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LE VIEUX CORDELIER no.

6 di Camille Desmoulins

VIVERE LIBERI O MORIRE

Decadi 10 Nivose, prima settimana, secondo anno della Repubblica, una e indivisibile.

Peregrinatus est, in animas ejus nequitia non habitavit.

(Valerio Massimo).

Camille Desmoulins ha fatto sfoggio di arguzia con gli aristocratici, ma è sempre stato un buon repubblicano,
ed è impossibile che sia altro.

(Attestato di Collot e Robespierre, seduta dei giacobini).

Anche se non ho fatto un decreto, lungi dal fabbricare, come è accusato l'immortale autore di Philinte, sul
quale dovete permettermi di sospendere il mio giudizio definitivo fino alla relazione; anche se ho pensato
che il miglior gommone per sfuggire a un naufragio fosse, per un deputato, la cassa vuota di Bias, o la cassa
vuota di mio suocero (vedi sotto); e se i calunniatori dovessero sfogliare il mio libro mastro alla fine della
Convenzione, non troverebbero sui suoi fogli nulla, come il 21 settembre 1792, e sarebbero costretti a
concedermi questa giustizia:

John se n'è andato come è venuto;

Tuttavia, oggi, 24 Nivose, considerando che Fabre d'Eglantine, l'inventore del nuovo calendario, è stato
appena inviato a Lussemburgo, prima di vedere il quarto mese dell'Anno repubblicano; considerando
l'instabilità dell'opinione e volendo approfittare del tempo che ancora mi resta con inchiostro, penna e
carta, e con entrambi i piedi sugli androni, per mettere in ordine la mia reputazione e chiudere la bocca a
tutti i calunniatori, passati, presenti e futuri, pubblicherò il mio credo politico, e gli articoli della religione in
cui ho vissuto e in cui morirò, che sia per una pallottola o per uno stilo, che sia nel mio letto, o nella mort
des philosophes, come diceva il compère Mathieu.

È stato detto che il mio lavoro più delicato è stato quello di lenire i problemi degli aristocratici al loro
focolare, nelle lunghe sere d'inverno, ed è per versare sulle loro ferite l'olio del Samaritano che ho
intrapreso questo giornale a spese di Pitt. La migliore risposta è pubblicare il credo politico del Vecchio
Cordelier, e ogni lettore onesto può giudicare se il signor Pitt e gli aristocratici possono accogliere il mio
credo, e se io sono della loro chiesa.

Credo ancora oggi, come credevo nel luglio del 1789, quando osai scrivere a parole, nel mio La France Libre,
a pagina 57, che: "il governo popolare e la democrazia sono l'unica costituzione adatta alla Francia e a tutti
coloro che non sono indegni del nome di uomini".
Si può condividere l'opinione, come fecero Cicerone e Bruto, sulle migliori misure rivoluzionarie e sui mezzi
più efficaci per salvare la repubblica, senza la quale Cicerone avrebbe concluso, per un solo disaccordo, che
Bruto riceveva ghinee da Fotino, il primo ministro di Tolomeo. Penso ancora, come nei giorni in cui ho dato
questa risposta a Marat nell'aprile del 1791, durante il viaggio di St. Cloud, quando mi inviò la prova del suo
famoso numero: Aux armes! ou c'en est fait de nous, con le note a piè di pagina e le modifiche di sua mano,
che io conservo, e per le quali mi consultò su questa prova: "Stampate sempre, mio caro Marat; difenderò
nella vostra persona il patriottismo e la libertà di stampa fino alla morte". "Ma io credo che per stabilire la
libertà basterebbe, se volessimo, la libertà di stampa e una ghigliottina frugale, che colpisca tutti i capi e
faccia a pezzi tutti i complotti senza cadere in errore.

