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UN ALTRO

CALCIO

Daniele Colasuonno

Un altro calcio

Copyright © 2020 Daniele Colasuonno Tutti i diritti riservati.

Codice ISBN: 9798587320192

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In ricordo

dei miei nonni scomparsi,

Un giorno, ti accorgerai di ciò che il tempo ti ha tolto, perché non troverai


mai più niente di così bello…

Vivi oggi senza paura i tuoi sogni e le tue emozioni, perchè un giorno
saranno i tuoi ricordi.
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“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare. Esso ha


il potere di unire le persone in un modo che poche altre cose fanno.

Parla ai giovani in una lingua che comprendono.

Lo sport può portare speranza dove una volta c’era solo disperazione.”

(Nelson Mandela)

Un altro calcio

Quanti di voi durante una partita vista dagli spalti o dalla panchina hanno
INCORAGGIATO e SOSTENUTO, quel bambino che in campo era in
DIFFICOLTÀ rispetto al resto della squadra?

Quanti di voi l'hanno fatto per AMORE e non per COMPASSIONE?

Possiamo scrivercelo all'infinito che il calcio giovanile deve cambiare...ma


dobbiamo essere noi i primi a dare l'esempio, in campo e fuori.

Daniele Colasuonno

Un altro calcio

PREMESSA

Quello che da bambino sembrava un passatempo innocente, diventa


crescendo uno stile di vita, una filosofia di pensiero, un’irresistibile
passione.
Marco racconta la sua storia toccando diversi aspetti della sua vita sportiva,
ripercorrendo ricordi vissuti con il suo primo allenatore, mister Peppino
Perego, accompagnandoci in un viaggio ricco di emozioni nel suo personale
“album dei ricordi”.

Marco è un inguaribile sognatore che ha basato la sua vita su valori come il


rispetto, la collaborazione, l’integrazione, la disciplina, l’impegno, il
sacrificio. La voglia e la determinazione di far sapere che il calcio può
essere l’elemento fondamentale per la crescita educativa di un ragazzo,
incarnando i valori dello sport vissuti dal punto di vista “umano” troppo
spesso trascurato in questo mondo.

Un altro calcio

Dopo la lettura del racconto, troverete delle testimonianze reali di alcuni


protagonisti che hanno deciso di raccontare la propria esperienza a tutti voi,
mettendo a nudo i propri sentimenti.

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INFORMAZIONI SULL'AUTORE

Daniele Colasuonno, nato nel 1981 a Cernusco sul Naviglio (MI), laureato
in infermieristica presso l’Università degli studi di Milano.

Tecnico CSI, precedentemente coach della prima squadra degli Insuperabili


Milano.

A marzo 2020, collaboratore nel progetto “Keep fit! Play at home” e


responsabile della sezione disabili, pubblicata nel libro “Keep Fit! Play at
home” ad ottobre 2020.

Autore ed unico gestore della pagina facebook “Un altro calcio”, dove si
evincono i principi ed i valori dello sport, quello sano, quello che viviamo
quotidianamente.
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LA GENESI

“Che sport gli facciamo fare?”

Una delle classiche domande che i genitori iniziano a porsi in età


prescolare, soprattutto al rientro dalle vacanze estive con l’imminente
inizio dell’anno scolastico.

Correva l’anno 1989, ma in Italia non si aspettava altro che il 1990, l’anno
del Mondiale. Raffaella e Pietro, genitori molto attenti alla salute del
proprio figlio, Marco, optano per il nuoto.

Marco è sempre stato visto dai suoi genitori, come piccolo e un po'
“fragilino”, pertanto i suoi genitori cercano di trovare uno sport che possa
dare dei benefici sulla sua salute. Il nuoto viene visto da sempre come lo
sport più completo, coinvolge quasi tutti i muscoli del corpo ed è un’ottima
attività ricreativa che può essere utile nella vita, dov’è importante anche
saper nuotare. Quando sono i genitori a decidere che sport devi fare, la
situazione può diventare problematica, specie se come nel caso di Marco
c’è un rifiuto totale a questo tipo di attività.

Un altro calcio

Avevo, quasi 8 anni li avrei compiuti a novembre, ma per via delle mie
continue febbri durante l’infanzia, non avevo ancora iniziato a praticare uno
sport, mamma e papà volevano aspettare che crescessi e mi rafforzassi un
po'…

Ma io, al contrario, mi sentivo forte come un leone! Mi svegliavo ogni


mattina con il pallone accanto al cuscino, lo abbracciavo forte, quasi come
se sentissi il respiro di quel SUPERTELE che seppur un po' sgonfio e
rovinato era il mio amico inseparabile.
Mi svegliavo al mattino e facendo colazione ancora con uno sguardo
assonnato, cercavo subito di parlare di calcio con mia mamma e mio fratello
maggiore Alberto, che non ne volevano sapere di sentirmi e sviavano ogni
mio discorso ponendo attenzione alla tv che trasmetteva i primi programmi
del giorno.

“Alle 6.45 del mattino forse non era l’orario migliore”

pensava Alberto, lui era un ragazzotto di 12 anni molto riflessivo e amante


della musica italiana, che 10

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sognava di suonare in una band e frequentava la scuola civica di musica a


Cernusco sul Naviglio, una piccola cittadina in provincia di Milano.

Io, al contrario di mio fratello Alby, sono sempre stato un inguaribile


sognatore, mi distraevo facilmente e fantasticavo ad occhi aperti guardando
l’album delle figurine, sperando un giorno di diventare come il mio idolo
Franco Baresi. Baresi, capitano del Milan era per tutti noi ragazzini
l’esempio di chi con la massima umiltà e serietà ce l’aveva fatta. Un leader
silenzioso, che giocava come libero, un avversario ostile e difficile da
superare, che ha saputo trasmettere in un bambino come me qualcosa di
raro. Un ruolo che oggi non esiste più, l’ultimo ostacolo prima del portiere.
Lui sapeva comandare la difesa, capiva in anticipo i movimenti degli
attaccanti ed era sempre puntuale negli interventi, togliendo la palla ai
migliori giocatori del mondo.

A differenza di molti miei coetanei, io non sognavo di far goal come Van
Basten o Maradona.

Ero rimasto affascinato da questo ruolo, anche 11

Un altro calcio

perché mio papà mi parlava sempre di Gaetano Scirea nato a Cernusco


anche lui e tragicamente scomparso per un incidente. Non avendo mai visto
giocare Scirea, mi sono innamorato del Milan e di Baresi e amavo giocare
con i miei amici cercando di aiutare la squadra sacrificandomi in un ruolo
che nessuno amava, quello dell’ultimo difensore.

Questa innata passione per il calcio nacque per caso, o forse per sbaglio…
ma sono certo di una cosa se non l’avessi scelta io, sarebbe stata lei a
scegliere me.

A mia madre il calcio proprio non piaceva, anzi le faceva paura. Lei non
voleva che uno dei suoi figli si allenasse sotto gelide temperature e con il
rischio di prendersi qualche polmonite. Mia mamma è stata iperprotettiva,
forse anche in modo esagerato, e voleva come tutte le mamme il meglio per
ognuno di noi, tanto che mi iscrisse forzatamente a nuoto, nonostante il mio

“disappunto”

Dopo il primo mese di scuola nuoto, le cose non cambiano…anche se mia


mamma insisteva 12

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ripetendomi: “Vedrai che poi ti piacerà e ti divertirai, guarda gli altri bimbi
come sono contenti di essere qui!”.

Frequentavo la piscina più importante del paese, quella dove c’erano gli
istruttori più bravi e preparati, quella che premurosamente avevano scelto i
miei genitori, ma l’amore e la passione per il calcio non si sono spenti
dentro una piscina.

Ricordo di un pomeriggio, in una delle mie noiosissime lezioni di nuoto, il


maestro che ci chiedeva di fare le bolle cercando di restare a galla a bordo
vasca, ma mi bruciavano gli occhi e a fatica riuscivo a tenerli aperti.

Ad un certo punto alzai la testa e mi sollevai un attimo gli occhialini


appannati e cercando di riprendere velocemente fiato, guardai fuori dalla
vetrata…

Mi accorsi che davanti a me c’era un campo di calcio e che sotto pioggia e


fango si allenavano dei bambini.
Rimasi qualche secondo incantato, cercando di capire come mai non me ne
fossi accorto prima e 13

Un altro calcio

come mai quei bambini potevano allenarsi anche sotto la pioggia mentre a
me era vietato.

Da quel momento scattò dentro di me una scintilla, quella che nella vita ci
fa perdere il senso della ragione per inseguire un sogno.

Difatti da quel preciso istante per me tutto si fece più chiaro, sapevo cosa
voleva e lo volevo a tutti i costi.

A fine lezione provai subito a dirlo a mia madre, e lo feci prima di rientrare
nello spogliatoio, picchiettando tutto infreddolito sul vetro che separava gli
spalti dalla piscina. Cercando il suo sguardo dissi balbettante dai brividi:
“Anch’io voglio giocare là!”, mamma annuì e sorrise, ma senza capire cosa
stessi balbettando.

Negli spogliatoi, avevo i brividi, inoltre c’era una puzza di cloro assurda,
ma avevo la testa altrove…volevo cambiarmi e scappare da quel posto che
non sentivo mio.

Ragazzi avevo in mano la soluzione e nessuno sembrava volermi


ascoltare!!!

Esisteva una squadra di calcio proprio vicino a casa 14

Un altro calcio

mia, mi sembrava un sogno, avevo scoperto qualcosa di eccezionale e


volevo che diventasse subito realtà.

All’uscita dallo spogliatoio ad attendermi c’era la mamma con la merenda e


le sue solite raccomandazioni:

“Ti sei asciugato bene? Non hai dimenticato nulla?”.


La guardai esclamando: “SIII!!! HO FATTO

TUTTO!!!”.

Mia mamma stupita dal tono ribatte:

“Perché mi rispondi così seccato? Sai che mi preoccupo per te, amore”.

Non mi diedi per vinto e andai all’attacco:

“Mamma lo so, ma io voglio giocare a calcio in quella squadra là fuori,


quella che si allenava sul fango davanti a me, voglio diventare un giocatore
come loro” dissi con toni decisi.

Lei rimase in silenzio accompagnandomi in macchina, sotto una fitta


pioggia autunnale.

Durante il breve tragitto cercò di dissuadere i miei pensieri facendomi delle


domande scontate: 15

Un altro calcio

“Ti sei divertito oggi?”

“Tutto bene a scuola?”

“Sai che domani dobbiamo andare a vedere il regalo per il compleanno


della nonna? Mi aiuti?”

Una raffica di domande, tutte con lo stesso tono e tutte senza risposta da
parte mia.

Mi sentivo incompreso e non volevo essere visto e giudicato come un


bambino capriccioso!

Tentai invano di far cambiare idea ai miei genitori, cercando in mio fratello
Alberto il giusto alleato per affrontare il discorso.

Dopo diversi tentativi andati male, arrivarono ad un


compromesso

grazie

soprattutto

alla

mediazione di papà che non voleva più sentire i miei capricci.

“Va bene, ti iscriviamo a calcio, però se non andrai bene a scuola ed


inizierai ad ammalarti, tornerai a fare nuoto!” disse in modo autoritario
papà, pur sapendo che quelle parole mi avrebbero reso il bambino più felice
dell’universo.

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Un altro calcio

“Datemi

un

pizzicotto!

Sto

sognando?”

inaspettatamente non sapevo più cosa dire…restai con la bocca aperta per lo
stupore, non pensavo proprio di esserci riuscito!

Mio papà intenerito dal mio sguardo mi abbracciò esclamando:

“Beh, Marco, cosa ne pensi se andiamo al campo a chiedere, chissà se sei


ancora in tempo…forse hanno chiuso le iscrizioni…”.

Bene, ci ero riuscito! Da questo momento ero a tutti gli effetti un giocatore
della Cernuschese!
Grazie al consenso dei miei genitori che mi hanno accontentato sono
riuscito a realizzare uno dei suoi sogni, ovvero quello di far calcio e di farlo
proprio in quel campo che avevo visto dalla vetrata della piscina.

Dopo aver ritirato la tuta ed il materiale, passai un’ora davanti allo specchio
facendo tutte le pose da calciatore e sentendomi di colpo grande, iniziai a
vivere un nuovo sogno a tinte ROSSO-BLU.

La piscina? Era già un vecchio ricordo.

La mia squadra si allenava e giocava a Cernusco 17

Un altro calcio

sul naviglio in provincia di Milano, il campo era a ridosso del Naviglio


Martesana, vicino alla scuola superiore ed alla Bocciofila, dove mio nonno
era presidente onorario.

Il mio primo allenatore è stato un uomo di circa 65 anni che ha giocato fino
a 28 anni nei professionisti, raggiungendo la Serie B con il Fanfulla per
abbandonare il calcio al termine della stagione 1953-54 a causa di un
episodio di corruzione calcistica, nota come il caso Gaggiotti, che segnò
una pagina nera per il Fanfulla, dove subì 5 punti di penalizzazione e
retrocesse in Serie C.

Giuseppe Perego, detto Peppino, o più amichevolmente Mister PP, era un


uomo dai sani principi con delle convinzioni profonde e valori ben solidi.

Dell’abbandono al calcio professionistico non si conosce il suo vero


pensiero anche perché non amava parlarne, avendo vissuto tutto in prima
persona rimase dentro di lui una ferita mai rimarginata, una delusione
incolmabile che lo 18

Un altro calcio

portò a scegliere di abbandonare quella vita che non lo rappresentava più.

Ciò che mi colpì di Mister PP, fu la sua umiltà e la sua pazienza nei
confronti di un mondo che corre frenetico verso lunatici traguardi, dove
spesso valori e motivazioni si perdono per strada.

Mister Perego, sapeva bene che in questo mondo pochissimi o forse


nessuno di noi sarebbe diventato un calciatore, ma tutti saremmo diventati
uomini. La Cernuschese, era fiera di avere tra le sue fila un vero uomo di
campo capace di educare e formare i bambini mettendoli sempre al centro
del progetto.

Perego era una sorta di vip in una società di paese, un po' come avere
Arrigo Sacchi ad allenare dei pulcini.

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Un altro calcio

Per rendere omaggio a questa grandissima persona,

la

Cernuschese

fece

appendere

all’ingresso degli spogliatoi, una targa con una frase del mister:

“La squadra è lo specchio delle persone che siamo, se mancano delle


regole, purtroppo voi sarete delle vittime inconsapevoli”

(Peppino Perego)

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DOMENICA SI GIOCA

IL TORNEO
Avevo coronato il primo dei miei sogni, o forse il primo importante…quello
che credevo fosse irrealizzabile.

Le scarpette, i calzettoni, i pantaloncini, la maglietta, la tuta, la borsa…tutto


questo mi mandavano letteralmente in estasi! Al punto che non parlavo più
d’altro che della mia nuova avventura e di cosa facevo in allenamento con il
mister e i miei compagni.

Anche i miei genitori, inizialmente contro il calcio, hanno dovuto ricredersi


contagiati dal mio entusiasmo che mi aveva donato un sorriso unico, che
negli ultimi mesi si era smarrito.

Con il passare del tempo mi accorgevo che era la mia fonte di energia, mi
aiutava a caricarmi, mi faceva divertire e mi dava sempre nuove e diverse
emozioni.

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Un altro calcio

Finchè arrivò il giorno che iniziarono a farsi vive le mie prime paure…

Il primo torneo, non saper come sarà, non aver mai indossato la divisa da
gioco, l’ansia di deludere.

Tutti questi pensieri vennero improvvisamente nella mia testa.

<<Mamma, papà il mister ci ha comunicato che domenica si gioca a


Vimodrone…un torneo che dura tutto il giorno! Con tante squadre e
tantissimi bimbi…, ha detto di dirvi che il ritrovo è qui a Cernusco, al
campo alle 8.30 di mattina poi andiamo tutti insieme>>.

Nel 1989 non esistevano le chat di whatsapp, e fortunatamente i bambini si


informavano e preoccupavano in modo molto attivo delle loro attività.
Anche se non lo sapevo, il mio allenatore aveva già comunicato ai genitori
tutto anticipatamente, che molto contenti di me hanno fatto finta di non
esserne a conoscenza:
<<Molto bene Marco, faremo di tutto per accompagnarti e per assistere alla
tua prima 22

Un altro calcio

partita>> disse con tono quasi distaccato, celando la sua emozione, mio
papà.

Arrivò il sabato sera, erano le 21 circa, io provai a riordinare la borsa ma mi


sentivo ancora insicuro e chiesi aiuto a mia mamma perché la paura di
dimenticarmi qualcosa era troppo grande.

Il mister ci aveva chiesto di prepararla da soli e così il senso di


responsabilità mi rendeva ancor più consapevole dei miei “doveri”, ma
avevo già troppe paure e non riuscivo a concentrarmi.

Mia mamma, nonostante sia contraria al calcio come sport, con molta
serenità mi tranquillizza facendomi capire quanto siano belle queste
sensazioni che sto provando e quanto sia importante esser felice di tutto
questo.

Arrivò velocemente la domenica, l’attesa era finita, il giorno che avevo


sempre sognato di vivere, finalmente si gioca!

Fu una domenica diversa dalle altre specie per la mia famiglia che si
apprestava a rivedere le proprie abitudini.

Sveglia puntata alle 7.00, con i miei che speravano 23

Un altro calcio

di riposare un po' di più…

“Oggi potevamo dormire fino alle 9.00, fare colazione con calma al bar,
andare a messa e invece no…”, bisbiglia ancora assonnata mia mamma.

…ma dalla cameretta arrivai come un tornado:


<<Che emozione, mi sento così felice oggi!!! Non vedo l’ora di giocare,
sono andato a letto ieri sera alle nove e mezza e l’emozione non mi faceva
addormentare, pensavo alle tante squadre che avrei trovato, a chi avrei
marcato…e chissà dove avrei giocato e magari anche segnato un gol!!!>>
Ripetevo sognando ad occhi aperti, incredulo.

Per la mia famiglia fu impossibile restare cinque minuti in più a letto, li


avevo letteralmente tirati giù dalle brande ed ero già pronto in cucina con i
biscotti ed il mio album di figurine, dove cercavo sempre quella del mio
idolo, il capitano Baresi.

Fu una colazione molto veloce, i miei preferirono bersi un semplice caffè


giusto per svegliarsi, e poi tutti pronti via in macchina destinazione torneo.

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Un altro calcio

Eravamo ad ottobre le temperature del mattino erano umide, si percepiva


quella sensazione di freddo che penetrava dentro la tuta dando vita a quel
brivido che fa ballare le gambe come quando siamo agitati. Le mie mani
erano fredde, gelate, avevo gli scarpini con dei lacci duri e freddi che si
slacciavano e che non riuscivo a riallacciarmi da solo, ricordo che avevo
delle scarpette dure e nere che mio papà ammorbidiva con del grasso di
foca e mi diceva: “Tra qualche partita saranno morbide come un guanto”. E
poi ricordo tanta, tanta, tantissima voglia di vivere questa nuova avventura.

Arrivati a Vimodrone abbiamo salutato i nostri genitori e seguito il mister


che ci chiamò e salutò abbracciandoci uno ad uno e domandando subito
dopo a tutta la squadra:

“Siete tutti pronti a scendere in campo, a divertirci e giocarcela fino


all’ultimo minuto?”.

Se ci fermiamo a riflettere, un torneo è sempre molto impegnativo per tutti.

Si gioca tutto il giorno, spesso bisogna combattere contro le cattive


temperature, il sole 25
Un altro calcio

d’estate come le piogge e il freddo nei mesi invernali.

Ma non solo…ci sono delle pause lunghissime tra una partita e l’altra, senza
poi parlare dell’attesa per le premiazioni. Il torneo è spesso l’esordio
stagionale ma anche la chiusura dell’anno sportivo.

Ai tornei si conoscono tantissimi avversari, molti sono dei veri e propri


“vicini di casa” e con alcuni nascono delle splendide amicizie. Nei tornei
c’era sempre il clima di una festa, mangiavamo e giocavamo insieme anche
fuori dal campo mischiando i nostri colori societari. Tante volte durante la
pausa pranzo abbiamo mangiato un boccone e siamo andati a giocare
insieme agli altri bambini nel campetto da basket vicino in attesa che
ricominciasse il torneo. Nonostante i genitori e gli allenatori ci chiedessero
di restare un po' tranquilli all’ombra, noi scappavamo a giocare perché in
fondo tutti noi eravamo lì proprio per giocare e non per sfidarci a chi era il
più forte di tutti.

Questo succedeva spesso da bambini, perché alla fine il pallone ci univa e


non ci separava di certo il 26

Un altro calcio

colore diverso di una maglietta.

Eravamo così liberi e spensierati, e ci divertivamo davvero con poco.

…Tutta settimana non aspetti altro che arrivi quel momento.

Pochi istanti prima di entrare in campo, il cuore ti arriva in gola ed inizia a


correre anche se tu sei seduto nello spogliatoio, è sempre come se fosse la
prima volta, poi quando inizia la partita tutti torniamo bambini, anche i
nostri genitori fuori si divertono e tifano per noi.

Sono momenti indelebili che restano per tutta la vita, sei felice, corri, calci
il pallone, ti disperi quando perdi, esulti quando segni, festeggi con i
compagni quando vinci, pareggi e vorresti che non finisse mai…gli
spogliatoi, la doccia…è tutto così semplice da raccontare, ma
tremendamente complicato da far comprendere a chi non ha vissuto tutto
questo.

Che dirvi…<<Amo il calcio>>.

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Un altro calcio

Un po' avvilito noto che il tempo ha cambiato diversi aspetti del calcio e mi
riferisco a quando ero bambino…il calciatore era una sorta di eroe un vero
idolo delle folle, che ti trasmetteva passione e senso di appartenenza…col
passare degli anni le bandiere sono state sempre meno, e si è fatto
prepotentemente spazio il business.

Da bambini non conoscevamo di certo gli schemi 3-4-1-2…falso 9…


conoscevamo i nomi di chi scendeva in campo, il numero di maglia che
poteva avere sulle spalle se era titolare e non ci interessava sapere se era
centro-destra o centro-sinistra, o se i terzini giocavano invertiti. Per noi
Maldini doveva giocare e basta, poi se era a destra o sinistra era una
decisione del suo allenatore e non giudicavamo di certo questo, anche
perché onestamente si parla di campioni.

Ora sento ragazzini parlare di bilanci societari e di contratti o


sponsorizzazioni dei giocatori…ecco quando sento questo penso che il
calcio è finito, è morto, anche perché noi l’unico business che facevamo
erano gli scambi delle figurine…e di 28

Un altro calcio

quanto guadagnava Van Basten o Maradona onestamente poco ci


interessava, anche perché il calcio che amiamo è quello giocato e basta.

Oggi la figura del calciatore è vista un po' come una star dello spettacolo,
bello, ricco, famoso…tutto il contrario dei quello che il calcio dovrebbe
insegnare ai bambini.
Non si gioca a calcio per diventare ricchi e conquistare il mondo!!!

A mio parere la scelta dello sport o della scuola calcio dovrebbe essere
semplice ed immediata, basterebbe chiedere al proprio figlio:

“Quale sport ti piacerebbe fare?”

“In quale squadra vorresti giocare?”

Invece no, non sempre è così!

Beh, a dire il vero non lo era stato nemmeno per me, perché fui costretto ad
iniziare tardi e soprattutto a non fare quello che volevo io, ma quello che
volevano i miei genitori.

Oggi molti genitori hanno mille dubbi, si informano su internet, chiedono


pareri a 29

Un altro calcio

conoscenti, ed indirizzano in base a diverse informazioni che hanno


ottenuto con questa raccolta dati, il proprio figlio verso lo sport oppure la
scuola calcio più adatta a lui, sicuri di aver preso la decisione più giusta per
le “sue” (loro) esigenze.

Il panorama dell’attività di base offre un vasto assortimento, dagli oratori


che giocano campionati CSI alle scuole calcio iscritte alla FIGC.

I bambini hanno il diritto di fare sport, di divertirsi, socializzando e vivendo


fino in fondo la loro occasione senza nessuno stress “DEL TUTTO

E SUBITO”. Ovvero la ricerca egoistica ed egocentrica dell’adulto, nella


vittoria, ed il conseguente crollo dell’autostima in caso di insuccessi vissuti
poi dal bambino con ansia e paura per aver deluso ancora “chi credeva in
lui”.

Non è bravo chi vince, ma chi dai propri insuccessi riesce a costruire la
vittoria.
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Un altro calcio

LO SPOGLIATOIO

“Lo spogliatoio, la nostra seconda casa, la nostra scuola di vita...”

Dentro queste quattro mura mi sono messo a nudo, ho mostrato debolezze


davanti ad amici, compagni, mister e dirigenti. Sono cresciuto, invecchiato
e diventato inaspettatamente forte ma soprattutto ho condiviso insieme al
calcio la parte più importante della mia vita, la gioventù.

Qui abbiamo imparato ad essere solidali tra compagni, a non vergognarci se


non riuscivamo a trattenere un pianto di gioia o di dolore...ad apprezzare un
abbraccio, una pacca sulla spalla come fosse la cosa più importante.

Abbiamo reso spogliatoi in condizioni indescrivibili soprattutto dopo una


vittoria sofferta, abbiamo avuto giorni in cui facevamo fatica ad aprire le
borse per cambiarci...chi ha vissuto lo spogliatoio sa di cosa sto parlando.

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Un altro calcio

Se vuoi creare un gruppo è fondamentale partire dallo spogliatoio, vincere


senza essere squadra non ha nessun valore.

E pensare che in questi ultimi anni, molti genitori fin dal primo mese di
calcio, ostacolano questa tappa fondamentale per la crescita del bambino e
l'integrazione dello stesso nel gruppo.

Arrivare da soli portandosi un borsone che è grande quanto loro non è


deleterio per il bambino, anzi lo fa sentire grande.

Entrare nello spogliatoio da solo chiedendo o leggendo in quale spogliatoio


andare, incrociare i più grandi che ridono e cantano, tentare di salutarli
timidamente perché un giorno sogni di essere al posto loro, e vedere che
alcuni nemmeno ti degnano di uno sguardo solo perché sei più piccolo.
Tutto questo qualche volta ti farà arrabbiare, ma poi impari ad accettarlo, e
capisci che dentro quelle quattro mura esiste un mondo che ti catturerà e ti
farà vivere di ricordi e nostalgia quando verrà il momento di abbandonarlo.

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Un altro calcio

Qui dentro ci sono regole ben precise e una su tutte, la più vecchia, la più
vera e cruda:

“Quel che succede nello spogliatoio resta nello spogliatoio”.

Far parte dello spogliatoio significa far parte di una famiglia, un luogo sacro
che ci accoglie da bambini, ci vede crescere e diventare uomini.

La prima volta entrai un po' smarrito, quasi in punta di piedi e buttai giù a
terra la borsa guardando quale angolo dello spogliatoio era rimasto libero,
quello stesso angolo che poi ogni volta cercavo. Lo stesso posto un pò per
scaramanzia un pò per abitudine, o semplicemente perché in un altro posto
mi sarei sentito a disagio.

Da bambino, ma anche qualche anno dopo ricordo di aver perso calzini,


magliette, ciabatte, messo la mia felpa nuova nella borsa del compagno di
squadra…

Non trovavamo mai nulla, ed il nostro mister insieme al dirigente


impazzivano per cercare d’aiutarci.

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Un altro calcio

Nello spogliatoio ero uno dei più lenti e imbranati! Facevo fatica a fare la
doccia, ad asciugarmi i capelli, mi sentivo un incapace al punto che chiesi ai
miei genitori di portarmi a tagliare i capelli cortissimi (a spazzola), anche
per non usare lo shampoo che ogni volta mi andava entrava negli occhi…e
come mi bruciavano!
Lo spogliatoio è piccolo e non nasconde nulla, impossibile non guardarsi in
faccia, difficile non sentire un compagno che prova a trattenere una risata o
un pianto.

