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Ieri abbiamo approfondito questo śloka: uttiṣṭhata jāgrata prāpya


varānnibodhata | kṣurasya dhārā niśitā duratyayā durgam pathastatkavayo
vadanti||

Uttiṣṭhata jāgrata prāpya varānnibodhata | kṣurasya dhārā niśitā duratyayā durgam


pathastatkavayo vadanti||

(Alzati! Svegliati (o uomo!) Avendo raggiunto gli eccellenti (insegnanti), realizza (la
Verità). Questo cammino è duro da percorrere e difficile da attraversare come l’affilata lama
di un rasoio, dunque celebra i grandi che hanno percorso questo sentiero). Kaṭhopaniṣad
1,3,14

Questo sentiero sembra difficile semplicemente perché non lo abbiamo mai


percorso. Quando un bimbo è piccolo non è capace di camminare e continua a cadere.
Ecco perché quando il bimbo si alza e fa due passi
tutti battono le mani, poiché per quel bimbo
camminare è davvero difficile. Egli non è in
grado di bilanciare la testa, che è grossa, sulle
spalle, che sono più piccoli, così perde
l’equilibrio e cade. Quindi, per il bambino
camminare sul pavimento, non dico sul filo di un
rasoio, è un compito molto arduo. Tuttavia i
genitori lo incoraggiano e anche se cade la madre non dirà mai: “Mio figlio cade
sempre, perciò non lo farò più camminare e lo porterò in braccio dappertutto”.

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Nessuna madre parlerebbe mai in questo modo, piuttosto dirà: “Lasciate che
cada, tanto poi si rialzerà e camminerà”. Cadere fa parte del processo di imparare a
camminare, così come fallire fa parte dell’apprendimento e l’errore fa parte
dell’esperienza.

Cadere, fallire o commettere errori non dovrebbe


dissuadervi dal percorrere questo cammino.

Pertanto cadere, fallire o commettere errori non dovrebbe dissuadervi dal


proseguire il cammino su questo sentiero. Ogni caduta, ogni fallimento e ogni errore
dovrebbero diventare un trampolino di lancio per andare avanti nella vita. Ecco
perché dico sempre ai nostri studenti: “Un errore non è un errore se ne deriva un
insegnamento. Tuttavia se non imparate nulla e continuate a ripetere lo stesso errore,
allora quello è davvero un errore”.

pramādyantaṁ vittamohena mūḍhena.

Na sāmparāyaḥ pratibhāti bālam pramādyantaṁ vittamohena mūḍham |


ayaṁ lokonāsti para iti mānī, punaḥ punarvaśam āpadyate me ||

(Al bambino negligente, che è trascinato dall’attaccamento alla ricchezza (o agli oggetti
dei sensi), il seguente cammino (la verità suprema sulla nascita e sulla morte) non viene
rivelato. Pensando che sia il solo mondo e che non ce ne siano altri, egli continua a cadere
sotto il mio controllo (della morte).) Kaṭhopaniṣad 1,2,6

Abbiamo già spiegato che a causa delle illusioni errate le persone continuano a
ripetere gli stessi errori senza trarne nessun insegnamento. Pertanto, se imparate da
un errore. quest’ultimo diviene una lezione e non è più un errore. Ma se non imparate
da quell’errore allora resterà per sempre un errore. Quindi come mai questo percorso
è difficile? Perché su questo sentiero farete degli errori. Non potete credere di poter
percorrere questo cammino senza incontrare delle difficoltà. Le difficoltà ci saranno
ed è per questo che avete bisogno di una guida su questo cammino.

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Come fare a camminare su questo
sentiero? Dovreste fare proprio come il
bambino piccolo che ha bisogno della mano
della madre per compiere qualche piccolo
passo, eppure anche se continua a cadere né lui
né la madre si arrendono. Entrambi si tengono
per mano e continuano a camminare. Siamo
passati tutti attraverso questa esperienza nella vita, come madri, padri e figli. Nessuno
sapeva camminare eppure abbiamo fatto tutti i tentativi possibili per riuscirci.
Abbiamo fallito più volte, siamo caduti e ci siamo anche fatti male, eppure non
abbiamo mai smesso di camminare. Pertanto questo atteggiamento per cui anche se
qualcosa possa sembrare difficile ci vogliamo riuscire è ben radicato in noi e ciò è
dimostrato da questa semplice esperienza: imparare a camminare e cadere.

Tuttavia avete bisogno di una guida, di qualcuno che vi tenga per mano, che vi
aiuti a camminare su questo percorso in modo che anche se apparentemente vi
sembrerà difficile, diverrà più facile. Ecco perché prāpya varān nibodhata, ci si deve
avvicinare a colui che possiede questa conoscenza. Se la madre non dovesse saper
camminare come potrebbe aiutare il figlio? Proprio perché la madre sa come si
cammina è in grado di guidare il bimbo e di insegnargli a camminare.

Quindi si deve incontrare un guru, colui che conosce questa Verità, affinché vi
possa guidare e istruire sulle modalità per
percorrere questo sentiero che altrimenti
sarebbe troppo difficile, poiché fallireste e
cadreste, non vi è alcun dubbio. Non ci può
essere la garanzia del conseguimento della
meta, ma è garantito che cadreste. Pertanto il
vostro compito è camminare. Per questo vi
dico che dovete fare il primo passo.

Uttiṣṭhata jāgrata: alzatevi e svegliatevi; se non lo farete non potrò aiutarvi.


Ecco perché il primo passo deve essere fatto da voi, mentre i novantanove passi
successivi verranno fatti da Dio, che verrà da voi, vi prenderà per mano e vi condurrà
dall’altra parte.

