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IL MISTERO DI TUNGUSKA
NOTE DI COPERTINA
Alle sette del mattino del 30 giugno 1908 un‟enorme palla di fuoco esplose nel cielo
siberiano. L‟intensità fu di mille volte superiore a quella della bomba di Hiroshima e
il “fungo” di polveri si sollevò alto verso lo spazio. Oltre millecinquecento chilometri
quadrati di foresta vennero rasi al suolo, l‟onda d‟urto fece tremare il treno della
Transiberiana, lontano seicento chilometri, e si avvertì fino a San Pietroburgo. Per
settimane dopo l‟evento le notti di Londra apparvero incredibilmente luminose. Di
cosa si trattava? A distanza di un secolo è ancora impossibile dirlo con certezza. Un
meteorite? Un‟astronave extraterrestre? Un precocissimo esperimento nucleare? In
questo saggio rigorosamente documentato Surendra Verma racconta l‟incredibile
storia del mistero di Tunguska, a cavallo tra scienza e fantascienza, e, senza
dimenticare i tanti scienziati o i moltissimi ciarlatani che l‟hanno alimentata, avanza
alcune originali ipotesi sull‟affascinante enigma.
SURENDRA VERMA è uno scrittore specializzato in argomenti scientifici. Ha all‟attivo molte
pubblicazioni, tra cui The Little Book of Scientific Principles, Theories and Things (2005). Abita a
Melbourne (Australia) dal 1970.
INDICE
Introduzione
I Fuoco nel cielo
Le ripercussioni in tutto il mondo, 7 – La “lingua di fuoco”, 13 -L‟anno 1908, 15 –
Vent'anni dopo, 17
II Il caso di un meteorite scomparso
Pietre dal cielo, 19 – Una lezione sui meteoriti (e un investimento nei metalli), 21-11
nostro uomo a Tunguska, 26 – Il cacciatore di meteoriti, 29 – La prima spedizione di
Tunguska, 32 -La seconda spedizione di Tunguska, 40 – La terza spedizione di
Tunguska, 43 – La soluzione dell‟enigma, 46
III La storia di una cometa infuocata
La cometa di Carolyn, 51 – Per Giove, è stato un grande spettacolo, 53 – Fu una
cometa a colpire la Terra nel 1908?, 54 – Palle di ghiaccio e polvere, 57 – È stata una
cometa, 59 – Ma si trattava davvero di una cometa?, 64
IV Pericolo asteroidi
Il dito accusatore, 68 – Un asteroide “camuffato” da pianeta, 71 -Il “pianeta” di
Piazzi, 72 – Il dono del nuovo secolo, 75 – Obiettivo Tunguska, 78 – Obiettivo Terra,
84
V Fantomatica Tunguska
Primi tentativi nella ricerca delle tracce, 89 – Le tracce di Tunguska in Antartide, 92
– La testimonianza degli alberi, 94 -Ablazione totale, 98 – Effetti ambientali, 100
VI L‟incredibile viaggio di un buco nero
Un buco nero non è un aspirapolvere cosmico, 104- Il buco nero di Tunguska, 108
VII Questioni di materia
Dalla materia all‟antimateria, 114 – L‟antimateria a Tunguska, 117 – Dall‟antimateria
alla materia specchio, 121 – Materia specchio a Tunguska, 125 – Un‟altra materia,
127
VIII Un‟esplosione dal sottosuolo
Una fuga di gas, 131 – Un fulmine globulare gigante, 136 – Geometeore fantasma,
142
IX Aprire gli X-files
L‟astronave Tunguska, 147 – C‟è un disco volante nel mio giardino, 151 – La taiga di
Tunguska distrutta da un laser, 154 -Tunguska radioattiva, 156 – Il raggio letale di
Tesla, 164
X Una palla di fuoco nel cielo dei dinosauri
Vita scomparsa, 172 – La stella della morte, 175 – L‟asteroide killer, 178- Il giorno
del giudizio, 181 – Pennacchi di vapore e fumo, 185- I dinosauri morirono per altre
cause?, 187 – Cosa accadde davvero ai dinosauri?, 195 – Un‟altra palla di fuoco nel
cielo siberiano, 198 – Una mini Tunguska, 199 – Perché dobbiamo trovare la
risposta?, 201
XI Cosa è stato?
I soliti sospetti, 206 – Sul banco dei testimoni, 207 – Il parere degli esperti, 210 – Il
verdetto, 210
Cronologia
Ringraziamenti
Il mistero di Tunguska
Introduzione
Il cosiddetto “evento di Tunguska” ha alimentato il folklore scientifico dal 1927,
allorché Leonid Kulik, primo fra gli scienziati, si recò a visitare il sito. Vide una zona
ovale che si estendeva per 70 chilometri dove la foresta era stata come “appiattita”.
Gli alberi non erano sradicati: erano stati privati dei rami, abbattuti e sparsi come
fiammiferi, in direzione opposta a quella dell‟esplosione. Anche dopo un‟attenta
ricerca, Kulik non trovò alcun cratere o altra prova di un eventuale impatto. Cercò
frammenti di meteorite ma non trovò nulla. Dato che non c‟erano né un cratere
d‟impatto né alcun resto significativo, non poteva essere stato un meteorite gigante a
causare l‟esplosione di Tunguska. Se non si era trattato di un meteorite, cosa allora
poteva averla provocata?
La ricerca della risposta a questo interrogativo ha generato una vera e propria
“industria di Tunguska”, che ha tenuto impegnati per anni scienziati e ciarlatani.
Centinaia di articoli scientifici, in riviste affermate e non, provano che brillanti
menti sono ansiose di risolvere l‟enigma. Tunguska offre anche l‟opportunità di
verificare nuove teorie: buchi neri, fulmini globulari, antimateria e materia specchio
ne sono solo alcuni esempi. La recente propensione degli astronomi a valutare
l‟eventualità che un asteroide colpisca la Terra ha riportato l‟attenzione scientifica su
Tunguska. Gli amanti dell‟avventura possono sempre fare un viaggio a Tunguska e
cercare prove delle “pietre cadute dal cielo”. Per gli spiriti meno avventurosi, ci sono
workshop, simposi e conferenze.
Numerosi siti web, ipotesi dietrologiche, sensazionali documentari TV, un episodio
della celebre serie X-Files e altro ancora provano che Tunguska possiede un fascino
esotico capace di rendere appetibile la scienza. Per i fan della fantascienza, Tunguska
ha cieli sconfinati che le astronavi possono solcare.
Da qualunque punto di vista guardiate, Tunguska è un viaggio affascinante nella
scienza sperimentale, in quella speculativa e nella fantascienza. Il mistero di
Tunguska cerca di darvi un‟idea di questo viaggio.
La “lingua di fuoco”
I quotidiani siberiani dell‟epoca non erano meglio informati dei loro distanti
corrispondenti inglesi e americani, ma l‟esplosione fu riportata in modo diffuso.
Nel «Sibir‟», il quotidiano di Irkutsk, del 15 luglio, un corrispondente riferiva che,
la mattina del 30 giugno, alcuni contadini nel villaggio di Nizne-Karelinskoe (a circa
465 chilometri dal luogo dell‟esplosione) avevano visto, molto al di sopra della linea
dell‟orizzonte, un corpo luminosissimo dalla luce bianco-bluastra. Il corpo aveva la
forma di un “tubo” ed era troppo lucente per essere osservato a occhio nudo. Era
precipitato verso il basso per circa dieci minuti prima di toccare il suolo e
polverizzare la foresta. Si era poi formata un‟enorme nuvola di fumo nero «e si era
udito un forte boato, non come quello di un tuono, ma simile piuttosto alla caduta di
grossi massi o ai colpi di un cannone. Gli edifici tremarono e, contemporaneamente,
una lingua di fuoco apparve attraverso la nuvola». L‟evento spaventò gli abitanti del
villaggio, che, presi dal panico, si riversarono in strada. Tutti pensarono che si stesse
avvicinando la fine del mondo.
Al tempo dell‟esplosione, il corrispondente del «Sibir‟», autore dell‟articolo, si
trovava a Kirensk (a 500 chilometri di distanza) e sentì «verso nordovest un rumore
simile a degli spari, che si ripeté a intervalli regolari per almeno dieci volte, per una
durata di quindici minuti». Notò che in molte case le finestre poste a nordovest erano
chiuse.
Il «Golos Tomska» inviò un corrispondente nella città di Kansk a 635 chilometri
dal luogo dove si diceva fosse caduto un grosso meteorite, per verificare
l‟informazione. Il 17 luglio il giornale riportava che tutti i dettagli della caduta di un
meteorite erano da attribuire «alla fervida fantasia di gente facilmente
impressionabile». Il quotidiano, comunque, affermava: «Non c‟è dubbio che un
meteorite sia precipitato nei dintorni, ma sulla sua enorme massa e su altri particolari
nutriamo forti dubbi». Il 28 luglio il giornale riferiva di un terremoto a Kansk la
mattina del 30 giugno: esso era stato seguito da un urto sotterraneo e da un boato,
come se in lontananza si stesse sparando. «Le porte, le finestre e le lampade davanti
alle icone tremavano tutte. Tra i cinque e i sette minuti più tardi seguì un secondo
botto, più forte del primo, accompagnato da un boato simile e seguito, dopo un breve
intervallo, da un altro rumore, più debole dei primi due.»
Una descrizione dettagliata e drammatica dell‟evento apparve nel quotidiano di
Krasnojarsk, «Krasnojarec», il 26 luglio, dal corrispondente nel villaggio di Kezma (a
215 chilometri di distanza). È l‟unico articolo di giornale proveniente dal luogo
abitato più vicino al sito dell‟esplosione. Dopo una dettagliata descrizione di «un
colpo sotterraneo che aveva fatto tremare gli edifici», il giornale citava dichiarazioni
di testimoni: «prima che si udissero i colpi, un corpo celeste dall‟aspetto infuocato ha
attraversato il cielo da sud a nord… non è possibile descriverne né le dimensioni né la
forma, a causa della velocità e, soprattutto, dell‟imprevedibilità». L‟articolo
proseguiva affermando che quando l‟oggetto volante aveva toccato il suolo, era
partita un‟enorme fiamma, che aveva tagliato in due il cielo. «I colpi sono stati uditi
non appena la “lingua di fuoco” è scomparsa. Nell‟isola vicino al villaggio i cavalli e
le mucche sono diventati irrequieti e hanno cominciato a correre dappertutto… Sono
stati uditi dei terribili colpi in lontananza che hanno fatto tremare la terra, e la loro
ignota provenienza ha scatenato una sorta di superstizioso terrore. La gente era
letteralmente assordata.» L‟articolo notava anche che il bagliore doveva essere durato
almeno un minuto, perché era stato visto da molti contadini nei campi.
Quella di una “lingua di fuoco” sembra essere una descrizione comune da parte dei
testimoni oculari dell‟evento di Tunguska e compare in diversi giornali siberiani
dell‟epoca. Un resoconto dal villaggio di Nižne-Ilimskoe (a 420 chilometri di
distanza) affermava che la popolazione, anche quella dei dintorni, prima di sentire il
tuono aveva visto un «corpo infuocato simile a un raggio» sparato da sud a nordovest.
Il corpo di fuoco era scomparso immediatamente dopo il botto e al suo posto era
apparsa una “lingua di fuoco”, seguita dal fumo.
Molti giornali russi, al di fuori della Siberia, riportarono notizie delle notti
luminose e delle nuvole lucenti, ma non c‟era quasi alcun riferimento alla palla di
fuoco (la «Pravda» non esisteva ancora: fu fondata da Trockij nell‟ottobre del 1908 a
Vienna, trasferita a San Pietroburgo nel 1912 e a Mosca nel 1918). Comunque, il 4
luglio 1908 la «Gazzetta del commercio e dell‟industria» di San Pietroburgo riportava
un breve pezzo intitolato La caduta del meteorite: «Ieri abbiamo ricevuto un
telegramma che diceva soltanto: “il rumore è stato notevole ma nessun masso è
caduto”».
L’anno 1908
Nel 1908 la Russia era un paese in tumulto politico e sociale. Le indagini su un
terremoto o un meteorite nella lontana Siberia non erano certo una priorità per le
autorità dell‟allora capitale, San Pietroburgo. La Prima guerra mondiale e la
rivoluzione bolscevica avrebbero poi assorbito l‟attenzione della nazione per molti
anni. Il sito dell‟impatto era nella più remota e inospitale regione della Russia e non
fu fatto alcuno sforzo per lanciare una spedizione scientifica in quel luogo. La “lingua
di fuoco” che aveva avvolto la bellissima taiga siberiana fu presto dimenticata.
Non appena le notti luminose scomparvero in tutta Europa l‟attenzione degli
scienziati e dei giornali si spostò da questo strano fenomeno ad altre meraviglie
scientifiche e tecnologiche di quell‟anno. Il ricco elenco include la definizione del
tempo come quarta dimensione da parte di Hermann Minkowski; l‟individuazione
dell‟atomo di Ernest Rutherford (nel 1908, Rutherford vinse anche il Nobel per la
chimica per il suo lavoro sulla radioattività); la scoperta del monosodio glutammato
(MSG), un additivo alimentare, fatta da Kikunae Ikeda; l‟invenzione delle bustine da tè
di Thomas Sullivan; la scoperta del primo grande deposito di petrolio in Persia (oggi
Iran), che segnò l‟inizio del boom del petrolio in Medio Oriente; il conte von
Zeppelin e il suo magnifico dirigibile (questo il titolo del fondo del «New York
Times» del 5 luglio 1908); l‟introduzione della catena di montaggio alla Ford, da cui
uscì il modello T, la prima automobile prodotta in serie (che fu accompagnata dalla
famosa promessa di Ford «in qualunque colore: purché sia nero»).
Quell‟anno offrì molto anche a coloro che apprezzano una scienza “vivace”.
C‟erano storie di capitani spaventati da “nubi magnetiche” discese sulle loro navi. I
giornali della provincia americana erano – e lo sono ancora – pieni di articoli su
“astronavi aliene” che viaggiavano a velocità fantastiche. (Il termine “disco volante”
fu coniato nel giugno del 1947, quando il pilota americano Kenneth Arnold vide nove
dischi luminosi nel cielo vicino a Mount Rainier a Washington. Disse che gli oggetti
si spostavano «come un disco che si muoveva nell‟acqua».) Tutto ciò sembrò
insignificante quando i passeggeri di una nave a vapore nel golfo del Messico
descrissero dettagliatamente la coda di un serpente marino lungo 60 metri, che
emergeva dal mare e che avevano visto coi loro stessi occhi.
Il 1908 è anche ricordato per il terremoto di Messina e per l‟introduzione ufficiale
dell‟sos in codice Morse come segnale internazionale di pericolo estremo. Il più
violento terremoto della storia d‟Europa uccise centocinquantamila persone in Sicilia
e nell‟Italia del Sud. Se Messina fosse stata colpita dalla palla di fuoco di Tunguska
la devastazione sarebbe stata inimmaginabile. E che dire se la palla di fuoco avesse
colpito San Pietroburgo o Londra? Il suono dell‟sos riecheggerebbe ancora nel
mondo.
Vent'anni dopo
I primi resoconti della palla di fuoco di Tunguska raggiunsero il mondo
occidentale nel 1928. L‟anno seguente Charles J.P Cave, un astronomo britannico,
notò la coincidenza della data della palla di fuoco e dei grafici registrati in sei diversi
luoghi dell‟Inghilterra il 30 giugno 1908. Nel 1930, un altro astronomo britannico,
Francis John Welsh Whipple (da non confondere con l‟astronomo americano Fred
Lawrence Whipple che, come vedremo, propose il modello della “palla di neve
sporca” per le comete), suggerì che le onde aeree in Inghilterra potessero essere state
causate dal grande meteorite siberiano, come era allora conosciuta la palla di fuoco di
Tunguska. «Come sia potuto succedere che la caduta del grande meteorite che ha
prodotto le onde non sia stata portata all‟attenzione del mondo scientifico del tempo è
un mistero» disse a un meeting della Royal Meteorological Society. «Ci sono
meravigliose caratteristiche nella storia del meteorite siberiano, una storia senza
eguali in tutti i tempi. È notevole che questo evento sia accaduto nella nostra
generazione eppure sia quasi sconosciuto.»
Whipple usò i sei grafici per mostrare che i fronti della pressione avevano
viaggiato a una velocità media di 1130 chilometri orari. Onde di una simile intensità
erano state registrate in Gran Bretagna il 27 agosto 1883, quando un‟eruzione
vulcanica era avvenuta dall‟altra parte del mondo, a Krakatoa. Whipple stabilì anche
che le prime quattro onde “quasi simili” erano state registrate nell‟arco di due minuti,
seguite poi da due onde finali. Ne concluse che c‟erano due tipi di fenomeni: le prime
quattro onde erano state causate da un meteorite che attraversava l‟atmosfera e le
ultime due dall‟abbattimento al suolo del meteorite.
Dopo aver letto lo scritto di Whipple, un altro astronomo, Spencer Russell associò i
notevoli bagliori notturni del 1908 al meteorite siberiano: «L‟intero cielo
settentrionale in quelle due notti era di un colore rosso così soffuso che variava dal
rosa a un cremisi intenso. C‟era una totale assenza di scintillii o bagliori e nessuna
tendenza alla formazione di scie o di un arco luminoso, caratteristici dei fenomeni
aurorali. Il tramonto di queste due notti fu prolungato fino al sorgere del nuovo
giorno, e non ci fu una vera notte».
Sebbene spiegassero la causa dei fenomeni osservati in Inghilterra, né Whipple né
Spencer fecero alcuno sforzo per spiegare la natura del grande meteorite siberiano. A
ciò pensò un giovane scienziato russo.
II
Il cacciatore di meteoriti
Nel 1921 l‟Accademia sovietica delle Scienze approvò la prima spedizione
ufficiale sui meteoriti con l‟obiettivo di individuare ed esaminare i meteoriti caduti
nelle regioni disabitate della Russia. Uno degli scopi della spedizione era raccogliere
informazioni dalle popolazioni locali e parlare con testimoni oculari. La spedizione
lasciò Pietrogrado (nome che San Pietroburgo assunse nel 1914) il 5 settembre 1921
sotto la guida di Kulik.
A quel tempo Kulik non era a conoscenza del meteorite di Tunguska. Ne sentì
parlare per la prima volta alla stazione ferroviaria quando il suo piccolo gruppo partì
su un treno della Transiberiana. D.O. Svjatskij, redattore della rivista «Miroveden‟e»,
raggiunse il treno e diede a Kulik una pagina strappata da un calendario del 1910
pubblicato dalla Otto Kirchner di San Pietroburgo. Sul retro di questa pagina c‟era
questa nota:
Pare che, alle 8 del mattino verso la metà di giugno del 1908, un enorme meteorite sia caduto a
Tomsk, a molte sagene [1 sagena = 2314 metri] dalla ferrovia vicino al collegamento con
Filimonovo e a meno di 11 verste [1 versta = 1067 chilometri] da Kansk. La sua caduta fu
accompagnata da uno spaventoso boato e da un urto assordante, udito a più di 40 verste di distanza.
I passeggeri del treno, che in quel momento si avvicinava al collegamento, furono colpiti da un
rumore insolito. Il macchinista fermò il treno e i passeggeri si riversarono all‟esterno per esaminare
l‟oggetto caduto, ma non furono in grado di studiare il meteorite da vicino, poiché era rosso
incandescente. Più tardi, quando si fu raffreddato, diversi uomini della stazione e ingegneri della
ferrovia lo esaminarono e probabilmente ci scavarono attorno. Secondo costoro, il meteorite era
quasi interamente sepolto e solo la sua sommità fuoriusciva dal terreno. Era un blocco di pietra, di
colore biancastro e grande circa 6 sagene cubiche.
Kulik fu affascinato dalla storia, tanto affascinato che decise immediatamente di
svolgere ulteriori indagini. Nel corso degli anni la sua fascinazione sarebbe divenuta
un‟ossessione tale da assorbire il resto della sua attività professionale.
L‟Accademia delle Scienze aveva assegnato alla spedizione di Kulik una carrozza
sul treno della Transiberiana. Viaggiarono attraverso gli Urali fino alla Siberia, poi si
fermarono a Omsk, Tomsk e Krasnojarsk, e finalmente giunsero a Kansk. A Kansk,
Kulik cercò nei giornali siberiani pubblicati durante l‟estate del 1908, riferimenti alla
caduta di un meteorite. Scoprì subito che la nota del calendario era l‟incipit di un
articolo pubblicato il 12 luglio 1908 nel quotidiano «Sibirskaja Žizn‟» della regione di
Tomsk. L‟articolo si rivelò inesatto in quasi tutti i dettagli, eccetto che sulla fermata
del treno vicino Kansk.
