima di poter sottomettere l’uomo ad
una possibile quanto complicata regressione ipnotica.
Si diedero appuntamento alle otto del mattino, solo loro due.
Denis avvisò Canati che non ebbe eccezioni, anche perché
seppe che i due non si sarebbero allontanati dalla struttura e lui
avrebbe potuto andare tranquillamente a Bucarest per svolgere
finalmente il compito che gli era stato assegnato
precedentemente ed al quale era particolarmente attento.
I Cardinali non ebbero nulla in contrario.

291
Nella Cattedrale c’era un archivio che presentava alcuni
dossier con registrazioni e filmati molto importanti per il loro
caso, i due uomini li avrebbero consultati insieme per avere
più chiara la situazione.
Martedì mattina.
Craiova.
3 Agosto, 2021.
Denis e Padre Patrician si videro alle otto in punto ed
andarono in archivio dopo aver preso solo un caffè.
I Cardinali rimasero a svolgere i loro adempimenti nelle
rispettive stanze, perché oggigiorno anche nel loro caso si
possono sbrigare molte faccende con telefoni samrtphone e
computer portatili alla mano e Canati affittò un taxi per tutto il
giorno a 1200 Lei, autista compreso naturalmente, ed andò a
Bucarest.
Mentre si metteva in taxi e dava disposizioni all’autista, notò
due uomini con una valigetta marrone, vestiti in grigio scuro e
cravatta nera, che si aggiravano intorno alla Cattedrale, ma
non ci fece caso più di tanto, poiché, tra i turisti della sera
prima, aveva notato parecchi tipi insoliti.
Intanto nell’archivio, il prete ortodosso mostrò a Denis dei
filmati dove si vedevano immagini molto poco rassicuranti.
Gli uomini o le donne che si sottoponevano a quella pratica,
avevano degli stranissimi attacchi di panico o qualcosa simile
all’epilessia e poi dopo parlavano in latino o lingue
sconosciute e con visi sconvolti e fuori dalla loro realtà,
dicevano o facevano cose assurde.
In alcuni casi, si alzavano in levitazione dalla poltrona su cui
erano sdraiati e poi si lasciavano cadere di colpo a terra,
urlando ed imprecando.
Nessuno voleva stabilire alcuna forma di dialogo con il Prete
ed a malapena lo guardavano in faccia quando si rivolgevano a
lui, quasi ignorandone la presenza.
“Padre Patrician, ma lei gli chiede delle cose?
Sa, io non capisco la lingua.”

292
“Il primo ed il secondo sono due uomini romeni, la terza è una
ragazza bulgara, di Sofia.
Si, gli ho chiesto chi fossero e da dove venissero.
Mi hanno risposto prima con parolacce ed ingiurie infamanti
che cercavano di scoraggiarmi a continuare l’esperimento,
entrando nella mia mente e rovistando nei miei segreti più
imbarazzanti, riproducendo persino le voci dei protagonisti
degli episodi a cui volevano portarmi con la memoria, quasi
sempre già morti e con i quali c’era ancora qualcosa da
chiarire o collegati a qualche doloroso avvenimento.
Dopo, mi hanno confessato di essere degli alieni, o demoni,
tanto è lo stesso, che vengono, il primo ed il secondo da
Nibiru, quindi sono della stirpe di An, la donna invece ha
mostrato di avere dentro di sé un essere che dice di
appartenere ad una dimensione diversa, non visibile dagli
umani, di Kingu, che è il nome con il quale i Sumeri
chiamavano la nostra Luna, ma è sempre un essere
appartenente alla famiglia anunnaki.
Non so se mi abbiano detto la verità, alcune volte cercano di
depistarti ed imbrogliarti, ma spesso dicono il vero anche solo
per vanità o superbia.
Pensano di essere i più forti e quasi sempre non temono che
l’interlocutore riesca a scacciarli, anzi credono di poter
conquistare il mondo, mentre stanno solo distruggendo un
semplice e povero essere umano.
Ti ho fatto vedere subito questi, perché così ci avviciniamo al
tipo di essere che dovrebbe abitare in te, da quello che mi hai
detto ieri.”
“Ma Ombra non credo si comporterebbe mai così.”
“Scusami Denis, ma chi è questa ombra?”
“E’ così che chiamo affettuosamente Hac Himact Toraus di
Asterope, Padre Patrician.”
“Ma tu vuoi dire che provi affetto per quell’essere che ti porti
dentro?”
“Si Padre, perché? Non dovrei, vero?”

293
“Se è così, forse credo sia veramente il primo caso che
manifesta un comportamento tale del posseduto. Adesso
capisco perché ti hanno portato fin qui da me in Romania.”
“Quindi è il primo caso del genere che le capita?”
“No ragazzo, volevo dire che, a mio parere, è proprio il primo
caso tra tutti che si verifica.
Solitamente sentiamo parlare di ogni genere di cosa, in questa
missione contro il maligno, che ognuno di noi religiosi con
questo tipo di talento, è portato poi ad affrontare.
Ma abbiamo una certezza, che questi esseri non si
impossessino mai di un corpo se non hanno intenzioni di
sopraffarlo e di prenderne il controllo.
Spesso lo fanno capire palesemente con le loro manifestazioni
e altre volte no, ma ormai la persona che li ospita non decide
più nulla sulla sua vita, che può ritenere ormai controllata
dall’invasore alieno.
Adesso dovrei invece dire, avevamo la certezza, perché ieri sei
arrivato tu, che invece porti una nuova teoria su questo
argomento che rivoluziona tale mondo.
Un demone che solidarizza con il suo contenitore, invece che
parassitarlo.
Sarà un caso di interesse mondiale.
Comunque oggi alle 15.00 ci consultiamo con i Cardinali e
vediamo come procedere.”
Padre Patrician registrò la conversazione con Denis, al quale
chiese accuratamente tutti i dati che riguardavano l’ospite
alieno e se li scrisse nel suo data base, poiché sarebbero serviti
per il pomeriggio.
I quattro pranzarono insieme senza Canati, che sarebbe tornato
nel tardo pomeriggio da Bucarest.
Dopo pranzo si incontrarono in cortile e decisero di andare in
una stanza che era stata progettata appositamente per
quell’uso.
Insonorizzata e con imbottiture sulle pareti e sui pavimenti,
che erano molto morbidi, ma comunque consentivano di
camminarci sopra senza perdere l’equilibrio.

294
Non mancava comunque un grande tavolo ovale con le sedie
intorno e con un grosso e suggestivo crocifisso di argento,
sopra alla poltrona in pelle marrone a capo tavola.
Accanto ad essa, sul suo lato sinistro, c’era un’altra poltrona
nera su cui si poteva stare anche sdraiati, essendo inclinabile,
con delle cinture di sicurezza, forse per evitare che la persona
che vi sedeva cadesse a terra in un momento di incoscienza.
Sul tavolo c’era un computer bianco ed una telecamera puntata
sulla poltrona nera laterale.
Gli uomini entrarono dentro dopo essersi scambiati delle
considerazioni sul da farsi e Denis fu fatto sdraiare sulla
poltrona laterale con la telecamera.
Padre Patrician, prima di iniziare la sua pratica, si rivolse a
loro, considerandoli, come in realtà erano, soprattutto Padre
Giacomo, dei buoni esperti di questa materia, occulta, come
forse la chiamereste voi umani:
“Credo che voi sappiate che esiste su questo piano
dimensionale una frequenza che libera l’Anima di ogni uomo
di questo pianeta.
Credo inoltre, che voi sappiate che in questo momento storico
purtroppo, quasi tutte le Anime non sono in stato di piena
libertà, perché deviate da un balordo sistema di inquinamento
vibrazionale che viene appositamente procurato per cercare di
annullare ogni contatto informativo ed evolutivo con la fonte
Divina, che avviene per mezzo di Anima, Spirito ed Acqua di
cui siamo composti dal punto di vista molecolare al 99%.
Nei social, le persone che solitamente vengono chiamate “New
Age” definiscono spesso con alto vibratorio o basso vibratorio,
la gente o le esperienze, che a seconda dei casi, sono molto
luminose le une, ed invece molto oscure le altre.
Questo è un modo di dire derivante da questa conoscenza,
della quale naturalmente, quasi nessuno di loro è al corrente.
La bassa vibrazione può essere, e probabilmente è, indotta in
modo vilmente artificiale, perché altrimenti, cosa triste,
l’uomo sarebbe portato contrariamente all’alta vibrazione e ad
un comportamento amorevole che lo metterebbe in armonia

295
con l’alta vibrazione per eccellenza, quella dell’Universo.
Questo credo sia un punto saliente che abbiano raggiunto un
po’ tutti coloro che hanno approfondito sufficientemente
questa delicata materia.
Scagionando così parzialmente l’uomo dalla sua completa
responsabilità nell’orribile andamento che oggi sta
interessando l’intero Pianeta Terra, pensiamo che la frequenza
che blocca l’Anima nell’esercizio della sua libera interazione
con l’essere umano e che gli ostacola un vero scambio di
esperienze, sia in realtà una bassa frequenza negativa
corrispondente al numero - 666 HZ.
Di questo numero ha parlato chiaramente, anche se a parole
sue, Giovanni l’Evangelista, nelle scritture da visionario
apocalittico del Vangelo Biblico.
Tale frequenza vibrazionale crediamo sia purtroppo procurata
da esseri non umani, ma che si servono di uomini, che stanno
per tanto ostacolando l’umanità stessa nel suo normale ciclo
evolutivo, cosa grave, ingannando Anima.
Comunque sia, aveva ragione Giovanni l’Evangelista, il
numero è questo.
Siamo praticamente invasi da questo segnale, che ci viene
lanciato subdolamente ogni volta che una pistola elettronica di
lettura passa sopra ad un codice a barre per estrarne il prezzo.
Chiunque voglia mettersi in reale contatto con la sua Anima,
deve percepire un segnale che annulli questa frequenza dalla
sua realtà, ascoltandolo, magari con l’uso di cuffie ideate
appositamente per questo tipo di operazione, come quelle che
vedete appoggiate su quel ripiano accanto alla porta d’ingresso
o meglio ancora, deve rivolgersi direttamente all’estasi che
crea il dialogo diretto con la Fonte Divina e che si procura con
la vera preghiera e la meditazione fortemente sentita.
Questa sarebbe la cosa più semplice da fare.
Utilizzare una frequenza che scracchi il blocco umano e
chiedere direttamente ad Anima cosa stia succedendo al suo
contenitore Denis e cosa egli debba fare per venirne fuori.

296
Il fatto è che ci stiamo lavorando, ma non abbiamo ancora
capito come si fa, quindi dovremo operare con un piano B.
Cercheremo di metterci in contatto diversamente con Hac Him
di Asterope, magari usando l’ipnosi e cercheremo di capire se
è andata davvero come ci ha descritto Denis.
Se non fosse vero che è un suo amico ed è qualsiasi altra cosa,
dovrà prendere in giro anche noi, come avrebbe già ben fatto
con lui.
Ho detto cose che non sono chiare?
Altrimenti possiamo parlarne per cercare di chiarire, prima di
procedere.”
Prese la parola il Cardinale De Cirillis.
“Credo che quello di cui ci hai parlato in modo chiaro e
comprensibile faccia parte di informazioni che ognuno di noi
sospettasse possibili, avendo comunque in comune un grande
interesse per lo studio di questo tipo di argomenti.
Ma la tua chiarezza è stata indiscutibile.
Penso di poter dire, anche a nome del Cardinale De Patris e di
Denis che siamo d’accordo con te sul procedere con metodi
tradizionali e lasciare purtroppo andare quelli sperimentali,
che seppure molto interessanti, sono ancora in fase di
sviluppo.”
Denis e De Patris fecero cenno che si poteva procedere.
Padre Petrescu iniziò a prepararsi per andare avanti con la
regressione ipnotica. Accese il suo personal computer e diede
uno sguardo ad alcuni programmi che aveva caricato, con
delle frequenze audio che partivano quando e se lo decidesse
lui.
Puntò bene la telecamera sull’uomo sdraiato alla poltrona e gli
fece mettere le cinture di sicurezza, per evitare spiacevoli
incidenti, che in passato erano capitati ed avevano procurato
ferite agli analizzati, che cadevano violentemente a terra dalla
poltrona stessa, senza rendersene neanche conto.
In realtà, l’ipnosi regressiva è una procedura che somiglia
molto alla psicanalisi, tranne che per il risultato finale, che è al
quanto imprevedibile.

297
Patrician fece rilassare l’uomo, spiegandogli cosa dovesse fare
per far sì che l’esperimento funzionasse.
Disse a Denis di respirare profondamente fino a portarlo
all’iperventilazione, con grossi respiri a pieni polmoni.
Gli fece ripetere la respirazione per cinque o sei volte.
Parlandogli sottovoce, gli chiese di portare questa volta la
respirazione ad un ritmo molto lento e buttare fuori l’aria con
la stessa lentezza e la bocca socchiusa, per quattro volte.
Successivamente gli chiese di respirare ancora lentamente, ma
questa volta di trattenere il respiro, lascandolo uscire a tratti e
molto lentamente.
Quando si è in iperventilazione l’ossigeno è in abbondanza nel
sangue per cui a seconda delle persone ci si sente o troppo
appesantiti o troppo leggeri.
Detto a Denis, nel silenzio di tutti e ad occhi chiusi, di tornare
a respirare normalmente, gli chiese:
“Hac Him di Asterope è così che ti chiami, vero?“
Non avevo mai parlato con un altro umano al di fuori di Denis.
In realtà lo avevo più che sentito, ma lui non sapeva che lo
sentissi e lo vedessi sin da quando aveva iniziato ad interagire
con l’uomo in cui ero ed i suoi amici.
Erano loro che non potevano né vedermi, né ascoltarmi.
Decisi di avere questo dialogo diretto.
Prestai la mia voce ed il mio strano accento asteropiano a
Denis Spadaro e dissi:
“Sono Hac Himact Toraus di Asterope, Padre Patrician, dici
bene.”
“Sono Padre Patrician Petrescu, benvenuto nella mia casa, Hac
Him. Posso chiamarti così?”
“Certo, questo è il modo in cui mi chiama l’uomo in cui sono,
quando non mi chiama Ombra.”
“Sono con dei miei amici Cardinali, appartenenti alla Chiesa
Cattolica Cristiana, possiamo farti alcune domande, Hac
Him?”
“Va bene Padre Patrician, fate pure le domande.”
Il Prete Ortodosso iniziò a chiedere per primo:

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“Ti vedo molto tranquillo, non mi hai aggredito come avviene
in molti casi come questo.
Denis dice che sei venuto in pace e la tua missione sul nostro
pianeta e benevola, è vero?”
L’uomo temporeggiò un attimo e rispose con la mia voce
riferendo quello che gli facevo dire, come se fossi io stesso a
parlare.
“Pace è una parola molto poco usata dalle mie parti, Patrician,
ma se lo dice Denis, credo di poter confermare, di lui mi fido.
Vengo in pace.”
“Cosa vuoi dall’uomo in cui sei finito?
Hai un’idea precisa di come poter interagire con lui?”
“In lui non sono finito, come dici tu, perché è stato frutto di
una scelta ben precisa.
Con Denis sto interagendo ormai da tempo ed ho idea di come
comportarmi tanto da aver conquistato la sua fiducia.
Non ho semmai alcuna idea di come compiere la missione per
cui sono sulla Terra.”
“Hai una missione qui sulla Terra?”
“Sono qui solo per questo, altrimenti me ne sarei rimasto ad
Asterope con la mia compagna ed i miei tre figli che amo
profondamente.”
“Vuoi dire che voi Anunnaki potete avere figli e riuscite a
provare sentimenti come l’amore?”
“Si, è così, anche se non tutti.
Alcuni di noi da secoli scelgono e si tramandano la bassa
vibrazione e la clonazione, preferendola all’amore e alla
procreazione.”
“Perché mai?”
Disse Padre Patrician, tristemente meravigliato.
“Perché vivono più anni, se sono in altri esseri a parassitarli
energeticamente.”
“Quanti anni?”
“Uno come me può vivere al massimo 22000 anni, ma ora che
sono in Denis per una missione comandata dal mio generale,
anche se non volessi parassitarne l’energia, non potrei, perché

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tale cosa avviene purtroppo involontariamente in modo
automatico quando ti agganci. Per questo vivrò intorno ai
33000 anni, quanto vivono i parassiti energetici.
Sto parlando di possibilità di vita cellulare, poi dipende anche
dai fenomeni esterni, non siamo mica immortali, siamo solo
difficili a morire naturalmente.
Quelli che scelgono volutamente di fare i parassiti energetici,
senza avere alcuna missione da compiere, scendono in corpi di
umani o altre specie del cosmo compatibili con questa nostra
pratica e possono vivere da un minimo di circa 33000 anni a
quanto gli pare, oppure possono ottenere lo stesso risultato
facendosi trapiantare in un clone.”
“Stai dicendo che potete portare la vostra coscienza in un altro
corpo, anche clonato, tutte le volte che volete?”
“Si, possiamo, infatti è così che riusciamo a vivere quanto ci
pare.
Alcune tribù del mio popolo a cui io stesso sono fedele, che
discendono dalle tribù del nostro generale En Ki, essere di
grande scienza ed intelletto, non sono in armonia con queste
scelte e stanno studiando un metodo che riesca a farci vivere
più a lungo senza dover parassitare altri innocenti esseri del
Cosmo o cloni, attraverso quella nuova scienza che voi credo
sulla Terra chiamiate, Fisica Informazionale.
Su questo pianeta avevate la Fisica Classica, poi dopo avete
sviluppato la Fisica Relativa, ultimamente la Fisica Quantica
ed ora state iniziando a parlare della Fisica Informazionale,
che invece noi conosciamo da migliaia di anni.
I reggenti, cioè i nostri leader, hanno bisogno di vivere, non
possono lasciarci senza la loro guida, altrimenti passerebbero
finalmente ad altra vita.
Il nostro generale prova rispetto per gli altri esseri del creato e
non farebbe mai il parassita energetico, ma non può
abbandonare il suo popolo a suo fratello En Lil, che è un
essere senza scrupoli e molto crudele che porterebbe la nostra
razza ad essere ricordata da tutti nel Cosmo intero, per essere

300
la più involuta nello Spirito, seppure tecnologicamente una
delle più avanzate.”
I tre si guardarono in faccia, mentre Denis era sdraiato a
parlargli per conto mio e si scambiarono alcuni pareri.
Suggerirono a Padre Patrician di continuare a parlare lui
stesso, ma forse gli riferirono alcune cose da chiedere a quello
che sembrava essere realmente un anunnaki di Asterope.
Il Prete Ortodosso continuò:
“Qual è la tua missione sulla Terra?”
“Liberare i nostri popoli.”
“Come intendi farlo?”
“Non so.
Noi di Asterope non abbiamo il vostro modo di procedere
nelle cose.
Voi umani elaborate continuamente dati e sviluppate certezze
che proiettate continuamente sulla vostra esistenza reale.
La vostra mente si tranquillizza quando avete un piano o,
come la chiamereste voi, una strategia per procedere.
Noi no.
Sappiamo che la soluzione può arrivare in tempo reale dalla
fonte e può essere nostra, ma non alla nostra portata.
Sembra contraddittorio è vero.
Intendo dire che la nostra conoscenza può non essere alla
nostra portata intellettiva, ma essere a nostra disposizione
ugualmente, perché alla nostra portata sensitiva.
Sono chiaro?”
“Non molto Hac Him, è un po’ difficile per me capire bene.
Noi esseri umani credo che non abbiamo tale risorsa.
Somiglia vagamente a quello che noi chiamiamo intuito.
Può essere?”
Denis sorrise per me.
“Si, per non complicare diciamo così, è una strana forma di
intuito.
Però ti faccio un nome per farti capire che è sbagliato dire che
voi esseri umani non avete tale risorsa, sarebbe più corretto
dire che l’avete quasi sempre ignorata o addirittura derisa.

301
Nikola Tesla.
Credo di non dover aggiungere altro.”
“Certo Hac Him, ed io credo che abbiamo capito tutti.
Tesla parlò al Commodoro J.P. Morgan Senior di idee che gli
venivano durante la notte, senza che nemmeno lui sapesse
come.
Il Commodoro prima lo scambiò per un idiota, poi lo fece
appositamente scambiare per tale, quando scoprì che non lo
era affatto.
E’ chiaro, adesso è chiarissimo.”
Sua Eminenza De Cirillis si avvicinò all’orecchio di Padre
Patrician e sussurrò qualcosa.
Dopo qualche secondo il Prete romeno disse:
“Vorrei chiederti perché hai scelto proprio Denis per la tua
missione e se l’hai scelto tu.”
“Certo.
Non l’ho scelto io.
Denis è il risultato di una ricerca di secoli.
Abbiamo già fatto diversi esperimenti.
Noi di Asterope seguiamo il nostro Generale En Ki, che non è
un guerriero, come ormai sono molti tra quelli del nostro
popolo, ma uno scienziato, per l’esattezza è molto simile a
quello che voi chiamereste Biologo e Fisico Nucleare.
Per tanto, facciamo più che altro esperimenti per migliorare la
convivenza tra razze di pianeti diversi e non abbiamo alcuna
voglia di violare i costrutti del nostro Universo che inducono
ad avere rispetto per tutti gli esseri viventi, soprattutto quelli a
livelli diversi di evoluzione.
Cercavamo un puro e diretto discendente della nostra razza,
ibridato con voi, all’epoca della vostra creazione, ma non
inquinato dalle strutture mentali che di solito tali umani hanno.
Cerco di essere più chiaro.
Prendi una persona dalla gente comune e falla vivere tra un
ceto sociale completamente diverso dal suo, tra Principi,
Duchi, Conti.

