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SURENDRA VERMA

IL MISTERO DI TUNGUSKA

1908: la devastante esplosione che sconvolse la Siberia


Traduzione di Gemma Russo
© 2005 Surendra Verma
Titolo originale dell‟opera: The Tunguska Fireball
© 2006 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
I edizione Oscar nuovi misteri giugno 2006
ISBN 88-04-55595-5

NOTE DI COPERTINA
Alle sette del mattino del 30 giugno 1908 un‟enorme palla di fuoco esplose nel cielo
siberiano. L‟intensità fu di mille volte superiore a quella della bomba di Hiroshima e
il “fungo” di polveri si sollevò alto verso lo spazio. Oltre millecinquecento chilometri
quadrati di foresta vennero rasi al suolo, l‟onda d‟urto fece tremare il treno della
Transiberiana, lontano seicento chilometri, e si avvertì fino a San Pietroburgo. Per
settimane dopo l‟evento le notti di Londra apparvero incredibilmente luminose. Di
cosa si trattava? A distanza di un secolo è ancora impossibile dirlo con certezza. Un
meteorite? Un‟astronave extraterrestre? Un precocissimo esperimento nucleare? In
questo saggio rigorosamente documentato Surendra Verma racconta l‟incredibile
storia del mistero di Tunguska, a cavallo tra scienza e fantascienza, e, senza
dimenticare i tanti scienziati o i moltissimi ciarlatani che l‟hanno alimentata, avanza
alcune originali ipotesi sull‟affascinante enigma.
SURENDRA VERMA è uno scrittore specializzato in argomenti scientifici. Ha all‟attivo molte
pubblicazioni, tra cui The Little Book of Scientific Principles, Theories and Things (2005). Abita a
Melbourne (Australia) dal 1970.

INDICE
Introduzione
I Fuoco nel cielo
Le ripercussioni in tutto il mondo, 7 – La “lingua di fuoco”, 13 -L‟anno 1908, 15 –
Vent'anni dopo, 17
II Il caso di un meteorite scomparso
Pietre dal cielo, 19 – Una lezione sui meteoriti (e un investimento nei metalli), 21-11
nostro uomo a Tunguska, 26 – Il cacciatore di meteoriti, 29 – La prima spedizione di
Tunguska, 32 -La seconda spedizione di Tunguska, 40 – La terza spedizione di
Tunguska, 43 – La soluzione dell‟enigma, 46
III La storia di una cometa infuocata
La cometa di Carolyn, 51 – Per Giove, è stato un grande spettacolo, 53 – Fu una
cometa a colpire la Terra nel 1908?, 54 – Palle di ghiaccio e polvere, 57 – È stata una
cometa, 59 – Ma si trattava davvero di una cometa?, 64
IV Pericolo asteroidi
Il dito accusatore, 68 – Un asteroide “camuffato” da pianeta, 71 -Il “pianeta” di
Piazzi, 72 – Il dono del nuovo secolo, 75 – Obiettivo Tunguska, 78 – Obiettivo Terra,
84
V Fantomatica Tunguska
Primi tentativi nella ricerca delle tracce, 89 – Le tracce di Tunguska in Antartide, 92
– La testimonianza degli alberi, 94 -Ablazione totale, 98 – Effetti ambientali, 100
VI L‟incredibile viaggio di un buco nero
Un buco nero non è un aspirapolvere cosmico, 104- Il buco nero di Tunguska, 108
VII Questioni di materia
Dalla materia all‟antimateria, 114 – L‟antimateria a Tunguska, 117 – Dall‟antimateria
alla materia specchio, 121 – Materia specchio a Tunguska, 125 – Un‟altra materia,
127
VIII Un‟esplosione dal sottosuolo
Una fuga di gas, 131 – Un fulmine globulare gigante, 136 – Geometeore fantasma,
142
IX Aprire gli X-files
L‟astronave Tunguska, 147 – C‟è un disco volante nel mio giardino, 151 – La taiga di
Tunguska distrutta da un laser, 154 -Tunguska radioattiva, 156 – Il raggio letale di
Tesla, 164
X Una palla di fuoco nel cielo dei dinosauri
Vita scomparsa, 172 – La stella della morte, 175 – L‟asteroide killer, 178- Il giorno
del giudizio, 181 – Pennacchi di vapore e fumo, 185- I dinosauri morirono per altre
cause?, 187 – Cosa accadde davvero ai dinosauri?, 195 – Un‟altra palla di fuoco nel
cielo siberiano, 198 – Una mini Tunguska, 199 – Perché dobbiamo trovare la
risposta?, 201
XI Cosa è stato?
I soliti sospetti, 206 – Sul banco dei testimoni, 207 – Il parere degli esperti, 210 – Il
verdetto, 210
Cronologia
Ringraziamenti
Il mistero di Tunguska
Introduzione
Il cosiddetto “evento di Tunguska” ha alimentato il folklore scientifico dal 1927,
allorché Leonid Kulik, primo fra gli scienziati, si recò a visitare il sito. Vide una zona
ovale che si estendeva per 70 chilometri dove la foresta era stata come “appiattita”.
Gli alberi non erano sradicati: erano stati privati dei rami, abbattuti e sparsi come
fiammiferi, in direzione opposta a quella dell‟esplosione. Anche dopo un‟attenta
ricerca, Kulik non trovò alcun cratere o altra prova di un eventuale impatto. Cercò
frammenti di meteorite ma non trovò nulla. Dato che non c‟erano né un cratere
d‟impatto né alcun resto significativo, non poteva essere stato un meteorite gigante a
causare l‟esplosione di Tunguska. Se non si era trattato di un meteorite, cosa allora
poteva averla provocata?
La ricerca della risposta a questo interrogativo ha generato una vera e propria
“industria di Tunguska”, che ha tenuto impegnati per anni scienziati e ciarlatani.
Centinaia di articoli scientifici, in riviste affermate e non, provano che brillanti
menti sono ansiose di risolvere l‟enigma. Tunguska offre anche l‟opportunità di
verificare nuove teorie: buchi neri, fulmini globulari, antimateria e materia specchio
ne sono solo alcuni esempi. La recente propensione degli astronomi a valutare
l‟eventualità che un asteroide colpisca la Terra ha riportato l‟attenzione scientifica su
Tunguska. Gli amanti dell‟avventura possono sempre fare un viaggio a Tunguska e
cercare prove delle “pietre cadute dal cielo”. Per gli spiriti meno avventurosi, ci sono
workshop, simposi e conferenze.
Numerosi siti web, ipotesi dietrologiche, sensazionali documentari TV, un episodio
della celebre serie X-Files e altro ancora provano che Tunguska possiede un fascino
esotico capace di rendere appetibile la scienza. Per i fan della fantascienza, Tunguska
ha cieli sconfinati che le astronavi possono solcare.
Da qualunque punto di vista guardiate, Tunguska è un viaggio affascinante nella
scienza sperimentale, in quella speculativa e nella fantascienza. Il mistero di
Tunguska cerca di darvi un‟idea di questo viaggio.

Fuoco nel cielo


È il 30 giugno 1908, ore 7.14 circa. Altopiano centrale siberiano vicino al corso
della Podkamennaja Tunguska – la Tunguska Pietrosa – un fiume che scorre in una
regione remota e disabitata; paludi fangose, pini e foreste di cedri; neanche un‟anima
per centinaia di chilometri. Il silenzio è rotto solo dagli zoccoli delle renne che
brucano nel sole del mattino e dal ronzio di densi sciami di feroci zanzare.
Improvvisamente una lucente e altissima palla di fuoco attraversa il cielo terso; si
sposta in pochi secondi da sud-sudest a nord-nordovest, lasciando una grossa scia
luminosa lunga quasi 800 chilometri. Si abbassa lentamente per qualche minuto e poi
esplode a circa 8 chilometri dal suolo. L‟esplosione dura solo pochi secondi, ma è di
una potenza mille volte superiore alla bomba atomica di Hiroshima.
L‟esplosione interessa 2150 chilometri quadrati della taiga sconfinata e priva
milioni di vecchi alberi dei rami e delle foglie, rendendoli simili a pali elettrici. Una
nube scura di polvere, a forma di fungo, si alza a un‟altezza di 80 chilometri dal
suolo. Segue una pioggia nera di detriti. Poco dopo, nel cielo rosso, compaiono
nuvole bluastre di polvere ricoperta di ghiaccio.
A Vanavara, una stazione di scambio a circa 70 chilometri, il signor Semёnov, un
commerciante seduto davanti alla sua abitazione, cade dalla sedia sbalzato da violente
onde d‟urto. L‟esplosione ha generato un tale calore che la sua camicia sembra
bruciare. Affermerà in seguito che solo per un attimo vide un enorme “tubo blu” che
copriva gran parte del cielo. «Dopo divenne buio, sentii un‟esplosione che mi sbalzò
a molti metri dalla veranda e per un istante persi conoscenza.» Riprende i sensi per
udire un terribile rumore che fa tremare l‟intera casa e la fa quasi staccare dalle
fondamenta, rompe i vetri delle finestre e danneggia seriamente il granaio. La terra
trema, il cielo sembra spaccarsi in due e un vento caldo soffia sull‟abitazione.
Un altro commerciante, il signor Kosolapov, che sta camminando davanti alla sua
casa, si sente bruciare le orecchie. Se le copre con le mani e corre dentro. All‟interno
piove terra dal soffitto e la porta della sua cucina vola via. Le ante delle finestre si
rompono e Kosolapov sente tuonare verso nord. Quando tutto si calma va nel cortile
ma non vede nulla di strano.
Molti chilometri a nord di Vanavara, le tende di dozzine di nomadi e pastori, con
tutti i loro occupanti, vengono scaraventate in aria dalle onde d‟urto seguite
all‟esplosione. Tutti subiscono lievi escoriazioni ricadendo sul suolo. Un uomo
anziano urta contro un albero e si rompe un braccio, un altro anziano muore per lo
spavento. Centinaia di renne appartenenti a quattro diverse greggi muoiono colpite
dai pini e dai cedri sradicati attorno a loro. Un denso fumo avvolge la foresta.
Alcuni pescatori che ormeggiano le loro zattere sugli argini del fiume Tunguska
vengono sbalzati in aria. I loro cavalli si imbizzarriscono e cadono per terra raggiunti
dalle onde d‟urto.
Un fattore che sta arando la sua terra 200 chilometri a sud dell‟esplosione sente
improvvisamente dei colpi, come di cannone. Il suo cavallo si accascia sulle
ginocchia. La foresta di abeti intorno a lui si inclina per il vento. Egli si aggrappa alla
terra con entrambe le mani per non essere trascinato via. Il vento è così forte che
spazza la superficie del suolo e solleva un muro d‟acqua sul fiume vicino. Una
fiammata appare sulla foresta a nord.
Circa 600 chilometri a sudovest, il treno della Transiberiana trema fortemente sui
binari, costruiti appena tre anni prima. I passeggeri si spaventano per il forte rumore.
Il macchinista vede i binari davanti sé staccarsi e riesce a fermare il treno. Segue un
rumore di tuoni in lontananza.
Gli abitanti di Znamenskoe, a 700 chilometri dal luogo dell‟esplosione, vedono
delle luci intense nel cielo. Dopo il passaggio della palla di fuoco, gli abitanti di
Očaevskoe, a 1200 chilometri dall‟esplosione, odono dei forti colpi, simili a spari, che
si susseguono per diversi minuti.

Le ripercussioni in tutto il mondo


L‟esplosione fu registrata da una stazione sismica a 4000 chilometri da San
Pietroburgo. Movimenti tellurici furono rilevati anche da altre stazioni in tutto il
mondo.
Disturbi nel campo magnetico terrestre – simili a quelli prodotti dalle esplosioni
nucleari nell‟atmosfera – furono registrati a 970 chilometri a sud del sito
dell‟esplosione dall‟Osservatorio magnetico e meteorologico di Irkutsk. La tempesta
magnetica durò più di quattro ore. Successive analisi di questi dati mostrarono che
l‟epicentro del “terremoto” coincideva con il luogo dell‟esplosione (60° 55‟ nord di
latitudine e 101° 57‟ est di longitudine) e confermarono l‟ora precisa dell‟evento
(00.14 GMT; 7.14 locali).
Due settimane dopo l‟esplosione, lo Smithsonian Astrophysical Observatory e il
Mount Wilson Observatory, negli Stati Uniti, registrarono una forte diminuzione
nella trasparenza dell‟aria. Si ipotizzò che ciò dipendesse dalla perdita di una gran
quantità di materia dalla palla di fuoco, durante il suo passaggio nell‟atmosfera. I
calcoli però dimostrarono che tale perdita era pari a molti milioni di tonnellate, cento
volte superiori alla normale caduta annuale sulla Terra di materiale meteoritico.
La sera dell‟esplosione polveri lucenti e colorate furono notate nell‟intero
continente europeo, fino alla Spagna. Fotografie scattate quella notte all‟Osservatorio
astronomico di Heidelberg erano assai poco nitide a causa della lucentezza del cielo.
Un fotografo di Amburgo, che scattò una foto notturna del cielo, parlò di una
“polvere vulcanica”, dato che il ricordo dell‟eruzione del vulcano Krakatoa nell‟isola
indonesiana di Rakata nel 1883, la più violenta della storia moderna, era ancora
fresco nella memoria collettiva. Dopo il tramonto, ad Anversa, in Belgio, l‟orizzonte
a nord sembrava in fiamme. Un articolo sul «Vart Land», un giornale di Stoccolma,
descriveva una «strana luminosità» nella notte del 30 giugno.
Le notti furono insolitamente luminose anche nelle isole britanniche. Il 2 luglio il
«Times» di Londra pubblicò una lettera di una certa Katharine Stephen di
Huntingdon sulla «strana luce nel cielo» che lei e sua sorella avevano osservato tra la
mezzanotte del 30 giugno e il mezzogiorno del 1° luglio: «Sarebbe interessante se
qualcuno potesse spiegare la causa di una luce tanto insolita». Il giorno successivo il
signor Holcombe Ingleby di Bracaster scriveva del «curioso effetto solare notturno»
che aveva l‟aspetto di un tramonto di squisita bellezza. «È cresciuto sia in estensione
che in intensità fino alle 2.30 di questa mattina. Io stesso mi sono svegliato all‟1.15 e
la luce a quell‟ora era così forte che ho potuto comodamente leggere un libro nella
mia camera.» Nello stesso numero il giornale riferiva che a Dublino «un bagliore
davvero notevole aveva prolungato la giornata così tanto che era possibile leggere un
giornale all‟aperto».
Il 4 luglio il «Times» provò a spiegare «l‟intenso bagliore rosso che recentemente è
stato visto nel corso di molte notti». Il quotidiano scrisse che questi bagliori erano
stati notati in un‟area che si estendeva fino a Berlino e precisò che c‟erano opinioni
molto diverse sulla loro natura. «Alcuni sostengono che siano aurore boreali; e il loro
colore parrebbe confermare quest‟ipotesi… [altri affermano che] il fenomeno sia
semplicemente un‟anomala luce del tramonto… Possiamo ricordare le circostanze dei
meravigliosi bagliori che furono avvistati in questo paese nell‟autunno del 1883 e che
erano dovuti alle polveri sparse nell‟atmosfera dalla tremenda eruzione del Krakatoa
alla fine di agosto. Quei bagliori hanno molto in comune con questi più recenti…. La
distanza non è un ostacolo per i vasti fenomeni cosmici di questo genere, che
abbracciano tutto il mondo» ed era possibile che la polvere provenisse «da un‟ignota
eruzione vulcanica in qualche regione poco conosciuta».
Il 3 luglio il «New York Times» riferì: «notevoli luci sono state osservate nei cieli
settentrionali nelle notti di martedì e mercoledì, con un‟intensa illuminazione bianca
e gialla, che è continuata per tutta la notte per poi scomparire all‟alba». Il giornale le
attribuì a «significativi cambiamenti sulla superficie solare che causavano scariche
elettriche». Due giorni dopo il quotidiano pubblicò un altro articolo del
corrispondente di Londra. Il pezzo – L’alba a mezzanotte: a quell’ora Londra vede il
cielo blu e le nuvole tinte di rosa – affermava che molte notti della settimana erano
state caratterizzate da strani effetti atmosferici: «Dopo tramonti di eccezionale
bellezza ed effetti luminosi straordinari anche per l‟Inghilterra il cielo verso nord è
diventato a mezzanotte di un azzurro chiaro, come se stesse per albeggiare, e le
nuvole si sono tinte di rosa, in un modo così deciso che le stazioni di polizia sono
state tempestate di telefonate di gente che credeva fosse divampato un incendio nella
parte settentrionale della città».
All‟Osservatorio di Edimburgo il cielo notturno venne descritto particolarmente
luminoso, come fosse giorno. Lo «Scotsman» riferì che la luce entrava in tutte le
stanze che avessero una finestra rivolta a nord. Il detto “raccogli l‟erba finché il sole
splende” assunse un nuovo significato quando i contadini dell‟Inghilterra del Nord
lavorarono nei campi per tutta la notte portando al sicuro i loro raccolti prima che
scoppiasse una tempesta preannunciata.
La luminosità della notte diminuì progressivamente e scomparve dopo pochi
giorni, ma gli scienziati continuarono a interrogarsi sulla causa di questi bagliori
notturni.
William Frederick Denning, un astronomo di Bristol, scrisse sul settimanale
«Nature» il 9 luglio: «Non ho mai visto delle notti di giugno così scure e la Via
Lattea così visibile nel cielo, né ho mai visto il cielo così luminoso come appariva le
notti del 30 giugno e del 1° luglio». Bohuslav Brauner dell‟Università di Praga
scriveva nello stesso numero: «Ho notato anch‟io a Praga il peculiare fenomeno
luminoso della mezzanotte del 30 giugno…. È stato riferito di disturbi magnetici sulle
linee telegrafiche, ma non ho visto traccia delle caratteristiche fasce o colonne
aurorali in questo fenomeno». La settimana dopo Denning scriveva ancora, questa
volta scartando la sua precedente ipotesi che i bagliori fossero dovuti a un‟aurora
boreale: «Quale che sia la vera natura delle recenti manifestazioni, è certo che
qualcosa nell‟aria ha prodotto una fortissima capacità di riflessione della luce».
Nel numero di agosto, la rivista del Royal Observatory di Greenwich fornì un
resoconto particolareggiato dei bagliori notturni: «Alle 21.30 del 30 giugno, a
Greenwich, l‟orizzonte a nordovest e a nord era di un rosso intenso; c‟è stato quello
che viene in genere definito un “tramonto brillante”, con la sola particolarità che la
lucentezza si è estesa più a nord del solito ed è durata così tanto che all‟una del
mattino si estendeva molto più a nord dell‟orizzonte e il cielo a settentrione era di una
luminosità simile a quella del cielo a sud, nelle notti di luna piena». L‟articolo, non
firmato, continuava affermando che le osservazioni non erano riuscite a fornire
alcuna prova che si trattasse di un‟aurora boreale, ma «la luce, in effetti, era
sufficiente per fotografare oggetti terrestri». Un‟eccellente fotografia scattata poco
prima di mezzanotte, con un‟esposizione di circa un minuto, mostrava le cupole del
Naval College del Royal Observatory con la nave scuola Fame in primo piano.
Sull‟altra sponda dell‟Atlantico, lo «Scientific American» riferiva il 29 agosto che
i bagliori del cielo, definiti da alcuni astronomi europei aurore boreali, erano ormai
oggetto di interessanti discussioni nei circoli astronomici, specialmente tra gli
scienziati europei. «Per un po‟ una strana e intensa luce giallo-arancio all‟orizzonte,
arancione nella parte più bassa e gialla in quella superiore, è stata osservata in tutta
l‟Europa settentrionale e negli Stati Uniti… nuvole con fasce a spirale di vari colori si
stagliavano nel cielo, così luminose che poche stelle potevano essere viste e la Via
Lattea era a stento distinguibile.» L‟articolo citava Denning e Brauner di «Nature», i
quali sostenevano di non aver scorto traccia delle caratteristiche fasce o colonne
aurorali in questo fenomeno.
Gli scienziati della British Association for the Advancement of Science, riunitisi
per un meeting a Dublino nel settembre del 1908, non sapevano che il
microbarografo – inventato nel 1903 dai suoi illustri membri William Napier Shaw e
William Henry Dines – aveva in effetti registrato disturbi causati dall‟esplosione di
Tunguska. Il microbarografo registra automaticamente piccoli mutamenti nella
pressione atmosferica, ma non segnala cambiamenti dovuti ai normali aumenti e
abbassamenti come un barometro. Durante una discussione sul movimento delle
onde, quale curioso esempio di moto delle onde atmosferiche Shaw presentò sei
grafici registrati in altrettanti luoghi in Inghilterra il 30 giugno 1908 alle 5.14 GMT
(cioè cinque ore dopo l‟esplosione di Tunguska). Ciascun grafico mostrava una serie
di onde aeree in un periodo di circa un‟ora. Ogni onda presentava quattro evidenti
picchi, come se ci fossero stati quattro disturbi nell‟atmosfera terrestre in quel lasso
di tempo. Shaw notò che i picchi duravano circa quindici minuti e venivano poi
«violentemente interrotti da un improvviso, ancorché lieve, disturbo». Gli scienziati
del meeting pensarono che questo strano fenomeno fosse dovuto a un significativo
disturbo atmosferico in qualche sconosciuta parte del mondo.
Come i bagliori notturni, i sei grafici rimasero uno dei misteri irrisolti della scienza
per due decenni. Nessuno, eccetto alcuni osservatori in Siberia, sapeva che una
misteriosa palla di fuoco era esplosa nel cielo siberiano.
La spedizione britannica in Antartide del 1907-1909, guidata da Ernest Shackleton,
era accampata alla stazione di Cape Royds in Antartide quando esplose la palla di
fuoco di Tunguska. Il gruppo di Shackleton vide un‟aurora australe (luci colorate nel
cielo verso sud) al momento dell‟esplosione? Di questo non c‟è alcuna prova; esiste
invece una registrazione di un‟aurora eccezionale sette ore prima dell‟esplosione.
Questa aurora era in qualche modo collegata con la palla di fuoco?

La “lingua di fuoco”
I quotidiani siberiani dell‟epoca non erano meglio informati dei loro distanti
corrispondenti inglesi e americani, ma l‟esplosione fu riportata in modo diffuso.
Nel «Sibir‟», il quotidiano di Irkutsk, del 15 luglio, un corrispondente riferiva che,
la mattina del 30 giugno, alcuni contadini nel villaggio di Nizne-Karelinskoe (a circa
465 chilometri dal luogo dell‟esplosione) avevano visto, molto al di sopra della linea
dell‟orizzonte, un corpo luminosissimo dalla luce bianco-bluastra. Il corpo aveva la
forma di un “tubo” ed era troppo lucente per essere osservato a occhio nudo. Era
precipitato verso il basso per circa dieci minuti prima di toccare il suolo e
polverizzare la foresta. Si era poi formata un‟enorme nuvola di fumo nero «e si era
udito un forte boato, non come quello di un tuono, ma simile piuttosto alla caduta di
grossi massi o ai colpi di un cannone. Gli edifici tremarono e, contemporaneamente,
una lingua di fuoco apparve attraverso la nuvola». L‟evento spaventò gli abitanti del
villaggio, che, presi dal panico, si riversarono in strada. Tutti pensarono che si stesse
avvicinando la fine del mondo.
Al tempo dell‟esplosione, il corrispondente del «Sibir‟», autore dell‟articolo, si
trovava a Kirensk (a 500 chilometri di distanza) e sentì «verso nordovest un rumore
simile a degli spari, che si ripeté a intervalli regolari per almeno dieci volte, per una
durata di quindici minuti». Notò che in molte case le finestre poste a nordovest erano
chiuse.
Il «Golos Tomska» inviò un corrispondente nella città di Kansk a 635 chilometri
dal luogo dove si diceva fosse caduto un grosso meteorite, per verificare
l‟informazione. Il 17 luglio il giornale riportava che tutti i dettagli della caduta di un
meteorite erano da attribuire «alla fervida fantasia di gente facilmente
impressionabile». Il quotidiano, comunque, affermava: «Non c‟è dubbio che un
meteorite sia precipitato nei dintorni, ma sulla sua enorme massa e su altri particolari
nutriamo forti dubbi». Il 28 luglio il giornale riferiva di un terremoto a Kansk la
mattina del 30 giugno: esso era stato seguito da un urto sotterraneo e da un boato,
come se in lontananza si stesse sparando. «Le porte, le finestre e le lampade davanti
alle icone tremavano tutte. Tra i cinque e i sette minuti più tardi seguì un secondo
botto, più forte del primo, accompagnato da un boato simile e seguito, dopo un breve
intervallo, da un altro rumore, più debole dei primi due.»
Una descrizione dettagliata e drammatica dell‟evento apparve nel quotidiano di
Krasnojarsk, «Krasnojarec», il 26 luglio, dal corrispondente nel villaggio di Kezma (a
215 chilometri di distanza). È l‟unico articolo di giornale proveniente dal luogo
abitato più vicino al sito dell‟esplosione. Dopo una dettagliata descrizione di «un
colpo sotterraneo che aveva fatto tremare gli edifici», il giornale citava dichiarazioni
di testimoni: «prima che si udissero i colpi, un corpo celeste dall‟aspetto infuocato ha
attraversato il cielo da sud a nord… non è possibile descriverne né le dimensioni né la
forma, a causa della velocità e, soprattutto, dell‟imprevedibilità». L‟articolo
proseguiva affermando che quando l‟oggetto volante aveva toccato il suolo, era
partita un‟enorme fiamma, che aveva tagliato in due il cielo. «I colpi sono stati uditi
non appena la “lingua di fuoco” è scomparsa. Nell‟isola vicino al villaggio i cavalli e
le mucche sono diventati irrequieti e hanno cominciato a correre dappertutto… Sono
stati uditi dei terribili colpi in lontananza che hanno fatto tremare la terra, e la loro
ignota provenienza ha scatenato una sorta di superstizioso terrore. La gente era
letteralmente assordata.» L‟articolo notava anche che il bagliore doveva essere durato
almeno un minuto, perché era stato visto da molti contadini nei campi.
Quella di una “lingua di fuoco” sembra essere una descrizione comune da parte dei
testimoni oculari dell‟evento di Tunguska e compare in diversi giornali siberiani
dell‟epoca. Un resoconto dal villaggio di Nižne-Ilimskoe (a 420 chilometri di
distanza) affermava che la popolazione, anche quella dei dintorni, prima di sentire il
tuono aveva visto un «corpo infuocato simile a un raggio» sparato da sud a nordovest.
Il corpo di fuoco era scomparso immediatamente dopo il botto e al suo posto era
apparsa una “lingua di fuoco”, seguita dal fumo.
Molti giornali russi, al di fuori della Siberia, riportarono notizie delle notti
luminose e delle nuvole lucenti, ma non c‟era quasi alcun riferimento alla palla di
fuoco (la «Pravda» non esisteva ancora: fu fondata da Trockij nell‟ottobre del 1908 a
Vienna, trasferita a San Pietroburgo nel 1912 e a Mosca nel 1918). Comunque, il 4
luglio 1908 la «Gazzetta del commercio e dell‟industria» di San Pietroburgo riportava
un breve pezzo intitolato La caduta del meteorite: «Ieri abbiamo ricevuto un
telegramma che diceva soltanto: “il rumore è stato notevole ma nessun masso è
caduto”».

L’anno 1908
Nel 1908 la Russia era un paese in tumulto politico e sociale. Le indagini su un
terremoto o un meteorite nella lontana Siberia non erano certo una priorità per le
autorità dell‟allora capitale, San Pietroburgo. La Prima guerra mondiale e la
rivoluzione bolscevica avrebbero poi assorbito l‟attenzione della nazione per molti
anni. Il sito dell‟impatto era nella più remota e inospitale regione della Russia e non
fu fatto alcuno sforzo per lanciare una spedizione scientifica in quel luogo. La “lingua
di fuoco” che aveva avvolto la bellissima taiga siberiana fu presto dimenticata.
Non appena le notti luminose scomparvero in tutta Europa l‟attenzione degli
scienziati e dei giornali si spostò da questo strano fenomeno ad altre meraviglie
scientifiche e tecnologiche di quell‟anno. Il ricco elenco include la definizione del
tempo come quarta dimensione da parte di Hermann Minkowski; l‟individuazione
dell‟atomo di Ernest Rutherford (nel 1908, Rutherford vinse anche il Nobel per la
chimica per il suo lavoro sulla radioattività); la scoperta del monosodio glutammato
(MSG), un additivo alimentare, fatta da Kikunae Ikeda; l‟invenzione delle bustine da tè
di Thomas Sullivan; la scoperta del primo grande deposito di petrolio in Persia (oggi
Iran), che segnò l‟inizio del boom del petrolio in Medio Oriente; il conte von
Zeppelin e il suo magnifico dirigibile (questo il titolo del fondo del «New York
Times» del 5 luglio 1908); l‟introduzione della catena di montaggio alla Ford, da cui
uscì il modello T, la prima automobile prodotta in serie (che fu accompagnata dalla
famosa promessa di Ford «in qualunque colore: purché sia nero»).
Quell‟anno offrì molto anche a coloro che apprezzano una scienza “vivace”.
C‟erano storie di capitani spaventati da “nubi magnetiche” discese sulle loro navi. I
giornali della provincia americana erano – e lo sono ancora – pieni di articoli su
“astronavi aliene” che viaggiavano a velocità fantastiche. (Il termine “disco volante”
fu coniato nel giugno del 1947, quando il pilota americano Kenneth Arnold vide nove
dischi luminosi nel cielo vicino a Mount Rainier a Washington. Disse che gli oggetti
si spostavano «come un disco che si muoveva nell‟acqua».) Tutto ciò sembrò
insignificante quando i passeggeri di una nave a vapore nel golfo del Messico
descrissero dettagliatamente la coda di un serpente marino lungo 60 metri, che
emergeva dal mare e che avevano visto coi loro stessi occhi.
Il 1908 è anche ricordato per il terremoto di Messina e per l‟introduzione ufficiale
dell‟sos in codice Morse come segnale internazionale di pericolo estremo. Il più
violento terremoto della storia d‟Europa uccise centocinquantamila persone in Sicilia
e nell‟Italia del Sud. Se Messina fosse stata colpita dalla palla di fuoco di Tunguska
la devastazione sarebbe stata inimmaginabile. E che dire se la palla di fuoco avesse
colpito San Pietroburgo o Londra? Il suono dell‟sos riecheggerebbe ancora nel
mondo.

Vent'anni dopo
I primi resoconti della palla di fuoco di Tunguska raggiunsero il mondo
occidentale nel 1928. L‟anno seguente Charles J.P Cave, un astronomo britannico,
notò la coincidenza della data della palla di fuoco e dei grafici registrati in sei diversi
luoghi dell‟Inghilterra il 30 giugno 1908. Nel 1930, un altro astronomo britannico,
Francis John Welsh Whipple (da non confondere con l‟astronomo americano Fred
Lawrence Whipple che, come vedremo, propose il modello della “palla di neve
sporca” per le comete), suggerì che le onde aeree in Inghilterra potessero essere state
causate dal grande meteorite siberiano, come era allora conosciuta la palla di fuoco di
Tunguska. «Come sia potuto succedere che la caduta del grande meteorite che ha
prodotto le onde non sia stata portata all‟attenzione del mondo scientifico del tempo è
un mistero» disse a un meeting della Royal Meteorological Society. «Ci sono
meravigliose caratteristiche nella storia del meteorite siberiano, una storia senza
eguali in tutti i tempi. È notevole che questo evento sia accaduto nella nostra
generazione eppure sia quasi sconosciuto.»
Whipple usò i sei grafici per mostrare che i fronti della pressione avevano
viaggiato a una velocità media di 1130 chilometri orari. Onde di una simile intensità
erano state registrate in Gran Bretagna il 27 agosto 1883, quando un‟eruzione
vulcanica era avvenuta dall‟altra parte del mondo, a Krakatoa. Whipple stabilì anche
che le prime quattro onde “quasi simili” erano state registrate nell‟arco di due minuti,
seguite poi da due onde finali. Ne concluse che c‟erano due tipi di fenomeni: le prime
quattro onde erano state causate da un meteorite che attraversava l‟atmosfera e le
ultime due dall‟abbattimento al suolo del meteorite.
Dopo aver letto lo scritto di Whipple, un altro astronomo, Spencer Russell associò i
notevoli bagliori notturni del 1908 al meteorite siberiano: «L‟intero cielo
settentrionale in quelle due notti era di un colore rosso così soffuso che variava dal
rosa a un cremisi intenso. C‟era una totale assenza di scintillii o bagliori e nessuna
tendenza alla formazione di scie o di un arco luminoso, caratteristici dei fenomeni
aurorali. Il tramonto di queste due notti fu prolungato fino al sorgere del nuovo
giorno, e non ci fu una vera notte».
Sebbene spiegassero la causa dei fenomeni osservati in Inghilterra, né Whipple né
Spencer fecero alcuno sforzo per spiegare la natura del grande meteorite siberiano. A
ciò pensò un giovane scienziato russo.

II

Il caso di un meteorite scomparso


Siena, ore 19.00 del 16 giugno 1794. Gli abitanti notano una nuvola scura che vela
il cielo azzurro. Mentre la nube si muove a sudest, odono il suono di un tuono
lontano.
Pochi chilometri più in là, gli abitanti del villaggio di Cosona, in cammino verso le
loro case, restano disorientati dal sibilo dei sassi che attraversano l‟aria e si abbattono
ai loro piedi. Subito dopo, un fragore continuo, simile a un suono di artiglieria,
riempie il cielo. Una giovane donna, Lucrezia Scartelli, spinta dalla curiosità,
raccoglie un sasso grande quanto un‟oliva e, bruciandosi la mano, immediatamente lo
lascia cadere. Ode il suono di un tuono e vede cadere un‟altra grossa pietra. Fugge via
spaventata.
Più tardi, un altro testimone, Ferdinando Sguazzino, riferisce agli abitanti del suo
villaggio che i sassi sono caduti a una velocità tale che i più pesanti si sono conficcati
nel terreno. «Tanto così» dice allargando le braccia. Poi mostra loro un sasso: è
grande come un pomodoro e nerissimo. Lo incide con un coltello e gli astanti
lanciano urla di sorpresa quando scoprono che all‟interno è bianco-argenteo.

Pietre dal cielo


Ambrogio Sodani, professore di geologia e zoologia all‟Università di Siena del
tempo, studiò il fenomeno e scoprì che le pietre erano cadute in un‟area di 47
chilometri quadrati. Di grandezza variabile – da un piccolo sassolino a un masso di
più di tre chili – il loro numero ammontava a qualche centinaio. Esaminandole con un
magnete concluse che erano composte prevalentemente di ferro.
Il famoso biologo Lazzaro Spallanzani, che si trovava a Napoli nel 1778 durante
l‟eruzione del Vesuvio, suggerì l‟ipotesi che una tromba d‟aria avesse trasportato le
pietre del Vesuvio, che aveva eruttato appena diciotto ore prima, fino a Siena, a 320
chilometri di distanza. Ma Sodani riteneva che i sassi raccolti fossero diversi dalle
pietre vulcaniche del Vesuvio. Ipotizzò che provenissero dal cielo. Tutti ignorarono il
suo suggerimento eccetto Ernest Florens Friedrich Chladni, un fisico di Wittenberg,
in Germania (era un corrispondente dell‟Accademia delle Scienze di San Pietroburgo
e giustamente la Russia lo reclama).
Due mesi prima che le pietre cadessero su Siena, Chladni aveva pubblicato un
piccolo libro, Uber Feuer-Meteore, und die mit denselben herabgefallenen Massen a
Riga. In questo libro sosteneva che le pietre e le masse ferrose cadessero dal cielo e
che alcune di esse creassero perfino delle palle di fuoco nell‟atmosfera. Suggerì che
tali corpi si originassero nello “spazio cosmico” e potessero essere residui della
formazione dei pianeti o detriti di esplosioni o di collisioni planetarie.
L‟idea di Chladni che i meteoriti avessero un‟origine extraterrestre era un‟eresia
scientifica: un attacco allo stesso Newton, che credeva che eccetto i corpi celesti –
stelle, pianeti e comete – tutto lo spazio al di là della Luna fosse vuoto («i cieli non
contengono materia se non un sottile invisibile etere» affermò nel 1704).
Il libro di Chladni fu deriso dagli scienziati del tempo. «Devi assolutamente
leggere il terribile libro di Chladni sulle masse ferrose» scrisse Alexander von
Humboldt a un amico. Georg C. Lichtenberg avrebbe preferito che Chladni non
avesse scritto questo libro. Gli sembrava che fosse stato «colpito alla testa da una
delle sue pietre».
L‟idea che le rocce non cadessero dal cielo era così radicata che si dice che anche
il presidente americano Thomas Jefferson, uomo scientificamente preparato, quando
gli venne riferito che due professori dell‟Università di Yale avevano riportato la
caduta di meteoriti su Weston, nel Connecticut, nel dicembre del 1807, avrebbe
commentato: «Signori, preferisco credere che due professori americani mentano
piuttosto che delle pietre possano cadere dal cielo».
Non sappiamo se l‟affermazione di Jefferson sia realtà o mito, ma sappiamo di
certo che l‟Académie des Sciences era tra i più accaniti critici di Chladni e continuò e
respingere le sue idee, anche se le pietre stavano letteralmente cadendo davanti agli
occhi di testimoni disorientati (a Wold Cottage, Inghilterra, il 13 dicembre 1795; a
Evora, Portogallo, il 19 febbraio 1796; e Benares, India, il 19 dicembre 1798).
Quando una pioggia spettacolare di migliaia di pietre cadde vicino alla città di
L‟Aigle nella Francia settentrionale il 26 aprile 1803, sotto gli occhi di molti ufficiali
francesi, l‟Académie, ostile, inviò uno dei suoi membri, il fisico Jean Baptiste Biot, a
investigare sul fenomeno. «Ho raccolto e confrontato i racconti degli abitanti: alla
fine ho trovato alcune delle pietre sul luogo e mostravano delle caratteristiche che
provavano senza alcun dubbio la realtà della loro caduta» scrisse Biot nella sua
relazione, la quale convinse infine l‟establishment scientifico che dal cielo possono
effettivamente cadere delle pietre.
Gli astronomi ora ricordano Chladni come il fondatore della scienza dei meteoriti
mentre i fisici lo ricordano come il fondatore dell‟acustica per le sue ricerche
matematiche sulle onde sonore (le figure che si formano quando una piastra
metallica, cosparsa di sabbia, viene fatta vibrare si chiamano “figure di Chladni”).

Una lezione sui meteoriti (e un investimento nei metalli)


Oggi, più di duecento anni dopo la pubblicazione del famigerato libro di Chladni,
sappiamo che i meteoriti (dal termine greco meteoros, che significa “alto nel cielo”)
sono pezzi di materia extraterrestre, residui di processi geologici che hanno condotto
alla formazione del nostro sistema solare 4600 milioni di anni fa. Quando questi
pezzi di materia entrano nell‟atmosfera terrestre brillano intensamente a causa del
calore prodotto dall‟attrito con l‟aria. Molti residui sono troppo piccoli – di solito
della grandezza di un granello di sabbia, ma non più grandi di un pisello – per
sopravvivere al viaggio e sono dette meteore (o stelle cadenti e lasciano delle
momentanee scie di luce nel cielo).
Molto raramente un grosso sasso luminoso, simile a una palla di fuoco, sopravvive
al suo viaggio attraverso l‟aria e colpisce il suolo. Questo pezzo solido di pietra o di
ferro, in genere del peso di molti chili, viene definito meteorite. (Fino a quando una
meteora o un meteorite non entrano nell‟atmosfera terrestre sono noti come
meteoroidi.) Gli asteroidi (detti anche pianetini o pianeti minori) sono invece piccoli
corpi che orbitano intorno al Sole, per lo più tra Marte e Giove. Molti meteoriti sono
pezzi di roccia e/o metallo provenienti dagli asteroidi; le meteore derivano invece
dalla disintegrazione delle comete (le comete sono masse autonome di ghiaccio e
polvere che orbitano intorno al Sole).
La caduta di un grande meteorite è un evento raro ma spettacolare. Il meteoroide
entra nell‟atmosfera terrestre a una velocità molto elevata, tra i 40.000 e i 250.000
chilometri orari. L‟attrito con l‟aria non solo lo fa decelerare ma fa anche innalzare la
sua temperatura. All‟altezza di circa 100 chilometri, il meteoroide è talmente caldo
che splende come una palla di fuoco. Il suo strato più esterno è continuamente
vaporizzato ed espulso, lasciando una traccia di polvere e fumo. All‟altezza di circa
20 chilometri, la sua velocità si è ridotta – è circa di 10.000 chilometri orari – ed esso
non è più luminoso. Decelera ulteriormente la sua caduta libera, raggiungendo una
velocità tra i 640 e i 320 chilometri orari fino a quando non raggiunge il suolo. A
causa dell‟alta velocità e dell‟elevata temperatura, i grandi meteoroidi possono
rompersi anche in migliaia di frammenti a un‟altezza tra 27 e 11 chilometri. I
frammenti colpiscono la
Terra secondo uno schema vagamente ellittico, lungo qualche chilometro. La
“pioggia di pietre” di Siena nel 1794 fu una caduta di questo genere.
La spettacolare caduta di un meteoroide nell‟atmosfera è accompagnata da un
boato acustico ugualmente spettacolare. Poiché il suono viaggia molto lentamente
(soltanto a 1200 chilometri orari) occorrono dai 30 secondi ai diversi minuti dopo
l‟avvistamento di una palla di fuoco prima che qualunque fragore possa essere udito.
Comunque, molti testimoni hanno affermato di aver sentito strani rumori mentre un
meteorite solcava il cielo. Noti come suoni elettrofonici, essi variano da un leggero
sibilo al rumore di un treno che viaggia ad alta velocità. I suoni elettrofonici non sono
stati ancora scientificamente provati, ma gli scienziati sospettano che la luce che
emana da un meteorite possa essere accompagnata da invisibili radiazioni
elettromagnetiche nella forma di onde radio VLF (a frequenza molto bassa) tra i 10
hertz e i 30 kilohertz. È possibile che quando un meteorite si avvicina, le onde non
vengano sentite da un osservatore. Se invece egli è posizionato vicino a oggetti
metallici, questi oggetti si comportano da traslatori, convertendo inudibili onde
elettromagnetiche in udibili vibrazioni sonore.
I meteoriti contengono metalli in varie proporzioni (ferro e nichel) e pietre
(silicati). Possono dunque essere divisi in tre semplici categorie: quelli ferrosi sono
fatti prevalentemente di metalli, quelli pietrosi di silicati e quelli sassosi/ferrosi
contengono abbondanti metalli e silicati.
II più grande meteorite conosciuto giace ancora dove cadde in tempi preistorici, a
Hoba in Namibia: è alto un metro e pesa sei tonnellate. È composto prevalentemente
di ferro. Il più famoso meteorite sacro è la Kaaba, la pietra nera che giace ora nella
grande moschea della Mecca in Arabia Saudita e verso cui i musulmani pregano
cinque volte al giorno. Secondo la tradizione islamica la pietra è discesa dal cielo ed
era originariamente color giacinto prima di diventare nera a causa dei peccati
dell‟umanità.
Un grande meteorite o asteroide colpisce il suolo con una tale forza che si rompe in
mille pezzi e lascia un ampio fosso, un cratere. Come si fa a riconoscere il cratere di
un meteorite? Quando il meteorite si infrange al momento dell‟impatto, la terra
polverizzata e i frammenti di meteorite vengono scagliati fuori dal cratere e sparsi
attorno a esso, ma una parte considerevole ricade al suo interno. Questo fa sì che il
cratere presenti bordi sollevati e ripiegati. Ma la maggior parte delle volte questa
prova è cancellata, dal momento che la superficie terrestre muta continuamente. Dopo
centinaia di anni di piogge ed erosione del vento, dell‟acqua, e del ghiaccio, i
cambiamenti di temperatura, la forza di gravità e l‟azione degli animali e delle piante,
un cratere può non sembrare più tale.
Forse la più importante caratteristica di un cratere è data dalla presenza di
frammenti di meteorite nelle sue vicinanze. Solo i crateri piccoli presentano però
frammenti di meteorite. Se un meteorite esplode nel momento che colpisce il suolo, la
maggior parte della sua materia si trasforma in gas: la principale caratteristica dei
crateri prodotti da simili meteoriti è infatti la completa assenza di frammenti. Un‟altra
caratteristica è che questi crateri hanno diametri larghi più di un chilometro. Perciò
l‟assenza di materiale meteoritico non prova necessariamente la mancanza
dell‟impatto di un meteorite.
Anche quando un meteorite non lascia frammenti, lascia pur sempre qualche segno
del suo impatto. I geologi cercano tre tipi di segni.
• Impattiti. L‟impatto produce così tanto calore che le rocce si fondono e si
spargono nell‟aria. Quando le gocce della roccia fusa si raffreddano, si trasformano in
sfere vetrose, dette impattiti. Spesso esse contengono grani di ferro e nichel, e residui
di meteoriti. A seconda del vetro e degli altri minerali contenuti, queste sfere
prendono specifici nomi come tectiti e moldaviti.
• Quarzi con deformazioni da shock. L‟impatto fa anche spargere le rocce,
lanciando piccoli granelli di quarzo nell‟aria. Lo spargimento è talmente violento che
lascia tracce di questi granelli, noti come quarzi con deformazioni da shock.
• Elementi rari. Alcuni elementi come l‟iridio sono rari nelle rocce della crosta
terrestre. Un impatto gigantesco può spargere questi elementi per tutto il mondo.
Sin dalla fine degli anni Cinquanta, i geologi hanno confermato l‟esistenza di soli
160 crateri di impatto. Si sono tutti formati da meteoriti metallici e i loro diametri
vanno dai 10 metri ai 200 chilometri. Non sono stati trovati crateri associati a
meteoriti pietrosi. La ragione sta probabilmente nel fatto che i meteoriti si
disintegrano nell‟atmosfera. Anche se qualche frammento sopravvive al viaggio, può
non sopravvivere alle piogge e all‟erosione terrestre.
Il primo e meglio conservato cratere d‟impatto mai confermato si trova in Arizona.
Conosciuto semplicemente come cratere della Meteora, il suo diametro totale è di 1,2
chilometri e la sua circonferenza di quasi 4 chilometri. La profondità è di 175 metri
sotto il livello del suolo, con un bordo che si innalza dal suolo di circa 45 metri. È
stato creato cinquantamila anni fa da un meteorite del diametro pari quasi alla
larghezza di un campo da football. Il meteorite, che conteneva più di trecentomila
tonnellate di ferro e nichel, viaggiava alla velocità di circa 640.000 chilometri orari.
Era forte abbastanza da attraversare l‟atmosfera senza rompersi in mille pezzi.
Il cratere della Meteora ha trovato anche un posto negli annali degli investimenti
folli. Nel 1902 Daniel Moreau Barringer, uno stimato ingegnere minerario di
Filadelfia, sentì parlare del cratere e delle piccole sfere di ferro sparse intorno a esso.
Respinse l‟idea prevalente che il cratere fosse stato formato da un vulcano e suggerì
che si trattasse di un cratere di meteorite. Ipotizzò che un corpo di ferro-nichel del
peso compreso tra 5 e 15 milioni di tonnellate giacesse sotto la sua superficie. Nel
1903, senza mai aver visto il cratere, costituì la Standard Iron Company e chiese e
ottenne in concessione dal governo degli Stati Uniti (con la firma del presidente
Theodore Roosevelt in persona) due miglia quadrate di terra intorno al cratere, per un
periodo di 199 anni. Nei successivi 26 anni, fino alla morte di Barringer nel 1929, la
Standard Iron Company spese più di seicentomila dollari (una considerevole fortuna a
quei tempi) per estrarre pietre dai buchi – quello più profondo raggiungeva i 412
metri – ma non produsse nulla più che piccoli esempi di materiale meteoritico
composto al 93 per cento di ferro e al 7 per cento di nichel, con tracce di altri
elementi, inclusi i preziosi platino e iridio.
La “febbre del ferro” brillò probabilmente negli occhi delle autorità russe quando,
nel 1921, decisero di identificare le cadute di meteoriti registrate in Russia durante e
dopo gli anni della guerra. Il nuovo regime formatosi dopo la rivoluzione di Ottobre
del 1917 (I‟URSS sarebbe nata nel 1922) era economicamente in difficoltà quando le
notizie dell‟abbondanza di ferro del cratere della Meteora raggiunsero Mosca. Le
autorità sovietiche sognarono di scoprire del preziosissimo ferro caduto entro i
confini russi. Un brillante scienziato di trentotto anni fu incaricato di trovare questo
“tesoro proveniente dallo spazio”.
Il nostro uomo a Tunguska
Arriviamo al 30 giugno 1958. La faccia che osserva dal francobollo da 40 copechi
emesso in questa data dall‟URSS è quella di un preoccupato, occhialuto uomo dalla
barba grigia che indossa un colbacco. Il francobollo commemora il cinquantesimo
anniversario della palla di fuoco di Tunguska e lo scienziato che aveva dedicato gli
ultimi due decenni della sua vita a risolvere il rompicapo del misterioso meteorite
siberiano. Fu il primo scienziato a visitare il sito di Tunguska.
Dal 1927, quando guidò la prima spedizione a Tunguska, fino alla sua morte,
avvenuta nel 1942 in un campo di prigionia nazista, Leonid Alekseevič Kulik, un
mineralologo e
un‟autorità nel campo dei meteoriti, era convinto che la palla di fuoco di Tunguska
fosse un meteorite gigante. Le sue quattro spedizioni sul luogo tra il 1927 e il 1939
(la quinta spedizione, seppur pianificata, fu rinviata a causa dello scoppio della
Seconda guerra mondiale) non riuscirono a recuperare alcun residuo del meteorite,
ma egli credeva fermamente che essi fossero nascosti da qualche parte nel sito
dell‟esplosione.
Dov‟è il cratere del meteorite con il bordo sollevato che si sarebbe dovuto formare
al momento dell‟impatto? La domanda lo perseguitò a lungo. La faccia preoccupata
nella fotografia sul francobollo del 1958 sembra porre la questione: se non si è
trattato di un meteorite gigante, allora cosa ha causato la grande esplosione siberiana?
Il mistero sfugge ancora agli scienziati. Ci sono molte teorie, ma nessuna risposta
definitiva.
Figlio maggiore di un medico, Kulik nacque il 31 agosto 1883 a Tartu, in Estonia.
Dopo essersi diplomato, distinguendosi con una medaglia d‟oro, studiò all‟Istituto
botanico di San Pietroburgo. Nel 1904 fu espulso per attività rivoluzionarie
bolsceviche e passò l‟anno successivo insegnando matematica e fisica in una scuola
serale per adulti. Nel 1906 fu incarcerato per un breve periodo. Dopo aver lasciato il
carcere studiò fisica e matematica all‟Università di Kazan.
Sposò Lidija Ivanova nel 1907: la sua prima figlia, Elena, nacque nel 1910 e la
seconda, Irina, nel 1925.
Nel 1910 Kulik fu di nuovo incarcerato per un breve periodo e rimase sotto
sorveglianza delle forze di polizia per due anni. Nel 1912 si recò sui monti Urali,
dove lavorò come ufficiale botanico. Lì incontrò Vladimir I. Vernadskij, un
geochimico e mineralologo molto stimato, che guidava una spedizione di geologi alla
ricerca di depositi minerari. Questo incontro occasionale segnò l‟inizio della
trasformazione di un poeta rivoluzionario in uno scienziato pionieristico.
Vernadskij rimase così colpito dalla velocità con cui Kulik si appassionò alla
mineralogia che profetizzò che sarebbe un giorno divenuto un importante ricercatore
scientifico. Organizzò allora il trasferimento di Kulik dal Dipartimento di botanica a
quello della sua spedizione e infine al prestigioso Museo di mineralogia
dell‟Accademia delle Scienze di San Pietroburgo.
L‟inizio della Prima guerra mondiale mise fine alla veloce scalata di Kulik come
mineralologo. Fu arruolato nell‟esercito e combatté nella Prussia orientale. Dopo la
guerra, studiò all‟Accademia militare e continuò a lavorare per l‟esercito come
scienziato. Durante la rivoluzione di Ottobre, si trasferì a Tomsk, la più grande città
della Siberia, dove si unì all‟Armata Rossa e insegnò mineralogia all‟università.
Dopo l‟uscita dall‟Armata Rossa nel 1920, Kulik tornò alla sua occupazione al
museo di San Pietroburgo. Con la particolare intensità che aveva caratterizzato la sua
vita come rivoluzionario, ufficiale dell‟arma e insegnante, Kulik si dedicò in questo
periodo allo studio dei meteoriti e in breve divenne un‟autorità in questo campo della
scienza relativamente nuovo. A quei tempi lavorava al museo anche Evgenij L.
Krinov, un mineralologo molto stimato. Krinov, noto soprattutto per il suo autorevole
libro Giant Meteorites, definì Kulik un «uomo vibrante e colto, capace di radunare le
folle; un individuo diretto che non ha timore di far sentire la sua opinione quando è
convinto di avere ragione». Un tratto ammirevole in ogni scienziato.

