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Selvaggia Joyce Ritorno a te
Ritorno a te
di
Selvaggia Joyce
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
A Natascia
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
Grazie di tutto.
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Strade?
Dove andiamo noi non ci
servono… strade!
(“Ritorno al futuro”
di Robert Zemeckis)
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-Ti piace?
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Arancione fosforescente. Dai colori si capisce
tutto. Non era depresso neanche nei colori. Gli
avevo portato la mia Ford Fiesta rossa. Pochi
giorni prima l'avevo sfregiata sul guard rail. Mi ero
distratta un attimo per mandare un sms a mia
sorella e, e niente, mi ritrovai a tenere stretto il
volante con gli occhi fuori dalle orbite mentre si
segnava tutto il lato destro della mia povera
macchina e io cercavo di riportarla in carreggiata.
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Un giorno me lo chiese e io gli risposi di Sì. Lui
tutto felice mi disse:
-Davvero?
E io:
-No.
-Dai.
-No.
-Perché no?
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-Eh.
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macchina, sembra un pacchetto delle tic tac
all‟arancia!
-Insisti.
-Uff.
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Passò con lei sei meravigliosi mesi della sua vita,
non si era scordato neanche un piccolo attimo
vissuto con lei. Ogni tanto iniziava a raccontarli e
gli occhi tristi guardavano nel vuoto e per un
attimo ritornavano felici se pur impregnati di
nostalgia.
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-Luca non so cosa avrei fatto senza di te. E io
che pensavo fossero solo dei disegnini così messi
lì per bellezza. Porca miseria delle volte si
vengono a scoprire delle cose che non si
sarebbero mai immaginate.
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-Sì, ci attacchi il tuo mp3, scegli la canzone che
si avvicina più al tuo stato d‟animo di quel
momento e poi vedrai che la magia avverrà!
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non l‟ascoltavo mai. Quindi diciamo che più che
autoradio si poteva chiamare “automp3”!
-Buuh
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-Perfetta!
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Mia sorella venne ad abitare da me perché la
casa dei miei era troppo piccola e poi ci sentivamo
più libere in quell‟appartamento da sole, senza
nessuno che ti diceva cosa fare, quando mangiare,
quando ritornare.
-Cosa c‟è?
-Luca è.
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-Figo!
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II
Notte.
La sveglia che ticchetta sul comodino, fa più
rumore lei che i rumori della notte.
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testa. Blu, nero, bianco. Linee nere, macchie
bianche. Volti, eccitazioni, sconforto, ansia,
sempre l‟ansia. Ti volti e ti rivolti nel letto. Ti
fanno male le gambe, le braccia. Stringi il cuscino
e fai grandi respiri. Si cerca di non pensare, ma le
immagini nella testa scivolano, girano come cicloni
e solo loro decidono quando sarà il momento di
dormire, solo loro spegneranno l‟interruttore .
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-Buuh
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fila a pallavolo, non ne sono capace è inutile e poi
ho sonno. Io non la faccio.
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Ma in realtà non va proprio così.
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Gabriele così lontano eppure sempre vicino al
cuore, ogni giorno, ogni secondo.
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-Pure!
-Sì, pure.
-Gabriele, Gabriele.
-Ma va‟…
-Che succede?
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-Andiamo bene.
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sera fu che riuscimmo ad arrivare lo stesso in
prima fila.
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Finito il concerto ci dirigemmo alla mia bella
fiesta arancione fosforescente.
Le 23:23.
L‟ora doppia.
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“Non si sa mai”.
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All‟improvviso sentimmo delle voci. Voci di un
gruppo di ragazzi che parlavano e ridevano.
-Loro chi?
-Cosa?
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ci vedevano come il classico gruppo di amici che
voleva passare la serata in un locale.
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avevo percorso quelle strade, quei portici da sola.
Da quella notte tutto sarebbe cambiato: quella
città avrebbe conservato per sempre quel giorno,
quei piccoli istanti.
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Luca. L‟automp3.
-Seee,certo.
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-Perché?
-Aspetta.
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po‟ preoccupata del problema degli orologi. Stava
vivendo dentro al suo sogno e gli orologi nei sogni
non esistono.
Salimmo in macchina.
Telefonai a Luca.
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-Tesoro, senti, nel lato sinistro in basso
dell‟autoradio c‟è un bottoncino rosso. Lo vedi?
-Sì!