302
Verrà fuori un’anomalia che non farà riconoscere più quella
persona, né in una, né nell’altra tipologia di ceto.
Sarà, come direste voi umani, spersonalizzata.
A noi serviva giusto il contrario.
Un uomo discendente da una famiglia nobile, con una genetica
più diretta e forte con noi, che per forza di cose non avesse
potuto vivere in tale contesto e quindi privo di quelle strutture
mentali che quasi sempre non aprono verso gli altri.
In più, era indispensabile che questo umano ci cercasse e fosse
uno che voi in gergo chiamate, risvegliato o con un’anima
antica, altrimenti non avrebbe avuto alcun interesse a stabilire
un contatto così ravvicinato ed a capire di più, magari ora
sarebbe solo spaventato e sotto psicanalisi medica.
Quindi dietro me e la mia missione, c’è uno staff di scienziati
anunnaki e c’è lo stesso Generale reggente En Ki ed il
Generale Michele.”
Intanto si erano fatte le 17.00 e Canati era tornato col suo taxi
da Bucarest che lo accompagnò alla Catedrala Incoronarii.
Per abitudine, ed un po’ per fissazione da vecchio agente
segreto, si fece lasciare a duecento metri da lì, pagò i suoi
1200 Lei al tassista a cui diede anche 100 Lei in più per il
buon servizio reso e si recò a piedi verso l’ingresso.
A pochi metri da lì, vide di sfuggita due uomini vestiti in
giacca e cravatta con valigetta nera, entrare in un furgone blu e
per giunta dalle porte del retro.
“Porca vacca, pensò Canati, e adesso chi sono quelli!
Non è che ci hanno trovati?”
Entrò dentro alla struttura ortodossa, e corso in camera sua,
cercò nell’armadio, dove trovò degli abiti da lavoro ancora
sporchi, che nessuno aveva avuto modo di togliere.
Si spogliò velocemente e li indossò, sporcandosi il viso con
una matita che sfregò tra le mani e che aveva trovato tra le sue
cose.
Uscì fuori con una bottiglia di amaro in mano, presa dalla
dispensa della cucina e si mise a pochi passi dal furgone,

303
sdraiato a terra e fingendo di essere un barbone senza tetto e
per giunta ubriaco.
Dopo qualche minuto, ecco le porte aprirsi ancora.
Canati si alzo lentamente e barcollando fece finta di chiedere
l’elemosina ad uno dei due uomini, che lasciò per un attimo la
porta del retro del furgone aperta per dargli un po’ di soldi.
Canati a testa bassa, con un cappello che quasi non faceva
scorgere nemmeno i suoi occhi, ringraziò quell’uomo, che uscì
rapidamente e chiuse lo sportello.
Intanto però Mauro Canati, vecchia volpe, aveva visto tutto
quello che c’era dentro.
Continuando a barcollare si allontanò lentamente senza destare
sospetti ed entrò ancora nel complesso della Cattedrale.
Immediatamente si recò nella stanza dov’erano tutti con Padre
Patrician.
Bussò solo una volta ed entrò, senza permesso.
Al che sua Eminenza De Cirillis:
“Canati?
Ma che fai vestito così?”
Canati, vista la situazione si rivolse agli uomini parlando
sottovoce, ma comunque molto agitato:
“Eminenze, Padre Patrician, chiudete subito l’esperimento,
dobbiamo andare, la nostra visita alla Cattedrale finisce qui.
Andate a prendere la vostra roba, io chiamo il taxi che mi ha
appena lasciato, sperando che possa ritornare di corsa.”
“Ma si può sapere che cosa sta succedendo?”
Disse De Patris, rivolgendosi a Canati.
“Sta succedendo che là fuori, vicino all’angolo della strada,
accanto al cancello verde, c’è un furgone con tre uomini che
hanno dentro un intero arsenale per le intercettazioni
ambientali e quattro carabine ad alta precisione Kekki con
cannocchiale, che usate bene possono colpire un uomo anche a
trecento metri.
E’ sufficiente per andarcene?”
“Madre Santa!”
Imprecò De Partis.

304
Padre Patrician, chiuda subito l’esperimento con Denis, noi
andiamo a prendere la roba.
Petrescu si rivolse a Denis:
“Hac Him, sei riuscito a capire cosa sta succedendo?”
“Certo Patrician che ho capito.
Sveglia subito Denis, io andrò via immediatamente da questo
piano dimensionale senza che neppure se ne accorga.
Sei un bravo prete, ma sai bene che questi bruschi risvegli non
vanno affatto bene per voi esseri umani.
A presto, Padre Patrician.”
“Lo so Hac Him, ma non posso fare altrimenti, devo fare in
fretta, siamo tutti in serio pericolo di vita.
Sei un bravo alieno, a presto Hac Him.”
Petrescu, prese la mano di Denis ed iniziò a dire sottovoce:
“Mi senti?
Se mi senti respira profondamente e getta fuori l’aria
velocemente.
Ripeti la cosa con la stessa velocità.”
Denis dopo quattro tentativi apri gli occhi.
“Ragazzo, mi vedi?”
Il Prete con una mano passava davanti agli occhi dell’uomo
sdraiato.
Denis subito rispose:
“Padre Patrician, la vedo stia tranquillo.”
“Puoi muoverti?”
“Posso muovermi, certo.”
Denis gesticolò con una mano verso lui.
“Però mi tolga queste cinture, perché altrimenti non servirà a
nulla che mi possa muovere.”
Il Prete lo liberò dalla poltrona e gli spiegò che dovevano
correre in camera a prendere la roba ed andare subito via dalla
Cattedrale e che i Cardinali lo stavano già facendo.
Svolsero tutto con molta fretta.
Intanto Canati aveva fatto arrivare il taxi dal retro del cortile e
l’autista aveva subito capito come arrivarci perché conosceva
molto bene quella Cattedrale.

305
Inoltre aveva già subodorato una buonissima ricompensa
avendo avuto modo di constatare la generosità dell’uomo
durante la corsa appena terminata.
Tutti pronti, i cinque uomini salirono sul taxi.
Il giovane autista prima disse di no, come se non avesse mai
fatto una cosa simile in vita sua, andare in sei.
Poi appena iniziò a protestare, Canati gli mise duecento Lei
nella mano destra e tornò in silenzio come se fossero stati solo
in due.
In auto Padre Patrician disse agli uomini che li avrebbe
accompagnati in una chiesetta di campagna della
Congregazione, in un posto insospettabile ed irraggiungibile.
Lui sarebbe andato da un suo confratello di un’altra Chiesa e
dopo qualche giorno sarebbe tornato alla normalità.
Il Giovedì li avrebbe fatti prelevare ed accompagnare
all’aeroporto per tornare a Roma.
Gli uomini giunti in campagna, furono accolti da una signora
di circa settant’anni, ma che ne dimostrava novanta e che
aveva anche i baffi.
Padre Patrician le parlò subito, spiegandole rapidamente la
situazione e la signora sorrise immediatamente agli uomini e
gli fece cenno di entrare.
Capiva un po’d’italiano.
In questi casi i particolari non contano.
Nella casa c’erano due stanze per gli ospiti con quattro letti.
I due Cardinali si appoggiarono in una stanza e gli altri due
uomini nell’altra.
La signora pur avendo un aspetto non proprio giovanile, si
muoveva con molta praticità ed era parecchio sveglia ed attiva.
Le donne di campagna romene sono molto forti e generose.
Eléna, così si chiamava.
Preparò una cena rapidamente, si erano fatte le otto e mezza.
Tutto era basato su verdure cotte e carni molto speziate.
A tavola ebbero finalmente modo di prendere fiato.
Canati chiese:
“Cardinali, ma come è andato l’esperimento con Denis?”

306
Rispose De Cirillis:
“Non abbiamo avuto modo di approfondire.
Hai visto come è andata.
Ma avevamo già parlato con Hac Him di Asterope, l’essere
che è in Denis, per quasi un’ora.
Quindi abbiamo avuto modo di farci un’idea.”
“E se posso, che idea sarebbe?”
De Cirillis rispose, lasciando trasparire che si erano già
confrontati in camera, prima di venire a tavola, perché guardò
De Patris ed annuendo continuò:
“L’idea è che ci sembra credibile.
Molto credibile.
Anche se non possiamo esserne certi, perché occorrerebbero
altre sedute per provarlo, ma a questo punto abbiamo un altro
problema più imminente da risolvere.
Da chi stiamo scappando?”
Al che Canati fece segno con la testa come per dire di non
sapere, ma De Patris al contrario, sembrava avere un’idea di
quello che era accaduto.
“Alice.
La mia segretaria, è da me da soli dodici giorni.
Non mi ha mai convinto, sin dal primo giorno.
Ma era un mese che cercavo una nuova collaboratrice ed ho
accettato di prendere lei che avevo intenzione, persino presto
di sostituire.
E pensare che l’ho fatta anche uscire quando abbiamo parlato.
Agnese è stata sempre presente quando parlavo con i miei
ospiti, si fosse trattato anche di sua Santità.
Ma purtroppo, è mancata il luglio scorso.
Deve aver avvisato qualcuno dell’Opus della mia conoscenza
precedente nei confronti di Denis Spadaro, possibile, per
mezzo della mia amicizia verso l’Alto Prelato Abaclater e che
non avrei agito come Prelato, ma come amico dell’uomo.
L’Opus potrebbe averlo visto come un tradimento e lei si è
assicurata il posto a vita con il prossimo Alto Consigliere della
Praelatura Sanctae Crucis et Operis Dei, che dopo questa

307
vicenda, dovrebbe prendere il mio posto e che a questo punto,
credo sia lo stesso che me l’ha mandata.
Lo so, sembra un film giallo, invece è il Vaticano.
State certi è andata così.
Posso sistemare ogni cosa.”
“Ma dovremmo prima tornare a Roma!”
Aggiunse Canati con aria ironica, ma sempre col suo solito
sorrisino.
Gli uomini passarono due notti in quel posto e poi alle 13.00 in
punto di Giovedì 5 Agosto, ecco Cosmin arrivare.
Era l’uomo che li aveva accompagnati all’andata alla Chiesa di
San Michele e Gabriele, ma invece che con una Ford blu,
questa volta arrivava con una Dacia grigio chiaro.
Non era molto ingenuo a quanto pare, visto che potevano
essere stati seguiti già dall’aeroporto ed in questi giorni
potevano averlo sorvegliato.
Gli uomini arrivati puntuali e senza problemi all’aeroporto di
Craiova, erano vestiti più da Romeni che da Italiani.
Canati obbligò i Cardinali a vestirsi con abiti borghesi,
evitando persino il collarino bianco alla camicia.
De Patris fu quello a cui non andava proprio bene quella
decisione, ma all’uomo dei Servizi Segreti non interessava un
bel nulla.
In questo momento, forse anche lui rischiava il posto, e magari
addirittura la vita.
Insistette che si facesse come disponeva. Lui era la sicurezza.
Sani e salvi, presero il loro aereo per Roma alle 15.45.
Giunti a Roma, Canati aveva inviato, appena scesi dall’aereo,
un sms ad un suo amico per venirli a prendere con un’auto
diversa da quella sua, che sicuramente, se era stata trovata, era
sorvegliata.
Arrivò un Audi nera a prenderli e gli uomini si infilarono
rapidamente in auto, quasi come se scappassero via.
Dopo dieci minuti, Alberto, l’amico di Mauro Canati, che era
alla guida e non aveva parlato per tutto il tempo, appena
trascorso in auto, disse:

308
“Abbiamo una Chrysler grigio scuro dietro di noi, che ci segue
quasi da quando siamo partiti.
Provo a seminarla, ma voi reggetevi e soprattutto fidatevi.”
L’autista schiacciò sul pedale dell’acceleratore e si mise sulla
corsia di sorpasso, nonostante le auto di fronte in panico, tra
cui anche una della Polizia Municipale di Roma.
Iniziò a girare per strade ed incroci, facendo fumare le gomme
e suonando il clacson all’impazzata per farsi strada, passando
anche con due ruote sui marciapiedi, ma la Chrysler non
mollava.
L’inseguimento nel traffico di Roma durava già da più di
mezz’ora e la faccia di De Patris iniziò a diventare bluastra.
“Tutto bene sua Eminenza?”
Disse Canati.
“No Canati, tutto male!”
Rispose sorridendo il Cardinale, che non era di certo un uomo
debole.
“Avanti Alberto, spinga un altro po’ sul pedale e ci porti
lontano da questi sciacalli, ho bisogno di una stanza e di un
telefono e poi vediamo chi deve scappare.”
De Patris non era proprio uno stinco di santo.
De Cirllis taceva, ma anche lui aveva una mezza idea di cosa
fare.
Sua Santità lo conosceva molto bene, non gli avrebbe voltato
le spalle.
Adesso però, dovevano solo uscire da quella brutta situazione.
Stavano avendo a che fare con gente che quando riceve un
ordine non può usare la coscienza e spesso nemmeno
l’intelligenza.
Deve solo eseguire.
“Li abbiamo quasi seminati Eminenza, se svolto al prossimo
incrocio e non li vedo più dietro di noi, è fatta.
Bene, seminati.”
Alberto era riuscito a seminare la Chrysler e gli uomini che
c’erano dentro, che visto l’accanimento nell’inseguirli, non
avevano certo le migliori intenzioni.

309
De Cirillis disse a Canati:
“Mauro, mi dica dove siamo.”
“Cinecittà sua Eminenza.”
Al che Alberto aggiunse:
“Ed io mi fermo e voi ci dovete anche entrare.
“Perché?”
Rispose stranito, sua Eminenza De Cirillis.
“Perché da lontano vedo di nuovo la Chrysler.
Spegnete gli smartphone e lasciatemeli sui sedili, ve li porto
più tardi.”
L’uomo fece scendere i quattro accanto all’ingresso di
Cinecittà, raccomandandosi di uscire immediatamente,
allontanandosi dalla macchina, senza prendere neanche i
bagagli che glieli avrebbe fatti recapitare lui stesso insieme ai
telefoni.
Gli uomini così fecero, tranne Denis, che riuscì a portare la sua
borsa con sé, perché come al solito l’aveva posta sulle gambe
per non separarsene mai.
In pochi secondi erano dentro a Cinecittà.
Canati si assicuro che la Chrysler passasse sfrecciando e
continuando ad inseguire Alberto che però proseguiva da solo
la corsa.
Mauro si rivolse ai tre:
“Qualcuno di voi ha conoscenze a Cinecittà?
Adesso che siamo entrati, abbiamo bisogno anche di un
pretesto per rimanerci un po’ qua dentro, almeno fin quando
non saremo al sicuro pure là fuori.”
A Denis venne in mente Angelino.
“Veramente io ce l’ho un amico che potrebbe essere qua
dentro.
E’ un mio vecchio compagno di classe del Liceo, che ora fa il
regista e che forse proprio in questi giorni sta girando un film
documentario qui a Cinecittà.
Forse lo conosci anche tu Mauro, Angelino Ferretti, vive a
Nemi.”
“Angelino Ferretti?

310
Certo che lo conosco, ma non sapevo si occupasse di cinema.
Ci sto così poco a Nemi io.
So comunque che è un bravo ragazzo.”
Denis si avvicinò ad uno sportello con dentro un centralinista e
chiese di Angelino Ferretti.
“Ferretti?
Ferretti sta a girà adesso.
Non so, se lo posso chiamà.
Quello è uno che s’incazza.”
“Non si preoccupi, possiamo aspettare.
Lo chiami pure quando avrà finito.”
“Eh, ma ci vuole un po’ però.”
“Aspetteremo, va bene.”
“Accomodatevi pure in sala d’attesa, la terza porta a sinistra
lungo quel corridoio di fronte ai bagni.”
Gli uomini si recarono in sala d’attesa.
Mauro Canati disse a Denis di inventarsi una buona scusa per
il suo amico Ferretti, per recuperare almeno un paio d’ore e
dare il tempo ad Alberto di tornare a prenderli e portargli
telefoni e valige.
Dopo circa un’ora arrivò Angelino Ferretti.
“Denis, ci rivediamo!?
Che ci fai qui?”
“Angelino Ferretti.
Sua Eminenza Giacomo De Cirillis.
Sua Eminenza Arturo De Patris.
Ed il dottor Mauro Canati.”
“Molto lieto, Angelino Ferretti.
Ma io il Cardinale De Cirillis lo conosco.
Lui è Padre Giacomo.
Al paese lo conoscevamo un po’ tutti, e poi l’ho visto alcune
volte in televisione ed ho capito che fosse proprio lui.”
“Certo Angelino, non ti sbagli, sono proprio io.
E poi, anch’io ho un vago ricordo di te e ti ho rivisto in
qualche video online o in televisione.”
“Bene Angelino, devi darci una mano adesso.”

311
Riprese Denis, sorridendo e dandogli una pacca su una spalla.
“Certo, scherzate! Ditemi pure.”
“Siamo stati ad una conferenza di Padre Giacomo, non molto
lontano da qui e Padre Giacomo che mi sono fermato a
salutare, ha voluto offrirsi di darmi un passaggio al mio
albergo.
Con noi naturalmente, c’erano il Cardinale De Patris ed il
dottor Canati.
Mentre andavamo, l’autista ha avuto un piccolo incidente con
un furgone, il cui proprietario è sceso ed ha iniziato ad
aggredire un po’ tutti quanti, forse perché infuriato per
l’accaduto ed irritato dal nostro autista che ha perso la calma e
diceva di avere piena ragione, urlando più di lui.
Fatto è, che noi siamo dovuti andare via a piedi, con questo
che ci seguiva ancora per continuare il litigio.
E siamo entrati qui per trovare riparo.”
“Ma perché non avete chiamato la Polizia?”
“I Cardinali non vogliono creare situazioni di tensione e poi
l’autista, pentito, ha detto che avrebbe risolto la questione
evitando di dare troppo all’occhio e di fare troppa pubblicità
all’accaduto, più di quella che era stata già fatta, ed in poco
tempo ci sarebbe venuto a prendere qui, perché tra l’altro le
nostre borse sono rimaste nel cofano della sua auto.”
“Va bene, aspetterò con voi l’autista e me ne andrò quando
sarà arrivato a prendervi.”
Intanto gli uomini presero a parlare del più e del meno e di
certo non mancavano di argomenti.
Intorno alle venti, ecco arrivare Alberto, con telefoni e borse
alla mano.
Gli uomini gli andarono incontro e gli chiesero dove fosse
l’auto e come mai era a piedi, avendogli visto tutto in mano.
“Signori, disse Alberto, ho la vaga impressione che adesso di
qui non possiamo muoverci.”
“Le Chrysler dopo un po’ sono diventate due ed io sono
riuscito a malapena a trovare un posto in una stradina qui

312
vicino ed a caricarmi le valige, fortunatamente molto pratiche,
mettermi i telefoni in tasca e correre qui da voi.
Tutto questo tempo non ho fatto altro che cercare di seminarli.
Ma sono qua fuori, da qualche parte.”
Angelino, ascoltato l’uomo, stupefatto disse:
“Tutto questo per un piccolo tamponamento?”
Denis a questo punto, prese l’amico e lo portò in disparte.
“Angelino, scusami tanto, non potevo dirti la verità.
Non c’è stato nessun incidente.
Si tratta di una questione molto delicata.
In realtà siamo inseguiti da qualcuno che non sappiamo chi sia
e non abbiamo capito cosa voglia, tranne che ha delle
cattivissime intenzioni.
Abbiamo bisogno di passare la notte qui credo e domani
andremo via con Alberto o con qualcun altro.
Ora i Cardinali ed il dottor Canati hanno i telefoni cellulari e
potranno risolvere la cosa con più calma.”
Il Cardinale De Cirillis e Denis, tra l’altro, avevano il loro
telefono cellulare con linea su una frequenza non
rintracciabile, nelle loro borse ed avrebbero usato quelli.
Angelino capì la situazione abbastanza grave e disse che
spesso, quando girava a Cinecittà, passava la notte in uno degli
studi che era attrezzato con letti e divani di scena e potevano
arrangiarsi su quelli.
Sarebbe rimasto un altro po’ con loro, avrebbe parlato lui con
l’usciere ed il centralinista per dire di stare tranquilli e
l’indomani mattina avrebbero potuto uscire dalla porta
d’emergenza nel retro, che si apriva naturalmente senza chiavi.
Angelino era ben voluto e spiegata sommariamente la cosa
all’usciere ed al centralinista, trovò subito collaborazione.
Alle 21.00 andò via salutando tutti e ricevendo un abbraccio
particolare per il prezioso aiuto da Denis e Padre Giacomo,
suoi compaesani.
Gli uomini di Cinecittà, prima di andare via, domandarono se
fosse tutto a posto o se avessero bisogno di qualcosa, gli

313
portarono delle merendine, biscotti, acqua ed un po’ di
cioccolato al latte ed andarono via anche loro.
Quando furono ognuno sul suo divano o poltrona che fosse,
nella scena di quella che poteva essere una soap opera
probabilmente, Denis aprì la sua borsa, prese il telefono
cellulare che gli aveva dato Padre Giacomo ed alcuni
indumenti, tirò fuori tre libri uguali e rivolgendosi al De
Cirillis, disse:
“Tenga Padre Giacomo, l’avevo già scritto il libro, non era
solo un’idea.
Ero qui, anche perché lei prima o poi gli desse uno sguardo.
Poi è successo tutto questo e invece l’ho sempre tenuto in
borsa, per tutto il tempo.”
“Ah! Ecco cosa avevi in quella benedetta borsa!
Non ci sarà mica scritto dove è nascosto il Santo Graal?”
“No Padre, quello non c’è scritto.
Ma dovrebbe leggere almeno gli ultimi capitoli.”
“Ma quando?”
Adesso?”
“Adesso, tanto non avremo nulla da fare fino a domattina.
Anche lei Cardinale De Patris e Mauro Canati, dovreste, ci
sono una copia per ognuno di voi.
“Va bene Denis, ma cosa ci sarà scritto di così importante?”
Ribadì De Patris.
“Vi prego, fatelo e poi capirete che era veramente importante.”
Canati si era già precipitato sul tavolo a mangiare qualcosa, tra
merendine e cioccolato a latte, e completamente preso dal suo
portatile, non aveva veramente alcuna intenzione di leggere,
quella notte.
I due Cardinali invece, dopo aver mangiato qualcosa anche
loro, scambiata qualche parola sulla situazione verificatasi e su
come avrebbero potuto agire, si sedettero sui loro rispettivi
divani di scena e si misero gli occhiali per iniziare la lettura,
che l’uomo aveva tanto insistito facessero.

314
La mattina, alle 7.00 in punto arrivò Alberto, che nel frattempo
aveva passato la notte sul tetto a vedere se tutto fosse
tranquillo.
“Possiamo andare disse l’uomo.”
Erano già tutti svegli, ma De Cirillis, era ancora a leggere quel
libro, che sulla copertina aveva come titolo, scritto con una
strana e suggestiva grafica, An.
Denis disse ad un tratto rivolgendosi a Canati:
“Abbiamo un altro grosso problema Mauro.
Devo tornare immediatamente a Craiova.
Prenderò il primo aereo che parte da Fiumicino.
Dovete accompagnarmi.”
“Tu sei matto ragazzo, vuoi essere ucciso, io non ti
accompagno da nessuna parte, non sarò io a permettere che
accada.
Adesso andiamo in Vaticano con i Cardinali e chiariamo
questa assurda faccenda tutti insieme e se occorrerà
chiederemo udienza anche al Pontefice.”
I due Cardinali intanto, si stavano guardando in faccia
facendosi degli strani segni d’intesa, come se stessero
captando qualcosa che invece sfuggiva completamente a
Canati.
Parlò sua Eminenza De Patris.
“Canati, temo invece che dovrete fare quello che vi dice
Denis.”
“Cardinale ma è una follia!
L’aeroporto di Roma e quello di Craiova saranno pieni di
quegli uomini.
Ci faranno fuori tutti.
Denis non avrebbe speranza, lo prenderebbero e ci farebbero
quello che vogliono con lui.
Ho visto la loro determinazione nell’inseguirci, sono qui con
le più brutte delle intenzioni.
Si fidi di me, la prego, conosco bene questo genere di cose.
Cardinale De Cirillis, dica anche lei qualcosa.”

315
“Mauro, purtroppo dico che sono d’accordo con il Cardinale
De Patris e con Denis.
Portalo all’aeroporto di Fiumicino e mettilo sull’aereo per
Craiova.”
“Non è una cosa semplice e non so nemmeno se il mio amico è
disponibile a rischiare ancora per noi.”
Alberto, anche lui un agente segreto dello IOR, che era
rimasto li a guardare, aspettando di andare via, ma senza
capire molto di quello di cui gli uomini stessero parlando,
pensando anche alla sua carriera, disse:
“Mauro, faccio quello che mi chiedono i Cardinali.”
Canati era proprio stizzito e non riusciva ad accettare la
decisione di nessuno di loro.
“Stanotte non ha letto il libro?
Vero Canati?”
Disse il Cardinale De Cirillis, rivolgendosi all’agente segreto.
“No, Cardinale non l’ho letto, ero troppo stanco e poi non ho
tutta questa passione per lettura.”
“Ed ha fatto male Mauro, avrebbe dovuto invece, almeno gli
ultimi capitoli.
Se l’avesse fatto, non avrebbe desistito così tanto dal voler
accompagnare Denis dove le sta dicendo.”
“Ma Cardinale, con tutto il grande rispetto che ho per lei, è un
suicidio ritornare in quel posto, le sue disposizioni erano
proteggere il ragazzo sopra ogni cosa, così lasceremo che lo
ammazzino.”
Canati lasciò cadere il libro che era finito chissà come nelle
sue mani, perché proprio non riusciva a capire e disse a Denis:
“Questa storia è diventata assolutamente incredibile, ti
accompagno e mi leggo gli ultimi capitoli per capire se ho
fatto bene a darvi ascolto tutti, anche se in questo momento mi
sembrate, rispetto parlando, completamente fuori di testa.
Libro a parte.”
A questo punto, intervenne sua Eminenza De Patris:
“Canati mi creda, non può essere a parte il libro, ci ascolti, lo
raccolga e vada a pagina 318.”

