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SE DI MOLTA TERRA ABBIA BISOGNO

UN UOMO
(1885)

Giunse dalla città una sorella maggiore in visita alla mi­


nore che stava in campagna. La maggiore era andata
sposa a un mercante di città, e la minore a un muzik in
campagna. Bevono il tè le sorelle, parlano. E si boriava
la maggiore - si mise a vantarsi della sua vita in città: di
com’era spaziosa e pulita la sua casa in città, e grandi e
belli i suoi vestiti, e di com’erano eleganti i suoi bambi­
ni, e di quante cose buone mangiava e beveva, e di co­
me andava in carrozza, e a passeggio e ai teatri.
Se ne ebbe a male la sorella minore, e si mise a smi­
nuir la vita dei mercanti e a gloriare la sua, di muzicka.
«Ah non la cambierei io» dice, «la vita mia con la
tua. Qua da noi è grigia sì, ma in compenso la paura
noialtri non sappiamo nemmeno cos’è. E voi magari vi­
vete anche più nel pulito, ma poi ti càpita che un gior­
no fate dei gran guadagni, e il giorno dopo fate falli­
mento. Eh sì, perché vive sempre il proverbio: del gua­
dagno la perdita è sorella. E càpita anche questo: che
oggi sei ricco, e poi domani devi andare in giro sotto le
finestre.1 Invece il nostro lavoro di muzikì è più sicuro:
il muzik la vita l’ha stretta ma lunga, ricchi non saremo
mai, però da mangiare ne avremo sempre.»
E allora prese a dire la sorella maggiore:
«Ah, un bel mangiare, insieme coi maiali e coi vitelli!
E niente arredamento, né bei modi! Per quanto possa
lavorare il marito tuo, vivrete sempre nel letame e ci
morirete pure, e ai vostri figli toccherà lo stesso.»
«E che ci vuoi fare» dice la minore, «il lavoro nostro
è così. In compenso noialtri si sta ben saldi, non ci in-
chiniamo a nessuno, e di nessuno abbiamo paura. Voi d’avena, o che la mucca entrasse nell’orto della bàrynja,
invece in città vivete in mezzo a tutte le tentazioni; og­ o che i vitelli uscissero nei prati - e ogni volta c’era una
gi vi va bene, ma domani magari ti arriva lì l’impuro,2 e multa.
ti volti un momento, e lui tenterà il marito tuo, o con le Pagava, Pachòm, e poi a casa se la prendeva con la
carte, o con il bere, o con qualche bella donna. E andrà famiglia, e picchiava. E molti peccati, per via di questo
tutto in polvere. Credi che non succeda?» fattore, si prese sull’anima Pachòm in quell’estate. Tan­
Stava ad ascoltare Pachòm, il padron di casa, dalla to che fu perfin contento quando venne il tempo di te­
stufa,3 quel che cianciavano le babe. nere le bestie in cortile - gli spiaceva per il foraggio, ma
«Eh, questa» dice, «è la vera verità. Il fratello nostro in compenso multe non ne rischiava.
fin da piccino la deve rivoltare, la nostra terra-madre, e Girò la voce quell’inverno che la bàrynja voleva ven­
non ha mica tempo di farsi venire la scemenza in testa. dere la terra, e che era di già in trattative col suo fatto­
L’unico guaio è che se ne ha poca di terra! Ce ne fosse re forestiero. Lo vennero a sapere i muzikì, e ci rimase­
a volontà, di nessuno più avrei paura, io, neanche del ro di sasso. “Be’” pensano, “se se la piglierà il fattore la
diavolo!» terra, ci tormenterà con le multe peggio ancora che la
Bevettero il tè le babe, cianciarono ancora un po’ di bàrynja. Noialtri senza questa terra non si può vivere,
vestiti, poi riposero le stoviglie, e andarono a dormire. ci metteremo tutti a cerchia,5 per averla.” Sicché anda­
E intanto il diavolo se ne stava dietro la stufa, e ave­ rono dalla bàrynja, tutto il mir, e cominciarono a pre­
va sentito tutto. Si era molto rallegrato che la moglie garla che non vendesse al fattore, ma che la desse a lo­
contadina avesse spinto il marito a lodarsi: perché si era ro, la terra. Le promisero che le avrebbero pagato di
vantato, il marito, che se avesse avuto la terra, nemme­ più. Disse di sì, la bàrynja. E i muzikì provarono a met­
no il diavolo l’avrebbe più potuto mettere nel sacco. tersi d’accordo nel mir, per comperarle tutta la terra; si
“E va bene” pensa il diavolo, “facciamo una scom­ riunirono una volta e poi un’altra, ma non ne vennero a
messa io e te; io ti darò molta terra. E sarà proprio con capo. Li divideva l’impuro, e a mettersi d ’accordo non
la terra che ti metterò nel sacco.” ci riuscirono in nessun modo. Sicché i muzikì decisero
di comprarsi la terra ciascuno per sé, secondo quel che
poteva ciascuno. E la bàrynja, anche stavolta disse di
sì. Venne a sapere Pachòm che il suo vicino aveva com­
prato 20 desjàtine dalla bàrynja e che lei gli aveva ra­
II teato metà dei soldi per un anno. Gli venne l’invidia, a
Pachòm: “La compreranno tutta” pensa, “la terra, e io
Viveva vicino ai muzikì una bàrynja, non di quelle resterò senza niente”. E si consigliò con la moglie.