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Luca, ciao, Luca e nonostante tutto, nonostante
tutto questo, ti ringrazio per avermi permesso di
averlo per un attimo tutto per me, anche se è stato
una mossa sbagliata, anche se per lui sono ancora
la stessa ragazzina che vede dietro ad una
transenna con la quale non avrà mai niente a che
fare. La verità è che Gabriele è destinato a
rimanere per sempre un sogno e io me lo devo
prima o poi dimenticare.
23:24.
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III
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La notte era l'unica mia amica, chiudevo gli
occhi e tutto spariva. Potevo piangere senza
vergognarmi di nulla, il mio dolore poteva vivere
tra le sue braccia buie. C‟erano notti però che
quella sera viveva ancora dentro la mia mente. La
panchina, le due torri, il bacio, Gabriele. Non
riuscivo a chiudere occhio, non riuscivo ad
accettare che non fosse stato solo un sogno, che
qualche cosa lo avevo vissuto proprio sulla mia
pelle, sentito dentro fino in fondo, dentro alla
pancia, dentro al petto. Quel calore così vero e
quel respiro così leggero. Era la serenità. Era tutto
quello che avevo cercato fino a quel momento.
Era serenità finta. Era inganno. Era un giochino
che aveva creato un uomo per andare contro alla
natura di un mondo fatto alla perfezione. Un
diavolo che odiava ciò che aveva creato quel Dio
che ora non ascoltava le mie preghiere. Quel Dio
che maledivo per avermi fatto vivere quel giorno,
quel Dio a cui chiedevo spiegazione, il quale forse
pensava che ero felice dopo aver vissuto quella
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Lo presi e lo misi sul tavolo senza sfogliarlo.
Non avevo nessun interesse per nulla anche se
quel film era uno dei miei preferiti.
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Salii in aereo con il cuore in gola, già mi era
venuto un po' di panico. Cavolo proprio io che
soffrivo di vertigini in un modo assurdo!
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Mi chiese in inglese se stavo bene. Gli risposi
con un sorriso. Poi lui continuò a cantare a bassa
voce guardando fuori dal finestrino.
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facile. Non stavo vivendo in un film, ma nella
realtà. E poi, poi ero quella ragazzina della
transenna.
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Cercai di ricordare quel film, c'erano per caso
degli hotel in quella città? Magari ne avevano
costruiti di nuovi, infondo quel film era stato
girato più di 25 anni prima! E, infatti, proprio
vicino a quel bar: il "Caffè 80", c'era un hotel: il
Mcfly Hotel. Mi sfuggì un sorriso quando lessi il
nome. Prima, però, di entrare nell'hotel e vedere
se c'era una camera libera per me, dovevo
assolutamente entrare in quel bar e ordinare una
Pepsi!!
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Per P.e.p.s.i si intende:
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preciso. Stavo cercando qualcosa o qualcuno, ma
non ne ero sicura. Un bancone del bar. Qualcuno
era seduto su uno sgabello di profilo e tra le mani
aveva una birra corona, non riuscivo a vederlo
bene in viso, stava parlando con qualcuno. Mi
avvicinai piano piano, ero convinta di conoscere
quel viso e mi sembrava che fosse lui. Provai a
chiamarlo. Si girò e mi vide, ma poi un sacco di
persone mi passarono davanti, io cercavo di
superarle, ma non ci riuscivo. Quando tutte
furono passate, lui non c‟era più, mi girai, mi
guardai attorno se c‟era, se riuscivo a vederlo. Non
c‟era più. La musica era più alta, sempre più
fastidiosa, caddi per terra in ginocchio, mi tappai
le orecchie, provavo a gridare, ma non ci riuscivo.
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era diventata lontana come quelle stelle, come
l‟America a Bologna.
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IV
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vicino. Chissà se era vero che fu colpita da un
fulmine nel 1955. Lo avrei scoperto quella
mattina, se l‟orologio funzionava allora non era
vero se non funzionava allora…
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nessuna sorpresa era solo la conferma che esisteva
nella realtà e niente di più.
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ora? Ora, ora era così buffo: mi ritrovavo a
scappare da lui.
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Circa un anno prima avevo fatto la stessa cosa,
solo che quel giorno avevo scoperto che non
l‟avrei rivisto e non sapevo quanto tempo sarebbe
passato prima che lo avessi di nuovo incontrato,
quindi disperata presi in mano il rasoio e mi rasai a
zero la nuca. Non so perché lo feci, sapevo che
non avrebbe cambiato nulla. Fu come se mi
volessi ribellare da qualcosa. Da qualcosa che c‟era
dentro alla mia testa. Piansi molto quel giorno.
