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Pietro Cataldi
Elena Angioloni
Sara Panichi
LETTERATURA
LETTERATURA PLURALE
Storia e antologia
PLURALE
della letteratura
italiana in
prospettiva
internazionale
Dalle origini
1 al Rinascimento
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letteratura italiana. prendere appunti.
LETTERATURA
PLURALE
Storia e antologia
della letteratura italiana
in prospettiva internazionale
Dalle origini
1 al Rinascimento
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Premessa L
a letteratura è stata spesso un pilastro di identità sociali e nazionali: una
letteratura – per esempio – delle corti signorili, o della borghesia mercantile
o degli intellettuali illuministi; e una letteratura degli stati-nazione. Ma è
stata anche un terreno di apertura e di molteplicità: accanto ai codici dominanti
ce ne sono spesso stati altri controcorrente, e all’interno degli stati si sono pro-
dotte opere in tante lingue e con prospettive diverse. L’unità italiana, presagita
nei classici del Trecento e del Cinquecento, ha consapevolmente riconosciuto
nella letteratura un forte elemento di coesione, rischiando tuttavia di produrre
una concezione semplificata dei fenomeni. Siamo stati portati a considerare
marginale la letteratura in latino fra Medioevo e prima modernità, a lasciare in
ombra le spesso notevoli scritture in dialetto (con classici come il milanese Porta
e il romano Belli). E abbiamo costruito disegni dalle prospettive falsate, guardan-
do al sistema letterario, che è per sua natura internazionale, in un’ottica viziata
in senso nazionale; così da eclissare talvolta i maestri mondiali, trascurando Sha-
kespeare e Cervantes per i marinisti, Goethe per Parini, Baudelaire per la Scapi-
gliatura, Dostoevskij per i romanzi di D’Annunzio.
Oggi siamo consapevoli di fenomeni nuovi e imponenti, che mettono in discus-
sione una visione semplificata e provinciale della letteratura nazionale e arric-
chiscono il quadro in questione: le scritture della diaspora italiana nel mondo e
quelle in italiano dei migranti. E non possiamo dimenticare che l’italiano era una
lingua in qualche modo straniera, e appresa, per il greco Foscolo, per il lombardo
Manzoni, per il triestino Svevo; così come l’inglese lo era per Joseph Conrad, che
lo imparò a vent’anni e ne divenne poi un maestro indiscusso. E siamo consape-
voli che il canone letterario, anche quello che studiamo a scuola, è frutto di cen-
sure e di rapporti di forza da ripensare; che ne sono state in particolare tenute al
margine le donne, anche quelle di sicuro e grande talento.
Dobbiamo sentirci sollecitati da questa consapevolezza, senza farcene spaventa-
re; e piuttosto sentire che la letteratura è ancora viva perché se ne evolve l’idea e
se ne modificano i valori e lo spazio. Possiamo cioè fare posto, e collaborare al
progetto di una letteratura plurale.
“Fare posto e lasciar andare”, secondo la saggezza orientale, è quanto serve per
vivere felicemente. E la letteratura può essere uno studio felice, a condizione di
rinnovarsi: lasciando andare quanto non ci serve più, quanto apparteneva al
mondo dei nostri padri e delle nostre madri ma non crediamo più davvero utile
anche per i nostri figli e le nostre figlie, e facendo posto a un modo nuovo di con-
siderare lo studio letterario, un modo plurale e problematico.
Vediamo la perdita di credibilità della nostra disciplina ma anche conosciamo la
forza di esperienza e la ricchezza innanzitutto emotiva che essa può garantire. E
sta a noi collaborare a questo progetto nuovo, che la protegga mettendola in di-
scussione. Sta a noi praticare, come cercatori inquieti del nuovo e portatori di una
grande tradizione, una letteratura plurale capace di coinvolgerci e di coinvolgere.
Pietro Cataldi
INDICE
PARTE PRIMA
Il Medioevo
QUADRO STORICO-CULTURALE
Storia, politica e società del Medioevo 2 DIGIT
Videolezione
1 Il Medioevo: un’epoca lunghissima 2 Il Medioevo: sulle strade che uni-
scono l’antico al moderno (a cura di
2 Chiesa e Impero nel Basso Medioevo 5 P. Cataldi)
Immagini attive
3 La Chiesa e gli eretici 7 Ambrogio Lorenzetti, Allegoria ed
effetti del Buono e del Cattivo Gover-
4 Il Trecento 8 no Giotto, Predica agli uccelli
Testi
La nascita delle lingue e delle letterature romanze 9 Tommaso d’Aquino, La logica aristo-
telica come strumento per provare
5 Le lingue romanze 9 l’esistenza di Dio
DOCUMENTO 1 I primi documenti in volgare italiano 12 Approfondimenti
Le Goff, Il tempo della Chiesa e il
La cultura cortese 13 tempo del mercante Le mille e una
notte e l’Occidente
6 Le tematiche della cultura cortese 13 Audio
Capitolo in sintesi
DOCUMENTO 2 Andrea Cappellano, I comandamenti d’amore 15
La cultura dell’età comunale 16
7 Una nuova epoca civile e culturale 16
8 La filosofia 18
INFORMAZIONI La scienza e la tecnica: le grandi invenzioni del Medioevo 19
L’influenza della cultura islamica in Europa 20
9 La cultura islamica e l’identità europea 20
10 Le mille e una notte 21
DOCUMENTO 3 Shahrazad [Le mille e una notte] 22
Le basi della nuova cultura umanistica 24
11 Una nuova visione del mondo 24
INFORMAZIONI Il libro nel Medioevo. Breve storia di un oggetto di lusso 26
La letteratura medievale: nuovi generi per un nuovo pubblico 27
12 I generi letterari 27
13 La letteratura nell’Italia dei Comuni 28
IV
INDICE
CAPITOLO GENERE
CAPITOLO GENERE
V
INDICE
Approfondimenti
6 Il Dolce stil novo: Guinizzelli e Cavalcanti 93 L’endecasillabo La canzone La
leggerezza di Cavalcanti nella lettura
TESTO GUIDA di Calvino
T6 Guido Guinizzelli, «Al cor gentil rempaira sempre amore» 96 Alta leggibilità
Cecco Angiolieri, «S’i fosse foco ar-
Dal testo al presente Il cambiamento dei modelli: il mito del successo oggi 101 derei ’l mondo»
VERSO L’ESAME TIPOLOGIA C 101 Audio
Cecco Angiolieri, «S’i fosse foco ar-
derei ’l mondo» Canto dei bevitori
T7 Guido Guinizzelli, «Io voglio del ver la mia donna laudare» 102 [Carmina Burana] Capitolo in sintesi
T8 Guido Cavalcanti, «Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira» 104
T9 Guido Cavalcanti, «Voi che per li occhi mi passaste ’l core» 105
T10 Guido Cavalcanti, «Perch’i’ no spero di tornar giammai» 107
7 La poesia comica 110
T11 Cielo d’Alcamo, «Rosa fresca aulentissima» 112
T12 Cecco Angiolieri, «S’i fosse foco arderei ’l mondo» 115
T13 Cecco Angiolieri, «Becchin’amor! – Che vuo’, falso tradito?» 117
VERSO L’ESAME TIPOLOGIA A 118
INFORMAZIONI Alle origini della poesia comica: i Carmina Burana 119
IN SINTESI 120
VERIFICHE 121
VERSO L’ESAME TIPOLOGIA A - TIPOLOGIA C 123
CAPITOLO TEMI
VI
INDICE
CAPITOLO AUTORE
4 Dante Alighieri
Dante e l’identità culturale italiana e occidentale 153 DIGIT
Videolezioni
1 La vita 154 Dante: dalla catastrofe al riscatto
(a cura di P. Cataldi) Analisi del te-
sto, «Tanto gentile e tanto onesta pa-
2 Le idee e la cultura 157 re» Analisi del testo, Francesca da
Rimini [Inferno, V] Analisi del testo,
3 La poetica 159 Farinata e Cavalcante [Inferno, X]
Analisi del testo, Ulisse [Inferno,
L’OFFICINA DELL’AUTORE Dante attuale o inattuale? 160 XXVI] Analisi del testo, Il conte Ugo-
lino [Inferno, XXXIII] Analisi del te-
4 Lo stile e le forme 161 sto, Tre morti violente [Purgatorio, V]
Analisi del testo, La preghiera alla
5 La Vita nuova 162 Vergine [Paradiso, XXXIII]
Video
T1 Il «proemio» [Vita nuova, I] 164 Parafrasi del primo verso della Com-
media La chiave allegorica del I
T2 Il primo incontro con Beatrice [Vita nuova, II] 165 canto della Commedia
Testi
T3 «Donne ch’avete intelletto d’amore» [Vita nuova, XIX] 168 «Vede perfettamente omne salute»
[Vita nuova] «Per una ghirlandetta»
INFORMAZIONI Dante e la valorizzazione delle donne 173 [Rime] La necessità dell’Impero
[Convivio] Oderisi da Gubbio e la
vanità della gloria terrena [Purgato-
T4 «Amore e ’l cor gentil sono una cosa» [Vita nuova, XX] 174 rio, XI, vv. 73-117]
LABORATORIO DI SCRITTURA LA PARAFRASI 174 Approfondimenti
Caratteristiche formali dell’italiano di
TESTO GUIDA Dante Dizionario dei concetti chiave
T5 «Tanto gentile e tanto onesta pare» [Vita nuova, XXVI] 176 Analisi attive
«Tanto gentile e tanto onesta pare»
«Così nel mio parlar voglio esser
Dal testo al presente Un miracolo quotidiano 180 aspro»
VERSO L’ESAME TIPOLOGIA C 180 Alta leggibilità
«Tanto gentile e tanto onesta pare»
T6 La conclusione della Vita nuova [Vita nuova, XLI-XLII] 181 «Così nel mio parlar voglio esser
aspro»
VERSO L’ESAME TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA 182 Audio
«Tanto gentile e tanto onesta pare»
6 Le Rime 183 «Così nel mio parlar voglio esser
aspro» Impero e Papato Ulisse, un
«Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io» [Rime, 9] antimodello Capitolo in sintesi
T7 184
T8 «Così nel mio parlar voglio esser aspro» [Rime, 46] 186
T9 «Tre donne intorno al cor mi son venute» [Rime, 47] 190
7 Il Convivio 195
T10 «legno sanza vela e sanza governo» [Convivio, I, III, 4-5] 196
VII
INDICE
Dal testo al presente La laicità dello Stato: una posizione rivoluzionaria 215
10 Le Epistolae 216
T14 L’Epistola a Cangrande: i significati della Commedia [Epistolae, XIII, 20-25] 216
11 Il capolavoro dantesco: la Commedia 218
T15 Dante nella selva [Inferno, I] 223
T16 Francesca da Rimini [Inferno, V, 28-142] 230
T17 Farinata e Cavalcante [Inferno, X, 22-93] 237
LABORATORIO DI SCRITTURA IL RIASSUNTO 242
TESTO GUIDA
T18 Ulisse, un antimodello [Inferno, XVI, 85-142] 243
CAPITOLO AUTORE
5 Francesco Petrarca
Petrarca, fondatore della lirica occidentale moderna 293 DIGIT
Videolezioni
1 La vita 294 Petrarca: la nascita della moderna
vita interiore (a cura di P. Cataldi)
Analisi del testo, «Solo et pensoso i
2 La cultura e le idee 297 più deserti campi» Analisi del testo,
«Chiare, fresche et dolci acque»
3 La poetica 300
Testi
«Era il giorno ch’al sol si scoloraro»
4 Le forme e lo stile 301 [Canzoniere] «Movesi il vecchierel
canuto et biancho» [Canzoniere]
5 L’epistolario e le altre opere latine 302
VIII
INDICE
IX
INDICE
CAPITOLO AUTORE
6 Giovanni Boccaccio
Raccontare la realtà 369 DIGIT
Videolezioni
1 La vita e le opere 370 Boccaccio: rivoluzione sessuale e
problematicismo etico nel Decame-
INFORMAZIONI Il Decameron e la nuova visione laica 373 ron (a cura di R. Luperini) Analisi del
2 La cultura e le idee 374 testo, Ellisabetta da Messina Anali-
si del testo, Chichibìo e la gru
3 La poetica 374 Video
Giovanna Taviani, Perché un film sul
4 Le forme e lo stile 376 Decameron di Boccaccio (Maraviglio-
so Boccaccio di Paolo e Vittorio Ta-
5 Le opere minori 377 viani) Videolettura: i classici ad alta
voce: Ser Ciappelletto e la falsa con-
6 Il Decameron 379 fessione Videolettura: i classici ad
alta voce: Andreuccio da Perugia Vi-
INFORMAZIONI Perché un film sul Decameron? 380 deolettura: i classici ad alta voce: La
novella di Ellisabetta da Messina Vi-
T1 La descrizione della peste nel Decameron [I, Introduzione] 387 deolettura: i classici ad alta voce: Fe-
T2 Ser Ciappelletto e la falsa confessione [I, 1] 390 derigo degli Alberighi Videolettura: i
classici ad alta voce: Chichibìo e la
T3 La parabola dei tre anelli [I, 3] 396 gru Pasolini e Ser Ciappelletto Pa-
solini e Andreuccio da Perugia Pa-
LABORATORIO DI SCRITTURA IL RIASSUNTO 399 solini e il Decameron
Testi
TEMI DI CITTADINANZA DIALOGO E TOLLERANZA 400 Ser Ciappelletto e la falsa confes-
sione [I, 1] Lo stalliere del re Agilul-
VERSO L’ESAME TIPOLOGIA B 401 fo [III, 2] Ellisabetta da Messina [IV,
5] Nastagio degli Onesti [V, 8] Fe-
TESTO GUIDA derigo degli Alberighi [V, 9] Frate Ci-
T4 Andreuccio da Perugia [II, 5] 402 polla [VI, 10] Arriguccio geloso [VII,
8] Jancofiore e Salabaetto [VIII, 10]
Dal testo al presente Andreuccio, un eroe moderno 416 Appronfondimenti
INFORMAZIONI Andreuccio al cinema: il Decameron di Pasolini 417 La grande peste nelle cronache di Vil-
lani e Morelli Tradurre il Decameron
T5 La novella delle papere [IV, Introduzione] 418 oggi Le traduzioni del Decameron
Analisi attive
T6 Il discorso di Ghismunda [IV, 1] 421 La novella di Chichibìo
T7 Ellisabetta da Messina [IV, 5] 426 Alta leggibilità
Ellisabetta da Messina Andreuc-
VERSO L’ESAME TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA 428 cio da Perugia Federigo degli Alberi-
ghi Chichibìo e la gru
T8 Nastagio degli Onesti [V, 8] 431 Audio
Andreuccio da Perugia La novella
INFORMAZIONI La novella di Nastagio degli Onesti illustrata da Botticelli 436 di Chichibìo Federigo degli Alberighi
Capitolo in sintesi
TEMI DI CITTADINANZA FEMMINICIDIO: LA PAROLA, LA COSA 438
VERSO L’ESAME TIPOLOGIA B 439
TESTO GUIDA
T9 Federigo degli Alberighi [V, 9] 440
Dal testo al presente Una nuova figura di madre 446
VERSO L’ESAME TIPOLOGIA C 446
T10 Chichibìo e la gru [VI, 4] 447
T11 Calandrino e l’elitropia [VIII, 3] 451
T12 La badessa e le brache [IX, 2] 458
7 L’attualità di Boccaccio 462
LA VOCE DELLA CRITICA
Vittore Branca, Boccaccio medievale 462
INFORMAZIONI Un’opera a confronto col Decameron: I racconti di Canterbury di Chaucer 464
IN SINTESI 466
VERIFICHE 467
VERSO L’ESAME TIPOLOGIA C 469
X
INDICE
PARTE SECONDA
Umanesimo e Rinascimento
QUADRO STORICO-CULTURALE
Storia e società dal Quattrocento a metà Cinquecento 472 DIGIT
Videolezioni
1 Gli Stati nazionali europei e il particolarismo italiano 472 La cultura del Rinascimento: l’Uma-
nesimo e la sua difficile attualità (a
cura di R. Luperini)
2 Dalla crisi economica al mercato mondiale 474
Immagini attive
3 La Riforma protestante 476 Sandro Botticelli, Nascita di Venere
Raffaello, La scuola di Atene
4 La crisi del Rinascimento 477 Approfondimenti
Il Quattrocento comico di Benigni e
La cultura dell’Umanesimo 478 Troisi M. Cipolla, I traffici transocea-
nici e la situazione economica in Eu-
ropa Le corti in Italia: i diversi centri
5 Gli studi classici, la centralità dell’uomo, la rivalutazione della natura 478 culturali, città per città
DOCUMENTO 1 Poggio Bracciolini, Alla ricerca dei classici rinchiusi in un «tristissimo Audio
Capitolo in sintesi
ed oscuro carcere» 481
DOCUMENTO 2 Sandro Botticelli, Nascita di Venere 482
DOCUMENTO 3 Giovanni Pico della Mirandola, La dignità dell’uomo
[De hominis dignitae] 483
6 Il razionalismo e il mutamento dei concetti di spazio e di tempo 484
7 Artisti e intellettuali 487
La cultura del Rinascimento 488
8 Le funzioni degli intellettuali e le nuove figure dell’immaginario 488
DOCUMENTO 4 Juan Ginés Sepúlveda, Gli indios: un popolo di servi 490
XI
INDICE
CAPITOLO GENERE
CAPITOLO TEMI
XII
INDICE
CAPITOLO TEMI
XIII
INDICE
CAPITOLO AUTORE
4 Niccolò Machiavelli
Il padre del pensiero politico moderno 605 DIGIT
Videolezioni
1 La vita 606 Machiavelli: lo scandalo del Princi-
pe (a cura di R. Luperini) Analisi del
2 Le idee 608 testo, Il leone e la volpe
Video
3 Le forme e lo stile 609 Testi in scena, Lucrezia fra Sostrata
e Timoteo [La mandragola, atto III,
4 Le lettere 610 9-11]
XIV
INDICE
CAPITOLO AUTORE
5 Francesco Guicciardini
Scrivere per capire la complessità 681 DIGIT
Testi
1 La vita 682 Ricordi, 1 Ricordi, 104, 110, 117,
118, 125, 134 L’inizio della Storia
d’Italia
2 Le idee 683
Audio
INFORMAZIONI I Saggi di Michel de Montaigne 685 Capitolo in sintesi
3 I Ricordi 686
T1 Ricordi, 15, 17, 28, 30, 32, 35, 41, 44, 46, 57, 66 687
T2 Ricordi, 140, 141 691
CAPITOLO GENERE
XV
INDICE
CAPITOLO TEMI
XVI
INDICE
Audio
3 Il paradiso della buona cucina: il paese di Cuccagna 823 Capitolo in sintesi
INFORMAZIONI Maccaronea, maccheroni, maccheronico 823
INFORMAZIONI Il cibo nelle arti figurative 824
T2 Teofilo Folengo, L’invocazione alle Muse «grasse» [Baldus, I, 1-63] 826
4 Un banchetto senza fine: Gargantua e Pantagruele di Rabelais 829
T3 François Rabelais, Un sacrificio di alta cucina
[Gargantua e Pantagruele, libro IV, LIX] 832
VERSO L’ESAME TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA 833
5 Il corpo femminile nella poesia burlesca di Berni 834
T4 Francesco Berni, «Chiome d’argento fino, irte e attorte» [Rime, XXIII] 835
IN SINTESI 838
VERIFICHE 839
VERSO L’ESAME IL COLLOQUIO 839
GLOSSARIO 841
INDICE DEI NOMI 857
INDICE DEGLI AUTORI ANTOLOGIZZATI 859
XVII
PARTE PRIMA
Il Medioevo
QUADRO STORICO-CULTURALE
CAPITOLO 1 GENERE I generi della letteratura europea
Ambrogio
Lorenzetti, Città
sul mare, prima
metà del XIV secolo.
Siena, Pinacoteca
Nazionale.
Alto e Basso L’Alto Medioevo è caratterizzato dai regni romano-germanici, dalla nascita del Sacro romano
Medioevo impero, dall’affermazione del feudalesimo e dalla crisi delle città e dei commerci internazio-
nali.
Il Basso Medioevo vede invece la rinascita delle città e dei commerci: in Italia si sviluppa la
civiltà comunale e poi quella delle Signorie; nel resto d’Europa sorgono i primi Stati naziona-
li. La nascita della letteratura italiana avviene nel Basso Medioevo, di cui ripercorriamo qui i
principali fatti storici.
2
Il feudalesimo L’età medievale è caratterizzata dal feudalesimo, cioè dal sistema politico ed economico ba-
sato sui feudi. La parola “feudo” (lat. feudum) è connessa con una radice germanica (feh) che
indicava il bestiame e più in generale le ricchezze, compresa la terra. La società feudale è or-
ganizzata in modo rigidamente gerarchico: una relazione di dipendenza – detta vassallaggio
– lega il “vassallo”, che riceve un beneficio (per esempio un territorio), al sovrano che glielo con-
cede. A partire da Carlo Magno (fine VIII-inizio IX sec.), il sovrano ricompensa i suoi baroni più
fedeli (i vassalli) dando loro un territorio (un feudo) e il permesso di esercitare i pieni poteri
sulle cose e sulle persone che lo abitano: i vassalli hanno cioè il diritto di imporre leggi, di ap-
DIGIT
VIDEOLEZIONE DI PIETRO CATALDI VIDEOLEZIONE
Webquest
In questa videolezione Pietro Cataldi libera il campo da alcu-
ni pregiudizi sul Medioevo, che non è un’età di oscurantismo
culturale, bensì la culla della nostra civiltà.
Con una ricerca in rete seleziona due immagini (tratte da film, videogiochi, fumetti, opere d’arte, ecc.)
che illustrino queste diverse interpretazioni del periodo medievale. La prima immagine deve suggeri-
re la falsa idea di un Medioevo arretrato e barbarico; la seconda deve rappresentare nel modo più fe-
dele e attendibile le caratteristiche di questa lunghissima epoca. Mostra poi le immagini alla classe motivando
le tue scelte.
3
PARTE PRIMA Il Medioevo
plicare tasse, di amministrare la giustizia. I baroni a lo- Omaggio Il termine “omaggio” deriva dal
ro volta ricompensano i propri fedeli affidando ad essi francese antico ome, ‘uomo’, nel senso di
feudi più piccoli. Si crea così una serie di rapporti perso- ‘vassallo, servo’. Indica l’atto attraverso il
quale il vassallo dichiarava la propria sogge-
nali che dal sovrano arriva giù giù fino agli strati bassi
zione al signore in cambio dell’investitura
della società. I vassalli e i loro dipendenti sono tenuti a che riceveva (cioè il conferimento di un feu-
servire in guerra agli ordini del signore e gli devono fe- do, di una carica politica o ecclesiastica, ecc.)
e della protezione promessa.
deltà e omaggio .
L’economia feudale Dal punto di vista economico, il sistema feudale prevede che i contadini siano legati a un signo-
re da una serie di obblighi: risiedere a vita sulla terra signorile, prestare giornate di lavoro, assi-
curare al signore servizi di vario tipo, utilizzare i suoi strumenti (mulini, forni, ecc.). In cam-
bio, i contadini ottengono in concessione, per sé e per i propri figli, un terreno dal quale trarre
il proprio sostentamento. L’economia feudale è una economia chiusa, quasi totalmente
agricola, con scambi commerciali ridotti e poche innovazioni: nessuno, né i signori né i
contadini, ha particolare interesse a sperimentare nuove tecniche di produzione o è disposto a
investire capitali.
Il sistema feudale, basato sulla supremazia della nobiltà terriera, si afferma e si consolida
nel corso dell’Alto Medioevo. Nel Basso Medioevo, il feudalesimo deve invece convivere con
tendenze di tipo borghese, fondate cioè sulla produzione di merci e sul commercio.
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4
QUADRO STORICO-CULTURALE
Il conflitto tra il Le due autorità universali della Chiesa e dell’Impero entrano in conflitto durante la cosiddetta
papa e l’imperatore “lotta per le investiture”: nel 1075 papa Gregorio VII vietò l’investitura (cioè la nomina) dei ve-
scovi da parte di re e imperatori rivendicando questa facoltà al solo Papato con l’intenzione di ac-
crescere il potere anche politico della Chiesa. La contesa si conclude nel 1122 con il concordato
di Worms, che riconosce al papa un successo formale (egli ha il diritto di scegliere e nominare i
vescovi) e all’imperatore un successo sostanziale (egli può attribuire al vescovo anche il potere
politico, facendone di fatto un proprio vassallo). Dopo questo compromesso, Impero e Papato si
avviano però verso una nuova e più profonda crisi: a partire dalla metà del XII secolo i Comuni da
una parte e i nuovi Stati nazionali dall’altra divengono i nuovi protagonisti della scena politica.
L’età dei Comuni e Il primo ad entrare in crisi è l’Impero. Già indeboliti dal conflitto con la Chiesa, fra il XII e il XIII
la nascita della secolo gli imperatori si devono misurare con la nuova società urbana, cioè con un sistema poli-
borghesia
tico, economico e culturale per sua natura aperto e plurale e dunque inconciliabile con l’idea di
un potere imperiale universale.
I primi secoli successivi al Mille vedono infatti la rinascita delle città: in tutta Europa la
popolazione urbana aumenta e soprattutto in Italia fioriscono i centri più grandi e popolati: Fi-
renze, Milano, Genova e Venezia.
Lo sviluppo economico e sociale dei centri urbani danneggia la vecchia nobiltà feudale, che,
radicata nei suoi possedimenti terrieri, non riesce a controllare quanto avviene nelle città. In que-
ste si afferma invece una nuova classe sociale, formata da artigiani, mercanti e intellettuali (no-
tai e giudici): la borghesia. I ceti urbani creano nelle città nuove forme di organizzazione del po-
tere, i Comuni, che chiedono di essere autonomi rispetto ai feudatari e allo stesso imperatore.
5
PARTE PRIMA Il Medioevo
I Comuni contro La rivendicazione dell’autonomia politica porta i Comuni a un conflitto aperto con il potere
l’Impero centrale. Nel 1176, appoggiata dal Papato, la Lega delle città lombarde sconfigge a Legnano l’im-
peratore Federico I, detto il Barbarossa. Con la pace di Costanza, firmata nel 1183 nella città
tedesca, si chiude una lotta che si era protratta per quasi trent’anni, evidenziando la forza del-
le nuove strutture comunali italiane e l’indebolimento dell’Impero. Anche Federico II (al
potere dal 1212 al 1250), considerato “l’ultimo grande imperatore”, fallisce il suo progetto di
creare un impero universale, fondato su singoli regni solidamente organizzati.
La supremazia A seguito dell’indebolimento dell’Impero, alcuni papi teorizzarono l’assoluta supremazia del-
del Papato la Chiesa su ogni altro potere. Fra XII e XIV secolo, la Chiesa esercitò di fatto, tutte le volte che
ciò era possibile, anche il potere temporale (cioè politico). Papi e alti prelati si comportavano
in modo non diverso da principi e signori feudali.
Un disegno apertamente teocratico prende forma soprattutto con due papi, Innocen-
zo III (1198-1216) e Bonifacio VIII (1294- 1303). Il primo sostiene apertamente la superiorità
del papa sull’imperatore; il secondo si batte contro le
Teocratico Si dice “teocratico” uno Stato in
pretese della nobiltà del Lazio e interviene tanto nelle
cui il potere politico, oltre a quello religioso, è
questioni politiche fiorentine quanto in quelle dell’Ita- esercitato da una casta sacerdotale gerarchi-
lia meridionale. Il Giubileo dell’anno 1300 sembra san- camente organizzata. L’aggettivo deriva dal
cire agli occhi del mondo il trionfo del progetto teocra- greco theokratía, ‘teocrazia’, composto da
theós, ‘dio’, e kratêin, ‘dominare’.
tico di Bonifacio VIII. Ma è un successo breve.
L’ascesa del regno Ad insidiare la supremazia della Chiesa non è più l’Impero ormai in fase di dissolvimento, ma
di Francia uno dei nuovi e potenti regni che si stavano rafforzando, quello francese. Filippo IV il Bello ri-
vendica la propria autonomia politica dal papa e lo fa addirittura arrestare e imprigionare.
La stessa sede papale viene trasferita ad Avignone, nella Francia meridionale, dove resterà per
circa settant’anni, dal 1309 al 1377 (è il periodo della cosiddetta “cattività [cioè ‘prigionia’] avi-
gnonese”). I papi avignonesi sono, di fatto, sotto il controllo della monarchia francese.
York
Mare Mar Baltico Numero degli abitanti
del Nord Lubecca
Da 10.000 a 20.000
Danzica Da 20.000 a 50.000
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Amburgo Rostock
Londra
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Magdeburgo
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Bruxelles Colonia
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Reims
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O Parma Verona Vicenza
Bordeaux Lione Cremona Reggio Padova
Lodi Emilia
Milano
Torino Pavia Venezia
Tolosa Avignone Piacenza Modena
Ferrara
Montpellier Genova Ravenna
Lucca Bologna
Rimini
Narbona Marsiglia Pisa
Ancona
Firenze Arezzo
Siena Perugia
Barcellona Orvieto
Roma
Cordoba Bari
Siviglia Napoli
Granada
M a r e M e d i t e r r a n e o Palermo Messina
6
QUADRO STORICO-CULTURALE
La repressione La Chiesa reagì ai movimenti ereticali in due modi. Il primo fu la repressione violenta: prima
degli eretici e il con la crociata contro gli albigesi (i càtari della Provenza, abitanti della città di Albi), avviata da
rinnovamento del
sistema papa Innocenzo III con la devastazione della Provenza e con le stragi indiscriminate del 1208;
ecclesiastico poi con la creazione del Tribunale dell’Inquisizione (1233), che aveva il compito di scoprire
e condannare gli eretici alla tortura e, spesso, a morire bruciati. Il secondo modo fu la riforma
interna, operata soprattutto da due ordini monastici, quello dei francescani, che ispirava i
suoi comportamenti alla semplicità e alla povertà evangelica predicata da Francesco d’Assisi, e
quello dei domenicani, che si specializzarono nella predicazione della dottrina cattolica.
Le crociate e la Nel Basso Medioevo, l’Occidente europeo è di nuovo impegnato nello scontro contro i musul-
lotta contro i mani, che a partire dal VII secolo avevano occupato molte regioni del Medio Oriente e del ba-
musulmani
cino del Mediterraneo.
Per riprendere possesso dei luoghi santi dove Cristo era nato (Gerusalemme, innanzitutto),
furono organizzate una serie di grandi spedizioni militari, le crociate (sette, fra il 1096 e il 1270),
che tuttavia non raggiunsero il loro scopo. La lotta contro i musulmani si svolse anche sui ma-
ri – contro i pirati saraceni – e nella Penisola iberica occupata in parte dagli arabi: fra i secoli XII
e XV, i regni cristiani del Nord della Spagna riconquistano gradatamente l’intera Penisola.
7
PARTE PRIMA Il Medioevo
4 Il Trecento
Carestie, epidemie, All’inizio del Trecento Impero e Chiesa tentano ancora di affermare le proprie ambizioni uni-
guerre versalistiche, ma la nascita delle grandi monarchie nazionali e degli Stati regionali ha ormai
mutato radicalmente lo scenario politico.
Il secolo è segnato da grandi carestie, accompagnate da ricorrenti epidemie. La grande peste,
negli anni centrali del Trecento, stermina un terzo della popolazione europea. La crisi economi-
ca si approfondisce con il susseguirsi delle guerre. Il più lungo e sanguinoso dei conflitti di que-
sto periodo è la guerra dei Cent’anni (1337-1453) tra il regno di Francia e quello d’Inghilterra.
D’altra parte la guerra costituisce uno strumento fondamentale per l’affermazione delle
monarchie nazionali. Stati-nazione nascono in Inghilterra, Francia e Spagna, sottoposte a
un potere monarchico unico e centralizzato. Una sorte diversa toccò invece alla Germania, se-
de dell’Impero, e all’Italia, che restarono divise in tante unità regionali.
La divisione Sul finire del Medioevo, il territorio italiano è diviso in cinque principali Stati regionali: il du-
politica dell’Italia cato di Milano (retto dai Visconti), la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Firenze (dove
la famiglia dei Medici sale al potere con Cosimo I nel 1434), lo Stato della Chiesa, il Regno di
Napoli (dove gli Aragonesi si sostituiscono progressivamente agli Angioini di Francia, riunifi-
cando il Regno). La presenza di questi cinque Stati regionali impedì l’unificazione italiana, poi-
ché nessuno di essi fu capace di imporre il proprio dominio su tutta la penisola.
Il primato della Nonostante questa fragilità politica, l’Italia trecentesca conobbe un momento di grande fiori-
cultura italiana tura culturale: la letteratura più prestigiosa di questi anni è in volgare italiano e il valore di
Dante, Petrarca e Boccaccio è riconosciuto in tutta Europa.
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HAFSIDI
8
QUADRO STORICO-CULTURALE
Monaci amanuensi
al lavoro, miniatura
da Vie et martyre
de saint Denis et de
ses compagnons.
Parigi, Bibliothèque
Nationale de France.
5 Le lingue romanze
Il latino volgare Nei primi due secoli dopo Cristo, nell’Impero romano si parlavano varietà popolari e regionali
di latino. Il latino letterario (“classico”) era la lingua dell’amministrazione e della cultura co-
mune a tutto l’Impero, ma veniva parlato in modo molto diverso a seconda delle diverse regio-
ni. Nel III secolo, quando il prestigio di Roma entra in crisi, viene meno il latino come lingua
unitaria e la distanza fra lingua scritta e lingua parlata aumenta drasticamente. La diffusione
del cristianesimo apporta nuove parole al cosiddetto “latino volgare”, cioè alla lingua parla-
ta dal volgo (cioè dal ‘popolo’).
9
PARTE PRIMA Il Medioevo
Il latino parlato è molto diverso da quello scritto. Nel parlato si usano parole che servono a
evitare la confusione con altre che hanno la medesima pronuncia ma significato diverso. Per
esempio, nel latino equus, ‘cavallo’, poteva essere confuso con aequus, ‘giusto’. Il latino parlato
sceglie così, al posto di equus, la parola caballus (originariamente ‘cavallo da tiro’), che passa poi
in tutte le lingue romanze: cavallo (italiano), cavalo (portoghese), caballo (spagnolo), cavall (ca-
talano), cal (rumeno), cheval (francese).
L’influenza delle Anche dalle lingue germaniche si prendono in prestito molte parole:
lingue germaniche 1. per evitare confusioni (per esempio, werra sostituisce la parola latina bellum, ‘guerra’, che
poteva essere confusa con la parola bellum, ‘grazioso, bello’);
2. per esprimere nuovi concetti (parole come feudo, vassallo, barone sono di origine germani-
ca, e più esattamente franca).
L’influenza germanica è stata grande anche nella terminologia della caccia, della guerra e
dell’abbigliamento: bosco, dardo, galoppare, tregua, guanto sono parole entrate nell’italiano a se-
guito delle invasioni delle popolazioni germaniche.
LINGUA D'OÏL
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10
QUADRO STORICO-CULTURALE
L’influenza Anche la nuova religione cristiana influenza il latino parlato, cambiando il significato di molte
linguistica del parole. Per esempio, la parola latina captivus (‘prigioniero’) assume prima il significato di ‘pri-
cristianesimo
gioniero del diavolo’ e poi, di conseguenza, quello di ‘cattivo’. Tradere (‘consegnare’) diventa
‘tradire’, a causa della consegna di Cristo ai soldati da parte di Giuda. A volte una parola viene
sostituita da un’altra già esistente con un significato parzialmente diverso: il termine verbum
(‘parola’) viene sostituito da parabola, che significa ‘la parola di Cristo’ e poi, per estensione, la
‘parola’ di tutti.
Il concilio di Tours Sotto il regno di Carlo Magno, dopo secoli di drammatica decadenza dell’istruzione causata dal-
la crisi dell’Impero e dalle invasioni barbariche, si torna allo studio del latino e si cerca di ricon-
durlo all’originaria purezza. Tuttavia la distanza tra il latino “puro” e quello volgare è oramai
incolmabile. Nel concilio di Tours dell’813, voluto da Carlo Magno, si prende atto di un ne-
cessario bilinguismo: da un lato gli atti ufficiali della Chiesa devono essere redatti in un lati-
no colto, dall’altro la predicazione religiosa, per essere compresa, deve tenersi nelle due lingue
volgari parlate in Germania e in Francia, cioè in tedesco e in francese.
Il primo documento Circa trent’anni dopo il Concilio, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo, sovrani rispettiva-
in volgare romanzo mente delle regioni orientali e di quelle occidentali dell’Impero carolingio, pronunciano in vol-
gare tedesco e francese un giuramento di alleanza, in modo che possa essere compreso dai lo-
ro eserciti presenti alla solenne cerimonia: il testo del Giuramento di Strasburgo (14 febbraio
842) pronunciato da Ludovico il Germanico per farsi intendere dalle truppe del suo alleato
francese è il primo documento redatto in una lingua volgare neolatina.
Il volgare in Italia: In Italia il volgare si afferma in ritardo, tanto come lingua parlata, quanto come lingua scritta.
le prime Le ragioni del ritardo sono dovute al maggior prestigio conferito al latino e alla mancanza di un
attestazioni
potere politico centrale capace di favorire la diffusione del volgare.
Monaco amanuense,
miniatura da un
manoscritto
dell’inizio del XV
secolo. Londra,
British Library.
11
PARTE PRIMA Il Medioevo
L’Indovinello veronese (fine del secolo VIII o inizio del secolo IX), inserito da un copista ve-
ronese in un codice elaborato nella Spagna araba ( Documento 1a), testimonia una fase di
passaggio fra il latino e il volgare. Ma il primo vero documento scritto in un volgare italiano è il
Placito capuano del 960 ( Documento 1b). Si tratta di una sentenza voluta dal giudice di Ca-
pua per risolvere una lite giudiziaria fra il monastero di Montecassino e un uomo di Aquino: per
rendere chiari i contenuti del discorso ai presenti, che evidentemente non conoscevano il lati-
no, il giudice decide di riportare una testimonianza in volgare, così come era stata rilasciata dal
testimone.
Il primato culturale La storia delle letterature romanze nasce in Francia. La letteratura francese comincia infat-
della Francia ti già nel secolo IX, con notevole anticipo rispetto all’Italia, che vede l’inizio della propria sto-
ria letteraria solo nel Duecento (il secolo XIII, dunque). Il primato della Francia è anche dovu-
to alla maggiore ricchezza e vitalità della società feudale e cortese, che fiorisce tra l’XI e il XIII
secolo. La presenza nel paese di due lingue (lingua d’oc nel Sud e lingua d’oïl nel Nord) si
rivelò non un limite ma una risorsa: esse dettero vita a due letterature parallele che convisse-
ro per due secoli influenzando l’intera letteratura europea. La letteratura francese in lingua
d’oïl fu soprattutto epica e narrativa; quella provenzale in lingua d’oc soprattutto lirica.
DOCUMENTO 1
I primi documenti in volgare italiano
Il primo testo è l’Indovinello veronese, che, risalente alla fine del VIII secolo o all’inizio del secolo IX, atte-
sta ancora una fase di transizione dal latino al volgare. Caso vuole che questo indovinello, importante per
la storia della lingua italiana, alluda proprio all’attività dello scrivere: i buoi e i bianchi prati, il bianco aratro
e il nero seme che vengono nominati sono, rispettivamente, la mano dello scrivano e i fogli, la penna
d’oca e l’inchiostro. È invece considerato il primo documento scritto in volgare italiano il Placito capuano:
nel 960, a Capua, un giudice di nome Arechisi deve decidere su una causa intentata dall’abate del mona-
stero di Montecassino ad un tal Rodelgrimo di Aquino, accusato di aver occupato indebitamente terre di
proprietà dell’abbazia. Nel verbale del processo, redatto in latino, il giudice riporta la dichiarazione di un
testimone a favore dell’abbazia, trascrivendola testualmente nella lingua in cui è stata pronunciata, ov-
vero il volgare.
a. Indovinello veronese
Se pareba boves, alba pratalia araba, Spingeva davanti a sé i buoi, arava i bianchi prati, /
albo versorio teneba, et negro semen teneva il bianco aratro e seminava il nero seme.
seminaba.
b. Placito capuano
Sao ke kelle terre, per kelle fini que ki contene, So che quelle terre, entro quei confini di cui si parla, le
trenta anni le possette parte Sancti Benedicti. ha possedute per trent’anni l’Abbazia di Santo Benedetto.
La pergamena
che contiene il
Placito
capuano, 960.
Montecassino,
Biblioteca
dell’Abbazia.
12
QUADRO STORICO-CULTURALE
La cultura cortese
CONCETTI-CHIAVE
La cultura cortese fiorisce in Europa tra l’XI e il XIII secolo all’interno della società feudale. Al suo
centro stanno la figura del cavaliere e i valori di fedeltà, lealtà, gentilezza e nobiltà d’animo. Il cava-
liere-poeta corteggia la donna offrendole, come un vassallo al sovrano, il proprio “servizio d’amore”
(ovvero lodi e devozione): in cambio lei gli concede onore e protezione. Il tema amoroso diviene
perciò centrale: compare non solo nella lirica e nel romanzo cortese, ma anche nel trattato De Amore
(1174-1204) di Andrea Cappellano.
Giugno
(particolare),
affresco del Ciclo
dei Mesi della
Torre dell’Aquila,
1400 circa. Trento,
Castello del
Buonconsiglio.
13
PARTE PRIMA Il Medioevo
La rivalutazione La cultura cortese elabora una nuova immagine della donna e dell’amore. Per tutto l’Alto Me-
della donna e dioevo, sotto la spinta di un certo tipo di religiosità, la donna era considerata l’incarnazione del
dell’amore
male e del peccato (soprattutto sessuale): la sessualità e il corpo venivano demonizzati dalla
Chiesa. Nella cultura cortese, invece, il rispetto per la donna è un valore supremo e alle figu-
re femminili si attribuiscono le virtù più nobili e preziose. Il corteggiamento diventa un ri-
tuale elaboratissimo e l’amore stesso diventa un codice di comportamento sociale, un’e-
sperienza spirituale e una forma di ricerca interiore.
L’amore cortese Nella cultura cortese l’innamorato ripete nei confronti dell’amata lo stesso atto di vassallaggio
feudale, cioè di sottomissione, che ogni dipendente doveva presentare nei confronti del signo-
re: chiede all’amata un beneficio che può essere uno sguardo o un saluto o addirittura un
incontro amoroso. In cambio offre il proprio “servizio d’amore”, ovvero lodi e devozione.
LA CULTURA CORTESE
Il contesto la società feudale (XI-XIII secolo)
forza
fedeltà al Signore
I valori gentilezza
nobiltà d’animo
generosità
avventura
I temi quête
amore
14
QUADRO STORICO-CULTURALE
Il paradosso L’amore cortese è paradossale e ambiguo: per un verso conferma e sostiene l’ordine sociale esi-
dell’amore cortese stente perché ne ripropone la gerarchia sociale di tipo feudale; per l’altro invece lo sconvolge,
perché la donna amata dal cavaliere è in genere la moglie del signore, che dunque viene in qual-
che modo “tradito” dal suo vassallo. Tale contraddizione viene risolta grazie al valore simbolico
che la richiesta d’amore assume nella maggior parte dei casi: la donna, invece che concedere il
proprio corpo, concede onore, rispetto, protezione e promozione sociale al cavaliere-poeta.
La centralità L’amore è al centro dei due maggiori generi letterari della società cortese: la lirica e il ro-
dell’amore manzo. Inoltre, esso diventa anche oggetto di trattazione scientifica, morale e filosofica. Il
trattato più noto e più importante è il De amore [Sull’amore], scritto in latino da Andrea Cap-
pellano fra il 1174 e il 1204 e tradotto in vari volgari in tutta Europa. Il trattato è diviso in tre
libri e si propone due obiettivi: elencare le regole del comportamento amoroso e definire in che
cosa consista l’amore perfetto ( Documento 2).
DOCUMENTO 2
Andrea Cappellano
I comandamenti d’amore
Questi comandamenti sono pronunciati dal re d’amore, che tiene la sua corte in Delizia, una specie di para-
diso, dove la felicità è riservata solo a chi ha amato. Qui Andrea Cappellano immagina che nascano le regole
dell’amore cortese, a cui si ispirano la poesia provenzale e il romanzo cavalleresco. La “cavalleria d’amore”
si fonda sui valori della generosità (sulla quale insiste il primo comandamento d’amore) e della lealtà (sulla
quale insistono diversi comandamenti, richiamando in particolare la necessità di castità e di pudore).
E sappi che i dodici principali comandamenti d’amore sono i seguenti:
I Fuggi come peste nociva l’avidità e ricerca il suo contrario.
II Conserva la castità per l’amante.
III Non cercare volutamente di turbare la donna legata all’amore di un altro.
5 IV Non scegliere l’amore di quella donna con la quale il naturale pudore ti impedisce di
contrarre nozze.
V Ricordati di evitare soprattutto le menzogne.
VI Non confidare il tuo amore a troppe persone.
VII Segui gli insegnamenti delle donne e legati sempre alla cavalleria d’amore.
10 VIII Nel dare e nel ricevere piaceri d’amore mai deve mancare il senso di pudore.
IX Non essere maldicente.
X Non spubblicare gli amanti.1
XI Sii sempre cortese e civile.
XII Nei piaceri d’amore non sopraffare la volontà dell’amante.
A. Cappellano,
1 spubblicare gli amanti: De amore, Es, Milano 1992.
rendere nota l’identità degli
amanti.
15
PARTE PRIMA Il Medioevo
Ambrogio
Lorenzetti, Allegoria
ed effetti del
Buono e del Cattivo
Governo (dettaglio),
1338-1340. Siena,
Palazzo Pubblico.
DIGIT
IMMAGINE ATTIVA
I nuovi valori Nella società urbana emerge una nuova classe, dedita ai commerci, all’artigianato e alle attivi-
borghesi e la tà finanziarie: la borghesia. Essa fonda la propria ricchezza non sul possesso della terra ma sul
diffusione del
volgare denaro e sull’investimento. Tra i borghesi spicca soprattutto la figura del mercante, portato-
re di una nuova visione del mondo.
La visione del mondo del mercante è laica e mondana: per lui sono centrali concetti
come la fortuna, l’ingegno e la prudenza, e in generale la valorizzazione della vita su questa ter-
ra. Entra così in crisi la tradizionale visione religiosa del mondo che aveva dominato per gran
parte del Medioevo. Desideroso di acculturarsi, il ceto mercantile rappresenta anche un pub-
blico nuovo: non essendo in grado di leggere e scrivere in latino, i mercanti contribuiscono
all’affermazione dei volgari e alla nascita della letteratura in volgare.
16
QUADRO STORICO-CULTURALE
I nuovi intellettuali Nell’età comunale l’attività intellettuale tende a lai- Secolarizzazione Nel linguaggio degli
cizzarsi e a sottrarsi all’influenza della religione. Se- scrittori cristiani il “secolo” (dal latino saecu-
gno della secolarizzazione della cultura sono la na- lum) è la vita terrena, il mondo con i suoi va-
lori profani, in contrapposizione alla vita
scita delle scuole pubbliche e lo sviluppo di un nuovo
eterna. Dunque la “secolarizzazione” è un
organismo culturale autonomo dalla Chiesa: l’univer- processo in cui incomincia a farsi strada e a
sità. Sia il maestro di scuola sia il professore universita- prevalere una visione mondana e laica
dell’esistenza.
rio sono figure sociali nuove, che vivono del loro lavoro
intellettuale, con uno stipendio pagato dagli studenti o
direttamente dall’amministrazione comunale. Nel Duecento l’intellettuale è dunque parte or-
ganica delle attività politiche e civili del Comune.
il mercante
Le figure
l’intellettuale laico
Le istituzioni
l’università
e i valori culturali
17
PARTE PRIMA Il Medioevo
8 La filosofia
Il tomismo di Mentre la cultura medievale diventa sempre più laica, il frate domenicano Tommaso d’Aquino
Tommaso d’Aquino (1225-1274) è tra i primi a capire che il cristianesimo può conservare il proprio prestigio cultu-
rale solo se si dimostra capace di accogliere in sé il pensiero razionale, derivante dalla filosofia
greca e soprattutto da Aristotele (384-322 a.C.).
Il sistema filosofico formato dal pensiero di san Tommaso, detto tomismo, si propone due
scopi:
1. vuole organizzare in modo sistematico tutto il sapere umano;
2. cerca di conciliare la fede con la ragione, rivalutando così la razionalità rispetto al princi-
pio d’autorità.
Con san Tommaso la teologia assume il carattere di una scienza: la ragione stessa – secon-
do Tommaso – è in grado di dimostrare, mediante strumenti logici, l’esistenza di Dio. Il tomismo
avrà una grande influenza su Dante e in particolare sulla struttura concettuale della Commedia.
La riscoperta di Grazie a Tommaso d’Aquino il pensiero di Aristotele s’impone in ogni campo del sapere: il
Aristotele sistema aristotelico-tolemaico (quello cioè ideato da Aristotele e integrato dalle osservazioni
di Claudio Tolomeo, matematico e astronomo greco vissuto nel II secolo d.C.), infatti, domi-
nerà il pensiero scientifico e filosofico europeo fino al XVII secolo, quando verrà contestato e
capovolto dai nuovi scienziati, Copernico, Galileo e Keplero. Il successo della concezione ari-
stotelica del cosmo nel Medioevo si deve soprattutto al fatto che questa coincide sostanzial-
mente con la concezione biblica, secondo la quale la Terra e l’uomo sono al centro dell’univer-
so. Inoltre, la cosmologia aristotelica appariva semplice da comprendere, essendo basata su un
dualismo di fondo che opponeva radicalmente il cielo e la terra, e sull’idea che l’universo fosse
una sfera perfetta formata da cerchi concentrici.
18
QUADRO STORICO-CULTURALE
ZIONI
INFORMA
La scienza e la tecnica: le grandi invenzioni del Medioevo
Il Medioevo è un periodo di grandi inno-
vazioni nell’ambito della tecnica: vedo- Mulino ad acqua,
no la luce delle grandi invenzioni che miniatura tratta dal
Salterio di Lutrell,
cambiano per sempre la vita dell’uomo. 1325-1335 circa.
Londra, British
Il mulino ad acqua e a vento Library.
Nel Medioevo l’acqua e il vento inco-
minciano ad essere utilizzate come
fonte di energia. Le acque, attraverso Il mese di marzo,
miniatura tratta da
la ruota idrica, e il vento, che spinge le Les Très Riches
pale dei mulini, ora mettono in moto le Heures du duc de
macine per il grano e i frantoi per la Berry. Chantilly,
spremitura delle olive, ma possono Musée Condé.
anche azionare mantici e pompe. La
diffusione di questi nuovi mulini per-
mette di automatizzare un lavoro che
prima era stato svolto molto faticosa- Ugone di Provenza,
mente dalle braccia umane. affresco di
Tommaso da
L’aratro pesante Modena, 1352.
Treviso, ex convento
Questo nuovo tipo di aratro penetra fa- San Nicolò, sala del
cilmente nel terreno e consente di rime- Capitolo.
stare a fondo le zolle, così da rendere
più produttivi i campi. L’aratro pesante,
composto da tre lame, viene trainato
dagli animali da giogo (buoi, cavalli...)
con il collare a spalla, che permette di
diminuire lo sforzo del traino.
Gli occhiali
Una delle prime attestazioni dell’uso
degli occhiali risale al 1352, quando le
lenti compaiono sul naso del cardinale
Ugone di Provenza nel ritratto che ne fa
Tommaso da Modena nella chiesa di
san Niccolò a Treviso. Probabilmente
gli occhiali sono inventati dai maestri
vetrai di Venezia tra la fine del Duecen-
to e gli inizi del Trecento.
Miniatura da
L’orologio meccanico Horologium
I primi orologi meccanici compaiono in sapientiae
Occidente nel XIII secolo (mentre in Ci- (1335-38) di
Henricus Suso.
na esistevano già da secoli) e sostitui- Bruxelles, Biblioteca
scono altri strumenti meno precisi di reale del Belgio.
misurazione del tempo, come la meri-
diana e la clessidra. La diffusione degli
orologi meccanici cambia completa-
mente il modo di percepire e di vivere il
tempo, che ora può essere contato con
esattezza, quantificato, parcellizzato
e pianificato.
19
PARTE PRIMA Il Medioevo
Miniatura da un
manoscritto del XIII
secolo di origine
araba che mostra
delle persone che
suonano in un
giardino. Londra,
British Library.
L’espansione L’incontro-scontro con questa cultura è perciò essenziale per la comprensione degli stessi
islamica fatti culturali europei. Nel nostro continente la cultu-
ra araba si sviluppa soprattutto in Spagna e in Sici- Islamico L’aggettivo “islamico” si riferisce
all’Islam, la religione monoteista fondata da
lia, dove si mescola a quella cristiana. E anche dopo Maometto (575 ca.-632 d.C.). L’Islam si basa
che gli arabi vengono fermati da Carlo Martello a Poi- sulla sottomissione alla volontà di Dio e sui
tiers (732 d.C.) e poi cacciati dalla Sicilia a opera dei precetti contenuti nel Corano, il libro sacro.
Per estensione, si denomina Islam la civiltà, la
normanni (XI secolo), il confronto tra musulmani e cultura, l’arte dei musulmani, cioè di coloro
cristiani continuerà sia con le crociate sia con la Recon- che sono ‘sottomessi a Dio’ (muslimūn): isla-
quista in Spagna. mico e musulmano sono, di fatto, sinonimi.
20
QUADRO STORICO-CULTURALE
La Reconquista Viene chiamato “Reconquista” (termine spagnolo per ‘riconquista’) il periodo di 750 anni in cui
avvenne l’espugnazione dei regni musulmani di Al-Andalus nella Penisola iberica da par-
te dei regni cristiani del Nord della Spagna. La Reconquista terminò nel 1492, sotto il potere
dei “re cattolici” Ferdinando e Isabella, con la conquista di Granada.
La rappresenta- L’incontro-scontro con l’Islam è rappresentato in chiave letteraria nelle chansons de ge-
zione letteraria ste, i poemi epici che nacquero in Francia nell’epoca delle crociate e della Reconquista. In essi si
dell’Islam in
Occidente mostra soprattutto il momento dello scontro: militare e religioso. Nei poemi epici i musulma-
ni sono presentati in genere come assoluta negatività: non cristiani, ma “pagani” anche fisica-
mente “brutti”, portatori di disvalori.
L’importanza della Al di là di questa rappresentazione letteraria, mentre la cultura cristiana medievale è prevalen-
cultura islamica temente simbolica e spirituale, quella islamica si rivela assai più concreta e materiale e quindi
più disposta allo studio oggettivo e scientifico dei fenomeni. Questo spiega il ruolo di primo
piano svolto dagli arabi nella trasmissione e nell’elaborazione del sapere scientifico. E da
questo punto di vista si può dire che la nuova identità europea si costruisce non in opposizio-
ne, ma grazie alla collaborazione con l’Islam.
L’Islam e il sapere Molte conquiste della cultura islamica diventano infatti ben presto patrimonio comu-
scientifico ne dell’Occidente europeo: nel campo della matematica, gli arabi importano dall’India il si-
stema numerale (basti pensare ai numeri “arabi”), l’algebra e l’uso dello zero; nel campo del-
la filosofia, traducono i testi del filosofo greco Aristotele e promuovono un atteggiamento ra-
zionale nello studio dei fenomeni naturali; nel campo medico, trasmettono il patrimonio
della medicina greca e romana, integrandolo; nel campo geografico, l’arabo Idrisi compie la
più complessa e particolareggiata descrizione del mondo conosciuto (contenuta nel Libro di
Ruggero, sec. XII).
La cultura araba e La cultura araba influenza anche la letteratura europea e in particolare la narrativa, fondan-
la letteratura do un nuovo genere – la novella – che dalla Spagna araba si diffonderà in tutta l’Europa,
europea
influenzando modi e tematiche fino a Boccaccio ( Capitolo 6). Molte opere arabe presen-
tano infatti due caratteristiche tipiche del futuro racconto in lingua romanza: l’uso della pro-
sa e l’invenzione della cornice, cioè di una struttura narrativa che contiene all’interno altri
racconti.
L’avventura e il Nei racconti delle Mille e una notte prevale il gusto per l’avventura e per il meraviglioso: in mol-
meraviglioso ti episodi agiscono forze magiche e soprannaturali, e in particolare gli jinn (cioè i geni, tra i
quali il più conosciuto è quello della lampada di Aladino). Insieme a personaggi fantastici con-
vivono tuttavia molti personaggi concreti e realistici, appartenenti a diversi ceti sociali e abi-
tanti delle grandi città d’Oriente, come Baghdad e Bassora.
21
PARTE PRIMA Il Medioevo
DOCUMENTO 3
Shahrazad
Shahrazad è la novellatrice delle Mille e una notte. La giovane donna, intelligente e appassionata lettrice,
mette a punto un piano per interrompere la crudele abitudine del sovrano Shahriyar, che manda a morte le
sue amanti dopo averci trascorso la notte: Shahrazad si sarebbe proposta come nuova vittima e avrebbe
intrattenuto il re attraverso avvincenti racconti, rimandandone la conclusione al giorno successivo. Il piano
funziona e, trascorsi più di tre anni (mille e una notte), Shahriyar è disposto a salvare Shahrazad, della quale
si è nel frattempo innamorato. I due si sposano, e «per anni e anni ancora il sovrano regnò con la sua amata
sposa in gioia e felicità». Il testo che segue si colloca all’inizio dell’opera: dopo che sono state spiegate le
ragioni dello spietato comportamento del sovrano, che fa pagare a tutte le donne del regno il tradimento
della moglie, viene introdotta la protagonista Shahrazad, figlia del visir. Una insensata vendetta maschile ri-
ceve una risposta femminile prodigiosa. L’arte di raccontare riesce, alla fine, a cambiare la realtà.
Furioso per l’infedeltà della consorte, Shahriyar la fece giustiziare insieme alla sua servitù.
Ma questo non lo consolò delle proprie pene e, anche quando Shahzaman1 fece ritorno nel
suo regno, il fratello più anziano rimase irrequieto e chiuso in se stesso.
Infine chiamò a sé il visir2 e gli disse: «D’ora in avanti mi porterai ogni sera come sposa una
5 bella fanciulla del paese, una giovane di nobile famiglia. Al mattino però dovrai togliermela di
torno e ucciderla, ché nelle donne non esiste né fede né onore!».
«Odo e ubbidisco» disse il visir con la tristezza nel cuore.
Da allora in poi ogni giorno il visir sceglieva una fra le vergini del paese e la faceva adornare
e vestire da sposa per condurla di sera negli appartamenti del re. Il mattino seguente, però la
10 portava dal carnefice.
In questo modo trascorsero tre anni e in tutto il regno si alzarono lamenti e si versarono
lacrime. Non c’era famiglia che non avesse dovuto consegnare una delle sue figlie al re. Molti
scapparono al di là dei confini per sottrarsi alla sventura.
Orbene, lo stesso visir aveva due figliole, belle come la luna lucente sopra le colline. Shahra-
15 zad, la più grande, era esperta d’ogni arte e aveva letto con zelo le cronache del paese. Cono-
sceva le leggende dei tempi antichi, era intelligente e aveva il dono della parola. La sorella più
giovane, Dunyazad, le era legata di tenero amore e da lei si faceva guidare e istruire.
Una sera Shahrazad disse al visir: «Mio caro padre, annuncia al re che oggi mi condurrai al
palazzo come suo sposa».
20 «Figlia mia, ma tu sai che là ti attende la morte?» chiese il visir inorridito.
«Sì, padre, lo so. Ma si è versato troppo sangue: adesso basta. O mi riuscirà di dissuadere il
re e porre fine al terrore o mi sarò sacrificata spontaneamente per le molte giovani che a causa
sua hanno perso la vita».
Il visir insistette, ma Shahrazad non volle desistere. Infine l’uomo, assai turbato, si recò al
25 palazzo e annunciò al re che quella sera gli avrebbe condotto la figlia in sposa.
«Amico mio», disse il re attonito «ti ho conosciuto come persona sincera e fidata in ogni
frangente. Per questo non ho mai preteso che mi portassi tua figlia. Non sai che allo spuntar
del giorno tu stesso dovrai consegnarla al boia?».
Il visir baciò la terra dinanzi al re e disse: «Lo so bene, nobile signore. Ma la ragazza insiste
30 nel voler venire da voi e non recede». – «Se è così, allora, portamela».
1 Shahzaman: è il fratello minore di Shahriyar, anch’egli si a giochi d’amore con schiavi e ancelle.
tradito dalla moglie. È Shahzaman che informa Shahriyar 2 visir: alto funzionario del mondo islamico, con funzio-
dell’infedeltà della regina, dopo averla vista abbandonar- ne di consigliere del sovrano.
22
QUADRO STORICO-CULTURALE
Quando il sole fu tramontato, Shahrazad indossò un abito nuziale e i suoi più bei gioielli e
si avvolse in un velo dalla trama fitta e intessuta d’oro. Al momento di abbandonare la casa,
chiamò a sé la sorella e le disse:
«Dunyazad, ascolta le mie parole! Questa notte, quando il re non avrà più bisogno di me, ti
35 manderò a chiamare. Vieni nella nostra camera da letto, siediti accanto a noi e chiedimi di rac-
contarti una storia per far passare il tempo. Se Dio lo vorrà,3 sarà questa la nostra salvezza».
Ciò detto, Shahrazad si fece portare dal padre al palazzo e fin negli appartamenti reali. Il re
li raggiunse e, quando ebbe sollevato il velo, rimase colpito da tanta bellezza. Poi vide che la
fanciulla piangeva.
40 «Che cosa ti succede?» chiese.
«Nobile sovrano», rispose Shahrazad «ho una sorella più giovane a cui ho sempre fatto da
guida e che mi ama. Permettetemi di vederla ancora una volta e di congedarmi da lei».
Il re glielo concesse e mandò a chiamare Dunyazad. La ragazza entrò nella stanza reale e si
accoccolò presso l’alcova.4 Dopo che il re fu riposato accanto a Shahrazad e tutti e tre si furono
45 messi a sedere per poter conversare, la più giovane esordì:
«Cara sorella, raccontaci – ti prego – una delle tue storie misteriose e belle, di modo che il
tempo scorra più veloce e più piacevole!».
«Lo farò volentieri, se ciò è gradito al nostro nobile sovrano» rispose Shahrazad. Il re, che
era incantato dalla grande bellezza di Shahrazad e non riusciva a trovar pace, disse soltanto:
50 «Racconta!».
E Shahrazad baciò le mani al re, gli prese i piedi in grembo e cominciò. Raccontò storie così
misteriose e belle, che il re e la piccola sorella ascoltarono rapiti scordandosi del tempo.
Quando una storia finiva, Shahrazad ne cominciava subito un’altra, finché fuori non vide
spuntare la luce del mattino. Allora tacque senza concludere la storia.
55 «Com’era bello il tuo racconto, quanto soave e quanto dilettevole, vai avanti!» esclamò
Dunyazad.
«Potrei continuare nel racconto la notte che verrà, se il nostro nobile sovrano volesse
farmi dono della vita per un giorno ancora» disse la giovane. E il re pensò: «Io posso e voglio
concederglielo. Finché non avrò sentito la fine di questa storia non morirà!».
60 Al mattino, come sempre, il re andò al consiglio di Stato, dove già si trovava il visir in attesa
di portare la figlia dal carnefice. Il re tuttavia non disse nulla, si dedicò alle questioni di governo,
restò lì fino a sera, dopodiché fece ritorno nei suoi appartamenti. Il visir era molto meravigliato.
Ma Dunyazad rimase accanto alla sorella e, quando scese la notte, la pregò: «Shahrazad,
finisci di raccontarci la tua bella storia!».
65 «Se il re lo permette». – «Racconta» si limitò a dire il re.
Shahrazad baciò le sue mani e proseguì. Raccontò per tutta la notte. Aveva sempre una
nuova storia, finché non fu l’alba e di nuovo il re le donò un altro giorno di vita per ascoltare la
conclusione del racconto interrotto.
Così trascorsero i giorni e le notti. Il re non era mai stanco di ascoltarla e Shahrazad, in
70 modo sempre nuovo, intrecciava avventure e avvenimenti – finché non ebbe raccontato per
mille e una notte.
Alcune delle più belle storie uscite dalla sua bocca sono state raccolte in questo libro, e chi le legge
saprà che cosa ne fu di Shahrazad dopo le tante e tante notti.
Le più belle favole delle Mille e una notte, a cura di A. Esterl, Adelphi, Milano 2006.
3 Se Dio lo vorrà: è la traduzione dell’espressione araba benedizione divina su tutto ciò che sta per accadere.
insha’allah, che indica un augurio per il futuro, perché si 4 alcova: parte di una stanza, separata da tendaggi o ar-
realizzi ciò che si desidera. L’espressione invoca anche la chi, in cui si trova il letto.
23
PARTE PRIMA Il Medioevo
Piazza Maggiore
a Bologna, su
cui si affacciano
il Palazzo del
Podestà, la Basilica
di San Petronio, il
Palazzo dei Banchi,
l’Archiginnasio,
sede medievale
dell’Università di
Bologna, la più
antica università
d’Europa.
24
QUADRO STORICO-CULTURALE
Il preumanesimo Si fa ricorso invece alla nozione di preumanesimo se si vuole sottolineare la presenza, nell’ar-
te e nella letteratura del Trecento, di motivi che anticipano l’Umanesimo del Quattro-
cento, e prima di tutto la necessità di un rinnovamento culturale ispirato al mondo classi-
co e alla lezione degli antichi. Questo intreccio fra elementi di continuità e di rottura con il
passato è evidente nei due più grandi autori di questo periodo: Francesco Petrarca (1304-1374)
e Giovanni Boccaccio (1313-1375).
I mutamenti nel Se da una parte il Trecento è segnato da una grave crisi economica e demografica, dall’altra si
campo culturale assiste a una maggiore diffusione della cultura. Questa non circola più solamente nei mona-
steri e nelle università, ma anche nelle botteghe dei mercanti, nei palazzi, nelle corti delle cit-
tà d’Italia e d’Europa, tra uomini d’azione, politici, signori, cancellieri di repubbliche e perfino
condottieri, mercanti e artigiani. Il fatto che vi sia una maggiore diffusione della cultura non
significa che questa sia più democratica: il sapere e l’arte restano pur sempre accessibili soltan-
to alla parte più agiata della società, a chi detiene il potere economico e politico.
I centri della I centri di elaborazione culturale si sviluppano essenzialmente intorno a tre tipi di istituzioni:
cultura le università, i cenacoli, le corti. Le università conoscono un processo di crescita e di diffu-
sione per iniziativa dei nuovi Stati nazionali e regionali, interessati a formare un personale spe-
cializzato che si occupi degli affari burocratici di sovrani e di signori (notai, segretari).
I cenacoli e le corti Nuovo è invece il fenomeno della nascita di cenacoli, cioè di circoli frequentati e promossi da
intellettuali che si riuniscono per discutere e per studiare insieme i classici. Ma sono le
corti gli ambienti culturali per eccellenza, destinate a svilupparsi nei secoli successivi: i loro si-
gnori ordinano agli artisti opere d’arte e allestiscono ricche biblioteche.
Nel corso del XIV secolo cresce il distacco fra attività pratiche e attività intellettuali. Il let-
terato è sempre più un individuo “separato” dalla società, che vive il proprio ruolo al di fuori
di un impegno d’ordine sociale, politico o religioso. I nuovi intellettuali tendono a stabilire
rapporti del tutto personali con i detentori del potere sulla base di uno scambio: i signori of-
frono ospitalità e protezione, gli scrittori ricambiano Mecenate È definito così chi protegge e fi-
con il prestigio conferito dalla loro presenza nelle cor- nanzia gli studi e le attività artistiche. Il so-
ti e assolvendo incarichi prestigiosi (ambascerie, dire- stantivo deriva dal nome di Gaio Cilnio Me-
cenate (70-8 a.C.), consigliere dell’impera-
zione della segreteria del signore, ecc.). La generosità
tore Augusto e protettore di artisti e scien-
dei mecenati è celebrata nelle opere degli scrittori. ziati, tra cui Virgilio.
l’intellettuale “separato”
Le figure
il signore-mecenate
il macabro
I temi e i valori
il recupero del mondo classico
l’università
Le istituzioni il cenacolo
la corte
Petrarca (1304-1374)
I protagonisti
Boccaccio (1313-1375)
25
PARTE PRIMA Il Medioevo
ZIONI
INFORMA
Il libro nel Medioevo. Breve storia di un oggetto di lusso
Penne d’oca e pergamena: I copisti comprano a caro prezzo le pel- dei testi) e il concetto di vero o di fal-
i manoscritti dell’Alto Medioevo li idonee e le tagliano a formare dei qua- so è molto diverso da quello moderno.
Nel periodo delle invasioni barbariche derni. Prima di cominciare a scrivere,
le grandi opere della letteratura clas- tracciano le righe e praticano delle in- Il libro nel Trecento
sica rischiano di essere distrutte e di cisioni per allineare le pagine. Penne Nel Trecento vediamo un ampliamen-
scomparire: i monaci ne garantiscono d’oca o di cigno e temperini sono gli to del consumo del libro, favorito dai
la sopravvivenza attraverso un’opera strumenti indispensabili al copista, che minori costi della carta e dalla cresci-
paziente di copiatura. in caso di errore raschia la superficie ta del numero dei lettori, per lo più ap-
Il copista che trascrive a mano i codici della pergamena. partenenti alla classe mercantile. Tale
(cioè i libri) antichi prende il nome di I codici manoscritti vengono decorati allargamento del pubblico impone poi
“amanuense” (dal latino amanuensis, con ricche e vivide miniature: il libro una diversificazione della forma libro
tratto dalla locuzione a manu servus, è infatti un oggetto di lusso, donato in e dei modelli di scrittura in rapporto al
‘servo che ha l’incarico di copiare a ma- occasione di nozze e alleanze. suo uso sociale.
no’). In genere gli amanuensi sono mo- Per quanto riguarda la produzione libra-
naci e lavorano negli scriptoria (‘sale Libri senza autore ria trecentesca, la novità è data anche
di scrittura’) dei monasteri e dei con- Nel Medioevo oralità e scrittura spes- dalla grande diffusione della letteratura
venti: qui copiano direttamente i codi- so si confondono, favorendo la diffu- in volgare. Viene fondata la tradizione
ci oppure scrivono sotto dettatura. sione di produzioni anonime e di veri e del libro cortese di lettura: in grafia goti-
Nell’Alto Medioevo non ci sono né la car- propri rifacimenti, molto diversi dall’o- ca, di formato medio, senza commento,
ta né la stampa: i monaci scrivono quin- riginale. Non di rado il falso viene crea- elegantemente miniato, esso risponde
di sulla pergamena, cioè sulla pelle di to appositamente: clamoroso è il ca- alle esigenze del pubblico raffinato del-
mucca, montone o vitellino, trattata e so della donazione di Costantino, do- le corti dell’Italia settentrionale, appas-
adeguatamente lavorata: le pelli ven- cumento risalente alla seconda metà sionato lettore di poesie. Esistono tut-
gono lavate in una soluzione di acqua dell’VIII secolo – inventato dalla Chiesa tavia anche i libri-registro, di formato
di calce, poi si elimina il pelo, si stirano per giustificare il proprio potere politico medio, scritti in corsivo, senza deco-
su assi di legno, si asciugano e si ra- – riguardante la donazione della par- razioni. Questo tipo di libro, meno pre-
schiano. Si ottengono così delle pelli te occidentale dell’Impero, compresa giato, in carta, è un prodotto privato,
sottilissime, trasparenti, che vengono la città di Roma, alla Santa Sede. Non scritto direttamente dal consumatore,
strofinate con gesso e con pietra po- esiste insomma nessuna preoccupa- che usa scritture corsive e contiene te-
mice per essere ammorbidite. zione filologica (cioè per l’accuratezza sti diversi.
26
QUADRO STORICO-CULTURALE
La letteratura medievale:
nuovi generi per un nuovo pubblico
CONCETTI-CHIAVE
Il Medioevo è la culla della letteratura “europea”. In Francia e in Italia vengono codificati nuovi generi
e nuovi temi. La letteratura francese delle origini (XI-XIII secolo) si esprime soprattutto in due grandi
generi letterari: il romanzo cortese in versi, scritto in lingua d’oïl, e la poesia lirica provenzale, in lin-
gua d’oc. Nell’Italia dei Comuni, la nascita del nuovo ceto borghese favorisce l’affermazione di una
variegata letteratura in volgare, destinata a un pubblico più ampio rispetto alla ristretta cerchia cui si
rivolge la lirica d’amore. Nel Trecento si approfondisce questa distinzione fra letteratura d’intratteni-
mento e letteratura d’élite: le novelle di Boccaccio e le liriche di Petrarca sono i maggiori esempi dei
due tipi di produzione.
Miniatura da un
manoscritto del
Roman de Lancelot
du Lac, 1301-1400.
Parigi, Bibliothèque
de l’Arsenal.
12 I generi letterari
Il romanzo e la Alle origini delle letterature romanze abbiamo visto come la Francia abbia un ruolo preminen-
lirica in Francia te in Europa. In questo paese la cultura cavalleresca e cortese accompagna la nascita di due
grandi generi letterari: la poesia lirica provenzale, in lingua d’oc, prospera nella Francia
meridionale e in Provenza già a partire dalla fine del secolo XI; il romanzo cortese in versi,
scritto in lingua d’oïl, fiorisce invece nella Francia settentrionale nel XII secolo.
27
PARTE PRIMA Il Medioevo
Le diverse forme Si rivolge a un pubblico più ampio, anche popolare, la letteratura religiosa e, in particolare, il
della poesia in genere della lauda, cantata da confraternite religiose e anche dalle grandi masse dei flagellan-
Italia
ti: i penitenti che si frustavano a sangue, cantando le lodi del Signore per mortificare la carne
ed esaltare lo spirito. Sull’altro fronte c’è una produzione letteraria molto più raffinata e com-
plessa: quella della poesia d’amore in volgare, che si rivolge a un’élite di persone d’animo no-
bile, trovando il proprio ristretto pubblico in settori del vecchio ceto nobiliare e feudale, e ne-
gli strati superiori della nuova borghesia. In Toscana, nella seconda metà del Duecento, nasce
anche un tipo di poesia alternativa a questo modello alto: è la poesia comica, che tratta temi
quotidiani in toni giocosi che coinvolgono un pubblico vario e numeroso.
28
QUADRO STORICO-CULTURALE
Dante Il capolavoro della letteratura medievale (non solo italiana) è la Commedia di Dante Ali-
e la Commedia ghieri. Il poema aspira a coinvolgere un pubblico il più ampio e vario possibile e rappresenta
un’originale mediazione fra generi, stili e linguaggi diversi proprio perché destinato a let-
tori molto differenziati: molti canti del Paradiso presuppongono un pubblico di intellettuali
e di uomini di alta cultura, mentre certi canti dell’Inferno potevano facilmente divenire “popo-
lari”. Dante si pone così l’obiettivo di comporre un’opera capace di totalità e di universalità, sia
nella materia trattata sia nei registri stilistici adottati. La Commedia è anche l’ultimo capolavo-
ro dell’età comunale.
La letteratura in Nel Trecento cresce la cerchia dei lettori provenienti dal ceto borghese cittadino e, di conse-
volgare nel guenza, si sviluppa ulteriormente la letteratura d’intrattenimento destinata a questo tipo
Trecento: Petrarca
e Boccaccio di pubblico. Allo stesso tempo la distinzione fra produzione di consumo e produzione d’élite
(rappresentata soprattutto dalla lirica stilnovista) si accentua sempre di più.
È il genere della novella ad affermarsi in modo deciso: il Decameron di Boccaccio circola
in vasti strati di pubblico prima ancora che la composizione del libro sia ultimata. Tra i desti-
natari delle novelle vanno annoverate in particolare le donne, alle quali d’altronde il Decame-
ron è dedicato. Boccaccio non scrive tuttavia un’opera solo per l’intrattenimento femminile:
egli è ben consapevole dei nuovi spazi che si aprono nella società del Trecento alla diffusione
di una letteratura di facile consumo, che si rivolge a un pubblico allargato proponendosi il fine
del piacere della lettura. Sul fronte della poesia, invece, la produzione lirica in volgare confer-
ma e formalizza i caratteri chiusi e aristocratici della tradizione stilnovista. Nel Canzoniere Pe-
trarca punta su scelte stilistiche rigorose: vuole creare una lingua della poesia “separata” da
quella comune, astratta e autosufficiente, ricca di sfumature emotive e di allusioni simboli-
che e culturali.
versus
Il Canzoniere,
Poesia lirica capolavoro della
Pubblico d’élite
d’amore letteratura d’élite
29
PARTE PRIMA Il Medioevo
30
QUADRO STORICO-CULTURALE
Il Gotico Il termine “gotico”, con cui si usa indicare l’arte dei secoli XIII e XIV, è privo di qual-
siasi significato storico e di qualsiasi riferimento ai Goti, popolazione dell’antica Germania.
“Gotico” è una parola di origine rinascimentale, usata in senso spregiativo con il significato di
‘barbaro, selvaggio distruttore della tradizione classica’. Perduta la carica polemica, il termi-
ne serve oggi a indicare l’arte dell’Occidente europeo fra l’esaurirsi del Romanico e il sorgere
del Rinascimento. Storicamente, l’arte gotica coincide con la piena affermazione della civiltà
urbana e borghese e con il successivo costituirsi delle monarchie nazionali e degli Stati regio-
nali. Il Gotico sorge, con quasi un secolo di anticipo rispetto all’Italia, in Francia, nella regione
parigina, sviluppandosi in ogni ramo artistico (dall’architettura alla scultura, dalla pittura alla
miniatura, dall’arredamento all’oreficeria) ma dedicando al campo architettonico i massimi sfor-
zi. Evidenti sono le differenze rispetto all’arte romanica: la cattedrale gotica ha un preminente
sviluppo verticale, con un’accentuata tensione verso il cielo (e verso Dio), la linea prevale sulla
massa, il vuoto sul pieno.
Il senso di maggiore apertura e accoglienza della chiesa gotica è sottolineato, nella facciata,
dai tre portali e dalla presenza di statue che si liberano dal muro e si fanno incontro al pubblico.
L’edificio è alleggerito da grandi rosoni e da finestre a vetrate policrome, attraverso cui la luce
inonda lo spazio interno. Nelle navate è evidente lo slancio verticale della chiesa, sostenuto
dall’arco a sesto acuto e dalla volta a crociera. Si eliminano i muri che dividono lo spazio roma-
nico, così da creare un ambiente unitario, in cui la luce possa irradiarsi senza ostacoli. L’orna-
mentazione, ricchissima, trova nella vetrata un elemento fondamentale: essa irradia una luce
ampia, calda e variata a seconda dei colori.
31
PARTE PRIMA Il Medioevo
L’estetica della luce nell’arte gotica Come abbiamo visto, la luce è elemento centrale della chie-
sa gotica: le alte vetrate che irradiano luce all’interno dell’edificio costituiscono una netta differenza
rispetto all’oscurità e al senso solenne e grave di oppressione delle chiese romaniche. D’altra parte, la
luce si carica anche di un profondo significato teologico: Dio è luce ed investe, con la propria luminosi-
tà, tutte le creature. Le estetiche medievali della luce derivano da Platone e soprattutto dal principale
rappresentante del neoplatonismo, Plotino (204-270). Furono poi gli scritti di Dionigi Areopagita
(V sec.), che fondono platonismo e cristianesimo, a influenzare direttamente la teologia e la misti-
ca della luce, su cui si basa la nascita dell’arte gotica. Anche nella Divina Commedia di Dante il senso
profondo e definitivo della realtà universale si esprime concretamente nella presenza e nell’assenza
di luce: poiché il senso dell’universo è dato da Dio, e poiché Dio è luce, la maggiore o minore intensità
della luce esprime il rapporto di maggiore o minore distanza fra Dio e le sue creature, istituendo un
ordine e una gerarchia che va dal caos all’armonia. Ne consegue, quindi, che il regno più lontano da Dio,
l’Inferno, è assolutamente privo di luce. Nel Purgatorio, invece, il sole risplende sulla grande monta-
gna: simbolo di Dio, esso illumina la strada che le anime espianti devono percorrere per raggiungere la
purificazione e la beatitudine. Tuttavia, essendo il Purgatorio uno stato di tensione verso il divino, non
ancora raggiunto, la luce resta un elemento non costitutivo ma esterno, che giunge dal di fuori. Invece,
nel Paradiso, la luce si fa struttura del regno celeste ed essenza stessa della natura divina. L’immagine
riportata sotto mostra una “rosa” o “rosone” della cattedrale parigina di Notre Dame. La rosa, nell’icono-
grafia cristiana, rimanda alla coppa che raccolse il sangue di Gesù (il Graal), oltre a richiamare la forma
del sole, simbolo divino. Al centro del rosone è rappresentata la Madonna con il Bambino, e, intorno,
nei medaglioni che si irradiano, sono raffigurati profeti, re e patriarchi dell’Antico Testamento. Al di là
delle figure religiose riconoscibili, il rosone colpisce anzitutto per l’alto potere suggestivo, determinato
dall’accordo dei colori e dalla variazione delle forme. Il fedele resta coinvolto in una sorta di incantesimo.
32
QUADRO STORICO-CULTURALE
Il realismo dell’arte gotica Accanto alla luce, un altro elemento caratteristico dell’arte gotica
è il realismo degli elementi decorativi. Nelle sculture dei capitelli e dei portali la rappresenta-
zione della natura e della figura umana si fa meno astratta e stilizzata, più evidente e realisti-
ca. Ciò testimonia una rivalutazione della concretezza dell’esistenza: la dimensione terrena
ormai esiste di per sé e non solo in funzione della dimensione ultraterrena. Ecco che cosa
scrive in proposito lo storico francese Jacques Le Goff (1924-2014):
Il mutamento forse più importante che ci rivela l’arte medievale è la comparsa – col realismo
e il naturalismo – di un nuovo sguardo sul mondo, un nuovo sistema di valori. Questo sguardo
si sofferma ormai sulle forme e, invece di essere un semplice simbolo della realtà nascosta, il
mondo sensibile acquista valore in sé, è oggetto di immediato compiacimento. Nell’arte gotica
i fiori sono fiori reali, i lineamenti umani tratti individuali, le proporzioni quelle delle misure
materiali e non dei significati simbolici».
J. Le Goff, La civiltà dell’occidente medievale, Einaudi, Torino 1981.
Il realismo di Giotto Questa riabilitazione della natura, questo recupero dell’elemento terreno e
soprattutto della figura umana, che ora riacquista tutta la sua dignità, è evidente anche nella pittura.
Basterà pensare, in Italia, al realismo degli affreschi di Giotto (1267-1337), che, non a caso, dedica
un ciclo di 108 immagini alla vita di san Francesco. Fu infatti il santo di Assisi, per primo nel nostro
Paese, a rappresentare una rivalutazione ottimistica di tutte le creature e, fra esse, dell’uomo. Questa
cordialità del rapporto di Francesco con il mondo si riflette anche nel ciclo degli affreschi giotteschi.
Nella rappresentazione delle storie sacre, Giotto era infatti interessato a interpretare «come si sa-
rebbe atteggiato un uomo, come avrebbe agito, come si sarebbe mosso se avesse preso parte a un
tale evento» (E. Gombrich). Anche nell’affrontare un tema iconografico convenzionale come quello
del Giudizio universale, il pittore rivela uno sguardo nuovo, realizzando figure realistiche e concrete.
33
PARTE PRIMA Il Medioevo
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
IL MEDIOEVO: DEFINIZIONE E COORDINATE TEMPORALI
Il Medioevo è un’epoca storica molto lunga, che va dal 476, anno in cui vie-
ne deposto l’ultimo imperatore romano d’Occidente, fino al 1492, quando Medioevo
viene “scoperta” l’America. Il termine, coniato dagli umanisti, significa ‘età
di mezzo’ ed ha in origine un’accezione negativa. Si distinguono due grandi
fasi: Alto Medioevo (fino al Mille) e Basso Medioevo (dopo il Mille). 476 d.C. 1492
LA POLITICA E LA SOCIETÀ
L’età medievale è caratterizzata dal feudalesimo, un sistema economico,
politico e sociale fondato sulla supremazia della nobiltà terriera. Il feuda- sistema economico,
lesimo si basa su un intreccio di interessi fra signori locali e grandi signori politico e sociale
centrali: i secondi concedono ai primi, loro vassalli, di governare i lori feu-
di. Dopo il Mille migliorano significativamente le condizioni di vita in Euro- feudalesimo Comune
pa: riprende la vita nelle città e un crescente dinamismo sociale porta alla
ribalta la figura del mercante. I ceti urbani creano nuove forme di organiz-
zazione del potere, i Comuni, che acquistano un ruolo importante in Italia, supremazia della dinamismo sociale
dove manca un governo nazionale. nobiltà terriera dei ceti urbani
LA CULTURA CORTESE
Il concetto di cortesia si lega all’aggettivo “cortese”, che deriva dalla corte
del sovrano e dei signori feudali, e indica un modello morale e culturale in- cultura cortese
centrato sui valori di gentilezza, nobiltà, raffinatezza e generosità. La cul-
tura cortese si diffonde in Europa tra l’XI e il XIII secolo, prevalentemente in nasce in Francia
ambiente cavalleresco, e fiorisce in particolare in Francia, dove nascono la
lirica provenzale e il romanzo cortese. Al centro di entrambi questi generi
letterari – e della stessa cultura cortese – sta il tema amoroso, che diviene lirica romanzo
anche oggetto di trattazione teorica (il trattato più importante è il De Amo- provenzale cortese
re di Andrea Cappellano). La prima figura laica di intellettuale nasce in que-
sto ambiente: è il giullare, che dapprima si esibisce in piazza per il popolo e
poi si specializza come cantore di testi poetici presso le corti.
34
QUADRO STORICO-CULTURALE
VERIFICHE
1 L’Alto Medioevo
In quali secoli si colloca l’Alto Medioevo?
a. II-IX
b. V-XI
c. X-XI
d. IV-XV
35
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERIFICHE
4 La nascita delle letterature romanze
Quale paese detiene il primato per quanto riguarda la nascita e lo sviluppo delle letterature romanze?
5 La cultura cortese
Completa il seguente testo sulla cultura cortese:
Il concetto di cortesia rimanda a un preciso ambiente sociale, cioè , e riassume in sé le
virtù del cavaliere. Nella cultura cortese assume un’importanza decisiva il tema , che,
secondo i dodici “comandamenti” elencati da nel trattato deve
essere casto e rispettoso. I due maggiori generi letterari della società cortese sono .
6 L’età comunale
Quali tra i seguenti fenomeni non caratterizza l’età comunale?
a. urbanizzazione
B. nascita del ceto borghese
C. laicizzazione della cultura
D. affermazione degli Stati regionali
7 La cultura araba
Nel Medioevo la cultura araba fornisce un apporto decisivo all’Europa occidentale:
a. in quali campi agisce maggiormente l’influenza della cultura araba?
b. chi è l’autore della raccolta di novelle arabe Le mille e una notte?
9 L’intellettuale “separato”
Nel corso del XIV secolo si profila la figura intellettuale “separato”: a che cosa si riferisce l’aggettivo “separato”?
10 Il convento e la piazza
Esamina le due immagini che
ti proponiamo, entrambe del XII
secolo: la prima rappresenta lo
scriptorium di un convento, la
seconda un giullare di piazza.
Descrivi le due figure e, alla
luce di quanto hai studiato nel
quadro storico-culturale, com-
poni per ciascuna di esse una
breve didascalia che spieghi:
quale cultura rappresenta la
Chiesa nell’Alto Medioevo
quale cultura incarna invece
il giullare
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Carlo Martello sconfigge i Saraceni a Poitiers, miniatura tratta da Chroniques de France ou de St Denis, 1332-1350. Londra, British Library.
GENERE
CAPITOLO 1
I generi della letteratura europea
PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
Le canzoni di gesta I poemi epici francesi in lingua d’oïl sono chiamati “canzoni di gesta” (in francese: chansons de
geste): essi vengono infatti interpretati da un cantore con accompagnamento musicale (di
qui il termine “canzoni”) e narrano le imprese degli eroi protagonisti (di qui il termine “ge-
sta”, cioè ‘imprese’). Le canzoni di gesta sono composte da letterati, ma la loro diffusione av-
viene oralmente anche presso un pubblico popolare e illetterato, che non sarebbe altrimenti
in grado di leggerle. I testi sono per lo più anonimi e i manoscritti che li tramandano hanno
molte varianti introdotte dai diversi cantori. Le canzoni di gesta sono composte di strofe (o las-
se) di varia lunghezza di versi decasillabi (cioè di dieci sillabe) uniti fra loro da assonanza (cioè
dalla presenza delle stesse vocali nella parte che segue la sillaba accentata nelle parole che chiu-
dono ciascun verso).
La Chanson de Vi sono diversi cicli di canzoni di gesta, ciascuno dei quali si incentra sulle imprese di una fami-
Roland glia o di una discendenza nobiliare. Il ciclo più celebre e più antico è quello di Carlo Magno,
in cui vengono narrate le imprese di re Carlo e dei suoi paladini (cioè i cavalieri più fidati) con-
37
PARTE PRIMA Il Medioevo
tro i saraceni (vale a dire gli arabi e genericamente i musulmani). Fa parte del ciclo di Carlo Ma-
gno anche la Chanson de Roland, composta intorno al 1080 e riconosciuta come il capolavoro
dell’epica medievale.
La trama della Il poema racconta in modo leggendario vicende accadute tre secoli prima, e in particolare la
Chanson de Roland spedizione di Carlo Magno contro i saraceni spagnoli nel 778. L’imperatore dei franchi, Car-
lo Magno, dopo aver combattuto in Spagna vittoriosamente per sette anni, decide di accettare
la proposta di pace del re saraceno Marsilio. Invia perciò come ambasciatore Gano, che però tra-
disce il suo sovrano predisponendo con i saraceni un agguato contro la retroguardia dell’eserci-
to franco, guidata dal conte Orlando. Presi alle spalle, dopo una lotta eroica, i cristiani vengono
sterminati a Roncisvalle. Solo in punto di morte il paladino Orlando si decide a suonare il cor-
no per chiamare in soccorso l’esercito di Carlo. La parte finale del poema narra l’arrivo di Carlo
e la vittoria dei cristiani sui saraceni; mentre il traditore Gano viene processato e ucciso.
Orlando, eroe La morte di Orlando ( T1) segna il momento di maggiore tensione del poema: egli rappresen-
cristiano ta insieme il perfetto guerriero e il perfetto cristiano, capace di unire valori militari e reli-
giosi, fedeltà al re terreno (Carlo Magno) e al Signore ultraterreno (Dio). La guerra narrata nella
Chanson de Roland si caratterizza anzitutto, infatti, come uno scontro tra religioni, segnato
dall’intervento di Dio, che assiste in vari modi l’esercito cristiano fino alla vittoria finale. Il pa-
ladino Orlando, perciò, non muore invano, e il suo sacrificio lo renderà celebre in tutta Europa,
DIGIT dove sarà il protagonista di altri poemi. Le sue imprese continueranno ad essere narrate, sia pu-
TESTI
Orlando rifiuta di re in chiave molto diversa, anche nell’Italia dell’Umanesimo e del Rinascimento grazie ai poe-
suonare il corno mi di Boiardo (Orlando innamorato, 1483, Parte seconda, Capitolo 6) e di Ariosto (Orlando
[Chanson de
Roland] furioso, 1532, Parte seconda, Capitolo 6).
FACCIAMO IL PUNTO
Che cosa sono le canzoni di gesta?
Qual è la trama della più famosa canzone di gesta?
Carlo Magno viene informato della morte di Orlando. Miniatura tratta da Chroniques de France ou de Saint-Denis, prima metà del XIV secolo. Londra,
British Library.
38
CAPITOLO 1 I generi della letteratura europea GENERE
La tragica morte di Orlando rappresenta la fine esemplare di una figura che vuole unire, nel sacrificio fi-
nale, la fedeltà feudale dovuta al proprio signore alla fedeltà cristiana dovuta a Dio. Gli ultimi pensieri di
Orlando sono infatti rivolti a Carlo Magno e a Dio.
I TEMI fede del paladino verso Dio e verso il sovrano
CLXXIII
Orlando sente che la morte lo invade,1
dalla testa sul cuore gli discende.
Sotto un pino se ne va correndo,
sull’erba verde s’è coricato prono,
5 sotto di sé mette la spada e il corno.2
Ha rivolto il capo verso la pagana gente:3
l’ha fatto perché in verità desidera
che Carlo dica a tutta la sua gente
che da vincitore è morto il nobile conte.
10 Confessa la sua colpa rapido e sovente,
per i suoi peccati tende il guanto a Dio.4
CLXXIV
Orlando sente che il suo tempo è finito.
Sta sopra un poggio scosceso, verso Spagna;5
con una mano s’è battuto il petto:
«Dio! mea culpa, per la grazia tua,
5 dei miei peccati, dei piccoli e dei grandi,
che ho commesso dal giorno che son nato
fino a questo giorno in cui sono abbattuto!».
Il guanto destro ha teso verso Dio.
Angeli dal cielo sino a lui discendono.6
CLXXV
Il conte Orlando è disteso sotto un pino,
verso la Spagna ha rivolto il viso.
Di molte cose comincia a ricordarsi,
di tante terre che ha conquistato, il prode,
5 della dolce Francia, della sua stirpe,
di Carlo Magno, suo re, che lo nutrì;
non può frenare lacrime e sospiri.
Ma non vuol dimenticar se stesso,
proclama la sua colpa, chiede pietà a Dio.7
La Chanson de Roland, a cura di G. Ruffini, Guanda, Parma 1981.
Metrica dell’originale: strofe di varia lunghezza. 3 la pagana gente: cioè i saraceni (ovvero i ranza che la sua morte non sia vana e che il
musulmani), contro i quali combattevano cristianesimo alla fine trionfi.
1 Orlando...invade: nell’immaginario medie- Orlando e gli altri paladini cristiani dell’eser- 6 Angeli...discendono: la vita di Orlando è
vale la capacità di presentire la propria morte cito di Carlo Magno. simile a quella di un santo, e come un santo
è una caratteristica che sottolinea il legame 4 tende...a Dio: il guanto era usato nel ritua- viene portato dagli angeli in Paradiso.
tra Dio e i grandi eroi. le di investitura dei vassalli e dagli ambascia- 7 Di molte cose...Dio: sul punto di morte, Or-
2 sotto...corno: le ultime azioni di Orlando tori per comunicare una sfida. Qui Orlando lando ricorda Carlo Magno, rivelando una
hanno un significato rituale: prima di morire esprime, attraverso un gesto di omaggio vas- profonda fedeltà verso il suo sovrano. Richie-
egli cerca un luogo adatto dove distendersi e sallatico, la sua sottomissione a Dio. dendo la pietà divina, dimostra anche la sua
dispone con cura i propri oggetti. Il pino era 5 verso Spagna: Orlando si volge ritualmen- irremovibile fede in Dio.
un albero particolarmente adatto al momen- te verso la terra dei mori (musulmani che in-
to, in quanto alto e proteso verso Dio. vasero la Spagna nell’VIII secolo), con la spe-
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PARTE PRIMA Il Medioevo
ANALISI Le forme dell’epica: lo stile solenne e ripetitivo La situazione descritta acquista perciò
una solenne lentezza per il ricorso a ripetizioni e formule. Si tratta di un elemento caratteri-
stico dell’epica medievale che dipende dalla trasmissione orale del testo. Anche nel breve
frammento proposto sono frequenti le ripetizioni, come si coglie subito dagli attacchi delle
strofe CLXXIII («Orlando sente che la morte lo invade») e CLXXIV («Orlando sente che il suo
tempo è finito»). Altre espressioni ripetute collegano le diverse strofe, creando così un cre-
scendo narrativo: l’insistenza sulla direzione cui si rivolge Orlando («verso la pagana gente»,
CLXXIII; «verso Spagna», CLXXIV; «verso la Spagna», CLXXV) acquista un significato particolare,
valorizzando la tragica scomparsa dell’eroe che sacrifica la propria vita in nome della guerra
santa contro gli infedeli.
INTERPRETAZIONE La morte come fine di un percorso ideale La morte è considerata il momento più significa-
E COMMENTO tivo delle vite degli eroi narrate nelle canzoni di gesta e nei romanzi cortesi medievali. Si tratta
di un momento rituale: il cavaliere non muore mai improvvisamente, ma avverte con anticipo
la vicinanza della propria fine (tale intuizione sottolinea il legame del paladino con il divino). La
morte appare non come una fatalità, ma come la fine esemplare di un percorso ideale: testi-
monia la totale devozione del cavaliere al sovrano e gli consente di ricongiungersi a Dio.
Durante gli ultimi istanti di vita, l’eroe è cosciente e ha così il tempo per riflettere sulla propria
condizione e per dedicare la vita ai valori e alla fede in cui crede.
COMPRENSIONE ANALISI
1. Riassumere Le tre strofe antologizzate descri- 2. Sottolinea nel testo parole ed espressioni che si
vono la morte di Orlando. Per ricapitolarne il contenu- ripetono. Come si spiega la frequenza delle ripetizio-
to, scegli di volta in volta l’opzione giusta. ni?
a. Dove? Dove muore Orlando?
a Gerusalemme
a Roncisvalle INTERPRETAZIONE E COMMENTO
ad Aquisgrana 3. Gli angeli scendono in terra da Orlando per poi por-
in un luogo imprecisato della Spagna tare la sua anima in cielo. Quale figura si sovrappone
in Orlando a quella del guerriero? Quale legittimazio-
b. Come? Quale posizione assume Orlando morente? ne riceve la guerra?
la testa rivolta verso i cristiani
la testa rivolta verso i pagani
la testa rivolta verso il cielo
la testa rivolta verso il campo di battaglia
c. Chi? A chi va il pensiero di Orlando sul punto di
morte?
alla Spagna a Dio
all’amata al traditore Gano
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CAPITOLO 1 I generi della letteratura europea GENERE
41
PARTE PRIMA Il Medioevo
T2 Jaufré Rudel
L’amore di lontano
Si sa poco o quasi niente della vita e della produzione di Jaufré Rudel, e tuttavia il suo nome è ancora
oggi tra i più celebrati della poesia europea grazie alla raffinatezza dello stile e dei temi. Il brano che se
gue è la sua più famosa canzone e parla di un lacerante «amore di lontano».
I TEMI desiderio d’amore e irraggiungibilità dell’amata
Metrica: canzone. 2 Vado...gelato: la condizione di tormento dell’amore del trovatore è tale che per esso
amoroso in cui si trova il poeta gli impedisce egli affronterebbe i più temibili ostacoli e sa-
1 di lontano: l’espressione di lontano, che di apprezzare la primavera: assorto dalla pas- crifici.
appare anche nel successivo amore di lonta- sione, egli è ormai indifferente a tutto ciò 4 Triste e gioioso: per esprimere il tormenta-
no, può significare sia provenienza (‘che vie- che lo circonda (il biancospino è un arbusto to stato d’animo del poeta vengono accosta-
ne/vengono da lontano’) sia ‘in lontananza’, spinoso con fioritura bianca). te parole che hanno significati abitualmente
dando un’impressione sfumata all’idea di 3 reame...schiavo: essere schiavo dei sarace- contrapposti (ossimoro).
qualcosa che è lontana. ni era la peggiore forma di prigionia. Il valore
ZIONI
INFORMA
L’amore inaccessibile
Tra le innumerevoli interpretazioni del lontana – perché distante, sposata e creta dimensione terrena. C’è da ag
l’«amore di lontano», la più illuminan appartenente a una classe superiore – giungere poi che la metafora dell’amo
te è senz’altro quella data da Leo Spit più viene amata dal poeta. A sua volta il re inaccessibile esprime il desiderio di
zer (18871960). Secondo il critico au paradosso amoroso si fonda sul para superare le rigide regole sociali del feu
striaco, l’«amore di lontano» rivela il dosso cristiano del «reale irreale»: se dalesimo – legato alla nobiltà di san
«paradosso amoroso» della lirica cor condo tale paradosso si considera rea gue – mediante nuovi valori quali la
tese, in cui il desiderio è proporzionale le l’invisibile dimensione divina, men cortesia e la nobiltà d’animo.
all’irraggiungibilità della dama: più lei è tre si considera irreale la visibile e con
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CAPITOLO 1 I generi della letteratura europea GENERE
5 ospizio: ospitalità. collegamento tra sfera religiosa e amore valiere potrà incontrare l’amata.
6 cortesi conversari: cioè conversazioni cor- mondano. bordone e saio costituiscono l’e- 11 padrino: si tratta di una figura enigmati-
tesi, quindi raffinate ed eleganti. quipaggiamento del pellegrino, che cammi- ca, che condiziona l’infelice destino amoroso
7 per un bene...due mali: il bene è la speranza na appoggiandosi a un bastone ricurvo e in- del poeta. Tale figura può essere interpretata
del poeta di vedere un giorno la sua dama; ma dossa un mantello di tessuto grossolano con sia realisticamente (il padrino potrebbe
segue la realistica constatazione del doppio maniche e cappuccio. essere un trovatore, amico del nonno di Ru-
“male” della lontananza e dell’amore non 9 Dio...va: si tratta di un’espressione biblica del, che aveva sofferto molto per amore) sia
corrisposto. che si rifà al libro della Genesi, in cui viene simbolicamente (il padrino, in questo caso,
8 là pellegrino...saio: nella poesia trobadorica narrata la creazione del mondo e dell’uomo. sarebbe l’enorme ostacolo frapposto dal de-
il motivo del pellegrinaggio può stabilire un 10 la camera e il giardino: i luoghi in cui il ca- stino nell’unione amorosa).
43
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
La struttura della canzone d’amore
In questo testo è possibile riconoscere la struttura tipica della canzone d’amore. Essa esordisce con
il motivo della natura, attraverso il particolare del «dolce canto d’uccelli». Ma il poeta non riesce ad
apprezzare il paesaggio primaverile perché lo tormenta la passione per un «amore di lontano». Il tema
amoroso occupa tutta la parte centrale del testo, corrispondente alle stanze II-VI. Viene successivamen-
te introdotta la figura del rivale (stanze VII-VIII): un enigmatico «padrino» che ha condannato il poeta ad
amare senza essere riamato.
Rintraccia nella prima stanza della poesia i particolari relativi alla descrizione del paesaggio: quale
tipo di scenario viene tracciato (realistico o stilizzato)?
ANALISI
Il linguaggio astratto dell’«amore di lontano»
La prima cosa che risulta evidente è l’ossessiva ripetizione del termine «lontano», parola-chiave che
ricorre numerose volte nel componimento. Risulta inoltre chiaro che non è concesso nessuno spazio
alla concretezza, prevalendo il linguaggio astratto dei sentimenti (l’innamorato è «crucciato in cuore
ed avvilito», «Triste e gioioso», in attesa della «gioia» che scaturirà dall’incontro con la donna). L’amata
non è descritta in alcun modo, se non per il riferimento ai «suoi occhi belli», che d’altra parte sono un
elemento tipico e simbolico della bellezza femminile nella poesia provenzale. Da segnalare, infine, il
riferimento alla sfera religiosa, con varie espressioni in cui si nomina Dio.
Sottolinea nel testo l’espressione «amore di lontano» tutte le volte che ricorre: quale duplice signifi-
cato assume il sintagma «di lontano»?
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
L’identità dell’«amore di lontano»
A lungo la critica si è soffermata su quale fosse il vero significato dell’«amore di lontano»: c’è chi, pre-
stando fede ai pochi dati biografici esistenti, ha provato a dare un nome alla nobildonna d’oltremare di
cui Rudel si sarebbe innamorato (l’amata era forse la contessa di Tripoli); c’è invece chi vede nell’«amo-
re di lontano» la devozione per la Vergine (che rispecchierebbe la tendenza medievale a unire misticismo
ed erotismo); infine, c’è chi lo interpreta come l’amore per la Terra Santa, da riconquistare ai musulmani.
L’«amore di lontano» rivela il carattere paradossale del sentimento amoroso, e infatti gioia e malin-
conia si alternano nel testo. Chiarisci il modo di questa alternanza facendo gli opportuni riferimenti
testuali.
Proponi un’attualizzazione dell’«amore di lontano»: in quali modi esso può risorgere nella nostra era
digitale? Discutine con i tuoi compagni.
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CAPITOLO 1 I generi della letteratura europea GENERE
T3 Bernart de Ventadorn
«Quando vedo l’allodoletta muovere»
Questa canzone (che qui proponiamo in una traduzione in prosa) di Bernart de Ventadorn è uno dei testi più
belli e affascinanti della tradizione trobadorica. Si tratta di una poesia di rinuncia, in cui l’amore viene presen
tato come un sentimento negativo: il poeta, non ricambiato dall’amata, viene anche privato dei piaceri del
mondo e addirittura del controllo su se stesso e sui propri sentimenti. Per quanto impietosa e crudele sia la
donna, egli non può far a meno di amarla e quindi decide di allontanarsi da lei, rinunciando persino al canto.
I TEMI visione drammatica dell’amore
I Quando vedo l’allodoletta muovere per la gioia le sue ali contro il sole e svenire e la-
sciarsi cadere per la dolcezza che sente nel cuore, ah! così grande è l’invidia che provo
di chiunque io veda gioire che mi meraviglio che in quel momento il cuore non mi si
sciolga dal desiderio.
II Ahimè! tanto credevo di sapere dell’amore, e tanto poco ne so, perché non posso trat-
tenermi dall’amare colei da cui non avrò mai ricompensa. Mi ha privato del mio cuore,
di me, di se stessa e di tutto il mondo; e quando mi ha privato di sé non mi ha lasciato
che desiderio e cuore bramoso.
III Non ho più avuto potere su me stesso né sono stato più mio dal momento in cui mi ha
lasciato guardare nei suoi occhi, in uno specchio che mi piace molto. Specchio, da
quando mi sono guardato in te mi hanno ucciso i sospiri dal fondo dell’animo, e mi so-
no perduto così come fece il bel Narciso nella fonte.1
IV Nelle dame non ho più speranza e di loro non mi fiderò mai più; e così come ero solito
difenderle, allo stesso modo ora le abbandonerò. Perché vedo che nessuna mi aiuta
contro quella che mi distrugge e mi confonde, di tutte dubito e diffido, perché so bene
che sono tutte uguali.
V In questo si rivela veramente donna la mia signora, e io glielo rimprovero, perché non
vuole ciò che si deve volere e fa ciò che le si vieta. Sono caduto in disgrazia e ho fatto
proprio come il pazzo sul ponte;2 e non so perché mi capita questo, se non che ho mi-
rato troppo in alto.
VI Pietà è veramente perduta, e io non l’ho mai saputo, se colei che più dovrebbe averne
non ne ha affatto; e dove la cercherò? Ah! com’è triste, per chi la vede, che lei lasci
morire e non soccorra questo infelice pieno di desiderio, che non avrà mai bene senza
di lei.
VII Poiché con la mia signora non mi sono di aiuto né preghiera, né pietà, né il diritto che
io ho, e a lei non piace che io l’ami, non glielo dirò mai più. Così mi allontano da lei e
rinuncio; lei mi ha ucciso e io le rispondo come morto, e me ne vado, perché non mi
trattiene, infelice, in esilio, non so dove.
VIII Tristano,3 nulla avrete da me, perché me ne vado, infelice, non so dove. Io rinuncio a
cantare e smetto, e abbandono la gioia e l’amore.
I Trovatori, trad. it. di C. Di Girolamo, Bollati Boringhieri, Bologna 1989.
DIGIT un proverbio francese, secondo cui il pazzo no, quando la gentile bella Isotta gli donò il suo
VIDEO
Letteratura e musica nella lirica provenzale: che attraversa il ponte, senza scendere da ca- amore, non poté fare altro; e io amo la mia don-
«Quando vedo l’allodoletta muovere» vallo, rischia di cadere. na con un patto da cui non posso ritirarmi»). Al
3 Tristano: il riferimento è a Raimbaut d’Au- contrario di Ventadorn, Raimbaut canta un
1 bel...fonte: allude al mito di Narciso che, renga (contemporaneo di Ventadorn), che in amore felice: per lui l’amore è infatti una pas-
innamorato della propria immagine, spec- una delle sue canzoni si era paragonato a Tri- sione inarrestabile, anche se proibita. Nelle sue
chiata in una fonte, annegò nel tentativo di stano («Della mia dama ho fatto signore e pa- poesie, il poeta invita la donna amata a imitare
abbracciarla. drone, a chiunque lei sia destinata. Poiché ho l’inganno e il tradimento di Isotta ( T5, p. 53)
2 pazzo sul ponte: l’espressione si riferisce a bevuto l’amore, devo amarvi in segreto. Trista- per vivere con lui un rapporto segreto e felice.
45
PARTE PRIMA Il Medioevo
ANALISI L’assenza di concretezza L’esperienza d’amore è qui rappresentata con scarso reali-
smo. Infatti, l’immagine dell’«allodoletta» ha l’eleganza stilizzata della miniatura; la bel-
lezza femminile si lega al tema tipico dello sguardo; la morte evocata è una condizione
anzitutto spirituale. Il lessico è quello caratteristico dell’amor cortese, che esprime la
gioia, la dolcezza, il desiderio d’amore, la disperazione, la lode della donna, il diritto all’a-
more, il motivo della preghiera all’amata.