Il cacciatore di meteoriti
Nel 1921 l‟Accademia sovietica delle Scienze approvò la prima spedizione
ufficiale sui meteoriti con l‟obiettivo di individuare ed esaminare i meteoriti caduti
nelle regioni disabitate della Russia. Uno degli scopi della spedizione era raccogliere
informazioni dalle popolazioni locali e parlare con testimoni oculari. La spedizione
lasciò Pietrogrado (nome che San Pietroburgo assunse nel 1914) il 5 settembre 1921
sotto la guida di Kulik.
A quel tempo Kulik non era a conoscenza del meteorite di Tunguska. Ne sentì
parlare per la prima volta alla stazione ferroviaria quando il suo piccolo gruppo partì
su un treno della Transiberiana. D.O. Svjatskij, redattore della rivista «Miroveden‟e»,
raggiunse il treno e diede a Kulik una pagina strappata da un calendario del 1910
pubblicato dalla Otto Kirchner di San Pietroburgo. Sul retro di questa pagina c‟era
questa nota:
Pare che, alle 8 del mattino verso la metà di giugno del 1908, un enorme meteorite sia caduto a
Tomsk, a molte sagene [1 sagena = 2314 metri] dalla ferrovia vicino al collegamento con
Filimonovo e a meno di 11 verste [1 versta = 1067 chilometri] da Kansk. La sua caduta fu
accompagnata da uno spaventoso boato e da un urto assordante, udito a più di 40 verste di distanza.
I passeggeri del treno, che in quel momento si avvicinava al collegamento, furono colpiti da un
rumore insolito. Il macchinista fermò il treno e i passeggeri si riversarono all‟esterno per esaminare
l‟oggetto caduto, ma non furono in grado di studiare il meteorite da vicino, poiché era rosso
incandescente. Più tardi, quando si fu raffreddato, diversi uomini della stazione e ingegneri della
ferrovia lo esaminarono e probabilmente ci scavarono attorno. Secondo costoro, il meteorite era
quasi interamente sepolto e solo la sua sommità fuoriusciva dal terreno. Era un blocco di pietra, di
colore biancastro e grande circa 6 sagene cubiche.
Kulik fu affascinato dalla storia, tanto affascinato che decise immediatamente di
svolgere ulteriori indagini. Nel corso degli anni la sua fascinazione sarebbe divenuta
un‟ossessione tale da assorbire il resto della sua attività professionale.
L‟Accademia delle Scienze aveva assegnato alla spedizione di Kulik una carrozza
sul treno della Transiberiana. Viaggiarono attraverso gli Urali fino alla Siberia, poi si
fermarono a Omsk, Tomsk e Krasnojarsk, e finalmente giunsero a Kansk. A Kansk,
Kulik cercò nei giornali siberiani pubblicati durante l‟estate del 1908, riferimenti alla
caduta di un meteorite. Scoprì subito che la nota del calendario era l‟incipit di un
articolo pubblicato il 12 luglio 1908 nel quotidiano «Sibirskaja Žizn‟» della regione di
Tomsk. L‟articolo si rivelò inesatto in quasi tutti i dettagli, eccetto che sulla fermata
del treno vicino Kansk.
Consultando i giornali dell‟epoca trovò molti articoli su un enorme meteorite
caduto la mattina del 30 giugno 1908. Preparò un questionario e lo pubblicò su un
quotidiano locale, distribuendone duemilacinquecento copie tra la gente del posto.
Come risultato, raccolse stupefacenti resoconti personali, ricchi e vividi nei dettagli,
da molte dozzine di testimoni oculari che ricordavano ancora l‟evento. Grazie a tali
informazioni, dipinse un fedele ritratto del meteorite, che chiamò “meteorite di
Filimonovo” (l‟espressione “meteorite di Tunguska” venne usata solo molti anni
dopo la prima spedizione del 1927).
Sebbene egli credesse fermamente che tra le 5 e le 8 del mattino del 30 giugno
1908 un meteorite gigante, spostandosi da sud a nord, fosse caduto nel bacino del
fiume Vanavara, un affluente del fiume Tunguska, non fu in grado di intraprendere
una ricerca. La spedizione aveva dato fondo alle sovvenzioni e le autorità
sollecitavano il rientro della carrozza del treno assegnata alla spedizione.
Tornando a Pietrogrado, Kulik sottopose all‟Accademia delle Scienze il suo
rapporto, nel quale affermava che il meteorite siberiano era un evento raro nella storia
su cui si doveva indagare. Il suo Rapporto sulla spedizione del Meteorite fu
pubblicato nel «Giornale dell‟Accademia sovietica delle Scienze». I membri
dell‟Accademia si dimostrarono tuttavia scettici sulla questione. Kulik però non era
solo nella ricerca.
A.V. Voznesenskij, che nel 1908 era direttore dell‟Osservatorio magnetico e
meteorologico di Irkutsk, pubblicò nell‟agosto 1925 un rapporto nella «Miroveden‟e»
in cui affermava che le onde sismiche e aeree registrate dall‟Osservatorio il 30 giugno
1908 erano state entrambe causate dalla caduta di un meteorite gigante. Suggerì che
le onde aeree fossero state determinate «dall‟esplosione del meteorite a un‟altezza di
circa 30 chilometri dalla superficie della Terra» e sottolineava, giustamente, che la
registrazione della caduta del meteorite rilevata dal sismografo dell‟Osservatorio era
stata anche la prima nella storia della scienza.
Voznesenskij ipotizzò anche che chi avesse fatto delle ricerche sul luogo della
caduta del meteorite siberiano avrebbe trovato qualcosa di molto simile al cratere del
meteorite in Arizona. «Gli indiani in Arizona conservano ancora la leggenda dei loro
antenati che videro un cocchio di fuoco cadere dal cielo e penetrare il suolo nel punto
in cui si trova il cratere; l‟attuale popolazione degli Evenki siberiani ha una leggenda
simile su una pietra infuocata.» Concludeva il suo rapporto con un‟idea intrigante: la
ricerca del meteorite avrebbe costituito un‟impresa molto redditizia, specie se si fosse
trattato di un meteorite ferroso.
Nello stesso numero di «Miroveden‟e», il geologo S.V. Obručev scrisse degli studi
da lui condotti nell‟estate del 1924 nella regione di Tunguska. Riportò anche storie di
un‟enorme calamità narratagli dagli indigeni del posto, i Tungusi (chiamati poi
Evenki dai sovietici, sono probabilmente i più antichi nativi siberiani viventi).
Obručev ipotizzò che la calamità fosse stata causata da un meteorite gigante. «Agli
occhi della popolazione tungusa, il meteorite è sacro ed essi celano attentamente il
luogo dov‟è caduto.» Era venuto però a sapere dell‟esistenza di una foresta appiattita
tre o quattro giorni di viaggio a nordest di Vanavara.
Nel 1926, I.M. Suslov, un etnografo, visitò la regione di Tunguska. Nel suo
articolo Alla ricerca del grande meteorite del 1908, su «Miroveden‟e» del marzo
1927, riportò alcuni dei sessanta racconti di testimoni oculari da lui raccolti nei quali
ricorrevano espressioni come «la foresta fu schiacciata», «i granai furono distrutti»,
«le renne uccise», «la gente rimase ferita», «la taiga fu appiattita» e così via. Suslov
visitò anche la tenda di Il‟a Potapovi – proprio lo stesso Evenki che Obručev aveva
intervistato nel 1924 e che avrebbe poi lavorato come guida nella spedizione di Kulik
del 1927 – il quale acconsentì alla richiesta di Suslov di disegnare una mappa
dell‟area della catastrofe. «Il‟a Potapovič disegnò la mappa con delle matite colorate e
un gruppo di tungusi apportò le correzioni» disse Suslov.
Gli articoli di Voznesenskij, Obručev e Suslov convinsero l‟Accademia che fosse
accaduto un evento di grande importanza e che le indagini dovessero proseguire. Il
mentore di Kulik, Vernadskij, sostenne la sua richiesta: «La spedizione proposta da
Kulik potrebbe rivelarsi di grande valore scientifico e i suoi risultati potrebbero
ripagare centinaia di volte il tempo e il denaro impiegativi» scrisse all‟Accademia.
L‟Accademia approvò la prima spedizione di Tunguska nel 1926.

La prima spedizione di Tunguska


All‟inizio del febbraio 1927 Kulik lasciò Leningrado (come fu chiamata San
Pietroburgo dal 1924) con un assistente di nome G.P. Gjulich. Viaggiando sul treno
della Transiberiana, il 12 febbraio raggiunse la lontana stazione di Tajset, circa 900
chilometri a sud del luogo dell‟esplosione di Tunguska. Dopo aver comprato cibo,
scorte e ogni altro equipaggiamento, Kulik e il suo assistente lasciarono Tajset su
slitte trainate da cavalli. Lottando contro frequenti tempeste di neve e rigide
temperature, impiegarono cinque giorni a raggiungere il piccolo villaggio di Ke žma,
circa 215 chilometri a sud del sito dell‟esplosione, dove si rifornirono di cibo e
provviste e partirono con tre carri il 22 marzo.
Nessuno ha descritto l‟inospitale Siberia meglio dello scrittore russo Anton
Cechov. Aveva trentanni quando, nel 1890, fece un incredibile viaggio
principalmente in carrozza e in barca, attraversando la Siberia fino all‟isola di
Sachalin, una colonia penale della Russia zarista. «Perché fa così freddo qui da voi, in
Siberia?» inizia con questa domanda al suo cocchiere il diario di Cechov della
spedizione, L’isola di Sachalin. «Perché è Dio che vuole così» risponde il cocchiere.
Viaggiò nelle aree relativamente più popolose della Siberia eppure Cechov
lamentava: «Le strade della Siberia hanno le loro piccole misere stazioni… spuntano
ogni venti o venticinque miglia. Viaggi di notte, vai avanti fino a quando non ti gira
la testa e ti senti male, ma continui a viaggiare e se ti azzardi a chiedere al conducente
a quante miglia è la prossima stazione, egli invariabilmente risponde “non meno di
dodici”».
Kulik non poteva permettersi il lusso di un conducente o l‟opportunità di
lamentarsi con qualcuno. Con il suo assistente viaggiava per la taiga più accidentata,
disseminata di greti, fossi, pantani, paludi e colline scoscese. Dovettero fare molte
deviazioni per evitare i fiumi, poiché era troppo pericoloso attraversare i sottili ponti
di legno. Si trovavano in una vasta e sinistra foresta primordiale in cui «i deboli e gli
imprudenti spesso muoiono», come la definì lo scrittore russo Jurij Semènov nel suo
libro La conquista della Siberia. Ciononostante, tre giorni dopo arrivarono a
Vanavara, il luogo civilizzato più a nord, una piccola stazione di scambio con poche
case e negozi, posta sull‟alta sponda destra della Tunguska Pietrosa.
Kulik aveva consegnato all‟ufficiale politico del Soviet una lettera di Suslov che
chiedeva di mettere Kulik in contatto con l‟Evenki Ila Potapovič. Con grande
dispiacere di Kulik, questi rifiutò di guidarlo nella “casa del dio tuono”, la terra sacra
e proibita. Per la popolazione Evenki il corpo infuocato era stato infatti
un‟apparizione di Ogdy, il dio del tuono, che aveva maledetto l‟area abbattendo gli
alberi e uccidendo gli animali. Nessuno osava avvicinarsi al sito per timore di essere
punito da Ogdy. La grande determinazione di Kulik ebbe infine la meglio sulla
riluttanza di Il‟a Pota-
povič grazie all‟offerta di due sacchi di farina, diversi rotoli di coperte e materiale
da costruzione per il tetto e il pavimento della sua casa.
Kulik era ansioso di riprendere il viaggio e il giorno dopo essere arrivato a
Vanavara ripartì con il suo assistente e la sua guida. I loro cavalli però erano stanchi
ed essendo sovraccarichi non riuscivano ad avanzare nella foresta innevata. Il gruppo
fu quindi costretto a ritornare a Vanavara e ad attendere un tempo migliore.
Ripartirono l‟8 aprile. Questa volta erano meglio preparati e i cavalli erano carichi
di cibo a sufficienza per resistere almeno un mese. Viaggiarono lungo la Tunguska
Pietrosa per circa 30 chilometri fino a quando raggiunsero il fiume Camba. Seguirono
poi il suo corso per una decina di chilometri e, prima che facesse notte, raggiunsero il
capanno dell‟Evenki Ochcen, il quale acconsentì a far loro da seconda guida.
Il mattino seguente caricarono tutte le scorte sulla mandria di dieci renne di
Ochcen e partirono lungo un sentiero che costeggiava il fiume Camba. Due giorni
dopo fecero una sosta. Il duro viaggio di cinque giorni riscuoteva il suo prezzo.
Esausto, malato di scorbuto e molto debilitato a causa di mesi di scarso cibo, Kulik
era però determinato a proseguire. Si aprirono un varco nella taiga vergine con le asce
e il 13 aprile attraversarono il fiume Makirta, dove trovarono l‟inizio di una massa di
alberi caduti, sradicati come da un‟esplosione. Da lontano poterono vedere la
montagna dai due picchi chiamata Šakrama dal popolo Evenki. Il 15 aprile Kulik
scalò la montagna e vide il sito dell‟esplosione stagliarsi all‟orizzonte davanti a lui.
«È qui che sono caduti il tuono e il fulmine» disse Il‟a Potapovič. «E qui bruciò il
granaio del mio parente Onkoul.» I resti del granaio furono poi scoperti nella terza
spedizione di Kulik.
Kulik vide una zona ovale larga 70 chilometri dove la foresta era stata appiattita.
Gli alberi erano spezzati e caduti in direzione opposta all‟esplosione. «I risultati di un
esame anche superficiale superarono tutte le storie dei testimoni oculari e le mie più
grandi aspettative» scrisse Kulik nel suo diario. «Si ha un senso di stordimento
quando si vedono tronchi spessi da 50 a 75 centimetri sparsi come ramoscelli e le loro
sommità scaraventate verso sud a molti metri di distanza.»
Kulik avrebbe voluto esplorare il centro dell‟area dell‟esplosione, che riteneva
trovarsi oltre le montagne innevate a nord della foresta completamente distrutta, ma
le sue guide erano estremamente superstiziose e rifiutarono di camminare attraverso
la taiga bruciata dal loro dio Ogdy. Non ebbe altra scelta che tornare a Vanavara.
Kulik era molto stanco, ma determinato a trovare il punto della caduta. Tornato a
Vanavara il 22 aprile, aveva ingaggiato gli abitanti del villaggio russo di Kežma e
pianificò un nuovo viaggio verso il luogo dell‟esplosione. La spedizione lasciò
Vanavara il 30 aprile. Dopo un viaggio di tre giorni in slitta giunsero di nuovo al
fiume Camba. Questa volta Kulik decise di costruire delle zattere e navigare
dapprima lungo il Camba e poi lungo il fiume Chusma, in piena a causa della neve
che si stava ormai sciogliendo. Dieci giorni dopo la spedizione raggiunse la foce del
fiume Curgima, un affluente del fiume Chusma. Il 20 maggio arrivarono finalmente
al confine della taiga devastata. Kulik decise di accamparsi lì.
Il giorno dopo, mentre seguiva la direzione degli alberi caduti per alcuni
chilometri, raggiunse un bacino fangoso tra i 5 e i 7 chilometri di diametro,
circondato da basse colline. Nelle loro leggende, gli Evenki si riferivano all‟area
come alla Palude del Sud, ma a Kulik essa ricordava un calderone gigante, così la
chiamò il Grande Calderone. Qui la devastazione era maggiore rispetto a quella che
aveva visto dal monte Šakrama. Decise di trasferire lì il suo accampamento. Nel
corso dei giorni successivi camminò intorno alle colline, vi salì sopra e calcolò la
direzione degli alberi caduti. Kulik era ora convinto di aver trovato l‟epicentro della
caduta. Scrisse più tardi: «Non può esserci alcun dubbio. Ho cerchiato il centro della
caduta. Con una scia infuocata di gas caldi e parti solide fredde il meteorite ha colpito
il Calderone, con le sue colline, la tundra e la palude».
Ovunque, per una distanza di più di 30 chilometri dal centro, c‟era una foresta di
“pali del telegrafo”: alberi morti ancora in piedi ma con i loro rami portati via. «La
taiga è stata praticamente distrutta e completamente appiattita. Gli alberi giacciono in
fila sul terreno, senza rami o corteccia, nella direzione opposta al centro della caduta.
Questa particolare forma “a ventaglio” di alberi caduti si vede molto bene da alcune
alture che formano l‟anello periferico degli alberi.»
Entro l‟area centrale dell‟impatto c‟era inoltre un anello di alberi dritti,
completamente privi di fogliame. Il fatto che fossero rimasti dritti mentre tutti gli altri
alberi al di fuori del cerchio erano stati schiacciati, pensò Kulik, segnava un‟area di
quiete in cui le onde aeree si erano compensate le une con le altre.
C‟erano poi i segni di un incendio; alcuni alberi erano carbonizzati, ma in modo
insolito: nell‟incendio di una foresta, gli alberi sono in genere bruciati sulla parte
bassa del loro tronco, questi erano invece bruciati uniformemente. Kulik pensò che
una grande ondata di aria calda fosse stata prodotta dalla trasformazione di energia
cinetica in calore quando il meteorite era precipitato sulla Terra e che avesse
abbattuto gli alberi privati della corteccia.
In alcune zone Kulik trovò anche una parte di foresta di circa vent‟anni: «Dal
nostro punto di osservazione nessun segno di foresta può essere visto, perché tutto è
stato devastato e bruciato, ma attorno ai confini di quest‟area morta, una giovane
foresta di vent‟anni è avanzata prepotentemente, cercando il sole e la vita».
Kulik notò anche delle alture gigantesche e tondeggianti (come onde nell‟acqua)
probabilmente formatesi quando il terreno solido si era spostato in seguito all‟impatto
del meteorite. L‟intera scena poteva essere paragonata all‟immagine di ciò che accade
quando un muro cade in una pozza di fango. Kulik si aspettava di trovare la prova di
un meteorite gigante nella parte centrale del bacino; l‟area invece era disseminata da
dozzine di buchi simili a “crateri lunari”. Questi buchi, a forma di imbuto, di un
diametro fra 10 a 50 metri di larghezza e fino ai quattro metri di profondità, avevano
bordi per lo più scoscesi e il fondo piatto e fangoso.
«Non posso dire quanto profondamente i meteoriti siano penetrati nella tundra e
nelle rocce» scrisse nel suo resoconto della spedizione. «Era impossibile per me
girare attorno all‟intera area… o fare degli scavi. Avevamo cibo ancora per tre o
quattro giorni, la strada era lunga e il nostro unico pensiero era ormai quello di
tornare a casa sani e salvi. Era un‟impresa nel vero senso della parola.»
Arrivò a Vanavara alla fine di giugno dopo nove giorni di viaggio. Seguirono altre
tre settimane su una zattera sulla Tunguska Pietrosa, fino al villaggio di Enisejsk, poi
un comodo viaggio in battello a vapore, fino a Krasnojarsk, quindi in treno fino a
Leningrado. Kulik stava già pensando alla spedizione successiva.
Nel suo rapporto all‟Accademia delle Scienze scrisse: «Questa immagine [dei
buchi a imbuto] corrisponde esattamente alle condizioni teoriche della caduta di uno
sciame di grossi frammenti di meteorite, il più grande dei quali doveva superare le
130 tonnellate. Con ogni probabilità questi frammenti erano di meteoriti ferrosi…
crateri giganti come quello in Arizona sono coperti di frammenti simili a quelli di un
meteorite ferroso». Concluse il suo resoconto precisando: «Dal momento che la
caduta è avvenuta sul territorio dell‟Unione Sovietica, siamo obbligati a studiarla».
Il 13 marzo 1928 l‟Accademia, “per dovere”, approvò la seconda spedizione con
l‟obiettivo di studiare il meteorite di Tunguska concordando con l‟esortazione di
Kulik: il significato della caduta di Tunguska «sarà pienamente apprezzato nel corso
della storia e sarà necessario catalogare tutte le restanti tracce di questa caduta per i
posteri». In ogni caso, l‟Accademia garantì fondi limitati, che bastarono soltanto a
fare una mappa dell‟area dell‟esplosione e un‟indagine magnetica dei fori. Kulik
avrebbe anche dovuto raccogliere frammenti per il Museo di mineralogia.
La prima spedizione di Kulik aveva attirato l‟attenzione della stampa occidentale.
In un dettagliato articolo su «Scientific American» intitolato II grande meteorite
siberiano: un resoconto del più significativo evento astronomico del Ventesimo
secolo del luglio 1928, Chas P. Olivier dell‟International Astronomical Association
scrisse: «Fortunatamente per l‟umanità, questa caduta meteoritica è avvenuta in una
regione disabitata… ma se un simile evento è accaduto in Siberia non c‟è ragione
perché non possa accadere negli Stati Uniti». Anche il «Literary Digest» del 30
giugno 1928 avvisava: «Se il caso avesse diretto questo enorme visitatore dello
spazio su una città o un luogo densamente popolato, il mondo avrebbe sperimentato
un disastro senza precedenti; un disastro, non bisogna dimenticare, che potrebbe
ancora accadere se giungesse un altro meteorite simile». Dopo quasi un secolo, questi
avvertimenti sulla fine del mondo rimangono “attuali”: semplicemente cambiate la
parola “meteorite” con “asteroide”.
La seconda spedizione di Tunguska
Nell‟aprile del 1928 Kulik lasciò Leningrado per la sua seconda spedizione nella
regione di Tunguska. Era accompagnato dal suo assistente V. Sytin, cacciatore e
zoologo. Kulik non aveva esperti di altre discipline scientifiche per studiare il sito
dell‟esplosione. A Vanavara fu raggiunto da un cineasta, N.A. Strukov, dello studio
Sovkino di Mosca.
I freddi primaverili ritardarono il progresso della spedizione e il gruppo, inclusi
cinque operai, raggiunse il sito dell‟esplosione alla fine di giugno. Kulik preparò
l‟accampamento e cominciò le sue ricerche. Ispezionò un‟area di 100 chilometri
quadrati e segnalò 150 crateri con dei paletti di legno. Provò anche a scavare nei
crateri, ma l‟acqua e il suolo fangoso lo resero impossibile. Non aveva pompe per
estrarre l‟acqua dai buchi. I suoi rudimentali strumenti magnetici non riuscirono a
individuare pezzi di metallo «più brillanti della lama di un coltello e simili al colore
di una moneta d‟argento» che alcuni Evenki riferivano di aver trovato nella foresta
devastata.
Dopo poche settimane Strukov partì, accompagnato da tre operai. Kulik continuò a
raccogliere campioni di torba e altro materiale botanico per un esame microscopico
una volta tornato a Leningrado. All‟inizio di agosto, Sytin e i due operai rimasti
incominciarono a dare segno di deficienze vitaminiche. Anche Kulik stava esaurendo
le proprie energie. Le prospettive di trovare un meteorite erano scarse e Kulik si trovò
ad affrontare un dilemma: sapeva che se fosse tornato indietro senza alcun risultato i
suoi oppositori all‟Accademia gli avrebbero negato i fondi per spedizioni future.
Escogitò allora una strategia: sarebbe rimasto indietro e avrebbe mandato i due operai
a Vanavara e Sytin a Mosca per convincere l‟Accademia ad approvare più fondi.
L‟arrivo di Sytin a Mosca coincise con il drammatico ritrovamento dell‟equipaggio
del dirigibile Italia, precipitato vicino al Polo Nord, da parte del rompighiaccio
Krasin. Quando i giornalisti di Mosca appresero da Sytin la storia di uno scienziato
russo che stava rischiando la propria vita nell‟inospitale Siberia per trovare un
misterioso visitatore dallo spazio e che il suo esausto e malato assistente era venuto a
Mosca per cercare fondi, trovarono un altro eccezionale racconto d‟avventura.
L‟Accademia delle Scienze si arrese di fronte all‟opinione pubblica. L‟erogazione
dei fondi fu immediatamente approvata per una spedizione di soccorso e per
continuare le indagini. Sytin tornò sul luogo dell‟esplosione accompagnato
dall‟etnografo Suslov e da un gruppo di giornalisti. Suslov non aveva mai visitato il
posto di cui aveva scritto in «Miroveden‟e». Kulik fu così felice di vederlo che
chiamò “Suslov” il cratere più grande e mise velocemente tutti al lavoro per farsi
aiutare nelle misurazioni magnetiche dei buchi. Cominciò con il cratere Suslov, largo
50 metri. Sperava di fare una scoperta alla presenza dei giornalisti, ma fu deluso
quando non trovò in esso alcuna traccia di metallo.
Alla fine di ottobre, la spedizione tornò a Vanavara. Quando giunse a Leningrado
alla fine di novembre, Kulik era divenuto un eroe nazionale. Non aveva bisogno di
alcun promotore per far circolare la storia del meteorite di Tunguska. Il breve filmato
di Strukov sulla spedizione, Alla ricerca del meteorite di Tunguska, fu anche di
grande aiuto nel promuovere la causa di Kulik.
La seconda spedizione di Kulik fu ampiamente riportata nei giornali inglesi e
americani. Il «Times» di Londra del 26 novembre 1928 riportava che il professor
Kulik «aveva raggiunto Krasnojarsk… essendosi sufficientemente ripreso dalle
difficoltà del suo viaggio». Il «New York Times» riferiva il 2 dicembre: «Pare che il
professor Leonid Kulik, geologo russo, stia ormai tornando a Leningrado dalla
Siberia nordorientale, dove una spedizione di soccorso l‟ha trovato due mesi fa dopo
che era stato dato per morto». Una frase dell‟articolo faceva anche riferimento ai
tesori sepolti nei crateri del meteorite: «I depositi di ferro meteoritico hanno un valore
di un milione di dollari». Il «Literary Digest» del 16 marzo 1929 pubblicò il
resoconto di un‟intervista a Kulik e Sytin, che si concludeva con il seguente
commento: «Il valore dei metalli nel giacimento siberiano è stimato dal signor Sitin
[sic] tra i cento e i duecento milioni di dollari, principalmente per il ferro e il
platino… Il principale oggetto delle ulteriori indagini sul sito… non sarà la scoperta
di qualsiasi materiale di valore che possa essere presente, ma l‟ottenimento di nuove
informazioni scientifiche su un evento quasi unico nella storia a noi nota». Le storie
dei buchi di Barringer nel cratere della Meteora erano probabilmente ancora nitide
nella mente della gente.
Kulik era un eccellente scrittore e oratore e rese i meteoriti popolari tra la
popolazione sovietica. Fece rabbrividire il suo pubblico moscovita quando, durante
una lettura, accompagnata dal film di Strukov, disse: «Perciò, se il meteorite fosse
caduto nel Belgio centrale, non sarebbe rimasta una sola creatura nell‟intero paese; se
fosse caduto su Londra, niente sarebbe sopravvissuto a sud di Manchester o a est di
Bristol. Se fosse caduto su New York, Filadelfia avrebbe potuto cavarsela solo con
qualche finestra rotta e anche New Haven e Boston si sarebbero salvate. Ma tutta la
vita nell‟area centrale dell‟impatto del meteorite sarebbe stata annientata all‟istante».
C‟erano anche dei critici. Alcuni geologi continuarono a esprimere i propri dubbi
sull‟origine meteoritica dell‟esplosione di Tunguska. Spiegavano i “crateri” di Kulik
come un effetto del permafrost e sottolineavano che simili buchi si rinvenivano
spesso in altre parti della Siberia. Ciò nonostante l‟Accademia delle Scienze approvò
la terza spedizione sotto la guida di Kulik.

La terza spedizione di Tunguska


La terza spedizione lasciò Leningrado nel febbraio del 1929 e vi fece ritorno
nell‟ottobre del 1930. Era un‟impresa molto più vasta, che comprendeva diversi
scienziati. Tra loro c‟era il giovane Krinov (che nella spedizione perse un alluce per
assideramento e sarebbe poi divenuto presidente del Comitato meteoriti
dell‟Accademia delle Scienze). La spedizione era ben equipaggiata: una carovana di
cinquanta carrozze, trainate da cavalli, trasportò – da Tajset, ultima stazione della
ferrovia Transiberiana, fino al sito di Tunguska – escavatrici, pompe idrauliche,
strumenti geologici, meteorologici e di indagine, macchine fotografiche, attrezzi da
campo e altre scorte.
Kulik era convinto che il cratere Suslov e una catena di crateri intorno a esso si
fossero formati in seguito alla caduta di grossi pezzi separatisi dal meteorite. Decise
di incominciare a scavare nel cratere Suslov. In un mese di duro lavoro, il suo gruppo
scavò all‟interno del cratere un fosso di 4 metri
ma non trovò alcun segno di impatto. Le pareti mostravano solo materiale non
segnato. Scoprirono comunque il tronco di un albero abbattuto sul fondo del buco, il
che suggeriva che il cratere fosse stato causato dall‟impatto di un pezzo di meteorite
infrantosi dopo aver colpito la Terra. «In effetti, era impossibile immaginare che il
tronco di un albero potesse presentarsi naturalmente così vicino al centro del buco
formatosi dalla caduta di un meteorite» notava Kulik.
Krinov, che aveva condotto un‟indagine indipendente sull‟area, concluse che
l‟epicentro della caduta non andava individuato sul confine settentrionale del bacino,
dov‟era il cratere Suslov, come credeva Kulik, e suggerì che l‟esatto punto
dell‟epicentro fosse la Palude del Sud, un‟area pochi chilometri più a sud. Il
suggerimento di Krinov fece arrabbiare Kulik, che lo escluse dai successivi lavori
della spedizione.
La convinzione di Kulik sull‟ipotesi del cratere di Suslov era granitica. I suoi
uomini continuarono a scavare durante i rigidi mesi invernali fino a raggiungere una
profondità di 34 metri e una larghezza di 4 nel terreno ghiacciato, ma non rinvennero
alcun materiale meteoritico. Kulik si esaltò quando un operaio trovò un pezzo di
vetro nel buco e concluse che si trattava di impattite, una roccia fusa in vetro a causa
dell‟impatto del meteorite. Il vetro tuttavia non risultò essere la prova schiacciante
che Kulik cercava: era un frammento di una bottiglia rottasi durante un incendio
divampato in una delle capanne la prima notte della spedizione. «Sfortunatamente
questo frammento era stato menzionato da Kulik in molti articoli come un
ritrovamento di silicio e anche oggi trae in inganno i ricercatori» avrebbe detto in
seguito Krinov.
Altri due buchi furono scavati prima che Kulik abbandonasse gli scavi il 1° marzo
1930. Alla fine concluse che il cratere di Suslov non era il cratere di un meteorite.
Kulik imparò nel modo più duro ciò che è ormai noto a tutti gli studenti di scienza dei
meteoriti: trovare un cratere di meteorite non è così semplice come trovare un fosso
nel terreno.
Sei mesi dopo, Kulik tornò a Leningrado «con i capelli grigi e la salute rovinata».
J.G. Crowther, un giornalista scientifico inglese che intervistò Kulik dopo la terza
spedizione, scrisse su «Scientific American» nel maggio 1931: «La spedizione ha
segnato profondamente il professor Kulik. È un uomo alto, incanutito e abbronzato,
dalle sembianze scozzesi, magro e un po‟ stanco. Forse un po‟ di riposo lo farebbe
riprendere velocemente».
Kulik non tornò a Tunguska per nove anni, ma non smise di lavorare al progetto. Si
scusò con Krinov e gli chiese di continuare a lavorare con lui. Come Krinov, egli
credeva ormai che il centro dell‟esplosione fosse la Palude del Sud.
La soluzione dell’enigma
Nel 1938 fu intrapresa un‟indagine fotografica aerea della regione di Tunguska.
Sebbene la ricerca fosse incompleta, mostrava la singolare natura radiale degli alberi
caduti. Mostrava anche che la Palude del Sud era effettivamente il centro di qualche
grande catastrofe.
Nel luglio del 1939 un “rinnovato” Kulik tornò di nuovo a Tunguska per esaminare
la Palude del Sud. Il suo gruppo cominciò a scavare in molti punti della palude e gli
scavi mostrarono diversi canali sulla superficie della palude stessa,che lo scienziato
interpretò come crateri sotterranei. Questa idea fu più tardi respinta da alcuni geologi
che affermarono che quella era la naturale caratteristica delle paludi nella zona.
Comunque, l‟Accademia delle Scienze si congratulò con Kulik per la sua «grande
tenacia e il suo entusiasmo, che hanno recentemente condotto a un concreto progresso
nella nostra conoscenza della materia» e approvò una quinta spedizione nel 1940 per
svolgere una ricercai magnetica sulla Palude del Sud. La spedizione, però, non ebbe
luogo a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale.
Nel luglio del 1941, quando i nazisti invasero la Russia, Kulik si unì alla milizia
moscovita, un‟unità militare composta di volontari. A ottobre, mentre partecipava a
una battaglia, fu ferito a una gamba e catturato dall‟esercito tedesco. Fu tenuto come
prigioniero di guerra nella città di Spas-Demensk, circa 300 chilometri a sud di
Mosca, e lavorò come infermiere nell‟ospedale da campo; lì contrasse il tifo e morì il
14 aprile 1942 a cinquantotto anni. Fu sepolto nel cimitero locale. Nel 1960
l‟Accademia delle Scienze pose una semplice lapide sulla sua tomba. È ancora lì e
l‟iscrizione recita semplicemente: «Kulik Leonid Alekseevič 1883-1942».
Il “Kulik”, un cratere di 58 metri di diametro sulla Luna, l‟asteroide “2794 Kulik”
e una strada di Vanavara a lui dedicata perpetuano la memoria del primo ricercatore
di Tunguska, nonché fondatore della scienza dei meteoriti in Russia.
La prima spedizione dopo la guerra fu nel 1958. Nel 1963 le ricerche presero
nuova forza sotto la guida di Nikolaj Vasilev (1930-2001) dell‟Accademia delle
Scienze, il quale coordinò la ricerca scientifica di ventinove indagini. Solo nel 1989
scienziati stranieri furono ufficialmente invitati a unirsi alle indagini russe.
Attualmente il governo russo ha dichiarato 4000 chilometri quadrati della regione di
Tunguska riserva nazionale. Il sito dell‟esplosione di Tunguska resta tuttavia
inaccessibile. La stazione più vicina della Transiberiana è Krasnojarsk, 600
chilometri a nord di Vanavara. Questa piccolissima stazione di scambio è ora
divenuta una cittadina di quattromila abitanti. Il luogo dell‟esplosione dista da
Vanavara circa 70 chilometri, ma può essere raggiunto solo in elicottero o scalando la
montagna.
Perché Kulik non riuscì a rinvenire alcun frammento di meteorite o cratere di
impatto nella Palude del Sud o nel Grande Calderone? Secondo Krinov, un‟attenta
indagine nel Calderone «non dà le basi per concludere che sia il luogo dov‟è caduto il
meteorite». Quattro osservazioni indicano però che il Calderone è il luogo
dell‟esplosione: a) l‟assenza di altri posti nella regione di Tunguska che possano
attirare l‟attenzione come possibili luoghi della caduta; b) l‟indicazione del Calderone
da parte degli Evenki come sede della caduta; c) il fatto che il Calderone sia
l‟epicentro dell‟onda sismica; d) la devastazione radiale della foresta attorno al
Calderone. «C‟è solo una possibile spiegazione che elimina la contraddizione, e cioè
che il meteorite non sia esploso sulla superficie del suolo ma nell‟aria, a una certa
altezza dal Calderone.» Tale spiegazione di Krinov non ha risolto l‟enigma della
grande esplosione siberiana. La controversia e le possibili ipotesi sulla palla di fuoco
di Tunguska continuano ai giorni nostri.
Igor‟ Zotkin, un esperto di meteoriti russo, ebbe modo di notare: «Dubito che ci sia
qualche recente scoperta che non sia stata chiamata in causa per spiegare l‟enigma di
Tunguska». Oggi le numerose ipotesi scientifiche includono una cometa, un
minuscolo buco nero, un asteroide, una roccia di antimateria o un asteroide di materia
specchio e un‟esplosione di gas metano dal basso. Negli X-files abbiamo
un‟astronave aliena, un raggio laser sparato dagli extraterrestri nel tentativo di
comunicare con gli abitanti della Terra e l‟esperimento di un “raggio letale” sfuggito
di mano.

IlI

La storia di una cometa infuocata


Intorno al 1880, H.H. Warner, un ricco americano conosciuto come il re dei
farmaci brevettati, mise in palio un premio di 200 dollari per qualunque americano o
canadese che scoprisse una cometa. Il premio motivò Edward Emerson Barnard, un
giovane astronomo amatoriale privo dell‟istruzione adeguata, a scoprire otto comete
nel giro di sei anni. Vinse abbastanza soldi da costruirsi una casa. «Ciò serva a
dimostrare il grosso errore di quegli uomini di scienza che ritengono che le comete
siano una questione fumosa. Dopotutto qui c‟è una casa, ancorché piccola, costruita
interamente grazie a loro. È vero, ci sono volute molte comete di dimensioni rilevanti
per farla, ma comunque è stata fatta» affermò.
Le scoperte di Barnard gli procurarono anche una borsa di studio alla Vanderbilt
University. Nel 1887, trentenne e laureato, si unì al Lick Observatory dell‟Università
della California a Santa Cruz (nel suo curriculum aveva elencato tutte le sue scoperte
– 10 comete e 23 nebulae – e le sue buone abitudini: «Sono assolutamente mite, non
fumo né mastico tabacco, né bevo drink tossici»). Barnard, “l‟uomo famoso per non
dormire mai”, era noto anche come un instancabile osservatore dei cieli quando
divenne oggetto di un‟elaborata bufala.
L‟8 marzo 1891, aprendo il «San Francisco Examiner», Barnard fu stupito e
inorridito nel leggere una storia che descriveva la sua «invenzione di una macchina
per indagare i cieli e immortalare le comete sulla lastra fotografica»:
SCOPRE LE COMETE DA SOLO
LA METEORA ENTRA NEL CAMPO, L‟ELETTRICITÀ FA IL RESTO
Una meravigliosa invenzione scientifica che eliminerà le noiose ore di osservazione degli
astronomi. L‟idea si basa sullo spettro luminoso delle comete. È come sparare alle stelle cadenti con
un telescopio.
Il lungo e fantasioso titolo era seguito da una storia ugualmente lunga e scherzosa
che riempiva due intere colonne del giornale e includeva tre dettagliate illustrazioni:
una fotografia del ricercatore di comete, il diagramma di un obiettivo a prisma e un
circuito elettrico. La storia conteneva anche diverse ipotetiche citazioni di Barnard,
descritto come un «rinomato giovane astronomo»: «Quando la cometa è catturata,
come in una trappola… un campanello d‟allarme suona nella mia camera giù al
cottage…. Naturalmente il segnale mi richiama velocemente sul tetto
(dell‟osservatorio)… una semplice occhiata è sufficiente a rivelare la posizione della
nuova cometa».
Barnard inviò immediatamente aspre lettere di smentita a tutti i giornali di San
Francisco, ma fu completamente ignorato. In qualche modo i giornalisti erano stati
convinti a non far caso a lui qualora avesse disconosciuto la propria invenzione. Per
due anni, fino a quando l‟«Examiner» si scusò in un editoriale dopo la sua scoperta
della quinta luna di Giove, Barnard continuò a ricevere lettere da tutto il mondo.
Anche il famoso astronomo Lewis Swift scrisse di aver letto l‟articolo «relativo
all‟invenzione per la ricerca delle comete mentre si dorme o si usa il telescopio o
gioca a poker…. Sebbene l‟articolo sembrasse alquanto scherzoso, sono incline a
pensare che si tratti di un‟altra meravigliosa invenzione del XIX secolo».
Barnard non scoprì mai l‟identità dell‟ideatore della bufala, comunque sospettò
uno dei suoi colleghi. Morì nel 1923 lasciando – nell‟osservazione di pianeti, satelliti,
comete, stelle doppie, nebulose brillanti e oscure e ammassi globulari – un‟incredibile
eredità che l‟ha reso uno dei più grandi osservatori di tutti i tempi.

La cometa di Carolyn
Barnard aveva vent'anni quando scoprì la sua prima cometa nel 1881; Carolyn
Shoemaker ne aveva cinquantaquattro quando scoprì la sua, nel 1983. Sebbene non
abbia incassato un premio in denaro di 200 dollari per ciascuna cometa scoperta,
vanta ormai 32 comete che portano il suo nome, più di ogni altro astronomo, vivente
o no (Jean-Louis Pons, un astronomo amatoriale del XIX secolo, scoprì 37 comete,
ma soltanto 26 portano il suo nome).
Dopo aver passato venticinque anni come casalinga e madre di tre figli, nel 1980
Carolyn si unì al celebre marito, Eugene Shoemaker, nella ricerca di comete e
asteroidi. Quest‟ultimo, geologo, è considerato il padre della geologia planetaria degli
impatti e ben 29 comete portano il suo nome; morì in un incidente d‟auto nel 1997
mentre cercava dei crateri di impatto in Australia.
Carolyn ha condiviso la sua più famosa scoperta di una cometa con il marito e con
David Levy (un astronomo amatoriale che ha dato il nome a 21 comete, 13 delle quali
scoperte con i coniugi Shoemaker). Il 25 marzo 1993 Carolyn stava osservando,
come sempre, i filmati del cielo registrati la notte precedente da Eugene e David con
il telescopio Schmidt da 18 pollici del Palomar Observatory in California. A
differenza del principale telescopio dell‟osservatorio (un Hale da 200 pollici, adatto
per scandagliare le profondità spaziali), il vecchio Schmidt era un telescopio ideale
per osservare un‟ampia porzione del cielo.
Non esisteva alcun “ricercatore di comete automatico” che potesse aiutare Carolyn.
Passò lunghe ore nella camera oscura, esaminando coppie di rullini della stessa area
del cielo con uno stereomicroscopio. Le foto erano state scattate con 45 minuti di
differenza. Dal momento che una cometa si muove attraverso il cielo in 45 minuti,
nel secondo rullino sarebbe risultata essere in una posizione differente. Lo
stereomicroscopio consentì a Carolyn di osservare due rullini simultaneamente: uno
con l‟occhio sinistro e l‟altro con quello destro. Quando viene osservata in questo
modo, una cometa sembra “galleggiare” sulla superficie piatta delle stelle fisse. Ma
non è così semplice: uno strato di polvere, un satellite o un bagliore di luce nel
telescopio possono rendere la caccia alla cometa un‟attività lenta e faticosa (Levy lo
considera uno “sport agonistico”).
Mentre stava muovendo lentamente il rullino attraverso lo stereomicroscopio, vide
una macchia che sembrava “una cometa schiacciata”. Quando Eugene e David la
guardarono, ne furono sorpresi. Era la cosa più strana che ognuno di loro avesse mai
visto durante gli anni di caccia alle comete trascorsi insieme. Avevano scoperto la
cometa del secolo.
Seguendo la tradizione, la cometa prese il nome dei suoi scopritori: cometa
periodica Shoemaker-Levy 9 1993e (era la nona cometa scoperta unitamente dagli
Shoemaker e da Levy ed era la quinta scoperta nel 1993, da cui la “e”).
Quando altri astronomi puntarono i propri telescopi su questa curiosa scoperta,
notarono che Shoemaker-Levy 9 – o, in breve, S-L 9 – era in realtà una stringa di 21
frammenti di comete disposti in una scia lunga quasi 200.000 chilometri. La S-L 9
aveva due insolite caratteristiche: innanzitutto era costituita da ventuno nuclei
separati come perle su una collana (nessuna cometa mai osservata era divisa in così
tanti frammenti: molte comete si rompono avvicinandosi al Sole, ma solitamente si
rompono in due o tre frammenti). In secondo luogo, le comete orbitano normalmente
intorno al Sole: S-L 9 orbitava invece intorno a Giove.
Gli astronomi calcolarono che S-L 9 si sarebbe inevitabilmente schiantata su Giove
nel luglio del 1994, ma Carolyn Shoemaker non era abituata a perdere le sue comete:
«Se devo perdere una cometa, allora voglio che faccia i fuochi d‟artificio» sperava. E
ciò fu esattamente quello che accadde: S-L 9 si estinse con degli straordinari giochi
pirotecnici cosmici, che Carolyn guardò da una distanza di sicurezza di miliardi di
chilometri.

Per Giove, è stato un grande spettacolo


Nel luglio del 1994, il telescopio spaziale Hubble, che orbitava 600 chilometri al di
sopra della Terra, e centinaia di migliaia di telescopi intorno al mondo erano puntati
su Giove per osservare l‟evento celeste del secolo. Mai nella storia qualcuno aveva
assistito alla cataclismica collisione di due mondi: lo schianto di una cometa su un
pianeta.
Pochi giorni prima dell‟urto, gli osservatori notarono una scia di 21 frammenti di
cometa per una lunghezza che superava i 5 milioni di chilometri, più di dodici volte
la distanza tra la Terra e la Luna. Il 16 luglio 1994, il primo pezzo largo un
chilometro – il più piccolo della serie – si schiantò su Giove. Nel corso dei successivi
sei giorni altri venti pezzi colpirono il pianeta gigante.
Precipitando nelle nubi visibili di Giove, ciascun pezzo della S-L 9 viaggiava a una
velocità di 200.000 chilometri orari. Quando il pezzo entrava nell‟atmosfera più
densa, si appiattiva e poi si disintegrava, rilasciando energia pari all‟esplosione di un
milione di megatoni (l‟energia delle esplosioni si misura in chilotoni o megatoni: un
chilotone equivale a mille tonnellate e un megatone a un milione di tonnellate di
tritolo altamente esplosivo). Presi tutti insieme, i 21 frammenti rilasciarono circa 40
milioni di megatoni di energia esplosiva. Confrontate questa energia con la bomba
atomica di Hiroshima: l‟esplosione di 15 chilotoni uccise 140.000 persone, ne ferì
centinaia di migliaia e distrusse 70.000 palazzi. La più grande bomba all‟idrogeno
mai fatta esplodere fu una bomba sovietica che liberò energia pari a 58 megatoni, nel
1961. Un‟esplosione da 40 milioni di megatoni va oltre ogni immaginazione.
L‟esplosione immise nell‟atmosfera sbuffi di gas e detriti che al loro massimo
toccarono i 2200 chilometri sopra le nuvole. Dopo pochi minuti i pennacchi
precipitarono di nuovo nell‟atmosfera. I pennacchi che precipitavano e l‟atmosfera
sottostante diventarono incandescenti e cominciarono a rilasciare grandi palle di
fuoco di raggi infrarossi. Il punto dell‟impatto divenne una cicatrice nera, larga
migliaia di chilometri, che venne chiamata dagli astronomi “occhio nero”.
Questo spaventoso scenario si ripeté venti volte, in media ogni sette ore. La
“collana di perle” era stata ridotta a una catena di cicatrici roventi che cingevano il
pianeta. Alcuni frammenti avevano causato degli urti più violenti di altri. Il più
grande dei frammenti, un corpo solido di 3 chilometri di larghezza, lasciò un “occhio
nero” di detriti grande quanto la Terra. Alcuni “occhi neri” impiegarono diversi mesi
per scomparire dalla superficie di Giove.
Il diametro di Giove è sette volte quello della Terra: un pezzo di S-L 9 era grande
solo un chilometro. Se avesse colpito la Terra avrebbe creato un cratere largo 60
chilometri. Se un frammento così piccolo causò un simile danno, cosa sarebbe
accaduto se una grande cometa avesse colpito la Terra?

Fu una cometa a colpire la Terra nel 1908?


La palla di fuoco di Tunguska non era un meteorite ma una cometa gassosa che
non ha lasciato traccia di sé dopo l‟impatto. Questo è ciò che due astronomi
conclusero, indipendentemente l‟uno dall‟altro, nel 1934. Francis John Welsh
Whipple, capo del Kew Observatory di Londra, sostenne che il fatto che le
osservazioni registrate del fenomeno, come le notti luminose e le onde aeree, erano
confinate nel Nordeuropa, gli aveva suggerito che «la meteora fosse una piccola
cometa e che la sua coda fosse stata catturata dall‟atmosfera». Comunque, si affrettò
ad ammettere: «Non sono così sicuro della mia ipotesi».
Igor‟ S. Astapovič dell‟Università statale di Leningrado,
estese l‟idea suggerita dall‟accademico Vladimir Vernadskij, il mentore di Kulik,
che il meteorite di Tunguska fosse piuttosto una densa nube di polvere cosmica,
probabilmente associata con una cometa. I fenomeni luminosi dell‟atmosfera
potevano essere stati causati dalla coda polverosa del nucleo di una piccola cometa,
che viaggiava verso la Terra e che sarebbe esplosa con una grandissima energia.
«L‟esplosione diede vita a onde sismiche e aeree, mentre le onde esplosive ad alta
temperatura determinarono l‟uniforme bruciatura nei primi pochi chilometri.»
Calcolò anche che l‟energia dell‟esplosione fosse tra 1 e 2 megatoni, circa cento volte
di più che nel calcolo di Whipple (le stime attuali variano tra i 10 e i 20 megatoni).
Nel 1942 William H. Christie del Mount Wilson Observatory in California,
analizzò tutti i dati disponibili sull‟esplosione di Tunguska e concluse che erano
compatibili con l‟azione di una cometa: «Ritengo che i bagliori notturni eliminino
ogni dubbio sulla natura dell‟oggetto che colpì la Terra. Deve essersi trattato di una
piccola cometa… e la coda, o parte di essa, catturata dalla Terra, formò i bagliori.
L‟orario di Greenwich al momento della collisione segnava la mezzanotte appena
passata, quindi nessun bagliore fu visto molto più a ovest di Greenwich perché questo
emisfero si sarebbe trovato lontano dalla cometa». L‟esplosione siberiana sembra
essere l‟unico caso registrato della collisione della Terra con una cometa, aggiunse.
«Quanto ancora dobbiamo aspettare per un altro visitatore simile non possiamo
saperlo, ma speriamo che esso scelga di nuovo una regione scarsamente abitata del
globo come sua destinazione finale.»
A quel tempo gli scienziati sapevano assai poco della struttura dei nuclei delle
comete. Credevano che esse fossero formate da una o più rocce pietrose di grandi
dimensioni oppure di tante piccole particelle come un “sacco di sabbia”. La
grandezza dei nuclei era anche sovrastimata e ritenuta di diverse centinaia di
chilometri. L‟ipotesi della cometa di Astapovič e Whipple si rivelò essere discutibile
quanto quella del meteorite di Kulik e fu subito scartata dagli
scienziati. Fu reintrodotta alla fine degli anni Cinquanta, quando l‟astronomo
americano Fred Whipple propose per le comete il modello della “palla di neve
sporca”.
Una cometa è un singolare fenomeno cosmico: appare improvvisamente nel cielo,
splende per alcuni giorni, stupisce gli abitanti della Terra e sparisce. Lo spettacolo di
una cometa mette soggezione e ha sempre affascinato la gente. La sua irregolare
apparizione nel cielo, la variazione di dimensione, forma e lucentezza, la strana coda,
la sua improvvisa scomparsa erano misteri che gli antichi non erano in grado di
risolvere. Per loro le comete erano presagi di disastri. Secondo Omero una cometa
(dalla parola greca kome, “chioma”) era una stella rossa che dalla sua chioma
fiammeggiante spargeva malattie, pestilenze e guerre. Nel Giulio Cesare di
Shakespeare, Calpurnia, moglie di Cesare, dopo aver visto una cometa lo mette in
guardia: «Quando muoiono i mendicanti non si vedono comete; i cieli stessi
proclamano invece col furore la morte dei principi». Le comete non sono più
considerate portatrici di disgrazie ma sono ancora oggetto di studio per gli astronomi.
Ancor oggi, gli astronomi sanno poco delle comete e non possono prevedere
quando passerà la prossima. Le comete sono pezzi di materia derivanti dalla nascita
del sistema solare 4600 milioni di anni fa. Ci sono tra 2 e 5 migliaia di miliardi di
comete che circolano nel sistema solare in una sorta di nube – la nube Oort – tra le
20.000 e le 100.000 unità astronomiche di distanza dal Sole (un‟unità astronomica è
la distanza tra la Terra e il Sole, circa 150 milioni di chilometri). Nella nube Oort, le
comete non sono ammassate: quelle vicine tra loro sono comunque distanti decine di
milioni di chilometri. La nube Oort, a volte chiamata Siberia delle comete a causa
delle sue rigide temperature (intorno ai -270 gradi Celsius), prende il nome
dall‟astronomo Jan H. Oort, che nel 1950 suggerì l‟esistenza di una riserva di comete
orbitante intorno al sistema solare.
Nello stesso periodo, Gerard P. Kuiper dell‟Università di
Chicago ipotizzò che esistesse un‟altra riserva di comete,
ora nota come cintura di Kuiper. La cintura di Kuiper si estende tra 35 e diverse
centinaia di unità astronomiche dal Sole, al di là dell‟orbita di Nettuno e contiene, in
una fredda riserva polverosa, qualcosa come 200.000 milioni di comete che attendono
di solcare i cieli e seminare il terrore negli animi dei terrestri.
Circa una dozzina di stelle passa entro le 200.000 unità astronomiche dal Sole ogni
milione di anni. Talvolta queste stelle vaganti spingono una cometa fuori dalla sua
orbita, mandandola dentro il sistema solare. Questa può attraversare il sistema solare
una volta e non tornarci mai, oppure collocarsi dentro un‟orbita e tornarvi
regolarmente, come la cometa di Halley. Le comete che impiegano venti o più anni
per orbitare intorno al Sole, inclusa quella di Halley, provengono dalla nube di Oort;
le comete con periodi orbitali più brevi cominciano il loro viaggio verso il Sole
partendo dalla cintura di Kuiper. Le orbite di alcune comete hanno periodi che
superano il milione di anni.