Consultando i giornali dell‟epoca trovò molti articoli su un enorme meteorite
caduto la mattina del 30 giugno 1908. Preparò un questionario e lo pubblicò su un
quotidiano locale, distribuendone duemilacinquecento copie tra la gente del posto.
Come risultato, raccolse stupefacenti resoconti personali, ricchi e vividi nei dettagli,
da molte dozzine di testimoni oculari che ricordavano ancora l‟evento. Grazie a tali
informazioni, dipinse un fedele ritratto del meteorite, che chiamò “meteorite di
Filimonovo” (l‟espressione “meteorite di Tunguska” venne usata solo molti anni
dopo la prima spedizione del 1927).
Sebbene egli credesse fermamente che tra le 5 e le 8 del mattino del 30 giugno
1908 un meteorite gigante, spostandosi da sud a nord, fosse caduto nel bacino del
fiume Vanavara, un affluente del fiume Tunguska, non fu in grado di intraprendere
una ricerca. La spedizione aveva dato fondo alle sovvenzioni e le autorità
sollecitavano il rientro della carrozza del treno assegnata alla spedizione.
Tornando a Pietrogrado, Kulik sottopose all‟Accademia delle Scienze il suo
rapporto, nel quale affermava che il meteorite siberiano era un evento raro nella storia
su cui si doveva indagare. Il suo Rapporto sulla spedizione del Meteorite fu
pubblicato nel «Giornale dell‟Accademia sovietica delle Scienze». I membri
dell‟Accademia si dimostrarono tuttavia scettici sulla questione. Kulik però non era
solo nella ricerca.
A.V. Voznesenskij, che nel 1908 era direttore dell‟Osservatorio magnetico e
meteorologico di Irkutsk, pubblicò nell‟agosto 1925 un rapporto nella «Miroveden‟e»
in cui affermava che le onde sismiche e aeree registrate dall‟Osservatorio il 30 giugno
1908 erano state entrambe causate dalla caduta di un meteorite gigante. Suggerì che
le onde aeree fossero state determinate «dall‟esplosione del meteorite a un‟altezza di
circa 30 chilometri dalla superficie della Terra» e sottolineava, giustamente, che la
registrazione della caduta del meteorite rilevata dal sismografo dell‟Osservatorio era
stata anche la prima nella storia della scienza.
Voznesenskij ipotizzò anche che chi avesse fatto delle ricerche sul luogo della
caduta del meteorite siberiano avrebbe trovato qualcosa di molto simile al cratere del
meteorite in Arizona. «Gli indiani in Arizona conservano ancora la leggenda dei loro
antenati che videro un cocchio di fuoco cadere dal cielo e penetrare il suolo nel punto
in cui si trova il cratere; l‟attuale popolazione degli Evenki siberiani ha una leggenda
simile su una pietra infuocata.» Concludeva il suo rapporto con un‟idea intrigante: la
ricerca del meteorite avrebbe costituito un‟impresa molto redditizia, specie se si fosse
trattato di un meteorite ferroso.
Nello stesso numero di «Miroveden‟e», il geologo S.V. Obručev scrisse degli studi
da lui condotti nell‟estate del 1924 nella regione di Tunguska. Riportò anche storie di
un‟enorme calamità narratagli dagli indigeni del posto, i Tungusi (chiamati poi
Evenki dai sovietici, sono probabilmente i più antichi nativi siberiani viventi).
Obručev ipotizzò che la calamità fosse stata causata da un meteorite gigante. «Agli
occhi della popolazione tungusa, il meteorite è sacro ed essi celano attentamente il
luogo dov‟è caduto.» Era venuto però a sapere dell‟esistenza di una foresta appiattita
tre o quattro giorni di viaggio a nordest di Vanavara.
Nel 1926, I.M. Suslov, un etnografo, visitò la regione di Tunguska. Nel suo
articolo Alla ricerca del grande meteorite del 1908, su «Miroveden‟e» del marzo
1927, riportò alcuni dei sessanta racconti di testimoni oculari da lui raccolti nei quali
ricorrevano espressioni come «la foresta fu schiacciata», «i granai furono distrutti»,
«le renne uccise», «la gente rimase ferita», «la taiga fu appiattita» e così via. Suslov
visitò anche la tenda di Il‟a Potapovi – proprio lo stesso Evenki che Obručev aveva
intervistato nel 1924 e che avrebbe poi lavorato come guida nella spedizione di Kulik
del 1927 – il quale acconsentì alla richiesta di Suslov di disegnare una mappa
dell‟area della catastrofe. «Il‟a Potapovič disegnò la mappa con delle matite colorate e
un gruppo di tungusi apportò le correzioni» disse Suslov.
Gli articoli di Voznesenskij, Obručev e Suslov convinsero l‟Accademia che fosse
accaduto un evento di grande importanza e che le indagini dovessero proseguire. Il
mentore di Kulik, Vernadskij, sostenne la sua richiesta: «La spedizione proposta da
Kulik potrebbe rivelarsi di grande valore scientifico e i suoi risultati potrebbero
ripagare centinaia di volte il tempo e il denaro impiegativi» scrisse all‟Accademia.
L‟Accademia approvò la prima spedizione di Tunguska nel 1926.
IlI
La cometa di Carolyn
Barnard aveva vent'anni quando scoprì la sua prima cometa nel 1881; Carolyn
Shoemaker ne aveva cinquantaquattro quando scoprì la sua, nel 1983. Sebbene non
abbia incassato un premio in denaro di 200 dollari per ciascuna cometa scoperta,
vanta ormai 32 comete che portano il suo nome, più di ogni altro astronomo, vivente
o no (Jean-Louis Pons, un astronomo amatoriale del XIX secolo, scoprì 37 comete,
ma soltanto 26 portano il suo nome).
Dopo aver passato venticinque anni come casalinga e madre di tre figli, nel 1980
Carolyn si unì al celebre marito, Eugene Shoemaker, nella ricerca di comete e
asteroidi. Quest‟ultimo, geologo, è considerato il padre della geologia planetaria degli
impatti e ben 29 comete portano il suo nome; morì in un incidente d‟auto nel 1997
mentre cercava dei crateri di impatto in Australia.
Carolyn ha condiviso la sua più famosa scoperta di una cometa con il marito e con
David Levy (un astronomo amatoriale che ha dato il nome a 21 comete, 13 delle quali
scoperte con i coniugi Shoemaker). Il 25 marzo 1993 Carolyn stava osservando,
come sempre, i filmati del cielo registrati la notte precedente da Eugene e David con
il telescopio Schmidt da 18 pollici del Palomar Observatory in California. A
differenza del principale telescopio dell‟osservatorio (un Hale da 200 pollici, adatto
per scandagliare le profondità spaziali), il vecchio Schmidt era un telescopio ideale
per osservare un‟ampia porzione del cielo.
Non esisteva alcun “ricercatore di comete automatico” che potesse aiutare Carolyn.
Passò lunghe ore nella camera oscura, esaminando coppie di rullini della stessa area
del cielo con uno stereomicroscopio. Le foto erano state scattate con 45 minuti di
differenza. Dal momento che una cometa si muove attraverso il cielo in 45 minuti,
nel secondo rullino sarebbe risultata essere in una posizione differente. Lo
stereomicroscopio consentì a Carolyn di osservare due rullini simultaneamente: uno
con l‟occhio sinistro e l‟altro con quello destro. Quando viene osservata in questo
modo, una cometa sembra “galleggiare” sulla superficie piatta delle stelle fisse. Ma
non è così semplice: uno strato di polvere, un satellite o un bagliore di luce nel
telescopio possono rendere la caccia alla cometa un‟attività lenta e faticosa (Levy lo
considera uno “sport agonistico”).
Mentre stava muovendo lentamente il rullino attraverso lo stereomicroscopio, vide
una macchia che sembrava “una cometa schiacciata”. Quando Eugene e David la
guardarono, ne furono sorpresi. Era la cosa più strana che ognuno di loro avesse mai
visto durante gli anni di caccia alle comete trascorsi insieme. Avevano scoperto la
cometa del secolo.
Seguendo la tradizione, la cometa prese il nome dei suoi scopritori: cometa
periodica Shoemaker-Levy 9 1993e (era la nona cometa scoperta unitamente dagli
Shoemaker e da Levy ed era la quinta scoperta nel 1993, da cui la “e”).
Quando altri astronomi puntarono i propri telescopi su questa curiosa scoperta,
notarono che Shoemaker-Levy 9 – o, in breve, S-L 9 – era in realtà una stringa di 21
frammenti di comete disposti in una scia lunga quasi 200.000 chilometri. La S-L 9
aveva due insolite caratteristiche: innanzitutto era costituita da ventuno nuclei
separati come perle su una collana (nessuna cometa mai osservata era divisa in così
tanti frammenti: molte comete si rompono avvicinandosi al Sole, ma solitamente si
rompono in due o tre frammenti). In secondo luogo, le comete orbitano normalmente
intorno al Sole: S-L 9 orbitava invece intorno a Giove.
Gli astronomi calcolarono che S-L 9 si sarebbe inevitabilmente schiantata su Giove
nel luglio del 1994, ma Carolyn Shoemaker non era abituata a perdere le sue comete:
«Se devo perdere una cometa, allora voglio che faccia i fuochi d‟artificio» sperava. E
ciò fu esattamente quello che accadde: S-L 9 si estinse con degli straordinari giochi
pirotecnici cosmici, che Carolyn guardò da una distanza di sicurezza di miliardi di
chilometri.
IV
Pericolo asteroidi
Un tempo definiti “noiosi insetti dei cieli”, gli asteroidi sono oggi attrazioni stellari
per gli astronomi di tutto il mondo. Tale attenzione è degna del nome che portano, dal
greco “simile a una stella”, ma ha a che fare più con il loro incredibile numero e
potere che con la loro bellezza cosmica. Queste rocce simili ad arachidi giganti,
segnate da cicatrici, sono in effetti “avanzi” della formazione dei pianeti.
I tre asteroidi più grandi sono Cerere, Pallade e Vesta con diametri rispettivamente
di 930, 520 e 500 chilometri. Circa 200 asteroidi hanno un diametro maggiore di 100
chilometri, 800 maggiore di 30 chilometri, quasi un milione di un chilometro o poco
più, miliardi di asteroidi hanno le dimensioni di una roccia o di un sassolino. Molti
asteroidi orbitano in un ampio anello a forma di ciambella tra Marte e Giove,
conosciuto come la loro principale cintura.
Talvolta una collisione può far sbalzare l‟asteroide fuori dalla cintura, mandandolo
su una traiettoria pericolosa perché incrocia l‟orbita della Terra; l‟asteroide viene
detto in tal caso “incrociatore terrestre”: una consapevolezza che spaventa gli
astronomi. Cosa accadrebbe se uno di essi si avvicinasse troppo alla Terra? Quale
cataclisma potrebbe causare questa roccia vagante se si schiantasse sulla Terra? Il
numero di asteroidi è molto alto e lo spazio che essi occupano è davvero enorme. Gli
asteroidi distano tra loro milioni di chilometri, non come si vede nelle immagini delle
astronavi di Star Trek o Guerre stellari, che devono farsi spazio tra le pietre volanti.
Tuttavia delle collisioni sono possibili con una navicella spaziale o con l‟astronave
Terra.
Si pensa che ci siano circa milleottocento “incrociatori terrestri” in prossimità della
Terra, larghi un chilometro o più. Al momento ne sono stati scoperti circa
cinquecento, ma gli astronomi sperano di identificarli quasi tutti entro la fine di
questo decennio. Il più grande attualmente conosciuto è Ganimede 1036, con una
larghezza di circa 41 chilometri. Può esserci quasi un milione di asteroidi grandi 50
metri o più, vicino alla Terra. Le possibilità che queste rocce colpiscano il nostro
pianeta sono remote, ma anche uno degli asteroidi più piccoli sarebbe in grado di
distruggere una grande città.
Niente panico: nessuno di essi è ancora in rotta di collisione. Il 14 giugno 2002 un
asteroide delle dimensioni di un campo di calcio giunse a 120.000 chilometri dalla
Terra. Era uno dei più grandi asteroidi in decenni a giungere così vicino: anche se
120.000 chilometri possono sembrare tantissima strada, per gli astronomi si tratta di
un capello (e per noi di qualcosa che i capelli li fa rizzare). L‟asteroide errante fu
scoperto tre giorni dopo aver sfiorato la Terra a una velocità di 38.000 chilometri
orari. Se l‟avesse colpita, avrebbe causato un‟esplosione simile a quella di Tunguska.
È possibile che un simile impatto abbia avuto luogo il 30 giugno 1908?
Il dito accusatore
Dopo aver meticolosamente ripassato cinque decadi di ricerca sulla palla di fuoco
di Tunguska, nel 1983 Zdenèk Sekanina mise insieme alcune analisi dell‟orbita,
dell‟entrata nell‟atmosfera e dell‟esplosione del corpo interstellare. Escluse il
sospetto di una cometa e puntò il dito accusatore su un asteroide largo tra i 90 e i 190
metri. L‟asteroide sarebbe venuto da una direzione vicina ai 110 gradi a est e a un
angolo di circa 5 gradi sopra l‟orizzonte, e sarebbe esploso a quasi 8 chilometri dal
suolo. La sua velocità quando entrò nell‟atmosfera era di 108 chilometri orari.
Nel suo saggio sull‟«Astronomical Journal», Sekanina sottolineò che l‟elemento
della devastazione della foresta, nell‟area della caduta della palla di fuoco di
Tunguska, non lasciava dubbi che essa fosse esplosa a mezz‟aria, per poi disintegrarsi
completamente nell‟atmosfera. Le prove includevano l‟assenza di crateri di impatto
e/o detriti rilevanti nella zona della caduta, una simmetria radiale quasi perfetta
dell‟area di alberi appiattiti, entro 15 chilometri dal suo centro, e la presenza di
tronchi spogli ed eretti (i “pali del telegrafo di Kulik”) al centro esatto della
devastazione radiale.
Dal momento che le prove puntavano a un‟unica enorme esplosione, Sekanina
concluse che la palla di fuoco non si fosse spezzata in frammenti mentre era in volo.
Se si fossero verificate delle rotture, la sequenza di esplosioni risultante avrebbe
diminuito l‟enorme potenza dell‟esplosione finale.
L‟esplosione rilasciò quasi istantaneamente un‟energia pari a 12 megatoni. I
testimoni oculari videro questa energia, che era sufficiente a spazzar via l‟attuale
Londra o Tokyo, sotto forma di una palla di fuoco 40 volte più luminosa del Sole di
mezzogiorno. «Questa conclusione è supportata dai resoconti di un‟abbagliante
ondata di luce nel cielo, descritta nei racconti dei testimoni oculari dei luoghi vicino
al centro dell‟esplosione» disse Sekanina.
La palla di fuoco sparse un milione di tonnellate di piccole particelle
nell‟atmosfera terrestre in meno di un decimo di secondo. I venti, aiutati
dall‟espansione d‟urto, dispersero la polvere nella stratosfera, il che causò i cieli
luminosi di cui si diceva.
Sekanina respinse l‟idea che la palla di fuoco di Tunguska fosse una cometa. A
causa dell‟alta velocità a cui l‟oggetto viaggiava al suo ingresso nell‟atmosfera,
resistette a una pressione dell‟aria molto alta prima di esplodere. È inconcepibile che
una cometa, nota per la sua estrema fragilità, potesse essere sopravvissuta a una
pressione così elevata. La palla di fuoco, perciò, doveva essere stata causata da un
oggetto sassoso più denso per superare il suo viaggio nel cielo siberiano. Era
probabilmente un piccolo membro degli asteroidi di Apollo, che sono forse nuclei di
comete privi delle componenti volatili.
I detrattori della teoria degli asteroidi sostengono che l‟analisi di Sekanina era
principalmente basata sui racconti dei testimoni oculari, molti dei quali raccolti
almeno due decenni dopo l‟evento, e sulle registrazioni sismiche. «Non potete
costruire un modello sofisticato partendo da dati scarsi» disse alla rivista «Sky &
Telescope» l‟esperto in meteore Richard McCrosky. «Tutto quello che egli assume
deve essere vero perché le sue conclusioni siano esatte.»
Nello stesso anno lo scienziato americano Richard Turco suggerì che le notti
luminose potessero essere state causate da nuvole nottilucenti (ovvero nuvole
argentate ad altitudini elevate che splendono di notte). Il 30 giugno 1908 il vento
soffiava nella giusta direzione perché le polveri associate alla palla di fuoco
raggiungessero l‟Europa occidentale. La polvere si sarebbe poi stabilizzata
nell‟atmosfera a un‟altitudine di circa 80 chilometri e sarebbe rimasta lì per diversi
giorni. Queste particelle di polvere e di vapore acqueo, depositate dalla palla di
fuoco, avrebbero contribuito ad accrescere la nuvolosità. Un asteroide sarebbe stato
troppo secco per fornire l‟acqua necessaria per simili nuvole. L‟analisi di Turco
favoriva l‟ipotesi che l‟oggetto di Tunguska fosse il nucleo di una cometa ghiacciata.
Più recentemente, Vitalij Bronsten respinse la teoria dell‟asteroide poiché
l‟analogia con l‟esplosione nucleare suggeriva che, anche con una deflagrazione
molto forte, un asteroide si sarebbe dovuto rompere in frammenti di varie dimensioni,
che non potevano essersi completamente vaporizzati per l‟intenso calore o cadendo
sulla Terra. Alcuni di essi avrebbero dovuto sopravvivere ma, nonostante le attente
ricerche, non ne è stato trovato alcuno.
Bronsten riteneva inoltre che le nuvole nottilucenti – le quali, ammise, erano state
viste – non avrebbero mai potuto raggiungere una lucentezza tale da generare delle
notti luminose.
Il “pianeta” di Piazzi
La scoperta fu rivoluzionaria: «Ho il diritto di nominarla nel modo che più mi
aggrada, come se fosse qualcosa di mio. Userò sempre il nome Cerere Ferdinandea,
dandole un altro nome dovrei sopportare le accuse di ingratitudine verso la Sicilia e il
suo re».
Poco dopo il crepuscolo del 1° gennaio 1801, Giuseppe Piazzi, monaco e direttore
del nuovo Osservatorio astronomico di Palermo, costruito sopra una torre del XII
secolo nel palazzo dei Normanni, puntò il suo telescopio di ottone lucente verso la
costellazione del Toro e osservò un oggetto poco familiare, sbiadito, simile a una
stella. Le osservazioni e i calcoli successivi dimostrarono che si trattava del “pianeta
mancante” tra Marte e Giove. Lo chiamò Cerere Ferdinandea – Cerere come la dea
protettrice della Sicilia e Ferdinandea come il suo sovrano, Ferdinando re di Napoli e
di Sicilia.
La scoperta suscitò molto clamore in Europa. La scottante questione era: come si
dovrà chiamare il nuovo pianeta? Napoleone ne discusse anche con il famoso
astronomo e matematico francese Pierre-Simon de Laplace. Alcuni astronomi
francesi suggerirono “Piazzi”, mentre i tedeschi propendevano per “Giunone” o
“Hera”. Ma Piazzi ritenne di avere già il nome adatto.
La storia della scoperta di Piazzi comincia nel 1772, quando Johann Titius,
professore a Wittenberg in Germania, scoprì una forte relazione numerica tra le
distanze dei pianeti dal Sole. Evidenziò che i numeri della serie 0 – 3 – 6 -12 – 24 –
28 – 96, sommati a 4 e divisi per 10, producevano la serie 0,4 – 0,7 – 1 – 1,6 – 2,8 –
5,2 – 10. Se la distanza della Terra dal Sole è convenzionalmente quella di un‟unità
astronomica (circa 150 milioni di chilometri), con questi numeri può essere calcolata
la distanza dei sei pianeti al tempo conosciuti, eccetto per la posizione di 2,8. Titius
suggerì che questo vuoto corrispondesse a satelliti di Marte ancora sconosciuti.
