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Università della Calabria

Dipartimento di
Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio e Ingegneria Chimica

Corso di Laurea in
Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio

Tesi di Laurea

“Analisi Dinamica di Edifici Civili con l’utilizzo di mezzi di


calcolo automatici”

Relatore Candidato
Prof. Ing. Zinno Raffaele Caglianone Mario
Matr. 133627
Correlatrici
Ing. Miceli Angela
Ing. Venneri Assunta

Anno Accademico 2016 / 2017


Sommario
Introduzione .......................................................................................................................................... 1

Capitolo 1 - La Modellazione agli Elementi Finiti .................................................................................... 2

1.1 Introduzione.................................................................................................................................. 2

1.1.1 Perché studiare un metodo numerico ..................................................................................... 2

1.1.2 Modelli Matematici e Simulazioni Numeriche ......................................................................... 3

1.1.3 Il Metodo agli Elementi Finiti. Concetti di base ....................................................................... 4

1.2 Concetti Matematici di base .......................................................................................................... 6

1.2.1 Formulazione Integrale di un’equazione differenziale ............................................................. 6

1.2.2 Formulazione Debole di un’equazione differenziale ................................................................ 9

1.3 Il metodo agli Elementi Finiti per problemi di Meccanica delle Strutture ......................................11

1.3.1 La teoria dell’elasticità e schemi numerici ..............................................................................11

1.3.2 Il principio dell’energia potenziale totale ...............................................................................13

1.3.3 Il principio degli spostamenti virtuali .....................................................................................13

1.3.4 Strutture a telaio ...................................................................................................................14

1.3.5 Procedura di calcolo ..............................................................................................................14

1.3.6 Componenti strutturali di uso comune ..................................................................................16

1.3.7 Trave di Eulero-Bernoulli. Procedura completa ......................................................................18

Capitolo 2 - Analisi Modale ...................................................................................................................24

2.1 Considerazioni Iniziali ...................................................................................................................24

2.1.1 Introduzione ..........................................................................................................................24

2.1.2 Caratterizzazione del problema .............................................................................................24

2.2 Modello di Oscillatore Semplice ...................................................................................................25

2.3 Sistemi a più gradi di libertà .........................................................................................................33

2.3.1 La matrice delle rigidezze.......................................................................................................35

2.3.2 La matrice delle masse ..........................................................................................................36

2.3.3 La matrice di smorzamento ...................................................................................................36

2.3.4 La risposta del sistema ...........................................................................................................37


Capitolo 3 - Analisi Dinamica Modale di strutture esistenti ..................................................................41

3.1 Chiodo 2 Blocco D ........................................................................................................................41

3.1.1 Caratteristiche Generali .........................................................................................................41

3.1.2 Modello Geometrico .............................................................................................................43

3.1.3 Analisi Modale .......................................................................................................................50

3.2 Istituto Tecnico Industriale “A. Monaco” ......................................................................................58

3.2.1 Caratteristiche Generali .........................................................................................................58

3.2.2 Modello Geometrico .............................................................................................................59

3.2.3 Analisi Modale .......................................................................................................................66


Introduzione
Con l’entrata in vigore delle nuove Norme Tecniche per le Costruzioni, di cui al D.M. 14 gennaio 2008,
fondamentale importanza acquisisce, nell’ambito della progettazione civile e industriale, la salvaguardia
nei confronti delle azioni sismiche. La necessità di un corpus normativo che regoli la progettazione in zona
sismica è resa evidente da molteplici fattori, soprattutto in Italia, dove gran parte del territorio convive
con un elevato rischio sismico e la qualità del costruito non sempre si è dimostrata adeguata a rispondere
agli eventi accaduti. Le nuove prescrizioni, ormai obbligatorie da Luglio 2009, hanno reso sicuramente più
complesso il lavoro del progettista, che può trovare un valido aiuto nei programmi di calcolo automatici.
Sebbene esistano vari metodi numerici utilizzabili in campo strutturale, è possibile affermare che la
modellazione agli elementi finiti si è imposta nella totalità dei programmi di calcolo oggi utilizzati. I motivi
alla base di questo successo sono da ricercare nell’elevata versatilità di utilizzo di questo metodo che,
grazie anche alla crescente potenza di calcolo disponibile, permette non solo di approcciare problemi
caratterizzati da geometrie e condizioni di carico complesse, ma di farlo tenendo in considerazione un
gran numero di parametri, con un notevole risparmio di tempo e risorse rispetto alla progettazione
tradizionale. La tendenza moderna di sviluppare software che siano in qualche modo sempre più
amichevoli verso l’utente (user-friendly) non deve però ingannare sulla natura specialistica degli stessi. Il
prerequisito fondamentale al fine di un corretto utilizzo è sempre il possesso di una solida base teorica,
non solo per quanto riguarda i processi governanti il fenomeno analizzato, ma anche sugli schemi numerici
adottati. Sulla base di queste premesse, viene concepito il seguente lavoro di tesi. L’obiettivo è la
valutazione del comportamento dinamico di due strutture esistenti: la residenza universitaria di recente
costruzione denominata “Chiodo 2”, di cui nello specifico il blocco D, situata all’interno del campus
universitario di Arcavacata di Rende (CS) e l’edificio scolastico “A. Monaco”, situato nella città di Cosenza.
Il primo capitolo illustra i concetti teorici alla base di un metodo agli elementi finiti, con specifico
riferimento ai problemi di meccanica strutturale. Vengono qui presentate le basi matematiche necessarie
all’implementazione del metodo, di validità generale, e si richiama il cosiddetto problema elastico e i
metodi variazionali con cui si derivano le equazioni governanti il fenomeno. Si conclude il capitolo con un
esempio di procedura completa riferito al modello di trave soggiacente alla teoria di Eulero-Bernoulli. Il
secondo capitolo, quindi, illustra la teoria alla base di un’analisi dinamica modale: dal modello di
oscillatore semplice, con cui vengono illustrati i concetti primigeni, fino ad arrivare ai sistemi a più gradi
di libertà, con cui si schematizzano le strutture. Infine, nel terzo capitolo, viene presentata l’analisi modale
riferita alle due strutture in esame. Nel caso della struttura denominata “Chiodo 2”, si analizzano due
diversi schemi: nel primo, si modella l’interazione terreno-struttura tramite semplici incastri alla base dei
pilastri; nel secondo, invece, si considerano le fondazioni, schematizzate da un sistema misto di piastre e
travi.

1
Capitolo 1 - La Modellazione agli Elementi Finiti

1.1 Introduzione
1.1.1 Perché studiare un metodo numerico
Una delle cose più importanti che ingegneri e scienziati sono chiamati a fare è la modellazione dei
fenomeni fisici. Virtualmente, ogni fenomeno e processo in natura può essere descritto con l’aiuto delle
leggi della fisica in termini di equazioni in forma algebrica, differenziale e/o integrale. La descrizione
analitica di questi viene definita modello matematico, il quale viene sviluppato attraverso assunzioni sulla
natura del processo e utilizzando appropriate leggi e assiomi che lo governano. Spesso, le leggi in oggetto
sono caratterizzate da equazioni differenziali e/o integrali molto complesse, per di più agenti su domini
geometrici difficili da trattare. Di conseguenza, prima dell’avvento dei calcolatori elettronici, i processi
studiati venivano drasticamente semplificati al fine di risolvere le equazioni governanti per via analitica.
Dalla metà del secolo scorso, tuttavia, l’utilizzo dei computer ha reso possibile, con l’aiuto di metodi
numerici, la risoluzione di molti problemi pratici inerenti all’ingegneria. L’uso di metodi numerici e
calcolatori per valutare modelli matematici e stimare le loro caratteristiche si definisce simulazione
numerica. Sulla base di queste premesse, è nata ed è in crescente sviluppo una nuova disciplina connessa
con lo sviluppo di modelli matematici e simulazioni numeriche dei sistemi fisici, conosciuta come
meccanica computazionale. Ogni simulazione numerica, come ad esempio il metodo agli elementi finiti,
non è fine a sé stessa ma piuttosto si configura come un aiuto per la progettazione e la comprensione dei
fenomeni studiati. Esistono molte ragioni per cui si dovrebbe studiare un metodo numerico, specialmente
il metodo agli elementi finiti:

- come accennato, molti problemi pratici sono caratterizzati da domini complessi, condizioni di
carico, e non linearità che non permettono lo sviluppo di soluzioni analitiche cosicché l’unica via
perseguibile rimane quella di trovare soluzioni approssimate usando metodi numerici;
- l’ausilio di metodi numerici, grazie anche alla crescente potenza di calcolo disponibile nei
calcolatori, permette di studiare la risposta di un sistema al variare di un grande numero di
parametri (di tipo geometrico per esempio, ma anche per quanto riguarda materiali e condizioni
di carico) al fine di ottenere una migliore comprensione del processo analizzato. Ciò è sicuramente
conveniente e permette di risparmiare tempo e risorse, se paragonato alla moltitudine di
esperimenti fisici necessari per raggiungere lo stesso grado di conoscenza del fenomeno;

2
- il metodo agli elementi finiti e le sue generalizzazioni rappresentano oggi la scelta migliore per
analizzare problemi pratici di stampo ingegneristico1. Proprio per questo, le industrie più
importanti nel campo automobilistico, aerospaziale, chimico, farmaceutico, elettronico,
petrolifero e delle telecomunicazioni, nonché operanti nei settori emergenti quali le biotecnologie
e le nanotecnologie, si affidano al metodo agli elementi finiti per simulare fenomeni complessi a
differenti scale al fine di progettare e produrre componenti ad alto tasso tecnologico.

1.1.2 Modelli Matematici e Simulazioni Numeriche


Un modello matematico può essere generalmente definito come un insieme di equazioni che esprimono
le caratteristiche essenziali di un sistema fisico in termini delle variabili che descrivono il sistema. La
modellazione matematica dei fenomeni fisici è spesso basata sulle leggi fondamentali della fisica, come,
a esempio, il principio di conservazione della massa, la conservazione della quantità di moto, e la
conservazione dell’energia. Per molti problemi, il passaggio più difficile non è rappresentato
dall’individuazione delle equazioni governanti il fenomeno, bensì dal determinare un’esatta soluzione
analitica, il che è dovuto alle complessità geometriche e dei materiali che si possono riscontrare. In molti
casi, i metodi numerici forniscono vie alternative per determinarne la soluzione. Attraverso il termine
simulazione numerica, si intende la soluzione delle equazioni governanti il fenomeno utilizzando un
metodo numerico e un calcolatore. Generalmente, i metodi numerici trasformano le equazioni
differenziali che governano il fenomeno in un insieme di equazioni algebriche o, in altre parole, passano
da una rappresentazione continua del fenomeno a una discreta, più semplice da risolvere attraverso
l’utilizzo di un calcolatore. A oggi, sono stati sviluppati numerosi metodi numerici, molti dei quali sono
sviluppati per risolvere equazioni di tipo differenziale. Nell’approssimazione alle differenze finite di
un’equazione differenziale, ad esempio, le derivate vengono rimpiazzate da equazioni algebriche alle
differenze finite. Queste, dopo aver imposto le condizioni al contorno nei nodi risultanti dalla
discretizzazione del dominio, conducono a una soluzione approssimata del problema.

Nella risoluzione di un’equazione differenziale attraverso un classico metodo variazionale, l’equazione da


risolvere viene posta nella forma equivalente di un integrale ponderato la cui soluzione approssimata 𝑢ℎ
è assunta essere una combinazione lineare di funzioni scelte arbitrariamente 𝜙𝑗 e coefficienti
indeterminati 𝑐𝑗 :

𝑢 ≈ 𝑢ℎ = ∑𝑗 𝑐𝑗 𝜙𝑗 (1.1.1)

1
J.N. Reddy “An Introduction to the Finite Element Method”. Third Edition 2006

3
I coefficienti vengono quindi determinati di modo che la formulazione integrale sia equivalente
all’equazione differenziale di origine. I vari metodi variazionali, per esempio il metodo di Ritz, Galerkin o
dei minimi quadrati, differiscono tra loro nella scelta della forma integrale, delle funzioni di peso e/o delle
funzioni approssimanti. Questi, che sono in effetti metodi che non necessitano di connessioni tra i vari
nodi (Meshfree Methods), sono strumenti molto potenti che forniscono soluzioni continue globali.
Soffrono però di un importante svantaggio, ovvero della difficoltà di determinare funzioni approssimanti
per problemi con domini complessi (anche se i metodi più moderni sembrano aver risolto questo
problema).

In generale, i metodi numerici si possono dividere in:

- Metodi Diretti: che conducono a una soluzione attraverso un numero finito di passaggi,
possibilmente noto a-priori;
- Metodi Iterativi: i quali partono da una soluzione di primo tentativo e, attraverso varie
approssimazioni, convergono verso la soluzione.

1.1.3 Il Metodo agli Elementi Finiti. Concetti di base


Il metodo agli elementi finiti è un metodo numerico simile al metodo alle differenze finite, sebbene il
campo di applicazione sia molto più generale, il che lo rende applicabile a situazioni reali che coinvolgono
leggi fisiche e domini complessi. In questo metodo, un dominio dato è visto come un insieme di sotto
domini, ognuno dei quali caratterizzato da una equazione governante ricavata da uno dei tradizionali
metodi variazionali. La ragione principale dietro la scelta di ricercare soluzioni approssimate su un insieme
di sottodomini sta nel fatto che è molto più semplice rappresentare una funzione complessa come un
insieme di funzioni polinomiali definite a tratti (Figura 1.1.1). Ovviamente, ognuno dei tratti deve essere
congiunto agli altri facendo in modo che la funzione e le sue derivate siano continue fino a un ordine
scelto arbitrariamente. Nel caso presentato in figura, a esempio, la funzione risultante è di classe ℂ0 ,
garantendo cioè la sola continuità della Figura 1.1.1 Approssimazione a tratti di una funzione
stessa ma non delle sue derivate.

Il metodo si divide essenzialmente in 3


passaggi fondamentali. Per prima cosa, un
dominio geometricamente complesso viene
scomposto in un insieme di sotto domini più
semplici, chiamati elementi finiti, ognuno
dei quali viene visto come un elemento
indipendente. Si vuole specificare che, con

4
la parola dominio, ci si riferisce alla regione geometrica sulla quale le equazioni vengono risolte. In
secondo luogo, su ogni elemento finito, le equazioni algebriche che contengono le quantità di interesse
sono derivate a partire dalle equazioni governanti il fenomeno. Infine, si procede ad assemblare i singoli
sottodomini sulla base di alcune relazioni interne. Nel seguito della trattazione questi passaggi verranno
approfonditi.

Nel corso della procedura appena descritta, si deve tenere conto di vari errori di approssimazione. La
divisione del dominio originario in elementi finiti potrebbe non essere esatta (il dominio discretizzato
potrebbe non coincidere con il dominio di partenza), introducendo dunque un errore di discretizzazione.
Un secondo errore può presentarsi nel momento in cui si ricavano le equazioni dei singoli elementi.
Generalmente, una generica funzione 𝑢 viene approssimata basandosi sull’idea che ogni funzione
continua può essere rappresentata da una combinazione lineare di funzioni note 𝜙𝑗 e coefficienti incogniti
𝑐𝑗 . Le relazioni algebriche che servono a determinare i coefficienti incogniti sono ottenute soddisfacendo,
per ogni elemento, le equazioni governanti poste nella forma di integrale ponderato. Le funzioni
approssimanti 𝜙𝑗 vengono spesso prese polinomiali, utilizzando concetti di interpolazione. Proprio per
questo, si definiscono funzioni interpolanti. Ne risulta dunque che errori di approssimazione si possono
presentare sia nella rappresentazione della soluzione 𝑢 che nella valutazione degli integrali. Una terza
fonte di errore, si può presentare nella risoluzione del sistema di equazioni che risulta dall’assemblaggio
dei vari elementi. Ovviamente, alcuni degli errori discussi potrebbero anche essere nulli. Quando tutti gli
errori valgono zero, otteniamo l’esatta soluzione del problema, il che non è ovviamente il caso della
maggior parte dei problemi affrontati.

Si procede ora a ricapitolare l’intera procedura introducendo però la terminologia appropriata:

- discretizzazione agli elementi finiti. Il dominio di partenza viene rappresentato da un insieme


finito di sottodomini, chiamati elementi finiti o primitive. La totalità di questi si definisce griglia
(mesh). Ogni elemento è connesso agli altri in punti chiamati nodi. A seconda del problema
analizzato e degli aspetti che si vogliono analizzare, si possono avere primitive unidimensionali,
bidimensionali o tridimensionali. Se la dimensione di queste è sempre la stessa si parla di griglia
uniforme;
- funzioni di base (funzioni di forma). Ogni primitiva viene considerata isolata e, partendo
dall’equazione governante il fenomeno, si determina la soluzione di interesse tramite
combinazione lineare di equazioni algebriche dette, appunto, f. di base;
- assemblaggio delle f. di base e soluzione. Si ricava infine, assemblando gli elementi finiti in
maniera consona alla natura del fenomeno, la soluzione del problema.

5
1.2 Concetti Matematici di base
1.2.1 Formulazione Integrale di un’equazione differenziale
Dato che il metodo agli elementi finiti può essere visto come un’applicazione a tratti di un metodo
variazionale, risulta utile capire come questo funziona. In generale, si parla di metodi variazionali quando
si utilizzano principi variazionali, quali il principio di minimo dell’energia potenziale o il principio dei lavori
virtuali, al fine di determinare soluzioni approssimate di un problema. Nel senso classico del termine, un
principio variazionale ha a che fare con la ricerca dei valori estremi (massimi o minimi) di un funzionale
che rappresenta il fenomeno in esame. Quest’ultimo include tutte le caratteristiche intrinseche del
fenomeno, come ad esempio le equazioni governanti, le condizioni iniziali e/o al contorno e le condizioni
di vincolo, se presenti. Nei problemi di meccanica, il funzionale rappresenta l’energia totale del sistema
mentre, in altri problemi, è semplicemente una rappresentazione integrale dell’equazione governante.

La frase formulazione variazionale viene intesa in due modi:

- nel senso classico del termine, si riferisce alla costruzione di un funzionale basato su un principio
variazionale che è equivalente alle equazioni governanti del problema;
- nel senso moderno del termine, invece, si riferisce ad una formulazione nella quale le equazioni
governanti vengono poste in una forma integrale equivalente che, però, non è necessariamente
basata su un principio variazionale.
Nella quasi totalità dei metodi numerici utilizzati per determinare la soluzione di una equazione
differenziale, si cerca una soluzione nella forma:

𝑢(𝒙) ≈ 𝑈𝑁 (𝒙) = ∑𝑁
𝑗=1 𝑐𝑗 𝜙𝑗 (𝒙) (1.2.1)

Dove 𝑢 rappresenta la soluzione particolare del problema di Cauchy ricavata dall’equazione differenziale
e le sue condizioni al contorno mentre 𝑈𝑁 si riferisce alla sua approssimazione che viene ricavata a partire
da una combinazione lineare di parametri incogniti 𝑐𝑗 e funzioni di base 𝜙𝑗 nella posizione 𝒙 del dominio
Ω. La soluzione approssimata 𝑈𝑁 è nota solo quando si determinano tutti i parametri 𝑐𝑗 . Dunque, bisogna
trovare un modo di determinare quei valori dei parametri che soddisfano l’equazione governante. Se fosse
possibile determinare una soluzione approssimata che soddisfi l’equazione differenziale in ogni punto del
dominio, allora avremmo che 𝑈𝑁 (𝒙) = 𝑢 (𝒙), che è appunto la soluzione esatta del problema. Bisogna
però considerare che i metodi numerici non vengono utilizzati quando è possibile ricavare una soluzione
analitica esatta del problema, ma proprio quando questa via non è perseguibile. Al fine di trovare una
soluzione che soddisfi in via approssimata l’equazione governante, si passa alla cosiddetta formulazione
integrale equivalente da cui si ottengono 𝑁 relazioni algebriche contenenti 𝑁 parametri 𝑐1 , 𝑐2 , … , 𝑐𝑁 .

Si supponga di avere la seguente equazione differenziale:

6
𝑑 𝑑𝑢
− 𝑑𝑥 [𝑎(𝑥) 𝑑𝑥 ] = 𝑓 (𝑥) 𝑐𝑜𝑛 0 < 𝑥 < 𝐿 (1.2.2)

Soggetta alle seguenti condizioni al contorno:

𝑑𝑢
𝑢(0) = 𝑢0 , [𝑎(𝑥) 𝑑𝑥 ] = 𝑄0 (1.2.3)
𝑥=1

In cui 𝑎(𝑥), 𝑓(𝑥) sono funzioni note, 𝑢0 e 𝑄0 rappresentano le condizioni iniziali (note) e 𝑢(𝑥) è la funzione
che si vuole determinare. Il problema appena definito può riferirsi a molti casi di applicazione
ingegneristica, di cui alcuni esempi vengono riportati in tabella:

Campo di 𝒖(𝒙) 𝒂(𝒙) 𝒇(𝒙) 𝑸𝟎


applicazione
Cavi Spostamento 𝑇 Carico verticale Forza assiale
Trasversale distribuito
Barre Spostamento 𝐸𝐴 Carico assiale Carico assiale
Longitudinale distribuito
Trasferimento Temperatura 𝑘 Sorgente interna Flusso di calore
Calore di calore
Flusso in Pressione 𝜋𝐷4 Sorgente di flusso Tasso di flusso
condotta Idrostatica 128𝜇
Flusso viscoso Velocità 𝜇 Gradiente di Tensione
pressione
Elettrostatica Potenziale 𝜖 Densità di carica Flusso elettrico
Elettrico
Tabella 1.1.1 Applicazioni ingegneristiche dell’equazione (1.2.2)

Si ricerca la soluzione all’interno del dominio nella forma:

𝑈𝑁 = ∑𝑁
𝑗=1 𝑐𝑗 𝜙𝑗 (𝑥) + 𝜙0 (𝑥) (1.2.4)

Dove 𝑐𝑗 sono i coefficienti ricercati e 𝜙𝑗 (𝑥) e 𝜙0 (𝑥) sono le funzioni scelte di modo che le specifiche
condizioni al contorno soddisfino la soluzione approssimata 𝑈𝑁 a 𝑁 parametri. Sostituendo 𝑈𝑁 all’interno
dell’equazione (1.2.2), si ottiene:

𝑑 𝑑𝑈𝑁
− 𝑑𝑥 [𝑎(𝑥) ] = 𝑓 (𝑥) 𝑐𝑜𝑛 0 < 𝑥 < 𝐿 (1.2.5)
𝑑𝑥

Siccome al primo membro si ha un valore approssimato, non ci si può aspettare, in generale, che sia uguale
al secondo membro. La differenza tra i due, che si definisce residuo 𝑅, è pari a:

𝑑 𝑑𝑈𝑁
𝑅(𝑥, 𝑐𝑗 ) = − 𝑑𝑥 [𝑎(𝑥) ] − 𝑓 (𝑥) ≠ 0 𝑐𝑜𝑛 0 < 𝑥 < 𝐿 (1.2.6)
𝑑𝑥

Ogni metodo di approssimazione (specialmente i metodi variazionali) ricerca un insieme di 𝑁 equazioni


algebriche, le cui incognite sono i coefficienti 𝑐𝑗 , tali per cui 𝑅 si annulli. Poiché non è possibile annullare

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𝑅 in ogni punto del dominio (si ricadrebbe altrimenti nel caso di una soluzione esatta), si ricercano dei
criteri diversi al fine di determinare le relazioni cercate.