316
In quel momento, Mauro Canati pensò di tutto, che gli uomini
fossero in preda ad una crisi di panico collettiva che li stava
facendo sragionare o che fossero stati drogati con quel cibo
portato dagli uomini che lavoravano a Cinecittà.
Ma non poteva essere, perché erano stati così gentili ad aiutarli
e poi l’aveva mangiato anche lui stesso quel cibo e non si
sentiva affatto sotto l’effetto di droghe.
L’uomo avvilito ed incredulo per quello che gli stava
accadendo, si chinò per riprendere il libro appena caduto dalle
sue mani ed andò sconcertato, come gli era stato detto, a
pagina 318.

317
Capitolo decimo
L’INCONTRO RAVVICINATO CON AN

Venerdì mattina.
6 Agosto 2021.
Decimo giorno.
Roma.
Cinecittà.
Pagina 318.
Denis Spadaro:
“In questo momento vorrò andare nuovamente dal Padre
Ortodosso Patrician Petrescu a Craiova, perché da troppe ore
non sento più parlare Hac Him, per la prima volta in vita mia.
Canati non sarà d’accordo, conoscendolo non avrà letto il libro
durante la notte, poiché poco incline alla lettura, non gli avrà
dato alcuna importanza e tra l’altro non si fiderà neanche tanto
delle parole del Cardinale De Cirillis e del Cardinale De Patris,
che avendolo invece letto, almeno nei punti più salienti, per gli
eventi che si erano e si sarebbero verificati, lo convinceranno a
leggere da pagina 318.
Canati finalmente capirà e mi lascerà continuare questa
allucinante avventura, con il permesso dei due Cardinali, ma
prima di aprire il libro e leggerlo, con un gesto esasperato,
lasciandolo cadere dalle sue mani, dirà:
“Questa storia è diventata assolutamente incredibile, ti
accompagno e mi leggo gli ultimi capitoli per capire se ho

318
fatto bene a darvi ascolto tutti, anche se in questo momento mi
sembrate, rispetto parlando, completamente fuori di testa.
Libro a parte.”
L’agente segreto dello IOR, lesse per un paio di minuti,
guardò in faccia i due Cardinali, con uno sguardo smarrito ed
incredulo e con voce quasi sussurrante lesse le ultime righe
facendosi sentire anche da loro e aggiunse:
“C’è scritto quello che è appena accaduto.”
De Patris rispose:
“E non solo Canati.
Sbrighiamoci, andiamo via.”
Alberto e Mauro, che ormai non aveva più ombra di dubbio
sul da farsi, si misero immediatamente in auto con i tre uomini
ed accompagnarono i Cardinali in Vaticano.
In macchina decisero cosa fare nelle prossime ore.
De Patris e De Cirrillis pregarono Denis di seguire tutto quello
che c’era scritto nel suo libro e che comunque loro sarebbero
stati d’accordo.
Canati disse che se erano d’accordo i Cardinali, per lui sarebbe
stata la stessa cosa, senza o dopo aver letto quelle pagine.
A lui, uomo criptico, gli era bastato dare una lettura alle sole
pagina 318 e parte di pagina 319.
Quando gli uomini di Chiesa scesero dall’abitacolo, Canati,
che da adesso non avrebbe avuto nemmeno un minuto per dare
uno sguardo a quello scritto, aggiunse senza sentirsene
minimamente vincolato né influenzato:
“Cavolo Denis, lette quelle poche righe e da ciò che sto
intuendo, immagino sapessi tutto di me, ed in questi giorni mi
hai lasciato parlare per tutto quel tempo.
Non sei un uomo, sei un maledetto attore.
Cosa vuoi che ti dica adesso?
E pensare che mi ci sono anche affezionato a te.
Va bene ti riporto in quell’inferno.
Ma almeno potrò venire anch’io?”
Disse l’uomo a dir poco allibito.

319
“Scusami Mauro, ti chiedo perdono, ma nemmeno io sapevo
che sarebbe veramente successo tutto questo e mentre
accadeva non credevo ai miei occhi, che si stesse verificando
quasi completamente quello che c’era scritto nel mio libro.
Si Mauro, tu mi accompagnerai ovunque andremo, ma solo se
mi consegnerai il libro e farai sempre come ti dirò.
Reputala una misura di sicurezza.
Non so cosa accadrebbe se cambiassero gli eventi ed io,
maledetto attore, come mi hai appena definito, sono abituato
ad attenermi al copione, mentre tu, non sembri avere per nulla
tale attitudine.
E poi, non so cosa faresti, conoscendoti.”
Mauro consegnò il libro a Denis senza indugiare, che rimise
tutto nella sua borsa, chiudendola a chiave con le cerniere
incastrate a combinazione, dov’era prima.
Intanto, arrivati in Vaticano, i Cardinali scesero dall’auto,
promettendo che tra un po’ nessuno li avrebbe più seguiti,
nemmeno a Craiova.
Subito dopo, Alberto, accompagnò il suo grande amico Mauro
Canati e Denis a Fiumicino, senza cattive sorprese, dove
avrebbero preso il primo aereo per Craiova ed andò per la sua
strada, avendo compiuto un ottimo lavoro.
A Fiumicino, entrati in un bagno dell’aeroporto, Canati fece
indossare a Denis un cappello, una t-shirt grigia e gli occhiali
da sole e lui tolse giacca e camicia bianca ed indosso la sua
inseparabile camicia hawaiana.
Sembravano due vacanzieri inglesi e non destavano più tanto
sospetto.
Dato uno sguardo al monitor, con gli aerei in partenza, Canati
tirò un respiro di sollievo.
L’aereo della compagnia Wizz Air per Craiova c’era.
Era in giornata e partiva alle 14.50.
Qualche ora in aeroporto e si poteva ripartire.
Si recarono subito a prenotare due posti.
A Luglio, da Roma fortunatamente non molta gente va a
Craiova.

320
Fosse stata Formentera, sarebbero stati fregati.
Invece tutto perfetto, biglietti acquistati.
Per essere subito in un posto sicuro, Canati suggerì a Denis di
fare il check in ed attendere dentro che si aprisse il gate
dell’imbarco alle 14.00, anche se erano ancora le undici e
mezzo del mattino.
L’uomo era molto furbo, in quel caso, chiunque gli volesse far
del male doveva superare il controllo, con tanto di metal
detector, della polizia aeroportuale, obbligatorio per accedere
al gate.
Adesso erano al sicuro.
Il Cardinale De Patris intanto, aveva comunque promesso di
risolvere presto la questione degli inseguitori misteriosi, che
ormai riguardava molto da vicino anche lui stesso.
Era anche lui al sicuro in Vaticano, insieme al De Cirillis.
Nessuno avrebbe osato creare tensione all’interno della Città
papale vaticana, nemmeno l’Opus Dei.
I due chiesero immediatamente udienza al Pontefice, a cui
avrebbero illustrato la situazione.
Erano in procinto di essere ascoltati, seduti a due tra le
poltrone dedicate a coloro che ne chiedono udienza.
Solitamente Cardinali o Prelati di una certa importanza
all’interno del Vaticano, come in realtà erano i due uomini.
Nel frattempo, ecco un altro Cardinale accomodarsi proprio
accanto a De Patris.
De Cirllis lo guardò salutandolo cordialmente, De Patris, che
non l’aveva ancora visto, perché preso nella lettura del libro di
Denis, da cui era rimasto davvero sconvolto, alzò lo sguardo
proprio come scriveva pagina 321 e disse:
“Bene, abbiamo sua Eminenza Roberto Perez.
Quale buon vento la manda qui a chiedere udienza al
Pontefice?”
Il Cardinale Roberto Perez si tolse gli occhiali e rispose
asciugandosi il mento con un fazzoletto bianco merlato:
“Veramente sua Eminenza De Patris, non sono qui per
chiedere udienza al nostro Pontefice, ma sono qui per lei.”

321
“Ecco, qualcosa mi diceva che fosse così, Roberto, forse devi
parlarmi di una questione, prima che io entri dal Papa?”
“Si Arturo, vedi, credo ci sia stato un grosso malinteso.”
“Spiegami meglio Roberto.”
Sua Eminenza Roberto Perez di Madrid, era il Cardinale che
aveva sempre ambito ad entrare tra i membri dell’Alto
Consiglio della Prelatura dell’Opus, di cui già faceva parte
come semplice appartenente, magari proprio al posto del De
Patris, che ne occupava invece una prestigiosa posizione.
Però, non aveva ben capito che l’Opus è un mondo a sé, e che
non sarebbe mai entrato a farne parte con i suoi metodi che
cercavano di liquidare i propri concorrenti creando falsi
scandali e false accuse.
Il Cardinale De Patris che aveva già avvisato il Consiglio della
Prelatura di quello che era successo, ammettendo di aver preso
iniziativa con la storia di Denis, ma non per favorire
un’amicizia, andando contro ai principi dell’organizzazione
che al primo posto mettono la sicurezza della Chiesa e non gli
amici o i parenti, ma perché realmente aveva intuito che ci
fosse qualcosa da sapere e l’Opus non poteva lasciare entrare
nessun altro nella faccenda, avendone adesso anche le prove,
costituite da quel libro e da ciò era accaduto, era riuscito a
convincerli della sua estraneità alla questione tradimento e che
invece era stato lui stesso il tradito, da qualcuno della cui
identità aveva già una sua idea.
Questo qualcuno era riuscito a corrompere, con la promessa di
favori e carriera, alcuni agenti dell’Opus che si erano prestati a
quei vili inseguimenti di Craiova e Fiumicino e che avevano
messo seriamente a repentaglio le loro vite.
De Patris aveva pensato sin dal primo istante che l’uomo
responsabile di quel gesto vigliacco ed infamante, contro ogni
principio della Prelatura dell’Opus e della Chiesa Cattolica,
fosse Roberto Perez, che tra l’altro era lo stesso personaggio
che gli aveva consigliato di assumere Alice come segretaria
personale.

322
“Arturo, sai quanto io sia fedele alla Prelatura e quanto sia
attento che nessuno metta in pericolo la nostra organizzazione.
Devi credermi, ho pensato fossi passato dall’altra parte e che
avessi progetti tuoi personali che andavano oltre.”
“Roberto, qui c’è solo una persona che è andata oltre.
Quello sei tu.
Ho già avvisato tutti gli altri agenti dell’accaduto e dato le
targhe delle due Chrysler grigie di ieri pomeriggio a Roma
Fiumicino.
Forse potete sfuggire ai data base della motorizzazione, ma
non all’archivio che organizza le forze in campo dell’Opus
Dei.
Li abbiamo individuati ed in questo momento un’altra mezza
dozzina di Chrysler stanno cercando le altre due e gli uomini
che le guidavano.
Per la precisione sono, Grosso, Dipinto, De Robertis e Lopez.
Lopez sarebbe il tuo concittadino di Madrid, con cui pare tu
avessi uno splendido rapporto di amicizia.
Quindi in questa faccenda, l’interesse e l’amicizia forse
c’entrano realmente, ma non riguardano di sicuro me.”
“Va bene Arturo, ma devi per forza riferire l’accaduto al
Pontefice?”
“Roberto mi meraviglio di te.
Ma ti preoccupavi di questo?
Ma certo che no.”
“Grazie a Dio Arturo, te ne sarò grato a vita.”
Disse Perez, portandosi le mani al petto.
“Si, ma me ne sarai grato da Madrid però, dove ritornerai,
dando le dimissioni dall’Opus Dei e ritirandoti nella sua
Arcidiocesi.”
Al che, Roberto Perez, con la faccia imbiancata, ribadì a De
Patris:
“Ma io sono un Cardinale?
Cosa ci faccio in un’Arcidiocesi?”
“L’Arcivescovo, cosa vuole fare Perez, il Pontefice?”
“Ma c’è già un Arcivescovo a Madrid!”

323
“Allora aiuterai quello che c’è.
Madrid è una grande città e piena di splendide iniziative
cattoliche, la tua mano sarà preziosa.
Caso contrario, posso sempre farti arrestare, subito dopo aver
fatto arrestare i quattro tuoi collaboratori di Roma e poi quelli
di Craiova.”
“No Arturo, non ci sarà bisogno, andrò a Madrid e quegli
uomini, sia a Roma che a Craiova, non daranno più alcun
fastidio.”
Il Cardinale De Patris spiegò al Cardinale Perez come
dovevano andare le cose e gli diede le sue disposizioni.
Dopotutto la carica di Cardinale gli sarebbe rimasta ed avrebbe
avuto l’opportunità di dare una grossa mano all’Arcivescovo
della sua città natale, Madrid.
L’Arcivescovo di Madrid che aveva fatto richiesta più volte di
avere un aiuto da un Vescovo volenteroso, senza risultati,
quale regalo migliore avrebbe ricevuto invece. Una richiesta di
collaborazione spontanea, addirittura da un Cardinale, che lo
avrebbe pregato di permettergli di occuparsi umilmente di
quella mansione, che aveva sempre desiderato, essendo
madrileno.
Pensate voi, un Cardinale che diventa il braccio destro di un
Arcivescovo.
Sarebbe stata la prima volta.
Questo era sua eminenza De Patris, non proprio uno stinco di
santo, già detto in precedenza.
Comunque a Roberto Perez gli era andata più che bene.
Il Cardinale madrileno si ricompose, si asciugò il sudore sulla
fronte grondante di gocce, prese la sua valigetta nera ed andò
immediatamente via da lì, prima che De Patris cambiasse idea.
Forse De Patris si era persino limitato, vista la presenza del
Cardinale De Cirillis, che era sia presente all’incontro, che
coinvolto personalmente nella faccenda.
“Allora, è d’accordo Giacomo?
Se Maometto non va dalla montagna.
La montagna viene da Maometto.

324
Caspita! Che Gesù mi perdoni! Sono in Vaticano e nomino
Maometto!”
Disse De Patris, rivolgendosi a De Cirillis, che rideva
abbondantemente per il tutto, anche con un po’ di liberazione
della tensione accumulata nel frattempo.
“O avrei dovuto impartire una punizione più severa?”
“No, Arturo, credo che questa andrà più che bene.”
I due ormai avevano passato molto tempo insieme e si
ritenevano amici di avventura, si erano quindi aperti ad un
rapporto più confidenziale.
Intanto, dopo circa dieci minuti il Papa li fece chiamare per
l’incontro.
Naturalmente non si sarebbe fatta menzione della storia degli
inseguimenti e di Roberto Perez.
I due seguirono il segretario particolare del Papa, che li
raggiunse e li accompagnò sino dinanzi al Pontefice.
“Santità.”
Esordì De Cirillis, che aveva preceduto De Patris nell’entrare,
mentre gli baciava la mano.
Al che, seguì lo stesso comportamento anche da parte
dell’altro Cardinale.
“Allora miei Cardinali, in cosa posso essere utile.”
I due si guardarono in faccia e De Patris fece cenno a De
Cirillis, che intendeva portare avanti lui il discorso ed il
Cardinale fece sì con il capo per acconsentire.
“Santità, abbiamo avuto la possibilità di conoscere un uomo.
A dire il vero si è presentato spontaneamente al Cardinale De
Cirillis, che lo conosceva da quando era solo un Sacerdote nel
paese da cui proviene e da quando questo uomo era un
ragazzino che frequentava la sua parrocchia.
Vengo immediatamente al punto.
Abbiamo la quasi convinzione che questo uomo sia invaso, se
così posso dire, da una presenza.”
Al che, interruppe il Pontefice.
“Bene, allora siamo in buone mani, il Cardinale Giacomo De
Cirillis è il migliore in questi casi.”

325
“Sicuramente Santità, ma non si tratta di un caso normale.
La presenza che invade il nostro uomo è benigna.”
“Benigna?
Che vuole intendere per benigna?”
“Credo si tratti del primo caso di questo tipo, almeno a dirsi
del Cardinale De Cirillis.”
Il Papa prese parola e disse:
“Allora Cardinale De Cirillis, vuole spiegarmi direttamente lei
questa situazione, vorrei vederci chiaro.”
“Santità, in effetti non ho mai seguito un caso in cui un uomo
sia stato posseduto da un’entità che non ha intenzioni negative.
Non è violento.
Non è volgare.
Non usa trucchi di lettura del pensiero o del passato.
Non tramortisce chi lo ospita.
Non levita.
Non sanguina.
Non vomita.
Non impreca.
Non parla lingue.”
Il Papà intervenne:
“Mi scusi Cardinale, ma questi, oltre ad essere segnali di
negatività e di possedimento di una presenza demoniaca, sono
anche prove stesse che la possessione sia reale.
Come avete raggiunto una benché minima convinzione che si
tratti di un essere che è entrato in un uomo, se non vi ha dato
nessuno di questi segnali?”
“Inizialmente ho avuto i primi sentori che la storia potesse
essere vera, perché la persona risultava un uomo molto sereno
che poi si è trovato nei guai senza volerlo.
Mi creda Santità, lui avrebbe voluto sentirsi dire che era solo
una sua impressione, un suo non saper sentire la realtà, ma che
in effetti non ci fosse nulla di vero in quello che raccontava.
L’avrebbe fatto più felice, ne sono più che convinto.

326
E’ finito nei guai per malintesi successi per colpa mia, che
l’hanno fatto trovare indagato e controllato da agenti dello
IOR che in realtà stavano controllando più che altro me.
Sa, qualche volta forse per motivi di sicurezza, me li trovo
intorno e l’uomo ha destato sospetti ed è stato seguito.
Poi si è rivolto a me ed al Cardinale De Patris, che io stesso ho
voluto consultare, ma questa volta per motivi di sicurezza.
Reputo sia del tutto innocuo, oltre che anche indifeso.”
Sua Eminenza De Cirillis, non raccontò al Pontefice la storia
esatta sull’inseguimento degli agenti segreti dello IOR e di
quelli dell’Opus Dei, per evitare di parlare di una questione già
risolta, in cui ognuno di loro aveva da nascondere la sua
piccola bugia, seppure detta a fin di bene.
“Ha fatto bene Cardinale De Cirillis, continui pure.”
“Il ragazzo ci ha convinti diversamente.
L’abbiamo portato a Craiova, da un Prete Ortodosso Romeno
che conosce bene la prassi per analizzare questo genere di casi.
Ma lì, purtroppo, anche se siamo riusciti a praticare una
regressione ipnotica che ha fatto venir fuori la presenza che
sembrava essere reale o almeno dava l’impressione di esserlo,
non siamo riusciti ad approfondire, un caso che secondo noi
aveva la possibilità di essere vero, perché abbiamo avuto un
grave imprevisto non calcolabile ed abbiamo dovuto
interrompere improvvisamente.
Un caso strano e terribilmente interessante.
Questa presenza dice di essere una specie di demone pentito.
Mi spiego meglio.
Solitamente mi trovo di fronte a casi dove le presenze si
sentono padrone del corpo in cui sono e sono così superbe che
credono di poter andare alla conquista dell’intero pianeta per il
solo fatto di star controllando un unico povero corpo.
Sono arroganti e non vogliono trattare nemmeno se li preghi a
farlo.
Questo dice invece di essere dentro lui perché l’uomo lo
desidera e se ne andrebbe se soltanto glielo chiedesse.

327
Dice di voler aiutare la nostra gente a liberarsi delle presenze
eteree maligne e di ogni demone malintenzionato alla cui razza
lui appartiene, ma che in realtà, fa parte di un gruppo di loro
diverso nelle intenzioni, che si combattono e si distinguono da
secoli, proprio per questa diversità di comportamento e di
atteggiamento verso i corpi che decidono di invadere.
Gli uni, sono parassiti energetici che si attaccano alla nostra
coscienza e danneggiano l’anima, come quelli in cui anch’io
mi sono sempre imbattuto.
Gli altri sono esseri che hanno ricordato di avere Anima e
vogliono tornare a vivere nella strada che gli indica nostro
Signore, per cui vogliono aiutarci a liberarci dai loro fratelli
malvagi.”
Il Pontefice sembrava interessato, ma allo stesso tempo un po’
in disaccordo e confuso dalle parole assurde del De Cirillis,
che non era di certo uno sprovveduto e proprio lui lo aveva
fatto preparatore degli esorcisti del Vaticano, per le sue
capacità e la sua ineccepibile integrità.
“Cardinale De Cirillis, ma che prove abbiamo, oltre alla vostra
buona fede, che questo sia reale.
E soprattutto, che questa presenza non vi stia ingannando nelle
sue intenzioni.
Dopotutto non abbiamo altro che una regressione ipnotica e la
confessione di un uomo, a quanto pare buono, ma sempre mi
sembra troppo poco, per poter intervenire seriamente.”
Prima che il Cardinale riprenda a parlare, io detterò queste
righe:

“Il Pontefice non si fiderà della sola parola del Cardinale De


Cirillis e del De Patris, dirà che è troppo poco.”
Poi dopo, riprenderà riabbassando lo sguardo e continuando
a leggere:
“Era comunque un’affermazione prevedibile, è ancora troppo
poco.
Ho bisogno di prove inconfutabili.

328
Era normale che non mi sarei fidato di una semplice
regressione ipnotica.”

I Cardinali a questo punto, ritennero indispensabile parlare del


libro e lo tirarono fuori dalle loro borse.
Parlò De Patris.
“Santità, certo sembrava troppo poco anche per noi, ma poi
quell’uomo ha tirato fuori questo libro e ne ha data una copia
ad ognuno.
Dopodiché abbiamo avuto la nostra prova.
Il libro preannuncia eventi futuri.
Dentro vi è scritto ciò che deve ancora avvenire.
Quell’uomo tramite la scrittura, credo sia riuscito a trovare il
modo di interagire nello spazio tempo e sicuramente in questo
deve c’entrare la presenza che è dentro di lui.
Un attimo, interruppe il Papa.
“E’ troppo poco. Quali prove potete esibirmi che questo sia
vero?”
Rivolgendosi al De Patris, che continuò:
“Santità, vada a pagina 328 e legga la parte in corsivo in fondo
ad essa.”
De Patris porse il libro al Pontefice, che lo prese, mise gli
occhiali e sfogliò fino ad arrivare a pagina 328.
Iniziò a leggere le prime righe ad alta voce:
“Il Pontefice non si fiderà della sola parola del Cardinale De
Cirillis e del De Patris, dirà che è troppo poco.”
Il Papa alzò la testa è disse:
“Era comunque un’affermazione prevedibile, è ancora troppo
poco.
Ho bisogno di prove inconfutabili.
Era normale che non mi sarei fidato di una semplice
regressione ipnotica.”
A questo punto De Patris, che aveva il suo libro ancora nelle
mani, ribadì con voce bassa e quasi balbettante:
“Santità, continui a leggere, la prego.”
Il Papa continuò a leggere ad alta voce:

329
“Poi dopo, riprenderà riabbassando lo sguardo e continuando a
leggere:
Era comunque un’affermazione prevedibile, è ancora troppo
poco.
Ho bisogno di prove inconfutabili.
Era normale che non mi sarei fidato di una semplice
regressione ipnotica.”
Il Papa chiuse subito il libro e lo poggiò sulla sua scrivania.
“Se non foste voi due, starei pensando ad un volgare gioco di
prestigio, fatto per impressionarmi, ma comunque non posso
negare che era prevista e scritta ogni mia frase ed ogni mia
titubanza, alla perfezione.”
Al che intervenne De Cirllis:
“Santità e c’è scritto molto altro, sia prima che dopo il periodo
che ha appena letto.
Cosa si fa?”
Prima fece una pausa di qualche decina di secondi, poi il
Pontefice parlò:
“Io non voglio leggerlo quel libro.
Il suo contenuto, soprattutto successivo a pagina 328, non mi
interessa, come non mi interessano questo genere di cose, che
sono invece il terreno di sua Eminenza De Cirillis, che ho
voluto qui in Vaticano proprio per questo.
Lei sicuramente De Cirillis, non ha avuto paura di leggerlo
tutto fino alla fine, il libro, vero?”
“No Santità, dice bene, l’ho letto fino in fondo.”
“Immaginavo, allora mi dirà lei cosa fare.
Io mi fiderò, come mi sono fidato a volerla qui in Vaticano ad
adempiere una missione così delicata ed importante come
quella che le è stata affidata.”
“Come vuole lei Santità.
Darò il mio apporto.”
Intanto all’aeroporto, Denis e Canati stavano per imbarcarsi
nell’aereo per Craiova ed erano al gate.
Con un po’ di pazienza per l’attesa arrivarono le 14.50 ed i due
erano in volo per la Romania.