Dello spogliatoio non mi preoccupavano le urla del mister, ma i silenzi di


tutti noi…

Sentire il mister che entra e urla:

<<Siete ancora lì? Fra 2 minuti, dovete essere pronti per entrare in
campo!!!>> Guardarsi tra compagni evitando di ridere ma sostenendosi a
vicenda per far più velocemente, magari aiutando il compagno più lento.

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Un altro calcio

Pochi attimi prima di iniziare...per i bambini è pura passione, divertimento


ma è anche tensione, paura di deludere e di non riuscire a fare bene.

Nello spogliatoio c’è chi ride, chi scherza spensierato e chi nervosamente
resta in silenzio e seduto sulla panca continua a far saltellare le gambe con
le mani aperte sulle ginocchia.

…c’è chi pensa quale sarà la formazione titolare, chi si è distratto a


guardare gli avversari e sussurra al compagno: “Questi sono forti, hai visto
come sono alti”.

Noi viviamo lo spogliatoio e il campo più della partita in sé. Due semplici
parole dette sul campo prima di iniziare, aiutano a far capire che il mister è
con te ed è fiero e felice di tutti. Abbracciarsi e guardarsi negli occhi,
stemperare la tensione e le paure con il cuore, poi tutti insieme urlare il
nostro motto!!! E come per magia, sciolto l’abbraccio, si vedono sempre i
sorrisi.

Nel calcio giovanile c’è chi guarda solo i risultati per il proprio ego, non
consapevole che i bambini non sono dei piccoli adulti, poi c’è mister PP che
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Un altro calcio

guarda i bambini da una prospettiva diversa lasciando i risultati e le


classifiche agli altri.

<<A fine allenamento è fondamentale fare la doccia!!!>>. Ripete ogni volta


mister Perego,

<<La doccia serve per evitare che dopo l’attività ci raffreddiamo e


ammaliamo.>> Aveva proprio ragione il nostro mister…la doccia è
importantissima, però è anche vero che la doccia calda capitava davvero
poche volte, un po'

come quando vai in albergo in vacanza con gli amici…anche se è fredda ti


diverti lo stesso, perché tutto questo un giorno farà parte dei tuoi ricordi più
belli, di cui amerai parlarne.

All’epoca la doccia era ustionante o fredda…se la volevi alla giusta


temperatura, senza umidità nell’ambiente…dovevi aspettare di farla a casa.

A volte essere il primo non ti garantiva l’acqua calda, ma essere tra gli
ultimi era una condanna certa alla “doccia gelata”. Quindi anche in questa
situazione si fa squadra e tutti dobbiamo cercare di essere altruisti, perciò
anche per lavarci si faceva tutto velocemente in modo che tutti o quasi 36

Un altro calcio

potessero farla almeno tiepida.

E pensare che molti di noi, da bambini, uscivano dall’acqua ancora


completamente insaponati oppure totalmente asciutti dicendo:

“Finto! Mi sono lavato!”.

Poi c’erano come a monopoli, gli imprevisti…la caldaia in blocco, il boiler


che si svuota, gli scarichi intasati dal fango...

Però la doccia resta uno di quei momenti dove da bambino mi divertivo di


più, un’occasione unica di aggregazione.
Vedere amici e compagni di squadra che si lavano senza sapone, chi è senza
ciabatte, chi per vergogna farà la doccia in mutande, ma anche chi si
imbosca per sistemarsi il ciuffo con il gel occupando lo specchio…tutti
momenti che aiutano un gruppo a nascere, crescere ed unirsi.

Mister Perego era sempre molto attento a tutti noi, lui curava il particolare
anche fuori dal campo cercando spesso il coinvolgimento dei genitori:

<<Non preoccupatevi genitori se i vostri figli vi sembreranno piccoli o


"imbranati", in gruppo 37

Un altro calcio

ridendo dei propri errori si cresce prima e con un atteggiamento più


positivo, rispetto ad un genitore che entra nello spogliatoio ed urla al
proprio figlio di muoversi, trattandolo inconsciamente male davanti alla sua
squadra, ai suoi amici. Lasciamoli crescere e sbagliare, anche se questo
richiederà tempo e pazienza, non bruciamogli le tappe>>.

Ricordo di un mio compagno che era sicuro di esser venuto con gli occhiali
da vista ed a fine allenamento non li trovava più. Eppure lui era certo di
averli messi in borsa e pensava che qualcuno di noi gli avesse fatto uno
scherzo nascondendoglieli. Il mister cerco dentro tutte le nostre borse e
ispezionò le nostre tasche, lui doveva andare a lavoro ed era in ritardo però
non ci fece uscire per quasi un’ora, dopodichè dovette per forza cedere e
lasciarci andare a casa perché lo spogliatoio serviva ad un’altra squadra, ma
ricordo ancora bene le parole di mister PP:

“Lo scherzo è bello quando dura poco, gli occhiali sono una cosa
importante per lui, adesso 38

Un altro calcio

per colpa di questo dispetto da parte di qualcuno di voi…i suoi genitori


dovranno comprargli un nuovo paio di occhiali da vista, andate a casa e
riflettete su ciò che avete fatto e se qualcuno ha visto me lo faccia sapere, io
non farò mai la spia”
Andammo a casa tutti tristi perché pensavamo al nostro amico che piangeva
e ci sentivamo in colpa anche se nessuno di noi aveva toccato nulla.

Insomma il mister impazzì a cercarli ed io trascorsi una brutta notte a


pensare al mio compagno:

“Chissà se sua mamma l’avrà messo in castigo…chissà se ci vede bene


senza…chissà chi sarà stato di noi…”.

Poi la mattina successiva andando a scuola lo vediamo con su gli occhiali!!!

Li aveva dimenticati in macchina sul sedile posteriore…e non si


ricordava!!!quante risate, beh anche questo aiuta a fare gruppo.

39

Un altro calcio

OGGI IL CAPITANO SONO IO!

“Mamma, Papà guardate…oggi sono io il capitano!”, dissi fiero ai miei


genitori con la fascia al braccio.

La prima fascia da capitano, non si scorda mai.

Avere tutti i miei compagni vicino, entrare per primo in campo con tutta la
squadra dietro di me, sentire quel brivido freddo che attraversa tutto il
corpo.

La fascia sul braccio mi sta caricando a mille, la guardo senza farmi vedere
dal mister e dai miei compagni, sono fiero di averla conquistata, oggi per
me è un po' come se fosse il giorno del mio compleanno.

“A ripensarci ero davvero un nanetto all’epoca...però penso sia stata


un’emozione stupenda anche perché avevo una responsabilità grandissima,
insomma ero io il capitano!”.

40
Un altro calcio

Tu sei piccolissimo, la fascia continua a scenderti ripetutamente sul polso,


ma non la togli la senti tua, la guardi e la rimetti al braccio, in questa
giornata conta più di un goal…la tua prima fascia, fare "bim bum bam” e
scegliere palla o campo...

Ah che belle emozioni!!!

Lo sguardo incredulo dei genitori, momenti da immortale in una foto


ricordo, ma tu con l'adrenalina a mille, scapperai correndo felice dai tuoi
compagni, perchè è troppo bello abbracciarli e rincorrerli, giocando a ce
l'hai.

Emozioni uniche che lo sport, continua a regalare, piccoli grandi sogni di


bambini che si realizzano.

Anche per me, arrivò quel giorno e fu bellissimo.

Il Mister radunò con sé la squadra nello spogliatoio, premiandomi per


l’impegno e la costanza durante le ultime settimane.

Nonostante diverse difficoltà iniziali, ricordo di 41

Un altro calcio

essermi allenato sempre con il massimo impegno.

Nonostante facessi davvero tantissimi errori durante gli esercizi e non ero il
più bravo della squadra, anzi forse uno dei meno bravi tecnicamente, non
mi aspettavo di essere premiato da PP. Infatti appresi questa decisione con
stupore.

“Per me era assolutamente una cosa normale ascoltare il mister ed allenarmi


con impegno, il mio comportamento non mi sembrava affatto speciale, ero
lì per imparare a giocare e sapevo che per farlo dovevo seguire i consigli
del mio maestro…ops!

Allenatore...”
Mentre pensavo a tutto questo…Mister PP mi prese il braccio sinistro e mi
infilò la fascia bianca da capitano…

Volete sapere cosa provai in quei momenti?

BOOM!!! Black out…!!!

“Ricordo che rimasi fermo immobile quasi paralizzato per un paio di


minuti, nonostante la testa mi diceva di urlare di gioia, di alzarmi, entrare in
campo e correre a più non posso, il mio corpo era lì fermo come se fosse
paralizzato.

42

Un altro calcio

Sentii come una scarica di adrenalina attraversarmi dentro, avevo i brividi,


la pelle d’oca ma al tempo stesso mi scendeva qualche gocciolina di
sudore…”

In quel momento ti senti di colpo grande, forte, ma al tempo stesso insicuro


e impaurito…hai ricevuto il più bel regalo che potevi desiderare e provi
imbarazzo a mostrarla perché la fascia si dà a quelli bravi…o almeno così
pensavo e per questo sentivo che non potevo deludere nessuno, nemmeno
me stesso. La prima fascia non si scorda mai, penso sia stato così per
ognuno di noi, resta un giorno da ricordare uno di quei momenti che
vivranno per sempre nella bacheca dei nostri ricordi.

Ma c’è anche una partita da giocare, adesso dovevo concentrarmi sulla palla
e non sulla fascia, un bimbo mi saluta mentre eravamo in fila, era l’altro
capitano, io quasi balbettavo per il freddo e l’emozione, “Che figura
pensai”.

L’arbitro ci chiama, è arrivato il momento di entrare in campo…manca


pochissimo e come capitano sarò io a condurre in fila tutta la squadra 43

Un altro calcio
sul campo, emozionatissimo mi accingo a coronare un nuovo sogno, quello
di essere CAPITANO.

44

Un altro calcio

IN FONDO E’ SOLTANTO

UN GIOCO

I bambini più piccoli, detti anche pulcini, sono e resteranno sempre la


categoria più bella da vedere.

Sono alle loro prime esperienze in squadra: corrono, saltano, si rotolano per
terra, corrono ancora tutti dietro la palla fino a quando qualcuno non la
recupera. C’è chi prova a scartare tutti e far gol da solo, chi invece la scalcia
lontano…la classica vecchia “spazzata”, chi resta fermo immobile, chi
scoppia a piangere, chi non ci sta mai a perdere e chi invece pensa alla
merenda a fine partita.

Guardare una partita di piccoli amici è sempre molto divertente e se ne


vedono di tutti i colori e non parlo delle magliette!

Negli anni ho assistito a portieri che si tolgono i guanti perché fa caldo


oppure si distendono a terra perché si annoiano che non ricevono tiri in
porta, 45

Un altro calcio

ma anche di piccoli portieri che si girano a salutare i nonni mentre la palla


entra in rete senza nemmeno accorgersene.

Ho avuto modo di vedere bimbi che giocano in difesa, e si schierano sulla


linea di porta quasi a voler aiutare il proprio portiere limitandone i
movimenti e lo spazio.

Bambini che rubano la palla al proprio compagno, che guardano aerei o


raccolgono margherite sul campo.
Ma anche chi durante un’azione, anziché guardare il compagno che gli sta
passando la palla, si distrae sistemando il cinesino laterale che ha visto
capovolto.

Il bello di quest’età è il loro spirito libero, la loro purezza, l’esuberanza, la


fantasia, la capacità di vivere tutto con estrema leggerezza.

Perfino quando si arrabbiano riescono subito a far pace, e hanno una


straordinaria dote che noi adulti abbiamo smarrito crescendo o forse
invecchiando, il sorriso.

46

Un altro calcio

“Se potessimo fare un salto nel passato chiederei ai bambini che eravamo”

“Cosa ne pensate, di come siamo diventati oggi da adulti?

E’ una riflessione che un giorno verrà da sé ad ognuno di noi, così, senza


preavviso.

Lasciamo che giochino senza le nostre pressioni, non c’è niente di più’
bello ed emozionante di vederli giocare con il sorriso, non soffochiamo le
loro emozioni.

Ero piccolo, impaurito ma sempre pronto scendere in campo. Manca poco


all’inizio della partita, inizia la fase del riscaldamento.

Mister Perego ci fece svolgere due semplici giochi come esercizio di


riscaldamento giusto per stemperare un po’ di tensione dovuta alla prima
partita del torneo, il contatto con il pallone sembra essere la giusta
medicina, anche quando si cresce.

47

Un altro calcio

Mister Perego ricorda un aneddoto su di me:


“Marco è il classico bambino che vuole tutto e subito, lui a differenza di
molti suoi compagni è alla prima partita, gran parte di loro sono invece al
terzo anno di calcio, quindi si conoscono già e dimostrano di avere un po’
più feeling con il campo, qualcuno chiede di poter essere oggi il capitano
per il torneo. Marco, terminato il riscaldamento, mi avvicinò e mi disse:

<< Insegnami a giocare, non riesco a tirare forte.

Luigi (Il portiere), me le para tutte…però mister riesco a fare tre


palleggi!!!>>.

La mia fortuna, (racconta Marco) era avere Mister PP in panchina, lui


sapeva benissimo che i bambini hanno bisogno soltanto di un pallone e di
un allenatore che si ricordi di essere stato bambino.

Il mister mi rassicurò abbracciandomi e sussurrandomi nell’orecchio:

<<Va bene promesso, te lo insegnerò…però se sbaglio non metterti a


ridere…>>.

Ricordo di averlo guardato “un po' strano”, 48

Un altro calcio

sorridendo come se avessi ricevuto un dono da Babbo Natale. Ero un po'


spaesato, quel campo da gioco sembrava enorme e dalle tribune sentivo il
mio nome urlato a gran voce da mio fratello Alberto: <<FORZA
MARCOOOO>>, tutto questo mi faceva emozionare ma al tempo stesso mi
piaceva un sacco.

Ero passato da un cortile dove giocavo ore con i miei amici, ad uno stadio
dove tutto era organizzato a dovere e le persone erano lì per vedere la
partita, proprio come accade ai veri calciatori. In campo l’ansia e le paure
erano improvvisamente sparite, ed io sono riuscito a giocare serenamente
trascorrendo una bellissima giornata.

All’epoca le uniche e poche partite che avevo visto in televisione erano


quelle della Nazionale Italiana che venivano trasmesse in TV, dalla Rai.
Quelle poche ed uniche partite che anche mia mamma guardava, oltre a 90°
minuto c he invece seguiva mio papà anche per controllare i risultati del
totocalcio.

49

Un altro calcio

“Ricordo di mio nonno Gino, che ascoltava con la radiolina tutto il calcio
minuto per minuto, controllando ogni domenica pomeriggio i risultati della
schedina del totocalcio e del totogol, senza esser mai riuscito ad andare
oltre l’11 e sempre per colpa della Juve, la sua squadra del cuore a cui lui
metteva sempre la vittoria fissa”.

Tutto pronto, l’arbitro è a centrocampo il mister ci raduna tutti e siamo tutti


abbracciati stringendoci a cerchio con il mister in ginocchio per essere alla
nostra stessa altezza.

Mister PP, ci stringe forte e dice:

<<Oggi è una giornata meravigliosa, una delle più belle della mia vita, sono
qui con tutti voi…è la prima volta che siamo tutti abbracciati! Vi sto
guardando tutti da vicino…e vedo dei sorrisi nei vostri occhi…vedo la
voglia di giocare che avevo io alla vostra età! Siete tutti dei bellissimi
bambini, per fortuna anche qualcuno di voi è senza un dentino così mi sento
meglio anch’io eh..eh..eh!!!>>, sogghignava il Perego, mostrando sotto i
suoi baffi un “buco” in mezzo ai denti…e scoppiò 50

Un altro calcio

inevitabilmente la risata di gruppo.

Ricordo che Luigi, il portiere disse

<<Mister anch’io voglio diventare come lei…>> e poi a catena molti altri
miei compagni

<<Anch’io…anch’io…Siii…pure io come mister Perego>>.


Io invece non sapevo cosa dire…però non volevo essere da meno dal resto
della squadra, allora feci una domanda:

<< Mister Perego…ma come giochiamo oggi? >> PP:<<Hai

ragione

Marchino,

mi

sono

dimenticato…ehm allora…nello spogliatoio avete lasciato tutto?>>

Squadra: <<Si, mister!>> PP: <<Non mi sembra…qualcuno di voi ha


dimenticato di lasciare nello spogliatoio “LA PAURA DI SBAGLIARE”…
con quella non potete giocare>>.

Marco: <<E ma…ehm, è normale no? Dico aver paura di sbagliare, eh se


sbaglio?>>, chiesi timidamente.

PP: “Se sbagli…provaci ancora. Non aver paura 51

Un altro calcio

dei tuoi errori, io sono qui per aiutarvi a migliorare, fidatevi di voi stessi…e
farete cose grandiose!”.

Squadra: “GRAZIE MISTER!”.

PP: “Un’ultima cosa volevo dirvi. Bimbi prima di entrare e giocare, le


paure lasciatele sempre nello spogliatoio. Quando tornerete nello
spogliatoio a fine partita vedrete che loro non ci saranno più...invece se
avete timore di sbagliare, una volta finita la partita loro saranno lì ad
aspettarvi nello spogliatoio, per tornare ancora con voi a casa.”

disse saggiamente, e poi aggiunse: “Adesso andate e divertitevi!!! Forza


Cernuscheseeeee!!!”.
Queste parole sono indimenticabili e quel giorno caricarono a mille tutti
noi, la squadra si fece forza lasciando da parte ogni pensiero negativo e
uniti in cerchio urlammo il nostro motto a squarciagola:

“UNO…DUEE…TREEEE…FORZAAAA

CERNUSCHESE ALEEEEEEE’!!!>>.

Il mister ci stava educando insegnandoci che la competizione va vissuta in


modo equilibrato, ma non sempre le parole sono sufficienti. Mister Perego
sapeva darci il buon esempio anche per 52

Un altro calcio

evitare comportamenti aggressivi sul campo, aveva una capacità innata e


sapeva dimostrare ai bambini come l’errore e la sconfitta, non devono
creare frustrazione e rassegnazione.

Se sgridiamo a gran voce un bambino perché pensa solo a vincere magari


giocando da solo e non passando mai la palla ai compagni, otterremo un
bambino che passa la palla solo perché ha paura di essere platealmente
rimproverato un’altra volta, magari davanti anche ai propri genitori oltre
che i propri amici e compagni di squadra.

Quindi il rischio è quello di ottenere il risultato opposto di quello sperato.

Questo accade perché il bambino giocherà senza divertirsi e si sentirà


sempre più solo in mezzo al campo rifiutando di chiedere sostegno al
proprio allenatore, per paura del confronto e di un’ulteriore rimprovero.

Se invece lasciamo sbagliare il bambino in campo?

Noi possiamo ripeterlo ad ogni allenamento che in certe situazioni bisogna


passare la palla…ma 53

Un altro calcio

imparerà da solo con l’esperienza che senza passare la palla non si fa gol, e
che le partite non si vincono da soli.
Gli errori vanno corretti, senza distruggere l’autostima, e dobbiamo avere
pazienza nel saper aspettare e rispettare i tempi di ogni bambino.

54

Un altro calcio

VOGLIO FARE IL PORTIERE

A volte capita che un bambino inizia come giocatore di movimento con il


sogno di diventare il nuovo Cristiano Ronaldo, poi improvvisamente decide
di fare il portiere.

E’ successo tantissime volte e non è affatto un passo indietro, anzi tutt’altro.


Anch’io come tanti dei miei compagni, ho avuto questo desiderio…

E voi da genitori come reagireste se vostro figlio, dopo aver fatto diversi
gol ed un paio di stagioni decidesse di provare in questo nuovo ruolo?

Le frasi più comuni che ho sentito negli anni sono moltissime,

- A star lì fermo in porta prendi troppo freddo -

- Tu non sei un portiere -

- Ti fai male a cadere e tuffarti -

- Ti sporchi di fango -

- Chi gioca in porta non sa giocare a calcio -

55

Un altro calcio

- Così non imparerai nulla -

- Digli al mister che non vuoi giocare in porta –


- Se ti mettono in porta e prendi gol la squadra si arrabbierà con te –

E molte altre frasi simili, tutte sempre poco motivanti per un bambino che
sceglie di provare a giocare in quel ruolo.

A parer mio, un bambino che decide di mettersi in porta è un bambino che


ha voglia di divertirsi, di buttarsi, di saltare e non ha paura di raccogliere i
palloni dentro la rete. Perchè nessuno più di un portiere sa quanto è rapida
la possibilità di riscatto con una bella parata e quanto sia invece facile fare
un errore e prendere l'ennesimo gol.

Il primo a dar fiducia al proprio portiere deve essere il mister. L’allenatore


deve saper valorizzare senza esasperare il bambino, poi da fuori i genitori
devono sostenerlo sempre ammirando il suo coraggio ad essere l'ultimo
baluardo.

Da bambino anch’io feci questa scelta e tutto nacque per caso dopo aver
visto un allenamento dei 56

Un altro calcio

portieri: <<Papà voglio fare il portiere>>.

Mio papà rispose: << Ma il portiere lo fanno fare a chi non sa giocare a
pallone…>> Mia mamma invece preoccupata, disse: << No Marco, così
prenderesti troppo freddo, lì fermo tutto il tempo…>>.

Bene, pensai, come sempre quello che decido io non va mai bene….

Alcuni genitori dopo aver visto il mio primo allenamento in porta, avevano
già iniziato a criticare la scelta del mister di provarmi in quel ruolo. Mister
Perego conosceva troppo bene l’ambiente, sapeva che il “pettegolezzo
calcistico”

dal nulla poteva diventare ingestibile per questo ritenne opportuno bloccare
sul nascere questi piccoli fuochi di paglia.

Quindi a fine allenamento avvisò i genitori che voleva parlare 10 minuti


con tutti loro sulla questione portiere ed esclamò:
<<Chi ha detto che in porta ci deve andare il più scarso, oppure il più grasso
perché non corre, ma perché diavolo vi permettete sempre di giudicare 57

Un altro calcio

tutto e pensate di essere gli unici a capire di calcio!!!>> sbottò e aggiunse:

<<LASCIATELI

GIOCARE!!!

FATELI

DIVERTIRE, SONO BAMBINI CRESCONO

IMPARANDO DAI PROPRI ERRORI NON

DALLE VOSTRE FRUSTRAZIONI!!!>>. Infine con toni più moderati,


spiegò al gruppo genitori la sua reazione:

<<In questi anni il ruolo del portiere è cresciuto molto, ed è sempre più
valorizzato. Ora il portiere gioca con i piedi, spesso funge da libero e aiuta i
suoi compagni in difficoltà in difesa partecipando attivamente al gioco >>.

Il mister quasi con toni nostalgici, raccoglie a sé i genitori e racconta il suo


pensiero: Signori, il portiere è colui che fa restare tutti col fiato sospeso. E’
un funambolo che può farti saltare le coronarie dalla gioia...pensate ad un
contropiede 1vs1, l’attaccante si trova a tu per tu solo contro il
portiere...emozioni a fior di pelle...però spesso si dà troppa importanza a chi
gioca davanti, dimenticando dell’ultimo baluardo.

58

Un altro calcio

Eh sì, se un attaccante farà gol sarà stato bravo, se un portiere farà una bella
parata ci sarà sempre qualcuno che dirà:

“Ha sbagliato a tirare l'attaccante”.


Purtroppo chi porta sul campo questa filosofia, a mio parere commette un
grosso errore.

Per un bambino la porta è gigantesca, non possiamo sperare che vada a


"togliere le ragnatele dal sette" o che vada in uscita sempre senza paura.

I palloni scivoleranno, sbaglierà a rinviare, cadrà facendosi male, prenderà


ginocchiate, gomitate, le mani dopo qualche parata gli faranno
male...insomma è un grandissimo ruolo, che per nulla al mondo deve essere
sminuito.

Per usare una citazione di un mio vecchio maestro concluderei dicendo ai


bambini:

"Il portiere è come un acrobata del circo: non ha nessuna paura di volare e
se per caso scivola nella rete si rialza e ricomincia a volare".

Ancora una volta “il Perego”, riuscì a convincere tutto il suo gruppo e lo
fece parlando di calcio, raccontando le sue emozioni ed il perché 59

Un altro calcio

ama ogni singolo ruolo e centimetro di campo.

Allenare è un’arte ma lui aveva una sorta di vocazione.

Ritornando alla mia esperienza ricordo che provai anche in porta ma mi resi
conto da solo che non era il mio ruolo, anche perché avevo paura di
prendere delle pallonate al volto. Feci un paio di allenamenti provando in
porta e in entrambi mi feci male alle dita della mano, il mister mi spinse a
riprovarci ma abbandonai quell’idea capendo da solo che forse era meglio
tornare in campo come giocatore di movimento lasciando il posto a chi era
più coraggioso e pronto di me.

Questo fa capire come i ragazzi seppur ci sembrino piccoli, sappiano


decidere da soli quale sia la soluzione migliore per il bene della squadra.

Per questo è importante il ruolo del genitore oltre che dell’allenatore,


perché deve aiutare il piccolo nelle proprie scelte, supportandolo e
accettando determinate idee anche se per apparentemente sembreranno
sbagliate.

60

Un altro calcio

Ciao Portiere!

Ti salutano sempre così.

Non conoscono il tuo nome.

Non conoscono tante cose di te.

Non sanno quanto ci si può sentire soli in mezzo a quei due pali, non sanno
quanta paura è nascosta dentro ai tuoi guantoni colorati, non sanno quante
insidie ti può riservare quel pallone di cuoio che solo tu puoi toccare con le
mani.

No, non lo sanno.

Non sanno quanto ti facciano male gli sguardi dei tuoi difensori quando
subisci l’onta del goal, non sanno che le parate più spettacolari sono le più
facili, non sanno che il gol sul tuo palo non è sempre una colpa.

No, non lo sanno.

Ma va bene così.

Perché la gioia di un volo sotto la traversa vale mille ginocchia sbucciate,


perché un complimento sincero vale mille critiche,

perché una parata può essere più bella di un goal.

Sorridi, portiere.

A cura di: Massimo Orefice


61

Un altro calcio

IL PUBBLICO, I GENITORI

Per molti sono uno dei problemi del calcio giovanile, per alcuni avere un
pubblico ed un gruppo genitori educato è un’utopia.

Mister PP, come quasi tutte le squadre giovanili, aveva un folto gruppo di
genitori, nonni, zii e cuginetti

che

seguivano

propri

piccoli…moltissimi erano persone assolutamente tranquille, che venivano e


si divertivano al di là di ogni risultato. Altri invece seguivano la squadra
durante gli allenamenti, davano consigli tattici e tecnici ai bambini, e
durante le partite si trasformavano in veri e propri allenatori-ultras, una
vergogna soprattutto per chi scende in campo.

Non era facile allenarsi con questi “ultras”

appesi alla rete che urlavano durante una normale esercitazione “consigli
tecnico-tattici”.

Mister Perego sempre con educazione chiedeva ai genitori di sostenerli


senza dare indicazioni, 62

Un altro calcio

perché al contrario di quello che potessero pensare loro, i bambini si


distraevano e si deconcentravano commettendo maggiori errori e andando
in difficoltà perché non sapevano più chi ascoltare…se il mister, mamma,
papà oppure la loro testa.

Cercare di coinvolgere i genitori, come risorse e come potenziale


aggiuntivo alla squadra fu questa l’arma vincente di PP.

Assegnò ad ognuno di loro un compito, chi organizzava le lavatrici chi


aveva il compito di ritirare le divise da gioco, chi faceva le foto alla
squadra, chi si occupava delle merende, chi del ritrovo tra genitori al campo
per poi andare uniti anche in auto, perché era importante avere un gruppo e
con un ambiente sereno tutti rendono meglio.

Sembra una banalità ma oggi mi rendo conto come queste piccole cose
aiutarono tutti ad una miglior convivenza.

Di certo non eravamo una società o squadra modello e non vi nego che non
ci siano stati dei 63

Un altro calcio

problemi, però si tentava sempre di ricucire un rapporto prima che potesse


essere troppo tardi.