Nella Muṇḍakopaniṣad c’è uno śloka che dice: parīkṣya lokān karmacitān
brāhmaṇo nirvedam āyān nāsty akṛtah kṛtena | tad vijñānārthaṁ sa gurum
evābhigacchet samit-pāṇiḥ śrotriyam brahma-niṣṭham ||

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parīkṣya lokān karmacitān brāhmaṇo nirvedam āyān nāsty akṛtah kṛtena |
tad vijñānārthaṁ sa gurum evābhigacchet samit-pāṇiḥ śrotriyam brahma-niṣṭham ||

(Che il ricercatore del Brahman, avendo esaminato i mondi prodotti dalle azioni, sia libero dai
desideri e, pensando che non ci sia nulla di eterno prodotto dalle azioni, per acquisire la
conoscenza dell’Eterno si rivolga a un precettore versato nei Veda e centrato nel Brahman) -
Muṇḍakopaniṣad 1,2,12

Dopo aver osservato la vostra vita, dopo aver visto tutto il bene e il male della
vita, dopo aver provato a essere felici senza riuscirvi,
dopo aver creduto negli altri, avendo dato loro la vostra
fiducia ed essendo stati ingannati, finalmente vi rendete
conto che, qualunque cosa facciate nel mondo, alla fine
non rimane nulla e nemmeno voi rimanete. Dopo
essersene reso conto, l’individuo comprende che si deve
avvicinare al Conoscitore della Verità. Ed è proprio così
che, nella Muṇḍakopaniṣad, Śaunaka, per conoscere la
Verità, si avvicina ad Āṅgirasa. Quindi, per percorrere
questo sentiero, è necessario il guru.

prāpya varān nibodhata (ottieni la saggezza dall’insegnante eccellente) :questo


è un messaggio molto importante; soltanto uttiṣṭhata jāgrata, (alzarsi e svegliarsi)
non vi sarà di aiuto.

Se al mattino vi svegliaste, vi vestiste e andaste a scuola ma lì non ci fosse un


insegnante disposto a insegnare, allora il vostro percorso sarebbe davvero difficile.
Ma se c’è un buon insegnante, non un pessimo insegnante, quell’insegnate valido sa
come istruirvi per procedere su questo sentiero. Vi guida passo dopo passo e questo
non significa che non commetterete degli errori. Li farete, fallirete e cadrete, ma ogni
volta che imparerete dai vostri errori, quell’errore non sarà più un errore, ma
diventerà una lezione, un’esperienza di vita. Pertanto cercate di imparare da ogni
esperienza della vita.

Questo è ciò che insegna la Kenopaniṣad: pratibodhaviditam.

pratibodhaviditaṁ matamamṛtatvaṁ hi vindate |


ātmanā vindate vīryaṁ vidyayā vindate’mṛtam ||

(Il Brahman viene conosciuto veramente, quando è conosciuto in ogni stato della
coscienza come testimone e pertanto si ottiene l’immortalità. Tramite il Sé si ottiene la forza e
attraverso la conoscenza si ottiene l’immortalità) - Kenopaniṣad 2,4

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Imparate da ogni esperienza della vita e scorgete sempre la mano di Dio,
percepite la volontà divina che silenziosamente e segretamente vi guida, senza che ve
ne rendiate conto.

In ogni esperienza di vita, imparate.

Vedete la mano di Dio.

Percepite la volontà divina che vi sta guidando.

Silenziosamente, segretamente.

La volontà divina è in ogni esperienza, ma dato che non la vediamo e non la


comprendiamo ci lamentiamo. Uttiṣṭhata, fate il primo passo; jāgrata, siate sempre
consapevoli. In telegu jāgrata significa: state attenti. Mana jāgrata manade Swami
cheptuntaru, siamo responsabili della nostra sicurezza, queste sono le parole che
ripete Swami di sovente.

Dovreste essere sempre attenti. Per esempio se camminate per strada, c’è traffico
e una macchina viene verso di voi, rimanete in mezzo alla strada invece di stare sul
lato sinistro soltanto perché
quell’autista è un matto che va
contromano? Costui è un pazzo e vi
investirà. Questo significa che
anche voi vi dovete comportare
come dei pazzi? Poi però non potete
lamentarvi dicendo: “Avevo ragione io, poiché stavo seguendo il dharma, dharmo
rakṣati rakṣitaḥ (il dharma protegge chi protegge il dharma), tuttavia è stato il
dharma che non mi ha protetto e quell’auto mi ha travolto”.

jāgrata, dovete essere attenti e prudenti; uttiṣṭhata, alzatevi e camminate,


jāgrata, state attenti, siate svegli, non dormite su questo sentiero. Sarebbe come se vi
addormentaste al volante, di sicuro fareste degli incidenti. Quindi è davvero
importante che siate sempre attenti e svegli. L’abc della vita, always be careful, state
sempre attenti. Quindi jāgrata significa anche cautela, poiché si può cadere ovunque,
pertanto non distraetevi.

Se state guidando in autostrada non lasciatevi distrarre da ciò che vi circonda. Se


vi guardate intorno, se parlate al telefono o mandate messaggi, anche mentre guidate,
farete degli incidenti. Quindi quando dice durgam pathastat (è difficile da

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percorrere), non dovete scoraggiarvi: “Oh, la spiritualità è un percorso troppo
difficile…”. Tutto è difficile.

Quando eravate piccoli era difficile persino camminare, sembrava quasi


impossibile riuscirci. Eppure con l’aiuto di qualcuno che lo sapeva fare avete
imparato. Ecco perché oggi camminate senza nemmeno rendervene conto e nel
frattempo parlate, cantate e vi guardate intorno. Adesso per voi è qualcosa di naturale,
non è affatto difficile.

Allo stesso modo la meditazione, l’essere sempre vigili, non consentirà ai sensi
di prendere il sopravvento sulla mente e alla mente di sopraffare la buddhi e alla
buddhi individuale di sopraffare la buddhi di Dio. La pratica farà sì che operiate
sempre da quella coscienza, dalla buddhi di Dio e che la vostra buddhi, la mente e gli
indriya (i sensi) non interferiscano con Dio.

Ciò si verificherà a poco a poco, mentre vivrete la vostra vita, tuttavia all’inizio
avrete bisogno di una pratica, come in ogni cosa. Inoltre dovete trovare una persona
che vi possa guidare correttamente. Ecco perché si dice varān, che significa
l’adorabile, colui che è giusto. Dovreste stare vicino a una persona tale per imparare a
percorrere questo sentiero, così anche le situazioni difficili diverranno semplici.

Coloro che non sono uttiṣṭhata e jāgrata, che non si impegnano e non sono
attenti, che non vogliono avere un guru, ma che vogliono fare tutto da soli, per
costoro questo cammino è davvero difficile, kṣurasya dhārā niśitā ( è come la lama
affilata del rasoio). Il guru vi potrà insegnare dei trucchetti, come gestire la mente,
come controllare i sensi e come fare affinché il vostro ego non interferisca con la
volontà di Dio, affinché possiate camminare su questo sentiero con facilità e, anche
se all’inizio incontrerete delle difficoltà, alla fine diverrà facile.