Si ha, a esempio, il Metodo delle Collocazioni (Collocation Method) che richiede l’annullamento di 𝑅 in 𝑁
punti del dominio o anche il Metodo dei Minimi Quadrati che minimizza l’integrale dei quadrati del residuo
rispetto ai coefficienti 𝑐𝑗 . Entrambi questi metodi permettono di ottenere un sistema di 𝑁 equazioni
algebriche in 𝑁 incognite (i parametri 𝑐𝑗 ). A ben vedere, entrambi questi metodi risultano essere casi
particolari del Metodo dei Residui Pesati (Weighted-Residual Method) il quale impone l’annullamento del
residuo attraverso l’equazione:

𝐿
∫0 𝑤𝑖 (𝑥)𝑅(𝑥, 𝑐𝑗 )𝑑𝑥 = 0 (𝑖 = 1,2, … , 𝑁) (1.2.7)

Dove i termini 𝑤𝑖 (𝑥) rappresentano una serie di funzioni linearmente indipendenti, chiamati funzioni di
peso, i quali, in generale, sono diverse dalle funzioni di base 𝜙𝑖 (𝑥). Quando invece le funzioni di peso
coincidono con le funzioni di base, si ha il cosiddetto Metodo di Galerkin (𝑤𝑖 = 𝜙𝑖 ). Riassumendo, si posso
avere i seguenti casi particolari del metodo dei residui pesati:

- Metodo di Petrov-Galerkin 𝑤𝑖 = 𝜓𝑖 ≠ 𝜙𝑖
- Metodo di Galerkin 𝑤𝑖 = 𝜙𝑖
𝑑 𝑑𝜙𝑖
- Metodo dei Minimi Quadrati 𝑤𝑖 = [𝑎(𝑥) ] (1.2.8)
𝑑𝑥 𝑑𝑥

- Metodo delle Collocazioni 𝑤𝑖 = 𝛿(𝑥 − 𝑥𝑖 )


Dove 𝑥𝑖 rappresenta l’i-esimo punto del dominio in cui viene imposto l’annullamento di 𝑅 (collocation
point) e 𝛿(. ) è il Delta di Dirac, definito in maniera tale che esso si annulli ogni qualvolta il suo argomento
è non nullo (𝛿 (𝑥 − 𝑥0 ) = 0 𝑠𝑒 𝑥 ≠ 𝑥0 ).

In base a quale forma si voglia dare alle funzioni di peso, le caratteristiche del sistema di equazioni
algebriche risultante cambiano. Per equazioni differenziali lineari di ordine qualsiasi, solo il metodo dei
minimi quadrati conduce a una matrice dei coefficienti simmetrica.

Un altro metodo che preserva le caratteristiche di simmetria della matrice dei coefficienti del sistema di
equazioni algebriche in oggetto è il cosiddetto Metodo di Ritz, il quale utilizza la formulazione debole di
equazioni differenziali di ordine pari ponendo 𝑤𝑖 = 𝜙𝑖 . Si specifica che quest’ultimo non è un caso
particolare del metodo dei residui pesati.

8
1.2.2 Formulazione Debole di un’equazione differenziale
Si introduce dunque il concetto di forma debole di un’equazione differenziale, il che è fondamentale nella
definizione del metodo agli elementi finiti per due ordini di motivi:

- Come accennato, il metodo agli elementi finiti può essere visto come un’applicazione a tratti di
un metodo variazionale, il cui sviluppo richiede la conoscenza delle formulazioni integrali e della
forma debole di un’equazione differenziale;
- La formulazione debole facilita inoltre la classificazione delle condizioni al contorno in naturali ed
essenziali, anche conosciute come condizioni di Neumann e condizioni di Dirichlet2.
In termini generali, quando si ha un problema ben posto, in cui cioè la soluzione esiste, è unica e dipende
in modo continuo dai dati forniti dal problema3, si parla di soluzione forte quando questa è rappresentata
da una funzione differenziabile fino all’ordine stesso dell’equazione di partenza, ovvero in cui tutte le
derivate esistono e sono continue. La maggior parte delle equazioni differenziali alle derivate parziali,
però, non prevedono una soluzione in tal senso. Se si ammette una funzione non differenziabile, o
comunque non fino all’ordine stesso dell’equazione di partenza, come soluzione di un problema ben
posto, tale soluzione viene definita soluzione debole. Utilizzando questo tipo di formulazione, si hanno
due principali vantaggi:

- Le variabili dipendenti del problema necessitano di minori requisiti di continuità;


- Le condizioni al contorno naturali (di Neumann) sono incluse in questa formulazione, da cui
l’aggettivo naturali, e la soluzione deve soddisfare unicamente le condizioni essenziali (di
Dirichlet).
Queste due considerazioni giocano un ruolo essenziale nello sviluppo di un modello agli elementi finiti.

Si vuole infine dire qualcosa sullo sviluppo della forma debole di un’equazione differenziale. Essa consta
essenzialmente di tre passaggi:

- Il primo passaggio coincide con quanto detto per il metodo dei residui pesati. Si muovono tutti i
termini dell’equazione da un lato solo, si moltiplica tutto per una funzione di peso 𝑤 e si integra
sull’intero dominio Ω = (0, 𝐿), così da ottenere, partendo dall’equazione (1.2.2):
𝐿 𝑑 𝑑𝑢
0 = ∫0 𝑤 [− 𝑑𝑥 (𝑎 𝑑𝑥 ) − 𝑓] 𝑑𝑥 (1.2.9)

Si ricorda che, sostituendo la soluzione esatta 𝑢 con quella approssimata 𝑈𝑁 , il termine all’interno
della parentesi quadra non risulterà esattamente nullo. Si scelgono dunque 𝑁 funzioni di peso
linearmente indipendenti ottenendo così 𝑁 equazioni per i parametri 𝑐1 , 𝑐2 , … , 𝑐𝑁 ;

2
Pag. 48, An Introduction to the Finite Element Method, J.N. Reddy
3
Lawrence C. Evans, Partial Differential Equations, American Mathematical Society, 1998

9
- Si integra per parti, ottenendo:
𝐿 𝑑 𝑑𝑢 𝐿 𝑑𝑤 𝑑𝑢 𝑑𝑢 𝐿
0 = ∫0 {𝑤 [− 𝑑𝑥 (𝑎 𝑑𝑥 ) − 𝑤𝑓]} 𝑑𝑥 = ∫0 (𝑎 𝑑𝑥 𝑑𝑥
− 𝑤𝑓) 𝑑𝑥 − [𝑤𝑎 𝑑𝑥 ] (1.2.10)
0

In questa maniera si può già osservare che la soluzione 𝑢, che nell’equazione (1.2.9) richiedeva
essere due volte differenziabile, presenta ora il requisito di dover essere differenziabile una volta
sola (da cui il termine debole riferito a questo tipo di formulazione). Un’altra importante
caratteristica di questo passaggio è quella di scernere, come accennato, tra i due tipi di condizione
al contorno associati a qualsiasi tipo di equazione differenziale: naturali ed essenziali. Una regola
generale per distinguerle è la seguente: una volta eseguita l’integrazione per parti, si esaminino
tutti i termini al di fuori del segno di integrale. Saranno presenti sia la funzione di peso 𝑤 che la
funzione incognita 𝑢. I coefficienti della funzione di peso, e se presenti di tutte le sue derivate
successive, vengono definiti variabile secondaria. Nel caso in esame, a esempio, il coefficiente di
𝑤 risulta essere 𝑎(𝑑𝑢⁄𝑑𝑥), che è appunto la variabile secondaria del problema. La variabile
dipendente 𝑢, espressa nella stessa forma in cui è presente 𝑤 all’interno dei termini considerati,
viene invece definita variabile primaria. Tornando al caso presentato, si ha che la funzione di peso
appare all’interno del termine considerato come 𝑤, e dunque la variabile primaria è 𝑢. Per
concludere, le condizioni al contorno riferite alla variabile secondaria si definiscono condizioni al
contorno naturali (di Neumann) mentre quelle che fissano la variabile primaria si definiscono
condizioni al contorno essenziali. La variabile secondaria ha sempre un significato fisico e denota
usualmente quantità di interesse. Si può notare che il numero di variabili primarie e secondarie
dipende dall’ordine dell’equazione differenziale e che queste appaiono sempre in numero uguale,
ovvero per ogni variabile primaria risulta associata una variabile secondaria. In ogni punto del
contorno, una sola delle due può essere fissata e quindi si possono tre tipi di configurazione:
o Configurazione di Neumann. Tutte le condizioni al contorno assegnate sono di tipo
naturale;
o Configurazione di Dirichlet. Tutte le condizioni al contorno assegnate sono di tipo
essenziale;
o Configurazione di Robin. Si hanno entrambi i tipi di condizione al contorno.
- Il terzo e ultimo passaggio consiste nell’imporre le condizioni al contorno specifiche del problema.
In una formulazione debole, la funzione di peso 𝑤 assume il significato di variazione virtuale della
variabile primaria. Se, dunque, si fissa un certo valore della variabile primaria in un punto di
contorno, la variazione virtuale di 𝑤 deve essere nulla. Per il problema in esame, le condizioni al
contorno sono fissate dalla (1.2.3) e, per le regole appena fissate, si ha che 𝑢 = 𝑢0 è una
condizione essenziale mentre (𝑎 𝑑𝑢⁄𝑑𝑥 )𝑥=𝐿 è una condizione naturale. Definendo:
𝑑𝑢
𝑄 = (𝑎 𝑑𝑥 ) 𝑛𝑥 (1.2.11)

10
La variabile secondaria, in cui 𝑛𝑥 rappresenta il coseno direttorio (coseno dell’angolo formato tra
l’asse x positiva e la normale al bordo4), si può riscrivere la (1.2.10) come:
𝐿 𝑑𝑤 𝑑𝑢
0 = ∫0 (𝑎 𝑑𝑥 𝑑𝑥
− 𝑤𝑓) 𝑑𝑥 − (𝑤𝑄)0 − (𝑤𝑄)𝐿 (1.2.12)

Per quanto detto risulta dunque che 𝑤(0) = 0 in quanto 𝑢(0) = 𝑢0 , il che permette di riscrivere
la (1.2.12) come:
𝐿 𝑑𝑤 𝑑𝑢
0 = ∫0 (𝑎 𝑑𝑥 𝑑𝑥
− 𝑤𝑓) 𝑑𝑥 − 𝑤(𝐿)𝑄𝐿 (1.2.13)

La quale rappresenta dunque la forma debole rappresentativa dell’equazione (1.2.2) e delle


condizioni al contorno associate.

È bene rimarcare il concetto che una formulazione integrale o una formulazione debole di un’equazione
differenziale sono necessarie al fine di ottenere il sistema di equazioni algebriche che permette la
determinazione dei coefficienti incogniti 𝑐𝑗 , che è alla base dello sviluppo di un qualunque metodo agli
elementi finiti.

1.3 Il metodo agli Elementi Finiti per problemi di Meccanica delle Strutture
1.3.1 La teoria dell’elasticità e schemi numerici
Dopo aver fornito una panoramica dei concetti matematici, di validità generale, necessari allo sviluppo di
un modello agli elementi finiti, si passa quindi a caratterizzare il problema in termini di meccanica delle
strutture. A tal fine, è necessario anzitutto premettere che la trattazione avverrà unicamente in ambito
lineare (linearità geometrica e del materiale). Si richiama dunque il cosiddetto problema elastico.

In meccanica dei solidi, gli aspetti che caratterizzano il problema dell’equilibrio elastico sono
essenzialmente tre: equilibrio (indefinito), congruenza (leggi deformazione/spostamento) e legame
costitutivo del materiale (legame sforzo/deformazioni). Volendo esprimerle in notazione matriciale, si ha:

𝜕𝜎𝒊𝒋
𝑳𝑇 𝝈 + 𝑭 = 𝟎 ⟺ ∑3𝑖=1 + 𝐹𝑗 = 0 (3 eq.) (1.3.1)
𝜕𝑥𝑖

1 𝜕𝑢 𝜕𝑢𝒋
𝝐 = 𝑳𝒖 ⟺ 𝜖𝑖𝑗 = 2 (𝜕𝑥 𝒊 + 𝜕𝑥 ) (6 eq.) (1.3.2)
𝑗 𝑖

𝝈 = 𝑫𝝐 ⟺ 𝜎𝑖𝑗 = ∑3𝑘,𝑙=1 𝐷𝑖𝑗𝑘𝑙 𝜖𝑘𝑙 (6 eq.) (1.3.3)

4
Per problemi unidimensionali, si ha che la normale ai punti di contorno ha direzione sempre coincidente con il
dominio stesso, per cui sarà 𝑛𝑥 = −1 in corrispondenza dell’estremo inferiore e 𝑛𝑥 = 1 in corrispondenza di quello
superiore

11
Dove 𝑳 rappresenta l’operatore differenziale lineare di congruenza (6x3) contenente le derivate parziali
rispetto alle direzioni coordinate:

𝜕⁄ 0 0 𝜕⁄ 0 𝜕⁄
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
𝑳 = 0
𝑇 𝜕⁄ 0 𝜕⁄ 𝜕⁄ 0 (1.3.4)
𝜕𝑦 𝜕𝑥 𝜕𝑧
𝜕⁄ 0 𝜕⁄ 𝜕⁄
[ 0 0 𝜕𝑧 𝜕𝑦 𝜕𝑥]

𝑫 rappresenta invece la matrice simmetrica (6x6) dei moduli elastici contenente le componenti 𝐷𝑖𝑗𝑘𝑙 del
tensore di rigidezza elastica del materiale (composto in generale da 21 costanti elastiche indipendenti, le
quali si riducono a due nel caso di materiale isotropo); 𝑭 rappresenta le forze per unità di volume; 𝒖
rappresenta il vettore degli spostamenti, 𝝐 il vettore delle deformazioni e 𝝈 quello delle tensioni.
Considerando come incognite del problema le 6 componenti di tensione e le 3 componenti di
spostamento (le componenti di deformazione sono infatti ricavabili dagli spostamenti attraverso le
relazioni di congruenza), si hanno in totale 9 incognite. Per quanto riguarda le equazioni disponibile si
hanno invece le 3 equazioni di equilibrio indefinito e le 6 equazioni costitutive (fornite dalle Leggi di
Hooke). Si perviene dunque a un sistema di 9 equazioni differenziali in 9 incognite, che risulta definito una
volta applicate le condizioni al contorno, le quali generalmente risultano essere di tipo misto
(configurazione di Robin). La risoluzione del problema per via analitica (forma forte del problema
differenziale) non è perseguibile se non per un numero limitato di casi, come a esempio per quanto
riguarda il solido di de Saint Venant soggetto ad azione assiale, flessione, taglio e torsione. Sorge dunque
il problema di pervenire a una soluzione, anche approssimata, raggiungibile in forma numerica per mezzo
di procedure da svolgersi in maniera automatica e standardizzata. La soluzione più naturale risulterebbe
essere quella di rivolgersi a metodi di discretizzazione diretta delle equazioni governanti (vedi Metodo alle
Differenze Finite), i quali però soffrono delle problematiche già elencate in precedenza. Rimangono
dunque due approcci possibili (trasposizione a una forma variazionale o passaggio a una forma debole del
problema in esame) che, nell’ambito della teoria dell’elasticità, si conducono mediante:

1. Il principio di stazionarietà dell’energia potenziale totale (formulazione variazionale);


2. Il principio degli spostamenti virtuali (formulazione variazionale);
3. L’annullamento di opportune medie pesate dei residui (formulazione integrale).
Il primo approccio passa attraverso il metodo di Ritz per condurre al metodo degli elementi finiti come
sua naturale generalizzazione; il secondo anche conduce al metodo degli elementi finiti mentre il terzo
conduce al metodo dei residui pesati, il quale può anche essere implementato in un modello agli elementi
finiti. Si richiamano dunque i metodi variazionali relativi alla teoria elastica sopra esposti.

12
1.3.2 Il principio dell’energia potenziale totale
Nell’ipotesi di comportamento elastico (esistenza di un’energia elastica di deformazione) e di carichi
esterni conservativi (dotati, cioè, di energia potenziale), può essere definita l’energia potenziale totale del
sistema in termini di un funzionale, il quale corrisponde alla differenza tra l’energia di deformazione
elastica del sistema e il lavoro compiuto dalle forze esterne:

1 𝑇
Π(𝒖) = ∫𝑉 2
𝝐 𝑫𝝐𝑑𝑉 − (∫𝑉 𝑭𝑇 𝒖𝑑𝑉 + ∫𝑆 𝒇𝑇 𝒖𝑑𝑆) (1.3.5)
𝑓

Dove 𝑭 rappresenta il vettore delle forze di volume e 𝒇 quello delle forze di superficie applicate al solido.
Entro l’insieme degli spostamenti congruenti, con 𝒖 = 𝒖0 su 𝑆𝑢 (condizioni al contorno cinematiche
essenziali, cioè imposte a priori), la configurazione equilibrata risulta essere quella caratterizzata dalla
stazionarietà del funzionale Π(𝒖), ovvero tale per cui:

𝜕Π(𝒖) = 0 ⟺ ∫𝑉 𝝈𝑇 𝜕𝝐𝑑𝑉 = (∫𝑉 𝑭𝑇 𝜕𝒖𝑑𝑉 + ∫𝑆 𝒇𝑇 𝜕𝒖𝑑𝑆) = 0 (1.3.6)


𝑓

La quale risulta essere inoltre la configurazione che rende minimo il funzionale in oggetto. Le rimanenti
condizioni al contorno sono di tipo naturale, riguardano cioè l’equilibrio delle forze e non vengono
imposte a priori. In definitiva, si può esprimere il seguente enunciato: “Nella classe delle funzioni
cinematicamente ammissibili, il funzionale Π risulta stazionario in corrispondenza di una soluzione
equilibrata”5.

1.3.3 Il principio degli spostamenti virtuali


Si introduce ora un principio che, benché non possa essere connotato di una caratterizzazione estremale,
risulta valido indipendentemente dal comportamento del materiale e può dunque essere applicato anche
nel caso anelastico (come, a esempio, nel caso di comportamento plastico). Si consideri una variazione
virtuale del campo di spostamenti 𝜕𝒖 e di deformazione 𝜕𝝐 tale per cui vengano rispettate le relazioni di
congruenza (𝜕𝝐 = 𝑳𝜕𝒖 in V e 𝜕𝒖 = 𝟎 su S). La configurazione di partenza risulta equilibrata se, ∀𝜕𝒖,
risulta soddisfatta l’eguaglianza tra il lavoro virtuale interno e quello esterno:

ℒ𝑖 = ℒ𝑒 ⟺ ∫𝑉 𝝈𝑇 𝜕𝝐𝑑𝑉 = (∫𝑉 𝑭𝑇 𝜕𝒖𝑑𝑉 + ∫𝑆 𝒇𝑇 𝜕𝒖𝑑𝑆) (1.3.7)


𝑓

La relazione ricavata esprime dunque il principio degli spostamenti virtuali, il quale non è altro che la
particolare forma che assume il principio dei lavori virtuali quando applicato a un sistema in equilibrio che
subisce un ulteriore spostamento infinitesimo (virtuale).

5
Erasmo Viola, Lezioni di Scienza delle Costruzioni, Pitagora Editrice Bologna

13
1.3.4 Strutture a telaio
Nell’ambito della meccanica delle strutture, una costruzione può essere definita come un manufatto che
dà vita allo spazio entro il quale si svolgono specifiche attività. Essa è costituita da una parte portante, al
quale è demandato il compito di resistere ai carichi gravanti (pesi propri, permanenti, variabili, azioni
esterne), e da una parte portata. La parte portante di una costruzione è anche definita sistema strutturale,
o semplicemente struttura. In ambito civile, numerosi sono gli esempi di strutture che variano tra loro per
la scelta dei materiali e per gli schemi costruttivi prescelti. I materiali più utilizzati sono il legno, la
muratura, l’acciaio e il calcestruzzo, che a sua volta può essere semplice, armato con barre di acciaio o
precompresso. Nel seguito della trattazione si farà riferimento a strutture in calcestruzzo armato, sia
perché è il materiale più utilizzato in Italia in ambito civile, ma anche perché l’applicazione presentata nel
terzo capitolo fa riferimento proprio a questo tipo di materiale. Gli schemi costruttivi adottabili in questo
caso sono6:

- Strutture a telaio;
- Strutture a parete;
- Strutture miste telaio-parete;
- Strutture deformabili torsionalmente;
- Strutture a pendolo inverso.
Si farà riferimento a strutture a telaio, nelle quali la resistenza ad azioni orizzontali e verticali è demandata
a telai spaziali, aventi resistenza al taglio alla base pari almeno al 65% della resistenza a taglio totale.

Le strutture a telaio sono composte da travi, pilastri e impalcati. I primi due sono elementi che possono
essere modellati mediante elementi monodimensionali, in quanto si ha una dimensione geometrica
prevalente rispetto alle altre due, mentre gli impalcati necessitano di una modellazione di tipo
bidimensionale. Nei prossimi paragrafi, si concentrerà l’attenzione su questi elementi strutturali
fornendone una formulazione agli elementi finiti.

1.3.5 Procedura di calcolo


Al termine di una panoramica sugli aspetti di base che caratterizzano il problema elastico in ambito
strutturale, si formalizza anzitutto, in maniera sintetica, la procedura di calcolo agli elementi finiti per
problemi che rientrano in questo ambito.