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messo piede a Hill Valley, non avevo manco avuto
il tempo di ambientarmi che quella notizia mi
aveva decisamente schiacciato ogni speranza di
guarigione.
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serpentelli che si rincorrevano e poi si
mangiavano. Diventavano grandi, grandi e poi
cadevano. La loro voracità li portava allo schianto.
La mia voracità di lui mi avrebbe portata allo
schianto?
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L‟ultima volta che lo vidi era stato a una lezione
di teorie e tecniche del montaggio e non sapevo
che sarebbe stata l‟ultima volta. Un giorno in
internet trovai il suo Myspace, ma non avevo
avuto il coraggio di inviargli la richiesta di amicizia
.Mi vergognavo di quello che ero…
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raccontai tutto omettendo la storia dell‟automp3
magica, del tempo che si era fermato. Mi avrebbe
presa sicuramente per pazza e a dire il vero in
alcuni momenti mi davo da sola della pazza. Era
molto difficile credere a quello che mi era
successo. Gli raccontai che avevo incontrato
Gabriele in un pub per caso e avevo iniziato a
parlare con lui. A dire il vero, se fosse successo
così, io in quel momento, forse, non mi sarei
ritrovata a Hill Valley da sola, persa, confusa e
disperata. Gli dissi che lui in realtà era fidanzato e
che me lo disse solo dopo due mesi che ci
frequentavamo.
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Sentivo che anche lui stava scappando da
qualcosa, voleva liberarsi da qualche dolore che
nascondeva dietro a quel sorriso che aveva
sempre sul viso.
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avevo mai ricevuto un biglietto così romantico.
Quella città era davvero magica.
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diverso, ma non ero mai riuscita a trovarlo, lo
avevo solo trovato un po‟ nei suoi concerti, ma
poi la realtà ha impregnato anche quel suo mondo
e anche lui è diventato così. Una volta gli avevo
anche scritto un‟email, avevo pensato per un po‟
che lui la pensasse come me, ma penso che non
abbia capito nulla di quello che gli scrissi, anzi
sono sicura che mi abbia presa per pazza. Beh,
sempre se l‟abbia letta.
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“Ritorno al futuro”. Dopo averlo trovato, piano
ma veloce mi avvicinai a lui, lo salutai con
timidezza e gli chiesi se me lo poteva autografare.
Lui mi fece un sorriso e chiese al commesso di
prestargli il pennarello, mi chiese come mi
chiamavo e mi fece l‟autografo con dedica. Cavolo
Christopher LLoyd a Hill Valley, mi sentivo più
che fortunata, mi sembrava di aver vinto
all‟Enalotto!
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negozio, dove avevo incontrato Doc e comprato il
cofanetto, lo usavano i camionisti per fermarsi a
dormire nei week end.
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Avevo paura di me. Se avevo fatto quello con
una fantasia, sicuramente lo avrei fatto anche con
qualcuno di reale.
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Che poi Security, cavolo di Security volevano
fare se non c‟era anima viva che passava di lì?
Avrò incrociato due o tre macchine sì e no
durante il tragitto.
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avvicinasse a quei film che vedevo ogni giorno,
attraverso quei film io riuscivo a sentirmi viva, mi
sembrava di vivere. Mi ero scordata però che
eravamo in Italia, che per entrare in quel mondo
bisognava avere parenti o amici oppure essere un
cazzo di super genio. Io non avevo né parenti né
amici e non ero un cazzo di super genio. Studiare
non bastava, quella scuola era solo per cultura
personale. La cultura personale me la potevo fare
anche a casa. Io non avevo bisogno di cultura
personale, nessuno ha bisogno di cultura
personale. Una persona ha bisogno di vivere. Di
sentirsi viva ogni giorno. È vivendo che ci si fa
una cultura personale. Ogni cosa che viene detta,
che esce dalla bocca, dovrebbe essere stata vissuta
prima. Solo verità dovrebbe uscire dalla bocca,
solo cose vere e belle. Sì, perché nella vita si
vivono anche le cose belle, si può, io né sono
sicura, che si può vivere una vita fatta di cose
belle, di tante cose belle e invece non si fa altro
che lamentarsi tutto il giorno e solo perché, solo
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grande è quello che fa andare avanti il mondo. È
quello che, sì, è quello che permette ancora di far
girare la terra intorno al sole.
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Si girò e mi vide.
-Oh, vedo!
-Ma tu?
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deserto questo posto. Il commesso mi aveva detto
che
-Chi?
-Tieniti forte.
-Dai, dimmelo.
-Ah, lui.
