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36.400 a.C.
Il Segreto
degli Dèi
La Teoria del Progetto Unitario di Giza
P
Copyright @ 2015 by Armando Mei
Casa Editrice Amazon
Edizione Terza @ 2018
Progetto condiviso da: Ass. For Afterlife Foundation APS
ISBN-13: 978-1505317282
ISBN- 10: 1505317282
“(…) E’ così che ognuno ha agito, da addormentato,
nel tempo della sua ignoranza,
ed è così che conosce, come se si ridestasse.
Felice l'uomo che torna in sé e si ridesta,
e beato chi ha aperto gli occhi dei ciechi! (…)”
Nel XIX° secolo e per metà del XX°, si è registrata una corsa spasmodica
verso l’Egitto, quasi come se dalle sue sabbie potesse emergere – da un
momento all’altro - la Verità assoluta sul passato remoto delle Civiltà. La
Campagna militare di Napoleone Bonaparte, tra il 1798 ed il 1801 – seppur
ispirata da bellici presupposti - ha avviato un processo virtuoso, sfociato
nella gemmazione di una nuova scienza: l’Egittologia. Ed è bizzarro notare
come, l’unità carbonio che infesta questo pianeta, debba partire sempre da
una guerra per iniziare proficui percorsi di conoscenza. Una pratica
moderna che affonda le proprie origini nell’antichità, quasi come se fosse
una peculiarità genetica ben impressa nel nostro DNA.
La corsa verso l’Egitto ha consacrato veri e propri monumenti della novella
scienza, quali Jean François Champollion, Bernardino Drovetti, William
Flinders Petrie, Howard Carter, per citarne alcuni; ma – al tempo stesso – ha
prodotto una sterminata scia di mercenari che ha depredato e devastato un
territorio fertile di Sapere.
L’attenzione per i misteri dell’antica civiltà del Nilo, raggiunge il suo apice
verso la fine degli anni quaranta, quando un’immaginaria curva sugli assi
cartesiani, comincia inesorabilmente a tendere verso il basso, raggiungendo
il baratro nei nostri tempi. Se non fosse stato per Robert Bauval e la sua
Teoria della Correlazione, infatti, oggi, l’Egittologia presenterebbe un
encefalogramma, pressoché, piatto.
Perché questa battuta d’arresto? Le ragioni sono molteplici, ma le più
concrete possono riassumersi nella sensazione che, sull’Antico Egitto,
debba calare un velo conservativo. Quanto è stato narrato fino ad ora è più
che sufficiente. In Egitto non “deve” esserci più nulla da scoprire!
Così, come d’incanto, sull’Egittologia imperversano le inoppugnabili
conseguenze dell’evoluzione delle società umane che si manifestano come
virus impossibili da sconfiggere: il fondamentalismo islamico e la crisi
economica. Due piaghe che hanno ridotto ai minimi termini l’attenzione per
le antiche vestigia dei Faraoni.
Oggi, l’Egittologia è una questione per pochi intimi che ancora vivono per
la ricerca, nonostante il 70% dell’antica civiltà sia ancora sepolta sotto la
sabbia del deserto. Restituire le antiche vestigia all’umanità dovrebbe essere
un dovere, poiché esse sono parte integrante della propria evoluzione, ciò
nonostante si avverte la sensazione che si lavori per troncare le radici della
nostra specie, quasi come se la Verità sul nostro Passato fosse un pericolo
per gli equilibri dei potentati dei nostri tempi. Meglio se l’Egitto sia
considerato come mera destinazione turistica ed i monumenti utilizzati
come fonte di speculazione imprenditoriale, seppur celata dalla retorica
passione per le meraviglie di questo splendido e bistrattato Paese.
«Tutti corsero incontro alle catene convinti di assicurarsi la libertà»[1],
sosteneva Jean Jacques Rousseau e mai verità fu meglio sintetizzata.
La cappa che è calata sulla cultura - in generale - e sulle origini del nostro
passato - in particolare - sono terrificanti. Sembra essere ritornati
all’oscurantismo spagnolo che ha toccato il suo apice con Cortes e Pizarro,
quando, con estrema perizia e diligenza, spazzarono via dalla Storia le
meraviglie delle civiltà Mesoamericane. Naturalmente, le modalità sono
cambiate, il sospetto è che l’instabilità politica internazionale sia lo
strumento - meramente speculativo - per allontanarci dal cammino verso la
Conoscenza delle origini dell’uomo.
C’è una regia in tutto questo?
La verità è sempre nel mezzo, poiché se da un certo punto di vista è
evidente – ma oserei dire, quasi tangibile – che ci sia una regia occulta che
determina i nostri destini quotidiani, dall’altra c’è una forza invisibile che
oscura la mente, restituendoci una realtà alterata.
Ciò che gli occhi vedono non corrisponde a quanto il nostro Spirito
dovrebbe sentire.
«E’ così che ognuno ha agito, da addormentato, nel tempo della sua
ignoranza, ed è così che conosce, come se si ridestasse», recita un passo del
Vangelo della Verità, tratto dai Codici di Nag Hammadi.
Ridestare le coscienze e comprendere quanto sta accadendo è un obbligo,
seppur l’invito possa essere interpretato con sardonica ironia dalla
collettività. A questo proposito, mi ritorna alla mente, un vecchio libro di
George Mosse, dal titolo “La Nazionalizzazione delle Masse”, una chiara e
precisa analisi di quanto sia stato opprimente e condizionante la politica di
circonvenzione del partito nazista, al punto che la stragrande maggioranza
del popolo tedesco, non si è mai reso realmente conto della deriva
intrapresa.
Si tratta di un’esperienza da tenere sempre ben impressa nella mente.
Oggi, non possiamo parlare di nazionalizzazione, ma certamente di un
processo caotico che, prima o poi, sfocerà, per sua natura, in una forma di
totale controllo. Questo è uno dei motivi per cui la ricerca sulle origini è
fondamentale, poiché è dal passato che si ricevono gli insegnamenti per
affrontare il futuro. Ed è proprio il lavoro di ricerca sulle civiltà antiche che
favorisce la comprensione dell’evoluzione delle società umane nel corso dei
tempi.
L’Antico Egitto è una dispensa alla quale attingere, per intraprendere questo
articolato percorso di Conoscenza.
La Piana di Giza è l’Università per eccellenza, poiché si caratterizza per dei
monumenti, le cui dimensioni, si sviluppano in armonia con il linguaggio
dell’Universo, il quale si manifesta nella materia attraverso il numero. Il
Ciclo della Precessione degli Equinozi, ad esempio, è un fenomeno che la
Civiltà delle Piramidi avevano già osservato, poiché la disposizione dei
monumenti di Giza rappresenta l’immagine del cielo nell’Era del Leone,
noto agli Egizi dinastici come il Tempo degli dei ovvero, lo Zep Tepi.
Fig. 1. Esempio grafico del fenomeno del Ciclo
della Precessione degli Equinozi
Cagliostro
1. Lo Zep Tepi
La Piana di Giza
Il Libro dei Morti Egizio è tra i documenti più importanti giunti fino a noi.