6
Norme Tecniche per le Costruzioni D.M 14 gennaio 2008, §7.4.3

14
- Concettualizzazione del problema. L’ampia disponibilità di software commerciali presenti oggi sul
mercato e la sempre maggiore facilità di utilizzo che li caratterizza, sebbene costituisca un punto
a favore per il progettista, che in questa maniera può svolgere il suo lavoro in maniera più rapida
ed efficiente, può costituire anche un rischio implicito per chi si avvicina a questi strumenti senza
avere una solida conoscenza teorica del problema che deve approcciare. Per questo motivo, il
primo passaggio, di fondamentale importanza, è rappresentato da un momento di riflessione che
deve condurre a un’opportuna schematizzazione del problema. In ambito strutturale, questa
include: l’introduzione di opportune ipotesi sulle caratteristiche geometriche e sulla tipologia di
carico gravante sulla struttura (semplificazione e regolarizzazione del contorno, sfruttamento di
opportune condizioni di simmetria geometriche e/o di carico, assunzioni sulle caratteristiche dei
vincoli cinematici presenti, definizione della storia di carico), sul comportamento del materiale
(elastico/anelastico, dipendente/indipendente dal tempo, isotropo/anisotropo), sulla risposta
globale della struttura (statica/dinamica, regime di piccole/grandi deformazioni), sul
comportamento strutturale (regime monodimensionale o bidimensionale, piano o spaziale), etc.
Una scelta ponderata delle assunzioni appena descritte, oltre a essere condizione necessaria per
una corretta modellazione, lo è anche nei riguardi di un’interpretazione critica dei risultati a valle
del processo;
- Discretizzazione (fase di pre-processione). Con questa fase, si entra nel merito della modellazione.
Si suddivide la struttura in elementi finiti (che passa così da una caratterizzazione continua, con
infiniti gradi di libertà, a una discreta) mediante il disegno di un reticolo di elementi detto mesh.
Si deve dunque scegliere la natura di questi elementi, che sono generalmente triangolari o
quadrangolari, e che in ogni caso devono essere caratterizzati da una geometria semplice e di
facile implementazione. Nella scelta delle dimensioni da associare ai singoli elementi, è necessario
prestare particolare attenzione ai rapporti di forma tra la dimensione massima e quella minima
dell’elemento che non devono essere troppo elevati al fine di evitare elementi eccessivamente
allungati e/o distorti. Una caratteristica importante dei modelli agli elementi finiti è quella di
permettere la costruzione di griglie non uniformi, da cui ne consegue la possibilità di ottimizzare
la topologia in relazione dai risultati attesi (infittimento della maglia in corrispondenza di zone
dove ci si aspetta un elevato gradiente di sforzo e diradamento della maglia ove possibile al fine
di alleggerire il carico computazionale dell’analisi). Questo però, non vuole dire che sia possibile
affiancare elementi i cui segmenti in comune non coincidano, in quanto la predizione degli sforzi
in tali zone risulterà distorta. La pratica appena descritta viene sconsigliata anche quando, come
oggi spesso accade, i programmi utilizzati permettono l’utilizzo di vincoli di bordo che dovrebbero
ovviare a questo problema. Si segnala infine che questa fase si avvale in genere di modellatori

15
solidi predisposti all’interazione visuale con l’utente e in grado di interfacciarsi con i codici di
calcolo che gestiscono le fasi successive;
- Generazione delle funzioni di forma. Per il singolo elemento viene scelta la funzione di forma
appropriata e l’ordine dell’interpolazione e si calcolano le quantità caratteristiche (definendo
dunque le matrici di rigidezza e le forze nodali equivalenti, con un eventuale passaggio dalle
coordinate locali dell’elemento a quelle globali della struttura). Questa fase si presta bene al
calcolo automatico, i cui procedimenti vengono realizzati con l’ausilio di opportune routines che,
nel caso di software commerciali, risultano invisibili all’utente;
- Assemblaggio degli elementi finiti. In questa fase, si procede all’assemblaggio degli elementi e del
sistema di equazioni algebriche risolvente tramite i seguenti passaggi: individuazione delle
connessioni tra i gradi di libertà globali e quelli locali7, formazione della matrice delle rigidezze
globale e del vettore dei termini noti, imposizione delle condizioni al contorno cinematiche sui
gradi di libertà vincolati;
- Soluzione. Risoluzione delle equazioni di equilibrio del sistema finale assemblato in forma
discreta. Si utilizzano in questa fase algoritmi che sfruttano le proprietà significative della matrice
di rigidezza, quali simmetria e composizione a banda, grazie alle quali è possibile risolvere sistemi
con un elevato numero di gradi di libertà in tempi rapidi e con notevole precisione di calcolo;
- Ricostruzione dei campi incogniti. Tramite sostituzione a ritroso, si determinano gli spostamenti
locali dei singoli elementi noti i valori degli spostamenti nodali in soluzione. Si ricavano quindi le
deformazioni interne tramite le equazioni di congruenza e il regime degli sforzi per mezzo del
legame costituivo del materiale;
- Visualizzazione dei risultati ottenuti (fase di post-processione). Tramite la redazione di tabulati,
diagrammi, grafici della mesh deformata, isovalori delle componenti di sforzo e deformazione,
dell’energia elastica etc., si procede a una valutazione critica dei risultati dal punto di vista
ingegneristico che può anche preludere a una o più reiterazioni del calcolo al fine di ottenere
ulteriori raffinamenti e conferme degli esiti dell’analisi strutturale.

1.3.6 Componenti strutturali di uso comune


Al fine di rappresentare elementi strutturali reali, è necessario introdurre delle componenti “fittizie” che
ne riescano a cogliere gli aspetti più salienti. Esse si dividono in base al comportamento strutturale in cui

7
A tal proposito, si utilizza in ambito computazionale la cosiddetta tabella delle incidenze, in cui le righe contengono
informazioni sui nodi degli elementi e le colonne su quelli complessivi della struttura.

16
ricade l’elemento che sono chiamate a rappresentare (monodimensionale, bidimensionale o
tridimensionale) e al tipo di carico cui sono soggette.

Per gli elementi monodimensionali, si hanno:

 Bar, elementi soggetti unicamente a carichi di tipo assiale. L’equazione governante in termini di
spostamento è, nel caso generale:
𝜕2 𝑢 𝜕 𝜕𝑢
𝜌𝐴 − (𝐸𝐴 ) = 𝑓(𝑥, 𝑡) (1.3.8)
𝜕𝑡 2 𝜕𝑥 𝜕𝑥

Dove 𝜌 rappresenta la densità del materiale, 𝐴 l’area della sezione trasversale, 𝐸 il modulo
elastico, 𝑓(𝑥, 𝑡) il carico assiale che, nel caso generale appunto, è funzione della posizione e del
tempo. Nel caso statico, l’equazione si riduce a:
𝑑 𝑑𝑢
− 𝑑𝑥 (𝐸𝐴 𝑑𝑥 ) = 𝑓(𝑥) (1.3.9)

Si nota che questa equazione si basa sull’assunzione che la tensione sia costante in ogni sezione
trasversale;
 Trusses, elementi bar connessi tramite cerniere a formare quelle che si definiscono strutture
reticolari;
 Beams, elementi soggetti a taglio e momento flettente. Si distingue tra thin beams, basate sulla
teoria di Eulero-Bernoulli, e thick beams, basate invece sulla teoria di Timoshenko8. Alla
trattazione delle prime si dedica il prossimo paragrafo; sulle seconde si dice solamente che lo
spostamento trasversale è governato da una coppia di equazioni differenziali del secondo ordine;
 Frames, costituiscono la generalizzazione degli elementi sopraesposti. Si distingue tra f. nel piano,
soggetti a taglio, sforzo assiale e momento flettente, e f. nello spazio in cui, per ogni nodo, si
hanno invece 6 gradi di libertà: 3 traslazionali e 3 rotazionali.
Per quanto riguarda gli elementi bidimensionali si distingue invece tra:

- Comportamento a membrana, soggetti unicamente a forze nel piano e momenti intorno all’asse
normale;
- Comportamento a piastra, elementi soggetti a momenti flettenti e sforzi trasversali;
- Comportamento a guscio completo (shell), combinazione del comportamento a piastra e a
membrana, possono essere soggette a tutte le forze e momenti.

8
Nella teoria di Eulero-Bernoulli si ipotizza la conservazione delle sezioni piane e perpendicolari all’asse della trave,
in quella di Timoshenko, invece, si ammette che la perpendicolarità delle sezioni piani dopo la deformazione
potrebbe non conservarsi.

17
Per gli elementi bidimensionali, bisogna inoltre aggiungere qualcosa a riguardo dello spessore. Infatti,
quando questo assume un valore rilevante, bisogna tenere conto
anche delle deformazioni di taglio. Si hanno, dunque:

- Thick shells¸ dove si utilizza una formulazione a piastra spessa


(teoria di Mindlin-Reissner) che tiene conto delle
deformazioni di taglio;
- Thin shells, le quali si basano su una formulazione a piastra
sottile (teoria di Kirchhoff) che trascura le deformazioni di Figura 1.3.1 Convenzione dei segni
taglio.

1.3.7 Trave di Eulero-Bernoulli. Procedura completa


Al fine di presentare la modellazione agli elementi finiti per un elemento strutturale, si applica la
procedura completa per l’equazione differenziale del quarto ordine monodimensionale poggiante sulla
teoria della trave di Eulero-Bernoulli. Nell’accezione qui utilizzata, con il termine beam si intende un
elemento monodimensionale soggetto unicamente a taglio e momento flettente. Si segnala inoltre che,
per semplicità, la trattazione che seguirà si riferisce a elementi nel piano; tuttavia, l’estensione a elementi
nello spazio non presenta grosse difficoltà in quanto la trattazione teorica alla base è del tutto analoga.

Nella teoria di Eulero-Bernoulli, si ipotizza la conservazione delle sezioni piane, ovvero che le sezioni piane
perpendicolari all’asse della trave si conservino piane e perpendicolari dopo la deformazione. In questa
teoria, lo spostamento trasversale 𝑤 è governato da un’equazione differenziale del quarto ordine
monodimensionale del tipo:

𝑑2 𝑑2 𝑤
(𝐸𝐼 ) + 𝑐𝑓 𝑤 = 𝑞(𝑥) 𝑐𝑜𝑛 0 < 𝑥 < 𝐿 (1.3.10)
𝑑𝑥 2 𝑑𝑥 2

Dove 𝐸𝐼 = 𝐸(𝑥)𝐼(𝑥), 𝑐𝑓 = 𝑐𝑓 (𝑥), 𝑞(𝑥) sono funzioni note di 𝑥 e 𝑤 è la variabile dipendente; da un punto
di vista fisico, invece, 𝐸 rappresenta il modulo di elasticità, 𝐼 il momento di inerzia della sezione rispetto
all’asse 𝑦 della trave, 𝑞 il carico distribuito trasversale, 𝑐𝑓 il modulo elastico delle fondazioni, se presenti,
e 𝑤 lo spostamento trasversale dell’asse della trave. La convenzione dei segni adottata viene riportata in
Figura 1.3.1. Infine, per soddisfare l’equazione differenziale bisogna imporre delle condizioni al contorno:
essendo l’equazione del quarto ordine, le condizioni al contorno che devono essere imposte sono quattro,
la cui forma verrà fornita dalla formulazione debole dell’equazione stessa. Viene dunque presentata la
procedura con cui si costruisce il modello agli elementi finiti.

Il dominio Ω = (0, 𝐿) della trave viene suddiviso in 𝑁 elementi lineari (Figura 1.3.2) di dominio Ω𝑒 =
(𝑥𝑒 , 𝑥𝑒+1 ). Ogni elemento contiene almeno 2 nodi posizionati agli estremi dello stesso. Il numero e la

18
forma delle variabili primarie e secondarie in corrispondenza dei nodi dipende dalla formulazione
variazionale dell’equazione governante. Si noti che il numero di variabili presenti coincide con i gradi di
libertà nodali. Il numero 𝑁 di elementi in cui suddividere il dominio dipende invece dalla geometria, dai
carichi e dalle proprietà del materiale. Si isola quindi un singolo elemento e si costruisce la forma debole
dell’equazione governante rispetto all’elemento stesso. Seguendo la procedura a 3 passaggi introdotta
nel paragrafo §1.2.2, si ottiene:

𝑥 𝑑2 𝑑2 𝑤
0 = ∫𝑥 𝑒+1 𝑣 [ (𝐸𝐼 ) + 𝑐𝑓 𝑤 − 𝑞] 𝑑𝑥 (1.3.11)1
𝑒 𝑑𝑥 2 𝑑𝑥 2

𝑥𝑒+1
𝑥 𝑑𝑣 𝑑 𝑑2 𝑤 𝑑 𝑑2 𝑤
0 = ∫𝑥 𝑒+1 [− 𝑑𝑥 𝑑𝑥 (𝐸𝐼 𝑑𝑥 2 ) + 𝑐𝑓 𝑣𝑤 − 𝑣𝑞] 𝑑𝑥 + [𝑣 𝑑𝑥 (𝐸𝐼 𝑑𝑥 2 )] (1.3.11)2
𝑒 𝑥𝑒

𝑥𝑒+1
𝑥 𝑑2 𝑣 𝑑2 𝑤 𝑑 𝑑2 𝑤 𝑑𝑣 𝑑2 𝑤
0 = ∫𝑥 𝑒+1 (𝐸𝐼 𝑑𝑥 2 𝑑𝑥 2 + 𝑐𝑓 𝑣𝑤 − 𝑣𝑞) 𝑑𝑥 + [𝑣 𝑑𝑥 (𝐸𝐼 𝑑𝑥 2 ) − 𝑑𝑥 𝐸𝐼 𝑑𝑥 2 ] (1.3.11)3
𝑒 𝑥𝑒

Dove 𝑣 rappresenta la funzione di peso prescelta. Si


può notare che l’equazione viene integrata due volte
per parti: il risultato è la comparsa di due espressioni
al contorno da valutare tra i punti 𝑥𝑒 e 𝑥𝑒+1 . L’esame
di queste espressioni porta a individuare su quali
grandezze specificare le condizioni al contorno
essenziali, e dunque quali sono le variabili primarie,
ovvero lo spostamento 𝑤 e la sua derivata 𝑑𝑤⁄𝑑𝑥.
Le condizioni al contorno naturali si riferiscono
𝑑2 𝑤
invece al momento flettente 𝐸𝐼 𝑑𝑥 2 e al taglio
𝑑 𝑑2 𝑤
(𝐸𝐼 ), i quali rappresentano quindi le variabili
𝑑𝑥 𝑑𝑥 2
Figura 1.3.2 Discretizzazione del Dominio
secondarie del problema. Si riportano dunque le
seguenti notazioni per le variabili secondarie, consistenti con la convenzione dei segni adottata:

𝑑 𝑑2 𝑤
𝑄1𝑒 = [𝑑𝑥 (𝐸𝐼 𝑑𝑥 2 )] = −𝑉(𝑥𝑒 ) (1.3.12)1
𝑥𝑒

𝑑2 𝑤
𝑄2𝑒 = [𝐸𝐼 𝑑𝑥 2 ] = −𝑀(𝑥𝑒 ) (1.3.12)2
𝑥𝑒

𝑑 𝑑2 𝑤
𝑄3𝑒 = [𝑑𝑥 (𝐸𝐼 𝑑𝑥 2 )] = 𝑉(𝑥𝑒+1 ) (1.3.12)3
𝑥𝑒+1

𝑑2 𝑤
𝑄4𝑒 = [𝐸𝐼 𝑑𝑥 2 ] = −𝑀 (𝑥𝑒+1 ) (1.3.12)4
𝑥𝑒+1

19
Dove 𝑄1𝑒 e 𝑄3𝑒 rappresentano le forze di taglio, mentre 𝑄2𝑒 e 𝑄4𝑒 rappresentano i momenti flettenti.
L’insieme {𝑄1𝑒 , 𝑄2𝑒 , 𝑄3𝑒 , 𝑄4𝑒 } viene spesso definito insieme delle forze generalizzate. Gli spostamenti a
queste afferenti si chiamano invece spostamenti generalizzati. Con la notazione adottata nelle (1.3.12), la
forma debole (1.3.11)3 può essere riscritta come segue:

𝑥 𝑑2 𝑣 𝑑2 𝑤 𝑑𝑣 𝑑𝑣
0 = ∫𝑥 𝑒+1 (𝐸𝐼 + 𝑐𝑓 𝑣𝑤 − 𝑣𝑞) 𝑑𝑥 − 𝑣 (𝑥𝑒 )𝑄1𝑒 − (− )| 𝑄2𝑒 − 𝑣(𝑥𝑒+1 )𝑄3𝑒 − (− )| 𝑄4𝑒
𝑒 𝑑𝑥 2 𝑑𝑥 2 𝑑𝑥 𝑥𝑒 𝑑𝑥 𝑥𝑒+1

(1.3.13)

Si noti che l’equazione (1.3.13) coincide con il principio degli spostamenti virtuali (dove la funzione di peso
𝑣 coincide con lo spostamento virtuale 𝛿𝑤) applicato all’elemento di trave secondo la teoria di Eulero-
Bernoulli.

La forma variazionale (1.3.13) richiede che le funzioni interpolanti dell’elemento siano continue con
derivate non nulle fino all’ordine 2. L’approssimazione 𝑤ℎ𝑒 (𝑥) di 𝑤(𝑥) su di un elemento finito dovrebbe
essere tale per cui risulti due volte differenziabile e soddisfi le seguenti condizioni al contorno essenziali
dell’elemento:

𝑤ℎ𝑒 (𝑥𝑒 ) = 𝑤1𝑒 𝑤ℎ𝑒 (𝑥𝑒+1 ) = 𝑤2𝑒

𝜃ℎ𝑒 (𝑥𝑒 ) = 𝜃1𝑒 𝜃ℎ𝑒 (𝑥𝑒+1 ) = 𝜃2𝑒 (1.3.14)

Dove

𝑑𝑤 𝑑𝑤
𝜃1𝑒 = − ( )| , 𝜃2𝑒 = − ( )| (1.3.15)
𝑑𝑥 𝑥=𝑥𝑒 𝑑𝑥 𝑥=𝑥𝑒+1

Nel soddisfacimento delle (1.3.14), l’approssimazione soddisfa automaticamente i requisiti di continuità.


È dunque importante prestare particolare attenzione a questo passaggio, il quale è la base per una
corretta derivazione delle funzioni interpolanti dell’elemento considerato. Poiché ci sono un totale di
quattro condizioni da soddisfare (due per nodo, in quanto l’elemento beam, per come definito, ammette
due gradi di libertà nodali), c’è bisogno di un polinomio a 4 parametri, ovvero cubico:

𝑤(𝑥) ≈ 𝑤ℎ𝑒 (𝑥) = 𝑐1𝑒 + 𝑐2𝑒 𝑥 + 𝑐3𝑒 𝑥 2 + 𝑐4𝑒 𝑥 3 (1.3.16)

Bisogna dunque esprimere i coefficienti incogniti 𝑐𝑖𝑒 in termini delle variabili nodali primarie (ovvero, per
il caso in esame, degli spostamenti generalizzati):

𝑑𝑤ℎ𝑒
Δ𝑒1 ≡ 𝑤ℎ𝑒 (𝑥𝑒 ) Δ𝑒2 ≡ − |
𝑑𝑥 𝑥=𝑥𝑒

𝑑𝑤ℎ𝑒
Δ𝑒3 ≡ 𝑤ℎ𝑒 (𝑥𝑒+1 ) Δ𝑒4 ≡ − |
𝑑𝑥 𝑥=𝑥𝑒+1
(1.3.17)

20
Così che vengano soddisfatte le condizioni al contorno essenziali (1.3.14):

Δ𝑒1 1 𝑥𝑒 𝑥𝑒2 𝑥𝑒3 𝑐1𝑒


𝑒
Δ2 0 −1 −2𝑥𝑒 −3𝑥𝑒2 𝑐2𝑒
= (1.3.18)
Δ𝑒3 1 𝑥𝑒+1 2
𝑥𝑒+1 3
𝑥𝑒+1 𝑐3𝑒
𝑒 𝑒
{Δ4 } [0 −1 −2𝑥𝑒+1 2
−3𝑥𝑒+1 ] {𝑐4 }

Invertendo l’equazione matriciale, così da ottenere i termini 𝑐𝑖𝑒 in funzione di Δ𝑒1 , Δ𝑒2 , Δ𝑒3 e Δ𝑒4 , e
sostituendo il risultato nella (1.3.16), si ottiene:

𝑤ℎ𝑒 (𝑥) = Δ𝑒1 ϕ1𝑒 + Δ𝑒2 ϕ𝑒2 + Δ𝑒3 ϕ𝑒3 + Δ𝑒4 ϕ𝑒4 = ∑4𝑗=1 Δ𝑒𝑖 ϕ𝑒𝑖 (1.3.19)

Dove, essendo ℎ𝑒 = 𝑥𝑒+1 − 𝑥𝑒 :

𝑥−𝑥𝑒 2 𝑥−𝑥𝑒 3
ϕ1𝑒 = 1 − 3 ( ℎ𝑒
) +2(
ℎ𝑒
) (1.3.20)1

𝑥−𝑥𝑒 2
ϕ𝑒2 = −(𝑥 − 𝑥𝑒 ) (1 − ℎ𝑒
) (1.3.20)2

𝑥−𝑥𝑒 2 𝑥−𝑥𝑒 3
ϕ𝑒3 = 3 ( ) −2( ) (1.3.20)3
ℎ𝑒 ℎ𝑒

𝑥−𝑥𝑒 2 𝑥−𝑥𝑒
ϕ𝑒4 = −(𝑥 − 𝑥𝑒 ) [( ) − ] (1.3.20)4
ℎ𝑒 ℎ𝑒

Si noti che i polinomi interpolanti prescelti appartengono alla famiglia dei polinomi di Hermite e che non
si sono utilizzati i polinomi di Lagrange poiché questi ultimi sono costruiti per interpolare i valori di una
funzione nei nodi, ma non le sue derivate. Siccome la forma debole dell’equazione di Eulero-Bernoulli
prevede che anche le derivate della funzione siano continue ai nodi, la spline cubica di Lagrange non è
ammissibile in questo contesto.

Il modello agli elementi finiti per la trave di Eulero-Bernoulli viene quindi ottenuto sostituendo a 𝑤
l’interpolazione (1.3.19) e alla funzione di peso 𝑣 i termini ϕ𝑒𝑗 nella forma debole (1.3.13). Siccome ci sono
4 variabili nodali Δ𝑒𝑖 , assegnando le 4 funzioni interpolanti ϕ1𝑒 , ϕ𝑒2 , ϕ𝑒3 e ϕ𝑒4 alla funzione di peso 𝑣 si ottiene
il sistema di 4 equazioni algebriche che permette la determinazione dei coefficienti incogniti della
soluzione approssimata ricercata. L’𝑖-esima equazione algebrica del modello agli elementi finiti assume la
seguente forma (per 𝑣 = ϕ𝑒𝑖 ):

2 𝑒
𝑥 𝑑2 ϕ𝑒𝑖 𝑑 ϕ𝑗 𝑥
0 = ∑4𝑗=1 [∫𝑥 𝑒+1 (𝐸𝐼 𝑑𝑥 2 𝑑𝑥 2
+ 𝑐𝑓 ϕ𝑒𝑖 ϕ𝑒𝑗 ) 𝑑𝑥] Δ𝑗𝑒 − ∫𝑥 𝑒+1 ϕ𝑒𝑖 𝑞𝑑𝑥 − 𝑄𝑖𝑒 (1.3.21)
𝑒 𝑒

Ponendo:

2 𝑒
𝑥 𝑑2ϕ𝑒𝑖 𝑑 ϕ𝑗
𝐾𝑖𝑗𝑒 = ∫𝑥 𝑒+1 (𝐸𝐼 𝑑𝑥 2 𝑑𝑥 2
+ 𝑐𝑓 ϕ𝑒𝑖 ϕ𝑒𝑗 ) 𝑑𝑥 (1.3.22)1
𝑒

21
𝑥
𝐹𝑖𝑒 = ∫𝑥 𝑒+1 ϕ𝑒𝑖 𝑞𝑑𝑥 + 𝑄𝑖𝑒 (1.3.22)2
𝑒

Dove i termini 𝐾𝑖𝑗𝑒 rappresentano i parametri di rigidezza del modello, si ottiene:

∑4𝑗=1 𝐾𝑖𝑗𝑒 Δ𝑗𝑒 − 𝐹𝑖𝑒 = 0 (1.3.23)

Che, in notazione matriciale, assume la forma:

𝑒 𝑒 𝑒 𝑒
𝐾11 𝐾12 𝐾13 𝐾14 Δ𝑒1 𝑞1𝑒 𝑄1𝑒
𝑒 𝑒 𝑒 𝑒 𝑒 𝑒
𝐾21 𝐾22 𝐾23 𝐾24 Δ2 𝑞2 𝑄2𝑒
𝑒 𝑒 𝑒 𝑒 = + (1.3.24)
𝐾31 𝐾32 𝐾33 𝐾34 Δ𝑒3 𝑞3𝑒 𝑄3𝑒
𝑒 𝑒 𝑒 𝑒
[𝐾41 𝐾42 𝐾43 𝐾44 ] {Δ𝑒4 } {𝑞4𝑒 } {𝑄4𝑒 }

L’equazione matriciale appena definita rappresenta il modello agli elementi finiti per la (1.3.10). Si noti
che i coefficienti 𝐾𝑖𝑗𝑒 sono simmetrici: 𝐾𝑖𝑗𝑒 = 𝐾𝑗𝑖𝑒 .