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-Ok!
-Ma, ma è…
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-Esatto! Lui
-Quindi tu…tu…
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Sì, certo come no. Non ero mica nella mia Ford
Fiesta Arancione Fosforescente a esprimere
desideri che poi si avveravano. Ero lì davanti a
quel ragazzo, Marco, ma chi era Marco? Chi era?
Ci avevo fatto l‟amore quella notte, ma iniziava
tutto a offuscarsi quasi come un sogno. Ma
sentivo una sensazione strana dentro di me, forse
quasi una liberazione da qualcosa, una sensazione
di star bene. Una sensazione nuova. Una di quelle
che sai inconsciamente che da quel momento in
poi non ne potrai più farne a meno. Era come se
mi trovassi in un posto bellissimo. Uno di quei
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posti dove si respira a pieni polmoni aria fresca.
Magari un giardino di una villa inglese antica. Un
giardino che non si vorrebbe mai lasciare, un
giardino che si sa che prima o poi si dovrà lasciare.
Uscire da quel cancello e ritrovare ancora quel
mondo che non riesce fare a meno di inghiottirti,
di farti sentire in colpa di stare bene e anche di
farti sentire in colpa di stare male. Accendi la tv e
guardi un telegiornale e vedi tutta quella gente che
muore. Passi davanti ad un ospedale e pensi che
non hai nessun diritto di lamentarti, nessunissimo
diritto. Le preghiere aspettano a loro. I miracolo
aspettano a loro. Loro hanno il diritto di star bene.
Tu invece stai già bene e quel tuo star male può
passare anche in secondo piano, e così lo fai. Lo
fai per un bel po‟ di tempo, poi arrivi ad un punto
che non riesci più a respirare. Si sente un dolore
proprio in mezzo al petto. Dai, ci si dice, dai sarà
solo un po‟ di stress. Certo, solo un po‟ di stress.
Dai, su, passerà. E i giorni passano e quell‟aria fa
sempre più fatica a passare. Intanto si inizia a
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Sempre sola. Eri solo una cavolo di immagine che
ballava e cantava e mi illudeva, un ciao anonimo
alla fine di un concerto. Gabriele nessuno si merita
questo. Nessuno. Sei un cantante? Bene, fai il
cantante e canta quelle cazzo delle tue canzoni e
fai amare solo quelle tue cazzo di canzoni e
ricordalo sempre a chi ti ascolta che loro vivranno
solo lì, solo lì dentro. Certo, lo hai detto in quella
canzone, ma poi tutte quelle ragazzine quando
finisce continuano a lanciarti i loro Ti Amo. Ti
amo veri, veri che scorrono dentro. Quei Ti amo
che le fanno stare più male che bene.
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-Finito.
-Lo so!
-Ah.
E rideva.
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-Andiamo a pranzo? Ho fame.
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poi quando te le trovi di fronte per davvero, non
so perché, e non so che cosa, ti blocchi, il tuo
cervello si ferma e ti dice: “No, aspetta. Mica lo
conosco questo. Chi è? Che gli dico?”.
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baciavo pure nell‟ultimo giorno che il Titanic
vedeva la luce e poi gli dicevo addio sopra a una
porta in legno in mezzo all‟Oceano Atlantico. Dio
se ho pianto! Dio se vivevo in quell‟Isola che non
c‟è. Ah, nella realtà avevo 10 anni, nel film 17. E
ne vogliamo parlare di Ritorno al futuro? Se devo
essere sincera io ho viaggiato con Marty nella
macchina del tempo, ebbene sì, l‟ho fatto. Mi
ricordo anche i particolari. Eravamo seguiti da un
camioncino di libici incazzati perché Christopher
gli aveva rubato una cassa di plutonio e l‟aveva
scambiata con un‟altra uguale con dei pezzi di
flipper. Beh, in effetti, non avevano tutti i torti.
Però cavolo quel plutonio era per una cosa
importantissima: far funzionare la macchina del
tempo. Comunque li vedevo dal specchietto che ci
sparavano addosso, a dire il vero, un po‟ di fifa ce
l‟avevo. Marty ad un certo punto disse: “Vediamo
se riescono a raggiungere le novanta miglia all‟ora”
Superammo le ottanta, superammo anche le 85 e
superammo anche le 88 miglia a l‟ora e ci
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Oh, sì Marco appena sceso dall‟auto mi strinse la
mano e non mi lasciò più fino a quando non ci
sedemmo al tavolo.