Al principio è difficile stare in equilibrio su


una bicicletta. Infatti, quando iniziate a pedalare
chiedete aiuto a vostro padre o a un amico che vi
sostengono, ma dopo poco non vi serve più l’aiuto
di nessuno: avete raggiunto l’equilibrio. Adesso,
mentre pedalate, riuscite anche a parlare. Questo
cammino è difficile se siete distratti, pigri, se non
vi impegnate abbastanza e se non avete
l’insegnante giusto. Ma se non siete distratti, se siete molto determinati, se l’obiettivo
è molto chiaro e non consentite ai vostri sensi e alla mente di distrarvi, al vostro ego
di essere di intralcio e avete anche un buon guru che vi guida, che sa come si percorre

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questo cammino, allora sarete privi di preoccupazioni e di paure, procederete felici e
tutto andrà bene.

Per questo motivo gli śloka precedenti vi hanno insegnato: yacchedvāṅmanasī


prājña (colui che discrimina deve ritirare gli organi di senso nella mente).

Yacchedvāṅmanasī prājñastadyacchejjñāna ātmani |


jñānamātmani mahati niyacchet tadyacchecchānta ātmani ||

(Colui che discrimina dovrebbe ritirare l’organo della parola (assieme a tutti gli organi
di senso) nella mente; la mente a sua volta dovrebbe fondersi nell’intelletto
(buddhi individuale); l’intelletto dovrebbe fondersi nell’hiraṇyagarbha
(buddhi cosmico) che dovrebbe fondersi nel Brahman Supremo) - Kaṭhopaniṣad 1,3,13

Innanzitutto ritirate gli indriya nella mente, poi ritirate la mente in jñāna
ātmani, poi ritirate jñāna ātmani in mahati ātmani e infine mahati ātmani in śānta
ātmani. Questo è un processo difficile. Non è facile rinunciare ai piaceri dei sensi e
non è nemmeno facile tenere a bada il proprio ego e arrendersi al Divino. Inoltre
anche l’attitudine interiore: “Io mi sono arreso a Dio” dovrebbe lasciare il posto a:
“Io sono Dio” ed è questo quello che dovrebbe manifestarsi nella vostra mente.
All’inizio voi siete servitori di Dio in quanto mana, buddhi e indriya. Poi avete
ritirato la vostra buddhi in Dio e avete sentito: “Io sono parte di Dio e Dio soltanto mi
guida da dentro”. Infine vi è śānta ātmani: “Io sono Dio”.

La progressione dei diversi livelli di coscienza

advaita bhāva viśiṣṭa advaita dvaita bhāva


bhāva
śānta ātmani mahatī ātmani jñāna ātmani

parabrahman ← mahatī buddhi ← buddhi ← manas ← indriya

coscienza intelletto cosmico intelletto mente sensi


suprema superiore individuale
indriyārtha

facoltà
sensoriali

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Quindi jñāna ātmani è dvaita bhāva (sentimento di dualità), mahati ātmani è
viśiṣṭādvaita bhāva (sentimento di unità condizionata) śānta ātmani è advaita bhāva
(sentimento di unità). È così che progredisce.

Hanuman dice: “Dehabuddhyā tu, io sono il Tuo servitore, dāṣo’haṁ.


jīvabuddhyā tvadamśakaḥ| ātmabuddhyā tvamevāham iti me niścitā matiḥ. Sono
convinto che quando penso di essere il corpo, sono jñāna ātmani, sono
semplicemente il Tuo servitore, poiché utilizzo la mente per servirti, ma quando
penso di essere il jīva, allora Tu mi guidi, Tu sei il passeggero che mi dice da che
parte devo andare, Ti occupi di tutto e io sono semplicemente uno strumento nelle
Tue mani”.

dehabuddhyā tu dāṣo’haṁ jivabuddhyā tvadamśakaḥ|


ātmabuddhyā tvamevāhamiti me niścitā matiḥ||

(Quando penso di essere il corpo, allora sono il Tuo servitore. Quando invece mi considero
il jīvā, l’anima individuale, sono una parte di Te. Quando mi vedo come ātman,
il Supremo Sé, io sono Uno con Te. Di questo sono fermamente convinto).

Questo è viśiṣṭādvaita jīvabhāvena. Poi si passa a ātmabhāvena tvamevāham, si


passa da mahati a śānta ātmani, non c’è più l’abbandono a Dio, si diviene Uno con il
Signore, proprio come il fiume che si fonde nell’oceano e diventa l’oceano. Non
cerca di diventare l’oceano, poiché lo è già diventato. Allo stesso modo la vostra
mente si è completamente fusa con la mente di Dio e di fatto non vi è più mente:
vivete sempre come Dio.

Quando fu chiesto ad Hanuman chi fosse, la sua


risposta rifletté chiaramente i tre livelli di coscienza:
dvaita bhāva viśiṣṭa advaita bhāva advaita bhāva
Quando penso di essere Quando penso di essere Quando mi identifico
il corpo, allora sono l’anima individuale, Tu con il Supremo Sé,
solo il Tuo servitore! mi guidi come uno divento Uno con Te, o
strumento nelle Tue Signore!
mani!

jñāna ātmani mahatī ātmani śānta ātmani

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Questo è il procedimento di ritiro graduale ed è così che dovreste progredire: da
indriya, indriyārtha a manas, da manas a jñāna ātmani, da jñāna ātmani a mahati
ātmani e infine a śānta ātmani, sāyujyam (intime unione); śānta ātmani è advaitam
(privo di dualità), è il param, il Supremo e oltre a ciò non vi è niente. Quindi divenite
Uno con Dio proprio come il fiume diviene uno con l’oceano e le loro acque non
sono più separate. Il Ganga, lo Yamuna, e il Saraswati si trovano tutti nell’oceano.