Nello stesso anno, l‟astronomo tedesco Johann Bode prese la sequenza di Titius e
la citò, senza alcun ringraziamento, in un suo libro di astronomia nel quale suggerì un
nuovo pianeta per il numero 2,8. La regola è oggi nota come Legge di Bode. Sebbene
egli abbia svolto anche altre ricerche astronomiche è oggi ricordato per aver diffuso
una relazione numerica che non fu lui a scoprire.
Quando lo stimato astronomo anglotedesco William Herschel scoprì il pianeta
Urano nel 1781, la legge di Bode fu confermata (continuando la serie di Titius,
raddoppiando il 96 di Saturno, cioè 192, che sommato a 4 e diviso per 10 dà 19,6,
molto vicino a 19,2, la distanza di Urano dal Sole in unità astronomiche). Gli
astronomi furono allora fortemente convinti che dovesse essere scoperto un altro
pianeta tra Marte e Giove.
L‟astronomo ungherese Franz von Zach credeva così tanto nel “pianeta
scomparso” che cercò di calcolarne l‟orbita usando le leggi di Keplero, ma gli
mancava un elemento che avrebbe potuto rivelarne la posizione: la longitudine. Nel
1785 scrisse a Bode: «Sto avendo lo stesso successo degli alchimisti nella loro ricerca
dell‟oro, essi avevano tutto, tranne il fattore vitale. Perciò credo di essere in possesso
di tutti gli elementi dell‟orbita di questo pianeta ancora sconosciuto, eccetto uno;
questo solo mi suscita interesse, e sebbene sia un vagare che non conduce all‟oro, ci
si imbatte talvolta in un processo chimico».
Nel 1787 von Zach intraprese una ricerca in solitaria del pianeta, ma senza
successo. «Non è un compito per uno o due astronomi setacciare l‟intero Zodiaco»
scrisse su «Monadiche Correspondenz», la prima rivista astronomica del mondo da
lui fondata. La caccia al pianeta scomparso cominciò davvero quando, nel 1800, von
Zach organizzò un gruppo di ventiquattro astronomi che chiamò “la polizia celeste”.
Divisero l‟intero Zodiaco in altrettante zone e ciascuno di loro era responsabile della
mappatura stellare della propria zona.
«Attraverso uno scrutinio del cielo così rigorosamente organizzato speravamo alla
fine di riuscire a individuare questo pianeta, che era così a lungo sfuggito al nostro
sguardo, supponendo che esistesse e che potesse essere visto» scrisse von Zach su
«Monadiche Correspondenz». Tuttavia, prima che tale “scrutinio” potesse partire,
notizie sorprendenti giunsero da Palermo.
Giuseppe Piazzi, un monaco teatino, entrato nell‟ordine nel 1764, a diciotto anni,
aveva dapprima studiato filosofia per poi dedicarsi alla matematica e all‟astronomia.
Nel 1780 fu chiamato alla cattedra di matematica superiore a Palermo. Lì ottenne
subito delle sovvenzioni per un osservatorio e si recò in Inghilterra nel 1788 per
dotarlo degli strumenti adatti. Diede l‟incarico a Jesse Ramsden, il più grande
costruttore di apparecchiature astronomiche, di costruirgli un cerchio verticale di un
metro e mezzo, dal design unico, per consentirgli di misurare le altezze e gli azimut
delle stelle con microscopi micrometrici. Mentre era in Inghilterra conobbe Herschel
ed ebbe il grande “privilegio” di cadere dall‟alta scala di legno a pioli del grande
telescopio riflettente rompendosi un braccio.
Una volta che il cerchio altazimutale di Ramsden, il capolavoro della tecnologia
del XVIII secolo, fu installato a Palermo nel 1791, Piazzi cominciò il suo faticoso
lavoro di catalogazione delle stelle. Nel 1803 pubblicò il suo primo catalogo,
contenente 6784 stelle, e nel 1814 il secondo, che ne conteneva 7646. Il miglior
successo di Piazzi però non riguardò affatto le stelle. Fu invece la scoperta del
“pianeta mancante”.
Il dono del nuovo secolo
Il 1° gennaio 1801, la prima notte del nuovo secolo, Piazzi osservò uno
sconosciuto punto luminoso nel cielo. Pensò che l‟oggetto potesse essere una nuova
stella. Nelle tre notti successive lo osservò di nuovo, e notò che aveva cambiato la sua
posizione con la stessa velocità dei giorni precedenti. Piazzi era ormai sicuro che non
si trattasse di una stella fissa. Pensando che potesse trattarsi di una cometa, continuò a
seguirla fino all‟11 febbraio, quando un malore interruppe il suo lavoro. Comunque,
il 24 gennaio aveva annunciato la sua scoperta a Bode, all‟astronomo francese Joseph
Lalande e al suo amico Barnaba Oriani, direttore dell‟Osservatorio di Brera a Milano.
Confidò solo a Oriani che poteva trattarsi di un nuovo pianeta: «Ho annunciato che
questa stella potrebbe essere una cometa, ma dato che non è accompagnata da alcuna
nebulosità e che il suo movimento è così lento e piuttosto uniforme, mi è venuto più
volte in mente che possa trattarsi di qualcosa di più di una cometa. Ma sono stato
attento a non avanzare questa supposizione in pubblico».
Oriani rispose: «Mi congratulo con te per la splendida scoperta di questa nuova
stella. Non credo che altri l‟abbiano notata e, data la sua piccolezza, è improbabile
che molti astronomi la noteranno». Bode pensò che la scoperta di Piazzi realizzava
meravigliosamente la sua profezia dell‟esistenza di un pianeta tra Marte e Giove. Von
Zach si esaltò e riferì la notizia su «Monadiche Correspondenz», con il titolo Dopo
lunghe supposizioni, probabilmente scoperto un nuovo importante pianeta del nostro
sistema solare tra Marte e Giove.
Ma Bode e von Zach non poterono verificare la scoperta. Lo stato dei servizi
postali a quei tempi era tale che Bode ricevette la lettera di Piazzi solo il 20 marzo.
Per quella data il pianeta aveva cessato il suo moto a ritroso e aveva cominciato ad
avanzare, giungendo così vicino al Sole da non poter essere visto. Tutti attesero con
ansia il suo emergere dall‟altro lato del Sole in luglio. A luglio Herschel fu il primo a
cercarlo, ma, come molti altri astronomi, continuò per mesi la ricerca: il pianeta era di
nuovo mancante.
Ci volle il genio del matematico tedesco Karl Friedrich Gauss per ritrovare il
pianeta perduto di Piazzi. Gauss, allora ventiquattrenne e all‟inizio di una brillante
carriera che lo portò al livello di Archimede e Newton, calcolò l‟orbita del pianeta in
base alle poche osservazioni di Piazzi. Il calcolo di Gauss sulla posizione del pianeta
era così preciso che il 31 dicembre 1801, a poche ore di distanza, von Zach e
Heinrich Olbers, un medico tedesco, astronomo amatoriale, ritrovarono,
indipendentemente tra loro, il pianeta scomparso.
Piazzi gli diede il nome di Cerere Ferdinandea, che fu subito abbreviato in Cerere.
Re Ferdinando avrebbe voluto coniare una moneta d‟oro con l‟effigie di Piazzi, ma
l‟astronomo richiese il privilegio di usare il denaro per comprare un indispensabile
telescopio equatoriale per il suo osservatorio.
La scoperta di Cerere pose un problema agli astronomi. Le osservazioni di
Herschel dimostravano che si trattava di un pianeta inusuale, troppo piccolo per
mostrare un disco planetario. La questione fu risolta quando, il 28 marzo 1802,
Olbers scoprì un “altro Cerere”, un corpo orbitante anch‟esso nello spazio tra Marte e
Giove, che Olbers denominò Pallade. La scoperta lasciò molto perplessi.
Olbers scrisse a Herschel: «Può darsi che Cerere e Pallade siano semplicemente un
paio di frammenti o pezzi di un pianeta una volta di dimensioni maggiori, che
occupava lo spazio tra Marte e Giove ed era grande pressappoco quanto gli altri
pianeti e che forse milioni di anni fa, per l‟impatto di una cometa o a causa di
un‟esplosione interna, scoppiò in pezzi».
A un mese dalla scoperta di Pallade, Gauss calcolò la sua distanza media dal Sole,
quasi uguale a quella di Cerere. Notò anche che Cerere e Pallade avevano molte
caratteristiche che li rendevano dei pianeti abbastanza singolari. Bode non era ancora
convinto che la sua legge (che aveva senza troppe cerimonie sottratto a Titius) non
fosse vera. Scrisse a Herschel: «Continuo a essere convinto che Cerere sia l‟ottavo
pianeta del sistema solare e che Pallade sia un pianeta particolarissimo – o una
cometa – nelle sue vicinanze, che ruota intorno al Sole. Così ci sarebbero due pianeti
tra Marte e Giove sebbene sin dal 1772 me ne aspettassi solo uno; e il ben noto ordine
progressivo delle distanze dei pianeti dal Sole sarebbe dunque pienamente provato».
Herschel non fu influenzato dalla difesa di Bode della sua legge. Era convinto che
Cerere e Pallade fossero una nuova e differente classe di corpi celesti. Credeva anche
che, dal momento che Cerere e Pallade non occupavano lo spazio tra Marte e Giove
“in modo apprezzabile”, questi due corpi non fossero degni del nome “pianeta”.
Propose che venissero chiamati “asteroidi” (dal greco asteroides, “simile a una
stella”) poiché erano “mescolati con”, e simili a piccole stelle fisse. Proseguì
elencando tre forme di corpi celesti: pianeti, asteroidi e comete.
La maggior parte degli astronomi accettò che Cerere e Pallade non fossero pianeti,
ma Piazzi non condivideva la suddivisione dei corpi celesti proposta da Herschel in
pianeti, asteroidi e comete, e replicò: «Vedremo presto conti, duchi e marchesi nei
cieli». Suggerì il nome di “planetoide”, sottolineando che “asteroide” sarebbe stato
più appropriato per le “piccole stelle”. Il termine “asteroide” ha resistito ma talvolta
ci si riferisce a essi come a “planetoidi” o “pianeti minori”.
La “polizia celeste” di von Zach non abbandonò le sue indagini e continuò a
scrutare i cieli con i propri telescopi. Tali sforzi furono ricompensati quando
l‟astronomo tedesco Karl Harding scoprì il terzo asteroide, Giunone, il 1° settembre
1804. Olbers aggiunse il quarto, Vesta, il 29 marzo 1807. Entrambi erano troppo
piccoli per essere classificati come pianeti. Olberts suggerì anche un‟idea che ha
superato la prova del tempo: notando che la lucentezza di Cerere e Pallade sembrava
variare da un‟osservazione all‟altra, sostenne che gli asteroidi avessero una forma
irregolare invece che tonda. A Olbers gli asteroidi sembravano rocce che vagavano
nello spazio, e aveva ragione. Comunque egli è ora soprattutto noto per il cosiddetto
paradosso di Olbers, la risposta alla domanda apparentemente semplice: perché il
cielo è scuro di notte?
Il millesimo asteroide fu scoperto nel 1923 e fu chiamato Piazzi in onore
dell‟astronomo morto circa un secolo prima nel 1826, a ottant'anni. Da allora, non
passa anno senza che siano individuati nuovi asteroidi. Oggi gli scopritori non
devono lottare per il diritto di dar loro il nome: una volta determinata l‟orbita precisa
di un asteroide, viene dato un codice permanente di identificazione, fatto di un
numero che indica il suo ordine di entrata, di solito seguito dal nome proposto dallo
scopritore (per esempio 1 Cerere, 2 Pallade). Fino a quando la scoperta non viene
approvata dall‟International Astronomical Union, l‟asteroide è provvisoriamente noto
col suo anno di scoperta seguito da due lettere, e numeri se necessario, che indicano
la data e la sequenza della scoperta (per esempio 1950 DA: la D indica che è stato
scoperto nel periodo tra il 16 e il 28/29 febbraio e la lettera A che è stata la prima
scoperta di quel periodo).
Obiettivo Tunguska
Nel 1993 gli scienziati della NASA Christopher Chyba e Kevin Zahnle insieme al
loro collega Paul Thomas dell‟Università del Wisconsin hanno dato nuova
consistenza e rigore alla teoria dell‟asteroide per l‟esplosione di Tunguska.
Le loro simulazioni al computer, per spiegare la disposizione degli alberi abbattuti,
hanno mostrato che l‟esplosione ha rilasciato circa 15 megatoni di energia
nell‟atmosfera a un‟altitudine di quasi 8 chilometri, ma non ha formato nessun cratere
sulla superficie della Terra. Hanno poi esaminato l‟impatto di tre classi di asteroidi
(sassosi, ferrosi e carbonacei) e di due classi di comete (di breve e lungo periodo) che
partono con 15 megatoni di energia cinetica. La loro simulazione ha dimostrato che i
nuclei cometari e gli asteroidi carbonacei deflagrano troppo in alto nell‟atmosfera per
poter spiegare l‟esplosione, e gli asteroidi ferrosi raramente si rompono in frammenti
e dunque colpiscono il suolo a velocità molto elevata. Solo gli asteroidi sassosi
produrrebbero un‟esplosione simile a quella di Tunguska.
Nella loro analisi innovativa i ricercatori hanno incluso gli effetti delle forze
aerodinamiche su un asteroide: quando l‟asteroide si muove più in profondità
nell‟atmosfera, la resistenza dell‟atmosfera su di esso aumenta; quando la resistenza
supera la forza dell‟asteroide, questo si sbriciola e comincia ad appiattirsi. L‟aumento
della superficie dell‟asteroide frammentato provoca un forte aumento della resistenza.
L‟aumento della resistenza rallenta l‟asteroide, che si allarga ancora di più. Allo
stesso tempo la densità atmosferica aumenta con il decrescere dell‟altitudine, creando
maggiore resistenza. Queste forze che aumentano fanno arrestare improvvisamente
l‟asteroide nell‟atmosfera, il quale esplode come una bomba e, in una frazione di
secondo, megatoni di energia cinetica si convertono in energia termica e alta
pressione. L‟asteroide si vaporizza. Un‟onda d‟urto si diffonde.
Tenendo conto di questi effetti, i ricercatori hanno calcolato che un asteroide
sassoso di circa 30 metri di diametro che si muove a 54.000 chilometri orari
esploderebbe a un‟altezza di 8 chilometri, la stessa altezza a cui sembra essere
esploso il corpo celeste di Tunguska. Un corpo più piccolo sarebbe esploso molto più
in alto e uno più grande avrebbe creato un cratere d‟impatto.
Le deboli, veloci e fragili comete non penetrano l‟atmosfera in profondità e non
possono avvicinarsi all‟altezza dell‟esplosione di Tunguska. «Anche se le comete
avessero forze comparabili a quelle degli asteroidi sassosi, non potrebbero
corrispondere alle osservazioni di Tunguska» sostengono i ricercatori. Per esempio,
se una cometa incidente da 15 megatoni avesse avuto la velocità insolitamente bassa
di 54.000 chilometri orari propria di un asteroide, si sarebbe completamente
consumata prima di raggiungere un‟altitudine di 16 chilometri e avrebbe causato una
distruzione di gran lunga inferiore.
Le misurazioni della cometa di Halley da parte della navicella spaziale Giotto, nel
1986, dimostrano che essa aveva una densità tra 0,6 e 1 grammo per centimetro
cubico. Nella sua simulazione il gruppo di Chyba ha usato una densità pari a 1, ma ha
affermato che sono possibili anche valori bassi come 0,3. Oggetti a densità più bassa
brucerebbero ad altezze maggiori. «Quello di Tunguska era probabilmente un oggetto
simile a un asteroide molto forte e denso, però probabilmente non forte e denso come
il ferro» hanno concluso i ricercatori nel loro rapporto su «Nature». «Gli asteroidi
carbonacei, e soprattutto le comete, sono candidati improbabili per l‟oggetto di
Tunguska.» In ogni caso, la loro simulazione non esclude del tutto un asteroide
ferroso insolitamente veloce o un asteroide carbonaceo molto forte.
Il team di Chyba ha anche confermato l‟osservazione di Turco del 1983, secondo
la quale le notti luminose erano state causate da nubi nottilucenti, sostenendo che
l‟aria riscaldata dall‟esplosione aveva immesso nell‟atmosfera acqua sufficiente a
produrre simili nubi.
Ulteriore sostegno per la teoria dell‟asteroide viene da Jack Hills e Patrick Goda
del Los Alamos National Laboratory. Nel loro studio generale sulla frammentazione
degli asteroidi, hanno scoperto che un asteroide sassoso deve essere più largo di 200
metri per colpire il suolo, dunque molto più grande dell‟oggetto di Tunguska.
Concordano che le prove su Tunguska escludono una cometa e che non c‟è dubbio
che l‟oggetto fosse un asteroide sassoso e non ferroso. Le comete si incendiano molto
più facilmente degli asteroidi, ma l‟asteroide di Tunguska ha generato abbastanza
calore da incendiare una pineta. «Comunque, l‟onda d‟urto dell‟impatto di un
asteroide si estende oltre il raggio entro il quale comincia l‟incendio e tende a
spegnere il fuoco, è dunque possibile che l‟impatto carbonizzi una foresta (come a
Tunguska), ma esso non produrrebbe un incendio duraturo.»
Henry J. Melosh dell‟Università dell‟Arizona a Tucson, commentando le ricerche
del gruppo di Chyba, ha affermato che essi hanno proposto la spiegazione più
credibile per l‟evento di Tunguska: «Un progresso sostanziale è perciò stato fatto nel
riportare l‟esplosione di Tunguska dal regno del quasi miracoloso a un evento
naturale, per quanto raro».
Chyba ha dichiarato ad «Astronomy» nel dicembre del 1993: «Secondo questo
quadro, Tunguska passa da un evento esotico che chiama in causa gli UFO O i buchi
neri, al risultato completamente normale e prevedibile dell‟entrata nell‟atmosfera di
un asteroide sassoso a una velocità tipica. Comprendere questo è importante, perché
ci consente di valutare l‟effettivo pericolo rappresentato da piccoli asteroidi e comete
in collisione con la Terra».
Nel 1998, quindici anni dopo aver proposto la sua originale teoria degli asteroidi,
Zdenèk Sekanina ha rivisitato la sua precedente analisi concludendo che
l‟interpretazione dell‟evento di Tunguska come la caduta di un piccolo asteroide non
«è solo plausibile, ma virtualmente certa». Un aspetto sul quale non era però
preparato a prendere una posizione era se l‟asteroide fosse sassoso o carbonaceo.
Nella sua nuova analisi, Sekanina ha notato che la collisione della cometa
Shoemaker-Levy 9 con Giove, nel 1994, dimostrava che la massa di una cometa che
entra nell‟atmosfera di un pianeta, come la Terra o Giove, dovrebbe essere maggiore
di 100 milioni di tonnellate per innescare una potente esplosione alla fine del suo
viaggio. Comete più piccole hanno molte probabilità di dissolvere la propria massa
nel volo attraverso l‟atmosfera e finirebbero senza una massa apprezzabile a scarse
altitudini. Per contro, lo studio di un certo numero di palle di fuoco fa emergere che
masse iniziali piccole, dell‟ordine dei 10 chili, producono fiammate finali. Diversi
studi dell‟interazione tra l‟altitudine di una palla di fuoco, la sua velocità pre-
esplosione e la pressione aerodinamica alla quale esplode corroborano la tesi che la
massa pre-esplosione dell‟oggetto di Tunguska fosse di un milione di tonnellate.
La questione dell‟ipotesi cometaria, affermò Sekanina «a questo punto si spegne».
Notò anche che la palla di fuoco di Tunguska scompariva davanti alla cometa
Shoemaker-Levy 9, se se ne misurava la quantità di energia rilasciata, «d‟altro canto,
l‟evento di Tunguska rimanda direttamente al tema della minaccia alla nostra civiltà».