INTERPRETAZIONE Il poeta, l’esilio e i paradossi dell’amore cortese La sofferenza amorosa porta il poeta a
E COMMENTO scegliere l’esilio: esso coinvolge la dimensione fisica (l’allontanamento dall’amata), la
dimensione spirituale (la rinuncia all’amore, alla gioia e persino alla vita) e la dimensione
sociale (abbandonando il canto, il poeta rinuncia anche alla sua funzione sociale). Si tratta
di una ritirata – sia interiore che esteriore – verso un luogo sconosciuto («me ne vado, infe-
lice, non so dove»): non potendo realizzare il suo amore, il poeta si arrende, lasciandosi tra-
scinare dall’indifferenza e dall’infelicità. Emerge qui una contraddizione: il poeta, dopo aver
affermato di non potersi “trattenere dall’amare” (strofa II), si decide a rinunciare a questo
sentimento (strofa VIII). Ma la contraddizione è insita nella stessa concezione cortese
dell’amore, dove il desiderio è destinato a rimanere inappagato perché è rivolto a una donna
già sposata.
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CAPITOLO 1 I generi della letteratura europea GENERE
T4 Contessa di Dia
«Di gioia e gioventù m’appago»
La vida della misteriosa Contessa di Dia racconta che «era la moglie di Guglielmo di Poitiers, una signora
bella e buona. E si innamorò di Raimbaut d’Orange e scrisse molte belle canzoni in suo onore». Qui la
poetessa celebra l’amore e il proprio valoroso amato, chiamato genericamente «amico».
I TEMI il punto di vista femminile sull’amore
Metrica: quattro strofe di otto versi ciascuna del cavaliere. Il tema della approvazione o valoroso, raccomanda alla dama di rivolgere il
e un congedo di quattro versi. della critica da parte degli altri torna nelle proprio sentimento verso un uomo meritevole
strofe successive riferito invece alla donna (un prode cavaliere valoroso) e di esprimerlo
1 il mio amico: si riferisce all’amato, appella- (cfr. vv. 22-24 e soprattutto vv. 30-32) apertamente. La quarta strofa si apre tornando
to come amico anche nella strofa finale. 3 Una dama...bene: in questa terza strofa il di- di nuovo all’esperienza personale (Io ho scelto).
2 e non creda...fatto: in questi versi l’amore scorso sull’amore tende a farsi più oggettivo e 4 il cui...aumenta: il valore dell’amato fa au-
e l’amato sono difesi dai maldicenti, che con generale: la poetessa, dopo aver raccontato in mentare anche il prestigio della donna che lo
invidia possono mettere in dubbio le qualità prima persona l’innamoramento verso il più ha scelto.
47
PARTE PRIMA Il Medioevo
ANALISI Una canzone per le donne e per l’amato In questa canzone la trovatora racconta la storia
d’amore che la coinvolge in prima persona e sostiene anche il suo punto di vista riguardo a
questo elevato sentimento, suggerendo una condotta amorosa alle altre donne (amare aper-
tamente, scegliere un uomo degno e valoroso, pretendere da lui un comportamento corretto).
Lo stile è semplice, con un lessico di facile comprensione e ripetitivo.
INTERPRETAZIONE Il ruolo delle donne e dell’amore La canzone contiene un’affermazione della scelta femmi-
E COMMENTO nile nell’ambito dell’amore. Questo riconoscimento è possibile nella Provenza dei secoli XII e
XIII, all’interno di una società in cui viene tenuta in conto la parola delle donne e in cui le tro-
vatore esercitano un’importante azione culturale. L’autrice esprime qui la felicità che deriva
da un amore corrisposto, in cui sentimento e stima si allacciano strettamente. Si profila un
rapporto equilibrato, fatto di un reciproco dare-avere («e poiché sono con lui sincera, / ben pre-
tendo che sia con me sincero»). La donna si concede solo a chi la merita, scegliendo «un
prode cavaliere valoroso» il cui pregio si riverbera anche su di lei. Amare apertamente un uomo
degno genera l’approvazione dei «prodi» e rafforza quindi la stima di sé e, per estensione, delle
donne. Le trobairitz (le ‘trovatrici’) riconoscono nell’amore il nodo centrale dell’esistenza e ne
esaltano il valore civilizzante: è l’amore che detta e regola il comportamento, favorendo una
convivenza fra le persone fondata sul rispetto, la tolleranza, la generosità. Il culto dell’amore
eleva così il tono dei rapporti interpersonali e sociali.
48
CAPITOLO 1 I generi della letteratura europea GENERE
3 Il romanzo cortese
Il romanzo cortese Il romanzo cortese è stato il più diffuso genere letterario in volgare del Medioevo. Composto
in lingua d’oïl, si sviluppa nella Francia settentrionale a partire dalla metà del secolo XII e a dif-
ferenza del romanzo moderno è scritto in versi e non in prosa. I suoi temi principali sono due:
l’amore e l’avventura. Mentre nell’epica gli eroi erano parte dei destini collettivi di un popo-
lo e le loro azioni eroiche avevano come scopo la difesa dell’identità nazionale e cristiana, gli
eroi dei romanzi cortesi sono cavalieri solitari e isolati che devono superare prove di carattere
individuale. L’eroe romanzesco è impegnato in una ricerca personale: soltanto grazie a
tale ricerca egli riesce a trovare un senso della vita per sé ma anche universale (e segnata-
mente religioso). L’amore e l’avventura sono strettamente collegati: per lo più, le imprese più
audaci, più strane e meravigliose sono compiute per amore di una donna. Inoltre, l’avventura
non è che un aspetto della quête, cioè della ricerca di un oggetto o di una persona, nei quali
si concretizza il senso della vita.
La materia bretone Tra le varie “materie” (cioè argomenti) trattate nei romanzi cortesi, la materia di Bretagna (dal
nome della regione francese dove ha origine) è senz’altro la più famosa. Si tratta della storia di re
DIGIT Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Appartengono alla materia bretone quattro grandi filo-
APPROFONDIMENTI ni: il ciclo di re Artù, il ciclo di Perceval e del sacro Graal (cioè il calice che secondo la leggenda
Perceval o il
romanzo del Graal avrebbe contenuto il sangue di Cristo), il ciclo di Tristano e Isotta, il ciclo di Lancillotto e Ginevra.
Il Tristan di Thomas La vicenda di Tristano e Isotta ci è stata tramandata da numerose opere, tra le quali quella del
poeta anglo-normanno Thomas con il suo Tristan, composto nel 1170 circa. Tristano, dotato di
eccezionali virtù cavalleresche, vive alla corte dello zio Marco, re di Cornovaglia, compiendo
prodigiose imprese. In Irlanda conosce la bella Isotta la Bionda e ne decanta le lodi a Marco, il
quale decide di prenderla in sposa. Tristano allora scorta la fanciulla verso la Cornovaglia, ma
durante il viaggio Tristano e Isotta bevono per sbaglio un filtro d’amore che li fa innamorare l’u-
no dell’altra ( T5, p. 53).
Re Artù e i cavalieri
della tavola rotonda,
miniatura tratta da
un manoscritto del
Lancelot du Lac,
1470. Parigi,
Bibliothèque
Nationale de France.
49
PARTE PRIMA Il Medioevo
I due cercano in tutti i modi di tenere nascosta la loro passione, ma vengono scoperti e mes-
si al bando dalla società. Un breve esilio nella foresta riunisce i due amanti. Sorpresi di nuovo
dal re, sono però costretti a separarsi di nuovo. Per togliersi dalla mente Isotta la Bionda, Trista-
no sposa, senza amarla, un’altra Isotta, detta dalle Bianche Mani, ma è invaso da un tormento
inconsolabile. L’eroe, ormai senza speranza, si lancia in imprese disperate finché è ferito a mor-
te. Solo Isotta la Bionda può guarirlo: la donna corre in aiuto del suo innamorato, ma la moglie
gelosa fa credere a Tristano che Isotta è morta. Il finale è doppiamente tragico: Tristano muo-
re di dolore credendo alla menzogna, e al suo arrivo Isotta la Bionda si spegne di dolore a sua
volta al fianco dell’uomo amato.
ZIONI
INFORMA
Il cavaliere tra storia e immaginario
Tra il XII e il XIII secolo il cavaliere è una in una nuova figura di cavaliere, che significa ‘vassallo’ (colui che è legato
figura sociale di rilievo e insieme un mette insieme valore militare e virtù al signore dall’obbligo di prestare ser-
protagonista dell’immaginario lettera- cristiana. La nascita degli ordini reli- vizio militare a cavallo in cambio di
rio e artistico. gioso-cavallereschi (i Templari, i Cava- mantenimento e protezione). La fedel-
In origine il cavaliere era un guerriero lieri di Malta) realizza nel modo più tà al signore feudale resta il valore su-
di professione che poteva combattere compiuto questo nuovo tipo di “santo” premo del cavaliere.
a cavallo; nel periodo dell’anarchia feu- combattente, volto alla sottomissione Intorno al XII secolo un numero crescen-
dale (X-XI secolo) i grandi signori in lot- di nuove genti alla fede cristiana e in- te di cavalieri, senza terra, si riversa nel-
ta tra loro avevano bisogno di uomini sieme alla conquista di nuove terre. le corti dei grandi signori in cerca di si-
armati al proprio servizio. Questi com- Il termine “cavaliere” compare per la curezza economica e di una collocazio-
mettevano ogni genere di violenze prima volta nella Chanson de Roland e ne sociale. Dall’etica feudale, basata sul
comportandosi spesso da briganti. Il
coraggio e la fedeltà al capo erano le lo-
ro uniche regole.
Dopo il Mille si avverte un bisogno di
normalizzazione. La Chiesa tenta di li-
mitare la turbolenza di questi guerrieri,
sollecitando la nascita di un’etica ca-
valleresca ispirata al servizio in difesa
della religione e dei poveri.
Il riconoscimento religioso dell’investi-
tura segna una tappa importante nella
trasformazione del guerriero a cavallo
50
CAPITOLO 1 I generi della letteratura europea GENERE
cillotto libera Ginevra e tutti i prigionieri, per poi trascorrere finalmente con la regina una not-
te d’amore ( T6, p. 57). A questo punto lo scontro con le forze del male si fa più serrato. Mele-
agant, sconfitto in duello, slealmente fa rapire e imprigionare Lancillotto, mentre Ginevra e
tutti gli altri, scortati da Galvano, ritornano alla corte di Artù. Per vedere ancora una volta la re-
gina, Lancillotto ottiene dal suo carceriere di partecipare in incognito a uno spettacolare torneo,
dove solo Ginevra ne scopre l’identità imponendogli prove di devozione. Fedele alla parola da-
ta, Lancillotto torna dal carceriere, ma questa volta è rinchiuso in una torre inaccessibile.
La prosecuzione Qui finisce il racconto di Chrétien de Troyes. Il romanzo fu proseguito da Goffredo di Lagny,
del romanzo: forse su disegno dello stesso Chrétien. Liberato da una donzella salvatrice, a cui promette cuo-
Goffredo di Lagny
re e corpo, Lancillotto riesce a tornare alla corte di Artù in tempo per il duello e la vittoria fina-
le su Meleagant. Ma non si parla più del suo amore per la regina. Il dovere ha preso il sopravven-
to sulla passione.
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono le caratteristiche del romanzo cortese?
Quali sono le principali vicende della materia bretone?
“vassallaggio”, sulla gerarchia del pote- affascinare l’immaginario sociale e let che ha avuto pure una fortunata ver
re e sui valori della guerra, si passa a terario. Perfino oggi i cavalieri della Ta sione cinematografica, o la serie televi
un’etica fondata sulla “cortesia”. vola Rotonda, legati al ciclo bretone, siva Il trono di spade [20112019] di
La cortesia, la gentilezza e la liberalità sono protagonisti di tantissimi libri e David Benioff e D.B. Weiss, adattamen
sono opposte alla violenza fine a se film, che ruotano intorno alla vicenda to del ciclo di romanzi Cronache del
stessa e delimitano una frontiera so- avventurosa della ricerca del Graal o ri ghiaccio e del fuoco di George R.R. Mar
ciale. Nel mutamento di ruolo che ca- adattano in chiave contemporanea le tin) ritroviamo la rappresentazione del
ratterizza il cavaliere nella società cor- vicende cavalleresche. Molti elementi cavaliere, il tema della ricerca e dell’av
tese, assume una funzione importan- della tradizione bretone rivivono in un ventura come processo di formazione
te la letteratura: il cavaliere diventa un genere che ha ampio successo ai gior individuale, gli scenari magici, le trame
personaggio letterario, e talvolta è egli ni nostri: il fantasy. Nei romanzi fan- complesse popolate di vicende e crea
stesso poeta. tasy (come ad esempio la trilogia del ture fantastiche (draghi, mostri, ma
Nasce così una letteratura ispirata Signore degli anelli di J.R.R. Tolkien, ghi, ecc.).
all’amore, alla donna, a contenuti lon-
tani da una visione religiosa e ascetica
della vita. Nel romanzo cortese il cava-
liere è il protagonista di avventure soli-
tarie: il movente delle sue imprese è
l’amore, il fine è la ricerca di un’identità
individuale sempre più sfuggente.
Anche quando il declino della funzione
storica della cavalleria sarà irreversibi-
le, la figura del cavaliere continuerà ad
51
PARTE PRIMA Il Medioevo
L’OFFICINA DELL’AUTORE
Il romanzo: una parola
e un importante genere letterario
Il significato di “romanzo”
La parola “romanzo” è nata nel Medioevo e ha diversi significati a seconda del contesto in cui è usata.
Può essere un aggettivo, e si riferisce allora all’evoluzione medievale della tradizione romana: le lingua
“romanze”, cioè derivate dal latino (portoghese, spagnolo, catalano, provenzale, ladino, sardo, france-
se, italiano, rumeno), le letterature romanze (quelle scritte nelle lingua neolatine, o appunto romanze,
precedentemente ricordate), ecc.
Può essere un sostantivo, e indica allora un genere letterario.
Il romanzo in quanto genere letterario narrativo ha a sua volta avuto una storia secolare, assumendo
forme assai diversificate. Prescindendo dal mondo antico (orientale e greco-latino), dove esistono
narrazioni oggi definite con questo termine, nel Medioevo il romanzo indicava narrazioni ampie scrit-
te, appunto, in lingue “romanze”. Questi romanzi potevano essere scritti in
versi o in prosa e si affermarono soprattutto in Francia, ora rielaborando te
mi classici – come le vicende di Troia, di Tebe, di Alessandro Magno – ora, e
più spesso, raccontando intricate avventure cavalleresche, come nei co
siddetti “cicli” bretone e carolingio. Da queste premesse, si svilupperanno
nelle diverse letterature tradizioni narrative specifiche riconducibili tutta
via al grande genere del romanzo.
Epica e romanzo a confronto
La specificità del romanzo rispetto ad altre forme narrative, e in particola
re all’epica, è articolata e complessa, ma può essere ricondotta ad alcuni
aspetti fondamentali:
il genere epico celebra valori socialmente condivisi, mentre il romanzo
si basa perlopiù su valori problematici e contesi, cioè su punti di vista
alternativi;
il genere epico si muove dentro un tempo in qualche modo stabile e
“bloccato”, mentre il romanzo si sviluppa dentro una temporalità arti
colata e dinamica;
il genere epico presenta personaggi dal carattere stabile e cristallizza
to (Achille, Ettore, Enea, ecc.), mentre il romanzo insiste proprio sulla
trasformazione dei personaggi nel corso del racconto.
Dal Settecento a oggi
Il romanzo diviene il genere dominante a partire dal Settecento (quando in In
ghilterra hanno grande successo i romanzi di Defoe e di Richardson), anche
se ci sono nel Seicento alcuni capolavori che fanno tuttora parte del canone
internazionale, come il Don Chisciotte dello spagnolo Cervantes; e resta il ge
nere dominante nell’Ottocento, quando soprattutto in Francia e in Russia vi
vono alcuni dei più grandi autori di romanzi di tutti i tempi (Stendhal, Balzac,
Flaubert e Zola in Francia, Dostoevskij e Tolstoj in Russia, Dickens in Inghilter
ra), e poi nel Novecento, quando si apre alle novità dell’avanguardia con mae
stri quali Joyce e Woolf in lingua inglese, Kafka e Musil in lingua tedesca,
Proust in lingua francese, e Pirandello e Svevo in lingua italiana. Ancora oggi il
romanzo è un genere letterario vivo e dinamico in tutte le letterature, e com
prende, più ancora che in passato, una gran quantità di sottogeneri, come il
“romanzo poliziesco”, il “giallo”, il “rosa” (con storie d’amore a effetto), ecc.
Edouard Vuillard, Personaggi in un interno. La scelta dei libri, 1896. Parigi, Petit Palais.
52
CAPITOLO 1 I generi della letteratura europea GENERE
T5 Tristano e Isotta bevono per errore il filtro [Il romanzo di Tristano e Isotta]
Nata da una sintesi di tradizioni diverse, la leggenda di Tristano e Isotta è la più popolare storia d’amore
del Medioevo. La versione qui proposta è quella ricostruita da Joseph Bédier nel 1900 a partire da due
testi principali: il Tristan del poeta anglo-normanno Thomas (1170 circa) e il Tristan del tedesco Gottfried
von Strassburg (secolo XIII). Leggiamo l’episodio in cui viene narrato l’errore fatale che unisce per sem-
pre i destini dei due amanti.
I TEMI carattere contraddittorio e tragico dell’amore
Quando fu vicino il tempo di consegnare Isotta ai cavalieri di Cornovaglia, sua madre1 colse del-
le erbe, dei fiori e delle radici, li mescolò in un vino, e compose un beveraggio possente. Aven-
dolo composto per scienza e per magia, lo versò in una fiala e disse segretamente a Brangiana:2
«Figlia, tu devi seguire Isotta nel paese di re Marco, se tu l’ami di fedele amore. Togli dun-
5 que questa fiala di vino e ritieni le mie parole. Nascondila in modo che occhio mortale non la
veda né labbro vi si approssimi. Ma quando sarà la notte nuziale e l’istante che si lascian soli
gli sposi, tu verserai questo vino medicato in una coppa e la presenterai, perché la vuotino in-
sieme, al re Marco e alla regina Isotta. Cura, figlia mia, ch’essi soli possano gustare questo be-
veraggio. Poiché la sua virtù è tale che coloro i quali ne berranno insieme si ameranno con
10 tutti i loro sensi e con tutta l’anima loro, per sempre nella vita e nella morte». Brangiana pro-
mise alla regina che la sua volontà sarebbe stata fatta.
La nave, solcando il flutto3 profondo, portava lontano Isotta. Ma, più si allontanava dalla
terra d’Irlanda, e più tristemente la fanciulla si lamentava. Assisa4 sotto la tenda ove s’era rin-
chiusa con Brangiana, sua serva, ella piangeva al ricordo del suo paese. Ove la traevano questi
15 stranieri? A chi? A quale destino? Quando Tristano le si appressava e voleva placarla con dol-
ci parole, ella si sdegnava, lo respingeva, e l’odio gonfiava il suo cuore. Egli era venuto, il rapi-
tore, egli, l’uccisore dell’Amoroldo;5 l’aveva strappata con le astuzie a sua madre e al suo pae-
se;6 non aveva degnato di serbarla per sé, ed ecco che la portava, qual sua preda, sulle onde,
verso la terra nemica! «Meschina me!» diceva, «maledetto sia il mare che mi porta! Più dolce
20 mi sarebbe morir sulla terra ove nacqui, che vivere laggiù!».
Un giorno, i venti caddero e le vele pendevano sgonfie lungo l’albero. Tristano fece gettar
l’àncora in un’isola, e stanchi del mare, i cento cavalieri di Cornovaglia e i marinai scesero sul-
la riva. Solo Isotta era rimasta sulla nave, e una piccola fantesca.7 Tristano venne presso la re-
gina, e procurava di calmare il suo cuore. Come il sole ardeva ed essi avevan sete, chiesero da
25 bere. La fantesca cercò una bevanda, finché scoprì la fiala affidata a Brangiana dalla madre d’I-
sotta. «Ho trovato del vino!» gridò loro. No, non era vino: era la passione, era l’aspra gioia e
l’angoscia senza fine, e la morte. La giovanetta empì una coppa e la presentò alla sua signora.
Ella bevve a lunghi sorsi, poi la tese a Tristano, che la vuotò.
In quell’istante, Brangiana entrò e li vide guatarsi8 a vicenda, in silenzio, come smarriti e
30 rapiti. Ella vide davanti a loro il vaso quasi vuoto e la coppa. Prese il vaso, corse a poppa, lo lan-
ciò nelle onde e gemé:
1 madre: Isotta è figlia della regina d’Irlanda, sto al pagamento di un pesante tributo dal re Irlanda a conquistare la mano di Isotta per suo
nota anche per i suoi grandi poteri magici. d’Irlanda. Il gigante riesce comunque a ferire zio Marco. Deve perciò combattere un terribile
2 Brangiana: ancella e cugina di Isotta, scel- Tristano con un colpo di spada avvelenato. drago. Viene ferito, ma ancora una volta è curato
ta dalla regina d’Irlanda per accompagnare la Moribondo e senza speranza di sopravvivere, da Isotta, che finalmente riconosce in lui l’assas-
figlia in Cornovaglia. il giovane s’imbarca su una zattera che ap- sino di suo zio Amoroldo. Isotta decide tuttavia
3 flutto: mare. proda in Irlanda. Ad accoglierlo è Isotta, che di non vendicarsi per mettere fine alle rivalità tra
4 Assisa: Seduta. lo cura senza sapere che si tratta dell’assassi- i due regni. Allora non aveva capito che Tristano
5 Amoroldo: il gigante Amoroldo era fratello no di suo zio. Temendo di essere riconosciu- non l’avrebbe tenuta per sé, ma l’avrebbe data in
della regina d’Irlanda, quindi zio di Isotta. to, Tristano non svela la sua vera identità e moglie al re di Cornovaglia.
Tristano lo uccide per liberare la Cornovaglia, ritorna in Cornovaglia. 7 piccola fantesca: giovane serva.
regno di suo zio Marco, che era stato sottopo- 6 l’aveva strappata...paese: Tristano ritorna in 8 guatarsi: guardarsi.
53
PARTE PRIMA Il Medioevo
«Ahi misera! maledetto sia il giorno ch’io nacqui e maledetto sia il giorno che salii su que-
sta nave! Isotta amica, e voi, Tristano, la vostra morte avete bevuta!».
Di nuovo la nave filava verso Tintoille.9 Sembrava a Tristano che un rovo10 vivace, dalle
35 spine aguzze, dai fiori odoranti, gittasse le sue radici nel sangue del cuore e con forti legami
allacciasse al bel corpo d’Isotta il suo corpo e tutto il suo pensiero e tutto il suo desio. Egli pen-
sava: «Andretto, Denoalen, Ganelone e Gondoino, felloni che mi accusavate di concupire la
terra11 del re Marco, ahi! io sono più vile ancora, e non è già la sua terra che io desidero! Bel
zio,12 che m’avete amato orfano prima ancora di riconoscere il sangue di vostra sorella Bian-
40 cofiore,13 voi che mi piangevate teneramente, mentre le vostre braccia mi portavano verso la
barca senza remi e senza vele,14 bel zio, perché non avete voi, dal primo dì, scacciato il fan-
ciullo errante venuto per tradirvi? Ma che penso? Isotta è vostra donna, io vostro vassallo.
Isotta è vostra donna, io vostro figlio. Isotta è vostra donna, e non può amarmi».
Isotta l’amava. Ella avrebbe voluto odiarlo, tuttavia: non l’aveva egli vilmente disdegnata?
45 Ella avrebbe voluto odiarlo, e non poteva, irosa nel suo cuore di quella tenerezza più dolorosa
dell’odio. Brangiana li osservava angosciata, più crudelmente tormentata ancora, poiché ella
sola sapeva di quanto male era stata cagione. Due giorni li spiò, li vide rifiutare ogni cibo, ogni
bevanda ed ogni conforto, ricercarsi a guisa di15 ciechi che brancolino nel vuoto, l’uno verso
l’altra, infelici quando languivano separati, più infelici ancora quando, riuniti, tremavano di-
50 nanzi all’orrore della prima confessione.
Il terzo giorno, come Tristano veniva verso la tenda, eretta sul ponte della nave, ove Isot-
ta se ne stava a sedere. Isotta lo vide accostarsi e gli disse umilmente:
«Entrate, signore».
«Regina», disse Tristano, «perché chiamarmi signore? Non sono io, al contrario, il vostro uo-
55 mo ligio,16 il vostro vassallo, per riverirvi, per servire e per amarvi come mia regina e signora?».
Isotta rispose:
«No, tu lo sai che sei il mio signore e padrone!17 Tu lo sai che la tua forza mi domina e che
io sono la tua serva! Ahi! perché non riaprii io, allora, le piaghe del giullare preferito?18 Perché
non lasciai perire l’uccisore del mostro nelle erbe della palude?19 Perché non gli assestai io,
60 quando giaceva nel bagno, il colpo della spada già brandita?20 Ahimè! io ignoravo allora quel-
lo che oggi so!». «Isotta, che sapete voi oggi? Che dunque vi tormenta?».
«Ah! tutto quanto io so mi tormenta, e tutto quanto vedo. Questo cielo mi tormenta, e
questo mare, il mio corpo, e la mia vita!». Ella posò il suo braccio sulla spalla di Tristano; le la-
crime spensero il raggio dei suoi occhi, le sue labbra tremarono. Egli ripeté:
65 «Amica, che dunque vi tormenta?».
9 Tintoille: il regno di re Marco, in Cornova- aver partorito Tristano. Allevato da altri, solo Tristano giullare perché aveva trovato uno
glia. da grande e dopo varie peripezie l’orfano Tri- strumento musicale nella zattera approdata
10 rovo: pianta spinosa che cresce sponta- stano incontrerà lo zio, che non tarderà a ri- in Irlanda con il cavaliere ferito.
neamente nei boschi e nelle siepi. conoscerlo come nipote. 19 Perché...palude?: Isotta si riferisce alla
11 felloni...la terra: traditori che mi accusava- 14 voi...vele: Tristano ricorda la volta che, seconda volta che ha curato Tristano, dopo
te di desiderare la terra. Andretto, Denoalen, ferito dalla spada avvelenata di Amoroldo, l’uccisione del drago.
Ganelone e Gondoino erano vassalli di re venne gettato in mare su una zattera che poi 20 Perché...brandita?: si tratta del momen-
Marco: per evitare che Tristano diventi re, approdò in Irlanda. to in cui Isotta aveva riconosciuto in Tristano
spingono re Marco a sposarsi per dare allo 15 a guisa di: come. l’uccisore dello zio Amoroldo: la donna, es-
stato un erede diretto. Il re accetta di sposar- 16 uomo ligio: nel diritto feudale, l’uomo li- sendosi accorta che la spada del cavaliere era
si, a patto che sia con la fanciulla a cui appar- gio è il vassallo, che ha giurato fedeltà stret- intaccata e che la parte di metallo mancante
tiene il ricciolo d’oro portatogli da due rondi- tissima al suo signore. combaciava perfettamente con quella ritro-
ni. Tristano capisce che si tratta dei biondi 17 signore e padrone: secondo le regole vata nel capo dello zio, brandì l’arma contro
capelli di Isotta e parte alla sua conquista, dell’amore cortese, anche il rapporto fra Tristano. Poi, al sentire il racconto delle ron-
sperando così di calmare gli animi dei vassalli amante e Amore è un rapporto di soggezione dini che avevano portato in Cornovaglia i
dello zio. feudale. suoi capelli d’oro e credendo di essere pro-
12 Bel zio: Caro zio. 18 perché...preferito?: Isotta si riferisce a messa a Tristano (anziché a re Marco) decise
13 che m’avete...Biancofiore: Biancofiore, quando aveva accolto il moribondo Tristano di non ucciderlo.
sorella di re Marco, era morta subito dopo e gli aveva curato le ferite. La donna chiama
54
CAPITOLO 1 I generi della letteratura europea GENERE
Ella rispose:
«L’amore di voi».
Allora egli posò le sue labbra sulle labbra di lei.
Ma, come per la prima volta entrambi assaporavano una gioia d’amore, Brangiana, che li
70 spiava, gettò un grido, e, le braccia tese, il volto inondato di lacrime, si gettò ai loro piedi:
«Sciagurati! Fermatevi e tornate indietro, se ancora potete! Ma no, la via è senza ritorno, già
la forza dell’amore vi trascina e mai più non avrete gioia senza dolore. È il vino medicato che
vi possiede, il beveraggio d’amore che vostra madre, Isotta, mi aveva confidato. Solo il re Mar-
co doveva berlo con voi; ma il Nemico ci ha teso a tutti un agguato, e siete voi che avete vuo-
75 tato la coppa. Amico Tristano, Isotta amica, in pena della mala guardia ch’ho fatta, vi abban-
dono il mio corpo, la mia vita; poiché, per mia colpa, nella coppa maledetta voi avete bevuto
l’amore e la morte!».
Gli amanti si allacciarono; nei loro bei corpi fremevano il desiderio e la vita. Tristano disse:
«Venga pure la morte!».
80 E, quando cadde la sera, sulla nave che balzava più celere verso la terra di re Marco, avvin-
ti per sempre, essi si abbandonarono all’amore.
J. Bédier, Il romanzo di Tristano e Isotta, trad. it. di B. Ziliotto, Tea, Milano 1988.
ANALISI Dall’astrattezza alla concretezza In questo testo si possono individuare vari aspetti che
rimandano alla lirica d’amore cortese: il servizio d’amore, la passione proibita, il conflitto tra
regole sociali e sentimenti. Ma nella storia di Tristano e Isotta tali elementi vengono calati in
un mondo più concreto: per esempio, la componente fisica della pulsione amorosa non viene
soffocata ma è vissuta intensamente dai due amanti («egli posò le labbra sulle labbra di lei»,
«Gli amanti si allacciarono»). L’amore non è più solamente contemplativo e diventa la forza
motrice da cui si sviluppa l’azione del romanzo.
INTERPRETAZIONE L’amore, un sentimento inevitabilmente contraddittorio Così come nella lirica dei poeti
E COMMENTO cortesi, anche nel romanzo di Tristano e Isotta l’amore è una forza contro la quale non si può
lottare. Nella leggenda, la potenza del sentimento amoroso è legata a un incantesimo che pre-
vale sulla volontà dei due amanti: il filtro d’amore preparato dalla madre maga ha la funzione
di rendere consapevole ciò che era nascosto e inconscio. Emerge un sentimento irrazionale
che apre paradossi insormontabili, facendo scaturire la passione dall’odio, la morte dalla vita
e viceversa. L’amore si presenta come contraddizione assoluta ed è quindi segnato in senso
tragico.
L’amore e le leggi della società feudale A un primo sguardo l’amore fra Tristano e Isotta
sembra essere in conflitto con i valori di onore e fedeltà tipici della società feudale, poiché
comporta il tradimento di re Marco e delle leggi matrimoniali. Tuttavia, il rapporto amoroso
proibito è rappresentato secondo il codice feudale, in cui si riconoscono ancora i ruoli del vas-
sallo e del signore. È Amore il nuovo e potente signore al quale Tristano e Isotta sono sotto-
messi.
55
PARTE PRIMA Il Medioevo
c. Amoroldo:
4. Lingua e lessico I verbi ritenere e confidare so- 6. La prima parte del brano descrive la preparazio-
no usati nel brano secondo significati poco comuni. ne del «beveraggio possente» da parte della madre di
a. Sostituisci con un sinonimo appropriato i due termi- Isotta. Che senso ha, secondo te, il nesso fra il tema
ni presenti nei seguenti passi del testo: d’amore e la magia?
OLTRE IL TESTO
1. Webquest La storia di Tristano e Isotta ha avuto grande fortuna nella letteratura e nell’arte europee. La
vicenda dei due amanti è stata continuamente ripresa e reinterpretata dal Medioevo fino a oggi. Conduci una
ricerca citando in una scheda di massimo una pagina le principali riscritture e trasposizioni di questo
leggendario amore. Quali sono, secondo te, le ragioni della fortuna della vicenda?
Come si può amare e odiare allo stesso tempo? Come si può amare al punto di preferire la morte alla vita?
Interpreta i due frammenti sopra riportati alla luce del testo che segue e poi confronta la tua opinione con
quella dei tuoi compagni.
Bisogna avere il coraggio di domandarsi: Tristano ama Isotta? E ne è riamato? […]. Tutto porta a credere che libe-
ramente essi non si sarebbero mai scelti. Ma hanno bevuto il filtro, ed ecco la passione. […] La situazione in cui si
trovano è dunque appassionatamente contraddittoria: si amano, senza amarsi affatto. […] Tristano e Isotta non si
amano, l’hanno detto e tutto lo conferma. Ciò ch’essi amano è l’amore, è il fatto stesso d’amare. Ed agiscono come
se avessero capito che tutto ciò che s’oppone all’amore lo garantisce e lo consacra nel loro cuore, per esaltarlo all’in-
finito nell’istante dell’abbattimento dell’ostacolo, che è la morte.
D. de Rougemont, L’amore e l’occidente. Eros, morte, abbandono nella letteratura europea, Rizzoli, Milano 1993.
56
CAPITOLO 1 I generi della letteratura europea GENERE
Metrica dell’originale: versi ottosillabi, che corrispondono ai 1 siniscalco: nelle corti dell’Europa medievale, maestro di
novenari italiani. casa o maggiordomo delle grandi famiglie nobili.
2 Keu: il siniscalco.
57
PARTE PRIMA Il Medioevo
Lancillotto e Ginevra.
Miniatura da un manoscritto proveniente
dal Nord-est della Francia, 1316.
Londra, British Library.
58
CAPITOLO 1 I generi della letteratura europea GENERE
ANALISI Le metafore religiose Nel linguaggio è da notare il ricorso a metafore religiose: la regina
è trattata dall’amante come una santa («a lei s’inchina, / perché non c’è reliquia a cui /
creda più»; «Partendo s’inginocchia, e l’atto / verso la stanza fa che fare / dovrebbe davanti
a un altare»); mentre lo stesso Lancillotto viene definito «martire» per la sofferenza dovuta
alla dolorosa partenza. D’altra parte, l’uso del linguaggio religioso è congeniale a una
visione dell’amore inteso come un rito sacro, volto a celebrare e adorare l’oggetto deside-
rato.
INTERPRETAZIONE Amore come sacrificio Abbiamo visto come l’amore rappresenti una forma di religione, che
E COMMENTO implica il sacrificio di sé. Al sacrificio allude infatti il sangue versato dalla ferita che Lancillotto
si procura forzando le inferriate che lo separano da Ginevra. L’amore sacrificale è tuttavia
dotato anche di un potere miracoloso e risanatore che non fa percepire al cavaliere il dolore
per i tagli.
COMPRENSIONE ANALISI
1. Questo episodio rappresenta il punto culminante 2. L’amore è anche ferita, martirio, sacrificio. Rintrac-
della vicenda amorosa di Lancillotto e Ginevra. Indica cia nel testo i particolari che fanno riferimento a que-
se le seguenti affermazioni sono vere o false. sta visione dell’amore.
a. Ginevra inizialmente rifiuta il saluto 3. Lingua e lessico La scena d’amore presenta
a Lancillotto V F
numerosi termini ed espressioni tratti dal campo se-
b. il siniscalco è complice dei due amanti V F mantico della religione: quali sono? Come spieghi il
c. Lancillotto lamenta il dolore per essersi ricorso a questo tipo di linguaggio?
ferito all’inferriata V F
d. Ginevra ricambia i sentimenti di Lancillotto V F INTERPRETAZIONE E COMMENTO
e. l’incontro tra i due innamorati resta 4. Il motivo delle sbarre e della loro spettacolare ri-
assolutamente casto V F mozione può avere anche un significato simbolico.
f. Lancillotto è triste al momento Quale?
della separazione V F
59
PARTE PRIMA Il Medioevo
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
IL POEMA EPICO
I primi testi letterari nascono in Francia, dove si sviluppano il poema epi-
co, la lirica d’amore e il romanzo cortese. I poemi epici in lingua d’oïl dell’XI il poema epico
e del XII secolo sono chiamati “canzoni di gesta”. Il termine “canzone” ri-
manda alla esecuzione con accompagnamento musicale (le canzoni di
canzoni di gesta
gesta sono trasmesse per lo più oralmente da un cantore). Il termine “ge-
sta” si riferisce alle imprese degli eroi protagonisti. L’esempio più celebre
è la Chanson de Roland, composta intorno al 1080 e incentrata sulle figu- Francia, lingua imprese
re di Carlo Magno e dei suoi paladini. secoli XIXII d’oïl di eroi
IL ROMANZO CORTESE
Il genere letterario più diffuso in lingua romanza è il romanzo cortese: es
so si sviluppa nella Francia settentrionale a partire dal XII secolo, è scritto romanzo cortese
in versi in lingua d’oïl ed è incentrato sui temi dell’amore e dell’avventura,
che portano l’eroe alla quête (‘ricerca’). I romanzi più celebri appartengo Francia, in versi in temi di amore
no alla materia bretone, che narra le vicende di re Artù e dei cavalieri della XII sec. lingua d’oïl e avventura
Tavola Rotonda. Caratteristiche della materia di Bretagna sono pure la sto
ria d’amore di Tristano e Isotta, trasmessa dal poeta anglonormanno Tho materia bretone Tristano e Isotta
mas, e quella di Lancillotto e Ginevra, trasmessa da Chrétien de Troyes, il
maggiore poeta del Medioevo prima di Dante.
re Artù e i cavalieri
della Tavola Rotonda
60
CAPITOLO 1 I generi della letteratura europea GENERE
VERIFICHE
1 La più celebre canzone di gesta
La Chanson de Roland è la più celebre canzone di gesta:
a. Che cosa significa l’espressione “canzone di gesta”?
2 La lirica provenzale
La lirica d’amore è uno dei tre grandi generi trattati in questo Capitolo. Scegli di volta in volta l’alternativa corretta.
Essa si sviluppa a partire dalla fine del secolo XI/XII in Provenza e nella Francia meridionale/settentrionale ed è
quindi scritta in lingua d’oc/d’oïl. I poeti provenzali, detti giullari/trovatori, prediligono la forma della canzone/lauda.
Bernart de Ventadorn/Chrétien de Troyes fu uno degli autori più importanti, che mostrò anche la faccia sensuale/
dolorosa dell’amore.
3 Parole-chiave
In questo Capitolo abbiamo incontrato alcuni termini-chiave relativi alla nascita della letteratura cortese e dei generi
cui essa è legata. Spiega con parole tue le seguenti parole: cortesia; saraceno; trovatore; avventura; quête
4 Il romanzo cortese
Il romanzo cortese è il genere più diffuso in lingua romanza. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.
Il romanzo cortese:
a. è scritto in versi V F
b. è incentrato su un’avventura collettiva V F
c. rinuncia al tema amoroso V F
d. sviluppa, tra gli altri, il ciclo carolingio V F
e. trova in Chrétien de Troyes il suo autore principale V F
61
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERIFICHE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C
RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO
SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
Nella Chanson de Roland numerosi sono i riferimenti al sacro e anche la guerra è giustifi-
cata come un’azione voluta da Dio. Nel Medioevo, infatti, la difesa della cristianità, anche
se raggiunta attraverso le armi, nobilita gli uomini.
Sulla base delle tue conoscenze scolastiche e personali, sviluppa una riflessione approfon-
dendo il concetto di “guerra santa” nel Medioevo.
Costruisci il tuo elaborato facendo riferimento alla situazione di oggi: nella nostra società
c’è ancora questa concezione della guerra legittimata da motivi religiosi, oppure la storia
ha insegnato agli uomini che non è attraverso la guerra che si può difendere un valore sacro?
Articola la tua riflessione in paragrafi opportunamente titolati e presenta la trattazione con
un titolo complessivo che ne esprima in una sintesi coerente il contenuto.
62
Scena del Vecchio Testamento, affresco di Guariento di Arpo, 1357 circa. Padova, Loggia dei Carraresi.
GENERE
CAPITOLO 2
La poesia tra umano e divino
PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
Il rapporto con Dio L’uomo medievale vive in un costante conflitto morale fra la tensione verso Dio e il coinvolgi-
e la vita terrena mento nella vita terrena: da un lato la religione gli offre la beatitudine del Paradiso dopo la mor-
te, dall’altro le mille tentazioni di cui è costellata la vita umana sembrano rendere irraggiungi-
bile questa meta. Ecco allora che i poeti si incaricano di dare forma artistica al problema dif-
fuso di conciliare umano e divino: Dante tenta questa strada trasfigurando la figura di Beatri-
ce, cioè elevando poeticamente la donna amata a creatura celeste, a angelo che deve guidare il
poeta peccatore nel suo percorso di purificazione (Beatrice sarà infatti la guida di Dante nel Pa-
DIGIT radiso). Dopo di lui, in un’epoca già profondamente mutata, Petrarca, nel Canzoniere, constata
TESTI
che il suo amore per Laura è stato peccaminoso, e tuttavia si dichiara incapace di liberarsi del-
Giacomino da
Verona, la nostalgia di lei, negandosi in questo modo la possibilità di redenzione e di salvezza.
Le sofferenze
dell’Inferno Umano e divino s’intrecciano invece in modo profondo nell’amore mistico di santa Ca-
Caterina da Siena, terina. Quello di Caterina da Siena è infatti un misticismo concreto, che non tende ad an-
Lettera a Urbano IV
nullare nel divino il proprio attaccamento al mondo, ma anzi valorizza gli aspetti pratici e
perfino politici della vita umana, ponendo al centro il tema dell’incarnazione di Cristo. La
sua concezione religiosa trova espressione nelle lettere da lei inviate a numerosi corrispon-
denti nella seconda metà del Trecento ( Informazioni, Il misticismo combattivo di santa
Caterina, p. 64).
63
PARTE PRIMA Il Medioevo
ZIONI
INFORMA
Il misticismo combattivo di santa Caterina
L’unità di umano e divino La santa assiste il condannato non riu-
nelle Lettere scendo a staccarsi dal calore e dall’odo-
Santa Caterina (Siena 1347-1380) è re del sangue dell’uomo, e vede in quel
la prima rappresentante certa della sangue il sangue di Cristo. Attraverso la
scrittura femminile nella letteratura potente immagine del sangue, umano
italiana. Nella sua opera l’unione mi- e divino tornano a fondersi completa-
stica con il divino e l’esperienza del mente e anche in queste pagine, come
perfetto amore non approdano a una in quelle di san Francesco e di Jacopo-
contemplazione beata e a un distacco ne, il messaggio del Vangelo diventa im-
dal mondo terreno, ma all’imitazione mediatamente attuale.
concreta di Cristo. Per Caterina l’amore
cristiano è azione, e l’amore tra Dio e L’appello ai potenti
gli uomini è vissuto in modo intensa- per migliorare il mondo
mente passionale. Ma Caterina non è soltanto una misti-
ca. Nell’Epistolario la valorizzazione del
Un linguaggio sensuale mondo umano è testimoniata anche Giovanni di Paolo, Matrimonio mistico di Santa
Caterina da Siena, 1461-1464 circa. New York,
Questa passione amorosa per il divino dall’impegno civile e politico. Caterina Metropolitan Museum of Art.
si esprime in un linguaggio simbolico si batte per migliorare concretamente
sensuale e tramite metafore concrete, il mondo in cui vive: in un’epoca densa alla sua scrittura visionaria, Caterina
che rinviano alla vita materiale e all’e- di conflitti politici e sociali, fa appello attira attorno a sé una folta schiera di
sperienza quotidiana. Particolarmente ai pontefici per una riforma della Chie- fedeli: lo stesso Raimondo da Capua, il
significativa è la metafora del sangue, sa e chiede il ritorno della sede papale frate domenicano inviato dalle autori-
che ricorre ossessivamente nella lette- da Avignone a Roma; scrive ai sovra- tà ecclesiastiche per sorvegliare le at-
ra in cui Caterina racconta la condan- ni perché esercitino con giustizia il lo- tività della religiosa, diviene presto un
na a morte del senese Nicolò di Toldo. ro potere. Grazie alle sue doti morali e suo seguace.
Egli gionse,1 come uno agnello2 mansueto, e, vedendomi, cominciò a rìdare,3 e volse che io gli facesse el segno della
croce; e, ricevuto el segno, dissi: Giuso alle nozze,4 fratello mio dolce, ché testé sarai alla vita durabile!5 Posesi giù
con grande mansuetudine, e io gli distesi el collo, e chinàmi giù e ramentàli el sangue dell’agnello:6 la bocca sua
non diceva, se non «Gesù» e «Caterina», e così dicendo7 ricevetti el capo nelle mani mie, fermando l’occhio nella
divina bontà,8 dicendo: Io voglio!9 Allora si vedeva Dio e Uomo, come si vedesse la chiarità del sole, e stava aperto e
riceveva sangue nel sangue suo:10 uno fuoco di desiderio santo, dato e nascosto nell’anima sua per grazia, riceveva
nel fuoco della divina sua carità. Poi che ebbe ricevuto el sangue e ’l desiderio suo, ed11 egli ricevette l’anima sua
e la misse nella bottiga aperta del costato suo,12 pieno di misericordia, manifestando la prima verità che per sola
gratia e misericordia egli el riceveva, e non per veruna altra operazione.13 O, quanto era dolce e inestimabile14 a
vedere la bontà di Dio, con quanta dolcezza e amore aspettava quella anima partita dal corpo, – vòlto l’occhio della
misericordia verso di lui, – quando venne a ’ntrare dentro nel costato, bagnato nel sangue suo, che valeva per lo
sangue del Figliuol di Dio!15
Santa Caterina, Epistolario, a cura di U. Meattini, Edizioni Paoline, Roma 1979.
1 Egli gionse: il condannato giunge (gionse) al luo- 7 così dicendo: mentre egli diceva così. Gesù è un rifugio (bottiga) aperto. Cristo accoglie
go dell’esecuzione, dove Caterina lo aspetta. 8 fermando...bontà: si tratta qui di una visione mi- qui l’anima del condannato.
2 agnello: l’agnello per eccellenza, in quanto vitti- stica: Caterina fissa lo sguardo in Dio (divina bontà). 13 manifestando...operazione: mostrando la prima
ma sacrificale innocente, è Gesù Cristo. Caterina 9 Io voglio!: qui Caterina pronuncia la formula nu- verità, [cioè che] egli [: Dio] riceveva l’anima di Nicolò
paragona il sacrificio del condannato a quello di Cri- ziale, accettando, a nome di Nicolò e suo, di ricevere per sola grazia e misericordia e non per qualche altra
sto. il martirio. Il consenso di Caterina sigilla così l’unio- azione. Il perdono di Dio accoglieva persino le azioni
3 rìdare: sorridere. ne a Dio. per cui era stato condannato Nicolò.
4 Giuso alle nozze: Caterina riprende la metafora 10 Allora...sangue suo: Caterina passa a esporre la 14 inestimabile: cioè tanto preziosa da non poter
delle nozze: la morte è vista come la possibilità di visione che si produce nel suo rapimento estatico: la essere adeguatamente valutata. Ancora una volta
unirsi a Dio. Giuso sta per ‘giù, via’; si tratta di un santa vede chiaramente il costato aperto di Gesù, Caterina sottolinea la difficoltà di descrivere a paro-
invito esaltato alle nozze. che è contemporaneamente uomo e Dio. Il sangue le la sua esperienza mistica.
5 testé...durabile: presto avrai vita eterna. del condannato si mescola al sangue del costato di 15 che valeva...Dio!: il sangue di Nicolò acquista
6 ramentàli...agnello: gli ricordai il sangue di Cristo. Cristo, in una fusione mistica. valore perché si pone in rapporto con quello di Cri-
Caterina rinvia ancora una volta al sacrificio di Cri- 11 ed: allora. sto. La sua morte, con lo sguardo rivolto a Dio, somi-
sto, l’agnello di Dio (cfr. nota 2). 12 bottiga...suo: secondo Caterina, il costato di glia infatti alla morte di Gesù.
64
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
Le eresie valdese e Nel Medioevo la religione influisce anche sull’organizzazione della vita sociale. Le gerarchie
càtara ecclesiastiche, che detengono il monopolio del potere culturale, esercitano grazie ad esso il
controllo delle coscienze e dunque dell’intera società. Il potere del Papato era andato crescen-
do nei secoli dell’Alto Medioevo, e con esso erano comparse anche la corruzione e il degrado
morale degli uomini di Chiesa. La Chiesa stessa si era trasformata in un’istituzione econo-
mica, politica e militare che non agiva sempre in modo coerente con le norme spirituali e
morali che predicava. Per questo, nel XII secolo si sviluppano alcune eresie , come la valde-
se e la càtara, che contestano le gerarchie ecclesiastiche e rifiutano di sottomettervisi,
cercando piuttosto una spiritualità più vicina a quella dei primi cristiani e non compromessa
con il potere.
La repressione e i In un primo tempo la Chiesa rispose alle proteste con la repressione dei movimenti eretica-
nuovi ordini li. La crociata contro gli albigesi (i càtari della Provenza) portò alla fondazione, nel 1233, del Tri-
monastici
bunale dell’Inquisizione, che aveva la funzione di scoprire e condannare alla tortura e al rogo
gli eretici. Poco dopo, però, la Chiesa si rese conto che la repressione da sola non era sufficien-
te: occorreva una riforma che rispondesse alle esigenze fondate degli eretici, e così da un lato
venne promossa la predicazione dei domenicani, che si incaricarono di recuperare la fiducia dei
credenti, e dall’altro furono incoraggiate le istanze di
rinnovamento dei movimenti pauperistici : fu proprio Eresie L’“eresia” (dal greco haíresus, ‘scel-
ta’) è una dottrina che si oppone ai dogmi e
la scelta della povertà a contraddistinguere il nuovo or-
ai principi della Chiesa cattolica.
dine religioso fondato da san Francesco d’Assisi. Con
Pauperistici L’aggettivo “pauperistico” si
l’ordine dei francescani, alla figura del monaco (dal gre- riferisce al “pauperismo” (dal latino pauper,
co monakhòs, che vuol dire ‘solo’) si accompagnò quella ‘povero’), ideale di vita ispirato alla povertà
nuova del frate (cioè del ‘fratello’), dedito alla vita so- evangelica, proprio di alcuni movimenti re-
ligiosi medievali.
ciale invece che al ritiro nella solitudine del convento.
FACCIAMO IL PUNTO
Qual era il ruolo della religione nella vita delle persone nel Medioevo?
Quale fu la reazione della Chiesa alle proteste dei movimenti ereticali?
65
PARTE PRIMA Il Medioevo
La giovinezza e la Francesco nasce ad Assisi, in Umbria, nel 1181 o nel 1182; il padre, Pietro di Bernardone, è un
conversione ricco mercante di stoffe che ha frequenti rapporti con la Francia. Il nome stesso di Francesco
(cioè ‘francese’) indica il legame del padre con il paese d’oltralpe. Nella prima giovinezza, Fran-
cesco conduce una vita allegra e spensierata. La sua educazione è quella di un giovane da avvia-
re alla carriera mercantile, non di un intellettuale: conosce un po’ di latino e scrive in volgare
con qualche difficoltà: anche in età avanzata preferirà firmare con il simbolo della croce. La par-
tecipazione alla battaglia di Ponte san Giovanni che oppose Assisi a Perugia e la successiva pri-
gionia (1202), durata circa un anno, lo gettano in una profonda crisi esistenziale. Alla crisi se-
guono presto la vocazione religiosa e la conversione del 1206, che culminano con un gesto di
forte valore simbolico: dopo aver rinunciato pubblicamente all’eredità e ai beni paterni, Fran-
cesco si spoglia di fronte al vescovo di Assisi e riconsegna al padre perfino i vestiti, accettando
di coprirsi solamente con un saio di tela grezza. Il gesto di Francesco è un atto d’accusa nei con-
DIGIT
IMMAGINE ATTIVA
66
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
fronti della proprietà privata, perché se tutti siamo fratelli nessuno deve possedere più degli
altri né sfruttarli. Le uniche autorità da lui riconosciute da questo momento in poi sono quel-
la di Dio padre e quella del papa, che ne è il rappresentante in terra.
La letizia Francesco non vive la propria scelta di povertà come sacrificio doloroso, come penitenza soffe-
francescana rente; al contrario, dopo aver scelto come compagna di vita “sorella” Povertà, egli si sente in
perfetta letizia con gli uomini e la natura. I poveri diventano i suoi fratelli e la società comu-
nale, i princìpi borghesi e l’egoismo mercantile sono condannati in nome del Vangelo, i cui va-
lori di fratellanza e amore universale vengono praticati dal santo in modo letterale. Il mondo
terreno può ora essere visto e apprezzato con occhi nuovi, nella prospettiva della trascenden-
za divina che dà loro senso.
La predicazione di Inizia così la predicazione di Francesco, associata alla cura dei malati e dei bisognosi. In cambio
Francesco non chiede nulla: vive solo di elemosina. L’esempio di Francesco è seguito e imitato da nume-
rosi seguaci, fra i quali Chiara, che fonda un ordine femminile gemello di quello francescano
( Informazioni, La Regola di santa Chiara, p. 68). Francesco organizza l’Ordine secondo una
Regola approvata prima da papa Innocenzo III (1210) e poi, in forma definitiva, da papa Ono-
rio III (1223). All’Ordine si uniscono laici e religiosi, intellettuali e analfabeti.
Francesco e la Il riconoscimento dell’Ordine francescano da parte della Chiesa non frena il furore rivoluzio-
Terra Santa nario del santo, che compie altri gesti di grande valore simbolico, fra i quali spiccano il viaggio
pacifico in Terra Santa nel 1219, dove incontra il Sultano, e l’invenzione del presepe. In en-
trambi i casi Francesco contesta la logica guerresca delle crociate, delle quali tra l’altro sa coglie-
re anche le motivazioni economiche nascoste: se Cristo può simbolicamente rinascere in qua-
lunque luogo (come il presepe dimostra), non c’è ragione per riconquistare militarmente i luo-
ghi sacri, e con il Sultano è possibile confrontarsi pacificamente, secondo una prospettiva mol-
to moderna che oggi prenderebbe il nome di “dialogo interreligioso”. La carità cristiana, dun-
que, deve essere esercitata anche nei confronti di coloro che professano altre fedi, in nome del-
la pace e del rispetto della vita umana, dono di Dio.
La morte nel 1226 Provato da gravi malattie e ormai cieco, nel 1226 Francesco fa ritorno alla Porziuncola, una pic-
cola chiesa nei pressi di Assisi, dove muore circondato dai suoi frati. Sarà riconosciuto santo due
anni dopo.
Il Cantico delle La concezione serena e ottimistica della vita umana e della natura è alla base del Cantico delle
creature creature ( T1, p. 69), o Laudes creaturarum [Lodi delle creature], scritto in volgare umbro da
Francesco negli ultimi anni di vita, tra il 1224 e il 1226. L’idea evangelica della carità e della fra-
tellanza umana è rilanciata da Francesco nella forma di un rapporto armonioso dell’umanità
con l’universo, con Dio e perfino con “sorella” Morte.
Il Cantico delle creature è considerato il primo testo artistico della letteratura italiana: è
tra i pochissimi scritti conservati del santo, e l’unico che possiamo attribuirgli con certezza. Il
Cantico è una lauda: una composizione di argomento religioso formata da strofe di prosa rit-
mica legate tra loro da assonanze.
Dietro l’apparente semplicità, il Cantico rivela una doppia funzione ideologica. In primo
luogo Francesco si contrappone al pessimismo apocalittico medievale, invitando l’uomo a
un rapporto sereno con l’universo: il mondo non sta per finire e tutti devono apprezzarne la
bellezza e la perfezione divina. In secondo luogo, possiamo riconoscere nel testo una presa di
posizione contro l’eresia càtara, che contrapponeva cielo e terra vedendovi le due entità
inconciliabili del bene e del male. Francesco valorizza, al contrario, il rapporto armonioso
tra la realtà naturale della terra e quella soprannaturale di Dio in cielo: ogni cosa di questo
mondo può essere goduta e apprezzata perché è un dono divino.
67
PARTE PRIMA Il Medioevo
La lingua: il volgare Il Cantico è composto in volgare umbro (la lingua che Francesco parlava quotidianamente)
umbro perché il suo autore voleva rivolgersi agli umili e agli ignoranti, che non capivano il latino. Il
suo stesso autore, come abbiamo visto, non era un intellettuale. La lingua del Cantico esprime
anch’essa una prospettiva rasserenata e gioiosa, e nomina gli elementi più semplici e comu-
ni dell’esperienza materiale: l’acqua, il sole e la terra con tutti gli animali. Con Francesco la
religiosità cristiana riscopre la bellezza del mondo naturale, che non è più visto come una ten-
tazione del diavolo ma come un dono di Dio.
Francesco come La vita di Cristo è per Francesco un modello diretto e vitale, e lo “scandalo” del suo comporta-
“nuovo Cristo” mento dipende soprattutto da questa attualizzazione della vita di Gesù. Francesco si proclama
alter Christus, cioè un ‘nuovo Cristo’, ed esprime con una teatralità socialmente efficacissima il
rovesciamento dei valori dominanti del guadagno e dell’egoismo. Da una intenzione in
gran parte simile, e dalla stessa volontà di mettere in rapporto cielo e terra, cento anni dopo sa-
rebbe nato il capolavoro della Commedia di Dante, nella quale, non a caso, a Francesco è dedi-
cato un canto che mette in risalto soprattutto la scelta estrema e illuminante della povertà.
FACCIAMO IL PUNTO
Quali elementi caratterizzano la “letizia francescana”?
Qual è la doppia funzione ideologica del Cantico delle creature?
ZIONI
INFORMA
La Regola di santa Chiara
Non conosciamo molto della vita di Chia- francescano, accanto a quello maschile Dopo la morte di Francesco, l’ordine ma-
ra d’Assisi: sappiamo che probabilmen- dei frati minori. La Regola di santa Chia- schile decise di accettare la possibilità
te era più giovane di Francesco di una ra, che governava l’ordine femminile, di possedere beni, e da qui si originò
decina di anni, e che condivideva con era fondata sulla scelta di povertà as- la rottura tra spirituali e conventuali.
lui il desiderio di una vita religiosa svin- soluta praticata da Francesco; esclu- Chiara e le sue sorelle invece, svelando
colata dalle forme tradizionali. Rappre- deva però il vagabondaggio. Da parte una notevole autonomia di pensiero e
sentare il “giullare di Dio” e vivere tra delle clarisse, questa era forse l’unica raccogliendo direttamente l’eredità di
vagabondaggi ed elemosine costitui- soluzione possibile per essere accet- Francesco, rifiutarono la prospettiva ac-
va già una provocazione, nella società tate dall’autorità religiosa, così come comodante dei conventuali; anzi, chie-
dell’epoca, da parte di un uomo; figu- voleva la militanza francescana (Fran- sero e ottennero dal papa il privilegium
riamoci di una giovane donna! cesco infatti non si è mai ritenuto “ere- paupertatis [privilegio della povertà],
Francesco accettò Chiara e le sue so- tico”, ma anzi interno all’ortodossia cat- cioè la possibilità di praticare la pover-
relle (le clarisse) come secondo ordine tolica). tà assoluta.
68
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
T1 Francesco d’Assisi
Cantico delle creature
Composto fra il 1224 e il 1226, il Cantico delle creature di Francesco d’Assisi è considerato il
primo testo artistico della letteratura italiana. Nel componimento prevale una concezione
ottimistica e serena della vita umana e della natura. La sua destinazione sociale è evidente:
nei versi finali il santo invita tutti gli uomini a lodare e a benedire Dio.
I TEMI lode a Dio e alle sue creature fratellanza fra l’uomo e la natura
PARAFRASI
Altissimu, onnipotente, bon Signore, 1-4 [O] Altissimo, onnipotente, buon Dio, sono tue [: spetta-
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione. no a te] le lodi, la gloria e gli onori e ogni benedizione. [Que-
ste] si addicono (se konfano) solamente a te, o Altissimo, ep-
pure nessun uomo è degno [di] nominarti (te mentovare).
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.1
5 Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, 5-9 [Tu] sii lodato, [o] mio Dio, insieme con tutte le cose che
spetialmente messor lo frate2 sole, tu hai creato, [e] specialmente il signore (messer lo) fratello
sole, il quale è [la luce del] giorno, e [tu, Dio] illumini noi per
lo qual’è iorno, et allumini noi per lui. mezzo (per) di lui. Ed esso (ellu) è bello e raggiante con gran-
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de splendore: di te, [o] Altissimo [Dio], è manifestazione (por-
de te, Altissimo, porta significatione.3 ta significatione).
10 Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle: 10-11 [Tu] sii lodato, [o] mio Dio, per sorella luna e per le
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle. stelle: le hai create nel cielo luminose (clarite) e preziose e
belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento 12-14 [Tu] sii lodato, [o] mio Dio, per fratello vento e per l’a-
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, ria e [per le] nuvole (nubilo) e [per il] bel tempo (sereno) e
[per] ogni tempo, attraverso i quali dài vita (sustentamento)
per lo quale a le tue creature dài sustentamento. alle tue creature.
15 Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, 15-16 [Tu] sii lodato, [o] mio Dio, per sorella acqua, la quale è
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.4 molto utile e umile e preziosa e pura (casta).
DIGIT VIDEOLEZIONE gno rappresentante della divinità. sto. Ci sono comunque alcune ricercatezze
Analisi del testo di Pietro Cataldi 4 utile...et casta: come in altri passaggi del formali, come qui l’assonanza delle vocali
Cantico (dal v. 8 al v. 19 per l’esattezza), gli in utile e humile e l’espressività intensa di
Metrica: accompagnato in origine da una aggettivi hanno un’importanza decisiva: alcuni aggettivi (utile rimanda al verbo la-
melodia composta da Francesco stesso (oggi sono disposti a tre o quattro alla volta per tino utor, ‘io uso’, che evoca la disponibilità
perduta), il Cantico non segue uno schema rappresentare l’esitazione dello sguardo dell’acqua, dono di Dio, ad essere usata
metrico, nonostante si possano riscontrare che contempla e vengono scelti con sem- dall’uomo).
diverse assonanze tra i versi. plicità, come a sottolineare l’umiltà del te-
69
PARTE PRIMA Il Medioevo
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, 17-19 [Tu] sii lodato, [o] mio Dio, per fratel-
lo fuoco, attraverso il quale illumini la notte:
per lo quale ennallumini la nocte:
ed esso (ello) è bello e gioioso (iocundo) e vi-
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. goroso (robustoso) e forte.
20 Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre5 terra, 20-22 [Tu] sii lodato, [o] mio Dio, per nostra
la quale ne sustenta et governa, sorella [e] madre terra, la quale ci (ne) mantie-
ne (sustenta) e alimenta (governa) e produce
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. diversi frutti insieme a fiori colorati ed erba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore 23-26 [Tu] sii lodato, [o] mio Dio, per quelli
et sostengo infirmitate et tribulatione. che perdonano in nome del (per lo) tuo amore
e sopportano (sostengo) malattie (infirmita-
te) e sofferenze (tribulatione). Beati quelli
25 Beati quelli ke ’l sosterrano in pace, che sopporteranno (sosterrano) ciò (’l) sere-
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.6 namente (in pace), perché (ka) saranno inco-
ronati [: premiati] da te, [o] Altissimo [Dio].
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, 27-31 [Tu] sii lodato, [o] mio Dio, per nostra
sorella morte fisica (corporale), dalla quale
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
nessun (nullu homo) vivente può scampare
guai a.cquelli ke morrano ne le peccata mortali; (skappare): guai a coloro che moriranno [tro-
30 beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, vandosi] nei peccati mortali [: perché saranno
ka la morte secunda no ’l farrà male. dannati]; beati quelli che [la morte fisica] tro-
verà [: raggiungerà mentre sono] nelle tue [: di
Dio] santissime volontà [: nel rispetto delle
Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate leggi cristiane], perché (ka) la dannazione (la
e serviateli cum grande humilitate. morte secunda = seconda, cioè quella dell’ani-
ma) non farà loro (’l = ‘il’ = ‘gli’) male [: non li ri-
Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Ricciardi, Milano-Napoli 1960. guarderà, in quanto saranno beati].
32-33 Lodate e benedite [il] mio Dio e rin-
graziate[lo] e servitelo con grande umiltà.
5 matre: la terra è sorella come gli altri esseri 6 Beati quelli ke...incoronati: la formula con- poveri di spirito, perché di essi è il regno dei
del creato, ma anche madre, sia perché dalla tenuta nei vv. 25-26 («Beati quelli ke…/ cieli. Beati gli afflitti, perché saranno conso-
terra, secondo il racconto della Genesi, è sta- ka…», così come nei vv. 30-31) è costruita sul lati. […] Beati i puri di cuore, perché vedranno
to creato l’uomo, sia perché, come una ma- modello delle cosiddette “beatitudini” evan- Dio»).
dre, ci dà nutrimento e vita. geliche (per esempio, Matteo 5, 3-12: «Beati i
ANALISI Il significato di «per» È possibile interpretare in vari modi la preposizione «per», che com-
pare nel Cantico ai vv. 10, 12, 13, 15, 17, 20, 23, 27. Determinare il suo significato è decisivo
per capire il messaggio del testo. Sono state fatte varie ipotesi: la preposizione «per» potrebbe
introdurre un complemento di causa (Tu sia lodato, o Dio, a causa delle tue creature), di agente
(Tu sia lodato, o Dio, da parte di tutte le creature), oppure di mezzo (Tu sia lodato, o Dio, per
mezzo della lode che io rivolgo alle tue creature). Quest’ultima sembra essere l’interpretazione
70
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
più vicina al messaggio francescano (per cui tutte le creature sono strumento e manifesta-
zione della divinità; v. 9) e più coerente con il dilemma presentato nei vv. 1-4: non potendo
nominare Dio direttamente, l’uomo loda il creatore attraverso le lodi rivolte alle sue creature.
Ma la questione rimane aperta.
INTERPRETAZIONE Il messaggio francescano L’elemento che più caratterizza il Cantico è la semplicità, che
E COMMENTO d’altra parte costituisce un valore centrale nel messaggio francescano. Un altro elemento fon-
damentale, secondo la regola di Francesco, è l’«humilitate» (v. 33), parola-chiave che chiude il
componimento. La gerarchia del testo rispecchia questo ideale di umiltà, prendendo avvio
dall’alto (sole, luna, stelle) e “scendendo” in terra (dall’aria all’acqua, al fuoco e alla terra) fino
ad arrivare, per ultimo e umilmente, all’uomo. Abbracciando la semplicità e l’umiltà, France-
sco rafforza la sua posizione, nettamente opposta al culto mercantile per il denaro, alla corru-
zione del clero e al principio di competitività sfrenata della società borghese. Egli rilancia i
valori fondamentali del cristianesimo e, con essi, l’idea di un possibile rapporto armonioso
dell’uomo con la natura, con l’universo, con Dio. La fratellanza universale tra le creature e la
loro pari dignità disegnano un mondo nuovo, sereno e pacifico, riscattato dal senso del pec-
cato e di minaccia.
ANALISI
c. «nocte» (v. 18):
2. La struttura del testo si fonda sull’anafora (ripe-
tizione): rintracciala nel testo e spiega quale effetto
essa produce. d. «et» (v. 22):
3. Lingua e lessico Analizza le forme verbali pre-
senti negli ultimi due versi del Cantico: a chi si rivolge
la conclusione del componimento? INTERPRETAZIONE E COMMENTO
4. Lingua e lessico L’autore pone grande cura nel- 6. I singoli elementi del creato sono appellati da
la scelta degli aggettivi. Rintraccia nel componimento Francesco come «frate» o «sora»: a quale visione della
quelli riferiti agli elementi naturali qui riportati. Qual natura rimandano queste espressioni?
è il più usato? Appartengono al lessico comune o a
quello letterario? 7. La lingua della Chiesa e della liturgia era ed è ri-
masta a lungo il latino. Francesco era un uomo colto,
a. sole: conosceva il francese e il latino. Perché allora, secon-
b. stelle: do te, scrive il Cantico in volgare?
c. fuoco:
5. Lingua e lessico La grafia del componimento
risente delle consuetudini latine: descrivi per ogni
termine il fenomeno che lo differenzia dall’italiano di
oggi.
71
PARTE PRIMA Il Medioevo
TEMI DI CITTADINANZA
H
Papa Francesco a Nairobi
durante la sua visita in Kenia
nel 2015.
LAUDATO SI’
Il messaggio La figura di san Francesco esercita ancora grande fascino e ammirazione, e non solo nei
di san Francesco cristiani. Fin dal Medioevo, il santo di Assisi ha ispirato un gran numero di artisti e, più
recentemente, anche il cinema ha guardato a lui con interesse (pensiamo a Francesco,
giullare di Dio di Rossellini, Uccellacci e uccellini di Pasolini e molti altri film successivi).
D’altra parte, il suo messaggio di essenzialità e amore per la natura è oggi più attuale
che mai. Rifletti sul valore della lezione francescana a partire dalla lettura del passo
della Lettera enciclica di papa Bergoglio Laudato si’ (24 maggio 2015): il documento,
dedicato ai temi dell’ecologia, fa riferimento al santo.
Papa Bergoglio
Lettera enciclica Laudato si’
Non voglio procedere in questa Enciclica senza ricorrere a un esempio bello e motivante. Ho
preso il suo nome come guida e come ispirazione nel momento della mia elezione a Vescovo
di Roma. Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole
e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. È il santo patrono di tutti quelli
che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti che non sono cristia-
ni. Egli manifestò un’attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e
abbandonati. Amava ed era amato per la sua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore
universale. Era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa
armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che pun-
to sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno
nella società e la pace interiore [...]
Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guar-
dava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua
lode tutte le altre creature. [...] La sua reazione era molto più che un apprezzamento intellet-
tuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con
vincoli di affetto [...] Questa convinzione non può essere disprezzata come un romanticismo
irrazionale, perché influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento. Se noi
ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia,
se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con
il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del me-
72
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
TEMI DI CITTADINANZA
Pagina di un manoscritto
proveniente da Bologna con
scene della vita di san Francesco
d’Assisi, 1320-1342 circa. New
York, Metropolitan Museum of Art.
ro sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati.
Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura
scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un
ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un
mero oggetto di uso e di dominio.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. La descrizione che l’autore fa di san Francesco è a tutto tondo e si sofferma su molteplici aspetti della sua
personalità. Riassumi brevemente questa descrizione, facendo attenzione ad alcune caratteristiche che
vengono descritte attraverso coppie di termini (es.: mistico/pellegrino, amava/era amato…).
2. Nella seconda parte, l’autore si sofferma sulla relazione tra san Francesco e la natura, definendola attraver-
so similitudini con elementi della sfera dell’amore e degli affetti. Come giustifica questo parallelismo?
3. L’autore indica due possibili atteggiamenti dell’uomo nei confronti della natura e da questi trae le due inevi-
tabili, opposte conseguenze. Sintetizza il senso di questa affermazione in una frase di due righi.
PRODUZIONE
Immagina che nella tua città un ampio spazio verde sia destinato ad accogliere un centro commerciale. Al-
cuni cittadini, costituiti in un comitato, scrivono una lettera al sindaco, manifestando il loro dissenso e argo-
mentando adeguatamente le loro ragioni, che tengono anche conto dei possibili lati positivi che un centro
commerciale potrebbe avere sulla comunità.
Redigi il testo immedesimandoti nella situazione e attingendo agli spunti di riflessione presenti nell’encicli-
ca Laudato si’.
73
PARTE PRIMA Il Medioevo
3 Jacopone da Todi
La vita di Jacopone Pur trovandosi sulla scia della tradizione francescana, l’umbro Jacopone (Todi, 1236-Collazzone,
da Todi 1306) non vive più il rapporto positivo e fiducioso con il mondo terreno che aveva caratterizzato
Francesco. Dopo aver esercitato la professione di procuratore legale, Jacopone giunge alla con-
versione nel 1268 dopo la morte tragica della moglie, sul corpo della quale viene trovato un
cilicio (uno strumento di penitenza corporale). Per dieci anni vive di elemosina vagabondando in
abito di mendicante, finché, nel 1278, entra nell’ordine francescano come frate laico, avvicinan-
dosi alla fazione rigorosa e intransigente degli spirituali, che interpretavano con fedeltà comple-
ta la Regola di Francesco, respingendo senza eccezioni il diritto alla proprietà privata.
Nel 1298 viene scomunicato e messo in prigione per essersi schierato contro il corrotto pa-
pa Bonifacio VIII, che rappresentava le istanze più conservatrici del potere ecclesiastico. Dal car-
cere scaglia violenti testi contro il papa, supplicandolo di liberarlo dalla scomunica. Riottiene la
libertà, e la revoca della scomunica, solo nel 1303, per l’indulgenza del successore di Bonifacio,
papa Benedetto XI. Muore la notte di Natale del 1306 a Collazzone, non lontano da Todi.
Lo Stabat mater Al contrario di Francesco d’Assisi, Jacopone è un autore colto e capace di comporre sia in lati-
no sia in volgare. Tra le opere latine spicca la sequenza dello Stabat mater, un componimento
musicale da recitare o cantare nelle celebrazioni religiose avente come tema il dolore di Maria
per la morte del figlio Gesù.
Le laude in volgare La parte più importante della produzione jacoponica è rappresentata però dalle laude in volga-
re. Esse riprendono i temi della tradizione francescana: l’umiltà dell’uomo e delle cose finite
rispetto alla grandezza di Dio, la gioia mistica della felicità interiore, la valorizzazione dei mo-
menti centrali della fede cristiana, con predilezione per l’Incarnazione e per la Passione di Gesù
( T2, p. 75). In Cristo il poeta vede l’unione tra condizione umana e altezza divina ma, a dif-
ferenza di Francesco, Jacopone non vive con letizia questa possibilità. Jacopone esprime piut-
tosto una rabbia implacabile, un furore assoluto nei confronti dell’umanità (e anche verso
se stesso), colpevole di aver crocifisso Cristo. La stessa altezza di Dio provoca in Jacopone un
DIGIT sentimento di inadeguatezza: rispetto al valore assoluto della divinità ogni altra cosa perde va-
TESTI
Jacopone da Todi, lore, riducendosi a nulla, umanità compresa.
«O signor, La tradizione mistica medievale vive in Jacopone con energia e finalità nuove: nelle sue
per cortesia»
Jacopone da Todi, laude egli arriva a pregare Dio affinché gli mandi malattie e sofferenze, rovesciando le consue-
«O papa Bonifazio» te richieste di protezione, per punire su di sé la colpa dell’umanità che ha crocifisso Cristo.
La lingua di Inconfondibile è anche la tensione espressiva e linguistica: Jacopone è infatti uno dei poeti più
Jacopone intensi e originali della nostra tradizione letteraria. La scelta del dialetto umbro popolare non
esclude il ricorso a termini e forme di varia provenienza, dal latino ecclesiastico al lessico
giuridico alla lirica d’amore. Il linguaggio cerca in ogni modo di forzare i limiti di ciò che può
essere detto, per esprimere l’intensità emotiva e il furore dell’autore e la grandezza irraggiun-
gibile di Dio. Questa intensa espressività fa sì che lessico e stile vengano costantemente sotto-
posti a forzature, in una esasperazione delle forme: la sintassi è spesso spezzata, con cambia-
menti improvvisi di soggetto; le strutture argomentative sono spesso di tipo elencativo oppu-
re procedono per coppie antitetiche.
CONFRONTI
FRANCESCO E JACOPONE A CONFRONTO
valorizzazione della vita speranza di una rivoluzione
Francesco d’Assisi lode delle creature
terrena sociale e spirituale
disprezzo del mondo e abisso tra uomo e Dio, tra condanna senza appello
Jacopone da Todi
dell’umanità terra e cielo contro la propria epoca
74
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
La lauda La tendenza alla drammatizzazione produce alcuni dialoghi e Jacopone è il probabile invento-
drammatica re della lauda drammatica (o dialogata). Tra i suoi testi più intensi e ricordati sta appunto un in-
treccio di voci: «Donna de Paradiso» ( T2). Alla voce del narratore che racconta la Passione di
Cristo si intrecciano quelle di Maria e dello stesso Gesù, oltre che quella collettiva della folla.
La forma teatrale del testo aiuta ad attualizzare l’evento evangelico, a farlo rivivere davanti ai
lettori o agli spettatori in ascolto.
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono i temi delle laude di Jacopone?
Quali sono le caratteristiche della lingua di Jacopone?
T2 Jacopone da Todi
«Donna de Paradiso»
Questa è la lauda più celebre di Jacopone. Al centro dell’attenzione stanno l’umana sofferenza della Ma-
donna e la sua intesa materna e carnale con il figlio crocifisso. Il testo ha un forte carattere drammatico:
vi è rappresentato un dialogo, in cui sentiamo parlare san Giovanni, che descrive i vari momenti della
Passione di Cristo, Maria, la folla e Gesù stesso.
I TEMI umanità della Madonna
PARAFRASI
«Donna de Paradiso, 1-3 «[O] donna del Paradiso [: la Madonna], tuo
lo tuo figliolo è preso, figlio Gesù Cristo beato è [stato] catturato».
Metrica: lauda drammatica con struttura di 1 «Donna...flagellato»: parla un fedele, con vanni, ricalcando fedelmente la narrazione
ballata sacra: terzina di ripresa (vv. 1-3) con ogni probabilità Giovanni evangelista, rivol- del Vangelo. traduto può anche significare
rime yyx; quartine con rime aaax. I versi sono gendosi a Maria. allide è un latinismo (da alli- ‘consegnato’, dal latino tradere.
per lo più settenari, oppure ottonari (vv. 25, dere). 4 Maddalena: una donna guarita da Gesù.
28, 56, 69, 76, 128). 2 «Com’essere...pigliato?»: parla qui la Ma- Presente alla crocifissione di Cristo e alla se-
donna, incredula e maternamente affettuosa. poltura, è la prima persona alla quale egli ap-
3 «Madonna...mercato»: parla di nuovo Gio- pare dopo la resurrezione.
75
PARTE PRIMA Il Medioevo
«O Pilato, non fare 24-27 «O Pilato, non far tormentare mio figlio,
25 el figlio mio tormentare, perché io ti posso dimostrare come è accusato a
torto».
ch’io te pozzo mustrare
como a torto è accusato».
«Traàm for li ladruni, 36-39 «Tiriamo fuori (Traàm for) [dal carcere] i
che sian suoi compagnuni: ladroni, affinché siano i suoi compagni (compa-
gnuni; il tono è dispregiativo): venga coronato di
de spine se coroni, spine, dato che si è proclamato re!».
ché rege s’è chiamato!»8
40 «O figlio, figlio, figlio, 40-47 «O figlio, figlio, figlio, figlio, giglio amoro-
figlio, amoroso giglio! so! figlio chi consola il mio cuore tormentato (an-
gustïato)? Figlio dagli occhi che danno gioia (io-
figlio, chi dà consiglio cundi), figlio, perché (co’ = ‘come’) non rispondi?
al cor mio angustïato? Figlio, perché ti nascondi al [mio] petto dove (o’)
sei stato allattato?».
Figlio occhi iocundi,
45 figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ si’ lattato?»9
«Madonna, ecco la croce, 48-51 «[O] Madonna, ecco che la gente porta
che la gente l’aduce, (l’aduce) la croce, dove la vera luce [: Cristo] deve
essere innalzata (levato)».
50 ove la vera luce
dèi essere levato».10
«O croce, e che farai? 52-55 «O croce, e [tu] che cosa farai? Prenderai
El figlio mio torrai? (torrai) mio figlio? Come tu punirai chi non ha in
sé [nessun] peccato?».
Como tu ponirai
55 chi non ha en sé peccato?»
5 «Soccurri...Pilato»: parla ancora Giovanni. 8 «Traàm...chiamato!»: parla di nuovo la fol- 10 «Madonna...levato»: la descrizione degli
6 «Crucifige...senato»: parla la folla, che spin- la, esprimendo una crescente ferocia. avvenimenti è nuovamente affidata a Gio-
ge Pilato a punire l’implicita ribellione di Cristo. 9 «O figlio...lattato?»: parla Maria, ripeten- vanni, che prende la parola anche ai vv. 56-59
7 «Prego...pensato»: parla Maria, che cerca di do ossessivamente la parola figlio, a sottoli- e 64- 75, descrivendo nei minimi particolari
convincere la folla circa l’innocenza del figlio. neare il rapporto umano con Cristo. la scena della crocifissione.
76
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
60 «Se i tollete el vestire, 60-63 «Se gli (i) togliete i vestiti, lasciatemelo
vedere come nelle aggressioni (ferire) crudeli lo
lassatelme vedere,
hanno tutto insanguinato!».
como el crudel ferire
tutto l’ha ensanguenato!»
«Donna, la man li è presa, 64-75 «[O] donna, gli viene (li è) [: a Cristo] pre-
sa la mano, e nella croce è stesa; la hanno trafitta
65 ennella croce è stesa; (fesa) con un chiodo (bollon), tanto ce lo hanno
con un bollon l’ho fesa, ficcato. Viene presa l’altra mano, e viene stesa
tanto lo ci ho ficcato. nella croce e il dolore brucia (s’accende), che è
[ancor] più accresciuto (moltiplicato). [O] don-
na, vengono presi (se prenno) i piedi (li pè) e ven-
L’altra mano se prende, gono inchiodati al legno (chiavellanse al lenno):
ennella croce se stende aprendo [: rompendo] ogni giuntura (onne ion-
tur’), lo hanno tutto slogato (sdenodato)».
70 e lo dolor s’accende,
ch’è più moltiplicato.
Donna, li pè se prenno
e chiavellanse al lenno:
onne iontur’ aprenno,
75 tutto l’ho sdenodato».
«Mamma, ove si’ venuta? 84-87 «[O] mamma, dove sei venuta? Mi provo-
chi (me dài) una ferita mortale, poiché (ca) il tuo
85 Mortal me dài feruta, pianto (planger) mi uccide (me stuta), poiché lo
ca ’l tuo planger me stuta, vedo (veio) così angosciato (afferrato)».
che ’l veio sí afferrato».12
77
PARTE PRIMA Il Medioevo
«Figlio, che m’aio anvito, 88-91 «[O] figlio, io ne ho ben ragione (che
m’aio anvito) [: di piangere], figlio, padre (pate) e
figlio, pate e marito!13
marito! Figlio, chi ti ha ferito? Figlio, chi ti ha spo-
90 Figlio, chi t’ha ferito? gliato?».
Figlio, chi t’ha spogliato?»
«Figlio, questo non dire: 96-103 «[O] figlio, non dire questo: io voglio mo-
voglio teco morire; rire con te (teco); non voglio andarmene (me…
partire) finché mi esce ancora (mo) voce (fiato).
non me voglio partire Che abbiamo un’unica (C’una aiam) sepoltura,
fin che mo m’esce ’l fiato. [o] figlio di mamma infelice (scura), trovandosi
nella [stessa] sofferenza (afrantura) madre e fi-
glio ucciso (affocato)!».
100 C’una aiam sepoltura,
figlio de mamma scura:
trovarse en afrantura
mate e figlio affocato!»
«Mamma col core afflitto, 104-111 «[O] mamma con il cuore afflitto, ti
105 entro le man te metto metto nelle (entro) mani di Giovanni, il mio pre-
diletto: [voglio che] sia chiamato (appellato) tuo
de Ioanne, mio eletto: figlio. Giovanni, ecco (èsto) mia madre: prèndila
sia tuo figlio appellato. con amore (tollela en caritate), abbine (aggine)
pietà, dato che (ca) ha il cuore così trafitto (fura-
to)».
Ioanni, èsto mia mate:
tollela en caritate,
110 aggine pïetate,
ca ’l cor sí ha furato».
«Figlio, l’alma t’è ’scita, 112-119 «[O] figlio, l’anima (alma) è uscita da te
figlio de la smarrita, (t’è ’scita), figlio della smarrita, figlio della dispe-
rata (sparita), figlio avvelenato (attossecato)
figlio de la sparita, [: ucciso]! Figlio bianco e rosso (vermiglio), figlio
115 figlio attossecato! senza pari (simiglio), figlio, e [ora] a chi mi ap-
poggio? Figlio, mi hai veramente (pur) abbando-
nata (lassato)!
Figlio bianco e vermiglio,14
figlio senza simiglio,
figlio, a chi m’apiglio?
Figlio, pur m’hai lassato!
120 Figlio bianco e biondo, 120-123 Figlio bianco e biondo, figlio dal volto
figlio volto iocondo, che dà gioia (iocondo), figlio, perché il mondo ti
ha, [o] figlio, così disprezzato?
figlio, per che t’ha ’l mondo,
figlio, così sprezzato?
13 Figlio...pate e marito!: si fa qui riferimen- re di Maria è immenso perché Cristo rappre- e mille»; ma può essere anche un riferimento
to al dogma della Trinità: Cristo è figlio di Ma- senta tutto per lei. al pallore della morte e al sangue uscito dalla
ria perché è nato da lei; padre, perché è Dio; 14 Figlio bianco e vermiglio: è un riferimen- ferite di Cristo.
marito, perché come Spirito Santo si è incar- to al Cantico dei Cantici [5, 10]: «Il mio dilet-
nato in lei, facendole concepire Gesù. Il dolo- to è bianco e vermiglio, riconoscibile fra mille
78
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
15 ora sento...profitizzato: con riferimento alla profezia to a te, Maria, il dolore ti colpirà come colpisce una spada»
di Simeone che, visto Gesù bambino, aveva detto: «Quan- (Luca 2, 35).
INTERPRETAZIONE La Passione del figlio Gesù Un tratto decisivo dell’originalità di questo testo consiste
E COMMENTO nell’aver messo in primo piano il dolore della Madonna che assiste alla crocifissione del proprio
figlio. Jacopone filtra la Passione di Gesù attraverso la disperazione umanissima di una madre
inconsolabile. Con questa scelta l’autore esalta la dimensione umana e terrena di Cristo e del
suo estremo sacrificio per la redenzione dal peccato originale. Anche l’insistenza ossessiva sul
termine-chiave «figlio» va letta in tal senso, come un richiamo alla natura incarnata di Cristo.
79
PARTE PRIMA Il Medioevo
4 La Scuola siciliana
La nascita della La poesia lirica italiana nasce nella prima metà del Duecento in Sicilia, alla corte di Federico II
lirica italiana alla di Svevia, che fu imperatore del Sacro romano impero dal 1220 al 1250 e che stabilì la sua sede
corte di Federico II
a Palermo. Cercando di realizzare uno stato centralizzato e una supremazia ghibellina in Italia,
Federico si contrappone alla Chiesa non solo sul terreno della politica, ma anche su quello del-
la cultura. Per questo raccoglie intorno a sé dotti e artisti, incoraggia la laicità del sapere e le
tendenze scientifiche, dà impulso a una serie di istituzioni culturali e favorisce la ripresa
dello studio del latino, lingua della cancelleria e degli affari internazionali. Le città siciliane di
Palermo e Messina diventano grazie a lui notevoli centri di cultura. D’altra parte Federico stes-
so ha avuto una formazione culturale ricca e varia: conosce il tedesco (lingua del padre) e il
francese (lingua della madre normanna), studia il latino e in Sicilia impara l’arabo, il greco e, na-
turalmente, il volgare siciliano. Egli stesso, come i figli Enzo e Manfredi, scrive poesie in volga-
re ispirandosi ai poeti provenzali: alcuni di essi sono chiamati a corte e fanno parte dell’élite in-
tellettuale creata da Federico.
Oggi si parla di Scuola siciliana per indicare il gruppo di poeti in volgare siciliano (venticin-
que circa) attivi nel periodo fra il 1230 e il 1266, quando, dopo la battaglia di Benevento in cui
venne sconfitto il figlio e successore di Federico, Manfredi, il sogno ghibellino della dinastia
sveva subì una crisi rapida e definitiva. In realtà, il periodo di fioritura vera e propria della Scuo-
la siciliana fu ancora più breve e si concentrò nel ventennio 1230-1250.
Il modello dei I poeti siciliani si ispirano alla tradizione dei poeti provenzali: compongono dunque prevalente-
trovatori e le mente liriche d’amore, e anzi i temi non amorosi sono molto meno presenti che nella lirica in
peculiarità dei
Siciliani lingua d’oc. Vengono riproposti il tema provenzale della lode della donna amata e la richiesta d’a-
more nei termini del rapporto tra vassallo e feudatario. Vi sono tuttavia alcune differenze:
1. i poeti siciliani non sono più nobili o giullari, ma quasi sempre borghesi che esercitano fun-
zioni giuridiche o amministrative a corte: sono insomma giudici, notai e burocrati che si de-
dicano alla poesia solo per diletto;
2. non sono più neppure musicisti. Le loro poesie non sono più scritte per essere accompa-
gnate dalla musica, ma destinate alla sola lettura; non nascono per un’esecuzione pubbli-
ca, ma diventano un esercizio privato;
3. la poesia d’amore siciliana è più astratta e più lontana dalla concretezza delle situazioni
quotidiane rispetto a quella provenzale. Essa riprende dai trovatori il motivo tradizionale
DIGIT del vassallaggio d’amore, con l’offerta del “servizio” d’amore nella speranza di avere in
VIDEO
Poesia e musica cambio dalla donna una ricompensa; ma l’accento cade, più che sul rapporto amoroso fra
nella Scuola
poetica siciliana poeta e dama, sull’amore in quanto tale.
Giacomo da Lentini Il caposcuola dei Siciliani è Giacomo da Lentini, notaro (cioè funzionario imperiale) alla
corte di Federico tra il 1233 e il 1241. A lui è attribuita l’invenzione del sonetto ( T3 e
80
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
T4, pp. 84, 86), che prende il suo nome dalla parola provenzale sonet (‘piccolo suono’) ed
è un componimento molto breve, di soli 14 versi, destinato a un enorme successo nella suc-
cessiva poesia italiana e straniera. Del Notaro restano 38 componimenti fra canzoni, can-
zonette e sonetti. I temi sono quelli della lirica cortese: la lode della donna, la descrizio-
ne del sentimento d’amore, la necessità di tutelare l’amata dalle chiacchiere della
gente.
Da lui derivano due tendenze poetiche principali: una tragica e meditativa (rappresentata
DIGIT
TESTI da Guido delle Colonne e da Stefano Protonotaro); l’altra più narrativa e colloquiale (in cui si
Stefano distinguono Rinaldo d’Aquino e Giacomino Pugliese). L’unico testo comico proveniente dalla
Protonotaro, «Pir
meu cori alligrari» corte federiciana è il Contrasto di Cielo d’Alcamo ( T11, p. 112).
Le forme e il I poeti della Scuola siciliana hanno stabilito nelle loro linee essenziali le strutture metriche
linguaggio della e retoriche dell’intera tradizione lirica italiana. Per quanto riguarda la metrica, le principali
poesia siciliana
forme adottate sono tre: la canzone, la canzonetta e il sonetto. Ma è la canzone che costitui-
sce lo schema metrico più rappresentativo e importante della Scuola siciliana: composta
di endecasillabi alternati spesso a settenari , essa si
Endecasillabi Versi di undici sillabe con ac-
presta ad argomenti nobili ed elevati. La sua struttura centi sulla quarta e/o sulla sesta sillaba e ob-
deriva dalla canso provenzale, alla quale però i Siciliani bligatoriamente sulla decima sillaba. Le sil-
apportarono varie modifiche. Sono invece impiegati labe possono essere dieci se la parola finale è
tronca (“andò”), o dodici se la parola finale è
per componimenti di minore impegno la canzonetta e sdrucciola (“libero”).
DIGIT il sonetto. Quest’ultimo è formato da quattordici ende-
APPROFONDIMENTI Settenari Versi di sette sillabe nella forma
L’endecasillabo casillabi rimati tra loro secondo uno schema preciso. La piana (sei in quella tronca, otto in quella
La canzone sua paternità è attribuita a Giacomo da Lentini. sdrucciola).
ZIONI
INFORMA
L’importanza della geografia letteraria
Una letteratura mente legato alle diverse condizioni Paese, questa situazione variegata fu
che nasce policentrica linguistiche e geografiche. Da tempo è a lungo considerata un limite della no-
A differenza di altre grandi regioni stato dunque valorizzato l’aspetto stra civiltà letteraria; oggi si tende in-
d’Europa (la Francia, l’Inghilterra, la geografico nello studio della nostra let- vece a scorgervi anche una ricchezza.
Castiglia), l’Italia medievale era priva teratura; un tema caro soprattutto a Le diverse tradizioni locali e le specifi-
di unità politica; la frammentazione Carlo Dionisotti, che per primo ha par- cità linguistiche e culturali delle varie
territoriale era in parte l’effetto e in lato della necessità di «studiare la sto- zone del Paese favorirono infatti la na-
parte la causa di una enorme diversifi- ria e la geografia della letteratura scita e la fioritura di numerosi generi
cazione linguistica. Se per esempio in italiana». È pur vero che già Dante nel letterari, alcuni dei quali raggiunsero
Francia si fronteggiavano la langue De vulgari eloquentia [L’eloquenza in presto livelli di eccellenza.
d’oc nel Sud e la langue d’oïl nel Nord lingua volgare] aveva preso atto della
del paese, con un progressivo imporsi grande varietà dialettale presente sul Una geografia di lingue e generi
della seconda già nel XIII secolo, in Ita- territorio della Penisola, registrando le Alla corte siciliana di Federico II si
lia esistevano decine di varietà regio- specificità linguistiche e letterarie del- sviluppò la poesia lirica, sui modelli
nali (i volgari) anche molto diverse fra le diverse tradizioni regionali. provenzali e arabi; una tradizione ri-
loro. A partire dall’epoca del Risorgimento presa poi soprattutto in Toscana fino
Questi fattori determinarono uno svi- (dalla metà circa del secolo XIX), in cui alla grande fioritura stilnovistica.
luppo dei generi letterari profonda- i patrioti italiani lottarono per l’unità del Sulla scorta del profondo rinnova-
81
PARTE PRIMA Il Medioevo
mento religioso che riguardò questa Al di là delle specifiche caratteristiche, nanti e più prestigiosi (la poesia lirica
regione, in Umbria sorse il genere sa- va soprattutto ricordata l’origine poli- e sacra, la novella, la poesia didattica e
cro dalle lauda, e nella vicina Tosca- centrica della nostra letteratura me- la trattatistica in prosa) si conformaro-
na quello dell’agiografia (le vite dei dievale, con una differenziazione no al toscano, e in particolare al fioren-
santi). Nelle regioni del Nord, legate anche linguistica assai marcata: l’um- tino illustre. Una soluzione che conti-
al sorgere di una nuova classe intra- bro usato da san Francesco nelle Lau- nuerà a prevalere per secoli, fino alle
prendente e desiderosa di informar- des creaturarum è assai distante dal scelte fiorentineggianti di Manzoni
si e di dilettarsi, si svilupparono sia siciliano con cui Stefano Protonotaro nell’Ottocento.
generi di divulgazione didattica e ci- compose la canzone Pir meu cori alli- Il prestigio culturale e artistico del to-
vile (il milanese Bonvesin de la Riva grari o dal romano della Cronica dell’A- scano era destinato a formare una lin-
collaborò sia al primo con il Libro del- nonimo Romano. gua letteraria nazionale in larga parte
le tre scritture, sia al secondo con separata dall’uso concreto: una lingua
una entusiastica descrizione di Mila- L’egemonia del toscano della letteratura impiegata anche da
no), sia generi di intrattenimento, D’altra parte, non va neppure ignorato autori lontanissimi per nascita e per
diffusi d’altra parte anche in Tosca- un fenomeno già ben visibile alla fine formazione dalla Toscana, ma in ogni
na (legati alla tradizione franco-ve- del Duecento e divenuto poi irreversi- caso sensibili ai grandi modelli toscani
neta sono per esempio i volgarizza- bile dopo l’arrivo di Dante e dopo i ca- del Trecento. Si sarebbe così impoveri-
menti rimaneggiati di opere narrati- polavori di Petrarca nella poesia e di ta la variegata ricchezza policentrica
ve di origine soprattutto francese e Boccaccio nella prosa: l’egemonia della della nostra letteratura delle origini;
iberica). Dalla intraprendente Vene- Toscana. Questa egemonia determinò ma sarebbe d’altra parte stato possibi-
zia, porta dei grandi traffici dell’O- il rapido impoverirsi dei modelli lingui- le, anche in questo modo, l’affermarsi
riente, proviene Marco Polo, che nel stici alternativi, che persero prestigio e di un’identità nazionale unitaria e coe-
Milione descrisse le meraviglie della divennero utilizzabili quasi solo per te- sa, a lungo affidata quasi solo all’unità
Cina. E l’elenco potrebbe continuare sti di carattere basso-mimetico o co- del codice linguistico impiegato nei te-
a lungo. mico-realistico; mentre i generi domi- sti letterari.
La poesia volgare
nel Duecento italiano.
La cartina mostra come la poesia della
Scuola siciliana abbia dato origine
(dopo la battaglia di Benevento del
1266, cui segue la crisi rapida e
improvvisa della civiltà siciliana) a
diverse tipologie poetiche utilizzate
dalle varie scuole sul territorio italiano:
dalla poesia d’amore a Firenze e
Bologna a quella a carattere religioso a
Perugia e Milano.
82
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
La lirica siciliana si esprime in un linguaggio aulico, cioè nobile ed elevato: nella lingua de-
gna di essere usata in una corte imperiale (o “aula”). La base linguistica è il volgare siciliano,
ma con apporti del latino, del provenzale e degli altri volgari italiani. Si tratta dunque di
un volgare illustre e interregionale, che non corrisponde alla lingua realmente parlata in Sici-
lia nel Duecento.
In realtà noi possiamo ricostruire la lingua poetica dei poeti della corte federiciana solo
per approssimazione. Infatti non possediamo i canzonieri originali siciliani, ma solo le copie
fatte in Toscana da amanuensi che ne alterarono la lingua, adattandola al loro volgare.
Solo pochissimi di questi testi ci sono invece pervenuti nella lingua originale, ed è da questi
che possiamo vedere che, ad esempio, le forme siciliane originarie “virtuti” e “guariri” furono
sostituite da copisti toscani con “virtute” (cioè ‘virtù’) e “guarire”.
Il canone della I canzonieri che conservano la maggior parte dei componimenti della Scuola siciliana sono in
poesia lirica realtà delle antologie che contengono anche componimenti dei rimatori Siculo-toscani e dei
primi Stilnovisti. La lirica toscana assume dunque in queste raccolte un ruolo centrale, presen-
tandosi allo stesso tempo come erede di quella siciliana e come risultato maturo e perfetto del-
lo sviluppo del genere. Nasce così il canone lirico italiano, fondato sulle origini siciliane e
sull’eccellenza raggiunta dai toscani, oltre che sulla raffinatezza delle forme e sull’elevatez-
za del linguaggio. Alla base di questa importantissima operazione culturale, che sancirà per se-
coli il predominio del modello toscano, c’è il prestigio di Dante. Agli inizi del Trecento, nel De
vulgari eloquentia [L’eloquenza in lingua volgare], Dante esprimerà la propria ammirazione per
il linguaggio illustre e per lo stile aulico dei Siciliani, di fatto ponendo se stesso e i poeti dello
Stil novo come i soli legittimi continuatori di quell’esperienza. In qualche misura la sua valu-
tazione era però frutto di un errore: ciò che Dante leggeva non erano i testi scritti dai poeti del-
la corte di Federico ma i loro adattamenti in lingua toscana.
FACCIAMO IL PUNTO
Elenca le peculiarità che distinguono i poeti siciliani da quelli provenzali.
Chi è il caposcuola dei Siciliani? Quale invenzione gli è stata attribuita?
83
PARTE PRIMA Il Medioevo
T3 Giacomo da Lentini
«Io m’aggio posto in core a Dio servire»
Giacomo da Lentini è considerato l’inventore del sonetto. In questo componimento il poeta dichiara di
volersi conquistare il Paradiso. Si tratta però di un Paradiso molto concreto, caratterizzato da piaceri ter-
reni e dalla presenza della donna amata, la cui bellezza lo consola. Sacro e profano si confondono: da una
parte il Paradiso diventa più terreno, dall’altra l’amata diventa più celestiale.
I TEMI amore tra sacro e profano
PARAFRASI
Io m’aggio posto in core a Dio servire, 1-4 Io mi sono messo in cuore (aggio posto in core) [: ho de-
com’io potesse gire in paradiso, ciso] di servire [: essere fedele] a Dio, affinché io possa andare
(gire) in paradiso, al santo luogo dove, come ho sentito parla-
al santo loco, c’aggio audito dire, re, durano [ininterrottamente] gioia (sollazzo), piacere (gio-
o’ si mantien sollazzo, gioco e riso. co) e allegria (riso).
5 Sanza mia donna non vi voria gire, 5-8 Senza la mia donna non vi [: al paradiso] vorrei (voria) an-
quella ch’à blonda testa e claro viso,1 dare, quella [donna] che ha la testa [: i capelli] bionda e il viso
luminoso (claro), poiché senza di lei non potrei gioire (gaude-
che senza lei non poteria gaudere,2 re), stando diviso dalla mia donna.
estando da la mia donna3 diviso.
Ma no lo dico a tale intendimento, 9-14 Ma non dico ciò (lo) con questa intenzione (intendi-
10 perch’io pecato ci volesse fare;4 mento) [: di andare in Paradiso con la mia amata], perché io
voglia commettere un peccato insieme a lei (ci); ma solo (se
se non veder lo suo bel portamento non) per vedere il suo [: della donna] virtuoso atteggiamento
(bel portamento) e il [suo] bel viso e il [suo] dolce (morbido)
e lo bel viso e ’l morbido5 sguardare: sguardo: perché sarebbe una grande consolazione per me sta-
re nella beatitudine (in ghiora = ‘in gloria’) [: del Paradiso] ve-
che ’l mi teria in gran consolamento, dendo la mia donna.
veggendo la mia donna in ghiora stare.6
Antologia della poesia italiana. Duecento,
diretta da C. Segre e C. Ossola, Einaudi, Torino 1999.
Metrica: sonetto con rime alternate nelle 2 gaudere: si noti la rima siciliana gire/gau- mettere peccato con lei’.
quartine (ABAB, ABAB) e nelle terzine dere. 5 morbido: è una sinestesia originale rispet-
(CDC, DCD). 3 donna: con il significato di ‘padrona, signo- to al più frequente “dolce”.
ra’ (dal latino domina). 6 veggendo... stare: si può anche spiegare
1 viso: per sineddoche, è da intendersi 4 Ma no lo... volesse fare: si può intendere, ‘vedere la mia donna stare nella beatitudine
‘sguardo’ invece che ‘volto’. anche, ‘ma non dico ciò con lo scopo di com- del Paradiso’.
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CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
ANALISI La forma del sonetto Il sonetto ha una struttura fissa e chiusa, composta da 14 endecasil-
labi, divisi in due parti.
INTERPRETAZIONE Una donna tra terra e cielo Il testo esprime la concezione dell’amore presso i poeti sici-
E COMMENTO liani: un amore caratterizzato da forti accenti religiosi e dal complesso rapporto tra sacro
e profano. Qui il poeta sogna di ritrovarsi in Paradiso con la sua amata. Egli rappresenta
però un Paradiso segnato da una forte impronta umana, dove poter godere della bellezza
fisica (i capelli biondi, il dolce sguardo, il viso luminoso) e morale (il «bel portamento»)
dell’amata. Ma, se da una parte il Paradiso viene mondanizzato, dall’altra la donna viene
divinizzata. Molti infatti riconoscono in questa spiritualizzazione della donna amata un pre-
ludio alla donna-angelo degli Stilnovisti. Tuttavia, siamo ancora lontani da quanto accadrà
con lo Stil novo: benché sia oggetto di contemplazione, la donna di Giacomo da Lentini
rimane una creatura terrena, e non svolge ancora il ruolo di guida spirituale che avranno le
donne stilnovistiche.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
T4 Giacomo da Lentini
«Amor è uno desio che ven da core»
Il sonetto che segue fa parte di una “tenzone”, cioè di uno scambio di componimenti poetici tra autori in
contesa su un determinato argomento, in questo caso sul tema dell’amore. Qui leggiamo l’intervento di
Giacomo da Lentini in risposta a quelli di Jacopo Mostacci e di Pier delle Vigne. Egli propone la prima defi-
nizione dell’amore presente nella letteratura italiana: un desiderio che viene dal cuore, o meglio un sen-
timento che nasce dalla visione dell’oggetto amato e che si nutre dell’immaginazione del cuore.
I TEMI amore tra vista e immaginazione
PARAFRASI
Amor è uno desio che ven da core 1-4 L’amore è un desiderio che viene [: nasce] dal cuore, a causa
per abondanza di gran piacimento; dell’abbondanza di [un] intenso piacere (gran piacimento) [: suscita-
to dall’oggetto amato]; in un primo momento [sono] gli occhi a gene-
e li occhi in prima generan l’amore rare l’amore e [poi] il cuore gli [: all’amore] dà nutrimento.
e lo core li dà nutricamento.
5 Ben è alcuna fiata om amatore 5-8 Certamente (Ben) qualche volta (alcuna fiata) l’uomo (om) si in-
senza vedere so ’namoramento, namora (è… amatore) senza aver visto l’oggetto del suo amore (so ’na-
moramento), ma quell’amore che stringe [a sé l’innamorato] con for-
ma quell’amor che stringe con furore za (furore) ha origine (à nascimento) dalla vista degli occhi.
da la vista de li occhi à nascimento.
Che li occhi rappresentan a lo core 9-14 [Questo accade] perché (Che) gli occhi mostrano (rappresen-
10 d’onni cosa che veden bono e rio, tan) al cuore il bene (bono) e il male (rio) di ogni cosa che vedono,
[così] come [essa: la cosa che gli occhi hanno visto] è formata nella sua
com’è formata naturalemente; essenza (naturalemente); e il cuore, che di ciò è l’ideatore (concepito-
re) [: che accoglie in sé questa idea], costruisce delle immagini (imagi-
e lo cor, che di zo è concepitore, na), [inizia a desiderarle] e si innamora (piace) [dell’oggetto di] quel de-
siderio [: il cuore cioè si innamora dell’immagine che ha costruito con
imagina, e piace quel desio: la sua fantasia]: e questo [tipo di] amore vive (regna) fra la gente.
e questo amore regna fra la gente.
Antologia della poesia italiana. Duecento, cit.
Metrica: sonetto con rime alternate nelle quartine (ABAB, ABAB) e replicate nelle terzine (ACD, ACD).
ANALISI La “tenzone” poetica Nella letteratura delle origini la forma del sonetto veniva spesso uti-
lizzata all’interno di una “tenzone”, ovvero una discussione poetica su un particolare tema
(filosofico, morale, ecc.) in cui intervenivano più autori. Il sonetto che abbiamo letto fa parte
di una tenzone sulla natura dell’amore tra Giacomo da Lentini, Jacopo Mostacci e Pier delle
Vigne. La moda della tenzone si affermerà poi con le successive generazioni di poeti, com-
presi Dante e gli Stilnovisti.
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CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
INTERPRETAZIONE L’amore visto e immaginato La definizione dell’amore data da Giacomo da Lentini si distan-
E COMMENTO zia dall’idea dei trovatori, secondo cui era possibile innamorarsi anche solo per sentito dire,
come avveniva nell’«amore di lontano» celebrato da Jaufré Rudel ( Capitolo 1, T2, p. 42).
Secondo il poeta siciliano, è invece generato dagli occhi «quell’amor che stringe con furore».
Il poeta siciliano assegna invece un ruolo cruciale alla vista. Giacomo da Lentini riprende piut-
tosto la visione dell’amore espressa da Andrea Cappellano nel trattato De Amore [L’Amore]
( Parte prima, Quadro, D2, p. 15). Secondo Cappellano, l’amore deriva dal guardare: al momento
in cui l’occhio dell’amante incontra lo sguardo dell’amata, ne segue un altro che riguarda unica-
mente l’interiorità dell’amante, dove viene nutrita e rielaborata quella visione. Il poeta siciliano
valorizza questo secondo momento e il potere dell’immaginazione nell’animo di chi ama.
ANALISI
2. Il sonetto di Giacomo da Lentini è inserito all’inter-
no di una tenzone. Che cos’è una tenzone poetica?
a. un’accesa lite tra amanti che finisce con l’arren- 4. Lingua e lessico Al v. 7 l’autore usa il termine
dersi della donna «furore»: con quale significato? Quali altri significati ha
b. una lettera d’amore inviata anonimamente alla questa parola nell’italiano di oggi?
donna
c. una discussione tra vari poeti, attraverso lo scam- INTERPRETAZIONE E COMMENTO
bio di componimenti su un tema particolare 5. Trattazione sintetica Riepiloga la visione dell’a-
d. un poema cavalleresco che narra le avventure amo- more espressa da Giacomo da Lentini nel sonetto
rose del poeta chiarendo il ruolo assegnato a «li occhi» e al «core».
87
PARTE PRIMA Il Medioevo
alla piena affermazione dello Stil novo. La fine della lirica siciliana coincide dunque con la
sua rinascita in Toscana.
La poesia nella In Toscana la poesia incontra la nuova realtà dei Comuni, che impone agli autori nuovi temi,
società comunale nuove forme e una nuova lingua (il toscano). I componimenti dei poeti siculo-toscani rifletto-
no l’acceso clima delle lotte politiche fra le varie città e fra i due partiti della società comunale:
i guelfi e i ghibellini, sostenitori rispettivamente del papa e dell’imperatore nella disputa per il
potere temporale. Nuova è anche la base sociale della poesia lirica: gli autori non sono più fun-
zionari imperiali, ma medici, giudici, banchieri che partecipano in prima persona alla politi-
ca e che si rivolgono a un pubblico ampio e variegato, comprendente la nobiltà e la borghesia
cittadine.
Guittone d’Arezzo Tra i poeti siculo-toscani spicca Guittone d’Arezzo, esponente del partito guelfo, costretto per
e il primo libro di contrasti politici ad abbandonare la città natale e a trasferirsi a Bologna. Qui, nel 1265, aderisce
versi della lirica
italiana ai cavalieri di Santa Maria, comunemente detti “frati gaudenti”. Questa conversione segna una
svolta nella sua vita (lascia moglie e figli per dedicarsi completamente alla religione) e nella sua
produzione letteraria, caratterizzata da una conoscenza profonda della poesia dei trovatori e
dei Siciliani.