Coloro che vivono sul fiume Gange adorano


il fiume Gange, mentre coloro che vivono sul
fiume Yamuna adorano il fiume Yamuna. Tuttavia
quando questi fiumi sfociano nel Golfo del
Bengala che cosa succede? Viene adorato il Golfo
del Bengala! Nonostante il Gange e lo Yamuna
nascano sull’Himalaya, Gangotri, Yamunotri,
fanno il loro corso e alla fine diventano tutt’uno con l’oceano. Allora dove sono finiti
il Gange e lo Yamuna? Analogamente dove siete voi e dove sono io? Siamo diventati
tutti Uno nell’altro.

sahasraśirṣā puruṣaḥ | sahasrākṣaḥ sahasrapāt | sabhūmiṁ viśvato vṛtvā |


atyatiṣṭhaddaśaṅgulam ||

sahasraśirṣā puruṣaḥ | sahasrākṣaḥ sahasrapāt |


sabhūmiṁ viśvato vṛtvā | atyatiṣṭhaddaśaṅgulam ||

(L’Essere Supremo ha migliaia (infinite) teste, migliaia (infiniti) occhi, e migliaia


(infiniti) piedi. Avendo pervaso il mondo intero (universo manifesto), Egli esiste nello spazio
del cuore, trascendendo (l’universo materiale) - Puruṣasūkta 1,1

Il Puruṣa, il Divino, ha migliaia di teste, sahasra śirṣā, migliaia di mani,


sahasra akṣaḥ, migliaia di occhi, sahasra pāt e migliaia di piedi. Come è possibile?
Significa che quando ciascuno evolve, proprio come ogni fiume sfocia nell’oceano e
diviene l’oceano, ogni jīvātman grazie all’adhyātma yoga inizia a ritirarsi sempre di
più nel proprio vero Sé e così tutti divengono dei Paramātman. E allora che cosa
cambia? Le decisioni che vengono prese sono del Paramātman. In qualità di
individui non manifestate più delle particolari differenze, il vero jñāna proviene
dall’alto.

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Proprio come un serbatoio pieno d’acqua che scorre attraverso dei rubinetti. I
rubinetti si trovano nelle abitazioni, ma l’acqua proviene da quell’unico serbatoio.
Così tutti voi divenite dei rubinetti, amani bhāva, amanasta (stato di non-mente):
non avete un’esistenza e un modo di pensare separato, ma siete semplicemente degli
strumenti del Divino che pensa per voi. Voi eseguite il lavoro esteriormente, ma tutte
le informazioni, l’intelligenza, la conoscenza e la guida provengono dal Divino.

Ognuno di voi dovrebbe evolvere e fondersi nella mente cosmica di Dio,


affinché qualunque cosa pensiate, diciate o facciate sia Dio che lo sta facendo. In voi
non ci sarà più niente, nessun intralcio, niente ego o jñāna ātmani, nemmeno indriya
e indriyārtha e tutto fluirà senza ostruzioni. Nessun processo decisionale sarà
difficoltoso, poiché tutti concorderanno sulla stessa decisione dato che tutte le menti
saranno fuse in Dio. Ogni domanda, ogni problema e ogni sfida verranno affrontati
con facilità ed avranno la medesima risposta.

Ecco perché continuo a porre enfasi sull’adhyātma yoga: è molto importante.


Tuttavia acquisirne la padronanza è abbastanza difficile dato che l’ego si intromette e
i vostri sensi tendono a distrarvi. Gli altri potrebbero adularvi e la personalità
prendere il sopravvento: si può verificare tutto ciò. Ecco perché da indriyārthebhyaḥ
a manas, da manas a buddhi, da buddhi a jñāna ātmani e da jñāna ātmani a mahati:
questo è il procedimento. Vi chiederete: “A che punto sono? Come faccio a sapere se
sto progredendo?”.

Ieri vi ho spiegato che ogni volta che la decisione viene presa dal Sé Superiore
percepite immediatamente pace, vi sentite umili e non arroganti. Se dovesse andare
tutto bene vi sentirete umili, ma se anche dovesse andare male vi arrenderete alla
volontà di Dio, all’imperscrutabile volontà di Dio e non proverete agitazione. Nel
profondo del vostro cuore percepirete chiaramente che non è stato l’ego a prendere
quella decisione.

Quando invece prendete le decisioni con il vostro ego, jñāna ātmani, se va bene,
diventate arroganti e se va male divenite ansiosi e irrequieti. Se dal processo
decisionale derivano ansia o arroganza significa che la decisione è stata presa dalla
vostra buddhi individuale che non si è fusa con la buddhi di Dio.

Ecco perché vi sto chiedendo di praticare la meditazione, poiché quello è il


processo di fusione della vostra mente inferiore con la mente superiore.

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La meditazione è il procedimento per
fondere la vostra mente inferiore
con la mente superiore.

Se ogni mattina meditate è come se vi impostaste di nuovo a zero,


all’impostazione predefinita, che prevede che Dio pensi attraverso di voi. Invece
durante la giornata si verifica l’impostazione errata per cui iniziate a pensare. Quindi
ogni mattina dovete ripartire da zero, ecco perché è bene meditare al mattino. Non
soltanto al mattino, ma anche durante la giornata e comunque ogni qualvolta che vi
sentite irrequieti e dovete prendere una decisione, che sentite che la pressione
sanguigna e l’eccitazione stanno aumentando e percepite in voi una certa arroganza,
allora è meglio che vi ritiriate immediatamente in un angolino tranquillo per
meditare.

Con chiunque vi troviate direte loro: “Mi


devo assentare per un minuto”. Ve ne andate e
praticate la meditazione di un minuto.
Vediamo come si fa. Bevete un bicchiere
d’acqua, fate qualche respiro profondo, vi
sedete in un angolo tranquillo, in mancanza
del quale vi ritirerete in bagno, e per un attimo
pensate: “Chi pensa attraverso di me? Chi
parla attraverso di me? Chi agisce attraverso di me? Non devo permettere che sia
jñāna ātmani, bensì mahati ātmani. Non devo consentire a jñāna ātmani di
interferire con mahati atmani”.

Pregate in questo modo, poi tornate e vedrete che le vostre decisioni


miglioreranno sempre di più; sia che si tratti di acquistare un biglietto aereo o un
nuovo paio di scarpe, oppure che si tratti di instaurare o interrompere i rapporti con
alcune persone. Oppure una decisione ancora più grande come avviare un nuovo
campus, fatelo da mahati atmani e sarà sempre la decisione giusta, non sarà mai
sbagliata.