grandi.4 Aveva 120 desjàtine di terra. E prima aveva «La gente compera» dice, «bisogna che anche noi
sempre vissuto in pace con i muzikì, non faceva loro del comperiamo una decina di desjàtine. Che sennò non ce
male. Ma poi era arrivato un soldato congedato, a farle la si farà a vivere: che ci ha stroncati il fattore, con le
da fattore, e lui aveva cominciato a sfiancare i muzikì, sue multe.»
a forza di multe. Per quanto ci stesse attento Pachòm, Pensarono a come fare per comperarla. Avevano da
capitava sempre o che gli scappasse la cavalla nei campi parte cento rubli, e vendettero il puledro, e metà delle
api, e mandarono il figlio a fare il lavorante, e per di proprio a noia, e allora andò al volost’ a lamentarsi. E
più Pachòm si fece fare un prestito dal cognato, e così lo sapeva che se gli facevan questo, i muzikì, era soltan­
misero insieme metà dei soldi. to per povertà, e non con intenzione, e però pensa:
Mise insieme quei soldi Pachòm, adocchiò un pezzo “Non li si può mica lasciar fare, però, sennò qua mi ro­
di terra, 15 desjàtine con un boschetto, e andò dalla vinano tutto. Bisogna dargliela una lezione”.
bàrynja a trattare. Si accordò sulle 15 desjàtine, batté le E gliela dette una lezione, col tribunale, e poi un’al­
mani6 e dette la caparra. Andarono in città, fecero l’at­ tra, misero una multa a uno, multarono un altro. E co­
to di compravendita, lui dette metà dei soldi, e il resto minciarono i muzikì suoi vicini ad avercela a male con
si obbligò a pagarlo in due anni. Pachòm; e perfino a rovinargli i campi apposta, comin­
E così ebbe la terra, Pachòm. Poi prese a nolo le se­ ciarono. Uno una sera entrò nel suo boschetto, e gli ta­
menti, Pachòm, seminò la terra comperata; e fruttò be­ gliò una decina di tigli giovani, che dovevan servirgli
ne. In un anno saldò il debito con la bàrynja e anche per la scorza.7 Quando passò dal boschetto Pachòm, ci
con il cognato. E divenne possidente, Pachòm: era ter­ guardò e di colpo si fece tutto bianco. Andò a vedere
ra sua quella che arava e seminava, era sulla terra sua da vicino, e lì a terra ci sono i tronchi giovani, buttati
che falciava il fieno, sulla terra sua tagliava tronchi, e lì, coi ceppi che spuntano. Avessero almeno tagliato
con la terra sua dava da mangiare alle bestie. Pachòm quelli sul margine vicino ai cespugli, ne avessero lascia­
va ad arare quella terra che adesso è sua in eterno, o ci to almeno uno, invece quel farabutto tutti glieli aveva
viene a guardar le biade e i prati - e non riesce a saziar­ tagliati. Si infuriò davvero, Pachòm: “Ah” pensa, “riu­
si della gioia che sente. E anche l’erba, gli sembra, e scissi a saperlo chi è stato; gliela farei pagare io”. Pen­
pure i fiori, gli pare che vengan su diversi da prima. sava, pensava a chi potesse essere stato: “L’unico” pen­
Prima, se passava da quella terra lì, era una terra come sa, “è Sëmka”.8 Andò a cercare nel cortile di Sémka, e
tutte le altre, adesso invece era diventata una terra tut­ non ci trovò niente, si insultarono soltanto. E si con­
ta speciale. vinse ancor di più, Pachòm, che era stato proprio Se-
mën a farglielo. Sporse denuncia. Li chiamarono in tri­
bunale. Giudicarono, giudicarono e scagionarono il mu­
zik: non ce n’erano, di indizi. Se ne ebbe a male ancor
di più, Pachòm; si prese a male parole perfino con lo
Ili starsinà e coi giudici. «Voi» dice, «gli tenete la mano ai
ladri. Se viveste secondo giustizia voi stessi, non li fare­
Vive così Pachòm, e ha la gioia in cuore. Sarebbe anda­ ste andar liberi i ladri.» Litigò, Pachòm, tanto coi giu­
to tutto bene, ma successe che i muzikì cominciarono a dici che con i vicini. E si misero a minacciarlo di fargli
rovinargli il grano e l’erba, a Pachòm. Lui gli chiese di il gallo rosso.9 Sicché Pachòm adesso viveva più largo
smetterla, sull’onore loro, ma loro niente: ora erano i di terra, ma di mondo viveva più stretto.