Sekanina concluse la sua analisi riassumendo otto punti che confermavano la sua
teoria dell‟asteroide, non basandola semplicemente sulle dichiarazioni dei testimoni
oculari, come gli rimproveravano i suoi detrattori:
• l‟esplosione a mezz‟aria è simile alle fiamme finali delle palle di fuoco osservate
fotograficamente;
• la pressione nel punto dell‟esplosione, secondo i calcoli pari a duecento volte la
normale pressione atmosferica, è compatibile con il valore che ci si aspetta da palle di
fuoco simili; se invece l‟oggetto fosse stato una cometa, la pressione sarebbe stata
circa duemila volte la pressione atmosferica, del tutto fuori da un valore plausibile
per una cometa fragile;
• la velocità pre-esplosione di 36.000 chilometri orari è la stessa determinata dalle
osservazioni sismologiche e dalla simulazione in laboratorio della foresta sradicata;
• questo livello di velocità evidenzia un‟orbita simile a quella di una cometa;
• le poche prove esistenti dell‟evento non concordano con lo schema di
frammentazione tipico delle comete;
• una cometa di una simile magnitudine sarebbe stata estremamente rara, forse da
dieci a cento volte più rara che un asteroide con la stessa energia di esplosione;
• la limitata prova dell‟orbita dell‟oggetto concorda con le orbite della Terra che
incrociano gli asteroidi, ma non con quelle delle comete di breve periodo;
• questa informazione orbitale è particolarmente sfavorevole all‟ipotesi che
associava l‟oggetto alla cometa di Encke.
Nel 2001 un gruppo di scienziati italiani ha guardato all‟oggetto di Tunguska da
un‟angolazione diversa, basata su un‟idea di Paolo Farinella (1953-2000).
Utilizzando i dati delle analisi dettagliate di tutta la letteratura scientifica disponibile
– inclusi i racconti inediti di testimoni oculari che non erano mai stati tradotti dal
russo – e la ricerca sulle direzioni di più di sessantamila alberi abbattuti, gli scienziati
italiani hanno tracciato una serie di possibili orbite dell‟oggetto. Su 886 orbite valide
da loro calcolate, l‟83 per cento erano orbite di asteroidi, e solo il 17 per cento
potevano essere associate a comete.
Questi dati hanno dimostrato che l‟oggetto di Tunguska doveva essere un
asteroide. Ma se è stato un asteroide, perché si è frantumato completamente? Secondo
uno scienziato del team, Luigi Foschini dell‟Università di Trieste, ciò è forse
avvenuto perché l‟oggetto era come l‟asteroide Matilde, fotografato dalla sonda
spaziale Near-Shoemaker nel 1997. Matilde è un ammasso di detriti di roccia con una
densità molto vicina a quella dell‟acqua. Questo significherebbe che potrebbe
esplodere e frammentarsi nell‟atmosfera e solo l‟onda d‟urto raggiungerebbe il suolo.
Con l‟avvicinarsi del venticinquesimo anniversario della sua pubblicazione del
1983 – e del centenario dell‟evento di Tunguska – Sekanina riflette sulla sua
pionieristica conclusione che l‟oggetto di Tunguska fosse un asteroide:
Non ho cambiato le mie idee sull‟argomento, credo ancora che la natura asteroidale
dell‟oggetto di Tunguska sia virtualmente certa…. Il mio coinvolgimento
nell‟argomento era abbastanza particolare. Non avrei cominciato la mia ricerca su questa materia,
all‟inizio degli anni Ottanta, se non fosse stato per il fatto che gli studi pubblicati negli anni Settanta
– tutti fortemente pro cometa – avevano attirato la mia attenzione. Io sono un fisico delle comete e
sentii che, se si fosse trattato di un pezzo di cometa, da questo evento si sarebbe potuto imparare
qualcosa sulle proprietà dei nuclei cometari. Perciò cominciai a studiare l‟argomento credendo che
si trattasse davvero di una cometa: altrimenti non mi sarei mai fatto coinvolgere, e sicuramente non
posso essere accusato di aver iniziato la mia ricerca sull‟argomento con un pregiudizio contro
l‟origine cometaria di Tunguska.
La mia conclusione è stata semplicemente il risultato delle mie scoperte: più lavoravo, più
diventava ovvio per me che non si trattava di una cometa (considerate soltanto l‟enorme pressione
dinamica da sostenere!). Quando ne fui completamente convinto, avevo impiegato così tanto tempo
che sentivo sarebbe stato un peccato abbandonare l‟argomento, anche se esso era divenuto
sostanzialmente irrilevante per i miei interessi scientifici (non ho mai trovato gli asteroidi molto
divertenti). E questa è stata la sola ragione dietro il mio saggio del 1983. Il resto è storia….
Naturalmente l‟ipotesi dell‟origine cometaria ha ancora i suoi vecchi sostenitori, come Vitalij
Bronsten, ma nessun nuovo ammiratore.
E, naturalmente, il fondamentale contributo degli scienziati russi allo sviluppo
della teoria della cometa è ben presente nella storia dell‟enigma di Tunguska.
Obiettivo Terra
Saremo di nuovo colpiti da un asteroide simile a quello di Tunguska? Gli
astronomi suggeriscono che la frequenza media degli impatti di asteroidi di
dimensioni simili (con una larghezza di circa 75 metri) è di uno ogni mille anni.
Questi asteroidi esplodono nella bassa atmosfera, ma rilasciano abbastanza energia
distruttiva da spazzare via una grande città.
La possibilità di un impatto decresce con l‟aumentare delle dimensioni
dell‟asteroide. L‟intervallo medio tra gli impatti di asteroidi giganti (una larghezza
media di 16 chilometri) è di cento milioni di anni. Un impatto di questa grandezza
potrebbe distruggere un intero continente e causare l‟estinzione di massa di forme di
vita avanzate. Si pensa che un simile impatto abbia fatto scomparire i dinosauri 65
milioni di anni fa, come vedremo più avanti.
Vogliamo davvero vincere la lotteria degli asteroidi? Le probabilità di indovinare
sei numeri in una lotteria di 45 numeri è 1 su 4 milioni. La possibilità diventa 1 su 14
milioni se dovete indovinare sei numeri su 49, e 1 su 19 milioni se dovete indovinare
tra 51 numeri. La probabilità dell‟impatto di un asteroide, piccolo o grande, è di 1 su
20.000 (pari a quella di un disastro aereo per un volo di linea). Secondo questi calcoli
il famoso uomo della strada, se non è investito da un autobus, avrà molte più
possibilità di assistere all‟impatto di un asteroide che di vincere una lotteria. Perché
preoccuparsi allora di comprare un biglietto della lotteria?
Dovremmo scartare queste probabilità di rischio ritenendole fandonie, sciocche
bugie e statistiche oppure perdere il sonno a causa della minaccia di un asteroide?
Cosa dicono gli esperti?
«Non sappiamo se un grande asteroide ci colpirà nel corso di questo secolo» dice
l‟astronomo britannico Martin Rees. «Il rischio non è sufficientemente alto da tenerci
tutti svegli la notte, ma non può nemmeno essere escluso del tutto.»
Lo scienziato planetario americano Tom Gehrels è della stessa idea: «Le possibilità
che un corpo celeste collida con la Terra sono poche, ma le conseguenze sarebbero
catastrofiche».
«Nessuno credette a Chicken Little2 quando diceva che il cielo stava per cadere.
Ma talvolta il cielo cade, e con effetti tremendi» affermò nel 1994 Eugene
Shoemaker, che aveva l‟incarico di mettere il mondo in allerta sui pericoli degli
impatti di asteroidi e comete.
«Gli scettici possono chiedere un parere ai dinosauri» affermava un editoriale dello
«Scientific American» nel novembre del 2003.
Oltre a chiedere l‟opinione dei dinosauri, cos‟altro possono fare gli scienziati per
evitare che un asteroide si schianti sulla Terra? Una volta che gli scienziati hanno
scoperto un asteroide possono calcolare se è diretto verso di noi. Il piano per
distruggerlo dipenderà da quanto lontano si trova. Ecco alcune strategie per salvarci
dallo scenario descritto in film come Armageddon o Deep Impact.
• Deviazione. Se un minaccioso asteroide fosse avvistato un anno prima della
possibile collisione, potrebbe essere deviato con convenzionali armi chimiche. Un
piccolo cambiamento nella velocità di un asteroide, dell‟ordine dei 36 metri all‟ora,
defletterebbe l‟asteroide di 6000 chilometri – pari al raggio dell‟obiettivo Terra – in
un anno.
• Spinta. Invece di una deviazione, alcuni scienziati preferirebbero la spinta più
forte da parte di un‟astronave nucleare che sparasse getti di plasma. L‟astronave,
priva di equipaggio, incontrerebbe l‟asteroide killer, si attaccherebbe alla sua
superficie e lo spingerebbe lentamente, in modo da fargli evitare la Terra.
• Attacco. Questo ingegnoso piano colpirebbe l‟asteroide piazzando una struttura
fatta di milioni di piccole palle di tungsteno sul percorso della minaccia che avanza.
La collisione creerebbe abbastanza calore da trasformare l‟asteroide in una piccola
roccia inoffensiva. La struttura potrebbe essere lanciata nello spazio da un missile.
“incartasse”. Un asteroide irradia calore nello spazio dopo che il Sole ha scaldato
la sua superficie, il che gli impartisce un piccolissimo moto, che fa leggermente
slittare la sua orbita. Un avvolgimento o la spruzzata di gesso bianco o polvere scura
di carbone sulla superficie di un asteroide muterebbe la sua riflettività e quindi il suo
calore. Questo trasferimento di calore cambierebbe il moto, il che potrebbe essere
sufficiente a cambiare la sua direzione.
• Bombardamento. Se non ci fosse abbastanza tempo per prepararsi, alcuni
scienziati suggeriscono di distruggere l‟asteroide con una bomba nucleare. L‟idea è
che l‟esplosione nucleare scioglierebbe la superficie dell‟asteroide, dandogli una
spinta nella direzione opposta. Non sarebbe proprio il modo migliore di eliminare un
asteroide: se la bomba scoppiasse troppo vicino all‟asteroide potrebbe farlo
esplodere, creando milioni di tonnellate di polvere e frammenti radioattivi. Se i
frammenti piovessero sulla Terra potremmo comunque andare a raggiungere i
dinosauri. Le bombe al neutrone – che uccidono la gente ma non danneggiano gli
edifici – sarebbero un‟alternativa migliore. Una volta che i neutroni altamente
energetici colpissero l‟asteroide, ne surriscalderebbero la superficie e il materiale
vaporizzato farebbe deviare l‟asteroide dalla rotta di collisione.
• Bruciatura. Questo piano implica il posizionamento di un enorme specchio
concavo di alluminio abbastanza vicino all‟asteroide. Lo specchio rifletterebbe un
raggio di luce su un piccolo punto dell‟asteroide. Il calore vaporizzerebbe una piccola
parte dell‟asteroide che verrebbe sparata nel cielo, spingendo l‟asteroide nella
direzione opposta. Uno specchio largo 800 metri potrebbe deflettere un asteroide di 3
chilometri di diametro.
• Escavazione. Questo piano semplice ma tecnicamente difficile richiede di
piazzare un robot sulla superficie dell‟asteroide. Il robot scaverebbe la roccia
dell‟asteroide gettandola nello spazio e inducendo l‟asteroide ad accelerare
leggermente nella direzione opposta.
Robert Gold della Johns Hopkins University, che considera l‟impatto di un
asteroide o di una cometa «la più grande minaccia naturale alla sopravvivenza a
lungo termine della specie umana», ha proposto un sistema completo di difesa della
Terra progettato per scoprire, catalogare e calcolare le orbite degli oggetti vicini alla
Terra e deflettere i potenziali pericoli. Questo sistema chiamato Shield (scudo)
prevede sentinelle (navicelle spaziali progettate per cercare e individuare oggetti
minacciosi), astronavi soldato (per deflettere o disperdere l‟oggetto) e un sistema di
controllo con base sulla Terra per supervisionare il lavoro. I soldati di Gold
userebbero una o più tecniche descritte sopra. Gold crede che lo scudo possa essere
attuato fra i prossimi dieci e quarantanni.
Nel 2002 il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA ha definito il suo programma
«sentinella»: un sistema di monitoraggio di collisione altamente automatizzato, che
passa in rassegna il catalogo degli asteroidi con maggiori possibilità di impatto con la
Terra nei prossimi cento anni. Ogniqualvolta si individua un potenziale impatto, esso
è analizzato e i risultati vengono immediatamente pubblicati sul sito del programma
NEO (Near Earth Object, oggetti vicini alla Terra) del JPL: http://neo.jpl.nasa.gov/risk/.
Sulla questione delle rocce dell‟apocalisse Tom Gehrels mette l‟ultima parola:
Le comete e gli asteroidi mi ricordano Shiva, la divinità indù che distrugge e ricrea. Questi corpi
celesti hanno permesso alla vita di nascere, ma hanno anche fatto estinguere i dinosauri. Ora, per la
prima volta, gli abitanti della Terra hanno la possibilità di prevedere il rischio della propria
estinzione e il potere di fermare questo ciclo di distruzione e creazione.
Fantomatica Tunguska
Dalla prima spedizione di Kulik nel 1927, ci sono state numerose spedizioni russe
e internazionali sul sito dell‟esplosione di Tunguska, ma nessun cratere di impatto o
resti tangibili di un meteorite sono stati ancora trovati. La palla di fuoco ha lasciato
altri segni, oltre a una foresta abbattuta?
Coloro che credono che l‟oggetto di Tunguska fosse o una cometa o un asteroide,
credono anche che la massa dell‟oggetto si sia vaporizzata in microscopici detriti
quando è esplosa a una certa altezza dal suolo. Una simile teoria spiegherebbe anche
l‟assenza di crateri di impatto. Dopo l‟esplosione, alcuni dei detriti microscopici
sarebbero stati deviati a ovest di Tunguska, ma il resto si sarebbe condensato in
globuli microscopici, piovuti sulla taiga sottostante. Molti scienziati hanno tentato di
individuare questi segni.
Ablazione totale
Vladimir Svecov dell‟Istituto per la dinamica delle geosfere di Mosca rimosse uno
strato di mistero dall‟evento di Tunguska quando, nel 1996, dimostrò che l‟intera
massa del corpo di Tunguska si era vaporizzata prima di poter raggiungere il suolo.
L‟ablazione – il materiale di perdita di un corpo cosmico attraverso l‟evaporazione o
lo scioglimento causato dall‟attrito con l‟atmosfera – dei detriti di Tunguska era
totale.
Secondo Svecov, quando un corpo delle dimensioni di quello di Tunguska entra
nell‟atmosfera, si frantuma in un gran numero di frammenti, i più grandi dei quali
misurano 10 centimetri. Quando il corpo decelera, questi frammenti vengono separati
gli uni dagli altri. Le simulazioni matematiche dimostrano che i frammenti sassosi
sono stati completamente distrutti sia all‟interno che all‟esterno della palla di fuoco a
causa delle alte temperature. Tutto il materiale vaporizzato non raggiunge il suolo; si
muove verso l‟alto nell‟atmosfera. Sebbene Svecov ammettesse che i processi di
frammentazione erano complessi e necessitavano certamente di ulteriori indagini,
dichiarò il suo scenario «quasi plausibile».
Per quanto riguarda il corpo di Tunguska, Svecov riteneva che si fosse riscaldato
fino a 15.000 gradi Celsius, una temperatura sufficientemente alta da creare un effetto
«simile a quello di un‟esplosione nucleare». In seguito all‟esplosione, il corpo si era
frantumato in un vasto numero di frammenti, larghi tra 1 e 10 centimetri. Ma la
temperatura era talmente alta da sciogliere questi frammenti finché non ne rimase
nessuno. Alcuni di questi microscopici detriti si condensarono nell‟atmosfera e
furono poi sparsi nella foresta di Tunguska. «C‟è da attendersi l‟assenza di detriti
solidi in seguito alla frammentazione di un grande asteroide sassoso» concludeva
Svecov.
Affermò anche che, similmente all‟impatto della cometa Shoemaker-Levy 9 su
Giove, i detriti di Tunguska erano probabilmente ampiamente sparsi a causa della
turbolenta scia dell‟asteroide. Svecov suggerì anche che le particelle microscopiche
rinvenute nella resina degli alberi dai ricercatori italiani «avrebbero potuto essere
materiale ricondensato precipitato nelle vicinanze del sito dell‟impatto».
Svecov lasciò qualche speranza ai cacciatori del meteorite di Tunguska: se qualche
frammento più grande avesse guadagnato per caso delle significative velocità ad
altitudini tra i 15 e i 20 chilometri, dei resti di grandezza apprezzabile avrebbero
potuto raggiungere il suolo. Ma sarebbero caduti a terra a una distanza tra i 15 e i 10
chilometri a sudest dall‟epicentro dell‟esplosione.
I calcoli di Svecov erano basati sull‟assunzione che la palla di fuoco di Tunguska
fosse un oggetto simile a un asteroide di 15 megatoni che avesse colpito la Terra a
una velocità di 54.000 chilometri orari e con un angolo di 45 gradi. E se l‟oggetto
fosse stato una cometa?
Ovviamente quest‟analisi non avrebbe senso. Lo scienziato della NASA Kevin
Zahnle fornisce un argomento che i sostenitori della cometa troveranno difficile
demolire: tutti i piccoli crateri di impatto sulla Terra sono quasi sempre prodotti dai
relativamente rari meteoriti ferrosi (il cratere della Meteora in Arizona, largo 1,2
chilometri, per esempio, fu prodotto da un corpo ferroso avente sostanzialmente la
stessa energia di esplosione di Tunguska; il più piccolo cratere conosciuto prodotto
da un meteorite sassoso è un cratere di 3,4 chilometri nel Nuovo Quebec). Se comete
con energia di 15 megatoni possono raggiungere l‟atmosfera superiore prima di
esplodere, allora i ben più numerosi asteroidi che, secondo la maggior parte degli
astronomi penetrerebbero più in profondità, dovrebbero produrre crateri ogni mille
anni. «Se quella di Tunguska era una cometa, dove sono tutti gli altri crateri della
Meteora formati dalle rocce?» chiede Zahnle.
Effetti ambientali
Durante la sua prima spedizione a Tunguska nel 1927, Kulik notò una ripresa
abbastanza rapida della foresta dopo la catastrofe. Come abbiamo visto scrisse nel
suo diario: «La crescita della giovane foresta di vent'anni è avanzata
prepotentemente, cercando il sole e la vita». Questa accelerata crescita degli alberi
sopravvissuti alla catastrofe è stata studiata da molti scienziati russi che hanno notato
come essa non coincida con i limiti dell‟incendio e della foresta distrutta ma sia
rilevabile anche negli alberi più giovani germinati dopo la catastrofe.
C‟è chi ha ipotizzato che questa crescita accelerata sia il risultato della mutazione
genetica causata da un‟esplosione nucleare. Il gruppo di Longo aveva esaminato
l‟abbondanza del carbonio-14 negli anelli degli alberi tra il 1903 e il 1916, ma non
aveva trovato tracce di processi nucleari. Questa osservazione contraddiceva la
convinzione di Alekseev che i processi radioattivi fossero possibili sulla superficie
del corpo di Tunguska. Il gruppo italiano suggerì che la crescita accelerata degli
alberi derivasse da condizioni ambientali fortemente migliorate dopo l‟esplosione,
come la cenere fertilizzatrice degli alberi carbonizzati, la minore competizione per la
luce, e la maggiore disponibilità di minerali dovuta all‟aumentata distanza tra gli
alberi.
Un‟analisi dettagliata degli effetti ambientali della catastrofe fu condotta dallo
scienziato americano dell‟atmosfera Richard Turco e dai suoi colleghi nel 1980. Tale
analisi è basata sull‟assunzione che l‟oggetto di Tunguska fosse il nucleo ghiacciato
di una cometa, ricco di acqua, ammoniaca, biossido di carbonio e metano. Al
passaggio di quest‟oggetto nell‟atmosfera, tali sostanze avrebbero contribuito alla
produzione di 30 milioni di tonnellate di ossido nitrico. Dopo aver confrontato
l‟ossido nitrico generato dalle bombe nucleari, Turco concluse che l‟evento di
Tunguska avrebbe potuto essere paragonato approssimativamente a «una guerra
nucleare dell‟ordine di 6000 megatoni in termini di ossido nitrico depositato nella
stratosfera». In aggiunta a questa massiccia iniezione di ossido nitrico nella
stratosfera, l‟oggetto scaricava anche 1,5 milioni di tonnellate di acqua, che
contribuirono alla formazione delle nubi nottilucenti. Ma l‟ossido nitrico avrebbe
prodotto anche un effetto più duraturo e mortale: per una complessa serie di reazioni,
l‟ossido nitrico trasforma l‟ozono della stratosfera in ossigeno. Queste reazioni hanno
assottigliato lo strato di ozono che ci protegge dai dannosi raggi ultravioletti del Sole.
