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La raccolta di 80 poesie che ci è giunta sotto il nome di Priapea (da non confondere coi Carmina
Priapea dell’Appendix Virgiliana) è di non facile datazione – ma probabilmente risale all’età di Augusto (si
può capire così anche l’anonimato, visto cosa era capitato a Ovidio per la molto più castigata Ars Amandi) –
ma certamente è opera unitaria, soprattutto per lo stile, inconfondibile per quanto variegato: al vivo e stringato
epigramma da popolino (romanesco – del Belli – verrebbe voglia d’aggiungere) l’Autore, poeta colto e
raffinato, mischia composizioni di carattere elegiaco, o mitologico – prolisse a volte, ma sempre godibili – e
riflessioni sul tema (la sfera, e pure il cubo, sessuale), non poi granché distanti dall’attuale sensibilità.
Testo latino:
2
1 1
Carminis incompti lusus lecture procaces, Tu che i giochi sboccati stai per leggere
conveniens Latio pone supercilium. di questi rozzi canti, adatta il ciglio
non soror hoc habitat Phoebi, non Vesta sacello, all’usanza latina: in questo piccolo
nec quae de patrio vertice nata dea est, tempio non ci sta mica la sorella
sed ruber hortorum custos, membrosior aequo, di Febo, o Vesta, o la dea partorita
qui tectum nullis vestibus inguen habet. dal paterno cocuzzolo, Minerva,
aut igitur tunicam parti praetende tegendae, ma il rubicondo vigile degli orti,
aut quibus hanc oculis adspicis, ista lege. 1 l’inguine spoglio di qualsiasi panno,
dotato più del giusto. Perciò, o allunghi
la tunica a coprirgli le vergogne,
o leggi questi scritti con gli stessi
occhi con cui le sbirci affascinato.
2 2
Ludens haec ego teste te, Priape, Per scherzo ho scritto – e senza troppi sforzi,
horto carmina digna, non libello, sei testimone, Priapo – questi canti
scripsi non nimium laboriose. degni d’un orto, certo non d’un libro,
nec Musas tamen, ut solent poetae, Non ho chiamato, come fanno i poeti,
ad non virgineum locum vocavi. le Muse a un luogo non adatto a vergini;
nam sensus mihi corque defuisset m’è mancato il coraggio e il sentimento
castas, Pierium 2 chorum, sorores di portar qui la casta compagnia
auso ducere mentulam ad Priapi. 3 delle figlie di Piero alla tua minchia.
ergo quicquid id est, quod otiosus Perciò accetta benevolo, ti prego,
templi parietibus tui notavi, per quel che è, quanto ho annotato, oziando,
in partem accipias bonam, rogamus. sulle pareti del tuo tempio, Priapo.
3 3
Obscure poteram tibi dicere: ‘da mihi, quod tu Potevo dirti oscuramente: « Dammi
des licet assidue, nil tamen inde perit. quello che puoi scialare e non sciupare;
da mihi, quod cupies frustra dare forsitan olim, quello che un giorno vorrai dare invano,
cum tenet obsessas invida barba genas, forse, quando le tue gote saranno
quodque Iovi dederat, qui raptus ab alite sacra prese d’assedio da un’odiosa barba;
miscet amatori pocula grata suo, quello che dette a Giove chi, rapito
quod virgo prima cupido dat nocte marito, dal sacro uccello, ora sta mescendo
dum timet alterius vulnus inepta loci.’ un gradevole drink al suo moroso;
simplicius multo est ‘da pedicare’ Latine quello che la sposina dà al marito
dicere: quid faciam? crassa Minerva mea est.4 la prima notte, stupida, temendo
d’esser ferita da quell’altra parte,» –
ma, incolto come un mulo, per chiarezza
te lo dico in latino: «Dammi il culo.»
1
Adspicere, guardare con attenzione, ammirazione,
considerazione, ecc.
2
Si chiamava come un amico nostro il macedone padre delle nove
Muse, bambine prodigio, che poi portò con sé in Beozia, a Tespia,
alle falde dell’Elicona, dove fondò il loro culto, stabilendone
nome e numero. La faccenda puzza un po’ di qualcos’altro, ma
insomma. E comunque le ragazze, da macedoni che erano,
anagraficamente diventarono bèote – anche se loro preferivano
dirsi eliconie.
3
Ricordiamo che mentula è esattamente il meridionale minchia.
4
“Molto più semplice è dire in latino: «fatti inculare»: che devo
farci? La mia istruzione è grossolana”. Crassa è anche la Minerva
del campagnolo Ofello (Orazio, Sat.2,2,3): oggi si predica
dell’ignoranza.
3
4 4
5 5
Quam puero legem fertur dixisse Priapus, Ecco in queste due righe presto scritta
versibus hic infra scripta duobus erit: la legge di Priapo sui minori:
‘quod meus hortus habet, sumas impune licebit, «Quel che c’è nel mio orto prenderai,
si dederis nobis, quod tuus hortus habet’. se quello che hai nel tuo tu mi darai.»
6 6
Quod sum ligneus, ut vides, Priapus Benché sia tutto legno, come vedi,
et falx lignea ligneusque penis, legno la falce e legno anche l’uccello,
prendam te tamen et tenebo prensum se t’agguanto però poi non ti mollo,
totamque hanc sine fraude, quantacumque est, e quant’è lungo, senza lesinartelo,
tormento citharaque tensiorem 6 teso e incordato più d’una chitarra,
ad costam tibi septimam recondam. te lo caccio su su fino alle costole.
7 7
Cum loquor, una mihi peccatur littera; nam te E’ vevo, quando pavlo ho l’evve moscia,
pe-dico semper blaesaque lingua mihi est. pevò la minchia no, quando t’inculo. 8
8 8
Matronae procul hinc abite castae: Via, via, caste matrone: non sta bene
turpe est vos legere impudica verba. per voi lèggere certe oscenità.
non assis faciunt euntque recta: (Filano via, che gliene importa a loro:
nimirum sapiunt videntque magnam Sai quante volte le matrone vedono
matronae quoque mentulam libenter. 7 la minchia e se la godon volentieri?)