pastori che lasciavano andare le mucche nei prati, ora E girò voce in quel tempo che la gente andava in po­
erano i cavalli del pascolo di notte, che entravano nei sti nuovi.10 E pensa Pachòm: “Io di andar via dalla mia
campi di grano. E li mandava via Pachòm, e lasciava terra non ci ho motivo, però se qualcun altro dei nostri
correre, non andava al tribunale, finché non gli venne andasse via, staremmo più larghi qua. Me la piglierei io
la loro terra, me la farei dare a me, a cerchia; si vivreb­ quanto il bestiame, si fece togliere dai registri, aspettò
be meglio. Che sennò qua si sta proprio stretti”. la primavera e poi partì con la famiglia verso quei posti
Una volta che è a casa sua, Pachòm, bussa un muzik nuovi.
di passaggio. Lo fecero entrare a passar la notte, gli det­
tero da mangiare, e cominciarono a chiacchierare - da
dove lo portava Dio e via così. E dice il muzik che vie­
ne da giù, da oltre il Volga, che è stato là a lavorare.
Una parola tira l’altra, e il muzik racconta di come la IV
gente va a viverci, adesso, da quelle parti. Racconta:
«Son venuti a starci gente di fuori, si son iscritti nei re­ Arrivò Pachòm nei posti nuovi, con la famiglia, si
gistri,11 e subito gli han tagliato giù 10 desjàtine di ter­ iscrisse nei registri in un grosso villaggio. Offrì da bere
ra ogni anima. E la terra, là» dice, «è una terra che se ci ai vecchi, sistemò tutte le carte. Lo accettarono, Pa­
semini la segala vien su come paglia, cavalli non se ne chòm, gli tagliaron giù, per le 5 anime che aveva, 50
vedono, ed è talmente grassa che cinque palmi ti danno desjàtine di terra in assegnazione, in campi diversi, a
un covone intero. Un muzik» dice, «uno povero pove­ parte il pascolo. Si sistemò, Pachòm, e si comperò le
ro, che era arrivato là che ci aveva soltanto le sue brac­ bestie. Di terra adesso, a contar solo quella assegnata,
cia, adesso ha già sei cavalli, e due vacche.» ne aveva tre volte più di prima. Ed era terra fertile, da
Gli s’accese il cuore, a Pachòm. Pensa: “Ma perché grano. Confronto a com’era prima, adesso si poteva
star qua in povertà, allo stretto, se invece si può vivere campare dieci volte meglio. Sia di terra da arare che di
bene? Venderò qua la terra e anche la corte; e là con terra da foraggio, lì ce n’era a volontà. E bestie potevi
questi soldi mi sistemerò e metterò su un’azienda mia. tenerne quante ne volevi.
Qua invece, stretti come si vive, si fa soltanto peccato. Dapprincipio, fintanto che si stava costruendo la ca­
Solo che prima bisogna che ci vada io, a sapere tutto di sa e preparava tutto, sembrava tutto bello a Pachòm,
persona”. ma quando poi ci fece l’abitudine, anche su quella terra
Si preparò a fare il viaggio quell’estate, e partì. Fino gli sembrò di star stretto. Il primo anno, Pachòm la se­
a Samara ci arrivò in piroscafo, sul Volga, poi fece a minò a frumento la terra assegnata, e venne su bene. Ci
piedi 400 verste. Arrivò sul posto. Era tutto vero. I prese gusto, a seminare il frumento, ma la terra asse­
muzikì vivevano larghi, gli tagliavan giù 10 desjàtine ad gnata era poca. E quella che c’era non andava poi tanto
anima, e chi arrivava lo iscrivevano subito e volentieri. bene. Il frumento da quelle parti lo seminavano sulla
E se poi avevi qualche soldino da parte, ma prego, com­ terra di kovyl’12 o sulle terre incolte. Seminavano un
pra pure, oltre al lotto che ti assegnavano ne compravi anno, poi un altro e poi la lasciavano riposare, finché
quanta ne volevi ed era tua in eterno, tre rubli alla de- non ci era ricresciuto il kovyl’. E quella terra ce n’erano
sjàtina della terra migliore; quanta ne vuoi ne puoi tanti che la volevano, e non bastava per tutti. E anche
comperare! lì si facevano liti per la terra; chi era più ricco voleva
Venne a saper tutto quanto Pachòm, tornò a casa seminarla lui, e così i poveracci la davano ai mercanti,
verso l’autunno, e si mise a vendere tutto. Vendette la in cambio delle tasse.13 Pachòm volle seminarne di più,
terra con profitto, vendette la corte sua, vendette tutto di terra. Il secondo anno andò da un mercante, comprò
della terra per un anno. Seminò di più - e venne su be­ mande, Pachòm. E il mercante raccontò. «Solo» dice,
ne; ma quella terra era lontana dal villaggio: c’erano 15 «bisogna ingraziarsi i vecchi. Vesti e tappeti, per 100
verste da fare, coi carri. E vede, Pachòm, che nel cir­ rubli gliene ho dovuti regalare, e in più un tsybik16 di
condario i muzikì-mercanti ci vivevano a fattorie, e si tè, e a quelli che bevevano gli hò dovuto pagar da bere.
