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Fantasy Dal Regno D'italia - Bestiario - e - Leggende
Fantasy Dal Regno D'italia - Bestiario - e - Leggende
ZEFERINA
Fantasy dal Regno d’Italia
- bestiario e leggende -
Asengard Edizioni
© Asengard Edizioni srl
© Riccardo Coltri
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BESTIARIO
Orchi (orcus, orke): nella mitologia romana Orcus era il sovrano del Regno
degli Inferi. L’ipotesi è che la figura dell’orco inteso come mostro si sia
diffusa in Europa, nel corso dei secoli, proprio dall’Italia. Nella mitologia
cimbra (orke nell’area tredicicomunigiana – Orçe. La “c” ha, in realtà, una
gambetta dritta alla base e la pronuncia è “k”), leggende risalenti ai secoli
scorsi raccontano che l’orco si faceva vedere la notte dell’Avvento. Poteva
tramutarsi in luce, fiamma, soldato a cavallo con la “schiena scavata”, ca-
prone, cane. Mai in agnello a causa della simbologia cristiana. In alcune
zone lo si confonde a volte con il Beatrìc o Beatrico, leggendaria figura che
guidava la catha selvarega e a volte era riconducibile a Dietrich von Bern,
Teodorico da Verona.
Il Re degli orchi, nell’area cimbra, si chiamava Selmano. In alcune favole
gli orchi sono alleati delle fade, ma la tradizione parla di una grande guerra
fra i due popoli in una non precisata epoca antica.
L’Orçe ha una doppia natura, innocua e malvagia. Un celebre “orco bur-
Il milauro era una mitica creatura a metà tra drago ed essere umano. Se ne
parlava in Sud Tirolo e a Bolzano. Secondo la tradizione, chi si cibava della
sua carne riusciva a capire il linguaggio degli animali.
Babau: dal volto orrendo, gli abiti rammendati, zoccoli ai piedi, indossava
spesso il classico cappuccio rosso dei folletti. A volte aveva coltellacci da
macellaio. Il babau, affine alla genia dei barabao (originario di Venezia), era
conosciuto in particolar modo nel milanese e il termine potrebbe derivare
dal greco babàios (mascherone, spauracchio). Naturalmente è conosciuto
anche come Uomo Nero che rapiva i bambini.
Butacc’ con Eggls era un mostro diffuso nei pressi del lago di Lisc, Grigio-
ni, in Svizzera. A causa del suo orrendo aspetto era chiamato anche “ventre
con gli occhi”.
Lamia, nella mitologia greca, era una figura umana e animalesca, spesso
rapitrice di bambini. Il mito mediterraneo originale parla di Lamia, regina
di Libia, che ebbe da Zeus il dono di potersi togliere gli occhi e rimetterli al
loro posto quando le aggradava. La moglie del dio, Era, per vendicarsi del
tradimento, uccise i figli nati da Lamia e Zeus (probabilmente si salvarono
due figlie: Scilla e Sibilla). Distrutta dal dolore, Lamia cominciò a uccidere
i bambini delle altre madri, dai quali beveva il sangue, e si tramutò in un
mostro. Per la mitologia basca le “lamiak” (plurale di Lamia) sono creature
con zampe di uccelli che vivono nei fiumi e nei boschi. Spesso avevano dei
pettini d’oro.
Le smare erano creature della notte appartenenti alla famiglia degli incubi
(in qualche modo imparentate con la pesarola). Il nome potrebbe derivare
da manhar, incubo, mentre mara è una parola finnica che significa fan-
tasma. Si originavano dal sangue umano e aggredivano coloro che erano
“stati battezzati male”. Conosciute nel bellunese e in altre zone del Veneto,
si credeva che contro le smare fosse utile tenere in mano una pannocchia
di granturco.
Beatrico: spesso era un tutt’uno con il mito della Caccia Selvaggia (Bea-
trico o Beatrìc era uno dei leader nella versione alpina del mito). In alcu-
ne zone venete, infatti, il corteo notturno di cani selvaggi è detto Catha
I monacielli sono i più noti folletti del Sud Italia. Perlopiù di natura be-
nigna (statuine che li raffigurano sono tutt’oggi considerate dei portafor-
tuna), avevano l’aspetto di piccoli esseri incappucciati, da cui il nome.