9 9
Cur obscena mihi pars sit sine veste, requiris? Vuoi sapere perché non ho mutande?
quaere, tegat nullus cur sua tela deus. Perché nessun dio cela le sue armi:
fulmen habet mundi dominus, tenet illud aperte; Il padrone del mondo agita il fulmine
nec datur aequoreo fuscina tecta deo. e il dio del mare ostenta il suo tridente.
nec Mavors illum, per quem valet, occulit ensem, Non tien nascosta la sua spada Marte,
nec latet in tepido Palladis hasta sinu. né l’asta al caldo fra le poppe Pallade.
num pudet auratas Phoebum portare sagittas? Non mostra, Febo, le sue frecce d’oro?
clamne solet pharetram ferre Diana suam? Nasconde forse la faretra Diana,
num tegit Alcides nodosae robora clavae? o Ercole la sua nocchiuta clava,
sub tunica virgam num deus ales habet? o il dio alato la verga sotto i panni?
quis Bacchum gracili vestem praetendere thyrso, Chi l’ha mai visto, Bacco che rimpiatta
quis te celata cum face vidit, Amor? il suo fragile tirso fra le vesti,
nec mihi sit crimen, quod mentula semper aperta est: o Cupido la sua torcia infuocata?
hoc mihi si telum desit, inermis ero. Perciò che male c’è se tengo in mostra
io la mia minchia? Senza questo palo
che razza di dio sono, disarmato?
5
Si opus edat ad pictas figuras = se la faccenda riesca secondo le
figure dipinte. Elefantide, greca d’origine, scrisse racconti e versi
8
di rinomata oscenità. Gioco di parole fra paedicare=inculare e
6
Tormentum, da torqueo, è la corda tesa dello strumento. Hanc: praedicare=lodare (ma pronunciato senza la r, tipico dei
questa (mentulam) qui. blesi). lett. “Quando parlo mi manca una lettera; infatti ti
7
Nimirum=non c’è da stupirsi. Sapio-ere=gustare, godersi. (inculo/lodo) sempre e ho la lingua blesa.”
4
10 10
11 11
Ne prendare 10, cave, prenso nec fuste 11 nocebo, Attento che t’acchiappo – e ad ogni modo
saeva nec incurva vulnera falce dabo: non è che ti bastono, o che infierisco
traiectus conto sic extendere pedali 12, sopra di te con la mia curva falce:
ut culum rugam non habuisse putes. t’infilo il palo e ti ci stendo tanto
che penserai che il culo non ha grinze.
12 12
Quaedam haud iunior Hectoris parente, Una più vecchia della mamma d’Ettore,
Cumaeae soror, ut puto, Sibyllae, 13 sorella, dico io, della Sibilla,
aequalis tibi, quam domum revertens 14 di te coetanea, Etra, che tornando
Theseus repperit in rogo iacentem, Tèseo a casa trovò stesa sul rogo,
infirmo solet huc gradu venire vien sempre qui, malferma sulle gambe,
rugosasque manus ad astra tollens, e levando le mani vizze al cielo
ne desit sibi, mentulam rogare. prega di non lasciarla senza minchia.
hesterna quoque luce dum precatur, Proprio ieri era qui, e mentre pregava,
dentem de tribus exscreavit unum. scaracchia a terra uno dei suoi tre denti.
‘tolle’ inquam ‘procul ac iube latere «Portalo via di qui, » dico, « e rimpiattalo
scissa sub tunica stolaque rufa, sotto la gonna e la sottana rossa,
ut semper solet, et timere lucem, non fargli prender luce come al solito:
qui tanto patet indecens hiatu, così brutto, a vederlo in tanto abisso,
barbato macer eminente naso, magro e col naso fuori dalla barba,
ut credas Epicuron oscitari’. pare tutto Epicuro che sbadiglia».
9
Dolo, are, sgrossare con l’ascia.
10
Cave ne prenderis, attento a non farti acchiappare.
11
Fustis, bastone.
12
Contus (gr. κοντός) vale pertica, giavellotto. Pedalis, lungo un
piede, 30 centimetri, superando così, da dio, il giovinotto dello
pseudo(?)-Auden di A Day for a Lay, ma superato a sua volta da
altri umani, come il Duca di Blangis e l’Hercule delle 120
giornate, o quel divo del porno, di cui si dice possa farcisi il nodo.
13
La sibilla cumana, che ebbe in dono dagli dèi l’immortalità ma
non l’eterna giovinezza - o almeno l’eterna maturità delle tante
sibille che pendono oggi nelle ampolle catodiche, e non vogliono
– a buon diritto, ma diversamente da quella vista da Trimalcione –
apothanin.
14
Etra (Aithra) moglie di Ègeo, mamma di Tèseo: ambedue
sdruccioli, l’accento piano essendo riservato agli aggettivi
derivati.
5
13 13
14 14
Huc huc, quisquis es, in dei salacis Qua, qua, chiunque tu sia, non dài scandalo
deverti grave ne puta sacellum. 15 a stare un po’ col dio della libidine.
et si nocte fuit puella tecum, Anche con la ragazza, nottetempo,
hac re quod metuas adire, non est. non c’è da aver paura, qua puoi entrare.
istuc caelitibus datur severis: 16 Costà no, gli dèi sono severi,
nos vappae sumus et pusilla culti ma qui siamo alla buona, dèi dei campi:
ruris numina, nos pudore pulso senza imbarazzo stiamo all’intemperie
stamus sub Iove coleis apertis. coi coglioni di fuori. Ecco perché
ergo quilibet huc licebit intret qua può entrare chiunque, anche se è sporco
nigra fornicis oblitus favilla. 17 di fuliggine nera dei casini.