È difficile poiché siamo così attaccati al nostro corpo e alla nostra mente e
vogliamo sempre ottenere dei crediti, desideriamo ottenere dei riconoscimenti. La

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sensazione di essere coloro che agiscono e così forte in noi che è diventata kṣurasya
dhārā niśitā, come la lama affilata e tagliente di un rasoio. Per via delle distrazioni
subentra jñāna ātmani che disturba il mahati ātmani e così soffrite. È un cammino
difficile, ma diviene più facile se seguite la guida di un guru che vi insegnerà come
affrontare il percorso.

E anche se qualche volta doveste vacillare e fallire, considerate queste situazioni


come dei trampolini di lancio. Prendetele come esperienze e lezioni, affinché la volta
successiva possa andare meglio. E ogni volta che fate un errore dovreste divenire più
risoluti: “La prossima volta starò più attento poiché ora so che anche questo potrebbe
succedermi. Credevo di essere diventato perfetto, ma per ora non è così”. Il guru
insegna attraverso bodha (saggezza) e non jñāna (conoscenza). Bodha significa che
Egli crea una situazione nella quale dovete mettere in pratica tutto quello che vi ha
insegnato, in ogni istante.

In quel momento penserete: “Swami dice che tutti sono Brahman e io dovrei
essere equanime con tutti”. E sulla scena apparirà proprio quella persona con la quale
non avete affinità e vi dirà qualcosa che non riuscite a tollerare: bodha. Non è bādha
(sofferenza, tormento), è bodha. Molti definiscono il mio insegnamento chaala
baadha (telugu), estremamente difficile e doloroso. Baadha kaadu, non è difficile,
ma è bodha. È un insegnamento, ecco perché è difficile. Le difficoltà sono strumenti,
opportunità per imparare, per verificare se avete acquisito la comprensione.

Soltanto mettendo alla prova la vostra conoscenza saprete se l'avrete acquisita.


Ecco perché si deve superare un esame di guida prima di ricevere la patente. Venite
messi alla prova per verificare se siete capaci oppure se vi dovete esercitare ancora un
po’. Ecco perché venite sottoposti a delle piccole prove. Anche il cuoco assaggia il
cibo per verificare se è cotto o se va aggiustato di sale e spezie.

La stessa cosa farà la vita con voi nel


momento in cui imboccate questo
cammino: vi sottoporrà a tante piccole
prove per verificare se state
effettivamente seguendo questo percorso
oppure se state vagando nel buio. Ed è
così che le vostre capacità e la vostra
conoscenza verranno messi alla prova.
Qualunque cosa stiate imparando vi accorgerete che si presenteranno delle situazioni
che vi consentiranno di mettere in pratica. Così avrete l’opportunità di riuscirvi. Ma
se in quel momento vi dimenticherete di ciò che avete appreso, proprio come Karna,

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che si dimenticò di ciò che aveva imparato sul campo di battaglia, allora i vostri sensi
vi distruggeranno.

Pertanto dovete mettere in pratica questa conoscenza nel momento opportuno, se


non lo farete tutto ciò non avrà senso. Le difficoltà sembrano tali nella misura in cui
non siete abituati a quelle situazioni. Ma una volta che vi sarete abituati non sarà più
difficile. Chi non è capace di andare in bicicletta penserà che siate delle grandi anime
soltanto perché lo sapete fare, ma chi ci sa andare non lo troverà affatto difficile.

Se uno studente di sesta classe va da uno


studente di decima classe e gli domanda di
risolvere un problema di matematica, il ragazzo
che è in decima classe lo risolverà velocemente.
Allora il ragazzo di sesta gli dirà: “Quanto sei
intelligente, l’hai risolto in un minuto mentre io
ci ho messo un’ora e non sono stato capace di
risolverlo!”. Lo studente di decima risponderà: “Certo, io sono intelligente”. In verità
questo studente di decima è già stato bocciato tre volte e finalmente è arrivato in
decima, per cui per lui quel problema è facile da risolvere.

Analogamente durgam pathastat, voi penserete che questo percorso sia molto
difficile soltanto perché non siete abituati a camminare su questo sentiero, perché
avete sempre vissuto seguendo i sensi e la mente o nel migliore dei casi seguendo
buddhi, jñāna ātmani. Pertanto non scoraggiatevi e continuate a camminare con la
grazia del guru, tapaḥ prabhāvād, devaprasādāt.

Anche Śvetāśvatara Muni divenne un Brahmajñāni proprio grazie a tapaḥ.


Tapaḥ significa uttiṣṭhata jāgrata (alzarsi, svegliarsi) e devaprasādāt (la grazia del
guru), prāpya varānnibodhata. Fu così che divenne Brahmajñāni e questo metodo
vale per tutti. Pertanto non deprimetevi pensando che sia troppo difficile, poiché lo è
soltanto perché non siete abituati e man mano che procederete diverrà sempre più
facile.

Vediamo ora il quindicesimo śloka:

Aśabdamasparśamarūpamavyayam tathā’ rasaṁ nityamagandhavacca yat |


anādyanantam mahataḥ paraṁ dhruvaṁ nicāyya tammṛtyumukhāt pramucyate||

(Avendo realizzato quell’(ātman) che è privo di suono, intoccabile, senza forma,


imperituro, insapore, inodore, eterno; senza inizio né fine, immutabile, e oltre il
mahat (hiraṇyagarbha), si è liberi dalle fauci della morte) - Kaṭhopaniṣad 1.3.15

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yat - che | aśabdam - privo di suono | asparśam - intoccabile | arūpam - senza forma |
avyayam - imperituro | tathā - così anche | arasam - insapore | nityam - eterno | agandhavat
- inodore | ca - and | anādyanantam - senza inizio né fine | mahataḥ - rispetto a mahat |
param - oltre (superiore a) | dhruvam - immutabile | tat - quel (ātman) | nicāyya - avendo
realizzato | mṛtyumukhāt - dalle fauci della morte | pramucyate - viene liberato |

Questa è la spiegazione di Brahmajñāna, śānta ātmani. A cosa si giunge con la


pratica spirituale? Che cosa si sperimenta e si riceve a quel punto? In questo śloka ci
sono queste risposte, pertanto qui viene racchiusa l’essenza di tutti gli insegnamenti
della Kaṭhopaniṣad. Stiamo giungendo al termine degli insegnamenti di Yama e
questo śloka rappresenta proprio l’insegnamento finale.