Rimangono da assemblare le equazioni di base sull’intero dominio. L’assemblaggio si basa sulle seguenti
considerazioni:

- Deve essere garantita la continuità tra gli elementi per le variabili primarie (spostamenti
generalizzati);
- Deve essere garantito l’equilibrio tra gli elementi per le variabili secondarie (forze generalizzate).
Per semplicità, si dimostrano i passaggi da eseguire per un modello a due elementi (Figura 1.3.3). Si hanno
complessivamente 3 nodi, per un totale di 6 spostamenti generalizzati e 6 forze generalizzate. La
continuità delle variabili primarie implica le seguenti relazioni tra i gradi di libertà degli elementi Δ𝑒𝑖 e i
gradi di libertà globali 𝑈𝑖 :

Δ11 = 𝑈1 , Δ12 = 𝑈2, Δ13 = Δ21 = 𝑈3

Δ14 = Δ22 = 𝑈4 , Δ23 = 𝑈5, Δ24 = 𝑈6 (1.3.25)

In generale, l’equilibrio tra le forze generalizzate in un nodo che connette due elementi Ω𝑒 e Ω𝑓 richiede
che:

𝑄3𝑒 + 𝑄1𝑓 = 𝑓𝑜𝑟𝑧𝑒 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑢𝑎𝑙𝑖 𝑒𝑠𝑡𝑒𝑟𝑛𝑒 (1.3.26)1

𝑄4𝑒 + 𝑄2𝑓 = 𝑚𝑜𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑓𝑙𝑒𝑡𝑡𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑒𝑠𝑡𝑒𝑟𝑛𝑖 (1.3.26)2

Se non vengono applicate forze esterne, la somma deve essere ovviamente pari a 0. Si segnala che, nel
sommare le forze generalizzate, bisogna rispettare la convenzione dei segni adottata. Per imporre
l’equilibrio delle forze, è dunque necessario sommare la terza e la quarta equazione algebrica
(corrispondenti al secondo nodo) dell’elemento Ω𝑒 con la prima e la seconda equazione (corrispondenti

22
al primo nodo) dell’elemento Ω𝑓 . Si avrà, quindi, che i parametri di rigidezza globale 𝐾33 , 𝐾34 , 𝐾43 e 𝐾44
associati al nodo globale 2 risulteranno pari alla sovrapposizione delle rigidezze relative ai singoli elementi:

1 2 1 2
𝐾33 = 𝐾33 + 𝐾11 𝐾34 = 𝐾34 + 𝐾12

1 2 1 2
𝐾43 = 𝐾43 + 𝐾21 𝐾44 = 𝐾44 + 𝐾22 (1.3.27)

Una volta determinato il modello nella sua interezza, bisogna imporre le condizioni al contorno globali del
problema analizzato. Il tipo di condizione al contorno essenziale, per una trave, dipende dalla natura del
vincolo cinematico. Le condizioni al contorno naturali, ovvero relative alle forze generalizzate, vanno
imposte ogni qual volta il grado di libertà in oggetto, e dunque lo spostamento generalizzato, non risulta
vincolato. È bene specificare che non è possibile imporre a un determinato grado di libertà più di una
condizione al contorno. Nei nodi interni si impone invece la continuità degli spostamenti generalizzati e
l’equilibrio delle forze generalizzate come discusso nel precedente paragrafo.

Figura 1.3.3 Assemblaggio Elementi

23
Capitolo 2 - Analisi Modale

2.1 Considerazioni Iniziali


2.1.1 Introduzione
Con l’introduzione delle nuove Norme Tecniche per le Costruzioni, D.M 14 gen. 2008, grande importanza
assume l’analisi dei sistemi strutturali nei riguardi del sisma. Come asserito nel §7.2.1 delle suddette
norme: “Le costruzioni devono essere dotate di sistemi strutturali che garantiscano rigidezza e resistenza
nei confronti delle due componenti ortogonali orizzontali delle azioni sismiche.” Il suddetto capitolo delle
norme fornisce informazioni sui criteri di progettazione che bisogna seguire in zona sismica, il che riveste
particolare importanza in un paese come l’Italia caratterizzato nel suo complesso da un elevato rischio
sismico. Nello specifico, e nel caso in cui si possano trascurare le non linearità geometriche e del materiale,
il §7.3.2 definisce il tipo di analisi da adottare: “Il metodo d’analisi lineare di riferimento per determinare
gli effetti dell’azione sismica, sia su sistemi dissipativi sia su sistemi non dissipativi, è l’analisi modale con
spettro di risposta, o analisi lineare dinamica.” L’analisi lineare dinamica consiste di tre passaggi:

1. Determinazione dei modi propri di vibrare della struttura (analisi modale);


2. Calcolo degli effetti dell’azione sismica, tramite spettro di risposta di progetto, per ciascuno dei
modi di vibrare individuati;
3. Combinazione degli effetti.
Il presente capitolo si focalizzerà sul punto 1 della procedura descritta.

2.1.2 Caratterizzazione del problema


Il problema dinamico strutturale differisce dal problema statico per due aspetti fondamentali: la
dipendenza dal tempo che caratterizza il fenomeno e la presenza di forze di inerzia e di smorzamento. Il
carico dinamico che può interessare la struttura, detto anche forzante, è caratterizzato da una frequenza
di eccitazione: se è maggiore di circa un terzo della più piccola frequenza naturale che caratterizza la
struttura, o se quest’ultima vibra liberamente, le forze di inerzia che ne conseguono non possono essere
ignorate; in caso contrario è possibile trascurarle e il problema si definisce quasi-statico.

Le grandezze fisiche fondamentali che caratterizzano la struttura da un punto di vista dinamico sono: le
sue proprietà elastiche (rigidezza), rappresentate dalla matrice delle rigidezze 𝑲, la massa (inerzia)
descritta dalla matrice delle masse 𝑴, lo smorzamento (meccanismo di dissipazione dell’energia) descritto
dalla matrice di smorzamento 𝑪, e la forzante, ovvero la sorgente esterna di eccitazione. Le vibrazioni
causate dalla forzante possono essere classificate in vari modi:

24
- Vibrazioni libere o forzate. Nel primo caso si ha che, dopo un disturbo iniziale, la struttura vibra
liberamente in assenza di forze esterne. Nel secondo, invece, essa è soggetta a una forza esterna
variabile nel tempo, usualmente periodica. È da notare che se la vibrazione esterna coincide con
una frequenza naturale del sistema, si innesca il fenomeno della risonanza, che accresce la
risposta del sistema in maniera indefinita con effetti spesso catastrofici;
- Vibrazioni smorzate o non smorzate. Nel primo caso si assiste a una perdita di energia durante la
sollecitazione causata dall’attrito (viscoso, coulombiano, isteresi). Essendo che l’attrito (e dunque
lo smorzamento), nei casi reali, non è mai totalmente eliminabile, si ricade nel secondo caso
quando il suo valore è così piccolo da essere trascurabile ai fini dell’analisi ingegneristica;
- Vibrazioni lineari e non lineari. Il sistema oscillatorio presenta un comportamento che può essere
assunto lineare o non lineare, nel dominio del tempo e della frequenza. Se si ricade nel primo
caso, la trattazione del problema risulta più semplice e si può applicare il principio di
sovrapposizione degli effetti. Tuttavia, tutti i sistemi tendono a diventare non lineari quando
l’ampiezza di risposta cresce, e dunque si può considerare il caso lineare come un caso particolare
del comportamento generale non lineare;
- Vibrazioni deterministiche e vibrazioni casuali. Se il valore della forzante è noto in ogni istante di
tempo, essa viene detta deterministica. In caso contrario, quando cioè la forzante non è nota
poiché a esempio il fenomeno che ne è alla base è difficile da modellare, si parla di vibrazioni
casuali, che sono usualmente descritte per via statistica.

2.2 Modello di Oscillatore Semplice


Per meglio comprendere la natura del processo, si parte dal caso più Figura 2.2.1 Oscillatore Semplice
semplice, ovvero dal modello di oscillatore semplice. Esso rappresenta un
sistema a un grado di libertà, così definito: un oggetto di massa 𝑚, vincolato
a muoversi nella sola direzione 𝑥, è collegato al suolo tramite una molla di
rigidezza 𝑘 e uno smorzatore di viscosità 𝑐. L’origine dell’asse 𝑥 viene presa
coincidente con la posizione di riposo della molla. Al sistema può essere
applicata una forza esterna dipendente dal tempo 𝐹(𝑡) e il modo in cui si
innescherà il moto dipende da questa, oltre che dalle condizioni iniziali (si
noti che, in questo caso, parlando di condizioni imposte a un certo istante di
tempo, è più corretto parlare di condizioni iniziali piuttosto che di condizioni al contorno) e dalle
caratteristiche del sistema stesso. Indicando con:

𝑑𝑥(𝑡)
𝑥̇ (𝑡) = 𝑑𝑡
(2.2.1)

25
𝑑2 (𝑡)
𝑥̈ (𝑡) = 𝑑𝑡 2
(2.2.2)

Il moto dell’oscillatore semplice è caratterizzato dal seguente problema di Cauchy:

𝑚𝑥̈ (𝑡) + 𝑐𝑥̇ (𝑡) + 𝑘𝑥 (𝑡) = 𝑓(𝑡)


{ 𝑥(0) = 𝑥0 (2.2.3)
𝑥̇ (0) = 𝑣0

Dove 𝑚, 𝑐, 𝑘 sono tre grandezze scalari positive. La prima equazione è quella che governa il fenomeno e,
come si può osservare, si tratta di un’equazione differenziale lineare a coefficienti costanti del secondo
ordine. Necessita dunque di due condizioni iniziali per essere risolta che sono, appunto, la posizione e la
velocità iniziale. Essa può essere riscritta anche da un punto di vista meccanico, in quanto:

Tipo di Forza Prescrizione Analisi Dimensionale

Forza esterna: 𝑓 𝑒𝑥𝑡 (𝑡) = 𝑓(𝑡) [𝑓] = 𝑀𝐿⁄𝑇 2

Forza elastica: 𝑓 𝑒𝑙𝑎 (𝑡) = −𝑘𝑥(𝑡) [𝑥] = 𝐿 [𝑘] = 𝑀⁄𝑇 2

Forza viscosa: 𝑓 𝑣𝑖𝑠 (𝑡) = −𝑐𝑥̇ (𝑡) [𝑥̇ ] = 𝐿⁄𝑇 [𝑐] = 𝑀⁄𝑇

Forza di inerzia: 𝑓 𝑖𝑛𝑒 (𝑡) = 𝑚𝑥̈ (𝑡) [𝑥̈ ] = 𝐿⁄𝑇 2 [𝑚] = 𝑀

Seguendo la notazione introdotta, l’equazione (2.2.3) è riscrivibile come:

𝑓 𝑖𝑛𝑒 (𝑡) = 𝑓 𝑒𝑙𝑎 (𝑡) + 𝑓 𝑣𝑖𝑠 (𝑡) + 𝑓 𝑒𝑥𝑡 (𝑡) (2.2.4)

Si tratta, ovvero, di un bilancio delle forze. Si nota, inoltre, che le ultime 3 definizioni di forze introdotte
rappresentano delle relazioni costitutive, nel senso che forniscono indicazioni sulla relazione esistente tra
forza e moto, che in questo caso risulta essere di tipo lineare. Proprio per questo, il modello di oscillatore
viene detto semplice. Esse sono legate alle caratteristiche intrinseche del modello e, dunque, l’unica forza
su cui è possibile intervenire è la forza esterna, da cui il nome. La risoluzione dell’equazione (2.2.3) viene
di seguito descritta:

- Essendo un’equazione lineare, è possibile riscriverla in forma compatta, mettendo in evidenza


l’operatore lineare differenziale 𝐿:
𝑑2 𝑑
𝐿𝑥 (𝑡) = 𝑓(𝑡), con 𝐿 = 𝑚 +𝑐 +𝑘 (2.2.5)
𝑑𝑡 2 𝑑𝑡

- Ricercando le auto-funzioni di 𝐿, ovvero quelle funzioni che si trasformano in se stesse se ad esse


viene applicato l’operatore lineare, si scopre che la famiglia di funzioni 𝜑(𝑡) = 𝑢𝑒 𝜆𝑡 , con 𝑢, 𝜆
costanti, verifica la condizione. In particolare:
𝐿𝜑(𝑡) = (𝑚𝜆2 + 𝑐𝜆 + 𝑘)𝜑(𝑡) (2.2.6)

26
- Esse costituiscono il punto di partenza per trovare la soluzione omogenea dell’equazione, ovvero
corrispondente al caso di forzante nulla. In formula:
𝐿𝑥 (𝑡) = 0 ⇒ 𝐿𝜑 (𝑡) = (𝑚𝜆2 + 𝑐𝜆 + 𝑘)𝜑(𝑡) = 0 (2.2.7)
- Affinché l’equazione (2.2.7) sia verificata per ogni istante di tempo appartenente all’intervallo
considerato, si hanno solamente due possibilità:
𝜑(𝑡) = 𝑢𝑒 𝜆𝑡 = 0 ⇔ 𝑢 = 0 Soluzione banale con auto-funzione nulla

(𝑚𝜆2 + 𝑐𝜆 + 𝑘) = 0 Soluzione con auto-funzione non nulla (2.2.8)

- La soluzione generale 𝑥𝐺 è somma della soluzione omogenea 𝑥𝑜𝑚𝑜 , ovvero nel caso in cui non ci
siano forze esterne applicate, e della soluzione particolare 𝑥𝑓 , ovvero con forzante 𝑓. La soluzione
omogenea è completamente caratterizzata dall’equazione algebrica di secondo grado (2.2.8)2,
detta equazione caratteristica, la quale viene risolta una volta per tutte. La 𝑥𝑓 , invece, va ricercata
caso per caso.
La ricerca della 𝑥𝑜𝑚𝑜 , e dunque la risoluzione dell’equazione (2.2.3)1 nel caso di forzante nulla, corrisponde
al caso dell’oscillatore libero. Come preannunciato, essa richiede la risoluzione della (2.2.8) 2, che viene
riscritta nel seguente modo:

𝑐 𝑘
𝜆2 + 𝑚 𝜆 + 𝑚 = 0 ⟹ 𝜆2 + 2𝜉𝜔𝜆 + 𝜔2 = 0 (2.2.9)

Al fine di mettere in evidenza due parametri importanti che caratterizzano la risposta del sistema:

𝑘
𝜔 = √ 𝑚, pulsazione naturale (2.2.10)

𝑐 𝑐 𝑐
𝜉= = = , fattore di smorzamento (2.2.11)
𝑐𝑐𝑟 2𝜔𝑚 2√𝑘𝑚

Essendo 𝑐𝑐𝑟 la costante di smorzamento critico. A questo punto le soluzioni della (2.2.9) possono essere
scritte in termini di 𝜔 e 𝜉 e corrispondono alle due auto-funzioni:

𝜆1,2 = (−𝜉 ± √𝜉 2 − 1)𝜔 ⟹ 𝜑1,2 = 𝑢1,2 𝑒 𝜆1,2𝑡 (2.2.12)

La soluzione omogenea sarà allora espressa come combinazione lineare delle due auto-funzioni:

𝑥𝑜𝑚𝑜 = 𝑢1 𝑒 𝜆1 𝑡 + 𝑢2 𝑒 𝜆2 𝑡 (2.2.13)

Dove le due costanti 𝑢1 e 𝑢2 , in genere complesse e coniugate, dipendono dalle condizioni iniziali. La
natura del moto dipende, invece, dal valore del termine sotto radice 𝜉 2 − 1 così che le soluzioni 𝜆1,2 si
possono raggruppare in 4 casi distinti:

1) 𝜉 = 0: le radici sono immaginarie e il moto è puramente oscillatorio;

27
2) 0 < 𝜉 < 1: le radici sono complesse e coniugate; dalla parte reale dipende lo smorzamento, da
quella immaginaria le oscillazioni;
3) 𝜉 = 1: le radici sono reali e coincidenti; questo è un caso limite che separa i moti caratterizzati da
oscillazioni da quelli che non ne hanno;
4) 𝜉 > 1: le radici sono reali e distinte; il moto è smorzato e non prevede oscillazioni.
Il caso 1) conduce al cosiddetto moto armonico. Lo smorzamento risulta nullo (𝑐 = 0 ⟹ 𝜉 = 0) e la
soluzione del problema omogeneo può essere scritta in 3 forme diverse. La più immediata, derivante dalla
combinazione lineare delle soluzioni dell’equazione caratteristica, risulta essere:

𝑥𝑜𝑚𝑜 (𝑡) = 𝑢1 𝑒 𝑖𝜔𝑡 + 𝑢2 𝑒 𝑖𝜔𝑡 (2.2.14)

Questa soluzione viene anche detta generale in quanto non si sono ancora considerate le condizioni iniziali
specifiche del problema, le quali definiscono i coefficienti 𝑢1 e 𝑢2 . Da essa, tramite l’applicazione della
formula di Eulero9, è possibile passare a una seconda rappresentazione:

𝑥𝑜𝑚𝑜 (𝑡) = 𝑎 cos(𝜔𝑡) + 𝑏𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡) (2.2.15)

Dove 𝑢1,2 = (𝑎 ∓ 𝑖𝑏)⁄2. Si può infine passare a una terza e ultima rappresentazione10:

𝑥𝑜𝑚𝑜 (𝑡) = 𝐴𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡 − 𝜙) (2.2.16)

Dove:

𝐴 = √𝑎 2 + 𝑏2 , ampiezza (2.2.17)

𝜙 = arctan(𝑏⁄𝑎), angolo di fase (2.2.18)

I coefficienti 𝑎,𝑏 vengono ricavati risolvendo un sistema lineare di due equazioni in due incognite, che tra
l’altro rappresenta il procedimento tipico nella risoluzione di problemi differenziali lineari. Risulta:

𝑎 = 𝑥0 , 𝑏 = 𝑣0 ⁄𝜔 (2.2.19)

Il caso 2) afferisce al moto sotto-smorzato. Il moto è ancora armonico, ma caratterizzato da un’ampiezza


di decadimento tanto maggiore quanto più è grande 𝜉. Le radici dell’equazione caratteristica sono
complesse e coniugate e conviene riscriverle come segue:

𝜆1,2 = − 𝜉𝜔 ± 𝑖𝜔𝑑 , con 𝜔𝑑 = 𝜔√1 − 𝜉 2 pulsazione smorzata (2.2.20)

Si ha che la soluzione omogenea è pari a:

9
𝑒 ±𝑖𝛼 = cos(𝛼) ± 𝑖𝑠𝑒𝑛(𝛼)
10
Si utilizza per questo scopo l’identità goniometrica: cos(𝛼 − 𝛽) = cos(𝛼) cos(𝛽) + sen(𝛼)sen(𝛽)

28
𝑥𝑜𝑚𝑜 (𝑡) = 𝑒 − 𝜉𝜔𝑡 [𝑢1 𝑒 𝑖𝜔𝑑 𝑡 + 𝑢2 𝑒 𝑖𝜔𝑑𝑡 ] (2.2.21)

È possibile osservare che il termine tra parentesi quadre è del tutto analogo alla soluzione del caso
armonico rappresentata dall’equazione (2.2.14), il che permette di eseguire lo stesso tipo di manipolazioni
al fine di ottenere:

𝑥𝑜𝑚𝑜 (𝑡) = 𝑒 − 𝜉𝜔𝑡 [𝑎 cos(𝜔𝑑 𝑡) + 𝑏𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑑 𝑡)]

= 𝐴𝑒 − 𝜉𝜔𝑡 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑑 𝑡 − 𝜙) (2.2.22)

La (2.2.22) rappresenta, dunque, un moto armonico di pulsazione 𝜔𝑑 e fase 𝜙 (ricavate con le stesse
espressioni del caso armonico), la cui ampiezza decade esponenzialmente con legge 𝐴𝑒 − 𝜉𝜔𝑡 . Le costanti
𝑎 e 𝑏 si ottengono in maniera del tutto analoga al caso precedente, ottenendo infine:

𝑣0+𝜉𝜔𝑥0
𝑎 = 𝑥0 , 𝑏 = 𝜔𝑑
(2.2.23)

Il caso 3) rappresenta un moto caratterizzato da una viscosità 𝑐 pari al fattore di smorzamento critico.
L’equazione caratteristica ha due soluzioni reali e coincidenti:

𝜆1,2 = −𝜔 (2.2.24)

E, dunque, la soluzione omogenea è del tipo:

𝑥𝑜𝑚𝑜 (𝑡) = 𝑒 −𝜔𝑡 [𝑎 + 𝑏𝑡] (2.2.25)

La (2.2.25) rappresenta un moto che avviene senza oscillazioni e che, tra i moti in esame, tende più
velocemente alla posizione stazionaria. Rappresenta, quindi, lo spartiacque tra i moti oscillatori e quelli in
cui non si hanno oscillazioni. Le costanti 𝑎 e 𝑏 valgono in questo caso:

𝑎 = 𝑥0 , 𝑏 = 𝑣0 + 𝜔𝑥0 (2.2.26)

Infine, il caso 4) rappresenta il moto sovra-smorzato. Esso presenta due soluzioni reali e distinte:

𝜆1,2 = − 𝜉𝜔 ± 𝜔𝑑 , con 𝜔𝑑 = 𝜔√𝜉 2 − 1 (2.2.27)

Che portano a una soluzione del tipo:

𝑥𝑜𝑚𝑜 (𝑡) = 𝑒 − 𝜉𝜔𝑡 [𝑎𝑒 𝜔𝑑 𝑡 + 𝑏𝑒 −𝜔𝑑 𝑡 ] (2.2.28)

Il moto che ne risulta non presenta oscillazioni e ha un’ampiezza che, come al solito, decade
esponenzialmente; le costanti 𝑎 e 𝑏 vengono determinate con l’usuale procedura a partire dalle condizioni
iniziali.

29
Si definiscono ora le soluzioni particolari del modello che, come predetto, si riferiscono al caso in cui sia
presente una forzante esterna: si parla, dunque, di oscillatore forzato. In generale, si possono individuare
4 tipi di forzante:

1) Forzante armonica;
2) Forzante periodica;
3) Forzante impulsiva;
4) Forzante generica.
La risposta generale di un sistema forzato è, come precedentemente accennato, somma della soluzione
omogenea (definita nei casi precedenti) e della soluzione particolare riferita alle forzanti appena elencate.
In tal caso, il sistema (2.2.3) può essere riscritto come:

𝑚𝑥̈𝑓 (𝑡) + 𝑐𝑥̇𝑓 (𝑡) + 𝑘𝑥𝑓 (𝑡) = 𝑓(𝑡)


{ 𝑥𝑜𝑚𝑜 (0) + 𝑥𝑓 (0) = 𝑥0 (2.2.29)
𝑥̇ 𝑜𝑚𝑜 (0) + 𝑥̇𝑓 (0) = 𝑣0

Da cui si nota che la soluzione omogenea entra nel calcolo solo in riferimento alle condizioni iniziali. Si
può vedere, inoltre, che le costanti 𝑎 e 𝑏 dipendono da entrambe le soluzioni.

Nel caso 1), esistono due modi di schematizzare la forza esterna:

𝑓 𝑒𝑥𝑡 (𝑡) = 𝑘𝐴𝑐𝑜𝑠(𝛼𝑡) (2.2.30)1

𝑓 𝑒𝑥𝑡 (𝑡) = 𝑘𝐴𝑠𝑒𝑛(𝛼𝑡) (2.2.30)2

In entrambi i casi, l’ampiezza 𝐴 ha le dimensioni di una lunghezza e rappresenta il valore dello


spostamento provocato dalla forza stazionaria 𝑓 𝑒𝑥𝑡 = 𝑘𝐴; 𝛼 indica, invece, la pulsazione della forzante.
Si suppone che la soluzione particolare 𝑥𝑓 sia una funzione armonica di pulsazione 𝛼 pari a quella della
forzante:

𝑥𝑓 (𝑡) = acos(𝛼𝑡) + 𝑏𝑠𝑒𝑛(𝛼𝑡) (2.2.31)

Sostituendo la (2.2.31) nella (2.2.29)1 e ricavando le costanti 𝑎 e 𝑏 dalla risoluzione del sistema lineare già
visto in precedenza11, si perviene alle soluzioni:

(2.2.30)1 ⇒ 𝑥𝑔 (𝑡) = 𝑥𝑜𝑚𝑜 (𝑡) + 𝐺 (𝜉, 𝛽)𝐴𝑐𝑜𝑠[𝛼𝑡 − 𝜙1 (𝜉, 𝛽)] (2.2.32)1

(2.2.30)2 ⇒ 𝑥𝑔 (𝑡) = 𝑥𝑜𝑚𝑜 (𝑡) + 𝐺 (𝜉, 𝛽)𝐴𝑠𝑒𝑛[𝛼𝑡 − 𝜙3 (𝜉, 𝛽)] (2.2.32)2

11
In questo caso le costanti dipendono, oltre che dalle caratteristiche del sistema 𝜉 e 𝜔, anche dalla pulsazione della
forzante 𝛼.