Anche da noi c’erano strani personaggi da chi criticava ogni scelta


dell’allenatore fino a chi oltre ad esser polemico con il proprio figlio,
arrivava persino ad insultarlo in campo!

“Ma la partita cos'è?”

Secondo mister Perego la partita è un momento di confronto con altri


bambini, per mettersi alla prova e perché no, per provare a vincere! Sarei
falso se dicessi che mentre si è in panchina non si spera di vincere la partita.

“E per i genitori la partita cos’è?”

Per i genitori dev'essere un momento nel quale divertirsi e tifare il proprio


figlio e i propri compagni di squadra, con educazione e rispetto nei
confronti di tutti.
Invece purtroppo ancora oggi succedono episodi davvero raccapriccianti,
dove la mancanza di educazione può far degenerare un momento di
condivisione e festa, in un episodio di cronaca nera!

“Il rispetto dei ruoli è un aspetto fondamentale 64

Un altro calcio

nella vita come anche nello sport. Un genitore che manca di rispetto al
gruppo e mostra atteggiamenti incivili, prima che a me, ha fatto male
soprattutto a suo figlio.”. Disse con toni fermi PP dopo una partita in cui si
sentivano solo discussioni ed insulti dalla tribuna.

Per i bambini e per il bene di tutto l’ambiente è quindi necessario lasciare a


casa certe frustrazioni e atteggiamenti poco sportivi e civili.

Dal punto di vista di un bambino era invece tutto molto semplice…si


giocava a calcio.

Giocavamo ogni settimana un campionato come tanti altri, un campionato


dove, gli avversari sono i vicini di casa, i compagni di classe, “...ci
giocavamo la nostra credibilità per evitare gli sfottò del lunedì in classe o in
piazzetta”.

Arrivavo al campo sempre con largo anticipo per paura di essere in ritardo,
ma la partita iniziava già negli spogliatoi, le panche fredde, i borsoni
pesanti...tutto questo all’interno di un gelido spogliatoio con una stufetta
rotta e degli asciugacapelli appesi che se li sfioravi si staccavano 65

Un altro calcio

dalla parete. Ecco questo era il nostro San Siro, la nostra seconda casa...la
nostra scuola di vita e di gioco.

Tutti noi siamo partiti da qui.

Quando siamo tutti seduti pronti per entrare in campo, nello spogliatoio
scende il silenzio, siamo tesi, le ginocchia iniziano a ballare da sole, ci
rosicchiamo le unghie, siamo concentrati e decisi.
Usciamo dagli spogliatoi facendo attenzione a non scivolare sul vialetto che
è sempre bagnato con una lastra di ghiaccio, fissa proprio vicino ai rubinetti
dove si lavano le scarpe. Fa freddo e si sbattono i denti, le guance sono
rosse e l’acqua è gelida dentro le borracce…perfetto noi siamo pronti!

Pronti via, entriamo in campo...

terra che profuma di bagnato, scarpette pulitissime che sono già piene di
terra e fili d'erba, quei pochi rimasti, anche perché l’erba sul nostro campo
la vediamo forse un mese all’anno…ad agosto.

Già durante il riscaldamento abbiamo fango ovunque...ma ci piace così


perché in un certo senso 66

Un altro calcio

ci fa sentire ancora più forti.

Quindi motto di squadra, entrata in campo e iniziamo...(povero mister)

Mister dove gioco?

Mister dopo entro io?

Mister posso essere io il capitano?

Mister devo fare pipì!

Mister oggi secondo te, vinciamo?

Queste sono alcune delle domande che quasi ad ogni partita da bambino
facevamo a PP.

Però tutto poi passava in secondo piano, c’era la partita da giocare e appena
si iniziava ci dimenticavamo tutto il resto.

Si vince e si perde, qualche volta si pareggia…le nostre partite erano tutte


da pallottoliere. Ricordo un 9-9 fantastico e la grande festa perché tutti
avevano fatto gol (giocavamo 5vs5).
L'allenatore alla fine rimase solo a guardare il campo, noi eravamo a fare i
tuffi nelle pozze di fango per festeggiare e per farci una bella foto ricordo
tutti pieni di fango, sentendoci un po' dei piccoli campioni.

67

Un altro calcio

Mister PP raccoglieva i cinesini, le bandierine, aiutava a riposizionare le


porte fuori dal campo oltre a seguire tutti noi nello spogliatoio, che uomo
formidabile che è stato.

Noi invece eravamo troppo piccoli e non ci accorgevamo ancora della sua
grandezza, all’epoca pensavamo solo a quanto fosse bello esser qui e vivere
tutto questo. Guardare e sentire i nostri genitori che si esaltano perché il
proprio figlio ha fatto un gol...e quel giorno tutti avevamo segnato!

E’ stato bello vedere nei volti dei nonni le lacrime di gioia quando il
nipotino a fine partita andava a salutarlo dalla recinzione nonostante
avessimo pareggiato, aveva vinto il calcio…

68

Un altro calcio

MISTER, MA CHI TE LO FA FARE…

Mister, ma chi te lo fa fare?

Quante volte l'abbiamo sentito dire...

Ogni allenatore ha le sue buone e valide ragioni per farlo, ma c’è una cosa
che accomuna tutti…ovvero permettere ai propri ragazzi di inseguire un
sogno e forse inconsapevolmente riviverlo nei loro occhi.

Di fatto direi che non esiste una risposta a questa domanda, viene tutto da
dentro.
L’infinita passione, le emozioni, l’amore, il sorriso, la felicità dei ragazzi
che alleni, le lacrime di gioia, gli abbracci ma anche divertimento, costanza,
dedizione, competenza, sacrificio.

Allenare è esserci sempre: mettersi alla prova, accettare i propri sbagli e


cercare di essere importante per i propri giocatori.

Ma come tutti sappiamo l'allenatore come anche l'arbitro, è una delle figure
più discusse e criticate del panorama sportivo.

69

Un altro calcio

Nel calcio giovanile e dilettantistico la maggior parte degli allenatori lo


fanno solo per passione e senza percepire nulla, se non per qualcuno, un
minimo rimborso spese.

Ci tengo a precisare questa cosa, perché il nostro è un altro calcio rispetto a


quello professionistico.

Da noi gli allenatori durante la settimana fanno un altro lavoro, eseguono


corsi di formazione incastrando gli orari di lavoro con i propri impegni
personali, portando sul campo competenza ed emozioni.

Un mister quando è con la sua squadra non avverte più nemmeno la


stanchezza!

I ragazzi spesso si confidano con lui aprendosi e mostrando le proprie


debolezze, si parla di calcio, di schemi, di errori, di tattica, di scelte giuste o
sbagliate, ma anche d’altro. La famiglia, il lavoro, i problemi personali, di
salute, la separazione dei genitori, la nuova fidanzatina, i problemi a scuola,
le liti con uno o più compagni di squadra il sabato sera a poche ora dal
ritrovo della domenica mattina…

70

Un altro calcio
Tutto questo e molto di più entra a far parte della sfera emotiva di un
allenatore che lo responsabilizza ulteriormente dimostrando come sia il
primo a dover dare l’esempio alla propria squadra perché “cappellino, tuta,
fischietto e lavagnetta” non fanno un mister e nemmeno un educatore...

L’allenatore è quella persona che a distanza di anni si emoziona ancora


quando viene riconosciuto per strada dai suoi ex giocatori, che appena lo
vedono corrono a salutarlo, esclamando CIAO MISTER!!!, queste
resteranno le vittorie più belle da custodire nella propria bacheca personale,
il cuore. Il mio vecchio mister diceva sempre che lui aveva ricevuto dai
ragazzi più di quanto ha dato e porta nel cuore ognuno di loro.

Un ruolo troppo spesso criticato e messo sotto accusa, tanti che non hanno
mai avuto un contatto sul campo si improvvisano allenatori e pensano di
saperne di più di chi è seduto in panchina di fronte a loro.

71

Un altro calcio

Permettetemi di dire che allenare non è soltanto

“mettere

giù

qualche

esercizio”

magari

scopiazzandolo in giro e vantandosi del proprio lavoro.

Allenare è un’arte, ti fa sentire forte e debole al tempo stesso.

Un allenatore sa che nella vita dobbiamo essere qualcosa per qualcuno e


non qualcuno per qualcosa.
Dopo qualche anno cambiai squadra per inseguire il mio sogno, e mister
Perego diventò un ricordo della mia infanzia calcistica, al punto che sul mio
vecchio “diario” gli dedicai questo pensiero.

72

Un altro calcio

Caro Mister Perego,

A te che ne hai viste tante, troppe e non hai mai mollato.

A te che hai sentito, insulti e mancanza di rispetto nei tuoi confronti e sei
riuscito ad andare avanti, senza dar spazio a certi beceri personaggi.

A te che hai sempre difeso la squadra, anche quando noi giocatori eravamo
consapevoli che c’era davvero poco da difenderci, ma tu non ci hai mai
abbandonato…proprio come un padre.

A te che sai sempre cosa dire ai tuoi ragazzi, perché la testa si usa sul
campo tanto quanto il cuore e i sentimenti.

A te che hai lavorato mesi su degli obiettivi e oggi inizi a vederne i risultati.

A te che hai trasformato le critiche in complimenti.

A te che devi giocare domani e non sai quanti ne hai disponibili.

A te che alleni su campi improponibili e con spogliatoi freddi e pieni di


umidità.

73

Un altro calcio

A te che quando un weekend si riposa, chiedi subito in società di


organizzare un'amichevole.
A te che le risate sul campo con noi ragazzi, sai che resteranno le tue
migliori vittorie.

A te che alle 23 di sera ricevi un messaggio di un tuo ragazzo, con scritto


che da domani non viene più perché è stato mollato dalla ragazza.

A te che prima di essere un allenatore, sei un padre, un educatore...ma


soprattutto un uomo che insegna e trasmette valori ed emozioni.

A te che ti senti dire...ma alla tua età chi te lo fa fare?

Oggi Mister PP voglio regalarti questo mio pezzo, ma forse non sarà bello
ed emozionante come quel tuo abbraccio a Cologno Monzese…

Grazie…

Marco

Maggio 1999

74

Un altro calcio

E’ SOLTANTO UN GIOCO?

Il tempo passa inesorabile per tutti, ero cresciuto.

Il sogno di diventare un calciatore professionista era svanito lentamente con


il passare degli anni, perché la vita non è proprio come la immaginiamo da
bambini.

La realtà è il nostro avversario quotidiano, contro di lei ci misuriamo e


confrontiamo continuamente.

Lei è cruda e spietata, e come un gol subito al 90’ ti spezza fiato e gambe.
Ti fa credere che non ce la farai, ti fa gettare la spugna prima del triplice
fischio ed è sempre pronta ad impadronirsi dei nostri sogni, portandoti ad
un bivio:
“COTINUARE A GIOCARE” o “SMETTERE” ?

Tanti miei amici dopo la prima superiore hanno lasciato il calcio, perché a
quell’età iniziavano a sentirsi grandi e avevano maggior indipendenza
utilizzando i motorini anziché le classiche biciclette, avevano compagnie
immense, uscivano 75

Un altro calcio

quasi tutte le sere e nei weekend non avevano praticamente orari, ormai le
ragazze erano diventate il loro principale obiettivo. Pensavano solo a
divertirsi, alcuni di loro avevano iniziato anche a bere e fumare
abbandonando anche la scuola, in cerca di un lavoro saltuario e precario
solo per guadagnarsi qualcosa per i propri vizi settimanali. Anche se non
sono mai stato un calciatore professionista ho sempre cercato di vivere
senza eccessi, mi divertivo e uscivo anch’io con i miei amici, ma non
volevo buttare al vento i sacrifici fatti per passione, per me al contrario loro
non erano soltanto un ostacolo al divertimento.

Avevo 14 anni e ancora mi illudevo o forse semplicemente speravo di poter


giocare nel calcio professionistico, raggiungendo quel sogno che anno dopo
anno sembrava sempre più lontano.

In questi anni ci furono anche degli osservatori dell’Inter che vennero a


vedermi, ma poi presero un altro giocatore che era venti cm più alto di tutti
e giocava in attacco, questo ragazzo fece tutte le giovanili fino ad esordire
in serie A, per poi sparire 76

Un altro calcio

dal panorama calcistico poco più di tre anni dopo.

Durante la mia adolescenza il calcio era qualcosa di speciale, mi faceva


stare bene ed ero certo che non l’avrei mai lasciato, perché quella palla che
ho iniziato a rincorrere da bambino non poteva essere soltanto uno stupido
gioco.

Mister Perego, ormai era un signore sui 75 anni, nel


’99 decise di abbandonare il calcio giovanile per chiudere gli ultimi anni di
carriera allenando la prima squadra.

Per PP fu una decisione sofferta, ma inevitabile perché gli anni passavano


inesorabili anche per lui.

La gestione del gruppo genitori col passare degli anni era diventata sempre
più complicata ed impegnativa, erano cambiati molti ideali le persone
portavano a calcio il proprio figlio con la convinzione che grazie a mister
PP sarebbe diventato il nuovo bomber della nazionale…

Questi genitori potevano essere i figli del mister, così come i bambini
potevano essere i suoi nipoti data la differenza d’età. Anche per un
grandissimo uomo come lui arrivò un momento di riflessione e 77

Un altro calcio

di pausa che lo indusse a fermarsi per fare delle valutazioni personali.

O smettere d’allenare o farlo con un’altra categoria…

Perego non poteva vivere lontano da un campo di calcio, senza tutto questo
sarebbe morto dentro e per lui nulla avrebbe avuto più un senso.

Non riuscire più a correre dietro ai bambini rubando la pettorina oppure far
fatica a piegarsi per aiutarli a mettere i calzettoni o allacciare gli scarpini,
sono solo un paio delle situazioni che gli hanno fatto prendere questa
decisione. A quel punto della sua carriera poteva prendere anche la
decisione di fermarsi, invece accetta l’ultima sfida prendendo in mano la
prima squadra che era da sempre la più ingestibile come gruppo e con
grosse difficoltà a far risultato la domenica.

Io nelle ultime 2 stagioni avevo giocato a Milano, nel Cimilano, una società
satellite Milan molto conosciuta sul territorio che vanta anche un ottimo
impianto. Ero andato via dalla Cernuschese all’età di 15 anni proprio perché
pensavo che per 78

Un altro calcio
inseguire un sogno bisognasse cambiare strada, ma non sempre è così.
Infatti dopo tre stagioni difficili e la maturità da preparare scelgo di
ritornare alla Cernuschese, volevo soltanto giocare e volevo farlo dove
avevo lasciato i ricordi più belli. Ma soprattutto la mia decisione di ritornare
a Cernusco era dovuta al fatto che avrei avuto l’opportunità di essere
allenato ancora dal mio vecchio allenatore, il mio primo mister.

Vi racconterò un aneddoto di Mister Perego…Era stata un’annata molto


difficile, mi inserirono gradualmente in prima squadra ero tra i più giovani e
avvertivo la differenza di categoria soprattutto sul piano fisico. A gennaio
entro definitivamente a far parte della prima squadra, era la mia prima
esperienza nel campionato di seconda categoria. La squadra dopo un avvio
difficile riesce a recuperare punti in classifica e si sta giocando i PLAY-OFF
a Cologno Monzese (MI).

“Ricordo che ci diedero un rigore, mancavano poco più di cinque minuti


alla fine ed eravamo sotto di una rete dopo un’incredibile rimonta 79

Un altro calcio

subita… “tu” (mister PP) avevi scelto che lo tirasse un altro giocatore ma
io, ti supplicai perché avevo voglia di riscattare i miei errori in partita ed
egoisticamente credevo di riuscirci così.

Lì forse hai fatto il tuo unico errore con me, mi hai ascoltato…ed io ho
sbagliato, tradendo la tua fiducia e quella dei miei compagni. Ricordo che
ero in ginocchio con le mani tra i capelli, non ci potevo credere di aver fatto
quell’errore…tu mi richiami in panchina ed io pensai “ecco si è incazzato,
me la farà pagare…” e invece no, mi richiami per darmi un abbraccio forte
e dirmi nell’orecchio:

<<Quella palla per te pesava troppo, ma a me pesava

troppo

non

darti
una

seconda

possibilità…adesso siediti e non pensare a come hai calciato, ma pensa ai


tuoi compagni che ci stanno provando fino alla fine>>.”

La squadra non apprezzò affatto il gesto da bambino viziato, ma Mister PP


riuscì a far capire ai ragazzi, come nella vita non sempre riusciamo a
prendere la giusta decisione, a volte l’istinto ci 80

Un altro calcio

porta verso una scelta ma la paura ci frena e ci fa cambiare strada. Il mister


non ha mai favorito nessun giocatore in base agli anni d’esperienza o ai gol
fatti la stagione precedente, ha sempre trattato tutti allo stesso modo, dal più
giovane al più anziano, sostenendo sempre che le vittorie si costruiscono
nello spogliatoio e che per esprimere al meglio il proprio potenziale i
giocatori devono allenarsi serenamente e non pensare a far gli allenatori,
decidendo chi deve o non deve giocare…

“Un allenatore è qualcuno che ti dice quello che non vuoi sentire, ti fa
vedere quello che non vuoi vedere, in modo che tu possa essere quello che
hai sempre saputo di poter diventare.

(Tom Landry)

81

Un altro calcio

ASPETTANDO IL

MIO MOMENTO

La mia seconda stagione in prima squadra sta per iniziare, l’umore è lo


stesso di quando mi presentai per la prima volta in campo da pulcino al mio
primo torneo.
Il ritrovo è alle 14.00, ma mi presento al campo mezz'ora prima perchè a
casa proprio non riesco a restarci.

Il Bar del campo è ancora chiuso e non c'è nessuno tranne me, anzi no...

“Vedo sul campo Vincenzo, detto Vinci, che sta tracciando le linee con il
gesso, ma come sempre non riesce a farne mai una dritta…senza parlare del
cerchio di centrocampo e delle aree di rigore, un vero artista il nostro
Vincenzo eheheh”. Vinci è un signore sui 50 anni che come professione fa
l’elettricista, è lì da forse due ore, ha sistemato prima gli spogliatoi, pulito
dalle erbacce diverse 82

Un altro calcio

zone del campo, ha controllato che la caldaia funzionasse, recuperato i soliti


palloni e conetti dispersi per il campo ed infine si è messo con pazienza a
tracciare e ripassare tutte le linee che durante la settimana si erano
cancellate. Senza di lui, non potremmo mai scendere in campo. Anche lui
come tutti noi lo fa per passione senza nessun fine di lucro, se non qualche
gelato o caffè offerto dal bar. Vincenzo come tantissimi altri eroi di
provincia è un volontario che ha scelto di aiutare la società e ci tiene
tantissimo a farlo, tanto che si dice abbia anche cancellato e spostato degli
appuntamenti di lavoro per essere presente al campo.

Insomma lo definirei il nostro primo tifoso, che durante le partite interne si


propone sempre come guardalinee, fuori casa invece come fotografo a
bordo campo, autore di splendidi scatti.

Passano i minuti e lentamente iniziano ad arrivare altri miei compagni e


Vincenzo ci fa un cenno dal campo indicandoci “il via libera” per lo
spogliatoio:

83

Un altro calcio

<<Ragazzi, tutto asciutto potete cambiarvi >>.


Nello spogliatoio, lasciamo il borsone e andiamo a dare uno sguardo al
campo appena fatto. Sarà la magia del calcio o la mia nostalgia ma ricordo
che l'erba, quel giorno sembrava più verde del solito, forse, perché era la
prima di campionato e dopo qualche partita e allenamento quel campo così
verde sarebbe diventato un ricordo per tutto l’anno.

Nel frattempo continuano ad arrivare i compagni di squadra, il mister, i


dirigenti e finalmente apre anche il bar davanti al campo, così ci prendiamo
una bottiglietta d’acqua per combattere l’arsura.

Il mister ci raduna nello spogliatoio e ci suona la carica:

<<Oggi è la prima di campionato ragazzi, purtroppo alcuni di voi sono


assenti. Roberto non ha recuperato dallo strappo, Filippo è stato male questa
notte e mi ha telefonato dicendomi che non viene, Marco ha appena tolto il
gesso e deve fare riabilitazione. Oggi alla fine siamo in 14, a me non 84

Un altro calcio

interessa il risultato sia ben chiaro ragazzi, ma date tutto voi stessi, fatelo
per voi, per i vostri compagni che sono venuti a vedervi e per tutte le vostre
famiglie che vi aiutano e sostengono per giocare>>.

Intanto il mister riflette pensieroso, poi guardando Andrea il nostro centrale


difensivo, raccomanda:

<<Andre gioca pulito e non cercare troppo l'uomo, hai fisico ma oggi serve
anche la testa, non ho cambi dietro non prendermi il rosso che non voglio
regalare uomini agli avversari>>, Andrea sorride e fa cenno “OK” con la
mano.

<<Dai forza tutti in campo, andiamo a scaldarci, che ho parlato già tanto>>.

Iniziamo il riscaldamento, fa caldo, mi bagno la testa quasi ad ogni


scatto...skip perfetti, allunghi perfetti, palleggi e passaggi senza errori. Mi
sento pronto, sto bene, ora non aspetto altro che sentire la formazione
titolare.
"Vabbè dai siamo alla prima...ma pure l'anno scorso era sempre la stessa
scena…ma che bello essere ancora tutti 85

Un altro calcio

qua, mi siete mancati un botto" pensavo.

Il mister inizia il solito monologo tattico. Ed io ero con lo sguardo fisso e


concentrato ad ascoltarlo, ma come sempre la tensione mi faceva capire
poco e nulla. Però non ero il solo, anche i miei compagni non erano da
meno, e quindi va bene così, aspettiamo che ci dica gli 11 titolari. Il
momento dell’annuncio degli 11 titolari è unico e viene vissuto in totale
silenzio e isolamento mentale da parte di ognuno…sono sempre stato
convinto che in questi attimi si potrebbe sentire anche il ronzio di un
moscerino.

PP: <<Ragazzi oggi giochiamo con Gerva in porta, Andre al centro con
Miguelito, Russotto a destra Terni a sinistra a centrocampo voglio Antonio
che aiuta dietro e Lorenzo che proverà ad impostare quindi giochiamo più
su di lui, sulle fasce Alberto e Tommy esterni invertiti. In attacco Giova
prima punta e Zambo seconda a supporto del centrocampo.>>.

Ero fuori dagli 11 titolari.

Ma per me non era importante partire dall’inizio, 86

Un altro calcio

anche se ci tenevo parecchio ma tranquillo, eravamo in pochi ed ero sicuro


che il mister mi avrebbe dato una possibilità.

Indossavo la maglia numero 14, un numero poco appariscente ma che per


me aveva un significato particolare, era il giorno di nascita di mio papà
oltre che il mio numero fortunato.

Sedevo in panca indossando la pettorina arancione e non vedevo l'ora di


entrare in campo.

La partita era molto equilibrata, non si sbloccava.


Il primo tempo termina sullo 0-0, senza grosse occasioni. Il mister
nell'intervallo chiede alla squadra maggior convinzione, parla di movimenti
sbagliati e spiega cosa vuole in campo. Io lo guardavo e con la testa
annuivo: "Ok mister so cosa vuoi, sono qui, dammi una possibilità", ma lui
ha già fatto un cambio, voleva più gamba sulle fasce e mise dentro Fede che
quella settimana non si era nemmeno allenato bene, ma lui a differenza mia
era un'ala pura e vedeva bene la porta...io invece sono un terzino e penso a
non far passare palloni dal mio lato, ed in quel momento non servivo.

87

Un altro calcio

Nel secondo tempo la partita non si sblocca, e allora il mister decise di


farmi scaldare, sa che potevo essere decisivo sui calci piazzati e mi chiese
di scaldarmi insieme a Davide, un piccolo centrocampista ma con colpi da
genio.

Eccola la mia occasione!

Fallo e calcio di punizione dal limite destro, guardai il mister che si girò
come se volesse farmi entrare subito...ma in quei pochi secondi si era già
rialzato da terra e sistemato la palla Andrea sicuro della sua bomba. Il
mister provò a dirmi qualcosa...ma fa solo un cenno con la mano:

“Aspetta”. Andrea calciò dritto sulla barriera ma il tiro era talmente forte
che la palla venne deviata in rete spiazzando il portiere! GOAL 1-0.

Il tempo scorreva e nessuno dei miei compagni sembrava stanco, nessuno


che chiede il cambio, la squadra giocava benissimo ed io mi scaldavo e
facevo stretching fermandomi più volte a guardarli ed incitarli, ormai
mancavano pochi minuti credo una dozzina, “Non mollate raga!”. Ero
felicissimo per il risultato, guardavo il mister, sperando che mi 88

Un altro calcio

chiamasse per entrare, aspettavo il mio momento.


Ricordo bene l’attimo in cui pensai di non entrare più, come sempre il
destino mi smentì per l’ennesima volta.

“Novantesimo minuto. L'arbitro indica 5 minuti di recupero. Andrea, che


aveva tenuto duro per restare in campo dopo il fallo subito, sente una fitta
dietro il quadricipite e chiede al mister quanto manca per stringere i denti. Il
mister si gira verso di me e mi dice:

<<Togli la pettorina, e mettiti al centro della difesa, non farmi passare


nemmeno una palla resta come ultimo dietro, giocami da libero OK?>>

<<Certo mister, non aspettavo altro, grazie!>>.

Cinque minuti alla fine, manca poco non è ancora finita, entro e mi sento
quasi spaesato, nel momento in cui avevo mollato sono stato chiamato per
difendere il risultato, inoltre ero fuori ruolo dopo anni che non giocavo più
al centro e non potevo permettermi di sbagliare, la squadra non me
l’avrebbe perdonato ancora.

Vedo arrivare verso di me 2 giocatori che 89

Un altro calcio

triangolano, i miei compagni sono stanchi e faticano a rientrare. Gerva in


porta che mi urla di stare attento e chiudere sul 9, che avanza
pericolosamente, io sono più veloce però ha un cambio passo e finte che mi
mandano in bambola...riesce a calciare in porta ma per fortuna Gerva devia
in angolo. Tutti a uomo, ognuno il suo...perdo ancora il 9, lo riprendo ma
riesce a calciare in porta...solo che questa volta l'ho salvata sulla linea con il
mio portiere battuto, che giratosi indietro con lo sguardo stremato mi urla:

<<buttala suuuu!!!>>.

Mi sveglio ed improvvisamente entro in partita e riprendo fiducia, avevo


bisogno di quella scossa, sposto palla sulla destra e provo a far la mia
sgaloppata urlando verso i miei compagni

<<andiamo suuuu!!!>>.
Siccome non sono abbastanza bravo con i piedi avevo preferito uscire palla
al piede piuttosto che spazzarla, appoggiandola successivamente ai miei
centrocampisti che con un giro palla molto attento mantengono il possesso
in questi ultimi secondi, 90

Un altro calcio

facendomi prendere gli applausi del mister e dei miei compagni in


panchina.

La partita termina 1-0.

Il 9 viene da me a stringermi la mano e mi ha detto sorridendo: <<Se fossi


rimasto fuori quella palla era goal, bravo! Oggi avete vinto voi.>>

<<E’ stata fortuna, sei stato immarcabile, ho preferito difendere la porta e


mi è andata bene, siamo alla prima di campionato ci incontreremo ancora e
avrete la vostra rivincita >>.

Da quel sabato ho sempre giocato ed anche quando ero in panchina per


scelta del mister non ho mai mollato, perché avevo capito come in un
attimo possa cambiare tutto.

Il calcio, per noi, non è soltanto un gioco, anche solo uno sprazzo di cinque
minuti mi ha donato uno dei ricordi più belli della mia vita calcistica. Da
questi momenti ho imparato che non serve lamentarsi ma bisogna
dimostrare con il lavoro e l’impegno che si è pronti. L’occasione prima o
poi capiterà a tutti dobbiamo esser bravi noi a saperla sfruttare.