I trecento componimenti poetici che di Guittone ci restano sono dunque organizzati in
due parti: da un lato le rime amorose e civili composte prima del 1265, dall’altro quelle mo-
rali e religiose scritte dopo la conversione. Non di rado nella prima tipologia Guittone impre-
ziosisce il proprio linguaggio fino a diventare volutamente oscuro: è il trobar clus, il poetare
chiuso ed ermetico già sperimentato dai trovatori. La bipartizione tra rime laiche e rime reli-
giose esprime la volontà di costruire un canzoniere in versi, forse il primo della letteratura
italiana.
L’apporto più originale di Guittone alla poesia duecentesca va individuato nella canzone
politica e civile ( T5, p. 89), un genere di cui può essere considerato il fondatore e che
avrà il suo massimo esponente in Dante.
FACCIAMO IL PUNTO
Grazie a quali elementi la poesia siciliana si diffonde in Toscana e a Bologna?
Come cambiano le rime di Guittone d’Arezzo dopo la conversione?
Dio Amore e lo sguardo femminile che colpisce l’amante al cuore. Memoriale del 1328 circa. Archivio di Stato di Bologna.
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CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
T5 Guittone d’Arezzo
«Ahi lasso, or è stagion de doler tanto»
Questa è una delle canzoni più celebri di Guittone, fieramente segnata dalla passione politica e dall’impe-
gno civile. Il testo si ispira alla sanguinosa sconfitta subita dai guelfi fiorentini a Montaperti nel 1260 a
opera dei senesi e degli esuli ghibellini, aiutati da truppe imperiali tedesche. Guittone fonda con questo
componimento il genere della poesia civile italiana, che darà i suoi maggiori risultati, nel secolo succes-
sivo, con Dante e Petrarca. La consueta ricercatezza retorica e stilistica è messa al servizio dello sdegno
e della tristezza.
I TEMI critica alla situazione politica contemporanea
PARAFRASI
Ahi lasso, or è stagion de doler tanto 1-15 Ahimè (Ahi lasso), ora è il momento (stagion) di soffrire (doler)
a ciascun om che ben ama Ragione, a tal punto (tanto) da parte di chiunque (a ciascun om che) ami vera-
mente (ben) la Giustizia (Ragione), che io (ch’eo) [mi] meraviglio che
ch’eo meraviglio u’ trova guerigione, trovi (u’ trova; u’ = ‘dove’, latino ubi) conforto (guerigione = ‘guarigio-
ca morto no l’ha già corrotto e pianto, ne’), [e] che (ca) la sofferenza (corrotto) e il pianto non lo abbiano (no
5 vedendo l’alta Fior1 sempre granata l’ha) già ucciso (morto), vedendo la nobile (alta) Firenze (Fior) sem-
pre fiorente (granata; da “granare” = ‘mettere semi’) e l’antico [e] ono-
e l’onorato antico uso romano2 rato costume (uso) romano che certamente (ch’a certo) muoiono
ch’a certo pèr, crudel forte villano, (pèr = ‘perisce’), crudeltà (crudel) assai (forte) vergognosa (villano),
s’avaccio ella no è ricoverata: se essa (s’… ella) [: Firenze] non è soccorsa (ricoverata) in fretta (avac-
cio): dato che (ché) la sua grandezza ricca e rispettata (onorata) e il (’l)
ché l’onorata sua ricca grandezza
[suo] valore (pregio) sono (è) già quasi interamente (tutto) estinti
10 e ’l pregio quasi è già tutto perito (perito) e il valore e il potere (’l poder) se ne vanno (si desvia). Ahimè,
e lo valor e ’l poder si desvia. quando altro mai (or quale dia… mai; dia = ‘dì, giorno’) fu sentita (fu…
Oh lasso, or quale dia audito) una sventura (dannaggio = ‘danno’) altrettanto (tanto) cru-
dele? [O] Dio (Deo), come lo hai (hailo) tollerato (sofrito = ‘sofferto’),
fu mai tanto crudel dannaggio audito? [che] muoia (pèra = ‘perisca’) il diritto e il torto trionfi (entri ’n altez-
Deo, com’hailo sofrito, za; ’n = ‘in’)?
15 deritto pèra e torto entri ’n altezza?
Altezza tanta êlla sfiorata Fiore 16-30 [Vi] fu (fo) tanta grandezza (Altezza) nella (êlla = en la = ‘in la’)
fo, mentre ver’ se stessa era leale, sfiorita Firenze (sfiorata Fiore; con figura etimologica), finché (men-
tre) è stata (era) leale nei propri confronti (ver’ se stessa) che aveva
che ritenëa modo imperïale, (ritenëa) un aspetto (modo) [di città] imperiale [: degno di Roma],
acquistando per suo alto valore conquistando (acquistando) grazie al (per) suo alto valore numerose
Metrica: canzone di sei strofe di quindici versi 1 Fior: è il giglio, simbolo di Firenze. Qui, per gini romane di Firenze è assai diffuso nelle
ciascuna, endecasillabi e settenari, con rime metonimia, indica la città (e perciò è conside- leggende e nelle cronache del tempo ed è fat-
secondo lo schema ABBA, CDDC; EFGgFfE. rato grammaticalmente un femminile). to proprio dallo stesso Dante. Roma era d’al-
2 onorato...romano: il mito delle dirette ori- tra parte il modello di città e di civiltà ideale.
89
PARTE PRIMA Il Medioevo
20 provinci’ e terre, press’o lunge, mante; (mante) regioni (provinc’<e>) e città (terre), vicine (press’<e>) o lon-
tane (lunge); e sembrava che volesse costituire (far) un impero così
e sembrava che far volesse impero
(sì) come in passato (già) fece Roma, e le (li = ‘gli’; al Fiore) era facile
sì como Roma già fece, e leggero (leggero), perché nessuno (c’alcun) le (i = ‘gli’) poteva stare al di sopra
li era, c’alcun no i potea star avante. (avante) [: superarla]. E ciò le (li = ‘gli’) avveniva (stava) certamente
E ciò li stava ben certo a ragione, (ben certo) per diritto (a ragione), perché (ché) non se ne dava affan-
no (se ne penava) [: di accrescere il proprio potere] tanto per proprio
25 ché non se ne penava per pro tanto, vantaggio (per pro), quanto (como = ‘come’) per mantenere (ritener)
como per ritener giustizi’ e poso; giustizia e pace (poso); e poiché le piacque (poi folli amoroso; folli = ‘li
e poi folli amoroso fo’ = ‘gli fu’) di fare ciò, si spinse (si trasse) tanto avanti, che al mondo
non vi è (no ha) angolo (canto) dove (u’; latino ubi) non sia risuonato
de fare ciò, si trasse avante tanto, (non sonasse) l’elogio (il pregio) di Firenze (del Leone).
ch’al mondo no ha canto
30 u’ non sonasse il pregio del Leone.3
Leone, lasso, or no è, ch’eo li veo 31-45 Ahi (lasso) [Firenze] ora non è un Leone, dato che io (ch’eo) le
tratto l’onghie e li denti e lo valore, vedo (li veo) strappate (tratto) le unghie (l’onghie) e i denti e la forza
(lo valore), e [vedo] la (’l = ‘il’) [sua] stirpe (lignaggio) nobile (gran)
e ’l gran lignaggio suo mort’a dolore, uccisa con dolore (mort’a dolore) oppure (ed) messa (mis’<a>) con
ed en crudel pregio[n] mis’ a gran reo.4 grande ingiustizia (a gran reo) in (en) crudele prigione. E chi le (li =
35 E ciò li ha fatto chi? Quelli che sono ‘gli’) ha fatto ciò? Quelli che sono discesi (stratti) e nati dalla sua stir-
pe (schiatta) nobile (gentil), che furono (fun) grazie a lei (per lui; rife-
de la schiatta gentil sua stratti e nati, rito al Leone) resi potenti (cresciuti) e innalzati (avanzati) più di
che fun per lui cresciuti e avanzati chiunque altro (sovra tutti altri), e collocati in prestigio (a bono); e a
sovra tutti altri, e collocati a bono; causa della (per la) grande altezza dove [Firenze] li [: i suoi cittadini]
mise si inorgoglirono (ennantîr; dal provenzale “enantir” = ‘salire, in-
e per la grande altezza ove li mise nalzare’) tanto (sì = ‘così’), che la (’l = ‘il’) ferirono (piagâr) quasi a
40 ennantîr sì, che ’l piagâr quasi a morte;5 morte; ma Dio le fece (feceli = ‘li fece’) dono della (di) guarigione, e lei
ma Deo di guerigion feceli dono, (el = ‘egli’) li perdonò (fe’ lor perdono = ‘fece, cioè diede, il perdono a
loro’); e ancora la (el = ‘il’ = ‘lo’) ferirono di nuovo (refedier = ‘riferiro-
ed el fe’ lor perdono;6
no’) dopo (poi), ma [Firenze] fu forte [: resistette] e risparmiò loro la
e anche el refedier poi,7 ma fu forte vita (perdonò lor morte = ‘rinunciò a ucciderli’): ora hanno sconfitte
e perdonò lor morte: (conquise = ‘conquistate’) lei e le sue (soie) membra.
45 or hanno lui e soie membre conquise.8
Conquis’è l’alto Comun fiorentino, 46-60 Sconfitto è il prestigioso (alto) Comune fiorentino, e in tal mo-
do si è scambiato le parti (ha cangiato) con il (col) senese, dato che
e col senese in tal modo ha cangiato,
(che) [questi] gli [: al Comune fiorentino] restituisce (li rende) tutta la
che tutta l’onta e ’l danno che dato vergogna (l’onta) e le sconfitte (’l danno; ’l = ‘il’) che gli (li) [: al Comu-
li ha sempre, como sa ciascun latino, ne senese] ha dato sempre, come sa ogni italiano (ciascun latino), e gli
50 li rende, e i tolle il pro e l’onor tutto: toglie (i tolle) del tutto il potere (il pro) e l’onore: dal momento che
(ché) [Siena] ha (av’<e>) abbattuto con la (a) forza [le mura di] Mon-
ché Montalcino av’abattuto a forza, talcino, conquistato (miso en sua forza; en = ‘in’) Montepulciano, e ha
Montepulciano miso en sua forza, la cerva [: il tributo] e la rendita (’l frutto) della Maremma; considera
e de Maremma ha la cervia e ’l frutto; come suoi (a suo tene = ‘tiene per proprio’) San Gimignano, Poggibon-
si e Colle [di Val d’Elsa] e Volterra e il [relativo] territorio (’l paiese); e
Sangimignan, Pog[g]iboniz’ e Colle [Siena] ha (ave) tutti presi la campana, le insegne e le armi (li arnesi) e
55 e Volterra e ’l paiese a suo tene; gli arredi (li onor), insieme a ciò (con ciò) che c’era (avea; impersona-
e la campana,9 le ’nsegne e li arnesi le) di buono (di bene) con sé (seco). E tutto ciò gli (li) [: al Comune di
Firenze] succede (avene = ‘avviene’) a causa di (per) quella parte
e li onor tutti presi (schiatta = ‘stirpe’) [: i ghibellini] che è più malvagia (folle) delle altre
ave con ciò che seco avea di bene. (ch’altra).
E tutto ciò li avene
60 per quella schiatta che più ch’altra è folle.10
3 Leone: il Marzocco (un leone seduto che prima cacciata dei guelfi da Firenze, nel 1248. roccio dava in guerra i segnali di comando; fu
tiene lo scudo con il giglio con la zampa de- 6 fe’ lor perdono: si allude alla fragile pace conquistata, insieme al Carroccio, alle ban-
stra), simbolo araldico di Firenze. stipulata tra guelfi e ghibellini nel 1251. diere, ecc., dai senesi a Montaperti. Il signifi-
4 e ’l gran lignaggio...a gran reo: dopo la bat- 7 el refedier poi: dopo ulteriori tensioni, nel cato simbolico del fatto è evidente.
taglia di Montaperti le più prestigiose fami- 1258 vi fu una nuova congiura ghibellina. 10 Conquis’è...folle: a Montaperti Siena
glie fiorentine si trovavano o decimate dalle 8 or hanno...conquise: dopo la sconfitta di aveva combattuto a fianco dei fuoriusciti ghi-
uccisioni o imprigionate. Montaperti. bellini di Firenze, così da avvantaggiarsi della
5 ’l piagâr quasi a morte: con riferimento alla 9 la campana: è la Martinella, che dal Car- vittoria con numerose città e territori.
90
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
Foll’è chi fugge il suo prode e cher danno, 61-75 È folle chi abbandona (fugge) il proprio vantaggio (suo prode)
e cerca (cher<e>) il danno, e fa [in modo] che il proprio onore gli si mu-
e l’onor suo fa che vergogna i torna,
ti (i torna) in vergogna, e dalla (di) buona libertà, nella quale (ove) vi-
e di bona libertà, ove soggiorna ve (soggiorna) con (a) gran piacere, si conduce (s’aduce) con proprio
a gran piacer, s’aduce a suo gran danno grave danno (a suo gran danno) sotto un potere (signoria) traditore
65 sotto signoria fella e malvagia, (fella) e malvagio, e trasforma (fa) [in] proprio (suo) signore il proprio
peggior nemico (grand’ enemico). Io mi rivolgo (dico) a voi [: i ghibel-
e suo signor fa suo grand’ enemico.11 lini] che ora siete in Firenze (in Fiorenza), che ciò che è successo (di-
A voi che siete ora in Fiorenza dico, venuto), a quanto sembra (par), gradite (v’adagia); e dato che (poi
che ciò ch’è divenuto, par, v’adagia; che) avete in casa i Tedeschi (li Alamanni), serviteli (i = ‘li’) bene, e fa-
tevi (faitevo) mostrare le loro spade, con le quali (con che) vi hanno
e poi che li Alamanni in casa avete, ferito (fesso; part. pass. di “fendere”) i visi, [e] uccisi (aucisi) padri e fi-
70 servite·i bene, e faitevo mostrare glioli; e mi fa piacere (piacemi = ‘mi piace’) che dobbiate dare loro del
le spade lor, con che v’han fesso i visi, vostro denaro (de vostre… monete) in gran quantità (gran), dal mo-
mento che (perch’<é>) fecero (ebber) molta (assai) fatica nel (en =
padri e figliuoli aucisi; ‘in’) fare ciò [: ferire e uccidere fiorentini].
e piacemi che lor dobiate dare,
perch’ebber en ciò fare
75 fatica assai, de vostre gran monete.12
Monete mante e gran gioi’ presentate 76-90 Monete in abbondanza (mante) e numerosi gioielli (gran
ai Conti e a li Uberti e alli altri tutti gioi’<e>) offrite (presentate) ai Conti [Guidi] e agli (a li) Uberti e a
tutti gli altri che vi hanno condotto a tanto grande onore, che hanno
ch’a tanto grande onor v’hano condutti, messo (miso) Siena in vostro potere (v’<i>… in podestate) [: con iro-
che miso v’hano Sena in podestate; nia]; Pistoia e Colle [di Val d’Elsa] e Volterra ora fanno sorvegliare
80 Pistoia e Colle e Volterra fanno ora (guardar) le vostre fortezze (castella) a loro spese; e il conte Aldobran-
dino (’l Conte Rosso) ha il territorio della Maremma (Maremma e ’l
guardar vostre castella a loro spese; paiese), Montalcino sta sicuro (sigur) senza le mura; i pisani (’l pisa-
e ’l Conte Rosso ha Maremma e ’l paiese, no; il singolare è metonimia) hanno paura (temor) per (de) Ripafrat-
Montalcin sta sigur senza le mura;13 ta, e i perugini [hanno paura] che togliate loro (no i = ‘non gli’) il lago
[Trasimeno], e Roma vuole (vol) fare un’alleanza (compagnia) con
de Ripafratta temor ha ’l pisano, voi. Dunque pare che abbiate onore e potere (segnoria) e ogni altro
85 e ’l perogin che ’l lago no i tolliate, bene (ben tutto): potete fare ciò che desideravate (desïavate), cioè i re
e Roma vol con voi far compagnia. della Toscana (del toscano; neutro).
Onor e segnoria
adunque par e che ben tutto abbiate:
ciò che desïavate
90 potete far, cioè re del toscano.
Baron lombardi e romani e pugliesi 91-97 Signori (Baron<i>) del Nord (lombardi) e romani e del Sud (pu-
e toschi e romagnuoli e marchigiani, gliesi) e toscani (toschi) e romagnoli e marchigiani, Firenze, fiore che
sempre rinasce (rinovella), vi invita (v’apella = ‘vi chiama’) alla sua
Fiorenza, fior che sempre rinovella, corte, [lei] che vuol proclamarsi (fare… de sé = ‘fare di se stessa’) re
a sua corte v’apella, (rei) dei Toscani, dal momento che (dapoi che) ha (ave) conquistato
95 che fare vol de sé rei dei Toscani, con la (per) forza i Tedeschi (li Alamani) e i Senesi.
11 Foll’è... enemico: i versi si riferiscono ai 13 Monete...mura: prosegue la sferzante iro- ra è solo perché Firenze non ha la forza di ri-
ghibellini di Firenze, che hanno preferito nia; l’intera realtà politica di Firenze è pre- conquistarla). Si noti la rima siciliana al v. 83.
mettere la propria città nelle mani dei soldati sentata rovesciata, a partire dal richiamo a 14 Baron...Senesi: la conclusione insiste nell’i-
tedeschi di re Manfredi e dei senesi piuttosto Siena, che aveva Firenze in mano (e non vice- ronia, benché con un timbro più amaro, e annun-
che accettare la sua condizione di libertà; fa- versa, come è detto al v. 79). L’ironia tocca le cia una specie di invito festoso a tutti i potenti
cendo ciò hanno ottenuto una vittoria che li note più feroci ai vv. 80 e sg. (i castelli che Pi- d’Italia per la proclamazione della supremazia
disonora, alleandosi con i propri nemici, cioè stoia e Colle e Volterra, nemiche di Firenze, fiorentina in Toscana. Dietro l’ironia si nasconde
con i nemici della propria città. sorvegliavano gratis per i fiorentini erano l’allusione alla facilità con cui da questo momen-
12 A voi...monete: qui l’ironia tocca punte di stati in verità sottratti a Firenze e appartene- to in poi chiunque avrebbe potuto approfittare
violento sarcasmo: alle truppe tedesche merce- vano ora a quelle città) e al v. 83 (Montalcino, della follia politica dei fiorentini, sottraendo alla
narie, entrate a Firenze dopo la rotta di Monta- precedentemente fiorentina, apparteneva città parte delle sue forze e ricchezze, come già
perti, i capi ghibellini diedero alte ricompense dal 1260 ai senesi, che l’avevano conquistata hanno fatto tedeschi e senesi (qui nominati iro-
per aver ucciso i loro stessi concittadini. distruggendone le mura; se la città è ora sicu- nicamente quali sconfitti da Firenze).
91
PARTE PRIMA Il Medioevo
ANALISI Gli artifici retorici Tanto la prima quanto la seconda parte si presentano segnate da ricchi
artifici retorici, che determinano il caratteristico stile “gonfio” di Guittone. Numorose sono le
figure retoriche metriche:
le rime equivoche ai vv. 40-44, vv. 51 e sg., vv 61-64;
le rime identiche ai vv. 1-25-28, vv. 2-24, vv. 19-32.
Ancora più frequenti sono quelle stilistiche:
le antitesi, che accostano parole e frasi di significato opposto, ai v. 15, vv. 48-50, v. 61,
v. 62, v. 66;
il chiasmo ai vv. 48-50 e v. 76;
l’iperbato ai v. 20, vv. 87 e sg., vv. 96 e sg.;
le perifrasi, che alludono con giri di parole a cose e persone specifiche, come per esempio
la definizione dei ghibellini come «quella schiatta che più ch’altra è folle»; v. 60;
le interrogative retoriche ai vv. 13 e sg., e v. 35;
il polisindeto, fondato sulla ripetizione, a fini espressivi, della congiunzione e.
Tra le figure retoriche logiche domina soprattutto l’ironia (strofe V-VI e congedo).
INTERPRETAZIONE Guittone, intellettuale comunale Nel Duecento Guittone d’Arezzo rappresenta la figura
E COMMENTO dell’intellettuale comunale. È un noto esponente della ricca borghesia guelfa di Firenze, ma i
suoi ideali politici si collocano al di sopra di ogni schieramento: con questa canzone lancia
infatti un’accesa polemica contro la decadenza del presente e contro le lotte fra le diverse
fazioni. Secondo il poeta, Firenze sconta la pena di non aver amato abbastanza la «Ragione»,
cioè la giustizia, e di essersi lasciata lacerare dalle rivalità interne.
92
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
I temi: una nuova La novità dello Stil novo sta sia nei temi sia nelle forme. Sul piano tematico la nuova poesia si
concezione distingue sia dai Siculo-toscani, e rifiuta la poesia di Guittone, ritenuta oscura, sia dai Siciliani,
dell’amore
perché, pur essendo anch’essa pressoché esclusivamente lirica erotica, rappresenta una diver-
sa concezione dell’amore. Per gli stilnovisti infatti l’amore non consiste più in un rituale di cor-
teggiamento: esso diventa piuttosto un momento di elevazione spirituale, incentrato sull’a-
dorazione di una donna che può assumere i tratti di un angelo, e cioè di una creatura interme-
diaria fra terra e cielo, fra mondo profano e mondo divino.
Le forme: un Sul piano stilistico, inoltre, gli stilnovisti cercano un volgare illustre che sia il più possibile ele-
volgare illustre vato e puro, cioè privo di tratti municipali e locali. Grazie ad accorgimenti lessicali e metrici,
questo stile deve essere inoltre particolarmente musicale e melodioso (“dolce”, appunto): van-
no per esempio evitati suoni sgradevoli come le rime in -anza e le parole di origine troppo mar-
catamente provenzale. Per quanto riguarda la metrica, vengono riprese le due forme codifica-
te dei poeti siciliani: la canzone e il sonetto. L’endecasillabo si conferma, con gli stilnovisti,
come il verso principale della lirica in volgare italiano.
La lingua La lingua dello Stil novo è sostanzialmente un volgare fiorentino “depurato”, che evita ogni
termine o tratto troppo marcatamente locale, elimina molti provenzalismi e sicilianismi, ma
esclude anche i vocaboli troppo plebei e realistici: l’amore ideale cantato dai nuovi poeti non
deve essere contaminato dalla banalità e dalla rozzezza del quotidiano. La sintassi dei testi stil-
novisti è in genere piana e semplice, con un uso non eccessivo delle figure retoriche, e si stac-
ca perciò nettamente dalla complessità e dal trobar clus di alcuni poeti toscani precedenti,
come ad esempio Guittone.
Guido Guinizzelli Precursore della scuola stilnovista è il bolognese Guido Guinizzelli. Figura misteriosa, della
quale restano tuttora incerte la data di nascita (intorno al 1230) e quella di morte (forse il 1276),
Guinizzelli lascia un canzoniere composto da soli venti testi integri (cinque canzoni e quindi-
ci sonetti). I suoi temi sono pochi ma decisivi: l’identità di amore e cuore nobile, e l’idea che
il vero amore trovi rifugio nel «cor gentil», cioè nel cuore di chi appartiene a una aristocrazia
dello spirito e della sensibilità, e non a una nobiltà di nascita ( T6, p. 96; la caratterizzazio-
ne angelica della donna e l’innalzamento della figura femminile a creatura divina; la lode di-
sinteressata (cioè senza lo scopo di riceverne in cambio un segno d’amore concreto) dell’ama-
ta e il suo saluto ( T7, p. 102).
93
PARTE PRIMA Il Medioevo
Il saluto della Il tema del saluto assume un valore particolare per gli stilnovisti, che giocano sulla duplice in-
donna-angelo terpretazione dell’espressione latina salutem dare. Essa può infatti significare sia ‘dare saluto’
(cioè ‘salutare’), sia ‘donare salute’, vale a dire ‘dare la salvezza eterna’, secondo la cultura cri-
stiana. Il saluto dell’amata si carica dunque anche di un valore spirituale, che allude alla sua
natura di donna-angelo. Una simile elevazione della donna era sconosciuta a tutta la lirica pre-
cedente ed è alla base di una vera e propria filosofia amorosa: nei poeti siciliani, infatti, il para-
DIGIT gone della donna con l’angelo era puramente retorico e non comportava nessuna implicazione
TESTI
Guido Guinizzelli, teologica. Ma quel che più conta è la trasformazione dell’amore sensuale cantato dai provenza-
«Lo vostro bel
saluto e ’l gentil li un secolo prima in un amore puramente spirituale, che non chiede ricompense di alcun ti-
sguardo» po alla donna amata e non cede mai alla tentazione del peccato carnale.
Le scelte Per quanto riguarda invece lo stile, Guinizzelli aspira a un linguaggio “dolce e leggiadro”. Esso
linguistiche tuttavia è messo al servizio di un maggiore impegno intellettuale: la poesia guinizzelliana non
si rivolge più al potenziale pubblico borghese della civiltà comunale, bensì a una ristretta cer-
chia di dotti esperti di questioni filosofiche, che rappresenta il nuovo pubblico eletto degli stil-
novisti toscani. Questi ultimi trovano nella propria raffinatezza spirituale le ragioni di un pre-
stigio sociale non più dipendente dalla nobiltà di sangue, ma solo da quella dell’animo (che ora
viene chiamata “gentilezza”).
Guido Cavalcanti Fra gli stilnovisti, la personalità di maggiore rilievo (se escludiamo Dante) è quella del fioren-
tino Guido Cavalcanti. Anche in questo caso è dubbia la data di nascita, da situare con ogni pro-
babilità nella prima metà degli anni Cinquanta del Duecento. La casata dei Cavalcanti era tra le
più potenti e nobili di Firenze, schierata con i guelfi bianchi e perciò coinvolta nelle lotte citta-
dine tra le fazioni. In seguito a violenti disordini scoppiati fra guelfi bianchi e guelfi neri, lo
stesso Guido fu esiliato a Sarzana (al confine fra Toscana e Liguria) nel 1300. Morì il 29 agosto
dello stesso anno, lasciando un canzoniere formato da poco più di cinquanta componimenti,
con una prevalenza di sonetti e ballate.
L’amore come Tema unico della sua produzione è l’amore, vissuto come mezzo per raggiungere la nobiltà d’a-
esperienza nimo ma, soprattutto, come esperienza capace di sconvolgere chi lo prova e di minacciarne l’iden-
assoluta e radicale
tità. L’esperienza dell’amore non può essere controllata e guidata dalla ragione, anche se può essere
DIGIT
TESTI oggetto di conoscenza poetica. La passione amorosa è al tempo stesso una condizione di ecceziona-
Guido Cavalcanti,
«In un boschetto le intensità vitale e, proprio per il suo carattere eccessivo e irrazionale, una minaccia di disgregazio-
trova’ pasturella» ne dell’io, dagli esiti potenzialmente tragici e distruttivi. I temi guinizzelliani del saluto e della lode
Guido Cavalcanti,
«L’anima mia della donna risultano trasformati: l’incontro con l’amata, proprio perché agita nel profondo il poe-
vilment’è sbigotita» ta, sembra portare distruzione più che salvezza ( T8, T9 e T10, pp. 104, 105, 107).
Un nuovo modello Ciò non toglie che per la sua intensità e per il suo rifiuto della convenzionalità la poesia di Ca-
di lirica valcanti abbia fissato un nuovo modello letterario, che risulta decisivo – a partire da Dante e da
Petrarca – per il futuro della lirica. I temi e le forme della tradizione provenzale e siciliana ven-
gono riorganizzati da Cavalcanti con rigore filosofico, come già aveva fatto Guinizzelli, che in-
DIGIT
APPROFONDIMENTI fatti viene assunto a modello. Inoltre si affermano con Cavalcanti un lessico e uno stile spe-
La leggerezza di
Cavalcanti nella cifici e quasi tecnici, adatti allo scavo in profondità e alla variazione sul medesimo tema più
lettura di Calvino che alla varietà e all’apertura inventiva.
Il nuovo pubblico La formazione tradizionale impartita nelle scuole di retorica non è più sufficiente al lettore per av-
della poesia vicinarsi a questa poesia, che richiede una adeguata competenza filosofica e perfino scientifica. In
questo modo il genere della lirica d’amore definisce una volta per tutte, con Cavalcanti, il suo nuo-
vo pubblico: la borghesia colta (universitaria), cioè un’élite della recente classe dirigente comuna-
le. Si forma così una nuova aristocrazia, che pretende di primeggiare sulla vecchia nobiltà feudale:
un’aristocrazia che riconosce la nobiltà nei valori dell’interiorità e della cultura. È questo il terreno
sul quale potranno svilupparsi, pochi decenni dopo, la lirica di Petrarca e il suo Canzoniere.
94
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
Cino da Pistoia Tra gli stilnovisti minori occorre ricordare almeno Cino (Guittoncino) da Pistoia, figlio di un no-
taio pistoiese. Coetaneo e amico di Dante, compone versi di tono elegiaco per la donna amata,
di nome Selvaggia. Anche Cino riprende il tema della donna-angelo, ma a differenza di Dante e
di Guido Cavalcanti non elabora una filosofia dell’amore. Pur rispettando i principi formali del-
lo Stil novo, egli preferisce cantare il dolore del distacco dall’amata o la tristezza per l’avvici-
narsi della morte. La sua esperienza poetica si rivelerà molto importante per Petrarca.
FACCIAMO IL PUNTO
Quale nuova concezione ha l’amore nella poesia degli Stilnovisti?
Quali sono le due possibili interpretazioni del saluto della donna-angelo?
CONFRONTI
LA SCUOLA SICILIANA, I POETI SICULO-TOSCANI E LO STIL NOVO
Scuola siciliana la corte di Federico II di Svevia in Sicilia tra il 1230 e il 1250
Centri
di diffusione Scuola siculo-toscana i comuni della Toscana tra il 1250 e il 1265
e periodo
Stil novo Firenze e Bologna tra il 1280 e il 1310
Giacomo da Lentini
Stefano Protonotaro
Scuola siciliana Guido delle Colonne
Rinaldo d’Aquino
Giacomino Pugliese
Poeti principali
Scuola siculo-toscana Guittone d’Arezzo (1235-1294)
Precursore: Guido Guinizzelli (1230-1276)
Stil novo Guido Cavalcanti (1259-1300)
Dante Alighieri (1265-1321)
95
T6
TESTO GUIDA Guido Guinizzelli
Quella che segue è una canzone decisiva nell’evoluzione della lirica d’amore italiana perché segna il
passaggio dalla tradizione siciliana e siculo-toscana a quella dello Stil novo: è infatti ritenuta da molti il
“manifesto” del nuovo modo di poetare degli Stilnovisti, caratterizzato da una lingua e da uno stile molto
raffinati. I temi centrali sono la corrispondenza tra amore e nobiltà d’animo e la caratterizzazione angeli-
ca della donna.
I TEMI corrispondenza tra amore e nobiltà d’animo donna-angelo
PARAFRASI
Al cor gentil rempaira1 sempre amore 1-10 L’amore sempre ritorna (rempaira) nel cuore nobile
come l’ausello2 in selva a la verdura; (gentil) come gli uccelli nel bosco (selva) tra il fogliame (ver-
dura); e la natura non ha creato (fe’) amore prima (anti) del
né fe’ amor anti che gentil core, cuore nobile, né [fece] il cuore nobile prima dell’amore;
né gentil core anti ch’amor, natura: perché non appena (ch’adesso con’) [vi] fu il sole, immedia-
5 ch’adesso con’ fu ’l sole, tamente (sì tosto) lo splendore brillò (fu lucente), né esi-
stette prima del sole; e l’amore prende dimora (loco) nella
sì tosto lo splendore fu lucente,
nobiltà (gentilezza) [d’animo] altrettanto naturalmente
né fu davanti ’l sole; (così propïamente) che il calore nella luminosità (clarità)
e prende amore in gentilezza loco del fuoco.
così propïamente
10 come calore in clarità di foco.3
Foco d’amore in gentil cor s’aprende 11-20 Il fuoco dell’amore si accende nel cuore nobile come le
come vertute in petra prezïosa, alte proprietà (vertute) nella pietra preziosa, nella quale il valo-
re non discende dalla stella prima (anti) che il sole la renda (fac-
che da la stella valor no i discende cia) una cosa nobile; dopo che il sole ne ha tratto fuori (fòre)
anti che ’l sol la faccia gentil cosa; con la sua forza ciò che vi (li) è di impuro (vile) [: non nobile],
15 poi che n’ha tratto fòre
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
Metrica: canzone di sei stanze, composte da dini (vv. 2-10), un’analogia (vv. 5-7) e alcuni si trova in fondo alla frase), sia un chiasmo
10 versi (endecasillabi e settenari), con rime passaggi di alto impegno retorico: ai vv. 3-4 è («né fe’ amor anti che gentil core, / né gentil
secondo lo schema ABAB; cDcEdE. presente sia l’anastrofe del soggetto (natura core anti ch’amor»).
96
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
stella li dà valore: la stella le (li) [: alla pietra preziosa] attribuisce il valore: allo stesso modo
(così) la donna, come una (a guisa di) stella, fa innamorare quel cuore che
così lo cor ch’è fatto da natura
TESTO GUIDA
è reso (fatto) eletto (asletto), puro, nobile dalla natura.
asletto, pur, gentile,
20 donna a guisa di stella lo ’nnamora.4
Amor per tal ragion sta ’n cor gentile 21-24 L’amore sta nel cuore nobile per la stessa ragione per cui il fuoco
per qual lo foco in cima del doplero: [sta] in cima alla torcia (doplero): vi risplende a suo piacere (diletto), lumi-
noso (clar), puro (sottile); non vi starebbe (li stari’) in altro modo (guisa),
splendeli al su’ diletto, clar, sottile; tanto è impetuoso (fero).
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
25 Così prava natura 25-30 Così una natura malvagia (prava) va contro (recontra) l’amore
recontra amor come fa l’aigua il foco come l’acqua a causa della [sua] freddezza va contro (fa) il fuoco caldo
[: spegnendolo]. L’amore prende dimora (rivera) nel cuore nobile come
caldo, per la freddura. (per) suo luogo adatto (consimel) come il diamante (adamàs) nel minera-
Amore in gentil cor prende rivera le (minera) del ferro.
per suo consimel loco
30 com’ adamàs5 del ferro in la minera.
Fere lo sol lo fango tutto ’l giorno: 31-40 Il sole colpisce (Fere) [con i suoi raggi] il fango tutto il giorno [: con-
vile reman, né ’l sol perde calore; tinuamente]: [il fango] rimane vile e il sole non perde calore; dice l’uomo
superbo (alter<0>): «Sono fatto (torno) nobile per stirpe (sclatta)»: para-
dis’ omo alter: «Gentil per sclatta torno»; gono (semblo) lui al fango, la gentilezza al sole: poiché non si deve credere
lui semblo al fango, al sol gentil valore: (non dé dar om fé) che la nobiltà esista al di fuori dei sentimenti (fòr di co-
35 ché non dé dar om fé raggio) come condizione ereditabile (in dignità d’ere’) se non [si] ha un
cuore nobile [fatto] per la virtù (vertute), [così] come l’acqua riceve (por-
che gentilezza sia fòr di coraggio ta) il raggio [di luce] ma (e) il cielo conserva le stelle e lo splendore [lumi-
in degnità d’ere’ noso].
sed a vertute non ha gentil core,
com’ aigua porta raggio
40 e ’l ciel riten le stelle e lo splendore.6
Splende ’n la ’ntelligenzïa del cielo 41-50 Dio creatore splende davanti alla (’n la) intelligenza del cielo [: gli
Deo crïator più che ’n nostr’occhi ’l sole: angeli] più che il sole davanti ai nostri occhi: essa [: l’intelligenza angelica]
conosce (intende) il proprio creatore (fattor) [: Dio] al di là del cielo e, nel
ella intende suo fattor oltra ’l cielo, far girare (volgiando) il cielo, prende a ubbidirgli; e come immediatamen-
e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole; te (con’… al primero) segue l’esecuzione beata (beato compimento) [del-
45 e con’ segue, al primero, la volontà] del giusto Dio, così in verità la bella donna, non appena splende
negli occhi del suo innamorato (gentil), dovrebbe trasmetter[gli] (dar do-
del giusto Deo beato compimento, vria) un desiderio (talento) che non si stanca (si disprende) mai di obbedi-
così dar dovria, al vero, re a lei.
la bella donna, poi che ’n gli occhi splende
del suo gentil, talento
50 che mai di lei obedir non si disprende.7
4 Foco d’amore...’nnamora: Guinizzelli im- 5 adamàs: nel Medioevo si riteneva che il la donna «sorgente di virtù».
piega qui il concetto filosofico di potenza-at- diamante avesse il potere di attrarre il ferro, 7 e con’ segue...si disprende: come gli ange-
to. Il cuore – reso nobile dalla natura – è in po- come una calamita. li obbediscono a Dio non appena ne intuisco-
tenza pronto ad amare. L’apparizione della 6 Fere lo sol...splendore: si afferma qui un no la volontà, così fa l’amante rispetto alla
donna mette in atto questa disposizione na- concetto chiave dello Stil novo, cioè che la donna; e alla beatitudine degli angeli corri-
turale. L’autore ricorre di nuovo a un parago- nobiltà d’animo non dipende dalla nobiltà di sponde l’appagamento del desiderio dell’a-
ne tratto dal mondo naturale: il sole purifica sangue. Il poeta utilizza ancora due paralleli- mante impegnato nel “servizio d’amore”.
la pietra e la rende atta a ricevere dalla sua smi: se il sole è la nobiltà, il superbo di sangue Anche se al centro del paragone vi è un con-
corrispondente stella le proprietà di gemma. nobile è come il fango che inutilmente è sta- cetto cortese, il rapporto uomo-donna non è
Nel paragone la natura corrisponde al sole, il to a lungo colpito dal sole. Meno trasparente più equiparato a quello tra vassallo-signore,
cuore nobile alla pietra preziosa, la donna a è la seconda similitudine (vv. 39 e sg.), con bensì al rapporto tra gli angeli e Dio. Lo sce-
una stella. Nel Medioevo infatti si riteneva due possibili interpretazioni: all’acqua corri- nario infatti non rimanda più al mondo feu-
che ogni pietra preziosa fosse collegata a una sponde il cuore non nobile (con parallelismo dale, ma a una dimensione religiosa. volgian-
stella specifica, che riversava in lei le sue pro- rispetto al fango) e al cielo perciò il cuore ve- do e tole sono due settentrionalismi (così
prietà benefiche dopo che la pietra era stata ramente nobile; oppure (come fa Contini) come sïando al v. 52).
purificata dal sole. all’acqua corrisponde il cuore nobile e al cielo
97
PARTE PRIMA Il Medioevo
Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?», 51-60 [O] donna, Dio mi dirà, quando la mia anima (alma)
sarà (sïando) davanti a lui: «Che cosa hai osato (presomisti)?
sïando l’alma mia a lui davanti.
TESTO GUIDA
8 Donna...amanza: in questa ultima strofa il sentimenti, riconoscendo di aver sbagliato ne della donna-angelo diventa l’elemento
poeta si rivolge alla donna, immaginando un nell’aver rivolto alla donna amata lodi che do- principale di una nuova concezione dell’amo-
dialogo diretto con Dio. Alla luce della supe- vrebbero essere destinate solo a Dio e alla re, che viene inteso dagli stilnovisti come un
riorità divina il poeta ridimensiona i propri Madonna. Contemporaneamente l’immagi- nuovo strumento per comprendere la realtà.
98
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
l’affermazione di un nuovo concetto di nobiltà, coincidente con la nobiltà d’animo e non con
la nobiltà di sangue (vv. 31-40);
TESTO GUIDA
la caratterizzazione angelica della donna (v. 58: «[La donna] Tenne d’angel sembianza»).
In realtà, si tratta di temi già presenti nella cultura cortese sia francese (si ricordi per esempio
Andrea Cappellano, il quale affermava che solo la prodezza dei costumi può rendere nobili gli
uomini) sia provenzale, poi ripresi in ambito siciliano. Nuovo è invece il taglio dottrinale intro-
dotto da Guinizzelli, impegnato a sostenere la propria tesi con argomenti filosofici e “scienti-
fici” (p. es. l’impiego del concetto filosofico potenza-atto ai vv. 18-20 e la similitudine teologica
ai vv. 41-50, basata sulla cosmologia medievale).
99
PARTE PRIMA Il Medioevo
spunti particolari. Il concetto della nobiltà d’animo è approfondito, in sede teorica, nel IV
libro del Convivio; mentre il sonetto «Amore e ’l cor gentil sono una cosa» ( Capitolo 4, T4,
TESTO GUIDA
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
7. Spiega come il “servizio d’amore”, tipico della
tradizione cortese, viene interpretato da Guinizzelli
(vv. 41-50).
4. Lingua e stile Ai vv. 3-4 sono presenti due figu-
re retoriche che riguardano la sintassi: quali sono e 8. Rifletti sull’ultima strofa, in cui si assiste al dialo-
in che modo interessano la struttura della frase nella go celeste tra Dio e il poeta: ti sembra un cedimento
quale sono inserite? ai valori religiosi o una riaffermazione dei valori laici?
100
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
Il cambiamento dei modelli: donna guinizzelliana e i modelli femminili proposti
il mito del successo oggi dalla letteratura del Novecento o, ancor più, dalla
I temi affrontati in questo sonetto e tipici dello Stil società contemporanea.
novo si prestano a un confronto con il presente, anche Quanto al concetto di nobiltà espresso nella poesia,
se per evidenziare soprattutto una distanza. Il primo siamo d’accordo con Guinizzelli sulla svalutazione
ostacolo che incontriamo ad entrare nella visione gui- della nobiltà di sangue, che oggi non esiste pratica-
nizzelliana è di tipo linguistico: la sua dichiarazione mente più. Ma facciamo anche fatica a riconoscere la
d’amore in versi, ricca di paragoni e di riferimenti alla nobiltà d’animo: il mito del successo diffuso nella
cultura medievale, risulta di difficile comprensione. società contemporanea spinge alla ricerca sfrenata
Una volta poi che si sia riusciti, pazientemente, a della superiorità, ma solo nell’ambito economico, del
capire il significato del testo, a risultare ardua è la con- potere e del prestigio sociale, a tutto svantaggio di altri
cezione stessa del sentimento, spogliato di ogni pas- aspetti, incluso quello culturale e umano.
sione e prospettato, in ultima analisi, come esercizio
intellettuale. Ciò che resiste è una visione elevata
dell’amore, che include l’idea della trascendenza.
Scrive il filosofo Umberto Galimberti: «la metafora di
Dio è sempre stata coniugata con la metafora dell’a-
more. […] Infatti senza un raggio di trascendenza, di
cui Dio è la metafora, amore perde la sua forza e la sua
capacità di leggere il mondo» (Le cose dell’amore,
2004). E così, la donna-angelo celebrata in questo
sonetto ricorda un meccanismo spesso inevitabile
nelle cose dell’amore: l’idealizzazione dell’amato o
dell’amata. D’altra parte, si coglie anche la lontananza Keith Haring,
massima esistente tra l’«angel sembianza» della Untitled, 1987.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE
ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
I temi tipici del Dolce stil novo, amore e nobiltà d’animo, costituiscono dei modelli culturali ai quali ci acco-
stiamo misurando la distanza con quelli attuali.
L’amore stilnovistico include l’idea della trascendenza, della presenza, cioè, di un raggio di luce divina che
lo rende potente ed efficace, mentre la donna-angelo porta alle estreme conseguenze un meccanismo inevi-
tabile nella fase dell’innamoramento: l’idealizzazione della persona amata. Anche la nobiltà d’animo gioca
un ruolo importante nella corrispondenza d’amore, che è impossibile tra chi non è “gentile”.
Questi modelli sembrano oggi impraticabili per la superficialità delle relazioni, per un radicato scetticismo
nella durata dei rapporti e per la pervasività di valori legati al godimento fugace, al potere e al successo,
a scapito di quelli propri della cultura e dello spessore umano. Cosa permane, quindi, nei modelli contem-
poranei della dimensione elevata, quasi religiosa dell’amore, espressa nelle opere stilnovistiche? Come
nella realtà di oggi viene vissuto il rapporto amoroso e quale grado di idealizzazione investe l’oggetto del
sentimento? Quali valori vengono ricercati nella persona amata?
Sviluppa questi spunti, riferendoti alle tue letture, alle tue conoscenze e alle tue esperienze personali. Puoi
articolare il tuo elaborato in paragrafi opportunamente titolati e presentarlo con un titolo complessivo che
ne esprima sinteticamente il contenuto.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
T7 Guido Guinizzelli
«Io voglio del ver la mia donna laudare»
Guinizzelli vuole lodare la donna amata, accostando alla sua bellezza tutte le bellezze del creato. Il saluto
della donna ha il potere di rendere migliori le persone che incontra ed allontanare i cattivi pensieri.
I TEMI lode della donna saluto della donna
PARAFRASI
Io voglio del ver la mia donna laudare 1-4 Io voglio lodare (laudare) la mia donna secondo verità (del ver) e pa-
ed asembrarli la rosa e lo giglio: ragonarle (asembrarli) la rosa e il (lo) giglio: appare splendente (splende e
pare; dittologia sinonimica) più che la stella del mattino (dïana = ‘del dì’)
più che stella dïana splende e pare,1 [: Venere], e paragono (somiglio) a lei ciò che è bello lassù [nel cielo].
e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.
5 Verde river’ a lei rasembro e l’âre, 5-8 Paragono (rasembro) a lei una verde campagna (river’< a>; provenzale
tutti color di fior’, giano e vermiglio, “ribiera”) e l’aria (âre = ‘aire’), tutti i colori dei (di) fiori, giallo (giano;
franc.) e rosso (vermiglio), oro e lapislazzuli (azzurro) [: una pietra prezio-
oro ed azzurro e ricche gioi per dare: sa] e ricchi gioielli (gioi) degni di essere donati (per dare = ‘da regalo’): per-
medesmo Amor per lei rafina meglio. fino (medesmo; avverbio) Amore grazie a lei (per lei) diviene più perfetto
(rafina meglio).
Passa per via adorna, e sì gentile2 9-14 [La donna amata] passa lungo la via (per via) bella (adorna), e così (sì)
10 ch’abassa orgoglio a cui dona salute,3 nobile che piega (ch’abassa) l’orgoglio a colui al quale (a cui) dà il saluto (do-
na salute), e rende (fa) costui (’l = ‘il’ = ‘lo’) cristiano (de nostra fé; de = ‘di’; fé
e fa ’l de nostra fé se non la crede; = ‘fede’) se [già] non è credente (non la crede); e non le (no.lle) si può avvici-
nare (pò apressare) chi (om = ‘uomo’; impersonale) sia vile [: ignobile]; vi
e no.lle pò apressare om che sia vile; dirò che [la mia amata] ha un potere (vertute) ancora maggiore: nessuno
(null’om) può (pò) avere cattivi pensieri (mal pensar) finché la vede.
ancor ve dirò c’ha maggior vertute:
null’om pò mal pensar fin che la vede.
Poeti del Duecento, cit.
Metrica: sonetto a rime alternate, secondo lo nizzelli di primaria importanza, verrà svilup- dell’incontro e del saluto si carica di una sim-
schema ABAB, ABAB; CDE, CDE. pato dagli stilnovisti, anche per l’ambivalenza bologia originalmente religiosa. Perciò dal sa-
semantica. Il latino salutem dare (o dicere) vale luto derivano le prerogative descritte ai vv. 10-
1 pare: il verbo “parere” (= ‘apparire’) è centra- infatti tanto ‘salutare’ quanto ‘trasmettere la 14: indurre umiltà, convertire, respingere ciò
le nella lode dell’amata (e diventerà tra i predi- salvezza’, così che l’occasione mondana che è ignobile, escludere pensieri bassi.
letti del Dante stilnovista), anche per la forza
dell’etimologia (dal greco phàino = ‘mostro, mi
rivelo’; cfr. epifanìa = ‘apparizione miracolosa’). LA LINGUA NEL TEMPO
2 adorna...gentile: aggettivi finalizzati a
esprimere in particolare le qualità del decoro Vertute «vertute» (v. 13) è una delle forme antiche di “virtù”, proveniente dal latino virtùtem, che
e della bellezza esterni, il primo, e gli intrin- indicava ‘valore, coraggio, energia morale, forza d’animo’, proprio come in questo sonetto. Nell’ita-
seci pregi interiori, il secondo (così «onesta» liano contemporaneo il termine “virtù” designa un pregio o una qualità positiva (“la modestia è una
e «gentile» del sonetto di Dante «Tanto genti- delle tue virtù”), oppure la disposizione d’animo che spinge l’uomo a praticare e perseguire costan-
le e tanto onesta pare»). temente il bene (“sei un modello di virtù”). Per estensione, la “virtù” è anche la capacità di produrre
3 dona salute: il motivo del saluto, già in Gui- un effetto voluto o di raggiungere uno scopo prefissato (“le virtù curative di questa medicina”).
102
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
ANALISI Il “dolce stile” Il sonetto è un buon esempio di quello che Dante definirà il “dolce stile”.
Anzitutto, Guinizzelli è estraneo alle complicazioni di Guittone: l’argomentazione è piana,
metro e sintassi coincidono, la retorica è sobria, il lessico evita parole basse. La musicalità
raffinata si affida alle allitterazioni, ricercate ma non pesanti: come quelle in “v” e in “r” del v.
5 («Verde river’ a lei rasembro e l’âre»); o ancora in “r”, con rime interne, ai vv. 6-8 («color di
fior’… oro ed azzurro e ricche gioi per dare… Amor per lei rafina»).
INTERPRETAZIONE La caratterizzazione della donna: un angelo? La celebrazione della donna nelle quartine si
E COMMENTO fonda esplicitamente sulla similitudine («asembrarli», v. 2). Gli elementi naturali introdotti quali
termini di paragone hanno un valore emblematico più che realistico: per esempio, la «rosa» è
citata in quanto regina dei fiori e simbolo di bellezza, mentre il «giglio» richiama con il suo can-
dore un incarnato elegante e la purezza spirituale. Le qualità della donna sono riassunte in
due soli aggettivi: «adorna», riferito alla bellezza esteriore, e «gentile», riferito alla nobiltà inte-
riore. Le uniche azioni che essa compie sono passare e “donare salute”; eppure sono suffi-
cienti a evidenziare i suoi poteri miracolosi (rendere gli altri umili, convertire i non cristiani,
allontanare i malvagi e i pensieri peccaminosi). Ma l’immagine della donna miracolosa resta
in Guinizzelli una brillante invenzione poetica. Sarà la Beatrice dantesca a rappresentare com-
piutamente la donna-angelo.
Miniatura tratta da
Convenevole da
Prato, Carmina regia,
1335 circa. Londra,
British Library.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
T8 Guido Cavalcanti
«Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira»
Cavalcanti loda l’amata: la sua bellezza suscita in tutti ammirazione e la sua benevolenza spicca tra
quella delle altre donne. Allo stesso tempo è impossibile descrivere con parole la sua perfezione.
I TEMI perfezione della donna amata ineffabilità
PARAFRASI
Chi è1 questa che vèn, ch’ogn’om la mira, 1-4 Chi è questa che viene, che ognuno la guarda ammirato,
che fa tremar di chiaritate l’âre la quale fa tremare di luminosità (chiaritate) l’aria (l’âre) e
porta con sé (mena seco) Amore, così che nessuno (null’omo)
e mena seco Amor, sì che parlare può (pote) parlare, ma ciascuno sospira?
null’omo pote, ma ciascun sospira?2
5 O Deo, che sembra quando li occhi gira! 5-8 O Dio, che cosa sembra quando gira [intorno] gli occhi! lo
dical’ Amor, ch’i’ non savria contare: dica Amore, perché io non lo saprei (savria) raccontare: mi ap-
pare a tal punto (cotanto) donna benevola (d’umiltà) che io
cotanto d’umiltà donna mi pare, definisco (chiam’) malvagia (ira) ogni altra [donna] rispetto a
ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ira.3 (ver’ di) lei.
Non si poria contar la sua piagenza, 9-11 Non si potrebbe tradurre in parole (poria contar) la sua
10 ch’a le’ s’inchin’ ogni gentil vertute, bellezza (piagenza): dato che a lei [: la donna amata] si inchina
ogni virtù nobile (gentil), e la bellezza (beltate) la indica (mo-
e la beltate per sua dea la mostra. stra) come (per) sua dea.
Non fu sì alta già la mente nostra 12-14 La nostra mente [: capacità intellettiva] non fu mai
e non si pose ’n noi tanta salute, (già) così alta e non fu posta (si pose) [da Dio] in noi tanta per-
fezione (salute = ‘salvezza concessa per grazia divina’), da po-
che propiamente n’aviàn canoscenza. terne avere (che… n’aviàn) conoscenza in modo adeguato
(propiamente).
G. Cavalcanti, Rime, a cura di D. De Robertis,Einaudi, Torino 1986.
Metrica: sonetto con rime incrociate nelle est ista quae progreditur» [Chi è costei che si fa come la più estrema forma di espressività
quartine (ABBA, ABBA) e rime invertite nel- avanti], ben nota al lettore del Medioevo, e (sarà così anche nella conclusione del sonetto
le terzine (CDE, EDC). sottolinea la dimensione solenne, quasi reli- di Dante «Tanto gentile e tanto onesta pare»).
giosa, dell’apparizione femminile. 3 umiltà...ira: la benevolenza (umiltà) della
1 Chi è: l’avvio del sonetto è una citazione bi- 2 parlare...sospira: alla parola, che scopre la donna amata è contrapposta alla malvagità
blica dal Cantico dei cantici, in latino: «Quis propria insufficienza, si sostituisce il sospiro (ira) delle altre donne.
ANALISI Il «dolce stil» di Cavalcanti Cavalcanti usa il sonetto con grande maestria, trasmettendo
nella forma tutta la “dolcezza” dei contenuti del testo: c’è coincidenza tra andamento sintat-
tico e andamento metrico (praticamente ogni verso corrisponde a una frase di senso com-
piuto), le rime sono gradevoli all’udito, le allitterazioni sono numerose (per esempio sul suono
/k/: «Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira, / che fa tremar di chiaritate l’âre»).
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CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
INTERPRETAZIONE Un poeta sgomento senza parole Il tema della lode dell’amata si collega qui a quello dell’i-
E COMMENTO neffabilità, cioè dell’impossibilità per il poeta di esprimere a parole le supreme qualità della
donna. Cavalcanti rinuncia alla comparazione della bellezza femminile con il mondo della
natura (che invece Guinizzelli aveva compiuto; T7, p. 102), e procede per negazioni «sì che
parlare / null’omo pote», vv. 3-4; «dical’ Amor, ch’i’ non savria contare», v. 6; «Non si poria con-
tar la sua piagenza», v. 9; vedi anche l’affermazione finale relativa all’impossibilità di cono-
scere «propiamente» le qualità della donna). Alla parola, che scopre la propria insufficienza, si
sostituisce il sospiro (v. 4). L’ineffabilità è uno dei temi fondamentali dello Stil novo, e diven-
terà addirittura fondante nel Paradiso dantesco. Ciò che differenzia Cavalcanti dagli altri poeti
suoi contemporanei è il modo tragico in cui vive tale disorientamento: di fronte alla perfezione
indicibile della donna, egli prova sgomento e doloroso sentimento d’inadeguatezza.
T9 Guido Cavalcanti
«Voi che per li occhi mi passaste ’l core»
L’amore devasta la vita interiore del poeta: lo sguardo della donna lo colpisce arrivando fino al cuore
come la freccia di un potente guerriero. Con il cuore ferito a morte il poeta viene pervaso da sentimenti di
angoscia e di tristezza: la sua anima ormai non può più trovare pace.
I TEMI effetti devastanti dell’amore
PARAFRASI
Voi che per li occhi mi passaste ’l core 1-4 Voi [: la donna amata] che attraverso gli occhi [miei] mi
e destaste la mente che dormia, trafiggeste (passaste) il cuore e svegliaste la [mia] mente che
dormiva, prestate attenzione (guardate) alla mia vita ango-
guardate a l’angosciosa vita mia, sciosa, che Amore distrugge in sospiri.
che sospirando1 la distrugge Amore.
5 E’ vèn tagliando di sì gran valore, 5-8 Egli (E’) [: Amore] avanza (vèn) ferendo (tagliando) con
che’ deboletti spiriti2 van via: così gran forza (valore), che le [mie] deboli funzioni vitali
(spiriti) se ne vanno: in balìa (segnoria) [d’Amore] rimangono
riman figura sol en segnoria [di me] solo l’aspetto esterno (figura) e poca (alquanta) voce,
e voce alquanta, che parla dolore. che parla [esprimendo] dolore.
Metrica: sonetto con rime incrociate (AB- 1 sospirando: è riferito a vita, visto che il pica espressione cavalcantiana, tratta dal-
BA, ABBA) nelle quartine e replicate (CDE, gerundio rimane autonomo rispetto al sog- la filosofia naturale del tempo, che chia-
CDE) nelle terzine, C e E sono assonanti. getto. mava “spiriti” le facoltà psichiche o fisiche
2 spiriti: gli spiriti vitali. Si tratta di una ti- dell’uomo.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
Questa vertù d’amor che m’ha disfatto 9-11 Questa forza (vertù) d’amore che mi ha distrutto pro-
venne (si mosse) rapida (presta) dai vostri occhi nobili (gen-
10 da’ vostr’occhi gentil’ presta si mosse:
til’): mi lanciò una freccia (dardo) nel fianco.
un dardo mi gittò dentro dal fianco.
Sì giunse ritto ’l colpo al primo tratto, 12-14 Il colpo giunse [a me] così centrato (ritto) al primo lan-
cio (tratto), che l’anima si svegliò (si riscosse) vedendo il cuo-
che l’anima tremando si riscosse
re morto nel fianco sinistro (lato manco).
veggendo morto ’l cor nel lato manco.3
G. Cavalcanti, Rime, cit.
3 Sì giunse...lato manco: essendo stato colpito il cuore dalla terminando così una struttura circolare: l’anima… si riscosse
freccia d’Amore, l’anima vede distrutta la propria sede natura- corrisponde a destaste la mente; mentre morto ’l cor corri-
le. I due ultimi versi riprendono quelli iniziali del sonetto, de- sponde a passaste ’l core.
ANALISI Il lessico del dolore e della violenza Il sonetto è percorso da termini che indicano la vio-
lenza dell’amore e la conseguente sofferenza del soggetto: «passaste» (v. 1), «angosciosa»
(v. 3), «distrugge» (v. 4), «tagliando» (v. 5), «dolore» (v. 8), «disfatto» (v. 9), «dardo» (v. 11),
«colpo» (v. 12), «tremando» (v. 13), «morto» (v. 14).
INTERPRETAZIONE Il poeta tra passione e morte Se da una parte la struttura del sonetto è caratterizzata da
E COMMENTO simmetria ed equilibrio, dall’altra i temi esprimono lacerazione e sgomento. Questa diver-
genza riproduce sul piano espressivo la contraddizione psicologica del poeta, che non può sot-
trarsi a una passione che pure lo uccide. A tal proposito risulta significativa la catena di rime
che collega «core» e «Amore» a «dolore». Cavalcanti rivela così una nuova visione dell’amore e
della donna: il sentimento amoroso si presenta anzitutto come forza incontrollabile capace di
distruggere l’individuo. Perciò l’incontro con la donna non è più un momento di nobilitazione e
perfezionamento del poeta, ma una minaccia per la sua interiorità; mentre lo sguardo dell’a-
mata diventa un’arma micidiale.
COMPRENSIONE ANALISI
1. Il sonetto si apre con il pronome «Voi». A chi si 3. La struttura del sonetto è raddoppiata e circolare.
rivolge il poeta? Ricerca nel testo le immagini ricorrenti che determi-
nano questo tipo di struttura.
2. Tema dominante di questo componimento e della
poesia stilnovistica in generale è l’amore. In questo 4. Nel sonetto, Amore è personificato: indica almeno
sonetto esso (3 risposte): tre azioni o aspetti che lo caratterizzano.
a. è la causa della cecità del poeta
b. è rappresentato come un guerriero INTERPRETAZIONE E COMMENTO
c. è fonte di gioia e di piacere 5. Piano delle forme e piano dei contenuti sono sem-
d. è concepito come una forza cieca, irrazionale pre strettamente connessi nei testi letterari. Spiega
e. genera angoscia e ha effetti devastanti sull’animo allora quale particolare significato assume la rima
del poeta «core» : «Amore» : «dolore».
f. avvicina il poeta a Dio
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CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
PARAFRASI
Perch’i’ no spero di tornar giammai, 1-6 [O mia] cara ballata, poiché io non spero di tornare mai più in Toscana,
ballatetta, in Toscana, [al mio posto] va’ tu, veloce (leggera) e affabile (piana), dritta [: senza so-
ste] dalla mia donna, la quale ti accoglierà con molto onore grazie alla sua
va’ tu1 leggera e piana,2 gentilezza (cortesia) [: e non per i tuoi meriti specifici].
dritt’a la donna mia,
5 che per sua cortesia
ti farà molto onore.
Tu porterai novelle di sospiri 7-16 Tu porterai [alla mia amata] notizie (novelle) dei [miei] sospiri, [no-
piene di dogli’ e di molta paura; tizie] piene di dolore (dogli’) e di molta paura; ma sta’ attenta (guarda) che
non ti veda (miri) nessuno (persona non) che sia nemico della gentilezza
ma guarda che persona non ti miri (gentil natura): perché certamente a causa della mia infelicità (disaventu-
10 che sia nemica di gentil natura: ra) tu saresti osteggiata (contesa) [: incompresa], criticata (ripresa; da lei
ché certo per la mia disaventura si riferisce a persona del v. 9) a tal punto (tanto) che [ciò] mi provochereb-
be angoscia; e poi (poscia), [anche] dopo la morte, [ciò mi provocherebbe]
tu saresti contesa, pianto e nuovo dolore.
tanto da lei ripresa
che mi sarebbe angoscia;
15 dopo la morte, poscia,
pianto e novel dolore.
Tu senti, ballatetta, che la morte 17-26 [O] cara ballata, tu senti che la morte mi incalza (stringe) in modo
mi stringe sì, che vita m’abbandona; tale (sì) che la vita mi abbandona; e senti come il cuore si agita con forza a
causa di ciò che manifesta (ragiona) ciascuna [mia] funzione vitale (spiri-
e senti come ’l cor si sbatte forte to). Il mio corpo (persona) è ormai distrutto a tal punto (Tanto) che io non
20 per quel che ciascun spirito3 ragiona. posso [più] resistere (soffrire) [: sto per morire]: se tu [: la ballata] mi vuoi
Tanto è distrutta già la mia persona, aiutare (servire), porta (mena) l’anima con te (teco) quando uscirà dal
cuore (di questo ti prego assai).
ch’i’ non posso soffrire:
se tu mi vuoi servire,
mena l’anima teco
25 (molto di ciò ti preco)
quando uscirà del core.
Deh, ballatetta, a la tu’ amistate 27-36 Oh (Deh) [mia] cara ballata, affido (raccomando) quest’anima [mia]
quest’anima che trema raccomando: che trema [di angoscia e di paura] alla tua amicizia (amistate) [: alle tue cure]:
con il suo dolore (nella sua pietate), portala con te (menala teco) presso quel-
menala teco, nella sua pietate, la donna dalla quale ti mando. Oh cara ballata, dille [: all’amata] sospirando,
30 a quella bella donna a cu’ ti mando.
Deh, ballatetta, dille sospirando,
Metrica: ballata formata da una ripresa (vv. della strofa o comunque nel primo verso) in 3 spirito: secondo la consueta personifica-
1-6), secondo lo schema di rime Vxxyyz; e da tutta la ballata, anche se nell’ultima strofa si zione cavalcantiana, e sulla base della conce-
4 stanze (vv. 7-46) di 10 versi ciascuna, se- assiste a un duplice cambiamento (e allarga- zione medico-scientifica del tempo, gli “spi-
condo lo schema ABABBccddz. mento) del referente (da tu a voi). riti” sono enti addetti alle funzioni vitali
2 leggera e piana: indica l’intonazione del dell’organismo ( T9, nota 2, p. 105).
1 tu: il pronome allocutivo di seconda perso- componimento (come ai vv. 31 e 37) malico-
na torna in posizione dominante (all’inizio nica e delicata.
107
PARTE PRIMA Il Medioevo
quando le se’ presente: quando sarai davanti a lei (le se’ presente): «Questa vostra [: della donna]
fedele (servente) [: l’anima del poeta] è venuta (vien) per stare con voi, se-
«Questa vostra servente
paratasi (partita) da colui [: il poeta] che fu servo di Amore».
vien per istar con voi,
35 partita da colui
che fu servo d’Amore».4
Tu, voce sbigottita e deboletta 37-46 [O mia] voce angosciata (sbigottita) e debole, tu che esci piangen-
ch’esci piangendo de lo cor dolente, do dal [mio] cuore sofferente (dolente), riferisci (va’ ragionando) insieme
all’anima e insieme a questa cara ballata [alla donna] della [mia] personali-
coll’anima e co questa ballatetta tà distrutta. Voi [: voce, anima e ballata] troverete una donna bella (piacen-
40 va’ ragionando della strutta mente. te), di carattere (intelletto) tanto gentile (dolce) che sarà per voi un piace-
Voi troverete una donna piacente, re (diletto) starle sempre (ognora) accanto (davanti). Anche tu, anima
[mia], adorala [: la donna] sempre, per la sua virtù (valore).
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
45 Anim’, e tu l’adora
sempre, nel su’ valore.5
G. Cavalcanti, Rime, cit.
4 Deh...Amore: l’esclamazione Deh implica 5 Tu, voce...nel su’ valore: il riferimento del dopo essersi a lungo rivolto alla propria balla-
spesso una richiesta: infatti il poeta affida alla discorso si trasforma in questa strofa conclu- ta, conclude coinvolgendo se stesso diretta-
ballata la propria stessa anima, così che que- siva, rovesciando la tradizionale struttura del mente nel discorso. l’adora è un termine spe-
sta possa recarsi dall’amata per continuare a congedo: come esso è solitamente destinato cifico della venerazione religiosa, riferito in
onorarla anche dopo essersi distaccata da lui, dal poeta a rivolgersi alla propria composizio- particolare alla Madonna. Diventerà molto
cioè dopo la morte. ne dopo aver parlato di sé, così qui Cavalcanti, frequente in Petrarca.
ANALISI Un dialogo mediato Rivolgere il discorso al proprio componimento è una formula ricorrente
nella tradizione lirica italiana: come vedremo in Dante (nella canzone «Donne ch’avete intelletto
d’amore»; Capitolo 4, T3, p. 168) e in Petrarca (in «Chiare, fresche et dolci acque»; Capi-
tolo 5, T9, p. 334). Oltre alla sua cara «ballatetta», il poeta ha come interlocutori la propria
«voce sbigottita» e la propria “anima” (vv. 37- 45). Il pronome di seconda persona “tu” (o l’ag-
gettivo corrispondente) torna nel primo verso di ogni strofa, riconfermando la presenza degli
interlocutori. Si tratta di destinatari immaginari, che fanno da mediatori rispetto al vero desti-
natario del componimento: la donna amata. Impossibilitato a rivolgersi direttamente all’a-
mata, il poeta affida integralmente il suo messaggio d’amore alla forma poetica.
La struttura della ballata La ballata (o canzone da ballo) è una forma metrica elaborata nel
Duecento, originariamente accompagnata dalla musica e destinata alla danza. La struttura
della ballata prevede:
versi endecasillabi e settenari;
una ripresa (o ritornello), che nell’esecuzione musicale veniva cantata tra una stanza e l’al-
tra;
una o più stanze;
la suddivisione di ogni stanza in almeno due piedi e una volta.
108
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
l’ultimo verso della volta rima con l’ultimo verso della ripresa
ballatetta, in ToscANA, x
ripresa va’ tu leggera e piANA, x
dritt’a la donna mIA, y
che per sua cortesIA y l’ultimo verso
ti farà molto onORE. z del 2° piede rima
con il 1° verso
Tu porterai novelle di sospIRI A della volta
1°
piene di dogli’ e di molta paURA; B
piedi
ma guarda che persona non ti mIRI A
2° che sia nemica di gentil natURA: B
stanza ché certo per la mia disaventURA B V
la volta
tu saresti contESA, c x
ha lo schema
tanto da lei riprESA c x delle rime
volta
che mi sarebbe angoscIA; d y identico
dopo la morte, poscIA, d y alla ripresa
pianto e novel dolORE. z z
Le caratteristiche di questa ballata L’uso del diminutivo «ballatetta» con cui Cavalcanti
designa il componimento non allude solo all’affettuosa malinconia del poeta, ma anche alle
caratteristiche della poesia, definita per il suo stile «leggera e piana» (v. 3). Lo schema metrico
mostra la perfetta suddivisione in versi lunghi e versi brevi: in ogni stanza cinque endecasil-
labi sono seguiti da cinque settenari; il lessico è semplice; le figure retoriche sono usate con
grande parsimonia e la sintassi è lineare. Da notare l’enjambement finale (vv. 45-46), che evi-
denzia la commozione del poeta nel momento dell’addio definitivo.
INTERPRETAZIONE La tradizione cortese tra riprese e novità In questa ballata si rivela da una parte una chiara
E COMMENTO ripresa della letteratura cortese, dall’altra l’originalità di Cavalcanti nell’affrontare temi tradi-
zionali. Il rapporto fra il poeta e la donna è un amore da lontano; viene definito come servizio
d’Amore (v. 36); presuppone una separazione netta fra chi ha «gentil natura» e chi è invece
“nemico” della gentilezza (vv. 9-16). Anche la donna viene lodata secondo i termini consueti
ai trovatori, ai Siciliani, a Guinizzelli: ha «cortesia» (v. 5) e «valore» (v. 46) è «piacente» (v. 41)
ed è anche dotata, significativamente, di «dolce intelletto» (v. 42). La “gentilezza” dell’amata
comporta quindi pure un’eccellenza mentale, che verrà riconosciuta anche da Dante nella Vita
nuova. Accanto a queste riprese si nota in Cavalcanti una personale drammatizzazione alla
materia tradizionale. Qui, per esempio, il poeta si configura sull’orlo della morte e viene
lasciato intendere che la morte dipenda proprio dall’esperienza d’amore, che sconvolge l’e-
quilibrio del soggetto. Tuttavia, non rinuncia alla lode dell’amata.
109
PARTE PRIMA Il Medioevo
7 La poesia comica
I tempi e i luoghi Mentre si diffonde in Toscana la lirica amorosa in stile alto, fra la metà del Duecento e il Tre-
della poesia cento nasce anche, quasi negli stessi luoghi, una ben diversa poesia di tipo comico e parodico.
comica
Si tratta di un genere caratterizzato dall’apertura alla realtà quotidiana e da toni giocosi e
ironici che appare assai distante dalla lirica alta e seria degli stilnovisti. La vita comunale (di
Siena, di Firenze e di altre città toscane) viene qui rappresentata sia nelle contrapposizioni po-
litiche (con gli attacchi personali e le rivalità che ne derivano) sia nella vitalità quotidiana e po-
polare. Stravolgendo in modo consapevole la tradizione dei Siciliani e degli stilnovisti, la poe-
sia comica privilegia un linguaggio basso e popolare e si rivolge a un largo pubblico, che com-
prende anche i ceti borghesi e artigiani.
I temi: il I temi preferiti dai poeti comici sono l’amore carnale, l’esaltazione dei piaceri e il bisogno co-
rovesciamento stante di denaro. L’amore celebrato dallo Stil novo viene così rovesciato nel piacere puramen-
dello Stil novo
te sessuale: alla donna-angelo si sostituisce la figura della prostituta, o comunque un tipo fem-
minile ben poco idealizzato, che condivide con l’uomo i piaceri materiali del sesso, del buon ci-
bo, del gioco e del vino. La taverna e i ricchi festini in cui si incontrano i giovani sono gli scenari
molto concreti della poesia comica, che anche per questo si differenzia dalle ambientazioni
astratte e idealizzate degli Stilnovisti. Alla esaltazione dei piaceri segue spesso il motivo del bi-
sogno di denaro, insieme alla paura della povertà e alla polemica contro l’avarizia dei padri.
Precedenti della La poesia comica in Italia si diffonde in un’area geograficamente ristretta (essenzialmente la
poesia comica Toscana: soprattutto Siena, Firenze e i centri vicini), ma ha tradizioni europee. Alle sue origini
vi sono la poesia goliardica latina, fiorita in Francia, Germania e Inghilterra nei secoli XII e
XIII, e la poesia giullaresca in volgare, della quale fornisce un esempio il celebre Contrasto di
Cielo d’Alcamo, composto fra il 1231 e il 1250 in Sicilia ( T11, p. 112).
Cecco Angiolieri Si contano una ventina di poeti comici, che hanno caratteristiche molto diverse fra loro. L’ini-
ziatore del genere fu il fiorentino Rustico Filippi, attivo nel trentennio 1260-1290 e maestro
dell’attacco personale e dell’ironia sottile; ma l’autore comico più importante e originale fu il se-
Affresco di Memmo
Filippuccio del 1306
circa. San
Gimignano, Palazzo
Comunale, Torre
Grossa.
110
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
nese Cecco Angiolieri, nato nel 1260 circa e morto intorno al 1312. Cecco visse una vita sregola-
ta: ebbe vari problemi con la giustizia, sperperò l’eredità del padre e morì in miseria. La sua ope-
DIGIT
TESTI ra consiste in oltre cento sonetti fondati sulla parodia: Cecco conosce molto bene la tradizione
Cecco Angiolieri, poetica illustre e le sue forme, e si diverte a capovolgerne completamente il significato, come di-
«I’ho tutte le cose
ch’io non voglio» mostra la stessa ripresa della forma metrica del sonetto in un contesto basso e comico.
I temi della poesia Nei suoi versi esalta le forme più basse e popolari del divertimento e del piacere: la «taver-
di Cecco na» (luogo proverbialmente contrapposto alla chiesa), il «dado» (gioco che esalta profanamen-
te la fortuna, in opposizione alla concezione provvidenzialistica cristiana, secondo la quale tut-
to è nelle mani di Dio) e il godimento carnale (il sesso e la tavola). Fra i personaggi presi di mi-
ra ci sono il padre avaro ( T12, p. 115) e l’amante Becchina, donna senza scrupoli e molto lon-
tana dalla donna-angelo stilnovistica ( T13, p. 117).
Le forme della Se gli stilnovisti vanno alla ricerca di un volgare illustre privo di caratterizzazioni locali, Cecco in-
poesia di Cecco vece gioca con l’espressività della lingua quotidiana senza nascondere la sua senesità, ma soprat-
tutto accoglie nella lingua letteraria tutto un vocabolario basso e plebeo che in nessun modo sa-
rebbe potuto entrare nella poesia di Cavalcanti o in quella del giovane Dante: ecco dunque che
nelle sue poesie compaiono le parole della vita di tutti i giorni (come «fiasco» e «tagliere») e,
anche, quelle che si riferiscono a quelle parti del corpo che la lirica alta d’amore non nomina
mai (le «budelle» e il «culo»). Il risultato di questo impasto tematico e stilistico è di una comici-
tà prorompente. Dietro il tono scanzonato e irriverente, però, nella poesia di Cecco si agita un
sottofondo malinconico, che rende più problematica e interessante l’arte di questo scrittore
raffinato, che ha attirato il particolare favore dei moderni, a partire soprattutto da Pirandello.
Folgòre da San Molto vicina all’esperienza degli altri poeti comici per il suo carattere interamente laico, ma
Gimignano priva del tono giocoso e plebeo, è l’opera di Jacopo di Michele, detto Folgòre da San Gimigna-
no. Nato intorno al 1270 e morto poco prima del 1332, fu ordinato cavaliere. Tema caratteristi-
co dei suoi sonetti è la nostalgia per la società cortese e feudale, contrapposta alla nuova re-
DIGIT
TESTI altà borghese dominata dalla logica economica. Nelle due collane di sonetti dedicate ai giorni
Folgòre da della settimana e ai mesi dell’anno, Folgòre celebra la vita delle nobili brigate in un’atmosfera
San Gimignano,
«Di febbraio» incantata e quasi fiabesca.
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono gli elementi che caratterizzano la poesia comica?
Quali sono i temi della poesia di Cecco Angiolieri?
CONFRONTI
STILNOVISMO E POESIA COMICA A CONFRONTO
111
PARTE PRIMA Il Medioevo
PARAFRASI
«Rosa1 fresca aulentissima ch’apari inver’ la state, 1-5 «[O] rosa fresca profumatissima che appari verso l’e-
le donne ti disiano, pulzell’ e maritate: state, le donne ti desiderano, nubili (pulzell’) e sposate:
tòglimi da questi fuochi (focora), se è la tua volontà (se
tràgemi d’este focora, se t’este a bolontate; t’este a bolontate); per causa tua non ho pace (ajo aben-
per te non ajo abento notte e dia, to) notte e giorno (dia), pensando sempre (pur) a voi, mia
5 penzando pur di voi, madonna mia». signora (madonna).
«Se di meve trabàgliti, follia lo ti fa fare. 6-10 «Se per me ti tormenti (di meve trabàgliti), te lo fa
fare la pazzia [: sei pazzo]. Potresti arare (arompere) il ma-
Lo mar potresti arompere, a venti asemenare,
re, seminare ai venti, accumulare (asembrare) tutta quan-
l’abere d’esto secolo tutto quanto asembrare: ta la ricchezza (l’abere) di questo mondo (secolo): non po-
avere me non pòteri a esto monno; tresti (pòteri) avermi a questo mondo; piuttosto (avanti)
10 avanti li cavelli m’aritonno». mi taglio (aritonno) i capelli [: mi faccio monaca].
«Se li cavelli artónniti, avanti foss’io morto, 11-15 «Se ti tagli (artónniti) i capelli, che io sia ucciso
ca’n issi sì mi pèrdera lo solaccio e ’l diporto. (foss’io morto) prima, perché con essi (ca’n issi) io perde-
rei la gioia (solaccio) e il [mio] piacere (diporto). Quando
Quando ci passo e véjoti, rosa fresca de l’orto, passo qui (ci) e ti vedo (véjoti), fresca rosa del giardino
bono conforto dónimi tuttore: (orto), mi dai sempre (dónimi tuttore) grande piacere
15 poniamo che s’ajúnga il nostro amore». (bono conforto): decidiamo (poniamo) che il nostro
amore si congiunga».
«Ke ’l nostro amore ajúngasi, non boglio m’atalenti: 16-20 «Non voglio [che] mi piaccia (m’atalenti) [: non
se ci ti trova pàremo cogli altri miei parenti, mi va] che il nostro amore si congiunga: se mio padre
(pàremo) con gli altri miei parenti ti trova qui (ci), bada
guarda non t’arigolgano questi forti correnti. (guarda) [che] questi forti corridori (correnti) non ti rag-
Como ti seppe bona la venuta, giungano (t’arigolgano). Come ti piacque (seppe bona) il
20 consiglio che ti guardi a la partuta». venire [qui], ti consiglio di fare attenzione (che ti guardi)
alla partenza».
«Se i tuoi parenti trovanmi, e che mi pozzon fare? 21-25 «Se i tuoi parenti mi trovano, e che mi possono fa-
re? Gli assegno (mèttonci) una multa (difensa) di duemi-
Una difensa mèttonci di dumili’ agostari:2
la augustali: tuo padre (pàdreto) non mi toccherebbe per
non mi toccara pàdreto per quanto avere ha ’n Bari.3 quante [siano le] ricchezze (avere) [che vi] sono (ha) in
Viva lo ’mperadore,4 grazi’ a Deo! Bari. Viva l’imperatore, grazie a Dio! Capisci, [o] bella,
25 Intendi, bella, quel che ti dico eo?» quel che io ti dico?».
Metrica: strofe di cinque versi: i primi tre re: è desiderata dalle donne, cioè le donne de- 4 ’mperadore: nel 1231 l’imperatore Federico
sono composti da doppi settenari (che for- siderano essere adorne della bellezza femmi- II di Svevia aveva istituito le Costituzioni di
mano il cosiddetto verso alessandrino); i nile e coinvolte nell’amore. Melfi, nelle quali era prevista la possibilità di
due successivi sono endecasillabi. Lo sche- 2 agostari: variante siciliana di “augustali”, difendersi, per chi veniva aggredito, pronun-
ma delle rime è AAA, BB. monete d’oro fatte coniare da Federico II. ciando il nome dell’imperatore e stabilendo
3 Bari: una delle città più ricche del regno una multa per l’aggressore se avesse insistito
1 Rosa: rappresenta la femminilità e l’amo- meridionale. nei suoi propositi.
112
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
«Tu me no lasci vivere né sera né maitino. 26-30 «Tu non mi lasci vivere né sera né mattino. Io sono
una donna che possiede (di) monete d’oro (pèrperi) e oro
Donna mi so’ di pèrperi,5 d’auro massamotino.6
massamotino. Se [tu] mi dessi (donàssemi) tanta ricchez-
Se tanto aver donàssemi quanto ha lo Saladino,7 za (aver) quanta [ne] ha il Saladino, e in aggiunta quanta
e per ajunta quant’ha lo soldano, ne ha il Sultano (soldano), non mi potresti toccare sulla
30 toccare me non pòteri a la mano». mano».
«Molte sono le femine c’hanno dura la testa, 31-35 «Le femmine che hanno la testa dura [: testarde]
e l’omo con parabole l’adímina e amonesta: sono molte, e l’uomo con le parole le domina (l’adímina)
e persuade (amonesta) tanto la [: la femmina] incalza
tanto intorno procazzala fin che·ll’ha in sua podesta. (procazzala) da tutti i lati (intorno) finché la ha in suo po-
Femina d’omo non si può tenere:
8 tere (podesta). La femmina non può fare a meno (non si
35 guàrdati, bella, pur de ripentere». può tenere) dell’uomo: sta’ attenta (guàrdati), [o] bella,
di non doverti pentire (pur de ripentere)».
«K’eo ne pur ripentésseme? davanti foss’io aucisa 36-40 «Che io me ne dovessi pentire (ne pur ripentéss-
ca nulla bona femina per me fosse ripresa! eme)? possa essere io (foss’io) uccisa prima che alcuna
(nulla) femmina onesta (bona) sia rimproverata (ripresa)
Aersera passàstici, correnno a la distesa. per colpa mia! Tempo fa (Aersera) sei passato di qua (pas-
Aquístati riposa, canzoneri: sàstici), correndo a più non posso (a la distesa). Prènditi
40 le tue parole a me non piaccion gueri». (Aquístati) riposo, canterino (canzoneri): a me le tue pa-
role non piacciono affatto (gueri)».
«Quante sono le schiantora che m’ha’ mise a lo core, 41-45 «Quanti sono i dolori (schiantora) che mi hai mes-
e solo purpenzànnome la dia quanno vo fore! so nel cuore, anche solo pensandoci (purpenzànnome) il
giorno (dia) quando esco (vo fore)! Non ho mai (ancore)
Femina d’esto secolo tanto non amai ancore amato una femmina di questo mondo tanto quanto amo
quant’amo teve, rosa invidïata: te (teve), [o] rosa desiderata (invidïata): credo veramente
45 ben credo che mi fosti distinata». (ben) che [tu] mi fosti destinata».
«Se distinata fósseti, caderia de l’altezze, 46-50 «Se a te fossi destinata, cadrei dalla [mia] altezza
ché male messe fòrano in teve mie bellezze. [: cadrei in basso], perché sarebbero (fòrano) sprecate
(male messe) con (in) te le mie bellezze. Se tutto [ciò] mi
Se tutto adiveníssemi, tagliàrami le trezze, accadesse (adiveníssemi), mi taglierei le trecce, e mi farei
e consore m’arenno a una magione, (m’arenno) suora (consore) in un convento (magione),
50 avanti che m’artocchi ’n la persone». piuttosto (avanti) che [tu] mi tocchi (m’artocchi) nel cor-
po (persone).
«Se tu consore arènneti, donna col viso cleri, 51-55 «Se tu ti fai (arènneti) suora, [o] donna con il viso
a lo mostero vènoci e rènnomi confleri: luminoso (cleri), vengo (vènoci) al monastero e mi faccio
frate (rènnomi confleri): lo farei volentieri per superare
per tanta prova vencerti fàralo volonteri. nei tuoi confronti (per… vencerti) una simile (tanta) pro-
Conteco stao la sera e lo maitino: va [: per ottenerti attraverso una così grande prova d’amo-
55 besogn’è ch’io ti tenga al meo dimino». re]. Starei (stao) con te la sera e il mattino: è necessario
che io ti abbia in mio potere (dimino).
«Boimè tapina misera, com’ao reo distinato! 56-60 «Ohimé misera infelice (tapina), che destino cru-
Geso Cristo l’altissimo del tutto m’è airato: dele (reo) ho (ao)! L’altissimo Gesù Cristo è irato con me
fortemente (del tutto): mi hai concepita per incontrare (a
concepístimi a abàttare in omo blestiemato. abàttare) un uomo irrispettoso (blestiemato). Percorri
Cerca la terra ch’este granne assai, (Cerca) la terra che è tanto (assai) grande, [e] troverai una
60 chiù bella donna di me troverai». donna più bella di me».
«Cercat’ajo Calabrïa, Toscana e Lombardia, 61-65 «Ho percorso Calabria, Toscana e Lombardia, Pu-
Puglia, Costantinopoli, Genoa, Pisa e Soria, glia, Costantinopoli, Genova, Pisa e Siria, Germania (La-
magna) e Baghdad (Babilonïa) e tutta l’Africa del nord
Lamagna e Babilonïa e tutta Barberia: (Barberia): non vi ho trovato [nessuna] donna altrettanto
donna non ci trovai tanto cortese, squisita (cortese), per cui ti ho scelta (te prese) [come]
65 per che sovrana di meve te prese». mia (di meve) signora (sovrana)».
5 pèrperi: monete d’oro coniate dall’impera- governavano l’Africa del nord e l’Andalusia. 8 Femina: il corteggiatore passa a un tono a
tore di Bisanzio. 7 Saladino: il famoso principe musulmano sua volta arrogante, degradando l’amata da
6 d’auro massamotino: l’oro pregiato usato Salaha al-Din (1138-1193), sultano d’Egit- madonna (v. 5) a Femina, al quale risulta af-
per le monete coniate dai califfi Almoadi, che to. fine bella (già al v. 25).
113
PARTE PRIMA Il Medioevo
«Poi tanto trabagliàstiti, faccioti meo pregheri 66-70 «Poiché ti sei tormentato (trabagliàstiti) tanto, ti
prego (faccioti meo pregheri) di andare (che tu vadi) a ri-
che tu vadi adomànnimi a mia mare e a mon peri.
chiedermi (adomànnimi) [in sposa] a mia madre e a mio
Se dare mi ti degnano, menami a lo mosteri, padre (mon peri). Se degnano di darmi [in moglie] a te,
e sposami davanti da la jente; conducimi (menami) in chiesa (mosteri), e sposami da-
70 e poi farò le tuo comannamente». vanti alla gente [: pubblicamente]; e poi obbedirò (farò) ai
tuoi desideri (comannamente).
[…]
«Meo sire, poi juràstimi, eo tutta quanta incenno. 156-160 «[O] mio signore (sire), poiché mi hai fatto giura-
Sono a la tua presenzïa, da voi9 non mi difenno. mento (juràstimi), io prendo fuoco (incenno) tutta quanta.
Mi offro a te (Sono a la tua presenzïa), non mi difendo [più]
S’eo minespreso àjoti, merzé, a voi m’arenno. da voi. Se io ti ho (àjoti) disprezzato (minespreso), [chiedo]
A lo letto ne gimo a la bon’ora, perdono (merzé), mi arrendo a voi. Andiamocene (ne gimo)
160 ché chissa cosa n’è data in ventura». subito (a la bon’ora) a letto, dato che questo fatto (chissa co-
sa) ci è assegnato in sorte (data in ventura).
Antologia della poesia italiana. Duecento, cit.
9 voi: rivolgendosi al suo corteggiatore, la donna passa dal “tu” al “voi”, a esprimere la devozione e il rispetto nei riguardi dell’uomo.
ANALISI La lingua tra alto e basso In questo componimento si alternano un registro alto e cortese
e uno basso e popolare. Al linguaggio della tradizione cortese appartengono espressioni come
«lo solaccio e ’l diporto» (v. 12), «donna col viso cleri» (v. 51), «donna non ci trovai tanto cor-
tese» (v. 64). Ricorrono inoltre numerosi latinismi («aulentissima», v. 1, deriva dal latino olere
‘avere odore’), francesismi («mon peri», v. 67), e provenzalismi («maitino», v. 26; «amonesta»,
v. 32), che hanno la funzione di nobilitare e impreziosire, in chiave parodica, il testo. Al registro
basso appartengono invece espressioni popolaresche come «Lo mar potresti arompere, a
venti asemenare» (v. 7), «avanti li cavelli m’aritonno» (v. 10), «Molte sono le femine ch’hanno
dura la testa» (v. 31) e altre ancora più plebee che si trovano nella parte non antologizzata.
Sono presenti anche forme tipiche del dialetto siciliano: i plurali arcaici «focora» (v. 3) e
«schiantora» (v. 41); la posposizione del pronome possessivo «pàremo» (v. 17) e «pàdreto» (v.
23); l’uso di forme verbali antiche, come «ajo», «pòteri», «pèrdera» (vv. 4, 9, 12). Numerosi
sono anche i fenomeni fonetici dei dialetti meridionali: come b per v («bolontate», v. 3), nz per
ns («penzando» v. 5), nn per nd («arittonno», v. 10), zz per cc («trezze», v. 48).
INTERPRETAZIONE Il rapporto uomo-donna In questo contrasto il rapporto fra uomo e donna non è quello con-
E COMMENTO templativo e distante della poesia cortese. Qui la donna parla per esprimere in prima persona
rifiuto o assenso. Inoltre, dimostra di avere anche lei desideri erotici, come si evince dalla bat-
tuta finale: “Andiamo subito a letto, dato che questo è il nostro destino”. Ma il cedimento fem-
minile è graduale: nel Medioevo le donne non potevano esprimere liberamente il loro istinto
sessuale; dovevano quindi tutelarsi attraverso il legame matrimoniale per poter legittimare il
loro desiderio (vv. 66-70). Il rapporto uomo-donna era inteso in termini asimmetrici, segnato
dal potere della parte maschile. Come dichiara il corteggiatore ai vv. 31-35, per quanto molte
donne abbiano la testa dura, alla fine il maschio le convince e le domina.
114
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
PARAFRASI
S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo; 1-8 Se io fossi il fuoco, brucerei il mondo; se io
s’i’ fosse vento, lo tempesterei; fossi il vento, lo colpirei tempestosamente; se io
fossi l’acqua, lo annegherei; se io fossi Dio, lo farei
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; (mandereil’) andare a fondo [: sprofondare]; se io
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo; fossi il papa, allora sarei allegro (giocondo),
perché metterei nei guai (imbrigherei) tutti i cri-
stiani; se io fossi imperatore, sai che [cosa] farei?
5 s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo, Taglierei (mozzarei) a tutti la testa interamente
ché tutti cristïani imbrigherei; (a tondo).
s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei?
A tutti mozzarei lo capo a tondo.
S’i’ fosse morte, andarei da mio padre; 9-14 Se io fossi la morte, andrei da mio padre; se
10 s’i’ fosse vita, fuggirei da lui: io fossi la vita, fuggirei da lui: ugualmente (simi-
lemente) farei nei confronti di (farìa da) mia ma-
similemente farìa da mi’ madre.1 dre. Se io fossi Cecco, come io sono e fui, prende-
rei [per me] (torrei) le donne giovani e belle (leg-
S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui, giadre): e lascerei agli altri (altrui) le [donne] vec-
chie e brutte (laide = ‘schifose’).
torrei le donne giovani e leggiadre:
e vecchie e laide lasserei altrui.2
Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, cit.
DIGIT
1 S’i fosse morte...madre: l’odio per i genito- to logico: qui l’assurdo non sta nell’immagi-
ANALISI ATTIVA • ASCOLTO • ALTA LEGGIBILITÀ ri, che lo tengono a stecchetto e cercano di nare cose impossibili ma, proprio al contra-
ostacolare la sua vita scapestrata, è un moti- rio, nel presentare in via ipotetica una ovvia
Metrica: sonetto con rime incrociate nelle vo ricorrente nel canzoniere di Cecco. realtà di fatto. È un modo sottile e malizioso
quartine (ABBA, ABBA) e alternate nelle ter- 2 S’i’ fosse Cecco...altrui: continua la figura per dire, sotto il velo dell’ipotesi, quale sia la
zine (CDC, DCD). dell’ipotesi, ma con un evidente cambiamen- reale occupazione del poeta.
115
PARTE PRIMA Il Medioevo
ANALISI L’anafora e il ritmo della poesia Sul piano delle forme l’elemento caratterizzante del sonetto
è l’anafora. L’anafora è una figura retorica consistente nella ripetizione di una stessa parola (o di
più parole) all’inizio di frasi o versi successivi. Attraverso la ripetizione si sottolinea e rinforza un’im-
magine o un concetto. In questo sonetto l’anafora introduce una serie di ipotesi impossibili. Il ritmo
incalzante della prima quartina, in cui a ogni verso corrisponde un’ipotesi assurda, tende a rallen-
tarsi nel seguito della poesia (con due ipotesi nella seconda quartina e due nella prima terzina):
S’i’ fosse foco [...] s’i’ fosse papa [...] S’i’ fosse morte [...]
s’i’ fosse vento [...] s’i’ fosse ’mperator [...] s’i’ fosse vita [...]
s’i’ fosse acqua [...]
s’i’ fosse Dio [...]
L’ultima terzina si apre sempre con l’anafora «S’ì fosse», ma con un evidente cambiamento
logico: essere «Cecco» non è un’ipotesi, ma una realtà. Qui l’assurdo sta nel presentare come
ipotetico un fatto indiscutibile.
INTERPRETAZIONE Cecco, la parodia, la comicità Il testo è una parodia del genere provenzale del plazer (‘pia-
E COMMENTO cere’), componimento in cui si elencano le cose della vita – o i fatti o le persone – che più danno
diletto. Qui invece vengono elencati dolori che si abbattono sul mondo e sugli uomini. Il modello
del plazer è tuttavia rispettato proprio quando il lettore non se lo aspetterebbe più (vv. 12-14),
cioè là dove viene annunciata improvvisamente, sotto forma di ipotesi, una piacevole certezza
(l’ultima ipotesi è infatti realizzabile perché Cecco è davvero Cecco). L’effetto di comicità nasce
proprio dal contrasto fra l’iniziale vena ribelle e dissacratoria dell’autore e la finale constatazione
che ogni cosa resta infine quella che era: Cecco infatti resta donnaiolo come prima.
COMPRENSIONE
1. Le prime tre strofe del sonetto si presentano
come una dichiarazione di inimicizia rivolta contro (4 OLTRE IL TESTO Scrittura creativa
risposte):
a. la natura d. il papa g. il padre Il cantautore, attore e commediografo
italiano Giorgio Gaber (1939-2003) ha
b. il mondo e. l’imperatore h. l’amata
tratto ispirazione da questo sonetto
c. il Comune f. la morte per la canzone Io se fossi Dio (1980) e
per lo spettacolo teatrale Se io fossi
ANALISI Gaber (1984).
2. Lingua e stile La struttura del sonetto si fonda a. Reperisci su internet il testo della canzone e
su una precisa figura retorica: quale? Sottolineala nel riassumine il messaggio.
testo e prova a darne una definizione. b. Gaber propone un’attualizzazione del sonetto di
Cecco scagliando una lunga e feroce invettiva
3. Lingua e lessico Il sonetto si presenta come un
contro diverse categorie sociali e politiche. Sulla
elenco di ipotesi. Che tipo di periodo ipotetico ricorre
scia di Cecco e di Gaber, prova a comporre
nel testo? Quali forme verbali vengono impiegate?
anche tu un testo dal tono comico e tagliente in
cui, attraverso una serie di ipotesi paradossali,
INTERPRETAZIONE E COMMENTO ti metti nei panni dei rappresentanti della classe
4. Questo sonetto di Cecco è ricalcato su un genere dirigente del paese (puoi riferirti a cariche o
provenzale. Quale? nomi significativi). Organizza il testo intorno
all’anafora impiegata da Cecco «Se io fossi...»;
5. Il verso 12 introduce un brusco cambiamento nella scegli tu se scrivere in versi o in prosa.
catena delle ipotesi: perché?
116
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
PARAFRASI
– Becchin’amor! – Che vuo’, falso tradito? 1-4 – Becchina, amore! – Che vuoi, bugiardo (falso) tradi-
– Che mi perdoni. – Tu non ne se’ degno. tore? – [Voglio] che mi perdoni. – Tu non ne sei degno. –
Pietà (Merzé), in nome di Dio! – Tu vieni [da me] molto
– Merzé, per Deo! – Tu vien’ molto gecchito. umile (gecchito). – E verrò [da te] sempre [con tale atteggia-
– E verrò sempre. – Che sarammi pegno? mento]. – Che [cosa] mi darà (sarammi) garanzia (pegno)?
5 – La buona fé. – Tu ne se’ mal fornito. 5-8 – La buona fede (fé). – Tu ne sei poco (mal) fornito. –
Non nei tuoi confronti (inver’ di te). – Non [cercare di]
– No inver’ di te. – Non calmar, ch’i’ne vegno.1
calmar[mi], così che io ritorni a te (ne vegno). – In che
– In che fallai? – Tu sa’ch’i’ l’abbo udito.2 [cosa] ho sbagliato (fallai)? – Tu sai che io l’ho (l’abbo)
– Dimmel’, amor. – Va’, che ti veng’un segno! sentito dire (udito). – Dimmelo, amore. – Va’ [via], che ti
venga un colpo (un segno)!
– Vuo’ pur ch’i’ muoia? – Anzi mi par mill’anni. 9-14 – Vuoi veramente (pur) che io muoia? – Anzi mi sem-
10 – Tu non di’ ben. – Tu m’insegnerai. brano mille anni [: non vedo l’ora]. – Tu non dici bene [: par-
li in modo offensivo]. – Mi insegnerai tu [a dire bene]. – E
– Ed i’ morrò. – Omè, che tu m’inganni! [allora] io morirò. – Ahimè (Omè), [ecco] che tu mi inganni
[: purtroppo non è vero]! – Dio ti perdoni. – Ma perché (E
– Die tel perdoni. – E che, non te ne vai? che) non te ne vai? – Magari (Or) io potessi! – Ti trattengo
(Tègnoti) [forse] per i vestiti (panni)? – Tu possiedi (tieni)
– Or potess’io! – Tègnoti per li panni? il [mio] cuore. – E [lo] terrò per la tua rovina (co’ tuo’ guai).
– Tu tieni ’l cuore. – E terrò co’ tuo’ guai.
Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, cit.
Metrica: sonetto a rime alternate, secondo lo schema ABAB, ABAB; CDC, DCD.
1 ch’i’ne vegno: si può interpretare anche ‘che ora vengo a sfogare la mia rabbia
contro di te’, oppure ‘che ne ho appena fatta esperienza’.
2 l’abbo udito: forse la voce o il racconto di un tradimento (v. 1).
117
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
Un battibecco tra amanti
Tema del sonetto è il litigio tra due amanti, che si scontrano in un vivace e serrato battibecco. Ogni verso
presenta due battute: alle ripetute richieste di perdono di Cecco segue sempre il rifiuto di Becchina,
senza che la donna ceda minimamente alle ragioni dell’uomo.
Qual è la causa scatenante del litigio? In quale verso vi si allude?
ANALISI
Termini alti, contesto basso
Cecco riprende qui il genere tradizionale del contrasto, ma per sottoporlo a un rovesciamento parodico.
Con intento comico, il poeta impiega i termini illustri della tradizione cortese (come «merzé», che indica la
pietà della donna verso il poeta innamorato; «gecchito», aggettivo usato per esprimere la sottomissione
dell’uomo alla sua amata; «pegno» d’amore; e ovviamente «amor»), calandoli in un contesto basso sia
tematicamente (una lite assai meschina) sia stilisticamente (abbondano, soprattutto nelle risposte di
Becchina, i modi di dire e le forme popolari).
Quali sono le espressioni che rivelano l’origine popolare di Becchina?
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
L’amore e la donna: l’opposizione al modello stilnovistico
Nella poesia comica la rappresentazione dell’amore è del tutto opposta a quella dalla lirica illustre: non
più fonte di perfezionamento interiore, ma luogo di battibecchi. La donna amata è una figura carnale,
quasi sempre degradata: tutt’altro che la donna-angelo cantata dagli Stilnovisti. Becchina rappresenta la
donna popolana, priva di scrupoli e scostumata tanto da essere stata spesso definita l’«anti-Beatrice».
Questo sonetto mette in atto un rovesciamento parodico dell’amor cortese e della donna stilnovistica.
In una trattazione sintetica (max 10 righe) spiega in che cosa consiste la parodia facendo opportuni
riferimenti al testo, da mettere in relazione con la poesia di lode degli Stilnovisti ( in particolare T7,
p. 102 e T8, p. 104).
118
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
ZIONI
INFORMA
Alle origini della poesia comica: i Carmina Burana
Fra le diverse collezioni di poesie e di latino Bura Sancti Benedecti). I versi, vano i minimi obblighi liturgici per po-
canti goliardici, la raccolta dei Carmina in latino e in tedesco antico, risalgono ter frequentare le scuole, allora tutte
Burana è probabilmente la più famosa, alla fine del XII secolo e ai primi decen- dipendenti dall’autorità ecclesiastica.
grazie alla rielaborazione musicale no- ni del secolo XIII. Autori delle poesie e I Carmina Burana contengono canzoni
vecentesca operata dal compositore te- dei canti sono appunto i goliardi, ovve- morali e satire, nelle quali frequenti so-
desco Carl Orff. Il titolo deriva dal luogo ro i cosiddetti clerici vagantes: si tratta no i temi dell’amore e della devozione al
del ritrovamento del manoscritto: il mo- di studenti o insegnanti che avevano gioco e al vino. Proponiamo di seguito
nastero bavarese di Benediktbeuren (in preso gli ordini minori, oppure accetta- il noto Canto dei bevitori.
119
PARTE PRIMA Il Medioevo
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
LA POESIA RELIGIOSA
Nel Medioevo la religione ha un ruolo fondamentale nella vita delle perso- la poesia religiosa
ne. Ogni fenomeno terreno è ricondotto immediatamente alla sfera della
trascendenza: ciò che appare nell’orizzonte umano è simbolo del divino.
Di qui anche lo sviluppo di una ricca letteratura religiosa. In quest’ambi- san Francesco Jacopone
to il genere poetico è la lauda (dal latino laus, ‘lode’: si tratta infatti di lodi d’Assisi da Todi
alla Madonna, a Cristo, ai santi). Il primo esempio è il Cantico delle creatu- (1181-1226) (1236-1306)
re di san Francesco (1181-1226) in cui si prospetta un rapporto armonio-
so dell’uomo con la natura, con l’universo e con Dio. Con Jacopone da Todi rapporto pessimismo
(1236-1306) la lauda assume la forma metrica della ballata e approda a armonioso tra e misticismo
uomo e natura esaperato
toni più cupi. I temi della tradizione francescana si caricano del furore ja-
coponico contro il mondo corrotto, contro se stesso e contro l’umanità, col-
pevole di aver ucciso Cristo.
LA SCUOLA SICILIANA
La poesia lirica in Italia nasce con la Scuola siciliana, composta da un grup- Scuola siciliana (1230-1266)
po di poeti attivi nel periodo 1230-1266 alla corte stabilita in Sicilia dagli
imperatori Federico II di Svevia e Manfredi. Tra loro spicca il caposcuola Gia-
como da Lentini, che introduce la nuova forma del sonetto. Sulla scia del- caposcuola: forma tema
la tradizione dei trovatori provenzali, la Scuola siciliana ha come tema do- Giacomo metrica: dominante:
minante l’amore, inteso in senso cortese, cioè come “servitù” dell’uomo da Lentini sonetto l’amore
verso la donna.
I POETI SICULO-TOSCANI
Dopo il declino della civiltà letteraria siciliana, avvenuto intorno al 1266 poeti siculo-toscani
(battaglia di Benevento), la poesia si diffonde in Toscana, dove un grup-
po di rimatori agisce nell’ambiente comunale introducendo nuove forme tema dominante:
(come la ballata) e temi (come le lotte politiche cittadine). Tra i Siculo-to- lotte politiche cittadine
scani spicca Guittone d’Arezzo, maestro nella canzone politica e civile.
principale esponente:
Guittone d’Arezzo
120
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
LA POESIA COMICA
Tra la metà del Duecento e la fine del Trecento si sviluppa in Toscana anche poesia comica
la poesia comica, che deriva dalla poesia goliardica latina, diffusa in Fran-
cia e in Germania, e dalla poesia giullaresca in volgare (un esempio è il ce-
lebre Contrasto di Cielo d’Alcamo). Il maggior rappresentante della poesia origini temi
comica duecentesca è Cecco Angiolieri, che compie una parodia dello Stil-
novismo, celebrando, anziché la donna-angelo, i piaceri del sesso e della • poesia • parodia dello
tavola, la «taverna» e il «dado». goliardica latina Stilnovo
• poesia • celebrazione
giullaresca dei piaceri
in volgare terreni
principale esponente:
Cecco Angiolieri
VERIFICHE
1 La lauda
Nel Medioevo, la produzione letteraria d’argomento religioso dà origine a nuovi generi poetici, come per esempio la
lauda. Che cos’è una lauda?
a. un componimento in latino, di ispirazione religiosa, sullo schema della canzone
b. una ballata in lode della donna-angelo
c. una traduzione in volgare dei salmi biblici
d. un componimento in volgare, in lode della Madonna o di Cristo, sullo schema della ballata
121
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERIFICHE
6 «dolce stil novo»
Oltre che per lo stile “dolce”, lo Stilnovismo si caratterizza per la presenza di una serie di temi. Indica fra i seguen-
ti argomenti quali sono gli intrusi:
a. la lode della donna b. il saluto salvifico dell’amata
c. l’esaltazione della nobiltà di sangue d. le lotte politiche
e. l’adorazione della donna-angelo f. la “gentilezza” d’animo
g. i piaceri della carne h. il potere dello sguardo dell’amata
i. gli effetti anche devastanti dell’amore l. la riabilitazione delle donne popolane
7 Contrasto
In questo Capitolo abbiamo letto il celebre Contrasto di Cielo d’Alcamo. Che cos’è un contrasto?
a. una ballata in cui viene descritto un litigio tra due amanti
b. un componimento in versi e dialogato, in cui si svolge una disputa tra due personaggi
c. un sonetto che contiene un messaggio didattico-religioso
d. un testo destinato alla messa in scena teatrale
8 Cecco
Cecco Angiolieri è senz’altro un autore interessante e originale. Quali delle seguenti affermazioni è più appropriata
per descriverlo?
a. un poeta di origini popolari, che nella sua produzione affronta tematiche basse e volgari
b. un poeta colto che opera il capovolgimento della tradizione poetica illustre
c. un poeta impegnato, che denuncia la negatività del mondo suo contemporaneo
d. un poeta scanzonato che offre contenuti divertenti ma superficiali
122
CAPITOLO 2 La poesia tra umano e divino GENERE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A
ANALISI E INTERPRETAZIONE DI UN TESTO LETTERARIO
Cecco Angiolieri
«Il cuore in corpo mi sento tremare»
Il cuore in corpo mi sento tremare,
sì fort’è la temenza1 e la paura,
ch’i’ ho vedendo madonna in figura,2
contanto temo di lei innoiare.3
COMPRENSIONE
Partendo dalle note fornite, fai la parafrasi del testo.
ANALISI
Che tipo di lessico adotta il sonetto? Sapresti rintracciare alcuni termini tipici del linguaggio cortese?
A quali luoghi comuni della lirica amorosa s’ispira il sonetto?
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
Chiarisci quale visione della donna e dell’amore emerge in questo sonetto confrontandola con la
concezione stilnovista. Fa’ riferimento ai testi secondo te più significativi per cogliere il rapporto tra
Cecco e la tradizione lirica illustre.
123
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERIFICHE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C
RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO
SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
Nel brano sopra riportato, il sociologo polacco Zygmunt Bauman riflette sulla concezione
del sacro nella nostra epoca, sulle differenze rispetto al passato e sulle sue conseguenze
sul pensiero scientifico e sulla comune coscienza riflessa.
Affronta anche tu la tematica del rapporto con il sacro nella vita individuale e collettiva. A
partire dalla tua conoscenza del Medioevo, quale ruolo aveva il sacro nella vita cittadina e
in quella degli intellettuali di cui hai studiato le opere? Quali sono, invece, i lati negativi e
quelli positivi di avere ridimensionato la sfera del sacro nel mondo attuale? Fai riferimen-
to alla tua esperienza e alle tue riflessioni su questo argomento e, se puoi, paragonale a
quelle di persone più anziane che hai conosciuto.
Puoi articolare il tuo testo in paragrafi opportunamente titolati e presentare la trattazione
con un titolo complessivo che ne esprima sinteticamente il contenuto.
124
La partenza di Marco Polo, con il padre e lo zio, per la Cina. Miniatura da un manoscritto del Milione, 1410-12 ca. Parigi, Bibliothèque Nationale de France.
