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martedì 2 febbraio 2021

Eschilo

Vita
Nacque nel 525 a.c ad Eleusi, da una famiglia aristocratica. Iniziò molto presto la sua
carriera di poeta tragico, vincendo per la prima volta un agone poetico nel 484 a.C.
Partecipò alle guerre Persiane combattendo sia a Maratona che a Salamina.
Dopo la rappresentazione dei Persiani nel 472 a.C.

Venne invitato a Siracusa alla corte del tiranno Ierone per il quale compose una tragedia ( le
Etnee ) allestendo nel contempo una ripresa dei Persiani. Tornato in patria rappresentò
l’Orestea, ma poco dopo si trasferì in Sicilia, a Gela, dove morì nel 456 a.C. Sulla sua tomba
venne inciso di quanto egli fu un nobile e valoroso combattente, senza accennare alle sue
opere.

Ottenne 13 vittorie negli agoni teatrali. Sono noti i titoli di 79 opere, tra tragedie e drammi
satireschi, ne sopravvivono sette, di cui una trilogia completa, l’Orestea, costituita da
Agamennone, Coefore ed Eumenidi, oltre a Persiani, Sette contro Tebe, Supplici, Prometeo
incatenato.

Opere e pensiero

La forma

Le tragedie di Eschilo devono essere considerate nell’ottica della trilogia, all’interno della
quale ciascun dramma non rappresenta che una fase. Questo è legato alla scelta del poeta
di voler portare sulla scena saghe mitiche di ampio respiro, sviluppate interamente
all’interno della trilogia. Questo fa sì che risulti un’architettura complessa, dove l’energia
intellettuale e artistica dell’autore sarà padrona, caratteristica principale poi della tradizione
tragica. A di erenza del teatro plautino, il teatro eschileo era per un pubblico colto.

I drammi di Eschilo sono in pieno stile arcaico, opera in cui l’azione procede lentamente,
con un linguaggio pieno di neologismi, metafore e scarti di pensiero quasi visionario. La
scenogra a ha un impatto pittorico, e ad Eschilo, che fu attore e regista dei suoi stessi
drammi per lungo tempo, si attribuivano varie innovazioni nel campo della messa in scena e
della danza, in particolare l’introduzione del secondo attore.

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I personaggi
I suoi personaggi sono stilizzati, come grandi statue parlanti ammantate dalla grandezza
arcaica del mito. Hanno tutti caratteri in essibili che si scontrano senza però mai piegarsi e
a rontano sempre e comunque il proprio destino.

Gli eroi dell’autore non sono quindi psicologicamente realistici. Sono personaggi ad una
sola dimensione perché presentano, ampli cato no all’inverosimile, una sola parte della
loro personalità.

Però il suoi personaggi, per quanto possano essere mossi da una grande forza, si
scontrano sempre con delle reti invisibili, come le azioni degli dei, il destino.

Gli impulsi psicologici che si agitano all’interno di un individuo vengono sempre descritti
con termini oggettivi, secondo il principio arcaico che attribuisce gli impulsi a un sistema di
interventi esterni, che ad ogni passo ostacolano l’uomo conducendolo verso il baratro della
colpa della sciagura. Queste energie, ubris, violenza, e il mondo sotterraneo delle Erinni
punitrici o del demone che sconvolge la mente di una persona la perseguita portando alla
rovina, formano quello che è il tessuto culturale su cui si innesta il sistema di valori dei
personaggi di Eschilo e del suo pubblico.

Al di sopra dello spazio umano c’è il mondo sereno degli dei olimpici, chiamati per
garantire la giustizia. Possiamo quindi dire che il teatro di Eschilo si sviluppa su tre piani
sovrapposti: cielo, terra, mondo sotterraneo. Tutto ciò fa parte di uno stesso sistema
religioso e teatrale e collegano tra di loro in un nesso saldo gli uomini e le loro vicende e il
mondo delle forze invisibili, sia divine sia demoniache, che li accompagnano passo dopo
passo.