Le antiche tradizioni religiose si sono dischiuse alla storia, grazie ai
formulari ricavati dalle splendide decorazioni che impreziosiscono la
Piramide di Unas - faraone della V Dinastia – e di altre quattro piramidi
risalenti alla VI dinastia, rinvenute a Saqqara. I suoi testi rappresentano una
sorgente di inestimabile valore, per comprendere gli usi funerari dell’epoca
e, al contempo, propongono importanti indizi per la ricostruzione degli
eventi che hanno caratterizzato il Primo Tempo o Zep Tepi.
Dalle formule dei Testi delle Piramidi, si ricava che, per gli Egizi, la
Creazione è un atto di donazione degli dèi, attraverso il quale si avvia un
processo che si sostanzia in un eterno connubio tra il mondo della materia e
le energie sottili che dimorano nel Cosmo. In principio era l’acqua - infinita
e senza tempo - il Nun, dal quale nacque il dio Atum che dimorò sulla
collina primordiale emersa dalle acque turbolente. Atum generò Shu – il dio
dell’aria - e Tefnut – la dea dell’umidità – che a loro volta generarono Nut –
la dea del cielo – e Geb – il dio della terra. Per gli Egizi, essi rappresentano
i quattro elementi primordiali.
Il mito narra che Nut e Geb erano talmente innamorati l’uno dell’altro che
erano costantemente legati in un abbraccio eterno. Questo forte
attaccamento impediva alla vita di fiorire, per questo motivo, Atum inviò il
dio Shu per separarli. Ciò nonostante, la coppia generò quattro figli, i quali
sono considerati come i primi esseri divini che vissero nel mondo della
materia, ovvero Osiride, Seth, Iside e Nepthis. Quest’ultimo gruppo di dèi
completa la Grande Enneade Eliopolitana, adorata nell’Antico Egitto e alla
base della religione cosmologica dell’era dinastica. Essa è definita
Eliopolitana, poiché il culto originario era praticato ad Heliopolis, la città
del sole, situata a nord di Giza.
Questa storia segna l’inizio dello TPJ ZP, ovvero lo Zep Tepi o primo
Tempo, che tanto affascina e stimola gli appassionati dei misteri egizi.
Ma cosa si intende per Primo Tempo?
La maggior parte degli esperti sono concordi nel ritenere questo periodo
come l’epoca in cui gli dèi governarono l’Egitto. Molti testi religiosi,
rinvenuti nelle principali tombe scoperte, lasciano intendere che, in questa
fase, le popolazioni delle Terre del Nilo vivevano una vera e propria Età
dell’Oro.
A queste fonti, si uniscono anche i resoconti degli storici classici, come
Erodoto e Manetone, i quali – grazie alle esperienze vissute direttamente -
sono riusciti perfino ad indicare, seppur in maniera approssimativa e sulla
base di complesse informazioni ricevute – quando ebbe inizio questa
virtuosa epopea. Siamo in presenza, quindi, di elementi molto significativi,
poiché se da un lato i Testi narrano di antichi avvenimenti in maniera molto
articolata, dall’altro, gli storici classici propongono narrazioni di
avvenimenti accaduti in epoche remote, descritte con dovizia di particolari
grazie al supporto degli scribi egizi, ponendosi in una linea temporale,
pressoché, simile.
Tuttavia, non solo Erodoto e Manetone, ma anche altri riconosciuti
esponenti della letteratura classica, quali Sesto Giulio Africano – scrittore
romano vissuto tra il 160 ed il 240 d.C. – Giuseppe Flavio – scrittore di
origini ebraiche vissuto nel I secolo d.C. – Giorgio Sincello – storico
bizantino vissuto tra la seconda metà del 700 e il primo decennio dell’800
d.C. – Eusebio di Cesarea – vescovo e scrittore di lingua greca vissuto tra il
200 ed il 300 d.C. – Diodoro Siculo – storico greco vissuto nel I secolo
d.C., propongono testimonianze che contribuiscono, concretamente, alla
ricostruzione del periodo dinastico e predinastico egizio, aprendo
interessanti scenari del tutto inattesi. Esiste, quindi, una corposa letteratura
sulla quale poter approfondire le latenti convinzioni che, l’Egitto Dinastico,
sia stato influenzato da una Civiltà remota che si è resa protagonista
dell’Età dell’Oro. Eppure, sull’argomento, in ambito accademico, regna il
silenzio più assordante.
I fatti narrati giustificano l’ipotesi storica dello Zep Tepi? L’intrigante
interrogativo fa registrare costanti progressi in tal senso, seppure il percorso
si delinea articolato e ricco di insidie.
Stupisce, invece, notare come gli egittologi nella loro totalità, abbiano
relegato in un angolo, la già scarna letteratura sull’argomento, senza
proporre degni approfondimenti. Sconcerta, l’approssimazione con la quale
sono stati archiviati documenti di notevole importanza che avrebbero aperto
uno squarcio sui misteri delle antiche civiltà.
Scoprire, infatti, degli indizi che potrebbero riconfigurare la storia del
periodo predinastico, sarebbe un successo notevole, soprattutto ai fini della
ricostruzione delle dinamiche che hanno interessato la perduta Civiltà delle
Piramidi, così da poterla riconsegnare alla dignità della storia, anziché ad un
ruolo marginale che non le rende giustizia.
Lo Zep Tepi è Storia e i reperti scoperti in questi ultimi due secoli non sono
altro che una chiara testimonianza di un passato oscuro e tutto da decifrare.
La questione esplosa in tutta la sua evidenza con la teoria di Bauval,
rilancia la possibilità che l’evoluzione della civiltà umana possa essersi
sviluppata secondo direttrici ancora tutte da chiarire, addirittura intorno al
10.500 a.C. Una lettura così emancipata degli eventi che hanno
caratterizzato le origini delle moderne civiltà, ha avviato, quindi, un
conseguente processo di sdoganamento della storia antica, dall’inadeguata
funzione di mito ad una possibile rielaborazione in chiave storica del
passato remoto.
L’idiosincrasia tra Egittologia e Verità Storica si manifesta, ad esempio,
nell’ostracismo verso uno dei documenti più enigmatici scoperti in Egitto, il
cosiddetto Canone Reale o Lista dei Re o, ancora, Papiro di Torino.
Probabilmente, è stato troppo precipitosamente consegnato agli archivi,
penalizzando lo studio non solo delle dinamiche dell’Egitto dinastico, ma
anche e soprattutto dei misteri della Civiltà perduta che ha realizzato le
opere piramidali sparse a tutte le latitudini.
Fig. 3. Canone Reale - frammento
La quasi totalità dei ricercatori indipendenti - che dello studio dello Zep
Tepi ne hanno fatto un motivo di vita - non hanno potuto fare a meno di
associare l’epopea di Osiride all’ultima fase del Periodo Glaciale, molto
probabilmente condizionati dalla Teoria della Correlazione e, con assoluta
certezza, dalla teoria evoluzionista di Darwin. Essi hanno cercato qualche
prova tangibile che dimostrasse l’esistenza di una Civiltà perduta, così da
poter giustificare le notevoli capacità scientifiche raggiunte dai costruttori
di Giza. Le ricerche si sono indirizzate, secondo logica, nella direzione più
classica, scavando tra i miti e le leggende, dalle quali ricavare qualche
indizio. Alla fine, si è giunti alla conclusione che il mito di Osiride è il
frutto della memoria dell’uomo; per millenni, esso è stato trasmesso di
generazione in generazione, così da preservarne le radici storiche e, al
tempo stesso, per collegare l’antico passato alla contemporaneità.