15 15
16 16
Qualibus Hippomenes rapuit Schoeneida19 pomis, Simili ai pomi con i quali Ippòmene
qualibus Hesperidum nobilis hortus erat, rapì Atalanta; a quelli che fiorivano
qualia credibile est spatiantem rure paterno nell’orto rinomato delle Esperidi;
Nausicaam pleno saepe tulisse sinu, a quelli che coglieva a grembiulate
quale fuit malum quod littera pinxit Aconti, Nausicaa, andando a spasso – è verosimile –
qua lecta cupido pacta puella viro est: 20 nel frutteto paterno; a quella mela
taliacumque pius dominus florentis agelli su cui Aconzio scrisse la sua formula,
imposuit mensae, nude Priape, tuae. letta la quale si promise sposa
al giovane smanioso la ragazza:
mele così ti mette sulla tavola
il devoto padrone, o nudo Priapo,
di questo floridissimo orticello.
15
Costruisci: ne puta grave deverti in sacellum dei salacis.
Deverti in + acc. = trattenersi, alloggiare temporaneamente.
16
Sottinteso quod metuas adire: il timore sacro. Datur, è dovuto.
17
Fornices, erano le volte sotterranee dei palazzi, botteghe di
mercanti e prostitute, dove si accendevano fuochi per scaldarsi e
fare luce (memorabili le immagini del Satyricon felliniano).
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Gioco di parole sul doppio senso di testis, testicolo e testimone.
19
La figlia di Scheneo, Atalanta.
20
Racconta Callimaco che Aconzio si cuccò la bella Cidippe
gettandole un pomo su cui era scritto: “Giuro d’amare per sempre
Aconzio”. La poveretta, per il fatto stesso d’aver letto, si trovò a
aver giurato, e non guarì d’un male che aveva se non sposando
Aconzio.
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17 17
Quid mecum tibi, circitor moleste? Che cazzo vuoi da me guardia del cazzo?
ad me quid prohibes venire furem? Perché mi scacci il ladro? Fallo entrare:
accedat, sine: laxior redibit. 21 vedrai che se ne andrà più rilassato.
18 18
Commoditas haec est in nostro maxima pene, Certo un cazzo così è un gran bel comodo:
laxa quod esse mihi femina nulla potest. o, non c’è donna che mi vada larga.
19 19
20 20
Fulmina sub Iove sunt, Neptuni fuscina telum, Sono di Giove i fulmini, il tridente
ense potens Mars est, hasta, Minerva, tua est, di Nettuno, la spada è del gagliardo
sutilibus Liber committit proelia thyrsis, Marte, e l’aguzza lancia di Minerva,
fertur Apollinea missa sagitta manu, Bacco muove a battaglia coi suoi tirsi,
Herculis armata est invicta dextera clava: Apollo scaglia a mano le sue frecce,
at me terribilem mentula tenta facit. l’invitta destra d’Ercole ha un randello,
e io spavento col mio ritto uccello.
21 21
Copia me perdit: tu suffragare rogatus Troppa roba, son fritto: Priapo, aiutami,
indicio nec me prode, Priape, tuo, non mi tradire con la tua denuncia,
quaeque tibi posui tamquam vernacula poma, la frutta che t’ho offerto per nostrale
de sacra nulli dixeris esse via. 23 viene dalla via sacra, ma non dirlo.
21
Circitor era detto il guardiano che girava (circum itor) nei
campi per ordine del padrone: ambedue uomini, evidentemente, di
poca fede.
22
Circulatrix, artista girovaga, danzatrice ambulante. Vedi anche
40.
23
La via più frequentata di Roma, dal Palatino al Campidoglio,
attraverso i Fori Imperiali. Questa l’interpretazione di Concetto
Marchesi: “... e c’è pure un ladro che, ad alleviarsi il carico e ad
averne favore, gli offre [a Priapo] parte della frutta rubata”. Ma
c’è qualcosa che non convince.
7
22 22
Femina si furtum faciet mihi virve puerve, Sia, chi mi ruba, donna uomo o ragazzo,
haec cunnum, caput hic praebeat, ille nates. Poi fica bocca o culo offre al mio cazzo.
23 23
Quicumque hic violam rosamve carpet Chiunque coglie qui rose o viole,
furtivumve holus aut inempta poma, o m’arraffa verdura e frutta a sbafo,
defectus pueroque feminaque 24 possa essere schiantato, dio bonino,
hac tentigine, quam videtis in me, da questa foia che vedete in me,
rumpatur, precor, usque mentulaque e senza più una donna né un ragazzo
nequiquam sibi pulset umbilicum. si sbatta a vuoto il cazzo sulla pancia.
24 24
25 25
Hoc sceptrum, quod ab arbore est recisum, Questo scettro, tagliato via da un albero,
nulla iam poterit virere fronde, che mai potrà di fronde verdeggiare,
sceptrum, quod pathicae petunt puellae, 25 che le ragazze inuzzolite cercano,
quod quidam cupiunt tenere reges, che più d’un re vorrebbe possedere,
cui dant oscula nobiles cinaedi, 26 che le più eccelse checche se lo baciano,
intra viscera furis ibit usque entrerà in corpo al ladro fino all’inguine,
ad pubem capulumque coleorum. 27 fino all’attacco, cacchio, dei coglioni.
26 26
Porro - nam quis erit modus? - Quirites, Decidete, Quiriti: d’ora in poi
aut praecidite seminale membrum, o mi tagliate il membro seminale
quod totis mihi noctibus fatigant che ogni notte mi vengono a spompare
vicinae sine fine prurientes strofinandosi a bestia le vicine
vernis passeribus salaciores, più in frega delle passere d’aprile,
aut rumpar, nec habebitis Priapum. o crepo – e voi restate senza Priapo.
ipsi cernitis, effututus ut sim Lo vedete da voi come son pallido
confectusque macerque pallidusque, e deperito a forza di chiavare,
qui quondam ruber et valens solebam io che rosso e gagliardo m’inculavo
fures caedere quamlibet valentes. un tempo i ladri, anche i più battaglieri.
defecit latus et periculosam Ora, povero me, non ho più lombi,
cum tussi miser exspuo salivam. E scaracchio di brutto, con la tosse.