Palle di ghiaccio e polvere


Le comete sono relitti fossili ghiacciati di quando il Sole era agli inizi della sua
esistenza. Studiandole gli astronomi possono scoprire come sono nati il Sole e i
pianeti. All‟inizio degli anni Cinquanta, Fred Whipple e altri astronomi riuscirono a
fornire un‟idea della struttura delle comete. Una cometa tipica consta di tre parti: una
parte centrale ghiacciata detta nucleo, una nuvola disordinata che circonda il nucleo,
chiamata chioma (o testa), e una coda fatta di gas e polvere. Il nucleo, di solito largo
solo qualche chilometro, è una “palla di neve sporca” fatta di granelli di acqua
ghiacciata, composti di acqua, metano, etano, biossido di carbonio, ammoniaca e
molti altri gas. Nel 1986 l‟astronave Giotto dell‟Agenzia spaziale europea, dimostrò
che il modello di Whipple era piuttosto accurato, quando scattò delle foto del nucleo
della cometa di Halley da una distanza ravvicinata (480 chilometri): il nucleo di una
cometa ricorda una grossa palla di neve coperta con una crosta di materiale scuro ed
emette spruzzi di ghiaccio vaporizzato.
Quando la cometa si avvicina al Sole, i gas evaporano a causa del calore e formano
la chioma, che diffonde la luce del Sole. Il vento solare, una spruzzata di particelle
caricate dal Sole, soffia il proprio materiale nella coda, che raggiunge la lunghezza
tipica di 10 milioni di chilometri e in alcuni casi molte volte questa lunghezza. La
coda è sempre lontana dal Sole. Le comete divengono visibili solo quando sono
vicine al Sole, a una distanza che è tra due e tre volte quella della Terra dal Sole.
Ecco perché gli astronomi non possono sapere quando verrà la prossima.
Whipple, chiamato anche “dottor Cometa”, non solo coniò la suggestiva
espressione “palla di neve sporca”, ma ebbe un‟idea ugualmente evocativa: una
cometa è come un aereo. Come i gas riscaldati emessi dal motore di un aereo, i gas
che evaporano dal nucleo esercitano una forza sul nucleo stesso. Questa forza dà alla
cometa la sua energia autonoma. «Quando realizzai per la prima volta l‟azione delle
comete» disse Whipple alla rivista «Time» nel 1985, «ragazzi, fu eccitante!»
La cometa più famosa è quella di Halley. Deve il suo nome all‟astronomo
britannico del XVIII secolo Edmond Halley, che per primo calcolò il suo periodo e
predisse con successo il suo ritorno nel 1758. Viaggia lungo un‟orbita gigante che
dura circa 76 anni. È stata avvistata l‟ultima volta nel 1986 ed è attesa nuovamente
per il 2061. È una lunga attesa, ma non si sa mai: una notte potremmo essere
abbastanza fortunati da vedere una luminosa cometa passare nel cielo trascinando una
magnifica coda. Illuminerebbe tutto nel cielo. Quando la cometa di Halley passò nel
1910, la Terra attraversò la sua coda senza alcun effetto. La questione sarebbe stata
ben diversa se fosse stata la testa di una cometa a colpire la Terra.
Le comete viaggiano a una velocità superiore ai 160.000 chilometri orari. Se una
cometa larga un paio di chilometri colpisse la Terra a una simile velocità, lascerebbe
un buco
grande quanto una grossa città, spargendo così tanta polvere nell‟atmosfera da
oscurare il Sole per mesi. Se colpisse un oceano, provocherebbe un‟onda alta fino a
un chilometro che viaggiando alla velocità di diverse centinaia di chilometri orari
sommergerebbe molte regioni. Ma la minaccia peggiore sarebbe il fuoco: il fuoco
causato dai detriti gettati nell‟atmosfera se la testa della cometa esplodesse prima di
toccare la Terra. Foreste e città in fiamme immetterebbero fuliggine in un‟atmosfera
già inquinata. Poi verrebbe la pioggia acida, una pioggia di gas tossici e metalli. La
maggior parte delle piante e degli animali morirebbe, seguita dalle creature marine
che vivono vicino alla superficie, ponendo quasi fine alla vita sul pianeta.

È stata una cometa


Torniamo a Tunguska. Gli spaventosi scenari di una cometa che colpisce la Terra
sono ipotetici, ma la devastata taiga siberiana è una realtà. L‟Accademia delle
Scienze era determinata a trovare una risposta e nel 1954 inviò Kirill P. Florenskij, un
geochimico, a indagare sul sito di Tunguska. Utilizzando un moderno
equipaggiamento cartografico, Florenskij con un‟indagine aerea della regione disegnò
una nuova mappa più accurata. Nel 1957 il mineralologo russo A.A. Javnel‟ analizzò
al microscopio campioni di suolo raccolti da Kulik tra il 1929 e il 1939. In alcuni
campioni individuò globuli di magnetite tra i 30 e i 60 micrometri di grandezza. I
campioni presentavano anche una piccola percentuale di nichel e tracce di cobalto. I
risultati suggerirono che un meteorite ferroso fosse precipitato a Tunguska.
Questi risultati spinsero l‟Accademia a organizzare una nuova spedizione.
Nell‟estate del 1958 Florenskij capeggiò la quinta spedizione, la prima dopo la
Seconda guerra mondiale. Il principale obiettivo non era quello di cercare frammenti
visibili di meteoriti, ma di raccogliere micrometeoriti dal suolo. La spedizione non
riuscì a confermare l‟esistenza dei globuli di magnetite e nichel rintracciati da
Javnel‟. Si scoprì poi che i campioni di Kulik erano stati contaminati da parti del
meteorite ferroso caduto nelle montagne di Sichote-Alin, in Siberia, il 12 febbraio
1947. I campioni di suolo di questo meteorite ferroso – che distrusse un‟area di più di
un chilometro quadrato e creò molti crateri, il più grande dei quali di 26,5 metri di
diametro e 6 di profondità – erano stati immagazzinati con i campioni di Kulik. Nel
suo rapporto all‟Accademia, Florenskij respinse l‟ipotesi di Kulik che l‟esplosione
avesse avuto luogo al suolo e suggerì che si fosse verificata nell‟aria a una certa
altezza.
Florenskij guidò un‟altra spedizione a Tunguska nel 1961-62, per analizzare in
dettaglio lo schema della devastazione della foresta e stabilire la traiettoria della palla
di fuoco. Comunque, nel 1960, Florenskij si era convinto che Tunguska fosse stata
appiattita da una cometa. «Molti dati stanno a favore dell‟ipotesi che il corpo
collidente fosse una cometa: l‟insolita struttura poco compatta, disgregatasi
nell‟atmosfera; la coda polverosa, che puntava nella direzione opposta a quella del
Sole e che causò strani tramonti in quasi tutta Europa; la natura dell‟orbita e la
mancanza di grossi frammenti» scrisse nella rivista «Sky & Telescope». Individuò
con esattezza il punto dell‟esplosione a un‟altezza di 5 chilometri a sudest del centro
di distruzione del suolo e suggerì che l‟urto con la Terra non fosse stato frontale e che
la cometa non avesse seguito direttamente la Terra, ma l‟avesse colpita fortemente su
un lato.
Spiegò l‟esplosione nell‟atmosfera terrestre affermando che l‟improvvisa fermata
di un corpo che si muove a 18.000 chilometri orari rilascia abbastanza calore da
vaporizzarlo istantaneamente. Se il corpo è scarsamente compatto e contiene materia
volatile come gas o ghiaccio, la decelerazione nell‟aria può causare una
vaporizzazione esplosiva senza che il corpo colpisca la Terra.
Florenskij stabilì che dopo l‟esplosione la foresta di Tunguska era bruciata per
almeno cinque giorni. Il 30 giugno soffiava un debole vento da sudest tra i 7,2 e i 18
chilometri orari ma il fuoco era stato preceduto da una fase secca e si era diffuso
perciò velocemente attraverso le chiome degli alberi estinguendosi poi a causa delle
condizioni sfavorevoli del clima. «I rami che prima della catastrofe non erano più
spessi di una penna stilografica conservano ancora i segni dell‟evento. I danni sono
evidenti sulla porzione superiore dei rami, rendendo perciò impossibile associarli a
normali incendi. La gravità di questi danni diminuisce significativamente con
l‟aumentare della distanza dall‟epicentro.» Calcolò che l‟energia richiesta per
produrre i danni rilevati andava dalle 5 alle 15 calorie per centimetro quadrato.
Questo valore non poteva essere molto più elevato, dal momento che ciò avrebbe
condotto a decise bruciature della corteccia, il che non si era verificato. Studi delle
esplosioni nucleari hanno dimostrato che un‟esplosione da 10 megatoni produrrebbe
delle bruciature simili a quelle degli abeti, pini e aceri della foresta di Tunguska.
All‟inizio degli anni Sessanta, Vasilij Fesenkov del Comitato meteoriti
dell‟Accademia delle Scienze sviluppò la teoria della cometa. Offrì varie ragioni a
sostegno della sua convinzione, che possono essere così riassunte:
1. I crateri rinvenuti da Kulik sono considerati luoghi della caduta dei frammenti
del meteorite ma, nonostante le estese ricerche, non è stato trovato alcun frammento
di un grosso meteorite. È più facile vedere un iceberg esplodere nel nulla che non un
meteorite di roccia. Molti globuli di magnetite e silicati (dai 5 ai 450 micrometri di
diametro) trovati nell‟area erano «evidentemente di origine secondaria». Si erano
probabilmente formati nell‟atmosfera grazie a una rapida condensazione di gocce di
moltenio quando andarono verso il suolo. L‟altezza dell‟esplosione della cometa –
dai 5 ai 6 chilometri sopra la superficie terrestre – è stata ben stabilita dalle
misurazioni delle onde d‟urto ricevute dagli osservatori di Irkutsk (Siberia) e Potsdam
(Germania) e dalle sei stazioni meteorologiche in Inghilterra.
2. In base alle prove, questo oggetto si muoveva intorno al Sole in una direzione
inversa – si muoveva da sud a nord in un periodo in cui la Terra si stava muovendo
generalmente da nord a sud – cosa impossibile per i tipici meteoriti. Inoltre i meteoriti
raramente colpiscono la Terra di mattina, perché il lato mattutino è quello più avanti
nell‟orbita di un pianeta. Di solito il meteorite colpisce la Terra sul lato notturno. Le
comete, invece, hanno una vasta gamma di orbite e velocità e potrebbero anche
collidere con la Terra sul versante mattutino, colpendola con la testa a una velocità di
circa 145.000 chilometri orari. Il bagliore del Sole impedì che la cometa fosse
avvistata prima di colpire la Terra, poiché la sua direzione e l‟angolo dell‟impatto
verso la Terra partivano da dietro il Sole.
3. La più probabile spiegazione per i bagliori notturni osservati nelle isole
britanniche, in Europa e nella Russia occidentale potrebbe allora essere trovata nel
dissolvimento della coda polverosa di una piccola cometa nell‟atmosfera, che avrebbe
fortemente accresciuto la lucentezza notturna dei cieli. Le particelle di polvere che
causarono i bagliori notturni erano a un‟altezza di diverse centinaia di chilometri
sulla superficie terrestre e non si comportarono come piogge meteoritiche.
4. Una decisa diminuzione nella trasparenza dell‟aria, registrata due settimane
dopo l‟esplosione, fu causata dalla perdita di milioni di tonnellate di polvere dalla
cometa durante il suo volo attraverso l‟atmosfera.
Fesenkov riferì al «New York Times» del 20 novembre 1960 che i recenti studi
suggerivano che l‟esplosione aveva avuto luogo almeno in tre punti dell‟area. In uno
degli studi sovietici era stato utilizzato un modello sperimentale per simulare la
foresta ed erano state provocate delle esplosioni. Questi esperimenti avevano
suggerito che la testa della cometa, di “piccole” dimensioni, fosse composta di
polvere e gas congelati in una o più nubi estremamente dense, di diversi chilometri di
diametro. «Si pensa che il peso fosse maggiore di un milione di tonnellate. Quando
colpì l‟atmosfera, l‟esplosione risultante fu comparabile come forza a quella di una
pari quantità di tritolo.» È interessante notare che la stima di Fesenkov dell‟energia
dell‟esplosione – 1 megatone – era simile a quella fatta da Astapovič nel 1933.
Un ulteriore supporto alla teoria della cometa venne nel 1975 da Ari Ben-
Menahem, uno scienziato israeliano, che analizzò nuovamente i vecchi grafici sismici
dell‟esplosione di Tunguska e li confrontò con una serie di esplosioni aeree in
occasione di test nucleari nel sito sovietico di Novaja Zemlja. Concluse che
l‟esplosione era avvenuta 8,5 chilometri al di sopra del suolo e aveva un‟energia di
12,5 megatoni.
Un anno dopo, David Hughes, un astronomo britannico, calcolò che il nucleo della
cometa avesse un diametro di circa 40 metri, molto inferiore a quello stimato per le
comete visuali. Il piccolo diametro spiegava perché la cometa non fosse stata
avvistata mentre si avvicinava in rotta di collisione verso la Terra. «Un nucleo di
queste dimensioni colpirà la Terra ogni duemila anni, la rarità dell‟evento dà
un‟ampia giustificazione per visitare di nuovo Tunguska» disse.
In un ulteriore studio, Hughes e il collega John Brown notarono che, sebbene la
temperatura prodotta dalla combustione della cometa nell‟atmosfera fosse stata di
pochi milioni di gradi, troppo bassa per una reazione nucleare, era stata abbastanza
alta da suscitare effetti di tipo nucleare, quali la produzione di raggi gamma e
particelle cariche altamente accelerate. Anche se il corpo celeste caduto su Tunguska
aveva provocato effetti nucleari, questo non significava che non si trattasse di una
cometa.
«L‟esplosione di Tunguska è stata causata dall‟impatto di una piccola cometa e…
non è necessario invocare qualcosa di più esotico» concludevano Hughes e Brown.
Dopo una più recente analisi degli insoliti bagliori notturni, Vitalij Bronsten del
Comitato meteoriti dell‟Accademia delle Scienze concluse che «la causa del bagliore
fu il diffondersi della luce del Sole attraverso la polvere che costituiva l‟involucro
della cometa di Tunguska». Bronsten, uno dei maggiori sostenitori contemporanei
della teoria della cometa, calcolò il volume di densità della polvere espulsa dal nucleo
di una cometa come quella di Halley a distanza di diverse migliaia di chilometri e –
dopo il suo trasferimento al campo gravitazionale occidentale terrestre, tenendo in
considerazione la decelerazione causata dall‟atmosfera – dimostrò che la maggiore
quantità di polvere avrebbe raggiunto le isole britanniche in sei ore. Le particelle più
piccole avrebbero potuto coprire grandi distanze ma non potevano produrre una
notevole diffusione di luce. Questa fu la ragione per cui l‟area dei bagliori ebbe un
confine occidentale, essendo questi limitati alle isole britanniche, all‟Europa e alla
Russia occidentale.
Se l‟oggetto di Tunguska era davvero una cometa, doveva trattarsi di una cometa
nota agli astronomi. Nel 1978 l‟astronomo slovacco Lubar Krésak suggerì che a
Tunguska fosse esploso un pezzo della cometa Encke. Basava quest‟idea sul fatto che
la palla di fuoco era esplosa al culmine di una delle più intense piogge di meteore
annuali alla fine di giugno, a lungo ritenute un effetto di questa cometa. La cometa di
Encke prende il nome dal matematico che aveva indagato la sua orbita. L‟astronomo
tedesco Johann Encke era nato cinque anni dopo la scoperta della cometa nel 1786,
ma nel 1822 dimostrò che essa aveva un periodo di tre anni e quattro mesi, il più
breve conosciuto.

Ma si trattava davvero di una cometa?


Nel 1975 Fred Whipple mise in discussione il fatto che una cometa avesse potuto
colpire Tunguska. Calcolò che se prendiamo la massa di una cometa da un milione di
tonnellate, come suggerito da Fesenkov, la probabilità che una simile cometa colpisca
la Terra ogni cento anni sarebbe circa 1 su 20.000. «Sembra perciò improbabile che
l‟esplosione di Tunguska sia stata causata da una vera cometa attiva, grande cento
metri… più probabilmente, l‟oggetto di Tunguska era un corpo inattivo, friabile, a
bassa densità… non ci sono motivi per pensare che fosse interstellare.»
Anche molti scienziati contemporanei respingono l‟idea di una cometa. «Le
comete sono leggere a confronto degli asteroidi e bruciano velocemente
nell‟atmosfera» scrive Richard Stone nella rivista «Discover». «Perché una di esse
producesse un‟esplosione grande quanto quella di Tunguska, avrebbe dovuto essere
in partenza un oggetto da un milione di tonnellate. La vasta ondata di gas e polvere
lasciata da un oggetto simile durante la sua caduta avrebbe potuto oscurare il Sole o
alterare il clima.» Zdenèk Sekanina, un esperto di comete al Jet Propulsion
Laboratory concorda: «L‟effetto sulla vita della Terra sarebbe stato orrendo. Sarebbe
stata una catastrofe planetaria, paragonabile all‟inverno nucleare. Gli effetti sul
genere umano sarebbero stati così devastanti che non potremmo ora discutere
dell‟argomento, perché non saremmo qui». Noi stiamo discutendo dell‟argomento,
quindi la palla di fuoco di Tunguska non era una cometa, come volevasi dimostrare.
Sebbene la probabilità che oggetti di così bassa densità collidano con la Terra è
effettivamente piuttosto remota, c‟è ancora una speranza per la teoria della cometa e
viene da Down Under. Presumendo una velocità di 108.000 chilometri orari (come
ritengono gli scienziati australiani Duncan Steel e Richard Ferguson) sette ore prima
dell‟impatto l‟oggetto di Tunguska si sarebbe trovato a 756.000 chilometri dalla
Terra. Le comete attive producono code che si allungano a milioni di chilometri di
distanza dal Sole, così è possibile che possa esserci stato un incontro tra la Terra e la
coda della cometa. Questo incontro avrebbe potuto provocare un‟aurora nelle ore
precedenti l‟impatto. Ma qualcuno ha visto un‟aurora sette ore prima dell‟esplosione
di Tunguska?
Duncan Steel era un‟autorità in Svezia nel 1989 in materia di minacce di asteroidi,
comete e meteore, quando gli scienziati russi Nikolaj Vasilev e G. Andreev fecero
circolare un breve rapporto sulla ricerca sovietica a Tunguska. Fu sollecitato dal
seguente paragrafo del rapporto:
Una particolare questione a riguardo potrebbe essere la ricerca delle registrazioni originali nel
diario di Mouson che aveva osservato le aurore vicino al vulcano Erebus in Antartide durante
l‟estate del 1908. Nel resoconto di Shackleton ci sono riferimenti al fatto che, il 30 giugno, Mouson
registrò un‟aurora che aveva considerato anomala dal punto di vista visivo. Sfortunatamente, gli
appunti di Shackleton non contengono ulteriori dettagli.
Steel intuì subito che “Mouson” era in realtà Mawson (il cui nome era stato
traslitterato dai caratteri latini al cirillico e viceversa) e che con “estate del 1908” si
doveva intendere l‟inverno antartico del 1908. Per pura coincidenza a quel tempo
Steel si trovava all‟Università di Adelaide, dove i quaderni di Mawson della
spedizione antartica del 1907-1909 guidata da Ernest Shackleton sono conservati
nell‟Istituto Mawson per la ricerca antartica. Douglas Mawson era un giovane
geologo della spedizione e teneva un diario delle osservazioni. Steel e Ferguson
fecero estese ricerche sui diari di Mawson e su tutte le altre carte della spedizione, ma
non riuscirono a trovare un qualunque riferimento all‟aurora australe al tempo
dell‟esplosione di Tunguska; trovarono però l‟indicazione di un‟aurora eccezionale
sette ore prima dell‟esplosione. Quest‟aurora era stata causata dalla palla di fuoco di
Tunguska? Se sì, allora la palla di fuoco era una vera e propria cometa.

IV

Pericolo asteroidi
Un tempo definiti “noiosi insetti dei cieli”, gli asteroidi sono oggi attrazioni stellari
per gli astronomi di tutto il mondo. Tale attenzione è degna del nome che portano, dal
greco “simile a una stella”, ma ha a che fare più con il loro incredibile numero e
potere che con la loro bellezza cosmica. Queste rocce simili ad arachidi giganti,
segnate da cicatrici, sono in effetti “avanzi” della formazione dei pianeti.
I tre asteroidi più grandi sono Cerere, Pallade e Vesta con diametri rispettivamente
di 930, 520 e 500 chilometri. Circa 200 asteroidi hanno un diametro maggiore di 100
chilometri, 800 maggiore di 30 chilometri, quasi un milione di un chilometro o poco
più, miliardi di asteroidi hanno le dimensioni di una roccia o di un sassolino. Molti
asteroidi orbitano in un ampio anello a forma di ciambella tra Marte e Giove,
conosciuto come la loro principale cintura.
Talvolta una collisione può far sbalzare l‟asteroide fuori dalla cintura, mandandolo
su una traiettoria pericolosa perché incrocia l‟orbita della Terra; l‟asteroide viene
detto in tal caso “incrociatore terrestre”: una consapevolezza che spaventa gli
astronomi. Cosa accadrebbe se uno di essi si avvicinasse troppo alla Terra? Quale
cataclisma potrebbe causare questa roccia vagante se si schiantasse sulla Terra? Il
numero di asteroidi è molto alto e lo spazio che essi occupano è davvero enorme. Gli
asteroidi distano tra loro milioni di chilometri, non come si vede nelle immagini delle
astronavi di Star Trek o Guerre stellari, che devono farsi spazio tra le pietre volanti.
Tuttavia delle collisioni sono possibili con una navicella spaziale o con l‟astronave
Terra.
Si pensa che ci siano circa milleottocento “incrociatori terrestri” in prossimità della
Terra, larghi un chilometro o più. Al momento ne sono stati scoperti circa
cinquecento, ma gli astronomi sperano di identificarli quasi tutti entro la fine di
questo decennio. Il più grande attualmente conosciuto è Ganimede 1036, con una
larghezza di circa 41 chilometri. Può esserci quasi un milione di asteroidi grandi 50
metri o più, vicino alla Terra. Le possibilità che queste rocce colpiscano il nostro
pianeta sono remote, ma anche uno degli asteroidi più piccoli sarebbe in grado di
distruggere una grande città.
Niente panico: nessuno di essi è ancora in rotta di collisione. Il 14 giugno 2002 un
asteroide delle dimensioni di un campo di calcio giunse a 120.000 chilometri dalla
Terra. Era uno dei più grandi asteroidi in decenni a giungere così vicino: anche se
120.000 chilometri possono sembrare tantissima strada, per gli astronomi si tratta di
un capello (e per noi di qualcosa che i capelli li fa rizzare). L‟asteroide errante fu
scoperto tre giorni dopo aver sfiorato la Terra a una velocità di 38.000 chilometri
orari. Se l‟avesse colpita, avrebbe causato un‟esplosione simile a quella di Tunguska.
È possibile che un simile impatto abbia avuto luogo il 30 giugno 1908?

Il dito accusatore
Dopo aver meticolosamente ripassato cinque decadi di ricerca sulla palla di fuoco
di Tunguska, nel 1983 Zdenèk Sekanina mise insieme alcune analisi dell‟orbita,
dell‟entrata nell‟atmosfera e dell‟esplosione del corpo interstellare. Escluse il
sospetto di una cometa e puntò il dito accusatore su un asteroide largo tra i 90 e i 190
metri. L‟asteroide sarebbe venuto da una direzione vicina ai 110 gradi a est e a un
angolo di circa 5 gradi sopra l‟orizzonte, e sarebbe esploso a quasi 8 chilometri dal
suolo. La sua velocità quando entrò nell‟atmosfera era di 108 chilometri orari.
Nel suo saggio sull‟«Astronomical Journal», Sekanina sottolineò che l‟elemento
della devastazione della foresta, nell‟area della caduta della palla di fuoco di
Tunguska, non lasciava dubbi che essa fosse esplosa a mezz‟aria, per poi disintegrarsi
completamente nell‟atmosfera. Le prove includevano l‟assenza di crateri di impatto
e/o detriti rilevanti nella zona della caduta, una simmetria radiale quasi perfetta
dell‟area di alberi appiattiti, entro 15 chilometri dal suo centro, e la presenza di
tronchi spogli ed eretti (i “pali del telegrafo di Kulik”) al centro esatto della
devastazione radiale.
Dal momento che le prove puntavano a un‟unica enorme esplosione, Sekanina
concluse che la palla di fuoco non si fosse spezzata in frammenti mentre era in volo.
Se si fossero verificate delle rotture, la sequenza di esplosioni risultante avrebbe
diminuito l‟enorme potenza dell‟esplosione finale.
L‟esplosione rilasciò quasi istantaneamente un‟energia pari a 12 megatoni. I
testimoni oculari videro questa energia, che era sufficiente a spazzar via l‟attuale
Londra o Tokyo, sotto forma di una palla di fuoco 40 volte più luminosa del Sole di
mezzogiorno. «Questa conclusione è supportata dai resoconti di un‟abbagliante
ondata di luce nel cielo, descritta nei racconti dei testimoni oculari dei luoghi vicino
al centro dell‟esplosione» disse Sekanina.
La palla di fuoco sparse un milione di tonnellate di piccole particelle
nell‟atmosfera terrestre in meno di un decimo di secondo. I venti, aiutati
dall‟espansione d‟urto, dispersero la polvere nella stratosfera, il che causò i cieli
luminosi di cui si diceva.
Sekanina respinse l‟idea che la palla di fuoco di Tunguska fosse una cometa. A
causa dell‟alta velocità a cui l‟oggetto viaggiava al suo ingresso nell‟atmosfera,
resistette a una pressione dell‟aria molto alta prima di esplodere. È inconcepibile che
una cometa, nota per la sua estrema fragilità, potesse essere sopravvissuta a una
pressione così elevata. La palla di fuoco, perciò, doveva essere stata causata da un
oggetto sassoso più denso per superare il suo viaggio nel cielo siberiano. Era
probabilmente un piccolo membro degli asteroidi di Apollo, che sono forse nuclei di
comete privi delle componenti volatili.
I detrattori della teoria degli asteroidi sostengono che l‟analisi di Sekanina era
principalmente basata sui racconti dei testimoni oculari, molti dei quali raccolti
almeno due decenni dopo l‟evento, e sulle registrazioni sismiche. «Non potete
costruire un modello sofisticato partendo da dati scarsi» disse alla rivista «Sky &
Telescope» l‟esperto in meteore Richard McCrosky. «Tutto quello che egli assume
deve essere vero perché le sue conclusioni siano esatte.»
Nello stesso anno lo scienziato americano Richard Turco suggerì che le notti
luminose potessero essere state causate da nuvole nottilucenti (ovvero nuvole
argentate ad altitudini elevate che splendono di notte). Il 30 giugno 1908 il vento
soffiava nella giusta direzione perché le polveri associate alla palla di fuoco
raggiungessero l‟Europa occidentale. La polvere si sarebbe poi stabilizzata
nell‟atmosfera a un‟altitudine di circa 80 chilometri e sarebbe rimasta lì per diversi
giorni. Queste particelle di polvere e di vapore acqueo, depositate dalla palla di
fuoco, avrebbero contribuito ad accrescere la nuvolosità. Un asteroide sarebbe stato
troppo secco per fornire l‟acqua necessaria per simili nuvole. L‟analisi di Turco
favoriva l‟ipotesi che l‟oggetto di Tunguska fosse il nucleo di una cometa ghiacciata.
Più recentemente, Vitalij Bronsten respinse la teoria dell‟asteroide poiché
l‟analogia con l‟esplosione nucleare suggeriva che, anche con una deflagrazione
molto forte, un asteroide si sarebbe dovuto rompere in frammenti di varie dimensioni,
che non potevano essersi completamente vaporizzati per l‟intenso calore o cadendo
sulla Terra. Alcuni di essi avrebbero dovuto sopravvivere ma, nonostante le attente
ricerche, non ne è stato trovato alcuno.
Bronsten riteneva inoltre che le nuvole nottilucenti – le quali, ammise, erano state
viste – non avrebbero mai potuto raggiungere una lucentezza tale da generare delle
notti luminose.

Un asteroide “camuffato” da pianeta


Tutti i giochi mnemonici che si imparano a scuola per elencare (in ordine di
distanza dal Sole) i nove pianeti del sistema solare, potrebbero presto non dover tener
conto di Plutone.1 Plutone non è roccioso come Mercurio, Venere, la Terra e Marte, e
neppure gigantesco come Giove, Saturno, Urano e Nettuno. È una palla di ghiaccio
relativamente piccola: ha un diametro di 2274 chilometri, minore di quello della luna.
Anche la sua orbita è piuttosto particolare: mentre i pianeti più esterni ruotano intorno
al Sole seguendo orbite grossolanamente circolari, quella di Plutone è ellittica, il che
alle volte lo porta più vicino al Sole di Nettuno. Da anni alcuni astronomi sostengono
che Plutone non è un pianeta, bensì il più grande oggetto nella cintura di Giove,
l‟avamposto di asteroidi di ghiaccio oltre l‟orbita di Nettuno.
L‟esistenza di una simile cintura fu suggerita per la prima volta negli anni
Cinquanta ma il primo oggetto della cintura di Giove, chiamato 1992 QB1, fu
rinvenuto nel 1992. Il piccolo corpo ghiacciato, nelle dimensioni simile a un
asteroide, suggerì che potesse esserci ben altro, oltre Plutone, nelle zone remote del
sistema solare. Da allora centinaia di oggetti simili a QB1 sono stati scoperti nella
cintura di Kuiper. Il loro diametro va dai 50 ai 1200 chilometri e, sebbene si tratti di
oggetti più piccoli di Plutone, si pensa che essi siano simili a Plutone nella
composizione.
Pare che la cintura di Kuiper contenga circa centomila oggetti più larghi di 100
chilometri. Questo sciame di oggetti simili a Plutone rafforza la tesi di alcuni
astronomi che Plutone sia in realtà un‟enorme palla di ghiaccio. Anche coloro che
ritengono Plutone un pianeta concordano sul fatto che, se fosse stato scoperto oggi,
non sarebbe definito tale.
La scoperta nel 2004 dell‟oggetto più distante del sistema solare, simile a un
pianeta, ha reso il dibattito su Plutone più interessante. Chiamato Sedna, come la dea
Inuit dell‟oceano, il nuovo oggetto è grande tre quarti di Plutone e proviene dalla
cintura di Kuiper. La scoperta accenderà ora il dibattito se Plutone sia il più piccolo
dei pianeti o il più grande oggetto della cintura di Kuiper. Questo dibattito ha un
precedente storico: più di due secoli fa, quando Cerere fu scoperto, fu definito
anch‟esso un pianeta.

Il “pianeta” di Piazzi
La scoperta fu rivoluzionaria: «Ho il diritto di nominarla nel modo che più mi
aggrada, come se fosse qualcosa di mio. Userò sempre il nome Cerere Ferdinandea,
dandole un altro nome dovrei sopportare le accuse di ingratitudine verso la Sicilia e il
suo re».
Poco dopo il crepuscolo del 1° gennaio 1801, Giuseppe Piazzi, monaco e direttore
del nuovo Osservatorio astronomico di Palermo, costruito sopra una torre del XII
secolo nel palazzo dei Normanni, puntò il suo telescopio di ottone lucente verso la
costellazione del Toro e osservò un oggetto poco familiare, sbiadito, simile a una
stella. Le osservazioni e i calcoli successivi dimostrarono che si trattava del “pianeta
mancante” tra Marte e Giove. Lo chiamò Cerere Ferdinandea – Cerere come la dea
protettrice della Sicilia e Ferdinandea come il suo sovrano, Ferdinando re di Napoli e
di Sicilia.
La scoperta suscitò molto clamore in Europa. La scottante questione era: come si
dovrà chiamare il nuovo pianeta? Napoleone ne discusse anche con il famoso
astronomo e matematico francese Pierre-Simon de Laplace. Alcuni astronomi
francesi suggerirono “Piazzi”, mentre i tedeschi propendevano per “Giunone” o
“Hera”. Ma Piazzi ritenne di avere già il nome adatto.
La storia della scoperta di Piazzi comincia nel 1772, quando Johann Titius,
professore a Wittenberg in Germania, scoprì una forte relazione numerica tra le
distanze dei pianeti dal Sole. Evidenziò che i numeri della serie 0 – 3 – 6 -12 – 24 –
28 – 96, sommati a 4 e divisi per 10, producevano la serie 0,4 – 0,7 – 1 – 1,6 – 2,8 –
5,2 – 10. Se la distanza della Terra dal Sole è convenzionalmente quella di un‟unità
astronomica (circa 150 milioni di chilometri), con questi numeri può essere calcolata
la distanza dei sei pianeti al tempo conosciuti, eccetto per la posizione di 2,8. Titius
suggerì che questo vuoto corrispondesse a satelliti di Marte ancora sconosciuti.
Nello stesso anno, l‟astronomo tedesco Johann Bode prese la sequenza di Titius e
la citò, senza alcun ringraziamento, in un suo libro di astronomia nel quale suggerì un
nuovo pianeta per il numero 2,8. La regola è oggi nota come Legge di Bode. Sebbene
egli abbia svolto anche altre ricerche astronomiche è oggi ricordato per aver diffuso
una relazione numerica che non fu lui a scoprire.
Quando lo stimato astronomo anglotedesco William Herschel scoprì il pianeta
Urano nel 1781, la legge di Bode fu confermata (continuando la serie di Titius,
raddoppiando il 96 di Saturno, cioè 192, che sommato a 4 e diviso per 10 dà 19,6,
molto vicino a 19,2, la distanza di Urano dal Sole in unità astronomiche). Gli
astronomi furono allora fortemente convinti che dovesse essere scoperto un altro
pianeta tra Marte e Giove.
L‟astronomo ungherese Franz von Zach credeva così tanto nel “pianeta
scomparso” che cercò di calcolarne l‟orbita usando le leggi di Keplero, ma gli
mancava un elemento che avrebbe potuto rivelarne la posizione: la longitudine. Nel
1785 scrisse a Bode: «Sto avendo lo stesso successo degli alchimisti nella loro ricerca
dell‟oro, essi avevano tutto, tranne il fattore vitale. Perciò credo di essere in possesso
di tutti gli elementi dell‟orbita di questo pianeta ancora sconosciuto, eccetto uno;
questo solo mi suscita interesse, e sebbene sia un vagare che non conduce all‟oro, ci
si imbatte talvolta in un processo chimico».
Nel 1787 von Zach intraprese una ricerca in solitaria del pianeta, ma senza
successo. «Non è un compito per uno o due astronomi setacciare l‟intero Zodiaco»
scrisse su «Monadiche Correspondenz», la prima rivista astronomica del mondo da
lui fondata. La caccia al pianeta scomparso cominciò davvero quando, nel 1800, von
Zach organizzò un gruppo di ventiquattro astronomi che chiamò “la polizia celeste”.
Divisero l‟intero Zodiaco in altrettante zone e ciascuno di loro era responsabile della
mappatura stellare della propria zona.
«Attraverso uno scrutinio del cielo così rigorosamente organizzato speravamo alla
fine di riuscire a individuare questo pianeta, che era così a lungo sfuggito al nostro
sguardo, supponendo che esistesse e che potesse essere visto» scrisse von Zach su
«Monadiche Correspondenz». Tuttavia, prima che tale “scrutinio” potesse partire,
notizie sorprendenti giunsero da Palermo.
Giuseppe Piazzi, un monaco teatino, entrato nell‟ordine nel 1764, a diciotto anni,
aveva dapprima studiato filosofia per poi dedicarsi alla matematica e all‟astronomia.
Nel 1780 fu chiamato alla cattedra di matematica superiore a Palermo. Lì ottenne
subito delle sovvenzioni per un osservatorio e si recò in Inghilterra nel 1788 per
dotarlo degli strumenti adatti. Diede l‟incarico a Jesse Ramsden, il più grande
costruttore di apparecchiature astronomiche, di costruirgli un cerchio verticale di un
metro e mezzo, dal design unico, per consentirgli di misurare le altezze e gli azimut
delle stelle con microscopi micrometrici. Mentre era in Inghilterra conobbe Herschel
ed ebbe il grande “privilegio” di cadere dall‟alta scala di legno a pioli del grande
telescopio riflettente rompendosi un braccio.
Una volta che il cerchio altazimutale di Ramsden, il capolavoro della tecnologia
del XVIII secolo, fu installato a Palermo nel 1791, Piazzi cominciò il suo faticoso
lavoro di catalogazione delle stelle. Nel 1803 pubblicò il suo primo catalogo,
contenente 6784 stelle, e nel 1814 il secondo, che ne conteneva 7646. Il miglior
successo di Piazzi però non riguardò affatto le stelle. Fu invece la scoperta del
“pianeta mancante”.
Il dono del nuovo secolo
Il 1° gennaio 1801, la prima notte del nuovo secolo, Piazzi osservò uno
sconosciuto punto luminoso nel cielo. Pensò che l‟oggetto potesse essere una nuova
stella. Nelle tre notti successive lo osservò di nuovo, e notò che aveva cambiato la sua
posizione con la stessa velocità dei giorni precedenti. Piazzi era ormai sicuro che non
si trattasse di una stella fissa. Pensando che potesse trattarsi di una cometa, continuò a
seguirla fino all‟11 febbraio, quando un malore interruppe il suo lavoro. Comunque,
il 24 gennaio aveva annunciato la sua scoperta a Bode, all‟astronomo francese Joseph
Lalande e al suo amico Barnaba Oriani, direttore dell‟Osservatorio di Brera a Milano.
Confidò solo a Oriani che poteva trattarsi di un nuovo pianeta: «Ho annunciato che
questa stella potrebbe essere una cometa, ma dato che non è accompagnata da alcuna
nebulosità e che il suo movimento è così lento e piuttosto uniforme, mi è venuto più
volte in mente che possa trattarsi di qualcosa di più di una cometa. Ma sono stato
attento a non avanzare questa supposizione in pubblico».
Oriani rispose: «Mi congratulo con te per la splendida scoperta di questa nuova
stella. Non credo che altri l‟abbiano notata e, data la sua piccolezza, è improbabile
che molti astronomi la noteranno». Bode pensò che la scoperta di Piazzi realizzava
meravigliosamente la sua profezia dell‟esistenza di un pianeta tra Marte e Giove. Von
Zach si esaltò e riferì la notizia su «Monadiche Correspondenz», con il titolo Dopo
lunghe supposizioni, probabilmente scoperto un nuovo importante pianeta del nostro
sistema solare tra Marte e Giove.
Ma Bode e von Zach non poterono verificare la scoperta. Lo stato dei servizi
postali a quei tempi era tale che Bode ricevette la lettera di Piazzi solo il 20 marzo.
Per quella data il pianeta aveva cessato il suo moto a ritroso e aveva cominciato ad
avanzare, giungendo così vicino al Sole da non poter essere visto. Tutti attesero con
ansia il suo emergere dall‟altro lato del Sole in luglio. A luglio Herschel fu il primo a
cercarlo, ma, come molti altri astronomi, continuò per mesi la ricerca: il pianeta era di
nuovo mancante.
Ci volle il genio del matematico tedesco Karl Friedrich Gauss per ritrovare il
pianeta perduto di Piazzi. Gauss, allora ventiquattrenne e all‟inizio di una brillante
carriera che lo portò al livello di Archimede e Newton, calcolò l‟orbita del pianeta in
base alle poche osservazioni di Piazzi. Il calcolo di Gauss sulla posizione del pianeta
era così preciso che il 31 dicembre 1801, a poche ore di distanza, von Zach e
Heinrich Olbers, un medico tedesco, astronomo amatoriale, ritrovarono,
indipendentemente tra loro, il pianeta scomparso.
Piazzi gli diede il nome di Cerere Ferdinandea, che fu subito abbreviato in Cerere.
Re Ferdinando avrebbe voluto coniare una moneta d‟oro con l‟effigie di Piazzi, ma
l‟astronomo richiese il privilegio di usare il denaro per comprare un indispensabile
telescopio equatoriale per il suo osservatorio.
La scoperta di Cerere pose un problema agli astronomi. Le osservazioni di
Herschel dimostravano che si trattava di un pianeta inusuale, troppo piccolo per
mostrare un disco planetario. La questione fu risolta quando, il 28 marzo 1802,
Olbers scoprì un “altro Cerere”, un corpo orbitante anch‟esso nello spazio tra Marte e
Giove, che Olbers denominò Pallade. La scoperta lasciò molto perplessi.
Olbers scrisse a Herschel: «Può darsi che Cerere e Pallade siano semplicemente un
paio di frammenti o pezzi di un pianeta una volta di dimensioni maggiori, che
occupava lo spazio tra Marte e Giove ed era grande pressappoco quanto gli altri
pianeti e che forse milioni di anni fa, per l‟impatto di una cometa o a causa di
un‟esplosione interna, scoppiò in pezzi».
A un mese dalla scoperta di Pallade, Gauss calcolò la sua distanza media dal Sole,
quasi uguale a quella di Cerere. Notò anche che Cerere e Pallade avevano molte
caratteristiche che li rendevano dei pianeti abbastanza singolari. Bode non era ancora
convinto che la sua legge (che aveva senza troppe cerimonie sottratto a Titius) non
fosse vera. Scrisse a Herschel: «Continuo a essere convinto che Cerere sia l‟ottavo
pianeta del sistema solare e che Pallade sia un pianeta particolarissimo – o una
cometa – nelle sue vicinanze, che ruota intorno al Sole. Così ci sarebbero due pianeti
tra Marte e Giove sebbene sin dal 1772 me ne aspettassi solo uno; e il ben noto ordine
progressivo delle distanze dei pianeti dal Sole sarebbe dunque pienamente provato».
Herschel non fu influenzato dalla difesa di Bode della sua legge. Era convinto che
Cerere e Pallade fossero una nuova e differente classe di corpi celesti. Credeva anche
che, dal momento che Cerere e Pallade non occupavano lo spazio tra Marte e Giove
“in modo apprezzabile”, questi due corpi non fossero degni del nome “pianeta”.
Propose che venissero chiamati “asteroidi” (dal greco asteroides, “simile a una
stella”) poiché erano “mescolati con”, e simili a piccole stelle fisse. Proseguì
elencando tre forme di corpi celesti: pianeti, asteroidi e comete.
La maggior parte degli astronomi accettò che Cerere e Pallade non fossero pianeti,
ma Piazzi non condivideva la suddivisione dei corpi celesti proposta da Herschel in
pianeti, asteroidi e comete, e replicò: «Vedremo presto conti, duchi e marchesi nei
cieli». Suggerì il nome di “planetoide”, sottolineando che “asteroide” sarebbe stato
più appropriato per le “piccole stelle”. Il termine “asteroide” ha resistito ma talvolta
ci si riferisce a essi come a “planetoidi” o “pianeti minori”.
La “polizia celeste” di von Zach non abbandonò le sue indagini e continuò a
scrutare i cieli con i propri telescopi. Tali sforzi furono ricompensati quando
l‟astronomo tedesco Karl Harding scoprì il terzo asteroide, Giunone, il 1° settembre
1804. Olbers aggiunse il quarto, Vesta, il 29 marzo 1807. Entrambi erano troppo
piccoli per essere classificati come pianeti. Olberts suggerì anche un‟idea che ha
superato la prova del tempo: notando che la lucentezza di Cerere e Pallade sembrava
variare da un‟osservazione all‟altra, sostenne che gli asteroidi avessero una forma
irregolare invece che tonda. A Olbers gli asteroidi sembravano rocce che vagavano
nello spazio, e aveva ragione. Comunque egli è ora soprattutto noto per il cosiddetto
paradosso di Olbers, la risposta alla domanda apparentemente semplice: perché il
cielo è scuro di notte?
Il millesimo asteroide fu scoperto nel 1923 e fu chiamato Piazzi in onore
dell‟astronomo morto circa un secolo prima nel 1826, a ottant'anni. Da allora, non
passa anno senza che siano individuati nuovi asteroidi. Oggi gli scopritori non
devono lottare per il diritto di dar loro il nome: una volta determinata l‟orbita precisa
di un asteroide, viene dato un codice permanente di identificazione, fatto di un
numero che indica il suo ordine di entrata, di solito seguito dal nome proposto dallo
scopritore (per esempio 1 Cerere, 2 Pallade). Fino a quando la scoperta non viene
approvata dall‟International Astronomical Union, l‟asteroide è provvisoriamente noto
col suo anno di scoperta seguito da due lettere, e numeri se necessario, che indicano
la data e la sequenza della scoperta (per esempio 1950 DA: la D indica che è stato
scoperto nel periodo tra il 16 e il 28/29 febbraio e la lettera A che è stata la prima
scoperta di quel periodo).

Obiettivo Tunguska
Nel 1993 gli scienziati della NASA Christopher Chyba e Kevin Zahnle insieme al
loro collega Paul Thomas dell‟Università del Wisconsin hanno dato nuova
consistenza e rigore alla teoria dell‟asteroide per l‟esplosione di Tunguska.
Le loro simulazioni al computer, per spiegare la disposizione degli alberi abbattuti,
hanno mostrato che l‟esplosione ha rilasciato circa 15 megatoni di energia
nell‟atmosfera a un‟altitudine di quasi 8 chilometri, ma non ha formato nessun cratere
sulla superficie della Terra. Hanno poi esaminato l‟impatto di tre classi di asteroidi
(sassosi, ferrosi e carbonacei) e di due classi di comete (di breve e lungo periodo) che
partono con 15 megatoni di energia cinetica. La loro simulazione ha dimostrato che i
nuclei cometari e gli asteroidi carbonacei deflagrano troppo in alto nell‟atmosfera per
poter spiegare l‟esplosione, e gli asteroidi ferrosi raramente si rompono in frammenti
e dunque colpiscono il suolo a velocità molto elevata. Solo gli asteroidi sassosi
produrrebbero un‟esplosione simile a quella di Tunguska.
Nella loro analisi innovativa i ricercatori hanno incluso gli effetti delle forze
aerodinamiche su un asteroide: quando l‟asteroide si muove più in profondità
nell‟atmosfera, la resistenza dell‟atmosfera su di esso aumenta; quando la resistenza
supera la forza dell‟asteroide, questo si sbriciola e comincia ad appiattirsi. L‟aumento
della superficie dell‟asteroide frammentato provoca un forte aumento della resistenza.
L‟aumento della resistenza rallenta l‟asteroide, che si allarga ancora di più. Allo
stesso tempo la densità atmosferica aumenta con il decrescere dell‟altitudine, creando
maggiore resistenza. Queste forze che aumentano fanno arrestare improvvisamente
l‟asteroide nell‟atmosfera, il quale esplode come una bomba e, in una frazione di
secondo, megatoni di energia cinetica si convertono in energia termica e alta
pressione. L‟asteroide si vaporizza. Un‟onda d‟urto si diffonde.
Tenendo conto di questi effetti, i ricercatori hanno calcolato che un asteroide
sassoso di circa 30 metri di diametro che si muove a 54.000 chilometri orari
esploderebbe a un‟altezza di 8 chilometri, la stessa altezza a cui sembra essere
esploso il corpo celeste di Tunguska. Un corpo più piccolo sarebbe esploso molto più
in alto e uno più grande avrebbe creato un cratere d‟impatto.
Le deboli, veloci e fragili comete non penetrano l‟atmosfera in profondità e non
possono avvicinarsi all‟altezza dell‟esplosione di Tunguska. «Anche se le comete
avessero forze comparabili a quelle degli asteroidi sassosi, non potrebbero
corrispondere alle osservazioni di Tunguska» sostengono i ricercatori. Per esempio,
se una cometa incidente da 15 megatoni avesse avuto la velocità insolitamente bassa
di 54.000 chilometri orari propria di un asteroide, si sarebbe completamente
consumata prima di raggiungere un‟altitudine di 16 chilometri e avrebbe causato una
distruzione di gran lunga inferiore.
Le misurazioni della cometa di Halley da parte della navicella spaziale Giotto, nel
1986, dimostrano che essa aveva una densità tra 0,6 e 1 grammo per centimetro
cubico. Nella sua simulazione il gruppo di Chyba ha usato una densità pari a 1, ma ha
affermato che sono possibili anche valori bassi come 0,3. Oggetti a densità più bassa
brucerebbero ad altezze maggiori. «Quello di Tunguska era probabilmente un oggetto
simile a un asteroide molto forte e denso, però probabilmente non forte e denso come
il ferro» hanno concluso i ricercatori nel loro rapporto su «Nature». «Gli asteroidi
carbonacei, e soprattutto le comete, sono candidati improbabili per l‟oggetto di
Tunguska.» In ogni caso, la loro simulazione non esclude del tutto un asteroide
ferroso insolitamente veloce o un asteroide carbonaceo molto forte.
Il team di Chyba ha anche confermato l‟osservazione di Turco del 1983, secondo
la quale le notti luminose erano state causate da nubi nottilucenti, sostenendo che
l‟aria riscaldata dall‟esplosione aveva immesso nell‟atmosfera acqua sufficiente a
produrre simili nubi.
Ulteriore sostegno per la teoria dell‟asteroide viene da Jack Hills e Patrick Goda
del Los Alamos National Laboratory. Nel loro studio generale sulla frammentazione
degli asteroidi, hanno scoperto che un asteroide sassoso deve essere più largo di 200
metri per colpire il suolo, dunque molto più grande dell‟oggetto di Tunguska.
Concordano che le prove su Tunguska escludono una cometa e che non c‟è dubbio
che l‟oggetto fosse un asteroide sassoso e non ferroso. Le comete si incendiano molto
più facilmente degli asteroidi, ma l‟asteroide di Tunguska ha generato abbastanza
calore da incendiare una pineta. «Comunque, l‟onda d‟urto dell‟impatto di un
asteroide si estende oltre il raggio entro il quale comincia l‟incendio e tende a
spegnere il fuoco, è dunque possibile che l‟impatto carbonizzi una foresta (come a
Tunguska), ma esso non produrrebbe un incendio duraturo.»
Henry J. Melosh dell‟Università dell‟Arizona a Tucson, commentando le ricerche
del gruppo di Chyba, ha affermato che essi hanno proposto la spiegazione più
credibile per l‟evento di Tunguska: «Un progresso sostanziale è perciò stato fatto nel
riportare l‟esplosione di Tunguska dal regno del quasi miracoloso a un evento
naturale, per quanto raro».
Chyba ha dichiarato ad «Astronomy» nel dicembre del 1993: «Secondo questo
quadro, Tunguska passa da un evento esotico che chiama in causa gli UFO O i buchi
neri, al risultato completamente normale e prevedibile dell‟entrata nell‟atmosfera di
un asteroide sassoso a una velocità tipica. Comprendere questo è importante, perché
ci consente di valutare l‟effettivo pericolo rappresentato da piccoli asteroidi e comete
in collisione con la Terra».
Nel 1998, quindici anni dopo aver proposto la sua originale teoria degli asteroidi,
Zdenèk Sekanina ha rivisitato la sua precedente analisi concludendo che
l‟interpretazione dell‟evento di Tunguska come la caduta di un piccolo asteroide non
«è solo plausibile, ma virtualmente certa». Un aspetto sul quale non era però
preparato a prendere una posizione era se l‟asteroide fosse sassoso o carbonaceo.
Nella sua nuova analisi, Sekanina ha notato che la collisione della cometa
Shoemaker-Levy 9 con Giove, nel 1994, dimostrava che la massa di una cometa che
entra nell‟atmosfera di un pianeta, come la Terra o Giove, dovrebbe essere maggiore
di 100 milioni di tonnellate per innescare una potente esplosione alla fine del suo
viaggio. Comete più piccole hanno molte probabilità di dissolvere la propria massa
nel volo attraverso l‟atmosfera e finirebbero senza una massa apprezzabile a scarse
altitudini. Per contro, lo studio di un certo numero di palle di fuoco fa emergere che
masse iniziali piccole, dell‟ordine dei 10 chili, producono fiammate finali. Diversi
studi dell‟interazione tra l‟altitudine di una palla di fuoco, la sua velocità pre-
esplosione e la pressione aerodinamica alla quale esplode corroborano la tesi che la
massa pre-esplosione dell‟oggetto di Tunguska fosse di un milione di tonnellate.
La questione dell‟ipotesi cometaria, affermò Sekanina «a questo punto si spegne».
Notò anche che la palla di fuoco di Tunguska scompariva davanti alla cometa
Shoemaker-Levy 9, se se ne misurava la quantità di energia rilasciata, «d‟altro canto,
l‟evento di Tunguska rimanda direttamente al tema della minaccia alla nostra civiltà».
Sekanina concluse la sua analisi riassumendo otto punti che confermavano la sua
teoria dell‟asteroide, non basandola semplicemente sulle dichiarazioni dei testimoni
oculari, come gli rimproveravano i suoi detrattori:
• l‟esplosione a mezz‟aria è simile alle fiamme finali delle palle di fuoco osservate
fotograficamente;
• la pressione nel punto dell‟esplosione, secondo i calcoli pari a duecento volte la
normale pressione atmosferica, è compatibile con il valore che ci si aspetta da palle di
fuoco simili; se invece l‟oggetto fosse stato una cometa, la pressione sarebbe stata
circa duemila volte la pressione atmosferica, del tutto fuori da un valore plausibile
per una cometa fragile;
• la velocità pre-esplosione di 36.000 chilometri orari è la stessa determinata dalle
osservazioni sismologiche e dalla simulazione in laboratorio della foresta sradicata;
• questo livello di velocità evidenzia un‟orbita simile a quella di una cometa;
• le poche prove esistenti dell‟evento non concordano con lo schema di
frammentazione tipico delle comete;
• una cometa di una simile magnitudine sarebbe stata estremamente rara, forse da
dieci a cento volte più rara che un asteroide con la stessa energia di esplosione;
• la limitata prova dell‟orbita dell‟oggetto concorda con le orbite della Terra che
incrociano gli asteroidi, ma non con quelle delle comete di breve periodo;
• questa informazione orbitale è particolarmente sfavorevole all‟ipotesi che
associava l‟oggetto alla cometa di Encke.
Nel 2001 un gruppo di scienziati italiani ha guardato all‟oggetto di Tunguska da
un‟angolazione diversa, basata su un‟idea di Paolo Farinella (1953-2000).
Utilizzando i dati delle analisi dettagliate di tutta la letteratura scientifica disponibile
– inclusi i racconti inediti di testimoni oculari che non erano mai stati tradotti dal
russo – e la ricerca sulle direzioni di più di sessantamila alberi abbattuti, gli scienziati
italiani hanno tracciato una serie di possibili orbite dell‟oggetto. Su 886 orbite valide
da loro calcolate, l‟83 per cento erano orbite di asteroidi, e solo il 17 per cento
potevano essere associate a comete.
Questi dati hanno dimostrato che l‟oggetto di Tunguska doveva essere un
asteroide. Ma se è stato un asteroide, perché si è frantumato completamente? Secondo
uno scienziato del team, Luigi Foschini dell‟Università di Trieste, ciò è forse
avvenuto perché l‟oggetto era come l‟asteroide Matilde, fotografato dalla sonda
spaziale Near-Shoemaker nel 1997. Matilde è un ammasso di detriti di roccia con una
densità molto vicina a quella dell‟acqua. Questo significherebbe che potrebbe
esplodere e frammentarsi nell‟atmosfera e solo l‟onda d‟urto raggiungerebbe il suolo.
Con l‟avvicinarsi del venticinquesimo anniversario della sua pubblicazione del
1983 – e del centenario dell‟evento di Tunguska – Sekanina riflette sulla sua
pionieristica conclusione che l‟oggetto di Tunguska fosse un asteroide:
Non ho cambiato le mie idee sull‟argomento, credo ancora che la natura asteroidale
dell‟oggetto di Tunguska sia virtualmente certa…. Il mio coinvolgimento
nell‟argomento era abbastanza particolare. Non avrei cominciato la mia ricerca su questa materia,
all‟inizio degli anni Ottanta, se non fosse stato per il fatto che gli studi pubblicati negli anni Settanta
– tutti fortemente pro cometa – avevano attirato la mia attenzione. Io sono un fisico delle comete e
sentii che, se si fosse trattato di un pezzo di cometa, da questo evento si sarebbe potuto imparare
qualcosa sulle proprietà dei nuclei cometari. Perciò cominciai a studiare l‟argomento credendo che
si trattasse davvero di una cometa: altrimenti non mi sarei mai fatto coinvolgere, e sicuramente non
posso essere accusato di aver iniziato la mia ricerca sull‟argomento con un pregiudizio contro
l‟origine cometaria di Tunguska.
La mia conclusione è stata semplicemente il risultato delle mie scoperte: più lavoravo, più
diventava ovvio per me che non si trattava di una cometa (considerate soltanto l‟enorme pressione
dinamica da sostenere!). Quando ne fui completamente convinto, avevo impiegato così tanto tempo
che sentivo sarebbe stato un peccato abbandonare l‟argomento, anche se esso era divenuto
sostanzialmente irrilevante per i miei interessi scientifici (non ho mai trovato gli asteroidi molto
divertenti). E questa è stata la sola ragione dietro il mio saggio del 1983. Il resto è storia….
Naturalmente l‟ipotesi dell‟origine cometaria ha ancora i suoi vecchi sostenitori, come Vitalij
Bronsten, ma nessun nuovo ammiratore.
E, naturalmente, il fondamentale contributo degli scienziati russi allo sviluppo
della teoria della cometa è ben presente nella storia dell‟enigma di Tunguska.