Per questo motivo, storicizzare l’epopea di Osiride, associandolo ad un
periodo definito, rappresenterebbe un passo avanti straordinario, poiché
avvia una profonda revisione che possa far luce sulla reale dinamica delle
società umane nel corso del tempo.
Graham Hancock ha osservato che la figura di Osiride è stata elevata al
rango di “sommo dio della resurrezione”, proprio nel corso dell’Egitto
Dinastico, quasi come se in questa fase, fossero maturate quelle condizioni
necessarie per ricordare, con un senso logico, un’epoca remota storicamente
identificabile.
Quale civiltà, dunque, ne ha trasmesso il Mito? La domanda impone una
corretta analisi del ruolo e delle funzioni dei sacerdoti egizi, veri depositari
del Sapere custodito nella terra del Nilo.
Come possiamo considerare, quindi, la figura dei sacerdoti egizi che,
attraverso la teologia, hanno tramandato gli indizi dell’esistenza di una
civiltà antecedente il periodo Dinastico: maghi o scienziati?
Bauval sostiene che la casta sacerdotale ha utilizzato l’ermetismo dei
geroglifici per trasmettere il retaggio di conoscenze remote. I Testi delle
Piramidi ne sarebbero una perenne ed indiscutibile testimonianza.
Accettando questo postulato, si uscirebbe dalle contraddizioni, riabilitando
una casta di uomini relegati al rango di stregoni primitivi.
Egli tende a riconsiderare il ruolo e l’immagine di questi antichi saggi, così
da consegnarli al ruolo voluto dalla storia: niente “stregoni mezzi selvaggi
che volevano vivere in eterno”, bensì uomini altamente civilizzati che
custodivano i segreti più reconditi del passato. Egli sostiene che un’attenta
lettura interdisciplinare dei Testi delle Piramidi, potrebbe svelare ulteriori
segreti ancora da scoprire. Le sue conclusioni sembrano armonizzarsi con
orizzonti meno radicali, poiché anche la scuola accademica identifica la
classe sacerdotale egizia quale custode del Sapere empirico, saggiamente
riproposto nelle raffigurazioni artistiche, letterarie e monumentali di epoca
dinastica.
A mio parere, i sacerdoti egizi custodivano, realmente, il retaggio di un
antico Sapere, probabilmente ereditato dalla Civiltà delle Piramidi. E’ una
possibilità che trova conforto nelle abilità tecniche, espressione dell’intero
periodo dinastico, ma soprattutto nelle sacre ritualità attraverso le quali
venivano omaggiati gli dei nella loro correlazione con le costellazioni della
Volta Celeste.
Chi sostiene l’ipotesi secondo la quale gli egizi possedevano una
conoscenza empirica della scienza astronomica, non è lontano dalla verità,
poiché essi applicavano conoscenze ereditate da antichissime Tradizioni e
tramandate nel corso dei secoli – e forse dei millenni - per generazioni. «I
Testi delle Piramidi vanno letti come documenti scientifici o, almeno, semi-
scientifici, e non come incantesimi incomprensibili. Il fatto che rispondano
all'astronomia della precessione è già soddisfacente per me. Ma potrebbero
esserci anche altre chiavi: la matematica, la geometria, soprattutto la
geometria... Il simbolismo...».[31] Una corretta lettura dei Testi potrebbe
gettare nuova luce sulle stesse origini delle piramidi e sulla loro funzione
astronomica, nonché sulla storicizzazione del mito di Osiride.
La relazione tra le Piramidi e lo Zep Tepi rappresenta solo un punto di
partenza, da quale sviluppare un nuovo percorso di indagine, al fine di
comprendere la reale consistenza del messaggio proveniente dall’Egitto. Le
caratteristiche strutturali della Grande Piramide rappresentano un cardine
fondamentale per acquisire i fondamenti del messaggio scientifico
proveniente dal Passato.
La Scienza della Piramide
Oggi possiamo osservare gli edifici nel loro antico splendore, ma non
possiamo neppure immaginare quanto sia stata articolata la fase progettuale
e quella realizzativa.
Iniziamo ad esaminare la prima fase: l’estrazione dei blocchi.
Le teorie ufficiali chiariscono che i blocchi sono stati estratti con l’ausilio di
strumenti molto semplici, ovvero utilizzando i cunei di legno. Essi, una
volta conficcati nella parete rocciosa - grazie all’apposito utilizzo di
martelletti in legno - venivano successivamente imbevuti di acqua. Di
conseguenza, lo spessore del legno tendeva ad aumentare, fino a
raggiungere un punto limite che avrebbero spaccato la roccia, rendendo
possibile l’estrazione del blocco.
Questa ipotesi – tuttora sostenuta in ambito accademico - genera una prima
perplessità tecnica: come è stato possibile forare la roccia – di granito,
basalto ed arenaria - per inserirvi i cunei? Inoltre, per estrarre i blocchi,
aventi misure variabili tra 1 metro e 80 centimetri, gli operai avrebbero
dovuto trapanare la roccia in profondità, così da ottenere la giusta
dimensione, ovviamente nella speranza che la roccia non subisse particolari
fratture che avrebbero vanificato gli sforzi. Pertanto, la prima fase di
lavorazione presenta delle problematiche legate all’utilizzo degli utensili
all’epoca disponibili che si rivelano, all’atto pratico, assolutamente inadatti.
La seconda fase considerata, si riferisce alla lavorazione dei blocchi e, in
particolare, alla fase di taglio del granito e del basalto. L’egittologia, per
questo tipo di processo, ipotizza l’uso di seghe in rame non dentellate. Per
eseguire il taglio in maniera precisa e senza rovinare il blocco, gli operai
spargevano della sabbia sulla superficie superiore della pietra così da creare
le condizioni per un giusto attrito. Alcuni anni fa, Bob Brier - egittologo di
origini americane ed appassionato di civiltà antiche - ha sperimentato il
taglio di un blocco di granito - individuato tra i tanti sparsi tra le sabbie
della Piana di Giza - utilizzando le medesime tecniche, nonché gli strumenti
dell’epoca. Il risultato ottenuto, credo si commenti da solo: la profondità di
taglio ottenuta è stata, approssimativamente, di due millimetri, in circa 30
minuti di lavoro. L’operazione ha chiesto anche il cambio di diverse seghe
che avevano ceduto nel corso della faticosa operazione. Questo esperimento
è servito per comprendere che utilizzando la tecnica condivisa in ambito
ufficiale, ci sarebbero volute settimane intere per tagliare un solo blocco
con gravi ripercussioni sui tempi di costruzione del monumento, oltre alla
necessità di approvvigionamento tonnellate di rame per realizzare gli
utensili.
La terza fase di lavorazione si riferisce alle procedure adottate per il
trasferimento dei blocchi dalla cava al cantiere.
Sono molteplici le tesi, ma ho ritenuto opportuno analizzare le teorie più
“gettonate” dall’Egittologia, ovvero il trasporto via terra e quello via fiume.
Nel 2013, nel corso di un colloquio Skype con John Ward - egittologo di
stanza a Luxor e responsabile del Sirius Project - mi ha informato che le
cave di granito utilizzate per estrarre i blocchi che formano la Camera del
Re e lo Zed, non provengono da Assuan, bensì dalla Nubia, quindi, ancora
più a sud rispetto a quanto ipotizzato finora. Questa informazione,
straordinaria da un punto di vista archeologico, incide relativamente sulla
soluzione dell’enigma, poiché la differenza nelle distanze non è
assolutamente determinante, in quanto trasportare un blocco di 50
tonnellate per meno di dieci metri, per gli Egizi dinastici sarebbe già un
miracolo.