330
Arrivati all’aeroporto di Craiova, sembrava tutto tranquillo.
Canati fece una chiamata al tassista, che ormai poteva definirsi
di fiducia, per quello che era accaduto negli ultimi giorni.
L’uomo rispose che sarebbe stato lì in dieci minuti al
massimo.
Nel frattempo i due si misero tranquillamente ad aspettare
fuori dall’aeroporto in una piazza, sotto la pensilina di una
fermata di autobus, per non dare troppo nell’occhio.
Non servì a gran che.
Ecco due uomini in un furgone, come quello che Canati aveva
visto fuori dalla Catedrala Incoronarii, scendere di corsa e con
una pistola puntata, tra la gente che urlava e fuggiva,
prelevarli, invitandoli ad entrare di corsa nel furgone.
“Facciamo come ci dicono Denis.
Questi fanno sul serio.”
Entrati nel furgone, dopo venti minuti i due aprirono per farli
scendere.
Sembrava un capannone industriale abbandonato, erano in
qualche punto dimenticato della città.
Canati, iniziò a pensare come fare ad uscire da quella
situazione a dir poco critica.
Pensò tra sé.
“Se non faccio qualcosa è finita.”
Intanto gli venne in mente che i due sequestratori non gli
avevano ancora tolto i telefoni cellulari e cercò il suo,
approfittando del fatto che li avevano messi in una stanza,
tirando un ferretto per chiuderla, e si erano allontanati un po’.
C’era un sms di sua Eminenza De Cirillis, non letto, che era
arrivato appena scesi dall’aereo e riavuto il campo:
“Canati tutto risolto. Nessuno vi cercherà più o vi farà del
male.”
“Ma allora perché ci hanno presi?”
Disse tra sé, Canati.
Fece in tempo a rispondere:
“Invece aiutateci, perché siamo nelle loro mani.”

331
Nel frattempo, arrivarono i due agenti che videro l’uomo al
telefono e glielo tolsero violentemente, strattonandolo e quasi
facendolo finire a terra. Fecero lo stesso per perquisire Denis e
togliergli il suo.
Non avevano detto nemmeno una parola davanti a loro e non
si capiva se fossero Romeni, Italiani o altro.
Dall’aspetto però, sembravano essere italiani.
Canati parlò:
“Ragazzi, guardate che state sbagliando di grosso.
Avete fatto bene a prenderci, anch’io sono un agente come voi
e capisco questo genere di ordini, ma se provate a chiamare al
vostro quartier generale, potrebbero confermarvi quello che vi
sto dicendo e non vi caccereste seriamente nei guai.
Sicuramente ci deve essere stato un contrordine che diceva di
non prenderci più, che per qualche ragione non vi ha raggiunti.
Provate.
Una sola telefonata, che vi costa?
E poi vi giuro, non vi chiederemo più nulla, nemmeno di
andare al bagno.”
I due si allontanarono prima qualche metro, e dopo essersi
consultati, uno dei due uscì fuori dal capannone.
Dopo qualche minuto ritornò e parlando in italiano disse:
“Hanno ragione, dobbiamo rilasciarli.
Ho parlato col capo ed ha detto che hanno provato più volte ad
avvisarci che la missione era annullata, ma non riuscivano a
contattarci per via del mal tempo che c’è in Serbia ed in
Bulgaria, che disturba pesantemente ogni segnale.
Va bene, avevi ragione, dimmi ora dove possiamo portavi?”
Disse l’uomo, rivolgendosi a Canati.
“Ci porti alla Chiesa di San Michele e Gabriele Arcangelo.”
“Certo, andiamo.”
I quattro si avviarono e dopo mezz’ora circa, erano nella
chiesa che avevano lasciato il martedì precedente.
Arrivati, furono fatti scendere ed il furgone si dileguò
velocemente.
Denis nel frattempo sembrava aver perso la parola.

332
“Ci sei ragazzo?”
Disse Canati.
“Ci sono Mauro. Grazie, mi hai salvato ancora una volta la
vita, quei due ci avrebbero sparato.”
“Beh, a questo punto, se me lo dici tu, ci credo ragazzo mio.
Comunque ha funzionato e siamo vivi.
Entriamo e cerchiamo Petrescu.”
I due uomini entrarono in chiesa per palare con Padre
Patrician.
Si presentarono e chiesero di lui ad un confratello, poi si
misero a sedere nel solito posto.
Il cortile accanto all’ingresso.
Il Prete Ortodosso, confratello di Patrician, ritornò dopo dieci
minuti e disse:
“Padre Patrician era molto meravigliato del vostro ritorno, mi
dice di dirvi che non dovevate venire, perché la Chiesa e
l’aeroporto sono pattugliati da quegli uomini col furgone e che
per il momento neanche lui può venire, perché non conosce le
loro intenzioni.
Dovreste andare subito via anche voi.”
Canati rispose:
“Richiami Patrician e gli dica che può ritornare, perché gli
uomini hanno già parlato con noi, non faranno più male a
nessuno e sono loro che ci hanno accompagnati qui
dall’aeroporto.
E’ tutto a posto, non temesse più.”
L’uomo si allontanò nuovamente e ritornò dopo qualche
minuto.
“Padre Patrician ha detto che se le cose stanno così, ritorna qui
appena possibile.
Se volete, potete aspettarlo dove siete seduti.
I due uomini aspettarono per circa mezz’ora e poi videro
Patrician che arrivava, camminare verso di loro.
Si alzarono e quando fu lì, Denis lo abbracciò, mentre Canati
gli strinse forte la mano.
“Che c’è Denis, perché sei ritornato?”

333
“Padre, non lo sento più da martedì scorso, quando abbiamo
fatto l’esperimento.”
“Chi, Denis?”
“Hac Him, non mi parla più da quattro giorni.
Erano anni che non accadeva.
Proprio ora che abbiamo bisogno di lui.”
“Va bene Denis, proviamo a vedere cosa sia successo, ma
comunque ho già una vaga idea.
Quando siamo scappati martedì, ti ho svegliato con troppa
fretta, in questi casi può capitare un’interruzione del contatto
per la disconnessione avvenuta in modo troppo traumatico.”
“Padre Patrician, adesso che si fa?”
“Ci riproviamo e ce lo facciamo dire da lui, cosa si fa.
Perché io non lo so affatto.
Ora andiamo, rinfrescatevi un po’, avete avuto dei giorni
molto difficili ultimamente e poi proveremo il contatto.”
Denis e Mauro andarono a farsi una doccia e dopo rientrarono
subito per recarsi in refettorio a mangiare qualcosa.
Li, trovarono Patrician ed altri suoi confratelli e si misero a
tavola con loro.
Mangiarono benissimo e leggero.
Dopo un amaro prodotto direttamente dai confratelli, Patrician
che ne aveva bevuti ben tre, disse:
“Possiamo andare, vediamo cosa si può fare.”
Entrarono nella stanza dove erano andati il martedì precedente.
Il Sacerdote disse a Denis di sedersi come aveva fatto l’altra
volta e gli strinse le cinture.
Ripeterono gli stessi esercizi respiratori che avevano già fatto,
senza molte difficoltà.
Denis ricordava ancora benissimo tutto.
Dopo qualche minuto, il Prete disse:
“Hac Him riesci a sentirmi?”
Denis, era con gli occhi chiusi e respirava in modo normale,
ma non diceva ancora nulla.
Al che il Prete Ortodosso riparlò:
“Hac Him puoi sentirmi?”

334
“Patrician.
Ti sento.”
“Hac Him, Denis è molto preoccupato per te, ha creduto che tu
fossi andato via per sempre.
Puoi spiegarmi cosa sia successo?”
“Sono andato via è vero, ma non per sempre.
Avevo bisogno di scollegarmi da lui.
Ho avuto necessità di parlare con il mio Signore En Ki, che si
è presentato con il suo più grande Generale, mio comandante,
Michele Arcangelo, il suo più fidato consigliere.”
“Cosa vi siete detti di tanto importante?”
“Ci chiedevamo se è il caso di continuare in questa strana
avventura con Denis ed ora anche con voi.
Abbiamo visto che siete ancora poco preparati ad una
situazione di questo tipo, ma mai siamo arrivati più vicini che
ora nel nostro tentativo di parlare in un certo modo con i vostri
vertici spirituali.
Quindi, abbiamo deciso di andare avanti e cercare un punto
d’incontro tra voi umani e noi anunnaki.
Il vostro capo religioso, che chiamate Pontefice, ha saputo di
me e di Denis ed ha creduto ai Cardinali che gli hanno riferito
le nostre buone intenzioni.
Il nostro Signore En Ki ha deciso di conferire con suo padre
An e metterlo al corrente di questa nuova situazione verificata.
Ha rischiato molto, perché An poteva non essere d’accordo
con questa arbitraria decisione del figlio, che lo mette
seriamente in disaccordo con suo fratello En Lil, l’altro suo
figlio, rischiando di scatenare un’ennesima distruttiva guerra
fratricida per il nostro popolo, che senza dubbio avrebbe effetti
devastanti anche su di voi.
Ma siccome lo ama e lo rispetta da sempre, per la sua lealtà e
bontà, che ormai stona con la razza anunnaki, è stato
magnanimo e gli ha dato una possibilità di provare, garantendo
che l’altro suo figlio En Lil non avrebbe avuto alcuna
contrarietà.
Adesso però, avverrà qualcosa di diverso, Patrician.

335
Qualcosa che non avete mai visto con i vostri occhi.
Dovrete dirmi se posso procedere e se mi date il consenso a
farlo, perché non voglio creare una situazione di tensione e di
disperazione per ciò che accadrà.
Devo portare Denis nel nostro mondo, dove incontrerà il
nostro Signore An e suo figlio En Ki, alla presenza del grande
Generale Michele, che vuole esserci, perché ha protetto Denis
sin dal primo contatto, che si è preoccupato lui stesso di
procurare.
Siete d’accordo?”
Padre Patrician guardò in faccia Canati e disse:
“Cosa facciamo dottor Canati?”
“Fa quello che senti, ma non mi fare perdere il ragazzo, perché
il Cardinale non me lo perdonerebbe mai.”
“Io dico che non abbiamo scelta.
Hac Him, non so perché, ma dalle poche volte che abbiamo
avuto un dialogo, seppure tramite la voce di Denis, ho sempre
avuto una buonissima impressione di te.
Le vibrazioni di quello che dici mi arrivano con un senso di
correttezza e lealtà.
Io ti dico che puoi portare con te Denis, se tu mi prometti che
ce lo riporti sano e salvo sul nostro piano dimensionale.”
“Hai la mia parola Padre Patrician.”
“Allora, procedi pure.”
Disse il Prete Ortodosso, dandogli il consenso.
“Allontanatevi dal tavolo e mettetevi accanto alla porta, vicino
al muro.”
Dopo qualche secondo, una luce violetto, avvolse Denis
intorno alla poltrona e l’uomo iniziò a cambiare colore della
pelle.
Diventò dapprima blu cianotico e dopo iniziò a diventare
giallo, fino a raggiungere tonalità prima sull’arancio e dopo
rosse.
Ad un tratto inizio a levitare e sembrava come se avesse
iniziato a diventare trasparente.

336
In mezzo al suo corpo si riuscivano a vedere le tende di una
delle finestre dietro di lui e poi, mentre si muoveva per la
stanza, gli infissi di quella con le tende aperte.
Qualche secondo dopo non c’era più.
Canati e Patrician avevano sudato come se fossero in una
sauna e si guardarono con il viso sbiancato, mettendosi subito
a sedere.
Canati disse a Padre Petrescu:
“Se non torna più, ho preso quarant’anni di fedele servizio per
il Vaticano e li ho buttati nel cesso.”
Il Prete rispose a tono:
“Se non torna più, il solo pensiero di non poter continuare la
mia ricerca, come se invece tornasse, mi farà impazzire e
morirò da solo in qualche cesso di manicomio romeno.”
Intanto Denis per la prima volta mi aveva visto.
Non ebbe paura e non cercava di toccarmi, né di avvicinarsi a
me, ma mi sorrise.
Parecchio più alto, ma non molto diverso da lui, con la mia
pelle bianchissima, calvo e con grandi occhi verdi.
I Sumeri ci chiamavano Milku, che significa latte. Strano, che
nella vostra lingua più diffusa, latte si dica proprio milk.
Anch’io lo guardai, per ricambiare il sorriso e fargli cenno di
seguirmi.
Eravamo a Nibiru, c’eravamo arrivati con il teletrasporto ed il
passaggio in altra dimensione.
Denis non lo sapeva, ma anche se avesse voluto toccarmi, con
la percezione sensoriale che si prova in un mondo
tridimensionale come quello terrestre, non ci sarebbe riuscito.
Andammo nel luogo dove dovevamo incontrarci con i
rappresentanti del mio popolo.
Erano sopra un monte, all’interno di una base scavata nella
roccia, che sembrava essere una scultura della vostra
architettura moderna, ma era inglobata completamente nella
montagna.

337
An sedeva su una sorta di trono in pietra ed era alto quasi due
volte Denis. Accanto a lui, sui sedili del consiglio, c’erano il
Signore En Ki ed il Generale Michele.
Tutto era a forma di semicerchio, con il trono di An in mezzo,
e nelle ali laterali le sedute per i Grandi Consiglieri.
“Fatti avanti e portami qui il terrestre, Hac Him di Asterope.”
Disse An parlando nella lingua di Denis, ma con un accento
surreale che, per darvi un’idea, sembrava essere procurato da
un distorsore del suono di uno di quei vostri disc jockey che
fanno esperimenti con la musica rock.
Parlavano tutti in italiano, per consentire a Denis di capire.
“Quindi tu saresti il nostro discendente anomalo?”
Denis aspettò un attimo e poi rispose:
“Sicuramente sono anomalo, ma che sia un vostro discendente,
l’ho appreso solo da poco tempo.”
“Lo sei, fidati di me.
Quindi cosa avreste pensato di fare, Hac Him mi ha riferito
che avete un piano per migliorare notevolmente la nostra
convivenza ed il nostro stesso piano esistenziale.
Dimmi pure.
Cosa sei venuto a proporre, per essere venuto fin qui nel mio
pianeta sofferente?”
Denis mi guardò, e per la prima volta poteva considerarmi al
di fuori di sé e non più parte di sé ed io gli feci un cenno, come
per dire di parlare come si sentiva e dire quello che gli veniva
in mente, l’importante che fosse col cuore, come aveva sempre
fatto in queste circostanze.
Denis quindi rispose:
“Mio Signore An, sono un uomo ed ho meno di mezzo secolo.
Sono nato adesso, se mi paragono alla tua grande esistenza che
conterà milioni di anni, come quella di tuo figlio e quella di
Michele a cui sono molto fedele e legato.
Come posso io, piccolo uomo, avere parole di consiglio verso
la tua grandezza?
Dovrei tacere, per essere più giusto con te.

338
Ma se tu mi stai ponendo una domanda, non rispondendo,
rischio di essere ancor più indegno.
Mi permetterò di dirti alcune parole per spiegare quale sia la
mia idea su quello che mi chiedi.
So, che vuoi anunnaki volete vivere a lungo, ed è per voi
ormai una delle più importanti priorità.
Ma questo mi lascia intendere che non crediate più nella vita
eterna.
Anche se si vivesse due miliardi di anni, ossia, quasi tutto il
tempo passato da quando esiste la vostra razza, sai bene che
non sarebbe nulla nei confronti dell’eternità.
L’eternità annulla qualsiasi dimensione dello spazio e del
tempo, perché l’eternità non ha tempo e quindi non ha spazio,
ma è tutto il tempo e tutto lo spazio.
Voi riuscite a vivere anche milioni di anni.
I miei cinquanta che costituiscono per un uomo più di mezza
vita, sono invece un granello di sabbia in un deserto in
confronto.
Ma sono veri, milioni di anni senza amore?
Perché è per l’amore che siamo nati, non per la durata della
vita.
Un anno senza amore è un anno passato inutilmente.
Non è l’amore il calore che riscalda gli esseri viventi?
Non è il calore la luce che li illumina?
Esiste calore senza Luce?
Esiste Luce senza calore?
Non è tutta l’energia creativa frutto del calore?
E’ quindi l’energia frutto dell’amore?
Che vita è quella che si nutre del calore prodotto da un altro
essere?
Non prova nulla di veramente suo, ma riassapora
continuamente una minestra non solo già mangiata, ma anche
già metabolizzata.
E voi siete sicuri di dover rinunciare a tutto questo?
Siete sicuri di non essere più in grado di provare amore?

339
Siete sicuri di non produrre calore con il vostro corpo, tanto da
avere bisogno di prenderlo da altri esseri più giovani di voi e
meno evoluti?
Non sono gli anni il migliore alimento dell’evoluzione?
Ed allora perché averne tanti, se l’evoluzione raggiunta non
consente di andare verso l’Eterno?
Sai bene mio Signore, che invece, cinquanta anni per l’Eterno
è pari ad un milione, allora perché non provare a mettersi di
nuovo in contatto con la Fonte?”
An inizialmente guardava Denis quasi con disprezzo, che un
essere così inferiore in senso evolutivo, si stesse ponendo a lui
in quei termini, era pur sempre un Elohim, avrebbe potuto
polverizzarlo con il suo solo pensiero.
Poi, considerando che era lui stesso che lo aveva autorizzato
ad esprimersi liberamente e man mano che l’uomo parlava,
iniziò ad avere sempre più interesse per quello che diceva.
Era comunque una mente antica più del mondo stesso e sapeva
come capire ogni tipo di concetto e questo concetto lo stava
incuriosendo parecchio.
Denis fece una pausa accertandosi di non stare innervosendo
An.
“Continua umano, continua a parlare.”
Disse l’Elohim.
“Potreste vivere molti meno anni di quello che in realtà vivete,
ma vissuti pienamente nell’Amore del nostro El Oah, del
nostro El Yon e soprattutto del nostro Elì, Padre inscindibile
che nessuno comprende, tranne chi è immerso in lui.
Non è forse meglio vivere veramente che invece lasciarsi
vivere?
Non è meglio vivere la realtà del sentire che quella del
sopravvivere?
Nel nostro mondo, noi Cristiani adoriamo un uomo che si
chiamava Gesù, anche voi avete sentito parlare di lui, sotto il
nome di Sofia.
Sofia da noi significa, saggezza.

340
Egli è per me, il più amorevole degli esseri umani mai
manifestatosi in Terra.
Ebbe dentro di sé l’Amore più immenso che un uomo abbia
mai avuto per i suoi fratelli e per la Natura Madre.
Si rivolgeva direttamente ad Elì, come se fosse suo Figlio.
Sostenne davanti a tutti, di essere realmente suo Figlio e di
appartenere al suo Regno.
Eppure quest’uomo visse meno di me.
Morì a soli 33 anni.
Egli lanciò un messaggio con questa sua morte prematura.
La vita vera è nel mondo dimensionale dell’Anima, mentre
nella nostra dimensione terrena c’è solo materia e possibilità di
crescita.

Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine


consumano e dove ladri scassinano e rubano; 20 accumulatevi
invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano,
e dove ladri non scassinano e non rubano. 21 Perché là dov’è
il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore. 22 La lucerna del corpo
è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo
sarà nella luce; 23 ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo
corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra,
quanto grande sarà la tenebra!
(Matteo 5. 20/23)

Non è dunque questo mondo per esistere, ma solo per passare.


E’ sicuramente un passaggio importante per il resto
dell’evoluzione dell’Anima, ma deve essere pur sempre solo
un semplice passaggio.
Prolungarsi in una dimensione della materia, significa
ostacolarsi nel proprio cammino verso il ritorno alla Fonte.
Se il Creatore ci ha lasciati andare, è perché vuole vederci
ritornare, informati sullo sviluppo della sua creazione.

341
Questo vale per tutti i mondi tridimensionali o in qualche
modo legati alla realtà della terza dimensione della materia.
Gesù decise di vivere diversamente sulla Terra.
In soli 33 anni la sua energia alimentò chiunque volesse
attingere. Continuò a farlo anche dopo la sua morte. Promise a
tutti gli uomini, tramite la parola data ai suoi discepoli, che ci
avrebbe aiutati per sempre, finché il nostro mondo sarebbe
esistito.
Egli per questo gli disse:

Insegnate loro a ubbidire a tutto ciò che io vi ho comandato.


E sappiate che io sarò con voi, tutti i giorni, fino alla fine del
mondo.
(Matteo 28. 20)

E noi lo vediamo nelle sue tante manifestazioni, tutte le volte


che lo chiamiamo e sentiamo le sue lacrime e la sua
sofferenza, ogni volta che lo tradiamo.”
An, aveva sempre sentito parlare di questo Gesù, proveniente
dalla tradizione filosofica degli Esseni, di quella zona
chiamata Mezza luna fertile o in accadico, Mat Shumerim,
dove noi anunnaki avevamo posto uno dei nostri maggiori
campi di lavoro per l’estrazione dell’oro.
Anche se ormai, quando vivi così a lungo, non sai più se
ascoltare o lasciare correre.
Troppe le cose che hai udito.
Troppe le cose che hai visto.
Troppe le cose che hai costruito.
Troppe le cose che hai taciuto.
Troppi i concetti che hai appreso.
Tutto diventa quindi molto simile ed anche le verità lampanti,
rischiano di passare per semplici concetti da verificare.