CAPITOLO 3 TEMI
La città, i mercanti
e i viaggiatori PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
1 La città e il mercante
La rinascita delle Dopo l’anno Mille si assiste a una ripresa della vita nelle città, con una crescita vertiginosa
città europee della popolazione residente e il conseguente ampliamento delle loro cinte murarie. Il fenome-
no, pur interessando tutta l’Europa, fu particolarmente rilevante in Italia, dove fiorirono i
centri urbani più grandi e popolati. Alla fine del XIII secolo, Milano, Venezia, Genova e Fi-
renze raggiungono o superano i 100.000 abitanti. La vita cittadina ruota intorno alla piazza e
al Palazzo pubblico ( Informazioni, I luoghi della città: la chiesa, il Palazzo pubblico e la piazza,
p. 126); ma anche la campagna, che si estende oltre le mura, conserva con il centro urbano uno
stretto rapporto di interdipendenza.
La nuova figura del Lo sviluppo delle città determina la nascita di una nuova figura sociale, dedita al commercio,
mercante ai traffici, all’artigianato cittadino: il mercante. Questa nuova classe non rientra nello schema
tripartito della società feudale: si distingue dalla nobiltà, la cui ricchezza si basa sulla proprietà
terriera; dal clero, i cui princìpi sono decisamente ostili all’attività mercantile (la Chiesa con
dannava sia l’usura sia la ricerca di ricchezza); dai servi della gleba, legati alle terre del signore
e a lui sottomessi. I mercanti hanno come antenati i poveri, la gente senza occupazione e senza
averi che offre il proprio lavoro, ma di generazione in generazione questi poveri acquistano be
ni, merci da trasportare da un luogo all’altro e da rivendere, e grazie alla loro iniziativa indivi
duale si conquistano una posizione.
Il ruolo economico Le conseguenze dell’avvento di questa nuova classe sono importantissime. Nel mondo immobile
e politico del feudo, che vive della terra, di un ciclo produttivo sempre uguale, di una rendita fissa, il mer-
cante introduce lo spirito di iniziativa, la ricerca del guadagno, ma anche il lavoro libero e so
prattutto la circolazione del denaro. Lo scambio delle merci sarebbe impossibile senza il denaro e
senza l’attività di banchieri che lo prestano finanziando le imprese commerciali: nasce così il capi
tale mobile, e il denaro, ormai mezzo universale di scambio, diventa produttivo, permette cioè la
nascita di attività commerciali che prima non esistevano e che creano investimenti e ricchezza.
125
PARTE PRIMA Il Medioevo
ZIONI
INFORMA
I luoghi della città: la chiesa, il Palazzo pubblico e la piazza
I luoghi tipici della civiltà feudale erano La cattedrale deve trasmettere un’im- noterra di solito è porticato, ospita le
il castello e il monastero. I luoghi tipici pressione di severità o di eleganza, per botteghe artigiane e, a volte, le adu-
della civiltà comunale sono invece la invitare al raccoglimento religioso: in nanze cittadine. Le assemblee si svol-
chiesa e il Palazzo pubblico, sede del questo periodo fioriscono le grandi gono invece nelle sale al piano supe-
governo, come è possibile ancora oggi chiese romaniche e poi gotiche. La loro riore. Il Palazzo pubblico deve anche
comprendere osservando i centri sto- costruzione è un’impresa al cui finan- comunicare un sentimento di forza, ed
rici delle nostre città medievali. ziamento concorre la maggior parte ha per questo un aspetto spesso a
Attorno alla chiesa più importante, il “duo- dei cittadini del Comune, appartenenti metà strada tra il palazzo elegante e il
mo” (che nel caso di città che ospitavano a tutte le classi sociali. Per una città, bastione fortificato. Il terzo luogo si-
vescovi era anche chiesa “cattedrale”, l’edificazione di una cattedrale bella e gnificativo della città è la piazza: meta
cioè sede della cattedra vescovile), si ricca è motivo di orgoglio e di prestigio, di pellegrini e punto di raccolta della
svolge la vita religiosa della città, animata anche nei confronti delle altre città. popolazione per il mercato, per le feste
nel Duecento da nuovi ordini religiosi Nel Palazzo pubblico si svolge invece religiose e per le processioni (a lungo
( Capitolo 2) che interpretano una dif- la vita civile, con le riunioni dei consigli vi vennero eseguite anche le sentenze
fusa esigenza di riforma della Chiesa. direttivi e le assemblee cittadine. Il pia- capitali).
126
CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
Il ruolo dei Profitto e interesse sono le motivazioni profonde dell’attività del mercante. Ma insieme alla
mercanti nella pratica dell’utile si sviluppa parallelamente anche una mentalità laica e razionale, che si af
trasformazione
della mentalità e fermerà in pieno nel Trecento e nel Quattrocento, mettendo in crisi la tradizionale visione re
della cultura ligiosa della realtà. I concetti chiave della nuova etica mercantile sono la fortuna, la ragione e
la prudenza: la fortuna tende a sostituire la Divina Provvidenza; la ragione viene intesa come
capacità integralmente umana di conoscere la natura delle cose per poterle dominare e sfrut
tare; la virtù cristiana della prudenza si trasforma in una virtù utilitaristica che ha il solo scopo
di assicurare il successo individuale. C’è in tutto ciò un desiderio di razionalità e di precisione,
che mira a spiegare il mondo con criteri puramente umani.
Un nuovo spazio e Dalla nuova mentalità laica e razionale nasce anche una nuova visione dello spazio e del tem
un nuovo tempo po. Il mercante è costantemente preoccupato di misurare e di calcolare la lunghezza dei suoi
viaggi e il tempo necessario per compierli, la durata dei prestiti, delle dilazioni nei pagamenti
e degli investimenti. Tutto questo gli permette di avere una visione nuova e diversa dell’in-
tera vita sociale della città.
Il viaggio nel Nel Medioevo si viaggia molto e per diversi motivi: religiosi, politici, culturali e infine anche
Medioevo economici. Spesso erano i monaci a viaggiare, spostandosi di monastero in monastero o per
fondarne di nuovi; ma animati da scopi religiosi sono anche i pellegrini che percorrono le vie in
direzione di Roma (la via Francigena o Romea) o degli altri luoghi sacri della cristianità, men
tre i giovani borghesi hanno come meta i più rinomati centri universitari e gli ambasciatori cu
rano le relazioni politiche con alleati e nemici. Ma a quel tempo viaggiare era difficile e peri-
coloso: le strade erano malsicure e battute da briganti, i mezzi di locomozione scomodi e len
ti, mancavano carte geografiche attendibili dei posti più lontani e spesso ci si affidava ai raccon
ti, più o meno credibili, di altri viaggiatori.
La letteratura di Anche i mercanti sono grandi viaggiatori, curiosi, spregiudicati e intraprendenti. Il viaggio d’af
viaggio fari del mercante è sempre un azzardo, ma egli accetta il rischio, cercando di ricavare, dall’in
contro con le diverse culture, occasioni di arricchimento. Il libro di viaggi più famoso nel Me
dioevo è significativamente dovuto alla collaborazione fra un mercante veneziano, Marco Po
lo, e un autore di romanzi cavallereschi, Rustichello da Pisa: si tratta del Milione, resoconto del
la spedizione in Oriente compiuta da Polo fra gli anni 1274 e 1295 ( §3).
Il tempo del Oltre che dello spazio, il mercante si appropria anche del tempo, calcolandolo secondo i propri
mercante bisogni: mentre nelle campagne il tempo resta quello ciclico della natura e delle feste religio
se, nelle città se ne sviluppa un diverso uso, legato agli affari economici. Per il mercante, anche
il tempo è denaro. Viene inventato l’orologio meccanico che, dalla fine del XIII secolo, sostitui
sce, al tempo ciclico e rituale della precedente società rurale, il tempo matematico astratto, più
preciso e più utile alle attività del mercante.
FACCIAMO IL PUNTO
In che modo la figura del mercante si distingue dalla nobiltà, dal clero e dai servi della gleba?
Qual è il libro di viaggi più famoso del Medioevo?
127
PARTE PRIMA Il Medioevo
Gli autori principali Le vicende principali delle città più dinamiche e più ricche sono raccontate con efficace reali
smo da vari autori: Bonvesin de la Riva (1240 ca.1315 ca.) ci ha lasciato un importante docu
mento storico dell’ascesa economica di Milano ( T1); Martin da Canal ha tratteggiato un qua
dro di Venezia; Dino Compagni e Giovanni Villani hanno invece descritto il prestigio politi
co, commerciale e culturale della loro città, Firenze ( T2, p. 131).
La Cronica Mentre Firenze assume gradualmente il predominio in Toscana e diventa una delle città più
di Dino Compagni importanti d’Europa, diviene anche la sede privilegiata di diffusione del genere della cronaca
cittadina. Il capolavoro di questo tipo di storiografia è la Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi
DIGIT suoi, scritta tra il 1310 e il 1312 da Dino Compagni (1260 ca.1324), un mercante fiorentino con
TESTI
Dino Compagni, temporaneo di Dante Alighieri ed esponente come lui del partito dei guelfi bianchi (opposito
Le atrocità
dei Neri ri dell’ingerenza papale e favorevoli ad una soluzione autonoma dei problemi fiorentini, con
trapposti ai Neri, sostenitori invece di papa Bonifacio VIII). Con l’arrivo di Carlo di Valois a Fi
renze e la vittoria dei Neri, Dino Compagni, pur evitando l’esilio, fu costretto a ritirarsi defini
tivamente dalla politica. Accolse con entusiasmo, come fece Dante, la notizia della discesa
dell’imperatore Arrigo VII in Italia, vedendo in essa un’occasione della rivincita dei Bianchi e di
una soluzione equilibrata dei problemi della città. Concepì allora la sua Cronica, rimasta poi in
terrotta quando, nel 1313, Arrigo VII morì. Compagni rifiuta il disegno della storia universale e
il tradizionale procedimento annalistico e sceglie invece una struttura monografica: non ri
ferisce cioè gli avvenimenti anno per anno, ma si concentra sul periodo fra il 1280 e il 1312,
analizzando, in particolare, il conflitto fra Bianchi e Neri. Egli dichiara di voler testimoniare
solo «il vero delle cose certe», rifacendosi a quanto ha direttamente visto o sentito oppure a
quanto gli è stato detto da persona degna di fede. Tuttavia, la sua Cronica è opera di parte, pie-
na di passioni e di giudizi morali e politici che riguardano soprattutto l’operato degli espo
nenti dei Neri e del loro aggressivo capofila, Corso Donati ( T3, p. 134).
La Cronica Giovanni Villani, mercante guelfo di parte nera, compone un’importante Cronica nella quale
di Giovanni Villani racconta la storia di Firenze dalle origini fino alle soglie del 1348, l’anno della grande peste
in cui anche Villani morì. Con precisione mercantile, sono descritte minuziosamente le en
128
CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
trate e le uscite del comune di Firenze, i soldati, la popolazione civile, i battesimi, le chiese, le
botteghe e persino i capi di bestiame e le derrate alimentari che ogni anno servono a sfamare
la città. La Firenze descritta da Villani è la stessa città che fa da sfondo a molte novelle del De-
cameron: è un organismo sociale ed economico attivo e dinamico, luogo di incontro e di scon
tro fra tipi umani diversi.
FACCIAMO IL PUNTO
Dove si afferma in Italia la prosa in volgare?
Qual è il genere in prosa volgare che si afferma maggiormente? Quali sono le sue caratteristiche?
L’elogio di Milano
Nella seconda metà del Duecento, Milano divenne un centro urbano sviluppato e importante, sede di vi-
vaci attività mercantili. Bonvesin de la Riva, nel De Magnalibus Mediolani [Le meraviglie di Milano],
scritto intorno al 1280, celebra entusiasticamente la propria città, esaltando, con spirito campanilistico,
l’ingegno dei milanesi. Qui l’autore fa un elenco dettagliato dei mestieri esercitati a Milano, così da poter
poi tracciare l’immagine di un luogo ricco di opportunità.
I TEMI Milano come città ideale
III. XIVXXXIII Quante comunque siano le bocche umane che abitano una città così grande lo
calcoli chi ci riesce. Se lo saprà fare fino in fondo, arriverà, ne sono convinto, alla somma di due
centomila circa, giacché serie e accurate indagini hanno provato con certezza che nella sola città
si consumano ogni giorno, in media, milleduecento moggi1 di grano e anche più; e la verità di
5 questa asserzione è garantita da quelli che fanno pagare ai mulini i tributi sul grano macinato. […]
I notai sono più di millecinquecento; moltissimi tra loro sono ottimi estensori di contratti.
[…]
I chirurghi delle diverse specialità sono più di centocinquanta. Moltissimi di loro sono me
dici dalle spiccate attitudini, i quali continuano a esercitare, per antica tradizione di famiglia,
10 la chirurgia appresa dai loro padri. Si crede che non possano avere l’uguale nelle altre città
della Lombardia. […]
I maestri elementari superano il numero di settanta.
I copisti, benché in città non vi sia Studio generale, superano il numero di quaranta. Tra
scrivendo ogni giorno libri con le loro mani, essi provvedono al pane e alle altre spese.
15 I forni che in città, come si sa dai registri del comune, cuocciono il pane ad uso dei cittadi
ni sono trecento. Ve ne sono anche moltissimi altri esenti, che servono monaci o religiosi di
ambo i sessi; penso siano più di cento.
I bottegai, che vendono al minuto2 un numero incredibile di mercanzie, sono sicuramente
più di mille.
20 I macellai sono più di quattrocentoquaranta; nei loro macelli vengono vendute in abbon
danza ottime carni di ogni tipo di quadrupedi adatti al nostro consumo. […]
Se volessi elencare ordinatamente anche il numero degli artigiani di ogni tipo, dei tessitori
di lana, di lino, di cotone, di seta, dei calzolai, dei conciatori di pelli,3 dei sarti, dei fabbri d’ogni
genere e così via; e poi dei mercanti che girano ogni parte della terra per i loro mercati e sono
1 moggi: il moggio è un’antica misura di capacità usata special 2 al minuto: al dettaglio, direttamente ai consumatori.
mente per le granaglie, di valore differente a seconda dei tempi 3 conciatori di pelli: lavoratori specializzati nella concia, ossia
e dei luoghi. nella trasformazione della pelle degli animali in cuoio.
129
PARTE PRIMA Il Medioevo
25 parte importante nelle fiere delle altre città; e infine dei merciai ambulanti e dei venditori all’a
sta: io credo che quanti mi leggono e mi ascoltano ammutolirebbero, per così dire, dallo stupo
re. Queste precisazioni si riferiscono alla sola città e limitandoci a esse: bastano infatti a fare
comprendere l’elevato numero dei cittadini e l’abbondante afflusso dei forestieri in questa città.
IV. XVIIXVIII Entro la città, quattro volte all’anno, si tengono mercati generali, e cioè: il
30 giorno della ordinazione del beato Ambrogio; la festa del beato Lorenzo; l’Assunzione della
beata Madre di Dio e la festa del beato Bartolomeo.4 A tutti questi mercati mirabilmente5
affluiscono, in numero quasi incalcolabile, venditori e compratori delle varie merci. Inoltre, in
due giorni di ciascuna settimana, cioè il venerdì e il sabato, in diverse parti della città si tiene
un mercato comune. Anzi, ciò che conta di più, anche ogni giorno quasi tutti i beni necessari
35 agli uomini vengono esposti in abbondanza non solo in luoghi determinati, ma nelle piazze,
e messi in vendita con gridi di richiamo. Anche nei borghi e nelle ville del nostro contado6
si tengono molte fiere, che si ripetono tutti gli anni in giorni fissi. In molte di tali località si
tengono fiere settimanali, e a tutte concorrono in gran numero mercanti e compratori. Da
quanto s’è detto sopra, risulta evidente che nella nostra città chi ha sufficiente denaro vive
40 ottimamente, sapendo di avere a portata di mano tutto quanto può dar piacere all’uomo.
Risulta anche altrettanto evidente che qui, a meno che non sia una nullità, qualsiasi uomo,
purché sia sano, può ottenere guadagni e dignità secondo il proprio stato.
E a questo punto si noti che qui, come abbondano i beni temporali,7 così prospera feconda
anche la popolazione. Vedendo infatti nei giorni di festa folle di uomini dignitosi, sia nobili sia
45 popolani, che si divagano; e anche i crocchi8 chiassosi di fanciulli che corrono senza posa di qua
e di là, e i gruppi dignitosi e le dignitose schiere di matrone e di vergini,9 le quali, con una dignità
che si direbbe di figlie di re, vanno e vengono oppure stanno sulle porte delle case: chi potrebbe
dire di avere trovato mai, al di qua o al di là del mare, uno spettacolo di folla così meraviglioso?
Bonvesin da la Riva, De Magnalibus Mediolani, trad. it. di G. Pontiggia, Bompiani, Milano 1992.
4 il giorno della ordinazione...beato Barolomeo: 5 mirabilmente: in maniera straordinaria. 7 beni temporali: ricchezze materiali.
si tratta di quattro feste liturgiche (celebrate il 7 6 nei borghi...contado: nelle zone (borghi = 8 crocchi: gruppi di persone riunite.
dicembre, il 10, il 15 e il 24 agosto), che avevano ‘quartieri fuori dalle mura cittadine’; ville = 9 di matrone e di vergini: di signore (matrone
perduto il loro valore esclusivamente religioso ‘poderi di campagna’) della campagna (con- = ‘donne sposate’) e di donne non sposate (ver-
e coincidevano con i giorni di mercato. tado) intorno a Milano. gini).
130
CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
INTERPRETAZIONE Tendenza all’idealizzazione Supportata dai numeri, la descrizione di Milano fatta da Bonve-
E COMMENTO sin è orientata a delineare una città ideale, degna di grande ammirazione («io credo che quanti
mi leggono e mi ascoltano ammutolirebbero, per così dire, dallo stupore»; «chi potrebbe dire
di avere trovato mai, al di qua o al di là del mare, uno spettacolo di folla così meraviglioso?»);
mentre sono taciuti gli aspetti “scomodi” o conflittuali della realtà cittadina (la presenza di
poveri, la forza dei movimenti ereticali, ecc.). Si afferma un’immagine di Milano – che soprav-
vive ancora oggi – quale città laboriosa e favorevole al successo di chi abbia capacità e voglia
di darsi da fare («qui, a meno che non sia una nullità, qualsiasi uomo, purché sia sano, può
ottenere guadagni e dignità»).
Stimavasi d’avere in Firenze da 90.000 bocche,1 tra uomini e femmine e fanciulli, per l’av-
viso del pane che bisognava al continuo2 alla città, come si potrà comprendere; ragionavasi
avere continui3 nella città da 1.500 uomini forestieri e viandanti e soldati: non contando
nella somma de’ cittadini religiosi e frati e monache rinchiusi,4 onde faremo menzione
5 appresso.5 Ragionavasi avere in quei tempi nel contado e distretto6 di Firenze da 80.000
uomini. Troviamo dal piovano,7 che battezzava i fanciulli (imperocché8 ogni maschio che
si battezzava in san Giovanni,9 per averne il novero10 metteva una fava nera, e per ogni
femmina una fava bianca) ch’erano l’anno in questi tempi dalle 55 alle 60 centinaia,11
1 Stimavasi...bocche: Si riteneva che vi fossero 4 rinchiusi: in convento di clausura. 8 imperocché: dal momento che.
a Firenze circa (da) 90.000 abitanti (bocche). 5 onde...appresso: dei quali parleremo in 9 san Giovanni: il celebre battistero di Fi-
2 per l’avviso...al continuo: tenendo come seguito. renze.
dato di riferimento il pane che necessitava 6 nel contado e distretto: nella campagna e 10 per averne il novero: per tenerne il conto.
ogni giorno. nel territorio. 11 dalle...centinaia: tra 5.550 e 6.000.
3 continui: quotidianamente. 7 piovano: parroco.
131
PARTE PRIMA Il Medioevo
avanzando più il sesso masculino che ’l femminino da 300 in 500 per anno.12 Troviamo
10 ch’è fanciulli e fanciulle che stanno a leggere,13 da 8.000 a 10.000. I fanciulli che stanno
ad imparare l’abbaco e algorismo14 in sei scuole, da 1.000 in 1.200. E quegli che stanno ad
apprendere grammatica e loica15 in quattro grandi scuole, da 550 in 600. […]. Le botteghe
dell’arte della lana erano 200 o più: e facevano da 70.000 a 80.000 panni, che valevano da
1.200.000 di fiorini d’oro, che bene il terzo più rimaneva nella terra per ovraggio,16 senza
15 il guadagno de’ lanaioli del detto ovraggio, e viveanne più di 30.000 persone. Ben trovia
mo che da trent’anni addietro erano trecento botteghe o circa, e facevano per anno più di
100.000 panni: ma erano più grossi e della metà valuta,17 perocché allora non ci entrava18
e non sapeano lavorare la lana d’Inghilterra. […]. Il collegio de’ giudici era da ottanta; i no
tai da seicento; medici fisici e cerusici19 da sessanta; botteghe di speziali erano da cento.
20 Mercanti e merciai erano grande numero; da non potere stimare le botteghe de’ calzolai,
pianellai e zoccolai; erano da trecento e più quelli ch’andavano fuori di Firenze a negozia
re, e molti altri maestri di più mestieri, e maestri di pietra e di legname.20 Aveva allora in
Firenze 146 forni; e troviamo per la gabella21 della macinatura e per li fornai, che ogni dì
bisognava alla città dentro centoquaranta moggia22 di grano: onde si può estimare quello
25 che bisognava l’anno; non contando che la maggior parte de’ ricchi e nobili e agiati cittadini
con loro famiglie23 stavano quattro mesi l’anno in contado,24 e tali più.
G. Villani, Cronica, a cura di G. Aquilecchia, Einaudi, Torino 1979.
ANALISI Milano e Firenze: un confronto di dati Dopo aver ricapitolato i dati riportati da Villani sullo
sviluppo di Firenze, può essere interessante procedere a un confronto con quelli relativi invece
a Milano forniti da Bonvesin de la Riva ( T1, p. 129). Risulta, come evidenzia la seguente
tabella, che i numeri sono circa doppi per la Milano del 1288 rispetto alla Firenze del 1338.
132
CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
INTERPRETAZIONE Dalla celebrazione alla cronaca Il confronto fra questo passo della Cronica fiorentina e il
E COMMENTO brano di Bonvesin de la Riva mostra anche un’altra evidente differenza: nell’opera di Villani si
coglie una maggiore attenzione ai dati economici e produttivi, indice di più consapevole moder-
nità; nel De Magnalibus Mediolani il dato quantitativo serve soprattutto all’esaltazione delle
qualità della città e dei suoi abitanti. Insomma, quella di Villani è una descrizione – e appunto
una cronaca – cittadina piuttosto che una celebrazione.
133
PARTE PRIMA Il Medioevo
O malvagi cittadini, procuratori della1 distruzione della vostra città, dove l’avete condotta! E
tu, Ammannato di Rota Beccannugi, disleale cittadino, iniquamente ti volgesti a’ priori e con
minaccie studiavi le chiavi si dessono, guardate le vostre malizie dove ci ànno condotto!2 O
tu, Donato Alberti,3 che con fastidio facevi vivere i cittadini,4 dove sono le tue arroganze, che
5 ti nascondesti in una vile cucina di Nuto Marignolli?5 E tu, Nuto, proposto e anziano del sesto
tuo, che per animosità di parte guelfa ti lasciasti ingannare?
O messer Rosso della Tosa, empi il tuo animo grande; che per avere Signoria dicesti che
grande era la parte tua, e schiudesti i fratelli della parte loro.6
O messer Geri Spini, empi l’animo tuo: diradica i Cerchi, acciò che possi delle fellonie tue
10 viver sicuro.7
O messer Lapo Salterelli, minacciatore e battitore de’ rettori che non ti serviano nelle tue
questioni, ove t’armasti? in casa i Pulci stando nascoso.8
O messer Berto Frescobaldi,9 che ti mostravi così amico de’ Cerchi, e faceviti mezano del
la questione per aver da loro in presto fiorini xijm, ove li meritasti? ove comparisti?
1 procuratori della: voi che avete procurato la. fratelli della parte loro. messer è titolo onorifico erano complici nei tuoi affari, in che modo ti sei
2 E tu...dove ci ànno condotto: Tu in particolare, che in passato veniva attribuito a persone armato [: per difendere la tua parte, la bianca, in
Ammannato di Rota Beccannugi [: divenuto pri importanti in segno di rispetto, derivante difficoltà]? Rimanendo nascosto in casa dei Pulci.
ore nel novembre del 1301 dopo la dimissione dall’antico provenzale mes sir ‘mio signore’. Qui Si noti la sprezzante ironia.
forzata dei priori in carica, tra cui lo stesso Com si riconosce anche un uso ironico del termine, 9 Berto Frescobaldi: si era legato alla ricca
pagni, si schierò dalla parte dei Neri], cittadino riferito a personalità disoneste e corrotte. famiglia dei Cerchi per riceverne prestiti,
sleale, hai attaccato contro giustizia i priori e ti 7 O messer Geri Spini...sicuro: O signor Geri offrendosi come mediatore (mezano) delle
davi da fare con minacce perché le chiavi della Spini [: mercante e banchiere, decisivo nel discordie (la questione) (rr. 1314) tra Bianchi e
città venissero consegnate [: a Carlo di Valois, sostenere, anche finanziariamente, i Neri], Neri per ottenere una cifra particolarmente
voluto dai Neri e dal papa], guarda dove ci hanno riempi [: soddisfa] il tuo animo: distruggi la fami- elevata (dodicimila fiorini); senza però far nulla
portato le perfidie tue e dei tuoi alleati! glia dei Cerchi [: i capi di parte bianca], così da per difendere i diritti della parte bianca, verso la
3 Donato Alberti: giudice di parte bianca, aveva in poter vivere sicuro da vendette per le tue viltà [: quale pure era legato da promesse e da gratitu
qualche modo tradito i propri compagni, parteci aggressioni ai danni dei Cerchi]. dine; e perciò non meritando in alcun modo il
pando alla stesura della lettera che invitava Carlo 8 O messer Lapo Salterelli...nascoso: O signor prestito, né dandone poi, travolti i Cerchi dalla
di Valois a entrare in Firenze. In seguito tentò di Lapo Salterelli [: giudice di parte bianca], tu che sconfitta, alcun riscontro giuridico (cioè non
sfuggire alla cattura nascondendosi in campagna minacciavi e perseguitavi quei rettori che non comparendo come debitore in tribunale).
nei panni di contadino; ma fu raggiunto e ucciso.
Tale episodio è ricordato subito dopo. LA LINGUA NEL TEMPO
4 con fastidio...i cittadini: perseguitavi i fioren-
tini, nuocendo loro con le tue sentenze. Ufficio, onore, rettore “Ufficio” (cfr. r. 18) deriva dal latino officium ‘dovere’, vale propriamante
5 Nuto Marignolli: esponente dei ceti popolari, ‘dovere, servigio’, da cui deriva poi il significato di ‘carica, ministero, impiego’, con cui il termine
proposto e anziano (r. 5), cioè rappresentante è usato nel testo. In ambito religioso “ufficio” si riferisce alle ‘ore canoniche, cui sono obbligati di
del quartiere (o sesto) di Oltrarno, una delle sei recitare i sacerdoti della Chiesa cattolica romana’. Oggi la parola “ufficio” si usa anzitutto per in
circoscrizioni in cui si divideva Firenze. Si lasciò dicare l’insieme del personale e dei servizi di una struttura burocratica (p. es. ufficio delle impo
ingannare dai Neri, come è detto subito dopo, ste), o di un settore di attività di un’azienda (p. es. ufficio stampa), o, anche, il luogo fisico in cui
per faziosità (o animosità) guelfa, credendo si svolgono queste attività e mansioni (p. es. ufficio del preside). “Onore” (cfr. r. 18) deriva dal la
cioè che i Bianchi fossero veramente d’accordo tino hònor, che ha lo stesso tema di honèstus ‘onesto’, indica ‘riverenza e lode che si rende alle
con i ghibellini, come i Neri ripetevano per virtù o a chi è in alto grado’, e anche ‘sentimento per cui uno ha cura della propria fama; quindi in
calunnia. tegrità’. Ma “onore” si può trovare pure, come in Compagni, nel significato di ‘magistratura, cari
6 O messer Rosso della Tosa...loro: O signor ca pubblica’, ed è, in questo caso, sinonimo di “ufficio”. In un’accezione particolare l’“onore” si ri
Rosso della Tosa [: uno dei più violenti esponenti ferisce al ‘valore attribuito in certe società alla verginità della donna e agli atteggiamenti e ritua
di parte nera], riempi [: appaga] di ricchezze il tuo li che la circondano’ (di qui l’espressione del linguaggio giuridico “delitto d’onore”, che, lo ricordia
animo avido (grande è ironicamente equi mo, era previsto in Italia fino al 1981). Infine, il termine “rettore” (cfr. r. 19) deriva dal latino rec-
voco); tu che per avere potere sostenesti che la tua torem, derivato di regere ‘dirigere, governare’, designa ‘colui che dirige, che è a capo di un istitu
parte di eredità era grande, e così privasti i tuoi to, di un collegio, di una università’.
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CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
15 O messer Manetto Scali,10 che volevi esser tenuto sì grande e temuto, credendoti a ogni
tempo rimanere Signore, ove prendesti l’armi? ove è il seguito tuo? ove sono li cavalli coverti?
Lasciastiti sottomettere a coloro, che di niente erano tenuti appresso a te.
O voi popolani, che disideravate gli ufici, e succiavate gli onori, e occupavate i palagi de’
rettori, ove fu la vostra difesa? nelle menzogne, simulando e dissimulando, biasimando gli ami-
20 ci, e lodando i nimici, solamente per campare.11 Adunque piangete sopra voi e la vostra città.
D. Compagni, Cronica, intr. e note di G. Luzzetto, Einaudi, Torino 1968.
10 Manetto Scali: capitano di parte bianca, fu in precedenza stimate nulla rispetto a lui. [dall’intromissione di Carlo di Valois e dei suoi
condannato nel 1302 dai Neri senza opporre 11 che disideravate...per campare?: che deside- soldati]? facendo finta [di stare dalla parte dei
alcuna resistenza (è perciò sarcastico, nella riga ravate le cariche pubbliche e succhiavate [: trae- vincitori e di pensarla come loro] e nascondendo
seguente, il riferimento alle armi, al seguito, cioè vate guadagni illeciti] le responsabilità pubbliche [il vostro vero pensiero], accusando gli alleati, ed
a soldati ai suoi ordini, ai cavalli coverti, cioè rico- [assegnatevi] e insorgevate anche con violenza elogiando gli avversari [: in quanto vincitori],
perti da armatura metallica); subì pertanto per contro i rettori [: il capitano del popolo e il pode- solamente per salvare la vita. Per uffici, onori,
vigliaccheria l’arroganza di persone che non erano stà], in che modo avete difesa la vostra città rettori La lingua nel tempo).
ANALISI La simmetria e le figure retoriche Il testo è sostenuto da una robusta simmetria, fondata sul
richiamo collettivo, posto all’inizio e alla fine, ai «cittadini» e ai «popolani»; mentre il discorso è
cadenzato dalla figura dell’anafora (ogni capoverso si apre ripetendo l’espressione «O messer»).
Ricorrono inoltre con insistenza le esclamazioni e le interrogative retoriche, spesso ironiche.
INTERPRETAZIONE Il “giudice” Compagni Partecipe delle vicende narrate, Dino Compagni nella Cronica non si
E COMMENTO limita a una semplice registrazione dei fatti, ma interviene con la propria riflessione. Qui l’au-
tore assume il ruolo di giudice e addita implacabilmente le colpe dei fiorentini. Come scrive
De Sanctis nella Storia della letteratura italiana (1870), «non è questa una cronaca, una sem-
plice memoria di fatti: […] a tutto lo scrittore è presente, si mescola in tutto, esprime alta-
mente le sue impressioni e i suoi giudizi […]. L’energia del sentimento morale offeso è il
segreto della sua eloquenza». L’effetto è quello di una risentita requisitoria, che ricorda certi
passi della Commedia di Dante. L’approccio di Compagni è lontano dal criterio scientifico e
oggettivo che lo storico cerca di seguire oggi. Da questo autore medievale può essere comun-
que ricavata una lezione: il coraggio di indignarsi di fronte all’ingiustizia, la franchezza di chia-
mare per nome gli uomini corrotti e sleali.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
Il Milione Il Milione è il resoconto del viaggio in Oriente che il mercanto veneziano Marco Polo (1254
di Marco Polo 1324) compì fra il 1271 e il 1295. In quel tempo i veneziani avevano numerosi rapporti econo
mici con l’Oriente e potevano disporre – a Costantinopoli, nel Mar Nero, in Libano e in Siria – di
basi commerciali che fungevano da punto di partenza e di appoggio per i viaggiatori. Attraversa
ta l’Armenia e la Persia, Marco Polo si diresse verso nord e, attraverso l’Afghanistan, raggiunse la
Mongolia e poi la Cina. Qui venne ben accolto dall’imperatore dei mongoli, il Gran Khan Kublai,
che gli affidò incarichi di ambasceria in molte regioni del suo immenso impero ( T4, p. 138).
Dopo essere tornato in patria, Marco venne incarcerato a Genova, probabilmente a causa di uno
scontro militare tra la Repubblica marinara genovese e quella veneziana. In prigione avvenne
l’incontro con il letterato Rustichello da Pisa, autore di romanzi cavallereschi in francese. Dalla
collaborazione tra Marco e Rustichello da Pisa nacque, nel 1298, Il Milione. Il testo si regge su
uno straordinario equilibrio fra realtà e fantasia, in cui si possono intuire l’esigenza di praticità
e la precisione del mercante veneziano e la vena narrativa e romanzesca di Rustichello.
La vicenda Il testo originario era scritto in un francese ricco di italianismi, e aveva un doppio titolo: Livre des
compositiva merveilles [Libro delle meraviglie] e Le divisament dou monde [La descrizione del mondo]. Più
e il titolo
tardi ne furono ricavate molte traduzioni in latino, in veneziano e in toscano. Il titolo che si leg
DIGIT ge nella versione toscana è Il libro di Emilione (abbreviato oggi in Il Milione) ed è tratto dal so
TESTI
Marco Polo, Prologo prannome dei membri della famiglia Polo, chiamati “Emilioni” dal nome di un loro antenato.
[Il Milione]
136
CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
Argomento e Dopo un capitolo iniziale che fornisce una serie di informazioni autobiografiche, Il Milione si
struttura dell’opera sviluppa per oltre duecento capitoli, che narrano il viaggio Venezia-Pechino e ritorno. Il rac
DIGIT conto è in genere condotto dal narratore, Rustichello, che presenta Marco in terza persona sin
TESTI
Marco Polo, golare, ma spesso usa anche la prima plurale («noi»). Marco e il narratore lasciano parlare cose
I costumi sessuali e
matrimoniali della e fatti, rinunciando a riflessioni o commenti troppo personali. Viene riferito quanto Marco ha
provincia del Tibet visto, ma anche quanto gli è stato detto, cosicché si mescolano verità, inesattezze e fantasie.
[Il Milione, 193]
Funzioni Oltre a essere un resoconto di viaggio ( Temi di cittadinanza, Viaggiare oggi, p. 143), Il Milio-
del Milione ne può essere considerato anche una sorta di trattato di geografia e di etnologia ( T5, p. 141)
e, per la grande quantità di notizie e informazioni pratiche, anche un manuale mercantile. Molte
sue parti (ad esempio le descrizioni delle battaglie) si possono leggere inoltre come un romanzo
di avventura, sul modello di quelli cavallereschi che Rustichello aveva composto in proprio attin
gendo alla materia arturiana. Il libro aveva inoltre scopi politici e religiosi: per un verso è una re
lazione diplomatica volta a favorire i contatti politici ed
Etnologia Scienza che studia le culture
economici con l’impero del Gran Khan, per l’altro è una
umane e in particolare le usanze, le creden
relazione religiosa, probabilmente rivolta al papa, che ze, le forme di vita sociale e religiosa, basan
aveva incoraggiato il viaggio, e intesa a verificare la possi dosi sulla documentazione diretta e sull’os
bilità di convertire al cristianesimo i popoli d’Oriente. servazione sul campo dei diversi popoli.
FACCIAMO IL PUNTO
Cosa narra Il Milione?
Chi sono i suoi autori?
137
PARTE PRIMA Il Medioevo
Sappiate veramente che ’l Gran Cane1 dimore nella mastra2 città, ch’è chiamata Camblau, tre
mesi dell’anno, cioè dicembre, gennaio e febbraio. E in questa città ha suo grande palagio:3 ed
io vi diviserò4 com’egli è fatto. Lo palagio è di muro quadro, per ogni verso un miglio.5 E in
sui ciascuno canto6 di questo palagio è7 uno molto bel palagio, e quivi si tiene tutti gli arnesi
5 del Gran Cane, cioè archi, turcassi8 e selle e freni,9 corde e tende, e tutto ciò che bisogna ad
oste.10 E ancora tra questi palagi hae11 quattro palagi in questo cercòvito:12 sì che in questo
muro attorno attorno sono otto palagi, e tutti sono pieni d’arnesi, e in ciascuno ha pur d’una
cosa.13 E in questo muro, verso la faccia del mezzodì,14 hae cinque porte, e nel mezzo è una
grandissima porta, che non s’apre mai né chiude se no quando il Gran Cane vi passa, cioè
10 entra e esce. E dal lato a questa porta ne sono due piccole, da ogni lato una, onde entra tutta
l’altra gente.15 Dall’altro lato n’hae un’altra grande, per la quale entra comunemente16 tutta
l’altra gente, cioè ogni uomo. E dentro a questo muro17 hae un altro muro: e attorno hae otto
palagi, come nel primaio,18 e così son fatti;19 ancora vi stae20 gli arnesi del Gran Cane. Nella
faccia verso mezzodie hae cinque porti,21 nell’altra pure22 una.
15 E in mezzo di questo muro è il palagio del Gran Cane; ch’è fatto com’io vi conterò. Egli è il
maggiore che mai fu veduto; egli non v’ha palco, ma lo ispazzo èe alto più che l’altra terra bene
dieci palmi;23 la copritura è molto altissima.24 Le mura delle sale e delle camere sono tutte
coperte d’oro e d’ariento;25 havvi iscolpite26 belle istorie di donne e di cavalieri, e d’uccelli e
di bestie e di molte altre belle cose; e la copritura èe altresì fatta che non vi si può vedere altro
20 che oro e ariento. La sala è sì lunga e sì larga, che bene vi mangiano seimila persone; e havvi
tante camere ch’è una maraviglia a credere. La copritura di sopra, cioè di fuori, è vermiglia e
bioda27 e verde e di tutti altri colori, ed è sì bene invernicata che luce28 come oro o cristallo, sì
che molto dalla lunge si vede lucere lo palagio. La copritura è molto ferma.29
138
CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
Tra l’uno muro e l’altro dentro a quello ch’io v’ho contato di sopra havvi begli prati e àlbori, e
25 havvi molte maniere30 di bestie selvatiche: cioè cervi bianchi, cavriuoli e dani,31 le bestie che
fanno il moscado,32 vai33 e ermellini e altre belle bestie. La terra dentro di questo giardino è
tutta piena dentro di queste bestie, salvo la via donde gli uomeni entrano; e dalla parte verso
il maestro34 hae un lago molto grande, ove hae molte generazioni di pesci. E sì vi dico che un
gran fiume v’entra e esce ed èe sì ordinato che niuno pesce ne puote uscire:35 e havvi fatto
30 mettere molte ingenerazioni36 di pesci in questo luogo; e questo è con rete di ferro.
Anche vi dico che verso tramontana,37 da lungi dal palagio una arcata,38 ha fatto fare un mon-
te, ch’è alto bene cento passi e gira bene un miglio;39 lo quale monte è pieno d’àlbori tutto
quanto, che di niuno tempo perdono le foglie, ma sempre son verdi. E sappiate che, quando è
detto al Gran Cane d’uno bello albore,40 egli lo fa pigliare con tutte le barbe41 e co molta terra,
35 e fallo piantare in quel monte: e sia grande quanto vuole, ch’egli lo fa portare a leonfanti.42 E
sì vi dico ch’egli ha fatto coprire tutto il monte della terra dello azzurro,43 ch’è tutta verde, sì
che nel monte non ha cosa se no tutta verde: perciò si chiama lo Monte Verde. E in suol colmo
del monte è un palagio;44 è molto grande, sì che a guatarlo45 è una grande maraviglia, e non è
uomo che ’l guardi che non ne prenda allegrezza; e per avere quella bella vista l’ha fatto fare il
40 Gran Signore per suo conforto e sollazzo.46
M. Polo, Il Milione, a cura di R.M. Ruggeri, Olschki, Firenze 1986.
30 havvi begli...maniere: ci sono bei prati e dopo) che separa il lago dal fiume (o più pro- 40 quando...albore: quando viene riferito al
alberi, e ci sono molte specie. babilmente dai due fiumi, immissario ed Gran Khan dell’esistenza di un bell’albero.
31 cavriuoli e dani: caprioli e daini. emissario) che lo mette in comunicazione 41 barbe: radici.
32 le bestie...moscado: i moschi, simili a con l’esterno. 42 e sia...leofanti: e può essere grande quanto
cervi: dalla loro secrezione ghiandolare si 36 ingenerazioni: varietà. vuole, dato che egli lo fa trasportare con gli elefanti.
ricavano sostanze aromatiche per la prepara- 37 tramontana: nord. 43 terra dello azzurro: polvere di lapislazzuli,
zione di profumi (moscado). 38 una arcata: un tiro con l’arco, cioè la pietra preziosa di colore azzurro, qualche
33 vai: scoiattoli. distanza che può essere percorsa da una frec- volta con sfumature verdi.
34 maestro: maestrale; cioè nord-ovest. cia lanciata con l’arco. 44 in suol...palagio: sulla cima del monte c’è
35 èe...uscire: è organizzato in modo tale che 39 è alto...un miglio: è alto sicuramente cento un palazzo.
nessun pesce ne può fuggire; è cioè chiuso da passi [: una settantina di metri] e ha la circon- 45 guatarlo: guardarlo.
una rete di ferro (come viene detto subito ferenza di un buon miglio. 46 conforto e sollazzo: piacere e diletto.
139
PARTE PRIMA Il Medioevo
ANALISI Precisione e meraviglia La precisione che si coglie nella descrizione è una caratteristica che
si deve a Marco Polo. Cresciuto in un ambiente mercantile, il veneziano è abituato a calcolare e
valutare. L’ordine della rappresentazione è perciò rigoroso: procede dall’esterno all’interno
(prima cinta di mura, edifici posti all’interno di questa, seconda cinta di mura con relativi edifici,
palazzo centrale) e per temi (prima la struttura generale della reggia, e le opere murarie, poi gli
spazi verdi). Le lunghezze e le distanze sono calcolate attraverso varie unità di misura (miglia,
passi, palmi, gettate d’arco); i materiali e l’aspetto delle costruzioni sono attentamente definiti,
e così le specie animali.
Accanto a questa precisione descrittiva si nota la volonta di coinvolgere il lettore («Sappiate vera-
mente», «com’io vi conterò», ecc.) e soprattutto di stupirlo sottolineando l’eccezionalità della
materia rappresentata («il maggiore che mai fu veduto», «è una maraviglia a credere», «a guatarlo
è una grande maraviglia, e non è uomo che ’l guardi che non ne prenda allegrezza»).
INTERPRETAZIONE La rappresentazione del diverso Marco Polo si trova di fronte al “diverso” e si assume il
E COMMENTO compito e la responsabilità di rappresentarlo. Emerge un mondo molto distante – e non solo
geograficamente – da quello occidentale; ma la specificità delle abitudini locali è rispettata e,
d’altra parte, l’eccezionalità dei dati e la meraviglia del testimone non impediscono una rap-
presentazione dettagliata ed esatta. Piuttosto, la reazione di Marco è di implicita adesione al
mondo descritto, che suscita ammirazione ed entusiasmo: il suo è uno sguardo curioso e non
giudicante.
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CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
La provincia di Caugigu
La città di Caugigu è governata da un re lussurioso, che vive circondato da un harem di ben trecento mo-
gli. Marco Polo descrive gli usi e i costumi degli abitanti della zona, soffermandosi in particolare sull’abi
tudine di tatuarsi il corpo.
I TEMI il tatuaggio orientale come abbellimento del corpo
Caugigu1 è una provincia da levante, che ha re; e’ sono idoli2 e hanno lingua per loro.3 Egli
ubbidiscono al Gran Cane e ogni anno gli fanno tributo. E dicovi che quello re che regnava era
sì lussurioso ch’egli teneva bene trecento moglie; e com’egli avea4 una bella femmina nella
contrada, incontanente la pigliava per moglie. Quivi si truova molto oro e care ispezie, ma è
5 molto di lungi dal mare: però non vagliono guari5 loro mercatanzie. Egli hanno molti leonfan-
ti6 e altre bestie assai, e vivono di carne e di riso, e ’l vino fanno di riso. I maschi e le femmine
si dipingono tutti a uccelli e a bestie e ad aguglie e ad altri divisamenti;7 e dipingonsi il volto e
le mani e ’l corpo e ogni cosa. E questo fanno per gentilezza,8 e chi più n’ha di queste dipintu-
re, più si tiene9 gentile e più bello.
10 Or lasciamo di questo, e dirovvi d’un’altra provincia ch’è chiamata Amu, ch’è verso il le-
vante.
M. Polo, Il Milione, cit.
1 Caugigu: probabilmente tra la zona di Ton- 5 però non vagliono guari: perciò non valgono sono fatte con gli aghi, in modo che mai più
chino (Vietnam settentrionale) e l’attuale molto (perché costa molto trasportarle da un vanno via’). aguglie = ‘aquile’, potrebbe dun-
Laos. posto così lontano). que essere un fraintendimento del tradut-
2 idoli: idolatri. Indica i seguaci della reli- 6 leonfanti: elefanti. tore per aghi.
gione buddista. 7 si dipingono...divisamenti: cioè si tatuano 8 gentilezza: normalmente indica la nobiltà
3 e hanno lingua per loro: parlano una lingua tutto il corpo con immagini di bestie, uccelli e di stirpe ma qui sembra riferirsi piuttosto alla
loro. aquile. Ma nel testo francese si legge nel piacevolezza dell’aspetto esteriore.
4 e com’egli avea: non appena c’era (costru- modo seguente: sunt fait con les aguilles en 9 tiene: ritiene.
zione impersonale). tiel mainere que jamés s’en vont (‘[tali pitture]
ANALISI Il tema ricorrente della lussuria La prima parte del capitoletto è dedicata alla descrizione
del comportamento lussurioso del sovrano di Caugigu. Non è la prima volta che Marco Polo
registra, in quei paesi, la diffusione di comportamenti sessuali liberi. Le donne del Tibet, ad
esempio, sono apprezzate dagli uomini solo se hanno avuto numerosi “rapporti prematrimo-
niali” (capitolo 103: «Egli è vero che niuno uomo piglierebbe neuna pulcella per moglie per
tutto ’l mondo, e dicono che non vagliono nulla s’ella no è costumata co molti uomini»); men-
tre gruppi di giovani tartare vanno a turno nella camera del Gran Cane per “servirlo” (capi-
tolo 73: «Egli è vero, che ogni tre dì e tre notti, sei di queste donzelle servono lo signore in
camera e al letto, e a ciò che bisogna, e ’l signore fae di loro quello ch’egli vuole, e di capo
di tre dì, e di tre notti vengnon le altre sei donzelle, e cosie vae tutto l’anno di sei in sei don-
zelle»).
141
PARTE PRIMA Il Medioevo
Miniatura tratta da Marco Polo, Devisement du monde o Livre des Merveilles, manoscritto copiato a Parigi nel 1410-1412 circa. Parigi, Bibliothèque
Nationale de France.
INTERPRETAZIONE Sospensione del giudizio Marco Polo non si scandalizza della lussuria del re e si astiene,
E COMMENTO come al solito, da giudizi moralistici. Anche quando descrive la pratica del tatuaggio, non fa
commenti, per quanto nel mondo medievale e cristiano fosse malvista perché implicava un’al-
terazione del corpo donato da Dio. Fu a partire da quest’epoca, però, prima in concomitanza
con i viaggi commerciali e poi con le prime scoperte geografiche, che il tatuaggio cominciò a
diffondersi in Europa.
142
CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
TEMI DI CITTADINANZA
Turisti all’Acropoli di Atene,
fotografia di Martin Parr, 1991.
VIAGGIARE
OGGI
Il “turista” Marco Polo intraprese il suo viaggio in Oriente mosso essenzialmente da motivi econo-
Marco Polo mici. All’alba della civiltà borghese l’obiettivo era scoprire nuove terre che avrebbero
potuto garantire materie prime e prodotti utili alla società che andava sviluppandosi. La
scoperta dell’altro fu perciò, in tal senso, un effetto collaterale prezioso. Nel suo raccon-
to infatti le osservazioni pratiche del mercante si uniscono alla curiosità “moderna”
dell’uomo che scopre credenze e costumi di vita diversi dai suoi. È proprio sui concetti
di “diversità” e di “meraviglia” che si fonda la presentazione del Milione nel Prologo:
«leggete questo libro dove le troverete [: vi troverete] tutte le grandissime maraviglie e
gran diversitadi delle genti d’Erminia [: Armenia], di Persia e di Tartaria [: Mongolia], d’In-
dia e di molte altre province». Il fascino per il meraviglioso non esclude affatto la preci-
sione descrittiva, spesso fondata su enumerazioni e misurazioni. Infatti, come nota lo
studioso Sergio Solmi, è evidente «il passo gigantesco che il veneziano impose alla co-
noscenza geografica del tempo, facendo immediatamente retrocedere, almeno nel loro
grosso, la folla dei fantasmi e delle illusioni che l’Europa confinava nell’inesplorato
Oriente, e sostituendoli con notizie tanto positive da poter essere spesso ancora con-
trollabili».
I nuovi turisti Chi sono al giorno d’oggi gli epigoni di Marco Polo, ovvero gli uomini che si mettono in
viaggio con prospettive e scopi simili a quelli del mercante veneziano? Il Milione nasce
da un’esperienza di “turismo d’affari” ma anche di “turismo esotico”. Infatti, come ab-
biamo visto, le ragioni economiche aprono a un incontro con l’altro che Marco Polo sep-
pe valorizzare, guardando alla diversità con rispetto e ammirazione. I turisti di oggi, in
trasferta per lavoro o per piacere, hanno molto da imparare da lui, e anzitutto il gusto del
viaggio. Con il turismo di massa, quello organizzato dai tour operator, il vero viaggio non
esiste più perché manca la dimensione dell’ignoto, dell’avventura e della scoperta. Il
turista ricerca altrove le proprie rassicuranti abitudini, trovandole facilmente in grandi
alberghi dotati di tutti i comfort; egli guarda (o meglio fotografa, filma) luoghi e persone
con cui non entra veramente in contatto; vive, infine, una finzione e un’illusione che non
può costituire una significativa esperienza di vita e di formazione.
143
PARTE PRIMA Il Medioevo
Marc Augé
TEMI DI CITTADINANZA
Il turista-consumatore
Il turismo di massa, quello organizzato dai tour operator e concentrato nei villaggi di vacan-
za, è un tipico prodotto del consumismo contemporaneo. Durante le vacanze si consumano
cibi e servizi, ma soprattutto si consumano il sole, il mare e i paesaggi. Natura e monumenti
diventano prodotti di consumo, venduti dalle agenzie di viaggio come prodotti secondo una
griglia precisa di prezzi. Del grand tour d’esplorazione e d’iniziazione, da cui deriva il mo-
derno turismo, qui resta poca cosa. Manca soprattutto la dimensione dell’ignoto, dato che il
turista si sposta sempre secondo programmi prestabiliti che non lasciano spazio a sorprese
e imprevisti. Tutto è rassicurante e garantito. Anche i viaggi più avventurosi in realtà sono
solo un’illusione nata da un’abile costruzione dei tour operator. […] Un tratto tipico del tu-
rista contemporaneo è l’attaccamento alle proprie abitudini. Anche lontano da casa, vuole
ritrovare il comfort, l’atmosfera, la cucina, la televisione cui è abituato. Vuole sentirsi lon-
tano ma con l’impressione di non essere uscito di casa. Così, coloro che partono per vacanze
in luoghi esotici, finiscono spesso per ritrovarsi in un contesto del tutto simile a quello in
cui vivono ogni giorno. Hanno però l’illusione di essere a contatto con un altro mondo. Il
turismo è finzione e illusione. Ed oggi è possibile fare il giro del mondo, passando da un ae-
roporto ad un hotel, da un ristorante a un villaggio di vacanze, restando sempre nello stesso
habitat. […] Il turista resta rinchiuso in una bolla asettica che gli garantisce l’impressione
della sicurezza. Non vede gli abitanti dei luoghi, i quali diventano per lui una muta sceno-
grafia. Il mondo esterno gli appare come in televisione o in un libro fotografico. Sempre a
distanza, senza rischi. Il vero viaggio, quello verso l’ignoto, non appartiene al turista, come
pure l’idea della trasformazione - di sé, delle proprie idee, della propria cultura - che sta al
centro del viaggio di formazione. Il turista non vuole correre il rischio di confrontarsi con
un’alterità che rischia di rimettere in discussione le sue certezze. Il turista guarda, ma cerca
di preservarsi da ogni forma di contatto. […] Per lui, l’importante è fare le foto e i video da
portare a casa.
M. Augé, L’Occidente in movimento, testo raccolto da F. Gambaro, «Diario di Repubblica», 29 agosto 2006.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Riassumi in un titolo il contenuto del brano.
2. Evidenzia e spiega la tesi dell’autore sul turismo di massa.
3. Perché il turismo viene definito «finzione e illusione»?
4. Cos’è per l’autore «il vero viaggio»?
PRODUZIONE
Facendo riferimento alle figure di viaggitori che hai conosciuto attraverso lo studio e le tue letture (da Ulisse
a Cristoforo Colombo, da Marco Polo a Neil Armstrong) e sulla base delle tue esperienze personali, elabora
un testo nel quale sviluppi il tuo ragionamento sul tema del viaggio.
Argomenta in modo tale che gli snodi del tuo ragionamento siano organizzati in un testo coerente e coeso.
144
CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
4 Un genere nuovo
per un pubblico cittadino: la novella
Il ritardo della La prosa in volgare nasce e si sviluppa dopo la poesia. In Italia le ragioni del ritardo della prosa
prosa rispetto alla sono dovute all’egemonia del latino (impiegato come lingua nei trattati filosofici e scientifici)
poesia
e all’influenza del francese (molto diffuso nella letteratura d’intrattenimento e in particolare
nel romanzo). Solo quando la civiltà comunale raggiunge il suo massimo splendore, nella se
conda metà del Duecento, la prosa comincia ad affermarsi per far fronte alle esigenze pra-
tiche, politiche, amministrative e culturali dei nuovi ceti borghesi: è a questo punto che la
prosa può avere anche una finalità letteraria. C’è anche un’altra ragione del ritardo: mentre la
poesia in volgare, cantata per ragioni religiose (laudi) o dai giullari nelle piazze, poteva essere
ascoltata e compresa anche dalle masse analfabete, la prosa era legata a interessi più speciali
stici, a un pubblico selezionato che non necessitava di leggere in volgare italiano (perché sape
va latino e francese) e che solo nella seconda metà del tredicesimo secolo cominciò a preferire
letture in volgare italiano.
Un genere laico e In Italia la narrativa di finzione in prosa si afferma non con il romanzo (che è piuttosto tradot
di intrattenimento to dal francese o scritto direttamente in questa lingua) ma con la novella. Lo sviluppo della no
vellistica, a partire dalla fine del Duecento, è il risultato di un cambiamento sociale e di un’evo
luzione letteraria. Infatti, elemento caratteristico della novella è l’intento di intrattenere il
pubblico, suscitandone il puro diletto, senza rimandare a significati d’ordine religioso o a pro
blematiche di tipo morale. Si può capire dunque come, in un mondo come quello medievale,
largamente dominato da una prospettiva religiosa, la novella sia il punto di arrivo di un proces
so di valorizzazione della dimensione umana e terrena che poteva cominciare a realizzarsi so
lo con la piena affermazione della civiltà comunale.
obiettivi stile
intrattenimento breve, semplice, essenziale
educazione sociale e civile novella
(non religiosa)
145
PARTE PRIMA Il Medioevo
Un nuovo pubblico Alla base della narrativa e della novellistica esiste dunque una materia allo stato fluido, collet
cittadino tiva e anonima. Perché questa materia assuma dignità letteraria occorre che si sviluppi un pub-
blico borghese ampio e stratificato. Tale processo di sviluppo del genere novellistico avviene
ai margini del sistema dei generi letterari codificati, il cui prestigio era garantito dalla tradizio
ne: la novella nasce invece come un genere nuovo per un pubblico nuovo.
Il Novellino, la La prima raccolta di novelle della letteratura italiana è il Novellino. L’origine dei testi che lo com
prima raccolta di pongono risale alla fine del Duecento ed è strettamente collegata all’oralità (non si conosce il no
novelle della
letteratura italiana me dell’autore o degli autori) e al consumo di ampi strati di pubblico (è un’opera d’intrattenimen
to, in cui l’intento di dilettare prevale su quello educativo). L’opera, composta in ambiente fio
DIGIT rentino, racconta le vicende di personaggi appartenenti ai diversi strati sociali. Per esempio,
TESTI
Prologo in un racconto si valorizza l’abilità nel parlare di un medico di Tolosa – dunque di un intellettua
[Novellino]
Una bella novella
le borghese – che reagisce alla superbia di un potente con una risposta misurata e arguta ( T6).
d’amore Le fonti a cui le novelle di questo libro attingono sono molte: si va dalla storia antica e alle vite
[Novellino]
dei santi, dagli exempla medievali fino alle vite dei trovatori e ai protagonisti più o meno famosi
della storia recente. La costruzione di queste novelle non è complessa: sono storie molto brevi,
raccontate in uno stile semplice e paratattico, costituito da frasi brevi allineate l’uno dopo l’altra.
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono le ragioni del ritardo dell’affermarsi della prosa in volgare in Italia?
A quale pubblico era destinato il genere della novella?
Questa breve novella rappresenta esemplarmente il gusto della parola arguta e della prontezza di spirito
impliciti in tutto il Novellino. La civiltà comunale attribuisce infatti un grande valore all’espressione ver-
bale, indipendentemente dal ceto d’appartenenza di chi la pronuncia. Il racconto che segue parla di un
medico di Tolosa, che mette a tacere un arcivescovo con una risposta ingegnosa.
I TEMI valorizzazione della parola arguta sostegno della borghesia
Uno medico di Tolosa tolse1 per moglie una gentile2 donna di Tolosa, nepote de l’arcivescovo.
Menolla.3 In due mesi fece una fanciulla.4 Il medico non ne mostrò nullo cruccio,5 anzi con
solava la donna, e mostravale ragioni secondo fisica che ben poteva essere sua di ragione.6 E
con quelle parole e con belli sembianti fecesì che la donna non la poté traviare.7 Molto ono
5 roe8 la donna nel parto. Dopo il parto sì9 le disse: – Madonna,10 io v’ho onorata quant’i’ ho
potuto. Priegovi,11 per amore di me, che voi ritorniate omai a casa di vostro padre. E la vostra
figliuola io terrò a grande onore.12
Tanto andaro le cose innanzi,13 che l’arcivescovo sentì che ’l medico avea dato commiato a
la nepote.14 Mandò per lui.15 E acciò ch’era grande uomo, parlò sopra a lui molto grandi paro
146
CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
10 le, mischiate con superbia e con minacce.16 Quand’ebbe17 assai parlato, el medico rispuose e
disse così: Messere,18 io tolsi vostra nepote per moglie, credendomi della mia ricchezza pote-
re fornire e pascere la mia famiglia.19 E fu mia intenzione d’avere uno figliuolo all’anno, e non
più. Onde20 la donna ha cominciato a fare i figliuoli in due mesi; per la qual cosa io non sono sì
agiato, se ’l fatto dee così andare, ch’io li potesse notricare,21 e voi,22 non sarebbe onore che
15 vostro lignaggio andasse a povertade.23 Perch’io vi chieggio mercede che voi ladiate a un più
ricco omo ch’io non sono, che possa notricare li suoi figlioli sì che a voi non sia disinore.24
La prosa del Duecento, a cura di M. Marti e C. Segre, Ricciardi, Milano-Napoli 1959.
16 E acciò...con minacce: E poiché era un uomo 19 credendomi...famiglia: fidando di poter 22 e voi: e quanto a voi.
potente, gli rivolse parole grosse, piene di superbia con la mia ricchezza provvedere a nutrire la 23 vostro lignaggio...povertade: la vostra
e di minacce. Pretendendo evidentemente che il mia famiglia. illustre famiglia divenisse povera.
medico riprendesse con sé la moglie. 20 Onde: E invece. 24 Perch’io...disinore: Per la qual cosa io vi
17 Quand’ebbe: il soggetto qui è l’arcive- 21 io non sono...notricare: io non sono abba- chiedo per favore di darla a un uomo che sia più
scovo. stanza ricco, se le cose proseguono così [: con un ricco di me e che possa nutrire i suoi figlioli, così
18 Messere: Signore. figlio ogni due mesi], da poterli nutrire tutti. che per voi non sia un disonore.
ANALISI Uno stile scattante Questa novella è un ottimo esempio dello stile scattante del Novellino.
La sintassi semplice determina un testo breve, teso a concentrare la narrazione e ad accele-
rare la conclusione coincidente con il motto arguto. Anche l’impiego di dialoghi, che riprodu-
cono l’immediatezza del parlato, contribuisce al ritmo vivace del testo. Sono invece evitati i
commenti e le descrizioni del narratore.
INTERPRETAZIONE Un’implicita esaltazione della borghesia La novella rivela implicitamente sia la simpatia
E COMMENTO del narratore per la nuova classe sociale della civiltà comunale, la borghesia, sia il suo
distacco dal vecchio potere feudale e nobiliare: il medico astuto ha infatti la meglio sull’arci-
vescovo arrogante. Il mondo feudale cede il passo a un mondo nuovo, dove anche chi non ha
sangue aristocratico nelle vene può farsi valere attraverso l’ingegno. La dote del medico che
risulta determinante per l’esito della vicenda è la capacità di motteggiare, ovvero di fare un
uso arguto della parola. Si tratta di un tema che avrà largo spazio nel Decameron di Boccac-
cio, costituendo l’argomento specifico delle novelle della Sesta giornata. D’altra parte, la
scelta del medico di fondare su base economica la propria difesa è indice della nuova menta-
lità borghese, spregiudicata e volta all’interesse personale. Il medico ottiene infine il proprio
tornaconto: evita lo scandalo e si assicura un erede cui lasciare i propri beni.
147
PARTE PRIMA Il Medioevo
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
LA CITTÀ
Dopo l’anno Mille si assiste a una ripresa della vita nelle città. Il fenome- dopo il Mille
no, pur interessando tutta l’Europa, è particolarmente accentuato in Ita-
lia, dove, alla fine del XIII secolo, Milano, Venezia, Genova e Firenze supe-
rano i 100.000 abitanti. Sul piano letterario, nel corso del Duecento co- ripresa economica cronache
minciano ad affermarsi le cronache cittadine, in cui possiamo trovare delle città cittadine
un’esaltazione storica ed economica della città (come nelle Meraviglie di
Milano di Bonvesin de la Riva) oppure racconti più oggettivi (p. es. la Croni- esaltazione racconti oggettivi
ca di Giovanni Villani) e perfino risentiti contro i conflitti politici interni (la della città
Cronica di Dino Compagni).
Cronica di
Meraviglie Giovanni Villani
di Milano di
Bonvesin Cronica di
de la Riva Dino Compagni
I MERCANTI E I VIAGGIATORI
Connessa allo sviluppo urbano, è la nascita della nuova figura sociale del
mercante. Grazie allo spirito di iniziativa, il mercante acquista un crescen nascita della figura del mercante
te potere economico, politico e anche culturale, facendosi portatore di una
nuova mentalità laica e concreta. L’intraprendenza, l’ingegno, la capacità le cui virtù vengono mostrate in
di sapersi destreggiare nelle varie situazioni divengono virtù fondamenta
li, che dimostrano di avere anche i personaggi del Novellino. I mercanti so
no spesso viaggiatori, alla ricerca di nuovi prodotti e nuove relazioni com Novellino Il Milione
merciali: il mercante veneziano Marco Polo ha lasciato nel Milione una pre di Marco Polo
ziosa testimonianza del lungo viaggio condotto nelle terre lontane e sco
nosciute dell’Oriente.
VERIFICHE
1 Città e mercanti
In questo Capitolo abbiamo affrontato due fenomeni strettamente connessi: la fioritura delle città e la nascita
della nuova figura del mercante. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.
a. tra Due e Trecento, molte città italiane contavano almeno centomila abitanti V F
b. con lo sviluppo della società urbana, città e campagna divengono luoghi del tutto indipendenti
e separati V F
c. a partire dalla società comunale, il capitale mobile, cioè il denaro, diviene esso stesso merce V F
d. l’emergente figura del mercante era ben vista dalla Chiesa, che vi riconosceva un lavoratore onesto V F
e. i mercanti viaggiavano spesso in condizioni poco sicure V F
f. i mercanti provenivano da famiglie ricche, che assicuravano loro capitale da investire V F
2 Il rapporto città/campagna
Il rapporto fra città e campagna nel Basso Medioevo fu rappresentato con la forza dell’arte in un’immagine
famosa, quella dell’affresco di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo pubblico di Siena, intitolato Allegoria ed effetti
del Buono e del Cattivo Governo (1338-1340). Dopo aver raccolto informazioni su questa opera emblematica
e aver ascoltato la spiegazione fornita nell’immagine attiva (cfr. p. 16), scrivi una didascalia sia descrittiva sia
interpretativa.
148
CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
3 Cronache cittadine
Abbiamo letto tre passi tratti da diverse cronache cittadine ( T1, T2, T3, pp. 129, 131, 134). Ne indichiamo
gli autori: completa la tabella con le informazioni mancanti.
1. Bonvesin de la Riva
2. Giovanni Villani
3. Dino Compagni
4 Il Milione
Scegli l’opzione giusta nel seguente testo riepilogativo del Milione di Marco Polo.
Il Milione di Marco Polo è il resoconto del viaggio in Oriente compiuto dal mercante/nobile veneziano fra gli anni
1260-1296/1271-1295. La stesura vera e propria dell’opera si deve a Rustichello da Pisa, un esploratore/autore di
romanzi conosciuto da Polo in carcere, che scrisse il libro in francese/dialetto veneziano.
149
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERIFICHE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A
ANALISI E INTERPRETAZIONE DI UN TESTO LETTERARIO
Questa novella ha come protagonista il Saladino, una figura che esercita un grande fascino sulla cultura medievale: qui
è raffigurato in visita presso i cristiani.
1 soldanato: sultanato, da “sultano”, cioè il sovra- sti medievali lo esaltarono come un principe liberale 9 riprese forte: rimproverò fortemente (forte ha
no dell’Impero ottomano; per estensione, il termi- e generoso. L’eco di questa fama giunse fino a Dante valore avverbiale).
ne indica anche il principe di uno stato musulmano. (che lo collocò nel Limbo, Inf. VI, 129, e nel Convivio, 10 di lor Signore: del loro Dio.
2 s’ordinoe: fu ordinata. trattato IV, cap. XI) e a Boccaccio, che lo rese protago- 11 andaro: andarono (come più avanti entraro).
3 Saladino: forma italianizzata del titolo onorifico nista di due novelle nel Decameron (Prima giornata, 12 laidamente: in modo sporco e indecente.
arabo Salàh ad-Din (che significa ‘Prosperità nella re- novella terza e Decima giornata, novella nona). 13 tendere: preparare.
ligione’) conferito a Yosuf ibn Ayyub (1138-1193). 4 Fermossi la triegua: Fu concordata la tregua. 14 suso: sopra
Nominato visir (cioè alto funzionario e consigliere 5 la costuma: le usanze. 15 sì: così.
del sovrano) e poi sultano d’Egitto e di Siria, combat- 6 lodolle: le apprezzò. 16 spregiatela: la disprezzate.
té per circa venti anni nella guerra contro i Franchi 7 partita: separata. 17 in sembianti di parole: nell’apparenza delle parole.
che avevano occupato le coste della Palestina. I croni- 8 maggiorenti: le persone più importanti. 18 guisa: costume, modo di vivere.
COMPRENSIONE
Fai un riassunto della novella appena letta.
ANALISI
Individua i due motivi per cui il Saladino critica i costumi cristiani e trascrivili sul quaderno.
Caratterizza lo stile e il linguaggio della novella.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
A quale pubblico pensi che la novella sia destinata? Perché?
La novella riflette sul confronto tra cultura cristiana e cultura saracena. Alla luce delle tue conoscenze,
descrivi in un commento personale di sufficiente ampiezza gli autori e le opere medievali che trattano
il tema del confronto con l’“altro”.
150
CAPITOLO 3 La città, i mercanti e i viaggiatori TEMI
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C
RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO
SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
151
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERIFICHE
VERSO L’ESAME
IL COLLOQUIO
A partire dall’immagine della partenza dei Polo per la Cina, progetta un possibile percorso da sviluppare
oralmente, trovandone le implicazioni con i contenuti delle discipline del tuo percorso di studi.
Completa o modifica la seguente tabella, in parte compilata, con le materie del tuo piano di studi e con gli
argomenti che hai affrontato sia a scuola che in altre esperienze formative e di apprendimento.
Adesso cimentati con un’esposizione circostanziata degli argomenti in elenco. Stai attento a curare le con-
nessioni da un argomento all’altro in modo da evitare la frammentarietà del discorso. Prevedi anche una
conclusione in cui tiri le somme del percorso illustrato.
152
Domenico di Michelino, La Divina Commedia di Dante (1465). Affresco del Duomo di Firenze.
AUTORE
CAPITOLO 4
Dante Alighieri PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
1 La vita
La nascita Le notizie certe sulla vita di Dante non sono molte, e nessun manoscritto di suo pugno è giun-
e la giovinezza to fino a noi. Nasce tra la metà di maggio e la metà di giugno del 1265 a Firenze. Il padre, Ali-
ghiero, appartiene alla piccola nobiltà cittadina. La madre, Bella, muore molto presto (prima
del 1275). Intorno al 1285 Dante sposa Gemma Donati e da lei ha tre o forse quattro figli.
Negli anni della giovinezza Dante riceve una formazione culturale ampia e varia, che spa-
zia dalla filosofia alla teologia alla letteratura. Di particolare importanza è il rapporto con gli
esponenti dello Stil novo, soprattutto con Guido Cavalcanti, di cui Dante è amico intimo.
Nel 1283, a diciotto anni, Dante si innamora di Beatrice (che può essere identificata in Bi-
ce, figlia di Folco Portinari), esattamente nove anni – scrive Dante – dopo un primo incontro.
A tale avvenimento il poeta fa risalire l’inizio della propria produzione poetica. Nel frattempo
partecipa alle imprese militari del 1289 a Campaldino e Caprona. Dopo la morte di Beatrice (av-
venuta l’8 giugno 1290) si colloca un periodo di “traviamento” durante il quale Dante si allon-
tana dal culto dell’amata e abbandona gli studi. Tale crisi appare almeno provvisoriamente su-
perata tra il 1292 e il 1293, quando il poeta raccoglie la sua produzione lirica del decennio pre-
cedente nella Vita nuova, opera in prosa e in versi in cui si narra l’amore per Beatrice.
L’impegno politico A partire dal 1295 Dante si avvicina all’attività politica, che in questi anni è particolarmente
drammatica. Lo scenario fiorentino è dominato dallo scontro tra Bianchi e Neri, due diversi
schieramenti del partito guelfo, che fin dal 1266 tiene saldamente il potere a Firenze. I Bianchi
fanno capo alla famiglia dei Cerchi ed esprimono gli interessi del popolo grasso (finanzieri e ric-
chi mercanti), mentre i Neri sono guidati dalla famiglia dei Donati, sostenitori della restaura-
1312-1320 ca.
È ospite di Cangrande della
Scala
Verona
1321
1306 Si trasferisce alla corte di
È ospite dei Malaspina Guido Novello da Polenta.
Ravenna Muore il 13 o il 14
Lunigiana settembre
Firenze
1265-1302
Nasce tra la metà di
maggio e la metà di giugno
del 1265 e vi rimane fino
al 1302 quando viene Roma
condannato all’esilio
1301
Viene mandato dal papa
Bonifacio VIII come
ambasciatore dei Bianchi
154
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
zione del potere nobiliare e disposti ad appoggiarsi al papa per raggiungere questo scopo. Di-
fensore dell’autonomia del Comune, Dante sostiene lo schieramento dei Bianchi, dando
prova di grande moderazione e imparzialità. Si trova quindi in conflitto con papa Bonifacio
VIII, che per affermare la propria egemonia in Toscana cerca di favorire i Neri.
DIGIT
VIDEOLEZIONE DI PIETRO CATALDI VIDEOLEZIONE
155
PARTE PRIMA Il Medioevo
Dal priorato Nel 1300 Dante viene eletto alla più alta carica cittadina, il priorato: la giunta alla quale era af-
all’esilio fidato il governo di Firenze. Proprio in quest’anno lo scontro tra Bianchi e Neri raggiunge la sua
(1300-1302)
massima intensità. Scaduta la carica di priore, Dante resta al centro dei rivolgimenti politici cit-
tadini. Nel 1301 viene mandato come ambasciatore dei Bianchi a Roma per dissuadere Boni-
facio VIII dall’inviare a Firenze, come pacificatore, un proprio potente alleato, il francese Car-
lo di Valois.
Nel frattempo, però, Carlo e le sue truppe entrano con la forza a Firenze e, con il suo appog-
gio, i Neri prendono il potere (1301). Dante e i capi del partito bianco vengono condannati
all’esilio. Il poeta apprende la notizia della condanna (27 gennaio 1302) mentre rientra da Ro-
ma e da allora non ritornerà più alla sua città natale.
Le opere dell’esilio Poco si sa sugli spostamenti di Dante negli anni dell’esilio, periodo in cui si dedica tra l’altro alla
stesura della maggior parte delle sue opere. In questi anni l’autore compone ancora liriche, che
confluiranno nelle Rime insieme ad altre poesie scritte prima dell’esilio (la raccolta compren-
de testi scritti tra il 1283 e il 1307, ma non fu Dante a organizzarne il contenuto). Tra il 1302 e
il 1305 Dante si dedica al De vulgari eloquentia [L’eloquenza in lingua volgare], in cui concen-
tra la propria riflessione sulla lingua; nel 1304 inizia anche il Convivio, concepito come un’ori-
ginale enciclopedia del sapere medievale; tra il 1310 e il 1313 scrive la Monarchia, in cui siste-
ma ed espone le proprie idee politiche. D’altra parte, in quegli anni Dante è soprattutto con-
centrato nella stesura della Commedia, che lo impegna dal 1304 fino all’anno della morte.
Come il De vulgari eloquentia, la Monarchia è scritta in latino, e in questa lingua sono compo-
ste anche le Epistole e le Egloghe. Sono invece in volgare, ma di dubbia attribuzione, il Fiore, che
traduce in sonetti una parte del Roman de la Rose, capolavoro narrativo della letteratura volga-
re francese, e il poemetto Detto d’Amore.
Gli ultimi anni Durante l’esilio, Dante soggiorna in numerosi luoghi, con soste ora brevissime, ora lunghe
e la morte anni, ospite di potenti signori che concedono la loro protezione a quello che tutti ormai consi-
derano un grande intellettuale. Nel
1306 è in Lunigiana e dal 1307 al 1311
a Poppi in Casentino. Nel 1311-12 so-
stiene la spedizione italiana di Arrigo
VII fino all’assedio di Firenze, ma pri-
ma ancora della morte dell’imperato-
re Dante si rifugia a Verona, ospite di
Cangrande della Scala fino al 1320
circa. Gli viene intanto concessa dal
governo fiorentino l’amnistia, a patto
che riconosca di essere colpevole di
corruzione: Dante rifiuta la proposta
con sdegno e preferisce rimanere in
esilio. Lasciata Verona, si trasferisce a
Ravenna, presso Guido Novello da
Polenta, dove muore il 13 o il 14 set-
tembre 1321.
156
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
2 Le idee e la cultura
La concezione Alla base del pensiero di Dante sta la visione religiosa della realtà, che conferisce unità a tutti
religiosa i fenomeni. Da tale visione dipende una concezione della storia come rivelazione progres-
siva e lineare delle verità cristiane: l’incarnazione di Cristo divide in due la storia dell’uomo,
separando la fase pagana da quella cristiana. Secondo l’autore, anche la civiltà classica è inseri-
ta all’interno dalla prospettiva aperta da Cristo, ed è concepita non più come un’età negativa,
ma come preparazione e come annuncio dell’era cristiana. Perciò Dante può assumere il poeta
latino Virgilio come modello, non solo letterario ma anche morale, e farne la propria guida nel
viaggio della Commedia. D’altra parte, uno dei motivi centrali dell’opera dantesca consiste pro-
prio nella fusione di modelli classici e di rinnovamento cristiano.
Le idee politiche: Per quanto riguarda la politica, Dante si batte per difendere l’autonomia del Comune dalle in-
Papato e Impero gerenze della Chiesa e per favorire la stabilità interna, cercando di porre fine alle violente di-
scordie tra le fazioni.
Dopo l’esilio, però, il poeta passa a difendere un modello universalistico e auspica l’avven-
to di un nuovo impero che dovrà essere capace di controllare e sconfiggere i particolarismi, le
rivalità e i conflitti propri della società comunale. La riflessione politica dantesca trova spazio
principalmente in due opere in prosa, oltre, ovviamente, alla Commedia, dove la critica del pre-
sente costituisce uno dei temi portanti. Dante afferma la necessità di una monarchia univer-
sale nel Convivio (1304-1308), opera a carattere enciclopedico che spazia in diversi ambiti e si
sofferma anche sulla questione politica. Nel quarto trattato del Convivio, in cui Dante discute
dell’essenza della nobiltà, viene avanzata la proposta di una monarchia universale rappresen-
tata dall’Impero e dalla tradizione romana. Queste idee saranno poi approfondite nella Monar-
chia (1310-1313), opera teorica interamente dedicata alla riflessione politica. La difesa dell’Im-
pero si accompagna qui alla decisa affermazione della sua autonomia. Il terzo e ultimo libro del-
la Monarchia si concentra, infatti, sulla definizione del giusto rapporto tra Impero e Papato.
Entrambi sembrano a Dante necessari e voluti da Dio, ma destinati a occuparsi di due am-
biti diversi: al primo spetterebbe il potere temporale; al secondo, quello spirituale.
Le idee filosofiche: La riflessione filosofica di Dante riguarda anzitutto il rapporto che hanno la filosofia divina
il primato della (cioè la teologia) e la filosofia umana. L’amore per gli studi filosofici è chiaramente espres-
teologia nella
Commedia so nel Convivio – e in particolare nel secondo e nel terzo trattato dell’opera –, in cui Dante in-
forma che dopo la morte di Beatrice egli cercò di consolarsi con lo studio della filosofia, rappre-
sentata allegoricamente come una donna gentile alla quale rivolgere una poesia di lode. Nella
157
PARTE PRIMA Il Medioevo
Commedia è invece riaffermato con forza il primato della teologia. Nel poema, l’amata Bea-
trice non è più una creatura terrena ma un angelo che guida Dante verso la salvezza: la donna
diviene allegoria della teologia.
Soprattutto nella Commedia, il pensiero di Dante si mostra suggestionato dal tomismo ( § 8,
p. 18), vale a dire dalla rielaborazione della tradizione aristotelica compiuta da san Tommaso,
che sosteneva l’unione di fede e ragione (la fede nelle verità rivelate viene accompagnata dalla
fiducia nella loro dimostrabilità razionale).
Ma altri due autori, che si rifanno alla filosofia di Platone, influenzano Dante. Il primo è
sant’Agostino, le cui Confessioni costituiscono certamente un modello per la Commedia, con il
loro racconto in prima persona di una riconquista della salvezza. Il secondo è Boezio, il cui De
consolatione philosophiae [La consolazione della filosofia] orienta almeno in parte la tendenza
all’allegoria riscontrabile nel Convivio e nella Commedia. In questo modo Dante accoglie nel
proprio pensiero le due maggiori tradizioni filosofiche greche, l’aristotelismo e il platonismo.
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono le opere principali di Dante?
Qual è il nucleo di idee espresso in esse?
158
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
3 La poetica
Le idee di Dante La poetica di Dante è innanzitutto riflessione sulla lingua. Le prime tracce di questa riflessione
sulla lingua si trovano già nella Vita nuova (cap. XXV): qui l’autore osserva che anticamente la poesia d’amo-
re era solo in lingua latina e che soltanto da centocinquant’anni si scrivono liriche in volgare, pri-
ma in provenzale e poi in volgare italiano; l’uso del volgare si era diffuso, continua Dante, per
permettere anche alle donne, cui non si insegnava il latino, di comprendere la poesia amorosa.
La teorizzazione Ma la riflessione dantesca sulla lingua è affidata soprattutto al De vulgari eloquentia [L’eloquenza
del volgare illustre in lingua volgare]: nel trattato, composto nel 1303-1304 e diviso in due libri, vengono definiti i
caratteri del volgare illustre, che viene valorizzato come lingua addirittura superiore al latino
sul piano espressivo. Il volgare illustre non esiste in concreto se non nei testi di alcuni poeti dei
decenni appena trascorsi: nella lirica dei Siciliani (che Dante leggeva nelle trascrizioni fatte dai
copisti toscani e non nella lingua originale) e soprattutto in quella degli stilnovisti. Esso non si
identifica in nessuno dei volgari regionali parlati in Italia ma è una lingua depurata dai regionali-
smi, che pur mantenendo la freschezza e la vitalità di una lingua materna ha subìto un’opera di
raffinamento artistico e letterario. Nella Commedia Dante realizzerà solo in parte questo model-
lo del volgare (che invece aveva sperimentato con successo nella lirica d’amore e nelle canzoni).
L’impasto linguistico del suo capolavoro è molto più vivo e vario, e non di rado accoglie proprio
quelle forme “municipali” (cioè regionali e addirittura locali) censurate nel De vulgari eloquentia.
È inoltre significativo che Dante rinunci al latino anche in un’opera dottrinale: il Convivio è scritto
in volgare con l’obiettivo di diffonderne i contenuti presso il maggior numero possibile di lettori. Quel-
la a cui Dante si rivolge è una aristocrazia dello spirito formata da «principi, baroni, cavalieri e molt’al-
tra nobile gente, non solamente maschi ma femmine, che sono molti in questa lingua, volgari e non
litterati», cioè non conoscitori del latino. Altre opere dottrinali di Dante, come lo stesso De vulgari elo-
quentia e la Monarchia, sono invece scritte in latino perché si rivolgono esclusivamente ai dotti.
Sempre nel De vulgari eloquentia Dante offre anche una definizione della poesia come
«fictio rethorica musicaque poita», che possiamo tradurre come ‘creazione artistica formulata
secondo le regole della retorica e della musicalità’. Dunque la poesia è un’arte, un’attività rego-
lata da norme ben precise. Per impararle, il poeta deve imitare i modelli antichi, e soprattutto
i latini (Virgilio innanzitutto).
La differenziazione In conformità con le concezioni estetiche medievali, Dante elabora nel De vulgari eloquentia una
degli stili teoria degli stili: tragico, comico ed elegiaco; ma definisce in modo esaustivo solo il primo: lo sti-
le alto o tragico è il solo degno di adottare il volgare illustre e deve essere utilizzato per can-
tare gli argomenti più nobili, come l’amore (spirituale) e le problematiche morali, tanto in pro-
sa (nel trattato) quanto in poesia (nella canzone). Poco è detto dello stile medio o comico e di quel-
lo basso o elegiaco, ma è chiaro che in entrambi i casi la lingua non sarà depurata come quella del
volgare illustre ma più aperta agli elementi locali e municipali.
Lo stile alto e tragico si caratterizza anche per l’uso di figure retoriche appropriate, ad esem-
pio della personificazione: così Amore può diventare, nella lirica stilnovista, un vero e proprio
personaggio che parla e agisce e non un semplice concetto. Infine, questo stile deve esprimer-
si in strutture metriche adeguate (la canzone e il sonetto) e valorizzare il verso più nobile del-
la tradizione italiana: l’endecasillabo.
Appare chiaro, dunque, che la teorizzazione del volgare illustre serve a Dante più per siste-
matizzare e fissare la sua esperienza poetica anteriore al 1307 che per porre le basi della Com-
media. Quest’ultima, infatti, nascerà su basi retoriche e stilistiche completamente nuove.
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono i caratteri del volgare illustre teorizzato da Dante?
Quali sono le peculiarità dello stile tragico?
159
PARTE PRIMA Il Medioevo
L’OFFICINA DELL’AUTORE
Dante attuale o inattuale?
160
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
4 Lo stile e le forme
Dante e lo Stil novo Dante non è solamente il maggiore rappresentante del Dolce stil novo, ma è anche il suo teo-
rico più lucido e consapevole: non a caso la denominazione «dolce stil novo» è coniata proprio
da Dante nel canto XXIV del Purgatorio. Nel De vulgari eloquentia egli teorizza il volgare illustre
basandosi in buona parte sulla propria esperienza di poeta stilnovista, conclusasi intorno alla
metà degli anni Novanta del Duecento: questa tendenza poetica si esprime in uno stile tragi-
co formato dalla sintesi di volgare illustre e di determinate scelte retoriche e metriche. Per-
ciò nella Vita nuova, che pure ha come base linguistica il fiorentino, troviamo parole compren-
sibili anche da un non fiorentino, con una preferenza per i vocaboli dal suono dolce e armonio-
so e per una sintassi semplice e lineare. Questa lingua raffinata e purificata, che evita forme
troppo colloquiali e plebee, si nobilita ulteriormente sia tramite il ricorso ad alcune figure re-
toriche (come la metafora, la similitudine, la personificazione) sia adottando strutture metri-
che adeguate: il singolo verso è di preferenza l’endecasillabo (eventualmente alternato al set-
tenario nelle canzoni), il più nobile della tradizione italiana; le forme strofiche sono essenzial-
mente il sonetto e la canzone. Quest’ultima forma metrica è utilizzata da Dante anche nella
fase che segue immediatamente la fase stilnovista e in particolare nelle canzoni filosofiche del
Convivio.
La novità formale La Commedia, composta probabilmente da Dante a partire dal 1304 o dal 1307, una volta inter-
della Commedia rotto il De vulgari eloquentia, rappresenta una novità assoluta per il sistema letterario medie-
vale. Se la lirica d’amore ha una tradizione che risale al mondo classico, il nuovo poema scon-
volge radicalmente la teoria medievale degli stili e appare assolutamente nuovo. Dante lo scri-
ve in volgare, ma non nel volgare illustre teorizzato nel De vulgari eloquentia, bensì in un vol-
gare vario e articolato che si serve di tutti e tre i registri stilistici (tragico, comico ed elegiaco) e
che tratta indifferentemente vicende di cronaca e questioni di politica, di teologia e di filoso-
fia. È in questa mescolanza di stili e di contenuti ignota alle teorie classiche che consiste la
novità della Commedia.
DIGIT Cosa rende possibile la novità formale della Com-
APPROFONDIMENTI
Caratteristiche media? Per rispondere a questa domanda dobbiamo
formali dell’italiano considerare il fatto che Dante si propone di conciliare
di Dante
una tradizione propriamente letteraria ben codificata
e risalente alla classicità con l’esigenza di scrivere
un’opera capace di riflettere le esigenze morali e reli-
giose di una cultura cristiana. L’incontro, o piuttosto
lo scontro, tra classicità e cristianesimo influisce per-
ciò non solo sui contenuti della Commedia, come ve-
dremo, ma anche sulle sue forme. Più esattamente,
sul piano dello stile Dante poteva contare su un mo-
dello ben preciso: quello dei Vangeli. Nei Vangeli (che
lui leggeva in traduzione latina) il sermo humilis, cioè
la lingua quotidiana, riusciva a rendere conto delle più
alte realtà spirituali, e la storia di Cristo era raccontata
con parole semplici e comprensibili a tutti.
FACCIAMO IL PUNTO
In quale opera Dante coniò l’espressione «dolce stil novo»?
Qual è la novità formale della Commedia?
161
PARTE PRIMA Il Medioevo
5 La Vita nuova
Un “romanzo” in versi e in prosa
Composizione e La Vita nuova (o Vita nova) è il primo libro di Dante e la sua composizione risale al periodo
genere letterario 1293-1295. Nei 42 capitoli che la compongono sono raccolti alcuni dei testi poetici scritti
dall’autore nella giovinezza, che ora però vengono inseriti in un racconto in prosa avente la
funzione di spiegare l’origine biografica dei componimenti e di chiarirne il senso. Dal punto di
vista dei generi, la Vita nuova è dunque assimilabile per un verso al prosimetro della tradizio-
ne latina medievale e per l’altro ai canzonieri trobadorici, nei quali le liriche erano contrappun-
tate dalle vidas e dalle razos, cioè dalle vite dei trovatori e dalle spiegazioni dei singoli compo-
nimenti. La vicenda centrale riguarda l’amore di Dante per Beatrice; ma, come avverrà poi
con maggiore impegno e consapevolezza nella Commedia, l’esperienza personale dell’auto-
re intende rispecchiare anche una condizione universale. Per questo l’opera può essere ri-
condotta solo in parte al genere dell’autobiografia: è vero che la Vita nuova ripercorre momen-
ti significativi della giovinezza di Dante, ma è vero
anche che sono molto scarsi i riferimenti puntuali al Prosimetro Genere della letteratura latina
tempo, ai luoghi e ai fatti concreti. L’intera vicenda as- medievale caratterizzato dalla alternanza di
parti in prosa e parti in versi.
sume insomma un significato simbolico.
La nascita Nei capitoli 1-4 Dante rievoca il primo incontro con Beatrice all’età di nove anni ( T2, p. 165),
dell’amore cui segue, nove anni dopo, un nuovo incontro allietato dal saluto di lei. Secondo i principi
per Beatrice
dell’amor cortese, l’amante deve tenere segreta l’identità dell’amata: perciò Dante finge di ri-
volgere il proprio interesse a un’altra donna (è il motivo della donna-schermo). Ma l’interesse
per la donna-schermo provoca infine il risentimento di Beatrice, che nega a Dante il proprio sa-
luto (capitoli 5-11).
Dante Gabriel Rossetti, Salutatio Beatricis in Terra et in Eden, 1859. Ottawa, National Gallery of Canada.
I pannelli raffigurano scene della Vita nuova e della Divina Commedia: l’incontro di Dante e Beatrice a Firenze e il loro
incontro dopo la morte. Rossetti ha progettato anche la cornice che riporta citazioni di Dante. Tra i due soggetti, la morte di
Beatrice è simboleggiata da un’ombra sulla meridiana.
162
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
La lode di Beatrice Trascorso un periodo di smarrimento e di sofferenza, Dante raggiunge una nuova maturità e ne fis-
sa i tratti in una nuova poetica: intende ora dedicare la propria arte a descrivere le bellezze di Bea-
trice, rivolgendosi a un nuovo pubblico esperto delle problematiche di un amore concepito secon-
do la tradizione stilnovistica (capitoli 12-21, T3 e T4, pp. 168, 174). La seconda parte della Vita
nuova sviluppa così il tema della lode dell’amata. La morte del padre della giovane viene vissuta
DIGIT come annuncio della scomparsa della stessa Beatrice, apertamente presagita da una terribile visio-
TESTI
«Vede ne nella quale Dante vede il cadavere dell’amata (capitoli 22- 23). Dopo l’affermazione della volon-
perfettamente
omne salute» tà radicale di legare l’opera all’uso del volgare, cioè alla lingua di chi non conosce il latino e in parti-
[Vita nuova] colare delle donne, s’incontrano altre rime di lode rivolte a Beatrice (capitoli 24-27, T5, p. 176).
La morte di La morte di Beatrice inaugura una nuova fase della Vita nuova, incentrata sulla rappresentazione
Beatrice del dolore per la perdita (capp. 28-34). Circa due anni dopo il luttuoso evento si verifica l’episodio
della “donna gentile”, la quale consola Dante con la propria pietà al punto da coinvolgerlo in una
nuova passione amorosa. Ma Beatrice appare al poeta in una visione per allontanarlo dalla “don-
na gentile” e riportarlo al vero oggetto del suo amore: proprio ora che è stata accolta in Paradi-
so, infatti, Beatrice è ancora più degna di essere lodata da Dante (capp. 39-41). L’ultima visio-
ne di Beatrice mette fine anche a questa fase, nell’attesa di poter parlare dell’amata in un modo
ancora più degno (cap. 42, T6, p. 181). Con queste parole, l’autore sembrerebbe annunciare pro-
prio la Commedia, in cui l’elevazione spirituale di Beatrice risulterà definitivamente compiuta.
L’originalità della La Vita nuova è l’opera più rappresentativa dello Stilnovismo di Dante ( Capitolo 2). I compo-
Vita nuova rispetto nimenti in essa contenuti rivelano l’influenza di Guinizzelli (per l’identificazione di amore e no-
allo Stilnovismo
biltà, per la tendenza all’angelicazione della donna, per il tema del saluto) e di Cavalcanti (soprat-
tutto per il rigore filosofico con il quale è affrontato il tema amoroso). Presto Dante conquista però
una posizione originale all’interno dello schieramento stilnovista: come si rivela a partire dalla se-
conda parte della Vita nuova, al centro della poetica dantesca non sta più la descrizione stilnovista
degli effetti dell’amore sull’interiorità del poeta, ma la rappresentazione della donna amata, le
cui lodi costituiscono il primo scopo della scrittura. Inoltre l’immagine della donna-angelo, già
presente nella tradizione stilnovistica, assume qui una valenza propriamente religiosa: Beatrice
diventa il tramite fra il mondo terreno e la verità divina ( Testo guida, T5, p. 176).
FACCIAMO IL PUNTO
A quali generi precedenti è assimilabile la Vita nuova?
Qual è il tema sviluppato nella seconda parte dell’opera?
L’OPERA
LA VITA NUOVA
Struttura Testi poetici + racconti in prosa
163
PARTE PRIMA Il Medioevo
La brevissima introduzione alla Vita nuova, da Dante stesso chiamata «proemio» (nel capitolo XXVIII), è
incentrata sulla metafora della memoria come libro, frequente nella letteratura medievale. Scopo dichia-
rato del racconto è la possibilità di ricavare un senso dai fatti narrati, con implicito riferimento al valore
simbolico riconosciuto nel Medioevo, e da Dante, alle vicende contingenti.
I TEMI la trascrizione dal libro della memoria
In quella parte del libro de la mia memoria1 dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere,2 si tro-
va una rubrica3 la quale dice: Incipit vita nova.4 Sotto la quale rubrica io trovo scritte le paro-
le5 le quali è mio intendimento d’assemplare6 in questo libello;7 e se non tutte, almeno la lo-
ro sentenzia.8
D. Alighieri, Opere minori, a cura di D. De Robertis, Ricciardi, Milano-Napoli 1984.
1 libro...memoria: i ricordi, contenuti nella gli anni che presentano la prima affermazio- 6 assemplare: trascrivere, cioè copiare dal-
mente del poeta così come le parole in un ne della coscienza individuale (in relazione, l’originale (il libro della memoria): è termine
libro. Attorno a questa immagine si orga- per l’esattezza, all’età di nove anni, come si tecnico. La Vita nuova si dichiara quindi una
nizza un sistema metaforico complesso vedrà nel capitolo seguente). copia fedele, benché sintetizzata (Sotto),
( leggere, rubrica, scritte, parole, as- 3 una rubrica: titolo di capitolo. della interiorità dell’autore.
semplare). 4 Incipit... nova: Incomincia [a essere trattata 7 libello: libro. Il diminutivo non implica ne-
2 dinanzi...leggere: prima della quale parte qui] la vita rinnovata [dall’amore]; latino. L’e- cessariamente un riferimento alla mole
non si trovano molti ricordi, con rimando agli spressione è modellata sulla tipologia dei ti- dell’opera (e libellus è indicazione costante
anni dell’infanzia, che vengono ricordati in toli correnti delle rubriche, inizianti appunto della lirica latina per le opere poetiche).
modo impreciso e intermittente. La parte con Incipit..., ecc. 8 la loro sentenzia: il senso, «l’interpretazio-
alla quale Dante si riferisce riguarda dunque 5 le parole: cioè i ricordi. ne generale» (Contini).
ANALISI La metafora del «libro» e la solennità del linguaggio La Vita nuova si apre con la metafora
della memoria come un grande libro, da cui attingere ricordi ed esperienze già vissute. Attorno
a questa immagine ruotano i termini «rubrica», «Incipit», «parole», «assemplare», «libello». Il lin-
guaggio è solenne e accoglie in sé anche elementi latini («Incipit vita nova»).
INTERPRETAZIONE La memoria e la scrittura letteraria L’operazione che Dante vuole compiere («assemplare
E COMMENTO in questo libello» «le parole» «de la mia memoria») non è una semplice e immediata ricostru-
zione autobiografica ma una rigorosa rielaborazione letteraria. Il poeta, infatti, vuole far emer-
gere la «sentenzia», cioè il significato delle proprie esperienze passate, affinché siano un
modello che è in grado di offrire un insegnamento ai lettori.
COMPRENSIONE ANALISI
1. Qual è il contenuto della «rubrica» di cui parla 2. L’inizio della Vita nuova è dominato da una metafo-
Dante? ra: quale? Prova a spiegarla.
164
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
All’inizio della Vita nuova Dante racconta del suo primo incontro con Beatrice, avvenuto quando entrambi
avevano nove anni. La presenza della donna suscita straordinarie sensazioni nell’animo del poeta. Così
ha inizio la lunga storia d’amore che dà forma all’intera opera dantesca. Pur occupando il secondo posto,
quello che leggeremo è da considerarsi, di fatto, il primo capitolo della Vita nuova. Esso è preceduto infat-
ti solo dal proemio ( T1).
I TEMI effetti psicologici e fisici dell’amore
[1] Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce1 quasi a uno me-
desimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi2 apparve prima la
gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano
che si chiamare.3
[2] Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso
la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’un grado, sì che quasi dal principio del suo anno
nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono.
[3] Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa
che a la sua giovanissima etade si convenia.
1 lo cielo de la luce: secondo il sistema tole- duzione astronomica trasmette solennità pevano il suo nome, e solamente dagli effetti
maico seguito da Dante, era il quarto cielo e agli eventi narrati. prodotti dalla presenza di lei lo indovinava-
ruotava attorno alla Terra; quindi erano già 2 a li miei occhi: riferimento all’importanza no. Ciò è detto in relazione all’etimologia del
passati nove anni dalla nascita di Dante, della vista, secondo l’intera tradizione lirica nome di Beatrice (= ‘che dà beatitudine’), se-
avendo il sole compiuto nove giri: siamo per- medievale e soprattutto stilnovistica. condo la convinzione medievale che esistes-
ciò nella primavera del 1274. La vasta intro- 3 non sapeano che si chiamare: cioè non sa- se un nesso tra nome e cosa.
165
PARTE PRIMA Il Medioevo
[4] In quello punto4 dico veracemente che lo spirito5 de la vita, lo quale dimora ne la secretissima
camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che apparia ne li menimi polsi orribilmen-
te; e tremando6 disse queste parole: «Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi».
[5] In quello punto lo spirito animale, lo quale dimora ne l’alta camera ne la quale tutti li spi-
riti sensitivi portano le loro percezioni, si cominciò a maravigliare molto, e parlando spezial-
mente a li spiriti del viso, sì disse queste parole: «Apparuit iam beatitudo vestra».
[6] In quello punto lo spirito naturale, lo quale dimora in quella parte ove si ministra lo nu-
trimento7 nostro, cominciò a piangere, e piangendo disse queste parole: «Heu miser, quia
frequenter impeditus ero deinceps!».
[7] D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la quale fu sì tosto a lui dispon-
sata, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria per la vertù che li dava la
mia immaginazione, che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente.
[8] Elli mi comandava molte volte che io cercasse per vedere questa angiola8 giovanissima;
onde io ne la mia puerizia molte volte l’andai cercando, e vedeala di sì nobili e laudabili por-
tamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero: «Ella non parea figliuola
d’uomo mortale, ma di deo».
[9] E avvegna che la sua imagine, la quale continuatamente meco stava, fosse baldanza d’Amore a
segnoreggiare me, tuttavia era di sì nobilissima vertù, che nulla volta sofferse che Amore mi reg-
gesse sanza lo fedele consiglio de la ragione in quelle cose là ove cotale consiglio fosse utile a udire.
[10] E però che soprastare a le passioni e atti di tanta gioventudine pare alcuno parlare fabuloso,
mi partirò da esse; e trapassando molte cose le quali si potrebbero trarre de l’essemplo onde nasco-
no queste, verrò a quelle parole le quali sono scritte ne la mia memoria sotto maggiori paragrafi.
D. Alighieri, Opere minori, cit.
[4] In quel momento (punto) dico in modo veritiero (verace- [8] Egli [: l’Amore] mi comandava molte volte che io andassi in
mente) che lo spirito vitale, il quale risiede nella parte più inti- giro (cercasse) per vedere questo angelo giovanissimo; per cui
ma (secretissima camera) del cuore, cominciò a tremare così (onde) io nella mia fanciullezza (puerizia) molte volte l’andai
fortemente, che si manifestava (apparia) in modo pauroso (or- cercando, e la vedevo [caratterizzata] da così nobili e lodevoli at-
ribilmente) in ogni più piccola arteria (ne li menimi polsi); e teggiamenti (portamenti), che sicuramente (certo) di lei si po-
tremando disse queste parole: «Ecco un dio più forte di me, il teva dire quel detto (parola) del poeta Omero: «Ella non sem-
quale mi soggiogherà con il suo arrivo». brava figlia di [un] uomo mortale, ma di [un] dio».
[5] In quel momento (punto) lo spirito animale [: l’anima sen- [9] E benché (avvegna che) la sua immagine, la quale stava
sitiva], il quale risiede nel cervello (l’alta camera) in cui vengo- continuamente dentro di me (meco), incoraggiasse (fosse bal-
no portati gli stimoli (percezioni) [provenienti da] tutti i sensi danza) Amore a esercitare su di me il suo potere (a segnoreggia-
(spiriti sensitivi), cominciò a meravigliarsi molto, e rivolgendo- re me), tuttavia [Beatrice] era [caratterizzata] da virtù così no-
si soprattutto agli spiriti della vista (viso), così pronunciò que- bili, che non permise (sofferse) mai (nulla volta) che Amore mi
ste parole: «Ecco che è apparsa la vostra beatitudine». guidasse (reggesse) senza il fidato suggerimento (fedele consi-
[6] In quel momento (punto) lo spirito naturale, il quale risiede glio) della razionalità (ragione) in quei campi (cose) in cui (là
nella parte che provvede al nostro nutrimento [: gli organi della di- ove) fosse utile ascoltare tale consiglio.
gestione], cominciò a piangere, e piangendo disse queste parole: [10] E dato che (però che) insistere (soprastare) sulle passioni e
«Ahi misero me, dato che da ora in avanti sarò spesso impedito!». sugli atti di un’età così giovanile (tanta gioventudine) pare in
[7] D’allora in poi dico che Amore dominò (segnoreggiò) la mia qualche modo un parlare favoloso [: cioè impreciso], mi allonta-
anima, la quale in questo modo fu presto intimamente unita nerò (partirò) da essi; e tralasciando (trapassando) molte cose
(disponsata) a lui, e [l’Amore] cominciò a esercitare su di me che si potrebbero ricopiare (trarre) dallo [stesso] modello (es-
tanta sicurezza [di sé] e tanto potere (signoria) grazie alla forza semplo) dal quale (onde) derivano queste [che si stanno espo-
(vertù) che gli dava la mia [stessa] immaginazione [: dominata nendo], arriverò (verrò) a quelle parole che sono scritte in capito-
dall’amata], che ero costretto a (me convenia) compiere tutti i li più importanti (sotto maggiori paragrafi) all’interno della mia
suoi desideri (piaceri) senza limite (compiutamente). memoria.
4 In quello punto: la triplice anafora (cfr. gli vitale presiederebbe alle funzioni necessarie 6 tremando: il tremito è una delle manife-
incipit dei due periodi seguenti) dà solennità alla sopravvivenza dell’organismo. La teatra- stazioni dell’innamoramento, spesso ricor-
all’attimo dell’innamoramento. lizzazione del mondo interiore, affidata alle data da Dante e dagli stilnovisti.
5 lo spirito: Dante si riferisce qui e nei due parole latine degli spiriti, rientra anch’essa 7 lo nutrimento: un altro sintomo dell’inna-
periodi successivi alla dottrina degli spiriti, nella tradizione cavalcantiana. L’uso del lati- moramento è la perdita dell’appetito.
ripresa in particolare dall’amico Cavalcanti, no richiama passi biblici [Isaia 40, 10 e Luca 8 angiola: in riferimento alla concezione
secondo la quale ogni individuo è abitato da 3, 16], conferendo una solennità religiosa della donna come angelo, che è caratteristica
forze psico-fisiologiche o “spiriti”. Lo spirito all’arrivo di Beatrice. della poesia stilnovistica.
166
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
ANALISI La solennità del racconto L’inizio della Vita nuova è caratterizzato da un tono elevato. Vari
elementi retorici e stilistici conferiscono solennità al racconto: la vasta introduzione astrono-
mica, la perifrasi che designa Beatrice come «la gloriosa donna de la mia mente», la presenza
di espressioni latine e di citazioni dotte (come quella esplicita da Omero, o quelle non dichia-
rate dalle Sacre Scritture) e, più in generale, la ricerca di una scrittura fondata su simmetrie,
parallelismi e rispondenze interne (notiamo, per esempio, l’identica apertura dei §§ 4, 5 e 6,
con la ripetizione di «In quello punto»).
INTERPRETAZIONE La simbologia del numero nove La rievocazione del primo incontro con Beatrice con-
E COMMENTO ferma che non ci troviamo di fronte a un semplice racconto autobiografico: la vicenda
personale dell’autore assume infatti un preciso significato simbolico. Il numero nove,
che designa l’età dei due protagonisti quando s’incontrano per la prima volta, è simbolo
di perfezione secondo le teorie numerologiche medievali (anche perché multiplo perfetto
del numero tre della Trinità). Il nove ritorna costantemente nella Vita nuova come numero
legato indissolubilmente a Beatrice (nel capitolo 29 il poeta spiega dettagliatamente
perché il numero nove è «amico» della sua amata). D’altra parte, il secondo incontro con
Beatrice avverrà proprio nove anni dopo il primo, mentre il primo saluto ricorrerà all’ora
nona del giorno.
Gli effetti dell’amore Per spiegare gli effetti prodotti in lui dalla visione dell’amata, Dante fa
riferimento alla teoria medievale degli spiriti. Lo spirito vitale, quello animale e quello naturale
sono sconvolti dall’apparizione di Beatrice e reagiscono con tremore, meraviglia e pianto.
Amore prende dunque il sopravvento sull’anima del poeta. La teoria degli spiriti – come pure
la teatralizzazione del mondo interiore – sono ripresi da Cavalcanti, che Dante guarda come
un modello. Cambia però la visione dell’amore, non più esperienza tragica e devastante ma
forza positiva che agisce con «lo fedele consiglio de la ragione».
167
PARTE PRIMA Il Medioevo
2. Per descrivere gli effetti prodotti in lui quando in- 4. Individua nel testo le battute di discorso diretto:
contra per la prima volta Beatrice, Dante fa riferimen- quale effetto producono? Quale finalità raggiunge l’u-
to alla teoria degli spiriti. Chiariscila abbinando i punti so del latino?
in modo da formare frasi corrette.
5. Lingua e stile Il testo, caratterizzato da uno sti-
a. lo spirito vitale,
le elevato, mostra una sintassi complessa. Trascrivi
b. lo spirito animale, il primo paragrafo secondo una sintassi più lineare,
c. lo spirito naturale, rispettando l’ordine SVO (soggetto-verbo-oggetto).
d. che risiede nell’apparato digerente,
e. che risiede nel profondo del cuore, 6. Lingua e lessico Dante impiega l’avverbio di
modo «veracemente», dall’aggettivo «verace». Tale ag-
f. che risiede nel cervello,
gettivo assume significati diversi nel linguaggio lettera-
g. rielabora le sensazioni trasmesse dall’esperienza e rio e in quello popolare: quali?
le trasforma in pensieri.
h. presiede al nutrimento del corpo, assicurandone la
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
sopravvivenza.
i. dona la vita. 7. Argomentare La scena del primo incontro con
Beatrice ti sembra descritta realisticamente o è cari-
cata piuttosto di elementi simbolici? Motiva la rispo-
ANALISI sta con opportuni riferimenti al testo.
3. Apre il capitolo un’ampia perifrasi astronomica
(«Nove fiate… girazione»): chiariscine il significato e
indica a quale sistema cosmologico si riferisce Dante.
Lungamente attesa, a Dante giunge infine l’ispirazione, che gli detta una canzone. Il tema centrale del com-
ponimento sono le nuove ragioni che spingono il poeta a lodare Beatrice: egli le dedica poesie non più nella
speranza di essere ricambiato con un saluto, bensì per il puro piacere disinteressato di testimoniare la sua
straordinaria bellezza. L’amore diventa un’esperienza assoluta: dall’amore cortese della tradizione lirica si
passa qui a un amore totalmente spiritualizzato, che innalza a Dio. Il poeta decide quindi, con una devozio-
ne quasi religiosa, di non rivolgersi più direttamente all’amata. Così come il tema, nuovo sarà anche il desti-
natario della produzione dantesca: non più Beatrice, ma le donne esperte di questioni amorose.