L’ipotesi del trasporto terrestre è altamente improbabile, soprattutto se si
considera che, a quel tempo, non si conosceva ancora l’uso della ruota.
Inoltre, la teoria delle slitte è da scartare senza ulteriore indugio, perché
eccessivamente fantasiosa.
E’ stata ipotizzata la possibilità che gli operai abbiano utilizzato il Nilo per
spedire i blocchi verso il cantiere. Proviamo ad immaginare quale
organizzazione era necessaria per imbarcare blocchi della lunghezza di 10
metri per circa 50 tonnellate. Per realizzare l’impresa, occorreva una
struttura di carico di dimensioni enormi, oltre ad un’imbarcazione che ne
reggesse il peso. Peraltro, considerando che, solo la Grande Piramide, è
formata da 2.300.000 blocchi, dobbiamo immaginare che sul Nilo ci
sarebbe stato un traffico degno delle peggiori metropoli occidentali, senza
considerare le mutevoli condizioni del fiume durante l’anno che avrebbero
rallentato le fasi di trasporto. Inoltre, non ci sono prove che testimoniano,
seppur indirettamente, l’esistenza di un’imponente flotta mercantile che il
caso avrebbe richiesto, nel corso della IV Dinastia.
Siamo così giunti alla quarta ed ultima fase, ovvero la messa in opera dei
blocchi per la costruzione della piramide.
L’Egittologia favoleggia di decine di migliaia di operai impegnati nei
complessi procedimenti di edificazione. La presenza di un numero così
ingente di manodopera, avrebbe richiesto un sistema organizzativo
grandioso. Significa che la stragrande maggioranza della popolazione
Egizia sarebbe stata trasferita sulla Piana di Giza, con un’inevitabile
ricaduta su tutto il sistema produttivo interno del Paese. Questa teoria,
peraltro, è vanificata da una semplicissima considerazione: come è possibile
sostenere l’impiego così imponente di operai, se ogni blocco del peso
medio di 3 tonnellate - quindi uno dei più “piccoli” utilizzati per completare
la struttura esterna - per esigenze di spazio, richiede al massimo l’impiego
di 6/8 operai. Ammesso che 8 uomini siano stati in grado di sollevare un tal
peso e disporlo ad altezze così elevate, senza l’ausilio di strumenti idonei.
Questi brevi spunti di riflessione, dovrebbero indurre, anche le menti più
ortodosse, a prendere seriamente in considerazione la possibilità che
sull’argomento Giza sono state raccontate molte “inesattezze”.
La Grande Piramide nasconde tra le proprie mura, misteri davvero
affascinanti e, quando ci si riferisce alla “prima” meraviglia del mondo
antico, non si commette errore.
Essa è ammirata per la bellezza della Camera del Re, per la maestosità della
Grande Galleria o, anche, per la misteriosa colonna Zed. Tuttavia, esiste un
ambiente al suo interno che merita una riflessione ulteriore, poiché
conferma l’impossibilità che gli operai egizi abbiano realizzato il
monumento.
Il Condotto Discendente è uno degli ambienti meno noti e soprattutto meno
studiati. Di questo miracolo dell’ingegneria si parla raramente, eppure
rappresenta un indizio straordinario che genera non pochi dubbi sulla
connessione tra Grande Piramide e l’Antico Regno. Esso misura circa 109
metri e, per circa 75 metri è interamente scavato nella roccia viva. Mantiene
un’inclinazione costante di 26°34’; misura 1 per 1,19 metri ed ha uno scarto
nell’allineamento - dal punto iniziale al punto finale - contenuto in un
centimetro.
Fig. 15. Bassorilievo nelle cripte del Tempio di Dendera. Sembra una chiara
raffigurazione di un processo elettrolitico
Questo strumento – nella sua forma più primitiva - era formato da una
foglia di palma stilizzata, avente al suo apice un taglio ed una squadra con
filo a piombo e avrebbe permesso ai sacerdoti egizi di osservare il moto
delle stelle. Rimane il dubbio sulla efficacia dell’osservazione del loro
moto, sulla precisione dell’esplorazione della dinamica astronomica,
sull’adeguatezza nel calcolare le posizioni angolari degli astri, sulla validità
nello studio dei moti irregolari delle stelle (come nel caso di Sirio) e
determinare le conseguenti anomalie in termini matematici, fino a
trasformare i dati in scala e riprodurli nelle costruzioni di Giza.
I progettisti avrebbero dovuto ottenere dei dati scientifici di una precisione
straordinaria, per poterli riprodurre nei monumenti con esattezza maniacale.
Innanzitutto avrebbero dovuto conoscere il momento astronomico da
replicare, poi le coordinate astronomiche degli allineamenti e, infine,
sviluppare delle formule matematiche e le relative proiezioni, così da
realizzare una perfetta simmetria tra Terra e Cielo, garantendo una
precisione al minuto di un grado.
Tutto ciò era nelle competenze degli Egizi dinastici?
La risposta è scontata.
Tuttavia, bisogna sottolineare l’importanza ed il ruolo della civiltà Egizia
dinastica, la quale è riuscita a tramandare testimonianze di un tempo remoto
che altrimenti avremmo perso per sempre.
È stato un lavoro straordinario, poiché tutto ciò che, in quel periodo storico,
proveniva dalle profondità del tempo non è andato completamente perduto.
La trascrizione nelle formule funerarie del moto degli astri – come nel caso
del Sole e della Costellazione di Orione – seppur racchiusa in simbolismi
molto elementari, ha permesso di preservare informazioni eccezionalmente
vitali.
È come se la nostra società - tecnologicamente avanzata - da qui a qualche
tempo, a causa di eventi catastrofici, perdesse memoria delle conoscenze
acquisite e si trovasse nella condizione di dover ripartire dal nulla. Sarebbe
una tragedia immane se i superstiti non fossero in grado di preservare la
conoscenza e la memoria del tempo, magari anche in semplici graffiti
disegnati all’interno di grotte e caverne, magari, da mani inesperte.
E’ successo questo in Egitto?
A questo punto, non resta che concentrarci sullo studio delle dinamiche
astronomiche, alla ricerca della configurazione celeste che la perduta civiltà
delle piramidi ha trasmesso nel tempo attraverso il complesso monumentale
di Giza.
Per avere un’idea precisa di come le configurazioni siano soggette a
continui mutamenti nel corso delle ere, ho voluto esaminare tempi
astronomici diversi, così da offrire una serie di elementi di valutazione ed
evidenziare quanto siano necessarie opportune competenze per
comprenderne le dinamiche.
La scelta dei momenti precessionali esaminati non è casuale, bensì sono
ispirati da criteri ben precisi:
Fig. 19. La Volta Celeste nel 10.500 a.C. osservata dalla facciata est della
Grande Piramide di Giza
Fig. 21. Il cielo sopra Giza all’equinozio di primavera dell’anno 36.450 a.C.
Godiamoci, ora, uno dei momenti più straordinari della storia del nostro
passato remoto, allorquando, nei cieli di Giza si allineavano astri e pianeti
secondo una logica divina.