30
In cui:

1 𝛼
𝐺 (𝜉, 𝛽) = [(1−𝛽2)2+(2𝜉𝛽)2]1⁄2 con 𝛽=𝜔 (2.2.33)

2𝜉𝛽
𝜙1 (𝜉, 𝛽) = 𝑎𝑟𝑐𝑡𝑎𝑛 (1−𝛽2 ) (2.2.34)

1−𝛽 2
𝜙3 (𝜉, 𝛽) = 𝜋⁄2 + 𝑎𝑟𝑐𝑡𝑎𝑛 (−2𝜉𝛽) (2.2.35)

La (2.2.33) definisce il fattore di amplificazione che quantifica gli effetti di una forzante armonica rispetto
a una forza di pari intensità, ma stazionaria; le due soluzioni, dovute alla differente formulazione della
forzante esterna, risultano uguali in ampiezza e differenti in fase. È possibile definire alcuni parametri, che
colgono gli aspetti fondamentali della risposta di un oscillatore semplice a una forzante armonica:

- Pulsazione neutra: pulsazione 𝛼 cui corrisponde un fattore di amplificazione unitario;


- Pulsazione di risonanza: pulsazione 𝛼 che rende massimo il fattore di amplificazione;
- Fattore di qualità 𝑄: valore massimo del fattore di amplificazione;
- Pulsazioni di mezza potenza: le due pulsazioni che causano una dissipazione di potenza da parte
dello smorzatore pari a metà di quella massima causata dalla pulsazione di risonanza;
- Banda passante: intervallo compreso tra i due valori di 𝛽 associati alle pulsazioni di mezza
potenza.
Per il caso 2), si consideri una forza esterna periodica di periodo 𝑇𝑎 tale per cui:

𝑓 (𝑡 + 𝑇𝑎 ) = 𝑓(𝑡) (2.2.36)

Una importante proprietà di cui godono le funzioni periodiche è quella di poter essere rappresentate da
una combinazione lineare di funzioni armoniche semplici tramite il cosiddetto sviluppo in serie di Fourier:

1 2𝜋
𝑓 (𝑡) = 2 𝑎0 + ∑∞
𝑗=1[a𝑗 cos(𝛼𝑗 𝑡) + 𝑏𝑗 𝑠𝑒𝑛(𝛼𝑗 𝑡)] con 𝛼 = 𝛼1 = 𝑇𝑎
(2.2.37)

Dove l’insieme dei coefficienti 𝑎0 , 𝑏0 , 𝑎𝑗 , 𝑏𝑗 , con 𝑗 = 1, 2, … viene detto spettro della funzione 𝑓 e
2𝜋
caratterizza completamente una funzione periodica di periodo 𝑇𝑎 e pulsazione fondamentale 𝛼 = 𝑇𝑎
;

inoltre, ognuno dei coefficienti, da un punto di vista meccanico, ha le dimensioni di una forza. Detto
questo, per rappresentare la risposta dell’oscillatore a una funzione periodica è sufficiente basarsi sulle
seguenti affermazioni:

- La risposta in caso di forzante armonica è nota;


- Ogni funzione periodica è rappresentata dalla somma di una costante più le varie armoniche;
- Il sistema è lineare.

31
È dunque possibile applicare il principio di sovrapposizione degli effetti, che porta alla seguente soluzione
particolare:

1 1
𝑥𝑓 (𝑡) = 𝑘 {2 𝑎0 + ∑∞
𝑗=1 𝐺𝑗 [a𝑗 cos(𝛼𝑗 𝑡 − 𝜙1𝑗 ) + 𝑏𝑗 𝑠𝑒𝑛(𝛼𝑗 𝑡 − 𝜙3𝑗 )]} (2.2.38)

In cui i termini:

𝑗𝛼
𝐺𝑗 = 𝐺(𝜉, 𝛽𝑗 ) 𝜙1𝑗 = 𝜙1 (𝜉, 𝛽𝑗 ) 𝜙3𝑗 = 𝜙3 (𝜉, 𝛽𝑗 ) 𝛽𝑗 = 𝜔
(2.2.39)

Rappresentano il fattore di amplificazione e la fase di ogni singola armonica. L’equazione (2.2.38)


permette di intuire che una armonica, sebbene di piccola ampiezza ma caratterizzata da una pulsazione
vicina a quella di risonanza, ha un effetto molto grande sulla risposta. Questo è vero soprattutto per
oscillatori denotati da un basso valore di smorzamento, che implica un fattore di qualità elevato: in questo
caso una forzante con una piccola armonica vicino alla risonanza provoca risposte enormi.

Il caso 3) si riferisce a una forzante di tipo impulsivo. La funzione matematica che descrive questo tipo di
forzante, indicata con il simbolo 𝛿(𝑡), si chiama funzione, o delta, di Dirac ed è definita come il limite per
𝜀 ⟶ 0 della funzione rettangolare 𝛿𝜀 (𝑡). Quest’ultima assume il valore 𝜀 −1 per 𝑡 ∈ [𝑎, 𝑎 + 𝜀] e il valore
nullo altrove; 𝑎 è, invece, l’istante di tempo in cui viene applicato l’impulso (Fig. 2.2.2). Si perviene,
dunque, alla seguente proprietà fondamentale:


∫−∞ 𝛿(𝜏)𝑑𝜏 = 1 (2.2.40)

Per giungere a definire la risposta del sistema, si deve Figura 2.2.2 Funzione rettangolare 𝛿 (𝑡)
𝜀
anzitutto osservare che il problema può essere
approcciato in due modi, che sono tra loro
equivalenti in quanto forniscono la stessa risposta:

- Forzante pari a 𝛿 e condizione iniziale


omogenea;
- Forzante nulla e condizione iniziale unitaria.
La premessa è essenziale poiché la risposta viene
determinata studiando la soluzione omogenea
riferita al secondo schema. Si ha, dunque, la cosiddetta funzione di Green che, nel caso sotto-smorzato,
assume la seguente forma:

1
𝑔(𝑡) = 𝑚𝜔 𝑒 −𝜉𝜔𝑡 𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑑 𝑡) (2.2.41)
𝑑

Dove:

32
𝜔𝑑 = 𝜔√1 − 𝜉 2 , 𝑥0 = 0, 𝑣0 = 1⁄𝑚 (2.2.42)

Una volta definita la risposta all’impulso, è semplice determinare la risposta a una forzante generica 𝑓(𝑡)
del caso 4). Si costruisce la seguente funzione:

𝑓(𝑠)𝛿(𝑡 − 𝑠) (2.2.43)

Che rappresenta il prodotto di un impulso posto al tempo 𝑡 − 𝑠 per il valore della forzante valutato al
tempo 𝑠. Il motivo di questo artifizio sta nella proprietà (2.2.40) della funzione impulso, che giustifica la
seguente uguaglianza:

𝑡
∫0 𝑓(𝑠)𝛿(𝑡 − 𝑠)𝑑𝑠 = 𝑓(𝑡) (2.2.44)

L’integrale appena definito prende il nome di integrale di convoluzione e ammette la seguente


interpretazione: la funzione 𝑓(𝑡) è rappresentata da un’infinita somma di termini impulsivi che in ogni
punto di ascissa 𝑠 assumono il valore 𝑓(𝑠). A questo punto, conoscendo la risposta all’impulso e
osservando che l’operatore di bilancio (l’integrale) è di tipo lineare, si può assumere che la soluzione
particolare del problema con forzante qualsiasi e condizioni iniziali omogenee è data dall’integrale di
convoluzione della forzante per la funzione di Green. In altri termini:

𝑡
𝑥𝑓 (𝑡) = ∫0 𝑓 (𝑠)𝑔(𝑡 − 𝑠)𝑑𝑠 (2.2.45)

È opportuno notare che, essendo l’integrale in oggetto non sempre facile da calcolare, viene in aiuto la
seguente proprietà:

𝑡 𝑡
𝑥𝑓 (𝑡) = ∫0 𝑓 (𝑠)𝑔(𝑡 − 𝑠)𝑑𝑠 = ∫0 𝑓 (𝑡 − 𝑠)𝑔(𝑠)𝑑𝑠 (2.2.46)

Ovvero, che la traslazione 𝑡 − 𝑠 operata può essere fatta su uno dei due termini senza alterarne il risultato.
La scelta si effettua, dunque, sulla base di considerazioni di convenienza computazionale.

2.3 Sistemi a più gradi di libertà


Dopo una dettagliata analisi dei sistemi a un grado di libertà, che ha permesso di illustrare i concetti alla
base dell’analisi dinamica lineare, si può passare alla trattazione dei sistemi a più gradi di libertà, con i
quali vengono usualmente rappresentate le strutture. Si ricorda che la modellazione delle strutture, le
quali, essendo continue, sono dotate di un infinito numero di gradi di libertà, passa spesso attraverso
un’analisi agli elementi finiti che, tra le sue varie peculiarità, ha quella di ridurne il valore a un numero
finito. Una delle differenze fondamentali tra questi sistemi e quelli precedentemente trattati è la
seguente: un sistema con un solo grado di libertà possiede una frequenza naturale e un fattore di

33
smorzamento, la conoscenza dei quali permette di determinare la soluzione omogenea del problema; un
sistema a 𝑛 gradi di libertà è caratterizzato, invece, da 𝑛 pulsazioni naturali e 𝑛 fattori di smorzamento.
Inoltre, a ogni pulsazione naturale è associata una particolare configurazione detta modo di vibrare. Le
equazioni che ne governano la risposta dinamica possono essere ricavate dal principio degli spostamenti
virtuali, scritto in una forma che tenga conto di due aspetti:

- Il processo ha una connotazione dinamica;


- Il sistema risulta discreto per via dell’applicazione di un metodo agli elementi finiti.
Dato un sistema congruente ed equilibrato, sul quale viene applicato un ulteriore campo di spostamenti
infinitesimi e compatibili con i vincoli assegnati, detti spostamenti virtuali, e tenendo conto delle forze di
inerzia e di smorzamento, è possibile scrivere:

𝛿𝒖𝑇 𝒇 + ∫𝐴 𝛿𝒖𝑇 𝒕𝟎 𝑑𝐴 + ∫𝑉 𝛿𝒖𝑇 𝝓𝑑𝑉 = ∫𝑉 𝛿𝜺𝑇 𝝈𝑑𝑉 + ∫𝑉 𝛿𝒖𝑻 𝜌𝒖̈ 𝑑𝑉 + ∫𝑉 𝛿𝒖𝑻 𝑐𝑠 𝒖̇ 𝑑𝑉

(2.3.1)

Con 𝛿𝒖 e 𝛿𝜺 che rappresentano rispettivamente il vettore degli spostamenti virtuali e il vettore delle
corrispondenti deformazioni virtuali; 𝒕𝟎 che rappresenta i carichi di superficie, 𝝓 i carichi di volume, 𝒇 i
carichi nodali (ovvero le forze generalizzate agenti nei nodi e corrispondenti agli spostamenti generalizzati
𝒔), 𝜌 la densità del materiale e 𝑐𝑠 il parametro di smorzamento del materiale. Inoltre, si evidenzia che per
il campo di spostamenti, il quale dipende, nel caso dinamico, dal tempo oltre che dallo spazio, valgono le
relazioni:

𝒖 = 𝑵𝒔, 𝒖̇ = 𝑵𝒔̇ , 𝒖̈ = 𝑵𝒔̈ (2.3.2)

Dove 𝑵 è la matrice delle funzioni di forma12, che rappresenta la variabilità di 𝒖 rispetto allo spazio, e 𝒔 è
il vettore degli spostamenti nodali, che ne rappresenta la variabilità rispetto al tempo. Sostituendo la
(2.3.2) nella (2.3.1) e tenendo conto che il principio è valido per una qualsiasi configurazione di
spostamenti virtuali 𝛿𝒔, dovrà valere la seguente uguaglianza:

𝑴𝒔̈ (𝑡) + 𝑪𝒔̇ (𝑡) + 𝑲𝒔(𝑡) = 𝒇 + 𝒇𝒆𝒕𝟎 + 𝒇𝒆𝝓 (2.3.3)

In cui 𝒇 rappresenta il vettore delle forze generalizzate coniugate agli spostamenti generalizzati 𝒔, 𝒇𝒆𝒕𝟎 il
vettore dei carichi generalizzati equivalenti a una distribuzione di tensioni superficiali nota 𝒕𝟎 e 𝒇𝒆𝝓 il
vettore corrispondente a equivalenti forze di volume 𝝓. Inoltre, 𝑴 corrisponde alla matrice delle masse,

12
Ovvero, la matrice contenente le funzioni con il quale viene interpolato il campo degli spostamenti all’interno di
un elemento nel contesto di una modellazione agli elementi finiti. Si evidenzia che l’interpolazione si opera
generalmente con due classi di funzioni:
- Polinomi di Lagrange
- Polinomi di Hermite

34
𝑪 alla matrice degli smorzamenti e 𝑲 alla matrice delle rigidezze. Si vuole far rilevare fin da ora che le tre
matrici appena definite sono tutte simmetriche; inoltre 𝑴 e 𝑲 sono definite positive. La matrice delle
masse poiché le forze di inerzia hanno una connotazione energetica, ovvero posseggono energia cinetica
e la matrice delle rigidezze poiché a essa è associata la forza elastica, per la quale esiste un’energia
elastica. Da questa proprietà discende il fatto che, a prescindere che la velocità o lo spostamento siano
positivi o negativi (l’importante è che siano diversi da zero), le energie associate saranno sempre positive.

2.3.1 La matrice delle rigidezze


Si vuole analizzare, anzitutto, il significato meccanico della matrice di rigidezza. Si ipotizzi, per semplicità,
un sistema a 2 gradi di libertà nel caso stazionario e si consideri la risultante di tutte le forze esterne 𝒇𝒆𝒙𝒕 .
L’equazione (2.3.3) assumerà, dunque, la seguente forma semplificata:

𝑘11 𝑘12 𝑠1 𝑓 𝑒𝑥𝑡


𝑲𝒔 = 𝒇𝒆𝒙𝒕 , ovvero: [ ] {𝑠 } = { 1𝑒𝑥𝑡 } (2.3.4)
𝑘21 𝑘22 2 𝑓2

La matrice delle rigidezze agisce come un’applicazione lineare che trasforma il vettore degli spostamenti
𝒔 nel vettore delle forze 𝒇𝒆𝒙𝒕 . Il significato di ogni singola componente di rigidezza viene messo
immediatamente in luce utilizzando gli 𝑛 vettori spostamento che costituiscono la base canonica (ovvero,
quei vettori che hanno un solo termine pari a 1 e tutti gli altri pari a 0):

𝑘 𝑘12 1 𝑘 𝑓 𝑒𝑥𝑡 𝑘11 𝑘12 0 𝑘 𝑓 𝑒𝑥𝑡


[ 11 ] { } = { 11 } = { 1𝑒𝑥𝑡 }, [ ] { } = { 12 } = { 1𝑒𝑥𝑡 } (2.3.5)
𝑘21 𝑘22 0 𝑘21 𝑓2 𝑘21 𝑘22 1 𝑘22 𝑓2

Esaminando la (2.3.5)1, si osserva che 𝑘11 è la forza esterna che bisogna applicare affinché il punto 1
subisca uno spostamento unitario, mantenendo il punto 2 fermo; invece, 𝑘21 è la forza che bisogna
applicare per mantenere il punto 2 fermo mentre il punto 1 compie uno spostamento unitario. Inoltre, le
forze associate allo spostamento (1,0) evidenziano la prima colonna della matrice, mentre quelle
associate allo spostamento (0,1) si riferiscono alla seconda colonna. Da queste osservazioni conseguono
due risultati:

- Il processo può essere generalizzato per un sistema a 𝑛 gradi di libertà: l’elemento 𝑘𝑖𝑗 rappresenta
la forza da applicare al punto 𝑖 quando il solo punto 𝑗 subisce uno spostamento unitario;
- Si può derivare una procedura generale per calcolare la matrice delle rigidezze: essa verrà
computata per colonne, risolvendo 𝑛 problemi stazionari in cui si conosce lo spostamento 𝒔 =
(0,0, … ,1,0,0, … ,0), con 1 al 𝑗-esimo posto, e l’incognita è la forza 𝒇𝒆𝒙𝒕 = (𝑓1 , 𝑓2 , … , 𝑓𝑛 ). Trovate
le forze, si ha quindi 𝒇𝒆𝒙𝒕 = (𝑘1𝑗 , 𝑘2𝑗 , … , 𝑘𝑛𝑗 ).

35
2.3.2 La matrice delle masse
La matrice delle masse può ricadere in due tipologie distinte:

1) Matrice delle masse congruente (consistent mass matrix);


2) Matrice delle masse concentrata (lumped mass matrix);
Nel caso 1), essa viene derivata utilizzando lo stesso modello di spostamento, e dunque le stesse funzioni
di forma con cui si schematizzano gli spostamenti, che si utilizza per ricavare la matrice delle rigidezze.

Nel caso 2), invece, si ha una formulazione più semplice in quanto si hanno elementi non nulli unicamente
in corrispondenza dei gradi di libertà traslazionali. La matrice viene ottenuta associando una massa 𝑚𝑖 in
corrispondenza del grado di libertà 𝑖-esimo di modo che la sommatoria delle singole masse rappresenti la
massa totale dell’elemento. Si segnala che i software commerciali che utilizzano questa variante (come, a
esempio, il software SAP2000 utilizzato nella presente tesi) prevedono in ogni caso la possibilità di
associare arbitrariamente masse rotazionali se la situazione lo richiede. Questo tipo di matrice, essendo
diagonale, non considera gli effetti di mutua influenza tra i vari gradi di libertà dell’elemento. D’altronde,
anche la formulazione consistente è un’approssimazione poiché vengono usate le funzioni di forma (le
quali costituiscono già di per sé un’approssimazione del reale campo di spostamenti) derivate per il caso
statico e applicate poi nella risoluzione del caso dinamico (ulteriore approssimazione). In ogni caso,
qualunque sia la formulazione utilizzata, il prodotto 𝑴𝒔̈ deve fornire la forza corretta quando 𝒔̈
rappresenta l’accelerazione di un corpo rigido, poiché questo è il comportamento di un elemento
infinitesimo. Infine, a riguardo delle frequenze calcolate, un’utile osservazione è la seguente: premesso
che si utilizzi uno schema di integrazione esatto e che gli elementi siano compatibili, le frequenze proprie
calcolate utilizzando matrici di massa congruenti rappresentano un limite superiore per le frequenze
proprie reali, mentre quelle ricavate utilizzando matrici di massa concentrate ne rappresentano un limite
inferiore.

2.3.3 La matrice di smorzamento


I fenomeni di smorzamento delle strutture sono dovuti principalmente a fenomeni di isteresi del materiale
e/o di attrito tra gli elementi di collegamento. Però, data la difficoltà di modellare questo tipo di fenomeni
e, dunque, di tenerne conto nelle equazioni governanti, nella pratica il fenomeno viene generalmente
approssimato dallo smorzamento viscoso, attraverso il rapporto di smorzamento 𝜉. Questo valore
dipende dal materiale e dal livello di tensione: negli acciai, a esempio può variare dallo 0,5% per bassi
livelli di tensione a circa il 5% per alti livelli di tensione; per strutture rivettate o imbullonate 𝜉 varia invece
dal 2% al 15%. Uno dei modelli di attrito viscoso più utilizzati è quello di Rayleigh, anche detto

36
smorzamento proporzionale, secondo cui la matrice di smorzamento 𝑪 è ricavata a partire da una
combinazione lineare della matrice di massa e della matrice delle rigidezze:

𝑪 = 𝛼𝑴 + 𝛽𝑲 (2.3.6)

Con 𝛼,𝛽 costanti di smorzamento di Rayleigh. La matrice che si ottiene risulta ortogonale, semplificando
notevolmente l’analisi. La relazione tra le costanti di smorzamento e il rapporto 𝜉 è la seguente:

1 𝛼
𝜉𝑖 = 2 (𝜔 + 𝛽𝜔𝑖 ) (2.3.7)
𝑖

Le costanti possono essere ricavate a partire dalla conoscenza sperimentale di due coppie di valori 𝜔𝑖 ,𝜉𝑖
tramite le seguenti relazioni:

𝜔1𝜔2 (𝜔2𝜉1 −𝜔1 𝜉2 ) (𝜔2 𝜉2 −𝜔1 𝜉1


𝛼=2 𝛽=2 (2.3.8)
𝜔22 −𝜔12 𝜔22−𝜔12

2.3.4 La risposta del sistema


Lo studio del sistema (2.3.3) al fine di caratterizzarne la risposta verrà effettuato allo stesso modo in cui
si è trattato il caso a un grado di libertà. Si parte dunque dal moto libero non smorzato e si procede in
ordine di difficoltà.

Il moto libero non smorzato è caratterizzato, come nel caso dell’oscillatore semplice, dall’assenza di
smorzamenti e di forzanti esterne, il che porta a riscrivere l’equazione governante nel seguente modo:

𝑴𝒔̈ (𝑡) + 𝑲𝒔(𝑡) = 𝟎


{ 𝒔(0) = 𝒔𝟎 (2.3.9)
𝒔̇ (0) = 𝒗𝟎

Utilizzando la stessa tecnica vista per il caso dell’oscillatore semplice, si ricercano le auto-funzioni
dell’operatore lineare. In questo caso però, essendo che il vettore delle funzioni incognite 𝒔(𝑡) ha 𝑛
componenti, le auto-funzioni saranno del tipo:

𝒒(𝑡) = 𝒖𝜑(𝑡) (2.3.10)

Da cui si evince che le 𝑛 auto-funzioni presentano lo stesso comportamento temporale e possono differire
tra loro unicamente per le costanti 𝑢𝑖 . L’equazione governante (2.3.9)1, riscritta sostituendo al vettore
𝒔(𝑡) le auto-funzioni nella forma descritta dalla (2.3.10) e moltiplicando scalarmente i termini per 𝒖 al
fine di ottenere un’equazione scalare, conduce alla relazione:

𝜑̈ (𝑡)𝑴𝒖 ∙ 𝒖 + 𝜑(𝑡)𝑲𝒖 ∙ 𝒖 = 0 (2.3.11)

Si può dunque definire il rapporto:

37
𝑲𝒖∙𝒖
𝑴𝒖∙𝒖
=𝜆>0 (2.3.12)

Che è sicuramente uno scalare positivo, essendo 𝑲 e 𝑴 definite positive. Per evidenziare questo fatto, si
pone:

𝜆 = 𝜔2 , 𝜔 ∈ ℝ (2.3.13)

Il che permette di riscrivere la (2.3.11) come:

𝜑̈ (𝑡) + 𝜔2 𝜑(𝑡) = 0 (2.3.14)

La 𝜑(𝑡) deve essere, dunque, la somma di due funzioni armoniche con pulsazione 𝜔, definite a meno di
due costanti; è anche possibile definire tale somma mediante l’utilizzo di una sola funzione armonica con
sfasamento:

𝜑(𝑡) = acos(𝜔𝑡) + 𝑏𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡) = 𝑐𝑐𝑜𝑠((𝜔𝑡 − 𝜙) (2.3.15)

A questo punto è necessario determinare il valore di 𝜔: riprendendo la (2.3.11) e utilizzando il risultato


della (2.3.14), è possibile scrivere:

(−𝜔2 𝑴 + 𝑲)𝒖𝜑(𝑡) = 𝟎 (2.3.16)

Per verificare questa equazione, esistono due possibilità:

- 𝒖=𝟎
- (−𝜔2 𝑴 + 𝑲)𝒖 = 𝟎, con 𝒖 ≠ 𝟎 (2.3.17)
La prima è la soluzione banale. Ricercando la soluzione della seconda, emerge la differenza con il caso
dell’oscillatore semplice: non si ha più una singola equazione, ma bisogna esaminare un sistema di
equazioni. Di questo, si ricercano dei vettori 𝒖, diversi da zero, che vengano trasformati nello zero: ciò è
possibile unicamente se il sistema di equazioni è singolare, ossia se il determinante della matrice dei
coefficienti è nullo. Si giunge dunque al polinomio:

𝑝(𝜔2 ) = det(−𝜔2 𝑴 + 𝑲) = 0 (2.3.18)

Detto determinante caratteristico. Quello in esame è dunque un problema agli auto-valori risolvibile in
forma chiusa unicamente per sistemi con un massimo di 4 gradi di libertà, per gli altri casi è necessario
ricorrere a tecniche numeriche.