24
defectus alqa re, mancante di, non più capace di.
25
pathicae, gr. παθικός: vogliose, bagnate: con l’abricot en folie,
direbbero i francesi.
26
nobiles, nel senso di fior fiore, crema.
27
capulum (da capio) è propriamente manico, impugnatura.
8
27 27
Deliciae populi, magno notissima circo Stella del circo massimo, maestra
Quintia, vibratas docta movere nates, nel dimenar le tremolanti chiappe,
cymbala cum crotalis, pruriginis arma, Priapo offre Quinzia, delizia della gente,
ponit et adducta tympana pulsa manu. i suoi strumenti di lascivia a Priapo:
pro quibus, ut semper placeat spectantibus, orat, i tamburelli, i cembali e le nacchere,
tentaque ad exemplum sit sua turba dei. che lei batteva con ricurva mano.
In cambio chiede di piacere sempre
agli astanti, e che l’abbian sempre duro,
a immagine del dio, tutti i suoi fans.
28 28
Tu, qui non bene cogitas et aegre Tu che hai brutte intenzioni e solo a stento
carpendo tibi temperas ab horto, trattieni le manacce dal mio orto,
pedicabere fascino pedali. avrai nel culo il mio pezzo da trenta.
quod si tam gravis et molesta poena Che se tanto molesta e dura pena
non profecerit, altiora tangam. servirà a poco, colpirò più in alto.
29 29
30 30
‘Falce minax et parte tui maiore, Priape, «Priapo, che minacci con la falce
ad fontem, quaeso, dic mihi qua sit iter.’ e con quel coso lì, di te più grosso,
vade per has vites, quarum si carpseris uvam, mi sai dire la strada per la fonte?»
cur aliter sumas, hospes, habebis aquam. 28 «Prendi per questa vigna, forestiero,
ma se mi cogli l’uva ti ritrovi
qualche cos’altro che ti riempie d’acqua».
31 31
Donec proterva nil mei manu carpes, Finché non mi sgraffigni le mie cose,
licebit ipsa sis pudicior Vesta. sarai più puro di Vesta in persona;
sin, haec mei te ventris arma laxabunt, se no, con quest’arnese che ho sul ventre,
exire ut ipse de tuo queas culo. t’allargo tanto che potrai cacarti.
28
“Avrai l’acqua perché prenderai qualcos’altro”.
9
32 32
33 33
34 34
Cum sacrum fieret deo salaci, Per la festa del dio sempre-arrapato
conducta est pretio puella parvo hanno portato qui una ragazzina
communis satis omnibus futura, da fottere in comune a poco prezzo:
quae quot nocte viros peregit una, e lei quanti n’ha presi in una notte
tot verpas tibi dedicat salignas. tanti cazzi di salice ti dedica.
35 35
29
Di durissimo e fine legno di bosso erano fatte le tavolette, poi
incerate per scriverci su. Nova cera, cera vergine d’api,
naturalmente giallastra.
30
Georges-Calonghi dà ‘fabbro ferraio’ per ductor ferreus. Forse
è lo schiavo addetto alla manutenzione dell’insula (isolato),
incaricato, tra l’altro, d’accendere le lucerne condominiali,
alimentate con olio lampante. Fricare cornu lanternae potrebbe
consistere, data la similitudine qui addotta, nell’infilare e sfilare
ripetutamente lo scovolo nel becco della lampada per liberarlo da
gromma e fuliggine.
10
36 36
Notas habemus quisque corporis formas: Ognuno è noto per un che del corpo:
Phoebus comosus, Hercules lacertosus, Febo ha di belle chiome, Ercole i muscoli,
trahit figuram virginis tener Bacchus, Bacco le molli membra d’una bimba,
Minerva ravo lumine est, Venus paeto, Minerva ha gli occhi grigi, storti Venere,
in fronte cornua Arcados vides Fauni, l’arcade Fauno ha un par di corna in fronte,
habet decentes nuntius deum plantas, bei piedi ha il messaggero degli dèi
tutela Lemni dispares movet gressus, 31 (il patrono di Lemno invece zoppica),
intonsa semper Aesculapio barba est, Esculapio ha la barba lunga, intonsa,
nemo est feroci pectorosior Marte: Marte un torace che tutti li supera:
quod si quis inter hos locus mihi restat, se in mezzo a loro ho un posto anch’io è perché
deus Priapo mentulatior non est. non c’è un dio che l’ha lungo più di me.
37 37
Cur pictum memori sit in tabella Perché è stato dipinto in questo ex-voto
membrum, quaeritis, unde procreamur? il membro genitale, vi chiedete?
cum penis mihi forte laesus esset Perché una volta mi ci feci male,
chirurgamque manum miser timerem, ma un po’ per la paura del dottore
dis me legitimis nimisque magnis, e un po’ per la vergogna di mostrarlo
ut Phoebo puta filioque Phoebi, da curare agli dèi giusti e potenti
curatum dare mentulam verebar. (pensate a Febo, a esempio, o a Esculapio),
huic dixi: ‘fer opem, Priape, parti, dissi a costui: «Aiuta tu, Priapo,
cuius tu, pater, ipse pars videris, questa parte, di cui tu stesso, padre,
qua salva sine sectione facta sembri partecipare: se guarisco
ponetur tibi picta, quam levaris, senza chirurgo, te ne fo una uguale,
compar consimilisque concolorque’. dipinta, stessa taglia e colorito ».
promisit fore mentulamque movit Lui promise di farlo: mosse il cazzo
pro nutu deus et rogata fecit. come a dire di sì e fece la grazia.