Quando il padre di Naciketa lo mandò da Yama, Naciketa chiese i vara (le


grazie). Il primo vara fu: “Fa’ che d’ora in poi mio padre sia felice”. Il secondo vara
fu: “Erudiscimi riguardo lo svarga agni, ovvero il Naciketa agni”. Il terzo vara fu:
“Insegnami la conoscenza del Sé di cui nessuno è a conoscenza: asti iti, na asti iti
(ciò che esiste, ciò che non esiste)”.

Yama concesse a Naciketa tre doni :


1. possa mio padre essere sereno e felice al mio ritorno
2. insegnami il sacrificio del fuoco che può aiutare a
raggiungere il paradiso
3. insegnami ciò che nessuno conosce – la Verità del Sé

E così Yama gli parlò di śreyo e preyo (buono e piacevole): “Intraprendi il


sentiero della bontà e non quello del piacere. Gli sciocchi percorrono il sentiero dei
piaceri dei sensi per goderne, ma non sanno che stanno sbagliando e che questo li
obbligherà a rimanere ancora sotto il mio controllo”.

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In ogni momento, di fronte all’aspirante, si presentano due
strade:

śreyas (ciò che è buono ma può


non essere piacevole)
preyas (ciò che è piacevole ma
può non essere buono)

Tuttavia questa conoscenza è molto sottile: āścaryo vaktā kuśalo’sya labdhā.


(l’insegnante che parla di questa verità partendo dalla sua esperienza e capace e
meritevole è colui che la ottiene o realizza).

Śravaṇāyāpi bahubhiryo na labhyaḥ śṛṇvanto’pi bahavo yaṁ na vidyuḥ |


āścaryo vaktā kuśalo’sya labdhā āścaryo jñātā kuśalānuśiṣṭaḥ ||

(Anche solo sentire parlare del Sé, non è accessibile a molti. Molti, anche se ne hanno
sentito parlare, non riescono a comprenderlo. Meraviglioso è colui che parla di questa
verità partendo dalla sua esperienza e colui che la ottiene o realizza è capace e meritevole.
Meraviglioso in verità è colui che comprende (realizza) tale verità quando gli viene
insegnata da un precettore capace) - Kaṭhopaniṣad 1.2.7

Soltanto un ottimo allievo può imparare tale conoscenza e soltanto un ottimo


insegnante può insegnarla.

Questa Verità può essere appresa solo quando un aspirante


genuino (studente) viene istruito da un vero guru.

Se l’insegnante non è tale, nareṇa avareṇa, se vive nell’illusione, na suvijñeyo


proktaḥ, allora l’insegnamento non potrà essere compreso correttamente,
aṇoraniyam na hyatarkyamaṇupramāṇāt, non potrà essere compreso con la logica.

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Na nareṇāvareṇa proktā eṣa suvijñeyo bahudhā cintyamānaḥ |
ananyaprokte gatir atra nāsty aṇīyān hyatarkyamaṇupramāṇāt ||

(Questo ātman sul quale si è riflettuto, non può essere compreso se viene insegnato da
colui che manca della realizzazione esperienziale. A meno che non venga insegnato da un
maestro superiore, uno che ha sperimentato l’unità, non c’è altra maniera di giungervi,
perché è più sottile del sottile e va al di là di ogni argomentazione) - Kaṭhopaniṣad 1,2,8

Poi Yama prosegue la sua spiegazione dicendo che questa conoscenza è la più
sottile e anche la più grande e di come non sia facile, na medhayā, na bahunā
śrutena. Per quante siano le volte che la ascoltate e per quante siano le persone dalle
quali ricevete questo insegnamento non riuscirete a comprenderlo, poiché dovrete
riceverlo esclusivamente da un vero jñāni. Il discepolo dovrebbe essere come
Naciketa e l’insegnante dovrebbe essere uno jñāni come Yama.

È più sottile del più sottile e più grande del più grande.
Non può essere compreso semplicemente sentendolo
raccontare in numerosi modi da persone diverse.

Questa conoscenza si raggiunge nel fare determinate cose e nel non fare altre
cose. Ciò che si deve fare è yamevaiṣa vṛṇute tena labhyaḥ, desiderare soltanto
Quello, il Brahman.

Nāyamātmā pravacanena labhyo na medhayā, na bahunā śrutena |


yamevaiṣa vṛṇute tena labhyah tasyaiṣa ātmā vivṛṇute tanūṁ svām ||

(Questo ātman non può essere ottenuto né tramite lo studio delle Scritture né grazie
all’intelligenza né a molta conoscenza. Viene ottenuto da chi lo sceglie escludendo tutto il
resto. L’ātman si rivela a tale persona) - Kaṭhopaniṣad 1,2,23

E ciò che non si deve fare è nāvirato duścaritānnāśānto nāsamāhitaḥ


|nāśāntamānaso vāpiprajñānenainamāpnuyāt ||

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Nāvirato duścaritānnāśānto nāsamāhitaḥ/
nāśāntamānaso vāpiprajñānenainamāpnuyāt//

(Esso (il Sé) non può essere ottenuto tramite la conoscenza da chi non desiste dalla
cattiveria, da chi non è in pace (i cui sensi non sono sotto controllo) e la cui mente non è
concentrata e da chi non è pacifico) - Kaṭhopaniṣad 1,2,24

Cinque cose da fare e da non fare per ottenere questa


conoscenza:

yamevaiṣa vṛṇute nāvirato duścaritāt


(il solo desiderio per esso (Brahman) (non indulgere il corpo e i sensi in
comportamenti sbagliati)
nāśānta
(non avere molti desideri,
preoccupazioni e paure che portino
ad una mente irrequieta)
nāsamāhita
(non tenere la mente in uno stato
volubile, non concentrato e distratto)
nāśāntamānasa
(non sviluppare impazienza per la
realizzazione)

Egli ha fatto tutto ciò. Poi è giunto alla seguente meditazione. Yama aveva
spiegato: “Considera che nel corpo convivono due esseri viventi: il jīvātman e il
paramātman e che apparentemente entrambi godono dei frutti dell’azione”.