A ogni pulsazione naturale 𝜔𝑖 è dunque associato un vettore 𝒖𝒊 , soluzione del sistema (2.3.17)2. Tali
vettori vengono definiti modi naturali, oppure modi propri, modi di vibrazione o ancora vettori modali e
sono tanti quante sono le pulsazioni. Essendo che le pulsazioni naturali rendono singolare il sistema, essi
potranno essere definiti solo a meno di una costante. Una loro importante proprietà è quella di essere

38
ortogonali rispetto alla matrice di massa. Tramite un’opportuna scelta della costante, inoltre, essi possono
essere resi ortonormali rispetto alla massa. Detto questo, si può ora scrivere la soluzione omogenea del
problema (si ricorda che si sta analizzando il caso di forzante nulla) come combinazione lineare dei modi
propri del sistema, ognuno partecipante con la propria auto-funzione. Si hanno anzitutto:

- 𝑛 pulsazioni naturali 𝜔𝑖 determinate univocamente;


- 𝑛 auto-funzioni 𝜑𝑖 (𝑡) = 𝐶𝑖 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑖 𝑡 − 𝜙𝑖 ), definite a meno di 2 costanti:
- 𝑛 modi propri 𝒖𝒊 , definiti inizialmente a meno di una costante e normalizzati rispetto alla massa.
La soluzione sarà, dunque:

𝒔𝒐𝒎𝒐 (𝑡) = ∑𝑛𝑖=1 𝒖𝒊 𝐶𝑖 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑖 𝑡 − 𝜙𝑖 ) (2.3.19)

Dove si intende che la costante arbitraria che definisce i modi naturali è assorbita dalla costante 𝐶𝑖 con
cui si descrive l’ampiezza delle componenti armoniche. I valori delle costanti 𝐶𝑖 e delle fasi 𝜙𝑖 vengono
determinati a partire dalle condizioni iniziali. A partire dai vettori 𝒖𝒊 è possibile costruire la cosiddetta
matrice modale giustapponendoli per colonne:

𝑼 = (𝒖𝟏 , 𝒖𝟐 , … , 𝒖𝒏 ) (2.3.20)

Questa matrice ha un ruolo molti importante poiché consente di diagonalizzare le matrici di massa e
rigidezza:

𝑼𝑻 𝑴𝑼 = 𝑰 ,con 𝑰 matrice identità (2.3.21)

𝑼𝑻 𝑲𝑼 = 𝛀 ,con 𝛀 matrice diagonale (2.3.22)

Si definisce, inoltre, il vettore delle funzioni armoniche:

𝝓(𝑡) = (𝜑1 (𝑡), 𝜑2 (𝑡), … , 𝜑𝑛 (𝑡)) (2.3.23)

Con cui è possibile rappresentare la (2.3.19) in forma matriciale:

𝒔(𝑡) = 𝑼𝝓(𝑡) (2.3.24)

Con queste premesse, è possibile affrontare il problema del moto forzato senza smorzamento. Esso è
rappresentato nella forma:

𝑴𝒔̈ (𝑡) + 𝑲𝒔(𝑡) = 𝒇(𝑡)


{ 𝒔(0) = 𝒔𝟎 (2.3.25)
𝒔̇ (0) = 𝒗𝟎

Che è costituito da un sistema di equazioni accoppiate tra loro. La soluzione può essere cercata in termini
modali, sostituendo a 𝒔(𝑡) la (2.3.24):

39
𝑴𝑼𝝓̈(𝑡) + 𝑲𝑼𝝓(𝑡) = 𝒇(𝑡)
{ 𝒔(0) = 𝑼𝝓(0) = 𝒔𝟎 (2.3.26)
𝒔̇ (0) = 𝑼𝝓̇(0) = 𝒗𝟎

Moltiplicando a sinistra la (2.3.25)1 per 𝑼𝑻 , è però possibile giungere a un sistema di equazioni


disaccoppiate:

𝑼𝑻 𝑴𝑼𝝓̈(𝑡) + 𝑼𝑻 𝑲𝑼𝝓(𝑡) = 𝑼𝑻 𝒇(𝑡) ⇒ 𝑰𝝓̈(𝑡) + 𝛀𝝓(𝑡) = 𝑼𝑻 𝒇(𝑡) (2.3.27)

In questo modo, il sistema è, dunque, costituito da 𝑛 equazioni indipendenti che possono essere risolte
una a una applicando le formule dell’oscillatore semplice.

Nel caso di moto libero con smorzamento, si ha l’equazione governante nella forma:

𝑴𝒔̈ (𝑡) + 𝑪𝒔̇ (𝑡) + 𝑲𝒔(𝑡) = 𝟎 (2.3.28)

Anche questa volta si ha un sistema di equazioni accoppiate tra loro. Passare direttamente alla forma
modale in questo caso non è di grande aiuto poiché la matrice modale rende diagonali le matrici di massa
e di rigidezza, ma non quella di smorzamento. In generale, questo non è possibile poiché, come accennato
all’inizio del §2.3, le azioni viscose non hanno un’energia associata (non sono energetiche) il che fa sì che
la matrice degli smorzamenti non sia definita positiva. Per ovviare a questo problema, si utilizza una
modellazione alla Rayleigh, come visto nel §2.3.3 e definito nell’equazione (2.3.6), che permette di
diagonalizzare contemporaneamente tutte e tre le matrici:

𝑰𝝓̈(𝑡) + (𝛼𝑰 + 𝛽𝛀)𝝓̇(𝑡) + 𝛀𝝓(𝑡) = 𝟎 (2.3.29)

In questo modo, si ottengono ancora una volta 𝑛 equazioni disaccoppiate risolvibili una a una tramite il
modello di oscillatore semplice con smorzamento.

Il caso di moto forzato con smorzamento non è molto diverso dai due appena presentati. Si passa ancora
una volta alla forma modale dell’equazione governante:

𝑰𝝓̈(𝑡) + (𝛼𝑰 + 𝛽𝛀)𝝓̇(𝑡) + 𝛀𝝓(𝑡) = 𝑼𝑻 𝒇(𝑡) (2.3.30)

Il che rende il sistema disaccoppiato e, dunque, permette la risoluzione delle equazioni prese
singolarmente con le formule viste per il caso di oscillatore semplice forzato con smorzamento.

40
Capitolo 3 - Analisi Dinamica Modale di strutture esistenti

Nel seguente capitolo verranno esposte le analisi modali compiute su due distinte strutture esistenti
attraverso il software commerciale SAP2000.

3.1 Chiodo 2 Blocco D


3.1.1 Caratteristiche Generali
L’edificio è stato realizzato in una zona Mediamente costruita circondato da edifici. La struttura è
interamente in cemento armato, con struttura a telaio composta da:

 Pilastri, ovvero elementi monodimensionali verticali sottoposti generalmente a un regime


di pressoflessione deviata, taglio e torsione;
 Travi: ovvero elementi monodimensionali in genere orizzontali che devono resistere a
regimi di taglio e torsione
 Impalcati, ovvero elementi piani, generalmente orizzontali se si tratta di impalcati di piano,
tramite cui, con l’ausilio di caldane in calcestruzzo armate con reti elettrosaldate, si
realizzano dei diaframmi rigidi nel proprio piano necessari alla ripartizione in orizzontale
dei carichi sismici.

L’edificio rientra dunque, da un punto di vista computazionale, nella definizione di Edificio


Multipiano, con la quale ci si riferirà alla struttura d’ora in avanti.

In elevazione, la struttura è costituita complessivamente da due piani: il primo che presenta


un’altezza d’interpiano pari a 3,2 𝑚 e il secondo che si sviluppa per 3,1 𝑚. La copertura è di tipo
piana. Per via della sua configurazione, è possibile classificare l’edificio come struttura regolare,
sia in pianta che in altezza.

Al fine di garantire la fruibilità dell’opera, la normativa italiana13 prevede che la sicurezza e le


prestazioni della struttura siano verificate in relazione agli Stati Limite che potranno verificarsi
durante l’intera vita utile della struttura. Per poter definire questi parametri è necessario stabilire
quale sia la Classe d’Uso in cui ricade l’opera e, conseguenzialmente, la Vita Nominale per la
quale viene poi progettata e verificata. Trattandosi di costruzioni con funzioni pubbliche

13
Norme Tecniche per le Costruzioni, D.M. 14 gennaio 2008

41
importanti, la struttura risulta essere di 𝐶𝑙𝑎𝑠𝑠𝑒 𝐼𝑉. Inoltre si prevede, purché venga effettuata la
necessaria manutenzione, una Vita Nominale pari a 100 𝑎𝑛𝑛𝑖.

Lo studio delle caratteristiche del sito è importante ai fini della definizione dei sovraccarichi da
neve e delle azioni orizzontali prodotte da sisma e vento. La Pericolosità sismica viene definita
partendo dalle coordinate geografiche del sito in esame. Ciò è necessario per inquadrare il sito
all’interno del reticolo di riferimento in cui è stato suddiviso l’intero territorio nazionale, il quale
restituisce i parametri spettrali atti a definire l’azione sismica di progetto. Sulla base delle
indicazioni fornite in normativa, il sito appartiene alla Categoria Topografica 𝑇2 essendo la
costruzione situata lungo un Pendio. Esso sorge a 230 𝑚 di altezza sul livello del mare e a una
distanza dalla costa pari a 25 𝑘𝑚. In riguardo al Carico Neve, il sito ricade in 𝑍𝑜𝑛𝑎 𝐼𝐼𝐼, sempre
secondo la macrozonazione nazionale di riferimento. Inoltre, rispetto alla caratterizzazione
topografica, la quale definisce il coefficiente di esposizione che va a modificare il valore del carico
neve al suolo, il sito è classificabile come 𝑁𝑜𝑟𝑚𝑎𝑙𝑒. Per quanto riguarda le azioni prodotte dal
vento, il sito ricade invece in 𝑍𝑜𝑛𝑎 3.

Le caratteristiche del terreno di fondazione sono le seguenti:

Peso Specifico 1900 [𝑑𝑎𝑁⁄𝑚3 ]

Angolo Attrito Interno 22 [𝑔𝑟𝑑]

Coesione 0,06 [𝑑𝑎𝑁⁄𝑐𝑚2 ]

Modulo Elastico Normale 100 [𝑑𝑎𝑁⁄𝑐𝑚2 ]

Costante di Winkler 1,1 [𝑑𝑎𝑁⁄ 3 ]


𝑐𝑚

Tabella 3.1.1 Caratteristiche Terreno

Sempre ai fini della caratterizzazione dello spettro di progetto, il sito risulta avere un Sottosuolo
di Fondazione di Categoria 𝐶.

Si procede ora con la caratterizzazione dei materiali utilizzati. La classe utilizzata, per quanto
riguarda il calcestruzzo, viene definita sulla base della normativa vigente, la quale prevede
l’utilizzo di una sigla in cui i due valori numerici rappresentano rispettivamente i valori
caratteristici della Resistenza Cilindrica 𝑓𝑐𝑘 e della Resistenza Cubica 𝑅𝑐𝑘 , legati tra loro dalla

nota relazione 𝑓𝑐𝑘 = 0,83 𝑅𝑐𝑘 ed espressi entrambi in [𝑁⁄𝑚𝑚2 ]. Sulla base di questi, è possibile

ricavare tutti gli altri parametri che caratterizzano il comportamento del calcestruzzo sia in trazione
che in compressione, tramite alcune formule pratiche facilmente reperibili in normativa.
42
Cls 𝑹𝒄𝒌 𝒇𝒄𝒌 Ec G 𝝂 𝛂

[𝑑𝑎𝑁⁄ 2 ] [𝑑𝑎𝑁⁄ 2 ] [𝑑𝑎𝑁⁄ 2 ] [𝑑𝑎𝑁⁄ 2 ] - [𝐾 −1 ]


𝑐𝑚 𝑐𝑚 𝑐𝑚 𝑐𝑚

Fondazione C25/30 300 249,0 314471 120950,3 0,3 1E10-5

Elevazione C25/30 300 249,0 314471 120950,3 0,3 1E10-5

Tabella 3.1.2 Caratteristiche Materiali

Per quanto riguarda l’acciaio delle armature, è stata scelta la tipologia 𝐵450𝐶 sia in fondazione
che in elevazione, le cui caratteristiche sono riportate in normativa.

3.1.2 Modello Geometrico


Definite le caratteristiche della struttura, si procede alla sua modellazione. Si opta per l’utilizzo
del software commerciale SAP2000 14. Prima di presentare la procedura utilizzata, si riportano le
viste caratteristiche dell’edificio, al fine di una migliore comprensione dello stesso.

Figura 3.1.2 Vista in Pianta


Figura 3.1.1 Vista Assonometrica

14
SAP2000 14.0.0

43
Figura 3.1.3.a Vista Anteriore Figura 3.1.3.b Vista Sinistra

Figura 3.1.3.c Vista Posteriore Figura 3.1.3.d Vista Destra

Al fine di inserire i dati geometrici della struttura nel programma, si parte dalla definizione dei fili
fissi. Si individuano cioè tutte quelle linee verticali che serviranno al successivo posizionamento
degli elementi della struttura in pianta e in altezza. Una volta individuate le coordinate in pianta
dei fili, un’ulteriore informazione è data dal Punto di Inserimento dei vari elementi, che definisce
la posizione relativa tra i pilastri e le travi che afferiscono a un unico filo. Si può concludere dunque
che questa metodologia agevola il lavoro di inserimento dei dati geometrici, oltre che provvedere
al necessario disassamento di quegli elementi che, nella struttura reale, non presentano assi
geometrici allineati. Per il caso in esame si presenta dunque, sul piano XY, la posizione geometrica
dei fili e il relativo punto di inserimento:

Filo Fisso Xf Yf Filo Fisso Xf Yf


𝑐𝑚 𝑐𝑚 𝑐𝑚 𝑐𝑚
1 100 100 9 1240 625
2 490 100 10 1630 625
3 865 100 11 100 1045
4 1240 100 12 490 1045
5 1630 100 13 865 1045
6 100 625 14 1240 1045
7 490 625 15 1630 1045
8 865 625
Tabella 3.1.3 Definizione Fili Fissi
44
Figura 3.1.4 Input Fili Fissi
y

Come predetto, i pilastri sono elementi verticali in cui una dimensione geometrica è predominante
rispetto alle altre due. Vengono dunque modellati, ai fini dell’analisi, come elementi
monodimensionali (frames). Le sezioni sono tutte di tipo rettangolare. Per ognuna di esse si
definiscono le caratteristiche principali:

Cod Sez B H B/H Area Ix Iy J0


𝑐𝑚 𝑐𝑚 % 𝑐𝑚2 𝑐𝑚4 𝑐𝑚4 𝑐𝑚4
R30x50 30 50 60 1500 312500 112500 425000
R40x50 40 50 80 200 416666 266666 683332
R40x60 40 60 66 2400 720000 320000 1040000
R40x70 40 70 57 2800 1143333 373333 1516666
R50x30 50 30 166 1500 112500 312500 425000
Tabella 3.1.4 Proprietà Sezione Pilastri

Si associa dunque a ogni filo fisso il pilastro di pertinenza, sia per il primo che per il secondo
impalcato:

I piano
Pilastro Cod Sez Filo Pilastro Cod Sez Filo Pilastro Cod Sez Filo
1 R30x50 1 6 R40x70 6 11 R50x30 11
2 R30x50 2 7 R40x50 7 12 R50x30 12
3 R30x50 3 8 R40x60 8 13 R50x30 13
4 R30x50 4 9 R40x50 9 14 R50x30 14
5 R30x50 5 10 R40x70 10 15 R50x30 15
II piano
Pilastro Cod Sez Filo Pilastro Cod Sez Filo Pilastro Cod Sez Filo
1 R30x50 1 6 R40x70 6 11 R50x30 11
2 R30x50 2 7 R30x50 7 12 R50x30 12
3 R30x50 3 8 R30x50 8 13 R50x30 13
4 R30x50 4 9 R30x50 9 14 R50x30 14
5 R30x50 5 10 R40x70 10 15 R50x30 15
Tabella 3.1.5 Posizione Pilastri

45
Per quanto riguarda i muri, viene presentata in figura la sezione tipica in cui:

- 𝐵𝑇𝑂𝑇 : spessore totale del muro;


- 𝐵1 , … , 𝐵𝑛 : spessori degli strati componenti il muro, da sinistra verso destra.

Figura 3.1.5 Particolare Muro


L’analisi dei carichi viene effettuata considerando le
forze agenti per unità di superficie dei muri, le quali
vanno poi moltiplicate per l’altezza di interpiano.
Abbiamo varie tipologie di muri:

- B10 – Muratura forata in coltello 10cm


𝑘𝑁
o 0,88
𝑚2

- B0 poroton – Tompagnatura 30cm


𝑘𝑁
o 2,88 𝑚2

- B11 – Pannello in c.a. 10 cm


𝑘𝑁
o 2,50 𝑚2

Il peso delle mura agisce sulle travi di pertinenza, le quali verranno indicate di volta in volta nel
seguito della trattazione.

Le fondazioni della struttura sono composte da un sistema misto di travi e piastre. Quest’ultime
sono di tipo nervato, cosicché i carichi delle fondazioni possano trasmettersi al terreno su una
superficie più ampia, a parità di ingombro dell’edificio. Dall’esame della figura è possibile notare,
alla base, uno strato di 15𝑐𝑚 di calcestruzzo a basso contenuto di cemento, il cosiddetto magrone,
la cui principale mansione è quella di offrire una superficie piana e pulita per la posa dei ferri di
armatura della soletta. Questa è in calcestruzzo armato, con uno spessore di 25𝑐𝑚 e trasmette i
carichi portati su tutte e 4 le travi perimetrali. Andando verso l’alto, troviamo uno strato di 60𝑐𝑚
composto da pietrisco che ha funzione di riempimento sul quale viene adagiato un massetto di
calcestruzzo di 25𝑐𝑚 con rete a maglie elettrosaldata. Si riporta dunque l’analisi dei pesi
permanenti:

𝑘𝑁 𝑘𝑁
 Soletta in c.a. (𝐻𝑆 = 25𝑐𝑚, 𝛾𝑐𝑎 = 25 𝑚3 ) 𝐺1 = 6,25 𝑚2
𝑘𝑁 𝑘𝑁
 Massetto in cls. (𝐻𝑀 = 10𝑐𝑚, 𝛾𝑐𝑎 = 24 𝑚3 ) 𝐺2 = 2,40 𝑚2
𝒌𝑵
o 𝑻𝒐𝒕 = 𝟖, 𝟔𝟓 𝒎𝟐

46
Alla luce delle informazioni acquisite, si è Figura 3.1.6 Particolare Sezione Fondazioni

deciso di modellare le piastre attraverso


elementi bidimensionali a 4 nodi che
contemplano sia il comportamento a
membrana che quello a piastra (thick shell)
tramite l’inserimento dello spessore
caratteristico di riferimento che, in questo
caso, viene supposto uguale per entrambe le
modalità e pari, appunto, a 25𝑐𝑚.

Le travi di fondazione costituiscono la nervatura delle platee, e presentano tutte la stessa sezione
rettangolare di cui se ne riportano le caratteristiche:
Cod Sez B H B/H Area Ix Iy J0
𝑐𝑚 𝑐𝑚 % 𝑐𝑚2 𝑐𝑚4 𝑐𝑚4 𝑐𝑚4
R50x95 50 95 52 4750 3572395 989583 4561978
Tabella 3.1.6 Proprietà Sezione Travi in Fondazione

Definita la geometria, si illustra sinteticamente la posizione delle travi rispetto ai fili fissi
antecedentemente definiti, la denominazione con cui a esse ci si riferisce e i muri eventualmente
gravanti su di esse:

Trave FFI FFF Cod Muro Trave FFI FFF Cod Muro
N. N. N. N.
1 1 2 B0 poroton 12 14 15 B0 poroton
2 2 3 B0 poroton 13 1 6 B0 poroton
3 3 4 B0 poroton 14 6 11 B0 poroton
4 4 5 B0 poroton 15 7 12 B10
5 6 7 16 2 7 B10
6 7 8 17 3 8 B10
7 8 9 18 8 13 B10
8 9 10 19 4 9 B10
9 11 12 B0 poroton 20 9 14 B10
10 12 13 B0 poroton 21 5 10 B0 poroton
11 13 14 B0 poroton 22 10 15 B0 poroton
Tabella 3.1.7 Posizione Travi in Fondazione

I solai rappresentano quei sistemi costruttivi, di copertura o calpestio, soggetti prevalentemente a


carichi agenti ortogonalmente al loro piano, uniformemente distribuiti. Dall’esame della figura si
rende evidente la composizione degli stessi.
Figura 3.1.7 Particolare Solai

47
I simboli presenti si riferiscono a:

- 𝐻𝐿 : altezza laterizio;
- 𝐻𝑆 : spessore soletta;
- 𝐻1 , … , 𝐻𝑁 : spessori degli elementi sovrapposti ordinati dal basso verso l’alto;
- 𝐵𝑇 : spessore travetti;
- 𝐵𝐿 : larghezza laterizio.

La tipologia di solaio scelta prevede blocchi di alleggerimento in laterizio e pavimenti in gréss o


ceramica, oltre che uno strato di polistirene espanso di spessore pari a 7𝑐𝑚. Si riporta dunque
l’analisi dei carichi:

𝑘𝑁
- Peso soletta c.a. (𝐻𝑆 = 4𝑐𝑚) 1,00 𝑚2
𝑘𝑁
- Peso travetti c.a. (𝐻𝑇 = 14𝑐𝑚, 𝐵𝑇 = 11𝑐𝑚) 0,54 𝑚2
𝑘𝑁
- Peso pignatte laterizio forato (𝐻𝐿 = 14𝑐𝑚, 𝐵𝐿 = 60𝑐𝑚) 0,94 𝑚2
𝒌𝑵
o Peso proprio strutturale 𝟐, 𝟒𝟖 𝒎𝟐
𝑘𝑁
- Peso calcestruzzo ordinario (𝐻1 = 5𝑐𝑚) 1,20 𝑚2
𝑘𝑁
- Peso pavimento in ceramica o grés (𝐻2 = 1𝑐𝑚) 0,20 𝑚2
𝒌𝑵
o Peso permanente 𝟏, 𝟒𝟎 𝒎𝟐
𝒌𝑵
 Totale carico permanente solaio 𝟑, 𝟖𝟖 𝒎𝟐

Bisogna dunque aggiungere il carico variabile che si ricava da normativa in base alla funzione che
il solaio è chiamato a svolgere e che dunque si differenzia per i 2 impalcati. Il primo, con prevalente
funzione di calpestio, sebbene la destinazione d’uso sia residenziale, ricade in categoria C1
secondo la distinzione sancita dalle NTC 2008 in quanto si prevede che esso sia suscettibile di
affollamento. Il secondo, invece, svolge funzione di copertura non praticabile e dunque ricade in
categoria H1.