38 38
Simpliciter tibi me, quodcumque est, dicere oportet, Ti dirò chiaro e tondo perché tengo
natura est quoniam semper aperta mihi: sempre scoperta la natura: a me
pedicare volo, tu vis decerpere poma; piace inculare e a te fregar la frutta;
quod peto, si dederis, quod petis, accipies. 32 se mi dai quel che voglio ruba pure.
39 39
31
“Il protettore di Lemno muove passi diseguali.” Vulcano,
zoppo.
32
“Se mi dai quel che cerco, prendi ciò che cerchi.”
11
40 40
41 41
Quisquis venerit huc, poeta fiat Chiunque viene qui faccia il poeta
et versus mihi dedicet iocosos. e mi dedichi i suoi versi scherzosi.
qui non fecerit, inter eruditos E chi non lo farà, che se ne vada
ficosissimus ambulet poetas. fra i poeti eruditi, i fichi al culo.
42 42
43 43
Velle quid hanc dicas, quamvis sim ligneus, hastam, Cosa dici che cerchi in questo bacchio
oscula dat medio si qua puella mihi? – pur di legno – la bimba che lo bacia?
augure non opus est: ‘in me’ mihi credite, dixit Non c’è bisogno d’indovini: «In me»
‘aptetur veris usibus hasta rudis’. 35 dice, credetemi, «un palo come questo
troverebbe il suo uso più appropriato».
44 44
Nolite omnia, quae loquor, putare Non crediate che tutto quel che dico
per lusum mihi per iocumque dici. lo dica per scherzare, per burletta:
deprensos ego ter quaterque fures 36 venite pure a quattro a quattro, ladri,
omnes, ne dubitetis, irrumabo. state sicuri che v’imbocco tutti.
45 45
33
La Suburra era la via più animata di Roma, fra Celio ed
Esquilino, con botteghe d’ogni genere, postriboli compresi.
34
I fichi al culo di cui sopra.
35
Costruisci: “Quid dicas hanc hastam velle, si qua puella dat
oscula mihi medio?”. Quando una ragazza mi bacia in mezzo, per
cosa diresti che vuole quest’asta? Veris usibus, non simbolici,
come guardare l’orto.
36
ter quaterque, a ripetizione, uno dopo l’altro.
37
Usque ha qui valore durativo: di continuo, senza fine.
38
Prior esse=essere da più.
12
46 46
47 47
Quicumque vestrum, qui venitis ad cenam, Chi viene qui a mangiare e non mi dedica
libare nullos sustinet mihi versus, nemmeno un verso, possa la sua sposa,
illius uxor aut amica rivalem o la sua bella – usando ogni suo buco –
lasciviendo languidum, precor, reddat, spompare a morte il suo rivale, e lui
et ipse longa nocte dormiat solus passare la nottata tutto solo,
libidinosis incitatus erucis. acceso dalla rucola lasciva.
48 48
49 49
Tu, quicumque vides circa tectoria nostra 41 Chiunque guardi i miei graticci zeppi
non nimium casti carmina plena ioci, di battute non troppo edificanti,
versibus obscenis offendi desine: non est la smetta d’indignarsi ai versi osceni:
mentula subducti nostra supercilii. 42 non è da musi lunghi la mia minchia.
50 50
39
Di sangue di pigmeo erano così ghiotte le gru – a dire di
Pomponio Mela – che non uno sopravvisse di quel popolo.
40
eruca, rucola, ruchetta: praecipue concitatrix veneris, dice
Plinio (e pensano molti), ma la moderna botanica non conferma:
al massimo digestiva, come molte altre crucifere.
41
Tettoia: è il tabernacolo del dio, villula palustris, coperta vimine
iunceo caricisque, di giunchi e d’erba sala, e tenuta pulita da
erbacce e rovi, com’è notato nell’Appendix Vergiliana.
42
Subductus, infossato, aggrottato. Levio chiama questi tizi
addirittura subductisupercilicarptores: denigratori-dalle-
sopracciglia-aggrottate.
43
cum paribus coronis, adeguate alla lunghezza della mentula.
13
51 51
Quid hoc negoti est quave suspicer causa Che c’è di strano, è forse colpa mia
venire in hortum plurimos meum fures, se tanti ladri vengono in quest’orto,
cum quisquis in nos incidit, luat poenas nonostante chi piglio paghi il fio,
et usque curvos excavetur ad lumbos? piegato in due e scavato fino ai lombi?
non ficus hic est praeferenda vicinae Non ho fichi più dolci dei vicini,
uvaeque, quales flava legit Arete, 44 né l’uva scelta della bionda Arete,
non mala truncis adserenda Picenis 45 né mele doc dei colli marchigiani
pirumve, tanto quod periculo captes, 46 o pere da rischiare il culo a coglierle,
magisque cera luteum nova prunum né susine più gialle della cera,
sorbumve ventres lubricos moraturum. né sorbe da fermare il corpo sciolto.
praesigne rami nec mei ferunt morum 47 Sui miei rami non ho more giganti,
nucemve longam, quam vocant Abellanam, o noci grosse come le avellane,
amygdalumve flore purpurae fulgens. 48 o mandorle, di roseo fiore fulgide.
non brassicarum ferre glorior caules Non mi vanto d’avere rape e cavoli
betasve, quantas hortus educat nullus, più belli di qualsiasi altro ortolano,
crescensve semper in suum caput porrum. 49 o porri cipollini a lenta crescita.
nec seminosas ad cucurbitas quemquam 50 Né credo che uno venga qui a rubare
ad ocimumve cucumeresque humi fusos 51 zucche da semi o rappe di basilico,
venire credo, sessilesve lactucas 52 cetrioli striscianti sul terreno,
acresque cepas aliumque furatum, 53 o sessili lattughe, agli o cipolle,
nec ut salaces nocte tollat erucas 54 di notte andando per lascive rucole,
mentamque olentem cum salubribus rutis. mente odorose e salutari rute. 56
quae cuncta quamvis nostro habemus in saepto, 55 Benché da noi sia tutto recintato,
non pauciora proximi ferunt horti. e ci sia negli altri orti anche di meglio,
quibus relictis in mihi laboratum a voi non interessa, voi venite
locum venitis, improbissimi fures: dove lavoro io, fottuti ladri;
nimirum apertam convolatis ad poenam, accorrete alla pena apertamente:
hoc vos et ipsum, quod minamur, invitat. azzo, è proprio il castigo che v’attira!