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commento nel suo Myspace e un giorno gli dissi
che ero andata in quei giardini e che sarebbe stato
bello un giorno andarci con lui. Lui leggeva, o
almeno diceva così, mi avrà mandata a quel paese
quando lo avrà letto. Ha fatto bene.
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centrato nulla, che era così naturale, così logico e
giusto che non centrassero nulla con me.
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ce l‟abbiamo dentro e dobbiamo scappare,
dobbiamo correre, correre via da tutto, da tutti,
dobbiamo starcene da soli seduti in uno spazio
verde e guardare l‟alba e guardare il tramonto e
avere come musica il silenzio.
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Sentii una macchina arrivare. Alzai la testa. Era
una mercedes nera. Si fermò davanti ad un albergo
a 4 stelle che si trovava proprio di fronte al
cimitero, dall‟altra parte della strada. Vidi aprirsi la
portella dell‟auto e un ragazzo scese dalla
macchina, portava un coppola in testa.
Marco.
Era il suo.
Si girò.
Si girò…
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Avevo i brividi.
Era lui.
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Cristo Santo, Gabriele.
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Mi voltai.
-O la va o la spacca.
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come sempre. Ma non avevo altra scelta, la mia
testa era in pausa e quindi dovevo ascoltare
qualcosa d‟altro.
Passai la strada.
Eh…
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Andai in camera.
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Presi in mano la borsa per prendere il
telefonino.
-Come stai?
-Ora meglio.
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-Sorpresa?
-Ok.
-Allora a stasera.
-A stasera. Ah Marco…
-Sì.
-Grazie.
-A stasera.
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Chiusi la telefonata e avevo il petto pieno di aria
nuova. Pace, sentivo pace e serenità. Il respiro era
leggero, come quella mattina dopo la notte con lui.
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VI
-Sì?
-Sono Marco.
-Qui dove?
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-Ah, alla torre dell‟orologio. Alla torre
dell‟orologio? Ma che ore sono?
-Bacio. Ciao.
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“Vai”.
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Però Marco, quello sguardo. Che sguardo triste
o forse preoccupato che aveva. Forse aveva una
storia da raccontare, forse aveva un male dentro
come il mio che non riusciva a far andare via, solo
che lui era più forte di me e riusciva a sopportarlo
di più. Che poi forse è meglio essere deboli. Non
serve a nulla tenersi un dolore dentro, non serve
proprio a nulla.
-Ciao.
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-Ah sì? –facendo la finta tonta.
-Sushi Wok?
-È questa la sorpresa?
-Dai, brontolona.
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musicali con musica diversa e stili molto diversi da
quelli che ascoltavo. Abbiamo conosciuto così
insieme i Found. Con loro due e mia sorella
abbiamo iniziato a seguirli in tutte le loro date.
Tornavo a casa dall‟università e sul cellulare c‟era
già un sms di Lucia con scritto che loro sarebbero
stati in quel posto ed era bello, ed ero felice. Era
bello condividere tutte quelle emozioni insieme.
Avevamo il cuore che batteva all‟unisono quando
andavamo a fare gli autografi e le foto. Eravamo
felici insieme quando correvamo per prendere
posto in prima fila e ci rimanevamo lì ore e ore e
nessuna di noi mai si stancava o si lamentava.
Tutte noi eravamo legate dalla stessa cosa che non
era poi la musica, non erano neanche i Found,
erano forse sogni, sogni d‟amore. Noi 4
innamorate di qualcosa che forse non esisteva,
innamorate di un‟idea, dei nostri pensieri, delle
nostre fantasie che sembravano che si avveravano
avendo loro davanti. E poi i viaggi, viaggi in treno,
in auto, in bus erano divertenti, era vita. Ogni
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Loro poi presero strade diverse, si trasferirono
in un‟altra città, conobbero altri gruppi musicali e
le nostre strade così si divisero.
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imbarazzo, uno di quei silenzi che è riempito dallo
stare insieme.
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Conoscevo quel posto. Lì nel film la Macchina
del tempo venne distrutta dal treno in mille pezzi.
Marty non avrebbe più potuto viaggiare nel tempo
e da quel momento in poi avrebbe dovuto vivere
la sua vita al meglio, cercando di fare le scelte
giuste.
-È il momento.
-Sì.
-Pronta, pronta?
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-Che ci fa questa macchina qui?
-E a me lo chiedi?
-Sei impazzito?
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un posto dove nessuno ci è mai andato? Ti ricordi
quella scena del Titanic? Quella dove Jack e Rose
sono nella macchina?
Sorrisi.
– Su una stella.