Il tema della giustizia

Il tema centrale è la giustizia (dike) e il suo modo di operare nelle vicende umane. Eschilo è
erede di quei poeti come Esiodo e Solone che avevano posto il problema della giustizia
divina al centro delle loro opere. Tuttavia in Eschilo il concetto non assume lo stesso valore:
la giustizia non regola i rapporti sociali ma è la grande legge che gli dei impongono al
mondo, la forza universale che spiega L’apparentemente casualità degli avvenimenti e
regola con bilancia esattissime la colpa e la punizione. Si può dire quindi che la grande
s da intellettuale di Eschilo sia la rivisitazione del mito con il suo groviglio di violenza e
crudeltà, alla luce di questa idea moralmente più evoluta.

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Eschilo e le strutture di pensiero di un mondo in declino

I temi fondamentali delle tragedie eschilee sono la vendetta, il con itto tra diritto familiare e
diritto della polis; l’uomo nei suoi rapporti con la collettività, la politica, la giustizia divina, il
legame delittuoso che unisce inestricabilmente un individuo alla sua famiglia e alla
comunità in una catena di odio, secondo l’arcaico principio della contaminazione collettiva
che si estende da una generazione all’ altra come un contagio.

La rivisitazione dei miti avviene nella prospettiva della città ateniese poiché, qualunque sia il
luogo in cui viene ambientato il dramma, è verso Atene che innanzitutto il tragediografo
rivolge lo sguardo. Ha una visione non del tutto classica, ma in lui domina l’elemento del
visionario: prevalgono infatti i fantasmi.

Lingua e stile

Il fondatore del linguaggio tragico

Eschilo si può considerare il vero e proprio fondatore del linguaggio tragico, che con lui
acquista forma speci ca è un timbro originale. In lui c’è una fortissima tendenza
all’invenzione verbale quasi come se la lingua ereditata dalla tradizione poetica risultasse
inadeguata, mi sono quindi molti neologismi, egli è sempre alla ricerca di un linguaggio fuori
dal comune, pieno di metafore che si spingono quasi all’inverosimile. Egli però adotta le
forme tipiche dello stile arcaico epico, la composizione ad anello, con una grande
espressività nelle parti corali grazie all’utilizzo di metafore e immagini che si accumulano.

L’ORESTEA

La trilogia della maturità

La trilogia dell’ Orestea fu rappresentata nel 458 a.C. nell’ambito di un concorso


drammatico in cui ottenne il primo premio. La vicenda si sviluppa in tre drammi che
a rontano ciascuno un momento della saga degli Atridi: L’arrivo di Agamennone da Troia e
il suo assassinio per mano della moglie Clitemnestra, con la complicità di Egisto; Il ritorno in
patria del glio Oreste, che per ordine di Apollo vendica il padre uccidendo la madre ed

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Egisto, ma Che per questo delitto viene assalito dalle Erinni; la fuga di Oreste ad Atene
dove, sottoposta un processo presieduto da Atena e Apollo, viene in ne assolto mentre le
Erinni placano e diventano Eumenidi, le benevole .

Agamennone

Quando Agamennone torna a casa, nel palazzo si sviluppa un’atmosfera di angosciosa


Attesa in cui sono evocati fatti luttuosi, tra cui l’uccisione di I genia.

Quando Agamennone sbarca, la moglie Clitemnestra lo accoglie con gioia simulata. A


seguito del re come sua concubina c’è Cassandra, la glia di Priamo a cui Apollo ha dato il
dono della profezia; con parole ambigue la padrona di casa attira lo sposo nella reggia,
facendolo passare su un tappeto di porpora che lo condurrà però non verso il trionfo, ma
verso la morte. La presenza della porpora è ricorrente, in particolare utilizzata da
Clitemnestra, Quasi a voler fare intendere che vi è solo un futuro sanguinoso per il re
appena tornato.

Poco prima di entrare nella reggia, Cassandra lasciata sola, evoca in una visione tutti gli
errori della stirpe degli Atridi e predice il dramma che sta per compiersi dentro la casa.

Sì ode dall’interno del palazzo il grido di Agamennone che viene pugnalato a tradimento.la
porta del palazzo si apre lascia vedere il suo cadavere nudo disteso sul lenzuolo
insanguinato, con accanto quello di Cassandro; sopra di loro sta Clitemnestra, con una
scure sgocciolante di sangue. È la regina stessa a narrare il delitto, e non un messaggero
come normalmente avveniva, e il punto di vista soggettivo conferisce il breve racconto una
connotazione di ferocia persino voluttuosa, ecco la descrizione dei colpi vibrati ripetuti della
fontana di sangue che spruzza dal corpo.