44
Se è la moglie di Alcinoo, Omero la dice “biancobraccio”: una
dettagliata descrizione dell’orto del re, con viti rifiorenti, è in
Odissea VII, 112-132.
45
adsero-ere, attribuire, dichiarare.
46
tanto periculo, quello del verso 4.
47
praesigne morum, mora (di gelso di) notevole (dimensione).
48
lett. “mandorla fulgente dal fiore di porpora”.
49
E’ il porro capitato, coltivato per il bulbo, contrapposto al
sectivum, da taglio, di cui si consuma il gambo. Ippocrate,
riferisce Plinio il Vecchio, lo raccomanda alle donne, non è detto
per quale via: vulvas contractas aperire se putat.
50
seminosas, ricche di semi. Zucche, con semi e senza, sono alla
base di molte antiche ricette mediche e culinarie.
51
cucumeres humi fusos, non cocomeri (introdotti dagli arabi
mille anni dopo) ma cetrioli allevati a terra, senza pali o reti di
56
sostegno, cui deve ricorrere chi ha poco spazio. La ruta ha un paragrafo tutto suo nella Naturalis
52
sessiles, sessili, termine tecnico: si dice di piante con foglie Historia: è un antidoto alla cicuta e al morso di serpenti,
attaccate direttamente al fusto, senza picciolo, come la lattuga. scorpioni, vespe, cani arrabbiati; ‘vulvas aperit
53
Costruisci: “nec... quemquam... venire credo... furatum...” corrigitque’, ma attenzione in gravidanza: è abortiva (la
54
nocte, non so se riferirlo a tollat o a salaces erucas: sia il ladro scienza conferma); ottima contro lo scolo, le polluzioni
che la rucola, pare, amano agire di notte. notturne, il mal di testa, la nevrastenia, l’oliguria, e chi
55
in nostro saepto, recintato con una siepe di pali, canne, frasche. più ne ha più ne metta.
14
52 52
Heus tu, non bene qui manum rapacem Ohi te, che non trattieni la tua mano
mandato mihi contines ab horto, predatrice dall’orto a me affidato,
iam primum stator hic libidinosus per prima cosa questo palo in fregola
alternis et eundo et exeundo entrando e uscendo e entrando e uscendo ancora
porta te faciet patentiorem. t’allargherà ben bene quell’ingresso,
accedent duo, qui latus tuentur, poi arriveranno due, uno per fianco,
pulchre pensilibus peculiati; ben provvisti d’aggeggi penzolanti,
qui cum te male foderint iacentem, i quali non potendoti vangare
ad partes veniet salax asellus mentre sei steso qui, verrà un salace
nilo deterius mutuniatus. asinello a fiutare le tue parti,
quare qui sapiet, malum cavebit, non peggio rifornito di batacchio.
cum tantum sciet esse mentularum. per cui chi ha testa eviterà il malanno,
sapendo quante minchie c’è qua in giro.
53 53
Contentus modico Bacchus solet esse racemo, D’un grappolino ino s’accontenta Bacco,
cum capiant alti vix cita musta lacus, quando negli alti tini il fervido mosto trabocca,
magnaque fecundis cum messibus area desit, e una treccia di spighe ha fra i capelli Cerere,
in Cereris crines una corona datur. quando le aie non bastano ai mucchi di covoni.
tu quoque, dive minor, maiorum exempla secutus, Prendi esempio anche tu, dio minore, dai grandi:
quamvis pauca damus, consule poma boni. 57 Contèntati, benché sia scarso il dono, delle mele.
54 54
55 55
Credere quis possit? falcem quoque - turpe fateri - Chi può crederci! Eppure, mi vergogno
de digitis fures surripuere meis. anche a dirlo: m’han fregato la falce!
nec movet amissi tam me iactura pudorque, Non m’importa del danno o dello smacco,
quam praebent iustos altera tela metus: altre armi incutono il dovuto pànico:
quae si perdidero, patria mutabor, et olim se perdo quelle, cambio di nazione:
ille tuus civis, Lampsace, Gallus ero. Da lampsaceno che ero sarò gallo.
56 56
57
Consulere alqd boni, essere contento di, prendere per buono
qcs.
58
Ottieni un fallo: C e D essendo i testicoli.
59
Antica allusione, mostrare il dito più lungo.
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57 57
58 58
59 59
60 60
Si quot habes versus, tot haberes poma, Priape, Tu avessi tanta frutta quanto hai versi,
esses antiquo ditior Alcinoo. 61 saresti, Priapo, ricco più d’Alcinoo.
61 61
60
Vermino-are, provare trafitture dolorose, formicolii, da gotta,
ecc. Procul ha qui valore temporale.
61
Re dei Feaci, papà di Nausicaa.
62
Proverbiali erano l’avidità della gracula per le monete d’oro e
d’argento, e la longevità della cornacchia. Aquosus = che ama
stare nell’acqua.
63
Evidentemente i sacelli di Priapo erano così zeppi di dediche
che qualcuno doveva appendere le sue sugli alberi vicini.
16
62 62
Securi dormite, canes: custodiet hortum Dormite pure, cani, tanto all’orto
cum sibi dilecta Sirius Erigone. 64 ci pensa Sirio con la padroncina.