342
Non aveva pertanto mai posto la giusta attenzione
nell’ascoltare il messaggio che in realtà questo Gesù volesse
comunicare.
Sapeva che suo figlio En Ki e Michele gli portavano tanto
rispetto ed osservanza e sapeva che al contrario suo figlio En
Lil non aveva nessun rispetto per lui, anzi lo disprezzava.
Ma in questo preciso momento, le parole dette da questo
piccolo umano, stavano finalmente ponendo la sua giusta
attenzione su concetti che il Reggente maggiore degli
anunnaki non aveva mai voluto approfondire.
Certo, poteva bruciarlo con un battito delle sue ciglia e
bruciare anche me, che glielo avevo portato dinanzi, ma ogni
volta che girava lo sguardo verso suo figlio En Ki e verso
Michele, non trovava visi contrariati a voler trasmettere di far
tacere quell’uomo, ma facce che riflettevano su ogni sua
parola, proprio come stava facendo lui stesso.
An si girò verso suo figlio e verso Michele dicendo:
“Nessuno di voi vuole parlare?
Vorrei sentire come la pensate su questi messaggi che sto
sentendo da quest’umano.
Secondo voi, dovrei continuare a dargli udienza?”
Ad un certo punto, parlò Michele.
“Sono con te sin dal primo momento mio Signore.
Abbiamo sempre protetto gli umani e siamo sempre stati in
buona fede con loro.
Anche se dubito che qualcuno di loro sospettasse che la
minaccia provenisse dalla stessa fonte da cui arrivava la
protezione.
Ecco che alcuni di loro hanno intuito qualcosa.
Ed eccolo qui davanti a te, uno di loro.
Mi ha chiamato dal suo pianeta.
Il messaggio mi è arrivato chiaro ed evidente.
Non ho potuto ignorarlo, dovevo per via di cose interagire con
lui.
Gli ho mandato uno dei miei più fedeli comandanti.
Hac Himac Toraus di Asterope.

343
L’ha guidato e l’ha condotto a venire fin qui da te.
Alcuni altri umani hanno creduto in lui ed hanno rischiato
persino la loro vita, pur di portarlo al compimento della sua
missione.
Ora è qui, davanti a te, in rappresentanza di tutti loro e del suo
intero pianeta a chiederti di lasciarli in libertà.
E cosa assurda, lasciarli in libertà, secondo lui significa
riconquistare la tua libertà.
Ritornare libero di riappropriarti della tua Eternità.
Avete sempre creduto che la loro prigionia fosse la vostra
unica possibilità di vita.
Ma sai bene che non è così.”
An lo interruppe.
“Ma anche tu stesso e mio figlio En Ki, vivete da milioni di
anni come me.
Non potete essere in completo disaccordo con una pratica che
tiene in vita anche voi stessi.”
Intervenne En Ki.
“No Padre, non è proprio come hai pensato.
Lo so, in questo tempo mi hai lasciato fare perché credevi che
io fossi indispensabile per avere un comportamento, almeno
un po’ più dignitoso, nei confronti degli esseri con cui ci
interfacciavamo, a differenza di mio fratello En Lil.
Ma sempre avevi comunque dalla tua parte la mia esistenza.
Certo, pensavi, se esiste da così tanto tempo, nonostante la sua
buona intenzione nei confronti di esseri, come gli stessi umani,
non può essere tanto diverso da me e da suo fratello, è
comunque un parassita energetico anche lui.
Questo ti faceva stare sereno.
Ma ti sbagliavi, Padre.”
A questo punto, An lo interruppe:
“Ma che stai dicendo figlio mio?
Cosa sbagliavo?”
Riprese En Ki:
“Sai bene che io sono uno scienziato, non un guerriero.

344
Le mie battaglie le faccio con la biologia, la genetica, la fisica,
non con il tempo, l’esistenza e la sopravvivenza della sola
materia.
Ho scoperto da moltissimo tempo alcune pratiche che portano
a risultati uguali per l’esistenza, ma senza dover usare altri
corpi, e da molte migliaia di anni, io e le mie tribù viviamo
così. Riguardo a Michele, lui è un Arcangelo e vive di luce
sua, sai bene che è qui solo a vegliare su quest’era.
Così, non abbiamo più avuto nessun bisogno di parassitare
esseri viventi di altri mondi per rubargli energia.
Non condanniamo chi di noi lo fa ancora.
Ma abbiamo maturato una diversa concezione della vita.”
An sembrava essere sceso da una stella lontana anni luce.
E ribadì:
“Figlio mio, questo non me l’aspettavo proprio, ma come ci
sei arrivato?”
En Ki rispose al padre:
“Ci sono arrivato prima di tutto non partendo da un
presupposto di origine individuale, basato sulla ricerca
dell’immortalità fisica, ma solo per amore nei confronti della
ricerca scientifica.
Abbiamo quindi approfondito e sperimentato maggiormente
tutti gli studi svolti su una branca della Fisica che i terrestri
hanno scoperto soltanto da poco tempo ed hanno chiamato,
Informazionale.
Una volta guardati con attenzione, fenomeni naturali come
l’eclissi, per esempio una visibile anche dalla Terra è quella
della Luna, ci siamo resi conto, con tecniche in nostro
possesso, ma adesso anche in possesso degli umani, che
chiamano pendoli di Foucault, dal nome del suo inventore
terrestre, che il tempo ad un certo punto e per alcuni secondi
camminava indiscutibilmente all’indietro.
Questo è stato il nostro primo passo ed il punto di inizio a cui
sono seguiti migliaia di anni di studio.

345
Non abbiamo pensato di costruire alcuna macchina del tempo,
come si potrebbe pensare a primo impatto, da ciò che sto
asserendo.
I terrestri ci fanno anche dei film, su questa possibilità che
sognano da sempre.
Abbiamo lavorato però su questo principio, visto che siamo
tutti scienziati, per l’esattezza, biologi genetisti e fisici
nucleari e non di certo inventori di macchine del tempo.
Da questo punto teorico di partenza, si desume che ogni punto
nell’asse del tempo si può annullare.
Vi farò un esempio, anche se capisco le vostre possibili
difficoltà a comprendere.
Useremo un solo asse monodimensionale per chiarire, anche
se poi dimostreremo che ce ne sono infiniti.
Immaginate di essere su una retta lineare.
Immaginate di essere a tre giorni fa.
Diremo che siamo a meno tre, su questo asse.
Immaginate adesso di essere arrivati ad oggi ed a questo
momento preciso.
Diremo quindi che siamo a zero su questa ipotetica retta
lineare.
Ora, immagineremo invece di andare avanti di tre giorni.
Diremo che siamo a più tre sempre su questo asse.
Avendo dimostrato che il tempo può scorrere all’indietro,
abbiamo anche dimostrato che da quel punto, se si volesse, si
potrebbe tornare indietro infinite volte.
Naturalmente nessuno di noi lo ha fatto, ma ci è servito per
continuare gli studi.
Abbiamo capito che ogni zero, che costituisce il presente in
quel preciso istante, è riproducibile infinite volte, perché
scorrendo il tempo all’indietro ci si può arrivare tutte le volte
che si vuole, e quindi infinite volte.
Facciamo finta che da più tre, che abbiamo detto essere tra tre
giorni, tornassimo infinite volte indietro ad ora, che è il
presente, ed abbiamo detto essere il punto zero sull’asse.

346
Abbiamo quindi dimostrato che lo zero, potendosi ripetere
infinite volte è uguale ad infinito.
Questo, in termini fisici, significa che la realtà presente si
distrugge e si ricrea infinite volte, perché può essere ripetuta
infinite volte, da ogni punto più tre ipotetico ad ogni punto
zero e viceversa, ma sarà sorprendentemente sempre diversa
dalle altre.
Quell’asse quindi, che è monodimensionale ed ha nel suo zero
un unico punto, inserendo questo concetto, avrà infiniti assi
che lo intersecano ed ogni punto di intersezione di questi assi
con il punto zero, rappresenterà una variabile nella realtà.
Gli assi, che rappresentano le varie possibilità dello
scorrimento lineare del tempo, passeranno in numero infinito
ed in ogni inclinazione.
Immaginate uno di quei vecchi sistemi che i terrestri usano per
misurare proprio il tempo stesso, che chiamano orologio.
Immaginatene uno tondo, alle ore 12.30.
La lancetta delle ore, con quella dei minuti, formerà una retta
che interseca il centro dell’orologio, che in questo esempio è il
nostro punto zero.
Ora, immaginate che queste due lancette insieme, in questa
posizione, ruotino come le pale di un elicottero e diventino
infinite all’occhio ed anche nello spazio dell’orologio.
Quel punto zero sarà toccato dagli infiniti punti zero delle
infinite lancette, nelle sue intersezioni, che rappresenteranno le
infinite realtà che si possono creare in quel solo punto.
Abbiamo portato l’esempio in questo momento su un piano
bidimensionale ed abbiamo già ottenuto un’immagine più
chiara di realtà infinite.
Ma i punti zero sono infiniti, sia sull’asse di esempio
monodimensionale da cui siamo partiti, sia su tutti e tre gli assi
della tridimensionalità.
In sintesi, se abbiamo infiniti assi di uguale misura, di un tratto
di tempo in varie possibili realtà, verrebbe fuori una sfera, dal
cui centro o nucleo tali assi passano fino a comporre la sua
superficie esterna punto per punto, come infiniti diametri.

347
Il nucleo della sfera è la realtà infinita.
Scoperto questo, lo spazio tempo lineare è stato annullato ed
avevamo a questo punto una realtà che si crea e si distrugge
continuamente ed è sempre diversa dalla precedente e dalla
successiva.
Infinite possibilità di realtà presente, significava non avere un
destino od un fato, ma infiniti destini ed infiniti fati.
I terrestri si stanno molto avvicinando a queste nostre teorie
con la loro Teoria delle Stringhe.
Inoltre, una volta studiato il nostro DNA, che abbiamo in
comune con gli umani, perché incrociati con noi stessi,
abbiamo posto l’attenzione sulle sue tre eliche.
Gli umani direbbero, DNA a, DNA b, DNA z.
Cercherò di spiegarvi, facendo riferimento anche agli uomini.
Il DNA a costituisce il presente.
La realtà e l’ambiente circostante che interagisce con l’uomo e
ne informa gli aggiornamenti apportati dall’esterno.
Ecco come voi umanoidi, inizialmente con una pelliccia di
pelo per sopravvivere al freddo, essendo diventati capaci di
costruirvi degli indumenti, avete pian piano perso la pelliccia
di cui eravate rivestiti. Ed ecco perché noi, molto più antichi
degli umani, non abbiamo affatto più peli sul nostro corpo.
Il DNA b costituisce il passato, la memoria cellulare.
Tutto ciò che deriva da quello che si è stati in passato, da
quando eravamo in acqua a quando ne siamo usciti.
Ecco come e perché, voi umani, nel grembo delle vostre
femmine, vivete ancora per nove dei vostri mesi in acqua.
Il DNA z costituisce invece il futuro.
Molti umani, pensano di incontrare qualcuno e dopo qualche
minuto lo incontrano per davvero.
Sognano una persona che non vedevano da anni, per poi
incontrarla realmente il giorno stesso.
Alcuni umani vengono usati per scoprire delitti o prevedere
delitti che devono ancora essere fatti, perché riescono a sentire
quello che avverrà.

348
Tutto questo è sempre stato fatto risalire dagli uomini ad una
sorta di misteriosa casualità o medianità.
Invece noi abbiamo superato tale ingenua considerazione.
Abbiamo pensato che derivasse dal DNA z, come lo chiamano
i terrestri, ed abbiamo approfondito il suo studio.
Tutto comunica mediante l’acqua, di cui siamo composti per il
70%, ma a livello molecolare potrebbe dirsi anche per il 99%.
Essa è il più grande conduttore di DNA esistente in natura.
Abbiamo quindi imparato, prima soltanto in parte, ma ora
molto abilmente a manovrare il nostro DNA z ed abbiamo
compreso come riprogrammare la nostra massa cellulare.
Ora, facendo tesoro della conoscenza che ci informa che la
nostra prima cellula, che si ottiene dalla fecondazione dello
spermatozoo verso l’ovulo, cioè la cellula madre, ed anche la
sua successiva evoluzione, morula e blastula, rappresentano
delle cellule immortali, mentre le cellule derivanti, che si
specializzano nel formare tutto il resto del corpo fino al feto,
perdono questa immortalità, siamo arrivati a pensare di
riprogrammare le nostre cellule, prima ringiovanendole e poi
dopo facendole diventare immortali, utilizzando, tramite il
DNA b, la stessa immortalità che la nostra cellula madre aveva
quando siamo stati creati ed usandola per informare
nuovamente tutte le cellule del corpo.”
In effetti, voi uomini avete spesso superficialmente tralasciato
il fatto che esistano delle cellule immortali in natura, sia nel
vostro corpo evolutivo, che in altri esseri viventi, come alcuni
vermi ed alcune meduse.
Nei cerchi disegnati sul grano, abbiamo anche cercato di
farvelo intuire.
La medusa l’abbiamo disegnata più volte.
Nel frattempo, An e Denis guardavano En Ki con aria
sbalordita e la bocca quasi spalancata.
Stava dicendo a suo padre ed al terrestre, che aveva scoperto il
modo di sfruttare l’immortalità cellulare, come se stesse
raccontando un esperimento con il bicarbonato di sodio.

349
An a questo punto intervenne, fino ad allora era stato così
interessato al racconto del figlio che non aveva voluto
interromperlo.
“Ma figlio mio, perché non me ne hai mai parlato?”
“Non lo so Padre, ma non volevo che tu creassi
involontariamente una nuova guerra con mio fratello En Lil.
Lui non mi avrebbe neppure ascoltato e non ha mai voluto
conoscere nuove strade, ma usare sempre e solo le vecchie.
Gli esseri viventi più forti non sono quelli versatili alla
conservazione dello stato in cui sono, ma quelli più adatti al
cambiamento.
Lui ti avrebbe detto che non era interessato ed avrebbe fatto
guerra a me, come in molti casi è già accaduto.
Credimi Padre, non ci serve un’altra guerra adesso.
Fortunatamente questo ragazzo è arrivato in un’epoca dove,
dopo migliaia di anni, era giunto il momento di svelarti questo
segreto e mi ha ispirato a farlo.
Se proprio vogliamo essere falsamente immortali e privarci
invece della vera immortalità, che costituisce quell’Eternità
che acquisiremmo in un altro stadio di evoluzione, meglio
esserlo con la forza di Madre Natura e non con l’energia
rubata ad altri esseri innocenti, interrompendogli per altro la
loro naturale strada evolutiva.”
An guardava il figlio e faceva trasparire tutta la sua gratitudine
ed il suo orgoglio nel sentirlo parlare così.
“Abbiamo vissuto milioni di anni ed io non ero ancora arrivato
ad un vero stato di felicità.
Ho sempre intuito che ci fosse qualcosa di veramente storto in
quello che facevamo per vivere.
Ma io sono un Elohim ed ho ereditato questo mio modo di
essere dall’Elohim che mi ha preceduto ed anche lui come me,
dal suo predecessore.
Ci siamo tramandati l’errore ed abbiamo pensato che fosse
così, ma qualcosa dentro di me, mi ha sempre suggerito che
non poteva essere tutto qui.

350
L’umano ha detto bene, anche milioni di anni senza il vero
Amore non sono che il nulla.
Ed una volta che quell’Amore si prova, non si dimentica più.
Ognuno di noi, prima di essere considerato e chiamato
Demone, dalle tante razze che abbiamo sopraffatto, ha avuto
un vero contatto con la propria Anima ed amato realmente
almeno una volta nella sua esistenza.
Poi ci siamo addormentati nel nostro sapere e nel nostro
rivivere ogni cosa in modo spropositato.
Elì ti dona il tempo giusto per vivere il tuo stato di evoluzione,
che tu sia una crisalide o che sia un Elohim e non si dovrebbe
mai manipolarlo in modo innaturale.
Nessuno quindi, compresi noi, dovrebbe violarlo a discapito di
un altro.
Per questo sbaglio la sua pena sarà l’allontanamento dal vero
scopo della vita di ogni essere del Cosmo, l’Amore ed il
ritorno all’Eternità della Creazione ed alla Fonte originaria.
La vita è così perfetta che nessun altro stadio può apportarne
beneficio.
Nessun altro, se non il suo stadio naturale.”
An aveva parlato.
Ora il suo pensiero era finalmente una posizione irreversibile.
“Padre, ma allora cosa facciamo con mio fratello En Lil?”
Disse il figlio En Ki.
“Dovrà capire che sta sbagliando, è per il suo bene.
Non voglio che continui così ad essere privo di amore e solo
per la guerra.
La sua lunga vita di odio deve essere portata a compimento,
perché lui ne inizi una diversa, ma come Elì vorrebbe che
fosse, anche se ci ha sempre lasciato fare, come fa con tutti,
affinché l’evoluzione avvenisse in modo naturale.
Sarò io stesso ad occuparmi di tuo fratello, figlio mio.”
Intervenne a questo punto Michele, che fin’ora aveva solo
ascoltato.

351
“Diversamente, se si ribellerà, riuscirò a convincere il Signore
En Lil, proprio come feci con Lucifero e sicuramente capirà o
verrà in cielo con me a battermi.
Se vuole continuare a rimanere nel suo errore, lo farà senza di
me.
Quello che ha detto prima En Ki e poi suo padre An è giusto e
lo condivido pienamente.
Lo difenderò con tutto me stesso, come ho sempre fatto
quando ho visto dov’era la giustizia.”
An ascoltava e sapeva che l’Arcangelo Michele era li per
queste situazioni e non poteva essere fermato da nessuno,
nemmeno da lui stesso, come se fosse una sorta di giudice a
difesa della loro razza ed ora anche di quella umana che ne era
derivata.”
Denis ed Hac Him erano ormai da tempo zitti ad ascoltare e
non osavano aprire bocca.
Ritornò a parlare il Signore An.
“Tu, comandante Hac Him, hai fatto un ottimo lavoro, degno
delle belle aspettative che Michele aveva detto sarebbero
arrivate da te.
Ora, accompagnerai questo umano nuovamente nella sua
dimensione e lo aiuterai a diffondere il nostro messaggio a
tutti i suoi fratelli terrestri.
Non è compito nostro stabilire come deciderà di farlo, anche
se lo proteggerò ogni volta che lo sentirò invocare il mio aiuto
e lascerò te insieme a lui, come suo consigliere e guida
interiore.
Che sia una altro umano ad indirizzare il suo popolo verso la
strada che egli gli indicherà.
Ora sa come la pensano i suoi creatori e sa pure che i suoi
creatori sono stati a loro volta creati e non possono
considerarsi la verità assoluta, che invece è contenuta solo
nella nostra Anima, figlia di Elì.
Sa anche che se il nostro sviluppo evolutivo è in un punto
diverso, la nostra Anima invece è nel medesimo punto e forse
quella umana è anche più attiva in questo momento.

352
Michele vi accompagnerà sulla Terra e poi lascerà l’umano ad
Hac Him, che sarà sempre il nostro punto di contatto con lui.
Farete quello che potete per indicare ai suoi fratelli umani la
strada che devono prendere per non continuare a commettere il
loro errore, che per giunta è stato ereditato proprio da noi
stessi.
Inseguire la via della materia a discapito della via dello Spirito
e dell’Anima.
Direte loro che presto non vi saranno più demoni a tormentarli,
ma che però da quel momento, ogni loro errore sarà solo un
loro errore.
Che ora possono riscattarsi, ma non avranno più scuse né alibi
da esibire per giustificare la loro schiavitù mentale.
Ogni mio suddito lascerà il vostro campo dimensionale e vi
lascerà liberi, come avremmo dovuto fare sin dall’inizio.
Ma ricordate, andati via noi, non sarà andata via l’oscurità che
è parte della Creazione di Elì e nemmeno noi possiamo
eliminare.
Va, adesso.
Hai la mia parola umano.
Tu, che hai avuto il coraggio e l’incoscienza di venire ad
affrontarmi sin qui nel mio morente Pianeta Nave, che è
snaturatamente diventato ormai tale.”
An fece cenno di andarcene e ci salutò alzando la mano destra,
come a benedire il nostro ritorno.
Mi fecero ritornare indietro con Denis e Michele volò con noi.
Intanto Padre Patrician e Mauro Canati avevano messo sul
fuoco la quinta caffettiera, ed erano abbastanza tesi.
Ad un tratto, ecco la luce rossa ritornare sulla poltrona e piano
materializzarsi la prima ombra di essere umano.
Canati sbalordito lasciò cadere la sua tazzina.
“Porca mi…come scotta! Mi è caduta la tazzina! Ecco Padre
Patrician, sta tornando, deve essere Denis.”
Patrician andò subito accanto alla poltrona e si mise in
posizione operativa.

353
La luce cambiò i suoi colori in senso quasi contrario a quello
della volta precedente ed infine divenne blu.
Al blu, Denis divenne praticamente riconoscibile all’interno
dell’aurea di luce che era però avvolta da un'altra forma
vivente di colore arancio chiaro.
Intorno alla sua aurea si scorgevano delle ali ed una grossa
spada in un fodero dietro, tra la spalla ed il collo.
Era Michele Arcangelo.
Eravamo nella sua Chiesa di Craiova.
Padre Patrician scoppiò in lacrime e si inginocchiò, mettendosi
a pregare, disse a Canati, che ormai era quasi svenuto:
“Mauro è il nostro Arcangelo Michele.
Ha fatto un altro dei suoi meravigliosi miracoli.
Ci ha riportato indietro Denis.”
Canati si mise sulle ginocchia ed abbassò la testa in segno di
preghiera, quando la rialzò, l’Arcangelo era scomparso e
Denis era lì di fronte a loro.
“Aspetta Mauro, adesso dobbiamo riportarlo tra noi e non
posso commettere lo stesso errore della volta scorsa.”
Padre Patrician si mise accanto a Denis e gli sussurrò, in ogni
minimo particolare, il tipo di respirazione che doveva fare per
ritornare sveglio.
Ad un tratto, dopo una espirazione più veloce, Denis iniziò a
respirare in modo del tutto normale ed aprì gli occhi.
“Sono qui, Padre Patrician.
Mi ha riportato a casa?”
“Veramente non ti ho portato io, ragazzo.”
“E chi allora?”
“Sei stato condotto qui da noi dall’Arcangelo Michele.”
“Vero?
Adesso non ho dei ricordi nitidi di quello che mi è successo,
ma ricordo che ci fosse anche lui, ed anche Hac Him è tornato
con me sulla Terra.
A proposito, in tasca ho un biglietto che deve avermi lasciato,
da dare proprio a te.

354
Adesso, mi faranno un po’ riposare e poi organizzare con voi e
con i Cardinali, ma presto avrò di nuovo il mio solito contatto
con lui.
Non mi abbandonerà, anche se lui non l’avrebbe mai fatto lo
stesso, è l’ordine ricevuto direttamente da An.”
Patrician disse con voce flebile:
“Chi An?”
Quell’An?”
Denis rispose sorridendo.
“Se non credete che sia un sogno, che ho fatto nel posto in cui
sono andato, scomparendo dalla vostra vista e da questo piano
esistenziale.
Quell’An.
Proprio quell’An.”
Patrician, curioso com’era, slegò subito le cinture a Denis e lo
pregò di controllare se avesse veramente un biglietto nella
tasca dei pantaloni.
Denis controllò e lo trovò, porgendoglielo.
Il Prete Ortodosso si mise subito gli occhiali ed iniziò a
leggere.
Dopo un po’ alzò gli occhi al cielo e ringraziò.
Canati chiese incuriosito.
“Padre, ma cosa c’è scritto?”
“C’è scritto, manda in contro fase due frequenze, una positiva
e l’altra negativa, ma con la stessa base numerica, facendole
vibrare insieme, ed annullerai la negativa portandoti il campo
vibrazionale pulito.
C’è scritto quello che stavo cercando da dodici anni.
Cioè, cosa devo fare per riuscire ad annullare il disturbo in
bassa frequenza che produce la vibrazione che non ci consente
di collegarci liberamente con Anima.”
“Che significa?”
Ribadì Canati, che non aveva capito granché.
“Significa che potremo stabilire un contatto con Anima,
appena messe appunto le ultime modifiche ai miei esperimenti
sul campo vibrazionale.”