Credo che un rappresentante non sia più infallibile che inviolabile. Se persino la sicurezza pubblica
dovrebbe, in tempo di rivoluzione, limitare la libertà di stampa dei cittadini, credo che non si possa mai
privare un deputato del diritto di esprimere la propria opinione; credo che gli si debba permettere di
sbagliare: è in considerazione dei suoi errori che il popolo francese ha un numero così elevato di
rappresentanti, in modo che gli errori di alcuni possano essere corretti dagli altri. Credo che senza questa
libertà di opinione illimitata non ci sarebbero più assemblee nazionali; credo che il titolo di deputato non
sarebbe più che un canone, e che le nostre sedute mattutine sarebbero davvero molto lunghe se fossimo
obbligati a meditare nel silenzio di un gabinetto che non serve più alla Repubblica e, dopo che il nostro
giudizio si è fatto un'idea su una questione, ad avere il coraggio di esprimere le nostre opinioni sul podio, a
rischio di farci una schiera di nemici. È scritto: Chi resiste alla Chiesa deve essere considerato da voi come un
pagano e un pubblicano". Ma il Gesù sans-culotte non ha detto nel suo libro: Chi ha sbagliato deve essere
visto da voi come un pagano e un pubblicano". Credo, allo stesso modo, che un tale anatema non possa
essere iniziato per il deputato; non quando è in errore, ma quando la sua opinione è condannata dalla
Convenzione e dal Consiglio, non gli sarebbe permesso di persistere e sarebbe eretica.

Per esempio, nel mio quarto numero, anche se la nota a piè di pagina e la parentesi aperta dimostrano
immediatamente che intendevo un Comitato di Giustizia quando ho detto un Comitato di Clemenza, poiché
questa nuova espressione ha fatto scandalo tra i patrioti, visto che i giacobini, i cordelieri e tutta la
Montagne l'hanno censurata, e che i miei amici, Freron e A. Ricord fils, non hanno potuto fare a meno di
scrivermi da Marsiglia per dirmi che ho peccato, mi renderei colpevole se non mi affrettassi a sopprimere il
mio Comitato e a fare mea culpa, cosa che sto facendo qui con perfetta contrizione.

Inoltre, Freron e Ricord parlano con eccellente disinvoltura. Si ha l'impressione che la clemenza sarebbe
fuori luogo nel porto della montagna, e in questo Paese dove ho sentito denunciare l'altro giorno, al
Comitato di Sicurezza Generale, che la notizia della presa di Tolone era stata accolta come una calamità, e
che, otto giorni prima, i più avevano già deposto la coccarda. Certo, se fossi stato mandato qui come
commissario della Convenzione, e fossi stato anch'io un Laplanche o un André Dumont. Ma le leggi
rivoluzionarie, come tutte le leggi in generale, sono rimedi necessariamente subordinati al clima e al
temperamento del paziente; e i migliori, somministrati fuori stagione, possono portare al peggio. Ricordati
dunque, Fréron, che non ho scritto il mio quarto numero a Tolone, ma qui, dove ti assicuro che tutti sono al
passo, e dove non c'è tanto bisogno dello sprone di Pere Duchesne, ma piuttosto della briglia di le Vieux
Cordelier; e te lo dimostrerò con un esempio domestico, senza uscire da casa mia.
Conoscete mio suocero, il cittadino Duplessis, un buon plebeo e figlio di un contadino, il fabbro del villaggio.
Ebbene! L'altro ieri, due commissari della sezione di Muzio Scaevola (la sezione di Vincenzo, vi dirà tutto)
sono venuti a casa sua. Hanno trovato la biblioteca dei libri di diritto e, nonostante il decreto che stabiliva
che né Domat né Charles Dumoulin sarebbero stati toccati, anche se si occupano di questioni feudali, si
sono serviti di metà della biblioteca e hanno caricato due portatori di libri paterni. Trovarono un orologio la
cui punta del pendolo, come la maggior parte, terminava con un trifoglio; ritennero che questa punta
assomigliasse a un fleur de lis e, nonostante il decreto che ordinava di rispettare i monumenti d'arte,
confiscarono l'orologio. Da notare che accanto ad esso c'era un baule su cui era riportato l'indirizzo del
mercante. In questo caso non si poteva negare che si trattasse di un fleur de lis bello e buono, ma poiché il
baule in sé non valeva un corsetto, i commissari si limitarono a grattare il fleur de lis, a differenza dello
sfortunato pendolo, del valore di 1200 livres, che fu portato via, nonostante il suo trifoglio, dagli stessi
commissari, poiché non si fidavano dei portatori con un carico così prezioso; e questo in virtù della legge
che Barere ha felicemente chiamato legge della prensione; anche se il decreto preclude, in questo caso,
l'applicazione della legge. Infine, il nostro duumvirato sezionale, che si pone al di sopra dei decreti, ha
trovato il brevetto di pensione di mio suocero che, come tutti i brevetti di pensione, non è probabile che sia
sul libro mastro della Repubblica, era rimasto nella sua cartella e, come tutti i possibili brevetti di pensione,
iniziava con il protocollo "Luigi, ecc.". Cielo! gridano i commissari, il nome del tiranno! ... E dopo aver ripreso
fiato, soffocando l'indignazione, intascano il brevetto di pensione, 1.000 lire, in altre parole, e portano via il
piatto. L'altro crimine? Il cittadino Duplessis, che era l'impiegato capo delle finanze sotto Clugny, teneva il
timbro di controllo generale all'epoca, come era consuetudine. Un vecchio portafoglio da impiegato, gettato
e dimenticato sopra un armadio in un mucchio di polvere, non toccato e non pensato da forse dieci anni, e
sul quale si potevano distinguere, sotto due dita di sporcizia, le impronte di diversi gigli, La prova che il
cittadino Duplessis era sospetto, e voilà, lui, confinato fino alla pace, e il sigillo messo su tutte le porte di
questa campagna, ricordate, mio caro Freron, che decretò entrambi gli arresti, dopo il massacro del Campo
di Marte, troviamo un asilo che il tiranno non osò violare.