Il velo di polvere che restò sopra la stratosfera per anni contribuì anch‟esso ai
cambiamenti climatici. Turco ha affermato che circa un milione di tonnellate
(secondo la stima di Ganapathy 7 milioni di tonnellate) di polvere avrebbero
probabilmente fatto diminuire la temperatura media della superficie terrestre di 0,05
gradi Celsius nell‟emisfero nord. Turco precisò che la tendenza al raffreddamento
avrebbe potuto avere inizio dall‟esplosione vulcanica del 1907 in Russia. La squadra
di Turco studiò anche le registrazioni climatiche dai primi anni del 1900 e notò molte
altre insolite condizioni del clima che cominciarono ad apparire intorno al 1908 e
durarono per diversi anni: un aumento (al di sopra del trend di diminuzione) nella
rigida temperatura del Nordamerica sia in gennaio che in luglio, a cominciare dal
1909-1910; un aumento del ghiaccio artico complessivo tra il 1908 e il 1911; e una
diminuzione del 50 per cento rispetto ai valori normali nel numero dei cicloni
tropicali nell‟oceano Atlantico e nel mar Caraibico.
Il team di Turco concluse i propri studi affermando che questo impressionante
evento naturale avrebbe potuto avere un significato storico. La diminuzione
dell‟ozono e i cambiamenti climatici associati ai grandi meteoriti potrebbero aver
avuto un ruolo negli eventi passati, come l‟estinzione dei dinosauri 65 milioni di anni
fa.
Anche se sappiamo dell‟impatto ambientale dell‟oggetto di Tunguska e dei suoi
resti, sappiamo poco dell‟identità dell‟oggetto: era una cometa, un asteroide o
qualcos‟altro?
VI
VII
Questioni di materia
L‟idea dell‟atomo può aver avuto origine a Babilonia o in Egitto o anche in India,
ma la storia della materia è cominciata in Grecia nel V secolo a.C., con Leucippo e il
suo discepolo Democrito. Essi pensavano che la materia fosse composta di spazio
vuoto e di un numero infinito di minuscole e indistruttibili particelle dette atomos.
Ma Aristotele e altri filosofi greci preferirono i “loro” elementi – terra, aria, fuoco e
acqua – dai quali l‟intero mondo era stato creato, e l‟idea di Democrito andò persa
per due millenni. Fu riscoperta ed estesa nel 1808 da John Dalton, quacchero,
professore di matematica e filosofia a Manchester, che per primo formulò una teoria
atomica.
Il primo modello fisico dell‟atomo fu proposto nel 1898, quando il fisico britannico
Joseph John Thomson, che l‟anno prima aveva scoperto l‟elettrone, suggerì che gli
atomi fossero simili a un pudding, in cui l‟“uvetta”, cioè gli elettroni caricati
negativamente, è incorporata in un “pudding” sferico di protoni caricati
positivamente. Questo delizioso modello fu demolito all‟inizio del XX secolo quando
Ernest Rutherford, professore di fisica dell‟Università di Manchester, dimostrò che
l‟atomo era simile a un sistema solare in miniatura, con gli elettroni che orbitavano
intorno a un sole centrale o nucleo. Dopo aver annunciato il suo modello, il
professore, famoso in tutto il mondo, con un largo sorriso disse, riguardo ai suoi
detrattori: «Alcuni di loro pagherebbero mille sterline per poterle confutare».
Nessuno ebbe il coraggio – o le mille di sterline – per sfidare il modello, che presto,
con alcuni cambiamenti, sarebbe divenuto l‟immagine con cui ancora adesso
conosciamo l‟atomo.
Mentre gli studenti lottavano per comprendere la struttura dell‟atomo formata da
tre particelle, i fisici proposero complessi modelli quantistici dell‟atomo e scoprirono
un intero “zoo” di particelle elementari (così tante, in realtà, da far affermare a Enrico
Fermi: «Se fossi riuscito a ricordare i nomi di tutte queste particelle, sarei diventato
un botanico»), le più famose delle quali sono i quark, ipotizzati nel 1964 dal fisico
americano Murray Geli-Mann, che nel 1969 vinse il premio Nobel per la fisica per il
suo lavoro su di essi. Il loro nome deriva dalla frase «Three Quarks for Muster Mark»
del romanzo di Joyce Finnegans Wake. Fino a poco tempo fa, i quark venivano
considerati i mattoni della materia, ma alcuni fisici credono ora che essi siano
costituiti di particelle ancora più piccole. La fisica dei quark e delle altre particelle
elementari è molto complessa, ma in parole povere possiamo dire che ciascuna
particella ha tre caratteristiche principali: la massa (alcune particelle non hanno
massa), la carica (ogni particella ha una carica positiva, negativa o neutra) e la
rotazione (ogni particella ruota come una trottola).
L’antimateria a Tunguska
Nel 1940, quando l‟idea dell‟antimateria non era nulla più che un insieme di
equazioni matematiche, lo scienziato russo Vladimir Rojanskij suggerì la possibilità
dell‟esistenza nello spazio di meteoriti contraterreni (contraterreno, o CT, è un termine
obsoleto per indicare l‟antimateria, ma era un tempo molto popolare nella
fantascienza; la materia ordinaria era detta terrena). Rojanskij affermò anche che un
simile meteorite «sarebbe stato interamente spazzato via prima di raggiungere il
livello del mare».
Nello stesso anno, il «New York Times» del 15 settembre riportava: «Mentre ieri
mattina il cutter Rockit II, lungo 22 piedi, stava attraversando Long Island Sound
vicino a Bridgeport, Connecticut, con quattro tranquille persone a bordo, una
conchiglia ha attraversato la sua prua ed è esplosa a cento metri di distanza». Un
passeggero ricordava: «È stata un‟esperienza inquietante, prima lo stridio, uno strano
rumore. Poi, un attimo dopo, l‟esplosione, vicino alla prua, a dritta. Innalzò una
grande colonna d‟acqua, a diversi metri di altezza. È stata la cosa più strana nel
mezzo del tranquillo Sound. Per fortuna non c‟erano altre imbarcazioni vicine o un
aereo in cielo!».
Le autorità indagarono sull‟accaduto e scoprirono che nessuna mina poteva essere
esplosa vicino alla barca. Dato che un meteorite sull‟acqua non esploderebbe, molti
astronomi del tempo ipotizzarono che l‟esplosione potesse essere dovuta alla caduta
di un minuscolo meteorite contraterreno. In un commento sul mistero del Rockit II in
«Popular Astronomy», Samuel Herrick Jr, un astronomo della University of
California, sostenne l‟ipotesi del meteorite contraterreno e disse che Paul Dirac e gli
altri scienziati «dovevano congratularsi per una delle più ingegnose (e appassionanti)
ipotesi degli ultimi anni». Consigliò inoltre che i suoi colleghi astronomi
«distinguessero tra le palle di fuoco altamente esplosive o i bolidi dai quali nessun
materiale raggiunge il suolo, che potrebbero dunque essere contraterreni, e quelli che
sono la fonte dei meteoriti terrestri».
Questo dibattito sui meteoriti contraterreni indusse Lincoln La Paz – un importante
esperto americano di meteoriti, che nutriva un forte interesse per le spedizioni a
Tunguska di Kulik e tradusse molti dei suoi saggi in inglese – a suggerire, nel 1941,
che il meteorite di Tunguska fosse di natura contraterrena a causa della grande
quantità di energia rilasciata, l‟assenza di crateri di impatto e di nichel-ferro la cui
presenza è collegata ai meteoriti: «Se un meteorite ferroso contraterreno, di
dimensioni paragonabili a quelle dei più grandi ferrosi che si ipotizza siano caduti,
dovesse colpire la Terra, ne risulterebbe un‟esplosione estremamente potente, poiché,
in aggiunta alla grande quantità di energia di moto delle masse meteoritiche, una
grande quantità di energia si libererebbe dal suo annichilimento e nessun materiale
meteoritico originario rimarrebbe nel luogo dell‟esplosione».
Le spiegazioni di Herrik e La Paz provocarono una risposta un po‟ risentita da
parte di Harvey H. Nininger, un noto esperto di meteoriti e presidente della American
Society for Research on Meteorites. Affermò che entrambi i fenomeni potevano
essere spiegati da fatti dimostrati senza assumere l‟esistenza di alcun «materiale
puramente ipotetico. Stiamo sicuramente preparando un ritorno ai giorni di “spiriti e
mistero” quando abbandoniamo le faticose (o anche massacranti) indagini e
cerchiamo rifugio in ipotesi non comprovate, specialmente quando quelle ipotesi
restano semplici asserzioni!». (Nel 1928, Nininger aveva esortato le associazioni di
studiosi americani a inviare una spedizione in Siberia «per assicurarsi cosa fosse
ancora disponibile del più grande messaggio dalle profondità dello spazio che abbia
mai raggiunto questo pianeta», ma nessuna mostrò alcun interesse.)
Quando stimati scienziati del calibro di Willard Libby, che aveva sviluppato la
tecnica di datazione col carbonio-14, e dei suoi colleghi Clyde Cowan e C.R. Atluri
suggerirono nel 1965 che l‟oggetto di Tunguska fosse composto di antimateria, non
correvano il rischio di ritornare ai giorni di “spiriti e mistero”. Dall‟avvertimento di
Nininger nel 1941 molto era stato scoperto sull‟antimateria. Sebbene la sua esistenza
dovesse ancora essere sperimentalmente dimostrata, l‟antimateria non era più
considerata puramente ipotetica.
Nel loro dettagliato saggio di ricerca su «Nature», i tre scienziati americani
individuarono la possibilità di una reazione di fusione o fissione nucleare e si
schierarono a favore dell‟ipotesi dell‟antimateria. Sostennero che né la fissione né la
fusione potevano spiegare gli effetti dell‟esplosione di Tunguska. Per avviare una
reazione a catena (nella quale un pesante nucleo atomico si divide in un nucleo più
leggero) si richiede una massa critica di materiale di fissione come plutonio o uranio.
L‟esplosione di molti megatoni a Tunguska avrebbe richiesto una grande massa
iniziale – molto più elevata della massa critica – il che pare improbabile. D‟altra parte
la fusione (nella quale nuclei atomici più leggeri si combinano per formare un nucleo
più pesante) richiede una quantità sufficiente di deuterio molto compresso, che deve
essere riscaldato fino a diversi milioni di gradi Celsius. Una temperatura così alta non
potrebbe essere ottenuta semplicemente con l‟ingresso nell‟atmosfera.
L‟ipotesi dell‟antimateria poteva spiegare l‟elevato campo energetico
dell‟esplosione di Tunguska, ma i ricercatori puntualizzarono subito che numerose
obiezioni si sollevavano immediatamente riguardo a quest‟ipotesi. Due forti obiezioni
erano la mancata prova dell‟esistenza dell‟antimateria e il fatto che l‟oggetto di
antimateria avrebbe cominciato a disintegrarsi nel momento in cui fosse entrato
nell‟atmosfera: il suo più vasto campo energetico si sarebbe collocato dunque più
verso la metà del percorso che verso la sua fine. Fra i tre modelli per l‟esplosione
nucleare, decisero a favore dell‟annichilimento dell‟antiroccia nell‟atmosfera. I loro
calcoli mostrarono che se l‟esplosione di Tunguska fosse stata dovuta a un‟antiroccia,
avrebbe avuto l‟effetto di una bomba a fusione o fissione da 50 megatoni.
L‟esplosione avrebbe anche generato migliaia di miliardi di atomi di carbonio-14.
Dal momento che l‟attendibilità dell‟ipotesi dell‟antimateria del trio americano
dipendeva dalla scoperta di grandi quantità del radioattivo carbonio-14 negli alberi,
essi analizzarono il contenuto del carbonio-14 nelle sezioni di un abete di trecento
anni, che era caduto nel 1951 a Tucson, in Arizona, e di una quercia abbattuta nel
1964 vicino a Los Angeles. Contarono circa 90.000 parti di carbonio-14 negli anelli
degli alberi formatisi tra 1870 e il 1930, che dimostravano che la quantità
raggiungeva un picco nel 1909. L‟aumento, comunque, era molto inferiore a quello
che avevano previsto. La loro conclusione in ogni caso fu che, sebbene vi fossero
incertezze, i dati conducevano a un risultato positivo.
Le recenti misurazioni dimostrano anch‟esse un aumento nel carbonio-14, ma non
abbastanza da supportare l‟idea di un annichilimento causato da un‟esplosione
nucleare, sia essa per fissione o fusione di antimateria.
Un decennio dopo la pubblicazione dell‟ipotesi dell‟antimateria, Hall Crannel della
Catholic University of America guardò ad altri modi di misurare il contenuto
dell‟antimateria dell‟oggetto di Tunguska. Affermò che il silicio, e in certa misura
anche l‟alluminio, sono elementi che abbondano nelle rocce. Quando l‟antiroccia di
Tunguska colpì il suolo, il normale alluminio fu trasformato in alluminio-26
radioattivo. Se il contenuto di alluminio-26 nelle rocce o nel suolo è misurato in
funzione della distanza dal centro dell‟esplosione, suggerì, la più elevata
concentrazione di alluminio-26 dovrebbe riscontrarsi vicino al centro. Nessuno ha
ancora operato queste misurazioni.
L‟astronomo britannico David Hughes respinse l‟ipotesi dell‟antimateria sulla base
che «è difficile comprendere come sia potuta penetrare a una tale profondità
nell‟atmosfera e perché l‟esplosione abbia raggiunto l‟apice alla fine della traiettoria
e non a metà strada».
Un’altra materia
C‟è un‟altra materia, ed è chiamata materia quark. Gli incredibili minuscoli quark
sono di sei “sapori”: up, down, strano, incanto, alto e basso. I protoni e i neutroni
sono fatti di quark up e down. Gli altri quark non si trovano nella materia ordinaria.
Gli scienziati però credono che una strana materia quark – una forma di materia fatta
di quark up, down e strano – si sia formata nel Big Bang che ha segnato l‟inizio
dell‟universo 13 miliardi di anni fa. Questa materia è così densa che un cucchiaino di
essa peserebbe miliardi di tonnellate.
Nel 2002, l‟Osservatorio orbitante a raggi X Chandra avvistò una stella che gli
scienziati credevano essere una stella quark. I teorici hanno a lungo sospettato
l‟esistenza di stelle quark: stelle collassate che sono più dense delle stelle neutrone
ma non abbastanza dense per diventare buchi neri. La stella osservata ha un raggio
dai 5 ai 6 chilometri. Questo raggio, secondo gli scienziati, è circa la metà di quanto
ci si potrebbe aspettare se l‟oggetto fosse una stella quark. Se la strana materia quark
esiste davvero, potrebbe distruggere la materia ordinaria, convertendo i protoni e i
neutroni in quark. Questo processo potrebbe diffondersi come un incendio attraverso
lo spazio.
Nello stesso anno, un gruppo di ricercatori della Southern Methodist University di
Dallas affermò che non solo la strana materia quark esisteva dawero, ma era passata
attraverso la Terra per due volte nel 1993: una prima volta il 22 novembre, quando un
oggetto era entrato in Antartide e uscito dall‟oceano Indiano a sud dello Sri Lanka 26
secondi più tardi; una seconda volta il 24 novembre, quando era entrato nel Sud
dell‟Australia e uscito in Antartide dopo 19 secondi. Questi tempi implicavano che
entrambi gli oggetti viaggiavano a una velocità di 144.000 chilometri orari. I due
eventi erano stati registrati da diverse stazioni di monitoraggio ma non fu mai
suggerita una spiegazione soddisfacente.
Nel 1984 Sheldon Glashow disse che la strana materia quark sarebbe passata
attraverso la Terra con un drammatico effetto: un oggetto da una tonnellata avrebbe
rilasciato 50 chilotoni di energia, che si sarebbe diffusa attraverso la Terra lungo il
percorso seguito dall‟oggetto. I ricercatori della Southern Methodist cominciarono a
cercare eventi simili nel 1993 e selezionarono i due eventi sopra menzionati tra più di
un milione di registrazioni raccolte dalla Geological Survey degli Stati Uniti tra il
1990 e il 1993 che non erano associati ai tradizionali disturbi sismici. Secondo
Eugene Herrin, un membro del gruppo, nei normali terremoti l‟energia si irradia da
un singolo punto; quando invece un ammasso di materia costituita da quark del
“sapore” strano – nota come strangelet – passa attraverso la Terra, abbiamo una fonte
lineare, con energia che irradia dall‟intera linea attraverso la Terra e questo
produrrebbe un diagramma diverso nella registrazione dei dati delle stazioni
sismiche. Gli eventi del 1993 – causati da strangelet larghi un decimo di capello e del
peso di circa una tonnellata – hanno lasciato un diagramma distinto di materia quark.
«Non possiamo provare che questa fosse materia di quark del “sapore” strano, ma è la
sola spiegazione che è stata finora offerta» ha affermato Herrin.
L‟impatto degli strangelet su un‟area disabitata sarebbe probabilmente meno
violento che quello di un meteorite. «È molto difficile determinare quale sarebbe
l‟effetto. Ci sarebbe probabilmente un piccolissimo cratere, ma sarebbe praticamente
impossibile trovare alcunché.»
Una roccia di materia quark può aver colpito Tunguska il 30 giugno 1908? È
possibile, ma nessuno ha ancora la risposta definitiva.
VIII
Geometeore fantasma
L‟ipotesi della geometeora di Andrej Ol‟chovatov decisamente non è scienza vudu:
alcune delle sue idee sembrano all‟avanguardia per i tempi. Ol‟chovatov, prima
ricercatore dell‟Istituto di ricerca sovietico per i radiostrumenti industriali e ora
ricercatore indipendente a Mosca, è una figura popolare tanto nella grande comunità
del cyberspazio di Tunguska, quanto nella piccola, ma reale, comunità dei ricercatori
scientifici su Tunguska. Il suo sito web e il forum di discussione tengono vivo e
aggiornato il dibattito.
Ol‟chovatov si interessò all‟evento di Tunguska quando, alla fine degli anni
Ottanta, lesse a proposito delle luci sismiche: bagliori che a volte si verificano prima
di un forte terremoto. Associò immediatamente queste luci con quelle dei racconti dei
testimoni oculari di Tunguska. La similitudine tra le testimonianze sulle luci sismiche
e quelle di Tunguska lo indusse a credere che potesse esservi un legame. Pubblicò la
sua ipotesi sulla «Izvestija Akademii Nauk SSSR», rivista ufficiale dell‟Accademia di
Scienze dell’URSS nel 1991, ma una versione aggiornata è presente sul suo sito web e
negli sviluppi di molte conferenze scientifiche a cui ha partecipato. Come tutti coloro
che respingono l‟ipotesi di un impatto cosmico, egli vuol sapere dove sarebbero i
resti. «Da nessuna parte» dice. «Niente, dopo decenni di ricerche accurate.»
Egli ritiene che l‟esplosione sia stata causata da una concomitanza tra uno
sconosciuto processo sotterraneo e uno atmosferico, che ha formato oggetti luminosi
simili alle meteore ma di origine terrestre. Per essere più precisi, egli chiama questi
oggetti “meteore geofisiche” o “geometeore”. Una geometeora assomiglia a un
fulmine globulare ad alta velocità. «Simili eventi capitano in associazione con i
terremoti (le luci sismiche) e con le tempeste di tuoni (fulmini globulari)» afferma.
Secondo Ol‟chovatov, la regione di Tunguska si trova proprio nel centro di un
antico cratere vulcanico. Ci sono molte altre faglie, strutture circolari e formazioni
geologiche nella regione e molte faglie tettoniche si intersecano proprio vicino al
centro dell‟esplosione di Tunguska. C‟è la prova di una crescente attività sismica
nella regione prima dell‟esplosione e, contemporaneamente, c‟è stato anche un
aumento di fenomeni meteorologici anomali: macchie solari, tempeste di tuoni, il
cambiamento nelle previsioni della stazione meteorologica di Tunguska da “tempo
bello” a “cattivo”, a causa della possibilità di un ciclone proprio il 30 giugno 1908, e
un forte aumento della pressione atmosferica subito prima dell‟evento.
Questa rara combinazione su larga scala di disturbi geofisici e meteorologici si è
manifestata nel seguente ordine: un‟attività luminosa nell‟atmosfera nella Siberia
meridionale, simile alla caduta di meteore, si è verificata in concomitanza con una
serie di terremoti poco profondi, accompagnati da brontidi (suoni simili a tuoni, di
breve durata, ritenuti di origine sismica). Poi, alla bocca del cratere, si è verificata
una grossa esplosione geometeoritica.