Ci sono due residenti nel cuore:

jīvātman paramātman
(sé individuale) (Coscienza Suprema)

Entrambi sembrano godere dei frutti delle azioni del corpo

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Poi prosegue insegnandogli che questo jīvātman è il rathinam, il passeggero del
ratha, che buddhi è il sārathi (l’auriga), che la mente, manas, sono le redini, che i
cavalli sono i sensi e che gli oggetti dei sensi, indriyārtha e viṣaya sono la strada
sulla quale galoppano i cavalli. Se buddhi è yukta (assorbita, devota) e se manas è
samanaska, śuciḥ (pura), allora i vostri cavalli saranno sadaśvaḥ, dei buoni cavalli e
li potrete controllare.

buddhi: intelletto (sārathi - cocchiere)

ātman: Sé (passeggero)

manas: mente (pragraha - redini)

indriya: sensi (cavalli)

viṣaya: oggetti dei sensi (strada)

Ma se la buddhi è ayukta manasa, avijñāni (mente distratta, priva di


discriminazione, se c’è aśuciḥ manasa (ente impura), allora i cavalli diventerebbero
duṣṭaśva (cani) e non potreste controllarli. Soltanto colui che li controlla sarà in
grado di percorrere questo sentiero, viṣṇoḥparamam padam, e raggiungerà lo stadio
elevato ed eccelso dell’esistenza di Brahman.

Vijñānasārathiryastu manaḥpragrahavān naraḥ|


so’dhvanaḥparamāpnoti tad viṣṇoḥparamam padam ||

(L’uomo che ha per auriga un intelletto discriminante e per redini la mente sotto
controllo, giunge alla fine del viaggio: il supremo stato di Viṣṇu (l’Onnipervadente)) -
Kaṭhopaniṣad 1,3,9

Poi prosegue spiegando gli otto passi, di come si passi da indriya,


indriyarthebhyaḥ a manas, da manas a buddhi fino a giungere al Puruṣa. Sā kāṣṭhā
sā parā gatiḥ.

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Mahataḥ paramavyaktam avyaktāt puruṣaḥ paraḥ |
puruṣānna paraṁ kiñcit sā kāṣṭhā sā parā gatiḥ ||

(Il non manifesto (Iśvara) è superiore al Mahat (Hiraṇyagarbha, la soglia della


creazione tra il non manifesto e il manifesto); il Puruṣa (Il Sé) è superiore al non manifesto.
Non c’è niente di superiore al Puruṣa, che è il culmine, lo scopo supremo) - Kaṭhopaniṣad
1,3,11

Dopodiché vi è una conoscenza molto sottile che è custodita dentro di noi e che
si ottiene soltanto con un’ottima sūksma buddhi (intelletto sottile).

Otto passi per la liberazione:

indriya, i sensi

indriyārtha, le facoltà dei sensi (o oggetti dei sensi)

manas, la mente

buddhi, l’intelletto

jīvātman, il sé individuale

vyakta-puruṣa, il Brahman manifesto


avyakta-puruṣa, il Brahman immanifesto (Iśvara)



puruṣa, la Coscienza Suprema

Poi spiega come si fa a sviluppare sūksma buddhi: ritirando gli indriya nella
mente e a sua volta la mente nella buddhi inferiore e la buddhi inferiore nella buddhi
superiore e la buddhi superiore nella Coscienza Suprema, nella Consapevolezza più
elevata.

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Come sviluppare la sūkṣma buddhi:

śānta ātmani mahati ātmani jñāna ātmani

parabrahman ← mahati buddhi ← buddhi ← manas ← indriya

coscienza intelletto cosmico intelletto mente sensi


suprema superiore individuale
indriyārtha

facoltà
sensoriali (o
oggetti dei
sensi)

Yama prosegue affermando che questo sentiero è molto difficile, che non
avendolo mai percorso non è facile, ma che tuttavia lo dovete percorrere. Non siate
pigri, piuttosto siate attenti, trovatevi un guru e camminate su questo sentiero.

Il cammino spirituale può essere


estremamente difficile, come camminare su
un’affilata lama di rasoio.
Non siate pigri, fate attenzione, trovate un
guru e camminate su questo sentiero.

Ed ora la conclusione dell'insegnamento di Yama. Egli descrive lo stadio finale


che viene ottenuto percorrendo questo cammino: śānta ātmani.

Come viene descritto lo stato di śānta ātmani:

aśabdam – non può essere ascoltato | asparśam – non può essere


toccato/sentito | arūpam – non può essere visto | avyayam – imperituro,
inalterabile | arasam – non può essere gustato | nityam - eterno, per
sempre | agandhavat – non può essere odorato | anādi - senza inizio |
mahataḥ param – superiore a hiraṇyagarbha | dhruvam – stabile,
immutabile

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È aśabdam, non può essere ascoltato;

è asparśam, non può essere toccato;

arūpam, non può essere visto;

avyayam, è incorruttibile, imperituro e inalterabile;

arasaṁ, non può essere gustato;

nityam, è eterno;

agandham, non può essere odorato;

anādi, non ha inizio, è senza principio;

anantam, è infinito.

Mahataḥ param, è addirittura più grande del mahataḥ ed è più grande


dell’hiraṇyagarbha.

In principio quando tutti gli elementi si unirono per formare l’universo fu


definito hiraṇyagarbha; il mahataḥ param è oltre quello stadio e anche oltre Iśvara,
è Parabrahman dhruvam, il Supremo che è stabile, immutabile.

Drhuva significa stabile. Iśvara non è stabile poiché pensa, mentre il


Parabrahman non pensa ed è lo stadio finale, eterno e stabile. Nicāyya:
conoscendolo,

tat mṛtyumukhāt pramucyate; colui che conosce questo stato,

mṛtyumukhāt, è libero dalle fauci della morte. Questa è la benedizione finale di


Yama.

Egli dice: “Sarai libero dalle mie grinfie dato che avrai imparato che sei oltre la
nascita e la morte, pertanto Yama non ti potrà più toccare”. Questo significa che il
corpo morirà, ma che tu non morirai, che acquisirai quella comprensione e ne trarrai
coraggio. Abhayasya param, raggiungerai lo stadio del massimo coraggio che non è
altro che la spiritualità.

Quindi quest’ultimo śloka dice che quello stato non può essere compreso dai
sensi, poiché indriya e indriyārtha non sono in grado di ottenerlo. Gli indriya sono:
śabda, sparśa, rūpa, rasa, gandha, o i pañcabhūta: ākāśa, vāyu, agni, āpa, pṛthvī.
Questi ultimi sono in relazione con i nostri sensi. Quindi non potete ottenere questo

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stato in būtākāśa (spazio materiale) e nemmeno attraverso gli indriya e il corpo
grossolano.