L'ironia della storia è che questo sospetto era diventato il più ultra sessantenne che abbia mai visto. Era il
Père Duchesne della casa. Secondo lui, non confineremmo solo i cospiratori, ma almeno tutti gli
aristocratici, e la ghigliottina è troppo spesso inoperosa. Credo che se fosse stato un po' più contento del
mio numero 5 avrebbe chiuso la porta della casa. Inoltre, la prima volta che andai a trovare i Carmelitani, la
pietà filiale in me non era così forte come la comicità della situazione, e fu impossibile non ridere di gusto
per il complimento che mi venne così naturale e con cui lo salutai: "Ebbene! caro padre, trovi ancora che
solo i controrivoluzionari riescano a mandar giù una bottiglia?". Questo aneddoto risponde a tutto, e spero
che Xavier Audouin non faccia più, alla riunione dei giacobini, questa domanda: "Uomini vigliacchi, che
pretendono di fermare il torrente della rivoluzione, qual è il significato di questi nuovi nomi di comparse, di
ultra-rivoluzionari?". Ne ho appena dato, credo, un esempio. Perché, dopo tutto, non è scritto da nessuna
parte nelle istruzioni sul governo rivoluzionario, che M. Brigandeau, prima con il berretto quadrato allo
Chatelet, ora con un bonnet rouge nella sezione, può infilare un orologio sotto il braccio semplicemente
perché la punta del suo ago finisce in un trifoglio, e, in tasca, il mio brevetto di pensione, perché il brevetto
iniziava, come tutti i brevetti di pensione degli ottantasei dipartimenti, con le parole, "Luigi, re", che si
trovano anche in tutti i libri. E non abbiamo fatto una rivoluzione solo perché il signor Brigandeau possa
cambiare il suo cappello.

Ritorno al mio credo.

Mirabeau ci ha detto: "Non sapete che la libertà è una puttana che ama giacere (usava un termine più forte)
su materassi di cadaveri? "Ma quando Mirabeau disse questo, all'angolo di Rue du Mont Blanc, sospetto che
non parlasse in quel modo della libertà che intende farci amare, ma piuttosto farci temere; io continuo a
credere che la nostra libertà sia l'inviolabilità dei principi della Dichiarazione dei Diritti; sia la fratellanza, la
santa uguaglianza, il richiamo sulla terra, o almeno in Francia, di tutte le virtù patriarcali; È la dolcezza delle
massime repubblicane; è questa res sacra miserabile; è questo rispetto per la sventura che comanda la
nostra sublime costituzione; credo che la libertà, in una parola, sia la felicità, e certamente non si può
persuadere nessun patriota, che abbia riflettuto anche minimamente, che quello creato nel mio giornale sia
un incantevole ritratto della libertà che sta cospirando contro la libertà.