I TEMI svolta di poetica lode dell’amata
[1] Avvenne poi che passando per uno cammino lungo lo quale sen gia uno rivo chiaro molto, a
me giunse tanta volontade di dire, che io cominciai a pensare lo modo ch’io tenesse; e pensai
che parlare di lei non si convenia che io facesse, se io non parlasse a donne in seconda persona,
e non ad ogni donna, ma solamente a coloro che sono gentili e che non sono pure femmine.
[2] Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per se stessa mossa, e disse: Donne ch’avete
intelletto d’amore.
168
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
[3] Queste parole io ripuosi ne la mente con grande letizia, pensando di prenderle per mio
cominciamento; onde poi, ritornato a la sopradetta cittade, pensando alquanti die, cominciai
una canzone con questo cominciamento, ordinata nel modo che si vedrà di sotto ne la sua
divisione. La canzone comincia: Donne ch’avete.
[3] Con grande gioia (letizia) io fissai nella memoria (ri- 9-14 E [infatti] io non voglio parlare in modo così subli-
puosi ne la mente) queste parole, pensando di prenderle me (sì altamente), da diventare insicuro (vile) per la
come punto di partenza (per mio cominciamento); cosic- paura (temenza) [di non essere all’altezza del compito];
ché (onde) [io] poi, ritornato alla sopradetta città [: Firen- ma tratterò della sua [: dell’amata] nobiltà (stato genti-
ze], dopo aver riflettuto alcuni giorni (alquanti die), co- le) in maniera superficiale (leggeramente) rispetto a lei
minciai [a comporre] una canzone con tale inizio (comin- [: cioè se comparata alla sua sostanza], [parlando] con
ciamento), strutturata nel modo in cui si vedrà di seguito voi (vui), donne e fanciulle (donzelle) esperte d’amore
[quando parlerò] della sua divisione [interna]. La canzone (amorose), dato che non è argomento (cosa) di cui parla-
comincia: [O] donne che avete. re con altri.
1-4 [O] donne che avete cognizione (intelletto) [: espe- 15-21 Un angelo invoca (clama) nella mente (intellet-
rienza e capacità di comprensione] dell’amore, io voglio to) divina [: cioè si rivolge a Dio e, senza usare parole, co-
parlare (dire) a voi della mia donna, non perché io creda di munica con lui rappresentando i concetti nella sua men-
esaurire (finire) le lodi a lei dovute (sua laude), ma [sola- te] e dice «[O] signore (Sire), nel mondo si vede un mira-
mente] parlare (ragionar) per sfogare la [mia] interiorità colo (maraviglia) incarnato (ne l’atto) che si manifesta
(mente). in (che procede d’) un’anima [: Beatrice] che risplende
5-8 Io [intendo] dire che considerando (pensando) il suo fin quassù [: in Paradiso]». Il cielo, che non ha (have) al-
valore, Amore si fa sentire in me così dolcemente, che se tra mancanza (difetto) che [la mancanza] di avere lei
io a quel punto (allora) non perdessi il coraggio (ardire), [: Beatrice], la richiede al suo [: del Paradiso] signore
con le mie parole (parlando) farei innamorare tutti (la [: Dio], e ciascun santo chiede (grida) la grazia (merze-
gente). de) di [avere] lei (ne) [in Paradiso].
Metrica: preceduta da una breve introduzio- 1 valore: indica il complesso delle qualità sive del poeta, che rinuncia a una rappre-
ne, la canzone è composta da cinque stanze fisiche e spirituali, care all’ideologia cor- sentazione adeguata, accontentandosi di
(l’ultima con funzione di congedo) di quat- tese. espressioni limitate rispetto al reale valore
tordici versi endecasillabi. Le rime seguono 2 E io...leggeramente: l’altezza dell’ogget- della donna.
lo schema ABBC, ABBC, CDD, CEE. to da lodare trascende le possibilità espres-
169
PARTE PRIMA Il Medioevo
Sola Pietà nostra parte difende, 22-28 La sola Pietà [: la misericordia di Dio personalizzata] di-
fende la nostra [: degli uomini] causa (parte), in quanto (che)
che parla Dio, che di madonna intende:
Dio, riferendosi alla mia donna (che di madonna intende), di-
«Diletti miei, or sofferite in pace ce [così]: «[O] miei eletti [: scelti come beati], [per] ora soppor-
25 che vostra spene sia quanto me piace tate (sofferite) serenamente (in pace) che ciò che desiderate
là ’v’ è alcun che perder lei s’attende, (vostra spene), sia [per] quanto mi fa piacere (me piace) [: fin-
ché voglio] là [: sulla terra] dove c’è qualcuno [: forse con riferi-
e che dirà ne lo inferno: O mal nati, mento a Dante] che aspetta di perderla [con la morte], e che
io vidi la speranza de’ beati».3 [anche] nell’Inferno dirà: O dannati (mal nati), io ho visto colei
che i beati desideravano avere con sé (la speranza de’ beati)».
Madonna è disiata in sommo cielo: 29-36 La mia donna (Madonna) è desiderata nell’alto dei cieli
30 or voi di sua virtù farvi savere. (in sommo cielo): dunque (or) voglio (voi) informarvi (farvi
savere) del suo potere spirituale (virtù). Affermo (Dico) [che]
Dico, qual vuol gentil donna parere chi (qual) vuole apparire una donna nobile (gentil) deve anda-
vada con lei, che quando va per via, re (vada) con lei, [dato] che quando [lei] cammina (va) per la
gitta nei cor villani Amore un gelo, strada (via), Amore getta nei cuori non nobili (villani) un gelo
[: un impedimento] per il quale ogni loro pensiero diventa di
per che onne lor pensero agghiaccia e pere; ghiaccio [: si paralizza] e muore (pere); e chiunque (qual) fosse
35 e qual soffrisse di starla a vedere in grado di sopportare la vista di lei (soffrisse… vedere) diven-
diverria nobil cosa, o si morria. terebbe (diverria) nobile (nobil cosa), o morrebbe (si morria).
E quando trova alcun che degno sia 37-42 E quando [Beatrice] incontra qualcuno che sia degno
di veder lei, quei prova sua vertute, di vederla, questi (quei) sperimenta (prova) il valore (vertu-
te) di lei (sua), perché [tutto] ciò che [lei] gli (li) dona gli si tra-
ché li avvien, ciò che li dona, in salute, sforma (li avvien) in beatitudine (salute), e lo rende umile
40 e sì l’umilia, ch’ogni offesa oblia. (l’umilia) a tal punto (sì) che dimentica (oblia) ogni offesa [ri-
Ancor l’ha Dio per maggior grazia dato cevuta]. Dio le ha concesso (dato) per sovrappiù (maggior) di
grazia anche (Ancor) che chi le ha parlato non possa (pò) mo-
che non pò mal finir chi l’ha parlato. rire dannato (mal finir).
Dice di lei Amor: «Cosa mortale 43-50 Amore dice di lei: «Come può (pò) un essere (Cosa)
come esser pò sì adorna e sì pura?». mortale essere così bello (adorna) e così puro?». Poi la guarda
attentamente (la reguarda), e conclude (giura) fra se stesso
45 Poi la reguarda, e fra se stesso giura che Dio ha intenzione di farne (ne ’ntenda di far) qualcosa di
che Dio ne ’ntenda di far cosa nova. eccezionale (cosa nova). Ha il colore [della carnagione] quasi
Color di perle ha quasi, in forma quale [come quello] delle perle, nel modo in cui (in forma quale) è
giusto (convene) avere da parte di una donna, non fuori [di]
convene a donna aver, non for misura: misura: lei è il massimo (quanto) di bene [che] la natura può
ella è quanto de ben pò far natura; realizzare (far); la bellezza (bieltà) si commisura (si prova) sul
50 per essemplo di lei bieltà si prova. suo modello (per essemplo di lei).
De li occhi suoi, come ch’ella li mova, 51-56 Dai suoi occhi, non appena lei (come ch’ella) li muove,
escono spirti d’amore inflammati,4 escono spiriti infiammati d’amore, i quali feriscono (feron) gli
occhi a chiunque la guardi (guati) in quel momento (allor), e
che feron li occhi a qual che allor la guati, penetrano (passan) [in profondità] in modo (sì) che ciascuno
e passan sì che ’l cor ciascun retrova: [degli spiriti] raggiunge (retrova) il cuore: voi le [: a Beatrice]
55 voi le vedete Amor pinto nel viso, vedete Amore dipinto nello sguardo (viso), là dove nessuno
(non… alcun) può guardarla (mirarla) in modo fisso.
là ’ve non pote alcun mirarla fiso.
3 Sola Pietà...beati»: al destino beato Paradiso desideravano vedere. In altre teorie sostenute da Guido Cavalcanti,
dell’amata si oppone, per sottolineare parole, l’esperienza diretta della bel- le tipiche personificazioni dei senti-
la distanza incolmabile, l’ipotetica lezza di Beatrice implica la salvezza menti. Qui gli spiriti sostituiscono le
dannazione dell’amante; la quale però eterna, dato che anche l’Inferno sareb- saette o frecce d’Amore come strumen-
non basterebbe a escludere il senti- be vissuto con beatitudine, nel ricordo to per far penetrare il sentimento amo-
mento di un privilegio irrevocabile: di lei. roso nel cuore degli amanti.
aver visto colei che le stesse anime del 4 spirti...inflammati: sono, secondo le
170
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Canzone, io so che tu girai parlando 57-63 [O] canzone, io so che tu parlerai (girai parlando) con
molte donne, quando io ti avrò resa pubblica (avanzata). Ora,
a donne assai, quand’io t’avrò avanzata.
poiché io ti ho allevata come figlia d’Amore (per figliuola d’A-
Or t’ammonisco, perch’io t’ho allevata mor) giovane e semplice (piana), ti ammonisco di chiedere
60 per figliuola d’Amor giovane e piana,5 cortesemente (che… tu diche pregando) dovunque tu giunga
che là ’ve giugni tu diche pregando: (là ’ve giugni): «Indicatemi la strada (Insegnatemi gir), poiché
io sono [stata] indirizzata (mandata) a colei (quella) [: Beatri-
«Insegnatemi gir, ch’io son mandata ce] delle cui lodi (laude) sono abbellita (adornata)».
a quella di cui laude so’ adornata».6
E se non vuoli andar sì come vana, 64-70 E se non vuoi muoverti (andar) inutilmente (sì come
65 non restare ove sia gente villana: vana), non fermarti (restare) dove si trovi gente malvagia
(villana) [: che non saprebbe indirizzare la canzone verso
ingegnati, se puoi, d’esser palese Beatrice]: fa’ in modo (ingegnati), se puoi, di rivelarti (d’esser
solo con donne o con omo cortese, palese) solo a (con) donne o a chiunque altro (con omo) [sia]
che ti merranno là per via tostana.7 nobile (cortese), i quali ti guideranno (merranno) là [da Bea-
trice] per via breve (tostana). Con lei tu troverai Amore; rac-
Tu troverai Amor con esso lei; comandami a lui meglio che puoi (come tu dei) [: la canzone
70 raccomandami a lui come tu dei. è infatti figlia di Amore].
5 per...piana: cioè come espressione 6 a quella...adornata: la bellezza dell’a- 7 ingegnati...tostana: la meta finale del-
nuova e diretta di Amore. Qui il poeta mata, la cui identità per cortesia non de- la canzone è Beatrice. Il testo però ha
rappresenta la sua fedele devozione ad ve essere svelata, è inscritta nella canzo- come esplicito destinatario interno tutte
Amore. ne. le donne esperte d’amore.
ANALISI La tendenza alla teatralizzazione La poesia mostra una tendenza alla teatralizzazione che
rende la narrazione mossa e vivace. La canzone si apre con il poeta che si rivolge direttamente
al pubblico di donne “esperte in questioni d’amore”. Una strutturazione dialogica e teatrale è
riscontrabile anche:
1) nella seconda stanza (vv. 15-28), in cui dialogano i beati e Dio pietoso;
2) nella quarta stanza (vv. 43-56), in cui interviene Amore;
3) nel congedo (vv. 57-70), dove a dialogare sono il poeta e la canzone, alla quale viene sug-
gerita una battuta da rivolgere a chi può aiutarla a trovare Beatrice (vv. 62-63).
171
PARTE PRIMA Il Medioevo
che dà origine a un testo al tempo stesso elevato e piano. La dolcezza dello stile è determi-
nata dai versi scorrevoli e musicali, dall’uso calibrato e tradizionale delle figure retoriche (cfr.
p. es. la personificazione di Amore), dalla sintassi lineare, dal lessico medio, che esclude sia
termini eccessivamente alti sia termini eccessivamente espressivi.
INTERPRETAZIONE La lode dell’amata Come sottolinea lo stesso Dante in un famoso passo del Purgatorio
E COMMENTO (XXIV, 49-63), «Donne ch’avete intelletto d’amore» segna una svolta di poetica. L’autore assume
qui una nuova materia, concentrandosi sulla lode dell’amata e sottolineando così il carattere
disinteressato del proprio sentimento. La donna è lodata sia per le doti di bellezza sia per le
doti morali che hanno effetti straordinari sugli altri (i cuori meschini vengono mortificati, i degni
vengono nobilitati e ricevono dalla sua visione garanzia della vita eterna). Il valore dell’amata
è tale che i beati del cielo la reclamano in Paradiso. Si configura una visione dell’amore che
tende alla perfezione dell’amore celeste.
ANALISI
3. Abbiamo rilevato per questa canzone una spicca-
ta tendenza alla teatralizzazione. Indica quali sono i
diversi soggetti che pronunciano (realmente o per ipo-
tesi) le seguenti battute: OLTRE IL TESTO Argomentare
a. «Sire, nel mondo si vede maraviglia…» (vv. 16-17): Dante si rivolge in questa canzone alle donne
b. «Diletti miei, or sofferite in pace…» (v. 24): esperte di questioni amorose. Oggi gli esperti
d’amore appar tengono a diverse categorie
c. «Cosa mortale come esser pò…» (vv. 43-44): professionali e dispensano consigli sulle riviste o
d. «Insegnatemi gir…» (v. 62): in tv. Che cosa pensi in proposito? Argomenta le
tue considerazioni in un breve scritto, magari
4. «Donne ch’avete intelletto d’amore»: come chiari- riportando alcuni stralci delle varie rubriche
sce la parte in prosa, è questo il verso che ispira la dedicate alle “questioni di cuore” per metterne in
canzone dantesca, rivolta a un destinatario privilegia- evidenza la validità dei contenuti o, al contrario,
to. Quale complemento è rappresentato dall’espres- la loro superficialità.
sione «d’amore»?
172
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
ZIONI
INFORMA
Dante e la valorizzazione delle donne
La canzone «Donne ch’avete intelletto tuale dell’amore, che trascende dalla il poeta non intende contraddire il pen-
d’amore» rivela una valorizzazione del mera passione. Dante non riconosce siero medievale sulla superiorità ma-
genere femminile: della sua sensibilità agli uomini uguale sapienza d’amore. schile (come conferma un passo del
e, soprattutto, delle sue capacità intel- Egli non cede allo stereotipo medievale De vulgari eloquentia). Beatrice si pre-
lettuali. Dante si rivolge alle donne rico- per cui, riduttivamente, il genere fem- senta come figura ideale e astratta: la
noscendo in loro il solo pubblico capace minile sarebbe dotato solo di maggiore sua elevazione e la sua lode riguardano
di seguire e comprendere un’argomen- sensibilità sentimentale, ma conside- l’ambito letterario, senza comportare
tazione in larga parte dottrinale. Esse ra le specifiche conoscenze filosofiche una rivoluzione della concezione me-
sanno infatti cogliere la nuova visione delle donne. Il fatto di riconoscere nel dievale della donna. La donna è negata
dantesca dell’amore, inteso come sen- pubblico femminile un ascoltatore e un nella sua esistenza storica e concre-
timento del tutto disinteressato, rivol- interprete privilegiato rappresenta cer- ta per divenire personaggio esemplare;
to esclusivamente alla contemplazione tamente un passo importante verso il non è vista come entità autonoma, ma
della bellezza e alla lode dell’amata. Le conseguimento di una pari dignità fra come modello astratto, pensato e defi-
donne che hanno «intelletto d’amore» i sessi. Tuttavia, Dante resta convinto nito in funzione dell’identità maschile.
costituiscono l’élite culturale del nuovo della posizione subalterna della donna: Ciò non attesta un limite di Dante, ma
ambiente fiorentino borghese del Due- infatti, se da una parte la Vita nuova – un limite storico. Dietro l’idealizzazione
cento. Raffinate e colte, esse sanno sen- insieme con la tradizione stilnovistica – letteraria, sta, infatti, la netta divisio-
tire e comprendere la grandezza spiri- valorizza la figura femminile, dall’altra ne tra i sessi della società medievale.
173
PARTE PRIMA Il Medioevo
Avendo la canzone «Donne ch’avete intelletto d’amore» ( T3, p. 168) ottenuto un certo successo, un
amico di Dante gli chiede di esporre le proprie idee sulla natura d’amore. Si tratta di un tema ormai tradi-
zionale della lirica amorosa, e Dante lo affronta riferendosi esplicitamente alla posizione di Guinizzelli: tra
amore e cuore nobile vi è perfetta identità. La nuova concezione “borghese” della nobiltà d’animo – non
più collegata a quella di sangue – può contare ormai su una tradizione vincente.
I TEMI corrispondenza tra amore e cuore nobile amore in potenza e amore in atto
[1] Appresso che questa canzone fue alquanto divolgata tra le genti, con ciò fosse cosa che
alcuno amico l’udisse, volontade lo mosse a pregare me che io li dovesse dire che è Amore,
avendo forse per l’udite parole speranza di me oltre che degna. Onde io, pensando che appres-
so di cotale trattato bello era trattare alquanto d’Amore, e pensando che l’amico era da servire,
propuosi di dire parole ne le quali io trattassi d’Amore; e allora dissi questo sonetto, lo qual
comincia: Amore e ’l cor gentil.
Amore e ’l cor gentil sono una cosa,
sì come il saggio in suo dittare pone,1
e così esser l’un sanza l’altro osa2
com’alma razional sanza ragione.
5 Falli3 natura quand’è amorosa,4 Metrica: preceduto da una breve introduzione, il
sonetto presenta rime alternate nelle quartine e
Amor per sire e ’l cor per sua magione,5
replicate nelle terzine, secondo lo schema ABAB,
dentro la qual dormendo si riposa ABAB; CDE, CDE; D è assonante con B.
tal volta poca e tal lunga stagione.6
1 il saggio...pone: il poeta afferma nella sua scrit
Bieltate appare in saggia donna pui,7 tura. Il saggio indica il poeta; qui, in particolare,
10 che piace a li occhi sì, che dentro al core Dante si riferisce probabilmente a Guinizzelli.
2 esser...osa: uno dei due può esistere senza l’altro.
nasce un disio de la cosa piacente;8 3 Falli: Li fa, li crea [: Amore e cuore nobile].
4 amorosa: aperta all’amore.
e tanta dura talora in costui,9 5 magione: dimora.
che fa svegliar lo spirito d’Amore. 6 stagione: tempo.
E simil face in donna omo valente. 7 pui: poi, a un certo punto.
8 la cosa piacente: l’oggetto che piace.
D. Alighieri, Opere minori, cit. 9 in costui: in esso [: nel cuore].
LABORATORIO DI SCRITTURA
LA PARAFRASI
La parafrasi è una traduzione dal linguaggio dell’autore al linguaggio comune: in quanto tale, non sintetizza l’ori-
ginale ma semmai può ampliarlo per sciogliere i passaggi più complessi. Per fare una parafrasi è necessario
ricostruire l’ordine logico-sintattico delle parole e dei singoli periodi, e tradurre i termini difficili in un linguaggio
più semplice (il più possibile di base o standard). Proviamo insieme, seguendo alcuni passaggi, a fare la para-
frasi di questa poesia di Dante. Di seguito riscriviamo il sonetto riordinando la sintassi e segnalando in neretto
le parole e le espressioni che dovranno essere sostituite con la parafrasi.
Amore e ’l cor gentil sono una cosa, sì come il saggio pone in suo dittare, e l’un sanza l’altro osa esser così com’alma
razional sanza ragione.
Natura falli quand’è amorosa, Amor per sire e ’l cor per sua magione, dormendo dentro la qual si riposa tal volta poca
stagione e tal lunga.
Pui bieltate appare in donna saggia, che piace a li occhi sì, che dentro al core nasce un disio de la cosa piacente; e
talora dura tanta in costui, che fa svegliar lo spirito d’Amore. E simil face omo valente in donna.
A questo punto, con l’aiuto delle note, scrivi tu la parafrasi del testo seguendo il normale ordine sintattico rista-
bilito sopra. Per quali espressioni non parafrasate nelle note hai dovuto consultare il vocabolario?
174
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
ANALISI Dante, Guinizzelli e Cavalcanti Abbiamo visto che Dante nella Vita nuova fa propri alcuni ele-
menti della tradizione lirica d’amore. Qui in particolare recupera il tema guinizzelliano della cor-
rispondenza tra amore e nobiltà d’animo: la canzone di Guinizzelli «Al cor gentil rempaira sem-
pre amore» ( Capitolo 2, T6, p. 96) viene chiaramente ripresa nell’incipit dantesco «Amore e
’l cor gentil sono una cosa». Il «saggio» nominato al v. 2 è dunque con ogni probabilità proprio
il poeta Guido Guinizzelli. Dante prende invece le distanze dall’altro importante rappresen-
tante dello Stil novo, Guido Cavalcanti. Un’indiretta polemica nei suoi confronti può infatti
essere individuata nella similitudine del v. 4 («com’alma razional sanza ragione»): per Dante,
a differenza di Cavalcanti, non c’è conflitto tra amore e ragione.
INTERPRETAZIONE L’amore dalla potenza all’atto Le due parti individuate nel sonetto potrebbero intitolarsi
E COMMENTO “l’amore in potenza” e “l’amore in atto”. Rifacendosi alla filosofia scolastica medievale, nelle
quartine (vv. 1-8) Dante afferma che l’identità di amore e di cuore nobile conosce una prima
fase, per così dire, di incubazione, in cui il sentimento abita nel cuore nobile senza però mani-
festarvisi, e cioè in condizione di pura potenza, ovvero di latenza. Nelle terzine (vv. 9-14) il
poeta descrive il passaggio dalla potenza all’atto. Esso si verifica in presenza di una donna
virtuosa («saggia», v. 9) e coinvolge sia la vista sia il cuore dell’amante. Ancora una volta l’a-
more è collegato alla visione della bellezza («Bieltate…/ che piace a li occhi sì», vv. 9-10) della
donna amata, che risveglia nel cuore dell’amante il desiderio dell’oggetto che gli piace («nasce
un disio de la cosa piacente», v. 11).
COMPRENSIONE ANALISI
1. 3. Dante definisce l’amore in potenza che poi si mani-
a. Nella quartina di apertura Dante esprime la sua festa. Sottolinea nel testo i versi nei quali è descritto
idea di fondo circa l’amore. Con parole tue spiega il passaggio dall’amore in potenza all’amore in atto.
il significato dei vv. 1, 3 e 4: «Amor e ’l cor gentil
sono una cosa, / […] / e così esser l’un sanza INTERPRETAZIONE E COMMENTO
l’altro osa / com’alma razional sanza ragione».
4. Confrontare Inchieste sulle origini e sulla natu-
b. Chiarisci ulteriormente la posizione di Dante rispet- ra di amore sono molto frequenti nella tradizione cor-
to all’amore stabilendo se le seguenti affermazioni tese (basti pensare alle teorie sull’amore di Andrea
sono vere o false: Cappellano Parte prima, Quadro storico-culturale,
l’amore è un sentimento creato dalla D2, p. 15) e nella prima lirica italiana, a partire dai Si-
natura V F ciliani (soprattutto Giacomo da Lentini Capitolo 2)
la bellezza deve essere unita alla fino allo Stil novo (p. es. la canzone «Al cor gentil rem-
saggezza e al valore V F paira sempre amore» di Guido Guinizzelli Capitolo
2, T6, p. 96). Scrivi un breve testo sul rapporto fra la
l’amore è un sentimento latente in tutti
concezione di Dante e quella degli altri autori appena
i cuori V F
citati, cercando di rispondere alle seguenti domande:
solo coloro che appartengono a famiglie a. come nasce l’amore?
nobili sono capaci di amare V F
b. qual è il ruolo della vista?
il desiderio deve essere duraturo per c. amore e cuore gentile possono essere separati?
risvegliare l’amore V F
d. quale tra i poeti analizzati inserisce dettagli che sot-
solo gli uomini si possono innamorare V F tolineano lo stretto rapporto fra amore e ragione?
l’anima razionale non si può innamorare V F e. secondo te, perché Dante ribadisce con forza la cor-
rispondenza tra amore e cuore gentile?
2. Chi è, con molta probabilità, il «saggio» nominato
da Dante nel v. 2?
175
T5
TESTO GUIDA «Tanto gentile e tanto onesta pare»
dal testo [Vita nuova, XXVI]
Il sonetto contenuto nel capitolo ventiseiesimo della Vita nuova è tra i più celebri di Dante. Si tratta di
un componimento interamente finalizzato a lodare Beatrice, che appare qui nel pieno della sua bel-
lezza, nell’atto di concedere il suo saluto-salvezza a chi la incontra.
I TEMI poesia della lode saluto-salvezza dell’amata «miracoli» di Beatrice
[1] Questa gentilissima donna, di cui ragionato è ne le precedenti parole, venne in tanta gra-
zia de le genti, che quando passava per via, le persone correano per vedere lei; onde mirabile
letizia me ne giungea. E quando ella fosse presso d’alcuno, tanta onestade giungea nel cuore
di quello, che non ardia di levare li occhi, né di rispondere a lo suo saluto; e di questo molti, sì
come esperti, mi potrebbero testimoniare a chi non lo credesse.
[2] Ella coronata e vestita d’umilitade s’andava,1 nulla gloria mostrando di ciò ch’ella vedea e
udia. Diceano molti, poi che passata era: «Questa non è femmina, anzi è uno de li bellissimi
angeli del cielo». E altri diceano: «Questa è una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che
sì mirabilemente sae adoperare!».
[3] Io dico2 ch’ella si mostrava sì gentile e sì piena di tutti li piaceri, che quelli che la mirava-
no comprendeano in loro una dolcezza onesta e soave, tanto che ridicere non lo sapeano; né
alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio nol convenisse sospirare.
DIGIT VIDEOLEZIONE Metrica: preceduto da una breve introduzio- 1 Ella coronata...s’andava: le metafore della
Analisi del testo di Pietro Cataldi ne in prosa, il sonetto presenta rime incrocia- “corona” e del “vestire” ampliano e poten-
te nelle quartine e invertite nelle terzine, ziano il tema dell’umiltà della donna, ribadi-
DIGIT secondo lo schema ABBA, ABBA; CDE, to poi nel sonetto seguente (cfr. v. 6: «beni-
ANALISI ATTIVA • ASCOLTO • ALTA LEGGIBILITÀ EDC. A E C sono consonanti. gnamente d’umiltà vestuta»).
2 Io dico: è una formula di ricapitolazione e
di ripresa enfatica.
176
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
[4] Queste e più mirabili cose da lei procedeano virtuosamente: onde io pensando a ciò, vo-
lendo ripigliare lo stilo de la sua loda, propuosi di dicere parole, ne le quali io dessi ad inten-
TESTO GUIDA
dere de le sue mirabili ed eccellenti operazioni; acciò che non pur coloro che la poteano sen-
sibilemente vedere, ma li altri sappiano di lei quello che le parole ne possono fare intendere.
Allora dissi questo sonetto, lo quale comincia: Tanto gentile.
Tanto gentile e tanto onesta3 pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,4
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.5
5 Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.6
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
10 che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi non la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.7
D. Alighieri, Opere minori, cit.
[4] Questi e altri effetti (cose) più straordinari (mirabili) punto (Tanto) nobile (gentile) e a tal punto dignitosa
provenivano da lei per forza di virtù (virtuosamente): co- (onesta), che ogni lingua diviene muta per il tremore
sicché (onde) mentre pensavo a ciò e cercavo di riprende- [: nessuno può più parlare], e gli occhi non osano (ardi-
re lo stile della lode di lei (volendo… loda) [: cioè il model- scon) guardarla.
lo poetico della lode inaugurato dalla canzone «Donne
5-8 Sentendosi lodare, ella procede (si va) atteggiata (ve-
ch’avete intelletto d’amore»], mi sono proposto di pronun-
stuta = ‘vestita’, con metafora) benevolmente con umiltà;
ciare parole, con le quali io spiegassi (dessi ad intendere)
e si rivela (par che sia) un essere (cosa) venuto dal cielo a
i suoi [: di Beatrice] straordinari (mirabili) ed eccellenti
mostrarsi [come un] miracolo sulla Terra.
effetti; affinché (acciò che) facessero conoscenza di lei
(sappiano di lei) non solamente (pur) coloro che la pote- 9-14 [Beatrice] si mostra (Mostrasi) a tal punto (sì) bella
vano vedere direttamente con i propri sensi (sensibile- (piacente) a chi la guarda (mira), che trasmette (dà) attra-
mente), ma [anche] altri a cui le parole potessero comu- verso gli occhi una [tale] dolcezza al cuore, che chi non la
nicare (fare intendere) tali effetti (ne). Allora io scrissi sperimenta direttamente (non la prova) non può capire
questo sonetto, il quale comincia: Tanto nobile (gentile). (’ntender): ed è evidente come (e par che) dal suo volto
(labbia) emani (si mova) uno spirito [: una forza] dolce
1-4 La mia signora (donna, dal latino domina) [: Beatri- (soave) [e] pieno di amore che dice (va dicendo) all’ani-
ce], quando saluta qualcuno (altrui), si rivela (pare) a tal ma: Sospira.
3 gentile...onesta: i due aggettivi hanno va- zione della donna corrisponde la reazione la Terra l’altezza divina.
lore complementare: il primo si riferisce alla stupefatta e smarrita del poeta, impedito 7 Mostrasi sì...Sospira: chiunque assista alla
nobiltà interiore della donna, il secondo al tanto nelle facoltà percettive (in particolare bellezza di Beatrice è coinvolto nell’esperien-
suo decoro esterno. la vista) quanto in quelle espressive (la sua za di dolcezza e di turbamento, qui riassunta
4 saluta: qui significa sia ‘rivolge il saluto’, lingua trema e ammutolisce). nel finale Sospira, affidato come al solito alla
sia ‘manifesta segni di salvezza’. 6 a miracol mostrare: il miracolo è Beatrice, teatralizzazione degli “spiriti”.
5 ch’ogne...guardare: alle virtù e alla perfe- la quale non compie miracoli, ma incarna sul-
177
PARTE PRIMA Il Medioevo
alla vita Il sonetto allude a un incontro fra Dante e Beatrice ma non è possibile ricostruire i termini
concreti di questo episodio: nella Vita nuova tutto è volutamente rappresentato in modi inde-
dell’autore terminati e assoluti, mentre ogni momento della narrazione si carica di un significato simbo-
lico. Dante intende fare della propria vicenda una vicenda esemplare, in cui tutti possano
riconoscersi. Tuttavia, la Vita nuova può essere letta, in una certa misura, anche come l’au-
tobiografia della giovinezza di Dante, al centro della quale sta l’amore per Beatrice. Accanto
alla data fondamentale della morte dell’amata, l’8 giugno 1290, si trovano altri riferimenti
impliciti che ci consentono di connettere i contenuti dell’opera alla vicenda biografica dell’au-
tore e di indicare una possibile datazione per alcuni componimenti. Per esempio, nel periodo
in cui Dante scrive questo sonetto di lode muore il padre dell’amata: se l’identità di Beatrice
coincide effettivamente con quella della figlia di Folco Portinari, è rilevante sapere che la
morte dell’uomo avvenne il 31 dicembre 1289.
178
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
della donna è posta come dato vero in sé e la sua funzione salvifica si offre in modo oggettivo:
è infatti Beatrice a “parere”, cioè a manifestarsi, nel suo valore. Nel mondo moderno, all’oppo-
TESTO GUIDA
sto, è il soggetto ad attribuire significato alla vita e alla realtà che lo circonda.
179
PARTE PRIMA Il Medioevo
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
Un miracolo quotidiano
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE
ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
Il sonetto di Dante «Tanto gentile e tanto onesta pare» allude a una dimensione urbana, più moderna e lon-
tana dall’ambiente chiuso del castello feudale dei romanzi cortesi: il poeta incontra la donna per strada,
come potrebbe accadere anche oggi.
Ma l’accostamento all’attualità si ferma qui perché diversa è la sensibilità con cui questo incontro
viene vissuto. Dante legge l’avvenimento dell’incontro in chiave religiosa, superando la dimensione oc-
casionale e del tutto terrena; per lui è un evento miracoloso, sovrannaturale. L’uomo contemporaneo,
invece, incline ad appiattire la relazione con il mondo e con gli altri al livello della mentalità consumi-
stica, non trova né spazio né tempo per riflettere sull’eterno e Dio è diventato irrilevante per gli affari
umani sulla Terra.
Sviluppa questi spunti, riferendoti a quanto conosci della mentalità medievale, alle tue letture e alle tue
esperienze personali. Puoi articolare il tuo elaborato in paragrafi, opportunamente titolati, e presentarlo con
un titolo complessivo che ne esprima sinteticamente il contenuto.
180
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
La conclusione della Vita nuova è dedicata al trionfo di Beatrice nel Paradiso. Nel breve capitolo che se-
gue il sonetto «Oltre la spera che più larga gira» il poeta informa di una nuova meravigliosa apparizione
dell’amata e si ripromette di non comporre più fino al momento in cui non sia in grado di scrivere di lei
cose mai dedicate a nessuna donna: sembrerebbe un annuncio della Commedia.
I TEMI superamento dello Stilnovismo: coincidenza fra amore umano e amore sacro preannuncio della Commedia
PARAFRASI
Oltre la spera che più larga gira1 1-4 Il sospiro [: il pensiero] che esce dal mio cuore penetra (passa) oltre
passa ’l sospiro2 ch’esce del mio core: la sfera celeste (spera) che ha circonferenza (gira) più larga: lo tira di
continuo (pur) verso l’alto una nuova [: straordinaria] capacità di inten-
intelligenza nova, che l’Amore dimento (intelligenza), che l’Amore mette in lui [: nel pensiero] attra-
piangendo mette in lui, pur su lo tira. verso il dolore (piangendo) [: causato dalla morte di Beatrice].
5 Quand’elli è giunto là dove disira, 5-8 Quando esso (elli) [: il pensiero] è arrivato là dove desidera [: in
vede una donna, che riceve onore, Paradiso], vede una donna [: Beatrice] che riceve onore [da tutti i bea-
ti] e risplende (luce) in modo tale (sì), che lo spirito pellegrino la con-
e luce sì, che per lo suo splendore templa (mira) per la sua luminosità (splendore).
lo peregrino3 spirito la mira.
Vedela tal, che quando ’l mi ridice, 9-14 [Il mio spirito] la [: Beatrice] vede così perfetta (tal), che quando
10 io no lo intendo, sì parla sottile me lo (’l mi) riferisce (ridice), io non lo capisco, a tal punto (sì) parla
difficile (sottile) al [mio] cuore sofferente (dolente), che lo spinge a
al cor dolente, che lo fa parlare. parlare. Io so [di certo] che parla di quella [donna] nobile (gentile), da-
to (però) che menziona (ricorda) spesso [il nome di] Beatrice, così che
So io che parla di quella gentile, io capisco bene questo fatto (lo) [: che parla dell’amata], [o] mie care
donne.
però che spesso ricorda Beatrice,4
sì ch’io lo ’ntendo ben, donne mie care.5
XLII [1] Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione,6 ne la quale io vidi cose
che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più
degnamente trattare di lei.
[2] E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente. Sì che, se piacere sarà
di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei
quello che mai non fue detto d’alcuna.
XLII [1] Dopo [aver scritto] questo sonetto mi si è rivelata (ap- [2] E per arrivare a questo risultato (ciò) [: per poter parlare di
parve a me) una visione meravigliosa (mirabile), nella quale io Beatrice in modo più degno] io mi do da fare (studio) quanto
vidi cose che mi fecero decidere (proporre) di non parlare (dire) posso, così come lei [: Beatrice] sa per vero (veracemente). Così
più di questa [donna] benedetta [: Beatrice] finché io [non] po- che, se sarà la volontà (piacere) di colui per il quale vivono tutti
tessi parlare (trattare) di lei in modo più degno. gli esseri [: cioè Dio, con perifrasi] che la mia vita duri [ancora]
per molti anni, io spero di pronunciare su di lei [: Beatrice] quel-
lo che non fu mai detto di una donna (d’alcuna).
Metrica: sonetto con rime secondo lo sche- giunge il Paradiso. L’io profondo e l’alto cielo questo passo.
ma ABBA, ABBA; CDE, DCE. A, B e E sono entrano in contatto attraverso il sospiro. 5 donne mie care: Dante si rivolge di nuovo
consonanti. 2 sospiro: in luogo di ‘pensiero’; è una me- esplicitamente al pubblico femminile, come
tonimia, che sostituisce la causa (il pensare aveva fatto all’inizio della Vita nuova nella
1 la spera...gira: è il nono cielo o Primo Mo- alla perfezione di Beatrice) con l’effetto (il canzone «Donne ch’avete intelletto d’amore».
bile, dal quale tutti gli altri cieli acquistano sospiro). 6 mirabile visione: certamente relativa a Bea-
movimento e al di là del quale si trova l’Em- 3 peregrino: perché viaggia dalla terra al cielo. trice, ma intorno alla quale Dante in ogni caso
pireo, la sede di Dio e dei beati. Dall’interio- 4 Beatrice: è la prima e unica volta che il non specifica nulla, anticipando già la scelta
rità più intima dell’animo del poeta (core) nome compare in un testo poetico della Vita di non dire più nulla dell’amata. Sembrerebbe
si produce uno slancio verso l’alto che rag- nuova, ulteriore segno dell’eccezionalità di un annuncio della Commedia.
181
PARTE PRIMA Il Medioevo
[3] E poi piaccia a colui che è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la
gloria de la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la
faccia di colui qui est per omnia secula benedictus.7
[3] E inoltre voglia (piaccia) colui che è re delle virtù (sire de la quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente è concentrata
cortesia) [: Dio, con perifrasi] che la mia anima se ne possa anda- (mira) nella faccia di colui che è benedetto per tutti i secoli
re (gire) a vedere il trionfo beato (gloria) della sua donna, cioè di (qui… benedictus) [: cioè Dio, con perifrasi].
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
La struttura bipartita
Il sonetto, dedicato al trionfo di Beatrice nel Paradiso, presenta una struttura perfettamente bipartita: le
quartine sono dedicate a rappresentare il percorso dello «spirito» verso il Paradiso; le terzine, invece, rap-
presentano il movimento inverso, dall’esterno verso l’intima interiorità del poeta (il «cor dolente»). Le due
parti sono tra loro collegate dallo stretto rapporto tra i verbi “mirare” e “vedere” («mira» al v. 8 conclude la
quartina e «Vedela» al v. 9 apre la terzina). La bipartizione riguarda anche il livello tematico: al tema della
visione dell’amata nelle quartine segue, nelle terzine, il tema dell’ineffabilità.
Le prime quartine sono ambientate «Oltre la spera che più larga gira»: quale luogo vuole indicare Dante
con questa perifrasi?
ANALISI
Uno stile ricercato
Questo sonetto ha uno stile più teso e elaborato di altri. Le rime sono scelte in modo da essere conso-
nanti (-ira, -ore, -are) o assonanti (-ice, -ile); mentre gli enjambements (cfr. vv. 3-4, 10-11) introducono un
elemento di tensione. Si coglie un sottile gioco di richiami, attraverso la ripetizione dei verbi “vedere”,
“intendere”, “parlare”. Nel breve capitolo che segue il sonetto, l’uso della perifrasi per indicare Dio im-
preziosisce il dettato, oltre a tradurre il rispetto e la devozione di Dante per il Creatore.
Trascrivi le ricorrenze dei verbi “vedere”, “intendere”, “parlare”.
Indica le tre perifrasi usate da Dante per indicare Dio e forniscine una parafrasi.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
La nuova concezione dell’amore
Come è evidente in questa conclusione, la Vita nuova inaugura una visione dell’amore diversa da quella dei
poeti stilnovisti. Sono sì ripresi certi temi dello Stil novo, ma tutti vengono risolti in una concezione prettamen-
te religiosa. L’amore umano coincide totalmente con l’amore sacro, mentre la donna è propriamente un ange-
lo (e non simile a un angelo). Siamo al preannuncio della Commedia, con il proposito di «dicer di lei quello che
mai non fue detto d’alcuna» e la speranza che l’«anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna».
La Vita nuova supera la concezione stilnovistica dell’amore. Rileggi le ultime due stanze di «Al cor gentil
rempaira sempre amore» ( Capitolo 2, T6, p. 96) di Guinizzelli e sottolinea il diverso rapporto tra amore
e valori religiosi che emerge rispetto a Dante.
182
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
6 Le Rime
La composizione Le Rime contengono poesie composte tra il 1283 e il 1307, attribuite a Dante, ma non incluse
né nella Vita nuova né nel Convivio. La raccolta non fu organizzata dall’autore, ma da altri cu-
ratori che scelsero il titolo e selezionarono i testi, includendo oltre a poesie dantesche (cin-
quantaquattro di sicura attribuzione e ventisei di attribuzione incerta) anche ventisei liriche
di poeti “corrispondenti” (come Guido Cavalcanti, Cecco Angiolieri, Forese Donati), in dialogo
con Dante attraverso i loro componimenti, com’era nella consuetudine del tempo.
I temi e gli stili Le Rime comprendono poesie di argomento e stile assai vari, riconducibili a fasi diverse della
produzione dantesca. È possibile distinguere cinque gruppi, secondo criteri cronologici, tema-
tici e stilistici:
DIGIT 1. rime stilnovistiche: risalgono per lo più al periodo della Vita nuova (1283-1293 ca.) e sono
TESTI
«Per una incentrate sul tema amoroso, inteso in senso stilnovistico, come ammirazione e lode disin-
ghirlandetta» teressate della donna. Lo stile è elevato, con riferimenti culturali colti che rimandano al
[Rime]
nuovo pubblico d’élite ( T7, p. 184);
2. la Tenzone con Forese Donati: comprende tre sonetti di Dante e tre di Forese scritti pro-
babilmente tra il 1290 e il 1296. La disputa (il termine “tenzone” designa appunto una
disputa poetica) si accompagna a un registro comico, con scambio d’insulti e qualche vol-
garità;
3. rime allegoriche e dottrinali: risalgono all’ultimo decennio del secolo e sono incentrate
su temi morali di grande impegno, come quelle incluse e commentate nel Convivio. La ma-
teria impegnata richiede uno stile dotto ed elevato;
4. rime “petrose”: scritte tra il dicembre 1296 e il 1298, sono dedicate all’amore sensuale per
una donna crudele e indifferente, la cui identità ci è ignota. Il termine-chiave «petra» (cioè
‘pietra’) allude appunto alla durezza dell’amata, ma non è da escludere che si tratti anche
del suo nome di battesimo. Alla
violenza della passione e alla
ostinata crudezza della donna
corrispondono una sonorità
aspra e uno stile violentemente
realistico, ricco di dati concreti e
perfino brutali ( T8, p. 186);
5. rime dell’esilio: scritte tra il 1302
e il 1307, sono incentrate per lo
più su temi di carattere civile ed
etico e contengono una critica
spesso aspra alla civiltà comuna-
le. Di fronte alla propria condizio-
ne di esule, il poeta acquista toni
ora malinconici ora orgogliosi e ri-
sentiti ( T9, p. 190).
FACCIAMO IL PUNTO
A quando risale la composizione delle Rime?
Quali sono le caratteristiche della tenzone con Forese Donati?
183
PARTE PRIMA Il Medioevo
In questo sonetto Dante immagina di intraprendere un magico viaggio in nave con i suoi amici più cari, i
poeti Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, e con le rispettive innamorate. Si tratta di un sogno di evasione, una
vera e propria esaltazione dell’amicizia intesa come concordanza di idee e di aspirazioni.
I TEMI ideale di vita dei nuovi poeti stilnovisti
PARAFRASI
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io 1-8 [O] Guido, io vorrei che tu e Lapo e io fossimo rapiti
fossimo presi per incantamento, (presi) per incantesimo, e messi in un vascello (vasel) che
andasse [: navigasse] per mare con qualunque (ad ogni)
e messi in un vasel1 ch’ad ogni vento vento secondo la volontà vostra e mia, in modo (sì) che né
per mare andasse al voler vostro e mio, tempesta (fortuna) né altro tempo cattivo (rio) ci potes-
se ostacolare (dare impedimento), [e] anzi, vivendo [noi]
sempre secondo un’unica volontà (talento), crescesse il
5 sì che fortuna od altro tempo rio desiderio (disio) di stare insieme.
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi2 9-14 Poi [vorrei che] il potente (buono) mago (incanta-
10 con quella ch’è sul numer de le trenta3 tore) [: Merlino] mettesse con noi [sulla nave] anche (e)
la signora (monna) Vanna [: l’amata di Cavalcanti] e la si-
con noi ponesse il buono incantatore: gnora Lagia [: l’amata di Lapo] insieme a quella [donna]
che ha la posizione della trentesima [donna] (ch’è…
e quivi ragionar sempre d’amore, trenta): e qui [: sulla nave] [vorrei che] ciascuna di loro
fosse contenta, così come io credo che saremmo [con-
e ciascuna di lor fosse contenta, tenti] noi [uomini].
sì come i’ credo che saremmo noi.
D. Alighieri, Opere minori, cit.
DIGIT lino che si incontra nei romanzi del ciclo ar- 3 quella...trenta: la donna che occupava
ANALISI ATTIVA • ASCOLTO • ALTA LEGGIBILITÀ turiano, di gran moda nel Duecento. il trentesimo posto nel catalogo delle ses-
2 E monna Vanna... poi: monna è il titolo di santa donne più belle di Firenze scritto da
Metrica: sonetto con rime incrociate nelle rispetto per donne, generalmente giovani, Dante (oggi perduto). Non si tratta pertanto
quartine e invertite nelle terzine, secondo di condizione sociale elevata, derivato da di Beatrice, che occupava, per dichiarazione
lo schema ABBA, ABBA; CDE, EDC. “madonna”. Vanna è l’amata di Cavalcanti, esplicita del poeta, il posto numero nove.
citata anche nel capitolo 24 della Vita nuo- È forse la donna che nella Vita nuova ha la
1 vasel: è la nave “magica” del mago Mer- va. Lagia è l’amata di Lapo. funzione di “donna-schermo”.
ANALISI La metrica e lo stile Il componimento è un sonetto con rime incrociate nelle quartine e
invertite nelle terzine, secondo lo schema ABBA, ABBA, CDE, EDC. Da un lato il rapporto tra le
quartine e le terzine è suggerito dalla quasi rima tra B (in -ento) e C (in -enta); dall’altro un
184
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
segno di interpunzione forte (il punto fermo) distingue le due parti del componimento. La sin-
tassi asseconda naturalmente la metrica contribuendo a una scorrevolezza agile e spensie-
rata, in accordo con il tema gioioso e magico. Lo slancio favoloso si esprime anche grazie alle
anafore («E monna… e monna…», v. 9; «con… con…», vv. 10-11), la ripetizione della congiun-
zione e all’inizio dei vv. 9, 12 e 13 e l’indefinitezza della perifrasi al v. 10 («quella ch’è sul
numer de le trenta»).
Il modello del plazer Il modello letterario al quale rimanda questo sonetto di Dante è quello
del plazer, genere della tradizione poetica provenzale in cui si enumerano realtà piacevoli e
desiderate. Il poeta fonde questo modello a suggestioni favolose provenienti dai cicli dei
romanzi arturiani, per esempio con il riferimento alla nave del mago Merlino (il «vasel» del
«buono incantatore», vv. 3 e 11). Inoltre si incontra qui, più che un elenco di piaceri, un ideale
complessivo di vita affidato all’evasione.
INTERPRETAZIONE Ideale di vita e critica sociale Il sogno di evasione dantesco coincide con l’affermazione
E COMMENTO dell’ideologia d’amore stilnovista. Infatti, i passeggeri del «vasel» staranno in concordia e
armonia trascorrendo il loro tempo a «ragionar sempre d’amore». A questa “setta” di fedeli
d’amore si contrappone implicitamente la società reale delle lotte politiche e dei mercanti, in
cui l’amore, l’amicizia e la concordia vengono spesso messi da parte.
COMPRENSIONE ANALISI
1. Stabilisci se le seguenti affermazioni sul viaggio a 3. Lingua e stile Il sonetto si caratterizza per un
cui si fa riferimento nel testo sono vere o false. tono lieve, che evita ogni durezza e complicazione.
La sola figura retorica che si segnala è una perifrasi:
a. Dante indirizza il sonetto all’amata che
rintracciala nel testo e chiariscine il significato.
salirà con lui sul «vasel» V F
b. il «Guido» a cui fa riferimento Dante nel 4. Lingua e stile «Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed
v. 1 è l’amico Guido Guinizzelli V F
io»: in questo primo verso ricorre un fenomeno sintat-
tico caratteristico dell’intero sonetto: quale?
c. Dante immagina che sul «vasel»
regnerebbe la concordia V F 5. Lingua e stile Il sonetto rappresenta un raccon-
to vivace e movimentato. Individua i complementi di
d. la presenza delle amate influisce luogo presenti nel testo e specificane la tipologia.
negativamente sull’amicizia dei tre
compagni V F 6. Lingua e lessico Al v. 7 Dante impiega il termi-
ne «talento» con un significato diverso da quello che
e. tema di conversazione prediletto esso assume nell’italiano corrente: quali sono le due
sul «vasel» sarebbe l’amore V F accezioni del sostantivo?
f. il viaggio è solo immaginato da Dante V F
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
2. Parafrasare Prova a fare la parafrasi scritta del 7. Sul vascello magico i tre amici con le loro ama-
sonetto senza leggere quella già svolta e poi verifica- te perseguono un comune ideale di vita. In che cosa
ne la correttezza. consiste? In che modo esso si contrappone alla vita
nella società contemporanea a Dante?
185
PARTE PRIMA Il Medioevo
Questa canzone è indirizzata alla «bella petra», una donna crudele e insensibile all’amore, molto lontana
dal modello della donna-angelo stilnovistica. Si tratta del componimento più significativo del gruppo del-
le rime cosiddette “petrose”: agli “atti aspri” della donna corrisponde il “parlare aspro” dell’innamorato
respinto. Il contenuto del testo – un vero e proprio sfogo della soggettività del poeta – è espresso in una
forma caratterizzata da suoni violenti e da un tono esasperato.
I TEMI crudeltà dell’anima desiderio di vendetta del poeta
PARAFRASI
Così nel mio parlar voglio esser aspro 1-13 Nel mio [modo di] parlare voglio essere violento (aspro)
com’è ne li atti questa bella petra,1 così come è nel suo modo di fare (ne li atti) questa bella [don-
na di] pietra, la quale racchiude (impetra) sempre (ognora)
la quale ognora impetra maggiore durezza e maggiore (più) crudeltà di carattere (na-
maggior durezza e più natura cruda, tura cruda), e ricopre (veste; metafora) il suo corpo (persona)
5 e veste sua persona d’un dïaspro2 di un diaspro tale che, grazie a esso (per lui), o a causa del fat-
to che lei si tira indietro (s’arretra), non esce mai dall’arco (fa-
tal, che per lui, o perch’ella s’arretra, retra) una freccia (saetta) che la sorprenda (colga) indifesa
non esce di faretra (ignuda; metafora); e però (ed) lei uccide (ancide), e non ser-
saetta che già mai la colga ignuda; ve (non val) che uno (ch’om) si difenda (si chiuda) [in una co-
razza] né [che] si allontani (si dilunghi) dai colpi mortali, i
ed ella ancide, e non val ch’om si chiuda quali raggiungono il destinatario (altrui) e spezzano ogni ar-
10 né si dilunghi da’ colpi mortali, ma come [se] avessero ali: così che io non so né posso difen-
che, com’avesser ali, dermi (atarme = ‘aiutarmi’) da lei.
giungono altrui e spezzan3 ciascun’arme:
sì ch’io non so da lei né posso atarme.
Non trovo scudo ch’ella non mi spezzi 14-21 Non trovo [nessuno] scudo che lei non mi spezzi né
15 né loco che dal suo viso m’asconda: [nessun] luogo che mi nasconda dal suo sguardo (viso): perché
[lei] occupa (tien) la cima della mia mente così come il fiore [oc-
ché, come fior di fronda, cupa la cima] del ramo (fronda). Mostra di curarsi (par…prezzi)
così de la mia mente tien la cima. del mio dolore (mal) altrettanto (Cotanto) che (quanto) una
Cotanto del mio mal par che si prezzi, nave (legno; con metonimia) [si cura] di un mare che non solle-
va onda [: calmo; cioè: non si cura affatto del mio dolore]; e
quanto legno di mar che non lieva onda; l’angoscia (peso; con metafora) che mi abbatte (m’affonda) è
20 e ’l peso che m’affonda così grande (tal) che [nessuna] espressione poetica (rima)
è tal che non potrebbe adequar rima. potrebbe esprimerlo (adequar = ‘uguagliare’).
Ahi angosciosa e dispietata lima 22-26 Ahi lima [d’Amore] angosciosa e spietata che consu-
che sordamente la mia vita scemi, mi (scemi) segretamente (sordamente) la mia vita, perché
non hai ritegno (non ti ritemi) di mangiarmi (rodermi; con
perché non ti ritemi metafora) il cuore a pezzo a pezzo (a scorza a scorza) così
25 sì di rodermi il core a scorza a scorza come io [ho ritegno] di dire in giro (altrui) [il nome di] chi ti
com’io di dire altrui chi ti dà forza? dà la forza [di consumarmi]?
DIGIT 2 dïaspro: pietra durissima (del genere del nesso con l’inattaccabilità (specialmente
ANALISI ATTIVA • ASCOLTO • ALTA LEGGIBILITÀ diamante); nel Medioevo si riteneva che sessuale) della donna è evidente.
tale pietra fosse capace di proteggere chi 3 giungono...spezzan: si riferiscono, con un
Metrica: canzone di sei stanze di tredici ver- la portava con sé a patto che fosse casto. Il chiasmo, a si chiuda e a si dilunghi.
si ciascuna (dieci endecasillabi e tre settena-
ri), con fronte divisa in due piedi uguali e sir-
ma ripetuta nel congedo, secondo lo schema LA LINGUA NEL TEMPO
ABbC, ABbC; CDdEE.
Aspro L’aggettivo «aspro» (v. 1) deriva dal latino asper, aspĕra, aspĕrum ed è usato in diverse ac-
1 petra: non è possibile dire con certezza se cezioni: 1) ‘ruvido al tatto’ (“una superficie aspra”); 2) ‘accidentato, impervio, selvatico’ (“una mon-
la protagonista di questi versi si chiamasse tagna ripida e aspra”); 3) ‘che ha il sapore acre della frutta acerba’ (“questo vino è aspro”); 4) ‘acu-
davvero Petra; si ritiene piuttosto che si tratti to, sgradevole all’orecchio’ (“un suono aspro”). In senso figurato, il termine vale come sinonimo di
di un senhal (nella poesia provenzale si usava ‘rigido, duro, grave a sopportarsi’ (“un aspro tormento”) e ‘violento, accanito’, come lo impiega qui
attribuire alle donne amate nomi fittizi – det- Dante (“un aspro combattimento”, ma anche “un aspro atto d’accusa”). Si ricordi che il superlativo
ti senhal – corrispondenti alle loro qualità). assoluto è asperrimo (e non “asprissimo”).
186
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Ché più mi triema il cor qualora io penso 27-34 Infatti (Ché) quando (qualora) io penso a (di) lei in
[un] luogo (parte) dove qualcuno (ov’altri) [mi] veda (li oc-
di lei in parte ov’altri li occhi induca,
chi induca), nel timore che (per tema) non traspaia (tralu-
per tema non traluca ca) all’esterno (di fuor) il mio pensiero [: l’amore] così da
30 lo mio penser di fuor sì che si scopra, essere scoperto (sì che si scopra), ho paura (mi triema il
ch’io non fo de la morte, che ogni senso cor) più di quanto io non [ne] abbia (non fo) della morte, la
quale già mi sta mangiando (mi manduca) ogni senso [: ogni
co li denti d’Amor già mi manduca: facoltà conoscitiva] con i denti d’Amore: questo (ciò) [che
ciò è che ’l pensier bruca dico] significa (è) che la loro [: dei denti d’Amore] forza (ver-
la lor vertù, sì che n’allenta l’opra.4 tù) logora (bruca; metafora) il pensiero [: le facoltà intellet-
tuali], così che ne annulla (n’allenta) le attività (l’opra).
35 E’ m’ha percosso in terra, e stammi sopra
35-39 Egli (E’) [: Amore] mi ha gettato (percosso) in terra, e
con quella spada ond’elli ancise Dido,5
mi sta (stammi) sopra con quella spada con la quale egli
Amore, a cui io grido (ond’elli) uccise (ancise) Didone (Dido), [quell’]Amore che io
merzé chiamando, e umilmente il priego: invoco (grido) e prego umilmente, chiedendo pietà (merzé):
ed egli (el) si mostra (par) intenzionato al rifiuto (messo al
ed el d’ogni merzé par messo al niego.
niego) di ogni pietà.
40 Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida 40-52 Egli [: Amore], questo spietato (perverso), alza ripetu-
la debole mia vita, esto perverso, tamente (ad ora ad or) la mano, e minaccia (sfida) la mia debo-
le vita, [Amore] che mi tiene in terra disteso supino (a river-
che disteso a riverso so) incapace (stanco) di ogni reazione (guizzo): allora mi na-
mi tiene in terra d’ogni guizzo stanco: scono nell’immaginazione (mente) grida (strida) [: immagino
allor mi surgon ne la mente strida; di gridare, senza riuscirci]; e il [mio] sangue, che è distribuito
(disperso) per le vene, corre fuggendo verso il cuore, che lo
45 e ’l sangue, ch’è per le vene disperso, chiama; per cui io (ond’io) rimango pallido (bianco). Egli
fuggendo corre verso [: Amore] mi ferisce (fiede) sotto il braccio sinistro (manco)
lo cor, che ’l chiama; ond’io rimango bianco. [: dalla parte del cuore] così fortemente che il dolore si riper-
cuote (rimbalza) nel cuore; allora dico: «Se egli alza [la mano;
Elli mi fiede sotto il braccio manco cfr. v. 40] un’altra volta, Morte mi avrà chiuso [il cammino
sì forte che ’l dolor nel cor rimbalza; della vita] [: mi avrà ucciso] prima che il colpo sia disceso giù
50 allor dico: «S’elli alza (giuso) [a colpirmi]».
un’altra volta, Morte m’avrà chiuso
prima che ’l colpo sia disceso giuso».
Così vedess’io lui fender per mezzo 53-58 Allo stesso modo (Così) potessi io vedere spaccato a
lo core a la crudele che ’l mio squatra; metà (per mezzo) da lui [: da Amore] il cuore della [donna] cru-
dele che squarta il mio; dopo [aver visto ciò] non mi sarebbe do-
55 poi non mi sarebb’atra lorosa (atra) la morte, verso la quale io (ov’io) corro a causa del-
la morte, ov’io per sua bellezza corro: la sua [: dell’amata] bellezza: perché questa bandita (scherana)
ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo assassina (micidiale) e ladra colpisce (dà) tanto nel sole quanto
nell’ombra (rezzo) [: cioè in qualunque circostanza].
questa scherana micidiale e latra.
Omè, perché non latra 59-65 Ahimè, perché [l’amata] non urla (latra) [d’amore] per
60 per me, com’io per lei, nel caldo borro?6 me nella calda voragine (borro) [della passione], come io [fac-
cio] per lei? dato che subito (tosto) griderei: «Io vi vengo in
ché tosto griderei: «Io vi soccorro»; aiuto (soccorro)»; e lo farei (fare’l) volentieri, ma in questo
e fare’l volentier, sì come quelli modo (sì come quelli): metterei mano nei capelli biondi che
che ne’ biondi capelli Amore arriccia (increspa) e colora d’oro (dora) per consumar-
mi [di passione] [: cioè l’afferrerei per i capelli], e allora le pia-
ch’Amor per consumarmi increspa e dora cerei.
65 metterei mano, e piacere’le allora.
4 Ché più...l’opra: l’Amore aggredisce il poe- dell’Eneide Virgilio narra che Didone, regi- non riamato, e anche lui si trova sulla strada
ta, annullandogli sia le capacità sensoriali (i na di Cartagine, si uccise con la spada che le del suicidio.
sensi) sia le facoltà intellettive (’l pensier) e era stata donata da Enea, di cui era perdu- 6 caldo borro: borro è propriamente un
facendo emergere un unico elemento inte- tamente innamorata. Il rimando letterario burrone; per metafora, unito all’aggettivo
riore, il pensier d’amore, con il rischio con- stabilisce qui un parallelismo tra Dante e caldo indica l’Inferno, in questo caso della
seguente di essere scoperto. Didone: come il personaggio virgiliano, il passione.
5 con quella spada...Dido: nel IV libro poeta è dunque un innamorato passionale
187
PARTE PRIMA Il Medioevo
S’io avessi le belle trecce prese, 66-73 Se io avessi afferrato (prese) le belle trecce, che sono
diventate (fatte) per me frusta (scudiscio) e sferza, afferran-
che fatte son per me scudiscio e ferza,
dole (pigliandole) prima dell’[ora] terza (anzi terza) [: prima
pigliandole anzi terza, delle nove], trascorrerei (passerei) con esse pomeriggio e sera
con esse passerei vespero e squille:7 (vespero e squille): e non sarei [né] pietoso né cortese, anzi
70 e non sarei pietoso né cortese, farei come l’orso quando scherza [: sarei violento]; e se [ora]
Amore mi frusta (sferza) attraverso di esse (ne) [: le trecce], io
anzi farei com’orso quando scherza;8 mi vendicherei oltre mille volte tanto (di più di mille).
e se Amor me ne sferza,
io mi vendicherei di più di mille.
Ancor ne li occhi, ond’escon le faville 74-78 E in più (Ancor), per vendicare il fatto che ora lui mi
75 che m’infiammano il cor, ch’io porto anciso, sfugge (lo fuggir che mi face), [la] guarderei da vicino (pres-
so) e fissamente (fiso) negli occhi, dai quali (ond’) escono le
guarderei presso e fiso, scintille (faville) [: la luce] che mi infiammano il cuore, che io
per vendicar lo fuggir che mi face; porto [dentro di me] ucciso (anciso); e poi le offrirei (rende-
e poi le renderei con amor pace. rei) il perdono (pace) insieme all’amore.
Canzon, vattene dritto a quella donna 79-83 [O] canzone, vattene direttamente (dritto) da quella
80 che m’ha ferito il core e che m’invola donna che mi ha ferito il cuore [: mi ha fatto innamorare] e
che mi sottrae (m’invola) ciò di cui io (quello ond’io) ho più
quello ond’io ho più gola, desiderio (gola) [: lei stessa, e il suo amore], e colpiscila (dàlle)
e dàlle per lo cor d’una saetta: in mezzo al cuore (per lo cor) con una freccia (d’una saetta):
ché bell’onor s’acquista in far vendetta. poiché nel vendicarsi (in far vendetta) si guadagna (s’acqui-
sta) piacevole (bell’) onore.
D. Alighieri, Opere minori, cit.
7 terza...vespero e squille: tre delle sette ta, secondo uno schema basato sui vari mo- 8 orso...scherza: allude al proverbio «Non
ore canoniche in cui era suddivisa la giorna- menti liturgici della Chiesa. scherzare con l’orso, se non vuoi esser morso».
ANALISI Un nuovo stile per un nuovo contenuto Tra il contenuto e la forma delle rime “petrose”
esiste una stretta corrispondenza, com’è esplicitato dallo stesso poeta in apertura della
canzone: «Così nel mio parlar voglio esser aspro / com’è ne li atti questa bella petra». Si
tratta di una vera e propria dichiarazione di poetica, in cui Dante annuncia l’adesione a un
registro stilistico che ripete la «durezza» e la «natura cruda» dell’amata. Ciò che colpisce è
soprattutto la scelta dei vocaboli: se nelle poesie d’amore della tradizione cortese e stilno-
vistica prevalevano parole astratte («dolcezza », «salute», «gentilezza», «umiltà», «bellezza»,
ecc.), nelle rime “petrose” prevalgono invece termini concreti, spesso rari (come «impetra»,
«dïaspro», «ancide», «atarme», «manduca», «bruca», «squatra», «scherana», ecc.) e dalla
sonorità aspra. Per parole “aspre” Dante intende vocaboli che contengono certe consonanti
“dure” (la z e la r, per esempio) o che presentano scontri consonantici forti («aspro», «petra»,
«arretra», «terra», «gravitate», «squille», «borro», «ferza», «scorza», ecc.); e anche le parole
188
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
INTERPRETAZIONE Dalla donna-angelo alla donna-petra Questa canzone “petrosa” rovescia totalmente la tra-
E COMMENTO dizionale rappresentazione stilnovistica dell’amore e della donna. Beatrice era un miracolo
mandato in terra da Dio, e l’amore per lei purificava Dante, innalzandolo al cielo; Petra è invece
una donna di carne e di sangue, sensuale, crudele e spietata, e l’amore per lei devasta e feri-
sce l’animo del poeta, conducendolo alla distruzione e alla morte. Le poesie stilnovistiche
celebravano la lode dell’amata dichiarando nei suoi confronti un sentimento puro e disinteres-
sato; le rime “petrose” fanno emergere invece un rapporto contraddittorio e violento, che
genera il desiderio di vendetta da parte del poeta, determinato a far soffrire l’amata come lui
ha sofferto. In realtà, già Cavalcanti aveva rappresentato l’amore come forza distruttiva e
sconvolgente; ma qui subentra il nuovo elemento della vendetta, immaginata dal poeta nel
sogno di aggressione contro la donna crudele.
189
PARTE PRIMA Il Medioevo
La canzone appartiene al gruppo delle rime dell’esilio, composta poco dopo la condanna avvenuta al
principio dell’anno 1302. In questo primo momento Dante è solidale con gli altri esiliati di parte bianca
partecipando anche, nel 1303, alla loro alleanza tattica con i vecchi capi ghibellini. Ma già nel 1304 il
poeta cambia atteggiamento, dissociandosi dagli altri esuli e rinunciando ai tentativi violenti di rien-
trare in patria. Il secondo congedo della canzone è da riferire a questa fase: Dante si rivolge ai Neri per
chiederne il perdono in virtù della sua nuova posizione, non più schierata ma imparziale. Anzi, secon-
do una diversa interpretazione del testo, Dante dichiarerebbe qui un’aperta avversione verso i Bianchi
a favore dei Neri. Al centro della poesia stanno la difesa della propria dignità e la convinzione di aver
subito un provvedimento ingiusto. D’altra parte, nella canzone Dante mette in relazione il proprio caso
personale con il generale decadimento della giustizia. Infatti, le «Tre donne» che compaiono nella pri-
ma parte della canzone rappresentano, allegoricamente, la Giustizia universale, la Giustizia umana e
la Legge naturale.
I TEMI decadimento della giustizia onore dell’esilio
PARAFRASI
Tre donne intorno al cor mi son venute, 1-8 Mi sono venute intorno al cuore tre donne, e prendono
e seggonsi di fore: posto (seggonsi = ‘si seggono’) all’esterno (di fore = ‘di fuori’)
[di esso]: perché (ché) dentro [il cuore] ha sede (siede) Amore,
ché dentro siede Amore, il quale è colui che governa (è in segnoria de) la mia vita. Sono
lo quale è in segnoria de la mia vita. a tal punto (Tanto) belle e di così grande (tanta) valore (vertu-
5 Tanto son belle e di tanta vertute te = ‘virtù’) che il potente signore [: Amore], cioè (dico) quel-
lo che sta (è) nel cuore, a [mala] pena riesce (s’aita) a rivolger-
che ’l possente segnore, si loro (del parlar di lor).
dico quel ch’è nel core,
a pena del parlar di lor s’aita.
Ciascuna par dolente e sbigottita, 9-18 Ciascuna appare (par) addolorata (dolente) e sgomen-
10 come persona discacciata e stanca, ta (sbigottita), come una persona esiliata (discacciata) e
stanca, alla quale (cui) tutti (tutta gente; provenzale tota
cui tutta gente manca gen) vengono meno (manca) [: abbandonata da tutti], e alla
e cui vertute né beltà non vale. quale non giovano (non vale) [né] valore (vertute) né bel-
Tempo fu già nel quale, lezza (beltà). [Vi] fu un tempo in passato (già) nel quale, per
quel che dicono (secondo il lor parlar), furono onorate (di-
secondo il lor parlar, furon dilette; lette); ora sono odiate (in ira) e disprezzate (in non cale) da
15 or sono a tutti in ira ed in non cale. tutti. Queste così sole sole (solette) sono venute come a casa
Queste così solette di un amico [: il cuore del poeta]: dato che (ché) sanno bene
che dentro [il cuore c’]è colui (quel) che io dico [: Amore].
venute son come a casa d’amico:
ché sanno ben che dentro è quel ch’io dico.1
Dolesi l’una con parole molto, 19-26 Una di loro (l’una) si lamenta (Dolesi = ‘si duole’) assai
20 e ’n su la man si posa (molto) con parole, e si appoggia (si posa) sulla (’n su la; ’n =
‘in’) mano come una rosa recisa (succisa): il nudo braccio, ap-
come succisa rosa: poggio (colonna; per metafora) del dolore [: del volto addolo-
il nudo braccio, di dolor colonna, rato], sente la pioggia (l’oraggio; franc.) [di lacrime] che cade
sente l’oraggio che cade dal volto; dal volto; l’altra mano tiene nascosta (ascosa) la faccia pian-
gente (lagrimosa): [è] seminuda (discinta) e scalza, e si mo-
l’altra man tiene ascosa stra (par) nella propria signorilità (donna; lat. domina) solo
25 la faccia lagrimosa: grazie al proprio contegno (di sé) [: e non per abiti o altri orna-
discinta e scalza, e sol di sé par donna. menti; è cioè priva di ogni dignità esteriore].
Metrica: canzone di cinque stanze di endecasillabi e settenari. La 1 Queste...dico: le tre donne, personificazioni allegoriche della giusti-
fronte è divisa in due piedi. È presente un doppio congedo: il secondo zia, si sono recate intorno al cuore del poeta sapendo di trovarvi affet-
è probabilmente un’aggiunta successiva. tuosa accoglienza; mentre in ogni altro luogo sono ormai disprezzate
e bandite.
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CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Come Amor prima per la rotta gonna 27-36 Non appena (Come... prima) Amore attraverso (per)
la gonna rotta la vide nelle parti [del corpo] che è bene (bello)
la vide in parte che il tacere è bello,
tacere [: nelle nudità del sesso], egli, pietoso e triste (fello),
egli, pietoso e fello, domandò (fece dimanda) di lei e del [suo] dolore. [Lei] rispose
30 di lei e del dolor fece dimanda. con parole (in voce) miste a (con) sospiri: «Oh nutrimento
«Oh di pochi vivanda»,2 (vivanda) di pochi, la nostra comune nascita (natura) ci porta
(ci manda) qui presso di (a) te: io, che sono la più addolorata
rispose in voce con sospiri mista, (trista), sono sorella di (a) tua madre, e sono Giustizia (Drit-
«nostra natura qui a te ci manda: tura); [e sono] povera, [come] vedi, [quanto] a vesti (panni) ed
io, che son la più trista, a cintura».
Poi che fatta si fu palese e conta, 37-44 Dopo che si fu manifestata (palese) e fatta riconosce-
doglia e vergogna prese re (conta; latino cognita), dolore (doglia) e vergogna presero
(prese; al singolare con due soggetti) il mio signore [: Amore],
lo mio segnore, e chiese e [questi] chiese chi fossero le altre due [donne] che erano con
40 chi fosser l’altre due ch’eran con lei. lei. E questa, che era assai (sì = ‘così’) disposta (pronta) al pian-
E questa, ch’era sì di pianger pronta, to (di pianger), non appena (tosto che) lo (lui) udì (intese), si
infiammò (s’accese) [di] più nel dolore, dicendo: «Non soffri
tosto che lui intese, tu (A te non duol) per i (de gli) miei occhi [piangenti; cioè non
più nel dolor s’accese, ti commuove il mio dolore]?».
dicendo: «A te non duol de gli occhi miei?».
45 Poi cominciò: «Sì come saper dei, 45-54 Poi cominciò [a dire]: «Così come [già] devi (dei) sape-
di fonte nasce il Nilo4 picciol fiume re, il Nilo nasce da una sorgente (di fonte) [come] piccolo fiu-
me lì (quivi) dove il sole (’l gran lume = ‘la grande luce’) toglie
quivi dove ’l gran lume alla terra le foglie (la fronda) degli arboscelli (del vinco) [: vi-
toglie a la terra del vinco la fronda:5 cino all’Equatore]: presso (sovra) le acque (onda) pure (ver-
sovra la vergin onda gin) [del Nilo] io generai costei che mi sta accanto (m’è da la-
to) e che si asciuga [le lacrime] con la treccia bionda. Questa
50 generai io costei che m’è da lato mia bella figlia (portato = ‘frutto di generazione’) generò que-
e che s’asciuga con la treccia bionda. sta che mi sta (m’è) più lontana, specchiandosi (mirando sé)
Questo mio bel portato, nella fonte (fontana) limpida (chiara)».
mirando sé ne la chiara fontana,
generò questa che m’è più lontana».6
55 Fenno i sospiri Amore un poco tardo; 55-62 I sospiri resero (Fenno = ‘fecero’) Amore un poco len-
e poi con gli occhi molli, to (tardo) [a rispondere]; e poi con gli occhi, che prima erano
stati (furon) scortesi (folli) [: perché non avevano riconosciu-
che prima furon folli, to le tre parenti], bagnati (molli) [di lacrime], salutò le sorelle
salutò le germane sconsolate. (germane) sconsolate. E dopo aver impugnato (E poi che pre-
E poi che prese l’uno e l’altro dardo,7 se) l’una e l’altra freccia (dardo), disse: «Sollevate (Drizzate)
le teste (i colli): ecco le armi che io volli [: che ho ricevuto in
60 disse: «Drizzate i colli: sorte]; a causa del fatto di non essere usate (per non usar),
ecco l’armi ch’io volli; [come] vedete, sono sciupate (turbate) [dalla ruggine].
per non usar, vedete, son turbate.
2 Oh...vivanda: rivolto ad Amore, del quale si perpendicolare che non si disegna pertanto arrotondata, capace di accendere odio. Rap-
nutrono solo pochi eletti; con metafora. sulla terra. presenteranno qui, in allegoria, o il potere
3 son suora...Drittura: secondo il mito clas- 6 generai...lontana: figlia dunque di Giove, politico e quello spirituale, cioè Impero e
sico, Giustizia era figlia di Giove come la Giustizia universale (o divina) ha generato Chiesa (così secondo Rossetti), o amore per il
Venere, madre di Amore. la Giustizia umana, la quale ha generato a sua bene e odio per il male (così Tommaseo e poi
4 Nilo: identificato nel Medioevo con uno volta la Legge naturale (o storica). Barbi), o altri valori connessi al significato
dei quattro fiumi del Paradiso terrestre, e 7 l’uno e l’altro dardo: Amore veniva rappre- generale della raffigurazione; in ogni caso
percò definito “puro” (cfr. vergin, v. 49). sentato, nella mitologia classica, armato di abitudini di giustizia e di bene perdute nel
5 toglie...fronda: o perché nei pressi dell’E- due frecce; una d’oro e con la punta aguzza, presente.
quatore la forza del sole inaridisce le foglie e fornita del potere di far innamorare chi ne
le fa seccare, o perché ne proietta un’ombra fosse ferito; l’altra di bronzo e con la punta
191
PARTE PRIMA Il Medioevo
E io, che ascolto nel parlar divino 73-80 E io, che ascolto in questo divino discorso (nel parlar
consolarsi e dolersi divino) dolersi e consolarsi esiliati (dispersi) così nobili (alti),
ritengo (mi tegno) un onore l’esilio che mi è [stato] assegnato
75 così alti dispersi, (dato): dato che (ché), se il giudizio [divino] o la forza della
l’essilio che m’è dato, onor mi tegno:10 sorte (di destino) vogliono infine (vuol pur) che il mondo
ché, se giudizio o forza di destino cambi (versi) i fiori bianchi in [fiori] neri (persi), [il fatto di]
essere colpiti (cader) insieme ai (co’ = ‘coi’ = ‘con i’) buoni è
vuol pur che il mondo versi tuttavia (pur) degno di lode.
i bianchi fiori in persi,11
80 cader co’ buoni è pur di lode degno.
E se non che de gli occhi miei ’l bel segno12 81-90 E se non fosse che [con l’esilio] a causa della (per) lonta-
per lontananza m’è tolto dal viso, nanza mi è sottratta (tolto) dalla vista (dal viso = ‘dallo sguardo’)
dei miei occhi il bell’oggetto (segno) che mi ha (àve) fatto inna-
che m’àve in foco miso, morare (in foco miso; miso = ‘messo’, sicil.) [: Firenze], repute-
lieve mi conterei ciò che m’è grave. rei per me (mi conterei) lieve [: sopportabile] ciò [: l’esilio] che
85 Ma questo foco m’àve mi è pesante (grave). Ma questo fuoco [d’amore] mi ha (m’àve)
già consumato le ossa e la carne (la polpa) a tal punto (sì = ‘così’)
già consumato sì l’ossa e la polpa che Morte mi ha già posto la chiave al petto [: sta per chiudere la
che Morte al petto m’ha posto la chiave. mia vita, intervenendo sul cuore]. Per cui (Onde), se io [pure]
Onde, s’io ebbi colpa,13 sono stato colpevole (ebbi colpa), il sole ha fatto passare (volto)
molti mesi (più lune) dal momento in cui (poi che) fu cancella-
più lune ha volto il sol poi che fu spenta, ta (spenta), se [è vero come è vero] che la colpa si estingue
90 se colpa muore perché l’uom si penta. (muore) con il pentirsi (perché l’uom si penta; impersonale).
8 Larghezza e Temperanza: più che un riferi- mento fiducioso di molti luoghi della Com- periodo dell’esilio, buoni travolti insieme a
mento alle Virtù cristiane (la Temperanza è, media. lui dalla sventura.
come la Giustizia, una delle quattro Virtù 10 l’essilio...mi tegno: il v. 76 è di quelli 12 ’l bel segno: con riferimento piuttosto a
cardinali) è qui presente un richiamo ai valori divenuti proverbiali. È qui il nucleo (oltre Firenze e agli affetti lontani che non a una
cortesi e cavallereschi (come dimostra anche che l’occasione biografica) della canzone: donna in particolare (e magari, come si è pure
il primato concesso ad Amore), in chiave in un contesto in cui i valori universali pensato, la moglie Gemma Donati).
indubbiamente anche religiosa. risultano travolti, ecco che la disgrazia 13 colpa: difficile definire a quale colpa si
9 Larghezza...lucente: è qui affermata la individuale di Dante diventa il segno della riferisca Dante. Varie sono infatti le ipotesi: il
superiorità dei grandi valori ideali sulle con- sua dignità, un onore da rivendicare con peccato originale o comunque una colpa pri-
tingenti vicende storiche, e cioè una conce- energia. vata e personale, oppure una colpa pubblica e
zione provvidenzialistica della storia; per 11 vuol...persi: prevale oggi l’idea che questi presumibilmente politica, contratta forse
cui il riscatto delle virtù positive è assicu- versi esprimano una generica allusione al volgendosi contro Firenze nel tentativo di
rato dal fondamento trascendentale mutarsi della sorte, non senza che i fiori neri resistere alle decisioni dei Neri; e in effetti
(divino) dei valori. Sta agli uomini che definiscano, con la loro innaturalità, un espli- quest’ultima possibilità parrebbe la più cal-
vivono in epoche segnate dalla corruzione cito pervertimento dei valori elementari di zante, se non fosse che l’allusione al penti-
lamentarsene; non alle virtù, destinate giustizia e di verità, rappresentati dalla mento per tale azione costringerebbe a
comunque a tornare in auge. C’è anche un purezza dei fiori bianchi; ma è tuttavia diffi- datare la canzone almeno a due o tre anni
accenno profetico, che non è possibile cile escludere qui un riferimento politico dopo l’inizio dell’esilio (quando Dante si
determinare in alcun modo (anche se qual- diretto ai Bianchi compagni d’esilio, sui quali separò dai Bianchi fuoriusciti e si oppose ai
che commentatore ha pensato all’impera- i Neri avevano imposto il proprio dominio e loro tentativi armati di rientrare in patria), il
tore) e che tuttavia già annuncia l’atteggia- che a Dante dovevano apparire, nel primo che è reso problematico da altri indizi.
192
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Canzone, a’ panni tuoi non ponga uom mano, 91-100 [O] canzone, nessuno (non... uom; impers.) osi mette-
re mano (ponga) ai tuoi vestiti (panni) per vedere quel che una
per veder quel che bella donna chiude:
bella donna nasconde (chiude): bastino le parti [già] nude [: vi-
bastin le parti nude; sibili]; nega a tutti (a tutta gente) il dolce frutto (pome) [: il tuo
lo dolce pome a tutta gente niega, contenuto], per il quale (cui) ciascuno stende (piega) la mano.
95 per cui ciascun man piega. Ma se accadrà (s’elli avvien; elli = ‘egli’) che tu trovi eccezional-
mente (mai) qualcuno (alcun) amico della virtù, ed egli (e’ =
Ma s’elli avvien che tu alcun mai truovi ‘ei’) ti prega [di mostrargli il tuo contenuto allegorico], renditi
amico di virtù, ed e’ ti priega, (fatti) di colori eccezionali (novi) [: più attraenti o lieti], poi ri-
fatti di color’ novi, vélati (ti mostra) a lui (li); infatti (e) il fiore, che è bello esterna-
mente (di fori = ‘di fuori’), provoca desiderio (fa disïar) [di mag-
poi li ti mostra; e ’l fior, ch’è bel di fori, giore conoscenza] nei cuori disposti all’amore (amorosi).
100 fa disïar ne li amorosi cori.14
Canzone, uccella con le bianche penne; 101-107 [O] canzone, va’ a caccia di uccelli (uccella; imp.)
canzone, caccia con li neri veltri, avendo le (con le) penne bianche; [o] canzone, [va’ a] caccia
con i (li) cani (veltri) neri, che fui costretto (mi convenne) a
che fuggir mi convenne, fuggire ma mi potrebbero (poterian) fare dono del perdono
ma far mi poterian di pace dono. (di pace). Non lo (nol) fanno [: perdonare] perché (Però… che;
105 Però nol fan che non san quel che sono: Però = ‘perciò’) non sanno ciò (quel) che io sono [: il mio modo
attuale di pensare]: chi è saggio (savio uom) non chiude lo
camera di perdon savio uom non serra, spazio (camera) del perdono, dato che (ché) in guerra perdo-
ché ’l perdonare è bel vincer di guerra.15 nare è una nobile vittoria (bel vincer).
14 Canzone...cori: è il primo congedo, con il difesa verso sguardi indiscreti (a ciò è adibita la XVI, 61-66) e di conseguenza un’adesione,
quale si conclude la maggior parte degli antichi metafora dei vestiti), sia un appagamento sotto questo profilo, all’azione dei Neri, o,
codici. Vi è affermato il rispetto dovuto alle superficiale di fuggevoli curiosità (le nudità già meno fortemente, un desiderio di essere
difese messe in opera dal testo rispetto agli visibili, cioè le evidenti ricercatezze formali), ascoltato e rispettato da tutte le parti in
sguardi che non siano degni del suo contenuto sia un invito rivolto ai giusti affinché vadano a causa, di essere riconosciuto nella propria
profondo; mentre solo i virtuosi infiammati fondo nella conoscenza (il fiore, cioè il valore imparzialità e lealtà. I vv. 101-107 costitui-
dall’amore per la verità e la giustizia hanno il estetico). Tra significato letterale e significato scono il secondo congedo, assente in molti
diritto (e la possibilità) di penetrare più a fondo allegorico è dunque tracciato un confine deter- codici e aggiunto da Dante in un secondo
nell’allegoria. Il senso è affidato a due meta- minabile innanzitutto in chiave morale. momento: forse dopo la metà del 1304,
fore: quella dei vestiti e della nudità delle 15 Canzone...guerra: i primi due versi allu- quando rinunciò ai tentativi violenti di rien-
donne (qui trasportata sul corpo stesso della dono senza dubbio ai Bianchi e ai Neri; e non trare in Firenze, si dissociò dagli altri fuoriu-
canzone) e quella del rapporto tra fiore e è chiaro se indichino un’aperta dichiarazione sciuti bianchi e si diede intensamente da fare
frutto. L’aspetto esteriore del testo è sia una di ostilità verso i Bianchi (che si ritrova in Par. per ottenere la revoca delle condanne.
ANALISI L’allegoria e la metafora Figure retoriche dominanti in questa canzone sono l’allegoria e la
metafora. Anzitutto le «Tre donne» protagoniste della poesia rappresentano, appunto allegorica-
mente, la Giustizia universale, la Giustizia umana e la Legge naturale. Esse discendono l’una
dall’altra (cfr. vv. 49-54) e sono descritte come vere e proprie figure femminili. Anche «Amore» è, al
193
PARTE PRIMA Il Medioevo
solito, personificato; e ugualmente la «Morte» che minaccia il poeta (cfr. v. 87). Numerose sono
poi le metafore: per esempio, la «colonna» del dolore (cfr. v. 22), la «vivanda» (coincidente con l’a-
more; cfr. v. 31), i «panni» e «le parti nude» della «bella donna» (ovvero l’aspetto esteriore del testo;
cfr. vv. 91-93), «lo dolce pome» (ovvero il contenuto profondo e allegorico del testo; cfr. v. 94).
INTERPRETAZIONE La biografia dentro la storia Tra la prima e la seconda parte della canzone c’è profonda conti-
E COMMENTO nuità: lo stato delle «Tre donne» – “discacciate”, “stanche” e abbandonate da tutti – è lo stesso
dell’esule Dante. Ed è proprio il fatto che le «Tre donne» siano bistrattate dalla maggior parte degli
uomini a determinare l’atteggiamento fiero del poeta, che giudica l’esilio come un onore: se risul-
tano così travolti i valori universali, ecco che la disgrazia individuale di Dante diventa il segno della
sua dignità. La propria vicenda personale viene così inquadrata entro le più ampie coordinate
della storia contemporanea. D’altra parte i riferimenti più strettamente autobiografici e più speci-
ficamente relativi alle lotte fiorentine restano piuttosto allusivi, velati dietro alle metafore dei
«bianchi fiori» (v. 79), delle «bianche penne» (v. 101) e dei «neri veltri» (v. 102). Proprio questa ten-
denza a congiungere particolare e universale, biografia e storia annuncia il clima della Commedia.
La trasformazione della figura di Amore Interlocutore delle «Tre donne» non è direttamente
il poeta, bensì Amore, rappresentato – secondo la tradizione stilnovistica – come signore del
suo cuore (cfr. vv. 3-4). Ma questa personificazione assume, in relazione al tema dell’esilio, un
vigore polemico certamente nuovo rispetto alla tradizione. Amore non è più soltanto una figura
connessa al rapporto tra uomo e donna: egli appartiene alla stessa stirpe della Giustizia
divina (cfr. v. 35) e sembra presentarsi come amore per il bene e odio per il male (a questo
significato allegorico rimandano probabilmente «l’uno e l’altro dardo», v. 59). Facendolo invo-
care dalla Giustizia universale come nutrimento di pochi («di pochi vivanda», v. 31), Dante non
si limita a ribadire, seguendo Guinizzelli, che l’Amore risiede nel cuore dei pochi eletti dotati
di nobiltà d’animo; vuol dire anche che, nella decadenza presente, i valori di giustizia sono
ormai patrimonio di una ristretta minoranza.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
3. La prima parte della canzone – con al centro le tre
ANALISI allegorie della giustizia – e la seconda parte – con al
2. Lingua e stile La canzone è caratterizzata da un centro l’esule Dante – sono strettamente connesse
linguaggio figurato. Indica le possibili interpretazioni sul piano tematico. Chiarisci le ragioni di tale connes-
delle seguenti metafore: sione.
«i bianchi fiori» (v. 79): 4. L’interlocutore delle «Tre donne» è Amore e non di-
rettamente il poeta: perché? Quale rapporto è possibi-
«panni» (v. 91): le stabilire tra Amore e le tre allegorie della giustizia?
194
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
7 Il Convivio
La struttura e le Il Convivio è un’enciclopedia del sapere medievale, rielaborata in chiave fortemente per-
funzioni dell’opera sonale e di parte. Composta tra il 1304 e il 1308, l’opera è scritta in volgare e strutturata in
“trattati” (cioè in parti) organizzati per temi e in forma di commento a testi poetici introdut-
tivi (canzoni). Il progetto comprendeva quindici trattati (il primo introduttivo e gli altri de-
dicati al commento di quattordici canzoni), ma è rimasto incompiuto. Sono infatti conser-
vati solamente i primi quattro trattati: quello introduttivo e tre di commento ad altret-
tante canzoni.
Il carattere enciclopedico dell’opera è sottolineato già dal titolo, spiegato dall’autore stesso
nel primo capitolo del primo trattato. Egli intende apparecchiare un banchetto (cioè appun-
to un “convivio”) metaforico, in cui al posto delle portate siano serviti agli ospiti gli argo-
menti del sapere. Dante dichiara di essere ai piedi della mensa dei veri sapienti, dalla quale rac-
coglie le briciole, e vuole ora condividere questa ricchezza con quante più persone possibile,
comunicando loro le proprie scoperte in modo da renderle facilmente comprensibili anche a
chi non abbia una solida preparazione culturale: ecco perché sceglie di scrivere il trattato in vol-
gare e non in latino, come sarebbe stato normale a quel tempo.
I temi dei quattro I quattro trattati affrontano tre temi principali: la difesa del volgare (trattato I), l’esaltazione
trattati della filosofia (trattati II e III), la definizione della nobiltà e la proposta della monarchia univer-
sale (trattato IV). Analizziamone più in particolare il contenuto:
trattato I: formato da tredici capitoli, ha funzione introduttiva. Qui l’autore spiega lo scopo
dell’opera e ne giustifica il titolo metaforico, sottolineando in particolare la scelta di un
nuovo pubblico, non ristretto ai soli intellettuali, ma composto da tutti coloro che abbiano
sincero desiderio di conoscere e animo nobile, cioè distinto ed eletto. Collegata a questa
scelta di destinatari è l’adozione del volgare, sostenuta con numerosi argomenti. D’altra
parte è la prima volta che il volgare viene usato come lingua della filosofia e della scienza
( T11 e T12, pp. 200, 205). Non mancano riferimenti biografici alla propria dolorosa con-
dizione di esule ( T10, p. 196).
trattato II: formato da quindici capitoli, è strettamente connesso al trattato successivo per
il comune tema filosofico. Dante commenta la canzone «Voi che ’ntendendo il terzo ciel
movete», fornendo i dati biografici necessari alla sua spiegazione letterale: il poeta informa
che dopo la morte di Beatrice egli cercò di consolarsi con lo studio della filosofia.
trattato III: formato come il precedente da quindici capitoli, è incentrato sul commento
della canzone «Amor che ne la mente mi ragiona». Essa è collegata al tema della “donna
gentile” (di cui si parla già nei capitoli finali della Vita nuova), da interpretarsi allegorica-
mente come la filosofia.
L’OPERA
IL CONVIVIO
195
PARTE PRIMA Il Medioevo
DIGIT trattato IV: formato da ben trenta capitoli, commenta la canzone «Le dolci rime d’amor ch’i’
TESTI
La necessità solìa». Al centro del trattato sta la definizione della nobiltà, intesa come dono divino che
dell’Impero
[Convivio, IV, 4]
il soggetto deve coltivare attraverso la partecipazione attiva alla vita civile. La riflessione si
chiude con l’elogio della monarchia universale, che annuncia un tema presente nella Mo-
narchia e nella Commedia.
Lo stile del Nel Convivio troviamo la prima difesa del volgare fondata su argomenti generali e non limita-
Convivio ta a ragioni artistiche (come per esempio nella Vita nuova). Lo scopo della rivalutazione del
volgare è dichiaratamente fissato nella maggiore possibilità comunicativa: il sapere deve
essere fruibile ad un pubblico ampio, che includa anche i lettori che non conoscono il latino. La
lingua volgare è, secondo Dante, dotata di una potenzialità in grado di metterla all’altezza del-
le grandi lingue classiche. Egli stesso si propone, scrivendo, di mostrare tali potenzialità ( T11,
p. 200). È perciò evidente che lo stile usato nel Convivio vale anche come dimostrazione della
validità del modello linguistico proposto. Esso si rivela perfettamente all’altezza del compito:
la prosa del Convivio raggiunge una solidità sintattica, un equilibrio compositivo e una chia-
rezza espositiva non inferiori a quelle tramandate dal modello latino. Il frequente ricorso a
metafore e paragoni conferisce maggiore concretezza ed evidenza all’argomentazione, confer-
mando l’intento divulgativo dell’opera.
FACCIAMO IL PUNTO
Perché Dante sceglie di scrivere il Convivio in volgare?
Quale tema viene affrontato nel trattato IV?
All’inizio del Convivio Dante parla di se stesso, aprendo uno spaccato di intensa umanità sulla sua condi-
zione di esiliato e rivendicando, pure nella sofferenza, la dignità meritata con il proprio comportamento e
con le proprie opere. Ispirato al dolore e all’umiliazione per la lontananza dalla patria, il passo qui riporta-
to è senz’altro tra le pagine più suggestive dell’opera dantesca.
I TEMI sofferenza dell’esilio
III [4] Poi che fu piacere de li cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma,1 Fiorenza,
di gittarmi fuori del suo dolce seno – nel quale nato e nutrito fui in fino al colmo della vita mia,2
e nel quale, con buona pace di quella, desidero con tutto lo core di riposare l’animo stancato e
terminare lo tempo che m’è dato –, per le parti quasi tutte alle quali questa lingua si stende,
peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contra mia voglia la piaga della fortuna,
che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata.
PARAFRASI mi è concesso [da Dio] –, per quasi tutti i luoghi (parti) in cui si par-
[4] Poiché i cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma, la (si stende) questa lingua [: il volgare] [: cioè per tutta l’Italia] ho
Firenze, vollero (fu piacere) buttarmi fuori dal suo dolce seno – nel girovagato [come] uno straniero (peregrino), quasi mendicando
quale sono nato e cresciuto (nutrito) fino al culmine della mia vita [e] venendo costretto a mostrare [a tutti] la ferita (piaga) [provoca-
[: la maturità], e nel quale, con il perdono (buona pace) di quella ta in me] dalla sorte (fortuna), la quale [ferita] spesso è ingiusta-
[: di Firenze], desidero con tutto il cuore [: intensamente] di trova- mente attribuita a colpa (imputata) di colui che è ferito (piagato)
re riposo per il [mio] animo stanco e di finire [di vivere] il tempo che [: spesso la sventura è ingiustamente ritenuta meritata].
1 figlia di Roma: il poeta allude alla nota leggenda delle origini 2 colmo della vita mia: Dante collocava il punto culminante dell’arco
romane di Firenze, per cui si veda anche Guittone ( Capitolo 2, T5, della vita fra i trenta e i quarant’anni, più esattamente a trentacinque:
p. 89). egli fu bandito da Firenze il 10 marzo 1302, all’età di trentasei anni.
196
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
[5] Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti
dal vento secco che vapora la dolorosa povertade; e sono apparito a li occhi a molti che forse che
per alcuna fama in altra forma m’aveano imaginato: nel conspetto de’ quali non solamente mia
persona invilìo, ma di minor pregio si fece ogni opera, sì già fatta come quella che fosse a fare.
D. Alighieri, Opere minori, cit.
[5] In verità io sono stato una barca (legno, con metonimia) raria]: davanti ai (nel conspetto de’) quali non soltanto la mia
senza vela e senza timone, a diversi porti e passaggi (foci) e co- persona si svilì (invilìo) [: cioè apparve minore di quanto era
ste (liti) portata dal vento asciutto che la povertà, causa di do- stata stimata attraverso la conoscenza delle opere], ma anche
lori (dolorosa), esala (vapora); e mi sono mostrato (apparito) ogni [mia] opera fu considerata (si fece) di valore inferiore
agli occhi di molti che forse si erano formati un’immagine di- (minor pregio), tanto quelle già scritte (fatta), quanto quelle
versa di me (in altra…imaginato) in base alla mia fama [lette- che dovevano ancora essere composte (fosse a fare).
ANALISI Solennità e intensità Il lungo inciso nel primo paragrafo dona al testo un tono solenne e
commosso. Oltre a sospendere il discorso, esso porta alla luce una delle parti più intime e pro-
fonde dell’io: quella degli affetti familiari e del legame con la patria. L’intensità dello sfogo cre-
sce nel secondo paragrafo, in cui Dante introduce la metafora del «legno sanza vela e sanza
governo», portato dal vento secco della povertà. Tale immagine traduce con grande efficacia
espressiva il disorientamento e la precarietà della vita dell’esiliato: una vita profondamente
offesa nella sua dignità e sminuita nel suo valore ( Temi di cittadinanza, L’esilio, p. 198).
INTERPRETAZIONE Disperazione e dignità In questo celebre passo, indimenticabile per l’intensità dei senti-
E COMMENTO menti espressi, la solitudine e la disperazione di Dante esule sono accresciuti dal contrasto
che emerge implicitamente tra la «bellissima e famosissima» Firenze e le anonime terre estra-
nee in cui il poeta vaga «peregrino». Dante dà sfogo a una profonda sofferenza ma rivendica
anche la propria dignità personale e intellettuale, l’unico bene che gli rimane.
197
PARTE PRIMA Il Medioevo
TEMI DI CITTADINANZA
Exiled, installazione del 2012
dell’artista cubano
Armando Mariño.
L’ESILIO
Dante esule L’esilio è esperienza fondamentale nella vita di Dante, e trova riscontro profondo nella
sua produzione letteraria. Senza l’esilio, non avrebbe scritto la Commedia o per lo
meno non l’avrebbe scritta così. Nel poema ricorrono varie profezie dell’esilio, fino a
quella esplicita pronunciata dall’avo Cacciaguida nel XVII canto del Paradiso ( T22,
p. 271): nella realtà l’autore è già lontano da Firenze quando scrive il capolavoro e
tutte le sue opere principali a eccezione della Vita nuova. Dove e come vive Dante in
questi anni? Non abbiamo documenti certi; abbiamo però il suo racconto letterario: «per
le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono
andato». Nella commovente pagina del Convivio che abbiamo letto ( T10, p. 196) c’è
tutto il dolore dell’esilio. Di contro, in un passo del De vulgari eloquentia (cfr. Libro I, IV,
3), la condizione del «peregrino» viene valorizzata in quanto consente di essere cittadi-
no del mondo: «Noi però a cui è patria il mondo intero, come ai pesci il mare». E d’altra
parte, Dante rivendica la propria fierezza e dignità di fronte al provvedimento ingiusta-
mente subito. In una realtà che ha rinnegato i valori universali, l’esilio diventa perfino
un «onore» ( T9, p. 190). In fondo, ancora prima di essere bandito, Dante si sentiva
già escluso dalla società fiorentina, allora dominata dalla logica del profitto e strazia-
ta dalle lotte tra le fazioni rivali. Il ritratto ideale della «bellissima e famosissima figlia
di Roma» è smentito in molti passi della Commedia, in cui la città natale, degradata
dalla corruzione morale e politica, diventa centro di diffusione dei principali vizi e
peccati puniti nell’Inferno. La Firenze concorde e onesta che Dante spera di ritrovare
appartiene piuttosto ai tempi passati (quelli ancora descritti dall’avo Cacciaguida;
T22, p. 271) e magari rifiorirà in futuro all’interno di un mondo più giusto. Egli potrà
contribuire a questa rinascita attraverso il suo poema, che adempie la missione di ri-
condurre l’umanità nella «diritta via» del bene. Proprio la vita dura ma insieme illumi-
nante dell’esule rende Dante degno del grande compito.
L’esilio e gli La condanna all’esilio viene applicata ancora oggi in molti Paesi, soprattutto in caso di
esiliati oggi reati legati alla politica. Nei momenti di instabilità (guerre, conflitti, rivoluzioni, ecc.) il
potere dominante bandisce i suoi oppositori che, a meno di ulteriori rovesci, si trovano a
trascorrere il resto della loro vita lontani dalla propria terra. In certi casi l’esilio può
essere anche volontario, quando una persona decide di espatriare, costretta dai perico-
li cui è esposta nel paese di origine o insofferente alla realtà che la circonda. Nel corso
della storia dell’umanità, in ogni regione del mondo individui o intere popolazioni sono
198
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
stati costretti ad abbandonare la loro patria per sfuggire a guerre, persecuzioni politiche,
TEMI DI CITTADINANZA
conflitti armati, dittature, violenze razziali o condizioni economiche disastrose.
Per lo scrittore e attore teatrale Moni Ovadia (1946), l’esilio non costituisce un’esperien-
za legata alla biografia personale ma è interpretato come «la condizione naturale dell’es-
sere umano». Egli valorizza l’esilio come «un dono, non una punizione»: l’essere “stranie-
ro” è infatti presupposto fondamentale per vivere in un mondo di libertà e di uguaglianza,
in contrasto con il nazionalismo e le tendenze totalitarie. Sulla scia dantesca, l’esilio
mostra due facce: l’una fatta di sofferenze, privazioni, condizionamenti; l’altra fatta di
coraggio, verità, ricerca di giustizia.
Moni Ovadia
L’esaltazione dell’esilio
L’esilio è un dono, non una punizione. Che cosa tiene insieme gli esiliati? La spiritualità.
L’esilio è la condizione naturale dell’essere umano. Nel Levitico1 è specificato che la terra
è del Signore, non dell’uomo. L’uomo è ospite sulla terra. […]. Lo straniero rappresenta
il livello più alto di te stesso, mostra la precarietà dell’essere umano. L’unica redenzione
possibile è basata sulla fragilità, non sulla forza. Tutta la storia è invasa dal concetto della
forza, dell’aggressione, mentre la fragilità impaurisce, intimorisce. I popoli esiliati sono
stati vittime dei più atroci stermini della storia in quanto incarnavano e incarnano la fra-
gilità che fa paura. Essere fragili significa guardarsi dentro, interrogarsi, pensare, mette-
re in moto sentimenti di fratellanza e universalismo. Un esiliato non guarda chi è che ha
di fronte, a lui non interessa sapere chi è, ma guarda l’essere umano. […] L’esilio è degno
dell’essere umano perché lì non nascono nazionalismi, è un confine perenne, è un luogo
di incontro e non di scontro. Fa pensare che alcuni tra i più eminenti cittadini americani
e argentini, coloro che rappresentano il meglio della cultura del loro paese hanno origine
italiana, ebrea, europea. Eppure sono diventati l’élite del paese dove sono andati a vivere.
1 Levitico: è il terzo libro della Il caso di Italo Svevo2 è emblematico. Se chiedo a una persona chi è stato il più grande scrit-
Torah ebraica e dell’Antico Te- tore italiano del Novecento, in molti risponderanno Italo Svevo. Eppure Svevo non era ita-
stamento della Bibbia cristiana. liano, ma un ebreo tedesco, che tra l’altro parlava male sia il tedesco sia l’italiano. Lo stesso
2 Italo Svevo: 1861-1928. La co-
scienza di Zeno è il suo romanzo Kafka3 era un ebreo ceco di origine boema eppure a Praga è diventato il più alto esponente
più celebre. della letteratura tedesca. Il nazionalismo è stupido perché non comprende che noi prove-
3 Kafka: 1883-1924. Le sue niamo tutti da un’altra parte. Sono pochissime le persone che non hanno origini diverse,
opere più famose sono il raccon-
to La metamorfosi e i romanzi Il che si possono “vantare” di essere originari di una terra, di un luogo. Il nazionalismo è così
processo, America e Il castello. antiumano, inumano e disumano che lo definirei stupido.
L’esaltazione dell’esilio: intervista a Moni Ovadia, a cura di M. Daltin, «PaginaZero-Letterature di frontiera», n. 5, 2 luglio 2007.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Qual è la ragione per cui, a parere dell’autore, la condizione naturale dell’essere umano è l’esilio?
2. Cosa significa l’affermazione «l’unica redenzione possibile è basata sulla fragilità, non sulla forza»?
3. Quale significato assume per un esiliato il confine? Perché essere in esilio significa essere immuni dai na-
zionalismi?
4. Quali esempi fa l’autore per dare sostegno all’affermazione «noi proveniamo tutti da un’altra parte»? Cosa
vuole dimostrare?
PRODUZIONE
Ha senso parlare oggi di «esilio» riferendosi alle migrazioni contemporanee? Chi, per qualche motivo, sce-
glie di andare via dalla terra dov’è nato, quale punto di vista assume nei confronti del mondo che lo circon-
da? L’autore considera l’essere stranieri come una condizione di maggiore moralità, in quanto rappresenta
la situazione in cui si offre la parte migliore di se stessi: condividi questo parere? Argomenta adeguatamen-
te, facendo riferimento alla tua esperienza, alle tue conoscenze e alle tue letture.
199
PARTE PRIMA Il Medioevo
In questi capitoli del Convivio Dante spiega perché ha preferito scrivere in volgare anziché in latino i
commenti alle canzoni presenti nell’opera. Si tratta di una vera e propria dichiarazione d’amore per la
propria lingua. All’inizio del Trecento il volgare italiano era un tesoro ancora da scoprire e da valorizza-
re, e Dante è intenzionato ad assumere su di sé la responsabilità di trasformarlo in una lingua alta e
nobile.
I TEMI difesa del volgare
V [1] Poi che purgato è questo pane da le macule accidentali, rimane ad escusare lui da una
sustanziale, cioè da l’essere vulgare e non latino; che per similitudine dire si può di biado e
non di frumento.1
[2] E da ciò brievemente lo scusano tre ragioni, che mossero me ad eleggere innanzi questo
che l’altro: l’una si muove da cautela di disconvenevole ordinazione; l’altra da prontezza di
liberalitade; la terza da lo naturale amore a propria loquela.2
[…]
X [6] Dico che lo naturale amore principalmente muove l’amatore a tre cose: l’una si è a ma-
gnificare l’amato; l’altra è ad esser geloso di quello; l’altra è a difendere lui, sì come ciascuno
può vedere continuamente avvenire. E queste tre cose mi fecero prendere lui, cioè lo nostro
volgare,3 lo qual naturalmente e accidentalmente4 amo e ho amato.
1 Poi che...frumento: la metafora del pane e biado (di biada, cioè di cereali poco nobili) e solo ai pochi che conoscono il latino, raggiun-
delle sue impurità dipende dalla finzione non di frumento. gendo così un pubblico più vasto possibile.
generale secondo cui il Convivio rappre- 2 l’una...loquela: sono elencate le tre ragioni Inoltre, Dante è ovviamente mosso dal natu-
senta un pranzo dove le portate sono le can- che spingono Dante a scegliere il volgare rale amore verso la propria loquela: il vol-
zoni e il pane è il commento a esse; prima anziché il latino. La cautela di disconvene- gare è la lingua naturalmente parlata dall’au-
dell’inizio è necessario assicurarsi della puli- vole ordinazione indica la volontà di ade- tore, mentre il latino è lingua scolastica.
zia del pane, cioè della adeguatezza del com- guare anche linguisticamente il commento 3 nostro volgare: il volgare degli italiani,
mento. Qui, dopo aver giustificato alcune al fine cui è destinato, ossia servire alle can- per distinguerlo dai volgari di altre regioni,
scelte in merito a esso, deve essere soste- zoni, le quali sono appunto in volgare: un e soprattutto da quelli francesi e provenzali.
nuta la scelta decisiva di scriverlo in volgare commento in latino a testi poetici volgari 4 naturalmente e accidentalmente: cioè
e non in latino, come sarebbe stato per il sarebbe stato inopportuno. La prontezza di sulla base dell’amore naturale di ognuno per
tempo assai più consueto. Essendo in vol- liberalitade sottolinea la “generosità” di la propria lingua e per scelta specifica e con-
gare e non in latino, il commento rischia di Dante, mosso dal desiderio di fare qualcosa tingente (“accidentale”) di scrittore; ossia
essere come un pane meno pregiato, fatto di utile ai molti che conoscono il volgare e non per amore di natura e di elezione.
200
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
[7] Mossimi prima per magnificare lui. E che in ciò io lo magnifico, per questa ragione vedere
si può: avvegna che per molte condizioni di grandezze le cose si possono magnificare, cioè
fare grandi, e nulla fa tanto grande quanto la grandezza de la propria bontade, la quale è ma-
dre e conservatrice de l’altre grandezze.5
[8] Onde nulla grandezza puote avere l’uomo maggiore che quella de la virtuosa operazione,
che è sua propria bontade;6 per la quale le grandezze de le vere dignitadi, de li veri onori, de
le vere potenze, de le vere ricchezze, de li veri amici, de la vera e chiara fama, e acquistate e
conservate sono.
[9] E questa grandezza do io a questo amico, in quanto quello elli di bontade avea in podere e
occulto, io lo fo avere in atto e palese ne la sua propria operazione, che è manifestare conce-
puta sentenza.7
[10] Mossimi secondamente per gelosia8 di lui. La gelosia de l’amico fa l’uomo sollicito a lunga
provedenza. Onde pensando che lo desiderio d’intendere queste canzoni, a alcuno illitterato
avrebbe fatto lo comento latino transmutare in volgare, e temendo che ’l volgare non fosse
stato posto per alcuno che l’avesse laido fatto parere, come fece quelli che transmutò lo latino
de l’Etica – ciò fu Taddeo ipocratista9 –, providi a ponere lui, fidandomi di me più che d’un
altro.