Ol‟chovatov crede che la scienza non sia ancora pronta a spiegare l‟esatto
meccanismo delle interazioni geofisiche e meteorologiche. Comunque, nel suo saggio
descrive dettagliatamente come una geometeora possa essere ciò cui si riferirono i
testimoni oculari, comprendendo i vari fenomeni associati all‟evento. Citando i
ricercatori russi che nel 1988 hanno analizzato i resoconti sull‟oggetto di Tunguska,
riporta le seguenti descrizioni dell‟oggetto:
Forma dell’oggetto Percentuale nei racconti dei testimoni oculari
Palla 18,8
Cilindro 16,3
Cono 2,1
Stella 3,4
Coda 14,0
Serpente 2,3
Fulmine 2,1
Striscia di luce 2,5
Colonna di fuoco 4,9
Fiamma 10,3
Scintilla 11,2
Altre forme 12,1
IX
L’astronave Tunguska
Nell‟agosto 1945, Little Boy e Fat Man cambiarono per sempre il nostro mondo.
Nomi curiosi per due bombe atomiche che hanno scatenato un‟immane devastazione
sull‟umanità. Il 6 agosto, Little Boy quasi cancellò la città di Hiroshima dalla cartina
del Giappone. Tre giorni dopo, Fat Man esplose nella storia e nel cielo di Nagasaki.
«Fu difficile credere a ciò che avevamo visto» disse il colonnello Paul Tibbets,
pilota dell‟aereo B-29, che sganciò la bomba atomica su Hiroshima, descrivendo in
una conferenza stampa quello che aveva visto pochi secondi dopo che la bomba era
stata sganciata. «Sotto di noi c‟era un‟incredibile nuvola nera che si alzava
rapidamente… quella che era stata Hiroshima si stava trasformando in una montagna
di fumo. Prima potei vedere un fungo di polvere bollente – apparentemente con dei
detriti al suo interno – innalzarsi fino a 20.000 piedi. Il bollore continuò per tre o
quattro minuti, mentre guardavo. Poi una nube bianca fuoriuscì dal centro
innalzandosi per circa 40.000 piedi. Una minacciosa nuvola di polvere si diffuse per
tutta la città. C‟erano fuochi ai confini della città, che divampavano mentre gli edifici
crollavano e le condutture del gas esplodevano.»
A terra, Kiyosi Tenimoto, pastore della Chiesa metodista di Hiroshima, che si
trovava a quasi 4 chilometri dal centro dell‟esplosione, vide un accecante lampo di
luce, come una “lamiera di sole”, che tagliava il cielo. Pochi momenti dopo il
bagliore di luce si era trasformato in una gigantesca nube a forma di fungo, ormai
nota a tutti come segno caratteristico di un‟esplosione atomica. John Hersey, uno dei
primi giornalisti occidentali a riportare le conseguenze della bomba, scrisse sulla
rivista «The New Yorker» del 31 agosto 1946 che i sopravvissuti descrivevano
l‟esplosione come un “lampo di luce senza rumore”. Notava che quasi nessuno a
Hiroshima si ricordava di aver udito un qualunque rumore della bomba, ma tutti
avevano visto una grande luce accecante e sentito l‟onda del calore, che era stata
subito seguita dal rombo e dall‟urto dell‟esplosione. Lo straordinario articolo di
Hersey, Hiroshima – che fu contemporaneamente pubblicato nelle edizioni Penguin
Books, tuttora in commercio – ebbe un profondo effetto sul mondo, che non sapeva
nulla degli orrori della bomba atomica.
Per quanto riguarda l‟incredibile potere distruttivo della bomba, i numeri parlano
da soli. La temperatura dell‟aria al punto dell‟esplosione della bomba da 15 chilotoni,
a 580 metri dal suolo, superò un milione di gradi Celsius. La temperatura del suolo al
centro dell‟esplosione raggiunse i 6000 gradi Celsius. La splendente nuvola arancione
a forma di fungo salì fino a 10 chilometri. Mentre si espandeva, accese dei fuochi che
danneggiarono più di 70.000 case e uccisero 140.000 persone. Ma il numero dei
morti raggiunse i 200.000 a causa delle conseguenze delle radiazioni. In breve, due
terzi di una città di 18 chilometri quadrati e 340.000 abitanti furono quasi cancellati
da una bomba atomica nel giro di pochi minuti.
Il mondo ora sapeva dell‟immenso potere distruttivo della palla di fuoco, della
nube a forma di fungo e dell‟intenso calore di un‟esplosione atomica. Non ci volle
molto perché scienziati sovietici e scrittori di fantascienza collegassero le immagini
di Hiroshima e Nagasaki a quelle di Tunguska: la palla di fuoco, il calore, il rumore
di un tuono, l‟enorme nube di polvere e la foresta devastata.
Uno di essi fu Aleksandr Kazancev, un ingegnere laureatosi all‟Istituto tecnologico
Tomsk, in Siberia, nel 1930. Era anche uno scrittore di fantascienza molto conosciuto
che nel 1946 aveva pubblicato una storia dal titolo L’esplosione su «Vokrug Sveta»,
una popolare rivista russa di scienza e avventura, in cui proponeva l‟idea bizzarra che
l‟esplosione di Tunguska fosse stata causata da un “visitatore cosmico”: un‟astronave
extraterrestre, di forma cilindrica, a propulsione nucleare. A causa di un guasto,
l‟astronave sarebbe sfuggita al controllo attraverso l‟atmosfera terrestre e in una
frazione di secondo essa e i suoi occupanti sarebbero stati vaporizzati con un
accecante bagliore luminoso. Gli extraterrestri, provenienti da un pianeta inaridito e
molto assetati, erano in viaggio per raccogliere acqua dal lago Bajkal, a 800
chilometri dal luogo dell‟esplosione di Tunguska. Questo lago – il più profondo del
mondo (1637 metri) e il settimo più grande (34.000 chilometri quadrati) – contiene il
maggior volume di acqua dolce della superficie terrestre.
Kazancev ritornò diverse volte su questa storia, arricchendola fino a farne una
teoria per spiegare l‟oggetto di Tunguska. Quando la spedizione di Florenskij del
1958 annunciò la scoperta di globuli di magnetite che contenevano nichel, cobalto,
rame, germanio e altri elementi, nei campioni raccolti dalla regione della caduta,
Kazancev spiegò immediatamente la presenza di questi elementi. Nel suo articolo del
1958 Visitatori dal cosmo (che divenne il nucleo del suo libro del 1963, dallo stesso
titolo), sostenne che il nichel e il cobalto provenivano dallo strato più esterno
dell‟astronave, mentre il rame e il germanio si trovavano nei semiconduttori e in altri
strumenti elettronici di bordo. Questi e altri elementi si sarebbero vaporizzati quando,
al momento dell‟esplosione, le temperature erano aumentate di decine di milioni di
gradi, e sarebbero caduti al suolo come precipitazioni, con effetti radioattivi.
La Rivista astronomica sovietica stroncò il libro di Kazancev come «un coerente e
consapevole inganno del lettore volto a un preciso scopo: dimostrare che egli solo,
l‟autore, ha scoperto la vera natura di fenomeni complessi contrari a tutte le
congetture dei rappresentanti della scienza ufficiale». Ma aveva anche degli
ammiratori. Uno di loro era un progettista di aerei, A.Ju. Manockov, che “dimostrò”
che l‟oggetto di Tunguska era sotto un «controllo intelligente»: infatti, un meteorite o
una cometa sarebbero entrati nell‟atmosfera terrestre a una velocità tra i 36.000 e i
216.000 chilometri orari, l‟oggetto di Tunguska aveva invece “limitato” la sua
velocità a 2400 chilometri orari, come un jet. Per giungere a una velocità così bassa,
un meteorite o una cometa avrebbero dovuto avere una massa di 1000 milioni di
tonnellate e il diametro di un chilometro; eppure questo colosso non aveva creato un
cratere né lasciato frammenti. Perciò, l‟oggetto di Tunguska doveva essere una
piccola astronave che stava tentando di atterrare. Kazancev concordò felicemente:
«Un simile straordinario meteorite avrebbe certamente coperto l‟intero cielo». Anche
Boris Ljapunov, esperto di razzi e viaggi spaziali, sostenne il ragionamento di
Manockov.
Feliks Zigel, dell‟Istituto di aviazione moscovita, all‟affermazione di Manockov
che l‟oggetto di Tunguska fosse sotto un «controllo intelligente» aggiunse che,
secondo alcuni racconti di testimoni oculari, raccolti molto dopo l‟evento, il corpo di
Tunguska avrebbe cambiato rotta due volte. Questa deliberata “manovra” per
cambiare direzione prima della discesa era a suo parere la prova che l‟oggetto di
Tunguska fosse un‟astronave proveniente da un altro pianeta. Presentò anche un‟altra
“prova”: il fatto che l‟oggetto, prima di schiantarsi, avesse seguito un “enorme
circolo”, verso nord e poi verso ovest, faceva escludere un fenomeno naturale.
L‟astronave aveva seguito precisamente l‟angolo di rientro di 6,2 gradi verso
l‟orizzonte, che era entro il corridoio di rientro (tra i 5,5 e i 7,7 gradi) adottato dalle
astronavi che rientrano nell‟atmosfera terrestre. Se l‟angolo è eccessivo l‟astronave si
incendia, se è troppo scarso balza fuori dall‟atmosfera come una pietra che saltelli
sull‟acqua.
In un articolo sulla rivista «Znanie-Sila» del giugno 1959, Zigel, che è ancora
ricordato come il padre dell‟ufologia sovietica, lodò l‟ipotesi di Kazancev:
«Attualmente, piaccia o no, questa ipotesi è l‟unica realistica, perché spiega l‟assenza
del cratere di un meteorite e l‟esplosione di un corpo cosmico nell‟aria… È
generalmente noto che a volte – anzi, spesso – nuove idee molto preziose per la
scienza sono state dapprima espresse, invece che da scienziati, da scrittori di
fantascienza». In un‟intervista all‟agenzia di stampa sovietica TASS, aggiunse: «Più
conosciamo la catastrofe di Tunguska, maggiori conferme troviamo del fatto che l’UFO
che esplose sulla foresta nel 1908 era una sonda extraterrestre».
La «Pravda» dei tempi, comunque, considerava le teorie sugli UFO «ammiccamenti
a impulsi superstiziosi e religiosi, manipolati indirettamente dal Pentagono». Il
riferimento al Pentagono veniva probabilmente dall‟evento di Roswell, uno dei più
famosi “avvistamenti” UFO della storia americana.
Tunguska radioattiva
Nel suo libro Siberia, the New Frontier del 1969, lo scrittore americano George St
George, che aveva trascorso gran parte della sua infanzia in Siberia, descrive i suoi
viaggi lì a metà degli anni Sessanta. Nel libro egli fa anche un breve riferimento a
Tunguska. Ecco un estratto:
Alcuni di coloro che indagano ritengono che qualunque cosa abbia brillato nella taiga sia stata
intenzionalmente diretta, perché sentono che solo così possa spiegarsi il cambiamento di rotta
durante il suo volo. Si trattò dunque di una sorta di veicolo spaziale con dei problemi, forse distrutto
intenzionalmente dal suo equipaggio? Pochi scienziati seri sembrano crederlo, inclusi alcuni
sovietici come Feliks Zigel. Ogni organizzazione seria del mondo sulla ricerca UFO ascrive
l‟esplosione di Tunguska a eventuali visitatori interplanetari, che hanno presumibilmente visitato e
studiato il nostro pianeta.
Ricordo che mio padre e un suo amico – un medico che affermava di aver visitato il sito
dell‟esplosione di Tunguska pochi mesi dopo il suo verificarsi – discussero la questione nella nostra
casa di Cita, in Transbailkalia, probabilmente nel 1914. Il medico aveva un dettagliato diagramma
che mostrava il tragitto a zig-zag del corpo che precipitava lungo circa 100 miglia (nell‟area dove
furono tranciate le cime degli alberi) prima dell‟esplosione. Disse anche che un bagliore insolito fu
osservato ogni notte sull‟epicentro dell‟esplosione per settimane dopo che si era verificata,
attribuendolo a qualche sorta di radiazione. Mio padre, che anche allora era interessato alle credenze
sui cosiddetti “dischi volanti”, si convinse che i visitatori interplanetari stavano usando qualche
parte della taiga come loro base terrestre. Trasse questa conclusione dalle leggende degli Evenki….
Sfortunatamente i voluminosi appunti di mio padre in materia andarono smarriti in Cina, dove morì
in un monastero buddista nel 1928.
Il racconto di St George è intrigante perché fa riferimento a una visita al sito da
parte del medico amico di suo padre nel 1914. Questo è uno dei pochi riferimenti noti
di una visita di un non Evenki precedente alla prima spedizione di Kulik nel 1927.
Potete arrivare a un‟altra conclusione da questo racconto: anche nei giorni bui
dell‟impero zarista, i russi erano affascinati dagli UFO come lo sono oggi gli
americani. St George nota anche che «nessuna radiazione pericolosa è stata trovata lì
oggi», quindi «Tunguska diventerà presto una nota attrazione, come lo è oggi il
cratere in Arizona».
La frase «nessuna radiazione pericolosa» è interessante perché riflette la
preoccupazione di molti scienziati sovietici alla fine degli anni Cinquanta e all‟inizio
degli anni Sessanta che il sito di Tunguska fosse pieno di radiazioni. Il maggior
responsabile di quest‟idea era il geofisico Aleksej Zolotov.
Zolotov era un personaggio enigmatico quanto lo stesso evento di Tunguska. In un
programma speciale per celebrare il settantesimo anniversario dell‟evento, Radio
Mosca lo definì «un altro noto investigatore». La rivista «Nature», in un articolo per
la medesima occasione, lo vedeva invece sotto una luce diversa: «Il suo nome spunta
immancabilmente in qualunque discussione sull‟argomento e le sue teorie, per quanto
possano apparire bizzarre all‟establishment scientifico, vengono sempre pubblicate…
il suo background accademico è oscuro e secondo un fisico che ha lavorato per
diversi anni sul sito di Tunguska, Zolotov era in origine semplicemente un tecnico
petrolifero, coinvolto nella spedizione per la sua conoscenza del suolo locale!». Nella
letteratura scientifica del tempo ci si riferisce a lui come a un «eminente geofisico».
Dieci anni dopo, nel 1988, quando egli aveva ormai guidato dodici spedizioni a
Tunguska, «Nature» convenne che Zolotov era «gradualmente, e a pieno titolo,
emerso come un‟autorità».
Un‟aura di autorevolezza derivò a Zolotov per la sua teoria atomica sull‟esplosione
di Tunguska. Aggiunse al bicchiere di vodka della “astronave esplosa” di Kazancev
una spruzzata di limone: l‟esplosione non era stata un incidente. Nel 1975, quando
era a capo di un gruppo scientifico sovietico che si occupava del fenomeno, suggerì
che gli alieni avessero deliberatamente fatto esplodere l‟astronave, semplicemente per
farci sapere della loro esistenza. L‟area di distruzione era a suo parere «una
sorprendente dimostrazione di estrema accuratezza e umanitarismo».
Nel 1980 lo scrittore scientifico americano Theodore R. LeMaire estese l‟idea di
umanitarismo di Zolotov nel suo libro Stones from the Stars. Affermò che il periodo
dell‟esplosione di Tunguska sembrava troppo casuale per essere un incidente. Se il
missile siberiano avesse colpito la Terra 4 ore e 47 minuti più tardi, avrebbe assestato
un colpo mortale al trono dell‟impero zarista, e un piccolissimo cambiamento di rotta
avrebbe devastato aree popolose della Cina e dell‟India. Suggerì che «l‟oggetto
infuocato fosse stato sapientemente manovrato» usando il lago Bajkal come punto di
riferimento: «Il corpo si avvicinava da sud, ma quando era a circa 140 miglia dal
punto dell‟esplosione, mentre sorvolava Kezma, aveva improvvisamente cambiato
direzione verso est. Duecentocinquanta miglia più in là, sopra Preobrazenka, aveva
invertito la rotta verso ovest, esplodendo sulla taiga». Un‟accurata raccolta scientifica
di racconti dei testimoni oculari suggerisce diversamente: l‟oggetto non aveva
cambiato direzione mentre si muoveva nel cielo da sud-sudest a nord-nordovest.
Il maggior contributo di Zolotov al folklore intorno a Tunguska non sta nell‟aver
deciso se l‟astronave fosse esplosa incidentalmente o in base a un preciso scopo, ma
nella radioattività che essa aggiunse al luogo dell‟esplosione. Egli stava, infatti,
semplicemente rivestendo di rispettabilità scientifica le idee di fantascienza di
Kazancev. Mentre le immagini della palla di fuoco e della nube a forma di fungo
tipiche di una bomba atomica avevano fatto pensare a Kazancev a un‟astronave che
volava nel cielo di Tunguska, le immagini della gente che moriva a causa delle
radiazioni della bomba atomica lo convinsero che i “sopravvissuti di Tunguska”
fossero anch‟essi esposti a dosi di radiazioni simili a quelle di Hiroshima. «Potrebbe
trattarsi di nient‟altro che radioattività» spiega uno dei personaggi del suo romanzo di
fantascienza Visitor from the Cosmos, quando un uomo, poco dopo aver esaminato
l‟area dell‟esplosione, muore dilaniato da un dolore causato da un fuoco invisibile.
Come Kazancev, anche Zolotov aveva ottenuto il sostegno di Zigel. Nella rivista
«Znanie-Sila» nel dicembre 1959, Zigel discuteva i risultati delle spedizioni di
Zolotov nei tre anni precedenti. Durante queste spedizioni, fra le altre cose, aveva
confrontato gli effetti delle onde balistiche causate dalla velocità del corpo di
Tunguska nell‟atmosfera con le onde d‟urto causate dall‟esplosione. Lo studio degli
alberi condotto da Zolotov – in particolare di quelli che erano rimasti in piedi e su cui
c‟erano tracce degli effetti di entrambe le onde – dimostrava che le onde balistiche
erano arrivate da ovest e avevano rotto solo piccoli rami, mentre l‟esplosione dal nord
aveva spezzato rami più grossi. Zigel calcolò che la velocità del corpo nella fase
finale del volo fosse quella relativamente bassa di 4300 chilometri orari; perciò
l‟esplosione si doveva all‟energia interna del corpo, non a quella del suo moto.
Concluse che gran parte della devastazione era stata causata dalle onde
dell‟esplosione.
Zolotov aveva trovato alberi a circa 17 chilometri dal centro dell‟esplosione che
erano stati interessati dal calore e avevano cominciato a bruciare. Escluse che si fosse
trattato di un incendio naturale: per appiccare un incendio a un albero vivo, il calore
energetico deve essere tra le 60 e le 100 calorie per centimetro quadrato. Similmente,
per aver causato la sensazione di bruciore su testimoni oculari a Vanavara, a 70
chilometri di distanza, l‟energia avrebbe dovuto essere non inferiore a 0,6 calorie per
centimetro quadrato. Stimò che l‟energia dell‟esplosione fosse di circa 3,5 megatoni.
Dato che le stime dell‟energia totale dell‟esplosione erano anch‟esse entro questa
fascia, ritenne che l‟esplosione fosse nucleare.
Le prove sembravano dunque sostenere la celebre storia di Zolotov: le misteriose
cicatrici riportate dalle renne sopravvissute (bruciature causate da cenere bollente?),
gli anelli degli alberi che suggerivano un enorme livello di crescita dopo l‟esplosione
(normali dopo gli incendi?), gli elevati livelli di carbonio-14 radioattivo nel suolo e
nella torba raccolti nella regione (non abbastanza per sostenere l‟idea di
un‟esplosione nucleare?), e così via.
Sebbene Hiroshima e Nagasaki ci abbiano dimostrato gli orrori della radioattività,
una certa radioattività è costantemente presente intorno a noi. Piccole quantità di
atomi radioattivi si trovano nel suolo su cui siamo, nel cibo che mangiamo,
nell‟acqua che beviamo, nell‟aria che respiriamo.