Obiettivo Terra
Saremo di nuovo colpiti da un asteroide simile a quello di Tunguska? Gli
astronomi suggeriscono che la frequenza media degli impatti di asteroidi di
dimensioni simili (con una larghezza di circa 75 metri) è di uno ogni mille anni.
Questi asteroidi esplodono nella bassa atmosfera, ma rilasciano abbastanza energia
distruttiva da spazzare via una grande città.
La possibilità di un impatto decresce con l‟aumentare delle dimensioni
dell‟asteroide. L‟intervallo medio tra gli impatti di asteroidi giganti (una larghezza
media di 16 chilometri) è di cento milioni di anni. Un impatto di questa grandezza
potrebbe distruggere un intero continente e causare l‟estinzione di massa di forme di
vita avanzate. Si pensa che un simile impatto abbia fatto scomparire i dinosauri 65
milioni di anni fa, come vedremo più avanti.
Vogliamo davvero vincere la lotteria degli asteroidi? Le probabilità di indovinare
sei numeri in una lotteria di 45 numeri è 1 su 4 milioni. La possibilità diventa 1 su 14
milioni se dovete indovinare sei numeri su 49, e 1 su 19 milioni se dovete indovinare
tra 51 numeri. La probabilità dell‟impatto di un asteroide, piccolo o grande, è di 1 su
20.000 (pari a quella di un disastro aereo per un volo di linea). Secondo questi calcoli
il famoso uomo della strada, se non è investito da un autobus, avrà molte più
possibilità di assistere all‟impatto di un asteroide che di vincere una lotteria. Perché
preoccuparsi allora di comprare un biglietto della lotteria?
Dovremmo scartare queste probabilità di rischio ritenendole fandonie, sciocche
bugie e statistiche oppure perdere il sonno a causa della minaccia di un asteroide?
Cosa dicono gli esperti?
«Non sappiamo se un grande asteroide ci colpirà nel corso di questo secolo» dice
l‟astronomo britannico Martin Rees. «Il rischio non è sufficientemente alto da tenerci
tutti svegli la notte, ma non può nemmeno essere escluso del tutto.»
Lo scienziato planetario americano Tom Gehrels è della stessa idea: «Le possibilità
che un corpo celeste collida con la Terra sono poche, ma le conseguenze sarebbero
catastrofiche».
«Nessuno credette a Chicken Little2 quando diceva che il cielo stava per cadere.
Ma talvolta il cielo cade, e con effetti tremendi» affermò nel 1994 Eugene
Shoemaker, che aveva l‟incarico di mettere il mondo in allerta sui pericoli degli
impatti di asteroidi e comete.
«Gli scettici possono chiedere un parere ai dinosauri» affermava un editoriale dello
«Scientific American» nel novembre del 2003.
Oltre a chiedere l‟opinione dei dinosauri, cos‟altro possono fare gli scienziati per
evitare che un asteroide si schianti sulla Terra? Una volta che gli scienziati hanno
scoperto un asteroide possono calcolare se è diretto verso di noi. Il piano per
distruggerlo dipenderà da quanto lontano si trova. Ecco alcune strategie per salvarci
dallo scenario descritto in film come Armageddon o Deep Impact.
• Deviazione. Se un minaccioso asteroide fosse avvistato un anno prima della
possibile collisione, potrebbe essere deviato con convenzionali armi chimiche. Un
piccolo cambiamento nella velocità di un asteroide, dell‟ordine dei 36 metri all‟ora,
defletterebbe l‟asteroide di 6000 chilometri – pari al raggio dell‟obiettivo Terra – in
un anno.
• Spinta. Invece di una deviazione, alcuni scienziati preferirebbero la spinta più
forte da parte di un‟astronave nucleare che sparasse getti di plasma. L‟astronave,
priva di equipaggio, incontrerebbe l‟asteroide killer, si attaccherebbe alla sua
superficie e lo spingerebbe lentamente, in modo da fargli evitare la Terra.
• Attacco. Questo ingegnoso piano colpirebbe l‟asteroide piazzando una struttura
fatta di milioni di piccole palle di tungsteno sul percorso della minaccia che avanza.
La collisione creerebbe abbastanza calore da trasformare l‟asteroide in una piccola
roccia inoffensiva. La struttura potrebbe essere lanciata nello spazio da un missile.
“incartasse”. Un asteroide irradia calore nello spazio dopo che il Sole ha scaldato
la sua superficie, il che gli impartisce un piccolissimo moto, che fa leggermente
slittare la sua orbita. Un avvolgimento o la spruzzata di gesso bianco o polvere scura
di carbone sulla superficie di un asteroide muterebbe la sua riflettività e quindi il suo
calore. Questo trasferimento di calore cambierebbe il moto, il che potrebbe essere
sufficiente a cambiare la sua direzione.
• Bombardamento. Se non ci fosse abbastanza tempo per prepararsi, alcuni
scienziati suggeriscono di distruggere l‟asteroide con una bomba nucleare. L‟idea è
che l‟esplosione nucleare scioglierebbe la superficie dell‟asteroide, dandogli una
spinta nella direzione opposta. Non sarebbe proprio il modo migliore di eliminare un
asteroide: se la bomba scoppiasse troppo vicino all‟asteroide potrebbe farlo
esplodere, creando milioni di tonnellate di polvere e frammenti radioattivi. Se i
frammenti piovessero sulla Terra potremmo comunque andare a raggiungere i
dinosauri. Le bombe al neutrone – che uccidono la gente ma non danneggiano gli
edifici – sarebbero un‟alternativa migliore. Una volta che i neutroni altamente
energetici colpissero l‟asteroide, ne surriscalderebbero la superficie e il materiale
vaporizzato farebbe deviare l‟asteroide dalla rotta di collisione.
• Bruciatura. Questo piano implica il posizionamento di un enorme specchio
concavo di alluminio abbastanza vicino all‟asteroide. Lo specchio rifletterebbe un
raggio di luce su un piccolo punto dell‟asteroide. Il calore vaporizzerebbe una piccola
parte dell‟asteroide che verrebbe sparata nel cielo, spingendo l‟asteroide nella
direzione opposta. Uno specchio largo 800 metri potrebbe deflettere un asteroide di 3
chilometri di diametro.
• Escavazione. Questo piano semplice ma tecnicamente difficile richiede di
piazzare un robot sulla superficie dell‟asteroide. Il robot scaverebbe la roccia
dell‟asteroide gettandola nello spazio e inducendo l‟asteroide ad accelerare
leggermente nella direzione opposta.
Robert Gold della Johns Hopkins University, che considera l‟impatto di un
asteroide o di una cometa «la più grande minaccia naturale alla sopravvivenza a
lungo termine della specie umana», ha proposto un sistema completo di difesa della
Terra progettato per scoprire, catalogare e calcolare le orbite degli oggetti vicini alla
Terra e deflettere i potenziali pericoli. Questo sistema chiamato Shield (scudo)
prevede sentinelle (navicelle spaziali progettate per cercare e individuare oggetti
minacciosi), astronavi soldato (per deflettere o disperdere l‟oggetto) e un sistema di
controllo con base sulla Terra per supervisionare il lavoro. I soldati di Gold
userebbero una o più tecniche descritte sopra. Gold crede che lo scudo possa essere
attuato fra i prossimi dieci e quarantanni.
Nel 2002 il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA ha definito il suo programma
«sentinella»: un sistema di monitoraggio di collisione altamente automatizzato, che
passa in rassegna il catalogo degli asteroidi con maggiori possibilità di impatto con la
Terra nei prossimi cento anni. Ogniqualvolta si individua un potenziale impatto, esso
è analizzato e i risultati vengono immediatamente pubblicati sul sito del programma
NEO (Near Earth Object, oggetti vicini alla Terra) del JPL: http://neo.jpl.nasa.gov/risk/.
Sulla questione delle rocce dell‟apocalisse Tom Gehrels mette l‟ultima parola:
Le comete e gli asteroidi mi ricordano Shiva, la divinità indù che distrugge e ricrea. Questi corpi
celesti hanno permesso alla vita di nascere, ma hanno anche fatto estinguere i dinosauri. Ora, per la
prima volta, gli abitanti della Terra hanno la possibilità di prevedere il rischio della propria
estinzione e il potere di fermare questo ciclo di distruzione e creazione.

Fantomatica Tunguska
Dalla prima spedizione di Kulik nel 1927, ci sono state numerose spedizioni russe
e internazionali sul sito dell‟esplosione di Tunguska, ma nessun cratere di impatto o
resti tangibili di un meteorite sono stati ancora trovati. La palla di fuoco ha lasciato
altri segni, oltre a una foresta abbattuta?
Coloro che credono che l‟oggetto di Tunguska fosse o una cometa o un asteroide,
credono anche che la massa dell‟oggetto si sia vaporizzata in microscopici detriti
quando è esplosa a una certa altezza dal suolo. Una simile teoria spiegherebbe anche
l‟assenza di crateri di impatto. Dopo l‟esplosione, alcuni dei detriti microscopici
sarebbero stati deviati a ovest di Tunguska, ma il resto si sarebbe condensato in
globuli microscopici, piovuti sulla taiga sottostante. Molti scienziati hanno tentato di
individuare questi segni.

Primi tentativi nella ricerca delle tracce


Gli sforzi degli scienziati di individuare dei segni e delle tracce a Tunguska
cominciarono nel 1957 quando il mineralologo russo A.A. Javnel‟ analizzò dei
campioni del suolo raccolti da Kulik nel 1929 dal sito di Tunguska, ma fu poi provato
che erano di origine terrestre. Più tardi il mineralologo O.A. Kirov, membro della
spedizione guidata da Kirill P. Florenskij nel 1958, individuò, in campioni raccolti
nella regione della caduta, globuli di magnetite e varie forme di globuli di silicato. I
globuli di magnetite erano sia lucidi che opachi e la loro misura variava dai 5 ai 450
micrometri. I globuli di silicato avevano un aspetto che variava da opaco a
completamente trasparente e le loro dimensioni andavano dai 20 ai 350 micrometri. I
globuli di silicato opaco contenevano anche un gran numero di bolle gassose e tracce
di ossido di ferro. Entrambi i tipi di globuli sono caratteristici delle particelle prodotte
dalla distruzione di un meteorite nell‟atmosfera.
La successiva spedizione di Florenskij nel 1961-62 si concentrò sulla distribuzione
del materiale meteoritico nel suolo. Fu questa la prima spedizione a usare un
elicottero per trasportare gruppi di individui ed equipaggiamento pesante. Ingenti
quantità di campioni del suolo furono raccolti a una distanza di 10, 20, 40 e 60
chilometri dall‟epicentro. L‟analisi di questi campioni rilevò brillanti globuli
magnetici (magnetite) e globuli vetrosi (silicati), grandi meno di un millimetro.
Quando fu tracciata una mappa della distribuzione di questi globuli, essa mostrò che i
globuli si presentavano su un‟ellisse ben definita, con alte concentrazioni tra i 60 e gli
80 chilometri verso il nordovest dell‟epicentro. Un simile schema di distribuzione era
probabilmente dovuto alla direzione del vento di quel giorno, che spirava da sudest
verso nordovest. L‟aspetto dei globuli mostrava che essi si erano formati
nell‟atmosfera come condensazioni di materia fusa. Florenskij si convinse che molti
dei globuli fossero i resti di una cometa esplosa a mezz‟aria.
All‟inizio degli anni Settanta lo scienziato sovietico G.I. Petrov sostenne che,
mentre il meteorite di Tunguska si muoveva nell‟atmosfera, si fosse vaporizzato
rapidamente e, quando una grande quantità di vapore si era ammassata davanti al
corpo vagante, questo fosse esploso spargendosi per l‟atmosfera. La materia sparsa si
sarebbe condensata in sfere microscopiche, finite poi nella vasta foresta di Tunguska.
Le torbiere, che assimilano nutrienti minerali dall‟aria, avevano probabilmente
assimilato queste “sfere di meteorite”.
Gli scienziati sovietici si misero quindi ad analizzare gli strati delle torbiere – che
aggiungono ogni anno uno strato di torba – scoprendo globuli di silicato fuso, fino
agli 0,8 millimetri di diametro. La concentrazione dei globuli era decisamente più
elevata nello strato del 1908 che negli strati precedenti e seguenti la catastrofe. Questi
globuli erano composti di elementi rari e pesanti, presenti nel materiale extraterrestre.
Nel suo ultimo saggio pubblicato prima della sua morte, avvenuta nel 2001,
l‟accademico Nikolaj Vasilev espresse dubbi sull‟origine dei globuli, dal momento
che globuli simili potevano anche essersi formati durante l‟incendio della torba. «La
presenza di piccole quantità di polvere meteoritica non può essere messa in dubbio»
scriveva in «Planetary and Space Science», «ma il problema della loro connessione
con Tunguska rimane aperto.»
Un altro tentativo di studiare la torba fu fatto alla fine degli anni Settanta da Emlen
Sobotovič e dai suoi colleghi all‟Istituto di geochimica e fisica minerale di Kiev.
Dopo sei anni di indagini, conclusero che l‟esplosione di Tunguska era stata causata
da un meteorite sassoso di 4000 tonnellate, che esplose prima dell‟impatto, spargendo
pezzi su un‟ampia regione. Le ricerche presentavano prove convincenti: innanzitutto
un grande numero di minuscoli diamanti sparsi nella regione di Tunguska; inoltre il
gruppo aveva bruciato della torba raccolta nella regione della caduta in forni ad alta
temperatura e nella cenere aveva trovato molti granelli scuri di forma irregolare
estremamente duri. Ulteriori esami di laboratorio dimostrarono che i diamanti di
Tunguska si erano formati lontano dalla Terra (tuttavia vedremo come questa
affermazione verrà contraddetta). È noto che diamanti simili esistono già nelle uraliti,
una classe di meteoriti che è stata presumibilmente coinvolta in impatti nello spazio
profondo. Questi meteoriti possono avere origine dalle comete. Altri ricercatori
hanno suggerito che l‟oggetto di Tunguska potesse essere un pezzo della cometa
Encke, un visitatore periodico dei nostri cieli. Per sostenere l‟affermazione che i
piccoli diamanti erano arrivati su un meteorite, i ricercatori di Kiev citarono gli alti
livelli di carbonio-14 radioattivo nella torba, affermando che livelli così elevati di
carbonio-14 si trovano in meteoriti che sono stati soggetti a bombardamenti
prolungati di raggi cosmici nello spazio.

Le tracce di Tunguska in Antartide


I globuli raccolti dalla spedizione di Florenskij del 1961 -62 erano ricchi di iridio –
un metallo argenteo che abbonda nei corpi extraterrestri ma è raro sulla Terra – e di
altre prove di origine extraterrestre. Tracce della palla di fuoco non erano solo
presenti nel suolo di Tunguska, ma erano anche state scoperte in un pezzo di ghiaccio
in Antartide. Questa sorprendente rivelazione – fatta nel 1983 da Ramachandran
Ganapathy, un americano esperto di materiali extraterrestri – fornì una nuova visione
sulla natura dell‟oggetto di Tunguska. Ganapathy esaminò otto globuli con una
tecnica di analisi che aveva lo scopo di trovare la risposta a tre domande: i globuli
sono davvero extraterrestri? Sono tutti collegati tra loro, come ci si aspetterebbe se
avessero avuto origine dall‟esplosione di Tunguska? Possono essere distinti dai resti
dei meteoriti ferrosi?
Tutti gli otto globuli contenevano iridio, nichel, cobalto, oro, cromo, antimonio e
ferro. Il loro contenuto in ferro andava dal 76 all‟81 per cento. Uno dei globuli aveva
addirittura 56.900 parti su un miliardo di iridio (le rocce della superficie terrestre
contengono solo 0,3 parti su un miliardo di iridio; un meteorite può contenerne 500
su un miliardo). La concentrazione di nichel e cobalto, due elementi che sempre si
ritrovano con l‟iridio nei materiali extraterrestri, erano anche presenti in proporzioni
cosmiche. «Su questo non c‟è dubbio» dichiarò Ganapathy a «Nature», «i globuli
sono extraterrestri.»
L‟identica porzione di iridio e nichel in ciascun globulo provava anche che tutti
provenivano dallo stesso corpo extraterrestre. Il risultato smentiva anche la nozione
che i globuli provenissero da meteore che cadevano continuamente sulla Terra. La
grande abbondanza del cromo in alcuni globuli, comunque, indicava che l‟oggetto
non era un meteorite ferroso.
Ganapathy riteneva anche che i racconti dei testimoni oculari dell‟esplosione di
Tunguska, insieme con i suoi ritrovamenti, dimostravano che l‟oggetto di Tunguska
si era vaporizzato con l‟esplosione nell‟atmosfera. La questione se i detriti
dell‟evento potessero aver raggiunto la stratosfera, e conseguentemente essere
distribuiti globalmente, lo indusse a cercare detriti nel ghiaccio antartico. Il ghiaccio e
le bolle di aria intrappolate in esso sono infatti preziosi strumenti scientifici: possono
illuminare il passato, aiutare a rispondere a domande sul presente e fornire previsioni
sul futuro.
La quantità media di accumulo di ghiaccio – circa 7 centimetri all‟anno al Polo
Sud – è un cronometro sufficientemente buono per misurare il tempo con la
profondità. Per il proprio studio Ganapathy scelse un blocco di ghiaccio di 101 metri
perforato nel 1974. Un campione da un profondità tra i 10,15 e gli 11,7 metri,
corrispondente al 1908, conteneva una quantità di iridio quattro volte maggiore di
quella trovata negli anni precedenti. Il ghiaccio era similmente ricco di iridio durante
il 1909 e i pochi anni successivi. Poi la concentrazione di iridio tornava a livelli
normali. Questa era la prova più evidente che le particelle dell‟esplosione di
Tunguska erano state sparse per il mondo dalle correnti atmosferiche. «Poiché
quest‟iridio poteva essersi depositato solo attraverso uno spargimento dalla
stratosfera, dovrebbe essere presente in tutto il mondo» disse.
La quantità di iridio depositato in Antartide poteva essere usato per calcolare la
quantità totale dello spargimento atmosferico derivato dall‟evento. Il risultato: 7
milioni di tonnellate di detriti. Ganapathy calcolò che l‟oggetto esploso a Tunguska
era un mostro di 7 milioni di tonnellate per 160 metri di diametro. Avvertì che questa
stima non consentiva una distinzione tra comete e asteroidi. Comunque, disse che
l‟oggetto avrebbe anche potuto essere un asteroide sassoso.
Un anno dopo le osservazioni di Ganapathy, lo scienziato polacco Marek Zbik (ora
alla University of South Australia) esaminò cento globuli magnetici neri dell‟area di
Tunguska. I globuli variavano sia nelle dimensioni (da 7 a 350 micrometri) che nella
forma (sferica, a goccia, alcuni anche rotti o danneggiati). Molti di questi globuli si
rivelarono di origine terrestre. La porzione di nichel e iridio nei restanti globuli era
molto vicina a quanto osservato da Ganapathy, il che provava che essi avevano
origini extraterrestri. L‟analisi di Zbik non dimostrava però un legame definitivo tra i
globuli e Tunguska.

La testimonianza degli alberi


Gli atomi di carbonio sono di otto varietà, note come isotopi. Il carbonio-12 (con
un nucleo di 6 protoni e 6 neutroni) è l‟isotopo più comune. I neutroni ad alta energia
che continuamente bombardano la Terra convertono il comune carbonio-12 nel
radioattivo carbonio-14 (6 protoni e 8 neutroni). Gli esseri viventi continuano ad
assumere carbonio-12 e carbonio-14 fino alla loro morte. Nel caso degli alberi, il
carbonio-14 è indicato negli anelli di crescita annuale, che segnano anche l‟età degli
alberi stessi.
È stato suggerito che se l‟esplosione di Tunguska fosse stata causata da una
cometa, l‟idrogeno in essa contenuto sarebbe stato compresso e scaldato nel
passaggio della cometa attraverso l‟atmosfera. Parte dell‟idrogeno avrebbe potuto
fondersi in elio, innescando un‟esplosione nucleare che avrebbe generato neutroni
altamente energetici, e di conseguenza carbonio-14 nell‟atmosfera. Diversi scienziati
hanno misurato il carbonio-14 negli anelli degli alberi di Tunguska, corrispondenti
agli anni precedenti e successivi all‟esplosione. L‟esame degli anelli degli alberi
formatisi nel 1908 mostra un aumento del carbonio-14, ma non abbastanza per
sostenere l‟idea di un annientamento causato da un‟esplosione nucleare. L‟aumento
del carbonio-14 è attribuito al ciclo solare, in cui il numero di macchie solari aumenta
o diminuisce nel corso di un periodo tipico di undici anni. È stato anche suggerito che
la combustione del corpo cosmico di Tunguska nell‟atmosfera avrebbe prodotto una
temperatura di alcuni milioni di gradi, troppo bassa per una reazione nucleare ma
abbastanza alta per produrre carbonio-14.
Un approccio innovativo da parte di un gruppo di scienziati italiani dell‟Università
di Bologna, guidati da Giuseppe Longo, ha scoperto nuovi resti della palla di fuoco di
Tunguska. Uno dei membri del gruppo, Menotti Galli, partecipò alla spedizione di
Tunguska del 1989, la prima spedizione post guerra fredda aperta a scienziati
internazionali. Galli, un fisico, è esperto dei fenomeni associati alle radiazioni
cosmiche, incluso il carbonio-14.
Durante la spedizione, Galli realizzò che i soli testimoni viventi dell‟esplosione del
1908 erano gli alberi sopravvissuti. Ma la loro testimonianza era nascosta nella resina
formatasi dopo l‟esplosione attorno ai rami spezzati. Come l‟ambra, questa resina
avrebbe potuto fare da trappola per le particelle presenti nell‟atmosfera, incluse le
particelle extraterrestri della palla di fuoco. La resina si sarebbe indurita, formando
uno strato protettivo intorno al ramo in crescita. Quello di cui Galli aveva bisogno era
esaminare gli alberi nell‟area dell‟esplosione. I loro anelli di crescita annuali lo
avrebbero indirizzato alle sezioni del 1908 e, se la palla di fuoco aveva sparso
qualche particella nella foresta, queste potevano essere ancora intatte in quelle sezioni
degli alberi.
Per raccogliere campioni per l‟esame, Galli e i suoi colleghi, Giuseppe Longo, un
fisico nucleare, e Romano Serra, un astronomo, parteciparono alla spedizione del
1991. «Gli italiani, abituati a sorseggiare buon caffè espresso sotto i lunghissimi
portici di Bologna, si trovarono a doversi dissetare con acqua scura di palude piena di
larve di zanzare» afferma Richard Stone in «Discover», descrivendo «i dieci giorni
difficili» passati a Tunguska dagli scienziati italiani. In ogni caso, riuscirono a
raccogliere resina depositatasi tra il 1885 e il 1930 su quattordici rami di sette abeti
siberiani. Gli alberi erano situati in direzioni differenti entro un raggio di 8 chilometri
dall‟epicentro dell‟esplosione. Come termine di paragone raccolsero anche resina da
sei rami di un albero cresciuto a circa 1100 chilometri dal sito di Tunguska e le radici
di un albero abbattuto dall‟esplosione.
Tornati a Bologna, i ricercatori usarono un microscopio a scansione elettronica per
esaminare i propri campioni. In tutto rinvennero 5854 particelle nei rami di Tunguska
e 1183 particelle negli altri due alberi. L‟esame di queste microscopiche particelle
mostrò un‟abbondanza, insolitamente elevata, di ferro, calcio alluminio, silicio, oro,
rame, titanio, nichel e altri elementi. Alcuni di questi elementi sono comunemente
associati con asteroidi sassosi di normale densità. Il picco si verificava attorno al
1908. Un‟altra osservazione interessante era che la consistenza liscia e la forma
sferica delle particelle dei rami di Tunguska mostravano segni di surriscaldamento e
scioglimento. L‟onda dell‟esplosione non avrebbe disciolto le particelle nel suolo,
dove la conduttività era bassa, e ciò significava che le parti disciolte provenivano
direttamente dal corpo cosmico.
Vasilev affermò nel 1998 che gli elementi scoperti dal gruppo di Longo nelle
resine degli alberi erano simili a quelle trovate dagli scienziati russi negli strati di
torba. Questo effetto è molto probabilmente connesso al corpo di Tunguska, pur
essendo necessarie ulteriori conferme, considerando il fatto che una grande eruzione
vulcanica avvenuta in Russia il 28 marzo 1907 produsse un significativo strato di
polvere sull‟emisfero settentrionale per più di un anno. «Non ci sono prove dirette
che questi materiali abbiano qualcosa a che fare con il corpo di Tunguska. Al
contrario, ci sono buone ragioni per credere che abbiamo a che fare con fluttuazioni
della caduta di polveri spaziali.»
Nello stesso anno, anche Vladimir Alekseev dell‟Istituto per l‟innovazione e la
ricerca sulla fusione di Troick, nella regione di Mosca, espresse dubbi sui metodi
usati dal team di Longo, a causa della presenza di particelle nel suolo che sarebbero
potute provenire da eruzioni vulcaniche. Propose un differente approccio per
raccogliere la “testimonianza degli alberi”: esaminare particelle più energetiche.
Scelse un larice sopravvissuto alla catastrofe, situato vicino all‟epicentro, che aveva
una spaccatura verticale di 10 centimetri sul tronco. La spaccatura, secondo
Alekseev, avrebbe potuto essere causata dalle onde d‟urto che, provenendo dall‟alto,
esercitarono una forza sull‟albero in crescita e prese perciò un campione di legno
dalla spaccatura.
Dopo aver rimosso la resina dal campione, quando lo esaminò con un microscopio
molto potente notò numerose particelle solide fino a 50 micrometri di grandezza nel
denso legno dell‟anello di crescita del 1908, suddivisibili in quattro gruppi: particelle
metalliche con bordi seghettati, particelle sferiche di silicati, particelle biancastre e
particelle nere simili alla grafite. Avevano energia sufficientemente elevata per
penetrare nel legno denso, e Alekseev era convinto che si trattasse dei resti del corpo
di Tunguska.
Basandosi sulle informazioni ottenute dallo studio di queste particelle, Alekseev
propose il seguente scenario per l‟esplosione di Tunguska: numerose esplosioni
avevano messo fine al volo del corpo e per questo non erano rimaste che piccole
particelle. Le esplosioni multiple potevano essere state responsabili dei rumori simili
a spari uditi ripetutamente dai testimoni oculari dell‟evento. C‟era la possibilità di
una reazione termonucleare sulla superficie del corpo nella fase finale del suo viaggio
nell‟atmosfera: come alcuni corpi cosmici, questo era probabilmente ricco di deuterio
(idrogeno-2) il quale avrebbe potuto dare il via a una reazione termonucleare che
avrebbe convertito il deuterio in trizio (idrogeno-3). «Dal momento che il trizio è
coinvolto in un processo biologico ed è radioattivo, può avere effetti genetici»
concluse lo studioso.
Durante la seconda spedizione italiana a Tunguska, nel 1999, gli scienziati non
solo continuarono la loro ricerca delle microparticelle conservate nella resina degli
alberi, ma cercarono anche altri resti di sedimenti sul fondo del lago Ceko. Questo
lago, largo 500 metri e profondo 47, si trova a 8 chilometri dal centro dell‟esplosione
del 1908. Il gruppo, che includeva Longo, il quale aveva anche partecipato alla
spedizione del 1991, usò un catamarano gonfiabile per la ricerca geologica e le
operazioni principali. Questo lavoro aveva due obiettivi: controllare se il lago fosse
un cratere di impatto dell‟evento del 1908 e individuare prove mineralogiche,
chimiche e biologiche della natura della palla di fuoco di Tunguska. Il loro studio
sperimentale mostrò che, sebbene il lago si fosse formato per l‟impatto di un corpo
cosmico, si era decisamente formato prima del 1908. Non era però stato ancora
dimostrato in modo definitivo che i campioni raccolti dai sedimenti fossero collegati
alla palla di fuoco.

Ablazione totale
Vladimir Svecov dell‟Istituto per la dinamica delle geosfere di Mosca rimosse uno
strato di mistero dall‟evento di Tunguska quando, nel 1996, dimostrò che l‟intera
massa del corpo di Tunguska si era vaporizzata prima di poter raggiungere il suolo.
L‟ablazione – il materiale di perdita di un corpo cosmico attraverso l‟evaporazione o
lo scioglimento causato dall‟attrito con l‟atmosfera – dei detriti di Tunguska era
totale.
Secondo Svecov, quando un corpo delle dimensioni di quello di Tunguska entra
nell‟atmosfera, si frantuma in un gran numero di frammenti, i più grandi dei quali
misurano 10 centimetri. Quando il corpo decelera, questi frammenti vengono separati
gli uni dagli altri. Le simulazioni matematiche dimostrano che i frammenti sassosi
sono stati completamente distrutti sia all‟interno che all‟esterno della palla di fuoco a
causa delle alte temperature. Tutto il materiale vaporizzato non raggiunge il suolo; si
muove verso l‟alto nell‟atmosfera. Sebbene Svecov ammettesse che i processi di
frammentazione erano complessi e necessitavano certamente di ulteriori indagini,
dichiarò il suo scenario «quasi plausibile».
Per quanto riguarda il corpo di Tunguska, Svecov riteneva che si fosse riscaldato
fino a 15.000 gradi Celsius, una temperatura sufficientemente alta da creare un effetto
«simile a quello di un‟esplosione nucleare». In seguito all‟esplosione, il corpo si era
frantumato in un vasto numero di frammenti, larghi tra 1 e 10 centimetri. Ma la
temperatura era talmente alta da sciogliere questi frammenti finché non ne rimase
nessuno. Alcuni di questi microscopici detriti si condensarono nell‟atmosfera e
furono poi sparsi nella foresta di Tunguska. «C‟è da attendersi l‟assenza di detriti
solidi in seguito alla frammentazione di un grande asteroide sassoso» concludeva
Svecov.
Affermò anche che, similmente all‟impatto della cometa Shoemaker-Levy 9 su
Giove, i detriti di Tunguska erano probabilmente ampiamente sparsi a causa della
turbolenta scia dell‟asteroide. Svecov suggerì anche che le particelle microscopiche
rinvenute nella resina degli alberi dai ricercatori italiani «avrebbero potuto essere
materiale ricondensato precipitato nelle vicinanze del sito dell‟impatto».
Svecov lasciò qualche speranza ai cacciatori del meteorite di Tunguska: se qualche
frammento più grande avesse guadagnato per caso delle significative velocità ad
altitudini tra i 15 e i 20 chilometri, dei resti di grandezza apprezzabile avrebbero
potuto raggiungere il suolo. Ma sarebbero caduti a terra a una distanza tra i 15 e i 10
chilometri a sudest dall‟epicentro dell‟esplosione.
I calcoli di Svecov erano basati sull‟assunzione che la palla di fuoco di Tunguska
fosse un oggetto simile a un asteroide di 15 megatoni che avesse colpito la Terra a
una velocità di 54.000 chilometri orari e con un angolo di 45 gradi. E se l‟oggetto
fosse stato una cometa?
Ovviamente quest‟analisi non avrebbe senso. Lo scienziato della NASA Kevin
Zahnle fornisce un argomento che i sostenitori della cometa troveranno difficile
demolire: tutti i piccoli crateri di impatto sulla Terra sono quasi sempre prodotti dai
relativamente rari meteoriti ferrosi (il cratere della Meteora in Arizona, largo 1,2
chilometri, per esempio, fu prodotto da un corpo ferroso avente sostanzialmente la
stessa energia di esplosione di Tunguska; il più piccolo cratere conosciuto prodotto
da un meteorite sassoso è un cratere di 3,4 chilometri nel Nuovo Quebec). Se comete
con energia di 15 megatoni possono raggiungere l‟atmosfera superiore prima di
esplodere, allora i ben più numerosi asteroidi che, secondo la maggior parte degli
astronomi penetrerebbero più in profondità, dovrebbero produrre crateri ogni mille
anni. «Se quella di Tunguska era una cometa, dove sono tutti gli altri crateri della
Meteora formati dalle rocce?» chiede Zahnle.
Effetti ambientali
Durante la sua prima spedizione a Tunguska nel 1927, Kulik notò una ripresa
abbastanza rapida della foresta dopo la catastrofe. Come abbiamo visto scrisse nel
suo diario: «La crescita della giovane foresta di vent'anni è avanzata
prepotentemente, cercando il sole e la vita». Questa accelerata crescita degli alberi
sopravvissuti alla catastrofe è stata studiata da molti scienziati russi che hanno notato
come essa non coincida con i limiti dell‟incendio e della foresta distrutta ma sia
rilevabile anche negli alberi più giovani germinati dopo la catastrofe.
C‟è chi ha ipotizzato che questa crescita accelerata sia il risultato della mutazione
genetica causata da un‟esplosione nucleare. Il gruppo di Longo aveva esaminato
l‟abbondanza del carbonio-14 negli anelli degli alberi tra il 1903 e il 1916, ma non
aveva trovato tracce di processi nucleari. Questa osservazione contraddiceva la
convinzione di Alekseev che i processi radioattivi fossero possibili sulla superficie
del corpo di Tunguska. Il gruppo italiano suggerì che la crescita accelerata degli
alberi derivasse da condizioni ambientali fortemente migliorate dopo l‟esplosione,
come la cenere fertilizzatrice degli alberi carbonizzati, la minore competizione per la
luce, e la maggiore disponibilità di minerali dovuta all‟aumentata distanza tra gli
alberi.
Un‟analisi dettagliata degli effetti ambientali della catastrofe fu condotta dallo
scienziato americano dell‟atmosfera Richard Turco e dai suoi colleghi nel 1980. Tale
analisi è basata sull‟assunzione che l‟oggetto di Tunguska fosse il nucleo ghiacciato
di una cometa, ricco di acqua, ammoniaca, biossido di carbonio e metano. Al
passaggio di quest‟oggetto nell‟atmosfera, tali sostanze avrebbero contribuito alla
produzione di 30 milioni di tonnellate di ossido nitrico. Dopo aver confrontato
l‟ossido nitrico generato dalle bombe nucleari, Turco concluse che l‟evento di
Tunguska avrebbe potuto essere paragonato approssimativamente a «una guerra
nucleare dell‟ordine di 6000 megatoni in termini di ossido nitrico depositato nella
stratosfera». In aggiunta a questa massiccia iniezione di ossido nitrico nella
stratosfera, l‟oggetto scaricava anche 1,5 milioni di tonnellate di acqua, che
contribuirono alla formazione delle nubi nottilucenti. Ma l‟ossido nitrico avrebbe
prodotto anche un effetto più duraturo e mortale: per una complessa serie di reazioni,
l‟ossido nitrico trasforma l‟ozono della stratosfera in ossigeno. Queste reazioni hanno
assottigliato lo strato di ozono che ci protegge dai dannosi raggi ultravioletti del Sole.
Il velo di polvere che restò sopra la stratosfera per anni contribuì anch‟esso ai
cambiamenti climatici. Turco ha affermato che circa un milione di tonnellate
(secondo la stima di Ganapathy 7 milioni di tonnellate) di polvere avrebbero
probabilmente fatto diminuire la temperatura media della superficie terrestre di 0,05
gradi Celsius nell‟emisfero nord. Turco precisò che la tendenza al raffreddamento
avrebbe potuto avere inizio dall‟esplosione vulcanica del 1907 in Russia. La squadra
di Turco studiò anche le registrazioni climatiche dai primi anni del 1900 e notò molte
altre insolite condizioni del clima che cominciarono ad apparire intorno al 1908 e
durarono per diversi anni: un aumento (al di sopra del trend di diminuzione) nella
rigida temperatura del Nordamerica sia in gennaio che in luglio, a cominciare dal
1909-1910; un aumento del ghiaccio artico complessivo tra il 1908 e il 1911; e una
diminuzione del 50 per cento rispetto ai valori normali nel numero dei cicloni
tropicali nell‟oceano Atlantico e nel mar Caraibico.
Il team di Turco concluse i propri studi affermando che questo impressionante
evento naturale avrebbe potuto avere un significato storico. La diminuzione
dell‟ozono e i cambiamenti climatici associati ai grandi meteoriti potrebbero aver
avuto un ruolo negli eventi passati, come l‟estinzione dei dinosauri 65 milioni di anni
fa.
Anche se sappiamo dell‟impatto ambientale dell‟oggetto di Tunguska e dei suoi
resti, sappiamo poco dell‟identità dell‟oggetto: era una cometa, un asteroide o
qualcos‟altro?

VI

L’incredibile viaggio di un buco nero


I mini buchi neri sono in gran parte frutto dell‟immaginazione degli scienziati, ma
forniscono una spiegazione così acuta e appropriata dell‟evento di Tunguska che
questa teoria è diventata parte del folklore ormai associato alla misteriosa palla di
fuoco. Nel 1973 i fisici teorici americani A.A. Jackson IV e Michael P. Ryan Jr
affermarono che, dal momento che non era mai stato trovato alcun cratere né
materiale meteoritico che potesse essere associato senza ombra di dubbio all‟evento,
un piccolo buco nero avrebbe potuto fornire la spiegazione di quanto accaduto a
Tunguska.
In un articolo su «Nature», Jackson e Ryan suggerirono che, dopo essere passato
attraverso l‟atmosfera, il buco nero sarebbe penetrato nella Terra. A causa della
durezza della roccia non ci sarebbe stato alcuno shock sotterraneo. Con la sua alta
velocità, il buco nero sarebbe passato direttamente attraverso la Terra in circa
quindici minuti e sarebbe uscito attraverso l‟Atlantico settentrionale, causando delle
onde d‟urto nell‟oceano e nell‟atmosfera.
Il mini buco nero era molto più piccolo del punto alla fine di questa frase, ma
aveva la massa di un grande asteroide e un forte campo gravitazionale che si
estendeva a una certa distanza dal corpo. Passando attraverso l‟aria divenne molto
caldo, producendo una profonda scia blu di particelle. Jackson e Ryan basarono il
loro argomento sull‟assunto che il danno causato dall‟esplosione della palla di fuoco
di Tunguska fosse equivalente a un‟esplosione nucleare di 2 megatoni. Calcolarono
che l‟energia totale dell‟esplosione del buco nero sarebbe stata dello stesso valore.

Un buco nero non è un aspirapolvere cosmico


Un buco nero è una stella che ha smesso di brillare. Ma perché? Una normale stella
è una delle più semplici entità in natura: è una sfera di gas costituita per il 73 per
cento di idrogeno, per il 25 per cento di elio e per il 2 per cento di altri elementi. La
temperatura al centro di una stella è molto elevata, abbastanza da fondere insieme
nuclei di idrogeno ed elio. La fusione nucleare produce energia che viene irradiata
dalla superficie della stella sotto forma di calore e luce.
Nell‟universo c‟è un numero di stelle pari a dieci volte i granelli di sabbia presenti
sulla Terra: 70.000 miliardi di miliardi di stelle (cioè un 7 seguito da 22 zeri), per
essere precisi. Le stelle ci sembrano tutte simili, ma non esistono due stelle uguali.
Gli astronomi classificano le centinaia di miliardi di stelle della nostra galassia in
base alla luminosità, al colore, alla grandezza e all‟età. A noi le stelle appaiono anche
sempre uguali nel corso del tempo, ma esse nascono, vivono per milioni di anni e poi
muoiono.
I luoghi di nascita delle stelle sono nubi nere di gas e polvere: ammassi di atomi di
idrogeno con una spruzzata di elio; non sono uniformi ma contengono zone diverse
per densità (da 1000 a 10 milioni di molecole per centimetro cubico), temperatura (da
-263 a -172 gradi Celsius) e forma (possono essere sferoidali oppure simili a tubi
allungati). La gravità cerca di comprimere queste nubi nel più piccolo spazio
possibile. La compressione fa sì che il gas si riscaldi. Alla fine la temperatura e la
pressione aumentano abbastanza da far infiammare il gas. L‟idrogeno comincia a
diventare elio, il che crea grandi quantità di energia. È nata una stella. Tutte le stelle
brillano per effetto della fusione tra idrogeno ed elio, che si verifica dentro i loro
centri caldi e densi, in cui le temperature possono raggiungere 20 milioni di gradi
Celsius.
Il nostro Sole è una stella; nel gergo astronomico una stella di sequenza principale.
Una stella di sequenza principale – e lo è il 90 per cento delle stelle – fonde i nuclei
di idrogeno con quelli di elio nel suo centro. Il Sole è vissuto 4600 milioni di anni
come una stella stabile, e ha davanti ancora molti milioni di anni. Dopo aver esaurito
il proprio idrogeno, il Sole comincerà a espandersi. Cambierà in un tipo di stella detta
gigante, e sarà almeno cento volte più splendente di adesso.
Dopo alcune migliaia di anni, il Sole gigante esaurirà completamente la propria
riserva di idrogeno e diventerà una nana bianca: non più grande della Terra, ma
talmente pesante che un cucchiaino della sua materia peserà migliaia di chili. Una
nana bianca è così calda che brilla di un bianco accecante. Nel corso di milioni di
anni, la nana bianca diventerà nera e fredda. Sarà allora una stella morta, una nana
nera.
Una stella pesante (una stella con una massa otto volte quella del Sole) ha una vita
breve ma intensa dopo essere diventata una supergigante. Esaurisce la sua energia
così abbondantemente che collassa nel giro di pochi milioni di anni.
Poi esplode come una supernova, che espelle un‟enorme quantità di materia e
illumina l‟intera galassia per pochi giorni. La restante materia forma una stella di
neutroni, larga solo 25 chilometri, che contiene neutroni molto compressi. Queste
stelle non brillano, e sono così pesanti che anche una punta di spillo della loro
materia ha una massa di milioni di tonnellate.
Talvolta il peso di una stella morente, come una stella di neutroni, la comprime
fino a un punto di densità infinita. A questo punto, noto come punto di singolarità, la
massa non ha volume e sia lo spazio che il tempo si fermano. La singolarità è
circondata da una superficie immaginaria conosciuta come orizzonte degli eventi, una
sorta di confine sferico a senso unico. Niente – nemmeno la luce – può sfuggire
all‟orizzonte degli eventi. La materia che cade in esso viene ingoiata e sparisce per
sempre. Ecco perché gli scienziati chiamano queste regioni dello spazio-tempo buchi
neri. Se un astronauta passasse attraverso l‟orizzonte degli eventi di un buco nero, le
forze gravitazionali deformerebbero il suo corpo in uno spaghetto molto lungo, e se
questo spaghetto esanime finisse nella singolarità del buco nero, i resti dell‟astronauta
sarebbero divisi in atomi.
Il raggio di un buco nero è lo stesso dell‟orizzonte degli eventi che lo circonda.
Esso è chiamato raggio di Schwarzschild, dall‟astronomo tedesco Karl Schwarzschild
che nel 1916 predisse l‟esistenza di un oggetto denso nel quale potessero cadere gli
altri oggetti, ma dal quale nessuno oggetto potesse mai uscire (poi l‟espressione
“buco nero” fu usata per la prima volta nel 1969 dal fisico americano John Wheeler;
prima di allora essi erano noti come “collassi” o “stelle ghiacciate”). Il raggio di
Schwarzschild è pressappoco pari a tre volte il peso del buco nero (nelle masse
solari). Un buco nero pesante come il Sole avrebbe un raggio di 3 chilometri, uno con
la massa della Terra di 4,5 millimetri; e uno con la massa di un piccolo asteroide
avrebbe pressappoco le dimensioni di un nucleo atomico. I particolari effetti di un
buco nero si verificano entro 10 raggi di Schwarzschild dal suo centro. Oltre questa
distanza molto limitata, l‟unico effetto è quello della normale spinta gravitazionale
del buco nero. Dunque, contrariamente alla credenza popolare, un buco nero non è un
aspirapolvere che risucchia tutto ciò che lo circonda.
Non molto tempo fa, i buchi neri appartenevano al regno della fantascienza, ma ora
ci sono prove convincenti della loro esistenza. Queste prove sono ancora
circostanziali: non c‟è modo di osservare direttamente i buchi neri. Ci sono almeno
due specie significative di buchi neri: quelli più piccoli (poco più grandi del Sole),
che orbitano attorno alle stelle normali, e i loro enormi parenti (dal peso pari a diversi
milioni di volte quello del Sole), che si trovano al centro di molte galassie. Si crede
che la nostra galassia abbia un buco nero relativamente piccolo, della grandezza pari
a 2,6 milioni quella del Sole. Un buco nero con una massa 100 milioni di volte quella
del Sole e un raggio di 25 milioni di chilometri si trova al centro di una galassia
distante 130 milioni di anni luce.
Nel 1971 il famoso fisico teorico Stephen Hawking – che ha fatto progredire
grandemente la nostra conoscenza dei buchi neri – propose che durante i primi istanti
del Big Bang, che ha segnato la nascita del nostro universo, alcune aree fossero state
spinte a contrarsi anziché a espandersi. Questo potrebbe aver compresso la materia in
buchi neri di dimensioni variabili dai pochi micrometri al metro (le loro masse vanno
dalle frazioni di un grammo a quelle di un grosso pianeta). Questa moltitudine di
primordiali o mini buchi neri potrebbe esistere ancora, includendone alcuni nel
sistema solare, o anche in orbita attorno alla Terra. Simili buchi neri non sono stati
ancora individuati: non esistono prove nemmeno circostanziali della loro esistenza.
Tre anni dopo, Hawking affermò che «i buchi neri non sono davvero neri:
splendono come un corpo caldo e più piccoli sono, più splendono». Ipotizzò un
meccanismo in base al quale i buchi neri trasformassero la loro massa in radiazioni e
in particelle che lasciano il buco nero con il risultato di far gradualmente evaporare i
buchi neri. Essi pertanto non durano per sempre. La quantità di radiazioni, ora
conosciute come radiazioni di Hawking, che sfugge a un buco nero è proporzionale al
quadrato della sua massa: cioè, più piccolo è il buco nero, minore è la durata della sua
vita. Un buco nero primordiale con la massa iniziale del monte Everest (e le
dimensioni di un nucleo atomico) avrebbe una vita più o meno uguale alla durata
dell‟universo, cioè 14 milioni di anni; ma un buco nero con la massa iniziale del Sole
sparirebbe dopo 100 milioni di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi
di miliardi di anni (1 seguito da 62 zeri).
Quando Jackson e Ryan proposero la loro impeccabile teoria scientifica del buco
nero, ricordarono che molti tentativi erano stati fatti per spiegare l‟evento di
Tunguska, «tentativi che andavano dal prosaico al bizzarro», e suggerirono che «un
buco nero dalla massa substellare, di quelli ipotizzati da Hawking, avrebbe potuto
spiegare molti misteri associati all‟evento». La loro spiegazione non è mai stata
definita “prosaica” o “bizzarra”, ma quantomeno “immaginifica e intrigante” da
alcuni scienziati.
Come può un piccolo buco nero spiegare l‟evento di Tunguska? L‟ipotesi di
Jackson e Ryan si basava su tre principali argomenti.
• Alta velocità. I ricercatori assumevano che il buco nero avesse la massa di un
grosso asteroide (dai centomila ai dieci milioni di miliardi di tonnellate), ma il suo
raggio geometrico poteva essere misurato in micrometri. Comunque, il suo campo
gravitazionale poteva essere forte abbastanza anche a una certa distanza dal corpo.
Assumevano anche che la velocità di fuga del buco nero – la velocità minima che un
oggetto deve avere per liberarsi dall‟attrazione gravitazionale di un pianeta o di una
stella – era leggermente più elevata di quella della Terra, che è di circa 40.000
chilometri orari. Calcolarono che, se un buco nero partisse nello spazio interstellare
con una velocità pari a zero e cadesse liberamente verso l‟orbita della Terra, la sua
velocità relativa alla Terra sarebbe tra i 36.000 e i 360.000 chilometri orari. Quindi il
buco nero viaggerebbe attraverso gli ultimi 30 chilometri dell‟atmosfera circa in un
secondo.
• “Tubo” di un blu brillante. L‟aria intorno al buco nero in movimento si
surriscalderebbe tra i 10.000 e i 100.000 gradi Celsius. Così, gran parte delle
radiazioni dell‟urto frontale sarebbero raggi ultravioletti. La colonna di plasma che li
accompagnerebbe apparirebbe quindi blu. «Questi risultati concordano abbastanza
con i racconti dei testimoni oculari dell‟evento e con le misurazioni degli schemi
degli alberi divelti del luogo» hanno affermato Jackson e Ryan.
• Nessun cratere. «Il fatto che il buco nero non ha lasciato alcun cratere o materiale
residuo spiegherebbe il mistero dell‟evento di Tunguska. Sarebbe entrato nella Terra
e la durezza della roccia avrebbe evitato le onde d‟urto sotterranee. A causa della sua
elevata velocità e del fatto che perde solo una frazione di secondo della sua energia
passando attraverso la Terra, il buco nero ha probabilmente seguito una linea retta
attraverso la Terra, entrando a 30 gradi nell‟orizzonte e lasciandola attraverso
l‟Atlantico settentrionale.» Al punto d‟uscita ci sarebbe stata un‟altra onda d‟urto e
un disturbo sulla superficie del mare. Jackson e Ryan suggerirono di studiare le
registrazioni oceanografiche e delle navi, per vedere se fosse stata osservata qualche
turbolenza in superficie o sott‟acqua.
Gli scienziati hanno trovato, perdonate il gioco di parole, molti buchi nella teoria
del buco nero. «Il buco nero sarebbe andato dritto attraverso la Terra ma
sfortunatamente per la teoria (e fortunatamente per noi) il punto di uscita – latitudine
40°, 50‟ a nord, longitudine 30°, 40‟ a ovest – nel mezzo dell‟Atlantico non è stato
segnato da uno shock e da un‟onda d‟urto ugualmente forti» commentava
l‟astronomo britannico David Hughes su «Nature».
Gerald Wick e John Isaacs della Scripps Institution of Oceanography in California
scrissero sempre su «Nature»: «Questo minuscolo, ipotetico oggetto non può spiegare
tutti gli importanti fenomeni che sappiamo aver accompagnato l‟evento».
L‟argomento principale si concentrava sui piccoli globuli magnetici con un contenuto
di nichel troppo alto per la regione di Tunguska il quale confermava che i globuli
erano di origine extraterrestre, ma non assicurava necessariamente che avessero avuto
origine nell‟esplosione di Tunguska.
«Molti campioni di suolo raccolti a caso nel globo conterrebbero simili polveri
cosmiche. La struttura spaziale dei globuli raccolti a Tunguska, comunque, dimostra
che le polveri cosmiche hanno avuto probabilmente origine da un massiccio corpo
meteoritico di dimensioni ben più elevate di pochi angstrom.» I due studiosi in ogni
caso erano concordi nell‟affermare che la loro contestazione non precludeva la
possibilità che un buco nero avesse compresso il nucleo di una cometa o che i buchi
neri potessero essere agenti che frequentemente condensano i materiali in questi
corpi.
William Beasley a Brian Tinsley dell‟Università del Texas a Dallas sostennero su
«Nature» che molte prove rendevano la teoria dei buchi neri estremamente
improbabile.
• Molte caratteristiche dell‟evento indicano che la parte principale dell‟energia
confluì in un‟esplosione nell‟aria. Queste caratteristiche includono alberi sparsi sul
suolo, senza rami o corteccia, nella direzione opposta al centro della caduta; un
intenso fuoco che aveva carbonizzato gli alberi; e, nelle scarpate, alberi parzialmente
protetti che erano rimasti eretti, ma con molte delle loro cime spezzate. Un meteorite
tipico si seppellisce sotto la superficie e poi dissipa la sua energia in un‟esplosione
sotterranea. Il cratere della Meteora in Arizona è stato prodotto in questo modo.
Nessuno scavo significativo è stato invece causato dall‟esplosione di Tunguska.
• Un piccolo nucleo cometario, fatto di una massa di gas ghiacciato mista a ferro-
nichel e particelle di silicato, avrebbe avuto un basso grado di coesione, e si sarebbe
frammentato in aria dissipando molta della sua energia cinetica prima di raggiungere
la superficie. Un piccolo buco nero potrebbe produrre una simile esplosione nell‟aria,
ma avrebbe attraversato la Terra in 10 o 15 minuti e causato un‟esplosione simile nel
suo punto di uscita, che sarebbe stato nell‟Atlantico settentrionale.
• Circa cinque ore dopo l‟esplosione di Tunguska, sei microbarografi in Inghilterra
ne hanno registrato le onde sonore. La distanza approssimativa dal punto dell‟impatto
al centro delle stazioni del microbarografo è di 5720 chilometri, così la velocità
media delle onde era di circa 1150 chilometri orari, che è quasi il valore normale per
questo tipo di onde. È chiaro che le onde registrate provenivano dalla Siberia e non
dall‟Atlantico settentrionale. Le onde sonore provenienti dal sito dell‟ipotizzata
esplosione d‟uscita avrebbero dovuto, in ogni caso, arrivare in Inghilterra tre ore
prima dell‟arrivo dell‟onda siberiana. Beasley a Tinsley sottolinearono di aver
esaminato copie delle registrazioni dei microbarografi inglesi, ma di non aver trovato
alcun segno delle onde dal punto di uscita nell‟Atlantico.
• Uno spesso tracciato di polvere lungo il percorso della palla di fuoco subito dopo
il suo passaggio fu notato dai testimoni oculari. Questa osservazione è coerente con il
deposito di materiale nell‟atmosfera, piuttosto che con la perdita di aria intorno a un
buco nero.
• Le notti eccezionalmente luminose in Siberia e in Europa implicano che il
materiale extraterrestre sia stato depositato nella parte superiore dell‟atmosfera
simultaneamente all‟impatto. «L‟ampia area del deposito atmosferico è comparabile
alle dimensioni della coda di una cometa e non è compatibile con l‟idea del lento
trasporto di polvere in senso verticale e orizzontale dal livello di base
dell‟esplosione.» Questo deposito di polvere nella parte superiore dell‟atmosfera
avrebbe potuto determinare le nubi nottilucenti che spiegherebbero le notti luminose.
«Tutte le prove sono a favore dell‟idea che l‟impatto che ha causato la catastrofe di
Tunguska coinvolse un corpo con caratteristiche simili a quelle di un nucleo
cometario, piuttosto che a quelle di un buco nero» concludevano Beasley e Tinsley.
Un‟ulteriore sfida alla teoria del buco nero venne dagli scienziati americani Jack
Burns, George Greenstein e Kenneth Verosub. Su «Monthly Notices of the Royal
Astronomical Society» discussero sulle contraddizioni nei cambiamenti termici del
suolo previsti e osservati e sull‟attività sismica associata all‟evento. «Il punto di
entrata del buco nero nella Terra avrebbe dovuto essere segnato da un sentiero di
roccia sciolta e risolidificata del diametro da 0,5 a 4 chilometri su un suolo fuso di
estensione paragonabile. Penetrando nel suolo, il buco avrebbe vaporizzato l‟acqua,
ossidato la materia organica e fuso il resto del materiale quale quarzo, fillosilicati e
mica… Il punto dell‟impatto sarebbe perciò stato segnato da una depressione.» La
Palude del Sud, o Grande Calderone di Kulik, è sì una depressione, ma gli studiosi
precisarono che «essa potrebbe essere precedente all‟evento di Tunguska e non
collima con le altre spiegazioni».
I calcoli di Burns, Greenstein e Verosub dimostravano che il buco nero di Jackson
e Ryan avrebbe rilasciato nella Terra energia sismica tra 1 milione e 100.000 milioni
di megatoni di tritolo, mentre il più forte terremoto mai registrato (magnitudine 8,3)
ha rilasciato un‟energia pari a 50 megatoni: «L‟assenza di un‟enorme attività sismica
associata con l‟evento di Tunguska preclude perciò la spiegazione del piccolo buco
nero».
Un‟annotazione alla popolare teoria di Jackson e Ryan apparve nel libro di Rupert
Furneaux Spaziali in Siberia? del 1977. Nell‟apprendere che nessuna pulsazione di
uscita era stata riscontrata sui microbarografi inglesi, gli scienziati furono contrariati
dal rifiuto della loro teoria: «Comincia a sembrare che l‟evento di Tunguska sia più
bizzarro di qualsiasi spiegazione fornita».
Molti decenni sono passati dalla pubblicazione della teoria del buco nero di
Jackson e Ryan. Ora abbiamo una conoscenza migliore dei buchi neri. Questa
conoscenza sostiene la loro teoria? Nessuna teoria scientifica esclude che un buco
nero vagante colpisca la Terra, ma la questione è: davvero un mini buco nero ha
attraversato la Terra la mattina del 30 giugno 1908?