63 63
Parum est quod hic ut fiximus semel sedem, Ti pare poco che, appena ho fissato
agente terra per caniculam rimas qui una volta per tutte la mia sede,
siticulosam sustinemus aestatem? la terra s’è crepata dalla sìccita,
parum, quod hiemis perfluunt sinus imbres e ho passato un’estate da agganghire? 67
et in capillos grandines cadunt nostros E ancora: che le piogge dell’inverno
rigetque dura barba vincta crystallo? mi corrono sul collo, che la grandine
parum, quod acta sub laboribus luce mi batte sui capelli, e che la barba
parem diebus pervigil traho noctem? stretta dal ghiaccio s’indurisce e gela?
huc adde, quod me fuste de rudi vilem Ti pare poco che ho da stare sveglio
manus sine arte rusticae dolaverunt, tutta la notte – e il giorno a lavorare?
interque cunctos ultimum deos numen Aggiungi pure che da un tronco grezzo
cucurbitarum ligneus vocor custos. m’hanno sbozzato mani contadine,
accedit istis impudentiae signum, senz’arte alcuna, e che, ultimo fra i numi,
libidinoso tenta pyramis nervo. mi chiamano ‘il guardiano delle zucche’?
ad hanc puella – paene nomen adieci – 65 Il tutto sotto il segno dell’osceno:
solet venire cum suo fututore, la nerchia tesa dal lascivo nervo.
quae tot figuris, quot Philaenis enarrat, A questa viene spesso una ragazza
non inventis, pruriosa discedit. 66 – è l’ultima che ho in lista – col suo ganzo,
e non provando tutte le figure
descritte da Filene, se ne va
più bagnata di quando viene qua.
64 64
Quidam mollior anseris medulla Un tal più tenero del fegato d’oca
furatum venit huc amore poenae: vien qui a rubar per esser castigato:
furetur licet usque, non videbo. non vedrò nulla: ruba, ruba pure.
65 65
Hic tibi, qui rostro crescentia lilia mersit, Il porcello che tra i crescenti gigli grufolò
caeditur e tepida victima porcus hara: dal tepor della stalla a te è immolato;
ne tamen exanimum facias pecus omne, Priape, ma se non vuoi ammazzare tutto il branco,
horti sit, facias, ianua clausa tui. l’uscio dell’orto tieni chiuso, Priapo.
64
La figlia d’Icaro ateniese (non l’aviatore, che era di Creta), il
quale ebbe in dono da Bacco, in cambio dell’ospitalità, barbatelle
di vite e otri di vino, che fece assaggiare ai suoi pastori; se non
che, vedendo questi i loro compagni ubriachi, e pensando che
Icaro li avesse avvelenati, lo ammazzarono e lo sotterrarono sotto
un albero. La figlia, dal dolore, ci s’impiccò, e tutta la famigliola,
cane compreso, fu poi assunta in cielo da Giove: Icaro divenne
Arturo, Erigone la Vergine e il cane Sirio.
65
Dunque c’erano anche le firme, oltre alle dediche.
66
Invenio è sia ‘scoprire, trovare’ sia ‘ottenere, effettuare’: nel
primo caso si può pensare che le figure descritte da Filene siano
del tipo di quelle di Lalage, al 4, affisse nel tabernacolo; nel 67 Diventare arido come la ganga, patire la sete: non lo
secondo caso che la coppia debba interrompere, per qualsiasi trovo sui dizionari, ma è verbo usatissimo fra i contadini
motivo, la faccenda. del valdarno.
17
66 66
Tu, quae ne videas notam virilem, Tu, che per non vedere il maschio simbolo
hinc averteris, ut decet pudicam: giri alla larga come un’educanda:
nimirum, nisi quod times videre, non sarà che hai paura di guardare
intra viscera habere concupiscis. quel che ti piacerebbe avere in corpo?
67 67
68 68
68
Le sillabe iniziali formano il verbo Pe-di-ca-re. Traduco con
semplice acrostico.
69
edidicique, da edisco, imparare a conoscere, mandare a
memoria. notas, scrittura, modo di scrivere.
70
σµερδαλέος, così appare Ulisse alle fanciulle feacie che
giocavano a palla (Odissea, VI,137). Ma è tutto il verso che suona
zozzo all’orecchio latino: smèrdaleòs d’autèsi fanè kekakòmenos
àlme’: spaventoso apparve loro, sporco di salsedine.
71
fallo-ere = ingannare, sottrarsi alla conoscenza, rimanere in
incognito.
72
L’erba µόλυ (veramente Omero dice che il suo fiore è simile al
latte) è quella che Mercurio dà a Ulisse per renderlo immune dalle
magie di Circe (Odissea, X,305).
18
huius et Alcinoi mirata est filia membrum La figliola d’Alcinoo, pure lei,
frondenti ramo vix potuisse tegi. Ne restò sbalordita: a malapena
ad vetulam tamen ille suam properabat, et omnis riusciva a ricoprirla con le frasche.
mens erat in cunno, Penelopea, tuo: S’affrettava però dalla sua vecchia
quae sic casta manes, ut iam convivia visas Ulisse – ogni pensiero era, Penelope,
utque fututorum sit tua plena domus. per la passera tua, tu che rimani
e quibus ut scires quicumque valentior esset, così virtuosa in mezzo alle ammucchiate,
haec es ad arrectos verba locuta procos: in una casa piena di stalloni.
‘nemo meo melius nervum tendebat Ulixe, Dei quali per poter saper chi fosse
sive illi laterum sive erat artis opus. il migliore, dicesti agli allupati
qui quoniam periit, vos nunc intendite, qualem proci: “Nessuno meglio del mio Ulisse
esse virum sciero, vir sit ut ille meus.’ tendeva il nervo, fosse per i lombi
hac ego, Penelope, potui tibi lege placere, che aveva o per destrezza. Ora che è morto,
illo sed nondum tempore factus eram sappiate che sarò di chi saprà
tenderli come lui”. Io a questo patto
potevo anche piacerti, solo che
fossi nato a quei tempi, non adesso.