[7] Ho preso questa soluzione (Mossimi = ‘mi sono mos- sto (occulto), io [glie] lo faccio avere in atto ed esplicito
so’) innanzitutto per esaltarlo (magnificare lui). E il fatto (palese) nel suo funzionamento, che consiste (è) nell’e-
che io lo esalto in questo uso (in ciò), si può desumere at- sprimere (manifestare) affermazioni (sentenza) di alto
traverso questa ragione: sebbene (avvegna che) le cose si impegno concettuale (conceputa).
possano esaltare (magnificare), cioè rendere grandi, in
[10] In secondo luogo (secondamente) ho preso questa
molti modi di grandezza, tuttavia (e) nulla rende grande
decisione (Mossimi) per gelosia nei suoi confronti [: cioè
tanto quanto la grandezza della propria [stessa] bontà, la
del volgare]. La gelosia nei confronti di un amico rende (fa
quale è madre [: origine] e possibilità di conservazione
l’uomo) premurosi (sollicito) anche verso un futuro lon-
(conservatrice) delle altre grandezze.
tano (a lunga provedenza) [: soprattutto per evitare i pos-
[8] Per cui (Onde) l’uomo non può avere nessuna (nulla) sibili mali]. Cosicché (Onde) pensando che il desiderio di
maggiore grandezza che quella del comportamento (ope- comprendere queste canzoni avrebbe portato qualche il-
razione) virtuoso, che è la sua propria [: caratteristica, letterato [: privo di cultura classica] a tradurre in volgare il
specifica] bontà; per mezzo del quale [comportamento commento [qualora questo fosse stato in] latino, e te-
virtuoso] sono sia acquistate sia conservate le grandezze mendo che il volgare fosse scritto (posto) da qualcuno
delle autentiche (vere) dignità, dei veri onori, del vero po- che l’avesse fatto sembrare [una lingua] di poco pregio
tere (potenze), delle vere ricchezze, dei veri amici, della (laido), come colui che tradusse [in volgare] l’Etica [di Ari-
vera e luminosa (chiara) fama. stotele] – cioè Taddeo [Alderotti], seguace di Ippocrate
[9] E io do a questo amico [: il volgare italiano] questa (ipocratista) –, provvidi a scriverlo (ponere lui) [: il com-
[stessa] grandezza, in quanto ciò (quello) [che] egli aveva mento] direttamente in volgare [: così che non ci fosse bi-
di pregio (bontade) potenzialmente (in podere) e nasco- sogno di traduzione], fidandomi di me più che d’un altro.
5 e nulla...grandezze: secondo Dante non 7 E questa...sentenza: il volgare è una lingua 8 gelosia: intesa soprattutto nel senso di
c’è modo migliore per innalzare qualcosa che solitamente non adoperata per esprimere con- ‘interessamento affettuoso’ (ma non è
esaltarlo nella sua propria autentica altezza cetti impegnativi, cioè non valorizzata in ciò escluso un riferimento al ‘desiderio di pos-
(o “grandezza”), cioè valorizzarlo nelle sue che ogni lingua ha di potenzialmente grande, sesso esclusivo’).
proprie qualità migliori. appunto la facoltà di espressione; Dante con- 9 quelli che...ipocratista: Dante allude alla
6 Onde...bontade: è un’applicazione al caso sente al volgare di far passare dalla potenza traduzione dell’Ethica nicomachea del filo-
dell’uomo della legge generale enunciata nel all’atto, cioè dallo stato nascosto allo stato sofo greco Aristotele, tradotta in volgare da
punto precedente. La base di ogni altro manifesto, questa attitudine; e perciò realizza Taddeo Alderotti (Firenze 1223 - Bologna
valore in grado di esaltare l’uomo è la virtù, la massima esaltazione possibile del volgare, 1295), professore di medicina (ipocratista =
che è stata sopra definita come grandezza (o valorizzando ciò che di meglio è in esso e che ‘seguace di Ippocrate, padre greco della medi-
bontà) caratteristica e propria degli uomini. fino ad allora era rimasto inespresso. cina’) presso l’università bolognese.
201
PARTE PRIMA Il Medioevo
[11] Mossimi ancora per difendere lui da molti suoi accusatori, li quali dispregiano esso e com-
mendano li altri, massimamente quello di lingua d’oco,10 dicendo che è più bello e migliore
quello che questo; partendose in ciò da la veritade.
[12] Ché per questo comento la gran bontade del volgare di sì si vedrà; però che si vedrà la sua
vertù, sì com’è per esso altissimi e novissimi concetti convenevolemente, sufficientemente
e acconciamente, quasi come per esso latino, manifestare; la quale non si potea bene mani-
festare ne le cose rimate, per le accidentali adornezze che quivi sono connesse, cioè la rima e
lo ritimo e lo numero regolato: sì come non si può bene manifestare la bellezza d’una donna,
quando li adornamenti de l’azzimare e de le vestimenta la fanno più ammirare che essa me-
desima.
[13] Onde chi vuole ben giudicare d’una donna, guardi quella quando solo sua naturale bel-
lezza si sta con lei, da tutto accidentale adornamento discompagnata: sì come sarà questo
comento, nel quale si vedrà l’agevolezza de le sue sillabe, le proprietadi de le sue costruzioni e
le soavi orazioni che di lui si fanno; le quali chi bene agguarderà, vedrà essere piene di dolcis-
sima e d’amabilissima bellezza.
D. Alighieri, Opere minori, cit.
[11] Inoltre (ancora) ho preso questa decisione (Mossi- la rima e il ritmo [degli accenti] e la musica (numero rego-
mi) per difenderlo da molti suoi denigratori (accusatori), lato) [del verso]: così come non si può esprimere bene la
i quali disprezzano esso [: il volgare italiano] e lodano bellezza di una donna quando gli ornamenti dell’agghin-
(commendano) gli altri [volgari], per lo più la lingua d’oc darsi (azzimare) e dei vestiti [: cioè trucco, gioielli e abiti]
[: il provenzale], dicendo che quello [: il provenzale] è più attirano l’ammirazione più della bellezza in se stessa (es-
bello e migliore di questo [: del volgare italiano]; allonta- sa medesima).
nandosi (partendose) con ciò dalla verità.
[13] Per cui (Onde) chi vuole giudicare bene [la bellez-
[12] E infatti (Ché) grazie a (per) questo commento si za] di una donna, la guardi quando è adorna (sta con lei)
vedrà la grande validità (bontade) del volgare italiano (di solo dalla sua naturale bellezza, [e quando] è priva (di-
sì); dato che (però che) si vedrà il suo [: del volgare italia- scompagnata) da ogni abbellimento (adornamento) ag-
no] valore (vertù), qual è quello (sì com’è) di poter espri- giuntivo (accidentale): così come sarà questo commen-
mere (manifestare) attraverso (per) di esso [: del volgare] to, nel quale si vedranno la facilità (agevolezza) [di pro-
concetti altissimi e del tutto inconsueti (novissimi) in nuncia] delle sue [: della lingua volgare] sillabe, l’appro-
modo corretto, adeguato e piacevole (convenevolemen- priatezza delle sue costruzioni [: cioè la pertinenza ai
te…acconciamente), quasi come attraverso il latino; vali- concetti da esprimere] e le armoniose (soavi) frasi (ora-
dità (la quale) [che] non si poteva esprimere (manifesta- zioni) che si possono fare con esso [: il volgare]; chi bene
re) bene nei testi in rima (cose rimate) [: nelle canzoni], a considererà (agguarderà) tali caratteristiche (le quali),
causa degli abbellimenti (adornezze) specifici (acciden- si accorgerà che sono piene di dolcissima e amabilissima
tali) che a essi (quivi) sono connaturati (connesse), cioè bellezza.
10 lingua d’oco: in provenzale “oc” vuol dire intellettuali, anche italiani, al provenzale antica tradizione letteraria in lingua d’oc,
‘sì’; e così l’italiano veniva chiamato “lingua rispetto all’italiano, qui duramente ripresa da rispetto a quella, recente e linguisticamente
del sì”. La preferenza accordata da molti Dante, si spiega fra l’altro con la più solida e non uniforme, in italiano.
202
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
ANALISI Rigore argomentativo e intento divulgativo Il testo ha una struttura chiara e rigorosa, gra-
zie anche alla divisione in capitoli e paragrafi. Elencate le tre ragioni della scelta del volgare
(V, 2), Dante le analizza una per una. Nella parte antologizzata si sofferma sulla terza ragione,
l’amore per la propria lingua, dalla quale derivano i tre propositi enunciati in X, 6 (esaltare l’og-
getto amato, esserne geloso e difenderlo). Nei paragrafi successivi essi vengono ordinata-
mente ripresi, come sottolineano gli attacchi: «Mossimi prima… Mossimi secondamente…
Mossimi ancora...». Dante si sofferma più lungamente sul primo proposito, seguendo nel
ragionamento un procedimento deduttivo: il principio generale enunciato in X, 7 (non c’è modo
migliore per esaltare qualcosa che fare riferimento alla sua caratteristica e autentica «gran-
dezza», dalla quale discendono tutte le altre) è applicato dapprima al caso dell’uomo (X, 8) e
poi specificamente al volgare (X, 9). La «grandezza» del volgare consiste nell’esprimere con-
cetti impegnativi e Dante si impegna a far passare tale attitudine dalla potenza all’atto,
mostrando ciò che fino ad allora era rimasto nascosto. Il rigore argomentativo del testo si
accompagna all’intento divulgativo. Dante non si rivolge ai soli lettori specialisti, ma a un pub-
blico che vuole essere il più ampio possibile. Per questo, nonostante il carattere serrato delle
argomentazioni, è frequente il ricorso a metafore e paragoni, come quello della donna intro-
dotto nella conclusione.
INTERPRETAZIONE L’elogio del volgare L’elogio dantesco del volgare rappresenta il culmine di un suo progres-
E COMMENTO sivo affermarsi come lingua della civiltà comunale nel Due-Trecento. Il poeta sostiene infatti
la dignità del volgare, riconoscendo il suo diritto a divenire una lingua di cultura accanto al
latino. La scelta linguistica dantesca punta a raggiungere un pubblico più ampio, composto da
tutti coloro che, pur non conoscendo il latino, sono nobili d’animo. È una posizione che contra-
sta con quella dei dotti di professione: essi vengono attaccati nel capitolo 9 del Convivio
perché si dedicano alla cultura solo per «avarizia» e non per un disinteressato amore nei suoi
confronti.
COMPRENSIONE 2.
1. In questa parte del Convivio Dante si concentra 3.
sulla difesa del volgare, sostenendola con alcune ra-
gioni principali. Individua quali sono gli intrusi tra i ANALISI
seguenti motivi introdotti dall’autore.
3. Lingua e stile Nel Convivio Dante fa ampio ricor-
a. il latino è lingua più povera sul piano lessicale, so a metafore e paragoni.
perciò inadeguata a esprimere tutti i concetti filo-
sofici che l’autore si propone di divulgare a. a che cosa si riferisce la similitudine del «pane»
fatto «di biado e non di frumento» (cfr. 5, 1)?
b. il volgare consente di rivolgersi a un pubblico più
ampio, dandogli insegnamenti utili b. spiega il lungo paragone che si sviluppa nella con-
clusione (cfr. 10, 12-13)
c. il volgare è ormai lingua tradizionale per il genere
della trattatistica 4. Lingua e lessico Al r. 1 Dante usa il termine
d. il latino è poco conosciuto da Dante, che rischie- «purgato»: con quale significato? Quali altri significati
rebbe così di diffondere forme e contenuti erronei ha questo termine nell’italiano di oggi? Prova a scrive-
e. il volgare è la lingua più amata dall’autore, in quanto re alcune frasi che riportino le diverse accezioni della
quella naturalmente parlata parola.
f. il latino sarebbe stato inopportuno per commentare
canzoni scritte in volgare INTERPRETAZIONE E COMMENTO
2. Secondo Dante, l’amore naturale per la propria lin- 5. Argomentare Quale visione del letterato e della
gua spinge colui che ama a tre cose: quali? letteratura si accompagna, secondo te, alla scelta lin-
guistica di Dante?
1.
203
PARTE PRIMA Il Medioevo
8 Il De vulgari eloquentia
Un trattato sulla Il De vulgari eloquentia [L’eloquenza in lingua volgare] è un trattato in latino scritto da Dante
lingua e sulla probabilmente tra il 1303 e il 1304, contemporaneamente al Convivio e anch’esso rimasto incom-
letteratura
piuto: doveva articolarsi in quattro libri, ma l’autore non finì neppure la stesura del secondo. Te-
ma dell’opera è la definizione di una lingua volgare illustre, capace di affiancare il latino con
pari diritti espressivi; nonché una rassegna delle forme retoriche e metriche nelle quali impie-
gare la nuova lingua d’Italia. Può stupire il fatto che per elogiare il volgare Dante usi il latino, ma
l’apparente contraddizione si spiega perché, a differenza del Convivio, il pubblico al quale adesso
intende rivolgersi è quello dei dotti e dei letterati, in una prospettiva non solo italiana ma inter-
nazionale. Inoltre, il De vulgari eloquentia è anche un primo esempio di critica letteraria e di sto-
ria della letteratura italiana: ripercorrendo le varie parlate della penisola e definendo poi la sua
proposta di un volgare illustre, Dante cita numerosi esempi letterari (dalla Scuola siciliana allo
Stil novo) accompagnandoli con una valutazione non solo linguistica ma anche critica.
La struttura e i Il primo libro del De vulgari eloquentia si concentra sulla difesa del volgare e sulla definizione del-
temi: la difesa del le sue caratteristiche ideali, mentre il secondo libro passa a considerare gli usi possibili del model-
volgare e la
proposta del lo linguistico proposto da Dante. Vediamo, più in particolare, il contenuto di ciascun libro:
“volgare illustre” libro I: suddiviso in diciannove capitoli, dimostra la nobiltà del volgare illustre, superiore
perfino al latino, considerato (erroneamente) da Dante una lingua artificiale. Di contro, il
volgare è una lingua naturale, che viene appresa dalla nascita senza studio. A sostegno della
sua tesi, Dante ricostruisce, basandosi in gran parte sulla Bibbia, una storia universale delle
lingue, dalle origini (la lingua unica e sacra donata da Dio agli uomini) alla confusione delle
lingue successiva alla costruzione della torre di Babele, fino al presente delle lingue d’oïl, d’oc
e del sì. Particolarmente attenta è la descrizione della lingua del sì, corrispondente al volgare
italiano, di cui vengono individuate quattordici varietà. Ma nessuna delle varietà dialettali si
rivela coincidente con il volgare illustre usato dai migliori scrittori, neppure il toscano. Così
non resta che definirlo per via teorica indicandone gli attributi ideali: esso deve essere «illu-
stre, cardinale, regale, curiale» ( T12), cioè dotato di prestigio culturale, capace di funziona-
re da modello per tutte le varietà di volgare, degno di essere usato in una reggia (se l’Italia ne
avesse una) e idealmente forgiato dalla corte (o curia) immaginaria dei migliori letterati ita-
liani. Il volgare illustre è insomma un concetto per metà reale (desumibile dall’esperienza di
singoli scrittori noti a Dante) e per metà ideale e tutto da costruire.
libro II: definendo gli usi possibili del volgare illustre, si caratterizza come un originale
trattato di retorica. Solamente i poeti di cultura e di ingegno elevati sono degni di fare uso
del volgare illustre, e solamente nella trattazione di temi elevati: politici, amorosi e mo-
rali. La forma più degna del volgare illustre è quella di maggiore nobiltà, cioè la canzone.
Dopo alcune osservazioni sugli elementi costitutivi della canzone (melodia, strofe, versi,
rime) il libro si interrompe bruscamente.
L’OPERA
IL DE VULGARI ELOQUENTIA
I. storia delle lingue, descrizione
Trattato sulla lingua Due libri del volgare illustre italiano
scritto in latino (dei quattro previsti)
II. uso poetico del volgare illustre
FACCIAMO IL PUNTO
Qual è il tema del De vulgari eloquentia?
Quali attributi Dante utilizza per definire il volgare illustre? Cosa significano?
204
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Una volta compiuta un’analisi dettagliata dei vari volgari parlati in Italia, Dante propone un volgare-mo-
dello. Tale modello esiste in potenza in ciascuno dei dialetti italiani ma non coincide con nessuno di essi.
È pertanto necessario definire un volgare ideale che abbia in sé caratteristiche appropriate a una lingua
nazionale, e che sia cioè «illustre, cardinale, regale e curiale». Il brano, scritto in latino nell’originale di
Dante, è qui presentato in traduzione italiana moderna.
I TEMI proposta di un volgare «illustre, cardinale, regale, curiale»
XVI […] Definiamo in Italia volgare illustre, cardinale, regale e curiale quello che è di ogni
città italiana e non sembra appartenere a nessuna, e in base al quale tutti i volgari municipali
degli Italiani vengono misurati e soppesati e comparati.1
XVII A questo punto occorre esporre con ordine le ragioni per cui chiamiamo con gli attri-
5 buti di illustre, cardinale, regale e curiale questo volgare che abbiamo trovato: procedimento
attraverso il quale ne faremo risaltare in modo più limpido l’intrinseca essenza. E in primo
luogo dunque mettiamo in chiaro cosa vogliamo significare con l’attributo di illustre e perché
definiamo quel volgare come illustre. Invero, quando usiamo il termine “illustre” intendiamo
qualcosa che diffonde luce e che, investito dalla luce, risplende chiaro su tutto: ed è a questa
10 stregua che chiamiamo certi uomini illustri, o perché illuminati dal potere diffondono sugli
altri una luce di giustizia e carità, o perché, depositari di un alto magistero,2 sanno altamente
ammaestrare:3 come Seneca e Numa Pompilio.4 Ora il volgare di cui stiamo parlando è in-
vestito da un magistero e da un potere5 che lo sollevano in alto, e solleva in alto i suoi con
l’onore e la gloria. Che possieda un magistero che lo innalza è manifesto, dato che lo vediamo,
15 cavato fuori com’è da tanti vocaboli rozzi che usano gli Italiani, da tante costruzioni intricate,
da tante desinenze erronee, da tanti accenti campagnoli,6 emergere così nobile, così limpido,
così perfetto e così urbano come mostrano Cino Pistoiese e l’amico suo7 nelle loro canzoni.
Che abbia poi un potere che lo esalta, è chiaro. E quale maggior segno di potere della sua capa-
cità di smuovere in tutti i sensi i cuori degli uomini, così da far volere chi non vuole e disvolere
20 chi vuole, come ha fatto e continua a fare? Che anche sollevi in alto con l’onore che dà, salta
agli occhi. Forse che chi è al suo servizio non supera in fama qualunque re, marchese, conte e
potente? Non c’è nessun bisogno di dimostrarlo. E quanto renda ricchi di gloria i suoi servito-
ri,8 noi stessi lo sappiamo bene, noi che per la dolcezza di questa gloria ci buttiamo dietro le
spalle l’esilio.9 Per tutto ciò è a buon diritto che dobbiamo proclamarlo illustre.
1 Definiamo...comparati: dopo aver passato stinse come legislatore giusto e religioso. Si LA LINGUA NEL TEMPO
in rassegna i vari dialetti della penisola tratta di due grandi personalità del mondo
italiana, Dante si rende conto che nessuno di romano, legate entrambe alla cultura classi- Illustre «illustre» (r. 1) è il primo aggettivo
essi possiede le caratteristiche necessarie per ca e pagana, qui ricordate come esempi di che connota il volgare-modello proposto da
diventare un modello, poiché tutti sono ca- dottrina e di giustizia. Dante nel De vulgari eloquentia. L’autore
ratterizzati da troppi elementi «municipali», 5 da un magistero...potere: cioè da capacità stesso ne chiarisce il significato nelle righe
cioè locali. Il volgare «illustre, cardinale, re- educative, artistiche ed espressive. successive come «qualcosa che diffonde lu-
gale e curiale» (aggettivi che verrano spiega- 6 campagnoli: grossolani. ce e che, investito dalla luce, risplende chiaro
ti nei paragrafi successivi) che il poeta cerca 7 Cino...suo: Cino da Pistoia e Dante stes- su tutto». È in effetti questo il significato ori-
è in ogni città, ma «non sembra appartenere so, indicato attraverso una perifrasi di mo- ginario di “illustre”, aggettivo composto deri-
a nessuna», vale a dire non si identifica con destia. vato dal latino il+lustrem (da lux ‘luce’), che
la parlata di nessuna di esse. 8 servitori: cioè coloro che lo adoperano. vale propriamente ‘luminoso, raggiante’.
2 magistero: funzione educativa. 9 ci buttiamo...l’esilio: non ci curiamo del- Nell’italiano comune “illustre” è sinonimo di
3 ammaestrare: istruire. l’esilio. Il riferimento orgoglioso alla propria ‘insigne, celebre’ e si riferisce a ‘chi gode
4 Seneca...Pompilio: il filosofo latino di età disgrazia di esule rientra nei modi tipici so- grande e meritata fama per qualità o per ope-
imperiale e il secondo re di Roma, che si di- prattutto dei primi anni di esilio. re notevoli’.
205
PARTE PRIMA Il Medioevo
10 fregiamo: abbelliamo. rale e benefico della sua azione. dicatrici e amministrative che fanno capo alla
11 cardinale: che ha funzione di cardine. Il 13 epiteto: aggettivo. reggia, e pertanto anch’essa è in Italia assen-
“cardine” è la parte della cerniera di un infis- 14 regale: cioè proprio della reggia. te in senso materiale (per esempio, non esiste
so che porta il perno ed è fissata al telaio, 15 se noi...reggia: l’Italia non ha una reggia una curia come quella dell’imperatore di
sulla quale si inserisce l’anta o il battente di perché gli imperatori preferiscono restare in Germania). In seguito Dante dimostra che,
una porta, di una finestra e simili. Germania o in Francia, trascurandola. benché materialmente dispersa, tale curia
12 Non strappa...detto?: le immagini meta- 16 augusta reggitrice: nobile governatrice. esiste come luce della ragione e della giustizia
foriche che rappresentano il volgare modello 17 umili asili: le corti signorili italiane. Qui dei pochi testimoni del volgare illustre, che
come un agricoltore intento a curare i campi Dante allude alla propria esperienza di esule. formano una vera e propria curia ideale, e
si ricollegano ad alcuni passi biblici, sottoli- 18 curiale: la “curia” (o ‘corte’) è propriamen- grazie ai quali è perciò possibile definire “cu-
neando implicitamente il valore anche gene- te l’insieme delle istituzioni legislative, giu- riale” il volgare modello.
206
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
ANALISI Lo stile a sostegno della tesi Nonostante il testo sia presentato in traduzione italiana,
alcune caratteristiche stilistiche rimangono ben percepibili. Il discorso è rigorosamente strut-
turato, con un’attenzione particolare ad assicurare la coerenza e la coesione del testo attra-
verso l’uso di espressioni quali «A questo punto», «E in primo luogo», «Per tutto ciò», «Di qui
deriva», ecc. I singoli periodi hanno un ritmo ampio e disteso, a sostegno di un ragionamento
che mira a convincere il lettore della tesi sostenuta. A tal proposito risulta significativa la ricor-
renza di interrogative retoriche ( rr. 18-20, 20-22, 33-37), che vogliono dare forza all’argomen-
tazione. Nella stessa direzione vanno le metafore e le analogie (p. es. la serie di metafore sul
giardinaggio introdotta per spiegare il termine «cardinale»): esse consentono a Dante di gui-
dare i lettori verso le conclusioni che lui ha previsto.
INTERPRETAZIONE La mancanza di un centro di potere Tra gli ostacoli per l’unificazione linguistica vi è una
E COMMENTO causa di natura politica che Dante riconosce con grande consapevolezza. Mancava infatti nel
Paese un centro politico capace di diffondere un volgare comune. La lingua illustre non aveva
una «reggia», ma era parlata da pochi uomini sparsi un po’ ovunque (Dante fa qui riferimento
al proprio esilio e a quello di Cino da Pistoia). La reggia potenziale da essi rappresentata
doveva però diventare una realtà di fatto.
207
PARTE PRIMA Il Medioevo
TEMI DI CITTADINANZA
Emilio Isgrò,
Monumento all’Inferno, 2018.
Milano, Università IULM.
BENVENUTO
NUOVO ITALIANO
La lingua È nel Convivio e soprattutto nel De vulgari eloquentia che Dante si impegna ad affermare
di Dante: il valore del volgare; ma è nella Commedia che questo valore diviene effettivo, innegabile
dalla teoria e grandissimo. Insomma, l’alta poesia della Commedia rappresenta infine la più efficace
alla pratica e compiuta difesa del volgare. Il poema non solo supera le posizioni linguistiche enun-
ciate, ma perfino le smentisce. Nel Convivio Dante afferma che la validità del volgare si
coglie pienamente nei commenti alle canzoni, ovvero nelle parti in prosa in cui esso è
impiegato per «altissimi e novissimi concetti» ( T11, p. 200). Ma quanti e quali «altissi-
mi e novissimi concetti» sono espressi attraverso i versi della Commedia? Nel capolavo-
ro dantesco avviene la definitiva conquista del volgare come lingua capace di rappresen-
tare non solo tutti gli aspetti del reale ma anche di approssimarsi all’inesprimibile. La
teoria linguistica esposta nel De vulgari eloquentia è scavalcata nella Commedia (non a
caso il trattato è bruscamente interrotto quando nasce il progetto del poema). Il volgare
«illustre, cardinale, regale e curiale» definito “a tavolino” nell’opera teorica non trova ri-
scontro nella lingua della Commedia, aperta a una straordinaria varietà lessicale e stili-
stica.
Un “nuovo Da una parte, la lingua di Dante risulta ancora, a distanza di sette secoli, straordina-
italiano” riamente familiare. Il linguista Tullio De Mauro ha calcolato che oltre il 60% dei vocabo-
li che compongono il nostro “vocabolario di base” (quel gruppo di termini che usiamo
comunemente) era già usato ai primi del Trecento quando Dante scrisse la Commedia.
Da un’altra parte registriamo un recente processo di cambiamento linguistico tale che
è stata annunciata da più parti la nascita di un “nuovo italiano”. Per secoli l’italiano, a
causa del suo uso prevalentemente scritto, è rimasto una lingua stabile, poco sogget-
ta al mutamento. È stato perciò possibile elaborare la nozione di italiano standard, ri-
ferita all’uso linguistico che l’intera comunità dei parlanti riconosce come corretto:
dunque il modello di lingua proposto dalle grammatiche, quello usato dalle persone
istruite, sia nello scritto sia nel parlato. Nella seconda metà del Novecento il quadro
linguistico del nostro paese cambia però notevolmente, con settori crescenti della
popolazione che “conquistano” l’italiano come lingua d’uso. Un fatto notevole, segna-
lato negli studi soprattutto nel corso degli anni Ottanta, è stato lo sviluppo, nel parlato
ma anche nello scritto mediamente formale, di una nuova varietà di italiano, che Fran-
cesco Sabatini ha definito nel 1985 come «italiano dell’uso medio» e Gaetano Berruto
nel 1987 come «neostandard». Oggi è possibile individuare ulteriori sviluppi, legati
208
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
TEMI DI CITTADINANZA
zionale; alcune importanti trasformazioni sociali, tra cui l’immigrazione, la crescita del
peso di vecchi e nuovi media e la nascita di nuove forme di comunicazione, in partico-
lare quelle legate al computer, alla rete e alla telefonia cellulare. Il processo in atto ha
aperto una nuova questione della lingua: su un fronte stanno coloro che accolgono
con disinvoltura i processi di semplificazione morfologica e sintattica, la coniazione di
neologismi e la massiccia introduzione di anglicismi; sul fronte opposto stanno coloro
che hanno ingaggiato una battaglia in difesa dell’italiano contro la tendenza all’impo-
verimento e all’ingerenza dell’inglese.
Pietro Trifone
I pilastri dell’identità linguistica italiana
Nel secondo dopoguerra i progressi dell’economia, l’evoluzione del costume, l’amplia-
mento dell’istruzione, la disponibilità di nuovi potenti mezzi di comunicazione (primo
fra tutti la televisione) non poteva restare senza conseguenze sulla lingua nazionale, il
cui uso si è esteso sul piano del parlato oltre che dello scritto. […] La “liberalizzazione” lin-
guistica in atto induce a semplificare la sintassi, a ricorrere più spesso al tu (specialmente
tra giovani), a sdoganare almeno in parte le “parolacce”, ad accogliere nello stesso italiano
scritto (o almeno in certi generi testuali) una serie di forme e strutture caratteristiche
dell’italiano parlato, in precedenza censurate dalla grammatica normativa. La rivincita del
parlato sullo scritto è favorita dalla recente diffusione del telefono cellulare, oltre che dal-
le nuove forme di scrittura “trasmessa”. Il fattore tempo incide sul grado di elaborazione
testuale: un colloquio via chat o via SMS è qualitativamente inferiore a una corrisponden-
za epistolare, poiché viene a mancare la lentezza, un lusso di cui la scrittura accurata non
può fare a meno. Se si considera la crescente circolazione di forestierismi e in particola-
re di anglicismi, se si aggiungono le innovazioni e le contaminazioni dipendenti dall’in-
fluenza esercitata sulla lingua comune dai linguaggi tecnico-scientifici e dalle altre lingue
speciali o settoriali, si può capire perché da più parti sia stata annunciata la nascita di un
“nuovo italiano” o “neoitaliano”. […] L’evoluzione, per quanto rapida e tumultuosa, non
determina però una metamorfosi. […]. I notevoli cambiamenti in corso non minano la so-
lida architettura dell’identità linguistica, che poggia su tre grandi pilastri: a) la protezione
fornita dallo spirito degli antenati, ovvero la forza immanente di una cultura millenaria,
una cultura in cui l’Occidente riconosce uno dei picchi della propria civiltà, e che da Dante
in poi ha proposto modelli di lingua validi per tutti gli italiani; b) l’azione vivificante delle
profonde radici popolari, gergali, pluridialettali […]; c) la forte individualità strutturale
della lingua italiana, così potente che i neologismi non la disordinano, ma lei disordina
loro, per usare un’efficace espressione di Machiavelli.
P. Trifone, a cura di, Lingua e identità, Carocci, Roma 2006.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Riassumi il testo mettendo in evidenza la tesi principale e gli argomenti addotti.
2. Attraverso quali argomenti l’autore sostiene che il cosiddetto “nuovo italiano” o “neoitaliano” non ha deter-
minato nessuna radicale metamorfosi della lingua?
3. In che senso, secondo te, viene utilizzato dall’autore il termine “liberalizzazione”?
PRODUZIONE
Prendendo spunto dalle considerazioni di Trifone, e sulla base delle conoscenze acquisite, delle tue letture
e delle tue esperienze personali, elabora un testo argomentativo nel quale sviluppi le tue opinioni sulla lin-
gua come specchio della società in continua ed inesorabile evoluzione. Organizza tesi e argomenti in un di-
scorso coerente e coeso.
209
PARTE PRIMA Il Medioevo
9 La Monarchia
La composizione La Monarchia è l’unica tra le opere teoriche di Dante a essere stata completata. Come il De vul-
e la struttura gari eloquentia, essa è scritta in latino e raccoglie in forma sistematica le idee politiche dell’au-
tore. Il trattato, composto tra il 1310 e il 1313 o addirittura dopo il 1315, è diviso in tre libri.
La riflessione di Dante verte intorno alle due maggiori istituzioni dell’Europa occidentale,
l’Impero e il Papato, delle quali si definiscono i rapporti reciproci. Più in particolare:
libro I: sostiene e argomenta la necessità della monarchia universale in quanto essa rap-
presenta l’unica garanzia di pace e di giustizia sulla terra: se infatti è un solo uomo a dete-
nere il potere, tutti i conflitti locali scompariranno per sempre;
libro II: il secondo libro riconosce nell’Impero romano l’esempio più illustre di come l’i-
dea della monarchia universale si sia realizzata nella storia portando pace e prosperità;
libro III: illumina la controversa questione dei rapporti tra Impero e Chiesa, sostenendo
la totale autonomia dei due poteri. Entrambi derivano infatti, secondo Dante, diretta-
mente da Dio, che li ha adibiti a finalità diverse: all’imperatore spetta la cura della felicità
terrena, al papa quella della beatitudine eterna ( T13).
Una originale La separazione dei poteri spirituale e temporale teorizzata da Dante è perfettamente com-
visione teocratica patibile con la visione del mondo medievale, al cui centro sta Dio. Anche l’imperatore, infatti,
della storia umana
perseguendo il fine della pace e della felicità terrena degli uomini, obbedisce a un disegno prov-
videnziale. Pertanto, la visione dantesca della politica può dirsi
di tipo teocratico, cioè incentrata sul potere assoluto di Dio.
E tuttavia si tratta di una concezione teocratica originale e
problematica, che stabilisce una divisione delle sfere di com-
petenza tra istituzioni religiose e istituzioni civili.
Dante matura tale concezione dopo anni di ri-
flessioni. Prima dell’esilio credeva ancora nell’au-
tonomia dei Comuni e come priore si era battuto
contro l’assoggettamento di Firenze all’ingerenza di
forze esterne (il papa Bonifacio VIII e Carlo di Valois).
Successivamente, vede nella discesa di Arrigo VII la possibili-
tà di ripristinare il potere imperiale anche in Italia.
Conoscendo gli sviluppi successivi della storia
europea, la proposta di Dante ci appare anacro-
nistica e arretrata: l’Europa non conoscerà
più un potere centrale e si stava già avvian-
do, al contrario, verso la creazione degli
Stati nazionali.
FACCIAMO IL PUNTO
Perché Dante teorizza la necessità di una monarchia universale?
Quali sono rispettivamente i compiti attribuiti da Dante al papa e all’imperatore?
210
T13
TESTO GUIDA Impero e Papato
dal testo [De Monarchia, III, 16]
alla pensiero
alla storia
alle opere
al presente
È qui presentato l’ultimo capitolo della Monarchia, in cui Dante affronta la questione dei rapporti tra
Impero e Papato. L’uomo – sostiene l’autore – tende a due fini: la felicità sulla terra e la beatitudine
dopo la morte. All’imperatore compete di provvedere alla prima; mentre il papa si occupa della secon-
da. L’imperatore esercita pertanto il potere politico; la Chiesa, invece, guida la vita spirituale. Le due
autorità sono dunque indipendenti: l’una non è sottoposta all’altra ma entrambe derivano diretta-
mente da Dio.
I TEMI autonomia di Impero e Papato origine divina dei due poteri
L’ineffabile1 Provvidenza ha dunque posto davanti all’uomo due fini cui tendere: cioè la felici-
tà di questa vita, che consiste nell’attuazione della propria virtualità ed è figurata nel paradiso
terrestre,2 e la felicità della vita eterna, che consiste nel godimento della visione di Dio cui
la propria virtù non può ascendere se non soccorsa dal lume divino, e che è dato intendere
5 nel paradiso celeste. A queste felicità, come a diverse conclusioni, occorre giungere con di-
versi mezzi. Infatti giungiamo alla prima per mezzo degli insegnamenti filosofici, purché li
seguiamo operando secondo le virtù morali e intellettuali;3 e alla seconda per mezzo degli
insegnamenti divini che trascendono la ragione umana, purché li seguiamo operando secon-
do le virtù teologali, cioè la fede la speranza e la carità. Benché dunque ci siano stati mostrati
10 (gli uni dalla ragione umana che ci fu tutta chiarita dai filosofi;4 gli altri dallo Spirito Santo
che mediante i profeti e gli scrittori sacri, mediante Gesù Cristo figlio di Dio a lui coeterno e i
suoi discepoli rivelò la verità soprannaturale5 e a noi necessaria) l’umana cupidità butterebbe
dietro le spalle questi mezzi e conclusioni se gli uomini, come cavalli vaganti nella loro bestia-
lità, non fossero nell’itinerario terreno trattenuti «col morso e col freno».6 E per ciò fu neces-
15 sario all’uomo una duplice guida corrispondente al duplice fine: cioè il sommo Pontefice che,
a norma delle verità rivelate, guidasse il genere umano alla vita eterna; e l’Imperatore che, a
norma degli insegnamenti filosofici, indirizzasse il genere umano alla felicità temporale. E
1 ineffabile: così è definita la Provvidenza non attraverso la fede, come nel caso della non fosse trascinato dalla cupidigia, cioè
divina in quanto non è possibile descriver- teologia). Le virtù morali «sono i mezzi per dal desiderio sfrenato di piaceri, bastereb-
ne, o comprenderne, le finalità ultime. frenare i piaceri e i dolori» (Nardi); quelle in- bero gli insegnamenti naturali dei filoso-
2 nell’attuazione...terrestre: la felicità ter- tellettuali (sapienza, scienza e arte) rappre- fi e quelli religiosi dei testi sacri; ma così
rena è definita nella possibilità di esplicare sentano forme di contemplazione indiretta non è, ed è necessario che due guide con-
le proprie potenzalità umane (virtualità); della divinità. ducano l’uomo sulla strada delle due mete
così che il Paradiso terrestre costituisce 4 gli uni...filosofi: la sapienza relativa alle sopra indicate. Si annuncia qui la parte
una raffigurazione di questa possibile per- finalità terrene appartiene, secondo Dante, finale della dimostrazione intorno all’im-
fezione terrena additata da Dio stesso agli già alla tradizione classica. portanza autonoma tanto del papa quanto
uomini. 5 la verità soprannaturale: relativa alle dell’imperatore, entrambi diversamente
3 per mezzo...intellettuali: il territorio del- questioni teologiche, e contenuta nei gran- ispirati e voluti da Dio. L’espressione tra
la filosofia “naturale”, cioè orientata alla di testi sacri della Rivelazione. virgolette è una citazione dalla Bibbia
ricerca della verità attraverso la ragione (e 6 l’umana cupidità...col freno»: se l’uomo (Salmi 31, 9).
211
PARTE PRIMA Il Medioevo
poiché o nessuno o pochi – e questi con troppa difficoltà – possono giungere a questo porto,
se sedati i flutti della cupidità lusingatrice il genere umano non riposi libero nella tranquillità
TESTO GUIDA
20 della pace, è questa quella meta cui deve tendere massimamente il curatore del mondo, che
è detto Imperatore romano,7 affinché cioè si viva liberamente in pace in quest’aiuola8 dei
mortali. E poiché la disposizione di questo mondo consegue dalla disposizione inerente alla
rotazione dei cieli,9 è necessario, affinché gli insegnamenti utili alla libertà e alla pace siano
applicati opportunamente ai luoghi e ai tempi, che si provveda a questo curatore da Chi vide
25 presente a sé tutta la disposizione dei cieli. Ma questi è solo Chi l’ha preordinata, affinché la
sua provvidenza per mezzo di essa desse a ogni cosa il suo ordinamento. Se è così, solo Dio
elegge, egli solo conferma, perché non ha nessuno superiore. E da ciò si può ricavare inoltre
che né questi di ora, né gli altri che in qualunque modo furono detti elettori,10 si debbono
chiamare così: ma si debbono ritenere piuttosto rivelatori della provvidenza divina. E quindi
30 avviene che coloro ai quali è stata concessa la prerogativa di rivelarla siano talora in discordia,
perché o tutti o alcuni di essi, ottenebrati dalla nebbia della cupidità, non discernono il volto
del divino provvedimento.
Così dunque appar chiaro che l’autorità del Monarca temporale discende a lui senza al-
cun intermediario dalla Fonte della autorità universale: la quale Fonte, unica nella rocca della
35 sua semplicità, scorre in molteplici alvei per sovrabbondanza di bontà.11 E ormai mi sembra
d’aver raggiunto a sufficienza la meta prestabilità. Infatti è stata spiegata la verità di quella
questione per cui s’indagava se l’ufficio del Monarca fosse necessario al benessere del mon-
do, e di quella per cui s’indagava se il popolo romano si sia arrogato di diritto l’Impero, e di
quell’ultima per cui s’indagava se l’autorità del Monarca dipendesse immediatamente da Dio
40 o da altri.12 E questa verità dell’ultima questione non si deve accogliere in senso così stretto
che l’Imperatore romano non sia soggetto in alcuna cosa al Pontefice romano, poiché questa
felicità mortale è in certo modo indirizzata alla felicità immortale.13 Cesare usi dunque a Pie-
tro14 quella riverenza che il figlio primogenito deve usare al padre in modo che, illuminato
dalla luce della grazia paterna, illumini più efficacemente il mondo cui è stato preposto da
45 Colui solo che è rettore di tutto lo spirituale e il temporale.
D. Alighieri, Opere minori, cit.
212
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
TESTO GUIDA
politico dantesco. La tesi qui espressa (autonomia di Impero e Papato, entrambi derivati diret-
tamente da Dio) è frutto di una lunga riflessione. Infatti, nella prima fase della sua vita, Dante
sostenne idee ben diverse: durante l’esperienza politica negli anni tra il 1295 e il 1301, egli
difese l’autonomia del Comune dalle ingerenze della Chiesa, essendo fedele alla logica parti-
colaristica che caratterizzava il pensiero politico comunale e molto probabilmente rimanendo
estraneo alle pretese di controllo globale avanzate dai due istituti universali, Impero e Chiesa.
Ma l’esperienza dell’esilio segna una svolta nel pensiero politico dantesco, che arriva a rifiu-
tare la frammentazione prodotta dalla società comunale e a rilanciare il modello universali-
stico. Nella Monarchia, Dante sostiene e argomenta la necessità della monarchia universale
(primo libro), fondata sulla tradizione romana (secondo libro) e non sottoposta al controllo
della Chiesa. Infatti, come si legge in questo passo del terzo libro, Impero e Papato fanno
entrambi capo direttamente a Dio, a «Colui solo che è rettore di tutto lo spirituale e il tempo-
rale». L’imperatore e il papa sono perciò chiamati a servire un unico ispiratore (il Creatore), rea-
lizzandone la volontà in modi e campi diversi.
213
PARTE PRIMA Il Medioevo
214
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
La laicità dello Stato: una posizione rivoluzionaria
Le idee politiche espresse nella Monarchia erano strato dal Vaticano alle esigue dimensioni attuali.
decisamente rivoluzionarie rispetto ai tempi, tanto Dovettero passare ancora più di dieci anni prima che,
che il trattato fu subito dichiarato eretico e successi- nel 1881, la Monarchia venisse tolta dall’Indice.
vamente posto nell’Indice dei libri proibiti (1559). Le Ormai il principio della laicità dello Stato era asso-
teorie di Dante attirarono inevitabilmente l’ostilità dei dato: esso rappresenta, dalla Rivoluzione francese in
sostenitori del potere temporale della Chiesa, un poi, uno dei cardini delle costituzioni occidentali.
potere che venne meno solo nel 1870, quando le «Libera Chiesa in libero Stato», affermò proverbial-
truppe dello Stato italiano conquistarono Roma e le mente il conte di Cavour nel discorso in parlamento
regioni circostanti, riducendo il territorio ammini- dopo la proclamazione del Regno d’Italia (1861).
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ascolta il discorso di Papa Francesco durante il loro incontro al Palazzo
presidenziale del Quirinale. Roma 2017.
WEBQUEST
Il tema della laicità dello Stato attraversa la storia dal Medioevo in poi, a partire dalla rivoluzionaria
posizione di Dante espressa nella sua opera e in particolare nella Monarchia. Nei secoli successivi,
l’idea che la sfera politica e quella religiosa debbano essere separate si fa sempre più strada, sebbene
non manchino posizioni diverse in tutte le epoche, in particolare in Italia, dove il potere della Chiesa è
più forte e presente. Fai una ricerca, raccogliendo in una scheda cronologica i pensatori e le opere più
significative su questo argomento, da Dante all’Unità.
215
PARTE PRIMA Il Medioevo
10 Le Epistolae
Le lettere in latino Di Dante ci sono pervenute anche tredici Epistolae (cioè ‘lettere’) scritte in latino. Molte altre, di
cui abbiamo notizia indiretta, sono andate perdute. Le lettere appartengono agli anni dell’esilio
e rivelano la passione politica, lo sdegno e il risentimento di Dante nei confronti del suo
tempo. Lo stile è elevato, con riferimenti ai testi sacri e ai classici al fine di innalzare la materia.
I temi e i contenuti Fra le tredici Epistolae, spiccano le sei (dalla V alla X) legate alla discesa dell’imperatore Arrigo
VII in Italia (1310-13): Dante si rivolge ai governanti italiani per invitarli ad accogliere benevol-
mente l’imperatore e a sottomettersi a lui, e ad Arrigo stesso per invitarlo a combattere contro
la guelfa Firenze, centro dello schieramento favorevole al papa. Un particolare significato bio-
grafico ha poi l’Epistola XII, scritta nel 1315 a un amico fiorentino per rifiutare sdegnosamen-
te l’amnistia concessa in quell’anno dai Neri di Firenze agli esuli, in cambio però del simbolico
riconoscimento della propria colpa.
Nell’Epistola XIII, infine, Dante si rivolge al signore di Verona, Cangrande della Scala, per
dedicargli il Paradiso ( T14). Si tratta di un testo la cui autenticità è stata talvolta messa in discus-
sione e che tuttavia fornisce fondamentali prospettive di lettura della Commedia: l’autore distingue
i vari sensi della scrittura chiedendo di applicare al poema i criteri interpretativi figurali propri dei
testi sacri, e difende il pluristilismo e in particolare il registro comico (quello «dimesso e umile»).
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono i temi principali delle Epistolae di Dante?
A chi è indirizzata l’Epistola XIII?
È qui riportato un brano dell’Epistola XIII, indirizzata a Cangrande della Scala, di attribuzione dantesca
non del tutto sicura ma di gran interesse ai fini dell’interpretazione del poema. In questa lettera l’autore
afferma che il significato del poema è molteplice, cioè polisemico; e in particolare distingue tra significa-
to letterale e significato (o significati) allegorico. Fornisce quindi un esempio, ricavandolo dalla Bibbia, e
applica lo stesso criterio interpretativo proprio dei testi sacri al testo della Commedia.
I TEMI Commedia come poema “polisemico” distinzione tra significato letterale e significato allegorico
Per chiarire quello che si dirà bisogna premettere che il significato di codesta opera non è uno
solo, anzi può definirsi un significato polisemos, cioè di più significati. Infatti il primo signifi-
cato è quello che si ha dalla lettera del testo, l’altro è quello che si ha da quel che si volle signi-
ficare con la lettera del testo.1 Il primo si dice letterale, il secondo invece significato allegorico
5 o morale o anagogico.2 Questi diversi modi di trattare un argomento si possono esemplificare,
per maggior chiarezza, con i versetti: «Allorché dall’Egitto uscì Israele, e la casa di Giacobbe (si
partì) da un popolo barbaro; la nazione giudea venne consacrata a Dio; e dominio di Lui venne
ad essere Israele».3 Infatti se guardiamo alla sola lettera del testo, il significato è che i figli di
Israele uscirono d’Egitto, al tempo di Mosè; se guardiamo all’allegoria, il significato è che noi
10 siamo stati redenti da Cristo; se guardiamo al significato morale, il senso è che l’anima passa
1 il primo significato...con la lettera del quello che si ottiene considerando questo 2 anagogico: interpretazione spirituale.
testo: il primo senso è quello che si ottiene primo senso, che a sua volta era stato rag- 3 «Allorché dall’Egitto...ad essere Israe-
considerando le parole di cui è costituito il giunto attraverso le parole (con la lettera le»: sono i versi iniziali del Salmo 114 (nella
poema (dalla lettera del testo); l’altro è del testo). Bibbia).
216
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
dalle tenebre e dalla infelicità del peccato allo stato di grazia; se guardiamo al significato ana-
gogico, il senso è che l’anima santificata esce dalla schiavitù della presente corruzione terrena
alla libertà dell’eterna gloria. E benché questi significati mistici siano definiti con diversi
nomi, generalmente si possono tutti definire allegorici, in quanto si differenziano dal signifi-
15 cato letterale ossia storico. Infatti la parola “allegoria” deriva dal greco “alleon” che è reso in
latino con “alienum” ossia “diverso”. Ciò premesso è chiaro che il soggetto di un’opera, sotto-
posto a due diversi significati, sarà duplice. E perciò si dovrà esaminare il soggetto della pre-
sente opera se esso si prende alla lettera e poi se s’interpreta allegoricamente. È dunque il sog-
getto di tutta l’opera, se si prende alla lettera, lo stato delle anime dopo la morte inteso in
20 generale; su questo soggetto e intorno ad esso si svolge tutta l’opera. Ma se si considera l’opera
sul piano allegorico, il soggetto è l’uomo in quanto, per i meriti e demeriti acquisiti con libero
arbitrio, ha conseguito premi e punizioni da parte della giustizia divina.4
D. Alighieri, Opere minori, cit.
ANALISI La figura dell’allegoria Nel testo Dante fornisce una efficace definizione dell’allegoria, figura
retorica centrale per interpretare la Commedia, che riflette d’altra parte un atteggiamento
interpretativo diffuso nella cultura medievale. Dante distingue, in modo più specifico, signifi-
cato allegorico, morale, anagogico; ma, «benché questi significati mistici siano definiti con
diversi nomi, generalmente si possono tutti definire allegorici». L’etimologia della parola “alle-
goria” (dal greco alleon; reso in latino con alienum, ‘diverso’) invita a un’interpretazione del
testo che va al di là delle cose significate letteralmente. Il significato allegorico si differenzia
perciò da quello letterale: lo arricchisce, lo approfondisce e lo trascende.
INTERPRETAZIONE L’allegoria «dei teologi» Nel Convivio Dante distingue l’allegoria «dei poeti», in cui il senso
E COMMENTO letterale è fittizio, da quella «dei teologi», in cui il senso letterale è reale. L’allegoria della Com-
media vuole essere evidentemente l’allegoria dei teologi; tanto è che in questa Epistola Dante
richiama il modello delle Sacre Scritture per esemplificare il significato polisemico del poema.
COMPRENSIONE ANALISI
1. Dal testo si ricava una definizione della Commedia: 2. Fornisci tu una definizione della figura retorica
dell’allegoria; poi rintraccia nel testo la definizione
a. come poema da interpretarsi secondo la lettera del
che ne dà Dante.
testo
b. come poema da interpretarsi sulla base delle fonti INTERPRETAZIONE E COMMENTO
bibliche impiegate
3. Commentare Nell’Epistola troviamo una citazio-
c. come poema esclusivamente allegorico ne del Salmo 114: perché il testo biblico serve all’ar-
d. come poema polisemico gomentazione dantesca?
217
PARTE PRIMA Il Medioevo
Il titolo Il titolo che per convenzione diamo al capolavoro di Dante è Commedia (o «comedìa», come
e la mescolanza scrive Dante nell’Inferno). La forma Divina Commedia, pure molto diffusa, è da rifiutare
degli stili
perché non è attestata in nessun passo dantesco, ma compare per la prima volta in un’edizio-
ne cinquecentesca. Il titolo Commedia fa riferimento non al contenuto ma allo stile dell’ope-
ra, e più esattamente alla scelta di adottare uno stile comico o medio, cioè lo stile che i me-
dievali consideravano proprio della commedia latina. Può sembrarci una motivazione insod-
disfacente, e adatta solo ad alcune parti dell’opera, ma occorre considerare il fatto che la co-
noscenza effettiva che Dante e i medievali avevano della commedia, della tragedia e dei ge-
neri della latinità non era sempre precisa. Come abbiamo visto per la nascita di altre forme
letterarie (il romanzo e la novella), anche il genere praticato da Dante è nuovo e originale:
non lo si può definire un poema epico o una tragedia, perché il suo protagonista (Dante stes-
so) non è un eroe ma un uomo comune, e certo non è una commedia, perché il suo contenu-
to non è affatto basso e comico. Il nuovo poema “comico” cristiano ha piuttosto un punto di
riferimento nelle Sacre Scritture, dove lo stile umile era stato per la prima volta applicato a
una materia di altissimo livello: è in particolare l’esempio dei Vangeli che rende possibile la
distruzione del sistema classico della separazione degli stili, cioè della rigida assegnazione di
uno stile alto e tragico a una materia nobile (le gesta di dei e di eroi) e di uno stile comico a
un contenuto di basso livello sociale (le avventure amorose di giovani borghesi e gli strata-
gemmi dei loro servi).
Tempo storico Il cammino di Dante si svolge dalla notte tra il 7 e l’8 aprile al 13 aprile 1300. Il periodo allu-
e tempo simbolico de simbolicamente a un percorso di purificazione: i primi tre giorni coincidono infatti con la
Settimana Santa, che celebra la passione, la morte e la resurrezione di Cristo. Anche l’anno è si-
gnificativo: nel 1300 ricorre il primo Giubileo, l’anno santo durante il quale i fedeli compiono
i riti che garantiscono il perdono dei peccati. Tutta la Commedia è percorsa da simbolismi che
alludono alla dimensione divina che si disegna dietro le vicende terrene: la storia umana non è
che un riflesso della volontà di Dio, eterna e immutabile.
La struttura del Dante è stato il primo a dare ai tre regni dell’aldilà una collocazione precisa sulla carta terrestre.
cosmo dantesco Per comprendere il suo percorso occorre tenere presente la concezione medievale dell’univer-
so, elaborata a partire dal pensiero di Aristotele e del matematico Tolomeo. Due soprattutto so-
no le idee che l’allontanano dal nostro modo di concepire il cosmo: da un lato la teoria geocen-
trica immaginava la Terra immobile al centro del sistema planetario; dall’altro si credeva
nell’esistenza materiale di luoghi fisici destinati alle anime: l’Inferno nel cuore della Terra, il
Purgatorio nell’emisfero delle acque, il Paradiso in corrispondenza dei cieli.
L’Inferno La Terra è concepita come un corpo sferico diviso in due parti: l’emisfero delle acque e quello
delle terre emerse, dove vivono gli uomini. Al centro dell’emisfero delle terre emerse si trova
la città di Gerusalemme, sotto la quale sta l’Inferno. Questo è concepito da Dante come un
218
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
profondo abisso a forma di imbuto prodotto dalla caduta sulla Terra di Lucifero. La vo-
ragine infernale è suddivisa in nove cerchi digradanti verso il fondo: man mano che si scen-
de, i cerchi sono più piccoli e più gravi sono i peccati in essi puniti. L’Inferno è la cantica carat-
terizzata da maggior rigore strutturale e geometrico: più che di paesaggi è qui necessario par-
lare di architetture. Il criterio che regola l’attribuzione delle punizioni ai dannati è quello del
contrappasso, che stabilisce un collegamento tra la pena inflitta e la colpa commessa. Sul pia-
no artistico, l’Inferno manifesta con grande evidenza il plurilinguismo e il pluristilismo dan-
teschi, con un’incredibile varietà di toni e di registri. Alla ricchezza formale corrisponde quel-
la narrativa; in particolare, è tipico dell’Inferno il rapporto conflittuale e antagonistico di Dan-
te con i dannati.
219
PARTE PRIMA Il Medioevo
Il Purgatorio Il Purgatorio è in molti modi contrapposto all’Inferno. In senso fisico innanzitutto: alla cavità
a imbuto dell’Inferno corrisponde, nell’emisfero opposto, il monte del Purgatorio (diviso in
tre zone: Antipurgatorio, Purgatorio e Paradiso terrestre); il secondo regno è dunque un cal-
co esatto del primo. La contrapposizione tra i primi due regni vale anche in senso morale:
nell’Inferno Dante scende verso il centro della Terra trovando nei nove cerchi peccati via via
peggiori; nel Purgatorio sale verso il cielo trovando nelle sette cornici peccati via via più lievi.
Il Purgatorio è l’unico regno legato alla dimensione temporale: conosce l’avvicendarsi del
DIGIT giorno e della notte ed è destinato ad estinguersi dopo il Giudizio universale. Nel Purgatorio gli
TESTI
Oderisi da Gubbio spiriti purganti si purificano dalle tendenze peccaminose attraverso un triplice meccani-
e la vanità della smo: la pena (anche qui attribuita secondo il criterio del contrappasso), la preghiera, gli esem-
gloria terrena
[Purg. XI, vv, 73-117] pi (tratti sia dai testi sacri sia dalla tradizione classica, essi possono essere positivi o negativi).
Il Paradiso Il Paradiso è la “città celeste” dove sono accolti i giusti dopo la morte. Si divide in nove cieli
concentrici posti al di sopra della cosiddetta Sfera del fuoco e contenuti nell’Empireo, che è la
sede propria di Dio. Al cielo più vicino all’Empireo, il Primo Mobile, la potenza divina si tra-
smette come movimento rapidissimo che va rallentando man mano che si passa da un cielo
all’altro in direzione della Terra. La sede propria delle anime è l’Empireo, ma non tutte rag-
giungono lo stesso grado di beatitudine. Per rendere comprensibile ai sensi umani di Dante ciò
che altrimenti sarebbe stato incomprensibile, la Grazia divina fa sì che le anime si distribuisca-
no nei nove cieli, dove il poeta le incontra a seconda del loro livello di beatitudine. Nel Paradi-
so hanno un grande risalto i temi di carattere teologico e dottrinale, ma accanto ad essi tro-
vano posto le grandi tematiche politiche (la Chiesa, l’Impero, Firenze). Fin dai primi versi,
poi, è presente il tema dell’ineffabile, dell’impossibilità cioè di rendere conto con le parole di
un’esperienza così straordinaria. La sfida che Dante si pone, e che – almeno poeticamente – si
può dire che abbia vinto, è proprio quella di dire l’indicibile.
La critica del Nel corso dei numerosi incontri che segnano il viaggio dall’abisso dell’Inferno ai cieli del Para-
presente diso, Dante interviene con energia sui grandi temi che agitano il suo tempo, criticando aspra-
mente la società a lui contemporanea.
Al centro di questa critica stanno innanzitutto le due grandi istituzioni universalistiche, il
Papato e l’Impero, entrambe corrotte e colpevoli per aver rinunciato alla propria specifica
missione, rispettivamente spirituale e temporale. Tuttavia, se la condanna della degenerazione
presente è ferma e inappellabile, altrettanto ferma è la fiducia che Dante nutre nell’origine
provvidenziale di queste due istituzioni, al di là delle colpe di chi indegnamente le rappresenta.
Ad essere oggetto della condanna del poeta è poi l’intera civiltà comunale, dominata dall’a-
vidità di ricchezze e di potere.
La dimensione Il viaggio di Dante va letto in una prospettiva allegorica. “Allegoria” è una parola di origine
allegorica greca che letteralmente significa ‘parlare d’altro’.
Nella cultura di Dante e del suo tempo ogni cosa parla d’altro: ogni particolare del mondo e
dell’esistenza umana, oltre ad avere un suo significato primo e immediato, ne ha uno secondo
e allegorico; ogni dato dell’esistenza è dunque vero in se stesso, ma rimanda anche ad altro,
a una verità superiore e divina alla luce della quale la realtà va interpretata. Senza tenere
conto di questa serie complessa di rimandi tra senso letterale e senso allegorico, mondo e so-
vramondo, risulta impossibile comprendere la Commedia.
In viaggio La Commedia è la storia del viaggio compiuto da Dante nell’aldilà. Rispetto alla tradizione,
nell’aldilà Dante imposta il suo racconto in un modo del tutto nuovo: egli è sia il narratore sia il prota-
gonista della storia narrata. Il poeta attraversa i tre regni dell’oltretomba, incontrando anime
di tutte le condizioni, di tutte le epoche e di tutte le provenienze. Questi regni sono perfetta-
mente ordinati da Dio. Infatti, nella prospettiva cristiana, l’oltretomba rappresenta il mondo
vero, la sede autentica e definitiva dell’uomo.
220
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Gli uomini tra Terra Benché condivida la concezione cristiana per cui la vita terrena è solo un momento di pas-
e aldilà: la saggio verso la vita eterna dell’anima, Dante riconosce anche l’importanza della dimensio-
concezione
figurale ne terrena, poiché è in essa che l’uomo si procura, con le proprie azioni, la dannazione o la
salvezza. Tra Terra e aldilà intercorre infatti uno stretto rapporto: nell’aldilà ogni uomo ap-
pare interamente svelato nella sua indole più intima e vera, la quale si era solo parzialmente
manifestata durante la vita terrena. Ogni personaggio incontrato da Dante è veramente se
stesso, e racconta quindi la propria vicenda personale con assoluta sincerità, né potrebbe fa-
re altrimenti dal momento che la posizione assegnatagli da Dio nell’aldilà diventa una spe-
cie di carta di identità: per esempio, chi è stato goloso in vita, nell’oltretomba si trova tra i
golosi e non può più nascondere il suo vizio. La vita terrena, dunque, prefigura quella eter-
na, che ne è il vero compimento: in questo consiste la concezione figurale di Dante, che ri-
elabora in modo originale un modo di interpretare la Bibbia (l’esegesi figurale) molto diffu-
so nel cristianesimo medievale, ma prima di allora applicato solamente ai personaggi della
storia sacra.
Il doppio Nell’oltretomba Dante-personaggio differisce da tutti gli altri, in quanto è l’unico a essere vi-
significato del vo. Non avendo ancora una collocazione precisa nell’aldilà, ha pertanto la possibilità di sce-
viaggio dantesco:
conoscere l’aldilà gliere, e l’opportunità di salvarsi anche se ha commesso molti peccati. In questo senso la
e salvarsi Commedia contiene due piani di lettura: da un lato descrive lo stato delle anime dopo la
morte, dall’altro presenta la storia della ricerca della salvezza da parte di Dante. Mentre
nel primo caso la presenza di Dante ha la funzione di stimolare le anime a comunicare la lo-
ro esperienza, nel secondo caso la visione delle anime è funzionale alla salvezza del poeta:
lo aiuta cioè a rifiutare il peccato (di cui egli può vedere le terribili conseguenze) e ad ab-
bracciare il bene. Dante-personaggio non rappresenta però solo se stesso, ma anche, in ge-
nerale, il cristiano in cerca della salvezza. La Commedia non è, allora, solo un’opera auto-
biografica, ma è anche il racconto dell’umanità in cammino verso la faticosa meta della gra-
zia eterna.
Agnolo Bronzino,
Ritratto allegorico
di Dante Alighieri,
1532-1533. Firenze,
collezione privata.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
La missione Con la Commedia Dante intende mostrare la via del riscatto e proporre un modello po-
del poeta sitivo per tutti gli uomini. In particolare, le tre cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso) rap-
presentano queste tre progressive condizioni: caduta nel peccato, espiazione e salvezza.
Il viaggio nell’oltretomba acquista così i caratteri di una missione voluta dal cielo. Soprat-
tutto nel Paradiso, Dante viene invitato più volte dai suoi interlocutori a raccontare agli uo-
mini, una volta tornato sulla Terra, ciò che ha visto e sentito, in modo che possano ritrova-
re la «diritta via» che hanno smarrito. In vari punti dell’opera, l’autore critica aspramente la
società a lui contemporanea, attaccando sia la vita comunale, fondata sulla logica del pro-
fitto e dominata dall’avidità, sia il Papato e l’Impero, istituzioni che hanno rinunciato al lo-
ro specifico mandato, rispettivamente spirituale e temporale. Ciò nonostante, Dante con-
tinua ad avere fiducia nella possibilità di riscatto dell’uomo e nella funzione del papa e
dell’imperatore: la sua ira e le sue delusioni riguardano solamente i singoli individui che ri-
coprono al momento queste cariche.
Le guide di Dante Nel suo viaggio Dante ha con sé qualcuno che gli indica la strada e lo protegge: nelle prime due
tappe, lo accompagna Virgilio; nell’ultima, Beatrice. Lo scrittore latino Virgilio è un maestro
di poesia e di sapere, e rappresenta la ragione e la cultura umana. Beatrice, la donna
amata da Dante nella sua gioventù, incarna la fede e la teologia. Essendo vissuto prima del-
la Redenzione operata da Cristo, Virgilio non ha potuto conoscere il messaggio evangelico:
non può dunque accedere al terzo regno. Si arresta allora sulla cima del Purgatorio, affidan-
do Dante alla guida di Beatrice. La donna lo porterà fino al cielo più alto del Paradiso. Solo
nell’Empireo, la sede di Dio e dei beati, Beatrice affiderà il poeta alla guida del mistico san
Bernardo di Chiaravalle.
Il realismo A proposito della Commedia, spesso si parla di realismo linguistico. La lingua di Dante è, in-
linguistico fatti, visiva e concreta: di qualunque cosa parli, dai concetti più semplici a quelli più com-
plessi e astratti, egli traduce tutto in immagine, scegliendo accuratamente ogni termine.
Inoltre Dante ricerca l’espressività: la parola deve avere una sua forza, anche sonora. La cor-
rispondenza della lingua e dello stile ai fatti narrati e alle riflessioni presenti in ogni canti-
ca è infatti ciò che il poeta stesso dichiara di ricercare «sì che dal fatto il dir non sia diver-
so» (Inf. XXXII, v. 12).
Il simbolismo Alla base dell’organizzazione strutturale della Commedia sta il numero tre, numero perfetto
numerico della Trinità: Padre, Figlio e Spirito santo. Il poema è diviso infatti in tre cantiche, e la materia
è distribuita nel numero altrettanto perfetto di cento canti, trentatré per cantica più uno in-
troduttivo premesso all’Inferno. Infine, i versi sono disposti in sequenze di tre: le terzine sono
unite una all’altra dalla rima, secondo lo schema ABA, BCB, CDC, ecc. (per questo legame che
attraverso la rima collega ogni terzina alla precedente e alla successiva, le terzine sono dette
“incatenate”).
Lo stile comico La lingua della Commedia è caratterizzata dal plurilinguismo e dal pluristilismo: con il pri-
mo termine si indica la sua straordinaria varietà lessicale (Dante fa ricorso a termini attinti
da tutti i dialetti italiani, nonché ad arcaismi, latinismi, provenzalismi, neologismi); con il
secondo termine si fa riferimento all’ampiezza dei registri stilistici, che vanno dal più bas-
so e plebeo di certe zone dell’Inferno a quello più sublime del Paradiso. Il pluristilismo dan-
tesco comprende lo stile “comico” o umile, che anzi è quello preponderante: di qui il titolo
Commedia.
FACCIAMO IL PUNTO
In quale periodo della sua vita Dante compone la Commedia?
Chi sono le guide di Dante-personaggio nel suo viaggio nell’aldilà? Cosa rappresentano rispettivamente?
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CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Il primo canto dell’Inferno fa da prologo a tutta la Commedia: qui Dante racconta di aver smarrito la strada
giusta e di essersi ritrovato in un bosco senza luce. Di lì riesce a intravedere un colle illuminato dal sole,
ma quando cerca di salirvi viene ostacolato da tre bestie feroci: prima una lonza, poi un leone, infine una
lupa affamata. Preso dallo spavento, è sul punto di perdere ogni speranza di raggiungere la cima quando,
all’improvviso, gli appare l’ombra di Virgilio, poeta latino da lui amatissimo. Questi si offre di guidarlo alla
salvezza percorrendo l’Inferno e il Purgatorio, dal momento che una via diretta non è possibile. Accettata
l’offerta di Virgilio, Dante dà inizio al suo grande viaggio nell’aldilà.
I TEMI smarrimento di Dante soccorso di Virgilio inizio del viaggio nell’aldilà
PARAFRASI
Nel mezzo del cammin di nostra vita 1-3 Alla metà del percorso (cammin) della nostra vita, mi ritrovai in
mi ritrovai per una selva oscura, un bosco (selva) oscuro, poiché la via giusta (diritta) era [stata da me]
smarrita.
3 ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura 4-6 Ahimè, quanto è difficile (cosa dura) da dire che cosa fosse (qual era)
esta selva selvaggia e aspra e forte questo bosco selvatico e intricato (aspra) e difficile (forte) [da attraversa-
re] che, [solo] a pensarci (nel pensier), fa rinascere (rinova) la paura!
6 che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte; 7-9 [La selva] è tanto terribile (amara) che la morte [lo] è poco [di]
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, più; ma per parlare (trattar) del bene che io vi trovai, dirò delle altre
cose che io vi ho visto (scorte).
9 dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, 10-12 Io non so ripetere esattamente (ben ridir) come io vi [: nella
tant’era pien di sonno a quel punto selva] fossi entrato (com’i’ v’intrai), tanto ero offuscato dal (pien di)
sonno nel momento (a quel punto) in cui lasciai la via giusta (verace).
12 che la verace via abbandonai.
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, 13-18 Ma dopo che io fui arrivato (giunto) ai piedi di un colle, là dove
là dove terminava quella valle finiva quella valle [: la selva] che mi aveva trafitto (compunto) di paura
il cuore, guardai in alto e vidi le sue [: del colle] pendici (spalle) già rico-
15 che m’avea di paura il cor compunto, perte (vestite) dai raggi dell’astro (pianeta) [: il sole] che guida (mena)
guardai in alto e vidi le sue spalle dirittamente (dritto) ogni uomo (altrui) per ogni strada (calle).
vestite già de’ raggi del pianeta
18 che mena dritto altrui per ogne calle.
DIGIT VIDEO v. 2 selva oscura: la selva rappresenta alle- sta per parlare.
Parafrasi del primo verso della Commedia goricamente il peccato, ed è oscura perché v. 11 pien di sonno: nella Bibbia il sonno
La chiave allegorica del I canto della Commedia non ha accolto la luce della Grazia divina, indica frequentemente il peccato, poiché
cioè la chiamata di Dio alla salvezza. quando si dorme le facoltà intellettuali
v. 1 Nel mezzo...vita: Dante si ritrova nella
v. 3 la diritta via: è la retta via dei Vangeli, sono oscurate. Secondo la teologia medie-
selva oscura a metà del corso della sua vita.
cioè la vita giusta e rispettosa degli inse- vale, infatti, il peccato nasce come errore
Secondo la concezione biblica e classica, la
gnamenti di Cristo che porta alla salvezza della ragione nella valutazione di che cosa
durata media e tipica della vita umana era
dell’anima (e dell’umanità). sia il bene.
di settant’anni: trentacinque anni ne è dun-
v. 7 Tant’è amara...morte: la morte dell’ani- v. 13 colle: il colle è un’allegoria della sal-
que il mezzo. Dante, nato nel 1265, aveva
ma (cioè la dannazione) è di poco peggiore vezza promessa in Terra agli uomini.
quest’età nel 1300: lo stesso anno del Giubi-
dello smarrirsi nella selva (cioè nel peccato), v. 17 pianeta: la scienza medievale non di-
leo, cioè della solenne festività proclamata
tanta è l’angoscia che deriva da quest’ultimo. stingueva fra stella (come è il Sole) e pianeta,
dal papa che garantisce ai fedeli il perdono
vv. 8-9 ma per...scorte: il ben sono la possi- indicando entrambi con questo secondo ter-
di tutti i peccati, a patto che compiano un
bilità di salvezza e l’incontro con Virgilio. Le mine. La luce del sole è la grazia di Dio, che
pellegrinaggio e un cammino di penitenza.
altre cose sono gli ostacoli dei quali Dante guida gli uomini durante l’esistenza terrena.
Inoltre, come si desume da altri passi del poe-
ma, il viaggio si compie durante la Settimana LA LINGUA NEL TEMPO
Santa (che ricorda passione, morte e resurre-
zione di Cristo, grazie alle quali l’umanità è
Pietà «pièta» (v. 21) deriva, come “pietà” (e le forme analoghe pietate/pietade), dal latino pìetas,
stata salvata dal peccato). Il viaggio di Dante
pietàtis. Tuttavia, anziché ‘compassione’, indica qui piuttosto ‘angoscia’. Non è difficile capire la tra-
coincide quindi con un tempo di penitenza e
sformazione semantica: si tratta di un tormento così forte da causare compassione. La forma
di purificazione che coinvolge tutta la cristia-
“pietà” – che tante volte troveremo nel corso della lettura del poema – ha invece un significato più
nità. nostra al posto di “mia” coinvolge il let-
prossimo a quello attuale, anche se con un valore fortemente morale, e non solo sentimentale, so-
tore nell’avventura di cui si inizia il racconto.
prattutto di fronte ad anime dalla vicenda dolorosa, ma condannate per sempre da Dio all’Inferno.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
TEMPO
Tra la notte del 7 e l’alba dell’8 aprile 1300
(venerdì santo)
LUOGO
La selva oscura
PERSONAGGI E FIGURE
• Dante
• Tre belve: una lonza, un leone, una lupa
• Virgilio: il grande poeta latino
IL CANTO IN BREVE
• Dante nella selva
• Il colle illuminato dal sole
• Le tre fiere
• L’apparizione di Virgilio
• La profezia del veltro
• L’esortazione al viaggio nell’oltretomba
Allor fu la paura un poco queta, 19-21 Allora si calmò (fu... queta) un po’ la paura che era stata (dura-
che nel lago del cor m’era durata ta) nel profondo (lago) del mio cuore [durante] la notte che io trascor-
si con tanta pena (pieta, da leggere “pièta”).
21 la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
E come quei che con lena affannata, 22-27 E come colui che, con respiro (lena) affannato, uscito fuori dal
uscito fuor del pelago a la riva, mare (pelago) sulla riva, si volta verso l’acqua pericolosa e [la] guarda
fisso (guata), così il mio animo, che ancora pensava a fuggire [dalla sel-
24 si volge a l’acqua perigliosa e guata, va] (ch’ancor fuggiva) si voltò indietro (a retro) a riguardare il luogo
così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, attraversato (passo) che non aveva mai lasciato vivo [nessun] uomo
si volse a retro a rimirar lo passo (persona).
27 che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso, 28-30 Dopo che ebbi (èi) riposato un poco il [mio] corpo stanco (las-
ripresi via per la piaggia diserta, so), ripresi il cammino (via) attraverso il pendio (per la piaggia) deser-
to, in modo (sì = ‘così’) che il piede fermo [: quello su cui far leva] era
30 sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso. sempre il più basso.
v. 20 nel lago del cor: il lago indica, metafo- esprime l’angoscia di Dante e la sua ricerca indica l’attaccamento alle cose terrene che
ricamente, le cavità interne del cuore, dette di salvezza. ancora aggrava il poeta. In altre parole,
così perché raccolgono il sangue, che è ap- v. 30 sì che...basso: Dante descrive l’e- come il corpo ha due piedi, così anche l’a-
punto un liquido. sperienza comune per cui, in un percorso nima: il piede più basso rappresenta l’amo-
vv. 22-27 E come quei...viva: la similitu- in salita, ci si appoggia di più sul piede che re per il mondo; quello più in alto l’amore
dine del naufrago (la prima del poema) sta in basso. Allegoricamente, l’immagine per Dio.
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CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, 31-36 Ed ecco, quasi all’inizio della salita (al cominciar de l’erta), [vi-
di] una lonza snella (leggera) e molto agile (presta), che era ricoperta
una lonza leggera e presta molto,
di pelo chiazzato (macolato); e non mi si toglieva (mi si partia) [da]
33 che di pel macolato era coverta; davanti (dinanzi al volto), anzi ostacolava (’mpediva) il mio cammi-
e non mi si partia dinanzi al volto, no a tal punto (tanto), che io mi girai (i’ fui... vòlto) più volte per ritor-
anzi ’mpediva tanto il mio cammino, nare [indietro].
vv. 37-43 Temp’era...stagione: tre ragioni vv. 55-60 E qual è...tace: nuova similitu- v. 63 fioco: l’aggettivo fioco può essere
inducono Dante a credere di poter superare dine, tratta dal mondo quotidiano: Dante, interpretato in due modi: nel senso di
il pericolo della lonza: l’ora mattutina, la quando già si era arrampicato per un tratto senza voce (ma l’ombra non ha ancora
stagione primaverile, il sorgere del sol<e> sul colle, è costretto a indietreggiare a causa parlato e Dante non potrebbe giudicarne
nella medesima costellazione, l’Ariete, in della lupa; il poeta si sente come colui che, la voce) o meglio nel senso di sbiadito,
cui esso si trovava quando Dio creò il mon- dopo aver a lungo accumulato ricchezze, evanescente (e allora bisognerebbe pen-
do e predispose ogni cosa per la felicità infine perde tutto il proprio guadagno e si sare che silenzio indichi l’assenza di vita
dell’uomo. vede rovinato. in generale).
FIGURE E QUESTIONI
La lonza, il leone e la lupa La lonza (una sorta di pantera o leopardo) è la prima delle tre fiere incontrate da Dante nella selva (v. 32). Esse rimandano
allegoricamente agli ostacoli che l’umanità incontra sul proprio cammino, causa dell’infelicità in Terra e della dannazione nell’aldilà. In particolare, la lon-
za è, per la maggior parte dei commentatori, allegoria del peccato di lussuria (cioè il desiderio sfrenato di piaceri sessuali). Il leone (v. 45),a sua volta,
rappresenta la superbia (difatti ha la test’alta, v. 47); o, secondo altri, l’invidia o la “matta bestialità” (cioè l’irrazionalità degli istinti). La lupa (v. 49), ul-
timo e più temibile pericolo, rappresenta il peccato di avarizia (nel senso ampio della cupidigia, avidità o desiderio sfrenato di ricchezze e potere): chi ne
è colpito dimentica che i beni terreni hanno valore solo strumentale e che non devono distogliere dai beni spirituali. Alcuni commentatori interpretano
la lupa come allegoria dell’incontinenza, cioè dell’incapacità di moderare i propri desideri.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
Quando vidi costui nel gran diserto, 64-66 Quando vidi costui nel vasto luogo solitario (gran diserto), gli
gridai: «Abbi pietà (Miserere) di me, chiunque (qual che) tu sia, o om-
«Miserere di me», gridai a lui,
bra o uomo reale (omo certo)!».
66 «qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
Rispuosemi: «Non omo, omo già fui, 67-69 Mi rispose: «Non [sono un] uomo, [ma] fui uomo un tempo
e li parenti miei furon lombardi, (già), e i miei genitori (parenti) furono dell’Italia settentrionale (lom-
bardi), entrambi (ambedui) mantovani di nascita (per patria).
69 mantoani per patria ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, 70-72 Nacqui sotto [il governo di] Giulio [Cesare] (sub Iulio), sebbene (an-
e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto cor che) fosse [troppo] tardi [perché potessimo conoscerci] e vissi a Roma
sotto il nobile (buono) Augusto, all’epoca degli dèi falsi e ingannevoli (bu-
72 nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. giardi) [: al tempo del paganesimo].
Poeta fui, e cantai di quel giusto 73-75 Fui poeta, e scrissi in versi (cantai) di quel giusto figlio (fi-
figliuol d’Anchise che venne di Troia, gliuol) di Anchise [: Enea] che venne da Troia, dopo che (poi che) la su-
75 poi che ’l superbo Ilión fu combusto. perba Ilio (Ilión) fu incendiata (combusto).
Ma tu perché ritorni a tanta noia? 76-78 Ma tu perché ritorni [indietro] verso [un luogo che dà] così
perché non sali il dilettoso monte grande (tanta) sofferenza (noia) [: verso la selva]? Perché non sali il
piacevole (dilettoso) monte che è inizio e causa (principio e cagion)
78 ch’è principio e cagion di tutta gioia?». di ogni (tutta) gioia?».
«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte 79-81 Io gli (lui) [: a Virgilio] risposi con espressione (fronte = ‘volto’)
che spandi di parlar sì largo fiume?», rispettosa (vergognosa): «Dunque (Or) sei tu quel [famoso] Virgilio e
81 rispuos’io lui con vergognosa fronte. quella fonte che sparge (spandi) un così abbondante (largo) fiume di
parole [: metafora; cioè quel Virgilio che ha scritto poemi così alti]?».
«O de li altri poeti onore e lume,
82-84 «O [tu che sei] la gloria (onore) e la guida (lume) degli altri poeti,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore mi servano (vagliami = ‘mi valga’) [a ottenere il tuo aiuto] il lungo studio
84 che m’ha fatto cercar lo tuo volume. e il grande amore che mi hanno fatto leggere con tanta attenzione (cer-
Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore; car) le tue opere (lo tuo volume).
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi 85-87 Tu sei il mio maestro e il mio autore; tu solo sei colui dal quale
(cu’ = ‘cui’) ho tratto (tolsi) lo stile illustre (lo bello stilo) che mi ha
87 lo bello stilo che m’ha fatto onore. procurato fama (m’ha fatto onore).
v. 65 Miserere: è un termine latino che signi- Iulio, Virgilio intende dire di essere nato quan-
fica ‘abbi pietà’. È presente all’inizio del bibli- do già era vivo e vicino al potere quel Cesare
co Salmo 50 («Miserere mei»), una preghiera che doveva fondare l’Impero romano. ancor
di penitenza. Questo grido di pietà rompe il che fosse tardi: Cesare fu ucciso nel 44 a.C.,
silenzio del luogo deserto: si tratta della pri- quando il poeta aveva ventisei anni: era quindi
ma voce umana che si sente nel poema. troppo tardi per poter dire di aver vissuto sot-
v. 66 ombra: indica o lo spirito di un morto, o to il suo principato; infatti, Virgilio dice subito
un’apparizione illusoria. In questo caso si dopo di aver vissuto sotto Ottaviano Augusto.
tratta dell’anima del poeta latino Virgilio (70 Al v. 71 Augusto è detto buono per le sue stra-
a.C.-19 a.C.), autore dell’Eneide, il poema epi- ordinarie virtù individuali e pubbliche.
co che celebra la gloria di Roma e della dina- vv. 73-75 cantai...combusto: è l’argomento
stia Giulia. Nella Commedia Virgilio assolve dell’Eneide, che narra le avventure dell’eroe
una funzione allegorica, cioè rappresenta la troiano Enea, figlio di Anchise. Ilión era la
luce della ragione e della civiltà umane che rocca di Troia.
possono guidare gli uomini verso il bene. Egli vv. 76-78 Ma tu...gioia?: per capire questi
appartiene a quell’umanità che, prima della versi bisogna pensare al loro significato alle-
nascita di Cristo, seguì valori nobili e giusti: gorico: la via della salvezza rappresentata dal
perciò Dante ne fa un’allegoria della ragione, colle è infatti l’unica che dia la vera felicità.
al tempo stesso indispensabile al consegui- v. 85 maestro...autore: autore è, nella cul-
mento della salvezza, ma insufficiente se tura medievale, lo scrittore degno di essere
non è completata dalla fede. Nel Medioevo imitato e perciò maestro.
l’opera di Virgilio venne infatti riletta in chia- v. 87 lo bello stilo: è lo stile alto o tragico,
ve allegorica come una prefigurazione ispirato in senso ideale alla lezione della
dell’avvento del cristianesimo. grande poesia di Virgilio. Qui Dante si pone
vv. 70-71 Nacqui...Augusto: nel 70 a.C., quan- in diretta continuità con lui, reinterpretan-
do è nato Virgilio, Giulio Cesare aveva solo do anche la sua passata produzione volgare
trent’anni e non aveva ancora iniziato la sua (Vita nuova, Convivio e Rime) alla luce delle Illustrazione di Salvador Dalí per il primo canto
vita pubblica; tuttavia, con l’espressione sub esigenze della Commedia. dell’Inferno di Dante, 1964.
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CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi: 88-90 Vedi la belva a causa della quale (per cu’) io mi voltai [indietro] [: la
lupa]: salvami (aiutami) da lei, saggio famoso, poiché essa (ch’ella) mi fa
aiutami da lei, famoso saggio,
tremare [per la paura] le vene e le arterie (polsi)».
90 ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi».
«A te convien tenere altro viaggio», 91-99 [Virgilio], dopo che mi vide piangere (lagrimar), rispose: «A te
rispuose, poi che lagrimar mi vide, è necessario (convien) seguire (tenere) un’altra strada (viaggio)
[: quella che percorre i tre regni dell’aldilà], se vuoi salvarti (campar)
93 «se vuo’ campar d’esto loco selvaggio: da questo luogo selvaggio; poiché questa bestia [: la lupa] a causa della
ché questa bestia, per la qual tu gride, quale tu chiedi aiuto (gride) non lascia passare nessuno (altrui) dalla
non lascia altrui passar per la sua via, sua via, ma lo ostacola tanto che lo uccide; e ha [una] natura così mal-
vagia e crudele (ria), che non sazia (empie = ‘riempie’) mai il [suo] de-
96 ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide; siderio (voglia) smanioso (bramosa), e dopo aver mangiato (dopo ’l
e ha natura sì malvagia e ria, pasto) ha più fame di prima (che pria) [: la lupa, allegoria dell’avidità, è
che mai non empie la bramosa voglia, insaziabile].
99 e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
Molti son li animali a cui s’ammoglia, 100-105 Sono molte le creature (li animali) a cui [la lupa] si unisce
e più saranno ancora, infin che ’l veltro (s’ammoglia = ‘si sposa’), e saranno ancora [di] più [in futuro], fino a
quando (infin che) verrà il veltro [: un cane da caccia] che la farà mori-
102 verrà, che la farà morir con doglia. re con dolore (doglia). Questi [: il veltro] non si ciberà [né di] terre né
Questi non ciberà terra né peltro, [di] danaro (peltro), ma [di] sapienza, amore e virtù, e la sua nascita
ma sapienza, amore e virtute, (nazion) avverrà (sarà) tra feltro e feltro.
105 e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute 106-108 [Il veltro] sarà (fia) [la] salvezza (salute) di quella misera
per cui morì la vergine Cammilla, (umile) Italia per la quale morirono per le ferite (di ferute) la vergine
Camilla, Eurialo, Turno e Niso.
108 Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne villa, 109-111 Questi [: il veltro] la [: la lupa] caccerà in ogni città (per ogne
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno, villa) [: ovunque], finché [non] l’avrà ricacciata nell’Inferno, là da dove
(onde) l’odio (’nvidia) [del demonio] la fece uscire all’inizio (prima)
111 là onde ’nvidia prima dipartilla. [della storia dell’umanità] .
Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno 112-120 Perciò (Ond’ = ‘onde, per la qual cosa’) io credo e giudico (di-
che tu mi segui, e io sarò tua guida, scerno) [necessario] che tu, per salvarti (per lo tuo me’ = ‘per
114 e trarrotti di qui per loco etterno, [ottenere] il tuo meglio’), mi segua; e io sarò [la] tua guida e ti porterò
via (trarrotti = ‘ti trarrò’) di qui attraverso (per) un luogo eterno [: l’In-
ove udirai le disperate strida, ferno], dove sentirai le grida disperate, vedrai gli antichi [: perché mor-
vedrai li antichi spiriti dolenti, ti da tempo] spiriti che soffrono (dolenti), che invocano (grida) tutti
117 ch’a la seconda morte ciascun grida; (ciascun) la morte dell’anima (seconda rispetto a quella del corpo, e
perciò totale); e vedrai coloro che sono contenti nel fuoco [che li puri-
e vederai color che son contenti
fica] [: le anime del Purgatorio], perché sperano di giungere, quando
nel foco, perché speran di venire sarà [il momento] (quando che sia), tra (a) le anime (genti) beate [: in
120 quando che sia a le beate genti. Paradiso].
v. 103 peltro: è una lega metallica usata per della volontà di Dio. questi versi Virgilio ricorda gli eroi che, nell’E-
le monete; insieme alla terra, indica i beni v. 105 feltro: è un panno di scarso valore. neide, muoiono nella guerra combattuta per
mobili e immobili. Si allude qui, certamente, all’umiltà del ri- la conquista del Lazio. Tale guerra è la remo-
v. 104 sapienza, amore e virtute: richiama- formatore rappresentato dal veltro, il quale ta premessa alla fondazione dell’Impero di
no le persone della Trinità: rispettivamente sarà animato da valori spirituali anziché da Roma. Camilla, figlia del re dei Volsci, e Tur-
il Figlio, lo Spirito Santo e il Padre; indicano, interessi materiali. no, re dei Rutuli, combattevano contro Enea;
in generale, i principi religiosi e il rispetto vv. 107-108 la vergine Cammilla...ferute: in Eurialo e Niso erano due giovani troiani.
FIGURE E QUESTIONI
Il veltro Varie sono le ipotesi sull’identità del veltro (v. 101), l’allegorico cane da caccia che metterà in fuga la lupa dell’avidità. Potrebbe trattarsi di un
religioso; forse un francescano, per la tela grezza dell’abito (feltro), salito al pontificato (qualcuno fa il nome di Benedetto XI). Oppure, e con probabilità
maggiori, un imperatore (l’elezione imperiale avveniva estraendo il nome da un’urna foderata di feltro). Il nome più ovvio sarebbe allora quello di Arrigo
VII, più volte esaltato da Dante: egli fu però eletto nel 1308, quando l’Inferno era già stato ultimato. Ancora, tra feltro e feltro potrebbe alludere a Feltre in
Veneto e a Montefeltro in Romagna, e porterebbe a Cangrande della Scala, signore di Verona e vicario imperiale che ospiterà Dante durante l’esilio e che
sarà celebrato nel Paradiso. Tuttavia, essendo egli nato nel 1291, era troppo giovane all’epoca della stesura dell’Inferno; e Dante, del resto, lo conoscerà
solo dopo il 1312. Ma l’autore potrebbe anche aver ritoccato questo canto in un secondo momento. Fra le innumerevoli ipotesi, anche assurde, sostenu-
te via via dai commentatori, un certo rilievo ha quella che collega l’allusione a Dante stesso.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
A le quai poi se tu vorrai salire, 121-126 E se poi tu vorrai salire [fino] a esse (A le quai = ‘alle quali’)
[: alle anime beate], ci sarà (fia) per questo (a ciò) un’anima più degna
anima fia a ciò più di me degna:
di me [: Beatrice]: ti lascerò con lei andandomene (nel mio partire);
123 con lei ti lascerò nel mio partire; poiché (ché) quel sovrano [: Dio] che regna lassù [: in cielo] non vuole
ché quello imperador che là sù regna, che si giunga (si vegna = ‘si venga’) nella sua città [: in Paradiso] grazie
perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge, a me (per me), poiché io fui estraneo (ribellante = ‘ribelle’) alla sua
legge.
126 non vuol che ’n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge; 127-129 [Dio] governa (impera) [indirettamente] dappertutto (In
quivi è la sua città e l’alto seggio: tutte parti) [nell’universo] ma (e) regna [direttamente] (regge) là
(quivi) [: in Paradiso]; là sono la sua capitale (città) e il [suo] alto trono
129 oh felice colui cu’ ivi elegge!». (seggio): oh, felice colui che (cu’ = ‘cui’) [Dio] sceglie (elegge) [perché
E io a lui: «Poeta, io ti richeggio possa vivere] là (ivi)!».
per quello Dio che tu non conoscesti, 130-135 E io [dissi] a lui [: a Virgilio]: «Poeta, io ti prego (richeggio = ‘ri-
132 acciò ch’io fugga questo male e peggio, chiedo’) in nome di (per) quel Dio che tu non conoscesti, perché io (acciò
ch’io) mi salvi da (fugga) questo male [: la selva e il peccato], e [da uno]
che tu mi meni là dov’or dicesti, peggiore (peggio) [: la dannazione eterna], che tu mi conduca (meni) là
sì ch’io veggia la porta di san Pietro dove hai detto prima (or dicesti) [: attraverso Inferno e Purgatorio], così
135 e color cui tu fai cotanto mesti». che io veda (veggia) la porta di san Pietro e coloro che (cui) tu dici (fai =
‘rappresenti’) tanto (cotanto) infelici [: le anime dell’Inferno]».
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
136 Allora [Virgilio] si mosse, e io gli andai dietro.
D. Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata,
a cura di G. Petrocchi, I-III, Mondadori, Milano 1966-1967.
vv. 121-126 A le quai poi...vegna: in Paradi- nea qui i propri limiti e il proprio dramma. della volontà divina che lo ha posto nel Lim-
so Dante non potrà essere guidato da Virgi- In realtà, egli non fu ribellante all’inse- bo. È questo uno degli aspetti più toccanti
lio (allegoria della ragione); a guidarlo sarà gnamento di Cristo, che semplicemente e umani del personaggio e della Commedia.
Beatrice (allegoria della fede e della teolo- non conobbe; eppure vive questa ignoranza v. 134 la porta di san Pietro: è identificata
gia). La sola ragione, infatti, non può com- come un segno di esclusione voluto da Dio da alcuni commentatori in quella del Purga-
prendere le verità rivelate da Dio e condurre stesso. Virgilio esagera qui la propria colpa torio, mentre secondo altri indica l’accesso
alla salvezza eterna. Il poeta latino sottoli- per sottolineare umilmente l’accettazione al Paradiso.
ANALISI Le figure retoriche e il lessico Dante è un maestro delle similitudini, che ricorrono frequenti
nella Commedia. In questo canto incontriamo due similitudini molto incisive: quella del nau-
frago che, scampato al pericolo, si volta a contemplare il mare che l’ha quasi ucciso, e quella
dell’uomo d’affari che si rattrista oltremodo quando perde i suoi guadagni. Rilevante è anche
la metafora presente ai vv. 79-81, che loda Virgilio come «quella fonte / che spandi di parlar sì
largo fiume». Sul piano lessicale, si riscontrano numerosi latinismi («esta», v. 5; «calle», v. 18;
«pieta», v. 21; «pelago», v. 23; «parenti», v. 68; ecc.): la loro abbondanza serve a innalzare e a
rendere solenne il tono del prologo.
INTERPRETAZIONE Dante-personaggio In questo primo canto Dante si presenta come un personaggio piutto-
E COMMENTO sto sfumato, privo di caratteri individuali spiccati: di lui conosciamo per ora solo l’età (35 anni)
e l’attività svolta (è un poeta famoso: cfr. v. 87). Nella sua condizione psicologica può ricono-
scersi l’intera umanità smarrita: di qui la scelta dell’aggettivo possessivo «nostra» al v. 1, che
accomuna personaggio e lettori, insieme coinvolti nel viaggio ultraterreno. Dante si presenta
dunque sia come individuo, sia come figura dal significato universale.
228
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Virgilio Per quanto riguarda invece Virgilio, ci troviamo di fronte a un personaggio storico, da
interpretarsi in chiave figurale piuttosto che allegorica. Infatti, mentre l’allegoria rimanda a un
concetto astratto e atemporale, la “figura” è fondata sulla storicità di fatti e personaggi. In que-
sto primo canto, il poeta latino si presenta riferendo dati biografici precisi (vv. 67-75). Dante
riconosce in lui il suo «maestro» e il suo «autore», e lo definisce «famoso saggio». Il poeta latino
rappresenta nella Commedia la ragione umana ed assume il compito di guida nei regni dell’In-
ferno e del Purgatorio. Nell’aldilà, in cui si manifesta il significato autentico di ogni cosa, Virgi-
lio realizza compiutamente le qualità di uomo giusto e sapiente mostrate nella sua esistenza
terrena. Nel mondo ultraterreno egli ripropone perciò un ruolo che aveva già esercitato nella vita
di Dante, ma portandolo a un livello di pienezza che è proprio di tutto ciò che si trova dopo la
morte, all’interno del perfetto ordinamento divino. Insomma, nella dimensione dell’eterno Vir-
gilio è figura compiuta di ciò che aveva preannunciato (prefigurato) nel suo percorso terreno.
Realismo e allegoria Nel primo canto della Commedia la narrazione è condotta con esat-
tezza realistica: niente è impreciso. Il poema si apre con riferimenti temporali (è la primavera
del 1300) e spaziali (Dante è smarrito in una selva buia) ben definiti. Tuttavia, ogni dato si
carica anche di un significato ulteriore, allegorico. Ciò è immediatamente riconoscibile nella
profezia del veltro (vv. 101-105): è evidente che non sarà un cane da caccia a rinnovare la
società, ma un uomo. Gli altri elementi dello scenario vanno ugualmente interpretati in senso
allegorico: la selva, il colle, le tre fiere. La comprensione dell’allegoria presuppone un terreno
culturale comune a lettore e autore: e infatti il lettore medievale sa bene che l’oscurità della
selva indica il peccato. Uno sforzo interpretativo maggiore richiedono però l’individuazione dei
peccati rappresentati dalle tre fiere e, soprattutto, la decifrazione della profezia del veltro.
229
PARTE PRIMA Il Medioevo
Dante e Virgilio sono giunti nel secondo cerchio dell’Inferno, dove una terribile bufera trascina e tormenta
le anime dei lussuriosi, colpevoli di non aver saputo controllare i loro desideri e le loro passioni. Fra esse
Dante scorge gli spiriti di un uomo e di una donna ancora uniti: impietosito, li interroga sulla loro sorte.
Risponde Francesca da Rimini, uccisa dal marito a causa della relazione con il cognato Paolo Malatesta.
Paolo e Francesca cedettero all’amore mentre leggevano il romanzo di Lancillotto e Ginevra, e in partico-
lare il passo del bacio proibito tra gli amanti. La partecipazione di Dante alla vicenda dei due spiriti, con-
dotti alla morte e dannati per amore, è così alta che egli sviene.
PARAFRASI
Io venni in loco d’ogne luce muto, 28-30 Io arrivai in un luogo privo (muto) di ogni luce [: buio] che ri-
che mugghia come fa mar per tempesta, suona (mugghia) come fa il mare a causa della tempesta, se è colpito
con violenza (combattuto) da venti contrari.
30 se da contrari venti è combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta, 31-33 La bufera infernale, che non si ferma mai, trascina (mena) gli
mena li spirti con la sua rapina; spiriti con la sua violenza (rapina); li tormenta (molesta) rivoltandoli
e colpendoli.
33 voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon davanti a la ruina, 34-36 Quando giungono davanti alla frana (ruina), qui [le anime] au-
quivi le strida, il compianto, il lamento; mentano le grida, il pianto (compianto), il lamento; qui [esse] be-
stemmiano la potenza (virtù) divina.
36 bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi ch’a così fatto tormento 37-39 Capii che a tale (così fatto) tormento sono (enno) dannati i
peccatori carnali [: i lussuriosi], che sottomettono la ragione al deside-
enno dannati i peccator carnali,
rio (talento).
39 che la ragion sommettono al talento.
DIGIT VIDEOLEZIONE
Analisi del testo di Pietro Cataldi
230
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
TEMPO
La notte dell’8 aprile 1300 (venerdì santo)
LUOGO
Il secondo cerchio dell’Inferno
PECCATORI E CASTIGO
I lussuriosi. Come in vita non seppero resistere
alla passione amorosa, così, ora, vengono travolti
da una bufera che non si arresta mai
PERSONAGGI E FIGURE
• Dante e Virgilio
• Semiramide (regina degli Assiri vissuta nel XIV
secolo a.C.), Didone (regina di Cartagine; è un
personaggio dell’Eneide virgiliana), Cleopatra
(vissuta nel I secolo a.C., fu regina dell’Egitto
e amante prima di Giulio Cesare e poi di Marco
Antonio), Elena, Paride e Achille (personaggi
della mitologia greca), Tristano (famoso
cavaliere medievale)
• Francesca da Rimini e Paolo Malatesta:
personaggi storici vissuti tra Rimini e Ravenna
nella seconda metà del Duecento
E come li stornei ne portan l’ali 40-45 E come le ali portano gli storni [: piccoli passeri] nella stagione
fredda, in schiera larga e fitta (piena), così quel vento (fiato) trascina
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
(mena) gli spiriti cattivi (mali) di qua, di là, di giù, di su; non li confor-
42 così quel fiato li spiriti mali ta mai nessuna speranza, non solo (non che) di pausa (posa) ma di mi-
di qua, di là, di giù, di sù li mena; nore tormento (pena).
nulla speranza li conforta mai,
45 non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai, 46-51 E come le gru vanno cantando i loro lamenti (lai), facendo di sé
faccendo in aere di sé lunga riga, nell’aria una lunga fila (riga), così io vidi venire, emettendo gemiti
(traendo guai), [alcune] anime (ombre) portate dalla bufera (briga)
48 così vid’io venir, traendo guai, [già] nominata (detta); per cui io dissi [a Virgilio]: «Maestro, chi sono
ombre portate da la detta briga; quelle anime (genti) che l’aria nera [: il turbine tenebroso] punisce
per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle così?».
51 genti che l’aura nera sì gastiga?».
231
PARTE PRIMA Il Medioevo
«La prima di color di cui novelle 52-60 Allora (allotta) quelli [: Virgilio] mi disse: «La prima di colo-
ro [: degli spiriti] dei quali tu vuoi sapere notizie (novelle) fu impe-
tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta,
ratrice di molti popoli (favelle = ‘lingue’, e quindi popolazioni). Fu
54 «fu imperadrice di molte favelle. così dedita (rotta) al vizio della lussuria, che nella sua legge fece le-
A vizio di lussuria fu sì rotta, cita ogni voglia (libito), per cancellare (tòrre = ‘togliere’) la colpa
che libito fe’ licito in sua legge, (biasmo = ‘biasimo’) nella quale era incorsa (condotta). Lei è Semi-
ramide, della quale si legge che succedette a Nino e [che] fu sua sposa:
57 per tòrre il biasmo in che era condotta. governò (tenne) la terra [: Babilonia] che [ora] governa (corregge) il
Ell’ è Semiramìs, di cui si legge Sultano (Soldan).
che succedette a Nino e fu sua sposa:
60 tenne la terra che ’l Soldan corregge.
L’altra è colei che s’ancise amorosa, 61-63 L’altra [anima che segue] è [di] colei che si uccise (s’ancise) per
e ruppe fede al cener di Sicheo; amore (amorosa = ‘innamorata’) [: Didone], e [che] ruppe la fedeltà
[: mancò alla promessa di rimanere fedele] alle ceneri di [suo marito]
63 poi è Cleopatràs lussuriosa. Sicheo; poi c’è la lussuriosa Cleopatra.
Elena vedi, per cui tanto reo 64-69 [Inoltre tu] vedi Elena, per causa della quale si svolse tanto
tempo si volse, e vedi ’l grande Achille, tempo triste (reo) [: quello della guerra di Troia], e vedi il grande Achil-
66 che con amore al fine combatteo. le, che alla fine combatté [e fu sconfitto e ucciso] per (con) amore. [Tu]
vedi Paride, [e vedi] Tristano»; e [Virgilio] mi mostrò con il (a) dito e mi
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille nominò più di mille [: moltissime] anime (ombre) che amore separò
ombre mostrommi e nominommi a dito, (dipartille = ‘le dipartì’) dalla nostra vita.
69 ch’amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito 70-72 Dopo che io ebbi udito il mio maestro (dottore) nominare le
nomar le donne antiche e’ cavalieri, antiche donne e i cavalieri, mi prese (mi giunse) angoscia (pietà), e mi
sentii quasi turbato (smarrito).
72 pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
I’ cominciai: «Poeta, volentieri 73-75 Io cominciai [a dire a Virgilio]: «Poeta, parlerei volentieri a quei
parlerei a quei due che ’nsieme vanno, due [spiriti] che vanno insieme, e [che] sembrano essere così leggeri
nel vento».
75 e paion sì al vento esser leggeri».
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno 76-78 Ed egli [: Virgilio] [rispose] a me: «Vedrai [che ciò sarà possibi-
più presso a noi; e tu allor li priega le] quando saranno più vicino (presso) a noi; e allora pregali tu [stesso]
in nome di (per) quell’amore che li trascina (mena), ed essi verranno».
78 per quello amor che i mena, ed ei verranno».
Sì tosto come il vento a noi li piega, 79-81 Non appena (Sì tosto come) il vento li volse (piega) verso di
mossi la voce: «O anime affannate, noi, iniziai a parlare (mossi la voce): «Oh anime in pena (affannate),
venite a parlare a noi, se qualcun’altro [: Dio] non lo proibisce!».
81 venite a noi parlar, s’altri nol niega!».
Quali colombe dal disio chiamate 82-87 Quali colombe richiamate dal desiderio [: dall’istinto amoroso]
con l’ali alzate e ferme al dolce nido arrivano al dolce nido attraverso l’aria con le ali spiegate (alzate) e im-
mobili, condotte dalla [loro] volontà; così (cotali) [i due spiriti] usciro-
84 vegnon per l’aere dal voler portate; no dalla schiera in cui era Didone (Dido), giungendo da noi attraverso
cotali uscir de la schiera ov’è Dido, l’aria tempestosa (maligno), così forte era stato il [mio] grido pieno di
a noi venendo per l’aere maligno, affetto.
87 sì forte fu l’affettuoso grido.
v. 58 Semiramìs: Semiramide, regina degli si uccise per non essere fatta prigioniera teva trarre dalle loro vicende.
assiri vissuta nel XIV secolo a.C. Morto il dell’imperatore romano Ottaviano. v. 74 quei due che ’nsieme vanno: sono le
marito Nino, ella avrebbe dato libero sfogo vv. 64-67 Elena vedi...Tristano»: sposa del due anime di Paolo e Francesca. Questa,
ai propri desideri, fino ad avere una relazione re greco Menelao, Elena fu rapita da Pari- figlia del signore di Ravenna, Guido da Po-
incestuosa con il proprio figlio e a sposarlo. de (Parìs) figlio del re troiano Priamo; da lenta, nel 1275 sposò Gianciotto Malatesta,
Per diminuire la propria colpa avrebbe fat- ciò nacque la guerra tra greci e troiani nar- signore di Rimini: il matrimonio serviva a
to una legge che rendeva lecito ogni tipo di rata da Omero nell’Iliade. Achille, anch’e- suggellare la pace fra le due famiglie, a lungo
rapporto, anche quello tra genitori e figli. La gli eroe dell’Iliade, si innamorò – secondo nemiche. Francesca si innamorò però, ri-
donna fu uccisa proprio dal figlio-amante. le aggiunte medievali al poema omerico – cambiata, di Paolo, fratello di Gianciotto.
vv. 61-62 L’altra è colei...Sicheo: Didone, di Polissena, figlia di Priamo, e a causa di Questi li sorprese insieme e li uccise. La
regina di Cartagine, personaggio dell’Enei- quest’amore fu ucciso a tradimento in un storia amorosa ci viene tramandata dal solo
de virgiliana. Didone ruppe la fedeltà pro- agguato. Tristano, personaggio dell’epica Dante, che ne è a tutti gli effetti il creatore.
messa alla memoria del marito Sicheo per bretone: si innamorò di Isotta, moglie di v. 78 quello amor che i mena: l’amor<e> che
amore di Enea e si uccise quando questi la suo zio Marco re di Cornovaglia, il quale trascina Paolo e Francesca non è solo pecca-
abbandonò. lo uccise. Nel II cerchio Dante incontra to di lussuria: è anche un valore che è stato
v. 63 Cleopatràs: vissuta nel I sec. a.C., quindi sia personaggi storici sia personag- condiviso da Dante. Perciò sarà lui stesso a
Cleopatra fu regina dell’Egitto e amante pri- gi letterari, ugualmente importanti per il parlare con lo spirito della donna, anziché,
ma di Giulio Cesare e poi di Marco Antonio; messaggio educativo e religioso che si po- come accade molte altre volte, Virgilio.
232
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
«O animal grazioso e benigno 88-93 [Francesca disse:] «Oh creatura (animal) gentile (grazioso) e
benevola, che stai visitando nell’aria oscura (perso) [di questo cerchio
che visitando vai per l’aere perso
infernale] noi che tingemmo il mondo del colore del sangue [: noi che,
90 noi che tignemmo il mondo di sanguigno, per lussuria, morimmo versando il nostro sangue] se il re dell’univer-
se fosse amico il re de l’universo, so [: Dio] ci fosse amico, noi lo pregheremmo che [ti dia] la pace, giac-
noi pregheremmo lui de la tua pace, ché hai pietà del nostro peccato (mal) perverso.
v. 100 gentil: nell’italiano antico, e soprat sa, ‘nobile d’animo’ oppure ‘spiritualmente derivano per estensione da qui.
tutto nella lingua poetica, “gentile” vuol dire nobile’ (si pensi alla celebre poesia della v. 107 Caina: è una delle quattro parti del
‘nobile’. Questo significato è molto vicino a Vita nuova XVI, dedicata proprio a Beatrice: nono e ultimo cerchio dell’Inferno, dove
quello del latino gentilis, cioè ‘che appartie «Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna sono puniti i traditori dei parenti (come fu
ne alla stessa gens, alla stessa stirpe [nobile]’, mia quand’ella altrui saluta»). I significati af Caino con Abele). Gianciotto, che uccise
quindi ‘nobile di sangue’. È proprio la poesia fermatisi in seguito, e oggi normalmente dif i due amanti, era infatti fratello di Paolo e
stilnovista a diffondere un’accezione diver- fusi (‘di maniere garbate’, ‘dotato di grazia’), sposo di Francesca.
233
PARTE PRIMA Il Medioevo
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, 115-120 Ma dimmi: al tempo dei dolci sospiri [: all’inizio del vostro
amore] da che cosa e in quale maniera (a che e come) l’Amore fece in
a che e come concedette Amore
modo (concedette) che conosceste i desideri [l’uno dell’altro ancora]
120 che conosceste i dubbiosi disiri?». incerti (dubbiosi)? [: cioè: come capiste, nell’incertezza che sempre si
E quella a me: «Nessun maggior dolore ha all’inizio di un amore, di essere innamorati l’uno dell’altra?]».
che ricordarsi del tempo felice 121-123 E lei [rispose] a me: «[Non c’è] nessun dolore più grande che
123 ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore. ricordarsi del tempo felice [: della felicità passata] nell’infelicità (mi-
seria) [del presente]; e ciò sa il tuo maestro (dottore).
Ma s’a conoscer la prima radice
124-126 Ma se tu hai un così grande (cotanto) desiderio (affetto) di
del nostro amor tu hai cotanto affetto, conoscere la prima origine (radice) del nostro amore, parlerò come
126 dirò come colui che piange e dice. uno (colui) che piange e [al tempo stesso] parla.
Noi leggiavamo un giorno per diletto 127-138 Un giorno noi [: io e Paolo] leggevamo per svago (diletto)
di Lancialotto come amor lo strinse; [la storia] di Lancillotto [e leggevamo di] come l’amore lo prese
(strinse); eravamo soli e senza nessun presentimento (sospetto).