Esse sono note come radiazioni di background. La nostra dose quotidiana di
radiazioni di background varia da luogo a luogo, ma i livelli medi annui vanno in
genere da 1,5 a 3,5 millisievert (da 150 a 350 millirem). L‟80 per cento di questa
media proviene da fonti naturali come le radioemanazioni interne, cibo e bevande,
rocce e suolo. Il restante 20 per cento viene da fonti radioattive artificiali, soprattutto
raggi-X. Dallo studio del cancro sui superstiti di Hiroshima e Nagasaki, gli scienziati
hanno calcolato che essi furono istantaneamente esposti a migliaia di volte la dose
annuale media di radiazioni di background, che continuava ad aumentare per il
rilascio a lungo termine.
Molte spedizioni a Tunguska alla fine degli anni Cinquanta e all‟inizio degli anni
Sessanta si erano concentrate sulla ricerca degli effetti della radioattività del luogo.
Dopo la spedizione del 1958, l‟Accademia sovietica delle Scienze decise a sfavore di
nuove spedizioni, per concentrarsi sullo studio dei campioni di roccia e di suolo già
raccolti. Questa decisione condusse alla formazione di una Spedizione
interdisciplinare indipendente a Tunguska (nota come KSE, in russo) sotto la guida di
Gennadij Plechanov, fisico e ingegnere al laboratorio Betatron dell‟Istituto medico
della città siberiana di Tomsk. La KSE fu di fatto formata per screditare le teorie
sull‟astronave. I promotori dicevano scherzando «di dover trovare il muso di
un‟astronave».
Marek Zbik della University of South Australia ha descritto la prima spedizione
KSE nel «Bollettino dell‟Accademia polacca delle Scienze». La spedizione, guidata da
Plechanov, includeva studenti di medicina che dovevano raccogliere informazioni per
verificare l‟ipotesi di malattie post radiazioni tra la popolazione Evenki. «Nessuna
traccia di simili malattie fu rilevata» scrisse Zbik. «Avevano anche pianificato di
raccogliere ossa dai corpi degli Evenki morti dopo la catastrofe… Non era facile
trovare tali corpi, poiché gli Evenki tengono segreti i luoghi di sepoltura.»
Comunque, gli studenti riuscirono a esaminare le ossa della gente morta durante
l‟epidemia di vaiolo del 1915. I risultati di queste indagini limitate non confermarono
un aumento di radioattività nelle ossa esaminate.
Plechanov raccolse anche 300 campioni di suolo e quasi 100 piante. Un‟analisi di
questi campioni a Tomsk dimostrò che al centro della catastrofe la radioattività era
più elevata di 1,5-2 volte rispetto a 30 o 40 chilometri di distanza dal centro.
Plechanov rifiutò di speculare sulla causa di questa radioattività. In un altro studio,
confrontò le notti luminose viste in alcune parti dell‟Europa e dell‟Asia dopo
l‟esplosione di Tunguska, con quelle che erano seguite ai test nucleari ad altitudini
elevate condotti dagli Stati Uniti nell‟atollo di Bikini nel 1958. Scoprì che entrambe
le esplosioni erano state seguite da effetti atmosferici simili. In breve, Plechanov non
riuscì a trovare alcun “muso di astronave”. Lasciò la KSE nel 1963 ma continuò a
svolgere ricerche su Tunguska.
Kirill P. Florenskij e Vasilij Fesenkov, due dei maggiori proponenti della teoria
della cometa negli anni Sessanta, si opposero accanitamente all‟idea dell‟esplosione
nucleare di Zolotov. «Non ci sono pianeti con una vita altamente organizzata da cui
una simile astronave sarebbe potuta arrivare» disse Fesenkov al «New York Times»
nel 1960. «Questa ipotesi è stata ormai respinta dalla maggior parte della comunità
scientifica sovietica» aggiunse.
Florenskij dedicò gran parte del suo tempo alla spedizione del 1961-62 per provare
a smentire Zolotov. Concluse che la radioattività al centro dell‟esplosione era entro i
valori delle fluttuazioni dell‟attuale radiazione di background, sebbene convenne che
fosse un po‟ più alta al centro che non a qualche chilometro di distanza. Molti degli
atomi radioattivi erano concentrati negli strati più elevati del suolo e della torba.
Suggerì che si fossero accumulati a causa dei test delle bombe atomiche e
all‟idrogeno. Sulla questione della crescita accelerata degli alberi nell‟area devastata,
Florenskij affermò che essa non era dovuta a mutazioni genetiche per le radiazioni,
ma era soltanto la normale accelerazione della seconda crescita dopo l‟incendio.
Più recentemente, nel 2001, l‟accademico Nikolaj Vasilev ha affermato: «I risultati
di una ricerca della radioattività nella regione dell‟esplosione di Tunguska escludono
un‟ipotesi nucleare. Si dovrebbe notare, comunque, che la ricerca di tracce di una
cascata radioattiva mezzo secolo dopo un‟esplosione nucleare nell‟atmosfera è un
compito impegnativo, specialmente tenendo conto della contaminazione dovuta ai
recenti test nucleari atmosferici».
Gli scienziati russi Viktor Zuravlév e A.N. Dmitriev per il corpo di Tunguska
hanno sviluppato l‟ipotesi di un plasmoide: una sorta di bottiglia riempita di plasma e
circondata da un forte campo magnetico. Questo plasmoide da 100.000 tonnellate
sarebbe stato sparato dal Sole. Vitalij Bronsten, il maggior proponente della moderna
teoria della cometa, scomparso nel 2004, era molto critico verso questo sforzo «di
camuffare un‟astronave da contenitore di plasma. Questa è una tipica ipotesi ad hoc.
Usiamo questo esempio per dimostrare che tutte le ipotesi ad hoc, un gran numero
delle quali sono state proposte per spiegare l‟evento di Tunguska, sono inutili».
Zuravlèv non è d‟accordo. Tre grafici di attività magnetica riscontrata nel 1959
all‟Osservatorio magnetico e meteorologico di Irkutsk mostrano una tempesta
magnetica cominciata subito dopo l‟evento di Tunguska e durata quasi quattro ore. I
magnetogrammi non hanno nulla in comune con quelli causati dai meteoriti, ma
hanno tutti le caratteristiche distintive dei disturbi del campo geomagnetico generati
dalle bombe nucleari. L‟oggetto di Tunguska, dice Zuravlèv, era «un oggetto cosmico
la cui composizione e struttura è sconosciuta agli astronomi e ai fisici».
Le immagini di un‟astronave nucleare che esplode sulla taiga di Tunguska resta
vivida nelle menti di molti ricercatori del XXI secolo. Uno di loro è Vladimir V.
Rubcov dell‟Istituto di ricerca sui fenomeni anomali dell‟Ucraina. La sua “ipotesi ad
hoc” è il cosiddetto modello battaglia: nel 1908 era in corso una battaglia spaziale tra
due astronavi aliene, dopo la quale una di esse sopravvisse e tornò nello spazio.
«Forse un giorno, in futuro, sarà possibile dedurre un modello convincente del
fenomeno direttamente dai fatti raccolti» scrive in una newsletter dell‟Istituto.
Un altro è Jurij Lavbin della Fondazione Fenomeno Spaziale di Tunguska a
Krasnojarsk, un gruppo di fisici, geologi, e mineralologi che hanno organizzato
spedizioni regolari al sito dell‟esplosione sin dal 1994. Lavbin crede che l‟esplosione
sia stata causata dalla collisione di un‟astronave extraterrestre con una cometa.
Nell‟estate del 2004 Lavbin annunciò che il suo gruppo aveva trovato due strani
blocchi metallici neri, del peso di 50 chili, vicino al sito: «Sono i resti di
un‟astronave. Il loro materiale ricorda una lega usata per costruire i missili spaziali,
mentre all‟inizio del XX secolo esistevano solo pannelli di compensato». Il Comitato
meteoriti dell‟Accademia russa delle Scienze ha contestato l‟affermazione di Lavbin
dicendo che in Siberia, dove i geologi del petrolio lavorano regolarmente «si possono
trovare cumuli di frammenti di vari macchinari».
L‟astronave Tunguska solca ancora i cieli siberiani. Il raggio letale di Tesla non è
riuscito a colpirla?
Vita scomparsa
L‟estinzione è la scomparsa di una specie: significa che un‟intera specie di animali
o piante è morta e non tornerà
mai più. Quando l‟ambiente cambia, le specie devono adattarsi al nuovo ambiente
per sopravvivere. Le specie che ci riescono sopravvivono, le altre si estinguono.
L‟estinzione non è una cosa insolita: le specie scompaiono continuamente e ne
appaiono di nuove. In passato molte estinzioni furono causate dai cambiamenti del
clima o dell‟ambiente circostante, ma una delle principali cause di estinzione oggi è
l‟attività umana, come la distruzione delle foreste. Metà delle specie del mondo
potrebbe scomparire entro pochi decenni se non cambiamo la nostra condotta.
Quando la quantità di estinzioni è molto alta rispetto a quelle che normalmente si
verificano, si parla di estinzione di massa. Nelle estinzioni di massa ci sono pochi
sopravvissuti e molte vittime. Le estinzioni di massa hanno quattro importanti
caratteristiche: si estinguono diversi tipi e grandi quantità di specie; l‟estinzione
avviene in tutto il mondo (sulla terra e nel mare) e si verifica in un breve periodo
geologico.
Nel corso della storia della Terra ci sono state cinque grandi estinzioni di massa,
una in ciascuno dei periodi Ordoviciano, Devoniano, Permiano, Triassico e Cretaceo:
nel tardo Ordoviciano (438 milioni di anni fa), nel tardo Devoniano (389 milioni di
anni fa), alla fine del Permiano (245 milioni di anni fa), nel tardo Triassico (208
milioni di anni fa) e alla fine del Cretaceo (65 milioni di anni fa).
Come facciamo a sapere che ci sono state cinque grandi estinzioni di massa? Un
modo per scoprire le estinzioni di massa è tracciare un grafico sul livello di estinzioni
nel corso del tempo. I picchi del grafico mostrano le estinzioni di massa. Negli anni
Ottanta, dopo aver studiato i fossili di migliaia di specie di invertebrati, due scienziati
americani, David Raup e John Sepkoski, tracciarono dei grafici simili. Essi rivelarono
quindici estinzioni di massa, di cui cinque si elevavano decisamente sopra le altre. I
loro studi mostravano anche uno schema curioso: le quindici estinzioni di massa
sembravano essere avvenute a 26 milioni di anni di distanza. La loro conclusione che
le estinzioni di massa hanno un ciclo di 26 milioni di anni porta alla domanda: cosa
determina il ciclo? Raup e Sepkoski dichiararono di propendere per “cause
extraterrestri”. Non ci volle molto perché gli astronomi proponessero idee
accattivanti, alcune delle quali passeremo subito a indagare.
La peggiore distruzione della vita nella storia della Terra ebbe luogo alla fine del
periodo Permiano, 245 milioni di ani fa. I paleontologi chiamano questa estinzione la
“grande moria” perché cancellò la maggior parte della vita sulla Terra: il bilancio di
morte incluse il 95 per cento delle specie negli oceani, il 70 per cento dei rettili e
degli anfibi e il 30 per cento delle specie di insetti. Scomparvero così tanti alberi e
altre forme di vegetazione, che per un breve periodo la Terra fu coperta quasi solo da
funghi. La scomparsa dei vertebrati dominanti aprì le porte all‟arrivo dei dinosauri
nel Triassico.
Cosa causò questa estinzione spettacolare? La lunga fila di sospetti include i
cambiamenti nel clima globale, l‟improvvisa diminuzione del livello del mare,
concentrazioni tossiche di diossido di carbonio negli oceani ed enormi eruzioni
vulcaniche; ma il principale sospetto è quello che la Terra fu colpita da un enorme
oggetto extraterrestre, grande quanto l‟Everest.
La più famosa estinzione fra le cinque maggiori è quella in cui scomparvero i
dinosauri, alla fine del Cretaceo (chiamata anche Cretaceo-Terziario, o confine K-T,
dove Cretaceo è abbreviato in “K” per evitare confusione con il Carbonifero e il
Cambriano).
I dinosauri non sono stati la sola specie a morire nell‟estinzione del K-T: scomparve
il 75 per cento delle specie viventi del tempo. I principali sopravvissuti furono piante
di terra, coccodrilli, alligatori, rane, salamandre, tartarughe, uccelli e mammiferi.
Molti degli animali sopravvissuti erano più piccoli dei dinosauri, si rifugiarono nei
fossi o si nascosero nelle acque per sfuggire alla catastrofe. Ma c‟era anche un‟altra
ragione: il posto occupato dagli animali sopravvissuti nella catena alimentare. Molti
degli animali terrestri che morirono erano anelli della catena alimentare che si
cibavano solo di piante. Queste piante furono le prime a morire durante la catastrofe.
Gli animali sopravvissuti erano in una diversa posizione nella catena alimentare. Essi
si nutrivano di larve di insetti, vermi e altri piccoli animali che, a loro volta, si
nutrivano di piante morte o marcescenti.
I resti fossili non ci dicono se l‟estinzione del K-T sia stata improvvisa, esaurendosi
in pochi minuti, o se sia durata diversi milioni di anni. La vera risposta è che gli
scienziati non lo sanno.
L’asteroide killer
Sebbene le rocce formatesi durante il Cretaceo e il Terziario siano calcaree,
presentano uno strato di argilla al confine K-T. I geologi lo chiamano argilla del
confine. I dinosauri e gli altri esseri viventi che sono scomparsi nelle estinzioni di
massa 26 milioni di anni fa hanno lasciato segni rivelatori della propria esistenza in
fossili contenuti in questo strato d‟argilla, luogo dell‟omicidio di massa.
I corpi morti – fossili in questo caso – non sono la sola prova dell‟omicidio. I killer
hanno lasciato anche altre tracce. Un giorno, un geologo americano inciampò in un
sottile strato di argilla e la prova che egli scoprì dischiuse una nuova via di indagine
nella morte dei dinosauri.
Alla fine degli anni Settanta, Walter Alvarez stava studiando una roccia calcarea in
una gola vicino alla città di Gubbio. La roccia sembrava un sandwich. La parte bassa,
lo strato più vecchio, era di calcare bianco pieno di minuscoli fossili del Cretaceo.
Era seguito da uno strato di argilla rosso opaco spesso circa 2 centimetri, dopo il
quale cominciava lo strato superiore fatto di calcare grigio-rosa, ma quasi privo di
fossili del Cretaceo. Indubbiamente lo strato di argilla era quello di confine: sotto ci
sono i resti dei dinosauri, sopra tali resti mancano.
Quasi 100.000 tonnellate di polvere proveniente dallo spazio piove sulla Terra ogni
anno. Questa invisibile polvere cosmica si deposita con altri sedimenti dove si
formano le rocce sedimentarie. Se i geologi conoscono il livello in cui cade la polvere
cosmica e quanta polvere è presente in un certo strato di roccia, possono scoprire
quanto tempo occorre per far depositare quello strato di roccia.
L‟età dell‟argilla di confine può anche risolvere la questione se l‟estinzione K-T sia
stata un evento improvviso o se ha avuto luogo nel corso di milioni di anni.
“Improvviso” nel senso geologico va da pochi giorni a centinaia o anche migliaia di
anni.
Le registrazioni fossili mostrano che le ammoniti, piccoli animali marini con la
conchiglia a spirale, vissero proprio al confine del K-T e poi improvvisamente
scomparvero. Si pensa che i dinosauri, che sono vissuti nello stesso periodo delle
ammoniti e i cui fossili sono rari, scomparvero anch‟essi improvvisamente. Ma i resti
fossili non ci dicono quanto ci è voluto perché si estinguessero. Alvarez sperava che
lo strato di Gubbio avrebbe dato una risposta.
Quando analizzò l‟argilla alla ricerca di polvere cosmica, Alvarez non riuscì a
scoprire quanto tempo c‟era voluto perché lo strato di polvere si depositasse. Ma
scoprì qualcosa di molto strano che fornì un fondamentale indizio per
l‟identificazione del killer di massa. «È ciò che serve agli investigatori e agli
scienziati: duro lavoro e un colpo di fortuna occasionale» affermò.
Il colpo di fortuna fu la scoperta, nello strato di Gubbio, dell‟iridio. Luis Alvarez, il
padre di Walter, fisico premio Nobel, suggerì che l‟iridio avesse una fonte
extraterrestre. Ipotizzò anche che l‟anomalia dell‟iridio, man mano che quantità
sempre maggiori di questo metallo divenivano note, dovesse essere comune a tutto il
pianeta. Sin dalla sua previsione del 1980, Walter Alvarez e altri scienziati scoprirono
la stessa concentrazione di iridio dello strato di Gubbio anche nell‟argilla di confine
K-T in Danimarca, Spagna e Nuova Zelanda e nelle profondità marine dell‟Atlantico e
del Pacifico.
Gli Alvarez, padre e figlio, conclusero che circa 65 milioni di anni fa un grande
asteroide precipitò dal cielo e colpì la Terra, sollevando un grossa nuvola di polvere
che bloccò la luce del Sole per diversi anni e che depositò lentamente i suoi detriti
ricchi di iridio in tutto il mondo. Questo impatto extraterrestre cancellò i dinosauri e
quasi il 75 per cento delle altre specie viventi.
Se un asteroide colpì la Terra 65 milioni di anni fa, dov‟è il cratere di impatto? Nel
1980, una compagnia petrolifera, che scavava sulla costa della penisola dello Yucatan
in Messico, si imbatté in una struttura circolare, sepolta sotto la superficie del
villaggio di Chicxulub (“coda del diavolo” nell‟antica lingua dei Maya). Non era stata
individuata prima perché era sepolta sotto 1100 metri di calcare. Nessuno si
preoccupò di questa struttura finché il geologo americano Alan Hildebrand apprese di
essa da un reporter locale nel 1990. Le indagini di Hildebrand e altri geologi
rivelarono che la struttura a forma di coppa era in effetti un cratere di impatto
piuttosto che una struttura vulcanica di qualche tipo. Sulla base delle trivellazioni
eseguite per la ricerca del petrolio, si stima che abbia una larghezza di 180 chilometri
e una profondità 20 volte maggiore del Grand Canyon.
La potente tecnica argo/argo per datare una roccia recuperata da una trivellazione
confermò che il cratere si era formato 65 milioni di anni fa quando una bassa marea
aveva interessato la regione. Gli scienziati calcolano che si formò a causa di un
asteroide grande quasi quanto San
Francisco, che viaggiava a una velocità pari a 40 volte quella del suono.
L‟asteroide conteneva l‟energia di una bomba da 100 milioni di megatoni. Quando un
meteorite gigante o un asteroide colpisce le rocce della superficie terrestre, lascia
qualche segno dell‟impatto. Gli scienziati hanno scoperto segni di tectiti, quarzi con
deformazioni da shock e iridio associati al cratere Chicxulub. Lo strato di roccia del
confine K-T presenta anche una grande concentrazione di iridio, come Walter Alvarez
aveva previsto nel caso di un impatto di natura extraterrestre. Alvarez, che ha
rinominato il cratere Chicxulub “il cratere del giorno del giudizio” crede che esso sia
la prova migliore per la sua teoria.
Sono state trovate anche altre due prove schiaccianti. Nel 1996 lo scienziato
americano Frank Kyte affermò di aver trovato un ciottolo nel mezzo dell‟oceano, 900
chilometri a ovest del cratere Chicxulub. Il ciottolo, a grana grossa, lungo circa 2,5
millimetri, conteneva ferro e iridio in quantità simile ai meteoriti e fu trovato in uno
strato di roccia depositato nello stesso periodo in cui scomparvero i dinosauri. Kyte
crede che provenisse dallo spazio: «Non c‟era modo che un ciottolo grande pochi
millimetri potesse giungere qui se non dallo spazio».
Nel 1996, dopo aver analizzato le rocce del cratere Chicxulub, lo scienziato
americano Benjamin Schuraytz scoprì due frammenti di iridio. Pesavano pochi
millesimi di miliardi di grammo ed erano puri al 99 per cento. Per Schuraytz
l‟impatto fu così potente da vaporizzare altri metalli, lasciando l‟iridio puro, che si
vaporizza a più di 5000 gradi Celsius.
XI
Cosa è stato?
Non molto tempo fa un popolare sito web russo ha chiesto ai suoi visitatori di
rispondere alla domanda: cosa credete che fosse l‟oggetto di Tunguska? I risultati del
sondaggio, limitato a un solo voto per ogni indirizzo e-mail, sono stati i seguenti: una
cometa: 31%; un meteorite/asteroide: 27%; un‟astronave aliena: 9%; altro: 33%.