91

Un altro calcio

VITA DA CALCIATORE

Alla fine posso dire di esser riuscito a coronare il mio sogno e diventare un
calciatore.
Non importa se non sono diventato un professionista e non ho giocato nelle
squadre più blasonate d’Italia. Oggi posso dire di aver dato la mia vita al
calcio, e mi sento a tutti gli effetti un calciatore. Probabilmente potevo
ambire a traguardi migliori, come la serie D o l’Eccellenza, ma non mi
vergogno affatto di giocare in seconda categoria. Non sono riuscito ad
arrivare nei professionisti per diverse ragioni.

La prima è per demerito mio, non ho mai avuto i piedi e la corsa per poter
ambire a certe categorie…nonostante fisicamente non abbia mai subito
infortuni seri il mio percorso è stato questo.

Da quando sono tornato a Cernusco non ho più cambiato squadra, sono


cresciuto e lentamente diventato un leader dello spogliatoio ed in campo 92

Un altro calcio

la mia presenza iniziava ad essere importante per la squadra, soprattutto per


i più giovani che mi prendevano come riferimento nello spogliatoio.

“Penso che il treno per palcoscenici più importanti non sia mai passato di
qua”.

Nella mia carriera ricordo di aver giocato con personaggi stranissimi, alcuni
erano dei veri e propri casi sociali…

C’erano ragazzi cresciuti in strada che possedevano una tecnica davvero


fuori dal comune, e che potevano fare la differenza nel nostro campionato,
ma il loro pessimo stile di vita li ha divorati ancor prima del campo stesso.

Trascorrevano le giornate a bivaccare nei bar del paese e spesso la sera


rientravano a casa ubriachi.

Mister Perego ha inciso sul mio percorso scrivendo pagine importanti dal
mio inizio e nel mio finale di carriera da giocatore. Nel mezzo ho passato
diverse stagioni travagliate, con rivoluzioni improvvise sulle panchine e nel
direttivo societario che era sempre a rischio fallimento. Al mio ritorno nella
Cernuschese, il mister non era affatto 93
Un altro calcio

cambiato, nonostante avesse qualche anno in più ed un gruppo molto


difficile da gestire, in cui ero il più giovane insieme al terzo portiere
Gibellini. Per noi l’inserimento in squadra non è stato semplice non siamo
riusciti subito ad integrarci con il resto dei compagni anche perchè
inizialmente ci vedevano come dei bambini rispetto a loro.

All’epoca restavamo in gruppo ma eravamo isolati dal resto della squadra,


esser così giovani non ci favoriva affatto. Loro a fine partita si riunivano e
andavano a bere una birra insieme, noi non venivamo nemmeno invitati,
inoltre non avendo ancora la macchina eravamo ancor di più tagliati fuori.

Un giorno si avvicinò a me Monguzzi, un bomber di razza che all’epoca


aveva quasi 40 anni e una storia che sembrava George Best. Separato con 4
figli, 2 mogli, aveva perso il lavoro ed era ripartito facendo il fattorino, ma
quel poco che guadagnava lo spendeva in vizi come donne, fumo, alcool,
totoscommesse…diceva che giocava in terza categoria perché a 40 anni
nessuno avrebbe 94

Un altro calcio

investito su di lui oggi, ma si sentiva uno forte e decisivo come Ibrahimovic


quando tornò a 39 anni al Milan.

Monguzzi era un tipo tosto uno di quelli che se ti prendeva in antipatia ti


faceva uscire in stampelle dall’allenamento…lui

comunicava

così,

selvaggiamente.

Quel giorno mi venne vicino e mi domandò:

“Cosa ci fai qui alla tua età? O sei stato sfortunato, oppure non vali un
cazzo!”
…Rimasi attonito, non sapevo cosa dire, avevo timore di dire qualsiasi
cosa…però pensai: “Mongu non ha detto una gran cazzata, alla fine non
sono arrivato da nessuna parte e ho la metà dei suoi anni…”.

Fortunatamente non ero un tipo che si scoraggiava facilmente, anzi queste


frasi mi aiutarono a spronarmi e dare ancora di più sul campo per
dimostrare che anche se non ero un fenomeno, in questa categoria potevo
fare la differenza. Infatti sono cresciuto velocemente e riuscì a conquistarmi
il posto da titolare e la fiducia della squadra in pochi mesi, da quel
momento 95

Un altro calcio

pensai: “Adesso che sono titolare se qualcuno vorrà rubarmi il posto dovrà
sudare parecchio”.

In quegli anni ero uno studente, sbarbato ben pettinato e vedere gente adulta
che arrivava nello spogliatoio con le mani bianche e secche di vernice o
piene di tagli perché lavoravano nei cantieri, mi ha fatto crescere e riflettere
molto, questi compagni erano per me un esempio di vita.

Allenarmi e giocare con loro era il mio sogno fin da bambino, ma devo
ammettere che è stata una realtà totalmente diversa dalle giovanili. Nelle
giovanili i ragazzi si sentono molto più protetti, hanno i genitori molto più
presenti e cercano spesso delle scuse quando le cose non girano nel verso
giusto, un po' come i capricci del “fratello minore”.

Qua non esistono scuse, qua esiste sentimento e passione, i miei compagni
si alzano alle 5.00 del mattino, alcuni nemmeno tornano a casa e dopo una
giornata in cantiere vanno direttamente al campo per l’allenamento. Dove
poi stremati e pieni di dolori rientrano a casa da moglie e figli, per 96

Un altro calcio

alzarsi nuovamente alle 5.00 la mattina seguente.

Era normale per loro fare questa vita, ma per me che ancora vivevo in
famiglia e dovevo diplomarmi era un mondo nuovo, mi faceva sentire quasi
in debito con i miei compagno. Per questo giurai a me stesso che avrei
aiutato la squadra dando tutto, fino all’ultima goccia di sudore.

Il mio segreto? Tanta passione e sacrificio.

Ad alcuni sembreranno discorsi strani, perché fatti da un dilettante che ha


giocato gratuitamente per tutta la vita, ma posso garantirvi che è il calcio,
quello vero nasce proprio in questi posti spesso dimenticati da chi oggi è
diventato famoso.

Noi siamo i poveri del calcio, quelli che si emozionano ancora oggi che non
giocano più.

Questo mio atteggiamento sul campo avevano iniziato a notarlo tutti, in


allenamento crescevo mese dopo mese, ora era difficile tenere a bada la mia
fame, la mia determinazione, la mia passione.

Per questo sono rimasto fedele ai colori rosso-blu della Cernuschese, ormai
era diventata la mia seconda pelle e volevo diventare un simbolo per i 97

Un altro calcio

più piccoli così come lo erano stati a loro volta i ragazzi della prima
squadra quando da bambino, iniziai a muovere i primi passi su quel campo.

“Alzi la mano chi, da piccolo, non ha mai guardato con stupore i ragazzi più
grandi che indossavano la nostra stessa tuta o maglietta da gioco?”.

In fondo tutto è iniziato così...

I nostri sogni, inconsapevolmente, sono iniziati dentro uno spogliatoio, è da


lì che si costruiscono i successi e si analizzano gli errori.

Spesso si resta in silenzio affranti, altre volte si discute animatamente, altre


ancora si piange e ci si consola.

Io non mi vergogno di tutto questo anzi, ne vado fiero, perché noi calciatori
non professionisti troppo spesso siamo stati definiti:
“Degli stupidi che corrono dietro un pallone...”.

Per la ricerca della giocata...del gol, l'abbraccio al compagno che ti ha fatto


l'assist.

Urlare a squarciagola ed essere sommerso tutti dopo aver segnato…è


qualcosa di unico, oserei dire 98

Un altro calcio

una ragione di vita che ci da quel senso di libertà e di leggerezza, anche


solo per 90 minuti alla settimana.

Una volta il mister convocò noi della prima e ci fece allenare insieme ai
ragazzini di 13 anni, fu un allenamento che ancora oggi ricordo.

“Eravamo a Cernusco, la prima squadra viene convocata al campo per fare


una sessione extra di allenamento. Ci cambiavamo nello spogliatoio di
fronte al loro e mister PP ci aveva chiesto di essere d'esempio per i più
piccoli cercando di non essere volgari né arroganti, ma di allenarci con loro
e di farlo dando il massimo, oggi più di qualsiasi altra volta.

Fu un bellissimo allenamento.

Eravamo quasi paterni nei loro confronti e sentivamo il peso della


responsabilità di poter esser d'aiuto a questi ragazzi, che in noi vedevano un
po’

il loro sogno futuro.

Ecco signori, io ho dato la mia vita al calcio e oggi che sono un padre di
famiglia, vivo di calcio, forse con ancora più passione e trasporto rispetto a
99

Un altro calcio qualche anno fa, perché in fondo la passione cresce sempre.

Tutto questo non mi ha mai dato benefici economici, non ho mai percepito
un euro e ci tengo a precisarlo, perché quando ho dovuto lasciare la squadra
per motivi di lavoro e fisici, sono morto dentro...come un campo
abbandonato da anni con le erbacce alte.

Il calcio di periferia è stato la mia vita, ragazzi che come me sognavano in


un campetto fatto di terra, sassi e fango...quando ci andava bene”.

100

Un altro calcio APPENDERE GLI SCARPINI

“Poi arriva un giorno in cui tutto finisce…”

Il tempo passa inesorabile per tutti, ed anche se avevo promesso a me stesso


che avrei giocato fino a 90 anni, quel maledetto giorno arrivò anche per me.

Sono cresciuto in questa squadra vivendo momenti indimenticabili in


questo campo. Nella mia carriera ho collezionato più sconfitte che vittorie
ma non cambierei nulla di tutto questo, chiederei soltanto una seconda vita
per rivivere ancora una volta le stesse emozioni.

Non è stato semplice, ho vissuto tanti momenti difficili con la squadra, ma


anche a livello personale.

Ero però consapevole che avevamo tutti lo stesso obiettivo, per questo
ritrovarci e sostenerci nelle difficoltà ci aiutava a stare bene e quando tutto
101

Un altro calcio sembrava complicato insieme lo superavamo o almeno ci si


provava a farlo con maggior serenità e forza di gruppo.

Le tante sconfitte mi hanno insegnato molto più delle vittorie, sembrerà


strano raccontarlo…ma sono contento di esser stato etichettato come un
perdente. Un perdente per me è “Un sognatore che non si è mai arreso”.

Aver perso in campo mi ha aiutato ad affrontare la vita in modo diverso, mi


ha aiutato a capire che nessuno ti regala mai nulla e se ami qualcosa non
devi lasciartela sfuggire di mano neppure quando sembra irraggiungibile.
Il calcio è semplice si vince o si perde, e che se ne dica, ma comunque il
pareggio non ti soddisferà mai…nessuno lotta a priori per pareggiare.

La mia ultima partita in realtà non doveva essere l’ultima, ma questo ormai
me lo ripetevo da circa due stagioni. Fisicamente ero a pezzi, i dolori alla
cervicale ed alle gambe spesso non mi permettevano di allenarmi bene in
gruppo, però in qualche modo cercavo di esser sempre presente, 102

Un altro calcio piuttosto con il plaid sulle gambe in panchina ma dovevo


restare con la mia squadra, con i miei compagni.

Anni passati sui campi di provincia ti segnano, ti formano ti fanno capire


che non sei l’unico malato di calcio, ma c’è un mondo che la pensa e la
vede come te.

Si gioca l’ultima partita, sono titolare e per via di un ginocchio malandato


stringo i denti e gioco centrale difensivo, il ruolo che avevo sognato ad
inizio carriera…quello del LIBERO oggi era mio, amaro segno del destino.

La partita complice anche una brutta pioggia ed il campo fangoso non è


stata delle migliori, però questo terreno pesante era un aiuto per me che
giocando da ultimo uomo riuscivo con tempismo a chiudere sull’attaccante
avversario che non riusciva mai a prendere velocità per via delle buche e
del terreno pesante.

La partita non aveva un grande significato ai fini del campionato, la


Cernuschese era a metà classifica e avrebbe mantenuto la seconda 103

Un altro calcio categoria, ma i miei compagni erano in campo per provare a


vincerla e sentivo che la squadra voleva fortemente la vittoria per me, che
dalla prossima stagione non sarei più stato in campo con loro.

“Al 90’ su un calcio d’angolo dalla sinistra per la Cernuschese, stacco di


testa e anticipo la marcatura…TRAVERSA PIENA…poteva essere il finale
più bello, poteva essere il più romantico…invece il Dio del calcio ha voluto
scrivere ancora una volta lui il finale”.
Quella fu la mia ultima partita, per l’ennesima volta mi sentii ancora
penalizzato dalla sorte, ormai avevo un conto aperto con lei, ma era inutile
sfidarla, non mi dava pace. Piansi molto per l’amaro finale della mia
carriera, tutti mi chiesero di fare un’altra stagione per riscattarmi, ma non
volevo una rivincita personale, volevo avere qualche anno in meno e
giocarmela alla pari con tutti…cosa che purtroppo oggi non ero più in grado
di fare. La squadra mi aveva sempre sostenuto ed i ragazzi avevano cercato
di convincermi che un’altra stagione avrei potuto giocarla ancora, e 104

Un altro calcio magari avremmo raggiunto anche la promozione in 1.a


Categoria.

“No grazie ragazzi, siete stati fantastici, ma lascio…”, ero fermo nella mia
decisione ringraziai ogni singolo compagno e membro dello staff e andai
via dal campo da solo dopo tutti, dopo aver osservato ogni angolo dello
spogliatoio e del campo deserto, per l’ultima volta.

Le scarpe quel giorno non le avevo pulite, avevo scelto di custodirle


infangate per poterne sentire ancora l’odore…quel profumo di campo che
ognuno di noi conosce a memoria, ed il borsone è rimasto chiuso per molti
mesi dentro un armadio.

A casa, non avevo più nemmeno il coraggio di aprirlo…un po’ come se


aprendo quella borsa, i miei ricordi svanissero da me per sempre.

Finita questa partita mi ritrovai del tempo libero, cosa a cui non era
abituato.

Quel giorno anche se ero realizzato nella sfera lavorativa e sentimentale


sentivo un grandissimo vuoto dentro, la mia partita è finita, quei momenti
magici non li avrei più potuti vivere.

105

Un altro calcio ALLA TUA ETA’, CORRI ANCORA

DIETRO UN PALLONE?
Ormai a quasi 36 anni, ho un lavoro stabile e diversi progetti tra cui il
matrimonio dopo 10 anni di fidanzamento con Sara.

Potrei dire che mi sento un uomo realizzato, però nella testa ho sempre
questo chiodo fisso, il pallone.

Da quando ho smesso mi sento un po' come un pensionato che ha amato


tanto il suo lavoro, ma un giorno dovrà accettare di non poterlo fare più,
magari vivendo di ricordi, e forse anche di qualche rimpianto.

Il calcio resta una delle mie priorità, fa parte di me anche in questo periodo
che non avendo più una squadra mi ritrovo a giocare ogni venerdì sera con i
miei amici e qualche collega a calcetto. Quel venerdì è sacro perché per
un’ora si torna bambini, 106

Un altro calcio si gioca a pallone e chi perde offre la pizza a fine serata ai
vincitori. Insomma una vera finale con tanto di premiazione.

In tanti tra i miei colleghi di lavoro e amici mi domandano perché ancora


perdo tempo dietro ad un pallone.

Che ne sanno loro, che hanno preferito il divano e la televisione.

“…ormai

non

giochi

più

in

nessuna

squadra...rischi di farti male, paghi perfino il l’affitto del campo! Ma che


senso ha alla tua età?”.

“Non c’è un senso, è una necessità” .


Rispondevo a chi curiosamente mi faceva questa domanda, assurda!

Per me il calcio non è soltanto quello visto in TV.

Il calcio mi ha salvato, mi ha dato quelle emozioni che erano nascoste


dentro e non riuscivo più a vivere. Sui campi di periferia si rincorrono
speranze, sogni, si respira il profumo del calcio di provincia, quello fatto da
persone che giocano per 107

Un altro calcio passione, comuni mortali come noi.

Col passare degli anni, cambiando le varie categorie, ho capito che la mia
forza è stata la squadra e che senza di lei sarei stato soltanto un numero
insignificante sul campo, uno dei tanti.

Nella mia adolescenza ho visto fenomeni che all’età di 14 anni sognavano


una vita fatta di successi, una vita che non è vita, ma hanno imboccato la
strada sbagliata e buttato via tutto in un attimo.

Le nostre fidanzate, mogli, mamme quante volte ci hanno detto, "Ma chi te
lo fa fare? Smetti, resta a casa che non hai più l’età...".

Quante volte abbiamo portato a casa il borsone pieno di vestiti sporchi,


scarpini infangati e unti con profumo del grasso di foca, calzettoni, tute,
felpe, pantaloncini che pesavano il triplo solo perché pieni di fango, maglie
termiche, guanti, scalda-collo.

Tutto questo per noi è la normalità, ma non lo è sempre per chi ci sta vicino.

Parlo proprio per la "gioia" delle nostre mamme e 108

Un altro calcio delle nostre mogli che ci amano, ci sopportano ed anche se


spesso non ci capiscono ormai rassegnate, ci comprendono.

Tu arrivi con borsa e sacchetta, sei a pezzi dopo una giornata di lavoro, sei
andato al campo per due ore...senti dolori ovunque, persino a muscoli che
fino a qualche giorno fa non sapevi nemmeno di avere. Porti a casa da
lavare l'abbigliamento usato sul campo e mentre stai svuotando il borsone a
casa, in bagno, ti arriva un'occhiataccia e lei ti dice:
<<Ma alla tua età, chi te lo fa fare?>>

<<Il cuore…>> rispondi.

“Amo stare sul campo, amo prendere freddo, amo sentire i geloni alle mani
e avere i brividi quando scivolo nelle pozze gelate...

Amore tu non puoi capire, ma ascoltami…

Qui la casa è calda e accogliente, si respira profumo di pulito ma il campo è


il mio sfogo, la mia vita, la mia seconda casa”.

Ci sono spogliatoi, umili, le porte rotte che restano semiaperte e fanno


entrare il freddo…

Lo so ti sembro stupido, all’inizio anch’io non 109

Un altro calcio apprezzavo tutto questo e lo guardavo con occhi diversi, ma


oggi non riesco più a farne a meno.

Sai quante volte mi è capitato di cambiarci dentro dei container, che appena
aprivi le docce si creava una nebbia fitta che nemmeno in Valpadana avevo
mai visto.

Le panche sono di legno, se sei fortunato c'è posto per tutti...altrimenti per
cambiarti dovrai trovare un angolino in piedi.

I bagni, se possibile, è sempre meglio evitarli...poi

"la leggenda narra" che agli ospiti si dia sempre un bagno fatiscente per
metterli a disagio.

Le docce, a volte sono calde, ma ormai sappiamo per certo che la faremo
fredda con quel “profumo”

di muffa che traspira dalle pareti, per non parlare degli scarichi intasati dal
fango, dell’umidità e del vapore che ci avvolgono dentro queste quattro
mura.
Devo ammettere, però che qualche volta erano calde, a volte anche troppo,
ma non immagini quante volte ho fatto la doccia fredda ridendo, urlando e
cantando".

110

Un altro calcio Invano tento di trascinarla dentro al mio entusiasmo...ma


senza successo.

Io osservo la mia compagna mentre svuota il mio borsone e provo un senso


di colpa per non averle portato la "roba d'allenamento" più pulita. Ha
ragione, e pensare che nello spogliatoio tra di noi ridiamo e sappiamo che a
casa le nostre mogli ci

"cazzieranno"…ma

siamo

dannatamente

irrecuperabili.

“So che mentre ti lamenti e scuoti la testa, lo fai con amore, perchè sei
consapevole che sono così e tutto non avrebbe più un senso se fossi
diverso”.

Sono semplicemente un folle che ha un sogno irrealizzabile, non mi


interessa più vincere o perdere, ma giocare.

Tutto inizia da bambini, dove giocavamo per ore senza sosta, cambiando le
formazioni se ci sembravano troppo squilibrate, perché non c’era
divertimento quando vincevi facile.

Noi che nominavamo capitani i due leader del gruppo, spesso i più forti, per
evitare che giocassero insieme e che cercavamo di farci scegliere per primi
111

Un altro calcio quando si facevano le squadre, perché restare per ultimi era
terribilmente umiliante.
Noi che abbiamo imparato a giocare a suon di ginocchia e gomiti sbucciati,
rompendo l’ennesima tuta rappezzata dalla nonna.

Noi che andavamo al campo a piedi o in bici e sapevamo essere puntuali ed


organizzati anche senza cellulari. Sapevamo benissimo che un gol subito
non era così importante, tanto alla fine:

“Chi segna per ultimo vince la partita”.

Ma se capitava di perdere una partita stravinta, per questa regola, non era la
fine del mondo ma…una lezione di vita unica, che ti marchiava a fuoco.

Vincere, perdere…qualche volta pareggiare e andare ai rigori…siamo


cresciuti così, con la convinzione che ogni giorno potessimo riscrivere la
storia.

Oggi che non sono più bambino e non mi scrosto più le ginocchia dai
sassolini del campo, non riuscirei a resistere al dolore che mi
provocherebbe la lontananza da tutto questo.

112

Un altro calcio Quante volte facciamo qualcosa senza senso o senza saperne
il motivo, ma semplicemente perchè qualcuno ci ha detto di farla.

Ecco nel calcio io ho conosciuto e scoperto realmente chi sono.

Forse oggi molti penseranno che sono vecchio, incapace, che non ho più il
fiato e forse nemmeno i piedi…chissà se hanno ragione, ma certe passioni
vanno inseguite e basta.

113

Un altro calcio EMOZIONI INVISIBILI

Dopo aver abbandonato il calcio giocato, mi sono concentrato sulla mia


vita, sperando di non viverla come un nostalgico del pallone.
All’età di 39 anni arriva la gioia più grande, divento papà di Mattia, il figlio
che tanto avevamo sperato di avere io e Sara.

Questo è stato il gol più bello della mia vita, quello che la sorte mi aveva
spesso negato sul campo, arriva inaspettatamente ed è una gioia immensa.

Inutile dirvi che da quel giorno ho iniziato a capire cosa significa essere
padre e quante responsabilità ci sono. Trascorrere del tempo con il proprio
figlio aiuta a far crescere entrambi, anche se involontariamente pensiamo
che sarà d’aiuto solo per il piccolo, non è affatto così. Passare le giornate o
semplicemente dei momenti insieme a lui significa: educare, insegnare,
incoraggiare, 114

Un altro calcio gioire,

consolare,

condividere

più

semplicemente, “amare incondizionatamente”.

Essere papà significa anche aver paura del mondo che ti circonda e del fatto
che prima o poi lui sarà abbastanza grande da doverlo affrontare da solo.

In questi anni a causa degli impegni lavorativi e famigliari sono stato


costretto a mettere il calcio in secondo piano. Il tempo libero era sempre
meno, tra le visite ai parenti, gli appuntamenti dal pediatra, le scuole
dell’infanzia, le ore al parchetto a giocare con altri bimbi, le passeggiate in
famiglia con i nonni, le biciclettate e le prime feste di compleanno dei suoi
amici.

Iniziai a pensare che con il calcio era finita davvero o perlomeno il calcetto
del venerdì sera era un lontano ricordo, la squadra si è sfaldata anche perché
molti dei miei amici e colleghi adesso erano impegnati a seguire e crescere i
propri figli.
Passò qualche anno dalla nascita di Mattia e quel vuoto che avevo dentro si
rifece vivo e improvvisamente ricominciai ad essere nostalgico, 115

Un altro calcio ed il calcio mi mancava ancor più di prima. Ma la cosa più


triste era la consapevolezza che non avrei mai potuto riprendere a giocare in
nessuna squadra, perciò cercai di farmene una ragione...in qualche modo.

Gli anni, qualche acciacco fisico, i chili in eccesso…ormai il calcio, era un


lontano ricordo.

Un’emozione rimasta imprigionata nel cuore, una delle poche cose che
nessuno mai potrà togliermi, una sorta di magia arrivata senza preavviso
che mi cattura riportandomi indietro nel tempo.

È domenica...Io e Sara ci apprestiamo a fare il

“cambio di stagione”, Mattia sta crescendo e a settembre frequenterà la


prima elementare, oggi abbiamo deciso che bisogna fare spazio ed
eliminare il famoso “superfluo”.

Sara, organizzatissima, inizia a svuotare gli armadi e trova la mia vecchia


borsa della Cernuschese. Liberarsi dei vecchi vestiti non è affatto facile,
tutti abbiamo quella t-shirt rovinata che non possiamo più usare per uscire,
ma non abbiamo il coraggio di buttare perché troppi ricordi 116

Un altro calcio ci legano a lei.

“Ricordo che ero in cameretta a giocare con mio figlio, e che avrei
sistemato le mie cose dopo che Sara finiva con i suoi indumenti e con quelli
di Mattia, ma chiamato improvvisamente da lei vado a vedere cosa avesse
bisogno”.

Quella borsa ormai vecchia, con la cerniera rotta e le scritte consumate


racchiudeva un passato che con la realtà non era più in sintonia.

Presi la borsa e la portai via, dicendo:

<<Vado giù a buttarla…>>, ma non ci riuscì.


Arrivato giù ascoltai il cuore…

“Era domenica, ma in realtà è come se non lo fosse.

Non è più domenica ormai da un pó di anni, esattamente da quando non


gioco più.

Quando mi fermo a pensarci, mi passa davanti il film della mia vita.

Posso far finta di nulla, ma mi mancano quelle domeniche frenetiche,


impegnato dal campionato.

Le convocazioni mattutine...le attese al campo.

Mi manca non poter prendere impegni, perché al primo posto c'erano


sempre quelle partite…

117

Un altro calcio Mi manca lo spogliatoio, i miei compagni ed i loro sorrisi


prima di entrare in campo...

Mi manca l'ansia prima del calcio d'inizio, gli abbracci per ogni gol segnato,
l'esultanza per un miracolo del nostro portiere...

Mi manca la delusione dopo una sconfitta e la capacità di riprenderci


immediatamente la domenica dopo, per noi contava giocare, il resto passava
in secondo piano.

Mi manca tutto questo e vi giuro che non è poco anche perché per me era
tutto!”

Ah già la borsa, non la buttai…la sistemai o meglio

“la imboscai” nel garage al sicuro, sognando un giorno di poterla riaprire.

118

Un altro calcio LA MIA SECONDA VITA,


QUELLA DELL’ALLENATORE

Dopo alcune riflessioni, ho pensato che fosse arrivato il momento di


rimettermi gli scarpini e guardare avanti a un nuovo capitolo della mia vita,
così decisi di ritornare in campo, ma con una nuova veste, quella da
allenatore.

Ho quasi 46 anni, i ragazzi ormai mi danno del

"Lei" da qualche anno, e seppur fino a pochi anni fa giocavamo insieme,


quando smetti tutto cambia.

Lavoro in un’azienda con turni sulle 24 ore, mio figlio Mattia ha iniziato la
prima elementare, e di colpo mi ritrovo del tempo libero ma il problema è
che adesso che ce l'ho, non so cosa farmene, mentre quando giocavo
sognavo giornate eterne perché 24

ore non mi bastavano.

Dei miei amici, ormai non gioca più nessuno, giusto qualche volta ci
rivediamo per una partitella insieme come ai vecchi tempi, ma è sempre più
119

Un altro calcio difficile organizzarci, molti sono spariti e gli altri danno
spesso buca dicendo che non hanno più il fisico o il tempo libero.

Capita però che mi chiamano per fare il fantacalcio, ma quest'anno


no...onestamente non ho voglia e poi non conosco più i giocatori, la metà
sono quasi tutti nomi nuovi. Quando giocavo al fantacalcio ho sempre perso
perché anche quello lo facevo col cuore. Eh sì, mi "svenavo" per i miei
idoli...Shevchenko, Maldini…prendevo Inzaghi anche quando era
infortunato e non compravo mai i giocatori di Inter e Juve...il mio obiettivo
era avere i miei idoli e divertirmi, non vincere.