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-Ehi, maschiaccio a chi? Femminuccia con il
ciuffo.
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Lui si irrigidì.
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non so più che cosa ci faccio qui. Ora ci sei tu, ma
è tutto così confuso. Marco con te sto benissimo,
ma ora non lo so, non so qual è la mia risposta. Io
non lo so.
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quando è ora di ascoltare le storie degli altri se ne
stanno zitti zitti, quando è ora di raccontare la loro
si chiudono, la mettono nascosta dentro di sé
come se fosse un tesoro. Che me ne fregava a me
della storia di Marco? Se lo amavo glielo avrei
detto subito e invece, sono scesa dalla macchina e
me ne sono andata da sola.
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Ma anche se erano loro non lo erano come lei le
aveva conosciute in quel “sogno”.
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-Sai tre anni fa, era tutto così, non lo so, ero
arrabbiato, ma non ero arrabbiato con nessuno in
particolare, nemmeno con il mondo. Avevo deciso
di non rivolgere la parola a nessuno. Avevo deciso
di stare in silenzio, perché sentivo che così stavo
meglio. Con le ragazze, non so, non ho mai avuto
delle lunghe storie, loro non erano mai come io
volevo che fossero. Sai, quelle vedono un bel
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ragazzo e fanno di tutto per farsi notare. Sguardi,
sorrisi da lontano, sai, tutte quelle cose lì. Io sono
stato sempre uno che parlava poco, che se ne
stava in disparte. Ma evidentemente tutto questo
creava un mistero intorno a me e poi, non per
essere non modesto, ma mi hanno sempre trovato
un bel ragazzo. Tutto grazie al mio nonno. Un
giorno ti farò vedere una sua foto da giovane e a
dire il vero mi assomiglia tantissimo.
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avevo coraggio. Mi ricordo che stava tagliando la
legna con il suo coltellino a sera manico, con il
manico in legno che anche quello aveva fatto lui e
io gli dissi: “Nonno ho baciato una bambina”. Gli
dissi che l‟avevo baciata io, non volevo che
pensasse che io fossi un fifone e che avessi paura
delle ragazze. Lui sorrise e continuò il suo lavoro.
Anch‟io quando avevo la tua età ho baciato una
bambina, anzi è stata lei a baciarmi. Io gli feci un
sorriso buffo e poi di corsa ritornai a giocare con
le macchinine. Nonno sapeva sempre tutto e non
so nemmeno come facesse. Un giorno, poco
prima che lui morisse, mi ero lasciato con una
ragazza, lei mi aveva lasciato, ma nessuno sapeva
di lei. Andai a trovarlo e mi disse: “Ragazzetto che
c‟hai? Ti sei lasciato con la fidanzatina?” e io “Ma
se non ce l‟ho nemmeno”. Lui alzò la fronte,
piegò la testa a destra e mi fece una espressione
buffissima di incredulità.
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
-Ti ricordi?
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-Sì, ti ho notato anch‟io sai, che credi? Ma ho
sempre pensato che non ti piacessi. Quel giorno,
tu lo sapevi vero che non prendevo mai l‟autobus.
Vero?
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scoprisse: non si poteva entrare lì dentro. Gli
scalini ci scricchiolavano sotto ai piedi, era molto
antico quell‟edificio e pieno di ragnatele. C‟erano
porte in legno chiuse al primo e al secondo piano.
La scala finiva davanti ad una scala a chiocciola
che avrebbe portato in soffitta dove si sarebbe
potuto vedere l‟orologio. Quella soffitta era vuota.
C‟erano solo due scatoloni rovesciati vicino al
muro a sinistra e una coperta piena di polvere
rossa e gialla, davanti a noi si potevano vedere gli
ingranaggi dell‟orologio e l‟ombra delle statue dei
due puma si allungavano sul pavimento in legno
quasi fino a raggiungere le punte delle nostre all
star.
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-Bello, no?
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-Marco ti prego non farmi degli scherzi, ok?
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-Sì.
-Che scemo!
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solo, che ci faceva dentro ad uno scatolone?
Dov‟è la sua mamma? Sta soffrendo questo
povero piccolo, lui non lo sa, ma sta male. Non ha
bisogno di mangiare, ma di amore, che forse sai,
forse è la stessa cosa.
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
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ancora sola, ora mi sento sola e sto male, questo
amore mi fa male tanto, qui dentro. Marco, si
rischia di vivere una vita senza amare davvero, sai?
Io non voglio rischiare per mio figlio, io non
voglio decidere per la sua vita, almeno ora non ho
il coraggio.