Una delle versioni sulla nascita del mito dei monacielli risale al Seicento,
quando un ricco signore napoletano diede l’ordine di costruire un nuovo
acquedotto riutilizzando i canali di tufo risalenti al IV sec. a.C. I lavoratori
(“pozzari”), con lunghi mantelli scuri e un elmetto, a volte erano costretti
a risalire nei cortili delle case, spesso spaventando la gente. Secondo le leg-
gende lucane, i monacielli erano, invece, i bambini morti senza battesimo;
per altre favole il monaciello aveva un copricapo rosso ed era pronto a rico-
prire d’oro chiunque fosse stato così svelto da rubarglielo (altra caratteristi-
ca comune fra i folletti: il berretto che, se preso, può regalare un tesoro. Per
questo, spesso, i folletti avevano più berretti, uno sopra l’altro). Secondo
altre fonti ancora, la leggenda si sviluppò a Napoli già nel 1578, durante il
Vicereame di Spagna: in una raccolta di leggi che regolavano gli affitti, un
articolo stabiliva che se il locatario veniva assalito da un monaciello aveva
il permesso di lasciare l’abitazione senza pagare.
Leggende sui pavarò erano diffuse in diverse regioni italiane (a volte con
vari nomi), il termine deriverebbe da pavor, paura. Talvolta avevano teste
di cane ed erano armati di falcetti. A Belluno vivevano i komparet, appar-
tenenti alla stessa famiglia.
I morkies erano folletti del Trentino dalla forma vagamente caprina. A vol-
te si trattava di un ceppo che si lasciava portare in una casa, per poi fuggire
quando i contadini accendevano il fuoco.
Gnefro: diffuso a Terni e nella Valnerina, era un folletto che viveva nel
pressi della Cascata delle Marmore e lungo il fiume Nera. A volte è ri-
cordato come un bimbo grazioso. Gimo genno giune, la frase che dice nel
romanzo, significa: “iniziamo a scendere”.
Bügn: folletto mantovano, abitava nei fiumi e nelle pozze di acqua sta-
gnante. Aveva file di denti aguzzi simili a spine.
Cules: strani esseri simili a fuochi fatui. Presenti in Piemonte tra Cuneo,
Torino e Novara. Secondo alcuni, tenevano fra le mani un fuoco, per altri
erano loro stessi fatti di fiamme.
Gli arfai o arfari erano maschi di fate. Presenti anche in Francia, in Italia
sono ricordati in alcune leggende torinesi.
Le diali erano creature fatate alpine simili agli elfi e avevano mantelli che
sembrano fatti di neve.
Samblana era la regina delle nevi delle Dolomiti, a volte accompagnata
da due ancelle, le Yemeles, le “gemelle”, bambine identiche che giravano
mano nella mano nelle pietraie della zona dolomitica. Era possibile incon-
trarle al mattino, quando i prati erano intrisi di rugiada. Avvisavano gli uo-
mini di un’imminente disgrazia ed erano creature sorte dal lago di Garda.
Il fauno è una delle più antiche divinità italiche. In alcune versioni del
mito è identificato con un antico re del Lazio. In versioni tarde fu asso-
ciato al dio greco Pan, oltre che al Satiro (Grecia). Sarebbe stato il terzo re
preistorico d’Italia.
Nani del ghiaccio, Eismandl: diffusi in Trentino. Tra le varie favole italia-
ne che parlano di nani (a volte sono detti Ometti), celebre è quella di Re
Laurino, che aveva un meraviglioso giardino di rose. Il sovrano dei nani
rapì una principessa, ma dei cavalieri, grazie ai colori del roseto, riuscirono
a trovare subito il nascondiglio. Furente, Laurino lanciò una maledizione
sul giardino, che da allora non poté più essere visto di giorno, né di notte.
Il roseto diventò visibile solo all’alba e al tramonto, quando, cioè le Dolo-
miti si colorano di rosa.
In Lessinia, nei XIII Comuni cimbri, come protezione per tutto ciò che è
malvagio era molto sentita la cosiddetta preghiera dei tre angeli: Oggi noi
andiamo a dormire con tre angeli ai piedi, uno ci copre, uno ci sveglia, uno
ci protegge, da tutte le cose cattive, e da tutti i sogni cattivi, fino all’amato,
limpido giorno. In lingua taucias (“cimbro”): Haint geni-nidar suaze pit drai
anghiler a’ de fuaze. Oaz decka-pi un oaz dorbecka-bbi un oaz hauta-bbi. Fon
alljen poasen dinger un fon alljen poasen tromen. Derwai’ der liabe liachte tac
kint.