arricchivano. “Mica male sarebbe” pensa Pachòm, “se E così l’ho comperata a 20 kopejki la desjàtina.» E mo­
potessi anch’io comprarmi la terra in eterno, e costruir­ stra l’atto di compravendita. «La terra» dice, «è lungo
mi una fattoria. Così ci avrei tutto intorno.” E comin­ un fiume, e la steppa è tutta di kovyl’.» Pachòm si mise
ciò a pensare, Pachòm, a come fare per comperarsi della a far domande, come e cosa. «La terra là» dice il mer­
terra che poi restasse sua in eterno. cante, «ci puoi camminare anche per un anno intero e
Visse così, Pachòm, per tre anni. Prendeva in affitto non è mai finita: ed è tutta dei baskiri. E la gente là
la terra, seminava il frumento. Furono buone annate, e non capisce niente, pecoroni proprio. Gliela si può
il frumento veniva su bello, e Pachòm cominciò a met­ prendere quasi gratis.» “Be’ ” pensava Pachòm, “che mi
ter dei soldi da parte. Campare si campava bene, ma gli compro a fare 500 desjàtine a 1000 rubli, con in più un
venne a noia, a Pachòm, di dover pagare ogni anno per debito sul groppone? Là invece con 1000 rubli quanta
farsi dar la terra da altri, e di lasciarsela sempre scappa­ potrei averne!”
re, la terra: perché dove c’era un pezzetto di terra buo­
na, arrivavano subito i muzikì e se la portavan via tut­
ta; e se lui non si sbrigava a comprarne un po’, non
avrebbe avuto più dove seminare. E una volta, il terzo
anno, comprò a metà con un mercante un pascolo, dai V
muzikì; e avevano già cominciato ad ararlo, quando i
muzikì gli fecero causa, e il lavoro andò perso.14 “Aves­ Si fece dire per bene, Pachòm, come si faceva ad arri­
si avuto più terra di mio” pensa, “non avrei dovuto im­ varci, e appena ebbe accompagnato alla porta il mercan­
pegnarmi in niente con nessuno, e non avrei fatto pec­ te, si preparò a partire lui pure. Affidò la casa alla mo­
cato.” glie, fece tutti i preparativi, e poi partì, con un suo la­
E cominciò a informarsi, Pachòm, su dove si poteva vorante. Passarono dalla città, comprarono un tsybik di
comperare terra in eterno. E gli capitò un muzik. Gli tè, regali, vodka - tutto come aveva detto il mercante.
comprò, a quel muzik, 500 desjàtine, siccome si era ro­ Viaggiarono, viaggiarono, fecero 500 verste. Il settimo
vinato quel muzik e vendeva a poco. Si mise a trattar giorno arrivarono a un campo baskiro. Tutto era così
con lui, Pachòm. Discusse, discusse, e si accordò per come il mercante aveva detto. Là vivevano tutti nella
1500 rubli, metà subito e metà poi. L’avevano già bel- steppa, su un fiume, in kibitki di feltro.17 Non aravano,
l’e fatto l’accordo, quando un giorno si ferma da Pa­ e non mangiavano grano. E nella steppa le bestie e i ca­
chòm un mercante di passaggio, a mangiare. Bevettero valli andavano a mandrie. Alle kibitki ci tenevano lega­
un po’ di tè, chiacchierano. E racconta, il mercante, ti i puledri, e due volte al giorno gli portavano le mam­
che veniva dai lontani baskiri.15 Là, racconta, aveva me; mungevano il latte alle cavalle e ci facevano il
comperato dai baskiri terra per 5000 desjàtine. E l’ave­ kumys.18 Le babe battevano il kumys e ci facevano il
va pagata in tutto 1000 rubli. Cominciò subito a far do­ formaggio, e i muzikì invece non facevano niente - be-
vevano il kumÿs e il tè, mangiavano montone e suona­ «Loro dicono che per la terra bisogna prima doman­
vano il piffero. Tutti belli lisci, allegri, tutto l’anno a dare allo starsinà, perché senza di lui non si può fare.
far festa. E il popolo, davvero, era proprio buio, non Gli altri invece dicono che si può anche senza di lui.»
sapevano parlare in russo, però erano affettuosi.