Siamo all’equinozio di primavera dell’anno 36.400 a.C. I primissimi raggi
di Sole stanno annunciando l’Alba.
La Costellazione del Leone e la Sfinge si fissano negli occhi, incrociando il
loro sguardo ad un angolo di circa 22° gradi Sud-Est. Sul Meridiano Celeste
è posizionata la Costellazione di Orione, disponendosi in perpendicolare
rispetto alle Piramidi. Il primo dato che suscita meraviglia è la perfetta
congiunzione tra Al Nitak - la stella maggiore della Cintura di Orione
posizionata sul Meridiano Celeste - e la Grande Piramide, suo
corrispondente monumentale. In nessun altro allineamento astronomico
proposto, si stabilisce questa precisa congiunzione tra i due elementi
maggiori della Piana e della Volta Celeste. Al Nitak taglia il meridiano
celeste, come la Grande Piramide si trova precisamente al centro della
massa terrestre, ovvero all’incrocio tra il meridiano ed il parallelo
principali, ovvero a 1/3 della distanza fra Equatore e Polo Nord,
rappresentando lo “zero naturale” di longitudine. Inoltre, è di notevole
rilievo notare gli altri elementi astronomici che confermano ed esaltano il
concetto di Primo Tempo o di Nuova Epoca. Innanzitutto, la posizione che
assumono i pianeti nel corso del loro moto orbitale. Essi sono tutti
concentrati nell’emisfero di Sud-Est, quasi come se volessero
accompagnare il sorgere del Sole nel suo viaggio lungo l’eclittica. In
particolare, desta interesse il nostro satellite naturale, la Luna, poiché essa,
astronomicamente, è nella sua “fase nuova”, poiché ha poche ore di vita ed
è posizionata appena sotto l’orizzonte celeste, pronta a seguire il suo
“sposo” nel cammino verso la luce.
Desta stupore, invece, la posizione del pianeta Saturno, che è l’unico che si
localizza nell’emisfero Sud-Ovest. La sua posizione ha un significato molto
profondo che analizzerò da qui ai prossimi paragrafi.
Infine, è rilevante annotare la posizione di un astro importantissimo per
l’Antico Egitto: Sirio-Iside.
La Stella si colloca esattamente sopra l’orizzonte compresa tra le due
costellazioni del Leone e di Orione. La sua posizione, nell’allineamento del
36.400 a.C. è importantissima, poiché si propone come dato inconfutabile
della volontà dei costruttori di indicare questo tempo storico e non altri.
Sirio, infatti, è presente solo in questo allineamento, mentre risulta
completamente assente in quelli proposti da altri ricercatori, a cominciare
dall’ipotesi di Bauval.
Dalla lettura dei Testi Antichi si evince, a sostegno di quanto finora esposto,
quanto sia importante il ruolo di Iside nelle vicende che si svolsero durante
lo Zep Tepi, dopo l’uccisione di Osiride da parte di Seth. Così come narra il
Mito, ha avuto un ruolo di primo piano nella triste epopea del tempo e, non
può non presenziare, astronomicamente, all’immortalità dello Zep Tepi, a
testimonianza imperitura del Governo degli Dèi, quando l’Egitto aveva
raggiunto il suo massimo splendore. La sua presenza nella Volta Celeste è
un chiaro elemento distintivo che riconosce nella dea, cara all’Egitto, una
funzione chiara e definita nelle corrispondenze astronomiche.
Sirio ha un proprio corrispondente monumentale e si configura come
l’ultimo baluardo prima di confermare la teoria del 36.400 a.C.
La funzione dei Pianeti
Fig. 31. Le tracce di erosione sulla parte inferiore del monumento originario,
ricordano quelle rinvenute sul fossato che ospita la Sfinge
Il terzo punto considerato, riguarda l’analisi strutturale del monumento. Essa
sembra sia stata costruita in due momenti diversi. La base è interamente
scolpita nella roccia, mentre la parte superiore è più in linea con le fattezze
delle strutture adiacenti, presentando blocchi di piccola dimensione,
sovrapposti l’uno all’altro, a formare una mastaba di chiara matrice dinastica.
Questa differenza architettonica mi ha insospettito non poco, perché se la
tomba è stata realizzata durante l’Antico Regno, per quale motivo i costruttori
si sono impelagati in un lavoro disumano per modellare la roccia viva, non
avendo le attrezzature adatte per la lavorazione della pietra?
Il sospetto di essere in presenza di qualcosa di molto più antico era forte e,
più esaminavo i dati rilevati, più mi convincevo di essere sulle tracce del
Tempio citato nella Stele dell’Inventario. Il monumento originario presenta
delle tracce molto particolari, che non si riscontrano in altri edifici della
Piana, ad eccezione della Sfinge. Esse si caratterizzano per dei solchi verticali
che riportano alla memoria le tracce di erosione da acqua piovana, riscontrate
da Schoch e West negli anni ’90, sul corpo leonino a guardia delle Piramidi.
Nella foto precedente, ho voluto proporre una piccola correlazione, tra le
tracce riscontrate sulla Casa di Iside ed un particolare di quelle rinvenute sul
più famoso monumento egizio. L’indizio mi ha permesso di approfondire
alcuni aspetti strutturali della misteriosa tomba, per scovare qualche ulteriore
elemento che potesse confermare l’ipotesi della sua vetustà rispetto agli
edifici di epoca dinastica presenti in zona. Partendo dalle considerazioni
proposte da Robert Schoch e John Anthony West, mi sono dedicato all’analisi
del fenomeno erosivo, utilizzando metodologie di analisi scientificamente
accettate. Confrontando le tracce di erosione rilevate in alcuni punti della
parte inferiore della Tomba di Khentkhaus, ho ricevuto la conferma della
similitudine con le profonde cicatrici della Sfinge. Questo dato rappresenta
un valore aggiunto molto importante per l’esito della ricerca, poiché certifica
la retrodatazione dell’edificio a tempi molto più antichi, anche perché gli
stessi blocchi di pietra - usati per costruire la mastaba in epoca dinastica - non
presentavano tracce di erosione d’acqua.
I due passi successivi, sono finalizzati allo studio di una possibile
correlazione astronomica tra il monumento e la stella Sirio. Il modello
utilizzato è molto simile a quello applicato per indagare la correlazione
astronomica tra le Piramidi e la Costellazione di Orione. Ho verificato,
innanzitutto, la disposizione dei monumenti principali rispetto alla tomba
dimenticata.
Fig. 32. La posizione della Tomba di Khentkhaus sulla Piana di Giza rispetto
ai monumenti principali e ai punti cardinali.
La Tabella dimostra che Sirio è più vicina alla stella Regolo, nella
Costellazione del Leone, che non alle tre stelle della Cintura di Orione,
nonostante l’osservazione astronomica ad occhio nudo restituisca un dato
contrario. La separazione tra Sirio e Regolo, infatti, è contenuta in solo 73
anni luce, viceversa, la distanza dalle altre stelle della Cintura di Orione è
praticamente abissale!