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Mi girai sull‟altro fianco dandogli le spalle, una
lacrima mi scese sul viso, chiusi gli occhi.
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VII
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bigliettino. Un bigliettino ogni giorno. 365
bigliettini all‟anno per tutta la vita. Mi sarebbe
bastato un armadio? Mah.
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Entrarono, aspettai qualche minuto per evitare
che si insospettissero.
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Misi l‟orecchio sulla parete che divideva la mia
stanza e la sua. Non riuscivo a capire molto cosa si
dicevano.
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vedeva chi entrava e chi usciva e si vedevano tutti
gli altri tavoli.
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ciabatte e un cappellino di quelli anonimi, loro
saranno sempre notati. A loro basta poco, basta la
loro presenza, basta solo il loro sguardo, si capisce
subito chi sono, hanno un‟identità ben definita,
non serve nemmeno che aprano bocca. Sono
pericolose quelle persone perché ti potresti
innamorare fino a star male e io, guarda caso,
andavo sempre a cercare quelle persone. Sì, me le
andavo a cercare le mie ore chiuse in stanza per
stare male e piangere per una di loro. Ma sono
fuori dal comune, sembrano angeli, alieni o non so
cosa. Per me quelle persone uomo o donna che
siano sono irresistibili. Che sia chiaro, mai
innamorata di una donna. Gli uomini a dire il vero
li trovo più interessanti delle donne, non perché io
sia etero, ma forse perché…
-Ciao
Perché…
-Eh?
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
-Ciao.
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-Certo che mi ricordo. Sei sempre in prima fila
ai miei concerti. Dai, vieni qui, che ci fai lì da sola,
scambiamo quattro chiacchiere.
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Sorrisi.
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per il concerto. Quando ho letto che suonavate a
Hill Valley, –inventavo- ho deciso di venire. Era
da quando ero piccola che volevo venire qui e
questa è stata un‟occasione da non perdere.
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
-Bologna.
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-Sì.
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
Caffè 80, io, per lui e per Marco, ero nella mia
stanza che stavo dormendo.
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- Gabriele, ti devo una Pepsi.
-Lascia stare.
-Andiamo?
-Andiamo.
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
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siamo solo una band emergente, in qualche modo
sconosciuta dai più. Ho ancora sogni da realizzare,
sono dentro al sogno ma per me è solo l‟inizio.
Ho paura che arrivi il mattino e mi risvegli nel mio
letto e mi renda conto che è stato tutto solo un
sogno.
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
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-Da piccolo andavo sempre con i miei al lago e
ogni volta chiedevo a mamma di darmi un
pezzetto di pane vecchio per dare da mangiare ai
cigni e alle paperelle. A volte vedevo anche quelle
piccoline, mi piacevano tanto, tenere tenere, ho
sempre desiderato prenderne una tra le mani e
accarezzarla, ma non l‟ho mai fatto e non l‟avrei
nemmeno fatto neanche se ne avessi avuto la
possibilità.
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Vedi, queste paperelle? Queste paperelle non
soffriranno mai. Se ne andranno quando sarà il
momento e non vivranno mai momenti dove
odieranno la propria madre.
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
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– Dai, fammi finire questa tua giornata unica
con la ragazza con le scarpe e le calze bagnate di
Pepsi, quanto ti ricapiterà ancora?
-Ok, andiamo.
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
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altro. Se vuoi capirmi guardami negli occhi, ascolta
il suono della mia voce e il mio modo di
camminare e il mio silenzio. Ascolta il mio
silenzio.
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ragazzo, che sta affianco ad una ragazza e le sta
dicendo che è veramente molto carina.
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-Non ci credo.
-Sì, conoscente.
-Sì, conoscente.
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-Ok, ok. Va beh, cambiando discorso,
purtroppo di me mi tocca dirti nulla, perché mi sa
che sai già tutto.
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Si avvicinò senza dire nulla. Un sospiro e poi mi
baciò.
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-Guarda che ti ho vista ieri. Ho fatto finta di
niente, ma ti avevo riconosciuta già prima di
scendere dalla macchina. Mi devi spiegare poi che
ci facevi lì.
-A dopo.
-Stanza 1026.
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
-Ah, però.
-Prendi la 1028.
-È libera?
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La stanza era libera. Entrammo insieme. Poggiai
la valigia su una sedia accanto al letto. Quell‟hotel
era bellissimo. La stanza non era molto grande e
nemmeno il bagno. C‟era la vasca però e attaccato
al muro davanti al letto una tv al plasma. Ma non
avevo per niente voglia di vedere la tv, tutto quello
che volevo vedere era lì vicino a me in carne ed
ossa.