Appena videro Pachòm, cominciarono a uscire dalle
kibitki, i baskiri, e a farsi attorno all’ospite. Si trovò un
interprete. Pachòm gli disse che era venuto per la terra.
Si rallegrarono i baskiri, si portarono via Pachòm, lo VI
portarono in una kibitka bella, lo fecero sedere sui tap­
peti, gli misero sotto dei cuscini di piume, si sedettero Discutono i baskiri, a un tratto arriva un uomo con un
intorno, cominciarono a offrirgli il tè e il kumys. Scan­ berretto di volpe. Tutti tacquero e si alzarono. E dice
narono una pecora e gli dettero da mangiare pecora. Pa­ l’interprete: «Questo appunto è lo starsinà». Subito Pa­
chòm prese i regali dal suo tarantàs, cominciò a distri­ chòm trasse fuori la veste più bella e la offrì allo starsi­
buirli ai baskiri. Riempì i baskiri di regali, Pachòm, e nà, con in più cinque funty19 di tè. Accettò, lo starsinà,
divise il tè tra tutti. Si rallegrarono i baskiri. Parlotta­ e si sedette al posto d ’onore. E subito cominciarono a
rono, parlottarono tra loro e poi comandarono all’inter­ dirgli qualcosa, i baskiri. Ascoltava, ascoltava lo starsi­
prete di parlare. nà, fece un cenno col capo, che tacessero, e cominciò a
«Comandano di dirti» dice l’interprete, «che tu gli parlare a Pachòm in russo.
sei piaciuto e che da noi c’è questa usanza: di far piace­ «Come no» dice, «si può. Prendi dove ti piace. Terra
re all’ospite in tutti i modi, e di ricambiare i doni. Tu ci ce n’è tanta.»
hai fatto dei doni: adesso di’, cosa ti piace delle cose “Ma come faccio, a prenderne quanta ne voglio?”
nostre, ché possiamo ricambiare?» pensa Pachòm. “Bisogna pur metterlo per iscritto in
«Quel che mi è piaciuto di più, da voi» dice Pachòm, qualche modo. Sennò mi dicono è tua e poi me la ri­
«è la terra. Da noi, dice, con la terra si sta stretti, ed è prendono.”
terra tutta arata e riarata, da voi invece di terra ce n’è «Vi ringraziamo» dice, «per la buona parola. Di terra
tanta ed è terra buona. Non ne ho mai vista, io, di terra è vero che ne avete tanta; ma a me ne serve soltanto un
poco. Solo che vorrei sapere quale sarebbe, la mia. In
così.» qualche modo bisognerà pure misurarla, e metterlo per
L’interprete tradusse. Parlarono, parlarono i baskiri. iscritto che è mia. Se no, vita e morte ce le dà Dio co­
Non capisce Pachòm che cosa stiano dicendo, ma vede me vuole. Voi, brava gente, adesso me la date, e poi
che sono allegri, gridano qualcosa, ridono. Poi rimasero magari i vostri figli me la portano via.»
zitti, guardano Pachòm e l’interprete dice: «Hai ragione tu» dice lo starsinà, «mettere per iscrit­
«Comandano» dice, «di dirti che per il bene tuo sono to si può.»
contenti di darti tutta la terra che vuoi. Basta che fai E prese a dire, Pachòm:
vedere con la mano quale vuoi, e sarà tua.» «Io, ecco, ho sentito che c’è stato un mercante qua
Parlarono ancora e cominciarono a discutere su qual­ da voi. Anche a lui, voi avete donato un pochino di ter­
cosa. E domandò Pachòm di cosa stessero discutendo. ra e gli avete fatto un atto di compravendita; ecco, an­
E disse l’interprete: ch’io ne vorrei uno così.»
Capì tutto lo starsinà. VII
«Tutto questo si può» dice. «Noi abbiamo lo scriva­
no, e andremo in città, e metteremo tutti i sigilli.» Si distese Pachòm sul suo piumino e non aveva sonno,
«E il prezzo quale sarebbe?» dice Pachòm. continuava a pensare alla terra. “Mi taglierò giù” pen­
«Di prezzo ne abbiamo uno solo: 1000 rubli al sa, “un appezzamento bello grande. Cinquanta verste le
giorno.» posso fare, in un giorno. Un giorno adesso dura tanto
Non capì, Pachòm. che sembra un anno; e in 50 verste ce n ’è di terra, al­
«Che misura è: un giorno? Quante desjàtine verreb­ troché. Quella peggiore, la venderò o ci farò entrare i
bero?» muzikì, e per me mi sceglierò quella bella, e ci andrò a
«Noi» dice, «questo non lo sappiamo contare. Noi stare io. Mi piglierò due tori per l’aratro, prenderò due
vendiamo a giorno; quanta riesci a percorrerne in un lavoranti almeno; un mezzo centinaio di desjàtine le
giorno, è tutta tua, e il prezzo è 1000 rubli al giorno.» arerò, e sul resto ci manderò le bestie.”