Ora nalmente la regina può rivelare senza ambiguità il suo odio

, covato dal tempo in cui il suo amore materno era stato oltraggiato dal sacri cio della glia.
Una donna ha vendicato una donna, come in seguito un uomo vendicherà un uomo. Ecco
ora apparire Egisto circondato da un gruppo di armati.

La scena nale mostra nalmente insieme i due complici, ai quali si contrappone in un


agitato scambio di battute il coro, inorridito per l’enormità del delitto. Le parole nali di
Clitemnestra chiudono il circolo d’azione, annunciando che in quella reggia è tornato,
seppur diabolico e crudele, l’ordine.

Le Coefore, portatrice di o erte.

Sono trascorsi diversi anni dall’assassinio di Agamennone. La regina, che divide il potere
con Egisto, subito dopo il delitto aveva allontanato il glio Oreste e tenuto la glia Elettra
presso di sé.

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Ormai adulto, Oreste è tornato in patria, insieme a suo cugino Pilade, su ordine di Apollo
per punire sua madre e il suo complice. Si è reciso un ciu o di capelli e li ha deposti sulla
tomba del padre, situata al centro della scena, come pegno di vendetta.

Appare ora un corteo di donne vestite di nero (il coro): sono le coefore, che danno il titolo al
dramma. Sono donne portatrici di o erte, inviate dalla sovrana alla tomba di Agamennone
per un sacri cio propiziatorio che allontanino da lei alcuni tristi presagi. Le guida Elettra,
che presso il tumulo del padre riconosce il fratello. Elettra, Oreste e il coro uniscono le loro
voci per invocare il soccorso di Agamennone. Viene così preparato il piano di vendetta.

Oreste si nge mercante e si introduce nella reggia accompagnato da Pilade; comunica alla
regina la falsa notizia della morte del glio. Clitemnestra fa subito chiamare Egisto, che
accorre disarmato ed è sopra atto facilmente dai due.

La stessa sorte tocca ora alla madre, che invoca la pietà del glio, cercando di far leva sui
legami ancestrali. Oreste ha un attimo di esitazione ma Pilade lo richiama al compito
pre sso. Il glio allora uccide la madre nello stesso luogo in cui era stato trucidato il padre.
Immediatamente dal terreno sorgono le Erinni vendicatrici dell madre che costringono
Oreste a fuggire.

Eumenidi
L’incessante fuga dalle Erinni porta Oreste al tempio di Apollo a Del , dove il dio gli rinnova
la promessa di aiuto. Lo a da infatti ad Ermes e lo fa accompagnare ad Atene.

Ad Atene Oreste è raggiunto dalle Erinni che compiono intorno a lui una danza terri cante.
Atena, la dea protettrice della città, decide allora di istituire il tribunale dell’Areopago. Ad
esso le due parti, le Erinni e Apollo, espongono le proprie ragioni; il verdetto nale, grazie al
voto determinante di Atena, è di assoluzione.

La rabbia delle Erinni è violentissima, ma è placata da Atena, che assegna loro una sede
sull’Acropoli e il compito di proteggere Atene dai nemici interni ed esterni.

Le Erinni, trasformate così in Eumenidi (cioè «Benigne»), sono accompagnate da una


solenne processione di cittadini alla nuova dimora.

I PERSIANI

Il dramma i Persiani fu rappresentato nel 472 a.C. dopo la vittoria a Salamina dei Greci
contro i Persiani. La tragedia faceva parte di una trilogia di cui il primo dramma era il Fineo
e l'ultimo il Glauco Potnieo. Il dramma satiresco che li accompagnava era il Prometeo
incendiario.

L'azione è ambientata a Susa, capitale dell'impero persiano, in cui dopo la partenza


dell'esercito di Serse erano rimaste solo vecchi, donne e bambini. Era ormai passato tanto

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tempo ormai da quando l'imponente armata aveva lasciato il regno per andare in Grecia e
nessuna notizia era giunta per rassicurare coloro che erano rimasti in patria.