Il generico solaio viene individuato tramite un codice univoco, la categoria d’uso e le travi di
Figura 3.1.8 Convenzione Solai
appoggio ortogonali all’orditura del solaio:

48
Tabella 3.1.8 Solai Piano 1

Sol. N. Cod. Solaio TrvI N. TrvF N. Cod. Car. V.


1 H18+7 pol 13 15 C1
2 H18+7 pol 2 6 C1
3 H18+7 pol 17 19 C1
4 H18+7 pol 4 8 C1
5 H18+7 pol 5 9 C1
6 H18+7 pol 16 18 C1
7 H18+7 pol 7 11 C1
8 H18+7 pol 20 22 C1

Tabella 3.1.9 Solai Piano 2

Sol. N. Cod. Solaio TrvI N. TrvF N. Cod. Car. V.


1 H18+7 pol 13 15 H1
2 H18+7 pol 2 6 H1
3 H18+7 pol 17 19 H1
4 H18+7 pol 4 8 H1
5 H18+7 pol 5 9 H1
6 H18+7 pol 16 18 H1
7 H18+7 pol 7 11 H1
8 H18+7 pol 20 22 H1

Per quanto riguarda le travi in elevazione, si riportano le informazioni delle sezioni utilizzate così
come definite per quelle in fondazione:

Cod Sez B H B/H Area Ix Iy J0


𝑐𝑚 𝑐𝑚 % 𝑐𝑚2 𝑐𝑚4 𝑐𝑚4 𝑐𝑚4
R30x40 30 40 75 1200 160000 90000 250000
R30x50 30 50 60 1500 312500 112500 425000
Tabella 3.1.10 Proprietà Sezione Travi in Elevazione

Trave Cod Sez FFI FFF Cod Muro Trave Cod Sez FFI FFF Cod Muro
N. N. N. N.
1 R30x50 1 2 B0 poroton 12 R30x50 14 15 B0 poroton
2 R30x50 2 3 B0 poroton 13 R30x50 1 6 B0 poroton
3 R30x50 3 4 B0 poroton 14 R30x50 6 11 B0 poroton
4 R30x50 4 5 B0 poroton 15 R30x40 7 12 B0 poroton
5 R30x40 6 7 16 R30x40 2 7 B0 poroton
6 R30x40 7 8 17 R30x50 3 8 B0 poroton
7 R30x40 8 9 18 R30x50 8 13 B0 poroton
8 R30x40 9 10 19 R30x40 4 9 B0 poroton
9 R30x50 11 12 B0 poroton 20 R30x40 9 14 B0 poroton
10 R30x50 12 13 B0 poroton 21 R30x50 5 10 B0 poroton
11 R30x50 13 14 B0 poroton 22 R30x50 10 15 B0 poroton
Tabella 3.1.11 Posizione Travi Piano 1

49
Trave Cod Sez FFI FFF Cod Muro Trave Cod Sez FFI FFF Cod Muro
N. N. N. N.
1 R30x50 1 2 B11 12 R30x50 14 15 B11
2 R30x50 2 3 B11 13 R30x50 1 6 B0 poroton
3 R30x50 3 4 B11 14 R30x50 6 11 B0 poroton
4 R30x50 4 5 B11 15 R30x50 7 12 B0 poroton
5 R30x40 6 7 16 R30x50 2 7 B0 poroton
6 R30x40 7 8 17 R30x50 3 8 B0 poroton
7 R30x40 8 9 18 R30x50 8 13 B0 poroton
8 R30x40 9 10 19 R30x50 4 9 B0 poroton
9 R30x50 11 12 B11 20 R30x50 9 14 B0 poroton
10 R30x50 12 13 B11 21 R30x50 5 10 B0 poroton
11 R30x50 13 14 B11 22 R30x50 10 15 B0 poroton
Tabella 3.1.12 Posizione Travi Piano 2

3.1.3 Analisi Modale


Una volta caratterizzato il modello pseudo-tridimensionale, si procede dunque con l’analisi
dinamica modale della struttura. Si specifica anzitutto che la caratterizzazione dei carichi effettuata
nel paragrafo precedente è stata fatta al solo scopo di completezza in quanto le proprietà modali di
una struttura dipendono unicamente dalle sue caratteristiche e non dalle condizioni di carico.
Occorre dunque che la rigidezza della struttura sia rappresentativa della struttura in esame. Essa
dipende dalla rigidezza degli elementi strutturali, definita nella caratterizzazione dei materiali e
delle sezioni utilizzate, e dal loro grado di vincolo, sia interno che esterno. In riguardo ai vincoli
interni, si segnala che la struttura è stata modellata ipotizzando la trasmissione completa delle
sollecitazioni operanti sugli elementi strutturali attraverso i nodi. Per quanto riguarda i vincoli
esterni sono state prese in considerazione più opzioni, ovvero:

- Caso 1: scissione del modello in sovrastruttura e fondazioni, di cui verrà analizzata solo la
prima ipotizzando incastri alla base delle pilastrate. Sebbene non sia oggetto della presente
tesi, si segnala che così facendo si demanda la verifica delle fondazioni a una seconda fase
in cui i carichi della sovrastruttura vengono modellati come carichi puntuali;
- Caso 2: le fondazioni vengono considerate e modellate attraverso un sistema misto di
elementi bidimensionali (shells) e monodimensionali (frames). L’interazione terreno-
struttura viene modellata ipotizzando un comportamento alla Winkler, assumendo dunque
un terreno isotropo, lineare e schematizzabile come un letto di molle.

Per quanto riguarda la configurazione iniziale della matrice delle rigidezze, essa viene definita
considerando la struttura indeformata e scarica.

50
È inoltre necessario che le masse strutturali inserite nel modello di calcolo siano effettivamente
rappresentative della struttura in oggetto. A tal fine, SAP2000 definisce una matrice delle masse
di tipo concentrato (lumped) tale per cui si considerano le masse dei vari elementi distribuite sui
nodi. Per ogni nodo, devono essere definite 3 masse traslazionali e 3 masse rotazionali. Nella
presente elaborazione è stata utilizzata una procedura di assegnazione automatica, la quale,
attraverso una ripartizione statica, associa lo stesso valore ai gradi di libertà traslazionali, e valore
nullo a quelli rotazionali. In questo modo, l’inerzia rotazionale deriva unicamente dalla
centrifugazione dei nodi strutturali. Vengono dunque riportati in tabella i valori delle masse
associate ai nodi per entrambi i casi scelti:

Tabella 3.1.13 Caso 1. Masse distribuite ai nodi

Nodo N. Filo Fisso U1 U2 U3 R1 R2 R3


2 2 2 2 2
𝑘𝑁 𝑠 ⁄ 𝑘𝑁 𝑠 ⁄ 𝑘𝑁 𝑠 ⁄ 𝑘𝑁 𝑠 ⁄ 𝑘𝑁 𝑠 ⁄ 𝑘𝑁 𝑠 2⁄
𝑚 𝑚 𝑚 𝑚 𝑚 𝑚
N001 1 0,77 0,77 0,77 0 0 0
N002 2 0,77 0,77 0,77 0 0 0
N003 3 0,77 0,77 0,77 0 0 0
N004 4 0,77 0,77 0,77 0 0 0
N005 5 0,77 0,77 0,77 0 0 0
N006 6 1,45 1,45 1,45 0 0 0
N007 7 1,03 1,03 1,03 0 0 0
N008 8 1,24 1,24 1,24 0 0 0
N009 9 1,03 1,03 1,03 0 0 0
N010 10 1,45 1,45 1,45 0 0 0
N011 11 0,77 0,77 0,77 0 0 0
N012 12 0,77 0,77 0,77 0 0 0
N013 13 0,77 0,77 0,77 0 0 0
N014 14 0,77 0,77 0,77 0 0 0
N015 15 0,77 0,77 0,77 0 0 0
N101 1 1,46 1,46 1,46 0 0 0
N102 2 1,5 1,5 1,5 0 0 0
N103 3 1,5 1,5 1,5 0 0 0
N104 4 1,5 1,5 1,5 0 0 0
N105 5 1,46 1,46 1,46 0 0 0
N106 6 2,69 2,69 2,69 0 0 0
N107 7 1,78 1,78 1,78 0 0 0
N108 8 1,99 1,99 1,99 0 0 0
N109 9 1,78 1,78 1,78 0 0 0
N110 10 2,69 2,69 2,69 0 0 0
N111 11 1,46 1,46 1,46 0 0 0
N112 12 1,5 1,5 1,5 0 0 0
N113 13 1,5 1,5 1,5 0 0 0
N114 14 1,5 1,5 1,5 0 0 0

51
N115 15 1,46 1,46 1,46 0 0 0
N201 1 0,69 0,69 0,69 0 0 0
N202 2 0,72 0,72 0,72 0 0 0
N203 3 0,72 0,72 0,72 0 0 0
N204 4 0,72 0,72 0,72 0 0 0
N205 5 0,69 0,69 0,69 0 0 0
N206 6 1,25 1,25 1,25 0 0 0
N207 7 0,73 0,73 0,73 0 0 0
N208 8 0,75 0,75 0,75 0 0 0
N209 9 0,73 0,73 0,73 0 0 0
N210 10 1,25 1,25 1,25 0 0 0
N211 11 0,68 0,68 0,68 0 0 0
N212 12 0,72 0,72 0,72 0 0 0
N213 13 0,72 0,72 0,72 0 0 0
N214 14 0,72 0,72 0,72 0 0 0
N215 15 0,68 0,68 0,68 0 0 0

Tabella 3.1.14 Caso 2. Masse distribuite nei nodi

Nodo N. Filo Fisso U1 U2 U3 R1 R2 R3


2 2 2 2 2
𝑘𝑁 𝑠 ⁄ 𝑘𝑁 𝑠 ⁄ 𝑘𝑁 𝑠 ⁄ 𝑘𝑁 𝑠 ⁄ 𝑘𝑁 𝑠 ⁄ 𝑘𝑁 𝑠 2⁄
𝑚 𝑚 𝑚 𝑚 𝑚 𝑚
N001 1 1,01 1,01 1,01 0 0 0
N002 2 1,13 1,13 1,13 0 0 0
N003 3 1,13 1,13 1,13 0 0 0
N004 4 1,13 1,13 1,13 0 0 0
N005 5 1,01 1,01 1,01 0 0 0
N006 6 1,79 1,79 1,79 0 0 0
N007 7 1,51 1,51 1,51 0 0 0
N008 8 1,71 1,71 1,71 0 0 0
N009 9 1,51 1,51 1,51 0 0 0
N010 10 1,79 1,79 1,79 0 0 0
N011 11 1 1 1 0 0 0
N012 12 1,12 1,12 1,12 0 0 0
N013 13 1,12 1,12 1,12 0 0 0
N014 14 1,12 1,12 1,12 0 0 0
N015 15 1 1 1 0 0 0
N101 1 1,46 1,46 1,46 0 0 0
N102 2 1,5 1,5 1,5 0 0 0
N103 3 1,5 1,5 1,5 0 0 0
N104 4 1,5 1,5 1,5 0 0 0
N105 5 1,46 1,46 1,46 0 0 0
N106 6 2,69 2,69 2,69 0 0 0
N107 7 1,78 1,78 1,78 0 0 0
N108 8 1,99 1,99 1,99 0 0 0

52
N109 9 1,78 1,78 1,78 0 0 0
N110 10 2,69 2,69 2,69 0 0 0
N111 11 1,46 1,46 1,46 0 0 0
N112 12 1,5 1,5 1,5 0 0 0
N113 13 1,5 1,5 1,5 0 0 0
N114 14 1,5 1,5 1,5 0 0 0
N115 15 1,46 1,46 1,46 0 0 0
N201 1 0,69 0,69 0,69 0 0 0
N202 2 0,72 0,72 0,72 0 0 0
N203 3 0,72 0,72 0,72 0 0 0
N204 4 0,72 0,72 0,72 0 0 0
N205 5 0,69 0,69 0,69 0 0 0
N206 6 1,25 1,25 1,25 0 0 0
N207 7 0,73 0,73 0,73 0 0 0
N208 8 0,75 0,75 0,75 0 0 0
N209 9 0,73 0,73 0,73 0 0 0
N210 10 1,25 1,25 1,25 0 0 0
N211 11 0,68 0,68 0,68 0 0 0
N212 12 0,72 0,72 0,72 0 0 0
N213 13 0,72 0,72 0,72 0 0 0
N214 14 0,72 0,72 0,72 0 0 0
N215 15 0,68 0,68 0,68 0 0 0

Nelle tabelle sovrastanti, U1, U2 e U3 si riferiscono rispettivamente ai gradi di libertà traslazionali


lungo i 3 assi locali (che per i nodi coincidono con quello globali) mentre R1, R2 e R3 si riferiscono
invece ai gradi di libertà rotazionali. Come predetto, si evidenzia che a questi ultimi non vengono
associate masse. Si può immediatamente notare come nei nodi riferiti alle fondazioni, N001, …,
N015, per il caso 1 i valori delle masse sono inferiori in quanto si riferiscono unicamente ai pilastri
a essi afferenti mentre nel caso 2 bisogna conteggiare anche le masse delle travi e delle piastre di
fondazione.

Il tipo di analisi scelto si riferisce agli auto-valori esatti della matrice dinamica. Secondo la
normativa vigente, il numero di modi da prendere in considerazione deve essere tale per cui il
totale delle masse sismiche partecipante non sia inferiore al 85%. Si riportano dunque in tabella i
risultati dell’analisi modale per entrambi i casi di studio, riferiti ai primi 12 modi di vibrare della
struttura. Per quanto riguarda le notazioni utilizzate, si ha:

- Modo: rappresenta l’i-esimo modo di vibrare della struttura;


- Periodo: rappresenta appunto il periodo associato all’i-esimo modo di vibrare;
- Pulsazione: rappresenta la frequenza propria della struttura associata al modo i-esimo;

53
- Auto-valore: rappresenta il risultato i-esimo del problema agli auto-valori caratteristico
della struttura
- UX, UY, UZ: rappresentano le masse associate ai gradi di libertà traslazionali lungo gli
assi globali di riferimento;
- RX, RY, RZ: rappresentano le masse associate ai gradi di libertà rotazionali;
- SumUX, SumUY, SumRZ: rappresentano le cumulate delle masse partecipanti rispetto ai
gradi di libertà specificati.

Tabella 3.1.15 Caso 1. Periodi e Frequenze Modali

Modo Periodo Pulsazione Auto-valore


𝑠 𝑟𝑎𝑑⁄ 𝑟𝑎𝑑2⁄
𝑠 𝑠
1 0,2422 25,9460 673,1800
2 0,2064 30,4440 926,8300
3 0,1791 35,0750 1230,2000
4 0,0773 81,2330 6598,7000
5 0,0633 99,2250 9845,6000
6 0,0545 115,3300 13301,0000
7 0,0399 157,3100 24747,0000
8 0,0390 161,2400 25999,0000
9 0,0357 175,8800 30935,0000
10 0,0347 180,9400 32741,0000
11 0,0347 180,9600 32746,0000
12 0,0344 182,8700 33443,0000

Tabella 3.1.16 Caso 1. Masse Partecipanti

Modo UX UY UZ RX RY RZ SumUX SumUY SumRZ


- - - - - - - - -
1 0,8755 0,0000 0,0000 0,0000 0,1737 0,1000 0,8755 0,0000 0,1000
2 0,0000 0,9406 0,0000 0,3518 0,0000 0,4941 0,8755 0,9406 0,5941
3 0,0806 0,0000 0,0000 0,0000 0,0161 0,3521 0,9560 0,9406 0,9462
4 0,0408 0,0000 0,0000 0,0000 0,0029 0,0048 0,9969 0,9406 0,9509
5 0,0000 0,0590 0,0001 0,0050 0,0000 0,0310 0,9969 0,9995 0,9819
6 0,0030 0,0000 0,0000 0,0000 0,0002 0,0177 0,9999 0,9995 0,9996
7 0,0000 0,0000 0,0895 0,0102 0,0549 0,0000 0,9999 0,9995 0,9996
8 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0161 0,0000 0,9999 0,9995 0,9996
9 0,0000 0,0000 0,0043 0,0019 0,0026 0,0000 0,9999 0,9995 0,9996
10 0,0000 0,0000 0,1693 0,0345 0,1038 0,0000 0,9999 0,9995 0,9996
11 0,0000 0,0000 0,0000 0,9999 0,9995 0,0000 0,9999 0,9995 0,9996
12 0,0000 0,0000 0,0000 0,9999 0,9995 0,0000 0,9999 0,9995 0,9996

54
Tabella 3.1.17 Caso 2. Periodi e Frequenze Modali

Modo Periodo Pulsazione Auto-valore


𝑠 𝑟𝑎𝑑⁄ 𝑟𝑎𝑑2⁄
𝑠 𝑠
1 0,2445 25,7030 660,6600
2 0,2100 29,9210 895,2900
3 0,1798 34,9460 1221,2000
4 0,0971 64,7060 4186,9000
5 0,0781 80,4030 6464,7000
6 0,0648 96,9730 9403,7000
7 0,0630 99,7310 9946,4000
8 0,0547 114,9500 13213,0000
9 0,0526 119,4800 14275,0000
10 0,0429 146,3000 21404,0000
11 0,0426 147,6600 21802,0000
12 0,0387 162,5600 26425,0000

Tabella 3.1.18 Caso 2. Masse Partecipanti

Modo UX UY UZ RX RY RZ SumUX SumUY SumRZ


- - - - - - - - -
1 0,4073 0 0 0 0,0948 0,0477 0,4073 0 0,0477
2 0 0,4335 0 0,2107 0 0,2302 0,4073 0,4335 0,2779
3 0,036 0 0 0 0,0092 0,1645 0,4433 0,4335 0,4424
4 0 0 0,9957 0,6112 0,6844 0 0,4433 0,4335 0,4424
5 0,0221 0 0 0 0,0116 0,0028 0,4654 0,4335 0,4453
6 0 0,0345 0 0,0244 0 0,0183 0,4654 0,468 0,4636
7 0,0009 0 0 0 0,1856 0,0009 0,4664 0,468 0,4644
8 0,0012 0 0 0 0,0015 0,0082 0,4675 0,468 0,4727
9 0 0,0004 0,0002 0,1371 0,0001 0,0002 0,4675 0,4683 0,4728
10 0,0001 0 0 0 0,0014 0 0,4676 0,4683 0,4728
11 0 0 0 0,0007 0 0 0,4676 0,4683 0,4728
12 0 0,0001 0,0005 0,0007 0,0004 0,0001 0,4676 0,4685 0,4729

Dall’analisi delle tabelle possono essere tratte le seguenti considerazioni:

- Così come ci si aspettava, in entrambi i casi si ha un primo modo di vibrare


prevalentemente traslazionale lungo l’asse X, un secondo prevalentemente traslazionale
lungo Y anche se connotato da una componente rotazionale non trascurabile lungo X e Z
e un terzo modo prevalentemente torsionale;

55
- Analizzando la sola sovrastruttura incastrata alla base dei pilastri, l’eccitazione dell’intera
massa sismica viene raggiunta molto prima rispetto al caso in cui vengono considerate
anche le fondazioni, il che può dipendere dalla modellazione scelta per l’interazione del
terreno attraverso molle, le quali agiscono al pari di uno smorzatore lineare nei riguardi
della sollecitazione indotta sulla struttura.

Si riportano infine le deformate modali per i due casi studiati, inerenti ai primi 3 modi di vibrare
della struttura:

Figura 3.1.9.a Caso 1. Modo 1 Figura 3.1.9.b Caso 1. Modo 2

Figura 3.1.9.c Caso 1. Modo 3

56
Figura 3.1.10.a Caso 2. Modo 1 Figura 3.1.10.b Caso 2. Modo 2

Figura 3.1.10.c Caso 2. Modo 3

57
3.2 Istituto Tecnico Industriale “A. Monaco”
3.2.1 Caratteristiche Generali
Si ripete l’analisi appena eseguita per una seconda struttura, l’edificio scolastico “A. Monaco” sito
nella città di Cosenza. Anche questa volta, si tratta di un Edificio Multipiano in cemento armato,
la cui struttura portante è costituita dunque da un telaio tridimensionale di travi e pilastri con
orizzontamenti infinitamente rigidi nel proprio piano. Con riferimento al paragrafo §7.2.2 delle
N.T.C 2008, il quale pone le condizioni di regolarità di una struttura, è possibile affermare che la
struttura non è regolare né in pianta né in elevazione: nel primo caso poiché la condizione di
simmetria delle masse e delle rigidezze non è rispettata lungo l’asse debole della struttura; nel
secondo, invece, poiché la presenza di un piano ammezzato da un solo lato della struttura e la
differente sezione delle travi sui vari impalcati non permette di considerare costante la
distribuzione delle masse e delle rigidezze in altezza.

In pianta, la struttura è infatti costituita da due blocchi rettangolari che, presi singolarmente,
conservano condizioni di regolarità. Nel primo è tuttavia presente un blocco scale in posizione
eccentrica rispetto al baricentro delle masse mentre il secondo, che svolge funzione di refettorio,
non presenta irregolarità geometriche. In elevazione, il primo blocco è costituito di tre impalcati,
di cui uno ammezzato, mentre nel secondo blocco il piano ammezzato non è presente. Il piano
ammezzato presenta un’altezza di interpiano di 2,93 𝑚, il primo piano si sviluppa per ulteriori
3,5 𝑚 e il secondo per un’altezza di 4 𝑚.

Trattandosi di un edificio scolastico con funzioni strategiche importanti, esso ricade in 𝐶𝑙𝑎𝑠𝑠𝑒 𝐼𝑉,
presentando dunque una Vita Nominale pari a 100 𝑎𝑛𝑛𝑖, purché venga effettuata una normale
manutenzione. In riferimento alla Pericolosità Sismica, l’edificio risulta essere in una zona
pianeggiante, e dunque ricadente nella Categoria Topografica 𝑇1. Per il carico neve, esso ricade
in 𝑍𝑜𝑛𝑎 𝐼𝐼𝐼, mentre per l’azione del vento ricade in 𝑍𝑜𝑛𝑎 3. Per quanto riguarda il terreno di
fondazione, non sono invece disponibili informazioni specifiche il che, unitamente alla mancanza
di informazioni sulla tipologia di fondazioni adottate, conduce a una modellazione dell’interazione
suolo-struttura con semplici incastri.