Si stupì Pachòm. Per tutta la notte Pachòm non prese sonno. Solamen­
«Ma a far così» dice, «a camminare un giorno intero, te verso l’aurora si appisolò. E appena si fu appisolato,
ne viene tanta di terra.» fa un sogno. Sogna che è lì disteso in quella stessa ki-
Si mise a ridere lo starsinà. bitka e che sente qualcuno fuori che ride. E allora gli
«Ed è tutta tua!» dice. «Solo a una condizione: se viene voglia di vedere chi è che ride, e si è alzato, ed
prima della fine del giorno non torni indietro al posto esce dalla kibitka e vede che c’è seduto lì quello stesso
da cui sei partito, i tuoi soldi son perduti.» starsinà baskiro, lì davanti alla kibitka, e si tiene la
«Ma come faccio» dice Pachòm, «a segnare dove so­ pancia con tutt’e due le mani, e si rotola, ride di qual­
no passato?» cosa. Allora lui gli è andato vicino e gli ha chiesto: «Co­
«Ci metteremo noi nel posto che ti piacerà, noi stare­ s’hai, da ridere?». E vede che non è lo starsinà baskiro,
mo lì, e tu intanto vai e fai il tuo giro; e ti prendi con te ma il mercante di quel giorno, che era venuto a trovarlo
una zappa e dove bisogna ci fai un segno, agli angoli ci e gli aveva raccontato della terra. E appena ha doman­
scavi delle buche, ci fai vicino un mucchietto di terra, dato al mercante: «E da molto che sei qua?», quello non
poi da una buca all’altra ci passiamo noi con l’aratro. è più nemmeno il mercante, ma è lo stesso muzik che
Farai il giro che vuoi, solo che prima del tramonto devi tanto tempo prima s’era fermato da lui. E Pachòm so­
tornare al posto da cui sei partito. E quello che avrai gna che quello non è nemmeno più il muzik, ma il dia­
percorso, sarà tutto tuo.» volo, con le corna e gli zoccoli, che siede lì e ride e di­
Si rallegrò Pachòm. Decisero di partire presto. Parla­ nanzi a lui c’è disteso un uomo scalzo, in camicia e pan­
rono ancora un po’, bevettero altro kumys, mangiarono taloni. E Pachòm guarda più attentamente, per vedere
carne di montone, bevettero ancora molto tè; e si fece chi è quell’uomo. E vede che quell’uomo è morto e che
notte. Misero Pachòm a dormire su un giaciglio di piu­ quello è proprio lui. Si spaventò Pachòm, e si svegliò.
me, e si separarono, i baskiri. Promisero di ritrovarsi lì Si svegliò. “Ma guarda cosa non si va a sognare” pensa.
l’indomani all’aurora, così da arrivare sul posto prima Si guarda attorno; vede nella porta aperta che fuori si
del sole. va già facendo chiaro, comincia a far luce. “Bisogna
svegliare la gente” pensa, “è tempo di andare.” Si è al-
zato, Pachòm, ha svegliato il lavorante nel tarantàs, ha fece dare la zappa dal lavorante, si preparò ad andare.
comandato di attaccare ed è andato a svegliare i ba­ Pensava, pensava, da quale parte cominciare, dapper­
skiri. tutto era bello. Pensa: “Fa lo stesso: andrò verso
«È tempo» dice, «di andare nella steppa, a misurare.» oriente”. Si mise con il viso verso il sole, si sgranchì,
Cominciarono ad alzarsi, i baskiri, si riunirono tutti, attese che spuntasse dall’orizzonte. Pensa: “Non starò
e arrivò anche lo starsinà. Si rimisero a bere il kumys, i mica qua a perdere tempo. Con il fresco si va anche
baskiri, e volevano offrire a Pachòm del tè, ma lui non più leggeri”. Appena sprizzò dall’orizzonte il sole, Pa­
volle aspettare. chòm si gettò la zappa in spalla e andò verso la
«Se bisogna andare, si va» dice. «E ora.» steppa.