355
Denis li guardò e disse:
“Mauro, qualsiasi cosa possiamo fare, la faremo in un altro
momento.
Portami a Roma, ti prego.
Voglio andare a casa.”
Canati guardò Denis, come poteva fare solo un fratello
maggiore e vide in lui uno sguardo che lasciava trasparire che
quel viaggio che aveva fatto con Hac Him, non era stato
proprio per niente un gioco.
Sembrava essere dimagrito di dieci chili in un paio d’ore, cioè
quelle che aveva impiegato a ritornare tra gli umani.
“Certo Denis, ripartiamo subito.
Tanto ormai all’aeroporto ci conoscono, forse non ci fanno
fare nemmeno il check in.”
Mauro non aveva perso il suo senso dell’umorismo e Denis
che aveva uno sguardo molto provato, sorrise di nuovo.
L’uomo aveva veramente un aspetto sconvolto e sembrava
anche molto spaventato e Canati stava solo cercando di
sdrammatizzare, come era solito fare in ogni situazione
difficile.
Era un brav’uomo Mauro Canati e si era già affezionato a
Denis che era parecchio più piccolo di lui da essere chiamato
ragazzo.
Quel fratello più piccolo che non aveva mai avuto, ma sempre
desiderato.
Il giorno dopo partirono per Roma.
Patrician Petrescu, Mauro Canati e Denis Spadaro.
Posti 19a, 19b, 19c
Wizz Air delle 15.45.

356
Capitolo undicesimo
IL FILM PRODOTTO DALLE RETI NAZIONALI DEL
PONTEFICE

Sabato pomeriggio.
7 Agosto 2021.
Undicesimo giorno.
Città del Vaticano.
Intanto a Roma, il Pontefice aveva messo tutto nelle mani del
Cardinale De Cirillis, poiché riteneva che questi casi fossero
più adatti ad essere condotti da uno come lui.
Dopotutto, per essere indipendente da ogni condizionamento
riguardante ogni sua futura decisione, il Papa aveva scelto
deliberatamente di non leggere il libro, soprattutto i suoi
capitoli finali.
Decisero di avere udienza il giorno dopo del loro primo
incontro, sempre nel solito posto.
De Cirillis e De Patris ormai procedevano insieme, si fidavano
l’uno dell’altro, erano uomini che sapevano vedere il male nel
prossimo, anche solo a pelle, quindi capirono che la loro
interazione per il proseguo della delicata faccenda poteva
essere soltanto un bene per tutti.
Alle 17.00 in punto erano lì davanti a sua Santità.
Naturalmente nessuno più li inseguiva.
L’Opus aveva scelto di seguire il caso di Denis e non c’era
nessun complotto contro chi cerca di cambiare l’ufficialità
delle notizie che la Chiesa ha sempre diffuso, ma solo la solita

357
grande attenzione che quello che viene a galla sia vero e venga
riportato in modo corretto e costruttivo.
Almeno loro, avevano sempre agito così.
Spesso, questo modo di fare era stato strumentalizzato e si era
rivelato come una sorta di mistificazione della verità, a
discapito di chi invece reputava giusto diffonderla
deliberatamente.
Si trattava di un degenerato effetto collaterale, dovuto al
tentativo di conservare il potere acquisito e non rischiare di
perderlo, rendendo indipendente il pensiero dei fedeli,
esercitato solo da un piccolo ma influente apice occulto della
Chiesa, che aveva sempre visto estraneo il ruolo della
Prelatura dell’Opus.
Alla fine le vere fonti storiche documentate del sapere
spirituale, se così può essere definito, erano sempre arrivate
anche e soprattutto al Pontefice, che aveva spesso deciso di
mantenere il segreto, solo per non creare confusione e
disorientamento, anche se purtroppo in tutto questo c’era
sempre stato lo zampino di quel potere non ufficiale che si
muoveva dietro le quinte del Vaticano e desiderava solo che
non trapelassero notizie che non fosse possibile
strumentalizzare e mettere a proprio servizio.
Adesso quei tempi erano finiti, la gente aveva bisogno di
sapere o non avrebbe avuto più fiducia in quel vecchio e
malandato carro che la Chiesa Cattolica stava trascinando da
ormai tanto tempo, attaccata da tutte le parti com’era, da
chiunque volesse approfittare delle molteplici notizie scandalo,
diffuse giustamente, ma spesso strumentalizzate dai media, per
mettere il dito nella piaga e colpirla mentre ancora barcollava.
Pedofilia, omosessualità, crimini di omicidio, sporchi affari
d’intrallazzi economici, facevano parte degli uomini della
Terra e la Chiesa era fatta di loro, quindi non poteva esserne
immune, ma la gente ormai, non avrebbe capito.
Ora quindi forse era arrivato il momento di cambiare, oppure
sarebbe stato troppo tardi.

358
Nessun segreto che fosse reputato attendibile andava più
tenuto all’oscuro, al massimo andava protetto per essere
tramandato correttamente, ma con la sincera intenzione di
diffonderlo e metterlo a disposizione di tutti.
Denis Spadaro poteva rappresentare un’opportunità del genere.
Sua Eminenza De Cirillis consultatosi con il De Patris, chiarì
al Pontefice le loro intenzioni di rendere pubblico l’accaduto,
il quale reputò che fosse proprio venuto quel momento, ed era
pienamente d’accordo con i suoi Cardinali.
La gente doveva sapere chi fosse realmente il Cristo, venendo
a conoscenza soprattutto di chi fosse il demone con cui si era
sempre battuto per proteggere voi uomini, che lo aveva tentato
e minacciato nei suoi momenti di più grande debolezza.
Il demone, di cui tanto avete timore e del quale la Chiesa parla
in modo assai poco approfondito, avendo addirittura istituito in
Vaticano, una scuola di esorcisti e studiosi dell’occulto quasi
sconosciuta dal popolo Cristiano.
Naturalmente, una determinante influenza all’interno del
Clero, proveniva anche da noi stessi, che avevamo infiltrato
diversi uomini che ci erano fedeli, tramite l’appartenenza ad
alcune famiglie a noi collegate e spingevano sempre per non
condividere i segreti e le grandi verità con il popolino, che
invece doveva sapere solo lo stretto necessario ed essere
sempre dipendente dalle nostre conoscenze.
Dopotutto noi eravamo dappertutto, è chiaro che dovessimo
essere anche nella vostra più alta istituzione religiosa, era tra
l’altro quello che ci interessava di più.

Il giorno del Signore sia imminente, affinché nessuno


v’inganni in qualche modo. Prima infatti dovrà venire
l’apostata e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo, il figlio della
rovina, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere
che viene detto Dio o è oggetto di culto fino a sedere nel
tempio di Dio, ostentandosi come Dio.
(Apostasia di Sant’Agostino/II Lettera ai Tessalonicesi)

359
Alcuni vostri Santi veggenti, ci avevano visto prendere piede
nel vostro mondo ed avevano cercato di avvisarvi tramite le
Sacre Scritture, di questo brutto momento che avrebbe colpito
l’intera umanità.
Ma adesso una parte di noi, me compreso, stava venendovi
incontro e volevamo veramente aiutarvi.
An era con noi.
Sicuramente non sarebbe stato capace di convincere suo figlio
En Lil, che avrebbe trovato altre strade per intervenire e
disobbedirgli.
Purtroppo eravamo collegati a voi anche tramite il DNA e non
potevate ritenervi del tutto puliti geneticamente, seppure,
senza la nostra diretta presenza al vostro interno, visto che il
popolo di An obbediva solo a lui, vi avrebbero lasciati come
aveva comandato il loro Elohim.
Voi uomini siete mezzi demoni, e questo non si può negare,
almeno in termini genetici, presenze a parte.
Metà luce e metà ombra.
Ma senza di noi e la nostra oppressiva presenza, avvenuta
subito dopo la vostra creazione, avevate sicuramente molte
speranze in più di farcela.
L’Apostata venne chiamato l’Iniquo, proprio per questo, dal
vostro Sant’Agostino.
Perché, egli è il Demone che cerca di portarvi lontano dalla
strada della vera evoluzione, che avviene invece in modo equo
e senza ingiusti inquinamenti del male, che provengono da
esseri che si intromettono.
Adesso, se fossimo riusciti a liberarvi da noi, avreste avuto la
vostra giusta equità nello scegliere liberamente il vostro
cammino, tra luce ed ombra, e niente vi avrebbe indotti
subdolamente verso l’una o verso l’altra, se non il vostro
libero arbitrio.
Nessuno di noi si aspettava che En Lil si arrendesse alla
volontà del padre An.
L’unica strada che avrebbe percorso sarebbe stata quella
dell’odio ed avrebbe persino sfidato l’Elohim Padre An,

360
considerandolo un traditore della propria razza e portandolo in
guerra prima ancora di portarci suo fratello En Ki e
l’Arcangelo Michele.
Il vostro Giovanni vide forse questo momento?
Egli parlò di due forze, due Bestie, che sembravano essere
amiche, ma una di esse era ferita mortalmente, non si sa per
mano di chi, visto che pareva governare e controllare tutto.
La sua debolezza arrivò fino a permettere, seppure guarita, alla
seconda Bestia, di esercitare il proprio potere, lasciandola
esposta solo per essere adorata, ma prendendo il suo comando
in suo nome.
Giovanni, sembra parlare della caduta di An.

11 Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia, che aveva due
corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un
drago. 12 Essa esercita tutto il potere della prima bestia in
sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare
la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. 13 Operava
grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra
davanti agli uomini. 14 Per mezzo di questi prodigi, che le era
permesso di compiere in presenza della bestia, sedusse gli
abitanti della terra dicendo loro di erigere una statua alla
bestia che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. 15 Le
fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché
quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte
tutti coloro che non adorassero la statua della bestia. 16
Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e
schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla
fronte; 17 e che nessuno potesse comprare o vendere senza
avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del
suo nome. 18 Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il
numero della bestia: essa rappresenta un numero d’uomo. E
tal cifra è seicentosessantasei.
(Apocalisse di Giovanni 13. 11/18)

L’Arcangelo Michele era pronto.

361
Avrebbe solo aspettato il suo momento.
Ed aveva il consenso di An, che forse aveva previsto che
qualcosa gli sarebbe sfuggita di mano.
E’ questo che sarebbe dovuto forse accadere, se fosse stata
giusta l’interpretazione delle vostre scritture.
An avrebbe perso la sua battaglia col figlio En Lil, che
avrebbe preso il suo posto, costringendolo a condividerne le
scelte davanti al suo popolo, ed il futuro del nostro mondo
sarebbe finito solo nelle mani di En Ki e dell’Arcangelo
Michele.
Ecco quindi l’Apostata Iniquo, una statua parlante, proprio
come un vero essere vivente, che rappresenta un falso An, che
invece non avrebbe mai fatto nulla del genere, perché è
animata da En Lil in persona.
E adesso, come fare ad aiutarvi?
Come fare a prepararvi a tutto questo?
Certo io avrei rivelato queste mie intuizioni a Denis, e l’uomo
ne avrebbe sicuramente parlato al Pontefice ed ai Cardinali,
ma come si poteva fare per aiutarvi concretamente?
Non si poteva aspettare l’ultima battaglia di Michele
impreparati, attendendo inermi il suo intervento.
Il Pontefice seppe che Denis stava tornando dall’ennesima
andata a Craiova, accompagnato dall’agente Mauro Canati e
stabilì che il giovane per il momento andava fatto tornare a
casa.
Si sarebbero visti dopo due settimane, il ventuno del mese, a
Castel Grandolfo.
I Cardinali erano d’accordo, l’uomo non tornava a casa da
ormai troppi giorni, era giusto che non facesse preoccupare la
sua famiglia.
“Cosa dice il libro, finora De Cirillis?
Sto andando bene?”
Il Papa, dopo aver pronunciato le sue disposizioni, chiese a
Padre Giacomo, sorridendo.
“Santità, non che sia di vitale importanza per noi, ma
comunque sta rispettando fedelmente il copione.”

362
“Benone!”
Disse il Pontefice.
“Mi sento molto più sereno.”
Ma, sorrideva, come se in realtà non gli importasse granché.
Atterrato a Roma, Denis chiamò Padre Giacomo.
Ora poteva usare liberamente il suo telefono cellulare.
Quel genere di problemi era finito, ma adesso i problemi erano
altri.
I due Cardinali avevano appena lasciato la residenza del
Pontefice in Vaticano e si stavano recando a casa propria.
“Cardinale De Cirillis, sono Denis.”
“Uè uagliò.”
Disse Padre Giacomo, usando un’espressione dialettale del
loro paese di origine.
“Sei arrivato?”
“Si, sono a Roma.
Però vorrei tanto prendere il treno per Foggia.
Non ce la faccio più.
Voglio andare un poco a casa mia.”
“Ed è quello che farai.
Noi ci rivedremo a Roma il 21 Agosto e saremo tutti a Castel
Grandolfo, ospiti del Santo Padre.
Ti aggiornerò io successivamente su ogni dettaglio.
Ora dici a Canati che ti porti a Roma Termini e ti metti nel
treno per Foggia.”
“Grazie Padre Giacomo, senza di lei non ce l’avrei mai fatta.
Non saprò mai come ringraziarla.”
“Vai a casa ragazzo, non sei tu che devi ringraziare.”
Denis era molto stanco, aveva passato dei giorni interminabili
come se stesse in uno di quei film che si vedono al cinema e ti
lasciano attaccato alla poltrona, ma questa volta non aveva una
poltrona, anzi, lui era quello che correva e doveva ancora
correre molto, perché non era finita qua.
“Allora, ci vediamo presto Denis.
Ti raccomando ragazzo, per qualsiasi problema, hai il mio
numero.”

363
Canati era sotto al finestrino e Denis era sul treno.
“Certo Mauro, se ci sono problemi ti chiamo.
Ci vediamo il ventuno.”
Denis aveva un leggero stato di inquietudine che si era portato
dietro da questa assurda esperienza, soprattutto dal viaggio in
Romania, dove Padre Patrician lo aveva condotto in mondi che
nemmeno immaginava esistessero.
Si sedette in un sedile di seconda classe.
Di fronte a sé, c’era un anziano signore che leggeva il suo
libro.
Peter Pan.
“Che bello, essere ancora alla ricerca del fanciullo che c’è in
noi.”
Pensò tra sé l’uomo, mentre leggeva il titolo sulla copertina
del libro di quel signore.
“Mi servirebbe adesso un po’ di quella sana incoscienza,
perché non posso pensare a quello che mi sta accadendo, senza
che mi venga ansia ed anche un leggero stato di panico.
I bambini invece affrontano tutto con quell’inconsapevolezza
che ti rende la vita semplice.
Spero di riuscire a non deludere nessuno.”
Mentre si perdeva nei suoi pensieri, che lo portavano da una
cosa all’altra nel suo fantasticare, il treno arrivò a Foggia e
Denis subito dopo, prese un autobus per tornare al paese che
era ad una trentina di chilometri dal capoluogo di provincia
pugliese.
Finalmente a casa.
L’uomo viveva da solo e nessuno si era eccessivamente
preoccupato della sua assenza, ma subito chiamò i suoi fratelli
e sua sorella, con una banale scusa, per fare sapere che era di
nuovo a casa.
In quei giorni non riuscì proprio a dimenticare nulla di ciò che
gli era successo e ci pensava e ripensava continuamente.
Dopotutto, lui aveva scritto un libro che pare preannunciasse il
futuro, ed ormai senza preoccuparsi, doveva essere sicuro di
conoscere quello che sarebbe accaduto fino in fondo.

364
Ma neanche lui stesso si fidava pienamente di sé e del suo
libro.
Tutti si fidano di una cosa solo quando la vedono con i propri
occhi e la certezza non te la dà mai la presunzione, ma la vita
che ti mette di fronte al presente.
I giorni passarono per lo più rapidamente.
Il lavoro era lento in quel mese per lui, sistemò solo alcune
situazioni che aveva lasciato in sospeso prima di andare a
Roma e se ne andò qualche giorno al mare.
Che bello il mare della Puglia ed ora Denis lo poteva guardare
persino diversamente da come l’avesse mai guardato.
Ancora gli tornava in mente il discorso di En Ki sul DNA.
Tutte le cose che aveva saputo su questo strano elemento, sul
quale, mai aveva avuto in passato alcuna curiosità.
Ora, seduto sul suo telo verso il mare calmo, lo guardava come
il contenitore del tutto.
Dentro di esso c’erano tutte le informazioni degli uomini
esistiti.
Prima o poi tutto si vaporizza e tutto ridiventa acqua.
Ed è lì che gli uomini finiscono, prima nel cielo e nelle nuvole
e poi nell’acqua della loro pioggia che si ammassa negli
immensi oceani.
“Ecco perché nel mare ci sentiamo a casa.
Ecco perché nel mare guariamo dai nostri malesseri.
Ecco perché il mare ci ridà la gioia di vivere.
Quando riusciamo ad entrare in condivisione col mare,
prendiamo tutto ciò che c’è di buono in esso.
Perché è lì che sono finite tutte le gioie e tutte le guarigioni
umane ed è nel mare che ritroviamo noi stessi nella comunione
con il tutto.”
Denis vide per la prima volta il mare con occhi completamente
diversi, che sembravano stare guardando il punto di ritorno a
casa.
Nessuno poteva dirgli cosa fare, in quella, a dir poco
allucinante, situazione in cui si era cacciato, e quindi non si

365
confidò con amici o partenti su cosa stesse vivendo, preferiva
aspettare e vedere gli eventi verificarsi da sé.
Da qualche giorno avevo anche ricominciato a farmi sentire da
lui, con sua grandissima e piacevole sorpresa.
Presto, le due settimane trascorsero e Denis riprese
nuovamente il treno per Roma.
Aveva detto ancora ai suoi parenti ed agli amici, che tornava a
Roma per lavoro e che la volta scorsa aveva lasciato cose
importanti in sospeso.
Alle nove e mezza del mattino era già arrivato.
Era sabato, 21 Agosto 2021.
Mauro Canati era stato ormai nominato dal De Cirillis, suo
tutore, fino a quando questa faccenda non fosse finita.
Era lì ad aspettarlo con la Spider rossa, con cappotta aperta.
Questa volta non avevano bisogno di essere particolarmente
riservati, in giro era tutto tranquillo.
Nessuno li stava cercando, o almeno così doveva essere.
Arrivarono in tempo a Castel Grandolfo, dove avrebbero
travato sua Eminenza De Patris, sua Eminenza Giacomo De
Cirillis e Padre Patrician Petrescu.
Il Pontefice li avrebbe ospitati a pranzo e li avrebbe ricevuti
alle 15.00.
Intanto i Cardinali, con Padre Patrician, avevano già incontrato
quella mattina il Santo Padre ed avevano già discusso su cosa
poter fare con quella delicata e pericolosa storia che stava
diventando, Denis Spadaro.
Arrivarono le 15.00.
Una persona di fiducia del Papa, li condusse in una stanza che
il Pontefice aveva fatto preparare per l’incontro, dopo aver
parlato con i Cardinali e Petrescu.
Non era molto diversa da quella in cui erano stati ricevuti,
Denis e Canati a Craiova, nella chiesa Ortodossa Incoronarii di
San Michele e Gabriele Arcangelo.
Quando si incontrarono, il Papa non era ancora arrivato.
Li raggiunse dopo qualche minuto.
Dopo le presentazioni ed i convenevoli, il Papa si pronunciò:

366
“Ho messo al corrente il C9 di questa faccenda, a dire il vero
mai verificatasi finora, almeno che io sappia, nella storia della
Chiesa Cattolica Cristiana.
Mi hanno detto che sono d’accordo con me, sul fatto di portare
avanti la questione di persona, ma li aggiornerò per ogni
risvolto della cosa che possa diventare per me di delicata
decisione sul da farsi.
Riferirò ad uno di loro in particolare, che mi farà sapere come
la pensano tutti i nove.
Li ho istituiti proprio io stesso per non esser lasciato solo in
questo genere di situazioni.
Non che non mi fidi dei presenti, anzi i due Cardinali qui con
noi sono i miei maggiori referenti in questo momento, ma la
Chiesa non è una semplice istituzione e non lo è mai stata.
Ancor più, oggi, la Chiesa è diventata qualcosa di veramente
molto complicato, essendo una vera e propria potenza
economico politica, che spesso impone la sua posizione su
delicatissimi argomenti di ordine mondiale.
Questo è bene che lo sappiate direttamente da me, anche se
finora l’avete solo sentito dire come critica nei nostri
confronti.
Mi rivolgo a Denis Spadaro e Mauro Canati e a Padre
Patrician, perché i miei Cardinali, sanno benissimo queste
cose.
Voi credenti vi rivolgete spesso a noi degli apici del Vaticano,
come se fossimo responsabili di tutto il male del mondo, ma
mai nessuno ci è grato per tutte le volte che i nostri sacerdoti,
le nostre associazioni, i nostri fedeli, fanno di tutto perché il
mondo creda ancora nelle buone opere e nella comprensione
da dare e ricevere dal prossimo suo.
Il mio popolo è fatto di uomini, non di alieni, Denis Spadaro.
E gli uomini sbagliano e commettono spesso delle atrocità,
dovute a tentazioni peccaminose che non risparmiano un uomo
solo perché indossa un abito sacro.

367
Il mio popolo non è perfetto, anzi è quanto ci sia di più umano
e peccaminoso al mondo, perché il mio popolo è vero ed
appartiene al mondo.
Parlo dei miei cardinali, dei miei consiglieri prelati, dei miei
vescovi e sacerdoti, dei miei aiutanti laici, dei miei fedeli.
Dovrei raccontare a tutti loro, che da oggi hanno una
giustificazione a tutto questo, perché dei demoni alieni ci
hanno manipolati entrando in noi e condizionandoci a fare
peccati?
Dovrei dirgli che da oggi esistono alcuni di loro che vogliono
aiutarci a liberarci di loro stessi?
Dovrei rivelargli una verità che nemmeno io possiedo sulle
radici del male?
Non so se ciò possa essere una cosa buona, ma non so
nemmeno se sia sbagliata, quindi è probabilmente quello che
farò.
Adesso se vuoi Denis potresti fare qualcosa per me.
Sottoponiti ad un’altra regressione ipnotica, per farci sapere
cosa vuole realmente comunicarci l’essere che ti sta dentro.
Vorrei vedere con i miei occhi questa volta.
E se puoi, fammi anche sapere cosa ti ha detto durante tutta
questa sua interazione e la volta scorsa, nell’ultima ipnosi a cui
sei stato sottoposto a Craiova.”
“Certo Santità, lo farò.
Riguardo ad Hac Him, lui mi ha detto tutto di sé stesso, come
sicuramente le avranno già anticipato i Cardinali.
Egli viene da Asterope, dalle Pleiadi della Costellazione del
Toro e fa parte di una fazione di alieni, che noi uomini
chiamiamo anunnaki, che non vogliono opprimere i popoli con
cui vengono a contatto, perché pare non abbiano mai perso,
come invece molti dei loro fratelli, il contatto con la propria
coscienza e la propria anima.
Immaginate che l’Arcangelo Michele, Santo di noi Cristiani,
venerato con molta devozione, dicono essere proprio una delle
loro guide, anche se non è un anunnaki.”