Questo dato dimostra che non era sufficiente la semplice osservazione
empirica dei fenomeni astronomici, poiché se fosse stato così, i costruttori
avrebbero commesso un errore nella disposizione dei monumenti,
avvicinando la mastaba alle piramidi e allontanandola dalla Sfinge. Invece,
realizzandola così come la vediamo oggi, i progettisti hanno dimostrato una
capacità straordinaria e soprattutto una conoscenza perfetta delle distanze
astronomiche tra gli astri. Essi avevano gli strumenti giusti per osservare il
moto delle stelle e calcolarne sia le dinamiche astronomiche che i dati fisici;
se non fosse stato così non avrebbero potuto realizzare il progetto alla
perfezione. Viene, per conseguenza, che la civiltà dinastica mai avrebbe
potuto raggiungere un risultato del genere poiché, culturalmente
impreparata ad affrontare un’opera così estrema.
La ricerca sui segreti della Casa di Iside, tuttavia, si ammanta di un ulteriore
dato estremamente significativo.
Analizziamo, infatti, un ultimo dato relativo alla posizione del complesso
della Casa di Iside rispetto ai punti cardinali. Questo modello è stato
utilizzato per verificare l’angolazione del complesso rispetto all’Est e
l’eventuale correlazione con la stella Sirio rispetto al medesimo parametro
di valutazione. Per ottenere questo dato, ho dovuto individuare una base di
stazionamento, così da stabilire un punto “0” di origine. Dalla posizione
così ottenuta, ho tracciato un sistema di assi cartesiani, al fine di acquisire
una maggiore semplicità nell’elaborazione dei dati, come nell’immagine
che segue.
Fig. 36. Posizione angolare della Casa di Iside rispetto ai punti cardinali, in
particolare all’Est.
Fig. 37. La separazione angolare di Sirio rispetto all’Est nel 36.400 a.C.
A questo punto non restava che indagare l’area ovest di Giza, alla ricerca di
ulteriori indizi che potessero confermare l’esistenza di reperti o monumenti
rientranti nel Progetto Unitario. Ma prima di tutto era necessaria una
puntatina ai templi della Sfinge, poiché anche lì c’è un pezzo di storia dello
Zep Tepi ancora tutta da ricomporre.
3. Ad Ovest delle Piramidi
Le verità nascoste
Uno degli aspetti più affascinanti del lavoro di ricerca, è, ovviamente,
scoprire quei reperti archeologici in grado di dimostrare che i Miti narrati
nelle prime civiltà a noi note – quindi da quella Sumera a quella Egizia –
sono stati influenzati da fatti storici caduti nell’oblio. E’ un compito
difficile, complesso, a volte rischioso, poiché è molto facile prendere delle
sviste, soprattutto quando si è impegnati nell’affannosa ricerca del risultato
a tutti i costi. La moderazione e la temperanza sono delle “conditio per
quam”, al fine di ottenere dei risultati inconfutabili per una corretta
ricostruzione di tutta la fase storica più arcaica.
L’interesse per tutto ciò che è accaduto in epoche convenzionalmente
associate alla fase prediluviana, mi ha permesso di acquisire una serie di
reperti e di nozioni davvero interessanti; esse, analizzate nel giusto verso,
hanno spalancato le porte ad una parziale ricostruzione di fatti ed eventi che
giustificano la realizzazione di complessi monumentali come Giza.
Le civiltà post diluviane sono state fortemente influenzate da un retaggio
tramandato da epoche ancora non pienamente definite. Perché se è vero che
la mia Teoria indica il momento del preciso allineamento - dei monumenti
di Giza con gli astri nella Volta Celeste - al 36.400 a.C., questo non vuol
dire che tutto è cominciato in quell’epoca.
Tuttavia, su questo periodo storico convergono una serie di recenti scoperte
che devono far riflettere.
Tempo fa, ho ricevuto una mail dalla “Pyramid of the Sun Bosnian
Foundation”, con la quale mi informavano – per conoscenza, avendo
partecipato ad alcune attività di studio sulle piramidi di Bosnia - di alcuni
risultati conseguiti nel corso degli scavi effettuati a Visoko dall’archeologo
Semir Osmanagic. Ebbene, in quel periodo sono stati resi noti i risultati di
un reperto in legno rinvenuto nell’incastro tra alcuni blocchi nei tunnel,
sotto la cosiddetta Piramide del Sole. Le analisi sono state effettuate presso
due laboratori distinti: il primo nel Dipartimento per lo studio sui Radio-
Isotopi presso l’Istituto di Fisica dell’Università delle Tecnologie di Gliwice
in Polonia e l’altro nel Laboratorio Leibniz per la Datazione Radiometrica
presso l’Università Christian Albrecht di Kiel, in Germania. In entrambi i
casi, le analisi hanno dato dei risultati davvero interessanti.
La dottoressa Anna Pazdur, dell’Università di Gliwice annunciò che il
pezzo di legno analizzato risaliva a 34.000 anni fa circa, con un margine di
errore di più o meno 1.500 anni. Il medesimo risultato è stato annunciato
dal dipartimento tedesco che indicava una datazione prossima a 30.600 anni
fa, con un margine di errore di più o meno 500 anni.
Questi dati devono far riflettere su due questioni in particolare: la prima è
che con ogni probabilità, le Piramidi di Bosnia sono effettivamente delle
costruzioni a cui ha contribuito la mano dell’uomo e, quindi, non
completamente naturali, così come sostenuto da una parte cospicua di
archeologi e ricercatori; la seconda, invece, deve farci riflettere sulla
convergenza storica in un periodo a ridosso del 36.400 a.C.
La concomitanza di reperti che si concentrano nel periodo rilevato dallo
studio dei monumenti di Giza, è confermata da un’altra clamorosa scoperta
avvenuta in Francia, grazie ad un’équipe di ricerca canadese.
L’evento fu annunciato dalla rivista New Scientist che – narrando
dell’incredibile scoperta – poneva i riflettori su una serie di simboli,
risalenti al periodo preistorico, rinvenuti in alcune caverne. Essi erano
dipinti sulle pareti e disposti in sequenza, dando la chiara sensazione
potesse trattarsi di un alfabeto sconosciuto. Anche in questo caso, si è
proceduto ad una datazione, per definire il periodo in cui l’opera era stata
compiuta e, con mia grande sorpresa, essi risalivano a circa 25.000 anni fa.
Peraltro, la cosa più interessante è che, alcuni di essi, ricordano i simboli
fonetici che gli Egizi hanno riproposto nella loro scrittura geroglifica.
Le evidenze archeologiche dimostrano, quindi, che prima dell’ultima fase
post glaciale, si è sviluppata - su questo pianeta - una Civiltà che ha lasciato
tracce di sé ovunque. Sul globo terrestre sono disseminate testimonianze
che non possono essere trascurate; ed è altrettanto fuori luogo, continuare a
nascondersi dietro la teoria darwiniana, la cui datazione al 1859, la pone
inesorabilmente in contrasto con i modernissimi sistemi di analisi che
potrebbero rilevare, viceversa, gli indizi necessari a riscrivere l’evoluzione
dell’uomo in simbiosi con le evidenze archeologiche.