Si incamminò Pachòm né piano, né in fretta. Si al­
lontanò d’una versta; si fermò, scavò una buca e ci
mise vicino due zolle, una sull’altra, che si vedessero
bene. Andò oltre. Cominciò a sgranchirsi, e cominciò
V ili ad andar più svelto. Si allontanò di più, e scavò un’al­
tra buca.
Si riunirono i baskiri, e montarono, chi a cavallo, chi Pachòm si guardò attorno. Al sole si vedeva bene il
sui tarantàs, e partirono. E Pachòm partì anche lui, con sichàn, e la gente che stava lì, e il luccichio dei cer­
il lavorante, sul suo tarantàs, e presero una zappa. Arri­ chioni del tarantàs. Pachòm intuì che aveva percorso
varono alla steppa, e cominciava l’alba. Andarono su un già 5 verste. Cominciava a sentir caldo, si tolse la
poggio, in baskiro si dice: su un sichàn. Scesero dai ta­ poddëvka, se la gettò in spalla, andò oltre. Si allonta­
rantàs, saltarono giù dai cavalli, si riunirono. Lo starsi­ nò di altre cinque verste. Cominciò a far caldo. Gettò
nà si avvicinò a Pachòm, indicò con la mano. un’occhiata al bel sole, ed era già tempo di far cola­
«Ecco» dice, «è tutta nostra, fin dove ti arriva l’oc­ zione.
chio. Scegli quella che vuoi.» “Una giogata20 è andata” pensa Pachòm. “E sono
Gli si accesero gli occhi, a Pachòm: la terra era tutta quattro in un giorno, è ancora presto per ritornare.
a kovÿl’, piatta come un palmo di mano, nera come il Aspetta che mi tolgo gli stivali.” Si sedette, si tolse
seme del papavero, e dove c’era un valloncello ci si ve­ gli stivali, se li mise alla cinta, andò oltre. Adesso an­
devano erbe diverse, e l’erba, là, arrivava al petto. dava leggero. Pensa: “Faccio ancora un cinque verste,
Lo starsinà si tolse il suo berretto di volpe, lo mise a e poi comincerò a prendere a sinistra. Il posto però è
terra. molto buono, dispiace lasciarlo. E quanto più si va
«Ecco» dice, «questo sarà la marca. Parti di qui, e qui avanti, tanto meglio è”. Andò ancora diritto. Si guar­
torna. E per dove passerai, sarà tutto tuo.» dò attorno - il sichàn si vedeva appena e la gente vi
Pachòm trasse fuori i suoi soldi, li mise sul berretto, nereggiava, formiche parevano, e c’era qualcosa che
si tolse il caffettano, rimase con la sola poddëvka, si luccicava un pochino.
cinse più stretto sotto la pancia la sua cinta di stoffa, si “Be’” pensa Pachòm, “da questa parte ne ho presa
allungò, si mise in seno una bisaccetta con il pane, si le­ abbastanza; bisogna voltare. Ma son tutto fradicio di
gò la fiasca dell’acqua alla cintola, si tirò su i gambali, si sudore, ho sete.” Si fermò, scavò una buca più gran-
de, ci mise vicino le zolle, slegò la fiasca, bevve e vol­ IX
tò di netto a sinistra. Andava, andava, l’erba si fece al­
ta, e cominciò l’afa. Va Pachòm, diritto verso il sichàn, e comincia a far fa­
Cominciava a sentirsi stanco Pachòm; guardò verso il tica. E tutto fradicio e i piedi, scalzi, li ha tutti laceri e
sole, e vede che è proprio ora di pranzo. “Be’” pensa, pesti, e le gambe cominciano a non reggerlo più. Ha vo­
“bisogna riposarsi.” Si fermò Pachòm, si sedette. Man­ glia di riposare, ma non si può, - se no non ce la si fa ad
giò un po’ di pane con l’acqua, ma non si coricò a ripo­ arrivare prima del tramonto. Il sole non aspetta, non fa
sare: pensa “Se ti sdrai ti addormenti”. Rimase seduto che scendere e scendere. “Ah” pensa, “non mi sarò sba­
un poco, e andò oltre. Dapprima camminò facilmente. gliato, non ne avrò presa troppa? E se non ce la farò ad
Si sentiva più in forze, dopo aver mangiato. Ma aveva arrivare?” Guarda avanti verso il sichàn, dà un’occhiata
cominciato a far molto caldo, e gli veniva sonno; tutta­ al sole: dal posto era ancora lontano, e il sole era già vi­
via continua ad andare, pensa “Resisti un’ora, e poi cino all’orizzonte.