VII

Questioni di materia
L‟idea dell‟atomo può aver avuto origine a Babilonia o in Egitto o anche in India,
ma la storia della materia è cominciata in Grecia nel V secolo a.C., con Leucippo e il
suo discepolo Democrito. Essi pensavano che la materia fosse composta di spazio
vuoto e di un numero infinito di minuscole e indistruttibili particelle dette atomos.
Ma Aristotele e altri filosofi greci preferirono i “loro” elementi – terra, aria, fuoco e
acqua – dai quali l‟intero mondo era stato creato, e l‟idea di Democrito andò persa
per due millenni. Fu riscoperta ed estesa nel 1808 da John Dalton, quacchero,
professore di matematica e filosofia a Manchester, che per primo formulò una teoria
atomica.
Il primo modello fisico dell‟atomo fu proposto nel 1898, quando il fisico britannico
Joseph John Thomson, che l‟anno prima aveva scoperto l‟elettrone, suggerì che gli
atomi fossero simili a un pudding, in cui l‟“uvetta”, cioè gli elettroni caricati
negativamente, è incorporata in un “pudding” sferico di protoni caricati
positivamente. Questo delizioso modello fu demolito all‟inizio del XX secolo quando
Ernest Rutherford, professore di fisica dell‟Università di Manchester, dimostrò che
l‟atomo era simile a un sistema solare in miniatura, con gli elettroni che orbitavano
intorno a un sole centrale o nucleo. Dopo aver annunciato il suo modello, il
professore, famoso in tutto il mondo, con un largo sorriso disse, riguardo ai suoi
detrattori: «Alcuni di loro pagherebbero mille sterline per poterle confutare».
Nessuno ebbe il coraggio – o le mille di sterline – per sfidare il modello, che presto,
con alcuni cambiamenti, sarebbe divenuto l‟immagine con cui ancora adesso
conosciamo l‟atomo.
Mentre gli studenti lottavano per comprendere la struttura dell‟atomo formata da
tre particelle, i fisici proposero complessi modelli quantistici dell‟atomo e scoprirono
un intero “zoo” di particelle elementari (così tante, in realtà, da far affermare a Enrico
Fermi: «Se fossi riuscito a ricordare i nomi di tutte queste particelle, sarei diventato
un botanico»), le più famose delle quali sono i quark, ipotizzati nel 1964 dal fisico
americano Murray Geli-Mann, che nel 1969 vinse il premio Nobel per la fisica per il
suo lavoro su di essi. Il loro nome deriva dalla frase «Three Quarks for Muster Mark»
del romanzo di Joyce Finnegans Wake. Fino a poco tempo fa, i quark venivano
considerati i mattoni della materia, ma alcuni fisici credono ora che essi siano
costituiti di particelle ancora più piccole. La fisica dei quark e delle altre particelle
elementari è molto complessa, ma in parole povere possiamo dire che ciascuna
particella ha tre caratteristiche principali: la massa (alcune particelle non hanno
massa), la carica (ogni particella ha una carica positiva, negativa o neutra) e la
rotazione (ogni particella ruota come una trottola).

Dalla materia all’antimateria


Se siete dei fan di Star Trek saprete probabilmente che l‟astronave Enterprise è
azionata dall‟antimateria. L‟antimateria non è roba da fantascienza: esiste davvero.
Nel lontano 1898, Arthur Schuster, un fisico britannico, suggerì l‟affascinante idea
che potesse esistere un tipo particolare di materia con proprietà speculari a quelle
della normale materia. In una lettera a «Nature» domandava: «Se c‟è un‟elettricità
negativa, perché non un oro negativo, giallo come il nostro?». Aggiunse che questa
speculazione era solo un “sogno”. Nel 1928, il grande fisico teorico britannico Paul
Dirac fornì le basi per il sogno di Schuster. Dirac ipotizzò che l‟elettrone, che ha una
carica negativa, dovesse avere una controparte positivamente carica: «Questa sarebbe
un nuovo tipo di particella, sconosciuta alla fisica sperimentale, avente la stessa
massa e carica opposta a quella dell‟elettrone. Potremmo chiamare questa particella
“antielettrone”».
La scoperta nel 1932 dell‟antielettrone (ora conosciuto come “positrone”, che sta
per “elettrone carico positivamente”) nella radiazione cosmica da parte del fisico
americano Carl Anderson confermò l‟azzardata ipotesi di Dirac. Ventitré anni dopo,
gli scienziati della University of California di Berkeley crearono l‟antiprotone in un
acceleratore di particelle. Sappiamo ora che ogni particella fondamentale ha
un‟antiparticella, un gemello speculare con la stessa massa ma di carica opposta.
L‟idea delle antiparticelle è ora applicata anche agli atomi: gli antiatomi formano
l‟antimateria. Quando l‟antimateria incontra la materia ordinaria, esse si annullano
l‟un l‟altra e scompaiono in una violenta esplosione in cui la massa è convertita in
2
energia, come detta la famosa equazione di Einstein E=mc , dove E è l‟energia, m la
massa, e c la velocità della luce. L‟energia rilasciata nell‟annullamento materia-
antimateria è imponente: in una collisione di protoni e antiprotoni, l‟energia per
particella è vicina a 200 volte quella disponibile in una bomba a idrogeno.
Se la materia e l‟antimateria si annullano l‟un l‟altra, non c‟è niente di simile
all‟antimateria sulla Terra, o nel sistema solare. Il vento solare, l‟emanazione di
particelle cariche emesse dal Sole in tutte le direzioni, annullerebbe l‟antimateria. Gli
scienziati ipotizzano che l‟antimateria potrebbe esistere in altre parti dell‟universo,
ma finora non hanno trovato alcuna prova. Ciò tuttavia non ha loro impedito di creare
l‟antimateria in laboratorio.
Un gruppo di scienziati del CERN, il laboratorio europeo di fisica delle particelle di
Ginevra, lo ha fatto all‟inizio del 1996. Per circa quindici ore hanno bombardato
un‟emissione di atomi di xeno con un raggio antiprotone. Le collisioni tra gli
antiprotoni e i nuclei di xeno hanno prodotto elettroni e positroni. Questi positroni si
sono poi combinati con altri antiprotoni nel raggio, per produrre antidrogeno, il più
semplice antiatomo. Gli scienziati hanno individuato nove atomi di antidrogeno.
L‟idrogeno è l‟elemento più semplice (un elettrone che orbita intorno a un solo
protone nucleare) e più abbondante (forma il 75 per cento dell‟universo) dei 114 a noi
noti. Un atomo di antidrogeno avrebbe un positrone che orbita intorno a un solo
antiprotone. «È davvero la prova che esiste un antimondo» esultò il capo del gruppo
di ricerca del CERN, Walter Oerlert dell‟Istituto di fisica nucleare in Germania. Dal
1996, gli scienziati del CERN hanno regolarmente sintetizzato atomi di antidrogeno e
hanno finora raccolto molte centinaia di migliaia di essi. Questa raccolta consentirà
agli scienziati di comprendere le proprietà dell‟antidrogeno.
Quindi, ora che c‟è la prova che l‟antimateria esiste, per cosa possiamo usarla? Dal
momento che l‟annullamento della materia con l‟antimateria crea un‟enorme quantità
di energia – centinaia di volte la quantità generata in una reazione nucleare – viene la
tentazione di guardare all‟antimateria come a una potenziale fonte di energia. Questa
energia potrebbe un giorno fornire il carburante per i viaggi interstellari, allo stesso
modo in cui l‟annullamento materia-antimateria fa volare l‟astronave Enterprise. La
quantità di antimateria richiesta per i voli spaziali è incredibilmente scarsa. Poche
centinaia di microgrammi potrebbero far arrivare un‟astronave fino a Giove, e il
viaggio durerebbe soltanto un anno.
Se trovate tutto questo troppo fantasioso, che dire dell‟idea di un antiuniverso, un
universo parallelo al nostro? Entrateci e troverete la vostra controparte antimateria:
l‟anti-voi. Ma non stringetegli la mano: vi annullereste l‟un l‟altro.

L’antimateria a Tunguska
Nel 1940, quando l‟idea dell‟antimateria non era nulla più che un insieme di
equazioni matematiche, lo scienziato russo Vladimir Rojanskij suggerì la possibilità
dell‟esistenza nello spazio di meteoriti contraterreni (contraterreno, o CT, è un termine
obsoleto per indicare l‟antimateria, ma era un tempo molto popolare nella
fantascienza; la materia ordinaria era detta terrena). Rojanskij affermò anche che un
simile meteorite «sarebbe stato interamente spazzato via prima di raggiungere il
livello del mare».
Nello stesso anno, il «New York Times» del 15 settembre riportava: «Mentre ieri
mattina il cutter Rockit II, lungo 22 piedi, stava attraversando Long Island Sound
vicino a Bridgeport, Connecticut, con quattro tranquille persone a bordo, una
conchiglia ha attraversato la sua prua ed è esplosa a cento metri di distanza». Un
passeggero ricordava: «È stata un‟esperienza inquietante, prima lo stridio, uno strano
rumore. Poi, un attimo dopo, l‟esplosione, vicino alla prua, a dritta. Innalzò una
grande colonna d‟acqua, a diversi metri di altezza. È stata la cosa più strana nel
mezzo del tranquillo Sound. Per fortuna non c‟erano altre imbarcazioni vicine o un
aereo in cielo!».
Le autorità indagarono sull‟accaduto e scoprirono che nessuna mina poteva essere
esplosa vicino alla barca. Dato che un meteorite sull‟acqua non esploderebbe, molti
astronomi del tempo ipotizzarono che l‟esplosione potesse essere dovuta alla caduta
di un minuscolo meteorite contraterreno. In un commento sul mistero del Rockit II in
«Popular Astronomy», Samuel Herrick Jr, un astronomo della University of
California, sostenne l‟ipotesi del meteorite contraterreno e disse che Paul Dirac e gli
altri scienziati «dovevano congratularsi per una delle più ingegnose (e appassionanti)
ipotesi degli ultimi anni». Consigliò inoltre che i suoi colleghi astronomi
«distinguessero tra le palle di fuoco altamente esplosive o i bolidi dai quali nessun
materiale raggiunge il suolo, che potrebbero dunque essere contraterreni, e quelli che
sono la fonte dei meteoriti terrestri».
Questo dibattito sui meteoriti contraterreni indusse Lincoln La Paz – un importante
esperto americano di meteoriti, che nutriva un forte interesse per le spedizioni a
Tunguska di Kulik e tradusse molti dei suoi saggi in inglese – a suggerire, nel 1941,
che il meteorite di Tunguska fosse di natura contraterrena a causa della grande
quantità di energia rilasciata, l‟assenza di crateri di impatto e di nichel-ferro la cui
presenza è collegata ai meteoriti: «Se un meteorite ferroso contraterreno, di
dimensioni paragonabili a quelle dei più grandi ferrosi che si ipotizza siano caduti,
dovesse colpire la Terra, ne risulterebbe un‟esplosione estremamente potente, poiché,
in aggiunta alla grande quantità di energia di moto delle masse meteoritiche, una
grande quantità di energia si libererebbe dal suo annichilimento e nessun materiale
meteoritico originario rimarrebbe nel luogo dell‟esplosione».
Le spiegazioni di Herrik e La Paz provocarono una risposta un po‟ risentita da
parte di Harvey H. Nininger, un noto esperto di meteoriti e presidente della American
Society for Research on Meteorites. Affermò che entrambi i fenomeni potevano
essere spiegati da fatti dimostrati senza assumere l‟esistenza di alcun «materiale
puramente ipotetico. Stiamo sicuramente preparando un ritorno ai giorni di “spiriti e
mistero” quando abbandoniamo le faticose (o anche massacranti) indagini e
cerchiamo rifugio in ipotesi non comprovate, specialmente quando quelle ipotesi
restano semplici asserzioni!». (Nel 1928, Nininger aveva esortato le associazioni di
studiosi americani a inviare una spedizione in Siberia «per assicurarsi cosa fosse
ancora disponibile del più grande messaggio dalle profondità dello spazio che abbia
mai raggiunto questo pianeta», ma nessuna mostrò alcun interesse.)
Quando stimati scienziati del calibro di Willard Libby, che aveva sviluppato la
tecnica di datazione col carbonio-14, e dei suoi colleghi Clyde Cowan e C.R. Atluri
suggerirono nel 1965 che l‟oggetto di Tunguska fosse composto di antimateria, non
correvano il rischio di ritornare ai giorni di “spiriti e mistero”. Dall‟avvertimento di
Nininger nel 1941 molto era stato scoperto sull‟antimateria. Sebbene la sua esistenza
dovesse ancora essere sperimentalmente dimostrata, l‟antimateria non era più
considerata puramente ipotetica.
Nel loro dettagliato saggio di ricerca su «Nature», i tre scienziati americani
individuarono la possibilità di una reazione di fusione o fissione nucleare e si
schierarono a favore dell‟ipotesi dell‟antimateria. Sostennero che né la fissione né la
fusione potevano spiegare gli effetti dell‟esplosione di Tunguska. Per avviare una
reazione a catena (nella quale un pesante nucleo atomico si divide in un nucleo più
leggero) si richiede una massa critica di materiale di fissione come plutonio o uranio.
L‟esplosione di molti megatoni a Tunguska avrebbe richiesto una grande massa
iniziale – molto più elevata della massa critica – il che pare improbabile. D‟altra parte
la fusione (nella quale nuclei atomici più leggeri si combinano per formare un nucleo
più pesante) richiede una quantità sufficiente di deuterio molto compresso, che deve
essere riscaldato fino a diversi milioni di gradi Celsius. Una temperatura così alta non
potrebbe essere ottenuta semplicemente con l‟ingresso nell‟atmosfera.
L‟ipotesi dell‟antimateria poteva spiegare l‟elevato campo energetico
dell‟esplosione di Tunguska, ma i ricercatori puntualizzarono subito che numerose
obiezioni si sollevavano immediatamente riguardo a quest‟ipotesi. Due forti obiezioni
erano la mancata prova dell‟esistenza dell‟antimateria e il fatto che l‟oggetto di
antimateria avrebbe cominciato a disintegrarsi nel momento in cui fosse entrato
nell‟atmosfera: il suo più vasto campo energetico si sarebbe collocato dunque più
verso la metà del percorso che verso la sua fine. Fra i tre modelli per l‟esplosione
nucleare, decisero a favore dell‟annichilimento dell‟antiroccia nell‟atmosfera. I loro
calcoli mostrarono che se l‟esplosione di Tunguska fosse stata dovuta a un‟antiroccia,
avrebbe avuto l‟effetto di una bomba a fusione o fissione da 50 megatoni.
L‟esplosione avrebbe anche generato migliaia di miliardi di atomi di carbonio-14.
Dal momento che l‟attendibilità dell‟ipotesi dell‟antimateria del trio americano
dipendeva dalla scoperta di grandi quantità del radioattivo carbonio-14 negli alberi,
essi analizzarono il contenuto del carbonio-14 nelle sezioni di un abete di trecento
anni, che era caduto nel 1951 a Tucson, in Arizona, e di una quercia abbattuta nel
1964 vicino a Los Angeles. Contarono circa 90.000 parti di carbonio-14 negli anelli
degli alberi formatisi tra 1870 e il 1930, che dimostravano che la quantità
raggiungeva un picco nel 1909. L‟aumento, comunque, era molto inferiore a quello
che avevano previsto. La loro conclusione in ogni caso fu che, sebbene vi fossero
incertezze, i dati conducevano a un risultato positivo.
Le recenti misurazioni dimostrano anch‟esse un aumento nel carbonio-14, ma non
abbastanza da supportare l‟idea di un annichilimento causato da un‟esplosione
nucleare, sia essa per fissione o fusione di antimateria.
Un decennio dopo la pubblicazione dell‟ipotesi dell‟antimateria, Hall Crannel della
Catholic University of America guardò ad altri modi di misurare il contenuto
dell‟antimateria dell‟oggetto di Tunguska. Affermò che il silicio, e in certa misura
anche l‟alluminio, sono elementi che abbondano nelle rocce. Quando l‟antiroccia di
Tunguska colpì il suolo, il normale alluminio fu trasformato in alluminio-26
radioattivo. Se il contenuto di alluminio-26 nelle rocce o nel suolo è misurato in
funzione della distanza dal centro dell‟esplosione, suggerì, la più elevata
concentrazione di alluminio-26 dovrebbe riscontrarsi vicino al centro. Nessuno ha
ancora operato queste misurazioni.
L‟astronomo britannico David Hughes respinse l‟ipotesi dell‟antimateria sulla base
che «è difficile comprendere come sia potuta penetrare a una tale profondità
nell‟atmosfera e perché l‟esplosione abbia raggiunto l‟apice alla fine della traiettoria
e non a metà strada».

Dall’antimateria alla materia specchio


L‟idea di un “mondo specchio” fu suggerita per la prima volta nel 1956 dai fisici
cino-americani Chen Ning Yang e Tsung Dao Lee. Ma prima che entriate nel loro
“mondo-specchio”, è necessaria una breve lezione sulle particelle fisiche.
L‟universo è tenuto assieme da quattro tipi di forze fondamentali – la gravità,
l‟elettromagnetismo, la forza forte e la forza debole – che sono trasmesse o
“connesse” dallo scambio di particelle elementari. La forza gravitazionale, o di
gravità, è la forza a lungo raggio responsabile dell‟attrazione che esiste tra tutta la
materia: tiene voi per terra e la Terra nella sua orbita. Il suo campo d‟azione non ha
limiti. La forza elettromagnetica è l‟attrazione e la repulsione tra particelle cariche:
consente alle lampadine di splendere e a un magnete di restare attaccato al vostro
frigo. Anche il suo campo d‟azione è illimitato. La forza forte è la “colla” che tiene
insieme un nucleo atomico: lega i quark per formare i protoni e i neutroni. La forza
debole è anch‟essa un tipo di forza nucleare: fa sì che le particelle elementari
vengano sparate fuori dal nucleo durante la decadenza chimica di elementi quali
l‟uranio. I raggi d‟azione della forza forte e di quella debole sono estremamente
piccoli. La forza elettromagnetica, quella forte e quella debole sono molto simili e
ben comprese dai fisici, ma la gravità è ancora un mistero, e si sa poco della sua
relazione con le altre forze.
L‟esistenza dell‟antimateria induce all‟idea della simmetria: ogni particella ha un
gemello speculare. Un‟antiparticella apparirebbe proprio come una particella
ordinaria, eccetto per il fatto che la destra sarebbe invertita con la sinistra. I fisici la
chiamano parità invertita (parità è semplicemente una parola più bella per sinistra-
destra o simmetria speculare). La simmetria si applica anche alle leggi della fisica che
governano l‟interazione tra le particelle elementari. Tutte le leggi originali
dovrebbero continuare a funzionare allo stesso modo: qualsiasi cosa possa accadere
nel mondo reale accadrà anche in quello dell‟antimateria.
Ma la simmetria della natura è imperfetta: certe interazioni delle particelle
elementari producono sempre una particella che ruota nella stessa direzione. Per
esempio, quando un atomo emette un neutrino ruota sempre nella stessa direzione, di
fronte a voi in senso orario. Se però lo guardaste riflesso in uno specchio, il neutrino
ruoterebbe in senso antiorario. Per contro, gli elettroni possono ruotare in entrambe le
direzioni. Dal momento che molte particelle mostrano una preferenza per la sinistra
piuttosto che per la destra, il mondo parrebbe essere mancino. Perché? I fisici non lo
sanno.
Nel 1956 Yang e Lee suggerirono che la prova della simmetria sinistra-destra fosse
debole nelle interazioni che coinvolgevano la forza debole (che indussero Wolfgang
Pauli, che aveva ipotizzato l‟esistenza dei neutrini nel 1930, ad affermare: «Non
posso credere che Dio sia un mancino debole»). Questa previsione fu subito
confermata sperimentalmente da altri fisici. La simmetria specchio o parità era ormai
morta. L‟asimmetria era il nuovo re. La scoperta dell‟asimmetria fece guadagnare a
Yang e Lee il premio Nobel per la fisica proprio un anno dopo.
Come dei diligenti contabili, Yang e Lee dovevano bilanciare i libri. Proposero un
modo per restaurare la perfetta simmetria destra-sinistra in natura: ciascuna particella
destrorsa doveva avere una controparte mancina e viceversa. Ciò significa che in
aggiunta al mondo dell‟antimateria, potrebbe anche esistere un mondo-specchio: un
mondo di pianeti specchio, stelle specchio e anche vita specchio, tutto governato da
forze specchio. Questo mondo è meraviglioso al pari di quello in cui Alice entrò
Attraverso lo specchio.
In questo mondo, le particelle sono destrorse o immagini specchio delle particelle
ordinarie. Hanno anche la stessa massa dello loro controparti ordinarie. Perciò, una
forza che agisce sia sulla materia ordinaria che su quella specchio è la forza di
gravità. Ma non ci sarebbe alcuna interazione tra la materia ordinaria e la materia
specchio attraverso le altre tre forze della natura – quella elettromagnetica, la forza
forte e la forza debole. Potremmo individuare la forza gravitazionale quando la
materia specchio si avvicina a quella ordinaria. L‟individuazione di questa forza
tradirebbe la presenza di invisibile materia specchio. La verificabilità di quest‟idea
porta la materia specchio dal regno della fantascienza alla realtà.
Poiché siamo fatti di materia ordinaria, non possiamo né vedere né sentire l‟odore
della materia specchio (o dei nostri gemelli specchio, anche se fossero vestiti con i
loro più appariscenti abiti di materia specchio e cosparsi di profumo di materia
specchio). Se incontraste il vostro gemello in materia specchio, passereste avanti.
Anche voi sareste invisibili al vostro gemello.
Nessuna materia specchio è mai stata scoperta o creata in laboratorio, ma i neutrini
forniscono una nebbiosa occhiata nel mondo specchio. I neutrini sono le particelle
elementari più pervasive dell‟universo. Ci sono circa 50 miliardi di neutrini per ogni
elettrone; sono dappertutto ma non possono essere visti e raramente interagiscono con
la materia. Decine di migliaia passano attraverso il nostro corpo ogni secondo. Non
hanno alcuna carica e, sebbene prima si pensasse che essi non avessero alcuna massa,
si crede ora che ne abbiano una piccola quantità. Ci sono tre tipi di neutrini –
muonici, elettronici e tau – e sono tutti creati al centro del Sole, nelle supernova e nei
raggi cosmici che colpiscono l‟atmosfera superiore. (Nel suo famoso libro II quark e
il giaguaro, Murray Geli-Mann scrive che i neutrini prodotti dal Sole «raggiungono
la superficie della terra piovendo su di noi durante il giorno, e di notte emergono
verso di noi attraverso la Terra». Quest‟aspetto del comportamento del neutrino ha
ispirato lo scrittore John Updike a scrivere una poesia intitolata Cosmic Gall. Eccone
un estratto: «la Terra è per loro soltanto una stupida palla / attraverso cui passare /
come granelli di polvere in una stanza aerata / o fotoni attraverso un vetro».)
I fisici hanno calcolato il numero di neutrini elettronici che dovrebbero raggiungere
la Terra dal Sole. Ma ne hanno rintracciati meno del previsto. Recenti esperimenti
hanno dimostrato che i neutrini possono cambiare da un tipo all‟altro. Alcuni tipi di
neutrini non sono rilevati dagli appositi detector, il che spiega la discrepanza. I
sostenitori della materia specchio risolvono l‟enigma dei neutrini solari mancanti
suggerendo l‟esistenza di un quarto tipo: i neutrini specchio, talmente evanescenti da
non rendere nota la propria presenza ai disorientati fisici.
Ci sono buone notizie invece per coloro che credono nell‟esistenza della materia
specchio, grazie a una particella detta ortopositronio. Il positronio è simile a un atomo
di idrogeno, ma invece di un elettrone che orbita intorno a un protone, l elettrone
orbita intorno a un positrone, la sua controparte di antimateria. Se la rotazione
dell‟elettrone e quella del positrone vanno nella stessa direzione, l‟atomo prende il
nome di ortopositrone. Nel 1986, il fisico di Harvard e premio Nobel Sheldon
Glashow suggerì che l‟ortopositronio potesse oscillare tra l‟ortopositronio specchio e
quello ordinario, saltando avanti e indietro attraverso lo specchio.
L‟ortopositronio è effimero: dura solo 142 nanosecondi prima che i suoi
componenti si annullino gli uni con gli altri in un‟esplosione di piccola energia nella
forma di tre irrintracciabili fotoni. Negli anni Novanta, quando i fisici produssero una
certa quantità di ortopositronio, riscontrarono che la sua vita era invece inferiore ai
142 nanosecondi. Nel 2000 Robert Foot dell‟Università di Melbourne e Sergej
Gninenko del CERN suggerirono che tale discrepanza si potesse spiegare con
l‟ortopositronio specchio: l‟ortopositronio mutava rapidamente in materia specchio e
tornava indietro. L‟ortopositronio specchio non sarebbe stato rilevato e questo poteva
dar ragione delle misurazioni di una più breve durata.
Sebbene la materia specchio dovrebbe interagire con quella ordinaria soltanto
attraverso la gravità, esperimenti recenti suggeriscono una piccola attrazione
elettromagnetica tra le particelle specchio e quelle ordinarie, probabilmente dovuta
alla piccola carica elettrica che si crede abbiano gli elettroni e i protoni specchio. Tale
carica è circa un milionesimo di quella dei loro corrispettivi ordinari. La piccola
interazione elettromagnetica tra le particelle specchio e quelle ordinarie, se esiste, ha
delle interessanti implicazioni. Renderebbe le stelle specchio visibili se avessero
inglobata della materia ordinaria. Questa interazione sarebbe anche sufficiente a
scaldare un corpo di materia specchio se entrasse nel mondo specchio.

Materia specchio a Tunguska


Robert Foot, che ha studiato la materia specchio dal 1991, si interessò all‟evento di
Tunguska quando, nel 1999, vide un documentario televisivo sull‟evento. Si convinse
che questo non era stato pienamente compreso dagli scienziati e che essi stavano
ignorando prove cruciali quali i buchi a imbuto scoperti da Kulik. Pensò anche che
fosse piuttosto strano che un asteroide di materia ordinaria o una cometa potessero
scomparire completamente nell‟aria senza lasciare alcuna traccia, per quanto piccola.
Nel 2002, Foot propose un‟interessante soluzione per l‟enigma di Tunguska. Nel
suo libro La materia specchio: le terre d’ombra, suggerì che l‟esplosione fosse stata
provocata da un asteroide specchio. Quando penetrò nell‟atmosfera il calore lo fece
esplodere a un‟altezza elevata, il che causò un‟onda d‟urto che distrusse la taiga di
Tunguska ma non lasciò traccia di un cratere di impatto. Foot calcolò che il corpo
spaziale specchio fosse grande circa 100 metri e pesasse quasi un milione di
tonnellate. Un corpo talmente pesante (ordinario o specchio) non perderebbe molto
della sua velocità nell‟atmosfera se rimanesse intatto. Comunque, se dovesse
rompersi per qualsiasi ragione, l‟energia del corpo sarebbe rapidamente mandata
nell‟atmosfera, conducendo a un‟enorme esplosione.
Riguardo alla natura del corpo spaziale, Foot affermò che era molto probabile si
trattasse di ghiacci di materia specchio, come il ghiaccio specchio H O. Un‟importante
2
differenza tra i ghiacci specchio e quelli ordinari è che i primi non verrebbero sciolti
dal calore del Sole, e perciò sarebbero relativamente abbondanti nel sistema solare
interno. Entrando nell‟atmosfera, un ghiaccio specchio H O si vaporizzerebbe durante
2
il volo e i restanti frammenti si scioglierebbero dopo aver colpito il suolo. «Questo
potrebbe spiegare perché nessun apprezzabile frammento di materia specchio sia
stato trovato a Tunguska; gran parte del corpo spaziale si vaporizzò dopo essere
esploso nell‟atmosfera e i rimanenti frammenti si erano sciolti prima che Kulik
arrivasse lì. Una volta allo stato liquido, la materia specchio dovrebbe affondare nel
terreno, rendendo impossibile la sua estrazione.»
In ogni caso, Foot ha lasciato qualche speranza per i cacciatori di trofei di
Tunguska. Il corpo specchio potrebbe avere inglobato una certa quantità di materia
ordinaria, magari anche materiale extraterrestre ordinario. Inoltre, qualunque
frammento di materia specchio sia sopravvissuto e abbia toccato il suolo avrebbe
potuto causare piccoli crateri o buchi. «Forse il modo più spettacolare di testare l‟idea
di Foot è trovare materia specchio nel terreno di Tunguska. Qualunque frammento di
materia specchio si sarebbe sciolto nel momento in cui avesse toccato il suolo e si
sarebbe riformato mescolandosi con la materia ordinaria a qualche profondità nel
terreno stesso. Potrebbe essercene una qualche quantità vicino alla superficie da
estrarre e depurare.» La materia specchio potrebbe essere separata da quella ordinaria
con una centrifuga in laboratorio; ma c‟è un problema: una volta che la più pesante
materia specchio fosse separata dalla materia ordinaria, volerebbe via dai tubi della
centrifuga del test perché non la si può prendere. Gli esperimenti, comunque,
proverebbero l‟esistenza della materia specchio se la massa dei tubi del test e il loro
contenuto dopo l‟esperimento fossero inferiori a quelli precedenti.
«Sarebbe un esperimento molto entusiasmante e anche divertente» ha affermato
Foot. Se sarete mai interessati a farvi un nome come scienziati sperimentali, ecco la
vostra opportunità. Comunque, dovete tener presente l‟avvertimento di Foot prima di
prendere la vostra pala e dirigervi verso Tunguska: «È possibile che la materia
specchio possa essere pericolosa per la salute». Non si assume nessuna responsabilità
per ogni caso di avvelenamento da materia specchio.
Alice probabilmente sapeva dell‟intossicazione da materia specchio. Subito prima
di varcare la soglia dello specchio, chiedeva al suo gatto: «Ti piacerebbe vivere in
una casa specchio, Kitty? Mi chiedo se ti darebbero del latte, lì. Forse il latte specchio
non è buono da bere». Ora sappiamo che questo latte sarebbe fatto di molecole
specchio e forse non sarebbe buono da bere, almeno per Kitty. Alla Kitty specchio
piacerebbe di certo.

Un’altra materia
C‟è un‟altra materia, ed è chiamata materia quark. Gli incredibili minuscoli quark
sono di sei “sapori”: up, down, strano, incanto, alto e basso. I protoni e i neutroni
sono fatti di quark up e down. Gli altri quark non si trovano nella materia ordinaria.
Gli scienziati però credono che una strana materia quark – una forma di materia fatta
di quark up, down e strano – si sia formata nel Big Bang che ha segnato l‟inizio
dell‟universo 13 miliardi di anni fa. Questa materia è così densa che un cucchiaino di
essa peserebbe miliardi di tonnellate.
Nel 2002, l‟Osservatorio orbitante a raggi X Chandra avvistò una stella che gli
scienziati credevano essere una stella quark. I teorici hanno a lungo sospettato
l‟esistenza di stelle quark: stelle collassate che sono più dense delle stelle neutrone
ma non abbastanza dense per diventare buchi neri. La stella osservata ha un raggio
dai 5 ai 6 chilometri. Questo raggio, secondo gli scienziati, è circa la metà di quanto
ci si potrebbe aspettare se l‟oggetto fosse una stella quark. Se la strana materia quark
esiste davvero, potrebbe distruggere la materia ordinaria, convertendo i protoni e i
neutroni in quark. Questo processo potrebbe diffondersi come un incendio attraverso
lo spazio.
Nello stesso anno, un gruppo di ricercatori della Southern Methodist University di
Dallas affermò che non solo la strana materia quark esisteva dawero, ma era passata
attraverso la Terra per due volte nel 1993: una prima volta il 22 novembre, quando un
oggetto era entrato in Antartide e uscito dall‟oceano Indiano a sud dello Sri Lanka 26
secondi più tardi; una seconda volta il 24 novembre, quando era entrato nel Sud
dell‟Australia e uscito in Antartide dopo 19 secondi. Questi tempi implicavano che
entrambi gli oggetti viaggiavano a una velocità di 144.000 chilometri orari. I due
eventi erano stati registrati da diverse stazioni di monitoraggio ma non fu mai
suggerita una spiegazione soddisfacente.
Nel 1984 Sheldon Glashow disse che la strana materia quark sarebbe passata
attraverso la Terra con un drammatico effetto: un oggetto da una tonnellata avrebbe
rilasciato 50 chilotoni di energia, che si sarebbe diffusa attraverso la Terra lungo il
percorso seguito dall‟oggetto. I ricercatori della Southern Methodist cominciarono a
cercare eventi simili nel 1993 e selezionarono i due eventi sopra menzionati tra più di
un milione di registrazioni raccolte dalla Geological Survey degli Stati Uniti tra il
1990 e il 1993 che non erano associati ai tradizionali disturbi sismici. Secondo
Eugene Herrin, un membro del gruppo, nei normali terremoti l‟energia si irradia da
un singolo punto; quando invece un ammasso di materia costituita da quark del
“sapore” strano – nota come strangelet – passa attraverso la Terra, abbiamo una fonte
lineare, con energia che irradia dall‟intera linea attraverso la Terra e questo
produrrebbe un diagramma diverso nella registrazione dei dati delle stazioni
sismiche. Gli eventi del 1993 – causati da strangelet larghi un decimo di capello e del
peso di circa una tonnellata – hanno lasciato un diagramma distinto di materia quark.
«Non possiamo provare che questa fosse materia di quark del “sapore” strano, ma è la
sola spiegazione che è stata finora offerta» ha affermato Herrin.
L‟impatto degli strangelet su un‟area disabitata sarebbe probabilmente meno
violento che quello di un meteorite. «È molto difficile determinare quale sarebbe
l‟effetto. Ci sarebbe probabilmente un piccolissimo cratere, ma sarebbe praticamente
impossibile trovare alcunché.»
Una roccia di materia quark può aver colpito Tunguska il 30 giugno 1908? È
possibile, ma nessuno ha ancora la risposta definitiva.
VIII

Un’esplosione dal sottosuolo


La serie dei sospetti nel crimine commesso contro i sessanta milioni di alberi della
taiga di Tunguska include finora una cometa, un asteroide, un mini buco nero e una
roccia di antimateria o di materia specchio. Alcuni scienziati respingono tuttavia
questi sospetti extraterrestri basandosi sul presupposto che nessun resto di origine
extraterrestre è mai stato trovato. Puntano invece il dito contro qualcosa di molto più
vicino a casa. La loro lista di sospettati terrestri include una grossa esplosione di gas,
un fulmine globulare gigante e una geometeora.

Una fuga di gas


Wolfgang Kundt, un professore di astrofisica dell‟Università di Bonn, scarta le
teorie dell‟asteroide e della cometa come pseudoscientifiche e suggerisce per spiegare
la palla di fuoco uno scenario alternativo di “eruzioni vulcaniche”. Un gas naturale,
contenente principalmente metano, sarebbe fuoriuscito da crepe vulcaniche
sotterranee, si sarebbe caricato elettricamente e, salito verso l‟alto a una velocità
elevata, avrebbe cominciato a mescolarsi con l‟aria. Dopo poche ore, questa miscela
carica e volatile avrebbe emesso delle scintille che l‟avrebbero infiammata come una
palla di fuoco contenente qualcosa come 10 milioni di tonnellate di gas naturale
causando la devastazione che tutti conosciamo.
Il sito di Tunguska, secondo Kundt, giace al centro del cratere vulcanico
Kulikovskij, di 250 milioni di anni, che ha diverse brecce o fratture nei suoi strati di
roccia. Nell‟esplosione di Tunguska, il gas sarebbe fuoriuscito attraverso una
kimberlite, una pipa vulcanica nella roccia, a forma di carota, formatasi quando il
magma bollente della roccia fusa ha esercitato una forte pressione verso l‟alto. I
diamanti si formano nelle kimberliti a più di 150 chilometri sotto la superficie del
suolo e sono portati più in alto da venti vulcanici attraverso i diatremi. Le kimberliti
sono chiamate così dalla città di Kimberley, in Sudafrica, dove furono scoperte
intorno al 1870 nelle leggendarie miniere di diamanti. Un tempo si credeva che
fossero diffuse soltanto in Sudafrica, ma sono poi state trovate anche in altre parti del
mondo.
La prima spedizione al sito di Tunguska fu in realtà condotta nel 1910 da un ricco
mercante e orefice russo di nome Suzdalev che, prima di partire, chiese agli abitanti
del luogo di mantenere il silenzio. Apparentemente essi obbedirono. Non sappiamo se
Suzdalev lasciò Tunguska con la slitta piena di sacchi di diamanti, ma sappiamo da
Kundt che la fuoriuscita di gas causò la formazione di diatremi kimberlitici ricchi di
diamanti.
Kundt dichiarò alla rivista «Current Science» che dozzine di buchi a forma di
imbuto, incluso il famoso cratere Suslov scoperto da Kulik, erano stati “prodotti dal
basso” durante la mattina dell‟esplosione. Citò i racconti dei testimoni oculari Evenki
a sostegno della sua tesi. Spiegò la presenza di cristalli di ghiaccio in un fango
permanentemente ghiacciato nel cratere Suslov, affermando che durante la sua
formazione l‟acqua doveva essersi infiltrata nella sua cavità. Gli scienziati russi
hanno invece spiegato questo fenomeno come effetto del permafrost affermando che
buchi simili si rinvengono spesso in altre parti della Siberia.
Kulik aveva trovato anche il tronco decomposto di un albero in fondo al cratere
Suslov. Come poteva il tronco di un albero essere finito sul fondo di un cratere
formatosi dal basso? Kundt rispose: «Dozzine di alberi stavano sopra quello che è ora
il cratere Suslov. Molti di essi furono scagliati a grande distanza, ma uno potrebbe
esservi caduto dentro, più o meno diritto. Oppure questo tronco potrebbe essere stato
trascinato dal bordo del cratere, dal flusso di fango». La teoria di Kundt
risponderebbe anche agli interrogativi sul perché diverse spedizioni hanno trovato
grandi quantità di tronchi d‟albero sparsi attorno al Grande Calderone o nelle sue
vicinanze: «Per me essi sono una chiara prova della loro espulsione dai buchi sulle
cui superfici sono cresciuti».
Lo schema della caduta degli alberi nell‟area dell‟esplosione, che è stato studiato
da molti ricercatori, ha diverse caratteristiche uniche. Il disegno quasi a raggiera –
secondo Kundt «radiale in modo frastagliato e non regolare» – ha cinque centri e
segue le valli e le colline. Mostra isole di alberi sopravvissuti nelle valli. Presenta
anche dei “pali del telegrafo” vicino all‟epicentro, che ricordano le onde
dell‟esplosione di Hiroshima. Per Kundt uno schema simile di esplosione e caduta
non potrebbe essere spiegato con una grande esplosione sulla superficie: i modelli di
impatto infatti la contraddicono dato che «hanno un disegno di cadute parallele, se
adeguatamente valutate». L‟attuale schema «richiede diverse esplosioni successive
localizzate vicino al suolo». Uno studio dettagliato dello schema di caduta degli
alberi fatto dalla spedizione italiana del 1991 ha anche suggerito più di un centro
dell‟esplosione.
Le “notti lucenti” osservate in parte dell‟Europa e dell‟Asia, «uniche nella storia a
noi nota, con l‟eccezione dell‟eruzione del vulcano Krakatoa del 1883», furono
causate a parere di Kundt dal gas naturale – principalmente metano che sarebbe
potuto salire a un‟altitudine di 200 chilometri, dove fu nuovamente scaldato dalle
radiazioni solari e dal circostante ossigeno atomico che bruciava lentamente per poi
salire ancora a un‟altezza di 600 chilometri. Il vapore acqueo formatosi durante la
lenta combustione si congelò come fiocchi di neve, che rifransero la luce del Sole e
diedero origine ai bagliori notturni.
Fra le altre ragioni addotte da Kundt contro l‟origine extraterrestre della palla di
fuoco di Tunguska vi sono le seguenti.
• Un asteroide avrebbe lasciato una traccia, mentre una cometa sarebbe esplosa
troppo in alto e sarebbe stata anche scoperta prima dell‟impatto.
• Una cometa ferrosa avrebbe lasciato un grande e duraturo cratere. Un asteroide
sassoso avrebbe lasciato grandi frammenti o almeno uno strato di polvere spesso 4
millimetri.
• Diversi testimoni riferirono del rumore simile a uno sparo prima
dell‟avvistamento di una “colonna di fuoco” nel cielo. Questo ordine degli eventi è
tipico di un‟eruzione vulcanica, non di un impatto extraterrestre.
• Il calore sentito da diversi testimoni a Vanavara, circa 70 chilometri dal sito
dell‟esplosione, non può essere spiegato con la scia di un meteorite. Essa non può
produrre un calore così intenso perché è stretta; sarebbe dovuta passare molto vicino
a Vanavara a una velocità piuttosto elevata. «Ciò che conta è l‟angolo sferico della
fonte di calore, visto frontalmente: è possibile avvertire il calore di un falò vicino che
copre un grande angolo sferico – ma non il calore di un scia meteoritica (corta e
stretta).»
Per quest‟ultima ragione – la diciannovesima della sua lista – Kundt si affidava alle
percentuali statistiche. È noto ai geologi che solo un piccolo numero di crateri
terrestri è stato prodotto da rocce spaziali, per lo più sono stati formati dai vulcani. In
tutti gli aspetti del vulcanismo – che vanno dall‟emissione di gas scarsamente
rilevabile attraverso le fuoriuscite di lava, ai vulcani di fango, veri vulcani ed eruzioni
esplosive e supersoniche – l‟emissione di gas naturale è il principale pistone.
Si riferisce di altri casi di esplosioni di gas naturale, ma nessuno drammatico come
l‟esplosione di Tunguska. Nel suo saggio Current Science, Kundt cita un
avvenimento del 1988 riferitogli dal geologo americano Thomas Gold: «Un aereo
della United Airlines sulla rotta da Tokyo a Honolulu aveva subito, in un contesto di
calma assoluta, una forte spinta verso l‟alto seguita, dopo una frazione di secondo, da
un movimento verso il basso con una velocità registrata che implicava
un‟accelerazione verso il basso pari a 4g». Gold aveva spiegato la spinta verso l‟alto
come l‟attraversamento di una nube di metano che si sollevava ad alta velocità. I
motori dell‟aereo avevano dunque infiammato la miscela di metano sull‟aereo stesso.
L‟esplosione aveva spinto il velivolo verso il basso e ferito seriamente molte persone.
L‟aereo dovette tornare a Tokyo per consentire di soccorrerle.
Kundt considera Tunguska «un bel giallo che richiede, per essere risolto, la mente
di un fisico molto preparato». Afferma di dover ringraziare Andrej Ol‟chovatov (di
cui parleremo più avanti riguardo alle “geometeore fantasma”), la cui sobria analisi
l‟ha convertito dall‟opinione più diffusa a una coerente dal punto di vista fisico.
Dopo la presentazione di Kundt alla conferenza sulle catastrofi ambientali a
Londra, nel 2002, Jesus Martinez-Friaz dell‟Istituto aerospaziale nazionale di Madrid
(naturalmente “un fisico molto preparato”) affermò che l‟ipotesi geofisica di Kundt
era «un‟idea innovativa: potrebbe essere la risposta».
Come Kundt, anche Vladimir Epifanov, un geologo dell‟Istituto di ricerca
siberiano di geologia, geofisica e mineralogia, crede che l‟epicentro dell‟esplosione
di Tunguska sia in effetti localizzato proprio sopra un grande campo di petrolio e gas.
Ma propone un differente meccanismo per l‟esplosione: un potente getto di fluido che
è salito verso l‟alto a causa dell‟alta pressione subita nelle profondità terrestri.
Secondo Epifanov, i gas dei depositi di petrolio e il metano dei depositi di carbone,
che si erano accumulati sotto uno spesso strato di basalto, sarebbero improvvisamente
esplosi, magari a causa di un piccolo terremoto. Il getto fluido, accompagnato da
polvere, avrebbe creato uno strato di aerosol nell‟atmosfera superiore. Se questo
strato si fosse caricato di energia, avrebbe potuto provocare la scintilla che diede il
via all‟esplosione. La palla di fuoco poi sarebbe andata verso il suolo, abbattendo gli
alberi secondo uno schema circolare per molti chilometri. Comunque, il
raffreddamento dovuto alla rapida perdita di pressione del gas fuoriuscito avrebbe
potuto formare una cupola di ghiaccio attorno al luogo dove il gas aveva perso la
carica, proteggendo gli alberi al centro dell‟esplosione. Questo non sarebbe potuto
accadere nel caso di un impatto dallo spazio.
I detrattori dello scenario dell‟“esplosione dal sottosuolo” chiedono: come si
spiega allora la palla di fuoco che molti testimoni hanno visto attraversare il cielo
della Siberia da sud-sudest a nord-nordovest proprio prima dell‟esplosione?
Un‟eruzione di gas vulcanico non può spiegare una palla di fuoco che attraversa il
cielo. Questi racconti dei testimoni oculari sono volati fuori dalla finestra (proprio
come un fulmine globulare gigante)?