Sotto questo profilo, un grande contributo lo ha reso Michael Cremo che nel
1996, con il suo libro “Archeologia Proibita”, il quale ha aperto un nuovo
capitolo sulle ipotesi che l’Homo Sapiens avesse vissuto ben altre
evoluzioni. Ci troviamo quindi in presenza di un rompicapo davvero
affascinante che si collega ad un’altra scoperta, passata clamorosamente
sotto silenzio. Nel 1999, l’agenzia di stampa russa, la Pravda, annunciava -
in un articolo condito da particolari davvero straordinari - che una
spedizione di scienziati russi della Bashkir State University aveva scoperto
nel villaggio di Chandar, negli Urali meridionali, una lastra sulla quale era
incisa una dettagliata mappa orografica. Il capo della spedizione, il
professor Alexander Chuvyrov era convinto di aver trovato la prova
dell’esistenza di una Civiltà che aveva abitato il nostro pianeta in epoche
remotissime, mettendo a dura prova tutte le teorie evolutive finora proposte.
Egli, analizzando la mappa, aveva notato che non era stata riprodotta
manualmente, ma con un non meglio precisato strumento di incisione.
Inoltre, era così ben dettagliata che non poteva essere stata realizzata se non
con l’aiuto di prospezioni aeree. Su di essa, infatti, erano ben raffigurati
fiumi, opere di irrigazione, sistemi di canali particolarmente ampi e
complessi, dighe e canyon che potevano essere riportati solo con l’ausilio di
complessi strumenti – altamente tecnologici - come quelli moderni. La
stessa particolarità strutturale della mappa lascia attoniti. Essa ha uno
spessore di base di circa 14 centimetri in dolomite dura, un secondo strato
in vetro diopside di composizione ignota alla scienza moderna ed un terzo
strato superiore, di 2 millimetri di spessore, in porcellana di calcio per
proteggere la mappa. Il risultato più incredibile, però, è arrivato al momento
della datazione del reperto. Incastonate nella lastra ci sono due fossili di
conchiglie che si sono estinte tra i 500 e i 120 milioni di anni fa.
Infine, a rendere la questione ancora più complessa, sulla lastra sono state
trovate delle iscrizioni, apparentemente geroglifico-sillabiche che non sono
collegabili a nessuna delle civiltà a noi note.
Questi dati, sono l’ulteriore riprova che evoluzione dell’uomo e della
scrittura sono andati di pari passo nel corso della storia. I simboli fonetici
sono stati utilizzati, molto probabilmente, fin dall’inizio dell’ultima fase
evolutiva che è coincisa con lo Zep Tepi. Tutto sembra convergere su
questo punto nodale del nostro passato a dimostrazione che gli eventi che si
sono verificati sono stati davvero epocali.
Finora, si è ipotizzato che la Civiltà Remota che ha colonizzato la Terra,
abbia lasciato tracce di sé utilizzando solo ed esclusivamente il linguaggio
della scienza, ma come vedremo è una supposizione che deve essere
rettificata.
Le scoperte in Francia, infatti, sono una testimonianza in controtendenza.
Non solo matematica, astronomia, ingegneria e architettura dunque, ma
anche manifestazione del pensiero attraverso simbologie ideografiche e/o
sillabiche, a testimonianza di un epoca sicuramente ricca di fermento
culturale. Peraltro, le tracce rinvenute, risalenti a circa 25.000 anni fa, sono
state impresse in una delle fasi geologiche più complesse per il nostro
pianeta, poiché è proprio tra il 29.000 ed il 24.000 a.C. che si sono verificati
disastri planetari, variazioni climatiche e geologiche su vasta scala, al punto
che gli stessi ricercatori le hanno definite “di proporzioni inimmaginabili”.
E’ in questo periodo che la fiorente Civiltà di Giza abdica al corso degli
eventi trasformandosi in una razza di sopravvissuti alle catastrofi
planetarie?
Non è assolutamente da escludere, soprattutto se si presta particolare
attenzione alla mitologia Sumera, l’unica sopravvissuta nelle forme più
complete ed i cui contenuti sono particolarmente utili per una ricostruzione
plausibile del percorso compiuto dall’uomo.
Al di là delle interpretazioni date alle Tavolette rinvenute nella terra di
Sumer, sulle quali si è speculato e si continuerà a speculare, sosterrò questa
posizione fin al raggiungimento della necessaria chiarezza. Non ho mai
avuto l’abitudine di sposare l’una o l’altra ipotesi, quindi anche in questo
caso rimarrò fedele ai miei convincimenti. Non condivido le ipotesi
proposte da Sitchin, almeno non completamente, anzi ritengo che in alcuni
casi, il contenuto sia stato eccessivamente enfatizzato. Ma come ogni
ricercatore libero da vincoli preconcetti, ho il dovere di rilevare gli aspetti
comuni tracciati dalle Civiltà postdiluviane che si sono sviluppate ad ogni
latitudine e, da lì, partire per raggiungere un altro traguardo di questa
infinita corsa verso la Verità Storica.
I Templi del mistero
Cheope, così come Chefren, con ogni probabilità, hanno veramente trovato
le costruzioni sulla Piana di Giza e non hanno fatto altro che ristrutturarle.
La prova è lampante, sotto gli occhi degli egittologi da generazioni. I templi
della Sfinge, infatti, presentano chiare manomissioni che evidenziano una
prima fase di costruzione con blocchi di pietra calcarea – assolutamente
remota – ed una seconda mano di ristrutturazione con blocchi di granito di
più recente fattura. E’ molto probabile che la ristrutturazione si riferisce
proprio al racconto della Stele dell’Inventario.
A questo punto, non resta altro che scoprire quale è la funzione dei templi e
le connessioni astronomiche a cui sono stati destinati al momento della
progettazione.
La relazione tra Templi e i Pianeti
Così, la tabella si compone di due colonne, nella prima sono riportati i dati
fisici esaminati (area, volume ecc.); nella seconda, le misure rilevate, espresse
in cubiti reali egizi, così ottenuti dall’equivalenza con i valori espressi in metri.
Le voci relative al volume, alla diagonale e all’area del colonnato – così
sintetizzate per una mera questione di spazi - si riferiscono al cortile interno
del tempio, nelle quali sono alloggiare le nicchie sia sul versante ovest che su
quello est, le quali simbolicamente si riferiscono alle dinamiche del Tempo.
Pertanto, oltre ai valori perimetrali dell’edificio, ho voluto ipotizzare un
raffronto anche con alcuni valori riferiti agli spazi interni, così come per i
pianeti di cui si calcolano la massa ed il volume.
Nella tabella che segue, sono riportati i dati fisici del pianeta Giove, espressi in
cubiti reali. L’equivalenza si è resa possibile poiché tutti i valori considerati
sono espressi in unità di misura lineari.
Paramenti Giove Cubiti Reali
Superficie 47,67x1029
Volume 54,36x1028
Diametro equatoriale 273.391,97
Circonferenza 839.466,70
Esaminando i valori restituiti dalla relazione tra i dati fisici del tempio della
Sfinge e le costanti matematiche π, ε e φ, è possibile rilevare i seguenti
rapporti proporzionali:
I dubbi che affollavano la mia mente, pian piano, lasciavano il campo alla
certezza di aver individuato un altro segmento del progetto voluto dalla
Perduta Civiltà delle Piramidi. Con lo sguardo rivolto alla Piana di Giza,
intravedevo nella mia mente le meraviglie di un tempo antico, ormai quasi
cancellate dal trascorrere dei millenni e dalla mano dell’uomo. In un’era della
nostra evoluzione, in questa regione del pianeta, una Civiltà senza nome,
compiva uno dei miracoli più alti della Scienza, le cui particolarità ancora
sfuggono alla nostra comprensione.