368
A questo punto il Pontefice sussultò vistosamente ed
interruppe Denis, dicendogli:
“Ascolta Denis, ma oltre a parlarci, quando Padre Patrician ti
ha portato in altri mondi con l’ipnosi, tu hai visto qualcosa?
Qualcosa di cui magari vorresti parlarci?”
“Certo Santità. Ho visto.
L’ultima volta sono andato a casa loro.
E’ un pianeta astronave e poiché non conserva la propria
orbita nel girare insieme agli altri pianeti, ma ne ha una sua
molto più larga, che lo fa scomparire per diversi secoli alla
vista, sembra viaggiare per fatti suoi, ma in realtà è
considerato appartenente alla nostra galassia.
Il dodicesimo pianeta.
Proprio quel numero 12, che tanto compare nella quotidianità
di noi esseri umani.
Tale pianeta appare a noi incrociandosi ogni 3600 anni circa.
Le loro prime visite sono state dovute a questi avvicinamenti
che si sono verificati nel tempo e che hanno portato ad un
contatto vero e proprio tra le razze abitanti.
Circa 450.000 anni fa, abbiamo avuto un impatto con un loro
satellite, durante uno di questi incontri ravvicinati, che ci ha
sparati nello spazio in una diversa posizione.
Paradossalmente, dopo l’incredibile distruzione derivata
dall’impatto, la nuova posizione raggiunta, con la nostra nuova
orbita ed il nuovo rapporto geomagnetico con la Luna, hanno
reso possibile la vita così come la vediamo adesso, anche
perché alcuni degli umanoidi che abitavano la nostra Terra si
erano miracolosamente salvati, soprattutto quelle razze che
erano dalla parte opposta alla catastrofe.
Riguardo a noi uomini moderni, dicono di averci creato da un
ibrido genetico incrociato con loro stessi, per mano del figlio
scienziato di An, En Ki e sua moglie Ninhursag, in un’altra
delle visite che ci sono state fatte, successivamente al
cataclisma, intorno a 315.000 anni fa.
Il loro Padre reggente è unico, si chiama An.

369
Non hanno come noi terrestri, vari stati, continenti e nazioni,
con repubbliche, monarchie, parlamenti democratici, ma un
solo grande stato, condotto da lui ed i suoi due figli, con le
loro mogli.
I discendenti diretti ed i parenti, sono altri reggenti, ma non
hanno potere decisionale, se non solo consultativo e di aiuto al
governo.
An è quello che noi umani chiamiamo un Elohim.
I suoi due figli sono En Ki ed En Lil, anch’essi Elohim.
Quello, chiamiamolo così, con buone intenzioni è En Ki.
L’altro è un guerrafondaio divisore che ha spesso sfidato suo
fratello in battaglie sanguinose e distruttive ed è più o meno il
responsabile del degenerato stato di cattiveria e di perdizione
che abbiamo oggi sulla Terra, ottenuto servendosi di alcuni
umani che gli sono rimasti sempre fedeli nei millenni ed a cui
era stato dato pieno potere sugli altri, per controllarci meglio.
Le loro battaglie epiche hanno generato catastrofi che sono
passate alla storia con nomi illustri come, il Diluvio
Universale.
Loro oggi sono tra i nobili aristocratici, detti sangue blu, e tra
le persone di ceto sociale così elevato, da essere estremamente
influenti nella società civile di ogni nazione.
Questi sono dovunque ci sia potere e controllo, forse anche tra
i suoi Cardinali, Santità.”
Il Pontefice, dopo questa affermazione, interruppe Denis e
ridendo ironicamente ribadì:
“Per alcuni dei miei Cardinali non c’è bisogno di certo di un
aiuto alieno.
Va pure avanti, Denis.”
“L’ultima volta, nella Cattedrale Incoronari din Alba Iulia di
Padre Patrician a Craiova, durante questa ipnosi ho incontrato
proprio An.
Sono stato condotto da Hac Him sin davanti a lui, in una
struttura scavata nella roccia su un monte di Nibiru.

370
Egli mi ha fatto molte domande, su quale fosse il motivo della
mia udienza alla presenza di suo figlio En Ki e dell’Arcangelo
Michele.
Ho cercato di spiegargli perché fossi stato condotto lì e quali
fossero le mie ragioni.
Quando gli ho chiesto se fosse possibile lasciare i terrestri in
pace, sono intervenuti in mia difesa suo figlio En Ki e Michele
Arcangelo e dopo aver spiegato i loro punti di vista, An si è
sorprendentemente convinto a dare l’ordine alla sua razza di
lasciarci vivere da soli la nostra vita.
Lui stesso sembrava voler prendere questa decisione da secoli,
ma approfittando della mia presenza sul loro piano
dimensionale ed al loro cospetto, En Ki ha finalmente trovato
il coraggio di rivelargli delle verità inimmaginabili che lo
hanno maggiormente indotto a prendere questa decisione.
An è rimasto sbalordito da tali rivelazioni, dove veniva
addirittura al corrente che tutti i sudditi di suo figlio En Ki,
non manipolavano gli uomini ormai da secoli, ma anzi li
aiutavano e che non potevano essere considerati dei parassiti
energetici, ma addirittura le loro guide interiori.
Tutti quelli che sono parassiti energetici dentro gli umani,
stanno abbandonando i loro corpi, per ordine di An, e li stanno
lasciando finalmente liberi di evolvere senza disturbi estranei.
Però ha voluto chiarire un punto molto importante.
Egli ha detto che non è soltanto questo il problema da
superare, ma bisogna pensare anche alla continuità genetica
derivante dal DNA, che nonostante la nostra liberazione,
rimarrebbe comunque attiva, poiché siamo sempre un loro
ibrido, e su quello ha fatto capire che starà soltanto a noi
essere capaci di compiere l’impresa evolutiva.”
Il Pontefice alzò la mano, come per fermare Denis ed
aggiunse:
“Come la trovo la forza di dire al mio popolo Cristiano, che il
loro creatore non è quello della Sacra Bibbia, della Cappella
Sistina e che non esiste nessun Inferno o Paradiso che sia, ma

371
che invece un essere alieno di nome En Ki e sua moglie,
315.000 anni fa, li ha creati in laboratorio?
E’ facile dire, vuole mantenere il segreto per non condividerlo.
Come direbbero i nostri nemici.
Ma cosa posso fare, perdere il rispetto dei miei fedeli Cristiani
ed essere scambiato per un visionario bugiardo?
Sono qui per proteggere la mia Chiesa e la verità è importante,
non quanto sia importante proteggere la mia Comunità.
Tutti parlano di interessi economici del Vaticano a conservare
il potere, in nome di un Dio punitivo che lui stesso ha creato,
ma a nessuno è venuto in mente che prima di quelli, c’è la mia
volontà di non creare squilibri e destabilizzazioni, in un essere
già così smarrito come l’uomo di oggi?
Renderò pubblico questo accadimento, lo farò, l’ho già detto ai
Cardinali che io sono d’accordo con voi, ma dovrete darmi una
mano a capire come posso fare ad evitare che la mia Comunità
si allontani in massa, pensando di essere stata tradita.
Io vi assicuro che di queste cose non avevo mai neanche
sentito l’esistenza e faccio fatica ancora adesso a crederci.”
Denis domandò al Pontefice attenzione, per poter parlare.
“Di pure ragazzo, adesso voglio sentire proprio voi.”
“Credo di avere un’idea Santo Padre.
Mi è venuta pensando a tutto quello che mi è successo in quei
giorni passati a Roma, dove tra le tante vicissitudini, sono
finito persino a Cinecittà a chiedere protezione ad un mio
amico regista.
Ecco qui venuta fuori l’idea.
Potremmo realizzare un film documentario che parli di questo,
prodotto dalla Chiesa e diffuso nei cinema e nei suoi canali
televisivi nazionali.
Inizialmente il Vaticano potrebbe considerarlo un esperimento
mediatico per cercare di far capire alla gente cosa sia una
presenza demoniaca aliena e che cosa occorre fare per
sentirsene non minacciati o immuni.
La figura del Cristo non avrebbe mai comunque subito alcun
danno, anzi ne verrebbe valorizzata dal fatto che anche gli

372
anunnaki gli portano un grande rispetto e la sua parola è
considerata grande saggezza.
Inizialmente, si potrebbe sostenere, in conferenze e
presentazioni, che si tratta di pura fantascienza e che
rappresenta un modo contemporaneo di comunicare ai più
giovani alcuni messaggi ancora troppo acerbi per essere diffusi
in modo troppo diretto. Poi, se l’esperimento funziona,
gradualmente si potrebbe svelare alla gente che si tratta
comunque anche della verità.
Se occorresse una sceneggiatura fantasiosa, potrebbe essere
utilizzato il mio libro.
Lo metto a vostra disposizione.
Io potrei anche rimanermene da parte in tutto questo, anzi se
fosse così, ne sarei più contento.
Nel libro sono usati pseudonimi e nomi di assoluta fantasia.
Nessuno sospetterà.”
Il Santo Padre dopo averlo guardato con occhi pieni di
curiosità, disse:
“Che ne dite Cardinali?
E tu Padre Patrician?
Canati?
Che ne pensa lei?”
Prese la parola De Patris, che guardando De Cirillis annuire
con la testa, affermò:
“Per noi potrebbe anche funzionare, perché no.”
Subito dopo Padre Patrician:
“Non è davvero male come idea, anche perché si dovrebbe
usare un linguaggio leggero ma diretto e che ci dia la
possibilità di correggere alcuni errori di comunicazione che
potrebbero sfuggire di mano e che in tal caso, in un film,
possono anche essere considerati libertà fantasiose della
sceneggiatura dell’autore.
Un film è l’unica strada che ti consente di fare questo.
Da un film si può andare oltre, ma si può anche tornare
indietro.

373
Chi lo vede può metterci del suo e capire più di quanto sia
stato detto o può non capire e ci sarà sempre l’alibi che è
soltanto un film.
Un film è pur sempre un film, ma il messaggio di risveglio lo
manda.”
Canati intervenne:
“Immaginate, io Matrix non l’ho neanche visto.”
Il Santo Padre guardò Canati senza capire cosa volesse dire.
Denis invece rideva sotto i baffi, mentre i Cardinali
guardandosi con aria divertita, sorrisero.
Questi uomini non avevano perso il sorriso, perché le
difficoltà sono già brutte di loro, se poi si devono affrontare
senza un po’ di sorriso in volto, allora si è già finiti, prima di
finire.
“L’idea del film documentario potrebbe interessarmi
realmente.
Dopotutto è una cosa completamente diversa da ogni
produzione in cui abbiamo collaborato finora.
Potresti chiamare il tuo amico regista, così continuerebbe a
darti una mano e magari nel massimo riservo, potreste tirare
fuori una vostra idea ed io la farei vedere ai nostri
collaboratori che insieme a voi potrebbero preparare la
versione definitiva.”
“Certo Santità, sono a disposizione.
Appena mi sarà possibile, andrò a Nemi con il mio libro a
parlare personalmente con Angelino Ferretti.
Il mio amico regista, si chiama così ed abita lì a Nemi.
Magari conoscendolo dice pure di sì.
Anche se sono certo riderà per un bel pezzo prima di
credermi.”
“Vedrai, poi dopo non riderà più e capirà che c’è veramente
poco da ridere.”
“Certo Santo Padre, farò come mi dice lei.
Dopotutto è solo una nuova versione del concetto di peccato
originale, ma sempre di quello si tratta.

374
Qualcuno che ha commesso in origine qualcosa di sbagliato
che ogni uomo discendente deve scontare, anche se non è un
peccato commesso da lui stesso.
Anzi, in questo caso chi compie il peccato non è neppure un
uomo, perché Adamo anziché farlo, lo subisce.
E comunque, è sempre responsabile lui stesso di ogni sua
azione e di ogni sua colpa, perché essendo Anima può sempre
cambiare il suo futuro.
Peccato originale o meno, DNA o meno, alieni o meno, Anima
è al di sopra di tutto e chiunque ne possegga una non ha
scusanti, può essere tutt’Uno con l’Altissimo.
Può sempre cambiare il proprio futuro ed andare verso la
Luce, passando direttamente dalla Fonte Eterna.
Questo dovrebbe sapere il mondo intero, per non avere alibi e
per non essere finti in una insignificante vita di compromessi
dell’Anima ed inutili aiuti dall’esterno.
Solo l’Amore ci rende invincibili e non ci fa temere, né peccati
nostri, né peccati addossatici.
E l’Amore vero, quello senza finzioni, non conosce
compromessi.
Se vuoi amare devi rischiare di finire nell’oscurità, ed il buio,
deve essere qualcosa da inabissare con il proprio splendore,
non uno spauracchio di cui si cerca di dare la colpa a qualcun
altro.
Si, è vero, qualcun altro potrebbe anche avere delle
responsabilità, ma chi si muove nelle sfere dell’ombra, non
dovrebbe mai spaventare chi ama e si muove nel calore
dell’Amore.”
“Il quale dovrebbe vincere al di sopra di ogni evento.
Questa è la legge del nostro Creatore:
Ti dono l’Anima, ti ho già dato tutto, non devi sentirti debole o
afflitto, ma devi vincere, perché sei Me.
Vincerai se porterai la tua esistenza verso la Luce e l’Eternità.”
Concluse il Pontefice, interrompendo Denis.
Poi aggiunse, rivolgendosi al Padre Ortodosso.

375
“Padre Patrician, cosa è successo quando ha fatto l’ultima
ipnosi a quest’uomo?”
“Santo Padre, qualcosa di straordinario.
L’uomo è scomparso sotto gli occhi miei e di Canati, per
ricomparire dopo un paio di ore, riaccompagnato da un’entità
luminosa che io ho pensato essere Michele l’Arcangelo.”
“Bene, allora non ci sarà più bisogno di riportarlo da quella
parte, mi basta quello che ho sentito dire da lui e quello che mi
ha appena detto lei.
Dopotutto, al C9 dirò che ho sempre letto un libro che
prediceva il mio futuro in modo fin troppo evidente e che tale
fenomeno mi è stato confermato anche da due dei miei più
fedeli Cardinali.
Rinuncerò a vedere con i miei occhi la regressione ipnotica di
quest’uomo, come mi ero prefissato.
Per adesso l’istinto mi dice così.
Informerò il C9 che la mia decisione è presa.
Come capo di questa Comunità Religiosa, credo in quello che
mi state raccontando voi e non voglio aggiungere altro.
Procederemo ad informare il nostro popolo cristiano di quello
che sta accadendo al mondo ed inizieremo proprio con il film
di cui abbiamo parlato con Denis.
Poi vedremo gli effetti sortiti e considereremo il da farsi volta
per volta.
Voi cinque sarete il mio nuovo punto di partenza per la
missione che mi sto proponendo di svolgere in questo nuovo
modo di considerare il mio apostolato e mi aiuterete in tutto.
Sarete il mio nuovo staff che nominerò, i cinque.
Denis Spadaro, sua Eminenza Giacomo De Cirillis, sua
Eminenza Arturo De Patris, l’Agente segreto dello IOR Mauro
Canati e Padre Patrician Petrescu, se non ci sono obiezioni da
parte della sua Chiesa Ortodossa e del suo Patriarca di
Bucarest.
In questi pochi uomini, che si sono presi il rischio di mettere a
repentaglio la propria vita, per una storia, su cui nessuno

376
avrebbe rischiato più di una beffarda risata in faccia, metterò il
futuro del mio pontificato e della mia stessa Comunità.
Ma forse anche molto altro.”
A questo punto il Cardinale De Cirillis prese la sua Bibbia
dalla sua valigetta e lesse ad alta voce:

7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete


quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il
Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei
discepoli. 9 Come il Padre ha amato me, così anch'io ho
amato voi. Rimanete nel mio amore. 10 Se osserverete i miei
comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato
i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo
amore. 11 Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la
vostra gioia sia piena. 12 Questo è il mio comandamento: che
vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13 Nessuno ha
un amore più grande di questo:
dare la vita per i propri amici.
(Giovanni 15. 7/14)

Gli uomini decisero di tornare alle proprie abitazioni per


preparare la loro roba, che avrebbero portato li già dal giorno
dopo, poiché il Santo Padre gli disse che avrebbero iniziato a
lavorare con lui l’indomani stesso e sarebbero stati ospiti a
Castel Grandolfo.
Denis sarebbe andato a Nemi a cercare l’aiuto del suo amico
Angelino, che era matto al punto che gli avrebbe detto forse
anche subito di sì.
Il materiale sarebbe stato visto e valutato dai cinque e poi
passato al Pontefice, che fatte salve alcune eventuali lecite
obiezioni, lo avrebbe passato alla Produzione Media del
Vaticano.
In poco più di tre settimane, quella assurda strana storia di
Denis Spadaro stava per diventare un assurdo strano film.

377
Capitolo dodicesimo
IL PATTO TRA UOMINI E LEONI, IL MALE
INNATURALE, L’ABBANDONO ALLA GUIDA
INTERIORE

Sabato sera.
21 Agosto 2021.
Nemi.
Denis, come tutti gli altri, tornò a casa per prendere la sua roba
nel solito appartamento di Franco Brizio, dove era ospite
insieme a Padre Patrician, che ormai era a Roma da due
settimane, non avendo più fatto ritorno a Craiova.
Il Patriarca gli aveva concesso tutto il tempo di cui avesse
avuto bisogno.
Non erano mai stati cattivi i rapporti tra la grande comunità
Ortodossa Romena, seconda solo a quella Russa, ed il
Vaticano.
In realtà, il Padre Ortodosso pur avendo una personalità molto
bizzarra, nutriva di grande stima all’interno della sua Chiesa,
alla quale aveva dedicato con molta passione e preghiera la
sua intera vita, soprattutto nel combattere il male.
Quello innaturale.
Infatti la vita è fatta di cose belle e cose spiacevoli.
Noi spesso quelle spiacevoli le chiamiamo, male.
Non è sbagliato definirle così.
Male, potrebbe essere una malattia.

378
Male, potrebbe essere invecchiare e consumarsi con il passare
del tempo, con la schiena provata dal lavoro, o con i piedi
consumati dalla tanta strada fatta.
Male, può essere la morte di una persona amata.
Male, può essere l’inabilità di un figlio.
Male, può essere la perdita della libertà.
Male, può essere perdere un amore senza volerlo.
Male, può essere avere fame e non riuscire a sfamarsi.
Male, può essere avere sete e non riuscire a dissetarsi.
Male, può essere non riuscire a sfamare i propri figli.
Il male ha un suo ruolo e non può essere annullato, come non
può essere annullata la notte per favorire il giorno.
Ma anche il male deve essere lasciato come scelta del nostro
arbitrio.
Nessuno ha il diritto di procurarci male gratuitamente e quindi
in modo innaturale.
Dovrebbe bastare quello che è previsto dal nostro karma o
come direbbero i Cristiani, quello che vuole Dio.
Senza però guardare a Dio come ad un’essenza a cui piace
mandare il male alle sue creature, ma vedendolo come
un’energia che ha sempre una ragione valida per farlo, che
quasi sempre parla di evoluzione spirituale e di bisogno
dell’anima, che non sarà mai completamente compresa dalla
ragione.
Immaginate se qualcuno bloccasse i giri della Terra e la
fermasse, facendo essere sempre notte per mesi, da una parte
del globo, e poi dall’altra, come già accade per i poli.
Certo, ci sarebbe ugualmente la notte ed il giorno, ma non
seguendo il ciclo naturale del pianeta.
Così fa chi manipola il male.
Non permette all’uomo di seguire il suo ciclo naturale,
facendolo essere ai poli della sua esistenza.
Ed infatti ai poli la vita è durissima, anche se possibile.
Va quindi fermato il male innaturale e chi lo fa, ma non perché
l’uomo debba combattere l’oscurità come un fantasma da
scacciare perché non lo terrorizzi, ma perché debba avere

379
l’opportunità di considerare il male come l’arrivo ad un punto
d’inizio, evitando l’intrusione di qualcuno che lo porti ad una
esasperazione tale che invece ti conduce a credere che sia la
fine.
Ecco perché, uomini di fede come Padre Patrician e come
Padre Giacomo De Cirillis avevano scelto questa delicata via
come missione di vita.
Intanto, Mauro Canati accompagnò gli uomini a Nemi nel suo
appartamento ed i due salirono insieme per prepararsi la cena,
dopodiché fare la valigia ed aspettare il giorno dopo per
ritornare a Castel Grandolfo, dove avevano una loro camera e
potevano svolgere la delicatissima missione che erano stati
chiamati a compiere dal Santo Padre, con il benestare del
Patriarca di Bucarest.
Decisero di rimanere a casa, Denis scese a prendere qualcosa
da mandare giù ed una bottiglia di vino rosso e si arrangiarono
così, in modo semplice.
Subito dopo aver cenato, Patrician approfittò per parlare un
po’ con Denis, prima di andare a letto.
Era un gran bevitore e dopo aver finito l’ottima bottiglia di
rosso del Salento che aveva portato Denis, riempì due
bicchieri di un amaro nocino, che aveva trovato nella dispensa
e ne offrì uno all’uomo, facendo cin.
“Non dirmi che non bevi?”
“Certo Padre Patrician, berrò volentieri.
Alla sua salute! Grazie per tutto quello che sta facendo per
me!”
“Sai Denis, sono giorni che ti sento dire grazie a tutti e per
ogni cosa.
Certo, hai ragione, potevamo anche crederti pazzo e farti
ricoverare, ma dal momento che non l’abbiamo fatto, non hai
più alcun motivo di ringraziare, perché ognuno di noi sta
svolgendo questo compito credendo in quello che fa e non per
farti un piacere.
Non ti offendere, ma basta con questi grazie.”
“Bene Padre, è stato chiaro, basta con i grazie.”

380
Rispose l’uomo, sorridendo a Patrician, che parlava sempre a
fin di bene, senza sprecare nemmeno una parola di quelle che
diceva.
“Le volevo chiedere un favore Padre Patrician, sperando che
possa acconsentire.”
“Certo, molto volentieri, se sono in grado di farlo.”
“Si tratta di Hac Him.
Mi ha prima rivelato alcune sue intuizioni su come avrebbe
potuto proseguire questa storia e poi mi ha confermato quello
che sta succedendo nella loro realtà dimensionale.
Quello che aveva intuito si è verificato.
Quando An ha richiamato il suo popolo a Nibiru e nei pianeti
base, lasciando libero ogni umano dalla loro subdola
interazione, suo figlio En Lil non ha accettato il suo
comportamento.
Prima gli ha chiesto di desistere e dopo gli ha dato un
ultimatum.
Se non ristabilirà ogni cosa come era prima, lo attaccherà con i
suoi guerrieri fino alla fine di uno dei due.
An non è uno che teme nulla e non crede che suo figlio sia
capace di fare una cosa simile, ma lo conosce bene e sa che
comunque creerà molti grossi problemi.
Tra l’altro, la sua difesa è sempre stata quasi tutta nelle mani
del figlio guerriero.
Dovrà confidare nella sua guarnigione personale, che ha dire il
vero farebbe paura a chiunque e nell’intervento in aiuto di En
Ki e di Michele, che non potranno mai anticipare alcuna
mossa, ma solo aspettare la prima del fratello guerriero.
Per principio, En Ki e Michele Arcangelo non attaccano mai
nessun altro essere, ma agiscono solo in difesa di un attacco
vilmente ricevuto, difendono la giusta ragione.
In quel caso sarebbe così, perché An ha dimostrato di avere
più di un motivo ragionevole per aver preso quella decisione,
seppure dopo migliaia di anni.
Il Generale Michele teme che An possa perdere e spera che
non gli capiti il peggio.