Un fulmine globulare gigante


Pochi anni fa, una lettrice scrisse alla redazione «Science Times» del «New York
Times» di un fulmine globulare che la sua famiglia aveva visto «entrare dalla porta di
vetro dell‟ingresso, passarle accanto (o anche attraverso) nel soggiorno e uscire dalla
finestra sul retro, dove aveva colpito un albero, causando qualche danno». Il
commentatore di «Science Times» scherzò: «La prossima volta fate una foto», poiché
questo è uno dei più rari fenomeni in natura e ne esistono poche immagini. È anche
quello meno compreso. I fulmini globulari hanno attratto l‟attenzione degli scienziati
per due secoli ma rimangono un enigma, liquidato da molti come mito o illusione
ottica.
Nel corso degli anni, gli scienziati hanno collezionato migliaia di testimonianze
sull‟avvistamento di fulmini globulari. Nel 2002 la rivista «Philosophical
Transactions» della Royal Society ha presentato una selezione di avvistamenti
recentemente riferiti. Un resoconto descrive una palla di fuoco che fa il suo ingresso
attraverso una finestra aperta nella dispensa di una casa di Johannesburg: «È entrata
nella cucina da dietro l‟angolo poi è uscita dalla cucina, ha girato un altro angolo ed è
finita nel corridoio e nell‟ingresso, dove ha colpito il secchio di alluminio con un
clang! Quando siamo corsi per controllare il secchio era troppo caldo per sollevarlo e
la sua vernice era diventata a bolle!». In un altro racconto, un fulmine globulare
bianco-grigio, tra i 70 e gli 80 centimetri di diametro e dal bagliore simile a quello di
una lampada a incandescenza da 200 watt, balzò sulla testa di un‟insegnante russa
che era con degli amici: «È spuntata da non si sa dove. Ci siamo spaventati,
accovacciati e abbiamo unito le nostre teste formando un cerchio. La sfera ha
cominciato improvvisamente a muoversi su di noi in circolo e dall‟alto in basso. Era a
un‟altezza di mezzo metro sopra il suolo. Poi “ha scelto” la mia testa e ha cominciato
a saltarci sopra, su e giù, come una palla. Ha fatto più di venti rimbalzi. Era soffice
come una bolla di sapone». La rivista elencava anche un fulmine globulare
eccezionalmente grande – circa 100 metri di diametro – che era stato ripreso in un
filmato a colori da un ranger nel Queensland, in Australia. Era ancorato al suolo ed
era durato sorprendentemente a lungo, per circa cinque minuti.
Uno dei rari racconti di fulmini globulari avvistati da stimati scienziati viene dal
radioastronomo britannico R.C. Jennison, che aveva avvistato un fulmine globulare in
un volo notturno durante una tempesta, nel 1963. Lo descrisse in una lettera alla
rivista «Nature» nel 1969 come una sfera luccicante bianco-bluastra di poco più di 20
centimetri di diametro, che era emersa dalla cabina del pilota, aveva attraversato il
corridoio dell‟aereo a circa 50 centimetri da lui, mantenendo la stessa altezza e
direzione per l‟intera distanza in cui era stata osservata, ed era infine uscita attraverso
le lamiere dell‟aeroplano.
Da simili racconti gli scienziati hanno tracciato un ritratto di questo strano
fenomeno, che è avvistato sempre durante condizioni meteorologiche burrascose. Un
fulmine globulare è di solito visto come una sfera luminosa fluttuante che brilla da
pochi secondi a pochi minuti, prima di esplodere con un grande botto o scomparire in
silenzio. Può essere di qualunque colore, a volte persino una combinazione di colori,
ma il verde e il viola sono rari. Le sue dimensioni variano da una piccola palla a una
sfera gigante di diversi metri di diametro e può apparire improvvisamente nell‟aria o
anche da buchi nel suolo, comignoli, fogne e fossati. Di solito si muove
orizzontalmente nell‟aria (a una velocità che va dai 3,5 ai 350 chilometri orari), un
metro sopra il suolo, ma può anche arrampicarsi sui pali e poi sfrecciare sulle linee
dell‟elettricità o del telefono. Può anche immergersi nei comignoli e infilarsi in spazi
molto più piccoli delle sue dimensioni, ma queste ultime non variano mai. Sembra
freddo al tatto ma può distruggere gli attrezzi elettronici, sciogliere il vetro, appiccare
il fuoco e scorticare gli alberi o ustionare persone o animali. A volte si può udire un
sibilo o uno scricchiolio. Può lasciare un odore pungente e sgradevole che ricorda
quello dell‟ozono.
I fulmini globulari sono stati oggetto di serie ricerche scientifiche sin dall‟inizio
del XIX secolo, ma non è ancora emersa alcuna teoria convincente. Una delle teorie
più diffuse è quella del plasma, secondo la quale una palla di fuoco è una sfera di
plasma o un gas bollente di elettroni e ioni carichi positivamente. Un‟altra teoria che
sta raccogliendo consensi viene dagli scienziati neozelandesi John Abrahamson e
James Dinniss. Quando il fulmine colpisce il suolo, trasforma i silicati del terreno in
puro vapore. Quando questo si raffredda, il silicio si condensa in una palla
galleggiante di silicio gassoso tenuta insieme da cariche elettriche. L‟energia chimica
immagazzinata viene lentamente rilasciata sotto forma di calore e luce. Poiché la
palla diverrebbe visibile solo nella seconda metà della sua vita, si materializzerebbe
nell‟aria solo dopo la caduta di un fulmine. Così semplice eppure così sorprendente!
Sfortunatamente, la maggior parte di noi non ne vedrà mai nemmeno uno (solo l‟1
per cento della popolazione osserverà un fulmine globulare nella propria vita).
Come Tunguska, i fulmini globulari sono amati sia dagli scienziati che dai
ciarlatani. C‟è un legame tra Tunguska e i fulmini globulari? Anche se molte pagine
web discutono di Tunguska e dei fulmini globulari in modo simile agli UFO e ai
rapimenti degli alieni, il legame scientifico tra Tunguska e i fulmini globulari sembra
inconsistente.
Nel suo libro Tunguska: la cosa dallo spazio del 1977 lo scrittore scientifico
americano Jack Stoneley pone la questione: potrebbe qualche massiccia forma di
fulmine globulare essere associata con l‟evento di Tunguska? Per rispondere, cita lo
scienziato britannico Anthony Lawton, editor scientifico del libro, il quale afferma
che per causare una simile devastazione occorrerebbe un fulmine globulare di circa
un chilometro di diametro; Stoneley tuttavia ricorda che dai racconti dei testimoni
oculari i primi ricercatori di Tunguska calcolarono che la sfera di fuoco dovesse
essere larga un chilometro: «Una grandezza così simile che non possiamo scartare
l‟ipotesi che il mostro siberiano fosse un gigantesco fulmine globulare».
Può un fulmine globulare crescere fino a dimensioni così enormi? «Lawton ritiene
che sia possibile, purché il fulmine globulare sia composto in un preciso modo»
aggiunge. «Egli suggerisce che se la palla di fuoco è fatta di particelle di polvere
tenute assieme da una carica elettrica, potrebbe anche raggiungere queste enormi
dimensioni.» L‟ipotesi di Lawton oggi suona credibile alla luce della teoria aerea dei
fulmini globulari.
David Turner, un fisico chimico britannico ora in pensione, che vive negli Stati
Uniti, guarda a Tunguska e ai fulmini globulari in un modo diverso. In un‟analisi
esaustiva in «Physics Reports» afferma che vari studi della cometa di Halley nel 1986
hanno riscontrato che le temperature nella regione del plasma della cometa erano
molto più elevate del previsto: questa sembrerebbe una grossa analogia con le alte
temperature coinvolte nei fulmini globulari. Inoltre queste osservazioni potrebbero
essere rilevanti per «uno dei più spettacolari e stupefacenti eventi del XX secolo».
Turner elenca cinque fattori che non confermano la teoria dell‟asteroide.
• Percentuale molto elevata (più di 10) di energia rilasciata come radiazione
elettromagnetica.
• Il verificarsi, sei minuti dopo l‟esplosione, di una tempesta magnetica locale che
è durata più di quattro ore.
• Anomalie ottiche (notti luminose eccetera) viste in alcune parti dell‟Europa e
dell‟Asia, che erano cominciate una settimana prima dell‟evento, ma che avevano
raggiunto il picco la mattina dell‟esplosione.
• Il fallimento della ricerca di qualunque materiale sul terreno che possa essere
ragionevolmente associato con il corpo dell‟impatto.
• Un apparente cambiamento di direzione del corpo in caduta (sia sul piano
orizzontale che su quello verticale) verificatosi poco prima dell‟esplosione.
Per Turner la questione irrisolta più rilevante è la determinazione della massima
temperatura sostenibile all‟interno del fulmine globulare. Le stime attuali variano dai
400 ai 15.000 gradi Celsius. Egli crede che ciò sia strettamente legato alla questione
se l‟evento di Tunguska possa essere il risultato dell‟esplosione di una bomba a
idrogeno naturale. A suo parere, il plasma nella cometa, simile a un fulmine
globulare, non era sufficiente ad avviare una reazione da bomba a idrogeno:
«Potrebbe essere prematuro scartare l‟ipotesi cometa a questo punto».
G.G. Kočemasov dell‟Accademia delle Scienze ritiene che i fautori delle teorie
dell‟asteroide e della cometa omettono di considerare due punti importanti: le
anomale condizioni atmosferiche molto prima dell‟evento e il moto non lineare
dell‟oggetto, ragioni simili a quelle elencate da Turner. Kočemasov afferma che un
fulmine globulare gigante può spiegare queste due anomalie. L‟inquieta ionosfera
terrestre causa vari eventi elettricamente carichi, come le aurore boreali. Dato che i
voli dei fulmini globulari sono stati notati nelle zone geomorfologiche, è possibile
che un fulmine globulare gigante si sia formato nella regione di Tunguska, area di
attività vulcanica e tettonica. Perciò si sarebbe trattato di un “prodotto” locale, privo
di legami extraterrestri.
Kočemasov calcola che il diametro del fulmine globulare fosse di circa 200 metri.
Simili fulmini globulari giganti non sono mai stati avvistati ma, egli ritiene,
dobbiamo pensare in termini di migliaia di anni e su scala geologica. Cita due episodi
storici di fulmini globulari giganti: la prova archeologica che suggerisce che l‟antica
città di Harappa, in Pakistan, fu distrutta da un enorme incendio e il riferimento
nell‟antico poema epico indiano Mahabharata a “un‟esplosione” che aveva causato
«una luce abbagliante, un fuoco senza fumo».
Kiril Chukanov, un ricercatore indipendente sui fulmini globulari dello Utah, crede
anche lui che la palla di fuoco di Tunguska fosse un enorme fulmine globulare largo
circa 500 metri. Sul suo sito web chukanovenergy.com e nel libro da lui stesso
pubblicato Final Quantum Revelation elenca nove ragioni a sostegno della sua
ipotesi, fra cui le seguenti.
• Il ciclo di undici anni delle macchie solari raggiunse il suo picco nel giugno del
1908. Questa attività di macchie solari si manifesta nell‟atmosfera terrestre in
un‟intensificata attività geomagnetica e con la presenza di eventi ottici anormali come
i luminosi cieli notturni.
• Il fulmine globulare esplode a causa della mancanza di cariche elettriche nella
sfera e la conseguente disintegrazione della sua componente nucleare priva di
struttura.
• I fulmini globulari si disintegrano generalmente in sfere più piccole, che a loro
volta si disintegrano in sfere ancora più piccole, fino a esplodere. I racconti dei
testimoni oculari su molte esplosioni e inizi di incendi in aree sparse della foresta
avvalorano lo scenario di un fulmine globulare che si disintegra.
• Altre teorie non riescono a spiegare l‟enorme quantità di energia accumulatasi per
un breve periodo sulla superficie dell‟oggetto di Tunguska.
Chukanov crede anche che il fulmine globulare possa essere usato per creare
“energia libera”. Bob Park dell‟American Physical Society ha però etichettato le idee
di Chukanov «scienza vudu».

Geometeore fantasma
L‟ipotesi della geometeora di Andrej Ol‟chovatov decisamente non è scienza vudu:
alcune delle sue idee sembrano all‟avanguardia per i tempi. Ol‟chovatov, prima
ricercatore dell‟Istituto di ricerca sovietico per i radiostrumenti industriali e ora
ricercatore indipendente a Mosca, è una figura popolare tanto nella grande comunità
del cyberspazio di Tunguska, quanto nella piccola, ma reale, comunità dei ricercatori
scientifici su Tunguska. Il suo sito web e il forum di discussione tengono vivo e
aggiornato il dibattito.
Ol‟chovatov si interessò all‟evento di Tunguska quando, alla fine degli anni
Ottanta, lesse a proposito delle luci sismiche: bagliori che a volte si verificano prima
di un forte terremoto. Associò immediatamente queste luci con quelle dei racconti dei
testimoni oculari di Tunguska. La similitudine tra le testimonianze sulle luci sismiche
e quelle di Tunguska lo indusse a credere che potesse esservi un legame. Pubblicò la
sua ipotesi sulla «Izvestija Akademii Nauk SSSR», rivista ufficiale dell‟Accademia di
Scienze dell’URSS nel 1991, ma una versione aggiornata è presente sul suo sito web e
negli sviluppi di molte conferenze scientifiche a cui ha partecipato. Come tutti coloro
che respingono l‟ipotesi di un impatto cosmico, egli vuol sapere dove sarebbero i
resti. «Da nessuna parte» dice. «Niente, dopo decenni di ricerche accurate.»
Egli ritiene che l‟esplosione sia stata causata da una concomitanza tra uno
sconosciuto processo sotterraneo e uno atmosferico, che ha formato oggetti luminosi
simili alle meteore ma di origine terrestre. Per essere più precisi, egli chiama questi
oggetti “meteore geofisiche” o “geometeore”. Una geometeora assomiglia a un
fulmine globulare ad alta velocità. «Simili eventi capitano in associazione con i
terremoti (le luci sismiche) e con le tempeste di tuoni (fulmini globulari)» afferma.
Secondo Ol‟chovatov, la regione di Tunguska si trova proprio nel centro di un
antico cratere vulcanico. Ci sono molte altre faglie, strutture circolari e formazioni
geologiche nella regione e molte faglie tettoniche si intersecano proprio vicino al
centro dell‟esplosione di Tunguska. C‟è la prova di una crescente attività sismica
nella regione prima dell‟esplosione e, contemporaneamente, c‟è stato anche un
aumento di fenomeni meteorologici anomali: macchie solari, tempeste di tuoni, il
cambiamento nelle previsioni della stazione meteorologica di Tunguska da “tempo
bello” a “cattivo”, a causa della possibilità di un ciclone proprio il 30 giugno 1908, e
un forte aumento della pressione atmosferica subito prima dell‟evento.
Questa rara combinazione su larga scala di disturbi geofisici e meteorologici si è
manifestata nel seguente ordine: un‟attività luminosa nell‟atmosfera nella Siberia
meridionale, simile alla caduta di meteore, si è verificata in concomitanza con una
serie di terremoti poco profondi, accompagnati da brontidi (suoni simili a tuoni, di
breve durata, ritenuti di origine sismica). Poi, alla bocca del cratere, si è verificata
una grossa esplosione geometeoritica.
Ol‟chovatov crede che la scienza non sia ancora pronta a spiegare l‟esatto
meccanismo delle interazioni geofisiche e meteorologiche. Comunque, nel suo saggio
descrive dettagliatamente come una geometeora possa essere ciò cui si riferirono i
testimoni oculari, comprendendo i vari fenomeni associati all‟evento. Citando i
ricercatori russi che nel 1988 hanno analizzato i resoconti sull‟oggetto di Tunguska,
riporta le seguenti descrizioni dell‟oggetto:
Forma dell’oggetto Percentuale nei racconti dei testimoni oculari
Palla 18,8
Cilindro 16,3
Cono 2,1
Stella 3,4
Coda 14,0
Serpente 2,3
Fulmine 2,1
Striscia di luce 2,5
Colonna di fuoco 4,9
Fiamma 10,3
Scintilla 11,2
Altre forme 12,1

A suo parere tutte queste descrizioni difficilmente possono corrispondere alla


caduta di un meteorite. Inoltre, le tre traiettorie della caduta del corpo di Tunguska
tracciate dai ricercatori in base ai racconti dei testimoni oculari sono sopra faglie
tettoniche e si intersecano in un punto vicino a Vanavara. Ciò significa che i
testimoni hanno visto più di un fenomeno luminoso o di una geometeora?
Ol‟chovatov dice: «Sono incline a pensare che ci furono diverse palle di fuoco a
bassa altitudine, ed è questa la ragione per cui non ci sono racconti di due o più sfere
avvistate simultaneamente. La bassa altitudine delle sfere di fuoco spiega perché
nessuno a Vanavara ha visto una palla di fuoco o la sua scia. A parte le sfere di fuoco,
c‟erano evidentemente altre tipiche luci sismiche».
Le tre traiettorie, secondo Ol‟chovatov, variano da sud-sudest a nord-nordest, cioè
di circa 90 gradi. Queste traiettorie sono state tracciate in base ai racconti di testimoni
oculari, che erano a 500 chilometri di distanza dall‟epicentro. «Se fosse stato un
meteorite, la maggior parte dei testimoni a ovest della traiettoria avrebbe detto che
esso proveniva da ovest. Qualche testimone affermerebbe che l‟oggetto
gli è passato sopra la testa. Così dovremmo avere una traiettoria ben definita. Ma
non c‟è una situazione simile a Tunguska. I sostenitori dell‟impatto
dell‟asteroide/meteorite scelgono solo una piccola parte dei racconti dei testimoni
oculari e poi affermano che i racconti degli altri testimoni sono “inaffidabili”. Dato
che ci sono diverse traiettorie, ciascuna ha i suoi “testimoni affidabili” (una
minoranza) e quelli “inaffidabili” (la maggioranza). Un testimone potrebbe essere
“affidabile” per una traiettoria e “inaffidabile” per tutte le altre.»
A livello quantitativo, afferma Ol‟chovatov, la sua ipotesi della geometeora può
spiegare tutti i fatti relativi al fenomeno. Per esempio, pochi anni fa sono apparsi
diversi articoli su una rivista scientifica asserenti che un giorno prima del terremoto,
o anche meno, il livello di nuvolosità era diminuito fortemente sulle faglie tettoniche
nell‟area che sarebbe divenuta l‟epicentro del terremoto. «Così ho studiato i dati
provenienti da nove stazioni meteorologiche entro 1000 chilometri dall‟epicentro di
Tunguska (la più vicina è a 500 chilometri di distanza) e ho fatto la media dei dati
provenienti da tutte le stazioni. In effetti la nuvolosità giornaliera media mostra una
forte caduta il 29 giugno 1908!»
Ol‟chovatov calcola che il diametro della palla più grande fosse di circa un
chilometro. «Ma è solo un‟ipotesi» aggiunge. Sottolinea anche che la luminosità della
palla era piuttosto debole, mentre secondo le teorie favorevoli al meteorite doveva
essere luminosa come il Sole, e molto più luminosa vicino all‟epicentro, senza
nessuna traccia persistente. Non ha calcolato l‟energia delle palle di fuoco: «La
questione è ancora aperta: l‟energia depositata da un fulmine globulare è tutta al suo
interno o include anche l‟energia che lo circonda? Nei fulmini globulari, quello che
vediamo è effettivamente la punta dell‟iceberg. Credo che la scienza non sia ancora
pronta a dare la risposta definitiva a questa domanda».
Attenderemo. Ma per molte altre spiegazioni al mistero di Tunguska non dobbiamo
attendere. La scienza è già pronta a giudicarle. Ogniqualvolta la parola “misterioso” è
accostata a un fenomeno naturale privo di una spiegazione al di là di ogni ragionevole
dubbio, diviene terreno fertile per l‟immaginazione di coloro che amano le idee
stravaganti. Non mancano le teorie eccentriche per spiegare l‟evento di Tunguska.
Apriamo gli X-files.

IX

Aprire gli X-files


Anche gli agenti dell’FBI, Fox Mulder e Diana Skully, hanno indagato sul mistero
di Tunguska nell‟episodio Tunguska della serie X-Files (nono episodio della quarta
stagione). Qui Mulder incontra una forma letale di vita aliena, che vive in rocce
extraterrestri recuperate da un gigantesco cratere di impatto a Tunguska. Nei file che
seguono però, caro lettore, sarai da solo.

L’astronave Tunguska
Nell‟agosto 1945, Little Boy e Fat Man cambiarono per sempre il nostro mondo.
Nomi curiosi per due bombe atomiche che hanno scatenato un‟immane devastazione
sull‟umanità. Il 6 agosto, Little Boy quasi cancellò la città di Hiroshima dalla cartina
del Giappone. Tre giorni dopo, Fat Man esplose nella storia e nel cielo di Nagasaki.
«Fu difficile credere a ciò che avevamo visto» disse il colonnello Paul Tibbets,
pilota dell‟aereo B-29, che sganciò la bomba atomica su Hiroshima, descrivendo in
una conferenza stampa quello che aveva visto pochi secondi dopo che la bomba era
stata sganciata. «Sotto di noi c‟era un‟incredibile nuvola nera che si alzava
rapidamente… quella che era stata Hiroshima si stava trasformando in una montagna
di fumo. Prima potei vedere un fungo di polvere bollente – apparentemente con dei
detriti al suo interno – innalzarsi fino a 20.000 piedi. Il bollore continuò per tre o
quattro minuti, mentre guardavo. Poi una nube bianca fuoriuscì dal centro
innalzandosi per circa 40.000 piedi. Una minacciosa nuvola di polvere si diffuse per
tutta la città. C‟erano fuochi ai confini della città, che divampavano mentre gli edifici
crollavano e le condutture del gas esplodevano.»
A terra, Kiyosi Tenimoto, pastore della Chiesa metodista di Hiroshima, che si
trovava a quasi 4 chilometri dal centro dell‟esplosione, vide un accecante lampo di
luce, come una “lamiera di sole”, che tagliava il cielo. Pochi momenti dopo il
bagliore di luce si era trasformato in una gigantesca nube a forma di fungo, ormai
nota a tutti come segno caratteristico di un‟esplosione atomica. John Hersey, uno dei
primi giornalisti occidentali a riportare le conseguenze della bomba, scrisse sulla
rivista «The New Yorker» del 31 agosto 1946 che i sopravvissuti descrivevano
l‟esplosione come un “lampo di luce senza rumore”. Notava che quasi nessuno a
Hiroshima si ricordava di aver udito un qualunque rumore della bomba, ma tutti
avevano visto una grande luce accecante e sentito l‟onda del calore, che era stata
subito seguita dal rombo e dall‟urto dell‟esplosione. Lo straordinario articolo di
Hersey, Hiroshima – che fu contemporaneamente pubblicato nelle edizioni Penguin
Books, tuttora in commercio – ebbe un profondo effetto sul mondo, che non sapeva
nulla degli orrori della bomba atomica.
Per quanto riguarda l‟incredibile potere distruttivo della bomba, i numeri parlano
da soli. La temperatura dell‟aria al punto dell‟esplosione della bomba da 15 chilotoni,
a 580 metri dal suolo, superò un milione di gradi Celsius. La temperatura del suolo al
centro dell‟esplosione raggiunse i 6000 gradi Celsius. La splendente nuvola arancione
a forma di fungo salì fino a 10 chilometri. Mentre si espandeva, accese dei fuochi che
danneggiarono più di 70.000 case e uccisero 140.000 persone. Ma il numero dei
morti raggiunse i 200.000 a causa delle conseguenze delle radiazioni. In breve, due
terzi di una città di 18 chilometri quadrati e 340.000 abitanti furono quasi cancellati
da una bomba atomica nel giro di pochi minuti.
Il mondo ora sapeva dell‟immenso potere distruttivo della palla di fuoco, della
nube a forma di fungo e dell‟intenso calore di un‟esplosione atomica. Non ci volle
molto perché scienziati sovietici e scrittori di fantascienza collegassero le immagini
di Hiroshima e Nagasaki a quelle di Tunguska: la palla di fuoco, il calore, il rumore
di un tuono, l‟enorme nube di polvere e la foresta devastata.
Uno di essi fu Aleksandr Kazancev, un ingegnere laureatosi all‟Istituto tecnologico
Tomsk, in Siberia, nel 1930. Era anche uno scrittore di fantascienza molto conosciuto
che nel 1946 aveva pubblicato una storia dal titolo L’esplosione su «Vokrug Sveta»,
una popolare rivista russa di scienza e avventura, in cui proponeva l‟idea bizzarra che
l‟esplosione di Tunguska fosse stata causata da un “visitatore cosmico”: un‟astronave
extraterrestre, di forma cilindrica, a propulsione nucleare. A causa di un guasto,
l‟astronave sarebbe sfuggita al controllo attraverso l‟atmosfera terrestre e in una
frazione di secondo essa e i suoi occupanti sarebbero stati vaporizzati con un
accecante bagliore luminoso. Gli extraterrestri, provenienti da un pianeta inaridito e
molto assetati, erano in viaggio per raccogliere acqua dal lago Bajkal, a 800
chilometri dal luogo dell‟esplosione di Tunguska. Questo lago – il più profondo del
mondo (1637 metri) e il settimo più grande (34.000 chilometri quadrati) – contiene il
maggior volume di acqua dolce della superficie terrestre.
Kazancev ritornò diverse volte su questa storia, arricchendola fino a farne una
teoria per spiegare l‟oggetto di Tunguska. Quando la spedizione di Florenskij del
1958 annunciò la scoperta di globuli di magnetite che contenevano nichel, cobalto,
rame, germanio e altri elementi, nei campioni raccolti dalla regione della caduta,
Kazancev spiegò immediatamente la presenza di questi elementi. Nel suo articolo del
1958 Visitatori dal cosmo (che divenne il nucleo del suo libro del 1963, dallo stesso
titolo), sostenne che il nichel e il cobalto provenivano dallo strato più esterno
dell‟astronave, mentre il rame e il germanio si trovavano nei semiconduttori e in altri
strumenti elettronici di bordo. Questi e altri elementi si sarebbero vaporizzati quando,
al momento dell‟esplosione, le temperature erano aumentate di decine di milioni di
gradi, e sarebbero caduti al suolo come precipitazioni, con effetti radioattivi.
La Rivista astronomica sovietica stroncò il libro di Kazancev come «un coerente e
consapevole inganno del lettore volto a un preciso scopo: dimostrare che egli solo,
l‟autore, ha scoperto la vera natura di fenomeni complessi contrari a tutte le
congetture dei rappresentanti della scienza ufficiale». Ma aveva anche degli
ammiratori. Uno di loro era un progettista di aerei, A.Ju. Manockov, che “dimostrò”
che l‟oggetto di Tunguska era sotto un «controllo intelligente»: infatti, un meteorite o
una cometa sarebbero entrati nell‟atmosfera terrestre a una velocità tra i 36.000 e i
216.000 chilometri orari, l‟oggetto di Tunguska aveva invece “limitato” la sua
velocità a 2400 chilometri orari, come un jet. Per giungere a una velocità così bassa,
un meteorite o una cometa avrebbero dovuto avere una massa di 1000 milioni di
tonnellate e il diametro di un chilometro; eppure questo colosso non aveva creato un
cratere né lasciato frammenti. Perciò, l‟oggetto di Tunguska doveva essere una
piccola astronave che stava tentando di atterrare. Kazancev concordò felicemente:
«Un simile straordinario meteorite avrebbe certamente coperto l‟intero cielo». Anche
Boris Ljapunov, esperto di razzi e viaggi spaziali, sostenne il ragionamento di
Manockov.
Feliks Zigel, dell‟Istituto di aviazione moscovita, all‟affermazione di Manockov
che l‟oggetto di Tunguska fosse sotto un «controllo intelligente» aggiunse che,
secondo alcuni racconti di testimoni oculari, raccolti molto dopo l‟evento, il corpo di
Tunguska avrebbe cambiato rotta due volte. Questa deliberata “manovra” per
cambiare direzione prima della discesa era a suo parere la prova che l‟oggetto di
Tunguska fosse un‟astronave proveniente da un altro pianeta. Presentò anche un‟altra
“prova”: il fatto che l‟oggetto, prima di schiantarsi, avesse seguito un “enorme
circolo”, verso nord e poi verso ovest, faceva escludere un fenomeno naturale.
L‟astronave aveva seguito precisamente l‟angolo di rientro di 6,2 gradi verso
l‟orizzonte, che era entro il corridoio di rientro (tra i 5,5 e i 7,7 gradi) adottato dalle
astronavi che rientrano nell‟atmosfera terrestre. Se l‟angolo è eccessivo l‟astronave si
incendia, se è troppo scarso balza fuori dall‟atmosfera come una pietra che saltelli
sull‟acqua.
In un articolo sulla rivista «Znanie-Sila» del giugno 1959, Zigel, che è ancora
ricordato come il padre dell‟ufologia sovietica, lodò l‟ipotesi di Kazancev:
«Attualmente, piaccia o no, questa ipotesi è l‟unica realistica, perché spiega l‟assenza
del cratere di un meteorite e l‟esplosione di un corpo cosmico nell‟aria… È
generalmente noto che a volte – anzi, spesso – nuove idee molto preziose per la
scienza sono state dapprima espresse, invece che da scienziati, da scrittori di
fantascienza». In un‟intervista all‟agenzia di stampa sovietica TASS, aggiunse: «Più
conosciamo la catastrofe di Tunguska, maggiori conferme troviamo del fatto che l’UFO
che esplose sulla foresta nel 1908 era una sonda extraterrestre».
La «Pravda» dei tempi, comunque, considerava le teorie sugli UFO «ammiccamenti
a impulsi superstiziosi e religiosi, manipolati indirettamente dal Pentagono». Il
riferimento al Pentagono veniva probabilmente dall‟evento di Roswell, uno dei più
famosi “avvistamenti” UFO della storia americana.

C’è un disco volante nel mio giardino


L‟8 giugno 1947, il «Roswell Daily Record» diede la notizia di un incontro
cosmico nel Nuovo Messico. La storia, intitolata La RAAF cattura un disco volante in un
ranch nella regione di Roswell, si basava su un comunicato stampa rilasciato dalla
Roswell Army Air Field (RAAF). Mentre l‟allevatore di pecore Mac Brazel si trovava
in un ranch 137 chilometri a ovest di Roswell aveva trovato dei rottami fatti con
strisce di gomma, asticelle di legno, stagnola, plastica, nastro con strani segni simili a
“geroglifici” e carta molto rigida. Brazel, sorpreso dall‟insolita natura di questi
oggetti, pochi giorni dopo si era recato a Roswell, dove aveva riferito il tutto allo
sceriffo, il quale a sua volta aveva fatto rapporto al sindaco Jesse Marcel, funzionario
dei servizi segreti della RAAF.
L‟esercito pose sotto sequestro il ranch. Gli ufficiali pensavano di aver trovato un
disco volante e consegnarono i reperti al generale dell‟Air Force Roger Ramey. Nel
frattempo il colonnello William Blanchard, comandante a Roswell, rilasciò un
comunicato stampa nel quale affermava che erano stati recuperati i rottami di un
disco volante. La notizia destò clamore nel mondo, ma fu presto smentita. Poche ore
dopo, Ramey annunciò che erano stati erroneamente ritenuti di un piatto volante i
resti di un pallone aerostatico. Il giorno successivo, il «Roswell Daily Records»
titolò: Il generale Ramey “svuota” il piatto di Roswell.
Un‟altra storia che non era stata pubblicata nel quotidiano, ma che alcuni abitanti
del luogo conoscevano, veniva dai testimoni che avevano visto i resti. Costoro
affermavano di aver visto “corpi” di alieni nelle vicinanze, descrivendoli come alti
poco più di un metro, con pelle bluastra e senza orecchie, capelli e sopracciglia. L‟Air
Force spiegava questi “alieni” come manichini caduti da palloni aerostatici usati per
studiare i risultati dell‟impatto. E così il clamore si spense.
Nessuno parlò mai più di questo episodio, almeno fino alla pubblicazione di un
libro nel 1980, Accadde a Roswell di Charles Berlitz e William Moore, che giungeva
alla tragica conclusione che c‟era stato un insabbiamento di proporzioni cosmiche.
Nel 1988 un altro libro, UFO Crash at Roswell affermò che il governo degli Stati Uniti
aveva trovato e rimosso i resti di un equipaggio UFO: sette piccoli corpi alieni. Questi
due libri segnarono l‟inizio di un mito degli UFO e della teoria del complotto, ovvero
che il governo americano avesse cospirato per occultare l‟atterraggio di un‟astronave
aliena a Roswell. La verità è molto meno esotica: ciò che veramente accadde fu che
coloro che videro i manichini li scambiarono per alieni.
Il termine UFO (oggetto volante non identificato) fu suggerito alla metà degli anni
Cinquanta dall‟Air Force degli Stati Uniti. L‟espressione “disco volante” non era
considerata accurata, dal momento che per molti avvistamenti erano state trovate
spiegazioni del tutto naturali, mentre per altri no. I fan degli UFO tendono a
dimenticare che la “u” della sigla UFO sta per “unidentified” (non identificato) e non
significa “extraterrestre”.
La questione dell‟esistenza di vita extraterrestre (anche nella sua forma più
semplice, come quella di organismi microscopici) e di vita extraterrestre intelligente
(civiltà tecnologicamente avanzate, capaci di comunicare con noi) non è collegata
agli UFO. Sin dall‟alba della storia, gli esseri umani si pongono la domanda: siamo
soli?
Se non lo siamo, allora quante civiltà intelligenti potrebbero esistere tra le stelle?
Nel 1961 il radioastronomo americano Frank Drake escogitò un ingegnoso approccio
– noto come equazione di Drake – per rispondere a questa domanda. All‟epoca
lavorava al National Radio Astronomy Observatory nel West Virginia. All‟inizio
degli anni Sessanta molti scienziati ridicolizzavano l‟idea di vita intelligente
extraterrestre, ma per Drake l‟idea di altre civiltà intelligenti oltre il pianeta Terra era
una concreta possibilità. Mise persino un cartello sulla porta del suo ufficio: “C‟è vita
intelligente sulla Terra?”. Prendeva molto seriamente la questione della ricerca di vita
extraterrestre intelligente, e coloro che mettevano in dubbio la sua convinzione non
erano, dal suo punto di vista, esempi di “vita intelligente” sulla Terra.
Nella sua forma più semplice, l‟equazione di Drake funziona così. Per ricavare il
numero (N) di civiltà tecnologicamente avanzate nella Via Lattea, dobbiamo sapere:
• quante stelle nascono ogni anno nella nostra galassia (R)
• quante di queste stelle hanno dei pianeti (p)
• quanti di questi pianeti sono adatti alla vita (e)
• su quanti pianeti effettivamente appare la vita (1)
• su quanti pianeti la vita evolve in una forma intelligente (i)
• su quanti pianeti la vita intelligente può comunicare con altri mondi (c)
• la vita media di queste civiltà avanzate (L)
Se moltiplichiamo questi sette fattori, otteniamo l‟equazione: N = R x p x e x l x i
xcxL
Conoscendo i valori di questi fattori, potremmo calcolare N. Dal momento che gli
astronomi non concordano sui valori esatti, le stime di N variano da uno (siamo soli)
a molti milioni (sì, un disco volante potrebbe atterrare nel nostro giardino). Queste
stime valgono soltanto per la nostra galassia, e ci sono 125 miliardi (e continuano a
crescere) di galassie nell‟universo attualmente osservabile. Dunque siate pronti a
stupirvi!
Se ci sono migliaia di civiltà ET nell‟universo, allora è possibile che alcune di esse
abbiano visitato la Terra in passato. Drake, che è ancora coinvolto nella ricerca di
intelligenza extraterrestre al SETI Institute,3 afferma: «Per quanto io creda fermamente
che esista da qualche parte dell‟universo intelligenza extraterrestre, credo che gli UFO
non siano visitatori extraterrestri. Sono il prodotto della vita intelligente su questo
pianeta».

La taiga di Tunguska distrutta da un laser


La vita intelligente su questo pianeta, rappresentata da due scrittori di scienza russi,
ha suggerito che Tunguska fu colpita per sbaglio da un laser inviato da extraterrestri
di un pianeta gigante, che orbita attorno alla stella 61 Cygni, a circa undici anni luce
di distanza da noi. In un lungo articolo, pubblicato sulla rivista «Zvezda» nel 1964,
Genrich Al‟tov e Valentina Zuravleva sostenevano che la violenta eruzione vulcanica
del Krakatoa nell‟agosto del 1883 aveva generato delle forti onde radio. Questo
segnale era stato ricevuto undici anni più tardi dagli scienziati cygnani, i quali
avevano letto il segnale come un messaggio di saluto da una civiltà lontana.
Seguendo le buone usanze cygnane, i gentili scienziati avevano deciso di inviare
un messaggio di risposta. Dato che la loro tecnologia laser era molto più avanzata di
quella radio, avevano quindi inviato verso il nostro pianeta un raggio laser.
Sfortunatamente, i benintenzionati scienziati alieni avevano commesso un altro
errore: avevano calcolato male la distanza della Terra e avevano sparato un potente
raggio laser che aveva cancellato la taiga di Tunguska. Questo messaggio cygnano
“troppo forte” era incomprensibile per la popolazione Evenki del luogo che non
possedeva la tecnologia necessaria per leggere cartoline provenienti dalle stelle.
Come aveva potuto un vulcano generare un segnale radio? Al‟tov e Zuravleva
dissero semplicemente che la cenere vulcanica, volando in alto nell‟atmosfera,
disturbò la ionosfera, il che avrebbe potuto generare un segnale radio. Il segnale fu
tanto forte da giungere lontano nello spazio. La scelta della stella 61 Cygni da parte
degli autori era ovvia: 61 Cygni è una stella binaria, nel 1964 una delle sue due stelle
era l‟unica conosciuta ad avere un pianeta extrasolare. Ora sappiamo che i pianeti
extrasolari sono comuni tra i nostri vicini galattici e sappiamo anche che i laser
possono essere utilizzati per comunicazioni interstellari.
Nel 1960 Drake fece il primo vero tentativo per ascoltare gli extraterrestri. Nel
progetto Ozma (che prese il nome dalla regina del Mago di Oz), puntò un
radiotelescopio di 26 metri di diametro verso le stelle Tau-Ceti ed Epsilon-Eridani, a
circa undici anni luce di distanza dalla Terra. Per due mesi rimase in ascolto
nell‟attesa di segnali radio da 1,5 gigahertz, la frequenza emessa dal gas idrogeno.
Scelse questa frequenza perché l‟idrogeno è l‟elemento più comune nell‟universo.
Naturalmente, la ricerca non portò a nulla. Da allora più di 100 potenti
radiointercettatori hanno mancato di instaurare un qualche contatto. Perché nessun
segnale radio intelligente è mai stato intercettato? Alcuni scienziati sostengono che
ascoltare segnali radio o inviarli potrebbe non essere il modo giusto per creare un
contatto. Suggeriscono che un laser interstellare potrebbe essere un mezzo di
comunicazione migliore.
Il fisico americano Charles Townes vincitore, nel 1964, del premio Nobel per il
suo contributo all‟invenzione del laser, realizzò che, all‟incirca nel periodo in cui
Drake puntava il suo telescopio verso stelle distanti, le civiltà extraterrestri avrebbero
potuto sfruttare tanto la porzione ottica e infrarossa dello spettro quanto quella radio.
Passarono decenni prima che la tecnologia laser avanzasse fino al punto di poter
realizzare potenti raggi in grado di inviare messaggi interstellari.
I laser hanno due principali vantaggi sui milioni di canali radio disponibili per le
trasmissioni: la luce è più facile da concentrare in un raggio sottile rispetto alle onde
radio ed è un miglior veicolo di informazioni. Un sottile raggio laser può essere
facilmente puntato su un obiettivo e può trasmettere un‟intera enciclopedia in un
secondo – molto meglio che chiedere semplicemente “c‟è nessuno là fuori?” con
un‟onda radio. Ma i laser non sono economici quanto i chip (o le radio); richiedono
miliardi di chilowatt di energia per trasmettere per una frazione di secondo.
Gli scienziati potrebbero riuscire a inviare un messaggio laser alle loro controparti
cygnane che hanno distrutto per sbaglio la bellissima taiga di Tunguska. Dopotutto ci
devono delle scuse.

Tunguska radioattiva
Nel suo libro Siberia, the New Frontier del 1969, lo scrittore americano George St
George, che aveva trascorso gran parte della sua infanzia in Siberia, descrive i suoi
viaggi lì a metà degli anni Sessanta. Nel libro egli fa anche un breve riferimento a
Tunguska. Ecco un estratto:
Alcuni di coloro che indagano ritengono che qualunque cosa abbia brillato nella taiga sia stata
intenzionalmente diretta, perché sentono che solo così possa spiegarsi il cambiamento di rotta
durante il suo volo. Si trattò dunque di una sorta di veicolo spaziale con dei problemi, forse distrutto
intenzionalmente dal suo equipaggio? Pochi scienziati seri sembrano crederlo, inclusi alcuni
sovietici come Feliks Zigel. Ogni organizzazione seria del mondo sulla ricerca UFO ascrive
l‟esplosione di Tunguska a eventuali visitatori interplanetari, che hanno presumibilmente visitato e
studiato il nostro pianeta.
Ricordo che mio padre e un suo amico – un medico che affermava di aver visitato il sito
dell‟esplosione di Tunguska pochi mesi dopo il suo verificarsi – discussero la questione nella nostra
casa di Cita, in Transbailkalia, probabilmente nel 1914. Il medico aveva un dettagliato diagramma
che mostrava il tragitto a zig-zag del corpo che precipitava lungo circa 100 miglia (nell‟area dove
furono tranciate le cime degli alberi) prima dell‟esplosione. Disse anche che un bagliore insolito fu
osservato ogni notte sull‟epicentro dell‟esplosione per settimane dopo che si era verificata,
attribuendolo a qualche sorta di radiazione. Mio padre, che anche allora era interessato alle credenze
sui cosiddetti “dischi volanti”, si convinse che i visitatori interplanetari stavano usando qualche
parte della taiga come loro base terrestre. Trasse questa conclusione dalle leggende degli Evenki….
Sfortunatamente i voluminosi appunti di mio padre in materia andarono smarriti in Cina, dove morì
in un monastero buddista nel 1928.
Il racconto di St George è intrigante perché fa riferimento a una visita al sito da
parte del medico amico di suo padre nel 1914. Questo è uno dei pochi riferimenti noti
di una visita di un non Evenki precedente alla prima spedizione di Kulik nel 1927.
Potete arrivare a un‟altra conclusione da questo racconto: anche nei giorni bui
dell‟impero zarista, i russi erano affascinati dagli UFO come lo sono oggi gli
americani. St George nota anche che «nessuna radiazione pericolosa è stata trovata lì
oggi», quindi «Tunguska diventerà presto una nota attrazione, come lo è oggi il
cratere in Arizona».
La frase «nessuna radiazione pericolosa» è interessante perché riflette la
preoccupazione di molti scienziati sovietici alla fine degli anni Cinquanta e all‟inizio
degli anni Sessanta che il sito di Tunguska fosse pieno di radiazioni. Il maggior
responsabile di quest‟idea era il geofisico Aleksej Zolotov.
Zolotov era un personaggio enigmatico quanto lo stesso evento di Tunguska. In un
programma speciale per celebrare il settantesimo anniversario dell‟evento, Radio
Mosca lo definì «un altro noto investigatore». La rivista «Nature», in un articolo per
la medesima occasione, lo vedeva invece sotto una luce diversa: «Il suo nome spunta
immancabilmente in qualunque discussione sull‟argomento e le sue teorie, per quanto
possano apparire bizzarre all‟establishment scientifico, vengono sempre pubblicate…
il suo background accademico è oscuro e secondo un fisico che ha lavorato per
diversi anni sul sito di Tunguska, Zolotov era in origine semplicemente un tecnico
petrolifero, coinvolto nella spedizione per la sua conoscenza del suolo locale!». Nella
letteratura scientifica del tempo ci si riferisce a lui come a un «eminente geofisico».
Dieci anni dopo, nel 1988, quando egli aveva ormai guidato dodici spedizioni a
Tunguska, «Nature» convenne che Zolotov era «gradualmente, e a pieno titolo,
emerso come un‟autorità».
Un‟aura di autorevolezza derivò a Zolotov per la sua teoria atomica sull‟esplosione
di Tunguska. Aggiunse al bicchiere di vodka della “astronave esplosa” di Kazancev
una spruzzata di limone: l‟esplosione non era stata un incidente. Nel 1975, quando
era a capo di un gruppo scientifico sovietico che si occupava del fenomeno, suggerì
che gli alieni avessero deliberatamente fatto esplodere l‟astronave, semplicemente per
farci sapere della loro esistenza. L‟area di distruzione era a suo parere «una
sorprendente dimostrazione di estrema accuratezza e umanitarismo».
Nel 1980 lo scrittore scientifico americano Theodore R. LeMaire estese l‟idea di
umanitarismo di Zolotov nel suo libro Stones from the Stars. Affermò che il periodo
dell‟esplosione di Tunguska sembrava troppo casuale per essere un incidente. Se il
missile siberiano avesse colpito la Terra 4 ore e 47 minuti più tardi, avrebbe assestato
un colpo mortale al trono dell‟impero zarista, e un piccolissimo cambiamento di rotta
avrebbe devastato aree popolose della Cina e dell‟India. Suggerì che «l‟oggetto
infuocato fosse stato sapientemente manovrato» usando il lago Bajkal come punto di
riferimento: «Il corpo si avvicinava da sud, ma quando era a circa 140 miglia dal
punto dell‟esplosione, mentre sorvolava Kezma, aveva improvvisamente cambiato
direzione verso est. Duecentocinquanta miglia più in là, sopra Preobrazenka, aveva
invertito la rotta verso ovest, esplodendo sulla taiga». Un‟accurata raccolta scientifica
di racconti dei testimoni oculari suggerisce diversamente: l‟oggetto non aveva
cambiato direzione mentre si muoveva nel cielo da sud-sudest a nord-nordovest.
Il maggior contributo di Zolotov al folklore intorno a Tunguska non sta nell‟aver
deciso se l‟astronave fosse esplosa incidentalmente o in base a un preciso scopo, ma
nella radioattività che essa aggiunse al luogo dell‟esplosione. Egli stava, infatti,
semplicemente rivestendo di rispettabilità scientifica le idee di fantascienza di
Kazancev. Mentre le immagini della palla di fuoco e della nube a forma di fungo
tipiche di una bomba atomica avevano fatto pensare a Kazancev a un‟astronave che
volava nel cielo di Tunguska, le immagini della gente che moriva a causa delle
radiazioni della bomba atomica lo convinsero che i “sopravvissuti di Tunguska”
fossero anch‟essi esposti a dosi di radiazioni simili a quelle di Hiroshima. «Potrebbe
trattarsi di nient‟altro che radioattività» spiega uno dei personaggi del suo romanzo di
fantascienza Visitor from the Cosmos, quando un uomo, poco dopo aver esaminato
l‟area dell‟esplosione, muore dilaniato da un dolore causato da un fuoco invisibile.
Come Kazancev, anche Zolotov aveva ottenuto il sostegno di Zigel. Nella rivista
«Znanie-Sila» nel dicembre 1959, Zigel discuteva i risultati delle spedizioni di
Zolotov nei tre anni precedenti. Durante queste spedizioni, fra le altre cose, aveva
confrontato gli effetti delle onde balistiche causate dalla velocità del corpo di
Tunguska nell‟atmosfera con le onde d‟urto causate dall‟esplosione. Lo studio degli
alberi condotto da Zolotov – in particolare di quelli che erano rimasti in piedi e su cui
c‟erano tracce degli effetti di entrambe le onde – dimostrava che le onde balistiche
erano arrivate da ovest e avevano rotto solo piccoli rami, mentre l‟esplosione dal nord
aveva spezzato rami più grossi. Zigel calcolò che la velocità del corpo nella fase
finale del volo fosse quella relativamente bassa di 4300 chilometri orari; perciò
l‟esplosione si doveva all‟energia interna del corpo, non a quella del suo moto.
Concluse che gran parte della devastazione era stata causata dalle onde
dell‟esplosione.
Zolotov aveva trovato alberi a circa 17 chilometri dal centro dell‟esplosione che
erano stati interessati dal calore e avevano cominciato a bruciare. Escluse che si fosse
trattato di un incendio naturale: per appiccare un incendio a un albero vivo, il calore
energetico deve essere tra le 60 e le 100 calorie per centimetro quadrato. Similmente,
per aver causato la sensazione di bruciore su testimoni oculari a Vanavara, a 70
chilometri di distanza, l‟energia avrebbe dovuto essere non inferiore a 0,6 calorie per
centimetro quadrato. Stimò che l‟energia dell‟esplosione fosse di circa 3,5 megatoni.
Dato che le stime dell‟energia totale dell‟esplosione erano anch‟esse entro questa
fascia, ritenne che l‟esplosione fosse nucleare.
Le prove sembravano dunque sostenere la celebre storia di Zolotov: le misteriose
cicatrici riportate dalle renne sopravvissute (bruciature causate da cenere bollente?),
gli anelli degli alberi che suggerivano un enorme livello di crescita dopo l‟esplosione
(normali dopo gli incendi?), gli elevati livelli di carbonio-14 radioattivo nel suolo e
nella torba raccolti nella regione (non abbastanza per sostenere l‟idea di
un‟esplosione nucleare?), e così via.
Sebbene Hiroshima e Nagasaki ci abbiano dimostrato gli orrori della radioattività,
una certa radioattività è costantemente presente intorno a noi. Piccole quantità di
atomi radioattivi si trovano nel suolo su cui siamo, nel cibo che mangiamo,
nell‟acqua che beviamo, nell‟aria che respiriamo.
Esse sono note come radiazioni di background. La nostra dose quotidiana di
radiazioni di background varia da luogo a luogo, ma i livelli medi annui vanno in
genere da 1,5 a 3,5 millisievert (da 150 a 350 millirem). L‟80 per cento di questa
media proviene da fonti naturali come le radioemanazioni interne, cibo e bevande,
rocce e suolo. Il restante 20 per cento viene da fonti radioattive artificiali, soprattutto
raggi-X. Dallo studio del cancro sui superstiti di Hiroshima e Nagasaki, gli scienziati
hanno calcolato che essi furono istantaneamente esposti a migliaia di volte la dose
annuale media di radiazioni di background, che continuava ad aumentare per il
rilascio a lungo termine.
Molte spedizioni a Tunguska alla fine degli anni Cinquanta e all‟inizio degli anni
Sessanta si erano concentrate sulla ricerca degli effetti della radioattività del luogo.
Dopo la spedizione del 1958, l‟Accademia sovietica delle Scienze decise a sfavore di
nuove spedizioni, per concentrarsi sullo studio dei campioni di roccia e di suolo già
raccolti. Questa decisione condusse alla formazione di una Spedizione
interdisciplinare indipendente a Tunguska (nota come KSE, in russo) sotto la guida di
Gennadij Plechanov, fisico e ingegnere al laboratorio Betatron dell‟Istituto medico
della città siberiana di Tomsk. La KSE fu di fatto formata per screditare le teorie
sull‟astronave. I promotori dicevano scherzando «di dover trovare il muso di
un‟astronave».
Marek Zbik della University of South Australia ha descritto la prima spedizione
KSE nel «Bollettino dell‟Accademia polacca delle Scienze». La spedizione, guidata da
Plechanov, includeva studenti di medicina che dovevano raccogliere informazioni per
verificare l‟ipotesi di malattie post radiazioni tra la popolazione Evenki. «Nessuna
traccia di simili malattie fu rilevata» scrisse Zbik. «Avevano anche pianificato di
raccogliere ossa dai corpi degli Evenki morti dopo la catastrofe… Non era facile
trovare tali corpi, poiché gli Evenki tengono segreti i luoghi di sepoltura.»
Comunque, gli studenti riuscirono a esaminare le ossa della gente morta durante
l‟epidemia di vaiolo del 1915. I risultati di queste indagini limitate non confermarono
un aumento di radioattività nelle ossa esaminate.
Plechanov raccolse anche 300 campioni di suolo e quasi 100 piante. Un‟analisi di
questi campioni a Tomsk dimostrò che al centro della catastrofe la radioattività era
più elevata di 1,5-2 volte rispetto a 30 o 40 chilometri di distanza dal centro.
Plechanov rifiutò di speculare sulla causa di questa radioattività. In un altro studio,
confrontò le notti luminose viste in alcune parti dell‟Europa e dell‟Asia dopo
l‟esplosione di Tunguska, con quelle che erano seguite ai test nucleari ad altitudini
elevate condotti dagli Stati Uniti nell‟atollo di Bikini nel 1958. Scoprì che entrambe
le esplosioni erano state seguite da effetti atmosferici simili. In breve, Plechanov non
riuscì a trovare alcun “muso di astronave”. Lasciò la KSE nel 1963 ma continuò a
svolgere ricerche su Tunguska.
Kirill P. Florenskij e Vasilij Fesenkov, due dei maggiori proponenti della teoria
della cometa negli anni Sessanta, si opposero accanitamente all‟idea dell‟esplosione
nucleare di Zolotov. «Non ci sono pianeti con una vita altamente organizzata da cui
una simile astronave sarebbe potuta arrivare» disse Fesenkov al «New York Times»
nel 1960. «Questa ipotesi è stata ormai respinta dalla maggior parte della comunità
scientifica sovietica» aggiunse.
Florenskij dedicò gran parte del suo tempo alla spedizione del 1961-62 per provare
a smentire Zolotov. Concluse che la radioattività al centro dell‟esplosione era entro i
valori delle fluttuazioni dell‟attuale radiazione di background, sebbene convenne che
fosse un po‟ più alta al centro che non a qualche chilometro di distanza. Molti degli
atomi radioattivi erano concentrati negli strati più elevati del suolo e della torba.
Suggerì che si fossero accumulati a causa dei test delle bombe atomiche e
all‟idrogeno. Sulla questione della crescita accelerata degli alberi nell‟area devastata,
Florenskij affermò che essa non era dovuta a mutazioni genetiche per le radiazioni,
ma era soltanto la normale accelerazione della seconda crescita dopo l‟incendio.
Più recentemente, nel 2001, l‟accademico Nikolaj Vasilev ha affermato: «I risultati
di una ricerca della radioattività nella regione dell‟esplosione di Tunguska escludono
un‟ipotesi nucleare. Si dovrebbe notare, comunque, che la ricerca di tracce di una
cascata radioattiva mezzo secolo dopo un‟esplosione nucleare nell‟atmosfera è un
compito impegnativo, specialmente tenendo conto della contaminazione dovuta ai
recenti test nucleari atmosferici».
Gli scienziati russi Viktor Zuravlév e A.N. Dmitriev per il corpo di Tunguska
hanno sviluppato l‟ipotesi di un plasmoide: una sorta di bottiglia riempita di plasma e
circondata da un forte campo magnetico. Questo plasmoide da 100.000 tonnellate
sarebbe stato sparato dal Sole. Vitalij Bronsten, il maggior proponente della moderna
teoria della cometa, scomparso nel 2004, era molto critico verso questo sforzo «di
camuffare un‟astronave da contenitore di plasma. Questa è una tipica ipotesi ad hoc.
Usiamo questo esempio per dimostrare che tutte le ipotesi ad hoc, un gran numero
delle quali sono state proposte per spiegare l‟evento di Tunguska, sono inutili».
Zuravlèv non è d‟accordo. Tre grafici di attività magnetica riscontrata nel 1959
all‟Osservatorio magnetico e meteorologico di Irkutsk mostrano una tempesta
magnetica cominciata subito dopo l‟evento di Tunguska e durata quasi quattro ore. I
magnetogrammi non hanno nulla in comune con quelli causati dai meteoriti, ma
hanno tutti le caratteristiche distintive dei disturbi del campo geomagnetico generati
dalle bombe nucleari. L‟oggetto di Tunguska, dice Zuravlèv, era «un oggetto cosmico
la cui composizione e struttura è sconosciuta agli astronomi e ai fisici».
Le immagini di un‟astronave nucleare che esplode sulla taiga di Tunguska resta
vivida nelle menti di molti ricercatori del XXI secolo. Uno di loro è Vladimir V.
Rubcov dell‟Istituto di ricerca sui fenomeni anomali dell‟Ucraina. La sua “ipotesi ad
hoc” è il cosiddetto modello battaglia: nel 1908 era in corso una battaglia spaziale tra
due astronavi aliene, dopo la quale una di esse sopravvisse e tornò nello spazio.
«Forse un giorno, in futuro, sarà possibile dedurre un modello convincente del
fenomeno direttamente dai fatti raccolti» scrive in una newsletter dell‟Istituto.
Un altro è Jurij Lavbin della Fondazione Fenomeno Spaziale di Tunguska a
Krasnojarsk, un gruppo di fisici, geologi, e mineralologi che hanno organizzato
spedizioni regolari al sito dell‟esplosione sin dal 1994. Lavbin crede che l‟esplosione
sia stata causata dalla collisione di un‟astronave extraterrestre con una cometa.
Nell‟estate del 2004 Lavbin annunciò che il suo gruppo aveva trovato due strani
blocchi metallici neri, del peso di 50 chili, vicino al sito: «Sono i resti di
un‟astronave. Il loro materiale ricorda una lega usata per costruire i missili spaziali,
mentre all‟inizio del XX secolo esistevano solo pannelli di compensato». Il Comitato
meteoriti dell‟Accademia russa delle Scienze ha contestato l‟affermazione di Lavbin
dicendo che in Siberia, dove i geologi del petrolio lavorano regolarmente «si possono
trovare cumuli di frammenti di vari macchinari».
L‟astronave Tunguska solca ancora i cieli siberiani. Il raggio letale di Tesla non è
riuscito a colpirla?