L’emozione di ricomporne il mosaico, tessera dopo tessera, non ha avuto
prezzo.
L’ultimo Segreto ad Ovest di Giza
Fig. 44. Immagine tratta dal Libro dei Morti Egizio, dalla quale si evince
l’immagine della doppia Sfinge.
Nell’immagine, tratta dal Libro dei Morti Egizio - che narra del viaggio
notturno del dio Sole e delle innumerevoli insidie, dovute alla presenza
delle forze del male - sono rappresentate, esattamente nei pressi della
Grande Piramide, le due Sfingi. La prima, orientata verso Est e l’altra ad
Ovest. Questa raffigurazione ha incuriosito gli studiosi, i quali si sono
cimentati in un’impresa davvero suggestiva: quella di riportare alla luce
“l’ultimo tassello” monumentale della grandiosa opera di Giza. Tuttavia, i
risultati ottenuti sono stati, semplicemente, deludenti. Ad Ovest delle
piramidi, non è stato trovato nessun reperto che potesse giustificare
l’esistenza del secondo Leone.
Quindi? E’ possibile che gli Egizi si siano sbagliati?
In realtà, non sarebbe la prima volta che ci si trova in presenza di
“indicazioni”, di epoca Dinastica, che non sono precisamente in linea con la
realtà dei fatti, vedi ad esempio le disquisizioni relative al Canone Reale o
Papiro di Torino. Sappiamo che il Libro dei Morti è stato scritto su papiro
durante la XVIII Dinastia, ovvero, circa 1.000 anni dopo il periodo
convenzionalmente associato alla realizzazione dei monumenti di Giza.
Potrebbe essere plausibile l’ipotesi che esso presenti qualche lacuna
interpretativa. Peraltro, se consideriamo che il complesso monumentale è
stato costruito in epoche remote, non è fuori luogo ritenere che gli Egizi
dinastici abbiano potuto riproporre una raffigurazione della Piana, con
manifesti errori interpretativi.
Il dubbio su un ipotetico “disguido” è giustificato dal fatto che, nonostante
gli sforzi profusi, l’Ovest non si è dimostrato terreno fertile per gli
speranzosi archeologi. Così, in virtù di quanto narrato finora e nella
necessità di avere una mappa completa ed attendibile dell’intero sito
archeologico, mi sono dedicato alla ricerca di qualche elemento che potesse
ricomporre il mosaico di Giza, nella maniera più corretta. Anche in questo
caso, ho chiesto ausilio alla scienza e, in particolare all’astronomia.
Fig. 45.
Fig. 47. Sezione ovest della Piana di Giza, il “recinto” indica la posizione
dove è localizzata la Tomba degli Uccelli ed il suo probabile sviluppo sul
promontorio.
1. Lo Zep Tepi
La Piana di Giza 17
Lo Zep Tepi ed il Canone Reale 25
Il Mistero delle successioni Predinastiche 35
2. L’Egittologia e L’Antico Regno
Il cartiglio della discordia 39
Le Piramidi tra religione e architettura 47
Sperimentazione scientifica o empirismo? 53
Tracce di tecnologie perdute 61
Piramidi: nient’altro che teorie! 69
3. Archeoastronomia e Misteri
Dalle stalle… alle stelle! 79
La Teoria della Correlazione 87
La Sfinge e le vie del compromesso 97
L’eredità dei sacerdoti egizi 103
La Scienza della Piramide 107
Le piramidi satellite: ratio e geometria 117
Conclusioni 269
Bibliografia 277
Indice 283
[1]
Jean Jacques Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli
uomini, Editori Riuniti 2006 Roma
[2]
Armando Mei, La Piramide e i segreti del 137, XPublishing, 2018 Roma
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Tratta da una corrispondenza privata con l’Autore
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[23]
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[24]
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[28]
Robert Bauval Graham Hancock, Custode della genesi, CDE Editore, 1997
[29]
Robert Bauval e Adrian Gilbert, Il Mistero di Orione, Corbaccio, 1998 Milano
[30]
Robert Bauval Graham Hancock, Custode della genesi, CDE Editore, 1997
[31]
Robert Bauval Graham Hancock, Custode della genesi, CDE Editore, 1997
[32]
John Taylor è un poeta e saggista inglese con la passione per la matematica e
l’astronomia. A lui sono attribuite alcune scoperte matematiche che riguardano la Grande
Piramide.
[33]
Charles Piazzi Smith è un astronomo britannico che ha dedicato parte dei suoi studi ai
misteri della Grande Piramide di Giza, scoprendo una quantità di relazioni tra i monumenti
e il pianeta Terra.
[34]
Urbain Jean Joseph Le Verrier è stato un astronomo francese, vissuto nel corso
dell’800. È noto per aver teorizzato l’esistenza del pianeta Nettuno sulla base di modelli
matematici.
[35]
Sir Joseph Norman Lockyer è stato un astronomo britannico con la passione per
l’antichità. È stato il primo a ipotizzare che Stonehenge avesse una funzione astronomica,
per questo è considerato il “padre dell’archeoastronomia”.
[36]
Graham Hancock, Impronte degli dei, Corbaccio, 1996
[37]
Graham Hancock
[38]
Graham Hancock
[39]
Robin Cook, The Pyramids of Giza, Seven Islands, Glanstonbury, 1992
[40]
Armando Mei, La piramide e i segreti del 137, Xpublishing, 2018
[41]
Peter Ehlebracht - Haltet die Pyramiden fest!: 5000 Jahre Grabraub in Agypten - (German
Edition) 1980
[42]
Il papiro è noto anche come papiro di Ahmes, dal nome dello scriba che lo
trascrisse intorno al 1.650 a.C. Si tratta del documento egizio a carattere matematico più
esteso e contiene le soluzioni di 85 problemi matematici ricorrenti nella vita quotidiana
delle classi sociali più aristocratiche.
[43]
Massimiliano Franci “Astronomia egizia, Introduzione alle conoscenze astronomiche
dell'antico Egitto”, Edarc, Firenze 2010
[44]
Graham Hancock , Impronte degli dèi, Corbaccio Editore 2003
[45]
Ed Krupp, Echoes of the Ancient Skies: The Astronomy of Lost Civilizations,
Oxford University Press, 1994 Londra
[46]
John Anthony West, Il Serpente Celeste, Corbaccio, 1999 Milano
[47]
Abd’el Hakim Awyan egittologo egiziano, appartenente alla scuola indipendente. E’ il
fondatore della Scuola Khemitiana.
[48]
James Henry Breasted, Prehistoric Survey of Egypt and Western Asia- Vol. 1, Chicago
Univeristy, 1929 Chicago
[49]
Max Ludwig Paul Blanckenhorn, Die Steinzeit Palästina-Syriens und Nordafrikas, J. C.
Hinrichs, 1921
[50]
Michael A. Hoffman, Egypt before the pharaohs: the prehistoric foundations of
Egyptian civilization, by Michael O'Mara Books Ltd, 1991 London
[51]
Armando Mei, La Piramide e il segreto del 137, Xpublishing 2018. Il Libro descrive la
possibile funzione della Grande Piramide in base al numero adimensionale 137, scoperto
dall’Autore, nel 2009, nelle proporzioni della Seconda Piramide di Giza.
[52]
«Tra i pochi sarai quello che farà la differenza». Traduzione dell’Autore