129 soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più volte (fiate) quella lettura ci spinse gli occhi [l’uno verso l’al-
Per più fiate li occhi ci sospinse tra], e il viso ci impallidì (scolorocci); ma solo un passo (punto) [del li-
quella lettura, e scolorocci il viso; bro] fu quello che ci vinse [: che vinse le nostre esitazioni]. Quando
leggemmo che le labbra sorridenti (riso) e desiderate (disiato) [di Gi-
132 ma solo un punto fu quel che ci vinse. nevra] erano baciate (esser basciato) da un così nobile (cotanto)
Quando leggemmo il disiato riso amante [: Lancillotto], questi [: Paolo], che non sarà (fia) mai [più] se-
esser basciato da cotanto amante, parato da me, tutto tremante mi baciò la bocca. Il libro e chi lo scrisse
furono [per noi come] Galeotto [è nel romanzo]: quel giorno non vi
135 questi, che mai da me non fia diviso, leggemmo più oltre (avante)».
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
138 quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l’uno spirto questo disse, 139-142 Mentre uno spirito [: Francesca] mi diceva questo, l’altro
l’altro piangea; sì che di pietade [: Paolo] piangeva; così che mi sentii mancare (venni men) come [se]
morissi. E caddi come cade [un] corpo morto.
141 io venni men così com’io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
D. Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, cit.
v. 123 e ciò...dottore: si allude probabil- Lancillotto, Ginevra e Artù ha un evidente in quanto svolse per loro la stessa funzione
mente a Virgilio, che può capire meglio di parallelismo con quella di Paolo, Francesca che il personaggio Galeotto, siniscalco del
Dante le parole di Francesca, essendo an- e Gianciotto: di qui il guardarsi dei due in- re Artù, compie in quel racconto fra Lancil-
ch’egli morto passando dalla vita gloriosa namorati, che è riconoscimento del loro lotto e Ginevra, rivelando ai due il reciproco
di poeta al Limbo; e perché, anche, ha fatto amore reciproco, ma anche oscuro senso amore. Leggendo che alla fine Lancillotto
pronunciare una frase simile a quella dei vv. di colpa. bacia Ginevra, anche Paolo e Francesca sono
121-122 a Didone nell’Eneide (II, 10-13). vv. 133-137 Quando...scrisse: il romanzo spinti, per forza di suggestione, a fare altret-
vv. 130-132 Per più...vinse: la storia di arturiano fu per Paolo e Francesca Galeotto tanto.
234
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
in cui il sentimento si manifestò fra i due amanti, così che Francesca è costretta alla rievo-
cazione dolorosa del primo bacio, suggerito dalla lettura del romanzo di Lancillotto e Gine-
vra (vv. 121-138). Pochi versi chiudono il canto insistendo sul pianto di Paolo e sullo sveni-
mento di Dante (vv. 139-142).
ANALISI Gli stili della Commedia Questo canto rivela bene il pluristilismo tipico della Commedia.
Nella prima parte troviamo uno stile medio (o comico): Dante descrive le pene infernali ricor-
rendo a similitudini dal carattere fortemente visivo (vv. 29-30, 40-43, 46-49). Il lessico è
spesso aspro e duro o ribatte su forti ripetizioni (vv. 35-36 e v. 43). Lo stile dell’episodio di
Francesca è, invece, contraddistinto da una maggiore dolcezza e dalla ricerca di un’elegante
intensità: compare una nuova similitudine tratta dal mondo degli uccelli, con l’immagine malin-
conica delle colombe «ferme al dolce nido»; inoltre Francesca si rivolge a Dante con linguag-
gio nobile e raffinato (vv. 88-93), definendo la città di Ravenna attraverso una elaborata peri-
frasi (vv. 97-99). Le terzine scandite dall’anafora su «Amor» (vv. 100-108) richiamano la poe-
sia stilnovistica, ricordando, in particolare, la canzone di Guinizzelli «Al cor gentile rempaira
sempre amore». Ancora a un contesto lirico e cortese rimandano le seguenti espressioni:
«dolci pensier», «disio», «doloroso passo», «martìri», «dolci sospiri», «dubbiosi disiri», «amor lo
strinse», «disiato riso». Dante riprende così lo stile delle rime giovanili, dandogli nuova inten-
sità tragica.
INTERPRETAZIONE La cultura: il peccato di lussuria La lussuria è uno dei peccati più presenti nell’immagi-
E COMMENTO nario medievale. Da un lato essa si lega ai divieti che distinguono la morale cristiana da
quella pagana (che era ben più permissiva); dall’altro si fonda su un’avversione verso la
donna, vista come strumento del demonio e tentatrice dell’uomo. La posizione di Dante al
riguardo è originale. Anzitutto, egli individua nella lussuria una sconfitta della «ragion» a
opera del «talento», ovvero del desiderio (v. 39): dunque il poeta non chiama in causa valori
specificamente cristiani, ma una sorta di morale “naturale”, fondata su ciò che distingue
l’uomo da ogni altra creatura (appunto la ragione). In secondo luogo, Dante non rivela una
particolare avversione verso le donne: nelle parole di Francesca emerge, anzi, come sia
cambiato l’immaginario medievale riguardo alla figura femminile e all’amore. Alla donna
sono attribuiti nuovi caratteri di nobiltà spirituale: Francesca non si presenta infatti come la
tentatrice “rotta al vizio di lussuria”, ma come rappresentante degli ideali cortesi. La lussu-
ria non è più semplicemente corruzione e bestialità: nasce anche dal cuore dei valori cor-
tesi e della gentilezza stilnovistica.
235
PARTE PRIMA Il Medioevo
D’altra parte, l’anima con cui Dante si trova a dialogare è in effetti segnata, come altri perso-
naggi dell’Inferno, da un profondo contrasto: Francesca è divisa fra nobiltà d’animo e peccato,
e suscita pietà e giudizio di condanna. Per capirla, occorre tenere presenti entrambi gli aspetti:
la sua cortesia risulta ancora più straziante proprio perché schiacciata dal «mal perverso»,
cioè dal peccato. Ciò che la caratterizza è la delicatezza dolorosa propria dell’immagine fem-
minile stilnovistico-cortese. Tuttavia, Francesca non è nella posizione lontana e irraggiungibile
delle donne-angelo, oggetto di contemplazione e mai soggetto di discorsi: nella Commedia,
anzi, compare come individuo concreto, con una connotazione sociale precisa (di nobile, di
donna sposata, di traditrice) e con una coscienza morale autonoma. È protagonista della pro-
pria storia, ed è lei stessa a narrarla, ponendo eccezionalmente sullo sfondo l’uomo (al quale
è data invece la parola nella poesia stilnovistica). Proprio questa coscienza e questa volontà
fanno di Francesca un personaggio di straordinaria forza, e di una modernità che lo Stil novo
non conosceva.
236
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Nel sesto cerchio dell’Inferno sono puniti coloro che non credettero nell’immortalità dell’anima. Dante e
Virgilio stanno camminando fra i sepolcri infuocati in cui sono imprigionati gli spiriti, quando li sorprende
una voce. È Farinata degli Uberti, antico capo dei ghibellini di Firenze. Fieramente, egli interroga Dante per
sapere chi fossero i suoi antenati: furono guelfi e quindi suoi nemici. Ma proprio allora sorge un’altra anima
che ha riconosciuto Dante: Cavalcante Cavalcanti, padre di Guido, il grande poeta stilnovista amico di Dan-
te stesso. Egli chiede del figlio e, credendo che sia morto, ricade nella propria tomba. Farinata, che nel
frattempo è rimasto immobile, riprende a parlare da dove si era interrotto. Rattristato dalla disfatta dei
ghibellini dopo la sua morte, profetizza a Dante l’esilio; quindi difende il proprio operato e ricorda come,
quando la sua fazione avrebbe voluto radere al suolo Firenze, egli solo lo impedì.
I TEMI profezia dell’esilio dantesco magnanimità e fierezza di Farinata
PARAFRASI
«O Tosco che per la città del foco 22-24 «O toscano (Tosco) che te ne vai vivo per la città del fuoco [: Di-
te] parlando così nobilmente (onesto), ti piaccia (piacciati di) [: sii così
vivo ten vai così parlando onesto, cortese da] fermarti (restare) [un po’] in questo luogo.
24 piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto 25-27 Il tuo accento (loquela = ‘modo di parlare’) rivela che tu (ti fa
di quella nobil patrïa natio, manifesto) [sei] nato (natio) in (di) quella nobile patria [: Firenze] alla
quale, forse, io fui troppo dannoso (molesto)».
27 a la qual forse fui troppo molesto».
Subitamente questo suono uscìo 28-30 Queste parole (suono) uscirono (uscìo = ‘uscì’) all’improvviso
d’una de l’arche; però m’accostai, (Subitamente) da uno dei sepolcri (arche); perciò, impaurito (temen-
do), mi avvicinai (accostai) un po’ [di] più alla mia guida (duca).
30 temendo, un poco più al duca mio.
Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai? 31-33 Ed egli (el) [: Virgilio] mi disse: «Vòltati (Volgiti)! Che [cosa]
Vedi là Farinata che s’è dritto: fai? Guarda (Vedi) là Farinata che si è alzato (dritto): lo (’l) vedrai tut-
to dalla cintura (cintola) in su».
33 da la cintola in sù tutto ’l vedrai».
Io avea già il mio viso nel suo fitto; 34-36 Io avevo già fissato (fitto) il mio sguardo (viso) nel suo; ed egli
ed el s’ergea col petto e con la fronte (el) stava ritto (s’ergea) con il petto e con la fronte come se tenesse
(avesse) l’inferno in (a) gran disdegno (dispitto).
36 com’avesse l’inferno a gran dispitto.
E l’animose man del duca e pronte 37-39 E le mani incoraggianti (animose) e sollecite (pronte) della
mi pinser tra le sepulture a lui, [mia] guida (duca) mi spinsero (pinser) verso di (a) lui [: Farinata] fra le
sepolture, mentre [Virgilio] diceva (dicendo): «Le tue parole siano at-
39 dicendo: «Le parole tue sien conte». tente (conte)».
Com’io al piè de la sua tomba fui, 40-42 Non appena io (Com’io) fui ai piedi (al piè) della sua tomba, mi
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso, guardò (guardommi) un po’ e poi, quasi sdegnoso, mi domandò: «Chi
42 mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?». furono (fuor) i (li) tuoi (tui) antenati (maggior)?».
DIGIT VIDEOLEZIONE circostanze, ma perché sa di trovarsi di fron- ghibellini che, morto Manfredi ed estinta
Analisi del testo di Pietro Cataldi te a uno degli uomini più illustri del passato la dinastia di Svevia, avevano perduto il loro
di Firenze. tradizionale appoggio. La repressione fu
v. 23 onesto: l’anima che ora parla è insie- v. 32 Vedi là Farinata...dritto: Virgilio scuo- dura e Farinata venne condannato, postu-
me nobile, per la gravità con cui si esprime, te Dante dal suo spavento, e gli indica Ma- mamente, per eresia (di qui la sua presenza
e altera, perché non attende di essere inter- nente degli Uberti, detto Farinata. Capo dei fra gli epicurei).
rogata, come accade di solito. ghibellini di Firenze, guidò nel 1248 la cac- v. 36 com’avesse l’inferno...dispitto: l’at-
vv. 25-27 La tua loquela...molesto: Dante ciata dei guelfi, che però tornarono in città teggiamento maestoso e superbo di Fari-
viene riconosciuto per fiorentino dal suo nel 1258. Esiliato, partecipò alla battaglia nata sembra renderlo indifferente alla sua
accento. Farinata esprime subito il centro di Montaperti (1260), dove i guelfi furono sorte di dannato: le sue uniche preoccu-
delle sue passioni: l’attività politica e l’a- sconfitti anche con l’appoggio delle truppe pazioni, come vedremo, vanno alle lotte
more per la nobil patrïa; ma, insieme, ha del re di Svevia, Manfredi. In quell’occasione politiche.
consapevolezza (seppure espressa in forma si oppose al progetto di distruggere Firenze, v. 39 «Le parole...conte»: la grandezza del
di dubbio: v. 27) delle proprie colpe nei suoi formulato dalla sua stessa fazione. Governò personaggio richiede infatti rispetto.
confronti. la città sino alla morte, nel 1264; ma dopo v. 42 «Chi fuor...tui?»: Farinata vuol subito
v. 29 m’accostai: l’atteggiamento iniziale due anni, i guelfi riuscirono a sconfiggere sapere se ha di fronte un ghibellino come lui
di Dante è di aperto timore: non solo per le e cacciare (questa volta definitivamente) i o un guelfo.
237
PARTE PRIMA Il Medioevo
TEMPO
9 aprile 1300 (sabato santo),
prime ore del mattino
LUOGO
Nel VI cerchio dell’Inferno
PECCATORI E CASTIGO
Gli eretici, e tra questi gli epicurei. In vita non
credettero nell’immortalità dell’anima, ora sono
costretti a stare dentro tombe infuocate
PERSONAGGI E FIGURE
• Dante e Virgilio
• Farinata degli Ulberti, capo dei ghibellini di
Firenze
• Cavalcante Cavalcanti, padre del poeta
stilnovista Guido Cavalcanti
Io ch’era d’ubidir disideroso, 43-48 Io, che ero (ch’era) desideroso di obbedir[gli] (ubidir) [: di ri-
spondergli], non glielo nascosi (celai), ma glielo rivelai (apersi) com-
non gliel celai, ma tutto gliel’apersi;
pletamente (tutto); perciò egli (ond’ei) alzò (levò) le ciglia un po’ in
45 ond’ei levò le ciglia un poco in suso; su (suso); poi disse: «[I tuoi antenati] furono (furo) duramente (Fiera-
poi disse: «Fieramente furo avversi mente) nemici (avversi) a me e ai miei avi (primi) e alla mia fazione
a me e ai miei primi e a mia parte, (parte), di modo (sì = ‘così’) che li dispersi per due volte (fïate) [: nel
1248 e nel 1260]».
48 sì che per due fïate li dispersi».
«S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte», 49-51 Io gli (lui) risposi: «[Anche] se essi (S’ei) [: i miei antenati e i
rispuos’io lui, «l’una e l’altra fïata; guelfi] furono (fur) cacciati [da Firenze], essi (ei) ritornarono l’una e
l’altra volta (fïata) da ogni parte [in cui si erano rifugiati]; ma i vostri [: i
51 ma i vostri non appreser ben quell’arte». ghibellini] non impararono (appreser) bene quell’arte [: quella di tor-
Allor surse a la vista scoperchiata nare a Firenze]».
un’ombra, lungo questa, infino al mento: 52-54 Allora, nella parte visibile (a la vista) scoperchiata [della tom-
54 credo che s’era in ginocchie levata. ba] si alzò (surse) uno spirito (un’ombra), accanto a quello [di Farina-
ta] (lungo questa [ombra]), [mostrandosi] fino al mento: credo che si
Dintorno mi guardò, come talento fosse alzato (che s’era… levata) in ginocchio.
avesse di veder s’altri era meco; 55-60 Guardò intorno a me (Dintorno mi guardò), come [se]
57 e poi che ’l sospecciar fu tutto spento, avesse voglia (talento) di vedere se [qualchedun] altro era con me
(meco); e dopo (poi) che il dubbio (sospecciar = ‘sospettare’) fu
[del] tutto risolto (spento) [: quando vide che non c’era chi cercava]
vv. 46-48 «Fieramente furo...li dispersi»: Farinata: egli supera l’iniziale timore in cintola in sù (cfr. v. 33), inginocchiato
pur riconoscendo il valore dei nemici, Fa nome di quell’orgoglio di parte che anima anziché dritto in piedi. Si tratta di Caval
rinata afferma orgogliosamente le proprie anche il dannato. cante Cavalcanti, padre di Guido, il poeta
vittorie (cfr. la nota al v. 32). v. 52 Allor surse: il dialogo con Farinata stilnovista amico di Dante. Sebbene fosse
vv. 49-51 «S’ei fur cacciati...quell’arte»: si interrompe bruscamente, come bru guelfo (dunque nemico di Farinata), die
Dante allude all’ultima e definitiva sconfit scamente era iniziato. Ma la nuova anima de il figlio in sposo proprio alla figlia di
ta dei ghibellini, quella del 1266 (cfr. la nota appare in un atteggiamento ben diverso: Farinata, per riappacificare le due fazioni
al v. 32). Il suo tono è lo stesso di quello di visibile solo fino al mento anziché da la rivali.
238
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
piangendo disse: «Se per questo cieco disse piangendo: «Se vai attraverso (per) questo carcere oscuro (cieco)
[: l’Inferno, dal quale non si esce] per [merito della] altezza del tuo intellet-
carcere vai per altezza d’ingegno,
to (ingegno), mio figlio dov’è? e perché non è con te (teco)?».
60 mio figlio ov’è? e perché non è teco?»
E io a lui: «Da me stesso non vegno: 61-63 E io [risposi] a lui: «Non vengo (vegno) da me stesso [: con le mie so-
colui ch’attende là, per qui mi mena le forze]; colui che aspetta là [: Virgilio] mi conduce (mena) attraverso que-
sto luogo (per qui) da chi (cui) [: Beatrice] forse vostro [figlio] Guido ebbe
63 forse cui Guido vostro ebbe a disdegno». in disprezzo (disdegno)».
Le sue parole e ’l modo de la pena 64-66 Le sue parole e il tipo (’l modo) di pena mi avevano già fatto capire
m’avean di costui già letto il nome; (letto) il nome di costui; perciò la [mia] risposta fu così esaustiva (piena).
66 però fu la risposta così piena.
Di sùbito drizzato gridò: «Come? 67-69 Rizzatosi (drizzato) di scatto (Di sùbito) gridò: «Come? dicesti
dicesti “elli ebbe”? non viv’elli ancora? “egli ebbe” [: cfr. v. 63]? non vive ancora? la dolce luce (lume) [: del sole,
cioè del mondo dei vivi] non colpisce (fiere) [più] i suoi occhi?».
69 non fiere li occhi suoi lo dolce lume?».
Quando s’accorse d’alcuna dimora 70-72 Quando si accorse di un certo indugio (d’alcuna dimora) che io fa-
ch’io facëa dinanzi a la risposta, cevo (facëa) prima della (dinanzi a la) risposta, ricadde supino e non si mo-
strò (parve) più fuori.
72 supin ricadde e più non parve fora.
v. 60 mio figlio...non è teco?: conoscendo decreto che condannava all’esilio l’amico (che superato in eccellenza poetica sia Guido
l’amicizia di Dante per il figlio Guido, e al appunto in esilio morì il 29 agosto 1300). Que- Guinizzelli, sia Guido Cavalcanti, e nel Para-
tempo stesso stimandone l’intelligenza pari a sto tema collega sotterraneamente l’episodio diso (XVII), dove verrà ripreso anche il tema
quella del poeta lì presente, Cavalcante lo cer- di Cavalcante a quello di Farinata. dell’esilio, qui preannunciato da Farinata.
ca accanto a lui. Ma, in quanto epicureo, egli v. 63 forse cui Guido...ebbe a disdegno»: vv. 68-69 non viv’elli...dolce lume?: Guido
ignora che Dante compie il viaggio non solo Dante non è nell’oltretomba solo per merito morì il 29 agosto 1300: quindi era ancora
per altezza d’ingegno, ma anche per grazia della propria altezza d’ingegno, che ricono- vivo nel momento in cui Dante pone il suo
di Dio. Va ricordato che i rapporti fra Dante e sce pari a quella di Guido Cavalcanti: infatti, viaggio ultraterreno, nella Settimana Santa
Guido Cavalcanti erano complessi. In gioven- è stato soccorso dalla grazia di Dio. Ora va dello stesso anno.
tù erano stati insieme nell’opera di rinnova- verso Beatrice, allegoria della teologia: e per vv. 70-72 Quando s’accorse...parve fora:
mento della lirica, ma non condividevano in quest’ultima Guido non ebbe mai interesse. Dante indugia perché è stupito. Già altri
realtà le stesse premesse filosofiche: se l’uno In questo modo, egli tributa onore all’amico dannati gli hanno fatto delle profezie: come
(soprattutto con la Vita nuova) aveva aderito e al tempo stesso ne addita i limiti culturali è possibile dunque che Cavalcante ignori
pienamente a un ideale religioso, l’altro aveva e morali. È un momento importante, perché quello che accade sulla terra? A questo dub-
una visione materialistica, lontana dalla teolo- consente a Dante di investirsi come degno bio risponderà Farinata: i dannati conosco-
gia. In seguito erano stati divisi dalla lotta poli- autore del poema sacro. Tornerà a farlo nel no il futuro lontano, ma non il presente e
tica e Dante, in quanto priore, aveva firmato il Purgatorio (X, 97-99), dichiarando di aver l’immediato futuro.
239
PARTE PRIMA Il Medioevo
Ma quell’altro magnanimo, a cui posta 73-78 Ma quell’altro magnanimo [: Farinata], alla cui richiesta (po-
sta) mi ero fermato (restato) [: cfr. v. 24], non cambiò aspetto, né mos-
restato m’era, non mutò aspetto,
se [il] collo, né piegò il fianco (sua costa); e continuando (sé conti-
75 né mosse collo, né piegò sua costa; nüando al) quanto aveva detto prima (primo detto), disse: «Se essi
e sé continüando al primo detto, (S’elli) [: i ghibellini] hanno imparato male quell’arte [: di tornare a Fi-
«S’elli han quell’arte», disse, «male appresa, renze; cfr. v. 51] ciò mi tormenta più di questo sepolcro (letto) [: più
delle stesse pene infernali].
78 ciò mi tormenta più che questo letto.
Ma non cinquanta volte fia raccesa 79-81 Ma la faccia della regina (donna) che regna (regge) qui [: di Pro-
la faccia de la donna che qui regge, serpina identificata con la luna] non [si] sarà (fia) riaccesa cinquanta
volte [: non passeranno cinquanta mesi] che [anche] tu saprai quanto
81 che tu saprai quanto quell’arte pesa. è difficile (pesa) quell’arte [: quella di tornare in patria dall’esilio].
E se tu mai nel dolce mondo regge, 82-84 E che tu possa ritornare (se tu mai… regge: è un augurio, non
dimmi: perché quel popolo è sì empio un’ipotesi) nel dolce mondo [dei vivi]! Dimmi: perché quel popolo [: i
84 incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?». fiorentini] è così spietato (sì empio) contro i miei (incontr’a’ miei)
[: contro i ghibellini] in ogni sua legge?».
Ond’io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio
85-87 Perciò io (Ond’io) [risposi] a lui: «La strage (strazio) e il grande
che fece l’Arbia colorata in rosso, massacro (scempio) che tinse di rosso (fece… colorata in rosso) [: di
87 tal orazion fa far nel nostro tempio». sangue] l’Arbia, fa fare tali preghiere (orazion) nella nostra chiesa
Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso, (tempio) [: ci fa prendere simili decisioni nelle nostre assemblee]».
«A ciò non fu’ io sol», disse, «né certo 88-90 Dopo (Poi) che ebbe scosso (mosso) il capo sospirando, disse:
«Non fui (fu’) solo io a [fare] questo, né certamente mi sarei compor-
90 sanza cagion con li altri sarei mosso. tato (mosso) [così] insieme agli (con li) altri senza ragione (cagion).
Ma fu’ io solo, là dove sofferto 91-93 Ma, quando (là dove) fu tollerata (sofferto) [la decisione] di ra-
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza, dere al suolo (tòrre via = ‘togliere via’) Firenze (Fiorenza), fui (fu’) io
93 colui che la difesi a viso aperto». solo che la difesi apertamente (a viso aperto).
v. 76 e sé continüando al primo detto: Fari- sperimenterà quanto sia difficile cercare di v. 86 l’Arbia: l’Arbia è un torrente presso
nata riprende dal punto preciso in cui si era rientrare in patria una volta espulso. Con Montaperti, dove Farinata sbaragliò i guelfi
interrotto. Egli è sì magnanimo, ma del tutto la sua profezia Farinata si compiace della (cfr. la nota al v. 32); la battaglia è qui ricor-
indifferente alle sorti dei singoli individui (e sconfitta di un nemico politico; ma al tempo data come particolarmente sanguinosa.
anche per ciò non si cura di Cavalcante). Il suo stesso lo accomuna al proprio destino di ma- v. 88 sospirando il capo mosso: Farinata
limite sta appunto in questa fissazione esclu- gnanimo e di amante della patria. difende ancora le proprie ragioni: ma scuo-
siva sulla vita politica, a danno sia di una più vv. 83-84 perché quel popolo...sua legge?: tendo il capo e sospirando mitiga la propria
ampia umanità, sia dei valori religiosi. Perciò la repressione contro i ghibellini fu in effetti durezza.
la stessa pena per la sua eresia lo tormenta molto dura. Vari membri degli Uberti furo- vv. 91-93 Ma fu’ io solo...aperto: la decisio-
meno del fallimento della sua fazione. no condannati e anche uccisi. I morti della ne cui allude Farinata fu formulata appunto
vv. 79-81 Ma non cinquanta volte...pesa: famiglia (tra cui proprio Farinata) furono dopo la battaglia di Montaperti, in una riu-
secondo la mitologia classica, Proserpina era disseppelliti e i cadaveri gettati in Arno. nione dei ghibellini a Empoli. La sua opposi-
regina degli inferi e figura della luna: la fra- vv. 85-87 «Lo strazio...tempio»: il grande zione rivela che la crudeltà con cui ha com-
se significa dunque ‘prima che la luna abbia rancore di Firenze è spiegato da Dante con battuto i guelfi è pur sempre espressione del
compiuto cinquanta volte il suo ciclo’. Da il ricordo della battaglia di Montaperti (dove suo amore per Firenze e che tutto quello
una luna piena all’altra passa poco meno di scorre il torrente Arbia): nello scontro, che che egli fece fu in nome di quell’amore. È il
un mese: Farinata profetizza perciò a Dan- fu particolarmente sanguinoso, i guelfi ven- riconoscimento di Dante alla grandezza del
te che fra meno di cinquanta mesi anche lui nero sbaragliati. personaggio.
240
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
ANALISI Il ritmo incalzante Il canto è dominato da un effetto di sorpresa, che accompagna il sus-
seguirsi rapido dei diversi momenti. Infatti, le prime parole di Farinata escono «Subita-
mente» (v. 28) dal sepolcro infuocato, cogliendo di sorpresa Dante. La guida Virgilio lo
richiama perciò all’attenzione (v. 31: «Volgiti! Che fai?»). Sorprendente è anche l’entrata in
scena di Cavalcante, introdotta da un secco «Allor» (v. 52): l’apparizione di questo secondo
spirito determina un improvviso intermezzo all’interno dell’azione principale, e le sue bat-
tute sono incalzanti e concitate (cfr. v. 60 e vv. 67-68). Anche il dialogo tra Dante e Farinata
è costituito da un serrato botta e risposta, in cui i personaggi dimostrano grande prontezza
di risposta.
INTERPRETAZIONE Il magnanimo Farinata in primo piano La struttura a incastro evidenziata in questo canto
E COMMENTO contribuisce a sottolineare il contrasto fra i due personaggi incontrati da Dante nel VI cer-
chio: Farinata, in piedi fino a mostrare tutto il busto, è statuario e sdegnoso, preoccupato
solo delle sorti della sua fazione politica; Cavalcante che, in ginocchio, sporge appena il
mento, è debole e piangente e rivolge ogni pensiero al suo privato (il destino del figlio). La
grandezza dell’uno risulta tanto più evidente di fronte alla debolezza dell’altro. Al v. 73 Fari-
nata è definito «magnanimo», ovvero fa parte di quegli uomini che «a ben far puoser li ’nge-
gni» (cfr. Inf. VI, v. 81): i magnanimi rappresentano nella Commedia una specifica categoria
morale, che Dante desume da Aristotele e riferisce a coloro che affrontano con coraggio e
dignità gli ostacoli e le difficoltà dell’esistenza. Farinata spende tutta la propria vita nell’at-
tività politica, e a quella si rivolge il suo pensiero anche dopo la morte. Sebbene apparte-
nesse alla fazione nemica, Dante riconosce a Farinata fierezza, dignità e amore di patria;
egli solo si oppose infatti alla decisione dei ghibellini di radere al suolo Firenze (cfr. i vv.
91-93). In questo senso Farinata può addirittura rappresentare un modello politico e
morale, contrapponendosi a quella «gente nuova» (cfr. Inf. XVI, v. 73) criticata da Dante
perché mossa solo da interessi privati.
COMPRENSIONE
1. Farinata prospetta a Dante un futuro avverso: spie-
OLTRE IL TESTO Lavorare con la videolezione
ga il significato della profezia pronunciata dal capo
ghibellino ai vv. 79-81. DIGIT VIDEOLEZIONE
Analisi del testo di Pietro Cataldi
ANALISI Nella videolezione Pietro Cataldi spiega che in
2. Questo episodio presenta una struttura “a incastro”: questo canto campeggiano due personaggi per
perché? Quale contrasto evidenzia questa tecnica? certi versi opposti, ma caratterizzati da una stessa
dedizione “eretica” ossessivamente tributata ai
valori dell’esistenza terrena. Mentre ascolti la
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
videolezione, prendi appunti. Quindi annota in un
3. Farinata viene definito «magnanimo»: chi sono i elenco i punti di distanza e gli elementi di contatto
magnanimi? Perché egli rappresenta esemplarmente tra Farinata e Cavalcante.
questa categoria di uomini?
241
PARTE PRIMA Il Medioevo
LABORATORIO DI SCRITTURA
IL RIASSUNTO
Il riassunto è uno strumento essenziale per verificare la comprensione di un testo. La stesura del riassunto
prevede i seguenti passaggi:
individuare le idee o i fatti principali, sottolineando nel testo le parole e le frasi chiave;
isolare le sequenze, cioè i diversi momenti nello svolgimento della trama;
stendere il riassunto, realizzando un testo conciso, coerente e coeso.
Più frequentemente il riassunto è svolto a partire da un brano in prosa, ma può rivelarsi utile anche nel caso di
testi in versi, soprattutto se, come in questo caso, si coglie un evidente sviluppo narrativo.
Dopo un’attenta lettura del testo e della parafrasi, è possibile isolare le diverse sequenze. Le indichiamo di
seguito insieme con una proposta di riassunto. Il testo finale è incompleto: trasforma i discorsi diretti in indi-
retti, riepilogando il contenuto essenziale delle varie battute che si susseguono nel canto.
Le sequenze
I. (vv. 22-36): uno spirito appare all’improvviso da uno dei sepolcri infuocati, cogliendo di sorpresa Dante:
si tratta, come rivela Virgilio, di Farinata;
II. (vv. 37-51): inizia il colloquio tra lo spirito e Dante, e i due si riconoscono come avversari politici;
III. (vv. 52-72): sorge, accanto a Farinata, un altro spirito: è Cavalcante, che chiede notizie di suo figlio
Guido e, credendolo morto, ricade pieno di sconforto nel sepolcro;
IV. (vv. 73-78): riprende la parola Farinata, riallacciandosi al discorso precedentemente interrotto;
V. (vv. 79-84): Farinata allude all’esilio dantesco; augura al pellegrino di tornare nel mondo dei vivi e chie-
de ragione dell’ostilità dei fiorentini;
VI. (vv. 85-93): il dialogo fra Dante e Farinata fa riferimento allo scontro fra guelfi e ghibellini, e in partico-
lare alla battaglia di Montaperti.
Il riassunto
Il nucleo del X canto è costituito dal colloquio con i fiorentini Farinata degli Uberti e Cavalcante Cavalcanti,
puniti come epicurei nel VI cerchio dell’Inferno.
Mentre Dante e Virgilio camminano tra le tombe dei dannati, improvvisamente risuona la voce di Farinata, che
era stato capo ghibellino e mantiene anche nell’oltretomba un atteggiamento fiero e sdegnoso. Nella prima
parte del colloquio tra Dante e lo spirito emerge la rivalità politica.
Riassumi il contenuto dell’inizio del colloquio
Mentre i due si scambiano queste battute polemiche, si sente un’altra voce: quella di Cavalcante Cavalcanti,
padre di Guido.
Di fronte all’indugio di Dante, Cavalcante crede che il figlio sia morto: sopraffatto dal dolore ricade all’inter-
no del sepolcro e non riappare più.
Riprende a parlare Farinata: il contenuto della conversazione torna su fatti politici, con un’allusione al destino
personale di Dante.
Riassumi il contenuto della seconda parte del colloquio tra Farinata e Dante
242
T18
TESTO GUIDA Ulisse, un antimodello
dal testo [Inferno, XXVI, 85-142]
all’autore
all’ideologia
all’opera
all’epoca
alle forme
al presente
Nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio sono puniti i consiglieri di frode, avvolti in una fiamma incessante.
Dall’alto Dante scorge due fiamme vicine, una più grande e una più piccola: sono Ulisse e Diomede, che
contribuirono alla conquista di Troia con vari inganni. Interrogato da Virgilio, Ulisse narra come morì. Una
volta tornato in patria, non poté trattenervisi, tanto grande era il desiderio di conoscere quella parte del
mondo che non aveva ancora visto. Raccolta una piccola compagnia, si mise in viaggio verso le colonne
d’Ercole, che, presso lo stretto di Gibilterra, segnavano il limite estremo delle terre conosciute. Giunto là
vicino, esortò i compagni a superarle. Navigarono così cinque mesi. Avevano già avvistato, in lontananza,
un monte (il Purgatorio), quando si levò un turbine: allora la nave si capovolse e tutti affogarono.
I TEMI desiderio di conoscenza di Ulisse limiti del sapere umano
PARAFRASI
Lo maggior corno de la fiamma antica 85-102 La punta più alta (Lo maggior corno) dell’antica fiamma [: Ulis-
cominciò a crollarsi mormorando, se] cominciò a scuotersi (crollarsi) mormorando, proprio (pur) come
quella [fiamma] che il vento agita (affatica); quindi, scuotendo (menan-
87 pur come quella cui vento affatica; do) la cima qua e là, come [se] fosse la lingua che parlasse, buttò (gittò) di
indi la cima qua e là menando, fuori [la] voce, e disse: «Quando me ne andai via (mi diparti’) da Circe,
come fosse la lingua che parlasse, che mi trattenne (sottrasse me) più di un anno là presso Gaeta, prima
che Enea la chiamasse (nomasse) così (sì), né la tenerezza (dolcezza) per
90 gittò voce di fuori, e disse: «Quando (di) [mio] figlio [Telemaco], né il rispetto (pieta) per il (del) [mio] vec-
mi diparti’ da Circe, che sottrasse chio padre [Laerte], né l’amore dovuto (debito) il quale doveva fare feli-
me più d’un anno là presso a Gaeta, ce (lieta) Penelope, riuscirono a (potero) vincere dentro di me il deside-
rio (l’ardore) che io ebbi di diventare esperto [: conoscere direttamente]
93 prima che sì Enea la nomasse,
del mondo e dei vizi e delle virtù (valore) degli uomini (umani);
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
96 lo qual dovea Penelopé far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
99 e de li vizi umani e del valore;
DIGIT VIDEOLEZIONE Virgilio è rivolta a lui, comincia a scuotersi protagonista del poema virgiliano, che vi
Analisi del testo di Pietro Cataldi come fuoco al vento e a mormorare come morì. Questo particolare non è posto a caso,
una lingua che parla (si noti come la simili- visto che sia la nave di Ulisse sia quella di
v. 85 Lo maggior...antica: avvolti in una tudine riporti la lingua di fuoco a una lingua Enea (il quale avrebbe fondato Roma) erano
fiamma a due punte sono Ulisse e il suo umana). Da questo punto fino alla fine del entrambe partite da Troia.
compagno Diomede: la fiamma di Ulisse è canto, l’eroe racconterà come era avvenuta vv. 94-96 né dolcezza...lieta: lo spirito di
più grande grazie alla maggiore fama dell’e- la sua morte. Ulisse racconta che a frenare la sua ansia di
roe e – forse – alla sua maggiore colpa. La vv. 90-93 Quando...nomasse: nel suo av- conoscenza non furono capaci nemmeno
fiamma è detta antica perché i due perso- venturoso viaggio di ritorno (da Troia a Ita- i tre più forti affetti che un essere umano
naggi sono morti da secoli (secondo gli an- ca), Ulisse capitò nel promontorio dove vi- possa avere, cioè l’affetto per il figlio, per il
tichi autori, le vicende della guerra di Troia veva la maga Circe, la quale, innamoratasi, padre e per la persona amata, rispettivamen-
risalivano al XII secolo a.C.). lo trattenne presso di sé per circa un anno. te quindi per Telemaco, per Laerte e per Pe-
vv. 86-89 cominciò...parlasse: lo spirito Il luogo prese in seguito il nome di Gaeta in nelopé, sposa tanto fedele da meritare ogni
di Ulisse, avendo capito che la domanda di ricordo della nutrice di Enea, l’eroe troiano sforzo da parte del marito per renderla lieta.
243
PARTE PRIMA Il Medioevo
ma misi me per l’alto mare aperto ma [: nonostante il grande affetto per le tre persone a me più care] mi
misi [in viaggio] per il profondo (alto) mare aperto solo con una nave
sol con un legno e con quella compagna
TESTO GUIDA
(legno) e con quella piccola compagnia dalla quale non ero stato ab-
102 picciola da la qual non fui diserto. bandonato (diserto).
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, 103-105 Vidi l’una e l’altra sponda (lito) [del Mediterraneo] fino alla
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, Spagna, fino al Marocco, e l’isola dei Sardi [: la Sardegna], e le altre [iso-
le] che quel mare [: il Mediterraneo] bagna intorno.
105 e l’altre che quel mare intorno bagna.
Io e’ compagni eravam vecchi e tardi 106-111 Io e i [miei] compagni eravamo vecchi e lenti (tardi) [: stan-
quando venimmo a quella foce stretta chi] quando arrivammo (venimmo) a quello stretto punto di passag-
gio (foce) dove Ercole pose (segnò) i suoi confini (riguardi) [: allo
108 dov’Ercule segnò li suoi riguardi stretto di Gibilterra, dove sono le colonne d’Ercole], perché (acciò
acciò che l’uom più oltre non si metta: che) nessuno (l’uom... non) vada (si metta) più oltre: mi lasciai a de-
da la man destra mi lasciai Sibilia, stra (da la man destra) Siviglia (Sibilia) [in Spagna], dall’altra [parte
dello stretto, sulla costa africana,] mi aveva già lasciato [: avevo già su-
111 da l’altra già m’avea lasciata Setta. perato] Ceuta (Setta).
“O frati”, dissi, “che per cento milia 112-120 Dissi: “O compagni (frati = ‘fratelli’) che siete giunti all’[e-
perigli siete giunti a l’occidente, stremo] occidente attraverso (per) innumerevoli (cento milia = ‘cen-
114 a questa tanto picciola vigilia tomila’) pericoli (perigli), non negate (non vogliate negar) a questa
tanto piccola veglia (vigilia) dei nostri sensi che ci rimane (ch’è del ri-
d’i nostri sensi ch’è del rimanente, manente) [: alla nostra vita, che sta per finire], la conoscenza (espe-
non vogliate negar l’esperienza, rienza) del mondo disabitato (sanza gente) [che sta] dietro (di retro)
117 di retro al sol, del mondo sanza gente. al [punto in cui tramonta il] sole. Considerate la vostra origine (se-
menza): non foste creati (fatti) per vivere come bestie (bruti), ma per
Considerate la vostra semenza:
seguire la virtù e la conoscenza”.
fatti non foste a viver come bruti,
120 ma per seguir virtute e canoscenza”.
Li miei compagni fec’io sì aguti, 121-126 Con questo breve discorso (orazion picciola) io resi (fec’io)
i miei compagni così desiderosi (aguti) di [questo] viaggio (al cammi-
con questa orazion picciola, al cammino,
no), che dopo (poscia) li avrei trattenuti a fatica (a pena); e rivolta la
123 che a pena poscia li avrei ritenuti; nostra poppa verso oriente (nel mattino) [: con la prua a occidente, e
e volta nostra poppa nel mattino, dunque andando a occidente], facemmo dei remi [le] ali per il (al) fol-
de’ remi facemmo ali al folle volo, le volo [verso l’ignoto], procedendo (acquistando, sottinteso ‘spazio’)
sempre [più] a sinistra (dal lato mancino) [: con una rotta che andava
126 sempre acquistando dal lato mancino. prima a sud-ovest, poi a sud].
Tutte le stelle già de l’altro polo 127-129 La notte vedeva [: di notte si vedevano] già tutte le stelle
vedea la notte e ’l nostro tanto basso, dell’altro polo [: quello antartico], e il nostro [polo] [: quello artico]
129 che non surgea fuor del marin suolo. [era] tanto basso, che non emergeva (surgea fuor) dalla superficie del
mare (marin suolo).
vv. 114-115 questa tanto...sensi: è la vita fisica, che sta per finire. LA LINGUA NEL TEMPO
Dante usa vigilia nel senso di ‘veglia’, tenendosi vicino all’etimolo-
gia latina. La “picciola vigilia de’ sensi” rappresenta metaforicamen- Uom, om “Uom” e “om” (forme apocopate di uomo, dal latino ho-
te la vita, in contrapposizione al sonno della morte. mo) sono usati in italiano antico come pronomi indefiniti, con il va-
v. 119 bruti: l’aggettivo (dal latino brutus ‘pesante’ ma anche ‘privo lore degli attuali ‘qualcuno, uno, chi’ e del ‘si’ impersonale. È il caso
di intelligenza’) indica in italiano sia ‘chi è senza la ragione umana’ che vediamo in Inf. XIII, v. 45: «come l’uom che teme», ovvero ‘come
(in questo senso lo usa qui Dante), sia ‘grezzo, brutale, violento’. qualcuno che ha paura’. Questa forma, scomparsa nella lingua mo-
vv. 127-129 Tutte... suolo: superato l’equatore, Ulisse e i suoi si tro- derna, ha riscontro nel francese on (per esempio: on fait = ‘si fa’),
vano nell’altro emisfero della terra. che ha la stessa etimologia. Un corrispettivo è il pronome indefini-
to tedesco man, poiché Mann significa appunto ‘uomo’. L’«uom»
nominato al v. 109 del canto XXVI dell’Inferno («acciò che l’uom più
FIGURE E QUESTIONI oltre non si metta») è, pertanto, sia un soggetto impersonale
(come veniva usato nell’italiano antico) sia, allegoricamente, tutta
Le colonne d’Ercole Dopo aver a lungo navigato, Ulisse e compagni giun- l’umanità.
gono, ormai vecchi e indeboliti, alle cosiddette colonne d’Ercole, due mon-
ti (quello di Calpe in Spagna, quello di Abila in Africa) sull’odierno stretto di Folle L’aggettivo “folle” deriva dal latino follem, ‘borsa, sacco vuoto’, da
Gibilterra. Secondo la mitologia, l’eroe greco Eracle (Ercule per i romani) cui – per metafora – il significato di ‘testa vuota’ e quindi ‘dissennato,
giunse su quei monti e vi incise la scritta «non plus ultra» (‘non più oltre’, sconsiderato, pazzo’. Per estensione, il termine passa a significare anche
come traduce il verso dantesco 109). Le colonne segnavano il confine del ‘temerario’, ‘fatto o concepito sconsideratamente’, e ancora ‘smisurato,
mondo conosciuto dagli antichi, dato l’estremo rischio che allora compor- senza limiti’. In quest’ultima accezione lo usa Dante al v. 125 del canto XX-
tavano le navigazioni per l’oceano Atlantico. Si ricordi che i primi tentativi VI dell’Inferno: «folle volo». Da “folle” deriva il sostantivo “follia” inteso
di andare oltre il confine dello stretto per esplorare il mondo risalgono ap- come ‘grave infermità mentale, perdita della ragione’; e per estensione
punto ai tempi di Dante: di qui il significato allegorico del luogo, che già il ‘atteggiamento, atto sconsiderato, insensato’ (si veda p. es. l’espressio-
mito antico aveva individuato come emblema del limite posto agli uomini ne “fare follie”, cioè ‘non badare a spese, non limitarsi, essere disposto a
dalla divinità. tutto’).
244
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
TEMPO
TESTO GUIDA
Mezzogiorno del 9 aprile 1300 (sabato santo)
LUOGO
L’ottava bolgia dell’ottavo cerchio
(detto Malebolge e diviso in dieci bolge)
PECCATORI E CASTIGO
I consiglieri fraudolenti. In vita le loro lingue furono
pronte a tramare inganni, ora essi sono avvolti in
lingue di fuoco e vagano come fiammelle per la
bolgia
PERSONAGGI E FIGURE
• Dante e Virgilio
• Ulisse: astuto re di Itaca, protagonista
dell’Odissea di Omero
Cinque volte racceso e tante casso 130-135 La luce (lume) [della faccia] inferiore (di sotto) della luna
[si] era accesa cinque volte e spenta (casso) altrettante (tante) [volte]
lo lume era di sotto da la luna,
[: erano passati quasi cinque mesi], da quando (poi che) avevamo ol-
132 poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, trepassato (’ntrati eravam ne) il difficile (alto) stretto (passo) [di Gi-
quando n’apparve una montagna, bruna bilterra], quando ci (n’) apparve una montagna, oscura (bruna) [: mal
per la distanza, e parvemi alta tanto distinguibile] per la distanza, e mi sembrò (parvemi) tanto alta quan-
to non ne avevo [mai] vista nessuna.
135 quanto veduta non avea alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto, 136-138 Noi ci rallegrammo, e presto (tosto) [la nostra gioia] si tra-
ché de la nova terra un turbo nacque, sformò (tornò) in pianto; poiché dalla terra nuova [: mai vista prima]
sorse (nacque) un turbine, e colpì (percosse) la parte (canto) davanti
138 e percosse del legno il primo canto. (primo) della nave (legno).
Tre volte il fé girar con tutte l’acque; 139-142 [Il turbine] la (il = ‘lo’, cioè il legno) fece girare insieme alle
a la quarta levar la poppa in suso acque (con tutte l’acque) per tre volte; alla quarta [volta] [fece] alzare
141 e la prora ire in giù, com’altrui piacque, (levar) la poppa in su (suso) e andare (ire) la prua in giù, come sembrò
giusto (piacque) ad altri (altrui) [: a Dio], fino a che il mare [si] fu ri-
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso». chiuso sopra [di] noi».
D. Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, cit.
vv. 133-135 montagna...alcuna: la mon- misfero abitato. di un Dio che non sa neppure nominare
tagna alta e indistinta che appare agli oc- vv. 139-142 Tre volte...richiuso: con preci- (anziché “come a Dio piacque”, Ulisse dice
chi di Ulisse è, secondo la geografia dan- sione e rapidità Dante descrive la fine delle com’altrui piacque). Il suo desiderio di
tesca, il monte del Purgatorio, situato agli illusioni di Ulisse che, dal mondo ultraterre- conoscenza è sconfitto da un evento che lo
antipodi di Gerusalemme, al centro dell’e- no, riconosce l’implacabilità della giustizia sovrasta e lo cancella.
245
PARTE PRIMA Il Medioevo
all’autore L’incontro con Ulisse è decisivo, per il significato del poema, da molti punti di vista. Ulisse
assume agli occhi di Dante un valore speciale per varie ragioni, e innanzitutto perché, nel suo
lungo peregrinare lontano dalla patria (Itaca) narrato nell’Odissea, Dante poteva riconoscere
un’analogia con la propria infelice condizione di esule, lontano da Firenze e dalla famiglia. Fra
i grandi personaggi delle letterature classiche, Ulisse era quello nel quale Dante meglio poteva
identificare la triste vicenda del proprio esilio.
si mette in viaggio ispirato dalla sete si mette in viaggio alla ricerca della
delle scoperte geografiche salvezza (la «diritta via» che aveva smarrito)
246
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
TESTO GUIDA
all’epoca L’Ulisse dantesco è divenuto negli ultimi due secoli un eroe della conoscenza, ma tale non
era per Dante, che subisce sì il fascino della sfida portata da questo personaggio ai limiti
della ragione e ai confini del sapere, ma ne condanna il comportamento senza esitazioni.
Infatti, le ambizioni della ragione e il suo desiderio di conoscere, che sono per noi valori
indiscutibili, non lo erano per l’epoca in cui Dante vive. Diversi erano gli scopi che la men-
talità comune si prefiggeva: raggiungere la salvezza dell’anima e guadagnarsi il Paradiso
piuttosto che allargare i confini del sapere. A noi pare ovvio che conoscere una cosa vuol
dire innanzitutto guardare com’è fatta e cercare di capirne il funzionamento a partire dalla
sua descrizione scientifica; ma nel Medioevo la prospettiva era totalmente diversa. Nel
Medioevo l’aspetto delle cose, cioè la loro superficie visibile, era considerato perfino con
sospetto, temendo che vi si nascondesse un’insidia del demonio, una tentazione infernale.
La stessa bellezza del corpo era frequentemente considerata un pericolo. La conoscenza
non partiva dunque dalla descrizione degli oggetti e dei fenomeni per tentare di capirne il
funzionamento e le ragioni, ma prescindeva dalla descrizione mirando direttamente al
significato profondo. Gli erbari parlavano di vegetali, i bestiari di animali e i lapidari di mine-
rali, sì, ma senza interessarsi all’aspetto delle cose in sé, e piuttosto mettendo ogni
oggetto in collegamento diretto con un significato trascendente: una stella, una caratteri-
stica dell’anima umana, una malattia o un rimedio per guarirne, un colore o un numero. È
per questo che la rivoluzione scientifica impiegherà tanto tempo a realizzarsi e Galileo,
ancora nel Seicento (cioè trecento anni dopo Dante), dovrà rinnegare le conclusioni scien-
tificamente ricavate dalle proprie osservazioni astronomiche: per la Chiesa e per la menta-
lità dominante ciò che si vedeva con i propri occhi era meno importante di ciò che si leg-
geva nelle Sacre Scritture o veniva sostenuto da filosofi del tutto ignari di scienza e di
astronomia.
247
PARTE PRIMA Il Medioevo
COMPRENSIONE ANALISI
TESTO GUIDA
1. Nell’ottava bolgia dell’VIII cerchio sono puniti i 3. Precisione e realismo caratterizzano il racconto di
consiglieri fraudolenti. Perché Ulisse si trova lì? Ulisse. Individua nel testo gli elementi che delineano
lo spazio e il tempo del viaggio intrapreso dall’esplo-
2. Riassumere La parte del canto riportata è occu- ratore.
pata quasi interamente dal racconto di Ulisse. Rias-
sumi il suo viaggio sottolineando:
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
le varie tappe
gli argomenti con i quali convince i compagni a 4. Al v. 125 Ulisse parla del proprio viaggio come di
oltrepassare le colonne d’Ercole un «folle volo»: perché dà questa definizione? Quale
punto di vista esprime?
la conclusione
OLTRE IL TESTO
1. Lavorare con la videolezione
DIGIT VIDEOLEZIONE
Analisi del testo di Pietro Cataldi
Nella videolezione di analisi del testo Pietro Cataldi ripercorre la fitta trama di riferimenti al «folle volo» che
attraversa la Commedia, connotando il viaggio di Ulisse come l’antimodello del viaggio dantesco. Ulisse e
Dante sono entrambi due esuli in viaggio, ma lo studioso ci spiega che la loro ricerca obbedisce a motivazioni
opposte: quali sono?
2. Webquest
Da Virgilio ai giorni nostri, Ulisse ha vissuto molteplici vite. Nella scheda Informazioni (p. 250) ricordiamo
poesie, romanzi e film che hanno ripreso il mito di Ulisse. Approfondisci l’argomento facendo una ricerca in
rete sulla vitalità di questa figura nella produzione letteraria e artistica occidentale; prepara poi una
presentazione multimediale per esporre i risultati del tuo lavoro.
3. Raccontare
«fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza» è la celebre frase che Ulisse rivolge ai
suoi compagni per incitarli all’ardua («folle»!) impresa. Si coglie qui, tra l’altro, un tema che riguarda gli uomini
di ogni tempo: l’ambizione che spinge molti individui a distinguersi dai propri simili in qualche campo. Scrivi
una lettera “aperta” in cui dichiari quali sono i traguardi ai quali ambisci sul piano lavorativo cercando di
trasmettere la passione che ti muove.
248
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
I limiti della scienza e della tecnica
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE
ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
Il tema della conoscenza e dei suoi rapporti con la morale è diventato centrale nel Novecento, quando le
grandi scoperte scientifiche, da quella dell’energia nucleare a quella dell’ingegneria genetica, hanno rivela-
to il loro carattere problematico. Per alcuni la ricerca non deve avere alcun limite (è, dunque, una posizione
analoga a quella di Ulisse); per molti, i limiti devono essere invece posti con rigore, e vanno fissati o
dalla morale religiosa (per es., quella della Chiesa cattolica) o da una morale laica, frutto del consenso
di personalità indipendenti. In entrambi i casi, si fa riferimento alla dignità della natura, che non può
essere violata da una manipolazione selvaggia: per i credenti essa è infatti creatura di Dio; per i laici è
la garanzia di un equilibrio di cui l’uomo è solo una parte. Si pone inoltre il tema dell’utilizzo della cono-
scenza: anche quando alla scienza intellettuale pura si riconosce ampia libertà, questa libertà può essere
estesa alle applicazioni tecniche delle scoperte scientifiche?
Alla luce delle tue conoscenze, delle tue esperienze e dei tuoi studi, rifletti su questi argomenti ed elabora
un testo argomentativo di circa due colonne. Presenta la trattazione con un titolo complessivo che ne espri-
ma sinteticamente il contenuto e organizza il tuo testo in paragrafi, anch’essi titolati.
249
PARTE PRIMA Il Medioevo
ZIONI
INFORMA
Il mito di Ulisse da Omero a noi
Il mito di Ulisse, diffuso da Omero e ri- tanto per il peccato di frode, quanto per viaggio dell’anti-eroe Leopold Bloom è
preso da Dante, attraversa tutta la let- aver osato superare i limiti posti da Dio tutto condotto all’interno del labirinto
teratura occidentale, approdando fino all’uomo e ai suoi desideri di cono- della mente. Una ripresa assai intensa
al XXI secolo. L’eroe greco vive numero- scenza. Claudio Monteverdi (1567- dell’episodio dell’Ulisse dantesco si
se vite e subisce varie trasformazioni: 1643), musicista che ha composto il incontra nel romanzo-testimonianza
è guerriero astuto nell’Iliade, eroe in primo melodramma moderno, scrive di Primo Levi Se questo è un uomo
viaggio nell’Odissea, esploratore che l’opera Il ritorno di Ulisse in patria (1947), lucido racconto della reclusio-
infrange i limiti della conoscenza nella (1642); Ugo Foscolo (1778-1827) nel ne nel lager nazista di Auschwitz: in
Commedia. Poiché Dante non cono- sonetto A Zacinto (1803) si identifica un momento di disperazione e di sfi-
sceva direttamente i poemi omerici, con l’eroe greco, esule alla continua ri- ducia, il protagonista cerca di recupe-
l’ultimo viaggio del personaggio mito- cerca di sé. Nel Novecento Ulisse di- rare il senso della dignità umana e
logico è dunque una sua originale in- venta figura dell’uomo moderno: Gio- della civiltà parlando a un compagno
venzione. Da Dante in poi diversi poeti, vanni Pascoli (1855-1912) gli dedica di prigionia del discorso di Ulisse. Il mi-
scrittori e artisti tornano a riscrivere la due poesie, Il ritorno e Ultimo viaggio; to di Ulisse ha ispirato anche numero-
vicenda di Ulisse, interpretando il per- Gabriele D’Annunzio (1863-1938) lo si pittori e registi. In ambito cinemato-
sonaggio come figura di ribellione, esalta come “superuomo” nelle Laudi grafico non si può non ricordare uno
quasi si trattasse di un nuovo Adamo (1903); Umberto Saba (1883-1957) dei capolavori di Stanley Kubrick
in rivolta contro il Creatore, punito non ne fa una proiezione della sua inquie- (1928-1999), 2001: Odissea nello
tudine nella poesia Ulisse della raccol- spazio (1968), in cui il tema del viag-
Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio ta Mediterranee (1946). Ma la più im- gio, compiuto attraverso lo spazio si-
Monteverdi, regia di Robert Wilson, direttore portante riscrittura del mito omerico è derale e il tempo, si unisce a una com-
Rinaldo Alessandrini. Milano, Teatro alla
Scala in coproduzione con Opéra National de l’Ulisse (1922) dello scrittore irlande- plessa riflessione sul rapporto tra uo-
Paris, stagione 2010-2011. se James Joyce (1882-1941), dove il mo e conoscenza scientifica.
250
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Il fondo della voragine infernale è occupato da un lago ghiacciato, il Cocito. In una zona di esso, l’Antenòra, stanno
i traditori politici. Dante ne scorge uno che addenta furiosamente il cranio di un altro. È il conte Ugolino, che spie-
ga le ragioni del suo odio contro l’altro dannato, l’arcivescovo Ruggieri, pisano come lui. Fidandosi di quest’ultimo,
Ugolino era stato ingannato e imprigionato in una torre con i due figli e due nipoti. Erano trascorsi alcuni mesi,
quando egli fu turbato da un sogno: durante una battuta di caccia guidata da Ruggieri, Ugolino e i suoi venivano
azzannati da cagne fameliche, scagliate contro di loro dalle famiglie più nobili di Pisa. Svegliatosi, aveva sentito i
figli piangere e chiedere del cibo nel sonno; di lì a poco le porte della torre sarebbero state inchiodate. Durante la
prigionia, i figli invocavano l’aiuto del padre e, pur di non vederlo in quello stato, lo invitavano a cibarsi delle loro
carni. Ma, alla fine, la morte li vinse tutti. Terminato il racconto, Ugolino si avventa di nuovo su Ruggieri.
I TEMI odio bestiale di Ugolino critica della corruzione politica e morale carattere ambivalente del personaggio
PARAFRASI
La bocca sollevò dal fiero pasto 1-3 Quel peccatore [: Ugolino] sollevò la bocca dal pasto feroce (fie-
quel peccator, forbendola a’capelli ro), pulendola dai (forbendola a’) capelli della testa che egli aveva
straziato (guasto = ‘guastato’) di dietro (di retro).
3 del capo ch’elli avea di retro guasto.
DIGIT VIDEOLEZIONE vv. 1-3 La bocca...guasto: l’inizio del can- solleva la bocca dal suo pasto feroce (il cra-
Analisi del testo di Pietro Cataldi to, immediatamente narrativo, è secco e nio dell’altro dannato, l’arcivescovo Rug-
duramente realistico: spinto dall’invito di gieri) e la pulisce con i capelli stessi della
Dante a raccontargli la sua storia, Ugolino sua vittima.
TEMPO
Pomeriggio del 9 aprile 1300 (sabato santo)
LUOGO
Antenora e Tolomea (seconda e terza zona)
nel nono cerchio
PECCATORI E CASTIGO
Nella Antenora i traditori della patria stanno
conficcati nel ghiaccio del lago Cocito; nella Tolomea
i traditori degli ospiti sono immersi supini nel
ghiaccio. In vita il loro cuore fu freddo, ora sono
sepolti nel ghiaccio
PERSONAGGI E FIGURE
• Dante e Virgilio
• Ugolino della Gherardesca: politico pisano,
vissuto nella prima metà del Duecento
• Ruggieri degli Ubaldini: arcivescovo di Pisa,
morto nel 1295
251
PARTE PRIMA Il Medioevo
Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli 4-6 Poi cominciò [dicendo]: «Tu vuoi che io rinnovi (rinovelli) il dolo-
re disperato che mi opprime (preme) il cuore già solo (pur) pensando
disperato dolor che ’l cor mi preme
[: se ci penso], prima [ancora] che io ne parli (favelli).
6 già pur pensando, pria ch’io ne favelli.
Ma se le mie parole esser dien seme 7-9 Ma se le mie parole devono (dien) essere seme che dia come frutto
che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo, (che frutti) [: che causino] infamia per il traditore che io mordo (rodo),
[mi] vedrai parlare e piangere (lagrimar) nello stesso momento (insieme).
9 parlare e lagrimar vedrai insieme.
Io non so chi tu se’ né per che modo 10-12 Io non so chi tu sia, né in (per) che modo sia venuto quaggiù;
venuto se’ qua giù; ma fiorentino ma quando ti sento [parlare] [: dal tuo accento] mi sembri proprio fio-
rentino.
12 mi sembri veramente quand’io t’odo.
Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino, 13-15 Tu devi sapere che io fui [il] conte Ugolino, e costui è l’arcive-
e questi è l’arcivescovo Ruggieri: scovo Ruggieri: ora ti dirò perché gli (i) sono un vicino tale [: così cru-
dele con lui].
15 or ti dirò perché i son tal vicino.
Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri, 16-21 Non c’è bisogno (è mestieri) [di] dire [: perché tu, in quanto
fidandomi di lui, io fossi preso fiorentino, lo sai già] che a causa (per l’effetto) dei suoi [: di Ruggieri]
cattivi (mai = ‘malvagi’) pensieri, io, fidandomi di lui, fui catturato
18 e poscia morto, dir non è mestieri; (preso) e poi (poscia) ucciso (morto); perciò (però) ascolterai quello
però quel che non puoi avere inteso, che non puoi aver saputo (inteso), cioè quanto (come) fu crudele la
cioè come la morte mia fu cruda, mia morte, e saprai se egli (s’e’) mi ha offeso [davvero].
21 udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso.
Breve pertugio dentro da la Muda, 22-27 Un piccolo buco (Breve pertugio) all’interno (dentro) della
la qual per me ha ’l titol de la fame, [torre della] Muda, che a causa mia (per me) ha il nome (titol) [di tor-
re] della fame, e che è inevitabile (conviene) che rinchiuda (si chiuda)
24 e che conviene ancor ch’altrui si chiuda, ancora altri (altrui) [prigionieri], mi aveva già fatto vedere (mostrato)
m’avea mostrato per lo suo forame più lune [: avevo già passato diversi mesi in prigione] attraverso il (per
più lune già, quand’io feci ’l mal sonno lo) suo foro (forame), quando feci il triste sogno (’l mal sonno) che mi
squarciò il velo (velame) del futuro [: mi rivelò il futuro].
27 che del futuro mi squarciò ’l velame.
Questi pareva a me maestro e donno, 28-30 [Nel sogno] costui [: Ruggieri] mi sembrava guida e capo (mae-
cacciando il lupo e’ lupicini al monte stro e donno = ‘signore’), nel cacciare [: mentre si cacciavano] il lupo e i
lupicini verso il (al) monte a causa del quale (per che) i Pisani non posso-
30 per che i Pisan veder Lucca non ponno. no vedere Lucca [: il monte di San Giuliano, che sta fra Pisa e Lucca].
Con cagne magre, studiose e conte 31-33 [Ruggieri] si era (s’avea) messo di fronte a sé (dinanzi da la
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi fronte) [le famiglie ghibelline dei] Gualandi con i Sismondi e con i
33 s’avea messi dinanzi da la fronte. Lanfranchi, con cagne magre [per la fame] [: il popolo], intente (stu-
diose) [ad azzannare] ed esperte (conte) [nella caccia].
In picciol corso mi parieno stanchi
34-36 Il padre [lupo] e i figli [lupicini] mi sembravano (parieno) stan-
lo padre e’ figli, e con l’agute scane chi dopo un breve tratto (In picciol corso), e mi sembrava (parea) [di]
36 mi parea lor veder fender li fianchi. vedere aprire (fender) loro i fianchi con le acute zanne (l’agute scane)
Quando fui desto innanzi la dimane, [delle cagne] [: mi sembrava che le cagne li azzannassero].
pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli 37-39 Quando fui sveglio (desto) prima della mattina (innanzi la di-
mane), sentii i miei figli che erano con me piangere nel (fra ’l) sonno,
39 ch’eran con meco, e dimandar del pane. e chiedere del pane.
vv. 7-9 Ma se...insieme: Ugolino accetta la civescovo Ruggieri, imprigionato nella torre cusa di aver ceduto alcuni castelli pisani) e lo
proposta che Dante gli ha fatto (nella parte della Muda e lasciato morire di fame insieme fece prendere e condannare per tradimento.
finale del canto precedente, XXXII, vv. 133- ai due figli (Gaddo e Uguccione) e a due nipoti v. 22 la Muda: la torre della Muda (= ‘muta’)
139): raccontargli la ragione del suo odio in (Anselmuccio e Nino detto il Brigata). era quella in cui erano tenuti gli uccelli da cac-
cambio dell’impegno da parte sua a riportar- v. 14 arcivescovo Ruggieri: Ruggieri degli cia a mudare, cioè a cambiare le penne: e veni-
ne la storia fra i vivi. A muoverlo è il deside- Ubaldini, arcivescovo di Pisa, come gerarca va chiamata così la torre dei Gualandi di Pisa,
rio di vendetta. della Chiesa avrebbe dovuto militare fra i usata dal Comune come prigione fino al 1318.
v. 13 conte Ugolino: Ugolino della Gherar- guelfi e invece fu a capo dei ghibellini. Gui- vv. 28-30 Questi...ponno: la scena della caccia
desca nacque nella prima metà del Duecento dò la rivolta che portò alla deposizione del è apertamente allegorica: il lupo e i lupicini
da una nobile famiglia pisana. Sebbene ap- conte Ugolino, insieme con le famiglie dei rappresentano Ugolino e i suoi figli e nipoti.
partenesse a una stirpe ghibellina, nel 1275 si Gualandi, dei Sismondi e dei Lanfranchi. vv. 31-33 Con...fronte: l’arcivescovo, che è
accordò con i guelfi perché si impadronissero Morì a Viterbo nel 1295. il capocaccia, schiera in prima linea le fami-
di Pisa. Fu considerato nuovamente un tradi- v. 17 fidandomi di lui: tradire è appunto in- glie ghibelline di Pisa Gualandi, Sismondi e
tore quando cedette ai lucchesi e ai fiorentini, gannare colui che si fida. Dopo la riscossa ghi- Lanfranchi con le cagne magre, il popolo
alleati di Genova, vittoriosa su Pisa alla Melo- bellina del 1288, Ruggieri indusse Ugolino a minuto istigato contro il conte Ugolino.
ria, alcuni castelli allo scopo di indurre le due rientrare a Pisa con l’offerta di trattare; quan- v. 38 i miei figliuoli: in realtà, fra i prigio-
città a rompere l’alleanza con Genova. Nel do il conte, fidandosi, rientrò in città, l’arci- nieri solo due erano figli di Ugolino, mentre
1288 fu catturato dai ghibellini guidati dall’ar- vescovo aizzò contro di lui il popolo (con l’ac- altri due erano suoi nipoti.
252
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Gustave Doré, Dante e Virgilio nel nono cerchio dell’Inferno, 1861. Musée municipal de Bourg-en-Bresse.
Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli 40-42 [Tu, che mi ascolti,] sei davvero (Ben) crudele, se non ti addolori
(duoli) già pensando [a] ciò che il mio cuore presagiva (s’annunziava); e
pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava;
se non piangi [per questo], di che [cosa mai] sei solito (suoli) piangere?
42 e se non piangi, di che pianger suoli?
Già eran desti, e l’ora s’appressava 43-48 Ormai (Già) erano svegli (desti) e si avvicinava (s’appressava)
che ’l cibo ne solea essere addotto, l’ora in cui (che) di solito ci veniva portato (ne solea essere addotto) il
cibo, e ciascuno temeva (dubitava) per i propri sogni; e io sentii in-
45 e per suo sogno ciascun dubitava; chiodare (chiavar) la porta (l’uscio) sotto (di sotto a) l’orribile torre;
e io senti’ chiavar l’uscio di sotto perciò io (ond’io) guardai negli occhi dei (nel viso a’) miei figli senza
a l’orribile torre; ond’io guardai dire [neppure una] parola (sanza far motto).
48 nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto.
Io non piangea, sì dentro impetrai: 49-51 Io non piangevo (piangea), a tal punto (sì) diventai di pietra
piangevan elli; e Anselmuccio mio (impetrai, metafora) [: diventai insensibile] dentro [di me]: [ma] pian-
gevano loro (elli) [: i miei figli]; e il mio Anselmuccio disse: “[O] padre,
51 disse: “Tu guardi sì, padre! che hai?”. tu [ci] guardi in modo tale (sì)! che [cosa] hai?”.
Perciò non lacrimai né rispuos’io 52-54 Io non piansi per questo (Perciò) né risposi tutto quel giorno e
tutto quel giorno né la notte appresso, (né) la notte seguente (appresso), fino a che sorse (uscìo) nel mondo
54 infin che l’altro sol nel mondo uscìo. il giorno seguente (l’altro sol).
253
PARTE PRIMA Il Medioevo
Come un poco di raggio si fu messo 55-63 Non appena (Come) un po’ di luce (raggio) fu penetrata (si fu
messo) nel doloroso carcere, e io riconobbi (scorsi) nei (per) quattro
nel doloroso carcere, e io scorsi
volti [dei miei figli] il mio stesso aspetto [: un aspetto che somigliava al
57 per quattro visi il mio aspetto stesso, mio], mi morsi entrambe (ambo) le mani per il dolore; ed essi (ei),
ambo le man per lo dolor mi morsi; pensando che io lo facessi (’l fessi) per desiderio (voglia) di mangiare
ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia (manicar), si alzarono (levorsi = ‘si levarono’) immediatamente (di
subito) e dissero: “Padre, sarà (fia) per noi (ci) [causa di] molto (assai)
60 di manicar, di subito levorsi meno dolore (doglia) se tu mangi noi (di noi): [mettendoci al mondo]
e disser: “Padre, assai ci fia men doglia tu ci (ne) desti (vestisti) queste carni [ora così] infelici (misere), e
se tu mangi di noi: tu ne vestisti [ora] prìvacene (le spoglia) tu”.
v. 58 ambo...morsi: è il momento più dramma- esso, ma di fame; 2) il conte, vinto dalla fame, che il padre abbia ceduto all’atto bestiale.
tico dell’episodio. Il dolore di Ugolino, tratte- finisce con il cibarsi delle carni dei figli (se- vv. 76-78 Quand’ebbe...forti: è evidente il
nuto tanto a lungo, prorompe in un gesto quasi guendo l’invito che questi gli avevano rivolto contrappasso che colpisce Ruggieri: poiché
animalesco, fosco preannuncio della ferocia ai vv. 61-63). Dante lascia volutamente am- egli fece morire di fame Ugolino, ora è il suo
che riverserà all’Inferno su Ruggieri. I figli equi- bigua l’interpretazione, insinuando il dubbio pasto in eterno.
vocano e si offrono in sacrificio al padre.
LA LINGUA NEL TEMPO
v. 69 “Padre mio...aiuti?”: la domanda di
Gaddo richiama Ugolino alla sua impotenza Manicare Il verbo “manicare” (v. 60, «manicar») è da tempo uscito dall’uso corrente. Il suo signi-
e ricorda quella pronunciata da Cristo sulla ficato era quello di ‘mangiare’. Il termine deriva dal latino volgare manducare (il latino classico usa
croce: «Dio mio... perché mi hai abbandona- edere). Da manducare, attraverso il francese antico mangier, derivano il verbo italiano mangiare e
to?» (Matt. 27, 46). quello corrispondente, di molti dialetti, magnare. Il verbo classico edere si conserva, infatti, solo
v. 75 Poscia...digiuno: questo verso può nell’etimologia di parole colte, come edulo = ‘commestibile’. Ancor oggi in uso è, d’altra parte, il ter-
essere spiegato in due modi: 1) per quanto mine manicaretto, diminutivo del verbo manicare usato come sostantivo: esso indica ‘una vivanda
grande fosse il dolore, Ugolino non morì per particolarmente saporita e appetitosa, cucinata con estrema cura e raffinatezza’.
ANALISI Il tema della fame Il tema della fame, centrale nell’episodio di Ugolino, trova costante
riscontro nelle scelte lessicali: «La bocca sollevò dal fiero pasto», v. 1; «la fame», v. 23; «cagne
magre», v. 31; «agute scane / mi parea lor veder fender li fianchi», vv. 35-36; «dimandar del
pane», v. 39; «’l cibo», v. 44; «ambo le man per lo dolor mi morsi», v. 58; «per voglia / di mani-
254
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
car», vv. 59-60; «se tu mangi di noi», v. 62; «più che ’l dolor, poté ’l digiuno», v. 75; «riprese ’l
teschio misero co’ denti / che furo a l’osso, come d’un can, forti», vv. 77-78. Nel v. 78 si noti
la disposizione martellante degli accenti a significare la furia disperata di quel mordere.
Realismo grottesco e realismo tragico Il realismo, cioè la rappresentazione fedele della
vita, anche nei suoi aspetti quotidiani e bassi, è una delle grandi conquiste di Dante. In que-
sto episodio si colgono i due poli complementari del realismo. Il primo è quello grottesco,
riscontrabile nella descrizione della furia bestiale di Ugolino contro Ruggieri (vv. 1-3 e 76-78).
Il secondo polo è quello tragico: esso pone tutta la storia narrata dal dannato in circostanze
estremamente puntuali e verosimili (soprattutto nelle indicazioni temporali), fino a riportare il
tono comune e prosastico dei dialoghi (soprattutto ai vv. 51 e 69).
INTERPRETAZIONE Traditori e vittime innocenti Come è possibile che nel luogo più disumano dell’Inferno
E COMMENTO sentiamo il racconto più umano, cioè quello dell’amore paterno e filiale, della morte e
dell’impotenza davanti alla morte? Com’è possibile che nello stesso uomo convivano la belva
feroce che rode accanitamente il cranio del proprio nemico e il padre straziato d’amore e di
dolore per i propri figli? L’episodio di Ugolino ha sempre suscitato grande perplessità poi-
ché rappresenta uno degli aspetti più incomprensibili del male, ovvero una strage di bam-
bini innocenti. Infatti, per Dante un’unica cosa è certa: i figli di Ugolino sono vittime di un
tradimento causato da un odio senza limiti. Il tradimento di Ugolino è avvenuto su più fronti:
verso i propri affetti, verso Dio, verso la sua città. Egli è una vittima colpevole sia del proprio
odio (che supera l’amore per i figli), sia della propria mancanza di fede (che nega l’aiuto di
Dio e la richiesta di perdono), sia della corruzione politica e morale di un mondo ingiusto
(che egli stesso ha contribuito a creare). Arrivato quasi alla fine del suo percorso infernale,
Dante non può lasciarsi impietosire dal racconto del dannato: egli ha ormai ben capito che
l’unica forma di pietà vera è il rispetto della volontà divina, e poiché Dio ha voluto pene tanto
dure, occorre accettarle.
Ugolino tra odio e amore: la lettura di De Sanctis Il critico Francesco De Sanctis ha eviden-
ziato il carattere ambivalente di Ugolino, «personaggio compiutamente poetico, che può mani-
festarsi in tutta la ricchezza della sua vita interiore. Già in pochi tratti il poeta ha abbozzata
questa colossale statua dell’odio [...]. Ma in seno all’odio si sviluppa l’amore, e il cupo e il
denso dell’anima si stempra ne’ sentimenti più teneri. Quest’uomo odia molto, perché ha
amato molto. L’odio è infinito, perché infinito è l’amore, e il dolore è disperato perché non c’è
vendetta uguale all’offesa. Tutto questo trovi mescolato e fuso nel suo racconto, non sai se
più terribile o pietoso. Accanto alla lacrima sta l’imprecazione; e spesso in una stessa frase
c’è odio e amore, c’è rabbia e tenerezza: l’ultimo suono delle sue parole, che chiama i figli, si
confonde con lo scricchiolare delle odiate ossa [del teschio di Ruggieri] sotto a’ suoi denti».
b. Quali elementi presenti nell’incubo hanno un rap- Nella videolezione Pietro Cataldi analizza questo
porto con la realtà? canto drammatico e crudele, incentrato sulla scena
della morte di quattro giovani innocenti (i figli e i
ANALISI nipoti di Ugolino) che, per la complessità del tema
affrontato, ha dato luogo a interpretazioni critiche
3. Ricostruendo le tappe della sua prigionia, Ugolino diverse e contrastanti. In cosa consiste il
insiste sulle determinazioni temporali: sottolineale tradimento terribile di Ugolino?
nel testo e indicane la funzione.
255
T20
TESTO GUIDA Tre vittime della violenza
dal testo [Purgatorio, V]
all’opera
ai temi
alla storia
all’epoca
al presente
Dante giunge fra gli spiriti che, prima di morire di morte violenta, si sono pentiti dei loro peccati. Accortisi
che il poeta è vivo dall’ombra che questi proietta per terra, subito gli spiriti gli si affollano intorno doman-
dando se egli riconosca qualcuno di loro, così da portarne notizie ai vivi. Dante non ne riconosce nessu-
no, ma promette lo stesso di accogliere le loro richieste. Il complesso legame con il mondo, dal quale si
separarono bruscamente, rende queste anime più desiderose delle altre di essere riconosciute e ricorda-
te da Dante al suo ritorno sulla terra, nella speranza di ottenere preghiere dai propri cari. Tre spiriti si
fanno avanti e raccontano brevemente la propria storia: Iacopo del Cassero, Buonconte da Montefeltro e
Pia de’ Tolomei.
I TEMI denuncia della corruzione morale della società il corpo racconto della morte dal punto di vista di chi muore
TEMPO
Dopo il mezzogiorno del 10 aprile 1300
(domenica di Pasqua)
LUOGO
La costa dell’Antipurgatorio
ANIME E PENE
Le anime dei negligenti morti di morte violenta che
si sono pentiti in fin di vita, prima di essere
ammesse nel Purgatorio, rimangono
nell’Antipurgatorio tanto tempo quanto vissero nel
peccato
PERSONAGGI E FIGURE
• Dante e Virgilio
• Iacopo del Cassero: uomo politico, nativo di
Fano, nelle Marche
• Buonconte da Montefeltro: valoroso
condottiero ghibellino del Duecento
• Pia de’ Tolomei: senese assassinata dal marito
intorno al 1297
256
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
PARAFRASI
Io era già da quell’ombre partito, 1-6 Io mi ero già allontanato (partito) da quelle anime (ombre) [: dei
TESTO GUIDA
e seguitava l’orme del mio duca, pigri] e seguivo i passi (orme) della mia guida (duca) [: Virgilio], quan-
do dietro a me una [di quelle anime dei pigri], puntando il dito, gridò:
3 quando di retro a me, drizzando ’l dito, «Guarda (Ve’ = ‘vedi’) che non sembra che la luce (raggio) [del sole] ri-
una gridò: «Ve’ che non par che luca splenda (luca) [: passi] dal lato sinistro a quello [: Dante] [che sta più]
lo raggio da sinistra a quel di sotto, in basso, e sembra che [egli] si comporti (si conduca) come [se fosse]
vivo!».
6 e come vivo par che si conduca!».
Li occhi rivolsi al suon di questo motto, 7-12 Al suono di questa frase (motto) girai gli occhi, e le [: le anime] vi-
e vidile guardar per maraviglia di guardare con (per) meraviglia proprio me (pur me, pur me), e la luce
(lume) [del sole] che era interrotta. [Allora] il maestro [: Virgilio] disse
9 pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto. [a me]: «Perché il tuo animo si distrae (s’impiglia) a tal punto (tanto)
«Perché l’animo tuo tanto s’impiglia», che rallenti il passo (l’andare)? che [cosa] ti importa (fa) quel che si
disse ’l maestro, «che l’andare allenti? mormora (si pispiglia) qui?
12 che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
Vien dietro a me, e lascia dir le genti: 13-18 Vieni dietro a me, e lascia parlare la gente [senza preoccupartene]:
sta come torre ferma, che non crolla comportati (sta) come una torre solida (ferma), che non muove (crolla)
mai la cima a causa del soffiare dei venti; dal momento che (ché) l’uomo nel
15 già mai la cima per soffiar di venti; quale un [nuovo] pensiero nasce (rampolla) continuamente (sempre) so-
ché sempre l’omo in cui pensier rampolla pra il pensiero [precedente] [: cioè l’uomo che cambia pensiero di continuo]
sovra pensier, da sé dilunga il segno, allontana (dilunga) da sé la meta (segno), perché la forza (foga) del secon-
do (l’altro) [pensiero] indebolisce (insolla) [l’intensità del] primo (l’un)».
18 perché la foga l’un de l’altro insolla.
Che potea io ridir, se non «Io vegno»? 19-21 Che [cosa] potevo io rispondere (ridir), se non «Io vengo»? Lo dissi,
Dissilo, alquanto del color consperso [con il volto] un po’ (alquanto) ricoperto (consperso) di [quel] colore [: il
rossore della vergogna] che talvolta rende (fa) l’uomo meritevole (degno)
21 che fa l’uom di perdon talvolta degno. di perdono [: di essere perdonato].
E ’ntanto per la costa di traverso 22-24 E intanto lungo il pendio (per la costa) [del monte del Purgato-
venivan genti innanzi a noi un poco, rio] avanzavano (venivan) di traverso [: rispetto a Virgilio e a Dante che
24 cantando ‘Miserere’ a verso a verso. salgono] delle anime (genti) un poco davanti a noi, cantando ‘Miserere’
a versetti alternati (a verso a verso).
Quando s’accorser ch’i’ non dava loco
25-30 Quando [tali anime] si accorsero che io non lasciavo spazio (da-
per lo mio corpo al trapassar d’i raggi, va loco) al passare dei raggi [del sole] attraverso il mio corpo, trasfor-
27 mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco; marono (mutar) il loro canto in un prolungato e fioco (roco) «oh!»
e due di loro, in forma di messaggi, [: espressione di meraviglia]; e due di loro, con funzione (in forma) di
messaggeri, ci corsero incontro e ci domandarono: «Informateci (fate-
corsero incontr’a noi e dimandarne: ne saggi) della vostra condizione».
30 «Di vostra condizion fatene saggi».
E ’l mio maestro: «Voi potete andarne 31-36 E il mio maestro [: Virgilio] [rispose loro]: «Voi potete andare e
e ritrarre a color che vi mandaro riferire a coloro che vi hanno inviato (mandaro) [: gli altri spiriti] che il
corpo di costui [: Dante] è carne vera [: che lui è vivo]. Se si sono ferma-
33 che ’l corpo di costui è vera carne. ti (restaro) per aver visto la sua [: di Dante] ombra, come io credo (av-
Se per veder la sua ombra restaro, viso), [con queste mie parole] è [stato] risposto [a] loro a sufficienza
com’io avviso, assai è lor risposto: (assai): gli [: a Dante] facciano onore [: lo ricevano con gentilezza], ed
[egli] potrà esser loro utile (caro)».
36 fàccianli onore, ed essere può lor caro».
257
PARTE PRIMA Il Medioevo
Vapori accesi non vid’io sì tosto 37-42 Io non ho mai visto vapori infiammati (accesi) attraversare (fen-
der) all’inizio della (di prima) notte il [cielo] sereno così rapidamente (sì
di prima notte mai fender sereno,
TESTO GUIDA
tosto) [: in forma di stelle cadenti], né [ho visto vapori infiammati attra-
39 né, sol calando, nuvole d’agosto, versare così rapidamente le] nuvole in agosto [: in forma di fulmini],
che color non tornasser suso in meno; mentre tramonta (calando) il sole, di quanto (che) [velocemente] essi
e, giunti là, con li altri a noi dier volta (color) [: i due spiriti giunti come messaggeri] non tornassero in alto
(suso) [sul monte, dal loro gruppo] in minor [tempo] (in meno) [delle
42 come schiera che scorre sanza freno. stelle cadenti e dei fulmini]; e, giunti là, insieme (con) agli altri [spiriti]
«Questa gente che preme a noi è molta, si voltarono indietro (dier volta) verso di (a) noi, come una schiera che
e vegnonti a pregar», disse ’l poeta: corre (scorre, cioè come un fiume in piena) senza freno.
45 «però pur va, e in andando ascolta». 43-45 Il poeta [: Virgilio] [mi] disse: «Questi spiriti (gente) che si accalca-
no (preme) [intorno] a noi sono molti, e ti vengono (vegnonti) a pregare
«O anima che vai per esser lieta [: a rivolgere una richiesta]: perciò (però) continua a camminare (pur va),
con quelle membra con le quai nascesti», e mentre cammini (in andando) ascolta [le loro preghiere]».
48 venian gridando, «un poco il passo queta. 46-51 [Le anime] si avvicinarono (venian) gridando: «O anima che
Guarda s’alcun di noi unqua vedesti, cammini (vai) per diventare (esser) beata (lieta) [: per raggiungere la
beatitudine] con lo stesso corpo (membra) con cui sei nata, ferma
sì che di lui di là novella porti: (queta) un poco il passo. Guarda se hai visto mai (unqua) qualcuno
51 deh, perché vai? deh, perché non t’arresti? (alcun) di noi, in modo (sì) che [tu] porti di là [: nel mondo dei vivi] no-
Noi fummo tutti già per forza morti, tizie (novella) di lui: deh, perché [continui a] camminare (vai)? deh,
perché non ti fermi (arresti)?
e peccatori infino a l’ultima ora;
52-57 Noi tutti siamo stati un tempo (già) uccisi (morti) con violen-
54 quivi lume del ciel ne fece accorti, za (per forza), e [siamo stati] peccatori fino all’ultimo momento (ora);
sì che, pentendo e perdonando, fora allora (quivi) una luce (lume) del cielo [: la Grazia divina] ci (ne) fece
di vita uscimmo a Dio pacificati, consapevoli (accorti) [dei nostri peccati e doveri], così (sì) che, pen-
tendoci [dei nostri peccati] e perdonando [ai nostri nemici e assassini],
57 che del disio di sé veder n’accora».
siamo morti (fora di vita uscimmo) riconciliati (pacificati) con Dio, il
E io: «Perché ne’ vostri visi guati, quale ci consuma (n’accora) per il desiderio (disio) di vederlo (di sé ve-
non riconosco alcun; ma s’a voi piace der) [: di raggiungerlo in Paradiso]».
60 cosa ch’io possa, spiriti ben nati, 58-63 E io [risposi alle anime che mi avevano interrogato]: «Per quan-
to [io] guardi attentamente (guati) nei vostri visi, non riconosco nes-
voi dite, e io farò per quella pace
suno (alcun); ma se a voi, spiriti ben nati [: destinati alla salvezza], fa
che, dietro a’ piedi di sì fatta guida, piacere qualcosa che io possa [fare], ditemela (voi dite), e io [la] farò in
63 di mondo in mondo cercar mi si face». nome di (per) quella beatitudine (pace) [: Dio] che si fa (face) cercare
E uno incominciò: «Ciascun si fida da me [: che io cerco] di mondo in mondo [: attraverso i tre regni dell’al-
dilà] dietro ai passi (piedi) di questa (sì fatta) guida [: Virgilio]».
del beneficio tuo sanza giurarlo,
64-72 E uno [degli spiriti] cominciò: «Ciascuno [di noi] si fida del benefi-
66 pur che ’l voler nonpossa non ricida. cio [che prometti] [anche] senza che tu giuri, a meno (pur) che un impe-
Ond’io, che solo innanzi a li altri parlo, dimento (nonpossa) non ostacoli (ricida = ‘tagli’) la [tua] volontà (voler).
ti priego, se mai vedi quel paese Perciò io (Ond’io) [: Iacopo del Cassero], che parlo [da] solo prima (innan-
zi) degli altri, ti prego, se mai vedi quella regione (paese) [: la Marca d’An-
69 che siede tra Romagna e quel di Carlo, cona] che sta fra la Romagna e il regno (quel [paese]) di Carlo [II d’Angiò]
che tu mi sie di tuoi prieghi cortese [: il Regno delle Due Sicilie], di farmi la gentilezza (che tu... cortese) [di
in Fano, sì che ben per me s’adori portare] le tue preghiere (prieghi) in Fano [: dove sono i miei parenti], af-
finché si preghi (s’adori) per me utilmente (ben) [: da parte di persone in
72 pur ch’i’ possa purgar le gravi offese. grazia di Dio] così che io possa purgare i [miei] gravi peccati (offese).
Quindi fu’ io; ma li profondi fóri 73-78 Io fui di là (Quindi) [: di Fano]; ma le profonde ferite (fóri) da
ond’uscì ’l sangue in sul quale io sedea, cui uscì il sangue nel quale io [: l’anima di Iacopo] vivevo (sedea), mi
75 fatti mi fuoro in grembo a li Antenori, furono fatte nel (in grembo a) [territorio] dei padovani (Antenori),
dove io credevo di essere più sicuro: lo fece (fé) fare [: mi fece assassi-
là dov’io più sicuro esser credea: nare] il [marchese] (quel) d’Este [: Azzo VIII], che mi odiava (avea in
quel da Esti il fé far, che m’avea in ira ira) molto più (assai più là) di quanto (che) la giustizia (dritto) non vo-
78 assai più là che dritto non volea. leva.
v. 51 deh: esclamazione che introduce sup- di Milano, Iacopo volle evitare di attraversare così non solo perché Antenore era il mitico
pliche e preghiere. il territorio estense di Ferrara e andò per mare fondatore della loro città, ma anche perché
v. 64 uno: è Iacopo del Cassero, appartenen- a Venezia, da dove proseguì verso la Lombar- l’Antenòra è, nell’Inferno, il luogo destinato
te a una famiglia guelfa di Fano, nella Marca dia, passando per il padovano. Qui, tuttavia, i ai traditori della patria.
d’Ancona. Quando era podestà di Bologna, sicari di Azzo lo raggiunsero e lo uccisero. v. 78 assai più...volea: ai tempi di Dante era
nel 1296, si inimicò il marchese Azzo VIII d’E- v. 74 in sul quale io sedea: secondo la con- riconosciuto il diritto di rispondere all’offesa;
ste, signore di Ferrara, ostacolando con ogni cezione fisiologica medievale il sangue era ma in questo caso l’odio di Azzo d’Este superò
mezzo il suo progetto di dominio sul territorio la sede dell’anima. di gran lunga, con l’omicidio, le offese che Iaco-
bolognese. Nel 1298, chiamato alla podesteria v. 75 Antenori: i padovani sono definiti po poteva avere commesso nei suoi confronti.
258
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
TESTO GUIDA
del Purgatorio tratta dal
“manoscritto Egerton
943” databile al 1340
circa. Londra, British
Library.
Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira, 79-81 Ma se io fossi fuggito verso Mira, quando fui raggiunto a Oria-
go, sarei ancora là dove si respira [: fra i vivi].
quando fu’ sovragiunto ad Oriaco,
81 ancor sarei di là dove si spira.
Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco 82-84 Corsi alla palude, e le canne e il fango (braco) mi ostacolarono
m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’io tanto (sì) che io caddi; e lì io vidi formarsi in terra un lago [di sangue]
dalle mie vene».
84 de le mie vene farsi in terra laco».
Poi disse un altro: «Deh, se quel disio 85-90 Poi un altro [spirito] disse: «Deh, che possa essere soddisfatto
si compia che ti tragge a l’alto monte, (se... si compia) quel desiderio che ti conduce (tragge) alla sommità (a
l’alto) del monte [del Purgatorio], [così] con nobile (buona) compassio-
87 con buona pietate aiuta il mio! ne (pietate), favorisci (aiuta) [anche] il mio [desiderio di essere salvato]!
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte; Io fui [della famiglia] dei Montefeltro, io sono Buonconte; [mia moglie]
Giovanna o altri non ha di me cura; Giovanna o altri non hanno cura [: non si preoccupano] di me; perciò io
vado fra gli altri [spiriti] (costor) a testa (fronte) bassa [: tristemente]».
90 per ch’io vo tra costor con bassa fronte».
E io a lui: «Qual forza o qual ventura 91-93 E io [dissi] a lui: «Quale violenza (forza) [altrui] o quale evento
ti traviò sì fuor di Campaldino, casuale (ventura) ti fece allontanare (traviò) così [tanto] (sì) fuori da
Campaldino, che non si seppe mai [dove fosse] la tua sepoltura?».
93 che non si seppe mai tua sepultura?».
«Oh!», rispuos’elli, «a piè del Casentino 94-96 «Oh!», egli [: Buonconte] rispose, «ai piedi del Casentino scor-
traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano, re un torrente (traversa un’acqua) che si chiama Archiano, che nasce
sugli Appennini sopra l’Eremo [di Camaldoli].
96 che sovra l’Ermo nasce in Apennino.
Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano, 97-102 Là dove il suo [: dell’Archiano] nome (vocabol) viene meno
arriva’ io forato ne la gola, (diventa vano) [: dove l’Archiano, affluendo nell’Arno, finisce], io arri-
vai ferito (forato) alla gola, fuggendo a piedi e coprendo di sangue
99 fuggendo a piede e sanguinando il piano. (sanguinando) la terra (il piano). Qui persi la vista e la voce (parola)
Quivi perdei la vista e la parola [: svenni]; morii (fini’) invocando il (nel) nome di Maria [Vergine], e
nel nome di Maria fini’, e quivi qui caddi, e il mio corpo rimase solo [: senza più l’anima].
102 caddi, e rimase la mia carne sola.
vv. 79-80 Mira...Oriaco: Mira e Oriaco sono Dante ha già incontrato all’Inferno), un valo- celebre battaglia tra guelfi e ghibellini.
due paesi nel padovano. roso condottiero ghibellino. Nel 1289 combat- v. 94 Casentino: una regione che si trova nel
vv. 82-84 Corsi...laco: inseguito dai sicari, té nella battaglia di Campaldino (a cui Dante Nord-est della Toscana, tra Firenze e Arezzo.
Iacopo tenta inutilmente di sfuggire cercan- aveva partecipato, militando fra i guelfi). vv. 97-102 Là ’ve...sola: alla confluenza tra
do riparo in una palude: ma inciampa, cade vv. 91-93 «Qual forza...sepultura?»: il cor- l’Archiano e l’Arno Buonconte giunge ferito
e, raggiunto, viene ucciso. po di Buonconte non fu ritrovato dopo la e dissanguato: perde i sensi e cade morto a
v. 88 Io fui...Bonconte: Buonconte da Mon- battaglia. Campaldino è la pianura del Val- terra affidandosi, in un estremo pentimen-
tefeltro, fu, come il padre (il conte Guido che darno, in Toscana, dove nel 1289 si svolse la to, alla Madonna.
259
PARTE PRIMA Il Medioevo
Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi: 103-108 Io [: Buonconte] [ti] dirò [ora] la verità (vero), e tu ripetila (ri-
dì) fra i vivi: un angelo di Dio mi prese, e quello dell’Inferno [: il diavolo]
l’angel di Dio mi prese, e quel d’Inferno
TESTO GUIDA
vv. 104-108 l’angel di Dio...governo!: mor- perdono divino. di Pia è condensata in questo verso fondato
to Buonconte, la sua anima viene presa da v. 116 da Pratomagno al gran giogo: i due sulla figura del chiasmo: in questo contesto
un angelo. Il demonio considera questo riferimenti delimitano l’intera regione del i termini Siena e Maremma sono posti sim-
atto un furto, poiché Buonconte era stato Casentino. metricamente alle due estremità del verso,
un peccatore, nonostante il pentimento v. 133 la Pia: Pia de’ Tolomei. Senese, dopo mentre i predicati sono posti nella parte
finale. lagrimetta: l’uso del diminutivo, ol- le nozze fu assassinata dal marito Nello Pan- centrale.
tre a rivelare lo spregio da parte del demo- nocchieschi intorno al 1297, per gelosia o vv. 135-136 ’nnanellata...gemma: il marito
nio sconfitto, sottolinea la sproporzione forse perché egli voleva sposarsi con un’al- è indicato con una perifrasi che allude alla
tra il piccolo gesto umano necessario per tra donna. cerimonia simultanea della promessa di ma-
assicurarsi la salvezza e la grandezza del v. 134 Siena...Maremma: l’intera vicenda trimonio e del matrimonio.
260
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
TESTO GUIDA
all’opera Questo canto del Purgatorio illumina alcuni caratteri decisivi della seconda cantica della Com-
media, e innanzitutto lo speciale attaccamento alla terra che i personaggi incontrati conti-
nuano a manifestare. Il gruppo delle anime chiede all’unisono a Dante di portare loro notizie
tra i vivi (cfr. vv. 49-50); successivamente si fanno avanti tre spiriti che presentano richieste
simili: Iacopo del Cassero vuole che i parenti di Fano sappiano della sua condizioni e agevo-
lino con le loro preghiere il percorso di purificazione (cfr. vv. 70-72); Buonconte racconta la
propria vicenda affinché la verità sia conosciuta tra i vivi (cfr. v. 103); Pia de’ Tolomei racco-
manda al pellegrino di ricordarsi di lei una volta «tornato al mondo» (cfr. vv. 130-133). La
nostalgia per la vita mortale caratterizza le anime purgatoriali conferendo loro grande uma-
nità: in loro non c’è l’antagonismo verso il mondo che hanno testimoniato i dannati dell’In-
ferno; né ancora il sereno e definitivo distacco che riveleranno i beati. Gli spiriti del Purgatorio
mantengono con la realtà terrena un legame forte e complesso: da una parte, essi ora pos-
sono vedere appieno il senso delle cose, cogliere i propri limiti e aspirare alla perfezione cele-
ste; dall’altra, devono liberarsi delle proprie tendenze colpevoli ed elaborare un difficile
distacco dal mondo.
261
PARTE PRIMA Il Medioevo
stanno dalla parte del mondo e della storia e danno rilievo per contrasto all’intima solidarietà tra
il corpo e l’anima, che queste anime testimoniano in una forma di amorosa e severa nostalgia del
TESTO GUIDA
loro corpo […]. Dall’inferno della totale reciproca estraneità tra anima e corpo […] al purgatorio
dell’intima compenetrazione, sospesa per violenza ma già destinata alla suprema dignità del
ricongiungimento […].
Il canto quinto del Purgatorio, e soprattutto la sua seconda e più ampia parte, non possono essere
letti adeguatamente […] se non si coglie in trasparenza la novità dell’antropologia cristiana, la fede
nella consistenza del corpo destinato alla resurrezione, che ne fa un oggetto personalizzato d’odio e
d’amore, un elemento essenziale del composto umano, sì che ogni offesa ad esso arrecata è insieme
offesa alla totalità dell’immagine umana.
da A. Jacomuzzi, L’Imago al Cerchio e altri studi sulla Divina Commedia, Franco Angeli, Milano 1995.
262
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
TESTO GUIDA
vantaggioso per le anime (cfr. il v. 36)?
1. Chi sono le «genti» (v. 23) che Dante incontra in que-
sto canto?
ANALISI
a. spiriti che non hanno saputo perdonare i loro
assassini 4. Quali sono le richieste che i tre personaggi rivolgo-
no a Dante? Rintraccia le risposte nel testo.
b. anime di morti per violenza, pentiti in fin di vita
c. nemici politici, morti in battaglia 5. Il tema del corpo è al centro di questo episodio.
Perché? Sottolinea nel testo gli elementi che lo dimo-
d. spiriti di suicidi
strano.
2. Riassumere Assegna un titolo alle sequenze in-
dicate e fornisci per ciascuna un breve riassunto del INTERPRETAZIONE E COMMENTO
contenuto in una tabella come quella proposta. 6. Chiarisci in quale senso anche questo canto af-
vv. 1-21 fronta il tema politico che attraversa tutta la Comme-
dia.
vv. 22-45
vv. 46-63
vv. 64-84
vv. 85-129
vv. 130-136
OLTRE IL TESTO
1. Lavorare con la videolezione
DIGIT VIDEOLEZIONE
Analisi del testo di Pietro Cataldi
In questa videolezione Cataldi analizza le modalità con cui Dante riflette sul tema della morte, intesa in una
prospettiva religiosa come momento dell’illuminazione del divino e, insieme, come esperienza radicale, come
occasione per dare un senso all’esistere e ridefinire la propria identità.
Dopo aver ascoltato la videolezione, scegli una poesia o una canzone di un autore contemporaneo che ha per
tema la morte e confronta il testo moderno con quello dantesco, evidenziandone gli elementi di distanza e gli
eventuali punti di vicinanza.
a. commenta l’intervento di Auerbach, esprimendo anche il tuo personale parere di lettore di fronte ai versi
danteschi dedicati a Pia
b. proponi un’attualizzazione della vicenda di Pia
c. fa’ una ricerca per conoscere le principali riprese di questa affascinate figura nell’arte e nella letteratura.
263
PARTE PRIMA Il Medioevo
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
Racconti di morte
Quelli di Jacopo, Buonconte e Pia sono memorabili rac- sca di far parlare i morti: basti pensare al poeta Edgar
conti di morte. D’altra parte, solo la letteratura e le Lee Masters (1868-1950), definito il Dante americano,
opere di finzione sono riuscite a rappresentare, nei autore dell’Antologia di Spoon River (1915), intera-
modi più svariati, la morte dal punto di vista del mente costruita sulle voci in prima persona dei defunti
morente. Si tratta dell’assunzione di una prospettiva di una piccola comunità dell’Illinois. È attraverso il rac-
inconsueta, che riesce a dare a questi racconti in presa conto che i morti riacquistano il senso pieno della loro
diretta una grande potenza visionaria. Anche in questo esistenza. E infatti la morte è definita dallo storico Phi-
campo Dante costituisce un modello supremo, e lippe Arìes (1914-1984) come «il luogo in cui l’uomo ha
soprattutto nel Purgatorio, in cui emergono particolar- preso meglio coscienza di sé», là dove la vita trova il
mente il dolore e la nostalgia del trapasso. La poesia suo pieno significato e vengono selezionate le espe-
moderna ha attinto alla straordinaria capacità dante- rienze determinanti del proprio cammino umano.
WEBQUEST
Agli occhi dei loro contemporanei, la morte di Jacopo, Buonconte e Pia è una morte violenta che, in
quanto improvvisa, è esecrabile e dalla quale si chiedeva insistentemente a Dio di essere risparmiati (a
morte subitanea et improvisa, libera nos Domine).
Indubbiamente la percezione dell’esperienza della morte propria e altrui era diversa rispetto ad oggi:
nel mondo attuale la morte è stata “sterilizzata” e confinata nei luoghi ad essa deputati (ospedali, sale
del commiato…). Ma come era vissuta nel mondo che si rispecchia nell’universo cristiano dantesco?
Fai una breve ricerca sul web e individua modalità e riti del Medioevo attinenti al momento del trapasso.
264
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Sulla vetta del Purgatorio si trova il Paradiso terrestre. Qui, dopo aver assistito a un corteo sacro raffigu-
rante la storia della Chiesa, Dante vede apparire una donna velata in mezzo a una nuvola di fiori sparsi
dagli angeli: è la sua amata Beatrice. Il poeta, riconoscendola, è così turbato da cercare l’aiuto di Virgilio.
Ma questi è scomparso; e così Dante si mette a piangere. Beatrice lo rimprovera. Dante, vergognandose-
ne, piange ancora più angosciosamente. Allora la donna, rivolgendosi agli angeli lì presenti, spiega le ra-
gioni della propria durezza: nascendo, Dante aveva ricevuto grandi doni dal cielo; finché Beatrice visse,
si era comportato rettamente; ma alla sua morte, anziché volgersi ai beni ultraterreni ispirato dal ricordo
di lei, si era perduto inseguendo ingannevoli beni terreni. Se lei non si fosse mossa in suo aiuto, facendo-
lo viaggiare nell’aldilà guidato da Virgilio, egli si sarebbe dannato. Ora è bene che si penta, per rendersi
degno del perdono di Dio.
I TEMI l’assenza di Virgilio l’incontro con l’amata il ruolo di guida di Beatrice lo smarrimento morale di Dante
PARAFRASI
Io vidi già nel cominciar del giorno 22-33 Io vidi già, all’inizio (nel cominciar) del giorno, la parte orien
la parte oriental tutta rosata, tale [del cielo] tutta rosata e l’altra [parte del] cielo [: quella occidenta-
le] adornata da un bel sereno; e [vidi] la faccia [: cioè il disco] del sole
24 e l’altro ciel di bel sereno addorno; sorgere velata (ombrata), di modo (sì) che, per [l’effetto di] attenua-
e la faccia del sol nascere ombrata, zione (temperanza) dei vapori, l’occhio la [: la faccia del sole] riusciva
sì che per temperanza di vapori a sopportare (sostenea) [per] lungo tratto (fiata): allo stesso modo
(così), in una nuvola di fiori che saliva dalle mani degli angeli e ricade
27 l’occhio la sostenea lunga fiata:
va in giù, dentro e fuori [del carro del corteo allegorico], mi apparve
così dentro una nuvola di fiori una donna, cinta [: incoronata] di [una fronda di] olivo sopra un bian-
che da le mani angeliche saliva co (candido) velo [e] vestita del colore di una fiamma ardente (viva)
[: di rosso fuoco] sotto il verde manto.
30 e ricadeva in giù dentro e di fori,
sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
33 vestita di color di fiamma viva.
E lo spirito mio, che già cotanto 34-39 E il mio spirito, che già da così tanto tempo non era stato abbat-
tempo era stato ch’a la sua presenza tuto (era... affranto), tremando, per ammirazione (di stupor) alla sua
[: di Beatrice] presenza, senza avere maggiore (più) conoscenza [di lei]
36 non era di stupor, tremando, affranto, dagli occhi [: senza che la riconoscessi ma semplicemente guardandola],
sanza de li occhi aver più conoscenza, per un misterioso (occulta) potere (virtù) che venne (mosse) da lei,
per occulta virtù che da lei mosse, sentì la grande potenza dell’antico amore.
39 d’antico amor sentì la gran potenza.
Tosto che ne la vista mi percosse 40-48 Non appena (Tosto che) mi colpì (percosse) negli occhi (ne la
l’alta virtù che già m’avea trafitto vista) il nobile valore (l’alta virtù) che mi aveva già ferito (trafitto) [il
cuore] prima che io uscissi (fuor... fosse) dall’infanzia (puerizia)
42 prima ch’io fuor di puerizia fosse, [: quando ero ancora bambino], mi girai (volsimi) a sinistra con l’atteg-
volsimi a la sinistra col respitto giamento (respitto) con il quale il bambino (fantolin) corre dalla
col quale il fantolin corre a la mamma mamma quando ha paura o quando è in pena (afflitto), per dire a Vir-
gilio: «Mi è rimasta meno che una goccia (dramma) [: non mi è rimasta
45 quando ha paura o quando elli è afflitto, neppure una goccia] di sangue che non tremi: riconosco i segni dell’an-
per dicere a Virgilio: ‘Men che dramma tico amore (fiamma [: d’amore])».
di sangue m’è rimaso che non tremi:
48 conosco i segni de l’antica fiamma’.
vv. 22-33 Io vidi già...di fiamma viva: la si del manto e dell’abito della donna alludono l’intenso turbamento amoroso che, secon
militudine del sorgere del sole è tra le più alle tre virtù teologali (e Beatrice rappre do lo Stil novo, la vista della donna amata
belle e più celebri del poema. È evidente il senta appunto la teologia): il bianco indica provoca.
suo significato mistico: Beatrice viene para la fede, il verde la speranza, il rosso la carità. v. 46 dramma: si tratta di un’unità di peso
gonata al sole che appare tra le nuvole, come La corona di olivo rappresenta la sapienza, minima (circa tre grammi).
Cristo nella tradizione cristiana (le Scrittu in quanto pianta sacra a Minerva, che ne era v. 48 conosco...fiamma: Dante traduce qui
re dicono infatti che il figlio di Dio ascese al dea (cfr. v. 68). letteralmente un verso dell’Eneide di Virgilio,
cielo in una nuvola, e tra le nuvole tornerà v. 39 antico amor: Beatrice morì nel 1290 pronunciato dalla regina Didone che si sco
l’ultimo giorno). Inoltre, i colori del velo, e da allora Dante non aveva più provato pre innamorata di Enea (cfr. Eneide IV, 23).
265
PARTE PRIMA Il Medioevo
TEMPO
La mattina del mercoledì 13 aprile del 1300
LUOGO
Il Paradiso terrestre
PERSONAGGI E FIGURE
• Dante
• Beatrice
• Angeli e anziani
Ma Virgilio n’avea lasciati scemi 49-54 Ma Virgilio, Virgilio padre dolcissimo, Virgilio a cui mi ero affi-
dato (die’mi) per la mia salvezza (salute), ci [: Dante e Stazio] aveva
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
abbandonati (lasciati scemi di sé); né tutto quello che (quantunque)
51 Virgilio a cui per mia salute die’mi; aveva perduto (perdeo) l’antica madre [dell’umanità] [: e neppure le
né quantunque perdeo l’antica matre, bellezze del Paradiso terrestre, da cui Eva era stata cacciata] riuscì a
valse a le guance nette di rugiada, [fare in modo] che (valse a... che) le [mie] guance, pulite (nette) con la
rugiada, non tornassero sporche (atre) per il pianto (lagrimando).
54 che, lagrimando, non tornasser atre.
«Dante, perché Virgilio se ne vada, 55-57 [Beatrice disse:] «Dante, non piangere ancora (anco), non
non pianger anco, non piangere ancora; piangere ancora perché Virgilio se ne è andato (se ne vada); poiché de-
vi (ti conven) piangere per [ben] altro dolore (spada)».
57 ché pianger ti conven per altra spada».
