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The World as a black and with polish movie (popcorn at the end of the first half)
Akinetopsia. No, no the corpse examination a la CSI. But my disease. I see the world
frozen in a infinite istant. A unique image. Frame of an event still in progress and
then maybe dead. A cortical area injury, called as a new Zeman Tactics, V5. How? I
Don’t know. A clue I spot. Do you remember Kantor? No one’s of the diagonals! The
guy of Zero Theatre! He that used dummies instead of actors. Well, what I see is a
empty chair. It’s been there in front of my gaze. 20 years. Stalled. Dully stalled.
Space vanquished forever. And the square centimeters nibble under a butt isn’t there.
Say me, I pray you, if you ever came back to sit on this chair. Or did you take it away
with the suitcase? Or remember me anyway, why there is a blank tube of popcorn
over the chair?
Heart Attack
Quando si dice la fortuna? Mi sono salvato da un infarto grazie ad un morso di una
vipera! Vero. Il veleno ha permesso di sciogliere i coaguli nel cuore! Ed io mi sono
ritrovato steso a terra con le mani sul petto e due buchi profondi sulla gamba. Ma
stavo bene. Sto bene. E tu innamorata mia? Ti fanno ancora male i denti?
Banach-Stone
Sono disteso. Su una di quelle tue ipotenuse fatte di mele sciroppate.
Le tue torte quadrate o rettilinee o pressappoco triangoli.
Che i cerchi servono per tenerti i capelli ben stretti sulla testa.
Che i cerchi e non li trovi (ih ih ih) quando liberi fluttuano nella notte.
Ma io dormo, algebricamente dormo, schiuso in uova di ascisse e semiaperto
Insieme di noi. I nostri rintocchi di pelle sarabande stonate. Le stesse
Lenzuola fanno onde che si elidono, ritornando il letto ben fatto. Viviamo la notte
In rettangoli di sonno ed incognite di costole. Ma il teorema di Banach-Stone ci è
Amico. Domani mattina ci ritroveremo a colazione.
Aspirazioni
Arriva il tempo delle ascese noetheriane, finitezza di paradiso, discesa subitanea.
Sugli schemi si mangiano le “r” come marzianetti in cerca di astronavi, le crocette a
penna rossa sulla mappa sgualcita della via.
È il tempo di rilassare le curve, di appoggiare le mani al muro, farsi rovistare nelle
tasche, i treni cercano relazioni binarie sbuffando immobili nelle vecchie stazioni.
E ancora non abbiamo finito che stiamo già ricominciando. Ci si strofina troppe volte
la mano sulla fronte. Non crediamo al sudore. Non sogniamo mai troppo.
Una allegoria conserva appena la struttura dei treni e dei suoi passeggeri: fumo di
carbone e fumo di parole. Abbiamo viaggiato per nutrire l’inutile di frettolose risate e
sguardi magnetici.
Ci accorre in aiuto la definizione di Topos, che ci incolla senza tanti di giri di parole
nel luogo esatto dove mi trovo. Non sono mai salito né sceso.
Ci fanno vincere solo per questo. Per sottrarci alla nostra durata. D’uomo.
Siamo campioni a cui il nulla importa il sudore, il crampo, la mano stesa.
E anche il gioco stesso sembra poco convincente. Regole non scritte. Qualche volta
Suffragate da un colpo vincente, altre sottintese, gialle d’ammonizione, ci si può
Sorvolare sopra ma non proprio così alla buona. Oggi però farò ancora meglio.
Iscriverò il record sulla cera. Più calda che scende tumida di luce e odore di cantina.
E del suono che fanno le ombre quando istantanee scompaiono, ne farò inno e
Sconsiderato tripudio di stadio. Getterò la mia carta vincente senza seme dritta al
Centro del bersaglio. Non potrà che colpirmi. Non potrà sottrarsi al verdetto. I giudici
Sono già stati comprati. Dovrà accorgersi del lato rimasto sgombro. Del pedone
Ormai morto sul campo. E il traguardo è troppo vicino che si taglia col fiatone.
Mi congratulerò come fanno i veri sconfitti. Una mano sulla spalla. E magari ti offro
Da bere.
Otto esche per un solo pesce-gatto! Che ci mangio poi? Le fusa d’acqua?
E all’invertebrata luna. Moscia ingobbita, usata d’altri poeti, quante esche posso
Lanciarle? Che inghiottendo sbuffi come balena indispettita? Che ci mangio poi?
Bandiere americane? Proviamo con le uova. O con le mele maturate sessualmente.
Proviamo a raccoglierle e farle godere di torta. Magari messe sul davanzale. Che gli
Orsi, che gli orsi polari scoordinati, marsicani in pelo bianco, fottuti di riscaldamento
Globale, di marea di luna senza scheletro nell’armadio di Newton, che in mutande di
Corda a fare il bagnetto sulle rive di un mare, di un fiume, di una pozza, l’importante
È che l’acqua sia bassa. Che ci faccio poi? Sazio spazzatura?
Ma facciamoci due conti (e così che piace al duca ricchione), ci sediamo ed
Aspettiamo come ragnatele di puttane. Prendiamo una calcolatrice. Togliamo tutti i
Tasti e facciamo i nostri calcoli, infettati di larva di coseno, che premono sotto
L’uretra, che predicano in pizzicotti di andarli a pisciare in giardino. Facciamoceli
Questi pensieri. Non li lasciamo libellule per un solo minuto sullo stagno con i
Piranha. Dobbiamo venirne a capo.
Dunque abbiamo ingerito il veleno qualche anno fa. L’effetto lento schifosamente
Calibrato, ci ha dato il tempo per la poligamia e giocare nello stesso tempo a scopa
E a hockey (batti il cinque fratellino), e ora d’oocita germina nel cuore stesso del
Mio urlo. Bene. Ora le tossine incassate negli anni dovrebbero rendere gli interessi.