Il sito è frequentato da russi che si interessano alle scienze, come dimostra la bassa
percentuale della teoria dell‟astronave aliena, che è molto popolare tra fan russi di
Tunguska.
Sorprende che, dopo otto decenni, gli scienziati internazionali restino divisi al pari
dei navigatori web. Chris Trayner della Leeds University sembra aver risolto
l‟enigma del perché gli scienziati non siano riusciti a completare il puzzle di
Tunguska. Egli afferma che molti dei loro problemi hanno origine nella vecchia
divisione Est-Ovest e nello scarso accesso alla letteratura russa. Suggerisce che per
venire a capo di ciò che è potuto accadere nel 1908, gli scienziati hanno bisogno di
estese traduzioni e indici online delle fonti russe in materia. La stessa cosa può dirsi
delle fonti scientifiche inglesi per gli scienziati russi.
Nel frattempo, proviamo a chiarire quello che è davvero avvenuto, riassumendo
quanto finora espresso. Ci sono sette fonti fondamentali di informazione sul fatto: la
foresta devastata e la struttura del danno (osservati per la prima volta diciannove anni
dopo l‟evento); le registrazioni di onde sismiche e atmosferiche al tempo dell‟evento;
le registrazioni di tempeste magnetiche all‟epoca del fatto; le notti luminose avvistate
in parti dell‟Europa e dell‟Asia dopo l‟evento; i fenomeni atmosferici anomali
osservati dopo l‟evento; gli studi delle particelle microscopiche trovate sul luogo
dell‟esplosione e in Antartide; i racconti dei testimoni oculari (raccolti per la prima
volta tredici anni dopo l‟evento).
Quasi tutti concordano sui seguenti punti:
• L‟ora precisa dell‟evento (00.14 GMT; 7.14 ora locale) e l‟esatta posizione
dell‟epicentro (latitudine 60° 55‟ nord, longitudine 101° 57‟est).
• Un grande oggetto che si avvicinava, presumibilmente un meteorite o una
cometa, fu avvistato su un‟area larga 1500 chilometri. La lucentezza dell‟oggetto era
comparabile a quella del Sole a mezzogiorno.
• L‟oggetto esplose a mezz‟aria, tra i 5 e i 10 chilometri dal suolo. L‟energia
dell‟esplosione era probabilmente tra i 10 e i 20 megatoni.
• I detriti furono scagliati nella stratosfera. Nessun frammento apprezzabile, a
eccezione dei globuli microscopici all‟epicentro e in Antartide, sono stati trovati.
• L‟esplosione creò un‟onda d‟urto che appiattì 2150 chilometri quadrati di foresta,
dei quali circa 200 furono bruciati da un‟onda di calore. Nell‟incendio di una foresta
gli alberi sono di solito bruciati nella parte inferiore del tronco, ma questi alberi
furono bruciati uniformemente.
• Non c‟è alcun cratere di impatto all‟epicentro, il punto sotto l‟esplosione dove
l‟onda d‟urto toccò il terreno.
• La foresta devastata ha la forma di una farfalla schiacciata sul terreno.
L‟epicentro si trova vicino alla testa della farfalla.
• Il calore e le onde d‟urto furono avvertiti da molti testimoni a Vanavara, a circa
70 chilometri dal luogo dell‟esplosione; dopo l‟esplosione furono uditi forti boati,
simili a colpi di cannone, fino a 1200 chilometri di distanza.
• L‟esplosione creò anche dei disturbi nell‟atmosfera, che furono rilevati in tutto il
mondo. L‟impatto dell‟esplosione sul suolo generò delle onde sismiche registrate ben
oltre la Russia.
• Una tempesta magnetica locale – simile a quelle prodotte dalle esplosioni
nucleari nell‟atmosfera – cominciò pochi minuti dopo l‟esplosione e continuò per
quasi quattro ore.
• L‟esplosione causò diverse notti molto luminose in parti dell‟Europa e dell‟Asia.
Furono anche avvistate nubi notti-lucenti causate da polvere nella stratosfera.
• Nei giovani alberi sopravvissuti all‟esplosione la crescita fu accelerata.
I punti controversi sono invece i seguenti:
• La forma dell‟oggetto. Mentre attraversò il cielo prima di esplodere, aveva la
forma di una “pipa”, di una “colonna” o di un “tubo” come hanno detto alcuni
testimoni? Ha lasciato o no una traccia di fumo e polvere?
• La sua natura, dimensione e massa, e per quanto tempo è rimasto visibile.
• L‟angolo di entrata, la conseguente traiettoria di volo e la sua velocità
immediatamente prima dell‟esplosione; la durata dell‟esplosione.
• La conclusione del volo in una serie di esplosioni multiple.
• L‟accresciuta radioattività sul luogo dell‟esplosione; gli effetti genetici sulla
popolazione locale; la crescita accelerata degli alberi a causa di mutazioni genetiche.
• Crateri come il Suslov formatisi per l‟impatto dell‟oggetto che esplodeva.
• Anomalie ottiche osservate prima dell‟evento, già il 23 giugno.
Un elemento del tutto irrazionale:
• L‟oggetto ha cambiato due volte direzione durante il suo volo.
I soliti sospetti
Nel 1969 una scrittrice russa, P.I. Primalova (forse lo pseudonimo di Igor Zotkin,
un membro dell‟allora Comitato meteoriti dell‟Accademia sovietica delle Scienze),
pubblicò una lista di 77 teorie che sono state proposte per spiegare l‟evento di
Tunguska. La lista potrebbe giungere a comprenderne 120, suggerì la signora
Primalova, se si fosse attorno a un fuoco d‟accampamento nella taiga con un
bicchiere di vodka. Dato che la lista che segue è stata redatta senza l‟aiuto di un
bicchiere di vodka, ne include solo una dozzina.
• Una cometa disintegratasi nell‟atmosfera. L‟insolita struttura poco compatta della
cometa avrebbe portato al suo disgregamento nell‟atmosfera. Si pensa che il diametro
del suo nucleo fosse di 40 metri, molto più piccolo dei diametri delle comete visuali.
• Un asteroide esploso a mezz‟aria. Un asteroide sassoso esploso a quasi 8
chilometri dal suolo, largo circa 30 metri. La sua esplosione da 15 megatoni avrebbe
rilasciato un milione di tonnellate di piccole particelle nell‟atmosfera terrestre. I venti
avrebbero disperso la polvere nella stratosfera, il che avrebbe causato le notti
luminose.
• Un mini buco nero che ha attraversato la Terra. Un mini buco nero, invisibile a
occhio nudo, sarebbe entrato a Tunguska e poi avrebbe viaggiato attraverso la Terra
per circa 15 minuti. Uscito attraverso l‟Atlantico settentrionale avrebbe causato onde
d‟urto nell‟oceano e nell‟atmosfera.
• Una roccia di antimateria annientatasi al suo ingresso nell‟atmosfera fatta di
materia ordinaria. L‟esplosione, pari a quelle di una bomba atomica o all‟idrogeno di
35 megatoni, avrebbe generato migliaia di miliardi di atomi radioattivi di carbonio-
14.
• Una roccia di materia specchio che nessuno ha potuto vedere. Penetrata
nell‟atmosfera, il calore l‟avrebbe fatta esplodere a un‟altitudine elevata. La roccia
sarebbe stata grande quasi 100 metri e avrebbe pesato circa un milione di tonnellate.
• Un‟eruzione vulcanica. Il gas naturale sarebbe fuoriuscito da piccole aperture
vulcaniche sotterranee e sarebbe salito a velocità elevata cominciando a mescolarsi
con l‟aria. Dopo poche ore questa mistura volatile, che conteneva 10 milioni di
tonnellate di metano, sarebbe esplosa come una palla di fuoco.
• Un fulmine globulare gigante materializzatosi da chissà dove. Le stime del suo
diametro variano dai 200 metri a un chilometro. Si sarebbe disintegrato in sfere più
piccole, che a loro volta si sarebbero disintegrate in sfere ancora più piccole, fino a
esplodere.
• Geometeore venute dal basso. L‟esplosione sarebbe stata causata da una forte
combinazione tra alcuni processi sotterranei e atmosferici sconosciuti. Questa
combinazione avrebbe dato origine a oggetti luminosi simili alle meteore, ma di
origine terrestre.
• Un plasmoide da 100.000 tonnellate, circondato da un forte campo magnetico,
sarebbe stato espulso dal Sole per portare distruzione a Tunguska.
• Un‟astronave aliena che aveva subito un guasto. Sarebbe andata fuori controllo
nell‟atmosfera terrestre e in una frazione di secondo si sarebbe vaporizzata con un
accecante lampo di luce.
• Un raggio laser alieno. A bruciare la taiga sarebbe stato un laser sparato dagli
extraterrestri di un pianeta gigante orbitante attorno alla stella 61 Cygni.
• L‟esperimento di un raggio letale finito fuori controllo. Nikola Tesla avrebbe
puntato per errore il suo raggio letale su Tunguska.
Il verdetto
«Io sarò il giudice, io farò la giuria» disse furbescamente il vecchio Fury (in Alice
nel paese delle meraviglie). «Istruirò il processo e ti condannerò a morte.» Siate
giudice e giuria, ma per favore non condannate a morte nessuna teoria. Se anche lo
farete, ricordate il vecchio detto: «Una vecchia teoria non muore mai; riappare in una
nuova forma». Giornalisti e scienziati sono liberi di riproporre le loro vecchie storie e
le loro teorie.
La giuria non è ancora rientrata.
Cronologia
1908
Ore 7.14 del 30 giugno. Una palla di fuoco esplode a mezz‟aria vicino al corso della Podkamennaja
Tunguska – la Tunguska Pietrosa – un fiume siberiano, e appiattisce una vasta foresta. I testimoni
oculari più vicini sono a 70 chilometri dal sito dell‟esplosione, ma abitanti di villaggi a 700
chilometri di distanza vedono delle forti luci nel cielo e quelli a 1200 chilometri di distanza odono
delle forti esplosioni. I quotidiani siberiani riportano dell‟esplosione ma non sono certi della sua
natura: alcuni suggeriscono che possa trattarsi di un meteorite. Dopo l‟esplosione forti “bagliori
notturni” sono segnalati in Europa e in Asia. Questo insolito fenomeno è ampiamente riportato dai
giornali in Gran Bretagna, nel resto dell‟Europa e negli Stati Uniti, ma nessuno ne conosce la causa.
Un osservatorio a 970 chilometri dal luogo dell‟esplosione registra una tempesta magnetica,
cominciata pochi minuti dopo l‟esplosione e protrattasi per quattro ore. Onde sismiche sono
registrate in tutto il mondo. Sei microbarografi in Inghilterra registrano le onde aeree causate
dall‟esplosione.
1910
La prima spedizione al sito di Tunguska fatta da un non Evenki. Si dice che un ricco orafo e
mercante russo chiamato Suzdalev abbia trovato diamanti sul luogo.
1921
Non si sa nulla dell‟esplosione fino a quando a Leonid Kulik, uno scienziato russo, non viene
assegnato il compito di individuare ed esaminare i meteoriti caduti nelle regioni disabitate della
Russia prima e dopo la Prima guerra mondiale. Durante la sua spedizione in Siberia, Kulik
apprende di un meteorite caduto vicino alla Tunguska Pietrosa. La spedizione si conclude senza che
egli possa visitare il luogo dell‟esplosione.
1924
S.V. Obručev, un geologo sovietico, conduce studi geologici nella regione di Tunguska (ma non sul
sito dell‟esplosione).
1925
I.M. Suslov, un etnografo sovietico, visita la regione di Tunguska (il famoso cratere Suslov prende
il nome da lui).
1927
Terza spedizione di Kulik. Uno scienziato britannico nota la coincidenza della data dell‟esplosione
di Tunguska con le onde aeree registrate in Inghilterra il 30 giugno 1908.
1930
Altri scienziati britannici suggeriscono che le onde aeree registrate in Inghilterra e i notevoli
bagliori notturni del 1908 fossero stati causati dal meteorite di Tunguska.
1934
Quarta spedizione di Kulik a Tunguska. L‟ultima spedizione prima della Seconda guerra mondiale.
1941
L‟esperto americano di meteoriti Lincoln La Paz suggerisce che l‟oggetto di Tunguska fosse un
meteorite contraterreno (di antimateria).
1942
Il mineralologo russo A.A. Javnel‟ analizza al microscopio campioni di suolo recuperati da Kulik
nel 1929 e nel 1930. Si sarebbe poi scoperto che questi campioni erano di origine terrestre.
1958
Florenskij sostiene la teoria della cometa in un articolo sulla rivista americana «Sky & Telescope».
Anche l‟accademico Vasilij Fesenkov propone argomenti a favore della teoria della cometa sul
«New York Times». L‟Accademia sovietica delle Scienze pone una semplice lapide sulla tomba di
Kulik nella città di Spas-Demensk, circa 300 chilometri a sud di Mosca.
1961
Gli scrittori russi di fantascienza Genrich Al‟tov e Valentina Zuravleva suggeriscono che Tunguska
fu colpita da un raggio laser sparato dagli extraterrestri.
1965
Gli scienziati americani Willard Libby, Clyde Cowan e C.R. Atluri presentano una teoria dettagliata
che dimostra che l‟oggetto di Tunguska era fatto di antimateria.
1959
Feliks Zigel, il cosiddetto “padre dell‟ufologia sovietica”, suggerisce che l‟oggetto di Tunguska
fosse un UFO.
1966
Viene pubblicata la traduzione inglese del libro di Krinov Giant Meteorites. La sezione di 141
pagine dedicata al meteorite di Tunguska costituisce un resoconto autorevole delle prime ricerche
su Tunguska.
1973
I fisici teorici americani A.A. Jackson IV e Michael P. Ryan Jr affermano che l‟oggetto di
Tunguska fosse un mini buco nero, che attraversò la Terra e fuoriuscì nell‟Atlantico settentrionale.
1976
Viene pubblicato il primo libro su Tunguska in inglese The Fire Came By: The Riddle of the Great
Siberian Explosion di John Baxter e Thomas Atkins.
1975
Lo scienziato israeliano Ari Ben-Menahem conclude che l‟esplosione sia avvenuta a 8,5 chilometri
dal livello del suolo con un‟energia pari a 12,5 megatoni.
1977
Lo scienziato britannico Anthony Lawton suggerisce che la palla di fuoco di Tunguska fosse in
realtà un fulmine globulare gigante.
1978
L‟astronomo slovacco Lubar Krésak suggerisce che a Tunguska sia esploso un pezzo della cometa
Encke.
1983
Lo scienziato americano Zdenèk Sekanina propone che l‟esplosione sia stata causata da un asteroide
sassoso. Lo scienziato Richard Turco, anche lui americano, suggerisce che le notti luminose siano
state causate da nubi nottilucenti prodotte dalle polveri che raggiunsero la stratosfera. Il fisico
americano Ramachandran Ganapathy afferma che i globuli raccolti dalla spedizione di Florenskij
del 1961-62 sono ricchi di iridio, un metallo che abbonda nei corpi extraterrestri, e contengono altre
prove della sua origine extraterrestre. Scopre anche tracce della palla di fuoco di Tunguska nei
ghiacci dell‟Antartide.
1984
Gli scienziati russi Viktor Zuravlèv e A.N. Dmitriev presentano l‟ipotesi del plasmoide.
1989
Prima spedizione italiana guidata da Menotti Galli e Giuseppe Longo. La spedizione raccoglie
particelle di resina dagli alberi di Tunguska. Le particelle contengono alcuni elementi comunemente
associati agli asteroidi sassosi. Lo scienziato russo Andrej Ol‟chovatov pubblica la teoria della
geometeora. Le geometeore sono oggetti luminosi simili alle meteore ma di origine terrestre.
1993
Gli scienziati americani Christopher Chyba, Kevin Zahnle e Paul Thomas danno nuovo peso e
rigore alla teoria dell‟asteroide. Affermano che l‟esplosione ha rilasciato circa 15 megatoni di
energia nell‟atmosfera a un‟altitudine di 8 chilometri.
1994
Uno sconosciuto scrittore americano suggerisce che l‟esplosione sia stata causata dall‟esperimento
su un raggio letale condotto da Nikola Tesla e sfuggito di mano.
1996
Lo scienziato russo Vladimir Svecov dimostra che l‟intera massa dell‟oggetto di Tunguska si è
vaporizzata prima di raggiungere il suolo. L‟ablazione dei detriti di Tunguska è stata totale.
1998
Sekanina rivisita la sua teoria dell‟asteroide e propone nuovi argomenti a suo favore. Lo scienziato
russo Vladimir Alekseev suggerisce che il volo dell‟oggetto si sia concluso con delle esplosioni
multiple, responsabili dei suoni simili a colpi di cannone uditi dai testimoni.
2001
Muore l‟accademico Nikolaj Vasilev, che aveva coordinato la ricerca scientifica di ventinove
indagini su Tunguska tra il 1963 e il 2001. Un gruppo di scienziati italiani, basandosi su un‟idea di
Paolo Farinella (1953-2000) calcola 886 orbite possibili dell‟oggetto, delle quali l‟83 per cento sono
orbite di asteroide e il 17 per cento di comete. L‟astrofisico tedesco Wolfgang Kundt suggerisce che
l‟esplosione sia stata causata da 10 milioni di tonnellate di gas metano fuoriuscite da una frattura
vulcanica.
2002
Il fisico australiano Robert Foot propone che l‟esplosione di Tunguska sia stata causata da un
asteroide di materia specchio.
2004
Muore Vitalij Bronsten, un noto ricercatore di Tunguska e principale sostenitore della teoria della
cometa.
2006
Mentre ci prepariamo a festeggiare il centesimo anniversario dell‟evento di Tunguska, non abbiamo
ancora la risposta alla domanda su che cosa abbia realmente provocato l‟esplosione.
Ringraziamenti
Durante la stesura di questo libro, ho chiesto ai maggiori esponenti di due delle
principali ipotesi sull‟evento di Tunguska – Zdenèk Sekanina del Jet Propulsion
Laboratory della NASA in California e Vitalij Bronsten del Comitato meteoriti
dell‟Accademia russa delle Scienze – di esprimere le più recenti idee sulle proprie
teorie. Mi ha addolorato apprendere della morte del dottor Bronsten poche settimane
dopo che gli avevo scritto. Sono grato al dottor Sekanina per la sua risposta.
Vorrei anche ringraziare Robert Foot dell‟Università di Melbourne, Wolfgang Kundt
dell‟Università di Bonn e Kiril Chukanov della Chukanov Quantum Energy di Salt
Lake City, Utah, per il commento sulle loro ricerche riguardo l‟evento di Tunguska.
I miei speciali ringraziamenti vanno a Marek Zbik dello Ian Wark Research Institute
all‟University of South Australia, per il suo aiuto nel fornire saggi di ricerca e
illustrazioni; a Vitalij Romejko di Mosca, per aver concesso il permesso di usare la
sua fotografia del cratere Suslov; allo staff della State Library di Victoria per il
cortese aiuto in diverse occasioni; a Geoff Coleman, Simon Kwok, Rith Learner,
Darren Lewin Hill e Arun Tomar, per il loro supporto morale; e a Eric (“Fizzle”)
Fiesley e Colin (“Stick”) Storer per essere veri amici australiani da più di trentanni.
La stesura di questo libro è stata allietata da Andrej Ol‟chovatov, prima all‟Istituto
sovietico di ricerca per gli strumenti radio e ora ricercatore indipendente a Mosca,
una personalità molto nota nel cyberspazio di Tunguska e nelle comunità di ricerca.
Grazie, Andrej. Fai splendere ancora la palla di fuoco di Tunguska.
Sono in debito con l‟editor della Icon Books, Simon Flynn, per avermi dato
l‟opportunità di scrivere questo libro, e con il suo redattore, Duncan Heath, per i suoi
indispensabili consigli.
Infine, desidero ringraziare mia moglie Suman e i miei figli Rohit e Anuraag per il
loro immancabile supporto.
1 In inglese esiste il celebre verso «My Very Educated Mother Just Served Us Nine Pizzas», in cui
le iniziali indicano, nell‟ordine: Mercurio (Mercury), Venere (Venus), Terra (Earth), Marte (Mars),
Giove (Jupiter), Saturno (Saturn, Urano (Uran), Nettuno (Neptune) e Plutone (Pluto). (N.d.T.)
2 Nella storia di Chicken Little il pulcino scambia la caduta di una ghianda per un asteroide,
creando un falso allarme. (N.d. T.)