Credo allo stesso tempo, come ho professato, che in un periodo di rivoluzione, una sana politica avrebbe
costretto il Comitato di Pubblica Sicurezza a stendere un velo sulla statua della libertà, a non rovesciare su di
noi tutti in una volta questa cornucopia tenuta in mano dalla dea, ma a sospendere l'emissione di alcuni dei
suoi benefici, per assicurarci in seguito il godimento di tutti. Penso che sia stato bene mettere il terrore
all'ordine del giorno, e fare uso della ricetta dello Spirito Santo, che "il timore del Signore è l'inizio della
saggezza": della ricetta del buon Gesù sans-culotte, che disse: "Metà volentieri, metà con la forza, convertili
sempre, compelle intrare case". Nessuno ha dimostrato la necessità di misure rivoluzionarie con argomenti
più forti di me, anche nel mio vieux Cordelier, che non avete voluto leggere.

Credo che la libertà non sia miseria; che non consista nell'avere abiti logori, consumati fino ai gomiti, come
ricordo di aver visto fare a Roland e Gaudet, né nel camminare con gli zoccoli; credo al contrario che una
delle cose che più distingue un popolo libero da un popolo schiavo sia che non c'è miseria né stracci dove
c'è libertà. Credo ancora, come ho detto nelle ultime tre righe della mia Storia di Brissotins, di cui vi siete
nutriti: "Che solo una repubblica può mantenere la promessa fatta alla Francia, invano dai monarchi per
duecento anni": UNA GALLINA IN PENTOLA PER TUTTI". Lungi dal pensare che la libertà sia l'uguaglianza
della povertà, al contrario credo che non ci sia nulla di meglio di un governo repubblicano per portare la
ricchezza delle nazioni. È questo che i pubblicisti hanno continuato a ripetere fin dal XVI secolo:
"Confrontate", scriveva Gordon, prendendo in giro i nostri nonni una quarantina di anni fa, "l'Inghilterra con
la Francia; le sette Province Unite, sotto il governo degli Stati, con lo stesso popolo sotto il dominio della
Spagna". "

Prima di Gordon, Sir William Temple osservò che: "Il commercio non fiorisce in un governo dispotico, perché
nessuno ha la certezza di godere a lungo di ciò che ha; mentre la libertà non può non portare l'industria alla
vita, e portare le nazioni al più alto grado di prosperità e di ricchezza pubblica che il loro popolo permette
loro di raggiungere; Tiro, Cartagine, Atene, Siracusa, Rodi, Londra, Amsterdam ne sono tutti testimoni". E
poiché la dottrina della libertà, più perfetta tra noi che tra questi vari popoli, fa presagire a Pitt, per la
Francia, l'ultimo grado di prosperità nazionale, e mostra in futuro al figlio di Chatham la nostra patria, che
suo padre aveva tanto aborrito, facendo, con il suo commercio, le sue arti e il suo futuro splendore, la
disperazione delle altre nazioni; è per questa sola ragione, senza dubbio, che la gelosa Inghilterra ci fa
questa atroce guerra". Che importanza ha per Pitt il fatto che la Francia sia libera, se la libertà serve solo a
riportarci all'ignoranza dei vecchi Galli, ai loro detti, ai loro ragli, al vischio e alle loro case che non erano
altro che stalle di argilla?