Allora qual è il metodo? Egli dice che si deve andare in profondità. E


continuando ad andare in profondità dentro di voi, piano piano questa comprensione
giungerà a voi. Se osservate una montagna da lontano vedrete soltanto il suo profilo,
ma se vi avvicinerete comincerete a scorgere gli
alberi e le rocce e, se vi avvicinerete
ulteriormente, riuscirete a distinguere i differenti
i tipi di alberi: l’albero di tamarindo, di neem e di
mango e avvicinandovi di più potrete vedere i
manghi o i tamarindi che pendono dagli alberi.
Se infine raggiungerete la montagna allora
saprete esattamente come è fatta.

Questo vale anche quando vi avvicinate sempre più al vostro Divino Sé che è
oltre i cinque sensi ed è questo il motivo per cui vengono rimossi nelle prime due
righe, poiché il vostro Divino Sé non ha queste proprietà. Quindi se meditando vedete
delle luci blu, verdi e gialle e pensate che sia Brahman, sappiate che non può essere
Brahman. Se poi udite il canto dell’Oṁkāram e pensate che sia Brahman, sappiate
che in realtà è il vostro vicino di casa che sta cantando molto forte. Eppure voi avete
creduto che provenisse da dentro di voi. Tutto ciò viene prodotto dalla vostra mente.
La mente vi mostra tutto ciò che volete: mahimanam, è molto potente. Proprio come
nei sogni, la mente crea tutto e ve lo mostra; funziona così anche da svegli, la mente
vi mostra tutto. In telegu si dice cinema choopisthaaru, vi farà vedere il film, vi
mostrerà un film che non esiste.

Quindi Yama nel suo insegnamento ha parlato di śabda, sparśa, rūpa, rasa e
gandha e li ha esclusi e di avyayam, poiché è immutabile, non cambia, è stabile ed è
inalterabile. Ciò che vediamo adesso, un attimo dopo potremmo non vederlo più, ciò
che udiamo, l’istante successivo potremmo non udirlo più, ciò che assaporiamo dopo
poco potremmo non assaporarlo più. Ma quando conoscerete Quello, sarà per sempre.

Non vi è alcuna alterazione in Quello, avyayam.

Esso è anādi anantam, poiché non ha principio, è infinito. Soltanto ciò che ha
un inizio avrà una fine. Come un cerchio che non ha né inizio né fine o addirittura un
punto che è ancor più sūksma (sottile): dove sono l’inizio e la fine in un punto? Anādi
anantam, esso era lì fin dal principio, c’è anche ora e ci sarà anche quando il corpo
non ci sarà più.

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Mahataḥ param dhruvam, esso si trova al di là del mahati, l’hiraṇyagarbha
kośa, è oltre prakṛti (la Natura, la creazione). In un certo senso hiraṇyagarbha è una
rappresentazione di prakṛti. È oltre lo stadio dell’esistenza stabile, è la Coscienza
Suprema che per conoscere non ha bisogno né dei sensi, né della mente e neanche di
buddhi.

In effetti lo conoscerete soltanto quando eliminerete tutti questi aspetti,


dopodiché sarete liberi dalle grinfie della morte. Spariranno dalla vostra testa sia
janma (nascita) che maraṇa (morte) e sarete completamente liberi, niente più nascita
e morte. Altrimenti la vostra vita rimarrà coinvolta con la nascita, la morte e il
matrimonio che sono gli eventi più importanti della vita. Il primo è la nascita,
l’ultimo è la morte e nel mezzo vi è il matrimonio. Invece questa cosa non ha né
nascita, né morte, pertanto voi siete Quello.

Ecco perché il corpo muore, ma voi non morite. Voi siete stabili, dhruvam, non
potete essere scossi, siete fissi, costanti, mentre tutto il resto si muove. Dato che
Quello è fisso tutto il resto sembra in movimento. Se anche Quello fosse stato in
movimento insieme a tutto il resto, non sarebbe stato possibile comprendere le cose.
Invece Quello è stabile, poiché mentre voi siete stabili il traffico continua a scorrere.

La strada è ferma, ma l’automobile si muove. Lo schermo è fisso, ma le


immagini sono in movimento. Quindi Quello è sempre stabile e non subisce
alterazioni mentre tutto il resto sì. Vi spiego un concetto semplice: ‘Io sono
immutabile. Su di me è giunto un bambino, poi è sopraggiunto un adolescente, poi un
giovane, un adulto, un vecchio e infine muoio. Tuttavia queste sono tutte proiezioni
su di me, modificazioni esteriori, ma interiormente io sono costante, inalterabile’.

Tutte queste sono solo proiezioni


esterne, ma internamente nulla
cambia.

Non dovete mai pensare che state invecchiando. Anche se siete dei ragazzi di
sedici anni e diventerete degli uomini di sessant’anni, in qualche modo interiormente
siete sempre uguali, siete sempre gli stessi. Le persone osservando il vostro corpo
possono darvi un’età, ma voi interiormente non potrete mai percepire
l’invecchiamento. Questo è il concetto: non cambiamo, noi siamo dhruvam (stabili),

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mentre tutto il resto è adhruvam (instabile). Da adhruvam non potrà mai scaturire
dhruvam.

Yama dice: “Ecco perché ti avevo insegnato lo yajña, affinché tu rincorressi ciò
che è effimero e temporaneo, poiché so che da questi aspetti temporanei non deriva
ciò che è permanente. Tu invece vuoi raggiungere ciò che è permanente”. L’uomo
può divenire marito, padre, figlio, fratello, amico e impiegato. Chi è dhruvam nel
padre, nel figlio e nel fratello? L’uomo di partenza è sempre lo stesso. Egli diviene
marito soltanto quando c'è la moglie, è figlio soltanto quando c'è il padre, è padre
quando arriva il figlio e fratello quando arriva la sorella. Se rimuoviamo tutti questi
upādhi (modificazioni), chi rimane? Sempre la stessa persona.

Analogamente lo stesso ātma... ekātma sarvabhūtāntarātmā, è soltanto l’Uno


che è diventato molti, ekoham bahu syām.

Questa è la Verità vedantica e tutto il resto sono soltanto proiezioni, come


quando proiettiamo un film su un muro che è stabile mentre le immagini scorrono su
di esso. Allo stesso modo noi siamo dhruvam.

Questa è la comprensione finale che emergerà dalla pratica della Kaṭhopaniṣad e


non dal semplice ascolto.

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