In merito ai materiali utilizzati, si ipotizza una classe di calcestruzzo 𝐶20/25 con le seguenti
caratteristiche:

58
Cls 𝑹𝒄𝒌 𝒇𝒄𝒌 Ec G 𝝂 𝛂

[𝑑𝑎𝑁⁄𝑐𝑚2 ] [𝑑𝑎𝑁⁄𝑐𝑚2 ] [𝑑𝑎𝑁⁄𝑐𝑚2 ] [𝑑𝑎𝑁⁄𝑐𝑚2 ] - [𝐾 −1 ]

Elevazione C20/25 250 207,5 302005 118900 0,27 1E10-5

Tabella 3.2.1 Caratteristiche Materiali

3.2.2 Modello Geometrico


Il software utilizzato per la modellazione della struttura è sempre SAP2000 v. 14. Ai fini di una
migliore comprensione dell’edificio, si riportano di seguito le viste caratteristiche della struttura:

Figura 3.2.1 Vista Assonometrica

59
Figura 3.2.2 Vista in Pianta

Figura 3.2.4.a Vista Anteriore Figura 3.2.3.b Vista Sinistra

Figura 3.2.6.c Vista Posteriore

Figura 3.2.5.d Vista Destra

Figura 3.2.3.a Vista Anteriore Figura 3.2.3.b Vista Sinistra

Figura 3.2.3.c Vista Posteriore Figura 3.2.3.d Vista Destra

60
Come specificato nel caso della modellazione precedente, la modellazione della struttura passa
attraverso la definizione dei fili fissi di cui viene qui riportata la disposizione:
Figura 3.2.4 Fili Fissi

Vengono quindi riportate le coordinate rispetto all’origine del sistema di riferimento prescelto:

Filo Fisso Xf Yf Filo Fisso Xf Yf


𝑐𝑚 𝑐𝑚 𝑐𝑚 𝑐𝑚
N001 2440 0 N017 0 1437,5
N002 2740 0 N018 630 1437,5
N003 0 687,5 N019 940 1437,5
N004 630 687,5 N020 940 1737,5
N005 940 687,5 N021 1240 1737,5
N006 1240 687,5 N022 1540 1737,5
N007 1540 687,5 N023 1840 1737,5
N008 1840 687,5 N024 2140 1737,5
N009 2140 687,5 N025 2440 1737,5
N010 2440 687,5 N026 2740 1737,5
N011 2740 687,5 N027 3040 1737,5
N012 3040 687,5 N028 3340 1737,5
N013 3340 687,5 N029 0 2007,5
N014 0 1067,5 N030 630 2007,5
N015 630 1067,5 N031 940 2007,5
N016 940 1067,5
Tabella 3.2.2 Coordinate Fili Fissi

Per quanto riguarda la modellazione delle fondazioni, è già stato accennato che non si possiedono
informazioni a riguardo. Viene però in aiuto la considerazione, già introdotta nel primo caso di
studio presentato, che, nei riguardi di un’analisi modale, è possibile analizzare il comportamento
della sola sovrastruttura vincolata alla base tramite incastri e demandare l’analisi delle fondazioni
a un secondo momento. Per il caso di studio in esame, si utilizzerà dunque questo tipo di approccio.

61
Per quanto riguarda gli elementi strutturali, ovvero travi, pilastri e solai, il discorso è analogo a
quanto detto per il caso di studio precedente e dunque vengono qui riportate brevemente
unicamente le caratteristiche principali:

Cod Sez B H B/H Area Ix Iy J0


𝑐𝑚 𝑐𝑚 % 𝑐𝑚2 𝑐𝑚4 𝑐𝑚4 𝑐𝑚4
P45x65 45 65 69,2 2925 1029800 493600 1523400
P45x85 45 85 52,9 3825 2303000 645500 2948500
P55x65 55 65 84,6 3575 1258700 901200 2159900
P55x85 55 85 64,7 4675 2814700 1178500 3993200
Tabella 3.2.3 Proprietà Sezione Pilastri

Piano Ammezzato
Pilastro Cod Sez Filo Pilastro Cod Sez Filo Pilastro Cod Sez Filo
P001 P45x65 N001 P012 P45x85 N012 P023 P45x85 N023
P002 P45x65 N002 P013 P45x85 N013 P024 P45x85 N024
P003 P45x65 N003 P014 P55x65 N014 P025 P45x85 N025
P004 P45x65 N004 P015 P55x85 N015 P026 P45x85 N026
P005 P45x65 N005 P016 P55x65 N016 P027 P45x85 N027
P006 P45x85 N006 P017 P55x65 N017 P028 P45x85 N028
P007 P45x85 N007 P018 P55x65 N018 P029 P45x65 N029
P008 P45x85 N008 P019 P55x65 N019 P030 P45x85 N030
P009 P45x85 N009 P020 P45x65 N020 P031 P45x65 N031
P010 P45x85 N010 P021 P45x85 N021
P011 P45x85 N011 P022 P45x85 N022
Piano 1
Pilastro Cod Sez Filo Pilastro Cod Sez Filo Pilastro Cod Sez Filo
P101 P45x65 N001 P112 P45x85 N012 P123 P45x85 N023
P102 P45x65 N002 P113 P45x85 N013 P124 P45x85 N024
P103 P45x65 N003 P114 P55x65 N014 P125 P45x85 N025
P104 P45x65 N004 P115 P55x85 N015 P126 P45x85 N026
P105 P45x65 N005 P116 P55x65 N016 P127 P45x85 N027
P106 P45x85 N006 P117 P55x65 N017 P128 P45x85 N028
P107 P45x85 N007 P118 P55x65 N018 P129 P45x65 N029
P108 P45x85 N008 P119 P55x65 N019 P130 P45x85 N030
P109 P45x85 N009 P120 P45x65 N020 P131 P45x65 N031
P110 P45x85 N010 P121 P45x85 N021
P111 P45x85 N011 P122 P45x85 N022
Piano 2
Pilastro Cod Sez Filo Pilastro Cod Sez Filo Pilastro Cod Sez Filo
P201 P45x65 N001 P212 P45x85 N012 P223 P45x85 N023
P202 P45x65 N002 P213 P45x85 N013 P224 P45x85 N024
P203 P45x65 N003 P214 P55x65 N014 P225 P45x85 N025
P204 P45x65 N004 P215 P55x85 N015 P226 P45x85 N026
P205 P45x65 N005 P216 P55x65 N016 P227 P45x85 N027
P206 P45x85 N006 P217 P55x65 N017 P228 P45x85 N028
P207 P45x85 N007 P218 P55x65 N018 P229 P45x65 N029
P208 P45x85 N008 P219 P55x65 N019 P230 P45x85 N030
P209 P45x85 N009 P220 P45x65 N020 P231 P45x65 N031
P210 P45x85 N010 P221 P45x85 N021
P211 P45x85 N011 P222 P45x85 N022
Tabella 3.2.4 Posizione Pilastri

62
Per quanto riguarda i solai, se ne distinguono principalmente 2 tipologie:

- S16,5+3,5: solai alleggeriti con pignatte in laterizio e soletta sovrastante di 3,5 𝑐𝑚;
- S20+5: presentano la stessa composizione dei precedenti, con una soletta di 5 𝑐𝑚.

Per questo caso di studio, non si hanno informazioni specifiche sulla composizione dei solai, il che
ha portato alla definizione di un solaio tipo formato dagli elementi più comunemente riscontrabili:

- S16,5+3,5
o Interasse travetti 50𝑐𝑚
o Larghezza travetti 10𝑐𝑚
o Soletta Superiore 3,5𝑐𝑚
o Altezza tot. Solaio 20𝑐𝑚
𝒌𝑵
 Peso Proprio Strutturale: 𝟐, 𝟑𝟓 𝒎𝟐

- S20+5
o Interasse travetti 50𝑐𝑚
o Larghezza travetti 10𝑐𝑚
o Soletta Superiore 5𝑐𝑚
o Altezza tot. Solaio 25𝑐𝑚
𝒌𝑵
 Peso Proprio Strutturale: 𝟑, 𝟎𝟎 𝒎𝟐

𝒌𝑵
Ai solai S16,5+3,5 posti sul primo impalcato, si applica un sovraccarico di 0,04 𝒎𝟐 dovuto alla

presenza di attrezzature.

Sol. N. Cod. Solaio TrvI N. TrvF N.


S102 S20+5 T102 T107
S112 S20+5 T106 T111
S113 S20+5 T107 T112
S114 S20+5 T111 T117
S115 S20+5 T112 T118
Tabella 3.2.5 Solai Piano Ammezzato

Sol. N. Cod. Solaio TrvI N. TrvF N. Sol. N. Cod. Solaio TrvI N. TrvF N.
S202 S16,5+3,5 T204 T214 S209 S16,5+3,5 T214 T243
S203 S20+5 T208 T221 S210 S16,5+3,5 T215 T244
S204 S16,5+3,5 T209 T238 S211 S16,5+3,5 T216 T245
S205 S16,5+3,5 T210 T239 S212 S20+5 T220 T233
S206 S16,5+3,5 T211 T240 S213 S20+5 T221 T234
S207 S16,5+3,5 T212 T241 S214 S20+5 T233 T247
S208 S16,5+3,5 T213 T242 S215 S20+5 T234 T248
Tabella 3.2.6 Solai Piano 1

63
Sol. N. Cod. Solaio TrvI N. TrvF N. Sol. N. Cod. Solaio TrvI N. TrvF N.
S302 S16,5+3,5 T304 T314 S308 S16,5+3,5 T313 T339
S303 S20+5 T308 T321 S309 S16,5+3,5 T314 T340
S304 S16,5+3,5 T309 T335 S310 S16,5+3,5 T315 T341
S305 S16,5+3,5 T310 T336 S311 S16,5+3,5 T316 T342
S306 S16,5+3,5 T311 T337 S312 S20+5 T320 T344
S307 S16,5+3,5 T312 T338 S313 S20+5 T321 T345
Tabella 3.2.7 Solai Piano 2

Si vuole infine segnalare, da un punto di vista prettamente modellistico, la scelta di definire i solai
attraverso elementi thick shell di cui si è già discusso nella prima parte di questo capitolo. Essendo
che la sezione resistente del solaio non è rettangolare, bensì a T, è necessario imporre spessori
diversi per i due comportamenti. Per il comportamento a membrana lo spessore coincide con quello
del solaio; per il comportamento a piastra, invece, bisogna definire uno spessore appropriato che
non coinciderà con quello del solaio. Si giunge a determinare questo spessore attraverso uno
stratagemma di calcolo: l’equivalenza del momento di inerzia. Si ricava quindi il momento di
inerzia, è indifferente rispetto a quale asse, della sezione a T realmente reagente e si ricava tramite
formula inversa l’altezza di una sezione rettangolare equivalente. Questa altezza sarà appunto lo
spessore ricercato.

Si riportano quindi le informazioni relative alle travi:

Cod Sez B H B/H Area Ix Iy J0


𝑐𝑚 𝑐𝑚 % 𝑐𝑚2 𝑐𝑚4 𝑐𝑚4 𝑐𝑚4
T45x100 45 100 45 4500 759400 3750000 4509400
T45x120 45 120 37,5 5400 911300 6480000 7391300
T45x50 45 50 90 2250 379700 468800 848500
T45x60 45 60 75 2700 455600 810000 1265600
Tabella 3.2.8 Sezione Travi

Trave Cod Sez FFI FFF Trave Cod Sez FFI FFF
N. N. N. N.
T101 T45x60 N003 N004 T110 T45x60 N016 N019
T102 T45x60 N004 N005 T111 T45x60 N017 N018
T103 T45x60 N003 N014 T112 T45x60 N018 N019
T104 T45x60 N004 N015 T113 T45x60 N019 N020
T105 T45x60 N005 N016 T114 T45x60 N017 N029
T106 T45x60 N014 N015 T115 T45x60 N018 N030
T107 T45x60 N015 N016 T116 T45x60 N020 N031
T108 T45x60 N014 N017 T117 T45x60 N029 N030
T109 T45x60 N015 N018 T118 T45x60 N030 N031
Tabella 3.2.9 Travi Piano Ammezzato

64
Trave Cod Sez FFI FFF Trave Cod Sez FFI FFF
N. N. N. N.
T201 T5x5 23 24 T225 T45x120 N009 N224
T202 T45x120 23 N001 T226 T45x120 N010 N225
T203 T45x120 24 N002 T227 T45x120 N011 N226
T204 T45x60 N001 N002 T228 T45x120 N012 N227
T205 T45x120 N001 N010 T229 T45x120 N013 N228
T206 T45x60 N002 N011 T230 T45x60 N014 N217
T207 T45x60 N003 N004 T231 T45x60 N015 N218
T208 T45x60 N004 N005 T232 T45x60 N016 N219
T209 T45x60 N005 N006 T233 T45x60 N017 N218
T210 T45x60 N006 N007 T234 T45x60 N018 N219
T211 T45x60 N007 N008 T235 T45x60 N019 N220
T212 T45x60 N008 N009 T236 T45x60 N017 N229
T213 T45x60 N009 N010 T237 T45x60 N018 N230
T214 T45x60 N010 N011 T238 T45x60 N020 N221
T215 T45x60 N011 N012 T239 T45x60 N021 N222
T216 T45x60 N012 N013 T240 T45x60 N022 N223
T217 T45x60 N003 N014 T241 T45x60 N023 N224
T218 T45x60 N004 N015 T242 T45x60 N024 N225
T219 T45x60 N005 N016 T243 T45x60 N025 N226
T220 T45x60 N014 N015 T244 T45x60 N026 N227
T221 T45x60 N015 N016 T245 T45x60 N027 N228
T222 T45x120 N006 N021 T246 T45x60 N020 N231
T223 T45x120 N007 N022 T247 T45x60 N029 N230
T224 T45x120 N008 N023 T248 T45x60 N030 N231
Tabella 3.2.10 Travi Piano 1

Trave Cod Sez FFI FFF Trave Cod Sez FFI FFF
N. N. N. N.
T301 T5x5 21 22 T325 T45x100 N309 N324
T302 T45x100 21 N301 T326 T45x100 N310 N325
T303 T45x100 22 N302 T327 T45x100 N311 N326
T304 T45x50 N301 N302 T328 T45x100 N312 N327
T305 T45x100 N301 N310 T329 T45x100 N313 N328
T306 T45x100 N302 N311 T330 T45x50 N314 N317
T307 T45x50 N303 N304 T331 T45x50 N316 N319
T308 T45x50 N304 N305 T332 T45x100 N315 N330
T309 T45x50 N305 N306 T333 T45x50 N319 N320
T310 T45x50 N306 N307 T334 T45x50 N317 N329
T311 T45x50 N307 N308 T335 T45x50 N320 N321
T312 T45x50 N308 N309 T336 T45x50 N321 N322
T313 T45x50 N309 N310 T337 T45x50 N322 N323
T314 T45x50 N310 N311 T338 T45x50 N323 N324
T315 T45x50 N311 N312 T339 T45x50 N324 N325
T316 T45x50 N312 N313 T340 T45x50 N325 N326
T317 T45x50 N303 N314 T341 T45x50 N326 N327
T318 T45x100 N304 N315 T342 T45x50 N327 N328
T319 T45x50 N305 N316 T343 T45x50 N320 N331
T320 T45x50 N314 N315 T344 T45x50 N329 N330
T321 T45x50 N315 N316 T345 T45x50 N330 N331
T322 T45x100 N306 N321
T323 T45x100 N307 N322
T324 T45x100 N308 N323
Tabella 3.2.11 Travi Piano 2

65
Per quanto riguarda il corpo scala, infine, si è deciso per una modellazione a soletta rampante.
Questa scelta ha condotto all’utilizzo di piastre inclinate del tipo shell thin con solo comportamento
a membrana e spessore di 15𝑐𝑚. Sono stati quindi posti dei cordoli di collegamento di sezione
trascurabile ai lati di ogni piastra al fine di favorire la distribuzione delle sollecitazioni.

3.2.3 Analisi Modale


Una volta definito il modello geometrico, è quindi possibile effettuare l’analisi modale della
struttura. Si ripetono le stesse considerazioni iniziali effettuate per il caso precedente e si passa
dunque direttamente alla presentazione delle tabelle:

Tabella 3.2.12 Masse assegnate ai nodi

Nodo N. U1 U2 U3 R1 R2 R3
𝑘𝑁 𝑠 2⁄ 𝑘𝑁 𝑠 2⁄ 𝑘𝑁 𝑠 2⁄ 𝑘𝑁 𝑠 2⁄ 𝑘𝑁 𝑠 2⁄ 𝑘𝑁 𝑠 2⁄
𝑚 𝑚 𝑚 𝑚 𝑚 𝑚
N001 1,96 1,96 1,96 0 0 0
N002 1,96 1,96 1,96 0 0 0
N003 0,98 0,98 0,98 0 0 0
N004 1,96 1,96 1,96 0 0 0
N005 1,96 1,96 1,96 0 0 0
N006 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N007 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N008 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N009 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N010 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N011 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N012 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N013 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N014 1,2 1,2 1,2 0 0 0
N015 3,32 3,32 3,32 0 0 0
N016 2,4 2,4 2,4 0 0 0
N017 2,4 2,4 2,4 0 0 0
N018 2,4 2,4 2,4 0 0 0
N019 2,4 2,4 2,4 0 0 0
N020 1,96 1,96 1,96 0 0 0
N021 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N022 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N023 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N024 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N025 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N026 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N027 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N028 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N029 1,96 1,96 1,96 0 0 0

66
N030 2,56 2,56 2,56 0 0 0
N031 1,96 1,96 1,96 0 0 0
N101 4,62 4,62 4,62 0 0 0
N102 4,62 4,62 4,62 0 0 0
N103 9,4 9,4 9,4 0 0 0
N104 11,29 11,29 11,29 0 0 0
N105 6,75 6,75 6,75 0 0 0
N106 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N107 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N108 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N109 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N110 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N111 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N112 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N113 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N114 7,49 7,49 7,49 0 0 0
N115 12,16 12,16 12,16 0 0 0
N116 8,94 8,94 8,94 0 0 0
N117 9,16 9,16 9,16 0 0 0
N118 10,82 10,82 10,82 0 0 0
N119 8,91 8,91 8,91 0 0 0
N120 5,85 5,85 5,85 0 0 0
N121 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N122 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N123 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N124 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N125 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N126 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N127 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N128 6,05 6,05 6,05 0 0 0
N129 6,8 6,8 6,8 0 0 0
N130 9,76 9,76 9,76 0 0 0
N131 6,79 6,79 6,79 0 0 0
N201 12,8 12,8 12,8 0 0 0
N202 11,34 11,34 11,34 0 0 0
N203 10,14 10,14 10,14 0 0 0
N204 13,13 13,13 13,13 0 0 0
N205 9,36 9,36 9,36 0 0 0
N206 13,2 13,2 13,2 0 0 0
N207 13,2 13,2 13,2 0 0 0
N208 12,34 12,34 12,34 0 0 0
N209 13,2 13,2 13,2 0 0 0
N210 15,38 15,38 15,38 0 0 0
N211 14,44 14,44 14,44 0 0 0
N212 13,2 13,2 13,2 0 0 0
N213 12,06 12,06 12,06 0 0 0

67
N214 8,39 8,39 8,39 0 0 0
N215 14,95 14,95 14,95 0 0 0
N216 10,25 10,25 10,25 0 0 0
N217 10,95 10,95 10,95 0 0 0
N218 8,42 8,42 8,42 0 0 0
N219 9,98 9,98 9,98 0 0 0
N220 8,46 8,46 8,46 0 0 0
N221 12,93 12,93 12,93 0 0 0
N222 12,93 12,93 12,93 0 0 0
N223 12,34 12,34 12,34 0 0 0
N224 12,93 12,93 12,93 0 0 0
N225 12,93 12,93 12,93 0 0 0
N226 12,93 12,93 12,93 0 0 0
N227 12,93 12,93 12,93 0 0 0
N228 11,79 11,79 11,79 0 0 0
N229 8,27 8,27 8,27 0 0 0
N230 12,17 12,17 12,17 0 0 0
N231 8,26 8,26 8,26 0 0 0
N301 9,27 9,27 9,27 0 0 0
N302 8,89 8,89 8,89 0 0 0
N303 3,49 3,49 3,49 0 0 0
N304 7,4 7,4 7,4 0 0 0
N305 6,25 6,25 6,25 0 0 0
N306 9,03 9,03 9,03 0 0 0
N307 9,03 9,03 9,03 0 0 0
N308 9,03 9,03 9,03 0 0 0
N309 9,03 9,03 9,03 0 0 0
N310 10,89 10,89 10,89 0 0 0
N311 10,89 10,89 10,89 0 0 0
N312 9,03 9,03 9,03 0 0 0
N313 8,03 8,03 8,03 0 0 0
N314 5,12 5,12 5,12 0 0 0
N315 12,35 12,35 12,35 0 0 0
N316 6,71 6,71 6,71 0 0 0
N317 4,97 4,97 4,97 0 0 0
N319 4,77 4,77 4,77 0 0 0
N320 5,43 5,43 5,43 0 0 0
N321 9,03 9,03 9,03 0 0 0
N322 9,03 9,03 9,03 0 0 0
N323 9,03 9,03 9,03 0 0 0
N324 9,03 9,03 9,03 0 0 0
N325 9,03 9,03 9,03 0 0 0
N326 9,03 9,03 9,03 0 0 0
N327 9,03 9,03 9,03 0 0 0
N328 8,03 8,03 8,03 0 0 0
N329 5,34 5,34 5,34 0 0 0

68
N330 9,27 9,27 9,27 0 0 0
N331 5,33 5,33 5,33 0 0 0

Tabella 3.2.13 Periodi e Frequenze Modali

Modo Periodo Pulsazione Auto-valore


𝑠 𝑟𝑎𝑑⁄ 𝑟𝑎𝑑2⁄
𝑠 𝑠
1 1,488934 4,2199 17,808
2 1,209528 5,1947 26,985
3 0,996459 6,3055 39,76
4 0,576182 10,905 118,92
5 0,392485 16,009 256,28
6 0,384919 16,323 266,45
7 0,372451 16,87 284,59
8 0,308761 20,35 414,11
9 0,305426 20,572 423,2
10 0,293771 21,388 457,45
11 0,284709 22,069 487,03
12 0,273481 22,975 527,84

Tabella 3.2.14 Masse Partecipanti

Modo UX UY UZ RX RY RZ SumUX SumUY SumRZ


- - - - - - - - -
1 0,8188 0,0001 0 0 0,1459 0,2441 0,8188 0,0001 0,2441
2 0,0006 0,4484 0 0,142 0,0001 0,6218 0,8194 0,4485 0,8659
3 0,0001 0,3903 0 0,123 0 0,0208 0,8195 0,8388 0,8867
4 0,1028 0 0,0004 0,0002 0,0001 0,0278 0,9224 0,8388 0,9145
5 0 0,0029 0,0013 0,0001 0,0004 0,0249 0,9224 0,8417 0,9394
6 0,0003 0,0001 0,0341 0,038 0,0008 0,0006 0,9227 0,8418 0,9399
7 0,0001 0,0883 0 0 0 0,0111 0,9228 0,9301 0,951
8 0,0002 0,0024 0,0017 0,0008 0,0019 0 0,923 0,9325 0,951
9 0 0 0,0935 0,0618 0,0781 0 0,923 0,9325 0,951
10 0 0 0,0394 0,0272 0,1017 0 0,923 0,9326 0,9511
11 0 0 0,0026 0,0014 0,001 0 0,923 0,9326 0,9511
12 0,0007 0 0,0219 0,0282 0,0007 0,0003 0,9236 0,9326 0,9513

Dall’analisi delle tabelle, è possibile notare anzitutto un fatto atipico: il primo modo di vibrare è
prevalentemente traslazionale, il che corrisponde con quello che ci si aspettava; a destare
l’attenzione è invece il secondo modo di vibrare che ha una componente prevalentemente
torsionale. Questo risultato in effetti non è auspicabile in quanto vuole dire che il modo che eccita

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maggiormente la struttura dopo quello principale ha effetti distruttivi sulla stessa. A ben vedere
però, si poteva prevedere qualcosa di simile in quanto la struttura non si presenta regolare in pianta
e presenta eccentricità non trascurabili nei riguardi della rigidezza. Si può infine notare un terzo
modo di vibrare prevalentemente traslazionale lungo l’asse debole della struttura. Detto questo, si
presentano dunque le deformate modali relative ai primi 3 modi di vibrare:

Figura 3.2.7 Modo 1 Figura 3.2.8 Modo 2

Figura 3.2.7 Modo 3

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