69 69
Cum fici tibi suavitas subibit Ti venisse mai voglia dei miei fichi
et iam porrigere huc manum libebit, e volessi allungare in qua la mano,
ad me respice, fur, et aestimato, guarda un po’ prima me, ladro, e considera
quot pondo est tibi mentulam cacandum. che baule di minchia hai da cacare.
70 70
Illusit mihi pauper inquilinus: Che bello scherzo che m’ha combinato
cum libum dederat molaque fusa, un povero fittavolo: m’ha offerto
quadrae partibus abditis in ignem, una focaccia, ha sparso il farro, ha messo
sacro protinus hinc abit peracto. le pizzette sul fuoco e lesto lesto,
vicini canis huc subinde venit finito il sacrificio, se n’è andato.
nidorem, puto, persecuta fumi, Ecco arriva la cagna del vicino
quae libamine mentulae comeso che annusato, mi sa, l’odor d’arrosto,
tota nocte mihi litat rigendo. s’è mangiata le pizze sul mio cazzo
at vos amplius hoc loco cavete ritto, e è tutta la notte che mi lecca.
quicquam ponere, ne famelicorum Fate un recinto un po’ più alto, gente,
ad me turba velit canum venire, che non vengano qui cani affamati,
ne dum me colitis meumque numen, e mentre in me onorate il dio guardiano
custodes habeatis irrumatos. chi guarda voi mi ciucci intanto il cazzo.
71 71
72 72
Tutelam pomarii, diligens Priape, facito: “Occhio, Priapo, attento al mio frutteto,
rubricato furibus minare mutinio. spaventa i ladri col tuo rosso cazzo!”
Quod monear, non est, quia si furaberis ipse “Non c’è bisogno che mi fai la predica:
grandia mala, tibi bracchia macra dabo. fossi anche tu, a rubarmi le melone,
t’agguanterò con le mie lunghe braccia.” 73
73
Battuta, comunque, oscura.
19
73 73
Obliquis quid me, pathicae, spectatis ocellis? Perché, troiette, mi guardate strano?
non stat in inguinibus mentula tenta meis. Non mi sta ritto il cazzo fra le gambe?
quae tamen exanimis nunc est et inutile lignum, Ora è un legnetto senza vita, inutile,
utilis haec, aram si dederitis, erit. ma dategli la passera, e vediamo.
74 74
Per medios ibit pueros mediasque puellas Ragazzi e ragazzine in mezzo ai lombi
mentula, barbatis non nisi summa petet. sfonderà il cazzo: punterà più in alto
solo in caso di ladri con la barba.
75 75
76 76
Quod sum iam senior meumque canis Sono invecchiato: pare nevicato
cum barba caput albicet capillis: sui capelli che ho in capo e sulla barba:
deprensos ego perforare possum ma posso sempre, basta che li acchiappi,
Tithonum Priamumque Nestoremque. inculare Titone, Priamo e Nestore.
77 77
20
ut clusus citharoedus abstinentem. 74 passare la mia vita in astinenza,
at vos, ne peream situ senili, come uno schivo chitarrista? Forza,
quaeso, desinite esse diligentes non fatemi morire in un ospizio,
neve imponite fibulam Priapo. 75 smettetela di fare gli zelanti,
non cucite la fava al vecchio Priapo.
78 78
79 79
Priape, quod sis fascino gravis tento, 77 Priapo, fava ritta e palle pese,
quod exprobravit hanc tibi suo versu anche se un nostro poeta te le critica,
poeta noster, erubescere hoc noli: non arrossire: tu sarai palloso,
non es poeta sarcinosior nostro. 78 d’accordo, ma mai quanto il nostro poeta.
80 80
At non longa bene est, non stat bene mentula crassa Non è forse un bel cazzo, lungo e grosso,
et quam si tractes79, crescere posse putes? capace di rizzarsi a smanettarlo?
me miserum, cupidas fallit mensura puellas: Povero me! le dimensioni ingannano
non habet haec aliud mentula maius eo.80 le pischelle in calore: non c’è nulla
utilior Tydeus qui, si quid credis Homero, 81 che faccia più soffrire questa minchia.
ingenio pugnax, corpore parvus erat. Meglio Tideo: era un tappo, a dir d’Omero,
sed potuit damno nobis novitasque pudorque Ma che temperamento battagliero.
esse, repellendus saepius iste mihi. 82 Pudore e inesperienza però possono
Dum vivis, sperare decet: tu, rustice custos, procurarmi dei danni, dovrò dunque
huc ades et nervis, tente Priape, fave. combattere più spesso la vergogna.
Finché c’è vita c’è speranza: tu,
rustica sentinella, vienmi incontro,
Priapo ritto, aiuta questa minchia.
74
Citharoedus, chi canta accompagnandosi con la cetra. Clusus =
clausus, chiuso, non espansivo, tutto preso com’è dallo strumento.
75
‘Carni fibulam imponere’ è, manco a dirlo, tertullianèo.
76
Costruisci: nunc misella iurat vix posse ambulare prae fossis
landicae. Prae è causale. Landica, forse più che al ciceroniano ‘an
illam dicam’ è da collegare a glandicula, ghiandolina.
77
Fascinum è malìa, incantesimo, e, per estensione, amuleto
apotropaico falliforme.
78
Sarcina, fardello, gravame. ‘Palloso’ vorrebbe rendere il doppio
senso di sarcinosus: pesante e ben dotato d’attributi.
79
Tracto-are, trattare, lavorare, maneggiare.
80
Non ... aliud maius eo, nient’altro di più grave di ciò (da
sopportare).
81
Tideo, papà di Diomede (Iliade V,801).
82
Iste, riferito a pudor.
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