L'ansia crebbe poi quando giunse Atossa, vedova di Dario e madre di Serse, turbata da un
brutto sogno: due donne, alte e belle, una vestita con ricchi abiti persiani, l'altra con il peplo
dorico, litigavano tra di loro. Serse intervenne e le legò al giogo del carro, ma mentre la
donna persiana si era placata, quella greca si era ribellata rovesciando il carro. Dopo
essersi svegliata, la regina volle scacciare il cattivo presagio facendo un sacri cio agli dèi,
ma durante la cerimonia avvenne un altro segno di cattivo augurio: un'aquila, uccello
simbolo della regalità, piombò sull'altare inseguita da un avvoltoio, che ne dilaniò la testa.

Giunse poi un messaggero di Serse: la otta del re era stata distrutta a Salamina e il suo
esercito scon tto. I principi che lo comandavano sono tutti morti, mentre Serse è scampato
con una disonorevole fuga. Confortata dalla certezza che il glio è sopravvissuto Atossa si
domanda come un'armata così grande sia stata battuta da avversari di gran lunga inferiori
per numero. Bisogna pensare che sia intervenuto un dio?

Atossa allora decide di evocare Dario: l'ombra compare e critica l'atteggiamento di Serse
che accecato da arroganza e orgoglio ha osato s dare persino la natura, perforando il
monte Athos per abbreviare il percorso della otta e permetterle di passare l'Ellesponto.
Nessun uomo che creda di poter superare i propri limiti può sfuggire all'ira divina, che opera
non per arbitrio ma per giustizia. I dolori dei persiani, vittime del loro sfrontato re, non sono
ancora niti, perché morte e so erenze attendono i superstiti. Con questo presagio l'ombra
di Dario svanisce.

Compare poi sulla scena Serse, solo, lacero, senza alcun segno della sua regalità, folle
dalla disperazione e il rimorso.

La tragedia termina con il lamento del sovrano accompagnato dal coro dei Persiani.

SETTE CONTRO TEBE

Antefatto della vicenda: Eteocle e Polinice, gli di Edipo, si erano accordati per spartirsi il
potere sulla città di Tebe; avrebbero regnato un anno a testa, alternandosi sul trono.

Eteocle tuttavia allo scadere del proprio anno non aveva voluto lasciare il proprio posto,
sicché Polinice, con l'appoggio del re di Argo Adrasto, aveva dichiarato guerra al proprio
fratello e alla propria patria.

All'inizio del dramma, Eteocle appare impegnato a rincuorare la popolazione preoccupata


per l'imminente arrivo dell'esercito nemico. Giunge un messaggero, che informa che gli
uomini di Polinice sono nei pressi della città, ed hanno deciso di presidiare le sette porte
della città di Tebe con sette dei loro più forti guerrieri. È quindi necessario che Eteocle
scelga a sua volta sette guerrieri da contrapporre a quelli nemici, ognuno a difendere una
porta.

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Ricevuta la notizia, il coro di giovani tebani reagisce con paura, ma Eteocle le rimprovera
aspramente per questo.

Torna il messaggero e riferisce che i sette guerrieri nemici, tirando a sorte, hanno deciso a
quale porta essere assegnati. Eteocle viene informato sul nome e le caratteristiche principali
di ognuno, e ad essi contrappone un proprio guerriero. Quando il messaggero nomina il
settimo guerriero, che è il fratello Polinice, Eteocle capisce di essere predestinato allo
scontro con lui, e che probabilmente nessuno dei due ne uscirà vivo. Tuttavia non si tira
indietro, nonostante i tentativi del coro di dissuaderlo.

Le giovani donne del coro, in attesa di notizie sull'esito della battaglia, intonano un canto
pieno di paura, al termine del quale arriva il messaggero. Questi informa che sei delle sette
porte di Tebe hanno tenuto, dunque l'attacco è stato respinto.

Alla settima porta però i due fratelli Eteocle e Polinice si sono dati la morte l'un l'altro,
com'era timore di tutti. Di fronte a questa notizia, la felicità per la battaglia vinta passa in
secondo piano: vengono portati in scena i cadaveri dei due fratelli, ed il coro piange la loro
triste sorte.