Il raggio letale di Tesla


Chi era Tesla? Nikola Tesla era un genio così avanti rispetto ai suoi tempi che i
suoi contemporanei mancarono di capire le sue innovative invenzioni. «Se mai un
inventore ha soddisfatto le caratteristiche romantiche di un romanzo di Jules Verne, è
stato Tesla» affermò un editoriale del «New York Times» il 9 gennaio 1943, dopo la
sua morte. «Se quella parola abusata, “genio”, potesse essere riferita a un uomo,
questo sarebbe lui. Era un matematico e fisico di prim‟ordine i cui progetti erano
plausibili anche se molto avanti per le risorse tecniche del tempo.» Fu anche talmente
frainteso come scienziato, da ispirare lo scienziato matto nel fumetto Superman di
Max Fletcher, negli anni Quaranta.
Un inventore di strabiliante brillantezza che apparteneva all‟eroica epoca delle
invenzioni del XX secolo, in cui Edison fu colui che più si distinse, inventò e
sviluppò la corrente alternata, i motori a induzione, la dinamo, i trasformatori, i
condensatori, i contachilometri delle automobili, le lampade a gas che furono le
antenate delle luci fluorescenti, le trasmissioni radio e centinaia di altre cose (i
brevetti a suo nome sono più di settecento).
Un eccentrico che preferiva la scienza alla società, divenne un recluso virtuale per
l‟ultimo quarto di secolo della sua vita. Non si sposò mai, non sviluppò alcuna
relazione stretta. «Teneva tutti a una distanza non inferiore a un metro» disse il
manager di un hotel di New York, in cui passò l‟ultimo anno di vita in compagnia dei
suoi colombi.
Tesla, come afferma una recente biografia, fu l‟uomo che inventò il XX secolo,
sebbene sia stato quasi dimenticato dopo la sua morte, avvenuta nel 1943. Ma non per
sempre.
Nel 1956, centenario della sua nascita, gli scienziati gli resero onore dando il suo
nome all‟unità per misurare il magnetismo (l‟unità del sistema internazionale
dell‟intensità del flusso magnetico, il tesla). Questa “immortalità nominale” lo ha
posto in compagnia di Ampere, Volta, Ohm, Gilbert, Henry, Faraday e Hertz, grandi
scienziati che hanno dato tutti il nome a unità elettromagnetiche.
Cinque decenni dopo aver ottenuto il riconoscimento dai suoi pari, ha ora ottenuto
“l‟immortalità nel cyberspazio” da fan adoranti, su innumerevoli pagine web di
biografie, saggi, scritti sul personaggio scientifico preferito, musei online, gruppi di
discussione e altro. Se il numero delle pagine web può essere considerato una misura
della popolarità pubblica, Tesla è quasi alla pari con Marconi ma è ancora lontano da
Edison – due inventori contemporanei che sono divenuti delle leggende. Navigare
sulle pagine dedicate a Tesla dà l‟impressione che l‟enigmatico inventore sia
divenuto un eroe di culto e abbia trovato posto nei cuori dei fan degli UFO, dei
generatori a energia libera, delle macchine antigravità e altre simili idee scientifiche
alternative. Numerose pagine web sono dedicate al suo raggio letale, un‟invenzione
che lega Tesla a Tunguska.
Tesla nacque a Smiljan in Croazia (allora parte dell‟impero austroungarico), il 10
luglio 1856. Suo padre era un esponente del clero ortodosso e un oratore e sua madre
inventava strumenti per la casa e per la fattoria. Dopo essersi diplomato in una scuola
di Caristadt in Croazia, studiò ingegneria all‟Università di Graz. Nel 1884 emigrò in
America. Quando, ventottenne, giunse a New York aveva quattro centesimi in tasca e
pochi appunti in valigia con scarabocchi di un disegno e di alcuni calcoli matematici
per una macchina volante. Visse e lavorò a New York per quasi sessantanni. Quando
morì nella sua camera d‟albergo il 7 gennaio 1943 non aveva un soldo, ma la camera
era piena di scritti scientifici e disegni così rivoluzionari che si mormora che alcuni di
essi siano serviti come progetti per un sistema di missili di difesa simile alla Strategic
Defense Initiative statunitense degli anni Ottanta (nota come “programma Guerre
stellari”).
Le sue “invenzioni pratiche” si limitano al breve periodo tra il 1886 e il 1903. Era
il futuro alla Jules Verne ad assorbirlo, secondo l‟editoriale del «New York Times»
«Comunicare con Marte, ricavare unità di calore fuori dall‟atmosfera per far
funzionare i motori, usare la Terra intera come una cassa di risonanza elettrica in
modo che un uomo in Cina potesse comunicare senza fili con un altro in Sudamerica,
trasmettendo l‟energia attraverso lo spazio: era a queste possibilità che dedicò gli
ultimi quarantanni della sua lunga vita».
Negli ultimi anni, Tesla era l‟argomento preferito dei giornalisti che si divertivano
a raccontare le sue incredibili invenzioni. Per il settantottesimo compleanno, Tesla
dichiarò a un giornalista del «New York Times» di aver inventato un raggio letale,
potente abbastanza da annientare istantaneamente un‟armata di diecimila aerei e un
milione di soldati. Il giorno successivo, l‟11 luglio 1934, il giornale pubblicò la
notizie:
TESLA, A SETTANTOTTO ANNI, SVELA IL NUOVO “RAGGIO LETALE”
Un‟invenzione abbastanza potente da distruggere diecimila aeroplani a 250 miglia
di distanza, SOLO UN‟ARMA DIFENSIVA. Lo scienziato, in un‟intervista, racconta del
sistema che, secondo lui, può uccidere senza lasciar traccia.
La storia si riferiva a Tesla come al «padre dei moderni metodi di generazione e
distribuzione dell‟energia elettrica» e riferiva che avesse detto che la sua ultima
invenzione avrebbe reso la guerra impossibile: «Sarà invisibile e non lascerà segni
dietro di sé, oltre a quelli di distruzione. Questo raggio mortale circonderà ogni Paese
come un‟invisibile Muraglia Cinese, solo un milione di volte più impenetrabile.
Renderebbe ogni nazione inattaccabile dagli aerei o da grandi eserciti invasori».
Per il suo ottantaquattresimo compleanno, Tesla dichiarò di essere pronto a
divulgare al governo degli Stati Uniti il segreto della sua “teleforza”, che avrebbe
disciolto i motori degli aerei a 400 chilometri di distanza, erigendo attorno al Paese
un invisibile muro di difesa. Disse che questa teleforza era basata su un principio
totalmente nuovo della fisica che nessuno aveva mai immaginato, e il raggio che la
generava avrebbe avuto una sezione di 100 milionesimi di centimetro quadrato. Il
voltaggio richiesto per produrre questo raggio sarebbe stato di 50 milioni di volt e,
aggiunse, questo enorme voltaggio avrebbe catapultato le microscopiche particelle
elettriche di materia verso la loro missione di distruzione difensiva.
Tesla probabilmente concepì l‟idea del suo raggio letale a Wardenclyffe, Long
Island, New York, dove nel 1902 costruì una torre di 57 metri e dei laboratori per
sperimentare le onde radio e il potere di trasmissione elettrica senza fili. Le
fondamenta d‟acciaio erano profonde 36 metri e la torre era sovrastata da una cupola
di metallo del peso di 55 tonnellate e di 20 metri di diametro. Questa struttura
sperimentale aveva il sostegno finanziario del leggendario investitore John Pierpont
Morgan. Comunque, Morgan si tirò fuori dall‟impresa ancor prima che la costruzione
fosse ultimata. La torre fu abbandonata nel 1911 e demolita nel 1917. L‟edificio
principale si erge ritto, ancora oggi.
La storia popolare secondo cui Tesla sperimentò il suo raggio letale una notte del
1908 suona più o meno così. In quell‟anno, l‟esploratore artico Robert Peary stava
compiendo il secondo tentativo di raggiungere il Polo Nord e Tesla gli chiese di far
caso a eventuali fenomeni insoliti. La sera del 30 giugno, accompagnato dal suo
collega George Scherff in cima alla torre Wardenclyffe, Tesla puntò il raggio letale
verso l‟Artico, un po‟ più a ovest della spedizione di Peary. Tesla esaminò allora i
giornali e inviò telegrammi a Peary per avere conferma degli effetti del suo raggio
letale, ma non ebbe notizia di alcunché di insolito nell‟Artico. Quando Tesla udì
dell‟esplosione di Tunguska, fu grato che nessuno fosse rimasto ucciso e smantellò la
sua macchina del raggio letale, ritenendo che fosse troppo pericoloso tenerla.
In una lettera al «New York Times» il 21 aprile del 1907, Tesla scrisse: «Quando
ho parlato della guerra del futuro, intendevo che sarebbe stata condotta mediante la
diretta applicazione di onde elettriche senza l‟uso di macchine aeree o altri mezzi di
distruzione… questo non è un sogno. Anche ora possono essere costruiti impianti
senza fili per mezzo dei quali ogni regione del pianeta può essere resa inabitabile
senza assoggettare la popolazione di altre parti a seri pericoli o svantaggi». Sebbene
credesse che fosse «assolutamente possibile trasmettere energia elettrica senza fili e
produrre effetti distruttivi a distanza», non ci sono prove che Tesla abbia usato la
Wardenclyffe Tower per i suoi esperimenti sul raggio letale.
In un‟intervista con gli autori Walter W. Massie e Charles R. Underhill per il loro
libro Wireless Telegraphy and Telephony del 1908, Tesla spiegò la propria visione
sull‟uso delle onde radio:
[I miei esperimenti] renderanno possibile per un uomo d‟affari di New York dettare istruzioni e
far sì che esse appaiano istantaneamente stampate nel suo ufficio di Londra o altrove. Sarà in grado
di chiamare dalla sua scrivania e parlare con chiunque nel globo abbia una telefono, senza nessun
cambiamento nell‟equipaggiamento esistente. Uno strumento non costoso, non più grande di un
orologio, consentirà a chi lo porta di ascoltare ovunque, sul mare o a terra, musica o canzoni, il
discorso di un leader politico, di un importante esponente scientifico o la predica di un prete
eloquente, portati in qualche altro posto, non importa quanto distante. Allo stesso modo qualunque
immagine, personaggio, disegno o stampa possono essere trasferiti da un posto a un altro. Milioni di
strumenti simili possono essere resi operativi da un solo impianto di questo genere.
Aggiunse che considerava la trasmissione senza fili di energia più importante del
suo lavoro sulle onde radio, e che i suoi esperimenti lo avrebbero dimostrato su una
scala sufficientemente ampia da convincere. Non realizzò mai il suo sogno per la
Wardenclyffe Tower, a causa della mancanza di finanziatori. Il 17 febbraio 1905,
scrisse a Morgan pregandolo di aiutarlo: «Lasci che glielo dica ancora una volta. Ho
ultimato la più grande invenzione di tutti i tempi: la trasmissione senza fili di energia
elettrica a qualunque distanza, un lavoro a cui ho dedicato la mia vita». Nei progetti
della Wardenclyffe Tower non c‟è alcun accenno al modo di funzionamento di questo
raggio mortale. L‟unico riferimento è in un articolo molto tecnico. La nuova arte di
progettare energia concentrata non dispersiva attraverso mezzi naturali scritto nel
1937. In questo articolo descriveva gli effettivi lavori per un‟arma costituita da un
raggio di particelle in grado di distruggere dei carri armati.
Il raggio letale potrebbe essere stato un sogno plausibile, ma non era una realtà.
Tesla non ebbe mai l‟occasione di sperimentare i suoi progetti. La storia di Tunguska
sembra improbabile per un‟altra ragione. Tesla non avrebbe potuto sapere dell‟evento
di Tunguska prima del 1928, quando le storie sul caso apparvero sui giornali
americani. Inoltre non c‟è registrazione della richiesta di Tesla, nei resoconti di Peary
sulla sua spedizione. La storia è stata inventata semplicemente congiungendo i punti
– Tunguska, Tesla, Peary – con il 1908. Ma i punti non sono connessi.
Lo scrittore americano Oliver Nichelson, il cui nome spunta in molti libri e pagine
web che legano Tesla a Tunguska, crede che l‟idea di un‟arma energetica controllata
da
Tesla che abbia causato l‟esplosione di Tunguska fosse contenuta in una biografia
romanzata di un altro scrittore e fosse l‟oggetto di una parte della serie di
documentari TV Sightings: «Data l‟indole pacifista di Tesla è difficile comprendere
perché avrebbe condotto un esperimento dannoso sia per gli animali che per le
persone che li custodivano anche quando doveva fare i conti con la disperazione
economica. La risposta è che probabilmente non intendesse fare alcun male, ma
mirasse a un colpo pubblicitario e, letteralmente, mancò il bersaglio».
Le prove sono solo circostanziali, ammette Nichelson. Ma vuole ancora fare testa o
croce: «Forse l‟esplosione delle dimensioni di una bomba atomica in Siberia al
mutare del secolo fu causata da un meteorite che nessuno ha visto cadere. O, forse,
Nikola Tesla ha fatto tremare il mondo in un modo che è stato tenuto segreto per più
di ottantacinque anni». Lanciate voi la monetina.
Gli scienziati credono che 65 milioni di anni fa i dinosauri scomparvero a causa di
una palla di fuoco simile a quella di Tunguska, ma molto più grande. Un impatto
cosmico analogo potrebbe condurre all‟estinzione del genere umano. Perciò il mistero
della palla di fuoco di Tunguska è inestricabilmente legato a quello della morte dei
dinosauri.

Una palla di fuoco nel cielo dei dinosauri


65 milioni di anni prima della palla di fuoco di Tunguska. Una rotta dal mare di
Beaufort (nell‟oceano Artico) al Golfo del Messico divide il Nordamerica. Le regioni
che un giorno saranno chiamate Alberta e Montana racchiudono questo mare
circondato dalla terraferma. A est del mare e delle pianure costiere si innalzano le
Montagne Rocciose appena formatesi.
Tra queste pianure e alture ci sono paludi, laghi, fiumi e distese semiaride.
Conifere e sempreverdi dalle ampie foglie e alberi decidui, felci e cespugli fioriti
riempiono il paesaggio; l‟erba deve ancora svilupparsi. Questa grande varietà di
ambienti fornisce il posto ideale per diverse specie di dinosauri, gli animali più grandi
che abbiano mai calcato la Terra. Tra tutti i tipi di dinosauri che hanno abitato
quest‟area preistorica, ne emerge uno.
È lungo 12,5 metri e alto 4,5: lungo più della metà di un campo da tennis e alto
abbastanza da potervi salutare dalla finestra al secondo piano di un edificio. Ha una
spaventosa testa grossa un metro e mezzo e diverse dozzine di denti lunghi 18
centimetri, affilati come le lame di un coltello. I due piedi giganti, simili a quelli di un
uccello, hanno tre dita ciascuno, ma le mani a due dita e le braccia appaiono piccole.
La sua pelle non è dura come il cuoio ma è squamosa e piena di rigonfiamenti. Non è
di un verde scuro uniforme: è difficile a dirsi ma questo dinosauro può essere
colorato come i suoi parenti più prossimi, gli uccelli.
La sua andatura normale è di 5 chilometri orari. Potreste camminargli accanto
tenendo il passo senza fatica. Quando corre può raggiungere la velocità di 30
chilometri orari: certamente non è veloce come uno struzzo o un cavallo, ma ha una
buona velocità se si considera che pesa 10 tonnellate, quanto tre grossi elefanti.
Nessuna meraviglia che, per le sue dimensioni e la sua potenza, sia stato definito “un
corridore dall‟inferno”. Probabilmente è il più grande animale carnivoro terrestre mai
esistito: è il leone del suo mondo, ma è troppo grande e massiccio per essere un buon
cacciatore. Viaggia e caccia in branchi e attacca come i lupi vagabondi. Il suo cibo
principale sono i dinosauri erbivori grandi quanto lui o più piccoli.
È il più famoso dinosauro di tutti i tempi, la star di molti film di mostri. Ma non è
il feroce assassino assetato di sangue dei film e, nonostante la credenza popolare, non
è necessariamente l‟animale più cattivo del suo tempo. Non è neppure uno spirito
solitario: è socievole, vive in branchi e si associa agli altri. Ha anche una sorta di vita
familiare e si prende cura dei suoi piccoli.
Il nostro dinosauro appartiene alla specie del Tyrannosaurus rex, che visse tra i 67
e i 65 milioni di anni fa in Canada (Alberta e Saskatchewan) e negli Stati Uniti
(Colorado, Montana, New Messico e Wyoming). È solo una delle centinaia di specie
di dinosauri che vivevano a quell‟epoca. Era il tempo in cui i dinosauri governavano
il pianeta, poi improvvisamente scomparvero. La loro scomparsa ha tutti gli
ingredienti di un giallo: delle vittime inconsapevoli, una morte violenta e improvvisa
e un killer misterioso. L‟identità di questo killer aiuterà anche a svelare il mistero di
Tunguska.

Vita scomparsa
L‟estinzione è la scomparsa di una specie: significa che un‟intera specie di animali
o piante è morta e non tornerà
mai più. Quando l‟ambiente cambia, le specie devono adattarsi al nuovo ambiente
per sopravvivere. Le specie che ci riescono sopravvivono, le altre si estinguono.
L‟estinzione non è una cosa insolita: le specie scompaiono continuamente e ne
appaiono di nuove. In passato molte estinzioni furono causate dai cambiamenti del
clima o dell‟ambiente circostante, ma una delle principali cause di estinzione oggi è
l‟attività umana, come la distruzione delle foreste. Metà delle specie del mondo
potrebbe scomparire entro pochi decenni se non cambiamo la nostra condotta.
Quando la quantità di estinzioni è molto alta rispetto a quelle che normalmente si
verificano, si parla di estinzione di massa. Nelle estinzioni di massa ci sono pochi
sopravvissuti e molte vittime. Le estinzioni di massa hanno quattro importanti
caratteristiche: si estinguono diversi tipi e grandi quantità di specie; l‟estinzione
avviene in tutto il mondo (sulla terra e nel mare) e si verifica in un breve periodo
geologico.
Nel corso della storia della Terra ci sono state cinque grandi estinzioni di massa,
una in ciascuno dei periodi Ordoviciano, Devoniano, Permiano, Triassico e Cretaceo:
nel tardo Ordoviciano (438 milioni di anni fa), nel tardo Devoniano (389 milioni di
anni fa), alla fine del Permiano (245 milioni di anni fa), nel tardo Triassico (208
milioni di anni fa) e alla fine del Cretaceo (65 milioni di anni fa).
Come facciamo a sapere che ci sono state cinque grandi estinzioni di massa? Un
modo per scoprire le estinzioni di massa è tracciare un grafico sul livello di estinzioni
nel corso del tempo. I picchi del grafico mostrano le estinzioni di massa. Negli anni
Ottanta, dopo aver studiato i fossili di migliaia di specie di invertebrati, due scienziati
americani, David Raup e John Sepkoski, tracciarono dei grafici simili. Essi rivelarono
quindici estinzioni di massa, di cui cinque si elevavano decisamente sopra le altre. I
loro studi mostravano anche uno schema curioso: le quindici estinzioni di massa
sembravano essere avvenute a 26 milioni di anni di distanza. La loro conclusione che
le estinzioni di massa hanno un ciclo di 26 milioni di anni porta alla domanda: cosa
determina il ciclo? Raup e Sepkoski dichiararono di propendere per “cause
extraterrestri”. Non ci volle molto perché gli astronomi proponessero idee
accattivanti, alcune delle quali passeremo subito a indagare.
La peggiore distruzione della vita nella storia della Terra ebbe luogo alla fine del
periodo Permiano, 245 milioni di ani fa. I paleontologi chiamano questa estinzione la
“grande moria” perché cancellò la maggior parte della vita sulla Terra: il bilancio di
morte incluse il 95 per cento delle specie negli oceani, il 70 per cento dei rettili e
degli anfibi e il 30 per cento delle specie di insetti. Scomparvero così tanti alberi e
altre forme di vegetazione, che per un breve periodo la Terra fu coperta quasi solo da
funghi. La scomparsa dei vertebrati dominanti aprì le porte all‟arrivo dei dinosauri
nel Triassico.
Cosa causò questa estinzione spettacolare? La lunga fila di sospetti include i
cambiamenti nel clima globale, l‟improvvisa diminuzione del livello del mare,
concentrazioni tossiche di diossido di carbonio negli oceani ed enormi eruzioni
vulcaniche; ma il principale sospetto è quello che la Terra fu colpita da un enorme
oggetto extraterrestre, grande quanto l‟Everest.
La più famosa estinzione fra le cinque maggiori è quella in cui scomparvero i
dinosauri, alla fine del Cretaceo (chiamata anche Cretaceo-Terziario, o confine K-T,
dove Cretaceo è abbreviato in “K” per evitare confusione con il Carbonifero e il
Cambriano).
I dinosauri non sono stati la sola specie a morire nell‟estinzione del K-T: scomparve
il 75 per cento delle specie viventi del tempo. I principali sopravvissuti furono piante
di terra, coccodrilli, alligatori, rane, salamandre, tartarughe, uccelli e mammiferi.
Molti degli animali sopravvissuti erano più piccoli dei dinosauri, si rifugiarono nei
fossi o si nascosero nelle acque per sfuggire alla catastrofe. Ma c‟era anche un‟altra
ragione: il posto occupato dagli animali sopravvissuti nella catena alimentare. Molti
degli animali terrestri che morirono erano anelli della catena alimentare che si
cibavano solo di piante. Queste piante furono le prime a morire durante la catastrofe.
Gli animali sopravvissuti erano in una diversa posizione nella catena alimentare. Essi
si nutrivano di larve di insetti, vermi e altri piccoli animali che, a loro volta, si
nutrivano di piante morte o marcescenti.
I resti fossili non ci dicono se l‟estinzione del K-T sia stata improvvisa, esaurendosi
in pochi minuti, o se sia durata diversi milioni di anni. La vera risposta è che gli
scienziati non lo sanno.

La stella della morte


Se le estinzioni di massa hanno un ciclo di 26 milioni di anni, allora c‟è una forza
che disturba il pianeta a intervalli regolari. Dov‟è questa forza nell‟universo? Dov‟è
“il grande orologio” che innesca le estinzioni di massa?
Non può trattarsi del ciclo delle macchie solari: il numero delle macchie solari
visibili – le regioni scure e fredde, simili a lentiggini sulla superficie del Sole – varia
secondo un ciclo regolare, che raggiunge il suo apice ogni undici anni. Non è Plutone,
il più distante dei nove pianeti, che impiega 247 anni per ruotare intorno al Sole. Non
è neppure l‟inclinazione dell‟asse terrestre, che traccia un piccolo cerchio in un ciclo
di ventiseimila anni. L“„orologio” non si trova di certo nel sistema solare. L‟intero
sistema solare compie poi un giro completo attorno al centro della Via Lattea in circa
250 milioni di anni. Tale periodo è conosciuto come “anno cosmico”, ma neppure
questo coincide con il ciclo di cui stiamo parlando. Non conosciamo alcun evento
astronomico che abbia un ciclo di 26 milioni di anni.
La più ardita, eppure verosimile, idea per spiegare il ciclo di 26 milioni di anni è
venuta all‟astronomo americano Richard Muller e ai suoi colleghi. Essi hanno
proposto che, come molte altre stelle, il Sole abbia una stella compagna. Questa stella
si muoverebbe in un‟orbita ellittica attorno al Sole, impiegando 26 milioni di anni per
completare l‟orbita. Una volta ogni 26 milioni di anni la stella compagna giungerebbe
più vicino al sistema solare, dove passerebbe attraverso la nube Oort di comete.
Durante ogni passaggio attraverso la nube Oort, la compagna del Sole
disturberebbe un gran numero di comete, spedendole verso la Terra. Una pioggia di
comete lunga migliaia di secoli bombarderebbe la Terra, i cieli sarebbero oscurati per
l‟aumento di polvere nell‟atmosfera, la temperatura al suolo precipiterebbe e molti
animali e piante morirebbero.
I ricercatori affermano: «Se e quando la stella compagna sarà trovata, suggeriamo
di chiamarla Nemesis, dalla divinità greca che inesorabilmente perseguita coloro che
sono troppo ricchi, orgogliosi e potenti». L‟eminente paleontologo Stephen Jay
Gould ha proposto di chiamarla Shiva, come il dio indù che periodicamente distrugge
e ricrea il mondo.
Le riviste scientifiche divulgative l‟hanno invece velocemente denominata la
“stella della morte”. Alla metà degli anni Ottanta la storia di Nemesis era molto nota
e controversa, e fu ampiamente raccontata dalla stampa popolare. Un giornale giunse
a descriverla come «una storia che ha tutto, tranne il sesso e la famiglia reale». È raro
che un importante quotidiano scriva un editoriale su una teoria scientifica. Eppure,
nel 1985, il «New York Times» dedicò l‟articolo Sbagliare l’oroscopo dei dinosauri
alla teoria Nemesis. Respinse «lo schema di ripetizione delle estinzioni di massa
ipotizzato» e suggerì che gli astronomi lasciassero agli astrologi il compito di cercare
la causa degli eventi terrestri nelle stelle.
L‟idea del ciclo da 26 milioni di anni solleva la questione: quando arriverà la fine?
La buona notizia è: almeno fra 13 milioni di anni. L‟ultima volta che Nemesis ha
attraversato la nube di comete è stato 13 milioni di anni fa. Si trova ora a circa 2 anni
luce (18.921 miliardi di chilometri) dal Sole, la metà della distanza della seconda
stella più vicina, Alpha Centauri.
Se c‟è una stella compagna, perché gli astronomi non l‟hanno ancora vista? Si
crede che Nemesis sia una nana marrone. Le nane marroni sono troppo piccole per
raggiungere la combustione dell‟idrogeno che accende le stelle, perciò sono molto
difficili da individuare. Nessun telescopio ottico o a raggi infrarossi ha ancora
individuato una nana marrone.
Nel 2001, circa due decenni dopo la pubblicazione della teoria di Nemesis, il fisico
Robert Foot dell‟Università di Melbourne e Zurab Silagadze dell‟Istituto di fisica
nucleare russo suggerirono che Nemesis fosse sfuggita all‟osservazione perché fatta
di materia specchio e perciò invisibile: «È molto difficile da dimostrare, ma
divertente da ipotizzare».
Se non è Nemesis la stella compagna del Sole dal ciclo di 26 milioni di anni, allora
deve essere un lontano pianeta sconosciuto: il pianeta X. Si pensa che il decimo
pianeta sia da tre a cinque volte più pesante della Terra, gassoso come Giove e
impiegherebbe mille anni a ruotare attorno al Sole.
Attualmente si troverebbe a una distanza pari a tre volte quella di Plutone, cioè a
15 miliardi di chilometri dal Sole (la Terra è solo a 150 milioni di chilometri di
distanza). Alcuni scienziati hanno proposto che l‟orbita del pianeta X cambi
continuamente a causa dell‟attrazione gravitazionale degli altri pianeti. Ogni 26
milioni di anni il cambiamento dell‟orbita disturberebbe la nube Oort, producendo
una pioggia di comete sulla Terra. Nessuna ricerca – anche con le sonde spaziali e il
telescopio spaziale Hubble – ha fornito finora qualche indizio sull‟esistenza del
pianeta X.
L‟idea di un ciclo di 26 milioni di anni nelle estinzioni di massa è piuttosto
affascinante: suggerisce che molte di esse abbiano avuto cause simili. Se potessimo
trovare il colpevole per una, avremmo preso un serial killer. Molti scienziati
respingono quest‟idea. Comunque Raup crede che l‟idea sia ancora “viva e vegeta”
nonostante la mancanza di un orologio astronomico. La proposta è ancora sul tavolo,
dice, in attesa di nuovi dati o nuovi modi di guardare ai vecchi dati. Se rinunciamo
all‟idea di una singola causa per tutte le estinzioni di massa, possiamo limitare la
nostra ricerca a quello che ci interessa di più: la morte dei dinosauri.

L’asteroide killer
Sebbene le rocce formatesi durante il Cretaceo e il Terziario siano calcaree,
presentano uno strato di argilla al confine K-T. I geologi lo chiamano argilla del
confine. I dinosauri e gli altri esseri viventi che sono scomparsi nelle estinzioni di
massa 26 milioni di anni fa hanno lasciato segni rivelatori della propria esistenza in
fossili contenuti in questo strato d‟argilla, luogo dell‟omicidio di massa.
I corpi morti – fossili in questo caso – non sono la sola prova dell‟omicidio. I killer
hanno lasciato anche altre tracce. Un giorno, un geologo americano inciampò in un
sottile strato di argilla e la prova che egli scoprì dischiuse una nuova via di indagine
nella morte dei dinosauri.
Alla fine degli anni Settanta, Walter Alvarez stava studiando una roccia calcarea in
una gola vicino alla città di Gubbio. La roccia sembrava un sandwich. La parte bassa,
lo strato più vecchio, era di calcare bianco pieno di minuscoli fossili del Cretaceo.
Era seguito da uno strato di argilla rosso opaco spesso circa 2 centimetri, dopo il
quale cominciava lo strato superiore fatto di calcare grigio-rosa, ma quasi privo di
fossili del Cretaceo. Indubbiamente lo strato di argilla era quello di confine: sotto ci
sono i resti dei dinosauri, sopra tali resti mancano.
Quasi 100.000 tonnellate di polvere proveniente dallo spazio piove sulla Terra ogni
anno. Questa invisibile polvere cosmica si deposita con altri sedimenti dove si
formano le rocce sedimentarie. Se i geologi conoscono il livello in cui cade la polvere
cosmica e quanta polvere è presente in un certo strato di roccia, possono scoprire
quanto tempo occorre per far depositare quello strato di roccia.
L‟età dell‟argilla di confine può anche risolvere la questione se l‟estinzione K-T sia
stata un evento improvviso o se ha avuto luogo nel corso di milioni di anni.
“Improvviso” nel senso geologico va da pochi giorni a centinaia o anche migliaia di
anni.
Le registrazioni fossili mostrano che le ammoniti, piccoli animali marini con la
conchiglia a spirale, vissero proprio al confine del K-T e poi improvvisamente
scomparvero. Si pensa che i dinosauri, che sono vissuti nello stesso periodo delle
ammoniti e i cui fossili sono rari, scomparvero anch‟essi improvvisamente. Ma i resti
fossili non ci dicono quanto ci è voluto perché si estinguessero. Alvarez sperava che
lo strato di Gubbio avrebbe dato una risposta.
Quando analizzò l‟argilla alla ricerca di polvere cosmica, Alvarez non riuscì a
scoprire quanto tempo c‟era voluto perché lo strato di polvere si depositasse. Ma
scoprì qualcosa di molto strano che fornì un fondamentale indizio per
l‟identificazione del killer di massa. «È ciò che serve agli investigatori e agli
scienziati: duro lavoro e un colpo di fortuna occasionale» affermò.
Il colpo di fortuna fu la scoperta, nello strato di Gubbio, dell‟iridio. Luis Alvarez, il
padre di Walter, fisico premio Nobel, suggerì che l‟iridio avesse una fonte
extraterrestre. Ipotizzò anche che l‟anomalia dell‟iridio, man mano che quantità
sempre maggiori di questo metallo divenivano note, dovesse essere comune a tutto il
pianeta. Sin dalla sua previsione del 1980, Walter Alvarez e altri scienziati scoprirono
la stessa concentrazione di iridio dello strato di Gubbio anche nell‟argilla di confine
K-T in Danimarca, Spagna e Nuova Zelanda e nelle profondità marine dell‟Atlantico e
del Pacifico.
Gli Alvarez, padre e figlio, conclusero che circa 65 milioni di anni fa un grande
asteroide precipitò dal cielo e colpì la Terra, sollevando un grossa nuvola di polvere
che bloccò la luce del Sole per diversi anni e che depositò lentamente i suoi detriti
ricchi di iridio in tutto il mondo. Questo impatto extraterrestre cancellò i dinosauri e
quasi il 75 per cento delle altre specie viventi.
Se un asteroide colpì la Terra 65 milioni di anni fa, dov‟è il cratere di impatto? Nel
1980, una compagnia petrolifera, che scavava sulla costa della penisola dello Yucatan
in Messico, si imbatté in una struttura circolare, sepolta sotto la superficie del
villaggio di Chicxulub (“coda del diavolo” nell‟antica lingua dei Maya). Non era stata
individuata prima perché era sepolta sotto 1100 metri di calcare. Nessuno si
preoccupò di questa struttura finché il geologo americano Alan Hildebrand apprese di
essa da un reporter locale nel 1990. Le indagini di Hildebrand e altri geologi
rivelarono che la struttura a forma di coppa era in effetti un cratere di impatto
piuttosto che una struttura vulcanica di qualche tipo. Sulla base delle trivellazioni
eseguite per la ricerca del petrolio, si stima che abbia una larghezza di 180 chilometri
e una profondità 20 volte maggiore del Grand Canyon.
La potente tecnica argo/argo per datare una roccia recuperata da una trivellazione
confermò che il cratere si era formato 65 milioni di anni fa quando una bassa marea
aveva interessato la regione. Gli scienziati calcolano che si formò a causa di un
asteroide grande quasi quanto San
Francisco, che viaggiava a una velocità pari a 40 volte quella del suono.
L‟asteroide conteneva l‟energia di una bomba da 100 milioni di megatoni. Quando un
meteorite gigante o un asteroide colpisce le rocce della superficie terrestre, lascia
qualche segno dell‟impatto. Gli scienziati hanno scoperto segni di tectiti, quarzi con
deformazioni da shock e iridio associati al cratere Chicxulub. Lo strato di roccia del
confine K-T presenta anche una grande concentrazione di iridio, come Walter Alvarez
aveva previsto nel caso di un impatto di natura extraterrestre. Alvarez, che ha
rinominato il cratere Chicxulub “il cratere del giorno del giudizio” crede che esso sia
la prova migliore per la sua teoria.
Sono state trovate anche altre due prove schiaccianti. Nel 1996 lo scienziato
americano Frank Kyte affermò di aver trovato un ciottolo nel mezzo dell‟oceano, 900
chilometri a ovest del cratere Chicxulub. Il ciottolo, a grana grossa, lungo circa 2,5
millimetri, conteneva ferro e iridio in quantità simile ai meteoriti e fu trovato in uno
strato di roccia depositato nello stesso periodo in cui scomparvero i dinosauri. Kyte
crede che provenisse dallo spazio: «Non c‟era modo che un ciottolo grande pochi
millimetri potesse giungere qui se non dallo spazio».
Nel 1996, dopo aver analizzato le rocce del cratere Chicxulub, lo scienziato
americano Benjamin Schuraytz scoprì due frammenti di iridio. Pesavano pochi
millesimi di miliardi di grammo ed erano puri al 99 per cento. Per Schuraytz
l‟impatto fu così potente da vaporizzare altri metalli, lasciando l‟iridio puro, che si
vaporizza a più di 5000 gradi Celsius.

Il giorno del giudizio


Cosa sarebbe accaduto dopo che un asteroide si fosse schiantato sulla Terra? Non
mancano gli scenari spaventosi su come un simile impatto avrebbe trasformato in un
killer il clima terrestre.
In 45 minuti dal momento dell‟impatto, una vampata di detriti e vapore avrebbe
avvolto la Terra. Ci sarebbe stata sufficiente polvere – composta da materiali
provenienti dall‟asteroide e dalla crosta terrestre – da causare l‟oscuramento di tutto il
pianeta. Gli scienziati hanno calcolato che l‟impatto di Chicxulub immise 50.000
chilometri cubici di polvere nell‟atmosfera, che finirono col formare uno strato
spesso circa 3 millimetri. Senza la luce del Sole la fotosintesi sarebbe cessata.
Ovunque le catene alimentari sarebbero collassate. Il buio avrebbe anche prodotto
temperature estremamente fredde. Gli scienziati chiamano queste condizioni “inverno
da impatto”.
Un inverno da impatto può essere paragonato allo scenario di un “inverno
nucleare”. Secondo costoro, l‟esplosione di un grosso numero di missili nucleari
getterebbe enormi quantità di fumo e polvere nell‟atmosfera superiore, dove
rimarrebbero per lunghi periodi, causando cieli bui e temperature più basse per mesi.
In questo scenario, la radiazione nucleare giocherebbe una piccola parte; sarebbero
molto più importanti l‟immissione di polvere e fumo nell‟atmosfera superiore e i
conseguenti effetti climatici.
Dopo uno studio dettagliato sui fossili di piante di 65 milioni di anni fa in quello
che è adesso il Wyoming, il botanico americano Jack Wolfe ha concluso che
sicuramente ci fu un improvviso congelamento di massa. I fossili mostrano tutti che
le piante sono avvizzite, suggerendo danni da congelamento. I suoi studi dei climi del
passato gli hanno anche consentito di ipotizzare quando l‟asteroide colpì la Terra:
uno dei primi giorni di giugno. «Robaccia» dice delle scoperte di Wolfe il collega
botanico Leo Hockey, che basa il suo verdetto sullo studio di migliaia di foglie degli
strati di roccia prima e dopo la scomparsa dei dinosauri.
Alcuni esperti affermano che il lungo inverno non uccise i dinosauri. La scoperta
dei fossili di dinosauri in Alaska e nell‟Australia sudorientale (che 65 milioni di anni
fa era più vicina al Polo Sud) suggerisce che i dinosauri sarebbero potuti sopravvivere
per molte settimane nel buio più totale, il che farebbe però vacillare gli argomenti
secondo i quali il buio e il freddo causati dall‟impatto di un asteroide avrebbero fatto
estinguere la specie.
Un forte impatto avrebbe potuto innescare terremoti centinaia di volte più vasti del
maggior terremoto mai registrato. Se un asteroide avesse colpito l‟oceano, avrebbe
prodotto degli enormi tsunami, onde molto veloci più alte dei grattacieli, che
mantengono la loro energia distruttiva mentre percorrono grandi distanze. Questi
tsunami avrebbero inondato tutte le zone terrestri a eccezione delle vette montuose e i
poveri dinosauri non sapevano nuotare.
L‟impatto avrebbe potuto produrre venti fino a 1080 chilometri orari, secondo il
climatologo americano Kerry Emanuel. Questi venti avrebbero potuto gettare enormi
quantità di polvere nell‟atmosfera più elevata, mutando il clima e distruggendo lo
strato di ozono. Come molti altri scenari, quello di Emanuel si basa su un modello
computerizzato. Egli crede che l‟impatto di Chicxulub potrebbe facilmente avere
provocato una tempesta catastrofica: l‟immensa quantità di energia rilasciata nella
collisione avrebbe reso il cratere estremamente caldo, l‟acqua del mare che si
riversava nel nuovo cratere sarebbe stata riscaldata a sua volta e avrebbe portato alla
formazione di tempeste, che Emanuel definisce “iperuragani”.
Se l‟asteroide avesse colpito una roccia calcarea, l‟avrebbe vaporizzata.
Riscaldandosi, il calcare produce diossido di carbonio. Come risultato l‟atmosfera si
sarebbe riempita di enormi quantità di questo gas. Il diossido di carbonio avrebbe
intrappolato il caldo, creando un effetto serra con temperature letali. Per verificare
questa teoria, due scienziati americani, John O‟Keefe e Thomas Ahrens, spararono
sfere di acciaio da un cannone in alcune rocce di calcare a una velocità di 7200
chilometri orari e misurarono la quantità di diossido di carbonio nell‟atmosfera
durante la notte.
Esaminando campioni dell‟argilla al confine K-T provenienti da tutto il mondo, nel
1985 il chimico americano Wendy Wolbach e i suoi colleghi riscontrarono elevati
livelli di carbonio, come la fuliggine nella fiamma di una candela. A suo parere, gli
incendi seguiti all‟impatto crearono 70 miliardi di tonnellate di fuliggine, la cenere
del mondo dei dinosauri. La forza dell‟impatto avrebbe provocato un‟enorme palla di
fuoco che sarebbe dilagata, appiccando incendi alle foreste dal Nordamerica all‟Asia.
I venti che ne sarebbero derivati avrebbero disperso per il mondo la fuliggine, che
avrebbe oscurato la luce del Sole e dunque bloccato la fotosintesi delle piante.
Gli incendi emisero anche gas tossici, come il diossido e il monossido di carbonio
e il metano, che danneggiarono gran parte della vita sulla superficie del pianeta. Una
stima dimostra che la quantità di diossido di carbonio (10.000 miliardi di tonnellate),
di monossido di carbonio (100 miliardi di tonnellate) e metano (100 miliardi di
tonnellate) rilasciate dagli incendi era equivalente a tremila anni di combustione degli
attuali combustibili fossili. I fuochi si sarebbero spenti nel lungo inverno succeduto
agli incendi.
Le rocce attorno al cratere Chicxulub contengono grandi quantità di zolfo. Ciò ha
condotto alcuni scienziati a teorizzare che l‟esplosione abbia vaporizzato lo zolfo
spargendone più di 90 miliardi di tonnellate nell‟aria, dove si era mescolato con
l‟umidità fino a formare piccole gocce di acido solforico. Queste gocce coprirono il
pianeta come una coltre, bloccando la luce del Sole. La coltre rimase per decenni,
portando le temperature vicino al congelamento.
Gli scenari prospettati dagli scienziati americani David Kring e Daniel Durda nel
2003 dimostrano che il mondo post impatto «appariva, odorava e suonava diverso».
La diversità delle specie viventi aveva evitato una completa estinzione, ma il nuovo
ambiente era meno vario. Entro un anno le felci e le alghe si ripresero. Dopo
cinquantanni i cespugli si appropriarono dei terreni vuoti e cominciarono a coprirli.
Anche gli alberi cominciarono a riprendersi; la ricrescita durò almeno cento anni.
Alcuni scienziati sostengono che il processo fu in realtà molto più lento, richiedendo
centinaia di anni e che ci vollero milioni di anni perché la vita negli oceani tornasse
alla normalità. «L‟impatto dischiuse delle nicchie ecologiche per l‟evoluzione dei
mammiferi, che condussero poi allo sviluppo della nostra stessa specie» scrivono
Kring e Durda su «Scientific American». «In questo senso, il cratere Chicxulub è il
crogiolo dell‟evoluzione umana.»
Coloro che non credono all‟idea di un asteroide che ha causato la scomparsa dei
dinosauri, sostengono che gli effetti dell‟impatto si sarebbero limitati solo a una
piccola regione e non avrebbero potuto causare una devastazione globale.

Pennacchi di vapore e fumo


I vulcani sono buchi o fratture nello strato più esterno della Terra da cui
fuoriescono roccia fusa o magma, una mistura di lava liquida, materiali solidi e gas. I
vulcani sono imprevedibili: possono eruttare senza alcun preavviso. A volte emettono
semplicemente lava. Questo comportamento irregolare rende la vita difficile ai
vulcanologi e probabilmente la rese difficile ai dinosauri 65 milioni di anni fa. Un
vulcano divenne improvvisamente attivo e cominciò a emettere pennacchi di vapore e
fumo. Il cielo si riempì di polvere e detriti e le mitiche bestie morirono soffocate.
Oggi l‟argomento che una catastrofe cancellò i dinosauri nello spazio di pochi mesi
o anni ha tre diversi “sapori”.
• Nell‟angolo alla vaniglia stanno gli scienziati che credono che responsabile
dell‟estinzione dei dinosauri fu una roccia vagante proveniente dallo spazio.
• Nell‟angolo al cioccolato coloro che credono che fu un vulcano.
• Nell‟angolo variegato vaniglia e cioccolato, gli scienziati che pensano a una
duplice iella: onde d‟urto dell‟impatto di una roccia extraterrestre si sarebbero
immediatamente diffuse sotto la superficie innescando eruzioni vulcaniche sull‟altro
lato del pianeta.
Non tutte le spiegazioni sono così semplici. «Il percorso è disseminato di cadaveri,
ma ci sono pochi indizi su come e quando le vittime sono morte» lamenta il geologo
americano Charles Officer, uno dei principali sostenitori della teoria del vulcano.
Sostiene che c‟erano molti vulcani attivi 65 milioni di anni fa. Più di un milione di
chilometri cubici di lava eruttò in poche migliaia di anni.
La pietra angolare della teoria dell‟impatto extraterrestre è la presenza di grandi
quantità di iridio in alcune rocce. Si presume che l‟iridio provenisse da un asteroide o
un meteorite. Ma anche le particelle emesse delle eruzioni vulcaniche contengono
grandi quantità di iridio; pertanto livelli così alti di iridio nei crateri di impatto non
sono la prova che sia stato un asteroide a colpire la Terra.
Gas di un‟eruzione vulcanica possono anche causare piogge acide (per il diossido
di zolfo), effetto serra (per l‟eccesso di diossido di carbonio) e diminuzione dello
strato di ozono (per il cloro). 65 milioni di anni fa questi effetti si sarebbero verificati
su una scala molto più vasta.
«Sebbene sia difficile comprendere come un impatto, diciamo in Cina, potrebbe
uccidere e far seccare gli alberi in Europa, le più grosse tra le recenti eruzioni
vulcaniche hanno dimostrato che un solo evento può danneggiare il clima del mondo
intero» afferma Officer. Egli cita anche l‟esempio dell‟eruzione di un vulcano in
Indonesia nel 1815, che immise così tanto diossido di zolfo nell‟atmosfera da causare
un raffreddamento dell‟atmosfera stessa nell‟anno successivo. Ci furono periodi di
freddo, gelate e raccolti perduti nel New England e ancora oggi ci si riferisce a quel
periodo come all‟“anno senza estate”.
Gli scienziati concordano che le conseguenze dell‟impatto di un asteroide e una
grossa eruzione vulcanica sarebbero molto simili: grandi quantità di polvere (sia dal
cratere d‟impatto che dalla cenere vulcanica), che oscurerebbero i cieli, e piogge
acide (che possono essere prodotte dall‟acido nitrico derivante da reazioni chimiche
causate dall‟impatto
o dall‟acido solforico prodotto dalle eruzioni vulcaniche).
L‟idea di una seconda scossa causata dai vulcani dopo l‟impatto dell‟asteroide
viene dal geologo americano Jon Hagstrum. Quando l‟asteroide colpì Chicxulub, la
Terra si comportò come uno specchio gigante e le onde d‟urto si diressero verso
un‟area opposta a quella dove era avvenuto l‟impatto. Tenendo in considerazione la
deriva dei continenti, egli calcola che l‟India è oggi a 1600 chilometri di distanza dal
punto in cui era 65 milioni di anni fa. C‟era in effetti una vasta attività vulcanica in
India a quel tempo; i vulcani produssero enormi colate laviche che formarono una
serie di gradini giganti simili a piattaforme, noti come Trappi del Deccan (che
significa gradini meridionali). La colata si estese ben oltre i 10.000 chilometri
quadrati; si calcola che il volume di lava sia di circa un milione di chilometri cubici.
Nei Trappi del Deccan sono stati anche trovati uova di dinosauro e pezzi di ossa e
denti.

I dinosauri morirono per altre cause?