Il sogno del cane: la nascita di Cangrande Della Scala, nel 1291, pare sia
stata preceduta da un sogno premonitore della madre: la donna si imma-
ginò mentre partoriva un cane, che col suo possente abbaiare svegliava
l’intero mondo. Quando il bambino nacque fu chiamato Can Francesco.
Villa Pullé, Chievo: fino a non molto tempo fa ritenuta una casa strega-
Libri del Comando: favole sui “Libri del Comando”, o Libri del Mago,
Libri del Diavolo, a volte Libri del Magnetismo, sono presenti in nume-
rose regioni italiane, dal Nord al Sud (in Piemonte erano ereditati dalle
masche, a sud si immaginavano di proprietà delle janare, nel nord-est delle
strie). Alcune leggende attribuiscono i libri a Pietro d’Abano (1250-1316).
Accusato di eresia, d’Abano morì in carcere, in seguito il suo cadavere fu
disseppellito e arso sul rogo. Si racconta un fatto avvenuto a contrada Pa-
gani di Campofontana: uno dei “libretti del mago” (Puox von Megi o Puach
von Megi) era stato trovato e si era preparato un falò per bruciarlo. Ma al
contatto con le fiamme il libro lanciò orrende grida e tentò di alzarsi in
volo. Solo dopo aver versato gocce di acqua santa sul testo maledetto, il
rogo fu portato a termine. Chi riusciva a trovare uno dei (tre?) Libri del
Comando, era in grado di volare, riempire le stalle di “esseri vivi” (bestia-
me) e portare a termine ogni sorta di prodigio.
Horo: il mito lo vuole figlio di Osiride ed Iside e vendicatore del padre nei
confronti di Seth, il quale gli tolse un occhio durante lo scontro.
Hagalaz, runa simbolo dei cristalli di ghiaccio. A seconda del luogo era
detta Haal, Hagall, Haegl. In certe raffigurazioni assomiglia vagamente a
una scala e nel romanzo è uno dei simboli degli orchi.
Morto che conduce il vivo: in una vecchia fiaba della Lessinia si parlava
della profezia di un morto che avrebbe condotto un vivo. La profezia si
compì quando sulla carogna di un cervo trascinata da un torrente scese un
rapace per cibarsi della sua carne. (La principessa degli indovinelli, in Favo-
la, leggenda e realtà nei racconti dei filò dei monti Lessini, a cura di Attilio
Benetti).
Due soli in cielo alla fine del mondo: «alla fine del mondo compariranno
nel cielo due soli». La credenza era diffusa in passato in alcuni comuni
cimbri, probabilmente un mito di origine germanica. Nel testo, il mito si
fonde con il fenomeno del “parelio”, chiamato anche Cani del sole.
Una casa piena di incisioni di croci si trova nel piccolo abitato di San Fran-
cesco, tra Camposilvano e Velo. Il vecchio edificio di pietra, disabitato (mai
completato), sorge in un prato isolato, al limitare del bosco. Avvicinandosi,
si può notare che tutti i muri interni ed esterni, così come i massi circo-
stanti l’abitazione, sono riempiti di croci, incise o scolpite in varie forme e
misure. Il nome di chi provò ad abitare nella casa nessuno se lo ricorda, ma
si parla del tentativo disperato di un uomo di scacciare i numerosi spiriti
malefici e creature strane che infestavano i vicini boschi.
Una bottiglia con dentro Napoli: il mago Virgilio, per difendere Napoli
dagli invasori, costruì un minuscolo modellino della città e lo chiuse in
una bottiglia. Le pareti di vetro sarebbero diventate una protezione anche
per la città reale. Ma la bottiglia si ruppe e, con essa, l’incantesimo.
Perchta era una divinità nelle tradizioni alpine pre-cristiane. Il suo nome
significa La Splendente. Le parole peraht, berht e brecht significano radioso,
luminoso e/o bianco. È considerata una sorta di cugina meridionale di
Scolari della Scuola Nera: in antichità, il Maligno aprì una scuola dove
potevano entrare solo bellissimi giovani, che rimanevano nel luogo per
sette anni. I giovani erano poi chiamati Scolari della Scuola Nera, o Scolari
Una kenning (plurale: kenningar), molto diffusa fra i vichinghi, era una
“frase poetica” che sostituiva, con una metafora, un nome. Per esempio, il
mare era seġl-rād (“strada delle vele”) e la “danza del verme della rugiada
del massacro” la battaglia (“la rugiada del massacro” è il sangue, “il verme
del sangue” è la spada, e la “danza delle spade” è la battaglia).