Qui con ogni probabilità terminava l'opera scritta da Eschilo. In un'ultima scena (aggiunta
probabilmente dopo la morte dell'autore) entrano in scena le sorelle di Eteocle e Polinice,
Antigone e Ismene, ed un araldo. Quest'ultimo annuncia che il nuovo re di Tebe, Creonte,
ha deciso di dare sepoltura al corpo di Eteocle, ma, per spregio, non a quello di Polinice.
Antigone, sentita la notizia, s dando le parole dell'araldo dichiara che farà di tutto perché
anche l'altro fratello abbia degna sepoltura.

SUPPLICI

Antefatto: Danao ed Egitto erano due fratelli gemelli che condividevano la sovranità sul
regno d'Egitto. Il primo aveva avuto cinquanta glie, il secondo altrettanti gli. Egitto aveva
tentato di imporre il matrimonio tra i propri gli e le glie di Danao (chiamate collettivamente
Danaidi), ma un oracolo aveva predetto a Danao che un suo nipote l'avrebbe ucciso; per
questo il re aveva vietato alle glie di sposarsi e, alla richiesta di matrimonio dei cugini,
queste si erano ri utate ed erano fuggite ad Argo, in Grecia.

La tragedia prende avvio quando le Danaidi, appena sbarcate in terra greca, vengono
esortate da Danao a raggiungere il recinto sacro, dove i supplici hanno per antica
consuetudine un diritto di asilo inviolabile. Esse raccontano la loro storia a Pelasgo, re di
Argo, ma quest'ultimo è restio ad aiutarle, per il timore di una guerra contro l'Egitto. In ne il
re promette di portare la questione di fronte all'assemblea cittadina; dal canto loro, le
Danaidi a ermano che, se non verranno accolte, si impiccheranno nel recinto sacro.

Pelasgo dunque si reca con Danao all'assemblea, e poco dopo torna con buone notizie: si
è deciso di accogliere la supplica delle ragazze.

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Queste allora intonano un canto di gratitudine, ma ben presto arriva un'amara sorpresa: gli
egizi sono appena sbarcati presso Argo, e vogliono rapire le Danaidi. Arriva l'araldo egizio
con i suoi armigeri per portarle via, ma l'intervento di Pelasgo glielo impedisce.

L'araldo se ne va urlando minacce: la guerra tra Argo e l'Egitto è ormai inevitabile. Le


Danaidi vengono allora accompagnate da Danao e da alcune ancelle dentro le mura della
città.

PROMETEO INCATENATO

Dopo la rivolta di Zeus contro il padre Crono, e la guerra che ne segue, Zeus si insedia al
potere e annienta i suoi oppositori. Prometeo, per aver donato il fuoco agli uomini, subisce
la sua collera e viene incatenato ad una roccia ai con ni della Terra nella regione della
Scizia.

Il dramma, interamente statico, mette in scena Prometeo di fronte a diversi personaggi


divini, senza mai presentare un confronto diretto tra Zeus e il titano.

La scena si apre in Scizia, fra aspri monti e lande desolate. Efesto, il Potere (Κράτος) e la
Forza (Βία) hanno catturato il titano Prometeo e lo hanno incatenato ad una rupe. Zeus lo
punisce perché ha donato il fuoco agli uomini, ribellandosi al suo volere.

Il titano viene quindi raggiunto da vari personaggi, che tentano di portargli conforto e
consiglio: le Oceanine, Oceano ed Io, a cui Prometeo predice il tortuoso futuro che Zeus ha
dinanzi a sé e predice che uno dei suoi discendenti (il riferimento è ovviamente al semidio
Eracle) riuscirà a liberarlo dalla punizione divina. Prometeo ha però una via di fuga
dall'angosciosa situazione in cui si trova, perché egli conosce un segreto che potrebbe
causare la disfatta del potere olimpico retto da Zeus. La minaccia consiste nel frutto della
relazione fra Zeus e Teti, che potrebbe generare un glio in grado di sbaragliare il padre
degli dèi.

Zeus invia il dio Ermes per estorcere il segreto a Prometeo, ma egli non cede e per questo
viene scagliato, insieme alla rupe a cui è incatenato, in un burrone senza fondo.

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