Alcuni scienziati ritengono che i dinosauri non furono “uccisi” ma che la loro fine
fu naturale. In questo scenario, l‟ipotesi tradizionalmente favorita per spiegare la
morte dei dinosauri è il lento cambiamento nel clima. La lista dei sospetti per un lento
cambiamento del clima include le ere glaciali, la collisione dei continenti e l‟effetto
serra. I dinosauri e molte altre specie non furono in grado di adattarsi ai mutamenti e
perciò morirono; i mammiferi e alcune altre specie invece si adattarono e
sopravvissero.
Un‟altra ipotesi gettonata è l‟abbassamento del livello del mare. I grossi
cambiamenti del livello del mare sono causati o dai movimenti della crosta terrestre o
dai mutamenti delle calotte di ghiaccio. Gli scienziati convengono che il livello del
mare si abbassò di 100 metri alla fine del Cretaceo, il che causò gravi danni
ambientali. Le specie si estinsero a causa di questi cambiamenti e l‟impatto
dell‟asteroide a Chicxulub uccise i pochi esemplari rimasti.
Oltre a queste teorie tradizionali c‟è ne una pletora di altre più bizzarre. Ecco
alcuni esempi.
• Cervello piccolo. I dinosauri sarebbero morti perché i loro corpi continuarono a
crescere sempre di più mentre il loro cervello rimase piccolo. Man mano che i
dinosauri divenivano meno intelligenti, persero la possibilità di adattarsi e
sopravvivere in un ambiente che mutava. Questa teoria è stata molto popolare per
decenni, poiché coloro che l‟hanno proposta potevano facilmente dimostrare che le
teste dei dinosauri erano molto piccole rispetto alle dimensioni dei corpi. Sì,
sappiamo che i cervelli dei dinosauri non erano grandi abbastanza da risolvere
un‟equazione algebrica, ma i lucertoloni tiranni furono sufficientemente intelligenti
per dominare il pianeta per più di 140 milioni di anni. Il che certamente batte gli
umani.
• Nati perdenti. Il biologo David Archibald ritiene che i dinosauri morirono a causa
di cattivi geni. Probabilmente erano nati perdenti: «La sopravvivenza è un gioco di
fortuna e abilità: alcune specie ce la fanno, altre no. L‟estinzione può sempre essere
stata nel destino dei dinosauri». Sostiene che non esistano tracce dell‟estinzione dei
dinosauri nel mondo. Nessuno può dire se i dinosauri si siano estinti in una notte
nell‟intero globo o se vissero per milioni di anni in alcuni luoghi dopo essere
scomparsi in altri.
• Vittime del cancro. Un nuovo, ma serio, tentativo di spiegare il declino dei
dinosauri viene dall‟astrofisico americano Juan Collar. Egli sostiene che i dinosauri
furono cancellati da un‟epidemia di cancro. No, non fu causata dal fumo. Il cancro fu
generato da massicce scariche di neutrini rilasciati dalle stelle morenti.
Nella fase finale della loro morte, le grosse stelle irradiano gran parte della propria
energia sotto forma di neutrini. Queste stelle morenti non sono splendenti come le
supernova e dunque sono difficili da trovare. Collar le chiama stelle morenti “silenti”.
Stima che la morte di una stella silente si verifichi entro i venti anni luce dalla Terra
una volta ogni 100 milioni di anni. Una stella che collassa produrrebbe dodici cellule
maligne per chilogrammo di tessuto, ciascuna delle quali potrebbe dar vita a un
tumore. L‟effetto sarebbe stato più grave nei dinosauri perché essi avevano una
maggiore quantità di tessuto. Consiglia di catalogare le possibili “bombe al neutrino”
– fonti di neutrini – della galassia per salvarci dalla sorte toccata ai dinosauri.
• Bagno di raggi gamma. Una nuova teoria è quella per cui le grandi bestie
possano essere state distrutte da un‟esplosione di raggi gamma. Quando una stella
neutrone è risucchiata in un buco nero produce massicce esplosioni di energia che
sono percepite a milioni di anni luce di distanza come raggi gamma. Alcune di queste
esplosioni raggiungono anche i nostri cieli, ma sono molto deboli e durano solo pochi
istanti.
Finora sono state percepite migliaia di esplosioni di raggi gamma, tutte
immensamente lontane verso il centro dell‟universo. Se un‟esplosione si verificasse a
tremila anni luce di distanza nella nostra galassia, i raggi gamma che colpiscono
l‟atmosfera superiore della Terra creerebbero una macchia blu nel cielo che
splenderebbe come la Luna. Seguirebbero eventi molto peggiori, avvertono gli
astronomi americani Peter Leonard e Jerry Bonnell: l‟esplosione di raggi gamma
innescherebbe una reazione chimica nell‟atmosfera terrestre che eliminerebbe l‟intero
strato di ozono.
Pochi giorni dopo l‟esplosione di raggi gamma, la Terra sarebbe immersa in un
bagno di raggi cosmici che durerebbe forse per un mese. «A questo punto, la Terra
che gira sul suo asse potrebbe essere rappresentata come un pollo che arrostisce sullo
spiedo.» La catastrofe ucciderebbe tutte le specie eccetto quelle più protette o
resistenti alle radiazioni.
La buona notizia è che una stella neutrone che muore nelle nostre vicinanze
potrebbe essere prevista con molti milioni di anni di anticipo. Per salvare la Terra,
Leonard e Bonnell hanno escogitato un piano: usare un asteroide come scudo per
bloccare l‟inondazione di raggi gamma e cosmici.
• Proiettili cosmici. I raggi cosmici bombardano continuamente la Terra da tutte le
direzioni. Sono particelle simili ai protoni e agli elettroni che viaggiano a velocità
molto alta nella nostra galassia e altrove nell‟universo. Alcune di queste particelle
hanno l‟energia di una palla da tennis che si muova alla velocità di 300 chilometri
orari. Gli scienziati dividono i raggi cosmici in due gruppi: a bassa energia e ad alta
energia. I raggi a bassa energia sono prodotti nelle supernova, le esplosioni di stelle
giganti. Gli scienziati non sono ancora sicuri della fonte dei raggi ad alta energia;
pensano che alcuni di essi possano provenire dalle stelle neutrone. Da qualunque
posto vengano, come hanno fatto a uccidere i dinosauri?
Due fisici teorici, John Ellis e David Schramm, sembrano avere la risposta.
Affermano che se una supernova capitasse entro i trentatré anni luce dalla Terra,
bombarderebbe l‟atmosfera superiore con una quantità di raggi cosmici pari a cento
volte quella normale. Una radiazione così elevata eliminerebbe totalmente lo strato di
ozono e le radiazioni ultraviolette distruggerebbero qualunque cosa sulla superficie
terrestre o vicino alla superficie del mare. I ricercatori calcolano che una supernova
capita a una distanza pericolosa dalla Terra una volta ogni 240 milioni di anni.
Quando una supernova esplode, emette un‟enorme quantità di materia che contiene
insoliti isotopi di elementi comuni che raramente si trovano sul nostro pianeta. La
Terra potrebbe aver raccolto parte di questo materiale. I ricercatori affermano che
queste leggendarie tracce di una supernova possono riscontrarsi nelle rocce formatesi
a quel tempo.
• Cataratte. I dinosauri divennero ciechi per le cataratte causate dagli eccessivi
raggi ultravioletti. Questa fu la conclusione tratta dal biochimico R. Croft in un breve
scritto pubblicato negli anni Ottanta. Egli offre un‟argomentazione convincente, ma
la sua teoria è stata contestata sulla base del fatto che egli aveva una scarsa
conoscenza dell‟anatomia dei dinosauri. Considerando l‟aumento dei raggi
ultravioletti che riceviamo ai giorni nostri per l‟assottigliarsi dello strato di ozono, la
teoria di Croft ci appare poco fondata.
• Effetto farfalla. Il caos, lo studio del disordine, è un‟area eccitante della scienza.
Il clima è l‟esempio più familiare di un sistema caotico o disordinato. In un sistema
caotico, il più piccolo cambiamento climatico può condurre a un grande
sconvolgimento. Questa regola prende il nome di “effetto farfalla”: è possibile che
una piccola causa come il battito d‟ali di una farfalla a Hong Kong possa produrre
una tempesta di neve a Londra.
Il biologo americano Stuart Kauffman, che ha applicato la teoria alle estinzioni di
massa, dice: «Le estinzioni di massa, secondo la teoria del caos, non necessitano di
comete o vulcani per essere causate». I dinosauri erano parte di un sistema vivente
caotico, e in un sistema simile la maggiore idoneità non costituisce una garanzia. La
loro estinzione si è probabilmente verificata senza una ragione ovvia; le nascite e le
estinzioni di diverse forme di vita avvengono secondo schemi che si riscontrano in
qualunque sistema caotico. «Siamo attori dello stesso spettacolo» dice Kauffman.
«L‟Homo sapiens non è esente dal destino dei dinosauri.» Guardate se c‟è una
farfalla in giardino: il suo battito d‟ali potrebbe far cominciare la prossima era
glaciale.
• Inversioni magnetiche. Un magnete potrebbe aver cancellato i dinosauri, il più
grande magnete sulla Terra: la Terra stessa. Essa ha un campo magnetico molto forte
che si estende fino a 60.000 chilometri nello spazio. Questo campo magnetico a
forma di goccia la ripara da radiazioni mortali come quelle dei raggi cosmici. Potete
immaginare questo campo magnetico come una grande barra di metallo all‟interno
del pianeta. Ha un polo nord e un polo sud e si muove lentamente. Attualmente i poli
geografici a nord e a sud della Terra non coincidono con i suoi poli magnetici. C‟è
una differenza di circa 11 gradi.
Nella formazione di alcune rocce, piccoli granelli di ferro si comportano come
minuscole bussole e si allineano nella direzione del campo magnetico terrestre.
Quando le rocce si solidificano, queste piccole “bussole” vi restano imprigionate e il
loro campo magnetico si “fossilizza” nelle rocce. Lo studio di queste rocce dimostra
che il campo magnetico ha subito diverse inversioni in passato. Le inversioni
magnetiche non hanno un ciclo regolare. Negli ultimi 170 milioni di anni il campo
magnetico si è invertito circa trenta volte. L‟ultima inversione è avvenuta circa
settecentomila anni fa, quando gli aghi della bussola puntavano a sud. Nessuna
inversione avvenne per 35 milioni di anni durante il Cretaceo.
Qualunque cosa vi sia sotto il cielo è stata accusata di aver ucciso questi
lucertoloni. Nessuna meraviglia che le “inversioni magnetiche”, come i geologi
preferiscono chiamare i cambiamenti nel campo magnetico della Terra, appaiano
anch‟essi sulla lista. La ragione? Gli esperti accusano queste “inversioni” delle ere
glaciali. Il campo magnetico terrestre si sta lentamente indebolendo. Se continuerà a
farlo alla stessa velocità, scomparirà in soli 1500 anni, più o meno quando è attesa la
prossima era glaciale.
• Caldo = Stress = Infertilità. Nel 1978, il paleontologo Dewey McLean suggerì
che i dinosauri fossero morti a causa di un leggero ma critico aumento della
temperatura globale. L‟effetto del surriscaldamento non fu in realtà quello di uccidere
i dinosauri ma di castrarli. Poiché gli animali grandi non sopportano il calore
eccessivo bene come quelli piccoli, un aumento di temperatura di soli 2 gradi
potrebbe aver riscaldato il considerevole apparato riproduttivo di un dinosauro
maschio di 10 tonnellate fino al punto di ucciderne lo sperma.
L‟argomento che McLean ha presentato a sostegno della sua teoria suonava più o
meno così: nelle rocce è stato trovato un gran numero di uova di dinosauro del tutto
intatte, suggerendo il fallimento nella loro fertilizzazione. Allo stesso tempo le uova
mostrano un assottigliamento dei gusci. Anche gli uccelli moderni sotto stress
depongono uova dai gusci sottili. Fate due più due e avrete una teoria: il clima caldo
ha stressato i dinosauri e lo stress li ha resi sterili.
• Drogati. Non date la colpa al caldo: è stata la droga. Alcune piante da fiore, le
angiosperme, si sono evolute all‟incirca allo stesso tempo in cui i dinosauri sono
scomparsi. Molte di queste piante contengono sostanze velenose. Gli animali attuali
le evitano a causa del loro sapore amaro. Ronald Siegel, uno psicofarmacologo
americano, ha suggerito che i dinosauri non avvertivano il gusto amaro e non
avevano fegati sufficientemente efficaci da detossificare la sostanza. Sarebbero morti
per un‟overdose massiccia.
Il paleontologo britannico Anthony Hallam ha guardato all‟emergere delle
angiosperme da un angolo differente: i dinosauri sarebbero morti a causa della
costipazione causata dalle piante da fiore che avevano rimpiazzato le felci, un
alimento della dieta dei dinosauri che conteneva oli lassativi.
Questi esercizi di pensiero – avvelenamento e costipazione – hanno subito un duro
colpo da parte di coloro che affermano che le angiosperme sono apparse 40 milioni di
anni prima dell‟estinzione dei dinosauri.
Teorie ancora più ingegnose per spiegare la scomparsa dei dinosauri sono:
• Autodistruzione. I dinosauri si sarebbero autodistrutti: i feroci dinosauri carnivori
avrebbero divorato tutti i dinosauri erbivori.
• Sovrappopolazione. Il sovraffollamento avrebbe reso le femmine stressate e lo
stress può causare uno sbilanciamento negli ormoni. Per questo avrebbero deposto
uova dai gusci pericolosamente sottili. Coloro che propongono questa teoria
camminano decisamente sulle uova.
• Senilità. Sarebbero invecchiati e avrebbero smesso di riprodursi e cercare cibo.
Caratteristiche anormali e inutili come le arricciature sul collo dei dinosauri con le
corna e le creste bizzarre dei dinosauri a becco d‟anatra provano che essi stavano
invecchiando. Tali caratteristiche avrebbero impedito ai dinosauri di adattarsi ai
cambiamenti ambientali.
• Pigrizia. Sarebbero morti di fame: mentre i loro corpi continuavano a diventare
più grossi, essi non sarebbero più stati in grado di reperire cibo a sufficienza. Le
prove fossili contraddicono questa idea. I dinosauri non erano dei pigroni. Vagavano
in branco per centinaia di chilometri alla ricerca di cibo.
• Mammiferi ladri. I piccoli, intelligenti mammiferi avrebbero sviluppato una
predilezione per le uova di dinosauri, irrompendo nei loro nidi per rubarle. I dinosauri
non sarebbero riusciti a difendersi perché i piccoli ladri erano troppo veloci per loro.
Ben Sloan, un paleontologo americano, ha una teoria differente sui mammiferi.
Afferma che circa 65 milioni di anni fa la diminuzione del livello del mare creò un
ponte di terra tra il Nordamerica e il continente asiatico, a lungo isolato. I mammiferi
asiatici avrebbero invaso il Nordamerica e avrebbero cominciato a mangiare le stesse
piante che mangiavano i dinosauri, cacciandoli alla fine dalle loro case.
• Ernia del disco. I dinosauri avrebbero sofferto di ernia del disco, il che li avrebbe
resi incapaci di procacciarsi il cibo. Una teoria senza senso.
• Palati esigenti. I dinosauri avrebbero avuto un palato fine. «Se mangiavano
principalmente una pianta, come il koala l‟eucalipto, si trovarono nei guai quando la
pianta non fu più disponibile» dice James Hopson, un esperto americano di dinosauri.
• Allergia. Occhi arrossati e la scomparsa dei dinosauri è il titolo di un articolo
scritto da un eminente geologo, R.H.
Dott Jr. Questa la sua teoria: sarebbe stato il polline nell‟aria a uccidere i dinosauri.
Una teoria davanti alla quale non si deve arricciare il naso.
• Gas in eccesso. I dinosauri sarebbero stati eliminati da un serio problema di
flatulenza: il metano espulso dai dinosauri sarebbe stato sufficiente a creare un buco
nello strato di ozono. Il buco dell‟ozono a sua volta avrebbe danneggiato la
vegetazione e causato una penuria di cibo che avrebbe posto fine al lungo regno dei
dinosauri.
• Radiazioni. Nel 1984, «Moscow News» riferì che i fossili di dinosauri
mostravano un contenuto di uranio insolitamente alto. L‟articolo suggeriva che
potevano essere stati uccisi dalle radiazioni nelle lagune in cui vivevano.

Cosa accadde davvero ai dinosauri?


Il dibattito sulla morte dei dinosauri vede da un lato i “gradualisti”, dall‟altro i
“catastrofisti”. Per i gradualisti i reperti fossili mostrano un progressivo declino nella
diversità della specie a cominciare da molte centinaia di anni prima della fine del
Cretaceo. Questo declino sarebbe avvenuto a causa dei numerosi cambiamenti
ambientali. I gradualisti non negano l‟impatto di un asteroide, ma affermano che esso
avrebbe ucciso solo pochi dispersi.
I “catastrofisti” credono invece che i dinosauri e il 75 per cento delle altre specie
furono eliminati nel giro di pochi mesi o anni. Ma non convengono su un‟unica
causa: alcuni affermano che sarebbe stato un asteroide, altri un vulcano, altri
entrambe le cose.
Mutamenti nel clima e nel livello del mare si sono sempre verificati nel corso della
storia della Terra. Si tratta di mutamenti che, per verificarsi, impiegano più tempo
rispetto alle estinzioni della fine del Cretaceo. È possibile che essi abbiano avuto una
parte nei cambiamenti ambientali che incisero sulla popolazione dei dinosauri. Molte
specie di dinosauri sono peggiorate prima di scomparire del tutto: il numero dei tipi
di dinosauri è diminuito del 70 per cento tra i 73 e i 65 milioni di anni fa. Ciò
suggerisce un‟estinzione lenta. L‟estinzione è un fenomeno naturale, cui sono
destinate tutte le specie. I dinosauri hanno avuto una lunga permanenza, poi hanno
semplicemente esaurito le proprie forze.
I sostenitori della teoria dell‟impatto griderebbero: «No, sono stati cancellati da
una palla di fuoco caduta dal cielo!». Il paleontologo americano David Jablonski
afferma che c‟è un largo consenso nel suo campo sul fatto che un asteroide o una
cometa abbia davvero colpito la Terra 65 milioni di anni fa generando l‟enorme
cratere Chicxulub in Messico. Il paleontologo britannico Norman MacLeod dissente:
«Qualunque cosa abbia cancellato i dinosauri deve essere stata molto più complicata
di un singolo colpo da parte di un asteroide».
Altre teorie “bizzarre” non riescono a spiegare la scomparsa contemporanea del 75
per cento delle altre specie. Nessuna teoria supera la prova fondamentale: riuscire a
spiegare quanti più fatti possibili. Walter Alvarez dice che tutti i sospetti elencati
come cause naturali hanno un alibi di ferro: non avrebbero potuto uccidere tutti i
differenti organismi scomparsi insieme ai dinosauri.
L‟idea di Nemesis, la cosiddetta stella compagna del Sole, o del pianeta X che
causa estinzioni di massa ogni 26 milioni di anni, sono ipotesi interessanti. Il verdetto
del paleontologo americano Dewey McLean su Nemesis e il pianeta X è un po‟
troppo duro: «la scienza è diventata del tutto matta». Comunque molti scienziati
hanno ormai respinto la teoria.
Walter Alvarez afferma che i sospettati di omicidio devono necessariamente aver
avuto i mezzi, il movente e l‟occasione per compierlo: «Un impatto certamente
dispone dei mezzi e la prova che l‟impatto avvenne esattamente nel periodo giusto
rinvia al movente. La teoria dell‟impatto dell‟asteroide fornisce, se non un movente,
almeno il meccanismo dietro il crimine».
Per provare il pudding lo si deve mangiare: una teoria può essere giudicata buona o
cattiva solo quando altri scienziati possono verificarla. La teoria dell‟impatto
ipotizzava che tutte le rocce al confine K-T avessero maggiori quantità di iridio.
Questa ipotesi era facilmente verificabile e gli scienziati ritrovarono le quantità di
iridio previste in molte rocce del confine K-T in tutto il mondo.
Ma la pietra angolare della teoria dell‟asteroide – la grande quantità di iridio in
alcune rocce – è stata anche contestata in quanto ora si può provare, senza alcun
ragionevole dubbio, che la fonte dell‟iridio può trovarsi anche sulla Terra (vulcani)
oltre che nello spazio (asteroidi, meteoriti, o comete). Ciò conduce a scenari di
“duplice iella”: un asteroide e un vulcano insieme. Ci sono alcuni che propendono
anche per uno scenario di “iella multipla”: un asteroide, un vulcano e il cambiamento
climatico.
Gerta Keller, una paleontologa dell‟Università di Princeton, propende per uno
scenario simile. È giunta a questa conclusione dopo avere studiato i microfossili del
cratere Chicxulub e di altri siti per più di dieci anni. I suoi studi dimostrano che
l‟asteroide colpì circa trecentomila anni prima che i dinosauri si estinguessero e che il
cratere era più piccolo di quanto si pensasse in origine. Quando avvenne l‟impatto
c‟erano già molti segni di stress negli organismi: le specie erano già danneggiate, i
loro componenti erano peggiorati ed erano divenuti più piccoli. Invece di una
“cancellazione” istantanea, afferma la Keller, questa e altre estinzioni di massa
possono essere state legate a un intenso periodo di attività vulcanica e di conseguente
effetto serra e probabilmente anche a una serie di molti colpi di asteroidi. Comunque,
concorda che le sue teorie non sono avvincenti come quella di un massiccio oggetto
spaziale che colpisce la Terra: «I dinosauri sono molto popolari e la teoria
dell‟asteroide è seducente, è una storia perfetta e negli ultimi anni è stata molto
proposta dalla stampa divulgativa».
Tutti concordano che fu una brutta fine. Fu improvvisa o lenta? La risposta non è
semplice. Gli scienziati usano gli stessi reperti fossili, ma perché giungono a
conclusioni diverse? Il problema è che i reperti fossili sono molto diversi tra loro e,
specie per quanto riguarda i dinosauri, il numero di fossili conosciuti è molto limitato.
Il paleontologo americano Douglas Erwin ha il consiglio giusto per i suoi colleghi
scienziati: «Devono passare più tempo a studiare i resti».
Il dibattito sulla questione della morte dei dinosauri non dà segno di poter finire
presto. Adesso passiamo a un‟altra palla di fuoco e un altro dibattito.
Un’altra palla di fuoco nel cielo siberiano
Novantaquattro anni dopo la palla di fuoco di Tunguska. Ore 23.50 circa del 24
settembre 2002. Una regione remota, semimontuosa e scarsamente popolata della
Siberia vicino al fiume Vitim, a nordest di Irkutsk e del lago Bajkal.
Un satellite della Air Force statunitense avvista un oggetto entrare nell‟atmosfera,
ma ne perde le tracce mentre precipita di 30 chilometri. Pochi istanti dopo, un
secondo satellite registra una palla di fuoco che esplode nel cielo nuvoloso. Una
luminescenza bianca e abbagliante appare a sudovest e inonda l‟intero cielo. Il colore
della luminescenza cambia dal bianco al blu e al marrone rossiccio mentre scompare
verso nordest.
Nessuno in Siberia vede effettivamente la palla di fuoco, ma i residenti del luogo
odono il boato dell‟esplosione a 60 chilometri di distanza. Le onde d‟urto
dell‟esplosione – dall‟energia di una piccola bomba atomica – appiattiscono 100
chilometri quadrati di taiga, ma nessuno è ferito o ucciso. L‟esplosione manda anche
onde sismiche che fanno tremare i vetri alle finestre e ondeggiare le luci delle case
nel villaggio di Mama a 60 chilometri di distanza. Per diversi giorni i residenti del
posto notano sporadici lampi di luce nella direzione dell‟esplosione.

Una mini Tunguska


Un piccolo gruppo di ricercatori e giornalisti di Irkutsk raggiunse l‟area alla fine di
ottobre del 2002; ma, sebbene usasse i dati del satellite per individuare la sua
posizione, non fu in grado di identificare il sito dell‟impatto (latitudine 58° 9‟ nord,
longitudine 113° 21‟ est). I ricercatori raccolsero venticinque racconti dei testimoni
oculari che generalmente concordavano sul fatto che una grande roccia era caduta dal
cielo e poi la terra aveva tremato. Alcuni residenti locali a 70 chilometri di distanza
dal luogo dell‟impatto dissero di aver visto «una sfera con una coda». I testimoni
avevano anche «udito un rombo e visto lampi di luce sulla taiga in lontananza».
Aleksandr Dorosok, minatore in una miniera d‟oro, ha affermato che
«improvvisamente il cielo è diventato turchese, c‟è stato un grande lampo seguito da
un‟esplosione, che ha prodotto un sibilo acuto». Molti altri testimoni hanno detto di
aver udito sibili e ronzii mentre la palla di fuoco attraversava il cielo. Si è trattato
probabilmente di suoni elettrofonici, il risultato della luce emanata da un meteorite.
Due impiegate del vicino aeroporto, Vera Seménova e Lidija Berezan, ricordavano
un fenomeno spaventoso: un bagliore alle estremità superiori dei sottili pali di legno
che sostenevano la pensilina attorno alla base meteorologica dell‟aerostazione.
Secondo Sergej Jazev, capo della spedizione, il bagliore era stato probabilmente
causato dalla forte corrente elettrica prodotta dal meteorite. Una forte tempesta di
neve impedì che le ricerche proseguissero, così la spedizione tornò a Irkutsk senza
determinare l‟esatta posizione del luogo dell‟impatto.
Nel maggio del 2003 una spedizione organizzata da Kosmopoisk,
un‟organizzazione di appassionati di ricerca su vari fenomeni anomali, raggiunse il
luogo dell‟impatto e trovò un‟area di circa 100 chilometri quadrati coperta da alberi
caduti. Alcuni alberi al centro di questa area in cui l‟esplosione aveva toccato il
terreno mostravano segni di bruciature. A pochi chilometri da questa foresta caduta
scoprirono anche il sito dell‟impatto, coperto da venti piccoli crateri con diametri fino
a 20 metri.
Il giorno dopo l‟impatto, il personale medico di Mama misurò la radioattività negli
abitanti del posto. Essa mostrò un aumento doppio rispetto alla radiazione di
background, ma tornò normale in pochi giorni. I medici riferirono anche al gruppo
Kosmopoisk che la salute dei residenti locali era peggiorata qualche tempo dopo
l‟evento. Acqua e neve nell‟area dell‟esplosione avevano un sapore più amaro.
Un‟analisi dei campioni di acqua a Mosca rivelò la presenza di grandi quantità di
trizio – idrogeno radioattivo – «come nell‟acqua dei bacini di raffreddamento di una
stazione nucleare».
Il gruppo Kosmopoisk non riuscì a trovare alcun frammento di meteorite e i suoi
membri ritennero che l‟oggetto fosse probabilmente una piccola cometa del peso di
circa 100 tonnellate disgregatasi nell‟aria. «Il tipo di danno e le radiazioni di
background nell‟epicentro dell‟esplosione sono sostanzialmente diversi dai postumi
della caduta di un meteorite» afferma il capo della spedizione Vadim Cernobrov.
Comunque, aggiunge, la scoperta di trizio viene da sette test nucleari sotterranei
condotti tra il 1976 e il 1987 a circa 400 chilometri a nord del sito dell‟impatto. «La
Siberia è un luogo misterioso dove si può trovare praticamente di tutto, e l‟attività
umana può renderlo ancora più misterioso» dice Ol‟chovatov.
Secondo Cernobrov, i membri della spedizione non hanno escluso altri fenomeni
naturali rari come i fulmini globulari giganti o l‟emissione di minerali dal terreno, che
si sono poi disciolti in acqua e gas. Gli appassionati degli UFO non escludono
nemmeno la possibilità di un visitatore cosmico.
Quando riferirono la notizia di un secondo meteorite dopo quello di Tunguska
precipitato in Siberia in un secolo, i giornali di tutto il mondo erano più interessati a
ipotizzare cosa sarebbe successo se la palla di fuoco fosse esplosa su una grande città.
«Se avesse colpito Londra, la Gran Bretagna non avrebbe più la sua capitale»
scriveva il «Times» di Londra. «È stata un‟esplosione di una tale forza che se la palla
di fuoco fosse caduta su Mosca, metà della capitale russa sarebbe stata trasformata in
deserto e l‟altra metà in rovine» faceva eco l‟agenzia di stampa russa Novosti. Le
notizie della palla di fuoco di Vitim preoccuparono anche i catastrofisti, poiché un
impatto simile li avrebbe costretti a rivedere le loro stime circa la probabilità che un
asteroide devastante colpisca la Terra (nel senso che l‟Armageddon a causa di un
asteroide potrebbe essere più vicino di quello che pensiate). Non avete però ancora
sentito l‟ultima parola sulla palla di fuoco di Vitim né su quella di Tunguska.

Perché dobbiamo trovare la risposta?


L‟esplosione di Tunguska è stata un cataclisma avvenuto innumerevoli volte nel
corso della storia della Terra e sicuramente accadrà ancora. È ciò che pensava
l‟accademico americano Nikolaj Vasilev scomparso nel 2001: «Se un corpo cosmico
fosse esploso sull‟Europa invece che su una regione desolata della Siberia, il numero
di vittime umane sarebbe stato di 500.000 o più, per non dire della conseguente
catastrofe ecologica. L‟episodio di Tunguska segna l‟unico evento nella storia della
civiltà in cui la Terra ha colliso con un corpo celeste veramente grosso, sebbene
molte collisioni di questo tipo siano avvenute nel passato geologico. E molte ancora
ne accadranno».
Egli sottolineava che le continue indagini sull‟evento di Tunguska erano importanti
semplicemente perché sarebbe accaduto di nuovo. Solo sapendo cosa fosse l‟oggetto
e conoscendo le sue devastanti conseguenze biologiche, la comunità scientifica e
medica sarebbe stata in condizione di gestire in futuro un simile cataclisma. «Oggi il
problema di Tunguska può essere considerato una parte importante del più ampio
problema di una possibile collisione della Terra con gli asteroidi a lei vicini»
sosteneva Vasilev. La più importante domanda per noi è: può accadere di nuovo?
Non sapremo mai la risposta.
Come l‟enigma della morte dei dinosauri, la risposta al mistero di Tunguska sfugge
ancora agli scienziati. Molti credono che questo mistero cosmico sarà finalmente
risolto solo se troveremo frammenti misurabili dell‟oggetto. Cerchiamo almeno di
indovinare cosa è stato.

XI

Cosa è stato?
Non molto tempo fa un popolare sito web russo ha chiesto ai suoi visitatori di
rispondere alla domanda: cosa credete che fosse l‟oggetto di Tunguska? I risultati del
sondaggio, limitato a un solo voto per ogni indirizzo e-mail, sono stati i seguenti: una
cometa: 31%; un meteorite/asteroide: 27%; un‟astronave aliena: 9%; altro: 33%.
Il sito è frequentato da russi che si interessano alle scienze, come dimostra la bassa
percentuale della teoria dell‟astronave aliena, che è molto popolare tra fan russi di
Tunguska.
Sorprende che, dopo otto decenni, gli scienziati internazionali restino divisi al pari
dei navigatori web. Chris Trayner della Leeds University sembra aver risolto
l‟enigma del perché gli scienziati non siano riusciti a completare il puzzle di
Tunguska. Egli afferma che molti dei loro problemi hanno origine nella vecchia
divisione Est-Ovest e nello scarso accesso alla letteratura russa. Suggerisce che per
venire a capo di ciò che è potuto accadere nel 1908, gli scienziati hanno bisogno di
estese traduzioni e indici online delle fonti russe in materia. La stessa cosa può dirsi
delle fonti scientifiche inglesi per gli scienziati russi.
Nel frattempo, proviamo a chiarire quello che è davvero avvenuto, riassumendo
quanto finora espresso. Ci sono sette fonti fondamentali di informazione sul fatto: la
foresta devastata e la struttura del danno (osservati per la prima volta diciannove anni
dopo l‟evento); le registrazioni di onde sismiche e atmosferiche al tempo dell‟evento;
le registrazioni di tempeste magnetiche all‟epoca del fatto; le notti luminose avvistate
in parti dell‟Europa e dell‟Asia dopo l‟evento; i fenomeni atmosferici anomali
osservati dopo l‟evento; gli studi delle particelle microscopiche trovate sul luogo
dell‟esplosione e in Antartide; i racconti dei testimoni oculari (raccolti per la prima
volta tredici anni dopo l‟evento).
Quasi tutti concordano sui seguenti punti:
• L‟ora precisa dell‟evento (00.14 GMT; 7.14 ora locale) e l‟esatta posizione
dell‟epicentro (latitudine 60° 55‟ nord, longitudine 101° 57‟est).
• Un grande oggetto che si avvicinava, presumibilmente un meteorite o una
cometa, fu avvistato su un‟area larga 1500 chilometri. La lucentezza dell‟oggetto era
comparabile a quella del Sole a mezzogiorno.
• L‟oggetto esplose a mezz‟aria, tra i 5 e i 10 chilometri dal suolo. L‟energia
dell‟esplosione era probabilmente tra i 10 e i 20 megatoni.
• I detriti furono scagliati nella stratosfera. Nessun frammento apprezzabile, a
eccezione dei globuli microscopici all‟epicentro e in Antartide, sono stati trovati.
• L‟esplosione creò un‟onda d‟urto che appiattì 2150 chilometri quadrati di foresta,
dei quali circa 200 furono bruciati da un‟onda di calore. Nell‟incendio di una foresta
gli alberi sono di solito bruciati nella parte inferiore del tronco, ma questi alberi
furono bruciati uniformemente.
• Non c‟è alcun cratere di impatto all‟epicentro, il punto sotto l‟esplosione dove
l‟onda d‟urto toccò il terreno.
• La foresta devastata ha la forma di una farfalla schiacciata sul terreno.
L‟epicentro si trova vicino alla testa della farfalla.
• Il calore e le onde d‟urto furono avvertiti da molti testimoni a Vanavara, a circa
70 chilometri dal luogo dell‟esplosione; dopo l‟esplosione furono uditi forti boati,
simili a colpi di cannone, fino a 1200 chilometri di distanza.
• L‟esplosione creò anche dei disturbi nell‟atmosfera, che furono rilevati in tutto il
mondo. L‟impatto dell‟esplosione sul suolo generò delle onde sismiche registrate ben
oltre la Russia.
• Una tempesta magnetica locale – simile a quelle prodotte dalle esplosioni
nucleari nell‟atmosfera – cominciò pochi minuti dopo l‟esplosione e continuò per
quasi quattro ore.
• L‟esplosione causò diverse notti molto luminose in parti dell‟Europa e dell‟Asia.
Furono anche avvistate nubi notti-lucenti causate da polvere nella stratosfera.
• Nei giovani alberi sopravvissuti all‟esplosione la crescita fu accelerata.
I punti controversi sono invece i seguenti:
• La forma dell‟oggetto. Mentre attraversò il cielo prima di esplodere, aveva la
forma di una “pipa”, di una “colonna” o di un “tubo” come hanno detto alcuni
testimoni? Ha lasciato o no una traccia di fumo e polvere?
• La sua natura, dimensione e massa, e per quanto tempo è rimasto visibile.
• L‟angolo di entrata, la conseguente traiettoria di volo e la sua velocità
immediatamente prima dell‟esplosione; la durata dell‟esplosione.
• La conclusione del volo in una serie di esplosioni multiple.
• L‟accresciuta radioattività sul luogo dell‟esplosione; gli effetti genetici sulla
popolazione locale; la crescita accelerata degli alberi a causa di mutazioni genetiche.
• Crateri come il Suslov formatisi per l‟impatto dell‟oggetto che esplodeva.
• Anomalie ottiche osservate prima dell‟evento, già il 23 giugno.
Un elemento del tutto irrazionale:
• L‟oggetto ha cambiato due volte direzione durante il suo volo.
I soliti sospetti
Nel 1969 una scrittrice russa, P.I. Primalova (forse lo pseudonimo di Igor Zotkin,
un membro dell‟allora Comitato meteoriti dell‟Accademia sovietica delle Scienze),
pubblicò una lista di 77 teorie che sono state proposte per spiegare l‟evento di
Tunguska. La lista potrebbe giungere a comprenderne 120, suggerì la signora
Primalova, se si fosse attorno a un fuoco d‟accampamento nella taiga con un
bicchiere di vodka. Dato che la lista che segue è stata redatta senza l‟aiuto di un
bicchiere di vodka, ne include solo una dozzina.
• Una cometa disintegratasi nell‟atmosfera. L‟insolita struttura poco compatta della
cometa avrebbe portato al suo disgregamento nell‟atmosfera. Si pensa che il diametro
del suo nucleo fosse di 40 metri, molto più piccolo dei diametri delle comete visuali.
• Un asteroide esploso a mezz‟aria. Un asteroide sassoso esploso a quasi 8
chilometri dal suolo, largo circa 30 metri. La sua esplosione da 15 megatoni avrebbe
rilasciato un milione di tonnellate di piccole particelle nell‟atmosfera terrestre. I venti
avrebbero disperso la polvere nella stratosfera, il che avrebbe causato le notti
luminose.
• Un mini buco nero che ha attraversato la Terra. Un mini buco nero, invisibile a
occhio nudo, sarebbe entrato a Tunguska e poi avrebbe viaggiato attraverso la Terra
per circa 15 minuti. Uscito attraverso l‟Atlantico settentrionale avrebbe causato onde
d‟urto nell‟oceano e nell‟atmosfera.
• Una roccia di antimateria annientatasi al suo ingresso nell‟atmosfera fatta di
materia ordinaria. L‟esplosione, pari a quelle di una bomba atomica o all‟idrogeno di
35 megatoni, avrebbe generato migliaia di miliardi di atomi radioattivi di carbonio-
14.
• Una roccia di materia specchio che nessuno ha potuto vedere. Penetrata
nell‟atmosfera, il calore l‟avrebbe fatta esplodere a un‟altitudine elevata. La roccia
sarebbe stata grande quasi 100 metri e avrebbe pesato circa un milione di tonnellate.
• Un‟eruzione vulcanica. Il gas naturale sarebbe fuoriuscito da piccole aperture
vulcaniche sotterranee e sarebbe salito a velocità elevata cominciando a mescolarsi
con l‟aria. Dopo poche ore questa mistura volatile, che conteneva 10 milioni di
tonnellate di metano, sarebbe esplosa come una palla di fuoco.
• Un fulmine globulare gigante materializzatosi da chissà dove. Le stime del suo
diametro variano dai 200 metri a un chilometro. Si sarebbe disintegrato in sfere più
piccole, che a loro volta si sarebbero disintegrate in sfere ancora più piccole, fino a
esplodere.
• Geometeore venute dal basso. L‟esplosione sarebbe stata causata da una forte
combinazione tra alcuni processi sotterranei e atmosferici sconosciuti. Questa
combinazione avrebbe dato origine a oggetti luminosi simili alle meteore, ma di
origine terrestre.
• Un plasmoide da 100.000 tonnellate, circondato da un forte campo magnetico,
sarebbe stato espulso dal Sole per portare distruzione a Tunguska.
• Un‟astronave aliena che aveva subito un guasto. Sarebbe andata fuori controllo
nell‟atmosfera terrestre e in una frazione di secondo si sarebbe vaporizzata con un
accecante lampo di luce.
• Un raggio laser alieno. A bruciare la taiga sarebbe stato un laser sparato dagli
extraterrestri di un pianeta gigante orbitante attorno alla stella 61 Cygni.
• L‟esperimento di un raggio letale finito fuori controllo. Nikola Tesla avrebbe
puntato per errore il suo raggio letale su Tunguska.

Sul banco dei testimoni


• Una piccola cometa con una lunga coda. Secondo le prove a disposizione,
l‟orbita dell‟oggetto collima con le orbite degli asteroidi che incrociano la Terra, ma
non con quelle delle comete di breve periodo. La collisione della cometa Shoe-
maker-Levy 9 con Giove ci ha mostrato che la massa di una cometa che entra
nell‟atmosfera di un pianeta deve essere maggiore di 100 milioni di tonnellate per
innescare, alla fine del suo viaggio, una potente esplosione. Si pensa che la massa
pre-esplosione della palla di fuoco di Tunguska fosse di 1 milione di tonnellate. È
inconcepibile che una cometa tanto piccola sia potuta sopravvivere all‟intensa
pressione atmosferica nel suo viaggio verso il cielo siberiano. Per contro, un asteroide
potrebbe sopravvivere a un viaggio tanto difficile. Deve essere stato un asteroide, un
asteroide sassoso.
• Un asteroide sassoso. I fatti che provano che l‟oggetto collidente fosse una
cometa includono: la struttura insolitamente libera, che ha portato alla sua
disgregazione nell‟atmosfera, la coda polverosa che puntava in direzione opposta a
quella del Sole, e ha causato tramonti insoliti, e la natura della sua orbita. Il bagliore
del Sole ha impedito l‟avvistamento della cometa prima che colpisse la Terra, perché
la sua direzione e l‟angolo di impatto verso la Terra provenivano da dietro il Sole.
Non è stato un asteroide anche per un‟altra ragione: l‟assenza di frammenti di
asteroide ragionevolmente grandi. Nessun frammento: niente asteroide. Fu
certamente una cometa, una palla di neve e polvere.
• Un mini buco nero. Non è teoricamente impossibile che un mini buco nero possa
attraversare la Terra, ma la teoria del buco nero è stata solo un buon tentativo da parte
di due fisici. È crollata quando nessuno ha potuto trovare una registrazione dell‟uscita
di un buco nero sull‟altro lato della Terra attraverso l‟Atlantico settentrionale.
Sicuramente è stata una grande roccia, non un invisibile buco nero.
• Una roccia di antimateria. Il problema con queste rocce è che non possono
sopravvivere al viaggio attraverso l‟atmosfera. L‟annullamento antimateria-materia
annienta anche questa teoria.
• Una roccia invisibile di materia specchio. Un buono sforzo per mettere alla prova
le nuove teorie sulla materia specchio. L‟effetto su Tunguska, comunque, è stato
invisibile. Non fu una ruvida roccia ma una bellissima palla.
• Una fulmine globulare. Nessuno ha ancora spiegato come un piccolo fulmine
globulare possa trasformarsi in una palla di fuoco gigante. Ma questo è facile per una
nube di metano.
• Un’eruzione vulcanica. La disposizione a raggiera degli alberi caduti dimostra
che le onde d‟urto provenivano dall‟alto e non da sussulti della Terra. E che dire della
palla di fuoco che i testimoni oculari hanno visto attraversare l‟assolato cielo
siberiano? Provate con una geometeora (ma gli stessi argomenti possono essere
utilizzati contro questa teoria).
• Geometeore fantasma. Meteore che non provengono dal cielo ma dal terreno
sotto i vostri piedi? Un plasmoide sembra più plausibile.
• Un plasmoide. Una specie di bottiglia piena di plasma e circondata da un forte
campo magnetico? Un‟astronave camuffata da contenitore di plasma? Perché non
provare con l‟astronave vera e propria?
• Un’astronave aliena. Era in viaggio verso gli studi dove si girava Guerre stellari
ed è stata presa in un vortice spaziotemporale che l‟ha scaraventata sul set di X-Files:
Tunguska? Un raggio laser è una scommessa migliore.
• Un forte raggio laser. Terrestri, non siete soli. Leggete attentamente la vostra
prossima cartolina dallo spazio, altrimenti sarete distrutti da un raggio letale.
• Un raggio letale. Un‟idea che sembra essere un pesce d‟aprile. Il nostro buon
Tesla sparò il raggio letale per deflettere un asteroide che stava per distruggere la sua
città, New York. Il raggio mutò il corso della malefica roccia e la fece esplodere nella
Siberia quasi deserta. Grazie, dottor Tesla.

Il parere degli esperti


L‟accademico Nikolaj Vasilev: «Sebbene la scelta finale tra la teoria dell‟asteroide
e quella della cometa non sia ancora stata fatta, le quotazioni della versione di un
asteroide sassoso sono aumentate moltissimo… la teoria della cometa ha ovviamente
perso la sua posizione dominante, ma non è chiaro se i problemi incalzanti possano
essere risolti con l‟alternativa dell‟asteroide».
Il dottor Vitalij Bronsten: «Noi astronomi conosciamo due tipi di corpi nel sistema
solare: le comete e gli asteroidi. Non ne conosciamo altri». (Un appunto rivolto al
dottor Ol‟chovatov sulla teoria della geometeora.)
Il dottor Andrej Ol‟chovatov: «Se per molti anni avete pensato a un meteorite o a
un‟astronave aliena, sarà naturalmente molto difficile che cambiate idea». (Questo
potrebbe pregiudicare il vostro compito di giurati.)

Il verdetto
«Io sarò il giudice, io farò la giuria» disse furbescamente il vecchio Fury (in Alice
nel paese delle meraviglie). «Istruirò il processo e ti condannerò a morte.» Siate
giudice e giuria, ma per favore non condannate a morte nessuna teoria. Se anche lo
farete, ricordate il vecchio detto: «Una vecchia teoria non muore mai; riappare in una
nuova forma». Giornalisti e scienziati sono liberi di riproporre le loro vecchie storie e
le loro teorie.
La giuria non è ancora rientrata.
Cronologia
1908

Ore 7.14 del 30 giugno. Una palla di fuoco esplode a mezz‟aria vicino al corso della Podkamennaja
Tunguska – la Tunguska Pietrosa – un fiume siberiano, e appiattisce una vasta foresta. I testimoni
oculari più vicini sono a 70 chilometri dal sito dell‟esplosione, ma abitanti di villaggi a 700
chilometri di distanza vedono delle forti luci nel cielo e quelli a 1200 chilometri di distanza odono
delle forti esplosioni. I quotidiani siberiani riportano dell‟esplosione ma non sono certi della sua
natura: alcuni suggeriscono che possa trattarsi di un meteorite. Dopo l‟esplosione forti “bagliori
notturni” sono segnalati in Europa e in Asia. Questo insolito fenomeno è ampiamente riportato dai
giornali in Gran Bretagna, nel resto dell‟Europa e negli Stati Uniti, ma nessuno ne conosce la causa.
Un osservatorio a 970 chilometri dal luogo dell‟esplosione registra una tempesta magnetica,
cominciata pochi minuti dopo l‟esplosione e protrattasi per quattro ore. Onde sismiche sono
registrate in tutto il mondo. Sei microbarografi in Inghilterra registrano le onde aeree causate
dall‟esplosione.
1910

La prima spedizione al sito di Tunguska fatta da un non Evenki. Si dice che un ricco orafo e
mercante russo chiamato Suzdalev abbia trovato diamanti sul luogo.
1921

Non si sa nulla dell‟esplosione fino a quando a Leonid Kulik, uno scienziato russo, non viene
assegnato il compito di individuare ed esaminare i meteoriti caduti nelle regioni disabitate della
Russia prima e dopo la Prima guerra mondiale. Durante la sua spedizione in Siberia, Kulik
apprende di un meteorite caduto vicino alla Tunguska Pietrosa. La spedizione si conclude senza che
egli possa visitare il luogo dell‟esplosione.
1924

S.V. Obručev, un geologo sovietico, conduce studi geologici nella regione di Tunguska (ma non sul
sito dell‟esplosione).
1925

A.V. Voznesenskij, nel 1908 direttore dell‟Osservatorio magnetico e meteorologico di Irkutsk,


afferma che le onde aeree e sismiche registrate dal suo osservatorio il 30 giugno 1908 furono
entrambe causate dalla caduta di un meteorite gigante.
1926

I.M. Suslov, un etnografo sovietico, visita la regione di Tunguska (il famoso cratere Suslov prende
il nome da lui).
1927

La prima spedizione, guidata da Kulik, raggiunge l‟epicentro dell‟esplosione il 21 maggio. Kulik è


il primo scienziato a visitare il sito.
1928

In giugno, la seconda spedizione di Kulik raggiunge il luogo dell‟esplosione. Alle spedizioni di


Kulik è dato ampio spazio dalla stampa americana e britannica.
1929

Terza spedizione di Kulik. Uno scienziato britannico nota la coincidenza della data dell‟esplosione
di Tunguska con le onde aeree registrate in Inghilterra il 30 giugno 1908.
1930
Altri scienziati britannici suggeriscono che le onde aeree registrate in Inghilterra e i notevoli
bagliori notturni del 1908 fossero stati causati dal meteorite di Tunguska.
1934

Lo scienziato britannico F.J.W. Whipple e quello russo I.S. Astapovič propongono


indipendentemente che l‟oggetto di Tunguska fosse una cometa. (Astapovič, in realtà, estese la
teoria proposta dall‟accademico Vladimir Vernadskij.)
Si effettua la prima indagine fotografica aerea sulla regione di Tunguska.
1939

Quarta spedizione di Kulik a Tunguska. L‟ultima spedizione prima della Seconda guerra mondiale.
1941

L‟esperto americano di meteoriti Lincoln La Paz suggerisce che l‟oggetto di Tunguska fosse un
meteorite contraterreno (di antimateria).
1942

Il 14 aprile Kulik muore in un ospedale da campo tedesco per prigionieri di guerra.


1946

Lo scrittore di fantascienza russo Aleksandr Kazancev pubblica un romanzo suggerendo che


l‟oggetto di Tunguska fosse un‟astronave aliena.
1957

Il mineralologo russo A.A. Javnel‟ analizza al microscopio campioni di suolo recuperati da Kulik
nel 1929 e nel 1930. Si sarebbe poi scoperto che questi campioni erano di origine terrestre.
1958

Il 30 giugno l‟Unione Sovietica emette un francobollo commemorativo da 40 copechi raffigurante


Kulik, per celebrare il cinquantesimo anniversario dell‟evento di Tunguska. La quinta spedizione, la
prima dopo la Seconda guerra mondiale, è guidata da Kirill P. Florenskij. La Spedizione
indipendente interdisciplinare a Tunguska (nota come KSE, in russo) si riunisce nella città siberiana
di Tomsk per vagliare le teorie sulle navi aliene.
1960

Florenskij sostiene la teoria della cometa in un articolo sulla rivista americana «Sky & Telescope».
Anche l‟accademico Vasilij Fesenkov propone argomenti a favore della teoria della cometa sul
«New York Times». L‟Accademia sovietica delle Scienze pone una semplice lapide sulla tomba di
Kulik nella città di Spas-Demensk, circa 300 chilometri a sud di Mosca.
1961

Florenskij guida la sesta spedizione che si protrae fino al 1962.


1964

Gli scrittori russi di fantascienza Genrich Al‟tov e Valentina Zuravleva suggeriscono che Tunguska
fu colpita da un raggio laser sparato dagli extraterrestri.
1965

Gli scienziati americani Willard Libby, Clyde Cowan e C.R. Atluri presentano una teoria dettagliata
che dimostra che l‟oggetto di Tunguska era fatto di antimateria.
1959

Feliks Zigel, il cosiddetto “padre dell‟ufologia sovietica”, suggerisce che l‟oggetto di Tunguska
fosse un UFO.
1966
Viene pubblicata la traduzione inglese del libro di Krinov Giant Meteorites. La sezione di 141
pagine dedicata al meteorite di Tunguska costituisce un resoconto autorevole delle prime ricerche
su Tunguska.
1973

I fisici teorici americani A.A. Jackson IV e Michael P. Ryan Jr affermano che l‟oggetto di
Tunguska fosse un mini buco nero, che attraversò la Terra e fuoriuscì nell‟Atlantico settentrionale.
1976

Viene pubblicato il primo libro su Tunguska in inglese The Fire Came By: The Riddle of the Great
Siberian Explosion di John Baxter e Thomas Atkins.
1975

Lo scienziato israeliano Ari Ben-Menahem conclude che l‟esplosione sia avvenuta a 8,5 chilometri
dal livello del suolo con un‟energia pari a 12,5 megatoni.
1977

Lo scienziato britannico Anthony Lawton suggerisce che la palla di fuoco di Tunguska fosse in
realtà un fulmine globulare gigante.
1978

L‟astronomo slovacco Lubar Krésak suggerisce che a Tunguska sia esploso un pezzo della cometa
Encke.
1983

Lo scienziato americano Zdenèk Sekanina propone che l‟esplosione sia stata causata da un asteroide
sassoso. Lo scienziato Richard Turco, anche lui americano, suggerisce che le notti luminose siano
state causate da nubi nottilucenti prodotte dalle polveri che raggiunsero la stratosfera. Il fisico
americano Ramachandran Ganapathy afferma che i globuli raccolti dalla spedizione di Florenskij
del 1961-62 sono ricchi di iridio, un metallo che abbonda nei corpi extraterrestri, e contengono altre
prove della sua origine extraterrestre. Scopre anche tracce della palla di fuoco di Tunguska nei
ghiacci dell‟Antartide.
1984

Gli scienziati russi Viktor Zuravlèv e A.N. Dmitriev presentano l‟ipotesi del plasmoide.
1989

Prima spedizione post guerra fredda aperta a scienziati internazionali.


1991

Prima spedizione italiana guidata da Menotti Galli e Giuseppe Longo. La spedizione raccoglie
particelle di resina dagli alberi di Tunguska. Le particelle contengono alcuni elementi comunemente
associati agli asteroidi sassosi. Lo scienziato russo Andrej Ol‟chovatov pubblica la teoria della
geometeora. Le geometeore sono oggetti luminosi simili alle meteore ma di origine terrestre.
1993

Gli scienziati americani Christopher Chyba, Kevin Zahnle e Paul Thomas danno nuovo peso e
rigore alla teoria dell‟asteroide. Affermano che l‟esplosione ha rilasciato circa 15 megatoni di
energia nell‟atmosfera a un‟altitudine di 8 chilometri.
1994

Uno sconosciuto scrittore americano suggerisce che l‟esplosione sia stata causata dall‟esperimento
su un raggio letale condotto da Nikola Tesla e sfuggito di mano.
1996

Lo scienziato russo Vladimir Svecov dimostra che l‟intera massa dell‟oggetto di Tunguska si è
vaporizzata prima di raggiungere il suolo. L‟ablazione dei detriti di Tunguska è stata totale.
1998

Sekanina rivisita la sua teoria dell‟asteroide e propone nuovi argomenti a suo favore. Lo scienziato
russo Vladimir Alekseev suggerisce che il volo dell‟oggetto si sia concluso con delle esplosioni
multiple, responsabili dei suoni simili a colpi di cannone uditi dai testimoni.
2001
Muore l‟accademico Nikolaj Vasilev, che aveva coordinato la ricerca scientifica di ventinove
indagini su Tunguska tra il 1963 e il 2001. Un gruppo di scienziati italiani, basandosi su un‟idea di
Paolo Farinella (1953-2000) calcola 886 orbite possibili dell‟oggetto, delle quali l‟83 per cento sono
orbite di asteroide e il 17 per cento di comete. L‟astrofisico tedesco Wolfgang Kundt suggerisce che
l‟esplosione sia stata causata da 10 milioni di tonnellate di gas metano fuoriuscite da una frattura
vulcanica.
2002
Il fisico australiano Robert Foot propone che l‟esplosione di Tunguska sia stata causata da un
asteroide di materia specchio.
2004

Muore Vitalij Bronsten, un noto ricercatore di Tunguska e principale sostenitore della teoria della
cometa.
2006
Mentre ci prepariamo a festeggiare il centesimo anniversario dell‟evento di Tunguska, non abbiamo
ancora la risposta alla domanda su che cosa abbia realmente provocato l‟esplosione.

Ringraziamenti
Durante la stesura di questo libro, ho chiesto ai maggiori esponenti di due delle
principali ipotesi sull‟evento di Tunguska – Zdenèk Sekanina del Jet Propulsion
Laboratory della NASA in California e Vitalij Bronsten del Comitato meteoriti
dell‟Accademia russa delle Scienze – di esprimere le più recenti idee sulle proprie
teorie. Mi ha addolorato apprendere della morte del dottor Bronsten poche settimane
dopo che gli avevo scritto. Sono grato al dottor Sekanina per la sua risposta.
Vorrei anche ringraziare Robert Foot dell‟Università di Melbourne, Wolfgang Kundt
dell‟Università di Bonn e Kiril Chukanov della Chukanov Quantum Energy di Salt
Lake City, Utah, per il commento sulle loro ricerche riguardo l‟evento di Tunguska.
I miei speciali ringraziamenti vanno a Marek Zbik dello Ian Wark Research Institute
all‟University of South Australia, per il suo aiuto nel fornire saggi di ricerca e
illustrazioni; a Vitalij Romejko di Mosca, per aver concesso il permesso di usare la
sua fotografia del cratere Suslov; allo staff della State Library di Victoria per il
cortese aiuto in diverse occasioni; a Geoff Coleman, Simon Kwok, Rith Learner,
Darren Lewin Hill e Arun Tomar, per il loro supporto morale; e a Eric (“Fizzle”)
Fiesley e Colin (“Stick”) Storer per essere veri amici australiani da più di trentanni.
La stesura di questo libro è stata allietata da Andrej Ol‟chovatov, prima all‟Istituto
sovietico di ricerca per gli strumenti radio e ora ricercatore indipendente a Mosca,
una personalità molto nota nel cyberspazio di Tunguska e nelle comunità di ricerca.
Grazie, Andrej. Fai splendere ancora la palla di fuoco di Tunguska.
Sono in debito con l‟editor della Icon Books, Simon Flynn, per avermi dato
l‟opportunità di scrivere questo libro, e con il suo redattore, Duncan Heath, per i suoi
indispensabili consigli.
Infine, desidero ringraziare mia moglie Suman e i miei figli Rohit e Anuraag per il
loro immancabile supporto.
1 In inglese esiste il celebre verso «My Very Educated Mother Just Served Us Nine Pizzas», in cui
le iniziali indicano, nell‟ordine: Mercurio (Mercury), Venere (Venus), Terra (Earth), Marte (Mars),
Giove (Jupiter), Saturno (Saturn, Urano (Uran), Nettuno (Neptune) e Plutone (Pluto). (N.d.T.)

2 Nella storia di Chicken Little il pulcino scambia la caduta di una ghianda per un asteroide,
creando un falso allarme. (N.d. T.)

3 Il SETI Institute è un‟organizzazione internazionale per la ricerca di intelligenza extraterrestre (la


sigla sta per Search of ExtraTerrestrial Intelligence).

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