campi un secolo”. Così va Pachòm, fa fatica, e continua ad affrettare il
Camminò ancora molto anche da quella parte, voleva passo. Andava, andava - ed era sempre lontano; si mise
già voltare a destra, ma vede: c’è un valloncello umido; a correre, al trotto. Gettò via la poddëvka, gli stivali, la
dispiace lasciarlo. Pensa “Qua verrà bene, il lino”. Di fiasca, il berretto gettò via, tiene in mano soltanto la
nuovo andò diritto. Si prese il valloncello, scavò una zappa, e a quella si appoggia. “Ah” pensa, “mi ha fatto
buca oltre il valloncello, e fece il secondo angolo. Si troppo gola, ho rovinato tutto, non ce la farò ad arriva­
voltò, Pachòm, a guardare il sichàn: per il caldo c’era re prima del tramonto.” E per la paura il fiato gli man­
foschia, qualcosa ondeggiava nell’aria e frammezzo al ca ancor di più. Corre Pachòm, la casacca e i pantaloni
miraggio la gente si vedeva appena, sul sichàn - saran­ per il sudore gli si appiccicano al corpo, la bocca l’ha
no un 15 verste per arrivarci. “Be’” pensa Pachòm, “le tutta arida. Nel petto ha come dei mantici da fabbro
ho prese un po’ lunghe queste due parti, la prossima bi­ che gli si gonfiano, e il cuore gli batte come un martel­
sogna prenderla più corta.” Andò per la terza parte, co­ lo, e le gambe è come se non fossero sue - gli si piega­
minciò ad affrettare il passo. Guardò verso il sole - e no. Sentiva raccapriccio Pachòm: pensa “Purché non
stava calando già verso il pomeriggio - e della terza par­ muoia, per lo sforzo”.
te Pachòm aveva percorso soltanto due verste. E per ar­ Di morire ha paura, ma fermarsi non può. “Talmente
rivare al posto c’erano ancora quelle 15 verste. “No” tanto” pensa, “ho già corso, che se mi fermo adesso mi
pensa, “anche se mi verrà storta la dacia, bisogna met­ chiameranno scemo.” Correva, correva, è già arrivato
tercela tutta e andar diritti. Senza voler prendere trop­ vicino e sente: strillano, gli gridano qualcosa i baskiri, e
po. Che di terra già così ce n’è tanta.” Scavò in fretta alle loro grida il cuore gli batte ancora di più. Corre Pa­
un’altra buca, Pachòm e andò diritto verso il sichàn. chòm, con le ultime forze, e il sole si avvicina già all’o­
rizzonte, è entrato nella bruma; grande, rosso, sangui­
gno è diventato. Ecco, ecco che adesso comincerà a tra­
montare. Il sole è vicino, e però al posto non manca più
molto. Lo vede già bene Pachòm, e anche la gente sul
sichàn gli fa segni con le mani, lo incitano. Vede il ber-
retto di volpe per terra e vede i soldi lì sopra; vede an­
che lo starsinà, come sta seduto a terra, e si tiene le ma­
ni alla pancia. E tornò in mente a Pachòm il sogno. “Di
terra” pensa, “ce n’è tanta, ma chissà se mi ci farà vive­
re Dio. Oh, mi sono rovinato” pensa, “non ce la farò
ad arrivare.”
Guardò, Pachòm, verso il sole, ed era arrivato alla
terra, aveva già cominciato a tramontare d ’un pezzetto,
e si stagliava sull’orizzonte a forma di dugà.21 Accelerò
Pachòm, con le ultime forze, si piegò in avanti con il
corpo, a stento le gambe facevano a tempo a puntare
avanti una dopo l’altra, per non cadere. Pachòm arrivò
al sichàn, a un tratto si fece buio. Si guardò attorno, il
sole era già sceso. Pachòm gemette: “Sono perdute”
pensa, “tutte le fatiche mie”. Voleva già fermarsi, ma
sente che i baskiri continuano a chiamarlo, e allora si
accorse che da lì in basso gli sembra che sia già tramon­
tato, ma sul sichàn non è ancora tramontato il sole. Si
gonfiò ancora d ’aria, Pachòm, corse su sul sichàn. Sul
sichàn c’era ancora luce. Corse su, Pachòm, vede il ber­
retto. Dinanzi al berretto siede lo starsinà, e ride forte,
si tiene la pancia con le mani. Si rammentò, Pachòm,
del suo sogno, gemette, gli mancarono le gambe, e cad­
de in avanti, con le mani arrivò al berretto.
«Aj, bravo!» prese a gridare lo starsinà. «Di tanta ter­
ra sei padrone adesso!»
Accorse il lavorante di Pachòm, volle rialzarlo, ma a
lui scendeva sangue dalla bocca, e giaceva morto.
Schioccarono le lingue i baskiri, per il dispiacere.
Raccolse la zappa, il lavorante, scavò a Pachòm una
tomba, prese giusto tanto quanto bastava dai piedi alla
testa - tre arsini, e lo seppellì.

Traduzione di Igor Sibaldi

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