381
Hac Him dice che nelle nostre Sacre Scritture, per l’esattezza
quelle di Giovanni l’Evangelista, viene fatta menzione di
questa situazione che si è verificata e che purtroppo non ci
sono buone notizie, riguardo ai suoi risvolti.
Secondo questa interpretazione, An verrà ferito a morte, ma
non verrà ucciso.
Dopo la sua guarigione, suo figlio, senza che il suo popolo
sospetti nulla ed approfittando della debolezza del padre,
prenderà il suo posto ed applicherà il piano progettato per
renderci tutti schiavi, che adesso è in corso ma non è ancora
stato ultimato.
Parla di una grande costruzione, tra le più maestose mai
edificate, con un’enorme statua di oro puro sul suo tetto,
rappresentante il Dio Elohim An, dentro la quale sarà
contenuto il più grande data base esistente, che recherà i dati
personali di ogni essere vivente sulla Terra e farà in modo che
chiunque non sia collegato ad esso non abbia nemmeno la
possibilità di bere e mangiare, quindi sia costretto a morire.
A meno che non torni tecnologicamente indietro nel tempo e si
organizzi come gli indigeni ancora viventi in alcuni posti del
Pianeta, che non sono mai stati dipendenti da questo balordo
sistema di falsa civilizzazione e che sono stati per questo
motivo quasi tutti sterminati.
Giovanni era un uomo semplice, queste cose le ha raccontate
come poteva fare un uomo della sua epoca, ma è stato
abbastanza preciso nel racconto.
Vengo al dunque.
Deve portarmi ancora una volta di là Patrician.
Ho bisogno di parlare con An un’ultima volta.”
“Ma io non posso Denis.
Ma cosa vorresti andarci a fare su un pianeta che non sai se sia
già finito nelle mani di un tiranno che ti vorrebbe
cenerizzato?”
“No, Patrician.
Forse non sono stato abbastanza chiaro.

382
Hac Him mi ha detto che ora la situazione è ancora normale e
che c’è stato solo un ultimatum da parte di En Lil nei confronti
di suo padre An.
Quello che ha aggiunto è solo frutto delle sue intuizioni, che
potrebbe aver trovato conferma nel Vangelo di Giovanni
Evangelista, ma che non ancora è successo.”
Padre Patrician non era affatto convinto di poter fare quello
che gli chiedeva Denis, senza il benestare del Pontefice e dei
Cardinali.
Cosa gli sarebbe successo se per qualche motivo Denis non
fosse più tornato indietro?
Lui, gli ipnotizzati fin’ora li aveva sempre tenuti sott’occhio
sulla poltrona, questa era la prima volta che gli svanivano nel
nulla, per poi riapparire dal nulla.
Non sapeva che fare, non si sentiva preparato.
Rispose:
“Denis, non posso farlo, mi dispiace.
Non posso prendermi questa responsabilità, non sono
autorizzato.
Ti prego non farmi commettere errori da cui non saprei come
uscire.”
“Ma glielo sto chiedendo io Padre Patrician.
Farò un audio registrazione sul mio telefono cellulare, dove
spiegherò chiaramente che sono stato io ad insistere e che lei
non avrebbe voluto.”
Al che il Prete Ortodosso insistette:
“Ma non potresti farlo domani, in presenza di tutto lo staff dei
cinque che il Papa ha voluto?”
“Si, ma se fosse troppo tardi? Domani, potrei trovarci En Lil a
Nibiru, seduto al posto di An.”
Allora Patrician aggiunse:
“Ma non potrebbe dirtelo Hac Him, cosa è successo nel
frattempo a Nibiru, in modo da non farti correre rischi?”
“No, Padre Patrician, l’avrebbe fatto, naturalmente, fosse stato
ora o domani.
Lui è di Asterope, ed è collegato alla Terra tramite me.

383
Sono le uniche due dimensioni che riesce a vedere.
Per avere notizie di Nibiru, ha dovuto approfittare di quando si
è scollegato da me, quando sono stato tanto preoccupato, da
ritornare subito a Craiova.
E’ stato per causa dell’inconveniente della nostra prima ipnosi.
Ricorda ora?”
“Certo, ricordo.
Mi stai mettendo tra l’incudine e il martello, Denis.”
Patrician pensò che se non l’avesse fatto, avrebbe potuto
comunque essere molto sbagliato per il bene della missione da
portare a compimento e che forse Denis aveva ragione ad
insistere tanto.
Dopotutto l’uomo non aveva alcuna voglia di tornare in quel
posto, se lo stava chiedendo lui stesso, la ragione che sentiva
in cuor suo doveva essere più che valida.
Lo era infatti.
“Va bene Denis, mi hai convinto, mettiti sul lettino di quella
camera in fondo al corridoio.
Prendo il mio portatile ed iniziamo subito l’ipnosi.
Tanto tu ormai conosci la prassi e non dovrebbe essere molto
difficile riportarti di là.”
Denis si mise subito in posizione e Padre Patrician, sistemate
le sue cose su un tavolino e piazzata la webcam sull’uomo,
iniziò la pratica di regressione ipnotica.
Dopo le prime respirazioni era già andato.
Questa volta però era rimasto materialmente sul lettino della
casa di Brizio.
Non si era volatilizzato come la volta precedente a Craiova,
per la gioia di Padre Patrician, che tirò un primo sospiro di
sollievo.
Così Denis mi ridiede la sua voce e condussi io stesso il
dialogo col Prete Ortodosso.
“Ora sto andando, Patrician, porto Denis a Nibiru, tu sentirai
solo me, parlare per bocca del ragazzo come sto facendo
adesso.

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Se ci saranno problemi ti chiederò di portarci indietro e tu lo
farai molto rapidamente.
Mi hai inteso?”
“Si Hac Him, ti ho inteso.”
“Andiamo a Nibiru, destinazione dimora nord est del Reggente
An, nella sua casa sul Monte Theom.
Dopo qualche minuto di silenzio, dove si sentiva solo il respiro
lento di Denis, io ripresi a parlare.
“Entriamo nella dimora di An.
Due guardie ci stanno scortando sino davanti a lui.
Hanno capito chi siamo e quindi ci faranno ascoltare dal loro
Signore, se non ci avessero riconosciuti ci avrebbero fermati e
sarebbero stati i primi guai.
Adesso An è seduto di fronte a noi.
Ha fatto cenno a Denis di avvicinarsi, percorrendo quel lungo
corridoio segnato solo da una diversa pavimentazione, ma
senza muri, nella sua stanza buia e piena di pareti alte e
spigolose.
Ora non so cosa si diranno, dovrai aspettare che te lo dica lui
stesso al risveglio, Padre Patrician.”
Denis si avvicinò all’Elohim che era seduto sul suo solito
posto, intento a mangiare qualcosa.
Parlò:
“Terrestre, ancora qui.
Mi era parso di dirti che era meglio non tornare.”
“Si mio Signore, ma devo rivelarti qualcosa che potrebbe
essere molto importante per te ed anche per la mia gente.”
“Bene, se è così importante da credere che questo sia un posto
da frequentare così spesso, chissà cosa mi dirai allora.
Parla, figlio di Adamo.”
“Noi umani abbiamo un libro sul nostro pianeta.
Non appartiene alla cultura di tutti i nostri popoli, ma più di un
terzo degli uomini della Terra lo possiede.
Viene chiamato, Sacra Bibbia.”
An lo guardò sorridendo.
“Lo conosco Terrestre, parla di noi.”

385
“Sono certo mio Signore che tu lo conosca ed è vero, parla
anche molto di voi.
Ma forse, con il passare degli anni, non hai più avuto bisogno
di sapere cosa ci fosse scritto dentro e qualcosa di importante
potrebbe esserti sfuggita.”
“Allora! Che aspetti! Dimmi pure!”
An non aveva affatto modi gentili, anche se era un essere
molto saggio ed equilibrato.
Denis riprese:
“Il libro è famoso anche per avere una parte dove un Santo,
chiamato Giovanni l’Evangelista, da noi reputato visionario,
ebbe immagini forse proprio su questo momento delicato della
storia delle nostre due razze e le scrisse.
Sembra aver rivelato cosa sarebbe avvenuto a questo punto.
Naturalmente, il tutto è stato scritto con la chiarezza che può
avere un essere che ha delle visioni di un mondo che non ha
mai visto e neppure immaginato esserci.
Egli però, sembra proprio parlare di te e di tuo figlio En Lil.
Lui ti ferirà a morte mio Signore, in una battaglia che deve
ancora avvenire e poi prenderà il tuo posto, facendo credere al
tuo popolo ed agli umani sottomessi che è fatto in tuo nome.”
An prese la parola:
“Quindi tu, umano, torni nel mio mondo per dirmi che rischio
la vita per mano di mio figlio?
E per dirmi che è scritto in un libro che predice il futuro?
Ma se è il futuro, come credi di poterlo cambiare?”
“La Fisica Informazionale Signore, dice che possiamo farlo.
In questo momento il punto zero che è nel futuro, dove
avviene quel triste episodio di cui ti ho preannunciato, si sta
distruggendo e se ne ricreerà uno nuovo, quando tu lo eviterai.
Lo ha detto tuo figlio En Ki, ricordi?”
An sorrise al ragazzo.
“Sei venuto fino qui, perché volevi salvarmi la vita?
Ma come può un essere piccolo come te salvare un Elohim?
Comunque sia, mi piace l’intenzione e quindi la premierò.

386
Riguardo ai discorsi sulla Fisica, non so come l’hai chiamata,
riferirò a mio figlio En Ki, è lui che si occupa di questi studi,
ma se dovrò affrontare il futuro di cui mi hai parlato non
esiterò a farlo.
Ti dirò, non mi spaventa affatto.
Era una delle ipotesi cha avevo più considerato.
Riguardo a te, terrestre, ritorna nel tuo mondo e non credere di
poter venire ancora davanti al mio cospetto senza che io ti
fulmini.
Ma ora, siccome ho apprezzato il tuo buon cuore, ti lascerò
andare e ti darò un dono da presentare alla tua gente.
Faremo un patto con voi umani.
Una parte dei miei sudditi, come Hac Him, chiamiamoli di mia
totale fiducia, verrà inviata sulla Terra per fare in modo che
altri esseri come te abbiano una guida interiore, proprio come
tu hai Hac Him.
Gli uomini scelti saranno condotti a te dalla loro guida e tu gli
spiegherai cosa devono fare, fino a farli sentire sicuri di sé,
come lo sei tu.
Sarai in grado di farlo, perché tu hai già anni di esperienza in
questa interazione.
Avrai bisogno di loro per il proseguo della tua missione e loro
con una guida interiore, costituita da tutti miei sudditi di
grande valore, che vuoi umani chiamereste leoni, saranno
molto importanti per la vostra vittoria finale.
Se io perderò, come dicono le vostre scritture, una parte dei
miei più valorosi sudditi sarà dentro di voi sulla Terra a
rendere la vita difficile a mio figlio ribelle.
Perché è li che verrà, subito dopo aver cercato di eliminarmi.
E tu terrestre, questo lo sai benissimo.
E voi, con l’aiuto dell’altro mio figlio En Ki e Michele
l’Arcangelo, cercherete di liberarmi dalla prigionia di quella
statua, che dirà e farà cose che non mi rappresentano.”
“Quindi, lo hai letto anche tu mio Signore quel libro?”
An scosse il capo.
“No terrestre, io non l’ho letto, ti sbagli.

387
Io l’ho dettato.
Giovanni l’Evangelista l’ha scritto.
Tu l’hai letto.
Ora è corretto.”
I due si parlarono ancora, ed An, dopo avergli spiegato tutto
dettagliatamente, concluse dicendo:
“Adesso vai, e non tornare mai più.”
“Certo mio Signore.
Grazie della tua immensa magnificenza.”
Denis si inchinò, fece dei passi indietro senza girarsi, come
voleva la prassi, spiegatagli da me prima di arrivare e poi mi
raggiunse per ritornare nel suo corpo a Nemi, in casa di Franco
Brizio, sul lettino della cameretta del suo appartamento.
“Adesso puoi portarlo da questa parte, Patrician.”
Dissi io, per bocca di Denis.
Il Padre rifece la pratica di risveglio dall’ipnosi e l’uomo prese
coscienza immediatamente.
“Che ti hanno detto Denis?”
Chiese il Sacerdote, preoccupato che non ci fossero cattive
notizie.
“An, ho nuovamente parlato a lui in persona.
Mi ha fatto capire che sapeva bene quello che volevo dirgli e
che quelle scritture le ha dettate lui stesso a Giovanni
l’Evangelista.
Ha comunque apprezzato molto il mio gesto, tanto da dirmi
che altri esseri valorosi come il suo Hac Him verranno sulla
Terra, e si insedieranno di nuovo negli uomini, che adesso per
suo ordine sono tutti incontaminati e liberi e ci aiuteranno con
i loro talenti a farci portare a compimento la nostra missione.
Credo ne avremo bisogno.
Una volta messo in circolazione il film, ci sarà prima un
clamore di giudizi e di gossip e poi se funzionerà la trovata
mediatica, la gente inizierà a voler interagire e cambiare il
proprio futuro per essere in diretto contatto con la Fonte
Eterna.
Ci cercheranno e vorranno sapere meglio.

388
A questo punto, potremmo avvalerci degli esseri amici che
sono dentro noi.”
Patrician lo ascoltò pazientemente e rimise tutto nelle mani del
Santo Padre e dei Cardinali, che avrebbero incontrato il giorno
seguente.
Domenica, 22 Agosto 2021.
Castel Grandolfo.
Roma.
Mauro Canati accompagnò i suoi ospiti alla loro nuova
provvisoria sistemazione, nella residenza estiva del Santo
Padre.
Nel pomeriggio, il Papa avrebbe potuto dargli udienza, alla
presenza dei Cardinali e di tutto lo staff dei cinque.
Si videro puntuali nella solita stanza e decisero di iniziare a
lavorare per la missione da compiere.
Cercare di rivelare alla gente del mondo quel prezioso segreto,
che li avrebbe resi completamente forti o totalmente instabili.
Intanto, quando tutti erano seduti, arrivò il Santo Padre.
“Allora miei cari, iniziamo a darci da fare.”
Denis chiese subito la parola, che gli fu concessa.
“Signori, Santo Padre, Cardinali, Canati, dovrei dirvi qualcosa
che forse vi stupirà positivamente, ma inizialmente, potrebbe
anche molto contrariarvi.
Ieri sera ho convinto Padre Patrician a portarmi ancora di là, in
regressione ipnotica, senza chiedere il vostro parere.
Voi Cardinali, lo avrete letto nel libro.
Ma il Santo Padre e Canati, no.
Mi vedete qui sano e salvo, se fosse stato il contrario, forse
l’avreste reputato un gesto da irresponsabile ed inaffidabile e
ve la sareste presa con il Padre Ortodosso, che ha comunque
insistito tanto perché io non lo facessi.
Vi assicuro che avevo le mie grandi ragioni.
Giovanni 13.11/18.
Gli uomini di Dio non si lasciarono aggiungere altro.
Presero ognuno la propria Sacra Bibbia ed andarono a quel
passo per darvi una lettura.

389
Dopo qualche minuto, Denis aggiunse:
“Abbiamo la certezza che parli di An e di suo figlio En Lil.
Sono venuto a conoscenza che Giovanni sia stato ispirato
direttamente da An, per scrivere tale visione.
Quando questo accadrà, An sarà stato battuto da suo figlio En
Lil, il quale avrà preso le redini del suo popolo, facendo
credere che suo padre sia d’accordo con le sue decisioni.”
Denis raccontò per filo e per segno al Pontefice, ai Cardinali
ed a Canati, quello che aveva appreso su questa avvilente
storia, come aveva fatto precedentemente con Padre Patrician,
per convincerlo a farsi portare in ipnosi nel nostro mondo.
Continuò poi a parlare:
“Dobbiamo sperare che la battaglia nel cielo venga vinta
dall’Arcangelo Michele e da En Ki.
Le scritture ci confortano in questo, nei passi 12.1/3 del
Profeta Daniele, ma dovremo dare il nostro grande contributo.
An ha promesso avrebbe ritirato ogni suo suddito dal nostro
pianeta, ma mi ha garantito che molti esseri come Hac Him,
che lui stesso definisce, forti come i nostri leoni, verranno in
pace dentro gli umani, che se vorranno accoglierli, saranno
aiutati nel delicato e difficilissimo compito.
Faremo in modo che io possa ricevere gli uomini destinati e
spiegargli che non hanno nulla da temere, come mi ha detto
l’Elohim, per evitare panico e paura, in chi potrebbe reagire
male a tale inaspettata possibile intrusione.
Dovremo organizzare un grande esercito, fatto di uomini uniti
agli alieni collaborativi e di uomini liberi uniti tra loro da
incredibili ponti neuronali, che daranno vita ad una sorta di
enorme telepatia interattiva, con cui comunicheremo e che gli
alieni stessi ci insegneranno a creare, ed uniti anche e
soprattutto dalla buona volontà di difendere insieme la nostra
esistenza.
Ci censiremo noi stessi, uno per volta, e così sarà fatto in tutto
il pianeta.

390
Istruiremo un grande libro, con i nostri nomi scritti dentro,
così che ognuno di noi sia ricordato per sempre come attore
protagonista della salvezza del suo mondo, al pari degli altri.
Inizialmente saremo soli centoquarantaquattromila, come
predisse Giovanni. Provenienti da varie parti di tutto il nostro
pianeta, che egli chiamò tribù.
Dopo verranno accettati tutti gli altri che vorranno unirsi, ma
che lo faranno, come dicono le scritture, con vesti bianche,
ossia con il cuore pulito.
En Lil è solito portare le sue guerre fratricide sulla Terra,
perché in questo modo costringerebbe suo fratello En Ki e
Michele ad arrendersi, visto che sa bene che non vogliono
recare alcun danno agli esseri umani, sui quali lui invece
inferirebbe guerra e sangue volontariamente.
Lo farà.
Purtroppo per il nostro mondo, i danni saranno grossi ed
inevitabili e non sarebbe chiaro neppure da chi provengano a
chi non conosce questa storia.
Con ologrammi che sembrano reali, creeranno ogni sorta di
confusione sul ritorno del Messia e con tecniche già esistenti
nella nostra realtà e con le quali siamo già stati attaccati dai
loro seguaci terrestri, senza che la maggior parte di noi abbia
sospettato nulla, provocherà ogni sorta di venti terribili, che
sradicheranno milioni di alberi dalle loro radici e procureranno
maremoti e tsunami senza precedenti.
I mari occuperanno gran parte delle terre.
Aspettiamoci una grande battaglia.
Non è escluso che interverrà una delle loro più forti colonie
che potrebbe trovarsi nascosta da più di dodici mila anni sul
nostro satellite Kingu, ossia la Luna.
Sarebbe la più grande ed insolita guerra di sempre, perché non
è noto sapere in quanti piani dimensionali sarà realmente
combattuta e quale sarà il più importante.
Noi ci prepareremo nel nostro.

391
1 Dopo questo, io vidi quattro angeli che stavano in piè ai
quattro canti della terra, ritenendo i quattro venti della terra
affinché non soffiasse vento alcuno sulla terra, né sopra il
mare, né sopra alcun albero.
2 E vidi un altro angelo che saliva dal sol levante, il quale
aveva il suggello dell’Iddio vivente; ed egli gridò con gran
voce ai quattro angeli ai quali era dato di danneggiare la
terra e il mare, dicendo:
3 Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi, finché
abbiam segnato in fronte col suggello i servitori dell’Iddio
nostro.
4 E udii il numero dei segnati: centoquarantaquattromila
segnati di tutte le tribù dei figliuoli d’Israele.
(Apocalisse di Giovanni 7.1/4)

Servirà la preghiera e la meditazione ed ogni forma di amore


conosciuta dagli esseri umani.
Verranno attaccati i nostri più importanti elementi, l’ossigeno
donatoci dai nostri alberi ed ogni corso d’acqua, dei nostri
mari, laghi o fiumi.
Nel film, spiegheremo che quando questo inizierà ad avvenire,
se ne accorgeranno tutti ed allora dovranno cercarci.
Nel frattempo ognuno faccia quello che gli è possibile per
prepararsi.
Per sapere se sta facendo bene, impari a sentire con amore sé
stesso.
Davvero ogni cosa, ma fatta nel proprio piccolo ed a proprio
modo, con amore e buona fede, sarà sicuramente utile per il
compimento di questa grandiosa missione a cui ogni uomo è
chiamato a partecipare.
Quando, e se questo diventerà reale, faremo quello che
l’istinto ci suggerirà, per evitare che il nostro mondo si perda.
Anche se non si mostrerà in modo evidente in questa
dimensione, sapremo comunque con chi ci stiamo battendo e
lotteremo.

392
Questo perché, il libro lo ha scritto ed il film lo avrà
mostrato.”
I cinque si guardarono in faccia e sembravano essere tutti
d’accordo. Anche il Santo Padre era d’accordo e concluse:
“Adesso non perdiamoci in chiacchiere, c’è molto da fare e
non abbiamo di certo tempo da perdere.
Canati, accompagna Denis a Nemi dall’amico regista ed
iniziamo a metterci all’opera, in pochi mesi voglio il film in
prima visione e l’organizzazione che seguirà la proiezione già
pronta ad agire con un programma efficiente, che cureranno
personalmente i Cardinali.
Io mi fido di voi. Voi fidatevi di me.”
Così, concluse il Santo Padre.
Ed è questo il fulcro di ogni esistenza del Cosmo.
La fiducia.
E’ lei che vince su ogni cosa.
Che cosa sarebbe il mondo se nessuno si fidasse di voi?
In ogni minuto passato su questa Terra, avete messo la vostra
vita nelle mani di un altro essere.
Le braccia di vostra madre, quando eravate bambini.
Le attenzioni e la protezione di vostro padre, sempre presenti.
Gli insegnamenti e la guida dei vostri maestri di scuola.
L’affetto della vostra compagna o del vostro compagno.
La presenza dei vostri amici.
L’amore dei vostri figli, che vi guiderà quando sarete vecchi,
come voi avete guidato loro da bambini.
Guardatevi intorno, ogni cosa che vedete e che usate è basata
sulla fiducia che avete posto nei confronti di un altro essere
umano.
Questo vale per tutti gli esseri del Creato e naturalmente anche
per noi anunnaki.
Nella vostra lingua si dice Fiducia e si dice Fede.
Esse sono le due facce gemelle di un'unica meravigliosa
medaglia.
Abbiate Fiducia.
Abbiate Fede.

393
Epilogo

1 Or in quel tempo sorgerà Michele, il gran Principe, che


vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia,
come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel
tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si
troverà scritto nel libro.
2 Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si
risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna
e per l'infamia eterna. 3 I saggi risplenderanno come lo
splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti
alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.
(Daniele 12. 1/3)

394
Indice

Prologo

I. Confessione di un alieno

II. Villa dei Conti Sarti de Piavonelli

III. Mariele, Cecco ed Andrea

IV. Hac Himact Toraus di Asterope e Denis

V. Denis e la strana schizofrenia.


Il primo addestramento e l’addestramento online
col prete ebreo

VI. La Strega Rossa.


Il passaggio all’addestramento sul campo

VII. Padre Giacomo.


Demoni ed Arcangeli

VIII. In fuga dall’Opus Dei

IX. L’aiuto dagli uomini di Cinecittà.


L’amico regista

395
X. L’incontro ravvicinato con An

XI. Il film prodotto dalle reti nazionali del Pontefice

XII. Il patto tra uomini e leoni, il male innaturale,


l’abbandono alla guida interiore

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