Lungi dal lamentarsi, mi sembra che Pitt darebbe molte ghinee per una simile libertà stabilita qui da noi. Ma
come farebbe infuriare il governo britannico se si dicesse della Francia ciò che fu detto da Dicaarco
dell'Attica: "In nessuna parte del mondo si può vivere più comodamente che ad Atene, che si abbia denaro
o meno. Coloro che si trovano a proprio agio nel commercio o nella loro industria possono procurarsi tutte
le comodità immaginabili, e per quanto riguarda coloro che cercano di diventarlo, ci sono così tante
botteghe in cui si guadagna abbastanza per essere intrattenuti agli Anthesteria e avere ancora qualcosa da
parte, che non c'è modo di lamentarsi della povertà senza essere rimproverati per l'ozio". Credo che la
libertà non consista nell'uguaglianza delle privazioni, e che la più grande lode che l'Assemblea potrebbe
avere, sarebbe quella di lasciare questa eredità: ho trovato una nazione senza culottes e l'ho lasciata con le
culotte. Coloro che, per un residuo di benevolenza nei miei confronti, e per quel vecchio interesse che
conservano per il Procuratore Generale della Lanterna, spiegano quella che chiamano la mia apostasia,
sostenendo che sono stato influenzato, e mettono le iniquità dei miei numeri 3 e 4 sulle spalle di Fabre
d'Eglantine e di Philippeaux, che hanno già abbastanza responsabilità personali, li ringrazio per la gentilezza
in questa scusa, ma questi dimostrano chiaramente di non conoscere l'indomita indipendenza della mia
penna, che appartiene solo alla Repubblica, e forse un po' alla mia immaginazione e alle sue deviazioni, se
volete, ma non all'ascendente e all'influenza di nessun altro. Coloro che condannano il Vieux Cordelier non
hanno letto le Rivoluzioni di Francia e del Brabante. Ricorderebbero che questi sono gli stessi sogni della mia
filantropia, per i quali mi rimproverano, che hanno servito potentemente la rivoluzione nei miei numeri 89,
90 e 91. Vedrebbero che non ho cambiato il mio stile di vita. Vedrebbero che non sono cambiato, che sono
gli stessi patrioti ad avermi inculcato questi errori con i loro applausi, e che questo sistema di
repubblicanesimo che vogliono che io proscriva completamente, non è apostasia in me, ma impenitenza
finale.

Non possiamo quindi più ricordare la mia ira contro Brissot? Almeno tre anni fa, a proposito di un numero
del Patriote Francais, in cui osò richiamarmi all'ordine e mi chiamò "muscadin repubblicano", per aver
affermato le stesse opinioni che ho appena professato. "Che cosa intendete", risposi da qualche parte (nel
mio secondo volume, credo), "che cosa intendete con il vostro brodo nero e la vostra libertà spartana? Il bel
legislatore QUE CE Licurgo per il quale la scienza consisteva solo nell'imporre privazioni ai suoi cittadini; che
rendeva i cittadini uguali come una tempesta rende uguali i naufraghi; come Omar rendeva uguali tutti i
musulmani, e come i dotti dagli altri, bruciando tutte le biblioteche! Non è questa l'uguaglianza che
invidiamo, non è questa la mia repubblica. L'amore di sé, diceva J.-J. Rousseau, è la più potente e persino, a
mio avviso, l'unica motivazione delle azioni degli uomini. Se vogliamo amare la Repubblica, dobbiamo, M.
Brissot de Warville, dipingerla in modo che amare la Repubblica sia amare se stessi".

Non possiamo quindi più ricordare il mio Discours de la Lanterne? in cui, quindici mesi fa, mi scagliai contro
un pamphlet intitolato: Il trionfo dei parigini, in cui l'autore voleva farci credere che, in poco tempo, Parigi
sarebbe diventata deserta come l'antica Ninive; che, in sei mesi, l'erba avrebbe nascosto il selciato di Rue
Saint-Denis e di Place Maubert; che avremmo avuto strati di melone sulla terrazza delle Tuileries e quadrati
di cipolle al Palais Royal. "Addio, diceva, sarti, tappezzieri, sellai, droghieri, doratori, miniatori, gioiellieri,
orafi, modiste e sacerdotesse dell'Opera, dei teatri e dei ristoranti. "L'aristocratico autore non lasciava nulla
ai fornai, ed era convinto che avremmo mangiato erba e saremmo diventati un popolo di lazzaroni e filosofi,
con bastoni e sacchi. Si può leggere, nella mia Lanterne aux Parisiens, come mi oppongo a questo profeta di
sventura che ha sfigurato la mia repubblica, e con quale profezia contrastante mi oppongo a questo Mathan
dell'aristocrazia. "Cosa? Ho gridato: "Più Palais Royal! Più Opera! Più Méot! Questo è l'abominio della
desolazione predetto dal profeta Daniele; questa è una vera e propria controrivoluzione! "