Oggi mi ritrovo a fare zapping su un tv a 55

pollici, ho infiniti pacchetti e canali ma non riesco mai a trovarne uno che
mi interessa.
Sky, Dazn, Web Tv, 5000 canali digitali contro la cara vecchia TV a 22
pollici della SABA...

l’antenna a 16 canali, di cui 9 si vedevano senza sabbia o immagine distorta


che ruotava. Non so, oggi ho tutto quello che forse avrei voluto da bambino,
ma mi sono reso conto che tutto non mi 120

Un altro calcio serve a niente, anzi mi manda in confusione. Da bambino


quel poco che avevo per me era tutto ed ero felice, e se sognavo qualcosa e
non la ricevevo faceva parte della vita, anche per questo forse sono rimasto
un sognatore, e ho sempre preferito dare che ricevere.

La mia vita è un po' la stessa di quel povero vecchio tv della Saba, lui che a
fatica ti faceva vedere qualcosa con un audio che spesso “gracchiava”

viene surclassato oggi dai supertecnologici Smart Tv. Televisori


praticamente perfetti sulla carta, rispetto a quei vecchi baracconi di una
volta che pesavano tantissimo e avevano valvole e tubo catodico.

Forse è proprio per questo che non riesco ad amarli come quelli di una
volta, dove tutto era più romantico, dove se non avevi il videoregistratore
non potevi rivederti il tuo film preferito, magari preso in affitto da
BlockBuster…che ne sanno le nuove generazioni.

Assurdo a dirsi, ma probabilmente sono strano io o forse non è questa la


vita che desidero.

121

Un altro calcio Finché un giorno durante una pausa caffè al lavoro, un


amico mi chiama e mi dice che mi deve presentare una persona.

Siamo ad ottobre e la giornata era piuttosto plumbea e fredda, ma arrivo in


netto anticipo all'appuntamento, un po' per abitudine, un po' per curiosità.

Da lontano vedo arrivare su uno scooter il mio amico Riccardo e mi dice:

<<Ciao Marco! Seguimi che siamo in ritardo! Ti porto io al campo salì


su>>.
Salgo e penso "Campo? Quale campo? Sarà una sorpresa per me?"

E invece no.

Arriviamo al campo e trovo una squadra di bambini, di età diverse tra i 6 e i


7 anni, ed un signore alto e magro con una tuta piccola e stretta.

Si ferma a guardarmi, e con una voce rauca mi chiama per nome:

<<Ciao Marco! Scusa se non ti ho chiamato di persona al telefono, ma


pensavo di poterci riuscire da solo...insomma capisci sono qua e per questi
122

Un altro calcio bimbi stiamo cercando una figura tecnica che li alleni e che
provi ad insegnargli qualcosa>> si confidò il signor Luigi, che poi
aggiunse…

<<Io giocavo alle figurine da bambino e non so buono nemmeno a parlare


cò sta voce che me ritrovo al massimo je potrei raccontà le barzellette...tu
c’hai impegni o sei libero?>>.

Un vero fulmine a ciel sereno! Wow! Bellissimo!

Preso dall’entusiasmo del momento, risposi:

<<Beh...se hai bisogno posso darti una mano sul campo. Però non so quanto
posso esserti utile...non ho mai allenato, inoltre dovrei fare anche il corso
allenatori...Non so nemmeno quanto costa e quanto tempo duri.... però ti
dico OK, VA BENE, SI ACCETTO!!!>>.

Sentivo forte il desiderio di iniziare, di ricominciare, di poter essere


importante e utile per qualcuno. Non potevo rifiutare, soprattutto dopo aver
visto gli occhi di questi bimbi che mi guardavano come se fossi già il loro
nuovo mister”.

123

Un altro calcio Fu così che iniziò la mia vita da allenatore.


Ritornai in campo con un nuovo ruolo, facendo corsi di aggiornamento e
riuscendo a conseguire il patentino d’allenatore nonostante i miei numerosi
impegni.

La prima cosa che feci appena preso il titolo di allenatore fu andare a


cercare il mio ex maestro, Peppino Perego, ma ricevetti una brutta notizia. Il
mister tanto amato da tutti era recentemente scomparso a causa di una
malattia incurabile che lo perseguitava da anni e nessuno di noi sapeva
niente sul suo stato di salute…scoprì adesso che la scelta di lasciare il calcio
giovanile e prendere la prima squadra fu dettata dalle sue precarie
condizioni fisiche che lo debilitavano sempre più.

Mister Peppino Perego era andato via senza far rumore, proprio nel suo
perfetto stile. Per me è stato come un angelo sceso sulla terra in missione,
poi ritornato in cielo a missione compiuta.

Iniziai ad allenare i piccoli amici del Sig. Luigi che rimase ad aiutarmi
come dirigente tuttofare.

Mi sono subito reso conto che allenare aveva un 124

Un altro calcio altro sapore, il campo lo vedevo da un’altra prospettiva e


non ci misi molto a capire quante difficoltà ci sono nella gestione del
gruppo.

Da calciatore le conosci e le vivi ma non senti così tanto il peso di dover per
forza esser importante per tutti, da allenatore tutto può essere importante
anche le minime cose a cui non avevo mai dato peso.

Ho capito quanto sia fondamentale il lavoro e la disponibilità di tutti i


volontari che permettono al calcio dilettantistico di sopravvivere, regalando
così una speranza a tanti piccoli sognatori.

Ci sono campioni che non prendono mai gli onori della cronaca, campioni
che vivono “dietro le quinte”, persone imprescindibili di cui ogni società e
squadra non possono fare a meno.
Sono campioni di vita, sono presenti su tutti i campi, spesso sono invisibili
o insignificanti agli occhi degli spettatori, ma sono importantissimi ed è
grazie a loro che il gioco del calcio riesce a nascere e sopravvivere su ogni
campo di periferia.

I campioni invisibili si occupano un po' di tutto, 125

Un altro calcio senza mai tirarsi indietro ed io non smetterò mai di essergli
grato, perché tutti noi abbiamo bisogno del loro supporto, dei loro sorrisi e
delle belle parole di conforto che hanno sempre per noi anche quando le
cose non vanno bene.

Quando si gioca, in campo non ci sono soltanto 22 giocatori, 2 allenatori, 2


vice, ed 1 arbitro con qualche

dirigente

ed

eventualmente

guardalinee…

Ci sono i campioni invisibili, i nostri super eroi del calcio dilettantistico,


capaci di gestire e aiutare in diversi ambiti.

Provate a pensare senza di loro come sarebbe, ne cito alcuni:

I volontari della segreteria e del bar.

Chi si occupa di raccogliere e lavare le divise sporche a fine partita.

Chi pulisce o disostruisce sanitari e spogliatoio ogni settimana.

Chi deve subire lamentele e dare delle risposte per la caldaia rotta o in
blocco, dopo che era stata appena revisionata e dichiarata funzionante dal
126
Un altro calcio tecnico.

Chi va a comprare sacchi di 25kg di gesso per poi tracciare e ripassare le


linee del campo.

Chi aiuta a spostare le porte, misura con la bindella il campo e ci picchetta


le porte.

Chi apre e chiude i cancelli facendo accoglienza sempre sorridente.

Chi fa le foto e i video.

Chi organizza tornei e spostamenti gara, vivendo reperibile 24 ore su 24.

Chi prepara il thè caldo.

Chi aiuta portandoci la rete dei palloni, la borsa medica, i giacconi e le


borracce.

Chi anche quando le cose vanno male, ha sempre una bella parola di
conforto.

Chi ci segue ad ogni partita, facendoci sentire importanti e tifando noi


anche fuori casa.

Chi sistema e ripara le reti, le porte, gonfia i palloni.

Chi lava le pettorine e le divise piene di fango.

Chi è amministratore dei “Gruppi Whatsapp” che con tanta pazienza, filtra
e comunica eventuali smarrimenti di capi, oppure ripete all'infinito 127

Un altro calcio orario e luogo del ritrovo senza avere mai un riscontro
totale...per poi dover correre e cercare telefonicamente i dispersi poco prima
di scendere in campo.

Chi pulisce il campo, tappa le buche e taglia l'erba.


Chi organizza pizzate, panzerottate, tornei della salamella sempre per stare
vicino alla squadra...perchè ormai non riusciamo più a vivere senza.

Inoltre nel 2020...

A causa della pandemia Covid-19, si sono aggiunte diverse misure


restrittive imposte dal Governo e i nostri angeli sono sempre stati presenti,
si sono aggiornati e hanno sfidato il rischio di essere contagiati per garantire
la sicurezza e la regolare attività sportiva secondo i protocolli governativi.

Hanno dimostrato ancor di più il loro amore e la loro passione scendendo in


campo e facendo rispettare i rigidi protocolli a tutti, senza di loro come
avremmo fatto?

Chi avrebbe misurato le temperature corporee e 128

Un altro calcio ritirato le autocertificazioni?

Chi si sarebbe assunto la responsabilità di sorvegliare

con

attenzione

evitando

assembramenti?

Chi sanificava gli spogliatoi con cura e attenzione seguendo e rispettando i


protocolli anti-covid?

Il calcio dilettantistico è vivo grazie a loro, ai nostri volontari che formano


la famiglia più bella del mondo, quella che permette di farci vivere i nostri
sogni. Senza di loro tutto questo non sarebbe esistito, un mondo dove il
volontariato è così attivo e partecipe rende tutto più bello e funzionante. I
nostri campioni invisibili, che umilmente con amore e passione riempiono
ogni momento della nostra giornata, permettendo così a tutti di potersi
esprimere nelle migliori condizioni e al pubblico di potersi godere lo
spettacolo.
Ora che anch’io sono diventato un allenatore, sento la fiducia della società e
dei genitori e apprezzo questa grandissima responsabilità, cercando di fare
del mio meglio, come sempre ho 129

Un altro calcio fatto in ogni situazione.

Mia moglie Sara, ha dimostrato di amarmi e di seguirmi in ogni tappa della


mia vita calcistica, ancora forse inconsapevole che avere un allenatore in
casa è diverso da un calciatore…

La moglie del mister di provincia, sa bene che: I weekend sono un lontano


ricordo...

Se non c'è la partita, ci sarà il torneo...

E se per caso non c'è nemmeno quello?

Nessun problema lui andrà a cercarlo anche a km di distanza, sempre


negando l'evidenza e dicendo

"Eh ma mi hanno invitato non potevo dire di no"

L’allenatore non ha orari...o meglio allena 2/3

volte a settimana, uscendo sempre in anticipo e rientrando a casa sempre in


ritardo.

E quando la moglie lo cercherà al cellulare, risponderà..."Eh ma i bambini


devono ancora finire le docce..."

"Mi hanno trattenuto in società..."

"I genitori di 2 bambini ancora non sono arrivati a 130

Un altro calcio prenderli, non posso abbandonarli..."

"Ho finito, ma oggi tocca a me spegnere la caldaia e chiudere il campo..."


Durante la settimana se ha un giorno libero, chiede subito in società la
disponibilità del campo per un allenamento o amichevole fuori programma.

Il mister invece come si comporterà a casa?

Quali sono le abitudini più comuni?

L'outfit del mister di provincia è molto semplice…ci si veste con


abbigliamento sportivo, SEMPRE.

La tuta d’inverno, e la polo della società in primavera/estate.

La domenica quando torna dalla partita non si cambia ma raggiunge


direttamente la famiglia dai parenti oppure al centro commerciale esibendo
fiero la sua tuta che ne identifica un’identità.

Lascerà sparse per casa, tracce di fango secco e sassolini neri del sintetico,
naturalmente affermando di essersi pulito e cambiato le scarpe al 131

Un altro calcio campo.

Appena tornato a casa dopo una partita o allenamento, si siede a tavola e


“taaac” squilla il telefonino e inizia l’analisi tattica nei minimi dettagli
della partita appena finita.

Guarda poco la TV ma non si perde una partita dell'anticipo al posticipo...

E quando non parla di calcio? Beh si parla del fantacalcio o racconta delle
sue “imprese passate”

da giocatore.

A passeggio incontra sempre qualcuno, ma quando vede un suo vecchio


giocatore o collega di campo restano a parlare ore e la moglie (santa) con
un sorriso di circostanza, tenta di dissuaderlo in pochi minuti, ma poi cede e
prosegue a fare shopping da sola.

Ma quanta passione, quanto ama il suo lavoro, quanto ama i suoi bambini i
suoi ragazzi ed il suo staff…quanto ama star con loro sul campo e tornare a
casa con le scarpette infangate dicendo:

“Scusami ma sono venuto via di corsa altrimenti oggi 132

Un altro calcio non mi facevano più tornare a casa” .

Solo la moglie di un allenatore conosce quanto sia difficile star vicino ad un


mister, ma anche quanto sia importante la presenza di una donna che lo
capisca, comprenda e sostenga.

Capirlo quando è stanco e resta nei suoi silenzi dove pensa e riflette sulle
proprie scelte.

Un uomo che non smette mai di pensare, anche quando guida si isola
mentalmente per pensare alla seduta d'allenamento che farà questa sera.

Un grande uomo ha sempre al suo fianco una grande donna, è un detto


comune ma è verissimo!

E con questo concludo ringraziandovi tutte, perché ammettiamolo…non è


facile restarci vicino in certi momenti.

Grazie a tutte, perché siete importantissime 133

Un altro calcio LE PRIME STAGIONI

DA ALLENATORE

Dopo aver conseguito il patentino da allenatore, iniziai ad allenare in


oratorio, la mia è stata una scelta dettata dal fatto che il calcio giovanile lo
vedevo fin troppo “esasperato” e cercavo un ambiente più tranquillo come
inizio.

Perché un oratorio e non una scuola calcio?

“Ho scelto di allenare in oratorio perché non voglio avere bambini


selezionati, voglio allenare quei bambini che desiderano giocare a calcio per
coltivare il loro sogno e non quello degli adulti.
Voglio allenare quei bambini che non hanno disponibilità economiche e la
parrocchia li aiuta dandogli questa possibilità, voglio allenare quei bambini
che sono stati rifiutati e scartati da altre società perché non erano
abbastanza bravi per poter vestire la loro casacca…”.

134

Un altro calcio Iniziai ad allenare cercando di far conciliare i miei turni di


lavoro e gli impegni famigliari con gli allenamenti, e le partite della mia
squadra.

La prima squadra che mi venne affidata è stata della categoria BIG


SMALL, iscritta al campionato CSI. Iniziai con 10 bambini misti di 6-7 e
giocavamo a 5 ogni weekend girando i diversi oratori della zona.

La prima stagione è stata molto positiva per tutti, nonostante l’avessimo


conclusa con una sola vittoria, e subendo diverse goleade, era nato un
gruppo vincente che era sempre più coeso e cresceva partita dopo partita.

I bimbi iniziarono il loro primo campionato ad ottobre, travolti da un


entusiasmo contagioso riuscirono a proporre anche qualche buona azione di
gioco, ma la loro voglia di far tutto da soli li portò a raccogliere molto meno
di quello che avevano seminato in allenamento durante la settimana.

Con il passare degli anni ho notato come ai bambini di oggi mancano le ore
di gioco in cortile, 135

Un altro calcio al parco o per strada come avveniva ai miei tempi.

Vedersi soltanto due volte alla settimana per gli allenamenti può aiutarli a
crescere come gruppo, ma non sarà mai allenante quanto giocare per ore
sotto casa fino a quando non tramontava il sole.

Nella mia squadra, la mancanza di concentrazione era una costante comune.

Inizialmente il nostro portiere pensava più a cosa stesse accadendo fuori dal
campo e spesso abbiamo subito gol comici proprio perché era intento a
guardare fuori mamma e papà che gli scattavano foto in continuazione.
Molti gol sono entrati tra uno scatto e l’altro con lui quasi in posa, poi
quando mi mostravano le foto, imbarazzati per l’accaduto, era impossibile
non farci una sana risata tutti insieme.

E mentre vedevo alcuni genitori fuori che sbraitavano, io sorridevo per la


distrazione commessa dal mio numero 1…sapevo che in partita non era il
momento migliore per far notare l’errore, quindi ne avremmo parlato con
calma più tardi, in fondo non è successo nulla di drammatico, 136

Un altro calcio abbiamo soltanto preso un gol comico, possiamo migliorare


sempre.

La genuinità e l’ingenuità dei bambini rendono ludica un’attività che spesso


viene messa alla gogna dall’ego dei genitori o dei formatori stessi.

I miei giocatori ruotavano e giocavano tutti lo stesso tempo, chi iniziava


titolare oggi avrebbe iniziato in panchina la partita successiva, inizialmente
questa era la mia gestione del gruppo.

I bambini hanno diversi talenti, c’è chi mostra qualità, chi pensa e ragiona,
chi è impulsivo…chi ha l’ansia e la paura di sbagliare, chi vuole solo
vincere e chi pensa che non vincerà mai nulla.

Un educatore dev’essere un bravo direttore d’orchestra, consapevole che


quando tutto andrà bene dovrà farsi da parte per lasciare spazio ai suoi
piccoli, senza nessun eccesso di protagonismo.

“Ricordo che avevo un bambino dotato di un gran tiro ma era in sovrappeso


e molto appesantito dal suo fisico, aveva grossi problemi sulla corsa e poca
voglia di sacrificarsi per un recupero palla.

Lui aveva sviluppato altre qualità per evitare di 137

Un altro calcio correre troppo, aveva un gran tiro e da centrocampo


preferiva buttarla in porta giocando semplicemente così. Tutto questo
avallato dal supporto dei genitori che gli chiedevano di provarci sempre,
ogni volta che gli capitava la biglia tra i piedi.
Avevo il bambino dotato di una gran corsa e un’ottima conduzione palla,
ma cercava di vincere le partite da solo, andando a recuperare palla in
qualsiasi zona del campo e poi provando a saltare tutta la squadra
avversaria, senza mai alzare la testa.

Poi per ultimo c’era la punta centrale, il terminale offensivo, il bomber


come viene chiamato comunemente.

Noi non abbiamo mai avuto un vero bomber, per fortuna aggiungerei, anche
perché così siamo stati obbligati a lavorare meglio sulle qualità di ognuno,
senza pensare che la palla dovesse arrivare la davanti e poi ci pensava il
nostro numero 9. Da noi in attacco giocava il bambino che aveva meno
feeling con la squadra e col pallone, proprio perché 138

Un altro calcio fare gol è la miglior cura e garantiva un aumento


dell’autostima di tutti, magari calciando male una palla sporca.

Poi nel gruppo avevo un piccolo straniero, Omar, inizialmente era isolato
dal gruppo per problemi di comunicazione ma dopo poche settimane era
perfettamente integrato con gli altri perché a calcio tutti parliamo la stessa
lingua.

Avevo anche un bimbo simpaticissimo, che era il giullare della squadra e


veniva al campo per giocare e restare con i suoi amici. Quel bimbo era in
grado di spezzare i momenti di tensione e trasformarli in una fragorosa
risata collettiva.

Aveva un talento incredibile e non era un talento calcistico…lui nel gruppo


era fondamentale come se fosse stato il giocatore più forte della squadra,
con le sue battute ed i suoi sguardi riusciva a strapparci sempre una risata
anche nei momenti più “seri” in cui richiamavo qualcuno.

Allenavo un bambino che nonostante l’età mostrava un diverso grado di


autonomia e di maturità rispetto ai suoi coetanei. Il bimbo con forti 139

Un altro calcio problemi economici e senza il papà, non aveva la possibilità


di potersi permettere nemmeno un paio di scarpini per giocare.
Un giorno non sapendo della sua situazione mi fermai a parlare con lui
chiedendogli come mai venisse al campo sempre senza le scarpette da
calcio e mi rispose con il capo chino, “Non le ho”.

Gli diedi un forte abbraccio e lo rincuorai dicendogli, “Ed io che pensavo


che te le dimenticassi ogni volta…nessun problema puoi venire ancora con
queste”.

La sera stessa a fine allenamento non tornai a casa ma andai ad acquistare


un paio di scarpe per il mio piccolo giocatore e l’allenamento successivo
gliele feci trovare dentro la borsa, mettendole di nascosto mentre i bambini
erano fuori a parlare con il signor Luigi. Quando il piccolo Roberto, vide le
scarpe sbarrò gli occhi verso di me, ma lo fermai da vero stopper
anticipandolo con queste parole:

<<Bimbi tra 5 minuti dobbiamo essere in campo, ricordatevi sempre che


sognare non costa nulla e quando ci credete fortemente qualche volta i
sogni 140

Un altro calcio si realizzano, però…>> aggiunsi <<Non dovete mai


domandarvi il perché…se lo desiderate tanto non domandatevi mai nulla…
vivetelo. >> Voi non ci crederete ma mentre parlavo mi rendevo conto che
stavo dicendo delle bellissime cose e forse non avevo mai parlato così con
nessuno prima di allora. Mi ero stupito e mi venne in mente il mio maestro
mister PP .

“Caspita e queste belle parole dove le avevo nascoste fino ad oggi? Non
sembravo nemmeno io”.

Roberto nonostante fosse un bimbo chiuso ed introverso, riuscì ad essere un


esempio per tutta la squadra. Il modo in cui puliva dal fango le sue scarpe e
come le riponeva con molta attenzione in borsa, fu una lezione per tutti
quelli che le maltrattavano e le lanciavano per terra, sbattendole sui muri
vicino alla fontanella per staccare i pezzi di terra rimasti sotto. Insegnò a
tutti con questo gesto, nobile e silenzioso, quanto sia importante aver cura e
rispetto di ciò che abbiamo, senza dimenticarci che fino al giorno prima
piangevamo per averlo.
141

Un altro calcio I PROBLEMI DA MISTER

L’allenatore è quasi sempre un uomo solo.

Solo nelle decisioni,

solo quando c’è da prendersi delle responsabilità, solo quando viene


criticato, solo anche quando si vince.

Ma è la persona più importante per il gruppo e per lo spogliatoio, ed i suoi


ragazzi sanno bene cosa significa averlo accanto e cosa si prova quando è
assente.

Dopo tre stagioni trascorse nello stesso oratorio volevo fare con voi un
“bilancio”, raccontando e valorizzando qualche episodio che mi ha aiutato a
crescere e vedere il mondo del calcio da un’altra prospettiva.

“Quando inizi vorresti fare subito tante cose, mille amichevoli in attesa del
campionato, avere un sacco di materiale in magazzino, avere sempre il 142

Un altro calcio campo tutto per te senza doverlo condividere con altre
squadre e molto altro…”.

In ogni gruppo ci sono dei problemi, ma un gruppo per poter sopravvivere


deve saper accettare e rispettare le poche regole di convivenza.

Quando iniziai ad allenare presi in mano una squadra che a parte tre
elementi nuovi, aveva già fatto una stagione con un altro allenatore.

Stupidamente ho dato per scontato che i bambini,

essendo

così

piccoli,
venissero

accompagnati puntuali al campo dai genitori e ripresi dagli stessi a fine


allenamento…ma non andò proprio così.

L’allenamento di comune accordo con le famiglie era rimasto alle 17.30,


non modificai l’orario dell’anno prima nonostante io lavorassi su turni e
questo orario mi penalizzava parecchio quando dovevo fare il turno di
notte.

Capitava spesso che andavo a lavoro senza cena, oppure mangiavo un


boccone mentre ero in auto, ma non ho mai dato peso a questo perché era la
mia vita e avevo scelto io di vivere così.

143

Un altro calcio Il problema è che la puntualità dei genitori all’inizio fu


un’utopia. C’erano bambini che venivano accompagnati ad ogni orario, chi
veniva già vestito da casa senza la borsa, tornando poi a casa senza
cambiarsi e senza aver fatto la doccia a fine allenamento. Chi a fine
allenamento doveva aspettare i genitori che erano perennemente in ritardo,
oppure chi senza nessun preavviso nei miei confronti veniva a prendere il
figlio mezzora prima della fine dell’allenamento.

Un giorno un bambino arrivò a partita iniziata ed il genitore, da fuori,


pretendeva che io lo facessi giocare senza rendersi conto che esiste un
regolamento e che il suo comportamento era altamente diseducativo oltre
che imbarazzante.

Suo figlio giustamente non giocò e da quella volta non ci furono più ritardi
ingiustificati.

Purtroppo prendere questa decisione ha fatto più male a me che al bambino,


ma era necessario farlo anche perché le regole non si interpretano, ma si
rispettano.

Ho soltanto bei ricordi sul calcio…lo spogliatoio è 144


Un altro calcio sempre stato il mio punto di partenza.

Arrivavo mezzora prima per preparare la seduta d’allenamento, e poi essere


libero per aiutare ed accogliere i miei piccoli appena giunti al campo.

Volevo vivere insieme a loro lo spogliatoio, ascoltandoli mentre si


raccontano le loro disavventure scolastiche e ridono spensierati parlando di
figurine e dei loro idoli. Aiutandoli con dei piccoli gesti, insegnandogli
come mettere le proprie cose in borsa senza perdere nulla, allacciare gli
scarpini, mettere i calzettoni, prepararsi l’occorrente per la doccia…

Ma notavo che quasi tutta la squadra era abituata ad arrivare da casa già
pronta in tenuta d’allenamento, addirittura alcuni prendevano l’autobus con
le scarpette da calcio e nonostante avessero circa un’ora di tempo
dall’uscita di scuola arrivavano sempre in ritardo al campo. Così parlandone
con i genitori proposi di invertire rotta anticipando l’allenamento alle 17.00
per fare in modo che finita la scuola tutti venissero diretti al campo e tutti in
abbigliamento post scolastico, 145

Un altro calcio quindi obbligati a “cambiarsi insieme”.

Inizialmente alcuni genitori non la presero bene, ma col tempo si rivelò una
scelta azzeccata. I bambini dopo qualche settimana impararono a rispettare
un luogo che inizialmente non avevano quasi mai vissuto in comune se non
durante qualche partita. Lo spogliatoio cominciava ad essere vivo e loro
appena arrivavano al campo correvano a salutarmi e poi subito di corsa
felici nello spogliatoio, per cambiarsi e per salutare i loro compagni.

All’inizio è difficile per tutti essere naturali e spontanei, nello spogliatoio


ognuno di noi conosce l’altra parte di sé.

Però avevo un bimbo che era davvero unico, Stefano detto Stefanino.

Stefanino inizia a giocare a calcio a 6 anni seguendo un pò le orme del


fratello e dei suoi compagni di scuola. È un bambino più piccolo rispetto ai
suoi coetanei e ha evidenti difficoltà di coordinazione nella corsa ma non
soltanto (un giorno cadde a terra per battere il calcio d'inizio).
146

Un altro calcio I genitori volevano che facesse sport perchè non sapevano
come gestirlo avendo problemi di lavoro, e la soluzione migliore a detta
loro, era iscriverlo a calcio insieme al fratello maggiore.

Ste è un bambino simpaticissimo con la passione per le barzellette e gli


indovinelli. Lui si divertiva a raccontarci le barzellette nello spogliatoio, e
aveva una risata coinvolgente che ti faceva ridere senza sapere il perchè.
Per noi è stato la mascotte del gruppo, forse anche per via del suo fisico
minuto e gracile che faceva tenerezza a tutti.

Stefanino in campo mostrava un totale disinteresse nei confronti del calcio,


era un giocatore totalmente assente, anche se negava spudoratamente
dicendo che gli piaceva e si divertiva molto. In campo era immobile, fermo
totalmente disinteressato della partita...

Speravo di riuscire a capirlo, di aiutarlo, pensavo magari è solo


timidezza...invece no, il suo atteggiamento era sempre lo stesso. Sempre
presente ma senza entusiasmo ne voglia, e per me fu davvero difficile
inserirlo e coinvolgerlo in 147

Un altro calcio campo con il resto della squadra.

Allora ne parlai con i suoi genitori cercando di essere il più possibile


disponibile per aiutarlo visto le difficoltà mostrate...ma niente anche da
parte della famiglia sembrava tutto normale.

“Lui è fatto così…” mi disse la mamma, che poi aggiunse che è stato il
bambino a scegliere calcio, anziché altri sport.

Allora mi son detto "Il problema sono io...".

Probabilmente non so prenderlo, magari gli faccio paura, insomma volevo


trovare una risposta ma non ci riuscivo.