E le pupille ingrossare. C’è una lobby in fondo alla strada. A destra che aspetta in
Nero becchime. Scansa quegli attivisti sociali che sono i semafori. Il cuore dovresti
Sentirlo asfissiato. Ma è tutto motoriamente ponderato. Persino i pistoni. E l’odore
Degli ottani che il fiume sniffa al tuo passaggio. La vedrai un ultima volta.
Con la sua canna in mano e farti ciao da lontano.
C’era questo poeta che sparava alle parole. E dai fogli abbrustoliti cavava il senso.
Una parola rimasta viva sperava di trovare. Una la scorse circondata dal fumo.
“Orfanotrofio” che era un miracolo, così lunga, rimasta incolume. Sillabandola
Prova a ballarci. Poi la piega in due “Orfano” e “Trofio”. Trovato il centro la strappa.
Non è da lui sceglierne la prima parte. Ma di “Trofio” non sa che proprio che farsene.
Se guardo a destra cosa rimarrà sulla sinistra? E se poi subito mi volto, ora, la destra
esiste? Siamo sicuri che domani il numero 7 è ancora inseguito dal numero 6? E
perché il tempo è così incollato allo spazio? Invece di cambiare a suo piacimento
l’ordine del mondo, dribblare gli assi, scambiare i flussi e le figurine dei calciatori?
Siamo proprio così sicuri che il caldo va verso il freddo, che proprio gioisca
nell’unirsi in media, in entropia, in entalpia di giubilo e stretta di mano? E i geni,
questi 4 a due a due, usciti per sfregamento di scimmia sulla linea evolutiva, tracciata
a fumetti, pesce d’uccello ad anfibia rettile in ameba protozombie, macchina
polilogaritmica, a Turing gemellare, a cui fosforilazione zuccherosa, toglie i capelli
dalla testa e dalle mie mani il biglietto del tram? Che non sia stato il vento o la mia
psiche o forse, meglio, della psiche del tram, perché pensano anche loro a furia di
fare lo stesso tragitto, a venire premiati di grasse signore, s’impara a connettersi, a
mettersi in rete, a costruire associazioni di pendolari e vecchi punk che puzzano di
vinile. Si formano pensieri anche così? Davvero?
A John Ellis
Desiderio di luna: ruotare attorno illuminata.
Equilibristi sempre caduti e sempre ritornati in piedi. Ma ancora non siamo vivi.
Persino una candela che brucia è più viva di noi.
AND, OR, NOT, NOR la bussola delle nostre decisioni, logica conclusione, genetica
assuefazione, vivi e lascia vivere, morale definizione.
Nessuno danza se non c’è da mangiare.
La felicità non è che un’equazione di banane e sorbetti al limone.
Desiderio di scoglio: sentire frangersi l’onda addosso.
Viaggiatori di treni alla ricerca di una stazione.
Aspettiamo una somma d’uomini per uscir fuori a gridare la nostra euforia.
Nello spazio platonico dei possibili sguardi, abbiamo visto riflessa la storia ulteriore,
quella che non abbiamo preso sul serio e quell’altra perché troppo a noi simile.
Scelta per stacco o solo cambio di prospettiva. E il mondo è lì sotto la pioggia delle
leggi universali.
Catene ripiegate, prigionieri arrotolati, per meglio farci conoscere al tocco dal cieco
gioco del Destino, siamo il sangue che scorre per nutrire la Storia, fatta a nostra
somiglianza e piacimento.
Desiderio di mare: godere dello spacco liquido d’una coda di balena.
Ripetizione continua senza rimorso del creare per dadi, più facile che immaginare,
meno faticoso che calcolare. Proviamo a giungere le mani tutti quanti, fratelli!
Un Dio appare. Con la testa fra le nuvole.
E vorrei vederlo!
Aspetto il lancio buono. Un paio di occhi (magari azzurri).
2000-2017
1) Non leggere Marcel Proust, non ha mai trovato il tempo di farne, o ha perso
tempo e non sa come cercarlo, trovarlo, il Tempo che gli sfugge come un
anguilla o alla francese un anguilette, termine più diminuito e più adatto.
2) Una donna. Si inizia così. Poi le cose si possono anche disporre a tuo favore.
3) Non leggere Oscar Wilde, dalle sue pagine gronda poesia e tante particelle
aspermatiche. Ti si incollano alla gola, alla testa, alle mani.
4) Un’altra donna. La prima è andata via senza dirti nulla. È uscita senza mai
entrare. L’hai persa nel tempo di ricordarla per un attimo. Anche in questo
caso, potresti avere fortuna.
5) Non chiederti perché. Se lo fai, hai fallito come uomo e come padre.
6) Non leggere Katzantzakis. Mai. E’ solo una delle ultime tentazione. Sorvola.
7) Fatti un uovo sbattuto. Scusami. Fatti una donna.
8) Spermidina. Un composto alifatico, quello fatto con tante C attaccate alle H.
Domanda birichina: Chieti è una città alifatica?
9) Oppure trova una ricetta adatta per questi ingredienti: germi di grano,
formaggio cheddar, funghi, piselli, fegatini di pollo, mango e cavolo, che ne so,
“Fegatini di pollo in crosta di pane ai germi di grano, fonduta di funghi, piselli
e cheddar, su una insalatina di cavolo lesso e mango bruciato”.
10) Non leggere Graham Greene.
11) Spermidina comunque. Anche se è un composto che induce le cellule ad
autofagocitarsi.
12) Se non riesci a procreare, infine, automangiati!