E io lavoravo per offrire invece quadri felici della rivoluzione, e per far prevedere in Francia altri effetti di cui
mi facevo quasi garante. E i giacobini e i Cordeliers mi applaudirono. Ed è attraverso questi quadri che,
missionario della rivoluzione e della repubblica, mi sono integrato nello spirito dei miei ascoltatori; che ho
diviso gli egoisti, cioè ogni uomo, secondo la massima inoppugnabile di J.-J. Rousseau che ho sottolineato
prima; che ho battezzato molti e li ho portati nel seno della chiesa dei giacobini. No, ci possono essere solo
trecento impiegati di Dubois che, pensando che fosse loro onore vendicare la piccola puntura che avevo
fatto all'autostima del ministro della Guerra, invece di ricusarsi, come richiedeva la delicatezza, si sono
sollevati per scomunicarmi e allontanarmi dai giacobini. Sebbene questo decreto fosse stato riportato in
seduta, dopo un'orazione di Robespierre durata un'ora e mezza, è impossibile che la società, anche all'inizio
della seduta, mi avesse allontanato per aver professato, in le Vieux Cordelier, lo stesso corpo di dottrina che
era stato applaudito tante volte nelle mie Rivoluzioni di Brabante, e per il quale ero stato nominato
Procuratore Generale Lanterna, quattro anni prima che il mio ufficio passasse a Padre Duchesne. Vediamo
che, nei miei documenti, ciò che ora viene chiamato moderazione è il mio vecchio sistema di utopia.
Vediamo che il mio peccato è quello di essere rimasto nella stessa posizione in cui mi trovavo il 12 luglio
1789, senza spostarmi di un centimetro, né di Adamo; il mio peccato è quello di aver mantenuto i vecchi
errori de La France libre, de La Lantern, de Les Revolutions de Brabant e de La Tribune des Patriotes, senza
poter rinunciare al fascino della mia Repubblica dell'Abbondanza.

Sono costretto a rimandare il resto del mio credo politico a un altro giorno, non volendo sopportare che altri
miei numeri vengano venduti per venti sous, come è successo con il mio quinto, dando adito a calunnie.
Sapete bene, cittadino Desenne, che, lungi dal vendere i miei giornali alla Repubblica, non li vendo
nemmeno al mio libraio, per evitare che qualcuno dica che sono un mercante di patriottismo, e che non
dovrei mettere un prezzo così alto sui miei scritti rivoluzionari, visto che sono la mia merce. Ma a sua volta,
cittadino Desenne, la esorto a preoccuparsi della popolarità dell'autore. Sì, siete voi che mi avete perso. Il
prezzo esorbitante del n. 5 è il motivo per cui nessun sans-culotte ha potuto leggerlo; e Hebert è stato un
trionfo completo su di me. Anche se la società dei giacobini si fosse fatta leggere il numero 5, e avesse
voluto ascoltare il mio difensore ufficioso, come aveva fatto il decreto! L'attenzione e il silenzio che i tribuni
avevano prestato ai miei numeri 4 e 3 (il che dimostra che le orecchie del popolo non sono così Hébertiste
come dicono, e che egli ama che gli si parli in un'altra lingua e si onora di credere di sentire il francese), il
disfavore molto poco evidente con cui i tribuni avevano ascoltato questi due numeri, annunciava che la
lettura del quinto numero sarebbe valsa un'assoluzione generale, ma a quanto pare il comitato di guerra
non ha mai acconsentito a questa lettura, cosicché se la società non aveva portato alla mia rimozione, la
negazione della giustizia era la più grande. E siete voi, cittadino Desenne, la ragione per cui la mia popolarità
è stata persa contro Hébert in quella famosa battaglia di Jemmapes; o piuttosto è colpa mia se ho fatto
scuse così lunghe. D'ora in poi i miei numeri saranno più brevi. Voglio soprattutto essere letto dai sans-
culottes ed essere giudicato dai miei pari; e insisto con voi, quando dovrete usare una carta scadente,
affinché non vendiate i miei numeri per strada a più di quanto il Pere Duchesne venda i suoi a Bouchotte,
cioè 2 sous per 8 pagine, e 120 mila franchi per 1200 mila copie.

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