Finché un giorno in allenamento dopo aver notato che non calciava mai in
porta ma piuttosto la buttava fuori, gli domandai:
<<Non ti piacerebbe fare goal? Perchè non ci provi anche tu? Vedi i tuoi
compagni come sono felici…>>.

Posso garantire che prima di fare questa domanda al bimbo l'ho osservato
bene, proprio per esser sicuro che non fosse un problema di coordinamento,
ma sembrava semplicemente un 148

Un altro calcio rifiuto a far gol.

E mi rispose: "No mister, non mi interessa far gol, chi fa gol litiga perché li
vuole fare tutti lui…Io voglio dare la palla a chi fa gol, e avere tanti amici",
concluse il piccolo.

Rimasi inerme davanti a queste parole, mi ero commosso ma non volevo


farmi vedere così dai miei piccoli…allora mi asciugai velocemente gli
occhi e pensai:

“Signori ha vinto lui su tutto, ha vinto su tutti i miei preconcetti!!! Ha vinto


sulla presunzione che talvolta mi fa credere di esser capace di insegnare,
correggere, educare...ha vinto e sono fiero di aver perso”.

La purezza dei bambini, il valore dell'amicizia prima della soddisfazione


personale sono spesso sconosciuti a noi adulti e questo bimbo mi è rimasto
nel cuore.

Dietro ogni problema c’è un’opportunità è una citazione di Galileo Galilei.


Lo scienziato che ha dato il via ad un nuovo modo di pensare ci invita ad
andare sempre oltre, ma noi come reagiamo 149

Un altro calcio davanti ad una difficoltà?

Siamo sempre noi stessi, oppure troviamo ogni tipo di scusa per non
affrontare il problema?

Io pensavo a concentrarmi sulla soluzione senza cercare delle scorciatoie


inutili, un problema se esiste va affrontato con calma e con moderazione.

In un progetto educativo e sportivo i genitori non vanno esclusi a priori, ma


vanno valorizzati come risorse, anche perchè il bambino vive a casa con
loro molte più ore rispetto a quelle che trascorre con il suo allenatore ed i
suoi amici. I genitori di Stefano che inizialmente sembravano distaccati e
freddi, sono diventati una risorsa importante per la squadra. Organizzavano
feste e pizzate con gli altri bimbi sfruttando così le qualità di Stefano fuori
dal campo…e fuori dal campo era imbattibile.

Lui fu l’esempio di come nel calcio non sempre si vince sul campo.

I genitori di Stefano furono davvero bravi nel gestire la situazione,


riuscendo a valorizzarlo, consapevoli del fatto che il calcio poteva essere un
150

Un altro calcio mezzo di socializzazione che aiutava ad includere e non a


dividere, dimostrando come lo sport possa essere la miglior forma di
integrazione.

Ma ci furono anche genitori che non apprezzarono il fatto che Stefanino


giocasse nella squadra di loro figlio e a fine anno cambiarono società,
purtroppo loro avevano idee diverse…cercavano una squadra costruita per
vincere e non come la nostra.

Il genitore vive sempre con estrema passione la prima esperienza sportiva di


suo figlio, e molto spesso non riesce a trattenersi dimostrandosi quasi
comico e simpatico. Ma capita spesso di incontrare nelle tribune genitori
che rei di aver anche pagato il biglietto, iniziano a manifestare con un
eccessivo trasporto

emotivo

il

proprio

pensiero…

trasformandosi in ultras antisportivi e maleducati.

Quando sento e vedo questi comportamenti mi viene sempre voglia di


ritirare la squadra dal campo e di rientrare negli spogliatoi fino a quando il
clima non torna più sereno, posso garantirvi che non è un bello spettacolo
per i piccoli.

Non ho mai fatto questo solo perché 151

Un altro calcio penalizzerei ulteriormente la mia squadra, però non nego


che ci ho pensato spesso e sono assolutamente contrario a questi personaggi
che rovinano lo spettacolo con atteggiamenti da censura.

Penso che per andare a vedere una partita di calcio dilettantistico o


giovanile, non serva arrivare al campo minacciosi ed ipercritici a priori
contro ogni figura, dall’arbitro fino ad arrivare anche ad insultare il proprio
figlio, rimproverandolo a gran voce durante e dopo la partita.

Sembra facile a dirsi ma tutti noi genitori dovremmo lasciare il bambino


libero di esprimersi in allenamento ed in partita senza interferire con le
decisioni dell’allenatore, cercando di incoraggiarlo evitando di esprimere
giudizi sui suoi compagni e facendo

paragoni

con

essi.

Questo

l’atteggiamento più equilibrato e positivo che un genitore dovrebbe cercare


di assumere, anche se ancora siamo lontani da questo cerchiamo di dare
sempre il buon esempio.

Il calcio non deve essere soltanto un mezzo per 152

Un altro calcio raggiungere la vittoria, assolutamente no!

Il calcio, ma lo sport in generale, aiuta il bambino a maturare e crescere,


stimolandone l’impegno. Il bambino col tempo imparerà ad affrontare le
difficoltà e prenderà una decisione in autonomia.

Per lui sarà una sana competizione, non semplice perché ci saranno tante
piccole difficoltà, ma la forza di volontà ed il supporto dei genitori e del
formatore lo aiuteranno.

Il percorso del bambino è lungo e lento e prevede tanti piccoli ostacoli e


prove che dovrà affrontare con lo scopo di cercare di migliorarsi,
comprendendo il sacrificio e l'umiltà fino ad arrivare ad assumersi le sue
prime responsabilità.

Il calcio deve insegnare l’educazione, il rispetto delle regole, degli


avversari, dei tecnici e delle decisioni arbitrali. Ma è soprattutto
aggregazione, inclusione, rispetto dei valori, condivisione, sacrificio,
autocritica, mettersi alla prova.

In fondo altro non è che l’ennesima “palestra di vita” dove si allenano i


valori più importanti, si rafforza l’amicizia, e si insegna la sana 153

Un altro calcio competizione. Insegnando ai bambini a riflettere sui propri


sbagli, perché che l’errore fa parte della crescita.

154

Un altro calcio NESSUNO DEVE TOGLIERE

IL SORRISO AD UN BAMBINO

“Dopo quasi tre stagioni, ricevetti una telefonata da parte della mia società
che mi avvisò di un genitore che era intenzionato ad iscrivere il proprio
bambino da noi, proprio perché aveva sentito parlar bene dell’oratorio e di
me come allenatore.”

La società mi lasciò carta bianca affidandomi la decisione se inserire o


meno il nuovo elemento a gennaio. Avevo già molti giocatori (giocavamo a
7

e avevo una rosa composta da 16 bambini).


Decisi di incontrare il signor Giuseppe, papà del bambino in questione e di
ascoltare la sua richiesta, anche perché non mi sembrava corretto dire no a
priori. Il signor Giuseppe, arrivò al campo per parlare con me un’ora prima
dell’inizio degli allenamenti, appena mi vide in quell’umile e vecchio
campetto oratoriale si avvicinò con molta 155

Un altro calcio gratitudine per aver accettato di incontrarlo.

Nonostante il presidente della società l’avesse avvertito che le iscrizioni


erano chiuse, lasciò aperto un piccolo spiraglio dichiarando: “Ne parlo con
Marco, l’allenatore e vediamo cosa ne pensa…”.

Inizialmente pensai che il sig. Giuseppe, voleva incontrarmi per chiedermi


esplicitamente di prendere suo figlio in squadra…invece venne per sfogarsi
e raccontarmi amareggiato la sua storia.

Ci stringemmo la mano e iniziò la nostra conversazione:

“Buongiorno Marco le volevo parlare di mio figlio”

<<Mio figlio ha 9 anni e da 3 anni gioca in una squadra della zona, che mi
avevano tanto consigliato per storia e per la competenza tecnica degli
allenatori. Il primo anno venne inserito in una squadra C, perché ritenuto
non ancora pronto dagli allenatori per rose più forti che potevano competere
in campionati migliori dove avrebbero incontrato squadre con Inter e Milan.
Ma fin qui nessun 156

Un altro calcio problema a mio figlio interessava giocare e non gli


importava nulla sapere in quale rosa, anzi io stesso ho pensato che partire
dietro rispetto agli altri poteva essere da stimolo per dare sempre il
massimo. Così fece il primo anno senza grossi problemi, ma cambiò tre
allenatori, per via di problemi che erano nati nel gruppo genitori e continui
screzi con dirigenti, società e mister. Però i bambini sembravano sereni e
giocavano senza troppe difficoltà, vincendo qualche partita e disputando
una stagione tutto sommato discreta.

La stagione successiva dopo che mio figlio venne


“promosso” in squadra B iniziò il suo calvario. La società viene invasa dalle
polemiche dei genitori e per attutire il malcontento di alcuni genitori
(minacciosi e molto agitati) decide di rifare le rose mischiando le squadre
B-C-D. Le polemiche come può immaginare sono soltanto aumentate anche
perché poi tutti volevano ambire alla rosa A, ma era intoccabile, lì potevano
salire solo quelli scelti dall’allenatore (nonostante tutti pagassero la stessa
quota e chi giocava nella rosa D partecipava ad un 157

Un altro calcio campionato CSI e non FIGC).

Non sarà stata la scelta migliore, però così è andata…ma io non sono del
settore e non mi permetterei mai di giudicare il lavoro dei responsabili
societari.

Alla fine le gelosie e le invidie da parte di alcuni genitori crescono sempre


di più, fino al punto che uno di loro va direttamente da mio figlio dicendogli
che lui non meritava questa squadra, ma che c’erano compagni più bravi di
lui che per

“antipatie” era rimasti in C, mentre mio figlio venne definito “un lecchino”
soltanto perchè educato e rispettoso nei confronti della squadra e
dell’allenatore.

Cerco di spiegare a mio figlio che non deve dar peso e importanza a queste
assurdità, ma la situazione peggiora settimana dopo settimana, e le posso
garantire che mi faceva molto male vedere e assistere a queste scene…>>.

Rimasi in silenzio ad ascoltarlo, ma non rimasi stupito dal suo racconto,


anzi provai un sentimento 158

Un altro calcio di ribrezzo e vergogna come se fosse accaduto nella mia


squadra.

Il signor Giuseppe continuò nel suo racconto, ci teneva a spiegarmi nei


minimi dettagli l’accaduto.

Proseguì con molta rabbia:


<<Come le stavo dicendo…mio figlio inizia in squadra B, è titolare e gioca
nel suo ruolo abituale e sembra andare tutto bene, anche perché godeva
della fiducia del suo allenatore che dava l’idea di considerarlo uno dei suoi
“pupilli”.

Poi ad ottobre successe qualcosa…

Improvvisamente l’allenatore diventa più freddo nei suoi confronti, mentre


prima era molto affettuoso e paterno, però poteva essere anche un
atteggiamento più professionale per considerarli più grandi e non sempre
dei bambini…pensai.

Un giorno iniziò in panchina e su tre tempi ne giocò soltanto uno, però


nessun problema con il gruppo o con l’allenatore, mio figlio era comunque
soddisfatto.

Poi sono venuto a scoprire che successe questo…

Un genitore di uno dei suoi ex compagni che erano 159

Un altro calcio rimasti in squadra C andò a parlare con l’allenatore e con la


società facendo molte pressioni per far inserire in rosa B il proprio figlio e
ci riuscì portandosi insieme un altro ex compagno che aveva un caratterino
un po' difficile, litigava spesso con i suoi compagni e con gli avversari, e
rispondeva male anche al mister senza nessuna vergogna.

Da parte mia nessun problema, mio figlio idem pensava sono scelte
dell’allenatore, come sono arrivato io qui ci possono arrivare anche loro.”

“E invece, domandai incuriosito cosa successe?”.

<<Successe l’impensabile!!! Mio figlio ormai sapeva per certo che non
poteva mai giocare quanto i suoi compagni di squadra. Lui era fisso in
panchina, il suo allenatore non rispettava nemmeno più il regolamento che
impone di far giocare a tutti almeno un tempo, mio figlio ormai gioca gli
ultimi 5’ del terzo e ultimo tempo. La mia rabbia è la mancanza di
meritocrazia già a questa 160
Un altro calcio età in una società che millanta di avere i migliori tecnici e di
essere scuola calcio d’elitè da anni. Poi ritengo vergognoso il fatto che
scendano a compromessi con genitori che li criticano e insultano finchè non
ottengono ciò che vogliono.

Mio figlio inoltre è sempre stato presente agli allenamenti, a differenza di


alcuni che li saltavano spesso o ci andavano svogliati per poi disturbare chi
aveva voglia di allenarsi!

Eppure, mi creda, loro giocano sempre titolari, e spesso anche tutta la


partita, senza mai essere sostituiti. E alcuni di questi bambini rispondono
male al proprio allenatore anche mandandolo a quel paese!!!

Tutti vedono e sentono, ma nessuno che gli dice nulla!

Mio figlio in una delle ultime partite è rimasto in panchina per due volte
consecutive senza mai entrare e giocare. Lui veniva da me a piangere, ed io
gli ho detto di chiedere al suo allenatore, che gli ha risposto: “Ci sono
partite difficili e giocherai di più tra poco”, ma intanto siamo arrivati al
punto 161

Un altro calcio che sabato per la terza partita consecutiva non è stato messo
dentro nemmeno per 1 minuto di gioco! Ed era contro l’ultima in
classifica…>>.

A questo punto feci un sospiro e chiesi al papà del bambino, qual era
l’umore del piccolo.

<<Mio figlio si sente umiliato, triste ed io non ce la faccio a vederlo così.


Non so se questo allenatore ha dei figli, ma gli auguro di provare almeno
una volta nella sua vita questa brutta sensazione che sta vivendo mio
figlio>>.

Lo fissai per qualche secondo…poi invitai Giuseppe a prendere un the


caldo al bar dell’oratorio che stava aprendo e gli parlai con più calma e
serenità, anche perché era visibilmente provato.
“Cercai di trovare le parole giuste, ma non sapevo cosa dire…allora feci
parlare il mio cuore”

<<Signor Giuseppe questa storia è davvero triste, però non voglio


esprimere un mio giudizio 162

Un altro calcio sull’operato di chi ha avuto suo figlio. Se lei oggi è venuto
qui a cercarmi significa che le hanno raccontato qualcosa di me e della
nostra piccola squadra che l’avrà colpita.

Come potrà notare qui nonostante sia un vecchio oratorio, le posso garantire
che viviamo di calcio più di ogni altra realtà, e tutti sono importanti. Io non
ho nessun problema ad inserire suo figlio nella mia squadra. Se lei si fida di
me, parlo direttamente io con il mio presidente e dal punto di vista
dell’iscrizione può già ritenersi uno dei miei ragazzi.

Però non amo bruciare le tappe, il ragazzino avrà avuto degli amici in
quella squadra, provi a parlare con lui, non lo obblighi a cambiare se lui non
lo desidera…provi a chiedergli cosa ne pensa di un oratorio.

Se poi suo figlio decidesse di venire da me, allora sarò il primo ad


accoglierlo a braccia aperte>>, conclusi

sorseggiando

il

thè

caldo.

E fu così che iniziò per Yuri, il figlio del signor Giuseppe, una nuova
avventura.

163

Un altro calcio Questi confronti mi catapultano in un’altra dimensione, un


uomo che viene a chiederti aiuto raccontando anche le sue debolezze non
può essere liquidato con superficialità. In questi momenti bisogna sapere
dare il giusto peso alle parole ascoltando i silenzi e le emozioni di chi
abbiamo davanti a noi. Sono consapevole di togliere spazio alla mia vita
privata e più spesso alla mia famiglia e a mio figlio Mattia, ma allenare è
stato come rinascere una seconda volta, e per me non può esistere una vita
senza calcio.

164

Un altro calcio LE VITTORIE POSSONO ESSERE

LA ROVINA DEI PICCOLI

Quando presi in mano questa squadra ero alla mia prima esperienza da
allenatore e nonostante avessi avuto un passato da calciatore dilettante, tutto
è stato differente.

I bambini alla prima stagione collezionarono molte sconfitte, in campo


erano deconcentrati e spesso abbiamo subito gol a valanga pagando ogni
nostra minima distrazione.

Feci un grandissimo lavoro con ognuno di loro e la seconda stagione tra


l’incredulità dei genitori, i miei piccolini riescono a vincere il girone di
campionato. La squadra ormai aveva trovato la giusta armonia, era un
gruppo di amici che frequentavano la stessa scuola elementare e i pomeriggi
si ritrovavano al parchetto per giocare insieme fino al tramonto.

Terminata la seconda stagione notai con piacere 165

Un altro calcio che quasi tutti, tranne Loris, avevano confermato


l’iscrizione per l’anno successivo, Loris era quello definito bravo, quello
che a detta di tutti “Era pronto per il grande salto, la Figc”.

Si trasferisce in un’altra società e di lui dopo qualche mese si perdono le


tracce, nonostante avessi provato a scrivere un messaggio ai suoi genitori
per chiedere come andava la nuova esperienza, non ricevetti mai nessuna
risposta.
Nel frattempo per la terza stagione consecutiva la squadra vince il suo
girone e questa volta lo fa conquistando soltanto vittorie, consolidando la
crescita costante, ma ahimè, rendendo così ancor più fragili i sentimenti dei
bambini.

Nessuno scende in campo per perdere, tutti giochiamo e speriamo di poter


festeggiare la vittoria, ma vincere così spesso a quest’età può essere
controproducente per i bambini ma anche per genitori e alcuni allenatori
che accrescono in maniera smisurata il proprio ego.

“La vittoria di un girone può essere festeggiata come uno scudetto di Serie
A.

166

Un altro calcio Vincere per alcuni è l’unica cosa che conta. Ho visto
genitori che ritenevo serafici e tranquilli, stappare bottiglie di spumante e
accendere fumogeni, intonando improbabili cori da stadio.

Genitori che hanno organizzato e programmato da almeno una settimana


come pianificare i festeggiamenti, con tanto di clacson all’uscita dal campo.
Ho assistito a festeggiamenti con trombette,

fumogeni,

bandiere,

sciarpette

personalizzate con il logo della squadra come se fossero in serie A…e tutto
fatto e organizzato dai genitori e dai sostenitori dei miei piccoli che erano
letteralmente in estasi.”

Quando vinci attiri verso la squadra le attenzioni di tutti, ormai anche le


altre categorie della nostra società ci guardavano un po' con sentimento di
invidia e i genitori delle altre categorie ci prendevano come esempio per
criticare l’operato dei loro figli o allenatori.
Ma questo non era affatto quello che volevo vivere o sentire…ma purtroppo
è un problema di fondo a cui difficilmente ci farò l’abitudine.

167

Un altro calcio Vincere ormai era diventato un obbligo, i genitori


accompagnavano i piccoli alla partita salutandoli con frasi del tipo:

“Oggi dovete vincere, mi raccomando non fate scherzi che siete i più forti”

“Questi li abbiamo già battuti all’andata, oggi fategliene 10”

“Se vincete oggi siete matematicamente campioni”

“Attento al 9 che ti ruba la classifica cannonieri”

…e tante altre frasi che mi facevano rimpiangere i

“bei tempi”, quelli delle sconfitte e del sostegno dei genitori nei confronti di
tutti noi.

L’eccessivo entusiasmo può essere un’arma a doppio taglio, i bambini non


sono dei piccoli adulti e giocando con queste pressioni aumentano le loro
paure sentendosi in colpa per un errore. Così il 168

Un altro calcio divertimento passa in secondo piano per far spazio al


raggiungimento della vittoria, con qualsiasi mezzo, aumentando il rischio di
aver deluso i propri genitori o allenatori che gli chiedevano l’ennesimo
successo oppure un gol che non è arrivato.

Insomma già così piccoli non potevano permettersi di sbagliare,


ASSURDO!

Cercai di spiegare ai genitori che era bellissimo questo clima festoso ma


dovevano un po'

ridimensionarsi. Ovviamente il mio fu un vano tentativo, dato che erano


tutti al settimo cielo inebriati e forse anche accecati dal successo.
Ad aprile molti genitori avevano già programmato la prossima stagione in
un’altra società Figc, perché le ambizioni erano diventate grandi e il treno
per crescere e diventare un giocatore professionista andava preso al volo.

Genitori peggio dei procuratori, che senza nemmeno chiedere al proprio


figlio cosa ne pensasse di questo cambio di squadra, lo mettono sotto
pressione facendogli accettare questa loro 169

Un altro calcio scelta.

Scelta discutibile anche perché non parliamo di professionisti, ma di


bambini che lasciano un ambiente in cui magari si trovavano bene con tanti
amici e un bravo allenatore che gli ha voluto bene.

Ma i genitori pensano al bene del proprio figlio e sono sicuri di sapere quale
sia la strada giusta per lui, senza capire cosa voglia realmente il bambino
che desidera soltanto giocare con i propri amici.

Molti genitori creano dei sottogruppi all’interno della squadra, e fanno un


vero e proprio

“calciomercato” al fine di strappare il SI di altri genitori. O peggio ancora


del bambino che viene interpellato direttamente dal genitore con l’obiettivo
di portare con loro i migliori della rosa, evitando quelli meno bravi. Per
raggiungere questo scopo sono capaci di organizzare di tutto e
trasformandosi in veri promoter.

Ogni anno l’ultimo allenamento della stagione, preparo e consegno ad


ognuno dei miei piccoli un

“diploma” per valorizzare la stagione appena trascorsa insieme, con una


frase dedicata e 170

Un altro calcio personale per ognuno.

Per tutti noi è un po' come se fosse l’ultimo giorno di scuola, facciamo
allenamento, partitella, gavettoni e poi la consegna dei diplomini, mentre da
fuori i nostri genitori e volontari preparano la merenda.
“Quel giorno la consegna dei congedi fu un vero e proprio strazio. Alcuni
bambini mi salutarono con tristezza, mostrandosi quasi in colpa, con
l’umore e la consapevolezza di chi ha tradito i propri compagni.

“Ciao, il prossimo anno non gioco più qua, mio papà mi ha iscritto
nella…”

“Una frase breve, fredda come una pugnalata… il volto dei piccoli era tutto
un programma, si salutavano un po' come quando si salutano gli amici del
mare l’ultimo giorno di vacanza”.

C’era molta commozione in tutti noi.

“Sapevamo che era l’ultimo pomeriggio insieme e volevamo giocare, ma


ora era il momento 171

Un altro calcio dei saluti e delle lacrime”.

Al contrario mio e dei bambini, i loro genitori erano fieri del loro pargolo e
del mister che l’aveva fatto vincere così tanto in queste stagioni rendendo il
suo palmares ancor più prestigioso…

Su 16 giocatori ne persi ben 12 e la stagione successiva nonostante qualche


volantino per pubblicizzare il nostro oratorio, non siamo riusciti a riformare
la squadra e pertanto i 4 piccoli restavano esclusi dai campionati.

“Era finita…le vittorie che tanto desideravo da giocatore mi hanno portato


via tutto da allenatore”

Una vera tragedia, anche perché due di questi bambini abitavano a pochi
passi dal campo, ed i loro genitori erano in gravi difficoltà economiche, da
non potersi nemmeno permettere il costo della quota di iscrizione. Provai a
pubblicizzare la squadra nelle scuole, ma un oratorio non era molto
appetibile e richiesto come le scuole calcio della zona. Le persone pensano
che in oratorio nessuno 172

Un altro calcio sia in grado di insegnare a giocare a calcio, si ha la


presunzione di giudicare persi gli anni che i bambini hanno fatto in oratorio
e di declassare un campionato definito troppo facile.

Fu così che la società non avendo più molti iscritti e diversi vecchi debiti, fu
costretta a chiudere in attesa di tempi migliori.

L’assidua ricerca del “tutto e subito” della

“vittoria più grande” è stata ancora una volta una delle più grandi sconfitte
educative. Il mondo adulto così facendo infrange le barriere del mondo dei
bambini, scegliendo per loro la strada più

“semplice” per raggiungere il successo…senza considerare l’eventuale


disagio e riadattamento del bambino, che dovrà trovare nuovi equilibri e
saper integrarsi instaurando nuovi rapporti con un gruppo che non conosce.

Dopo aver smaltito questa grandissima delusione, spinto dalla mia famiglia
e dai miei colleghi decido di non mollare e mi avventuro in un nuovo
progetto, allenare i ragazzi diversamente abili.

173

Un altro calcio UN CALCIO ALLA DISABILITA’

Cosa significa il calcio per un ragazzo disabile?

A questa domanda è difficile rispondere.

Lo sport ha un valore educativo determinante, quando pone al centro


l’uomo e le sue potenzialità.

Lo stereotipo comune vede il disabile spesso emarginato, perché si pensa


che sia una persona affetta da problemi o malattie che ne compromettano
l’attività fisica o agonistica.

Questo comporta un’ulteriore problematica a livello sociale, come


l’emarginazione e la lotta contro i pregiudizi.

Il ragazzo diversamente abile vive lo sport consapevole che avrà una


montagna da scalare, e lotterà con tutte le sue forze per vincere i propri
limiti, lavorando con determinazione e fatica.

Inclusione, miglioramento della qualità di vita, 174

Un altro calcio confrontarsi e giocando con compagni o avversari che hanno


differenti disabilità lottando tutti per un obiettivo comune, la vittoria.

“Il calcio per me è divertimento, emozioni...ma alla fine ricordiamoci che è


pur sempre un gioco, ed un gioco non può e non deve essere negato a
nessuno.

Allenare una squadra di calcio con al suo interno ragazzi diversamente


abili, con disabilità differenti, è un’esperienza unica nella propria vita che
avvicina ancor di più all’atleta e fa perfezionare nei minimi dettagli ogni
tipo di approccio tra allenatore e giocatore.

Una cura particolare del dettaglio, dallo spogliatoio alla comunicazione


(verbale e non verbale) ma più semplicemente al contatto fisico come dare
un cinque, un abbraccio o farsi un selfie.”

Sono stato da subito molto attratto da questa proposta, inizialmente non è


stato semplice capire quale atteggiamento avere con ognuno di loro.

Non volevo cambiare il mio modo di allenare e neppure sembrare troppo


buono rischiando di 175

Un altro calcio passare per una persona che prova “compassione”, ma


neanche troppo severo e rigido rischiando di creare un muro con loro.
Bisogna cercare il giusto equilibrio per esser bravo ad incentivare i ragazzi
comunicando nel modo più adatto con ognuno di loro. Nei ragazzi con
disabilità, stimolare la fantasia può essere la chiave di volta per raggiungere
l’obiettivo e rendere l’allenamento ancor più speciale e divertente.

“Bisognerà dare un’anima al pallone, che sarà per il giocatore un compagno


di squadra un compagno di vita, il loro miglior amico…”.

In fondo per tutti noi è iniziato così, con un pallone tra i piedi e un sogno
nel cassetto.
La squadra non è allenata soltanto da me, io sono una delle figure tecniche
di riferimento, ma al suo interno ci sono anche psicologi, fisioterapisti,
educatori, tirocinanti e neo laureati in scienze motorie.

Insomma un vero staff per poter seguire al 176

Un altro calcio meglio ogni ragazzo, aiutandolo sotto ogni punto di vista.

Io avevo sempre qualche problema nella gestione dei miei orari dovuto ai
miei turni di lavoro ma presi questo impegno con molta professionalità e
passione rinunciando a diverse ore di straordinario proprio per dedicare
maggior tempo ai miei ragazzi, tutto sempre senza percepire nulla,
rifiutando ogni compenso e rimborso, perché per la mia passione non si
misura con il denaro.

In campo si svolgono allenamenti di un’ora due volte alla settimana. I


ragazzi si stancano molto velocemente così come si distraggono con molta
facilità, dal rumore di un tagliaerba, all’aereo che sorvola sopra di noi, ma
anche al più comune starnuto di un compagno di squadra…

Con loro la prima regola è restare insieme e aiutarli

vivendo

uniti

ogni

momento,

dall’accoglienza appena arrivano al centro sportivo fino allo spogliatoio


aiutandoli a crescere ed essere lentamente più autonomi, insegnandogli il
rispetto delle regole.