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-Che sognavi?
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-Davvero?
-Niente parole?
-Cosa?
-Sicuro?
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-Sì, dai.
-“Caro Amico,
siamo scambiato.
ma io devo andare
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che mi chiama amica
porta
prova a scappare.
Caro Amico,
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
-Non lo so.
-Fa male.
-Non più.
-Già.
-Cosa? E me lo chiedi?
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-Dai, mi piace un sacco.
Aveva imparato.
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La fiducia sparisce e ci si rinchiude dentro al
proprio mondo e si indossa solo una maschera
costruita con il tempo in presenza di altre persone.
-Buonasera signorina.
Sorrise e si sedette.
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
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ogni tanto ci metteva in mezzo. Le imprecazioni
dicevano: Cristo perché è passato tutto così in
fretta? Cristo quanto darei per ritornare indietro
anche un solo momento. Cristo sono ancora qui
che ricordo e non riesco a sentire tutto quello che
ho vissuto.
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
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occhi- Bene all‟inizio sei, come dire, attratto da lei
e non ti sai spiegare il perché, c‟è quella parte di lei
che non capirai mai il perché, ma poi c‟è quell‟altra
parte e sai perfettamente darti una risposta. Il
cervello sa scegliere ciò che sa che è nelle tue
corde. Ci piace spesso un tipo di persona, io l‟ho
constatato ed è così. Sai quando si dice: “tu non
sei il mio tipo”? Bene qui è il cervello che sente,
sente che non può andare, che non ci potrà mai
essere affinità. Quando ci si fa guidare solo dal
cuore si è ciechi ed essere ciechi significa che si
rischia di cadere e farsi del male. Si sta in
equilibrio su una gamba mentre si aprono le
braccia e si cerca di imitare il volo. Ma dopo un
po‟ bisogna mettere giù la gamba alzata dietro, se
non lo si fa si cade e così bisogna riiniziare di
nuovo: innamorarsi di nuovo e mettere giù la
gamba alzata in tempo prima di cadere ancora.
Noi siamo solo questo: ragione e cuore. Se
escludiamo una delle due, possiamo esser certi che
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
-Notte Feeler.
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VIII
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Mi chiesero se il giorno dopo sarei andata nel
backstage con loro, gli dissi che ero la loro fan
numero uno e che dovevo stare in prima fila al
centro come era di tradizione.
Risero.
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
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in modo fantastico e che faceva venire la pelle
d‟oca. Gli dissi che non vedevo l‟ora di ascoltarla e
che dovevo affrettarmi perché se no mi avrebbero
rubato il posto della Fan Numero Uno e che non
potevo assolutamente far succedere una cosa del
genere. Era il loro primo concerto in America e
non potevo perdere il mio posto.
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Mentre cercavo uno spazio per parlare a quel
coglione di Luca, guardai distrattamente il
Backstage e vidi Gabriele stretto ad una ragazza
bionda che si stava baciando.
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-Marco è un attore.
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-Telefonai ai Found, chiesi a loro di aiutarmi.
Conosco gente importante che lavorano nel
mondo della musica e per me è stato facile
contattarli ed incontrarli. Il Contest nel loro forum
era truccato, è stata un'idea mia, sapevo che avresti
partecipato. Ti abbiamo fatto vincere. Allo stesso
modo sono stato io ad organizzare il concerto a
Hill Valley e anche per questo che hanno accettato
di collaborare con me e io lo sapevo che lo
avrebbero fatto. Pensano solo ai soldi quelli e al
successo. Sono stato io a portarti quel pomeriggio
il giornale con in copertina Ritorno al futuro,
sapevo che saresti partita dopo quella notte e che
non avresti retto il colpo e sapevo che l'unico
posto dove potevi andare era proprio questa città:
Hill Valley. Ne abbiamo parlato tanto, ricordi? Lo
dovevamo fare insieme questo viaggio.
-Fottiti.
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continuare così. Sapevo che piangevi di notte per
lui, sapevo che ci stavi male quando non gli potevi
parlare, non gli potevi stare insieme. Tu nella testa
avevi una tua idea di Gabriele che non è il ragazzo
che è in realtà.
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avrebbe lasciata e Gabriele non ci sarebbe stato
più comunque.
- Vergognati!
- Anch‟io.
THE END
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Selvaggia Joyce Ritorno a te
(Alfio Piteless)
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