177

Un altro calcio Allenando questi ragazzi mi accorsi di come lo sport possa


unire, e di come in un campo da calcio con un pallone tra i piedi, anche la
comunicazione che può avere diverse barriere sembra più semplice e
immediata.

Inizialmente la squadra era formata da 7

giocatori con disabilità come autismo, ritardo cognitivo e disagio sociale,


oltre a 5 giocatori normodotati, che integravano la rosa dando vita alla
Trottola Special Team.

Squadra iscritta al campionato CSI di calcio integrato, che si gioca a 8


giocatori, con la formula del 4+4, ovvero 4 atleti normodotati e 4 atleti
disabili in campo. Questo crea un equilibrio numerico che permette a tutti i
giocatori di avere un ruolo attivo nel corso della partita e un confronto tra
diversità.

Essendo ancora poco diffuso e incentivato dalle società, il calcio per ragazzi
diversamente abili resta sempre in secondo piano nonostante venga visto e
apprezzato da molti, ma soltanto in pochi prendono seriamente in mano il
progetto disabilità.

178

Un altro calcio Praticare sport e giocare a calcio permette al ragazzo di


migliorare la propria autonomia dal punto di vista psicosociale, attraverso il
confronto della propria immagine con i compagni di squadra, può
accrescere la propria autostima e la consapevolezza di “non essere solo il
proprio deficit”, ma di poter giocare come tanti altri, misurando le proprie
capacità e i propri limiti.

Iniziai questa avventura affascinato da tutto ciò e oggi sono fermamente


convinto di non voler più tornare indietro.

“Ho scelto questo calcio perché mi regala emozioni uniche e mi ripaga di


tutto…in poche ho scelto di vivere: “Un altro calcio”.

179

Un altro calcio I RACCONTI DEI PROTAGONISTI


In questa parte del libro, ho voluto dar spazio a dei veri protagonisti che ci
racconteranno le loro esperienze nel calcio giovanile, professionistico, con
disabilità, nel calcio femminile e altri importanti aneddoti di sport e di vita.

Volevo solo fare una piccola premessa sul calcio femminile prima di
lasciarvi leggere i racconti dei nostri campioni di vita.

Il calcio femminile è pieno di stereotipi sulla qualità del gioco, sulla


bellezza delle ragazze e sulla loro sessualità e ogni giorno loro si ritrovano
ad affrontare questa guerra contro vecchi preconcetti.

Le GRANDI DONNE non soltanto le mogli degli allenatori o le donne in


generale, le grandi donne sono anche le calciatrici che lottano in campo e
fuori dal campo contro pregiudizi e luoghi comuni da anni.

Basta con tutti questi pregiudizi, con tutti questi 180

Un altro calcio luoghi comuni, con tutti questi paragoni tra il calcio
maschile e quello femminile, BASTA!

Il calcio è uno sport e come tale deve essere vissuto senza barriere e
parallelismi.

Per una bambina non è semplice trovare una squadra di calcio femminile,
così come non è facile adattarsi e misurarsi in una squadra maschile.

Ne ho sentite e lette troppe in questi anni…adesso voglio dare la parola a


qualche protagonista, che ha calcato diversi campi vincendo tante battaglie
e lottando contro l’ipocrisia e l’ignoranza che circonda questo ambiente.

Di seguito potrete leggere le testimonianze dirette di alcune protagoniste


che hanno deciso di raccontare la loro esperienza personale, per un
bellissimo confronto su una tematica che nel 2020

è ancora un tabù.

181

Un altro calcio Roberta Diodato, 26 anni, calciatrice, Salerno


Mi chiamo Roberta Diodato, ho iniziato a giocare a calcio con i maschi
all’età di 7 anni.

Accompagnavo agli allenamenti mio fratello e passavo il tempo a giocare


con una palla e sbirciavo i suoi allenamenti, sperando di poter fare il suo
stesso sport, il calcio. Ho insistito tanto con i miei genitori, riuscendo a
convincerli dopo che per un anno ho accompagnato e visto gli allenamenti
di mio fratello. Ci sono riuscita anche grazie all’aiuto del presidente della
scuola calcio perchè mi ha dato l’opportunità di provare. I miei hanno
accettato forse anche convinti che essendo l’unica ragazzina mi sarei
annoiata e avrei cambiato idea…e invece fu l’inizio della mia carriera da
calciatrice, in questa scuola calcio rimasi fino ai 13 anni, “costretta” a dover
cambiare a causa di una regola che impone il limite massimo d’età per una
ragazza in una squadra maschile. In una fase molto delicata come quella

adolescenziale,

dove

l’abbandono

182

Un altro calcio dell’attività sportiva è ancora molto presente nel nostro


territorio nazionale, le ragazze a differenza dei maschietti, hanno maggiori
difficoltà e comodità nel trovare una squadra femminile vicino alla propria
abitazione.

Roberta prosegue raccontando la sua esperienza personale sul campo.

“Perché una femmina deve giocare con me?”

All’inizio è normale avere qualche difficoltà d’ambientamento, alcuni


bambini appena ti vedono in squadra restano quasi increduli mentre altri
bambini e genitori, non accettano questa scelta soltanto perché sei una
femmina. Quando giocavo le partite spesso subivo delle battute da parte
degli avversari in campo, soltanto perché ero una ragazzina, però i miei
compagni mi difendevano e mi facevano sentire importante per la loro e per
la squadra. Nello spogliatoio dovevo aspettare di essere sola per poter fare
la doccia oppure dovevo tornare a casa per lavarmi.

Oggi le bambine hanno maggiori opportunità, anche se ancora in pochi


investono sul calcio 183

Un altro calcio femminile, anche i genitori, oggi accettano molto meglio le


ragazze nelle squadre maschili.

Carriera:

• Salernitana Serie C (Campionato vinto da capocannoniere)

• Napoli Femminile Serie A2 e Serie A

• Finalista di Coppa Italia

• Attualmente a Roma, in Serie A di calcio a 5

• Calciatrice di beach soccer in estate con uno scudetto ed un 4° posto


all’Europeo in Portogallo

184

Un altro calcio Laura Bellomo, 29 anni, allenatrice, Bari

Tutto iniziò così…

Io: <<Papà come si chiama il tuo amico cameriere?>>

Papà: <<Juventus>>

È iniziata così, 23 anni fa, questa storia d’amore.

Papà troppo concentrato a guardare una partita per rispondermi. Se fossi


una donna normale, oggi 23 anni dopo starei ancora qui a fargliela pagare.

Per sua fortuna (ma soprattutto mia), sono Laura e non sono diventata una
donna qualsiasi.
Fu così che tornai a casa con la convinzione che il cameriere si chiamasse
Juventus, fu solo dopo una settimana che capii che papà non mi aveva
ascoltata e che Juventus era il nome della squadra che tifava.

È nato così questo amore, da uno stratosferico errore che mi ha portato a


vivere emozioni meravigliose. Eppure, viverlo non è stato facile 185

Un altro calcio come sembra. Ho iniziato a giocare a calcio fin da bambina,


la mia “palestra” è stata la strada assieme ai miei compagni di giochi di
sesso maschile; tutto ciò, però, non bastava. Complici mentalità retrograde e
le poche opportunità della provincia, ho intrapreso esperienze agonistiche in
altri sport che ben poco avevano a che vedere con il calcio.

Appena possibile però tornavo in strada, laddove, superate le soggezioni


iniziali che portavano i maschietti a togliere la gamba, il livello di
competitività era alto. A 18 anni, il destino, l’opportunità e la passione si
uniscono dando vita finalmente al sogno di una squadra di calcio a 5

femminile. Anni di gloria, di gioie, di vittorie, di momenti di


apprendimento. È così che a 26 anni, dopo aver smesso di giocare, ho
firmato la risoluzione consensuale di un contratto a tempo indeterminato da
dipendente per fare della mia passione il mio lavoro. Mi sono iscritta alla
facoltà di Scienze delle Attività Motorie e Sportive, allenando nel frattempo
in una scuola calcio. Tre anni esatti dopo, il 20/10/2020, mi sono laureata.

186

Un altro calcio Oggi, posso dire di aver realizzato tre dei miei sogni:

1. Giocare in una squadra tutta al femminile; 2. Laurearmi in Scienze delle


Attività Motorie e Sportive;

3. Allenare, e finalmente aver messo su una squadra femminile all’interno


di una scuola calcio tutta al maschile.

Oggi, fortunatamente le opportunità sono maggiori, anche in provincia vi


sono piccole realtà che iniziano con determinazione e rispetto ad affermarsi.
Tanta, invece, è la strada da fare per quanto concerne la mentalità. I
maggiori problemi sono legati a mentalità retrograde che attribuiscono la
scelta di uno sport all’orientamento sessuale, forse anche a causa di una
scarsa o assente cultura dello sport che porta a non comprendere la passione
verso uno sport.

Questo avveniva e avviene anche in altri sport come pallavolo o danza per
bambini e ragazzi che vi si affacciano.

Sarebbe opportuno che tutti iniziassimo a 187

Un altro calcio liberarci da pregiudizi affinché ogni bambina e ogni


bambino, ogni ragazza ed ogni ragazzo, possa scegliere liberamente di
portare avanti la propria passione.

Se una bambina oggi mi chiedesse se può giocare a calcio, le risponderei: Ti


piacerebbe? Se la risposta è sì, allora niente paura, andiamo.

Carriera:

EX Calciatrice di CALCIO a 5 SERIE C

Laureata in scienze motorie e sportive 188

Un altro calcio

Valentina Petrucci, 38 anni, allenatrice, Roma

Mi chiamo Valentina Petrucci, alleno in provincia di Roma ho giocato a


calcio fin da bambina amando questo sport in ogni sua singola sfaccettatura.
Molti pensano che una donna non può essere appassionata di calcio, non
possa mai saperne quanto un uomo…e questo perché? Perché siamo
circondati da scetticismo nei nostri confronti, ci troviamo sempre nella
situazione di dover dimostrare qualcosa…come se abbiamo il dovere di far
vedere che siamo capaci, che possiamo farlo.

Alleno perché amo questo sport, amo stare con i piccolini amo le loro risate
e senza i loro abbracci e sorrisi, oggi mi sentirei un po' più vuota.
La figura femminile come allenatrice talvolta suscita qualche dubbio tra i
genitori o i nonni, alcuni ti vedono come una brava educatrice soprattutto
per i più piccolini perché la donna 189

Un altro calcio evoca sempre un po' la figura materna. I bimbi mi adorano,


mi seguono con loro è un’attività ludica finalizzata al gioco del calcio.
Allenare è un’arte, una passione che hai dentro e che porti quotidianamente
con te, non solo sul campo. I valori umani e sportivi, si insegnano dando
degli esempi ai bimbi, dando amore e mettendo il cuore sul campo. Una
ragazza che gioca a calcio spesso viene etichettata come “maschiaccio”, un
aggettivo orribile, usato da persone che considerano il calcio uno sport
prettamente maschile. Se una bambina ha scelto di giocare a calcio, anziché
fare danza è giusto che abbia la sua chance, è ciò che desidera non
blocchiamo sul nascere i sogni dei nostri figli o delle nostre piccole
calciatrici. Se non supereremo la mentalità ottusa che il calcio sia soltanto
uno sport maschile, continuerà ad esserci poco spazio per le donne e non
soltanto nel mondo dello sport.

La scelta di allenare racconta Valentina: “E’

arrivata dalla consapevolezza che una passione così grande andava


trasmessa. Non potevo tenermi dentro tutto questo, e insieme ad essa il
bagaglio di 190

Un altro calcio emozioni che mi ha lasciato la mia carriera. Il calcio per me


è stato uno stile di vita, il gruppo, lo spogliatoio, mi ha dato modo di
esprimere le mie capacità da leader, scaricare la rabbia, imparare dalle
sconfitte. Non ho mai saltato un allenamento nemmeno durante l'infortunio,
ero lì con la squadra, con il plaid sulle gambe”.

Avere la possibilità di frequentare una scuola calcio oggi è importantissimo,


è un’opportunità che non ho potuto vivere perché ero femmina, anche per
questo vorrei dare a tutti i bambini e bambine la possibilità di avere quello
che non ho avuto io. Allenare è la cosa che oggi amo di più, è impagabile
quanto questi bambini riescono a regalarmi senza nemmeno saperlo.

Carriera:
EX calciatrice SERIE C

Allenatrice in attività

191

Un altro calcio Giulia Citelli, 17 anni, calciatrice, Milano

Mi chiamo Giulia Citelli, la mia passione per il calcio è nata nel parchetto
vicino casa, dove io e mio fratello Marco abbiamo iniziato a giocare e da
quel momento non ci siamo più separati da lui.

Calciando e rincorrendo quel pallone ho scoperto di amare il calcio, non


potevo farne a meno…ero una bambina ma avevo già le idee chiare, volevo
diventare una calciatrice. Sognavo di riuscirci anche per mio papà, volevo
realizzare un sogno che lui ha visto infrangersi a causa di un incidente.

Ho iniziato a giocare in oratorio in una squadra maschile, ero l’unica


bambina, avevo 7 anni. Sono stata capocannoniere di campionati maschili,
capitano di una squadra maschile, eletta miglior giocatrice di un torneo di
più giornate a Salsomaggiore dove ero l’unica ragazza in campo.

Io a differenza di molti maschi che ho incontrato e con cui ho giocato,


andavo ad allenarmi perché 192

Un altro calcio inseguivo il mio sogno, non perché ci giocava il mio amico
oppure non sapevo che sport fare.

Troppo spesso veniamo etichettate come

“maschiacci”, ma credo sia soltanto una mancanza di rispetto dovuto al


fatto che si faccia fatica ad accettare che una ragazza sia in grado di fare la
differenza in una squadra maschile o addirittura in un campionato di
categoria. Poi a 14 anni il coronamento del mio sogno, arriva la chiamata
dell’Inter. E’ anche la mia prima esperienza nel calcio femminile,
finalmente potevo vivere lo spogliatoio insieme alle mie compagne di
squadra.
Ma quante differenze rispetto alla mia ex squadra maschile…dopo 7 anni in
una squadra maschile l’impatto con la femminile dell’Inter è stato forte.

Lo spogliatoio era molto più silenzioso e rumoroso, tutte erano molto


determinate e competitive, proprio come me, persino in allenamento il
gruppo femminile si distingue rispetto ad un gruppo maschile. In un
semplice giro di campo i maschi tendono a disunirsi, correndo ognuno per i
fatti suoi, pensano solo alla partitella 193

Un altro calcio finale…al contrario noi ragazze cerchiamo di restare


compatte ed evitare che il gruppo si sciolga.

Appena mi ritrovai in questo ambiente tutto fatto da ragazze, la cosa quasi


mi spaventava un po', anche perché non avendo mai giocato prima in una
femminile per me era tutto nuovo, non soltanto le compagne di spogliatoio.

Adesso il mio sogno è raggiungere la serie A, sto lavorando sodo per


poterci riuscire e spero tra qualche anno di poter dire <<Ce l’ho fatta!>>.

Alle ragazze che vogliono iniziare a giocare a calcio, dico di non mollare
mai e di essere determinate e pronte a tutto, io ho avuto un brutto infortunio
proprio nel momento in cui stavo vivendo ad occhi aperti il mio sogno…ero
arrivata all’Inter! il calcio è bellissimo e va amato così com’è, anche
quando ci fa stare male…

Carriera:

CSI Maschile fino ai 13 anni

Inter giovanili

Agrate SERIE C

194

Un altro calcio

Nadia Stoppani, 23 anni, calciatrice, Genova


Ho iniziato a giocare a calcio all’età di 10 anni in un torneo, il Torneo
Ravano e durante l’anno giocavo sempre con i miei amici al campetto
doposcuola. A 14 anni vengo tesserata nel calcio femminile, gioco a 7 e
arrivo in prima squadra a quasi 18 anni giocando nel campionato di Serie C.

Poi per motivi di studio, mi allontano dalla mia città e per giocare a calcio
nel Crocetta in eccellenza percorro ogni weekend la tratta Milano-Torino.
Mi allenavo a Milano e giocavo a Torino nella mia squadra. Ho fatto questi
sacrifici perché credo fortemente nel legame squadra-spogliatoio e perché
un progetto va portato a termine. A fine stagione salutai le mie compagne e
cercai un tesseramento vicino casa, comoda anche per i miei studi.

Trovai un allenatore fantastico, che sapeva farci divertire, un vero


insegnante di tecnica…insomma 195

Un altro calcio un mister che non avevo mai avuto prima, lui allenava una
squadra di serie C e aveva come obiettivo la promozione in B.

Mi parlò in modo molto schietto, sincero…forse troppo. Mi voleva in


squadra, ma chiedeva la mia presenza fissa e costante, cosa che io non
potevo garantire e ci rimasi malissimo quando ricevetti la mia prima porta
in faccia.

Io che avevo sempre messo il gruppo davanti a tutto e l’avevo anche


dimostrato facendo chilometri ogni settimana per raggiungere la mia
squadra, oggi ricevo un secco NO! E’ stato difficile da metabolizzare, ma il
calcio non finisce lì.

Così con qualche difficoltà, per via della distanza, mi cercai una nuova
squadra e trovai una società di Serie C di calcio a 5 disposta a tesserarmi,
un calcio totalmente diverso da quello a 11 ma una sfida a cui non potevo
dire di no. Qui oltre a questa opportunità mi si è aperta un’altra porta e sono
riuscita a coronare un altro dei miei sogni, quello di allenare…di avere una
squadra femminile.

Il primo approccio da allenatrice fu fantastico, 196


Un altro calcio ma voglio raccontare un episodio che mi colpì
particolarmente.

Alleno una ragazzina che è felicissima di giocare in una squadra totalmente


femminile, perché nella sua esperienza precedente mi raccontava che i
maschietti non le passavano la palla e non la consideravano. Si vedeva la
felicità nei suoi occhi quando ha visto che la squadra era tutta femminile,
che poteva finalmente giocare alla pari e finalmente avrebbe ricevuto quel
passaggio che tanto aspettava...

Ma non è stata l'unica.

Inoltre nella mia squadra hanno avuto un ruolo molto importante anche i
genitori, perchè hanno iscritto le proprie figlie cercando una società che
avesse una squadra femminile.

Ricordo di una mamma che aveva girato mezza Milano per cercare una
squadra femminile e finalmente ci aveva trovato.

Ho capito che c’era qualche rimostranza anche da parte dei genitori nel far
allenare e crescere la propria figlia in un ambiente maschile. Le paure 197

Un altro calcio sono tante: la paura che i bambini facessero del male alla
propria figlia, che la prendessero in giro in quanto unica femmina, che le
dicessero di cambiare sport... i genitori apprezzano la figura femminile
perchè avere una ragazza in campo che gestisce ragazze tra i 10 e i 14 anni,
quindi in piena pubertà, possa essere un punto nel caso in cui avessero dei
"problemi femminili", parlandone senza vergogna. Ad oggi ancora non è
successo che mi venissero a parlare di questo genere di problemi, ma anche
quando hanno un minimo dolore alla pancia o semplicemente alla gamba,
loro si rivolgono a me e non al mister. La stessa cosa i genitori che sono
venuti a parlarmi dei "problemi femminili" della loro figlia dimostrando
come, secondo me, sia da importante la presenza di un’allenatrice ed
educatrice in una squadra femminile. Non soltanto per allenare, ma anche
dal lato umano…e della quotidianità di chi sta crescendo e vede il proprio
corpo che subisce dei cambiamenti. Spesso le ragazze si confidano prima
con l’allenatrice e dopo con i genitori, anche per 198
Un altro calcio questo il nostro ruolo di comunicatore è fondamentale.

Carriera:

Cit Turin SERIE C

Eccellenza

CUS Milano Serie C di calcio a 5

Allenatrice giovanili CSI Femminile 199

Un altro calcio I RACCONTI DEI PROTAGONISTI

VINCERE IL BULLISMO E LA DISABILITA’

Roberto Bressan, 28 anni, portiere con oltre 4000


partite da numero 1.
Roberto Bressan è un vincente nato, ha vinto tante partite, tanti trofei e
campionati.

La sua è una storia di un ragazzo come tanti che ha vinto la propria


disabilità ed il bullismo subito da bambino, arrivando a giocare oltre 4200
partite e vincendo 50 trofei come miglior portiere.

CHI E’ ROBERTO BRESSAN?

Roberto Bressan è nato a Torino il 24/02/1992, vive a Moncalieri è un


operatore grafico qualificato, attualmente disoccupato, tesserato con il
Novara, gioca in quarta categoria.

Ad ottobre 2020, ricevo un messaggio su Instagram, dove vengo contattato


personalmente 200

Un altro calcio da Roberto Bressan che voleva raccontarmi la sua fantastica


storia parlandomi personalmente e raccontandomi del bullismo che ha
subito nel calcio e di come grazie all’amicizia è riuscito a superarlo.

Roberto ha giocato oltre 4200 partite tra campionati, tornei, coppe,


amichevoli dal 2011 ad oggi, tutte da protagonista, arrivando a conquistare
a soli 28 anni, 50 trofei come miglior portiere, che custodisce nella sua.

Ma il segreto di ogni successo è sempre nascosto dentro l’uomo, l’atleta, lo


sportivo. Al di fuori dal campo si vedono i numeri, i trofei vinti, le coppe
come miglior portiere, ma dentro il campo ci sono degli uomini e ognuno di
loro vive situazioni ed emozioni differenti.

Roberto mi ha raccontato di come la sua forza tra i pali sia stata sempre la
determinazione, la voglia di vincere, di non essere giudicato per altro che
non sia il suo ruolo sul campo. Mai all’inizio della sua carriera aveva
pensato di raggiungere questi traguardi e di fare certi numeri, che per come
201
Un altro calcio mi ricorda lui, non sono numeri semplici da raggiungere…
soprattutto per chi gioca in porta.

Con Roberto ho tenuto una bellissima e lunga conversazione, mi ha


raccontato diversi aneddoti che hanno segnato la sua vita sia in positivo che
in negativo e ci tiene a farvi conoscere la sua storia personale, sperando di
poter essere d’aiuto per altri bambini o ragazzi.

Qui sotto sono riportate le sue risposte ad alcune mie domande:

L’AMORE PER QUESTO RUOLO,

QUANDO E’ NATO?

E’ nato all’età di 9 anni e mezzo, giocando in un parco con degli amici e


con altri bambini. Ho scelto di giocare in porta perché non mi piaceva
correre, ho visto che riuscivo a parare e mi divertivo buttandomi ovunque,
terra, ghiaia…in cortile sull’asfalto.

202

Un altro calcio HAI MAI PENSATO O PROVATO

A GIOCARE IN ALTRI RUOLI?

Ad essere sincero una volta si, mi è successo.

Ero in un momento di crisi, mi trovavo con i miei amici al campo e ho


sentito la voglia di giocare fuori ma era solo per sfogarmi, non perché
volessi cambiare ruolo. Ci tengo a precisare che nasco portiere, il mio ruolo
è quello, amo questo ruolo e non lo cambierei mai con nessun altro ruolo.

QUALI SONO I TUOI

PROSSIMI OBIETTIVI?

Il mio obiettivo è la nazionale disabili.


Ho vinto tanto, sono stato campione d’Italia in quarta categoria nel giugno
2019 battendo la Juventus in finale e vincitore della Coppa Italia a
Coverciano, battendo in finale ancora la Juventus.

In quella stagione sono stato eletto miglior portiere della quarta categoria
Piemonte, Liguria e d’Italia.

203

Un altro calcio SEI STATO VITTIMA DI BULLISMO

A 10 ANNI, IL CALCIO COME TI HA AIUTATO?

E’ difficile da spiegare, sono un ragazzo molto timido e chiuso, il calcio mi


ha aperto aiutandomi a fare nuove conoscenze, nuove amicizie.

Il bullismo l’ho vissuto personalmente a 10 anni, nel mondo del calcio.

Ci tengo a raccontarlo e voglio che vengano scritte le offese che mi hanno


detto, perché le ho sempre ritenute gravi.

Io ero al parco che giocavo con altri bambini.

Ero in porta, timido, chiuso, obeso e mi si avvicinarono due ragazzi di


15/16 anni, due portieri che giocavano a calcio…e senza che io gli avessi
detto nulla, hanno iniziato ad insultarmi gratuitamente dicendomi:

<<Sei un handicappato! Hai i piedi storti! Chi ti credi di essere! Tanto non
arrivi da nessuna parte!>>.

Io sono una persona che si affeziona molto velocemente agli amici, e


purtroppo ho sofferto 204

Un altro calcio anche in un’altra occasione questa volta sul campo da


calcio, nella mia prima squadra di calcio a 11.

Avevo 11 anni, ed ero tesserato per questa squadra del mio paese, facevo il
secondo portiere e instaurai subito una grandissima amicizia con un mio
compagno di squadra un ragazzino che giocava a centrocampo ed era molto
forte. Io come secondo portiere non ho mai giocato un minuto, avevo
davanti un primo portiere molto bravo, che sapeva parare molto bene,
finchè un giorno lui andò ad abbracciare dopo un goal il mio amico e
nessun altro compagno di squadra, questa cosa a me aveva dato molto
fastidio e all’epoca l’avevo vissuta davvero male, un po' con sentimento di
sfida.

Questo fu l’inizio di una rabbia che ho tenuto dentro per quasi 17 anni,
superata appunto grazie al mio migliore amico Christian Moretto che poi vi
racconterò.

205

Un altro calcio QUALE MESSAGGIO VORRESTI DARE AI RAGAZZI CHE


VIVONO ORA SITUAZIONI DI BULLISMO IN BASE ALLA TUA
ESPERIENZA?

Voglio lasciare un messaggio importante. Al giorno d’oggi non dovete dare


retta a queste persone, sono solo ignoranti. Ragazzi pensate alla vostra vita,
non date peso a quello che gli altri vi dicono.

Cercate di reagire sempre, anche se fa male dentro e non abbiate paura di


chiedere aiuto a qualcuno, NON VERGOGNATEVI MAI DI VOI STESSI,
nessuno di noi è uguale a nessun altro.

Roberto mi ha raccontato della svolta della sua vita sportiva e di come sia
riuscito a parare, anche quei tiri perfidi che gli erano stati fatti dai quei
ragazzini all’età di 10 anni, e che gli erano rimasti dentro per troppo
tempo…troppi anni. Lui si teneva tutto dentro e non riusciva a togliersi quel
peso dai guanti, parare è sempre stato il suo divertimento. A Roberto viene
naturale e lo fa con ottimi risultati, riuscendo a mantenere spesso la 206

Un altro calcio porta inviolata, però ci tiene a raccontarci un aneddoto


molto importante della sua storia sportiva e di amicizia.

Christian Moretto, soprannominato da Roberto


“Dybalino”, è stato l’artefice della sua rinascita, riuscendo a togliere quegli
spettri del passato che lo bloccavano.

Dybalino oggi è la sua forza tra i pali, è la sua arma segreta che lo rende
insuperabile, l’ha fatto rinascere dimostrando come le migliori amicizie
spesso nascono per caso.

Roberto ci racconta della sua amicizia nata sui campi da gioco con
Christian.

“Il mio migliore amico, Dybalino, l’ho conosciuto nel 2017 giocavamo
negli Insuperabili. Lui più giovane di me, inizialmente era un attaccante
della squadra primavera ed io in prima squadra ma essendo molto bravo
venne promosso in prima squadra. La nostra amicizia nasce esattamente il
13/01/2018…eravamo in trasferta a Savona, il mister disse che chi voleva
poteva raggiungere il campo andando in treno, e nel viaggio ho avuto 207

Un altro calcio modo di conoscerlo anche fuori dal campo e fu così che
tutto ebbe inizio”.

L’episodio fondamentale del mio percorso però è stato a Genova.

Io ero infortunato e sedevo in tribuna, Christian era in campo e la nostra


squadra era in svantaggio. Ad un tratto Dybalino crollò durante la partita in
un pianto a dirotto e disse “Voglio Roby in porta”, tanto che il vice del
mister venne in tribuna dicendomi: <<Roby per favore motivami
Christian>>, questo episodio mi ha aperto e sbloccato definitivamente,
facendomi tornare indietro di 17 anni e riprendendomi tutti quei sentimenti
che mi ero tenuto dentro, che spesso mi avevano provocato rabbia, da quel
momento tutto è cambiato mi sono sentito importante.

Un ultimo aneddoto che vi racconto è la nostra

“Mano Mancina”.

Era il maggio del 2018, giocavamo a Mantova un importante torneo


internazionale, io e Dybalino ci siamo creati il nostro motto ed è un 5 sulla
mano sinistra, la mano mancina appunto. Arriviamo in 208
Un altro calcio finale nel torneo, giochiamo contro il Liverpool, vinciamo ai
calci di rigore…ed io ho parato due rigori proprio buttandomi sulla sinistra
con la mano mancina.

Il calcio è divertimento ma le emozioni che ti regala sono uniche. Roberto


conclude la nostra conversazione parlandomi di un episodio che non posso
non raccontarvi.

“Era il 09/02/2019, si giocava a Genova, tutto inizia con una promessa di


Christian: “Se segno vengo ad abbracciarti”.

Io vengo sostituito nel secondo tempo per far spazio al secondo portiere,
Christian subì un brutto infortunio e dovette uscire dal campo. Ero l’unica
riserva a disposizione ed ero disponibile anche a giocare in altri ruoli se
fosse stato necessario. Il mister mi fa entrare e mi schiera in attacco, ma
prima di entrare dissi a Christian dolorante con il ghiaccio in panchina, “Se
segno vengo ad abbracciarti”

….beh non ci crederete ma ho fatto goal di testa!!! E abbiamo vinto la


partita 2-0

209

Un altro calcio Oggi Roberto e Christian, o meglio Buffonino e Dybalino,


sono due inseparabili amici che ci portano su questo libro la dimostrazione
di come lo sport, il calcio, ma soprattutto l’amicizia vada oltre ogni confine,
e di come la loro amicizia sia fraterna e inossidabile.

Roberto si congeda lasciando un messaggio di speranza per un mondo


migliore a tutti, e facendoci riflettere sul nostro passato e sul nostro
presente, consapevoli che ognuno di noi può essere importante per
qualcuno.

210

Un altro calcio I RACCONTI DEI PROTAGONISTI

UN SOGNO DIVENTATO REALTA’


SANPRO SPECIAL, ci insegna che grazie a persone straordinarie i sogni
possono diventare realtà.

Mi chiamo Matteo Zavaroni, ho 41 anni e dopo più di vent’anni di


volontariato nell’Anffas di Parma, l’Associazione Nazionale Famiglie di
Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale, cinque anni fa ho
coronato un mio sogno personale iniziando ad allenare una squadra di
calcio di ragazzi disabili.

Il mio percorso di allenatore nasce per caso, in occasione di una vacanza in


cui faccio la conoscenza di questa associazione e nella quale entro come
volontario, ogni fine settimana percorrendo in autostrada la tratta
Correggio-Parma e le due settimane di vacanze estive in cui
accompagniamo i ragazzi in un villaggio turistico.

Purtroppo a causa del lavoro e di alcuni impegni 211

Un altro calcio personali che la vita mette davanti sono costretto ad


allontanarmi ma non ho mai abbandonato l’idea di seguire questi ragazzi.

Il calcio è da sempre il mio sport e così, insieme ad un ragazzo di


Correggio, inizia a prendere vita un sogno partendo da una piccola palestra
in cui riuscivamo al massimo a dare “due calci al pallone” e niente più.

Poi nel 2016 la svolta.

Volevo che questi ragazzi avessero una struttura adeguata alle loro esigenze,
per farli allenare e per offrire spazi ad attività ricreative e sociali. Volevo
dare a questi ragazzi un’identità di atleti quindi prendo la “palla al balzo” e
decido di proporre alla Società San Prospero di Correggio (RE) la nascita
della squadra di calcio per disabili.

Vivo a Prato di Correggio (RE) e sono cresciuto all’oratorio di San


Prospero di Correggio che da sempre è il centro della mia vita sportiva.
Figura determinante per la nascita di questa squadra è Carlo Zini,
Presidente della società da 30 anni, che mi appoggia e insieme muoviamo i
primi passi.
212

Un altro calcio Mi piace sottolineare la figura di Carlo, classe’44, perché la


sua passione ha sempre accompagnato la società dimostrando anno dopo
anno uno spirito tenace ed un entusiasmo davvero rari.

Oggi qui da noi, in oratorio, lo sport è molto sentito e nel 2021 si


festeggeranno i 60 anni della nascita della Società Sportiva, per tutti noi il
nostro tempio del calcio.

Alleno i ragazzi dell’ASD SanPro Special, atleti con difficoltà cognitivo-


relazionali di età compresa fra i 16 e i 34 anni; partiti in 9 e oggi arrivati a
18

giocatori tesserati, ciascuno con il proprio ruolo in campo, la maglia con il


cognome stampato grande e l'occasione per esprimere il talento sportivo e
umano.

La squadra è iscritta al campionato Regionale di calcio a 5 del CSI e di


Calcio a 7 con la FIGC

DCPS in Quarta Categoria. Viviamo di calcio e amiamo restare uniti in


gruppo sia dentro che fuori dal campo, una sfida per mettersi in gioco al
meglio delle proprie capacità, che sia una partita o una 213

Un altro calcio serata insieme.

Socializzazione,

inclusione,

aggregazione,

collaborazione, spirito di squadra sono alcuni dei valori che si cerca di


perseguire, insieme.

Tutto è nato dal sogno di Matteo e continua grazie al supporto dello staff, di
amici, collaboratori, della stessa comunità di San Prospero che accoglie il
progetto riconoscendone l’alto valore dell’inclusione.
Alla SanPro Special si sprona a vincere sul campo ma anche nella vita, ogni
atleta è al centro del progetto ed ogni obiettivo è al centro di ogni atleta. La
squadra è composta da studenti, giovani e da uomini che condividono la
stessa passione: il calcio. Ma anche da fragilità, timori, rabbia, vissuti
complessi, ricerca di stabilità e, importante, di un riconoscimento sociale.
Le vittorie sono frutto di un gran lavoro fatto anche al di fuori del campo.

Non si sottovaluta nessun aspetto dei propri atleti, dal percorso del rispetto
alla sfera emotivo-educazionale fino ad arrivare

al terzo tempo, un momento aggregativo in cui 214

Un altro calcio le squadre che si sono appena affrontate festeggiano insieme


rendendo la competizione un incontro arricchente tra atleti. Il calcio, ed in
particolare quello di 4° categoria, è sicuramente uno dei migliori veicoli di
inclusione sociale e condivisione, e un grande riconoscimento va al CSI e
alla Quarta Categoria per il loro impegno a promuovere questo progetto.

Oggi la SanPro Special può dire con orgoglio di esser riuscita a


concretizzare qualcosa di insperato fino a poco tempo fa. Ma forse
insperato per chi non conosce la passione e l’entusiasmo di questi ragazzi,
dove la forza del gruppo può portare molto lontano.

Oggi sono campioni nazionali in carico nella categoria di calcio a 5 del CSI
e da quest’anno sono stati affiliati al Sassuolo Calcio per il campionato
organizzato a livello nazionale della DCPS.

"Il calcio, come ogni sport, dovrebbe essere uno strumento costante di
inclusione, aggregazione e condivisione e dovrebbe, più di ogni altra cosa,
aprirsi a tutti. SENZA BARRIERE."

215

Un altro calcio Il calcio non è solo uno sport bellissimo ma anche un mezzo
per arrivare a far divertire, per socializzare, per dare opportunità importanti,
e Matteo Zavaroni partendo dal volontariato è riuscito con passione e
dedizione a coronare un sogno e renderlo unico per tutti loro.
216

Un altro calcio I RACCONTI DEI PROTAGONISTI

I SENTIMENTI VANNO OLTRE

I RISULTATI SPORTIVI

DAL SUCCESSO AL BARATRO, SENZA AVER

MAI ABBANDONATO IL PROPRIO

PRESIDENTE.

Concetta Giordano, ex calciatrice di serie C ci racconta la sua esperienza.

Facciamo un salto nel passato…40 anni fa…giocavo a calcio in una squadra


la Ciriè ed a fine partita mi vennero a chiamare per dirmi che c’era una
società disposta ad acquistare il mio cartellino.

Mi presentano al Presidente della Stella Azzurra, così si chiamava la


squadra che mi voleva. Mi fa subito un’ottima impressione e accettai di
andare a giocare a Torino, anche se con un po' di dispiacere perché sapevo
che avrei perso le mie compagne di squadra e non sapevo cosa avrei trovato
nella mia nuova esperienza…però mi sono fidata di quella 217

Un altro calcio donna, che venne con pelliccia e sigaretta e mi disse:


“Abbiamo bisogno di un terzino per la nostra squadra, e tu fai al caso
nostro…”.

La squadra si chiamava Stella Azzurra, era stata fondata dal sig. Perona, ex
dirigente Fiat, e aveva come obiettivo la promozione in serie B per poi
puntare la scalata in A, quindi molto ambiziosa! La famiglia Perona era per
noi atlete, una famiglia a tutti gli effetti, loro non avevano figli e ci
tenevano come se fossimo le loro bambine. Venivamo rimproverate quando
sbagliavamo, ci insegnavano come comportarci in campo quando i ragazzi
ci prendevano in giro con degli sfottò soltanto perché eravamo delle donne
che giocavano a calcio. Ci amavano e davano consigli di vita, proprio come
dei genitori fanno con i propri figli.
Poco prima della tragica scomparsa del sig.

Perona, ci lasciammo con una promessa avremmo raggiunto la serie A e


l’avremmo fatto per lui che era gravemente malato, per dimostrare la nostra
riconoscenza giocando e portando in alto il suo nome.

218

Un altro calcio Il sig. Perona prima di morire disse a sua moglie, Maria
Cascio: “Ti affido le mie ragazze…da adesso sarai tu la loro presidente”. La
sig.ra Maria si circondò di alcune figure maschili, che la potessero aiutare
nella gestione della società, anche perché all’epoca le donne avevano poca
considerazione e credibilità nel panorama calcistico.

Riuscimmo a coronare il sogno, eravamo campionesse!!! Promozione in


Serie B raggiunta vincendo il campionato di C.

Non vi dico che festeggiamenti e quante urla di gioia per le vie della città,
ma il giorno dopo il sogno si infrange…

La sig. Maria ci convoca da lei per dirci che la squadra per problemi
finanziari non aveva i fondi per iscriversi al campionato di B, pertanto la
squadra retrocesse in serie D.

L’unica

salvezza

poteva

essere

una

sponsorizzazione…e ci fu anche.

La centrale del latte si era fatta avanti, e dovevamo avere sulla maglietta
all’altezza del petto la scritta
“CENTRALE DEL LATTE” ma la sig. rifiutò per 219

Un altro calcio tutelarci da eventuali sfottò. Nonostante noi le dicessimo


che eravamo disposte a giocare con quello sponsor, pur di non perdere la
promozione…ma nulla, ormai aveva deciso.

La squadra si sfalda, alcune se ne vanno via per non perdere la categoria


vinta, altre come me restano e giocano per una donna che ci aveva sempre
amato e rispettato come donne prima che come giocatrici.

Giocai ancora qualche anno con questa squadra, che poi per via dell’età e
degli impegni lavorativi e familiari lasciai verso i 30 anni, ma restai sempre
in contatto con la sig.ra Maria fino al 2007.

In quegli anni ci fu un periodo un po' troppo silenzioso e non avevo più


contatti con lei, allora andai a casa per vedere se stava bene, ma trovai la
porta chiusa con un lucchetto ed una vicina mi disse che era ricoverata in
ospedale. Mi misi alla ricerca della clinica e con tanta fatica riuscii ad
andare a trovarla e portarle il mio ultimo saluto…un male incurabile la
stava divorando via 220

Un altro calcio lo stesso tragico destino di suo marito.

La vita spesso gioca scherzi beffardi.

Il mio non so se sia stato un caso, oppure un segno del destino…ma sta di
fatto che mi svegliai una notte dopo aver sognato la sig.ra Maria che
prendeva il treno con una valigia…le chiesi se potessi aiutarla con la
valigia, ma lei mi rispose in sogno: “No, adesso devo andare…”

…e poco dopo al mattino ricevetti l’amara notizia, la sig.ra Maria era volata
in cielo da suo marito.

Le sarò per sempre grata,

Concetta Giordano

221
Un altro calcio I RACCONTI DEI PROTAGONISTI

LA MIA DISABILITA’, E’ STATA UN PUNTO DI PARTENZA NON LA


FINE DEI MIEI SOGNI Mi chiamo Daniele Hammoud, ho 23 anni e dalla
nascita sono ipovedente: ciò significa che ho un residuo visivo basso che
non mi consente proprio a pieno di svolgere la vita in tutta comodità (ad
esempio niente patente...).

Lo sport per me, sia praticato che insegnato, è stato un'ancora di salvezza e
di spensieratezza, non solo per non sentirmi diverso dagli altri, ma anche
per togliermi delle grosse soddisfazioni. Infatti oltre ad allenare da 4 anni
nell'attività di base nella provincia di Modena gioco ormai stabilmente nella
Nazionale italiana di calcio ipovedenti.

Ho partecipato ad un europeo e un mondiale ed è stato davvero gratificante,


ma posso giurare che nulla lo è come stare sul campo con i bambini. Con
loro mi sento a casa e non mi rendo neanche conto 222

Un altro calcio delle mie difficoltà, perché riesco ad entrare in piena


empatia creando un legame speciale. Ho iniziato a giocare a calcio per
passione dai 5 agli 11

anni nel Maranello, ma poi a causa delle mie problematiche visive e di


qualche fragilità personale fui costretto a fermarmi. All’età di 13

anni ricomincio a giocare e lo faccio in una squadra di amici vincendo con


loro il campionato provinciale, per poi abbandonare definitivamente a 15
anni, nonostante giocassi come attaccante e avevo un’ottima media
realizzativa il mio problema non mi permetteva di proseguire.

Passa qualche anno e aumenta dentro di me il sentimento di rabbia, pensavo


di non poter più fare sport…invece a 19 anni facendo zapping in TV

vedo che la rai trasmetteva i mondiali ipovedenti.

Quindi presi subito internet ed il telefono e iniziai a contattare per avere


maggiori informazioni. Il problema più grande era trovare una squadra nella
mia zona, alla fine ho scelto Cagliari dove ho fatto due anni con
grandissimo entusiasmo. Sempre nello stesso anno un amico mi chiede
aiuto per 223

Un altro calcio allenare e decido di provarci, un po’ per aiutarlo e un po’


per provare questa nuova esperienza. Dopo un mese che aiutavo sul campo,
il direttore della scuola calcio mi ha proposto di seguire i piccolini di 6-7
anni, e fu da quel giorno che ho capito che questo è il mondo in cui voglio
stare.

Ci sono passioni che non riuscirei mai a togliermi dalla testa, perché quando
le hai dentro non puoi ignorarle.

CARRIERA:

SCUDETTO CALCIO A 5 B2/3

CLUB ATTUALE: TREVISO

NAZIONALE ITALIANO

4° POSTO EUROPEO IN GEORGIA

5° POSTO MONDIALE IN TURCHIA

ALLENATORE PRIMI CALCI

224

Un altro calcio

I RACCONTI DEI PROTAGONISTI

SACRIFICIO E PASSIONE

NON HANNO RIVALI SUL CAMPO

Federico Gatti, 22 anni, nato a Torino e cresciuto calcisticamente come


mezz’ala, attualmente gioca come difensore nella PRO PATRIA in Lega
Pro, ed è ufficialmente alla sua prima stagione tra i professionisti.
L’esordio in Eccellenza avvenne tre stagioni fa con i piemontesi del
Pavarolo per poi passare al Verbania, dove ha vinto il campionato di
Eccellenza e giocato da protagonista in Serie D con 22 presenze e 3 gol.

Ma la stagione 2017/18 sarà per Gatti, quella della svolta.

Federico durante il giorno si guadagnava da vivere facendo il fabbro ed


occupandosi di serramenti, un lavoro che lo teneva impegnato dal mattino
presto fino alla sera quando andava al campo per allenarsi. Nella sua vita ha
lavorato anche come 225

Un altro calcio muratore senza mai temere la fatica, e ha sempre portato


avanti il suo sogno, quello di diventare un calciatore. Lavorando sodo e con
temperamento, dimostrando che bisogna sempre credere in sè stessi e nei
propri sogni anche quando la strada è tutta in salita.

A metà febbraio 2018, Federico gioca in provincia di Torino, nel Pavarolo,


ma la società in quel momento non sta vivendo un buon momento dal punto
di vista economico perchè era in arretrato con i pagamenti dei giocatori da
un mese e mezzo.

La squadra si ribellò contro la società e si rifiutò di scendere in campo e di


allenarsi, ci fu un vero e proprio ammutinamento da parte della rosa.

Federico arrivava al campo, stanco dopo una giornata di lavoro, ma non


vedeva l’ora di allenarsi perchè non voleva fare altro che questo e per lui
essere al campo e giocare era la miglior cura per riprendersi dalle fatiche
del giorno.

Assisteva desolato e amareggiato a questa protesta della squadra e vedeva


come ragazzi lui o poco più grandi che avevano deciso di buttare all’aria un
226

Un altro calcio sogno per poche centinaia di euro…ma Federico non era
come loro, lui in quel momento voleva soltanto giocare e non si capacitava
di questa reazione ingiustificata da parte della squadra.

La parola “mollare” non ha mai fatto a parte del suo vocabolario.


“E pensare che alcuni dei miei compagni che erano saliti di categoria in
questa stagione, si rifiutavano di scendere in campo perchè mancavano i
rimborsi…”

Questi mesi hanno dato la scossa a Gatti che al contrario di tanti, non ha
mai pensato di fermarsi perchè mancano i compensi.

Lui a calcio ci gioca da sempre per passione, per amore. E’ la sua vita e lo
farebbe in ogni condizione battendosi fino all’ultimo per la sua squadra ed i
suoi compagni.

Al Pavarolo la squadra viene affidata ad Andrea Truffo, 36 anni, di Torino.

Mister Truffo si trova a dover riformare la squadra per affrontare le ultime


10 partite scendendo in campo con i ragazzi della Juniores che giocavano il
doppio impegno (sabato e domenica) provando a 227

Un altro calcio salvare quello che restava della stagione.

Federico Gatti giocava come esterno, ma la squadra aveva bisogno di un


ultimo difensore, un libero affidabile e con il fisico…quindi mister Truffo
ebbe l’intuizione di chiedere a Federico la disponibilità a sacrificarsi in quel
ruolo.

Gatti accettò subito, e disputò un grandissimo finale di stagione risultando il


migliore in campo dei suoi.

Venne poi ingaggiato dal Verbania e fece da titolare un altro campionato in


eccellenza, che lo consacrò definitivamente nel suo nuovo ruolo. Federico
spera di essere notato dal Chieri, società che militava in serie D, vicino a
casa sua…ma non andò così…

Però arrivò una chiamata ancora più importante e forse inaspettata, quella
della Pro Patria.

Un sogno concretizzatosi ufficialmente ad agosto 2020: “All’inizio è


normale aver sentito il salto di categoria, ma io nella mia vita penso solo a
fare bene, a migliorarmi giorno dopo giorno, mettendomi al servizio del
mister e della squadra, dando tutto per questa maglia 228

Un altro calcio di cui oggi sono il primo tifoso” , afferma Federico Gatti.

“Poi il destino segna la strada di ognuno di noi in maniera diversa e


dobbiamo essere bravi noi a cogliere l’occasione quando si presenta”.

Federico ha avuto quell’occasione e l’ha saputa sfruttare…ma niente gli è


stato regalato da nessuno.

Il lavoro sul campo, pensare solo a migliorarsi dando ogni giorno di più
rispetto al giorno prima e restando umile nei confronti di tutti.

I campioni sono i ragazzi come lui, perchè ha raggiunto questo traguardo


ma con la massima umiltà oggi dedica ogni suo successo personale alla sua
famiglia, a cui Federico deve tutto.

Oggi è uno dei tre difensori titolari della Pro Patria, ma lui sa bene quanto
sia difficile restare e confermarsi a certi livelli. Di certo Federico sul campo
non mollerà mai un centimetro e dando sempre il massimo proverà a
mettere in difficoltà le scelte del suo allenatore.

229

Un altro calcio Carriera:

2017 – 2018 Eccellenza – Pavarolo 2018 – 2019 Eccellenza – Verbania


2019 – 2020 Serie D – Verbania

2020 – 2021 Lega Pro – Pro Patria

230

Un altro calcio

IN RICORDO DI GIORGIO,

UN MIO GIOCATORE SCOMPARSO.


Ciao Giorgio,

Era il 10 Novembre 2020, apparentemente una giornata come tante altre.

Milano era avvolta da una leggera nebbiolina, che col passare delle ore si
faceva sempre più fitta, mentre mi stavo recando sul posto di lavoro il
cellulare mi notifica un messaggio che non avrei mai voluto leggere...

“Ciao Daniele, ieri sera Gio ha lasciato questo mondo terreno tanto difficile
per lui, sono felice che tu sia stato il suo allenatore e che tu gli abbia dato
tanta fiducia, lui te ne era grato”

Uno dei miei ragazzi che ho allenato, non ce l'ha fatta è volato in cielo.

Mi aveva contattato sua mamma per sentirlo telefonicamente cinque giorni


prima e la situazione non sembrava potesse prendere questo triste epilogo.
Giorgio era in osservazione in ospedale, 231

Un altro calcio monitorato perché desaturava e necessitava di ossigeno


terapia sotto controllo medico.

L'ho sentito telefonicamente è stata una piacevole chiacchierata durata non


più di 5 minuti, perchè il respiro un pò affannoso lo metteva un pò
difficoltà...

Ci siamo salutati con la promessa che al suo ritorno a casa ci saremmo


rivisti, perchè lui era certo che tutto sarebbe andato per il meglio...anzi mi
rassicurava dicendomi <<Mister, sto meglio...rispetto a qualche giorno
fa...>>...era fiducioso e sentendolo lo ero tanto anch'io...e invece oggi ho
ricevuto un messaggio dalla sua mamma...ora non è più su questa terra.

Mi è caduto il mondo davanti.

Subito tornano in mente tantissimi episodi che abbiamo condiviso in questi


anni: allenamenti, partite, pizzate, abbracci, immagini, parole, progetti.

Oltre ai ricordi, che resteranno per sempre nostri, resterà un vuoto


incolmabile, è dura da accettare, non si è mai pronti ad affrontare queste
232
Un altro calcio tragedie.

Ho promesso alla sua famiglia, che è molto affezionata a me, che nel mio
piccolo farò rivivere il suo ricordo dedicandogli un memorial di
calcio...perchè lui amava il calcio e aveva una passione smisurata per la sua
squadra del cuore, l'Inter.

Era un ragazzo molto giovane con davanti una vita...non doveva andare
così...fa tanto male...

Voglio farlo rivivere raccontandovi un episodio, che in qualche modo ha


segnato l’inizio di un percorso fatto insieme affrontando e superando le
difficoltà.

Un aneddoto risale al mio arrivo nella società Insuperabili a Milano.

Fino ad allora avevo allenato soltanto categorie di bambini normodotati, e


questa era la mia prima esperienza con ragazzi diversamente abili.

Tutto avvenne molto rapidamente, inviai il mio curriculum alla società e fui
ricontattato per un incontro con i referenti del team. La prima squadra aveva
bisogno di una figura tecnica che affiancasse 233

Un altro calcio il loro allenatore, ed io mi ero messo a disposizione della


lasciando che la scelta ricadesse su di loro, per me era già un onore avere il
loro benestare per poter allenare questi ragazzi speciali.

Iniziai come secondo allenatore della Prima Squadra per poi diventare nella
stagione successiva, il primo allenatore e responsabile tecnico della
squadra.

Giorgio era impossibile non notarlo, era molto alto e fisicamente molto
grosso, fisico che lo metteva in difficoltà nella corsa proprio per via delle
sue dimensioni. Atleta dotato di un tiro molto forte e preciso, aveva una
passione smisurata per l'Inter, la stessa passione con la quale lui si allenava
sul campo, dove nonostante alcune difficoltà, mostrava una forte
competitività...voleva sempre vincere, anche nelle partitelle di allenamento.
Quando arrivai in società Giorgio era uno degli ultimi arrivati in squadra,
poteva soltanto allenarsi, come concordato tra staff e famiglia del ragazzo.
Si era fatta una valutazione mirata, in base a diversi fattori e pensato che
fosse meno stressante 234

Un altro calcio partecipare con la squadra soltanto agli allenamenti rispetto


alle partite ufficiali, dove sarebbe poi gradualmente stato inserito nella
stagione successiva.

Perdere era una parola che non esisteva nel vocabolario di Gio, lui si
sentiva un vincente e come tutti i grandi campioni, puntava solo a quel
risultato.

Da allenatore è bello avere ragazzi così motivati, ma non è semplice gestire


le loro emozioni e la rabbia in caso di sconfitta. Soprattutto per la nostra
squadra che arrivava da un periodo contrassegnato da diverse sconfitte e
che ancora doveva trovare un giusto equilibrio sul campo.

Dal punto di vista di un giocatore la partita è la cosa più importante, la più


attesa.

Chiesi personalmente alla sua famiglia di farlo partecipare con costanza agli
allenamenti ed alle partite in calendario.

Di farlo venire anche quando a causa di un problema fisico non poteva


essere schierato, perchè la squadra, lo spogliatoio, sono più importanti di
235

Un altro calcio qualsiasi risultato.

La prima partita ufficiale che giocò con me è stato un torneo di calcio


integrato, la Super League a Moscova, Milano. Giorgio sentiva molto
questa partita, non soltanto perchè si giocava, ma anche perchè lui era un ex
di quella società e voleva uscire dal campo da vincitore, magari segnando
un gol.

Andammo in vantaggio per 1-0, non ci sembrava vero, credevamo fosse un


sogno…la squadra non era in vantaggio da tempo e la cosa ci sembrava
bellissima, però subito riprendiamo il contatto con la realtà ed in poco più
di 15 minuti siamo sotto 1-3.

Ma il calcio si sa regala emozioni uniche, e Giorgio siglò la rete del 3-3 che
concluse la nostra rimonta dando a tutti noi una grandissima iniezione di
fiducia e dimostrando ancora come con la sua tenacia sia riuscito a
raggiungere anche il suo obiettivo personale, ossia fare gol.

CIAO GIGANTE BUONO, RESTERAI PER

SEMPRE NEL MIO CUORE

236

Un altro calcio RINGRAZIAMENTI

Dedico questo libro a mia moglie ed ai miei figli, che hanno vissuto accanto
a me ogni secondo della mia vita, restandomi sempre vicino anche quando
non è stato possibile perché dovevo rincorrere un sogno…

Ai miei genitori, Anna e Pasquale, che mi hanno insegnato ad accettare e


rispettare le persone per quello che sono e non per ciò che vogliamo che
siano.

Lo dedico a chi nella vita ridendo dei miei sbagli, mi ripeteva “tanto non ce
la farai mai”, e a chi, invece, in silenzio mi ha aiutato a farcela.

Grazie a tutti voi, perché senza i vostri insegnamenti, le vostre critiche, i


miei sbagli, oggi non sarei la persona che sono.

Daniele Colasuonno

237

Un altro calcio UN SENTITO RINGRAZIAMENTO PER

IL PREZIOSO CONTRIBUTO A:

ROBERTA DIODATO
VALENTINA PETRUCCI

LAURA BELLOMO

NADIA STOPPANI

GIULIA CITELLI

DANIELE HAMMOUD

ROBERTO BRESSAN

CONCETTA GIORDANO

MATTEO ZAVARONI

ANDREA TRUFFO
FEDERICO GATTI
EMMA PINTO PER LA FOTO IN COPERTINA 238

Un altro calcio 239

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