Quasi ammiraglio che in poppa e in prora 58-66 Come (Quasi) un ammiraglio che, da poppa e da prua, va a controlla-
viene a veder la gente che ministra re (viene a veder) l’equipaggio (gente) che lavora (ministra) sugli (per li) altri
vascelli (legni), e lo incoraggia (incora) a lavorare bene; [così,] quando mi gi-
60 per li altri legni, e a ben far l’incora; rai al suono del mio nome, che viene citato (si registra) qui per necessità,
in su la sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
63 che di necessità qui si registra,
vv. 52-54 né quantunque...atre: il pianto di volto con la rugiada (come è raccontato nel dievale condannava come atto di vanità il
Dante per la scomparsa di Virgilio sembra primo canto del Purgatorio). nominare se stessi nelle proprie opere; ma
contrastare con la gioia che dovrebbe deri- v. 61 carro: è quello del corteo allegorico qui Dante lo fa, al contrario, per umiliarsi (il
vare dalla vista delle bellezze del Paradiso raffigurante la storia della Chiesa, descritto nome, difatti, rende più diretta la condanna
terrestre e dal termine del suo viaggio di pu- da Dante nel canto precedente. che Beatrice gli rivolge).
rificazione, all’inizio del quale si era lavato il vv. 62-63 al suon...registra: la retorica me-
266
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
vidi la donna che pria m’appario vidi che sul bordo (in su la sponda) sinistro del carro [del corteo allegorico]
rivolgeva lo sguardo (drizzar li occhi) verso di me, [che ero al] di qua del ru-
velata sotto l’angelica festa,
scello (rio), la donna che prima (pria) mi era apparsa (appario) velata sotto
66 drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio. [i fiori gettati in segno di] festa dagli angeli (sotto l’angelica festa).
Tutto che ’l vel che le scendea di testa, 67-72 Sebbene (Tutto che) il velo che le scendeva dalla testa, cinto (cer-
cerchiato de le fronde di Minerva, chiato) dai rami (fronde) [dell’albero sacro a] Minerva [: da una corona di
ulivo], non la lasciasse apparire chiaramente (parer manifesta), sempre
69 non la lasciasse parer manifesta,
(ancor) altera (proterva) nell’atteggiamento (ne l’atto), come una regina
regalmente ne l’atto ancor proterva (regalmente), continuò come chi (colui che) parla e conserva (reserva)
continuò come colui che dice le parole più aspre (’l più caldo parlar) per dopo (dietro) [: come l’oratore,
72 e ’l più caldo parlar dietro reserva: che lascia per ultimo l’argomento più importante e stringente].
«Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice. 73-75 «Guarda bene qui! Sono davvero (Ben), sono davvero Beatrice.
Come hai potuto ritenerti degno di salire (accedere) al monte [del
Come degnasti d’accedere al monte?
Purgatorio]? non sapevi che qui l’uomo è felice?».
75 non sapei tu che qui è l’uom felice?».
Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; 76-78 Gli occhi mi si abbassarono (cadder giù) verso il limpido ru-
ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba, scello (nel chiaro fonte); ma vedendomi [specchiato] in esso, li portai
(i trassi) verso l’erba, tanto [grande era] la vergogna [che] mi pesò
78 tanta vergogna mi gravò la fronte. (gravò) sul volto (la fronte).
Così la madre al figlio par superba, 79-81 Lei [: Beatrice] sembrò (parve) a me [dura] così come sembra
com’ella parve a me; perché d’amaro dura (superba) la madre al figlio; perché il sapore dell’affetto (pietade)
81 sente il sapor de la pietade acerba. [che si esprime in modo] aspro (acerba) sa (sente) di amaro.
Ella si tacque; e li angeli cantaro 82-84 Lei tacque; e subito gli angeli cantarono [il salmo] ‘In te, Signo-
di subito ‘In te, Domine, speravi’; re (Domine), ho sperato (speravi)’; ma non andarono (passaro) oltre
[il versetto che dice] ‘i miei piedi (pedes meos)’.
84 ma oltre ‘pedes meos’ non passaro.
Sì come neve tra le vive travi 85-99 Così come, lungo il dorso (per lo dosso) d’Italia [: sull’Appenni-
per lo dosso d’Italia si congela, no, che attraversa l’Italia in lunghezza], [la] neve si congela fra i rami
(travi) [ancora] vivi, sospinta dal soffio (soffiata) e radunata (stretta)
87 soffiata e stretta da li venti schiavi, dai venti della Schiavonia (schiavi) [: di nord-est], poi, scioltasi (lique-
poi, liquefatta, in sé stessa trapela, fatta), gocciola (trapela) su se stessa, non appena (pur che) la terra in
pur che la terra che perde ombra spiri, cui le ombre sono più corte (che perde ombra) [: i paesi del Sud] mandi-
no i loro venti [caldi] (spiri), così che sembra fuoco che fonde una cande-
90 sì che par foco fonder la candela; la; così restai (fui) senza lacrime e sospiri prima che cantassero (anzi ’l
così fui sanza lagrime e sospiri cantar) coloro (quei) [: gli angeli] che si accordano (notan...dietro) sem-
anzi ’l cantar di quei che notan sempre pre alle note delle eterne sfere (giri) [dei cieli] [: che cantano sempre in
accordo alla musica prodotta dal ruotare dei cieli, che è segno della vo-
93 dietro a le note de li etterni giri;
lontà di Dio]; ma dopo che sentii (’ntesi) [che] essi (lor) [: gli angeli] con
ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre (ne) le dolci armonie (tempre) compativano me, [allo] stesso (par) [mo-
lor compatire a me, par che se detto do] che se avessero detto [a Beatrice]: ‘Donna, perché lo rimproveri
93 avesser: ‘Donna, perché sì lo stempre?’, (stempre) così?’, il gelo che mi [si] era raccolto (ristretto) intorno al
cuore diventò (fessi) sospiri (spirito) e lacrime (acqua), e con angoscia
lo gel che m’era intorno al cor ristretto, uscì dal petto attraverso la bocca e attraverso gli occhi.
spirito e acqua fessi, e con angoscia
99 de la bocca e de li occhi uscì del petto.
v. 66 rio: il fiume Lete. Chi beve la sua ac- tenga presente che il Paradiso terrestre era zio del Salmo 30 della Bibbia, con il quale il
qua dimentica i peccati commessi. stato creato per un’umanità pura e felice. fedele ringrazia Dio, in cui aveva riposto le
vv. 73-75 «Guardaci...felice?»: Beatrice, vv. 76-78 Li occhi...fronte: l’atto di specchiarsi sue speranze, di averlo salvato. Esso prean-
allegoria della fede, sembra dire: «Guarda indica, allegoricamente, la presa di coscienza. nuncia il perdono che sarà concesso a Dante.
bene qua, è qui la tua amata Beatrice! Final- vv. 82-84 li angeli...passaro: gli angeli inter- v. 87 venti schiavi: venti della Schiavonia.
mente ti sei degnato di venire! Eppure sape- cedono per Dante di fronte a Beatrice (cfr. Schiavonia è l’antica designazione delle ter-
vi già da tempo che qui è la vera felicità». Si anche vv. 94-96). Quello che cantano è l’ini- re slave di nord-est che danno sull’Adriatico.
267
PARTE PRIMA Il Medioevo
Ella, pur ferma in su la detta coscia 100-102 Lei [: Beatrice], stando ancora (pur) ferma sul lato (coscia) [che ho
già] detto del carro [del corteo allegorico] [: quello sinistro; (cfr. v. 61), dopo
del carro stando, a le sustanze pie
(poscia) rivolse così le sue parole agli esseri (sustanze) pietosi [: agli angeli].
102 volse le sue parole così poscia:
«Voi vigilate ne l’etterno die, 103-108 «Voi vegliate in un giorno (die) eterno [: vivete nell’eternità],
sì che notte né sonno a voi non fura così che [né la] notte né [il] sonno nascondono (non fura) a voi [neppure
un solo] passo che il mondo terreno (secol) compia (faccia) nel suo corso
105 passo che faccia il secol per sue vie; (per sue vie) [: neppure la minima cosa che accada in terra]; perciò (onde)
onde la mia risposta è con più cura la mia risposta è [data] soprattutto con l’intento (con più cura) che mi ca-
che m’intenda colui che di là piagne, pisca (intenda) colui che piange di là [del ruscello] [: Dante], perché la
[sua] colpa e il [suo] dolore (duol) [per quella colpa] siano della stessa (d’u-
108 perché sia colpa e duol d’una misura. na) grandezza (misura) [: siano pari].
Non pur per ovra de le rote magne, 109-117 Non solo (pur) per opera (ovra) delle grandi sfere (rote magne) [dei
che drizzan ciascun seme ad alcun fine cieli] [: per un benevolo influsso astrale], che indirizzano (drizzan) il principio
111 secondo che le stelle son compagne, di ciascuna cosa (seme) a un certo fine a seconda delle stelle che stanno con-
giunte (son compagne) [al momento del concepimento], ma [anche] per l’ab-
ma per larghezza di grazie divine, bondanza (larghezza) dei doni (grazie) divini, che nella loro manifestazione
che sì alti vapori hanno a lor piova, (piova = ‘pioggia’) hanno un’origine (vapori = ‘nuvole’) così alta che i nostri
114 che nostre viste là non van vicine, sguardi (viste) non vi si avvicinano [neppure] (non van vicine) vicino ad essa
(là) [: cioè per l’abbondanza dei doni che provengono da Dio, cui il nostro intel-
questi fu tal ne la sua vita nova letto non può giungere], costui (questi) [: Dante] fu potenzialmente (virtual-
virtualmente, ch’ogne abito destro mente) nella sua gioventù (vita nova) tale che ogni buona attitudine (abito
117 fatto averebbe in lui mirabil prova. destro) avrebbe dato (fatto) in lui risultati ammirevoli (mirabil prova).
Ma tanto più maligno e più silvestro 118-120 Ma il terreno che riceve (col) un seme cattivo e [che non viene] col-
si fa ’l terren col mal seme e non cólto, tivato (cólto) diventa (si fa) tanto più cattivo (maligno) e selvatico (silvestro)
quanto più esso (elli) ha un buon vigore naturale (terrestro).
120 quant’elli ha più di buon vigor terrestro.
Alcun tempo il sostenni col mio volto: 121-123 [Io, Beatrice] gli fui d’aiuto (il sostenni) [per] qualche tempo con il
mostrando li occhi giovanetti a lui, mio volto: mostrandogli i [miei] occhi di giovinetta, lo guidavo (menava) con
me (meco) rivolgendolo (vòlto) nella giusta direzione (in dritta parte).
123 meco il menava in dritta parte vòlto.
Sì tosto come in su la soglia fui 124-126 [Ma] non appena (Sì tosto) io fui all’inizio (in su la soglia) della mia
di mia seconda etade e mutai vita, giovinezza (di mia seconda etade) [: a venticinque anni] e cambiai vita [: mo-
rii], costui si distolse da me, e si diede a un’ altra (diessi altrui) [donna].
126 questi si tolse a me, e diessi altrui.
Quando di carne a spirto era salita 127-132 [Proprio] quando ero salita dalla [condizione di] corpo [mortale]
e bellezza e virtù cresciuta m’era, (carne) a [quella di] spirito [eterno], e in me [si] erano accresciute bellezza
e virtù, io gli [: a Dante] fui meno cara e meno gradita; ed [egli] indirizzò
129 fu’ io a lui men cara e men gradita; (volse) i suoi passi per una strada ingannevole (non vera), seguendo false
e volse i passi suoi per via non vera, immagini di bene [: cose che sembravano buone, e in realtà non lo erano],
imagini di ben seguendo false, che non mantengono interamente nessuna promessa (nulla promession)
[: niente di quello che promettono].
132 che nulla promession rendono intera.
Né l’impetrare ispirazion mi valse, 133-135 E non (Né) mi servì (valse) ottenere (impetrare) [da Dio] ispira-
con le quali e in sogno e altrimenti zioni [al bene], con le quali lo [: Dante] richiamai (rivocai) sia (e) in sogno
sia (e) con altri segni (altrimenti): così poco a lui importava (ne calse)!
135 lo rivocai; sì poco a lui ne calse!
Tanto giù cadde, che tutti argomenti 136-138 [Dante] cadde tanto in basso (giù) [a causa del peccato], che
a la salute sua eran già corti, tutti i rimedi (argomenti) per la sua salvezza (salute) sarebbero stati
(eran) ormai (già) inefficaci (corti), fuorché mostrargli le anime dannate
138 fuor che mostrarli le perdute genti. (perdute genti).
vv. 103-108 Voi vigilate...misura: gli angeli crescono più in un terreno già in sé ferti- come l’inizio della vera vita, quella eterna.
sanno già tutto, poiché partecipano dell’onni- le, che in uno sterile: cioè, quanto migliori vv. 130-132 e volse...intera: le false imma-
scienza di Dio; Beatrice dunque non risponde sono le predisposizioni di una persona, tan- gini di bene che Dante seguì sono sia espe-
per loro, ma per Dante, affinché egli prenda to peggiore sarà il male che egli potrà com- rienze mondane di peccato, sia esperienze
piena consapevolezza dei propri peccati. piere se non rivolge al bene le sue facoltà. intellettuali ingannevoli: le une e le altre
vv. 109-117 Non pur...prova: Dante è stato L’immagine dell’animo umano come terre- sono lontane da Dio, che è il sommo bene
favorito alla nascita da due elementi: l’in- no da seminare è evangelica. e l’unica verità.
flusso della costellazione dei Gemelli, sotto v. 121 Alcun tempo: cioè dal primo incontro, vv. 136-138 Tanto giù...genti: come è stato
cui è nato, che inclina agli studi e alle let- avvenuto nel 1274, alla morte della donna, già spiegato nel II canto dell’Inferno, solo la
tere; e la grazia di Dio, che gli ha dato virtù nel 1290. diretta visione della dannazione cui condu-
superiori alla media. v. 125 mutai vita: Beatrice indica cristiana- ce il peccato poteva indurre Dante a cambia-
vv. 118-120 Ma tanto...terrestro: le erbacce mente la propria morte, avvenuta nel 1290, re vita.
268
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Per questo visitai l’uscio d’i morti, 139-141 Perciò andai (visitai) all’ingresso (l’uscio) [del regno] dei danna-
ti (morti) [: nell’Inferno] e le mie preghiere (prieghi) furono rivolte (por-
e a colui che l’ha qua sù condotto,
ti), piangendo, a colui che lo ha condotto [fin] quassù [: a Virgilio].
141 li prieghi miei, piangendo, furon porti.
Alto fato di Dio sarebbe rotto, 142-145 Sarebbe infranto (rotto) l’alto volere (fato) di Dio se si attraver-
sasse [il fiume] Lete [: se Dante attraversasse il Lete] e quell’acqua (e tal vi-
se Leté si passasse e tal vivanda
vanda) fosse gustata senza [pagare] alcun prezzo (scotto) di pentimento
144 fosse gustata sanza alcuno scotto che faccia versare (spanda) lacrime.
di pentimento che lagrime spanda».
D. Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, cit.
vv. 139-141 Per questo...porti: nuovo richiamo al II canto dell’In- vv. 142-145 Alto fato...spanda: prima di attraversare il fiume Lete,
ferno: Beatrice è scesa dal cielo per chiedere a Virgilio di soccorrere che dona la dimenticanza dei peccati commessi, è necessario rico-
Dante nella selva e guidarlo fino a lei attraverso Inferno e Purgatorio. noscerli apertamente ed esserne pentiti; e questo è il volere di Dio.
ANALISI Un canto solenne La solenne apparizione di Beatrice richiede un supremo impegno stili-
stico. Compaiono citazioni latine, tratte sia dalla Bibbia (vv. 83-84, 118-120) sia dall’Eneide
di Virgilio (v. 48). Anche la sintassi ampia e potente (vv. 22-33, 85-99) e il lessico sono spesso
calcati sul modello latino. D’altro canto vengono riprese alcune immagini ed espressioni tra-
dizionali della lirica d’amore: per esempio, lo «spirito... affranto» e il tremore di fronte all’ap-
parizione della donna (al v. 32, «donna m’apparve» è citazione da Guido Cavalcanti).
Il tono solenne del canto è dato anche dalla ricchezza delle similitudini. Ai vv. 22-33, per esem-
pio, il ricadere dei fiori forma una nuvola che vela la vista di Dante, come, all’alba, la foschia
vela il sole e permette all’occhio di fissarlo (la similitudine si sofferma sul paesaggio con il
tono di commossa dolcezza tipico del Purgatorio). Ai vv. 58-60, Beatrice è paragonata a un
ammiraglio che esorta i marinai al lavoro; mentre ai vv. 79-81 la donna è rappresentata come
una madre dura e affettuosa. Infine, ai vv. 85-99 si sviluppa un’articolata similitudine sul
pianto fondata sull’immagine del disgelo nei monti dell’Appennino.
INTERPRETAZIONE Il cambio di guide: dalla ragione alla fede Benché dolorosa, la separazione di Dante dalla
E COMMENTO figura paterna di Virgilio appare necessaria a questo punto del viaggio. La ripetizione del nome
di Virgilio per ben tre volte (vv. 49-51) acquista i toni di un commosso congedo e di un affet-
tuoso e riconoscente omaggio del discepolo al maestro. Il fatto che Dante, proprio all’apparire
di Beatrice, si accorga della sparizione di Virgilio ha poi un importante valore allegorico: Dante,
condotto dalla ragione umana (rappresentata appunto da Virgilio) alla soglia della beatitudine,
per proseguire deve ora affidarsi alla fede e alla teologia, entrambe personificate nella figura
di Beatrice. Si noti poi la coerenza allegorica dei versi danteschi: il ruolo di guida passa dal
«dolcissimo patre» Virgilio/ragione (v. 50) alla «madre... superba» Beatrice/fede (v. 79). Infine,
sul piano culturale il passaggio di consegne dalla ragione alla fede rappresenta l’affermazione
del limite della tradizione classica e della sapienza pagana (pure largamente ammirate da
Dante) e il trionfo della verità divina rivelata dal cristianesimo.
269
PARTE PRIMA Il Medioevo
Un canto autobiografico? Nella Commedia il XXX canto del Purgatorio è fra quelli che di più
fanno riferimento alla storia personale di Dante e che più insistono sulla sua emotività: non a
caso al v. 55 compare per la prima volta il nome del poeta, duramente richiamato da Beatrice.
La beata ricorda la giovinezza di Dante, la propensione del poeta agli studi e alle lettere, l’a-
more per un’altra donna e il suo traviamento. Ma questi elementi della biografia dantesca
vanno interpretati anche come tappe generali della storia di un’umanità che, pur assistita
dalla benevolenza divina, si perde nel peccato.
Una nuova Beatrice La Beatrice rappresentata in questo canto è molto diversa da quella
incontrata nella Vita nuova. La donna non è più un’apparizione muta e irraggiungibile, da con-
templare da lontano, ma una presenza concreta che prende la parola e si rivolge a Dante
con tono severo e materno. Lo scopo che si prefigge è ben definito: introdurre il suo «fedele»
alla salvezza e guidarlo verso il cielo. Accolta dal tripudio degli angeli, paragonata al sole
nascente e vestita dei colori delle virtù teologali, Beatrice è figura di Cristo: ha infatti nella
storia personale di Dante la stessa funzione di redenzione che il Salvatore ha nella storia
dell’umanità.
COMPRENSIONE b. Dante usa l’aggettivo “schiavo” (v. 87) nel suo si-
1. Riassumere Questo canto è dominato dall’imma- gnificato geografico primitivo, con riferimento alla
ginazione e dalle parole di Beatrice. Riassumi il conte- zona della Schiavonia. Fai una piccola ricerca di
nuto del lungo intervento della donna ai vv. 100-145. storia della lingua documentandoti sull’evoluzione
di questo termine così da spiegare lo slittamento
dal significato originario a quello attuale di ‘indivi-
ANALISI duo di condizione non libera’.
2. Lingua e stile Da che cosa dipende il tono 7. L’innalzamento del tono si manifesta anche nella
solenne che caratterizza questo canto? Fai qualche ricchezza delle similitudini: spiegale completando
esempio. una tabella come quella proposta.
3. Come appare Beatrice a Dante? Quale significato
hanno i colori dei vestiti e la corona d’olivo che indos- primo termine secondo termine
sa la donna? di paragone di paragone
4. Accortosi che il suo maestro è scomparso, Dante
ripete per ben tre volte il nome di Virgilio (vv. 49-51). similitudine
Quale funzione espressiva ha tale ripetizione? ai vv. 22-33
270
T22
TESTO GUIDA A colloquio con Cacciaguida
dal testo [Paradiso, XV, 85-138; XVII, 37-69 e 106-142]
alla storia
all’autore
ai temi
all’opera
al presente
Nel cielo di Marte a Dante appaiono gli spiriti che combatterono per la fede. Tra di essi è Cacciaguida, suo
trisavolo, che lo accoglie con grande gioia. Comincia così un lungo e commosso dialogo che si estende at-
traverso tre canti (XV-XVII). In esso verranno saldate, in un solo nodo, la vicenda personale del poeta, la
sua missione in quanto autore della Commedia e la sorte di Firenze, dell’Italia e dell’umanità traviata. Ven-
gono così intrecciati diversi motivi: la celebrazione della virtuosa Firenze antica; la successiva corruzione
della città dovuta all’ascesa di una classe borghese interessata solo al guadagno; la profezia dell’esilio di
Dante, che patisce in prima persona il disordine morale e politico dei suoi tempi; l’investitura a poeta ispi-
rato da Dio, che non teme di sfidare le ire dei contemporanei pur di richiamarli alla giustizia e al bene.
I TEMI la Firenze serena e onesta dei tempi di Cacciaguida la profezia dell’esilio la missione di Dante
PARAFRASI
CANTO XV CANTO XV
Ben supplico io a te, vivo topazio 85-87 Tuttavia (Ben) io supplico te [: Cacciaguida] perché tu mi ac-
contenti (facci… sazio) con il tuo nome [: dicendomi il tuo nome], [o
che questa gioia preziosa ingemmi, anima simile a uno] splendente (vivo) topazio [e] che abbellisci [come
87 perché mi facci del tuo nome sazio». una gemma] (ingemmi) questo prezioso gioiello (gioia) [: questa cro-
«O fronda mia in che io compiacemmi ce luminosa formata dai beati].
pur aspettando, io fui la tua radice»: 88-90 Rispondendo [Cacciaguida] mi fece (femmi) questo (cotal)
[discorso come] inizio (principio): «Io fui il tuo capostipite (radice), o
90 cotal principio, rispondendo, femmi. mio discendente (fronda = ‘ramo [del mio casato]’) di cui (in che) io mi
Poscia mi disse: «Quel da cui si dice rallegrai (compiacemmi), [anche] solo (pur) aspettandoti».
tua cognazione e che cent’ anni e piùe 91-96 Poi (Poscia) [Cacciaguida] mi disse: «Colui da cui ha nome (si
93 girato ha ’l monte in la prima cornice, dice) la tua famiglia (cognazione) [: colui che diede origine al tuo co-
gnome] e che ha girato cent’anni e più il monte [del Purgatorio] sulla
mio figlio fu e tuo bisavol fue: prima cornice [: tra i superbi], fu mio figlio e fu tuo bisavolo: è certo ne-
ben si convien che la lunga fatica cessario (ben si convien) che tu gli abbrevi (raccorci) la lunga pena
96 tu li raccorci con l’opere tue. (fatica) con le tue opere [di carità].
Fiorenza dentro da la cerchia antica, 97-99 [A quei tempi] Firenze, [tutta raccolta] dentro l’antica cerchia
ond’ella toglie ancora e terza e nona, [di mura], da cui essa (ond’ella) prende (toglie) ancora [oggi il suono]
sia (e) [dell’ora] terza sia (e) [dell’ora] nona, stava in pace, sobria [: lon-
99 si stava in pace, sobria e pudica. tana da qualunque eccesso] e pudica.
Canto XV aveva fatto (cioè qual era il suo nome), ri- vero l’obbligo di portare sulle spalle pesan-
v. 85 te...topazio: si tratta di Cacciaguida, corre alla metafora dell’albero genealogico e tissimi massi per tener basso il capo, in vita
trisavolo di Dante, nato nel 1091 a Firenze. perciò parla di fronda e di radice. rivolto verso l’alto a causa dell’orgoglio di sé.
Cacciaguida si mise al seguito di Corrado III, v. 91 Quel: il figlio di Cacciaguida, ovvero il bi- v. 97 Fiorenza: inizia qui la contrapposizio-
imperatore dal 1138 al 1152, e partecipò con snonno di Dante, si chiamava Alighiero I (nome ne tra la serenità della Firenze del XII secolo
lui alla seconda crociata (1147-1149), nel ten- dal quale deriva il cognome del poeta). Morto e la sua degradazione successiva.
tativo di liberare con un esercito cristiano la da più di cent’anni (quindi prima del 1200, dato v. 98 ancora e terza e nona: ancora oggi; il
Terra Santa dal dominio musulmano. E da che il viaggio si compie nel 1300), Alighiero è suono delle campane, che chiama alla pre-
Corrado ricevette il titolo di cavaliere. Morì ora in Purgatorio fra i superbi. Dante ne dovrà ghiera e al lavoro, sembra l’ultimo valore
al suo seguito intorno al 1148. Il topazio è accorciare le pene compiendo opere buone in dell’antica civiltà fiorentina ancora ritenuto
una pietra preziosa per lo più di colore giallo. sua memoria. Da Alighiero I nacque Bellincio- valido ai tempi di Dante. terza e nona sono
vv. 88-89 fronda...radice: Cacciaguida, ne e da questi Alighiero II, padre di Dante. le ore canoniche (rispettivamente le nove
rispondendo alla domanda che Dante gli v. 95 lunga fatica: è la pena dei superbi, ov- del mattino e le tre del pomeriggio).
271
PARTE PRIMA Il Medioevo
TEMPO
TESTO GUIDA
Non avea catenella, non corona, 100-102 Non c’erano (avea) catenelle [: collane e bracciali], non [c’erano]
corone, non [c’erano] gonne ricamate (contigiate), non [c’erano] cinture
non gonne contigiate, non cintura
che mettessero in mostra (fosse a veder) più di quanto la persona [fosse re-
102 che fosse a veder più che la persona. almente].
Non faceva, nascendo, ancor paura 103-105 La figlia, nascendo, non faceva ancora paura al padre, poiché
la figlia al padre, ché ’l tempo e la dote l’età [del matrimonio] e la dote non oltrepassavano (fuggien) la [giu-
105 non fuggien quinci e quindi la misura. sta] misura da una parte (quinci) [: l’età essendo troppo bassa] e dall’al-
tra (quindi) [: la dote essendo molto alta].
Non avea case di famiglia vòte;
106-108 Non c’erano (avea) case prive (vòte = ‘vuote’) di abitanti (fa-
non v’era giunto ancor Sardanapalo miglia); non era ancora arrivato Sardanapalo [: la dissoluzione] a mo-
108 a mostrar ciò che ’n camera si puote. strare ciò che si può [fare] [nel segreto della propria] camera.
Non era vinto ancora Montemalo 109-111 Monte Mario (Montemalo) [a Roma] non era ancora stato
dal vostro Uccellatoio, che, com’è vinto superato (vinto) dal vostro [: di voi fiorentini contemporanei] [mon-
te] Uccellatoio, che, come è stato superato nel salire (montar sù), così
111 nel montar sù, così sarà nel calo. sarà [superato] nella decadenza (calo).
vv. 100-102 Non avea...persona: questi v. 106 Non avea...vòte: il verso può essere pare spesso come esempio di sfrenatezza
versi chiariscono i termini sobria e pudica interpretato in vari modi: le case attuali sessuale.
presenti al v. 99: in essi vengono condan- sono così ricche da risultare troppo grandi vv. 109-110 Montemalo...Uccellatoio: sono
nati i lussi e soprattutto lo sfarzo degli abiti per coloro che le abitano; oppure, non si due colli, rispettivamente di Roma e di Fi-
femminili. La ripetizione (anafora) del non fanno più figli, perché la lussuria si sfoga renze, da cui si può vedere l’estensione delle
rafforza la contrapposizione tra la valorosa altrimenti; o, infine, le guerre civili hanno due città. Qui si allude al fatto che Firenze
Firenze antica e la corrotta Firenze di inizio svuotato Firenze. è diventata più ricca e fastosa di Roma; ma
Trecento. v. 107 Sardanapalo: il re assiro che com- decadrà anche più rapidamente di essa.
272
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Bellincion Berti vid’io andar cinto 112-117 Io vidi Bellincione Berti andare vestito (cinto) di cuoio e di
osso [: di vestiti umilissimi] e sua moglie venire allo specchio senza il
di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio
TESTO GUIDA
viso truccato (dipinto); e vidi quello dei (d’i) Nerli e quello del Vecchio
114 la donna sua sanza ’l viso dipinto; [: i membri delle famiglie Nerli e Vecchietti] essere contenti di pelli
e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio senza fodera (scoperta), e le loro donne [essere contente] del fuso e
esser contenti a la pelle scoperta, del pennacchio [: di stare a filare].
vv. 112-115 Bellincion...Vecchio: Berti, (Corniglia), madre dei Gracchi. do finalmente alla domanda che Dante gli
Nerli e Vecchietti erano famiglie potenti al vv. 130-135 A così riposato...Cacciaguida: aveva fatto al v. 87.
tempo di Cacciaguida, ma che vivevano con la celebrazione di Firenze antica tocca qui v. 138 e quindi...si feo: la moglie di Caccia-
umiltà e decenza. il suo momento più intenso, sottolineato guida, probabilmente di origine ferrarese,
vv. 118-120 ciascuna...diserta: tra i motivi dall’anafora di A così. Il Batisteo è quello di apparteneva alla famiglia degli Aldighieri.
di sventura delle donne fiorentine Dante ne san Giovanni, tuttora davanti al duomo di La coppia ebbe due figli: Preitenitto e Ali-
indica due: gli esili, conseguenza delle guer- Santa Maria del Fiore a Firenze. Cacciagui- ghiero (o Aldighiero). Il nome del secondo
re civili, e i commerci, che portavano spesso da fa il proprio nome solo ora, risponden- figlio diede origine al cognome di Dante.
i mariti verso la Francia. LA LINGUA NEL TEMPO
vv. 127-129 Saria...Corniglia: ovvero, se
un tempo ci si sarebbe stupiti dei disonesti, Ostello Il sostantivo «ostello» (v. 132) è il corrispettivo del francese hôtel, ormai diffuso interna-
ora ci si stupisce degli onesti, tanto sono zionalmente. Il termine deriva dall’antico francese ostel, che viene a sua volta dal latino tardo hospi-
pochi. Esempi di disonesti sono i fiorentini talem (da cui viene anche l’italiano ospedale), aggettivo connesso a hospes, hospitis, ‘ospite’, cioè
Cianghella e Lapo Salterello, contempora- ‘chi dà o riceve ospitalità’. In italiano antico e letterario, “ostello” vale genericamente ‘dimora, allog-
nei di Dante. Esempi di virtù sono, invece, gio’. Oggi il termine sopravvive solo nella locuzione “ostello della gioventù”, che designa gli alberghi
due personaggi vissuti ai tempi dell’antica a prezzi ridotti per giovani turisti. Dalla stessa parola latina, sempre tramite il francese antico, si
Roma, il dittatore Cincinnato e Cornelia hanno anche i termini osteria e oste, ‘chi gestisce un’osteria’ (dal fr. antico oste, moderno hôte).
FIGURE E QUESTIONI
Una biografia “universale” La città di Firenze, protagonista del XV e del XVI canto, nel XVII canto cede il posto a un suo cittadino: Dante. Se consideria-
mo Cacciaguida come una proiezione e un “doppio” del nipote, il loro dialogo appare in verità come un monologo di alta ispirazione autobiografica. I rife-
rimenti alla vita dell’autore – così come lui stesso la interpretò – costituiscono infatti il nucleo originario da cui nasce l’invenzione dei canti XVI e XVII e
dell’intera Commedia. Tuttavia, benché il tema autobiografico dell’esilio sia di enorme rilevanza per la comprensione del poema, con la profezia di Cac-
ciaguida Dante non intende sottolineare solo le proprie dolorose sventure, ma anche manifestare la certezza di essere parte di un processo storico ine-
vitabile, destinato a riaffermare – nonostante il sacrificio della propria esistenza – i valori eterni della civiltà cristiana e dell’Impero. La grandezza di Dan-
te, per quanto possa oggi apparire difficilmente comprensibile, sta proprio in questa capacità di concepire il momento biografico in una prospettiva sto-
rica e universale.
273
PARTE PRIMA Il Medioevo
de la vostra matera non si stende, stende) fuori dell’àmbito (quaderno, metafora) della vostra [: degli uomi-
ni] materia [terrena e mortale], è tutta [già] scritta (dipinta) nella mente
39 tutta è dipinta nel cospetto etterno: (nel cospetto) eterna [di Dio]; però non prende da ciò (quindi) [: da Dio]
necessità però quindi non prende [carattere di] necessità se non come una nave che scende giù [verso la val-
se non come dal viso in che si specchia le] lungo un fiume (per torrente) [prende carattere di necessità] dallo
sguardo (viso) nel quale si riflette (si specchia) [: che la osserva].
42 nave che per torrente giù discende.
Da indi, sì come viene ad orecchia 43-45 Da lì (indi) [: dalla mente divina], così come viene all’orecchio (ad
dolce armonia da organo, mi viene orecchia) una dolce armonia da un organo, mi viene alla vista il tempo che
ti [: Dante] si prepara (s’apparecchia).
45 a vista il tempo che ti s’apparecchia.
Qual si partio Ipolito d’Atene 46-48 Come Ippolito se ne andò (si partio) da Atene a causa della spieta-
per la spietata e perfida noverca, ta e perfida matrigna (noverca) [: Fedra], così ti sarà necessario (ti conve-
ne) partire da Firenze.
48 tal di Fiorenza partir ti convene.
Questo si vuole e questo già si cerca, 49-51 Già si vuole e già si cerca [di fare] questo [: la condanna e l’esilio di
e tosto verrà fatto a chi ciò pensa Dante], e presto (tosto) [questo] verrà fatto da (a) chi pensa [a] ciò [: dai
nemici tuoi e dei guelfi bianchi] là dove tutto il giorno (dì) [: sempre] si
51 là dove Cristo tutto dì si merca. mercanteggia (si merca) Cristo [: nella Curia pontificia].
La colpa seguirà la parte offensa 52-54 Come avviene (suol) [in questi casi] la colpa verrà [ingiustamente]
in grido, come suol; ma la vendetta attribuita (seguirà) dall’opinione pubblica (in grido) alla parte sconfitta
(offensa); ma la giusta punizione (vendetta) sarà testimonianza (fia testi-
54 fia testimonio al ver che la dispensa. monio) [davanti] alla verità (al ver) [: Dio] che la infligge (dispensa) [: la
verità divina darà prova di sé attraverso la punizione dei veri colpevoli].
Tu lascerai ogne cosa diletta 55-57 Tu dovrai abbandonare (lascerai) ogni cosa più caramente amata
più caramente; e questo è quello strale (diletta); e questa è quella freccia (strale, metafora) [: dolore] che l’arco
[: la sciagura] dell’esilio scocca (saetta) [: causa] per prima (pria) [: è il pri-
57 che l’arco de lo essilio pria saetta. mo dolore dell’esilio].
Tu proverai sì come sa di sale 58-60 Tu proverai [per diretta esperienza] quanto (sì come) sa di sale [: è
lo pane altrui, e come è duro calle amaro] il pane altrui, e come è duro [: doloroso] cammino (calle) lo scendere e
il salire per scale altrui [: che non appartengono alla propria casa].
60 lo scendere e ’l salir per l’altrui scale.
E quel che più ti graverà le spalle, 61-66 E ciò che più ti peserà (graverà) [sulle] spalle sarà la compagnia
sarà la compagnia malvagia e scempia malvagia e stolta (scempia) [: i Bianchi esiliati] con la quale tu cadrai in
questo precipizio (valle) [: l’esilio]; la quale (che) [compagnia] del tutto
63 con la qual tu cadrai in questa valle; (tutta) ingrata, del tutto folle (matta) e ingiusta (empia), si volgerà (farà)
che tutta ingrata, tutta matta ed empia contro di te; ma, poco dopo (appresso), essa, [e] non tu, ne avrà la testa
si farà contr’a te; ma, poco appresso, (tempia) rossa [di sangue].
66 ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.
Canto XVII prima di essere detta, nella volontà divina. zione della Commedia) stava tramando per
vv. 37-42 La contingenza...giù discende: Infatti, la prescienza divina (e, quindi, il cacciare i Bianchi da Firenze (il suo piano si
prima di pronunciare parole decisive sul prevedere il futuro da parte di Cacciaguida) compì, tuttavia, solo nel 1301). Il v. 51 allude
destino di Dante, Cacciaguida fa una so- non cambia necessariamente il corso della duramente alla simonia (cioè alla vendita di
lenne introduzione al suo discorso: ogni storia. La metafora del quaderno con i suoi beni spirituali) diffusa nella Curia papale;
cosa terrena e mortale (contingenza) è co- fogli viene qui usata per indicare la molte- si tratta di una feroce condanna del potere
nosciuta in anticipo – anzi da sempre – da plicità propria dell’universo creato da Dio. Si temporale della Chiesa e insieme della per-
Dio, ma non per questo è determinata dal tratta di un’immagine frequente. sonalità corrotta di Bonifacio VIII.
suo volere. Per risolvere il problema (che in vv. 46-48 Qual si partio...convene: secondo la vv. 58-60 Tu proverai...scale: l’esilio costrin-
termini teologici è quello della coesistenza mitologia greca, Ippolito, figlio di Teseo re di gerà Dante a chiedere, lontano dalla terra
della predestinazione e del libero arbitrio), Atene, fu falsamente accusato dalla matrigna natale, cibo e alloggio ad altre persone.
l’autore – attraverso le parole di Cacciaguida Fedra. La donna si era innamorata del giova- vv. 61-66 E quel che più ti graverà...tempia:
– offre al lettore un’immagine di grande effi- ne: e poiché questi la respinse, lo calunniò, i compagni d’esilio, cioè i fuoriusciti guelfi
cacia: quella di una nave che scende portata inducendolo ad allontanarsi da Atene. Analo- bianchi a cui Dante si trovò accomunato per
dalla corrente di un fiume impetuoso; chi la gamente Dante, a causa di calunnie immeri- forza di cose dalla condanna a espatriare,
guarda non condiziona certamente – con il tate sarà costretto all’esilio da Firenze. cercarono a più riprese di tornare a Firenze
semplice atto di guardare – il suo procedere, vv. 49-51 Questo si vuole...merca: questi con l’azione militare: Dante, anche a causa
benché possa saperne in anticipo il cammi- versi contengono due accuse: una ai nemi- degli insuccessi, dissentì, e si attirò la loro
no. Così la dolorosa vicenda storica dell’esu- ci fiorentini di Dante (i guelfi neri), e una inimicizia. Nell’estate del 1304 essi furono
le Dante – che appartiene alla contingenza, a papa Bonifacio VIII, loro alleato, il quale gravemente sconfitti a Lastra, presso Firen-
cioè al mondo terreno – appare iscritta, già già nel 1300 (momento in cui si svolge l’a- ze, con molto spargimento di sangue.
274
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Di sua bestialitate il suo processo 67-69 Il suo [: del gruppo dei Bianchi esuli] comportamento (proces-
so) darà la prova della sua bestialità, così che per te sarà (fia) bello aver
farà la prova; sì ch’a te fia bello
TESTO GUIDA
fatto parte per te stesso [: stare da solo, anziché unirti a loro].
69 averti fatta parte per te stesso.
[…]
«Ben veggio, padre mio, sì come sprona 106-111 «Padre mio, vedo bene così come il tempo mi incalza (spro-
na) [: si avvicina minacciosamente], per darmi un colpo [: la condanna
lo tempo verso me, per colpo darmi
all’esilio] tale, che risulta (è) più doloroso (grave) a chi più si abbando-
108 tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona; na [alla sciagura, senza reagire]; per cui è opportuno (buon) che io mi
per che di provedenza è buon ch’io m’armi, fornisca (m’armi) di prudenza (provedenza = ‘previdenza’), così che,
sì che, se loco m’è tolto più caro, se mi sarà (m’è) tolto il luogo più caro [: Firenze], io non perda (per-
dessi) [anche la possibilità di essere accolto negli] altri [luoghi] a cau-
111 io non perdessi li altri per miei carmi. sa dei (per) i miei versi (carmi).
Giù per lo mondo sanza fine amaro, 112-120 [Andando] giù per il mondo eternamente (sanza fine) dolo-
e per lo monte del cui bel cacume roso (amaro) [: l’Inferno], e per il monte [del Purgatorio] dalla bella ci-
114 li occhi de la mia donna mi levaro, ma (cacume) [: il Paradiso terrestre] del quale (cui) mi innalzarono
(levaro) [al cielo] gli occhi della mia donna [: Beatrice], e poi (poscia)
e poscia per lo ciel, di lume in lume, [andando] per il cielo, di stella (lume) in stella [: nei vari cieli], io ho sa-
ho io appreso quel che s’io ridico, puto (appreso) cose (quel) che, se io [le] ridico [quando sarò tornato
117 a molti fia sapor di forte agrume; sulla terra], per molti avranno (fia = ‘sarà’) un forte sapore sgradevole
(agrume = ‘aspro’) [: procureranno a molti una profonda irritazione];
e s’io al vero son timido amico, e se io [d’altra parte] sono [per prudenza] timido amico della verità (al
temo di perder viver tra coloro vero), temo di perdere la vita (viver) [: di essere dimenticato] tra colo-
120 che questo tempo chiameranno antico». ro che chiameranno antico questo tempo [: i posteri]».
La luce in che rideva il mio tesoro 121-126 La luce in cui splendeva (rideva) il tesoro [: lo spirito di Caccia-
ch’io trovai lì, si fé prima corusca, guida] che io trovai lì [: in Paradiso], prima divenne (si fé) lampeggiante
(corusca), come uno specchio d’oro [rivolto] ai raggi del sole; poi (indi)
123 quale a raggio di sole specchio d’oro; [mi] rispose: «[Coloro che hanno la] coscienza sporca (fusca) o della pro-
indi rispuose: «Coscienza fusca pria vergogna [: colpa] o di quella degli altri [: parenti, amici, alleati] certa-
o de la propria o de l’altrui vergogna mente (pur) troveranno (sentirà) le tue parole spiacevoli (brusca).
126 pur sentirà la tua parola brusca.
Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, 127-132 Ma ciò nonostante (nondimen), accantonata (rimossa)
tutta tua vision fa manifesta; ogni menzogna, rendi (fa) manifesta tutta la tua visione; e lascia pure
che ci si gratti dove è la rogna [: che chi è colpevole si dolga dei suoi
129 e lascia pur grattar dov’è la rogna. mali]. Perché se al primo assaggio (gusto) [: in un primo momento] la
Ché se la voce tua sarà molesta tua voce riuscirà (sarà) fastidiosa (molesta), poi lascerà nutrimento
nel primo gusto, vital nodrimento vitale, quando sarà digerita.
132 lascerà poi, quando sarà digesta.
Questo tuo grido farà come vento, 133-135 Questa tua accusa (grido) farà come [fa] il vento, che percuo-
che le più alte cime più percuote; te più [fortemente] le cime più alte [: le persone più potenti, ovvero
papi, imperatori, re, in quanto maggiormente responsabili della de-
135 e ciò non fa d’onor poco argomento. gradazione presente]; e ciò non è (fa) una piccola ragione (poco argo-
Però ti son mostrate in queste rote, mento) di onore [ma grande].
nel monte e ne la valle dolorosa 136-142 In questi cieli (rote) [: in Paradiso], nel monte [del Purgato-
138 pur l’anime che son di fama note, rio] e nella valle dolorosa [dell’Inferno] ti sono state mostrate [dalla
volontà divina] solamente (pur) le anime che sono note per la [loro]
che l’animo di quel ch’ode, non posa fama, perché (Però… che) l’animo di colui (quel) che ode [: il lettore
né ferma fede per essempro ch’aia della Commedia] non pone (posa) né presta (ferma) fede per un esem-
141 la sua radice incognita e ascosa, pio (essempro) che abbia (aia) i suoi fondamenti (radice) sconosciuti
(incognita) e nascosti (ascosa), né per altri argomenti che non siano
né per altro argomento che non paia». evidenti (che non paia)».
D. Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, cit.
vv. 127-132 Ma nondimen...digesta: Cac- mento e cooperare al progresso morale e ci- la strada della giustizia, Dante appare simile
ciaguida esorta però il poeta a riferire per vile di un’Italia e di un’Europa piegate dalla a un profeta dell’Antico Testamento, testi-
intero ciò che ha visto, senza tacere nulla. confusione e dal disordine. Investito dall’a- mone della Verità e per questo perseguitato
Dante paragona qui la Commedia ad un far- vo, che è morto combattendo per la fede ed dai suoi contemporanei. La rogna, al verso
maco dapprima aspro e molesto, ma che poi, è ora beato in Paradiso, scelto da Dio stesso 129, è una ripugnante malattia della pelle
ben assimilato, saprà dare un vital nodri- per scuotere l’umanità traviata e mostrargli che causa prurito.
275
PARTE PRIMA Il Medioevo
alla storia La storia di Firenze nei decenni che precedono e accompagnano la vita di Dante è eccezio-
nalmente densa di avvenimenti politici: l’affermazione del modello della civiltà comunale si
accompagna a aspre lotte per la supremazia da parte di nuovi gruppi sociali, in guerra fra
loro e contro l’antica aristocrazia feudale, con fragili alleanze e provvisorie pacificazioni.
Firenze, nuova capitale della civiltà europea, centro di traffici e di cultura, paga con la corru-
zione morale e politica la posizione raggiunta. Dante rovescia l’orgoglio fiorentino mostrando
questa faccia degradata della città: nell’Inferno si riversano tutte le figure sociali della
Firenze conosciuta dal poeta, dal politico disonesto all’adulatore, dal traditore all’usuraio.
Ma nella Commedia c’è anche un’altra Firenze, idealizzata e polemicamente contrapposta
alla realtà del presente: è la Firenze rievocata da Cacciaguida nel canto XV del Paradiso,
caratterizzata dalla sobrietà e dal riconoscimento delle virtù domestiche e civili. In termini
rigorosamente storici la ricostruzione dantesca è in larga parte inattendibile: ai tempi del tri-
savolo la smania di ricchezza e di traffici era già diffusa in città; ma il controllo politico e pro-
duttivo esercitato in modo assoluto dalle più potenti famiglie fiorentine dava una relativa
impressione di giustizia e di moralità. Il vero contrasto che emerge non è dunque tanto tra la
Firenze del passato e quella presente; ma tra un modello possibile di vita cittadina esem-
plare e la degradata civiltà mercantile. Contro il presente dominato dal vizio, si affaccia l’ipo-
tesi alternativa dell’utopia dantesca.
La morte di Cacciaguida, miniatura di Giovanni di Paolo da un codice della Commedia del 1444-1450. Londra, British Library.
276
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
stamente dalla sua città richiama anche quella dei profeti biblici: essi avevano ricevuto da Dio
l’incarico di rimproverare il popolo per i suoi peccati, preannunciandone l’imminente punizione,
TESTO GUIDA
e rendendosi così odiosi ai propri concittadini. Dante subisce le avversità sia dei fiorentini che
lo hanno cacciato e che sono alleati di un papa corrotto (cfr. XVII, vv. 49-51), sia della «compa-
gnia malvagia e scempia» degli altri esuli Bianchi. Solo e sdegnoso, Dante fa parte per se
stesso e assiste alla punizione divina sui colpevoli (cfr. XVII, vv. 52-54 e 65-66).
277
PARTE PRIMA Il Medioevo
Dante e Beatrice
parlano con
Cacciaguida.
Illustrazione di John
Flaxman, 1793.
278
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
Il riscatto dell’esilio
Dalla dolorosa e umiliante condizione dell’esilio scaturisce per Dante una suprema possibilità: riscattare se
stesso e l’umanità intera. L’esilio apre perciò la strada della scoperta, della consapevolezza, della capacità di
analisi e di giudizio; apre la retta via della redenzione. Dall’esilio nasce la grande poesia della Commedia. In
questo modo risulta valorizzato lo stato dell’esule, ancora oggi sperimentato da numerose persone. Lo scrit-
tore Moni Ovadia parla dell’esilio come un «dono» ( Temi di cittadinanza, L’esilio, p. 198), che consente di
cogliere l’essenza dell’essere umano, fatta anzitutto di precarietà e fragilità. D’altra parte, è nei periodi più duri
e difficili dell’esistenza che nascono le riflessioni più profonde; è nei momenti di sosta dalla corsa quotidiana
che riusciamo a cogliere il senso delle cose; è nella distanza che rendiamo il nostro sguardo sulla realtà pene-
trante e capace di visioni più ampie e nitide.
WEBQUEST
Come dall’esilio di Dante nasce la poesia della Commedia, dalla medesima esperienza, vissuta in tempi
e luoghi diversi e da personaggi diversi, sono nate opere che hanno spianato la strada a conquiste po-
litiche e civili nel corso del XIX e XX secolo.
Fai una ricerca sul Web cercando di individuare i grandi personaggi (politici, letterati, artisti) che, in epo-
ca contemporanea, attraverso l’esperienza dell’esilio o del confino, hanno avuto la capacità di leggere
con sguardo penetrante la realtà, assumendosi anche la responsabilità di agire su di essa attraverso i
loro scritti.
279
PARTE PRIMA Il Medioevo
Il viaggio nell’aldilà è ormai al termine: Dante si trova nell’Empireo. Qui san Bernardo prega la Vergine Maria
perché sostenga il poeta nella sua visione ultima: Dio. Lo splendore della luce divina non è esprimibile a
parole né può essere oggetto della comprensione razionale. Il poeta non ne conserva un ricordo distinto, ma
un senso di suprema dolcezza, come da sogno. Nei versi di questo canto Dante si sforza di celebrare degna-
mente la gloria di Dio e lotta contro l’insufficienza del linguaggio e l’indebolirsi della memoria.
I TEMI la grazia di Dio concessa per intercessione della Madonna i limiti del linguaggio umano
PARAFRASI
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio, 1-6 «Vergine Madre [di Cristo], figlia del tuo figlio, umile e nobile (al-
ta) più che [ogni altra] creatura, stabile (fisso) punto di riferimento
umile e alta più che creatura,
(termine) della volontà (consiglio) eterna [: di Dio], tu sei colei che
3 termine fisso d’etterno consiglio, nobilitasti la natura umana a tal punto (sì) che il suo [: dell’umanità]
tu se’ colei che l’umana natura creatore (fattore) [: Dio] non disdegnò di diventare (farsi) [una] sua
creatura (sua fattura) [: di diventare un uomo, incarnandosi in Gesù
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
Cristo].
6 non disdegnò di farsi sua fattura.
DIGIT VIDEOLEZIONE v. 1-6 Vergine...fattura: parla qui san Bernar- questi versi alla decisione presa da Dio di ser-
Analisi del testo di Pietro Cataldi do, mistico e teologo del XII sec., che ha so- virsi di Maria come punto di riferimento fon-
stituito Beatrice nel ruolo di guida. Allude in damentale per attuare la redenzione umana.
TEMPO
La notte del mercoledì 13 aprile 1300
LUOGO
L’Empireo, sede di Dio e dei beati
BEATI
Tutti i beati sono riuniti nella candida rosa
PERSONAGGI E FIGURE
• Dante
• la Vergine Maria
• Bernardo di Chiaravalle: mistico e teologo, che
ha sostituito Beatrice nel ruolo di guida
280
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
Nel ventre tuo si raccese l’amore, 7-9 Nel tuo ventre [: con il concepimento di Cristo] si riaccese l’amore [di Dio
per l’umanità], [quell’amore] per la cui intensità (caldo) è fiorito (germinato)
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così nell’eterna pace [del Paradiso] questo fiore [: la candida rosa, sede dei beati].
9 così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridiana face 10-12 Qui [: in Paradiso] [tu] sei per (a) noi [: angeli e beati] fiaccola (face)
di caritate, e giuso, intra’ mortali, splendente (meridiana = ‘luminosa come la luce del mezzogiorno’) di carità
[: sei esempio di amore per Dio e per il prossimo], e giù (giuso) [: sulla terra], tra
12 se’ di speranza fontana vivace. gli (intra’) uomini (mortali), sei fonte inesauribile (vivace) di speranza.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali, 13-15 [O nostra] Signora (Donna; dal latino domina = ‘signora’), tu sei
che qual vuol grazia e a te non ricorre tanto grande e hai tanto potere (tanto vali) [presso Dio], che [se] qualcu-
no (qual) vuole [ottenere] grazia [da Dio] e non ricorre a te, il suo desiderio
15 sua disianza vuol volar sanz’ali. (disianza) vuole volare senza [avere le] ali [: il suo desiderio è destinato a
La tua benignità non pur soccorre fallire, come chi fa una cosa impossibile].
a chi domanda, ma molte fiate 16-18 La tua bontà (benignità) non solo (pur) dà soccorso a chi [lo chie-
18 liberamente al dimandar precorre. de], ma molte volte (fiate) precede la richiesta (al dimandar precorre)
spontaneamente (liberamente).
In te misericordia, in te pietate,
19-21 In te [si raccoglie] misericordia, in te [si raccoglie] pietà, in te [si racco-
in te magnificenza, in te s’aduna glie] magnificenza [: generosità e grandezza d’animo], in te si raccoglie (s’adu-
21 quantunque in creatura è di bontate. na) tutto ciò che (quantunque) [vi] è di buono (bontate) in [ogni] creatura.
Or questi, che da l’infima lacuna 22-27 Ora costui (questi) [: Dante], che ha visto tutte le condizioni delle
de l’universo infin qui ha vedute anime (vite spiritali) a una a una dalla zona (lacuna) più bassa (infima)
dell’universo [: dal fondo dell’Inferno] fino [a] qui [: al Paradiso], supplica
24 le vite spiritali ad una ad una, te [affinché gli sia concessa], per grazia [divina], tanta forza (di virtute
supplica a te, per grazia, di virtute tanto) che [egli] possa innalzarsi (levarsi) con gli occhi più [in] alto verso
tanto, che possa con li occhi levarsi la salvezza (salute) finale (ultima) [: Dio].
27 più alto verso l’ultima salute.
E io, che mai per mio veder non arsi 28-33 E io [: san Bernardo], che [sulla terra] non arsi mai [di desiderio] per
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi [giungere a] vedere (per mio veder) [Dio] più di quanto faccio (più ch’i’ fo)
[ora] perché egli [: Dante] possa giungervi (per lo suo), ti [: a Maria] rivolgo
30 ti porgo, e priego che non sieno scarsi, (porgo) tutte le mie preghiere (prieghi), e prego che [esse] non siano in-
perché tu ogne nube li disleghi sufficienti (scarsi), affinché [tu] con le tue preghiere gli (li) dissolva (disle-
di sua mortalità co’ prieghi tuoi, ghi) ogni nebbia (nube = ‘nuvola’) [: offuscamento] che derivi dalla (di) sua
mortalità [: dalla sua condizione umana], di modo (sì) che gli si riveli (di-
33 sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. spieghi) la felicità (piacer) più alta (sommo) [: la visione di Dio].
Ancor ti priego, regina, che puoi 34-36 [O] regina, che puoi [ottenere sempre] ciò che vuoi, ti prego anche
ciò che tu vuoli, che conservi sani, (Ancor) di conservare immutati (sani) [: puri] i suoi [: di Dante] sentimen-
36 dopo tanto veder, li affetti suoi. ti (affetti) dopo una visione così alta (tanto veder).
Vinca tua guardia i movimenti umani: 37-39 [Spero che la] tua [: di Maria] protezione (guardia) vinca la mute-
vedi Beatrice con quanti beati volezza delle passioni (movimenti) umane: vedi Beatrice e (con) quanti
beati uniscono (chiudon) le mani [in segno di preghiera] verso di te (ti = ‘a
39 per li miei prieghi ti chiudon le mani!». te’) affinché (per) [tu accolga] le mie preghiere (prieghi)!».
Li occhi da Dio diletti e venerati, 40-45 Gli occhi [: di Maria] amati (diletti) e venerati da Dio, [essendo] fis-
fissi ne l’orator, ne dimostraro si sull’orante (l’orator) [: su san Bernardo che la pregava], ci (ne) fecero ca-
42 quanto i devoti prieghi le son grati; pire (dimostraro) quanto le [: alla Madonna] fossero (son) gradite (grati)
le preghiere (prieghi) devote; quindi (indi) [gli occhi della Madonna] si ri-
indi a l’etterno lume s’addrizzaro, volsero (s’addrizzaro) alla luce (lume) eterna [: Dio], verso la quale non si
nel qual non si dee creder che s’invii deve (dee) credere che lo sguardo (l’occhio) possa essere rivolto (s’invii)
45 per creatura l’occhio tanto chiaro. con tanta fermezza (tanto chiaro) da parte di (per) [nessun’altra] creatura
[: nessuno può guardare Dio così come la Vergine].
281
PARTE PRIMA Il Medioevo
E io ch’al fine di tutt’i disii 46-48 E io che mi avvicinavo (appropinquava) al termine ultimo
(fine) di tutti i desideri (disii), portai al culmine (finii) in me l’ardore
appropinquava, sì com’io dovea,
del desiderio [di vedere Dio], così (sì) come io dovevo (dovea) [: così
48 l’ardor del desiderio in me finii. come era giusto che io facessi].
Bernardo m’accennava, e sorridea, 49-54 [San] Bernardo mi faceva cenno (m’accennava) [con lo sguar-
perch’io guardassi suso; ma io era do] perché io guardassi in alto (suso); e sorrideva; ma io ero già sponta-
51 già per me stesso tal qual ei volea: neamente (per me stesso) tale quale egli (ei) voleva [: ero già rivolto in
alto, verso Dio]: cosicché (ché) la mia vista, diventando [sempre più]
ché la mia vista, venendo sincera, pura (sincera), penetrava (intrava) sempre più (e più e più) nel (per
e più e più intrava per lo raggio lo) raggio della luce suprema (alta) [: Dio] che è vera da se stessa [: es-
54 de l’alta luce che da sé è vera. sendo la verità assoluta, Dio determina la propria verità].
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio 55-57 Da questo momento in poi (Da quinci innanzi) la mia visione
che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede, (veder) fu maggiore (maggio) di quanto (che) possano mostrare le
[mie] parole (’l parlar), che cedono [: si arrendono] a tale visione (vi-
57 e cede la memoria a tanto oltraggio. sta), e la memoria cede a [: è incapace di ricordare] un così grande ec-
Qual è colui che sognando vede, cesso (a tanto oltraggio).
che dopo ’l sogno la passione impressa 58-66 Io sono tale (cotal) quale [: sono nello stesso stato di] colui che ve-
de [qualcosa] in sogno (sognando), e (che) dopo il sogno [: quando si sve-
60 rimane, e l’altro a la mente non riede,
glia] [gli] rimane impressa [nell’animo] l’emozione (passione) [provocata
cotal son io, ché quasi tutta cessa dal sogno] [: gioia, paura, dolore o altro], ma (e) il resto (l’altro) [: il conte-
mia visione, e ancor mi distilla nuto esatto del sogno] non [gli] ritorna (riede) nella memoria (a la men-
63 nel core il dolce che nacque da essa. te); poiché (ché) [il ricordo della] mia visione [di Dio] è quasi interamente
(tutta) svanita (cessa), ma (e) tuttora (ancor) la dolcezza (il dolce) che
Così la neve al sol si disigilla; derivò (nacque) da essa [: dalla visione di Dio] mi scende goccia a goccia
così al vento ne le foglie levi (mi distilla) nel cuore. Così [: allo stesso modo] la neve si scioglie (si disi-
66 si perdea la sentenza di Sibilla. gilla) al sole; così [: allo stesso modo] la profezia (sentenza) della Sibilla si
perdeva nel vento sulle foglie leggere (levi) [su cui era stata scritta].
O somma luce che tanto ti levi
67-75 O somma luce [: Dio] che sei tanto più alta (tanto ti levi = ‘ti in-
da’ concetti mortali, a la mia mente nalzi’) dei pensieri (concetti) umani, ridà (ripresta) al mio ricordo
69 ripresta un poco di quel che parevi, (mente) un po’ di quella forma in cui (di quel che) [mi] apparivi (pare-
e fa la lingua mia tanto possente, vi) e rendi la mia lingua così potente (possente), che possa lasciare ai
posteri (a la futura gente) [anche] solo una scintilla della tua gloria;
ch’una favilla sol de la tua gloria poiché (ché) se ritornerà (per tornare = ‘per [il fatto] di tornare’) un
72 possa lasciare a la futura gente; po’ (alquanto) nella (a) mia memoria e se risuonerà (per sonare = ‘per
ché, per tornare alquanto a mia memoria [il fatto di] risuonare’) un po’ in questi versi [: se sarà espressa dalla mia
poesia], si potrà comprendere (si conceperà) meglio (più) il tuo trion-
e per sonare un poco in questi versi, fo (vittoria).
75 più si conceperà di tua vittoria.
da D. Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, cit.
vv. 58-63 Qual è colui...da essa: la simili- vv. 64-66 Così la neve...Sibilla: Dante usa 443-450), le profezie scritte dalla Sibilla
tudine cui ricorre il poeta richiama l’espe- ancora due similitudini per descrivere lo Cumana su foglie ordinatamente disposte
rienza comune di chi, al risveglio, può trat- svanire del ricordo della visione di Dio dal- si disperdevano quando un soffio di vento
tenere l’emozione datagli dal sogno ma non la sua memoria: la prima è tratta dal mon- entrava nella sua grotta e le faceva volare.
il suo contenuto. Così Dante non ricorda do fisico (la visione si è dissolta nella sua vv. 67-75 O somma...vittoria: Dante invoca
esattamente ciò che vide, ma sente rina- mente come la neve si dissolve al calore del direttamente Dio perché lo aiuti a vincere il
scere ancora, poco per volta, la dolcezza che sol<e>); la seconda da quello della mitologia. duplice limite della memoria e del linguaggio.
provò allora. Secondo il racconto di Virgilio (Eneide III, La poesia è ora tutta al servizio della sua gloria.
282
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
ANALISI Le similitudini: lo sparire della memoria e la limitatezza del linguaggio Nei vv. 58-66 si sus-
seguono tre similitudini: esse, anziché avvicinare l’esperienza paradisiaca a quella terrena, ne
rivelano l’incommensurabile lontananza. La prima similitudine è quella principale e collega la
visione di Dio da parte di Dante a un sogno che lascia «impressa» nell’animo «la passione»
ma non il contenuto esatto (vv. 58-63). Le successive similitudini precisano il sentimento della
perdita: come si dissolve nella mente del poeta l’eccezionale visione, così la neve si scioglie
al sole e così venivano rapite dal vento le sentenze che la Sibilla cumana scriveva sulle foglie
(vv. 64-66).
La preghiera alla Vergine Maria La preghiera che san Bernardo rivolge alla Vergine è carat-
terizzata da uno stile solenne e rigoroso, che richiama modelli classici e biblici. Essa comin-
cia con l’invocazione di Maria (vv. 1-3), continua con un elenco delle sue qualità e delle sue
virtù (vv. 4-21), e si chiude con una supplica (cioè una richiesta) d’aiuto (vv. 22-39). La prima
terzina (vv. 1-3) è composta da una serie di antitesi (cioè contraddizioni) legate alla figura di
Maria. Si tratta di una sintesi dei dogmi su cui si basa il culto mariano: la Madonna è al tempo
stesso «Vergine» e «Madre»; è figlia di Dio Padre come tutti gli uomini, ma Dio, incarnandosi in
Gesù Cristo, è stato suo «figlio»; è stata la più umile tra le creature perché si è fatta serva di
Dio, e proprio per questo è stata innalzata a regina del Cielo. Nella seconda parte della pre-
ghiera (vv. 4-21) l’intensità dell’elogio della Vergine viene espressa dalla ripetizione di forme
verbali e pronominali legate alla seconda persona “tu”: «tu se’», «se’», «tuo», «a te», «tua», «In
te». Infine, nella terza parte (vv. 22-39) san Bernardo indica Dante alla Vergine, e le chiede di
intercedere per il poeta presso Dio: anche gli altri beati – tra cui Beatrice – si uniscono con
devoto fervore alla supplica finale (vv. 38-39).
INTERPRETAZIONE Dante non si arrende all’ineffabile «oltraggio» Nell’ultimo canto del Paradiso vengono pre-
E COMMENTO sentati, con nuova intensità, i temi centrali della terza cantica: la straordinarietà dell’espe-
rienza celeste e la difficoltà nel descriverla. Lo splendore della visione è un «oltraggio» (v. 57),
un eccesso che vince le capacità intellettive umane; perciò a Dante non resta che portare la
lingua all’estremo limite delle sue possibilità. Egli non si arrende al mistero e all’ineffabile,
che pure riconosce come tali. Dal momento che la visione non può avere termini di paragone
terreni, egli si richiama alla forza della poesia e dell’intelletto. All’abbandono e allo smemora-
mento dei mistici, Dante preferisce, infatti, la tensione intellettuale e lo sforzo di ricordare; al
silenzio e all’irrazionalità, egli contrappone i suoi versi e il suo instancabile desiderio di rac-
contare. La visione di Dio non è raggiunta a occhi chiusi, in una sorta di rapimento mistico, ma
in un penetrante fissare la luce divina, in un adeguarsi progressivo dello sguardo e dell’intelli-
genza umani all’altezza sovrumana dell’oggetto.
283
PARTE PRIMA Il Medioevo
OLTRE IL TESTO
1. Webquest
Il culto di Maria è particolarmente forte nella religione cattolica. Fa’ una ricerca in rete sui luoghi e i movimenti
più significativi che ruotano attorno alla Madonna.
284
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
12 L’attualità di Dante
L’invenzione Nonostante sia profondamente radicata nel suo tempo, l’opera di Dante è attuale ancora oggi.
dell’italiano Basti pensare che in essa possiamo ritrovare le basi della lingua che parliamo ancora oggi: alla
fine del Trecento, grazie soprattutto all’opera dantesca, il vocabolario di base della lingua
italiana è già formato per il novanta per cento. Ciò vuol dire che su duemila parole circa che
esprimono le nozioni fondamentali dell’italiano, quasi milleottocento sono quelle che si tro-
vano già in Dante: per questo, leggendolo a distanza di settecento anni, lo possiamo compren-
dere senza bisogno di traduzioni, diversamente da quanto accade per autori coevi o anche suc-
cessivi di lingue e letterature diverse dall’italiano.
Espressioni Inoltre, un gran numero di locuzioni dantesche vive nel linguaggio comune senza che ven-
dantesche di uso gano più percepite come citazioni letterarie: “tremare le vene e i polsi”, “senza infamia e
comune
senza lodo”, “il modo ancor m’offende”, “a viso aperto”, ecc., sono percepite da molti come
espressioni proverbiali o frasi fatte, anche se in realtà si tratta di espressioni inventate da
Dante.
La critica alla L’attualità di Dante agisce anche in un altro ambito, non propriamente letterario ma piuttosto
civiltà del morale e politico. Essa non riguarda però gli aspetti propositivi della sua visione politica, fon-
guadagno
data su un universalismo che era anacronistico già al suo tempo; ma l’impegno civile con cui
critica la società a lui contemporanea. Ciò che a Dante appare un ostacolo alla coesistenza pa-
cifica tra gli uomini è quella logica del guadagno che i secoli futuri avrebbero visto espander-
si, fino ai giorni nostri: è la volontà di arricchirsi sfruttando gli altri che mette a rischio l’equili-
brio sociale e politico della comunità. Nel suo giudizio sulla morale borghese, Dante è radicale
e lo si vede nelle pagine dell’Inferno dove sono rappresentate le sorti di coloro che si macchia-
no dei peccati di avidità e di sete di potere. Ma Dante è anche fiducioso nella possibilità di ri-
scatto di ogni uomo, e nella sua capacità di non cedere ai valori e alle mode dominanti, anche
quando sembrano prospettarci una felicità che, a veder bene, rischia di essere superficiale e
passeggera.
Non v’è dubbio che fra gli insegnamenti che Dante può riservare agli uomini del terzo millennio
ci sia anche quello di puntare su un solo profondo amore al centro di tutta un’esistenza, persi-
stente anche oltre la soglia della morte, capace di rinnovare la vita di una persona, di orientarla
al meglio. […].
5 Un’altra “scoperta” di Dante potrebbe lasciare tracce o trasmettere stimoli, non senza i de-
biti adattamenti, nella mentalità dell’uomo del terzo millennio. Alludiamo alla sua persuasione
della presenza, nella vita di ognuno, di un gesto decisivo che sanziona la sorte eterna dell’uomo,
di là da ogni aneddotica biografica. Oggi, una simile prospettiva riguarda (e riguarderà in futu-
285
PARTE PRIMA Il Medioevo
ro), su un piano totalmente terreno, le scelte radicali che decidono il corso di un’esistenza, le
10 svolte cruciali che imprimono alla vita di un individuo una precisa e irreversibile direzione, de-
cidendo del suo destino in terra. […]
A beneficio di quanti amano i libri, aggiungerò un altro dono di Dante, che a me pare indu-
bitabile e forse nutritivo anche per il terzo millennio. […] Parlerei di una scoperta “adamiti-
ca”1 della natura, quasi che Dante inventasse coi nomi le cose. Ma che egli possedesse uno
15 straordinario spirito d’osservazione, lo si deduce anche dal fatto che studiosi di discipline
scientifiche, messi a contatto col testo del poema, ne hanno rilevato la pioneristica capacità
di cogliere particolari insoliti dell’universo fisico e matematico. […]. Osservatore, anzi scopri-
tore della realtà in tutte le sue pieghe, in tutti i suoi anfratti; scienziato e poeta piuttosto che
topo di biblioteca.
20 Forse l’insegnamento più nutritivo per gli uomini del terzo millennio, destinati a essere
sempre più bombardati da un’infinità di messaggi, visivi e acustici soprattutto, è quello di sele-
zionare, di non disperdersi, di non farsi annichilire nella propria identità d’individui, insomma
spossessare dalla propria interiorità. […]. Non la cultura come evasione, consumata nel numero
e nella varietà degli oggetti; ma la selezione accorta, il puntare su oggetti o su testi scelti perché
25 ricchi, essenziali, formativi per la vita e per l’anima. […]
Nessuno si scandalizzi se oggi, agli esordi del terzo millennio, in piena crisi del paradigma
umanistico, chi scrive si permette di consigliare il ritorno a un modello medievale. È preferi-
bile approfondire pochi libri e film importanti, tanto da farli diventare carne e sangue di noi
stessi, piuttosto che applicarsi a una dispersività ludica e superficiale, vedendo molti film, o
30 anche leggendo molti libri, solo per ammazzare il tempo o per esibire una cultura alla giorna-
ta. È ovvio, Dante e i suoi contemporanei vivevano in una condizione molto diversa dalla
nostra: assenza di giornali, scarsa circolazione di libri, difficoltà di accedere alle fonti. La dif-
fusione della cultura era obiettivamente impedita da numerosi ostacoli, economici e logisti-
ci. E tuttavia oggi alcuni hanno l’impressione che in tanta abbondanza di offerta non si sap-
35 pia cogliere l’essenziale. Si consuma, freneticamente, cultura e subcultura. Per dare ascolto
e attenzione ai mezzi di comunicazione di massa, la frequentazione dei libri si fa meno assi-
dua. Perciò, avvicinandosi alla fine del nostro percorso, non possiamo che augurarci – come
Gianfranco Contini qualche anno fa – che Dante ridiventi popolare com’era fra Tre e Quat-
trocento.
E. Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, Mondadori, Milano 2001.
TESI 1 Dante è un autore attuale: la sua lezione agisce ancora ai giorni nostri.
TESI 2 Dante è un autore profondamente radicato nel proprio tempo: la sua opera e la sua visione del mondo risultano
distanti dal lettore moderno.
Se scegli la tesi 1 puoi trarre spunto dal testo di Pasquini proposto. In ogni caso, affinché il tuo discorso non risulti
generico, fai riferimento ai testi letti in questo Capitolo. Puoi anche concentrarti su una sola questione (per esempio
la visione dell’amore o il pensiero politico) o perfino su un solo testo significativo, rilevandone gli elementi di attuali-
tà o, altrimenti, di inattualità.
286
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
LA VITA DI DANTE
Dante nasce a Firenze nel 1265. Gli anni della giovinezza sono segna-
1265 nasce a Firenze
ti da una formazione culturale ampia e varia e dall’esperienza poetica
stilnovistica, a cui è legato il “mito di Beatrice”. Dopo la morte di Beatrice esperienza
(1290) segue un periodo di “traviamento” morale e culturale. Dal 1295 si stilnovistica
avvicina alla politica, ricoprendo importanti cariche pubbliche. Nel 1300 1300 priore a Firenze
viene eletto priore di Firenze. Con la vittoria dei guelfi neri, Dante, che si
era schierato con i Bianchi, viene condannato all’esilio (1302). I diversi 1302 condanna all’esilio
tentativi di rientrare a Firenze falliscono: Dante trascorre in esilio il resto
della vita, fino alla morte, avvenuta nel 1321. 1321 muore a Ravenna
LE OPERE POETICHE: LA VITA NUOVA E LE RIME
La Vita nuova è la prima opera organica di Dante. Tra il 1292 e il 1293 il
poeta raccoglie alcune poesie composte nella prima giovinezza e le inse-
risce in un lungo racconto in prosa che funge da contesto narrativo e da opere poetiche
commento ai testi poetici. Nei quarantadue capitoli vengono raccontati
l’amore per Beatrice e le vicende successive alla sua morte prematura.
Agisce in quest’opera giovanile la poetica stilnovistica, che trova la sua Vita nuova Rime
massima espressione nella “poesia della lode” inaugurata con la canzo- (1292-1293) (1283-1307)
ne «Donne ch’avete intelletto d’amore» e rappresentata esemplarmen-
te dal sonetto «Tanto gentile e tanto onesta pare». opera in prosa poesie di
e in versi argomento e
Restano escluse dalla Vita nuova e dal Convivio una serie di poesie rac- stile diverso
colte nelle Rime, che comprendono testi di argomento e stile assai vari
l’amore per
(composti tra il 1283 e il 1307), riconducibili a fasi diverse della produ- Beatrice e le
zione dantesca. vicende successive
alla sua morte
LE OPERE TEORICHE:
IL CONVIVIO, IL DE VULGARI ELOQUENTIA E LA MONARCHIA
Durante l’esilio, Dante si dedica anche alla stesura di tre grandi opere te-
oriche. Scritto in volgare, il Convivio è un’enciclopedia del sapere medie- opere teoriche
vale strutturata in trattati (il primo introduttivo, gli altri contenenti cia-
scuno un testo poetico con il relativo commento). Dei quindici trattati
previsti nel progetto iniziale, ne sono stati compiuti solo quattro, risalen- Convivio Monarchia
ti al periodo compreso tra il 1304 e il 1308. (1307-1308) (1310-1313)
Il De vulgari eloquentia (cioè ‘L’eloquenza in lingua volgare’, composto
probabilmente tra il 1303 e il 1304) ha come tema la definizione di una enciclopedia la necessità di
lingua volgare illustre, nonché una rassegna delle forme retoriche (me- del sapere una monarchia
medievale universale
trica, stile) nelle quali impiegare la nuova lingua d’Italia. Scritta in latino, in volgare
anche quest’opera è rimasta incompiuta.
L’unica opera teorica che Dante ha completato è la Monarchia, com- De vulgari eloquentia
posta in latino fra il 1310 e il 1313. Essa raccoglie in forma organica (1303-1304)
e in tre libri le idee politiche dell’autore, che si esprime a favore della
monarchia universale, affermando la legittimità completa del potere definizione di una
imperiale, disceso direttamente da Dio e autonomo dalla Chiesa. lingua volgare illustre
287
PARTE PRIMA Il Medioevo
LA COMMEDIA
La Commedia è il capolavoro di Dante, composto nel periodo dell’esilio dal
1304 al 1321 (anno della morte). La struttura del poema è fondata sul nume- Commedia (1304-1321)
ro tre: tre cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso) di trentatré canti ciascu-
na, più uno premesso all’Inferno, per un totale di cento canti. Inoltre, i versi en-
decasillabi sono raggruppati in sequenze di tre (terzine). La Commedia è la storia due piani di lettura
storia del viaggio compiuto da Dante nei tre regni dell’aldilà: il poeta latino Vir- del viaggio
gilio lo accompagna nell’Inferno e nel Purgatorio; l’amata Beatrice nel Paradi- nell’aldilà
il viaggio il cammino
so. L’opera presenta due piani di lettura: da un lato descrive l’aldilà, dall’altro di Dante verso la
racconta il cammino di Dante – e in generale di ogni cristiano – verso la sal- salvezza
vezza. Il viaggio dantesco ha il carattere di una missione voluta dal cielo, fina-
lizzata a mostrare agli uomini «la diritta via» che hanno smarrito. L’autore cri- tre cantiche
tica duramente la società a lui contemporanea, attaccando l’avidità della civil-
tà comunale e la corruzione della Chiesa e dell’Impero. La lingua della Comme-
dia è caratterizzata dal plurilinguismo (varietà lessicale con presenza di voci Inferno Purgatorio Paradiso
dialettali, arcaismi, latinismi, parole straniere e tecniche, ecc.) e dal pluristili-
smo (impiego di diversi registri, dal più basso al più alto).
VERIFICHE
1 La vita di Dante
1 Individua 2 Dante Alighieri nacque a 3 Sbagliato! Ritorna al 4 Corretto! Avanti: 5 Giusto! Continua:
l’alternativa giusta Firenze nel… numero 5. Politicamente Dante era Fu un grande amico di
tra le due date, 1265 8 più vicino ai guelfi… Dante…
quindi vai () alla 1304 15 bianchi 20 Guido Guinizzelli 3
casella indicata. neri 7 Guido Cavalcanti 13
6 Sbagliato! Ritorna 7 Sbagliato! Ritorna al 8 Bene, continua: Dante 9 Sbagliato! Ritorna 10 Sbagliato! Ritorna
al numero 8. numero 4. fu un intellettuale… al numero 25. al numero 14.
cosmopolita 6
legato alla vita
comunale 25
11 Sbagliato! 12 Molto bene! Continua: Il 13 Giusto, avanti: 14 Bene! Avanti: 15 Sbagliato! Ritorna
Ritorna al numero pensiero filosofico di Dante A Verona Dante Nel 1301 partecipò al numero 2.
29. fu influenzato soprattutto soggiornò da… a un’ambasceria
dal… Guido Novello da presso…
tomismo 16 Polenta 21 Bonifacio VIII 30
platonismo 24 Cangrande della Scala Carlo di Valois 10
29
16 Corretto! Avanti: 17 Sbagliato! Ritorna al 18 Sbagliato! Ritorna 19 Bravo/a! Fine 20 Molto bene,
Per quanto riguarda la numero 22. al numero 16. dell’esercizio. continua: L’amata di
politica, Dante difende Dante, Beatrice, morì
un modello… nel…
particolaristico 18 1290 5
universalistico 22 1321 28
21 Sbagliato! 22 Bene, continua: Dante 23 Sbagliato! Ritorna 24 Sbagliato! Ritorna 25 Molto bene. La
Ritorna al numero morì… al numero 27. al numero 12. prossima: Dante
13. a Ravenna nel 1321 19 fu eletto priore del
a Firenze nel 1318 17 Comune di Firenze nel...
1300 14
1302 9
26 Sbagliato! 27 Benissimo, continua: 28 Sbagliato! Ritorna 29 Ottimo, avanti: 30 Benissimo,
Ritorna al numero Alla base del pensiero di al numero 20. Dante fu un continua: Dante fu
30. Dante sta una visione della intellettuale… condannato all’esilio
realtà di tipo… disimpegnato 11 nel....
religioso 12 impegnato 27 1300 26
laico 23 1302 4
288
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
2 Le opere di Dante
Compila il quadro riepilogativo sulle opere di Dante studiate in questo Capitolo. Per quanto riguarda l’argomento,
scegli una o più delle seguenti alternative (N.B. alcuni temi possono valere anche per più opere):
a. lode dell’amata
b. esilio
c. crudeltà dell’amata
d. difesa del volgare
e. esaltazione della filosofia
f. proposta della monarchia universale
g. definizione dei caratteri ideali del volgare
h. rapporto tra Impero e Chiesa
Vita nuova
Rime
Convivio
De vulgari eloquentia
Monarchia
4 La Vita nuova
La Vita nuova è l’opera dell’esordio dantesco.
a. si tratta di:
una raccolta di liriche d’amore
un’autobiografia
un trattato
il racconto in prosa e in versi di un’esperienza amorosa
b. rispetto alla tradizione stilnovistica, la Vita nuova tratta in modo nuovo l’amore, che infatti:
si mondanizza
si spiritualizza
viene considerato un sentimento basso
viene sostituito da temi politici
289
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERIFICHE
6 Lo spazio
I tre regni dell’aldilà sono organizzati da Dante secondo una precisa geografia.
a. L’Inferno
Metti in ordine (da 1 a 5) le seguenti zone infernali incontrate da Dante nella prima cantica:
le Malebolge i cinque cerchi degli incontinenti
l’Antinferno il Cocito
i tre gironi dei violenti
b. Il Purgatorio
Indica le sette cornici in cui è diviso il Purgatorio propriamente detto. Che cosa si trova in cima al monte purgatoriale?
c. Il Paradiso
In quante e quali zone è diviso il Paradiso dantesco?
7 Il tempo
a. Quando si svolge il viaggio di Dante nell’aldilà?
b. Quale significato simbolico assume questo periodo?
c. Quanti anni ha Dante quando compie il suo viaggio?
8 Lo scopo
Dante compie il suo viaggio al fine di ottenere una doppia salvezza: quale?
9 La struttura e la forma
Completa il seguente testo che ricapitola la struttura della Commedia e si sofferma sugli aspetti linguistici e stilisti-
ci dell’opera. Indica di volta in volta l’opzione corretta fra le due proposte.
La Commedia è divisa in tre/cento cantiche e la materia è distribuita in tre/cento canti, scritti in terzine di endecasilla-
bi/settenari con rima baciata/incatenata. Il lessico della Commedia è caratterizzato dal realismo e dalla varietà/unifor-
mità: si parla, infatti, di monolinguismo/pluringuismo. Dante accoglie/rifiuta dialettalismi, arcaismi, latinismi, stranieri-
smi e tecnicismi, presentandoci una lingua che risulta lontana/vicina rispetto all’italiano moderno. La Commedia è
inoltre caratterizzata dal monostilismo/pluristilismo, ovvero dall’ampiezza/selezione dei registri stilistici adottati.
10 I personaggi
Nel percorso antologico sulla Commedia hai incontrato vari personaggi: indica per ciascuno il luogo dell’aldilà in cui
viene collocato da Dante.
Virgilio:
Beatrice (prima apparizione):
Cacciaguida:
Ulisse:
Francesca da Rimini
Pia de’ Tolomei:
Ugolino della Gherardesca:
san Bernardo:
11 Ineffabilità, ineffabile
Entrando nel Paradiso, Dante si trova di fronte al problema dell’ineffabilità: che cosa s’intende con questo termine?
Scrivi due periodi in cui l’aggettivo “ineffabile” e il sostantivo “ineffabilità” siano usati correttamente.
290
CAPITOLO 4 Dante Alighieri AUTORE
13 Il contrappasso
Nell’Inferno e nel Purgatorio vale la legge del contrappasso. Spiega in che cosa consiste attraverso alcuni esempi
tratti dai canti che hai studiato in questo Capitolo.
14 Allegoria e figura
Per comprendere la Commedia occorre tenere presente sia la visione allegorica sia quella figurale. Chiarisci il signi-
ficato dei termini “allegoria” e “figura”, poi analizza la loro presenza all’interno del primo canto dell’Inferno.
17 Personaggi esemplari
In una relazione, esamina un personaggio esemplare per ciascuna cantica. Confrontane la vicenda storica con il desti-
no ultraterreno e spiega quale rapporto esiste tra le due dimensioni (di scissione, di conflitto, di prefigurazione).
291
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERIFICHE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A
ANALISI E INTERPRETAZIONE DI UN TESTO LETTERARIO
Dante Alighieri
«Ne li occhi porta la mia donna Amore»
Ne li occhi porta la mia donna Amore
per che1 si fa gentil ciò ch’ella mira;
ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira,
e cui saluta2 fa tremar lo core,
COMPRENSIONE
Fai la parafrasi completa del sonetto.
ANALISI
Ora scrivi un commento al testo, osservando i seguenti punti:
caratterizza la metrica e il ritmo del componimento;
rintraccia il lessico tipico dello stile “dolce”: quale novità introduce Dante?
individua le parole-chiave e i principali nuclei tematici;
quali effetti produce il saluto della donna? E il suo parlare?
che cosa è indicibile? Perché?
a chi si rivolge Dante? Perché?
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
Confronta questa poesia con altri componimenti della Vita nuova o dei poeti stilnovisti che affrontano
gli stessi temi.
292
Andrea del Sarto, Dama col petrarchino (particolare), 1528. Firenze, Galleria degli Uffizi.
AUTORE
CAPITOLO 5
Francesco Petrarca PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
1 La vita
L’infanzia e la Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304. Suo padre, ser Petracco, è un notaio fiorentino
giovinezza tra guelfo di parte bianca, esiliato (come Dante) da Firenze nel 1302. Con la famiglia, Francesco si
Italia e Francia
sposta a Incisa Valdarno, poi a Pisa e infine, nel 1312, a Carpentras, vicino ad Avignone, dove il
padre lavora al servizio della corte pontificia, lì trasferitasi nel 1305. Tra il 1316 e il 1326 com-
pie studi giuridici, prima all’Università di Montpellier, poi a Bologna. La morte del padre, avve-
nuta nel 1326, lo costringe a rientrare in Provenza, dove trascorre alcuni anni di vita spensiera-
ta, immerso nell’ambiente mondano della corte papale: tutti lo ammirano per la sua cultura e
la sua intelligenza vivace.
L’incontro con Secondo la testimonianza del poeta, all’alba del 6 aprile 1327, nella chiesa di Santa Chiara ad
Laura nel 1327 Avignone, avviene l’incontro che cambierà per sempre la sua vita: quello con Laura, la donna
che ispirerà le poesie del suo capolavoro, il Canzoniere. Non esiste però nessuna certezza intor-
no all’identità storica della donna, tanto che qualcuno ne ha perfino negato la reale esistenza.
La carriera Dovendo far fronte a serie necessità economiche dopo la scomparsa del padre, Petrarca decide
ecclesiastica di intraprendere la carriera ecclesiastica. Nel 1330 prende servizio come cappellano presso il
cardinale Giovanni Colonna, appartenente a una delle più potenti famiglie romane. Si apre così
un periodo di viaggi: a Parigi, in Germania, infine a Roma (1337). Qui crescono l’amore per il
mondo classico e l’avversione per Avignone, indegna usurpatrice della sede papale.
1312
La famiglia di Petrarca
si trasferisce in
Francia. 1353-1361 1368
1326 Francesco studia È alla corte dei È ospite di Francesco
Si trasferisce e nel grammatica e retorica Visconti di Carrara
1327 conosce Laura.
Tra un viaggio e 1370
l’altro vi risiede sino Padova
Milano Vi trascorre gli ultimi
al 1347 Arquà anni sino alla morte,
avvenuta nel 1378
1350 Bologna
Carpentras
Montpellier Incontra Boccaccio, 1320-1326
Avignone
Valchiusa con cui stringe una Continua gli studi in
profonda amicizia Firenze legge
1312-1320 Arezzo
Studia legge 1304
Nasce e vi resta sino
al 1312
1337 Roma
Acquista una casetta
che diventa il suo
rifugio, deputato alla
creazione letteraria 1327
Vi arriva per la prima
volta.
1341
Vi è incoronato poeta
294
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
Il ritiro a Valchiusa Quando rientra in Francia, Petrarca si ritira in campagna, a Vaucluse (Valchiusa), dove nel 1337
acquista una casetta, per coltivare gli studi e il raccoglimento lontano dalla dissolutezza di Avi-
gnone. Comincia quindi a scrivere due opere in latino – il De viris illustribus [Gli uomini illustri]
e il poema Africa – e alcune rime in volgare.
DIGIT
VIDEOLEZIONE DI PIETRO CATALDI VIDEOLEZIONE
295
PARTE PRIMA Il Medioevo
La laurea di La fama letteraria di Petrarca si allarga sempre di più e nel 1340 gli giunge l’invito a ricevere la lau-
«grande poeta rea, cioè la corona poetica, sia dall’Università di Parigi, sia dal Senato di Roma. Scelta Roma, va a Na-
e storico»
poli per farsi esaminare dal re Roberto d’Angiò, il quale era noto in tutta Europa per la sua vasta cul-
tura. Infine, l’8 aprile 1341 Petrarca viene incoronato in Campidoglio «grande poeta e storico».
La crisi religiosa Subito dopo, si apre però per il poeta un periodo di profonda crisi spirituale, accresciuta
dall’esempio fraterno (nel 1343 suo fratello Gherardo si fa monaco), dalla morte di alcuni ami-
ci e da una misteriosa relazione amorosa da cui nasce una figlia illegittima, Francesca (sempre
nel 1343). Lo pervade un grande senso di colpa per non aver saputo rinunciare ai piaceri mon-
dani, in particolare alla gloria letteraria e all’amore. In questo periodo inizia a comporre il Se-
cretum [Il segreto], la più importante delle sue opere in prosa, e allestisce la prima redazio-
ne del Canzoniere. Dal 1343 al 1345 il poeta si sposta continuamente: si dedica a varie mis-
sioni diplomatiche, recandosi, per conto del papa, a Parma, a Napoli e a Verona (dove scopre
le lettere dell’autore latino Cicerone, sul cui modello comincia a scrivere il proprio epistolario).
Dalla fine del 1345 si ritira a Valchiusa, dove lavora alle liriche volgari e scrive altre opere in
latino, il De vita solitaria [La vita solitaria] e il De otio religioso [La vita serena dei religiosi].
La difesa dei valori Nel 1347 Petrarca è favorevole all’insurrezione romana che voleva far rivivere i valori repubbli-
repubblicani cani in quella città abbandonata dai papi e straziata dai conflitti tra famiglie aristocratiche. Il
tentativo di riforma politica era guidato dall’amico Cola di Rienzo (1313-1354), conosciuto ad
Avignone nel 1343, di cui Petrarca ammirava l’entusiasmo per l’antica civiltà latina. Il poeta de-
cide di andare a Roma, ma durante il viaggio viene a sapere del fallimento della rivolta.
La morte di Laura Nel 1348 nella penisola infuria la peste nera. A Parma – dove nel frattempo Petrarca si è sta-
bilito – lo raggiunge la notizia della morte di alcuni suoi cari amici e di Laura stessa (morta il 6
aprile 1348, come lo stesso Petrarca appunta su un codice del suo amato Virgilio). In seguito co-
mincia a riorganizzare il Canzoniere, dandogli una struttura bipartita, con al centro la
morte della donna amata.
L’amicizia con Ancora in Italia, Petrarca viaggia molto, soggiornando in varie città e stringendo amicizia con
Boccaccio e i viaggi Boccaccio, che lo ammira profondamente: il loro primo incontro avviene a Firenze nel 1350. Si
(1350-1368)
ritira quindi ancora una volta a Valchiusa, dove lavora alle rime volgari e ai Trionfi (accanto al
Canzoniere, questo poema sarà l’unica altra opera di Petrarca composta in volgare). Nel 1353 de-
cide di abbandonare la Francia e di stabilirsi di nuovo in Italia. Sceglie così Milano, dove l’arcive-
scovo Giovanni Visconti, signore della città, gli assicura protezione e libertà di studio e di pen-
siero. La scelta dispiace agli amici fiorentini e soprattutto a Boccaccio, che lo vorrebbero a Firen-
ze, ma Francesco si considera un intellettuale apolide (cioè senza patria) e internazionale.
Il periodo milanese, dedicato ai viaggi, alle missioni diplomatiche e agli studi, è interrotto
nel 1361 per sfuggire al nuovo diffondersi della peste. Petrarca va a Padova e, l’anno seguente,
a Venezia, dove vive tra il 1362 e il 1368, spostandosi però di continuo in varie città del Nord.
Gli ultimi anni ad Nel 1368 il poeta accetta l’ospitalità a Padova del signore Francesco da Carrara e si fa costruire
Arquà (1370-1374) una casa ad Arquà, sui Colli Euganei. Nel 1370 vi va ad abitare, trascorrendovi gli ultimi anni,
salvo viaggi occasionali. Dal 1371 si trasferisce da lui, per accudirlo, Francesca, la figlia natura-
le. Il poeta si dedica soprattutto agli studi, e in primo luogo alla revisione del suo capolavoro,
il Canzoniere. Ma nel frattempo la sua salute peggiora: Petrarca muore ad Arquà nel 1374.
FACCIAMO IL PUNTO
A cosa è dovuta la profonda crisi spirituale di cui Petrarca soffre dopo l’incoronazione poetica?
Quali aspetti della biografia di Petrarca giustificano il suo considerarsi un intellettuale apolide e internazionale?
296
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
2 La cultura e le idee
La biblioteca Destinato a seguire le orme del padre Petracco, notaio, Petrarca fu avviato agli studi di giuri-
di Petrarca sprudenza, che tuttavia abbandonò nel 1326 per dedicarsi esclusivamente alle lettere, che co-
stituivano la sua vera vocazione. A differenza di quanto avviene per altri grandi intellettuali e
scrittori del Medioevo, compreso Dante, Petrarca deve la propria formazione culturale più
alla lettura autonoma di alcuni grandi testi che all’insegnamento dei maestri. Per questo mo-
tivo è importante conoscere la composizione della biblioteca di Petrarca, cioè il catalogo dei co-
dici posseduti dal poeta, che ci è possibile ricostruire in modo puntuale.
La biblioteca petrarchesca era di eccezionale vastità per l’epoca, superando certamente i due-
cento libri, acquistati direttamente dal poeta o da lui trascritti: duecento libri sono un numero
molto piccolo per un intellettuale del nostro tempo, ma erano moltissimi per un uomo di cultu-
ra del Medioevo, quando contavano molto di più l’intensità e l’approfondimento che non la
quantità delle letture. Petrarca era dunque un vero bibliofilo, cioè un appassionato di libri e
un ricercatore di esemplari rari, che egli stesso copiava o faceva copiare dai suoi collaboratori.
Dai classici alla Nella sua biblioteca compaiono vari libri degni di nota: ancora giovanissimo, Francesco aveva
letteratura volgare ricevuto i primi preziosi codici di classici latini, fra cui quello contenente le principali opere di
Virgilio, suo autore prediletto (è proprio in questo codice che il poeta annotò, il 19 maggio
1348, la notizia della morte di Laura, avvenuta il 6 aprile precedente). Oltre ai classici greci e
latini, Petrarca possedeva anche diverse opere di autori del Medioevo latino, di sant’Agostino
e dei Padri della Chiesa. Meno ricca era la sezione dedicata alla nuova letteratura in volgare,
benché non mancassero testi significativi, come la Commedia di Dante.
Petrarca umanista
La valorizzazione La maggior parte delle opere di Pe-
del latino trarca è scritta in latino, ed è per que-
ste, più che per il Canzoniere, che egli
sperava di essere ricordato nei secoli.
Petrarca riconosce infatti nel lati-
no la lingua universale della cultu-
ra, cioè una lingua che consente la
comunicazione fra studiosi di origini
diverse e che garantisce la continuità
con la cultura del passato. D’altra
parte, nel Trecento il latino è la lin-
gua della corte papale ad Avignone,
divenuta uno dei centri del dibattito
politico-culturale in Europa. Sulla
scia di Petrarca, nel Quattrocento gli
umanisti rilanceranno l’uso del lati-
no come lingua letteraria predomi-
nante ( Parte seconda, Quadro
storico-culturale).
297
PARTE PRIMA Il Medioevo
L’intellettuale Petrarca contribuisce anche alla creazione di un nuovo tipo di intellettuale che, essendo ormai
specialista escluso dalla reale partecipazione alla vita sociale e politica, è diventato uno specialista della
cultura, spesso al servizio dei potenti: è cioè un filologo, un esperto di codici e di antichi au-
tori, un raffinato versificatore in latino o in volgare. Egli getta così le basi della nascente ci-
viltà umanistica, all’interno della quale l’attività artistica e culturale è ritenuta superio-
re all’impegno politico, o comunque slegata da questo. Tale affermazione di indipendenza e
superiorità è, d’altra parte, anche la conseguenza di un allontanamento dell’intellettuale dal
potere reale.
Un confronto Da questo punto di vista la differenza rispetto all’esperienza dantesca è evidente. La vita di
con Dante: due Dante risulta spezzata in due dal trauma dell’esilio, il quale può essere considerato un evento
modi opposti
di vivere l’esilio simbolico: egli appartiene all’ultima generazione di intellettuali naturalmente coinvolta a pie-
no titolo nella vita pubblica e nell’attività politica, e l’esilio rappresenta appunto l’espulsione
da esse. Tuttavia, Dante non cessa di ragionare come uomo di parte, fiducioso di poter influire,
con la propria attività intellettuale, sullo svolgimento dei fatti storici. Lo stesso rivolgimento
politico che porta Dante all’esilio (la cacciata dei Bianchi da Firenze) determina la nascita già
in esilio di Petrarca (ad Arezzo, dove si era rifugiato il padre). Anche questo dato può assumere
un valore simbolico. Infatti Petrarca inaugura un nuovo tipo di intellettuale-artista la cui con-
dizione psicologica e sociale è quella, appunto, di esiliato, di senza patria. La ricerca affannosa
di rifugi da parte del poeta testimonia il bisogno di uno spazio affettivo che possa proteggerlo
e consentirgli l’attività letteraria.
Epistolario: vasta raccolta di lettere comprendente 5 sezioni (le Familiari, le Sine nomine
[Senza nome], le Senili, le Variae, le Epistolae metricae), scritte dalla giovinezza fino alla morte.
De viris illustribus [Gli uomini illustri]: raccolta di biografie di illustri uomini antichi, iniziata
nel 1338-1339 e rimasta incompiuta.
Rerum memorandarum libri [Libri di cose memorabili]: raccolta di esempi morali, organizza-
ta in quattro libri, cui Petrarca lavorò tra il 1343 e il 1345, lasciandola poi incompiuta.
In latino De vita solitaria [La vita solitaria]: trattato composto da un proemio più due libri in cui viene
esaltato il modello della vita solitaria, scritto in gran parte nel 1346.
De otio religioso [La vita serena dei religiosi]: elogio della vita monastica scritto nel 1347.
In prosa Secretum [Il segreto]: dialogo fra il poeta stesso e sant’Agostino, svolto in quattro libri e
scritto per lo più nel 1347.
Invectivae contra medicum [Invettive contro un medico]: scritto polemico degli anni 1351-
1353 organizzato in quattro libri e rivolto contro un medico avignonese ma, più in generale,
contro le scienze pratiche e meccaniche, reputate inferiori rispetto alla letteratura.
De remediis utriusque fortunae [I rimedi all’una e all’altra sorte]: raccolta di dialoghi orga-
nizzata in due libri (il primo sui rimedi ai pericoli determinati dalla buona sorte; il secondo
sui rimedi contro la cattiva sorte), scritta per lo più fra il 1356 e il 1357.
De sui ipsius et multorum ignorantia [L’ignoranza mia e di tanti altri]: è uno scritto polemico
composto fra il 1367 e il 1371 contro quattro filosofi razionalisti che avevano accusato
Petrarca di ignoranza su argomenti scientifici.
Canzoniere: raccolta di 366 componimenti organizzata dal poeta nell’ultimo anno di vita
(1373-1374) ma progettata almeno fin dal 1342. Costituisce il capolavoro di Petrarca.
In volgare In poesia Trionfi: poema allegorico diviso in sei parti (il Trionfo di Amore, il Trionfo della Pudicizia, il
Trionfo della Morte, il Trionfo della Fama, il Trionfo del Tempo, il Trionfo dell’Eterno), cui l’au-
tore lavorò almeno fin dal 1351 lasciandolo poi incompiuto.
298
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
CONFRONTI
DANTE E PETRARCA
Dante Petrarca
Stile basato sullo sperimentalismo formale basato sull’equilibrio e sulla misura classici
FACCIAMO IL PUNTO
Che tipo di intellettuale incarna Petrarca?
Quali sono le differenze rispetto a Dante?
299
PARTE PRIMA Il Medioevo
3 La poetica
Il bilinguismo Il bilinguismo di Petrarca segna una divisione di competenze tra latino e volgare, senza che ciò
di Petrarca: tra implichi la svalutazione di una delle due lingue: il latino è per lo scrittore la lingua pubblica,
latino e volgare
la lingua prestigiosa degli intellettuali europei, da usarsi nei trattati morali e nel genere an-
tichissimo dell’epica; il volgare, invece, è una lingua privata, dell’interiorità, da utilizzare
soprattutto nella poesia d’amore. Attuale è per noi, oggi, solo la produzione in volgare (e in
particolare il Canzoniere), ma tra i suoi contemporanei Petrarca era molto ammirato anche
come erudito, storico, moralista e come eccellente scrittore in latino, lingua usata nella mag-
gior parte delle sue opere.
La poetica del Le componenti principali del lirismo petrarchesco sono enunciate nel sonetto di apertura del
Canzoniere Canzoniere, «Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono» ( T4, p. 319), che può essere considerato
una vera e propria dichiarazione di poetica. Distante dalla giovinezza e dalle sue passioni, il
poeta guarda alla propria vicenda amorosa, ormai conclusa, giudicandola un «giovenile errore».
Egli, inoltre, si rivolge ai propri lettori facendo appello non tanto a una cultura condivisa o a no-
zioni libresche e astratte, ma piuttosto a una esperienza che tutti possono aver provato al-
meno una volta nella vita: quella dell’innamoramento. Tutti hanno sospirato e pianto, han-
no vissuto amori infelici o contrastati, e talvolta si sono persino vergognati, più tardi, di aver
provato quei sentimenti.
Al sonetto iniziale fa da completamento il componimento conclusivo del Canzoniere, la can-
zone «Vergine bella, che di sol vestita». L’indicazione di questa scelta strutturale è chiara: la vi-
cenda dell’amore profano per Laura termina con una preghiera alla Vergine Maria, cioè con la
conversione del peccatore Francesco ai valori religiosi e all’amore divino.
Gli intenti dell’autore sono però pieni di contraddizioni. Da un lato Petrarca vuole mostra-
re la vanità dell’amore e la sua inconciliabilità con i valori religiosi, dall’altro le sue poesie mo-
strano quanto questo sentimento sia importante e coinvolgente per ogni uomo e ogni donna.
Da questa contraddizione irrisolta dipende, anche al di là delle intenzioni esplicite dell’autore,
il vero significato del libro, e in fondo, il suo persistente valore.
300
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
Il primato della Petrarca mette al centro dell’attenzione il proprio io, e prende atto così della fine della
soggettività funzione sociale dell’arte quale si era affermata nel pieno della civiltà comunale, soprattut-
to con Dante. Per Petrarca la letteratura è un ambito “separato” e privilegiato: con questa vi-
sione, egli anticipa l’età dell’Umanesimo e del Rinascimento. Ciò è vero anche se Petrarca
non rinuncia ancora del tutto a esprimere la propria critica contro la situazione politica
italiana (per esempio nella canzone «Italia mia, benché ’l parlar sia indarno»: T10, p. 343) e
contro la degenerazione dei costumi ecclesiastici ( T12, p. 350): ciò avviene tuttavia in un
numero molto limitato di testi del Canzoniere, nei quali l’argomento politico si sostituisce a
quello amoroso.
FACCIAMO IL PUNTO
Qual è la divisione di competenze tra latino e volgare secondo Petrarca?
Qual è la funzione dell’intellettuale secondo Petrarca?
4 Le forme e lo stile
La fondazione Petrarca è autore di una produzione vasta e articolata, e fu apprezzato dai contemporanei
della lirica anche per la capacità di dominare generi diversi e due lingue differenti: il volgare e soprat-
moderna
tutto il latino. Se però guardiamo questa opera tanto vasta con la sensibilità e con l’interesse
moderni, in essa spicca quasi solamente il Canzoniere. Petrarca può essere infatti considerato
il fondatore della lirica moderna. Tale fondazione avviene in stretto rapporto con la “scoper-
ta” della coscienza moderna, cioè di una forma di interiorità nuova, rispetto al Medioevo e al
mondo antico: un’interiorità segnata dalla complessità, dall’ambivalenza, dal conflitto.
L’io che sta al centro del Canzoniere è infatti un io diviso, frammentato, conteso fra tensioni
opposte: da un lato sta l’attaccamento dell’uomo alla terra e alla passione amorosa, dall’altro la
superiorità della prospettiva divina e ultraterrena. Nessuna vera conciliazione sembra possibi-
le e proprio in questo consiste la modernità della poesia petrarchesca.
Specializzazione Nel momento in cui la coscienza e l’interiorità, e non più l’impegno politico, sono poste al ver-
tematica e linguistica tice della nuova gerarchia dei valori, la poesia lirica si incarica di rappresentare questa nuova
della poesia lirica
condizione. Essa non tende più, come in Dante, ad aprirsi a tutte le realtà, ma fonda un pro-
prio linguaggio specifico e autonomo, elabora una disciplina rigorosa e chiusa, in grado di
favorirne la separatezza e di proclamarne la superiorità. Mentre Dante, nella Commedia, si
confronta anche linguisticamente con tutta la realtà proponendo la soluzione del plurilingui-
smo, Petrarca, nel Canzoniere, fa ricorso al monoliguismo, e cioè a un linguaggio molto selet-
tivo e chiuso.
301
PARTE PRIMA Il Medioevo
(cioè una varietà di registri linguistici) e il pluristilismo; Petrarca nel Canzoniere codifica in-
vece il monolinguismo (cioè un solo registro linguistico) e il monostilismo. Rispetto all’al-
largamento lessicale di Dante, il vocabolario petrarchesco si riduce notevolmente. Il poeta sce-
glie una tonalità media e raffinata, evitando riferimenti espliciti a realtà considerate basse o ec-
cessivamente concrete. Ne risulta un linguaggio astratto e piuttosto generico. Se Dante chia-
ma le cose con il loro nome esatto, Petrarca predilige termini più generali attestati da una con-
solidata tradizione letteraria. Dal Trecento in poi la lezione dantesca e quella petrarchesca rap-
presenteranno le due grandi alternative stilistiche cui si rifaranno, in un modo o in un altro,
tutte le successive generazioni di poeti italiani.
La metrica Nel Canzoniere, Petrarca definisce il linguaggio della lirica anche per quanto riguarda la metri-
ca. Il sonetto raggiunge con lui la perfezione formale ed è la struttura metrica più rappresen-
tata nel libro. Gli endecasillabi armoniosi di Petrarca sono anch’essi il risultato di un processo
di raffinamento e di elaborazione che nel Cinquecento diventerà un modello indiscusso.
Le figure retoriche Lo stile di Petrarca è caratterizzato dalla presenza ricorrente di alcune figure retoriche come la
dittologia sinonimica e l’antitesi. La dittologia consiste nell’accoppiare due termini con lo
stesso significato: «canuto e bianco», «tardi e lenti». L’antitesi invece è la giustapposizione di
termini o espressioni di significato opposto, come «riso» e «pianto», ed esprime la compresen-
za di sentimenti opposti. Dittologia e antitesi mostrano, sul piano stilistico, le due tendenze
fondamentali della psicologia petrarchesca: da un lato la ricerca di conferme e di ripetizioni che
rassicurino, dall’altra la scissione interiore che lacera il soggetto.
FACCIAMO IL PUNTO
Perché Petrarca può essere considerato il fondatore della lirica moderna?
Quali sono le caratteristiche del monolinguismo di Petrarca?
L’OPERA
L’EPISTOLARIO
302
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
appartengono alla prima giovinezza del poeta; le ultime risalgono a poco prima della morte.
L’epistolario petrarchesco testimonia dunque l’intero percorso della vita di Petrarca, offren-
do notizie importanti sulla sua biografia, sulle sue letture e riflessioni, sulle sue avventure psi-
cologiche e affettive, sui suoi rapporti umani e culturali.
Lo stile epistolare Petrarca scrive le sue lettere in latino, rifacendosi al modello di Cicerone. I suoi destinatari so-
no uomini di grande cultura, ai quali non è necessario rivolgersi in volgare. Lo stile è legato alla
funzione delle lettere, che non consiste tanto nello scambio di informazioni con i propri corri-
spondenti quanto nella creazione di un’opera consapevolmente letteraria, destinata a dura-
re nel tempo. Nelle lettere, Petrarca da una parte tende dichiaratamente alla immediatezza e
alla semplicità, cioè alla confessione diretta e spesso allo sfogo esplicito; dall’altra però è assai
forte la ricerca di equilibrio, di perfezione formale, di esemplarità umana e morale.
Un autoritratto Nell’epistolario, Petrarca tende a fornire una rappresentazione ideale di sé e della propria vi-
ideale ta, puntando piuttosto sulle qualità di erudito e di moralista che non sulle insicurezze psicolo-
giche e morali: il tema dell’amore per Laura è, per esempio, sistematicamente taciuto.
L’interesse dell’epistolario petrarchesco non consiste solo nell’opportunità di avvicinarsi
al mondo dell’autore e alle sue relazioni, ma anche nella possibilità di vedere, attraverso gli
occhi di un grande intellettuale, una società in rapida trasformazione, scossa da eventi, na-
turali e sociali, dei quali l’autore si fa accorato portavoce. Inoltre, è ben visibile la nascita di
una mentalità nuova, nutrita dal culto dei classici e alla ricerca della perfezione formale,
orientata a quella valorizzazione della cultura e dell’arte che annuncia la nuova stagione
umanistica.
Altre opere latine In latino sono anche brevi trattati in prosa come il De vita solitaria [La vita solitaria] e il De
otio religioso [La vita serena dei religiosi] e il Secretum, ma anche opere in versi come il Bu-
colicum carmen [Carme pastorale]. Anche in questi casi si tratta spesso di opere incompiute,
alla quali Petrarca smise di lavorare preso da nuove idee e progetti. È significativo tuttavia
che la produzione in latino sia in senso assoluto decisamente più vasta e variegata di quella
in volgare, e che fosse apprezzata dai contemporanei più di quest’ultima. In latino è anche la
traduzione petrarchesca dell’ultima novella del Decameron (la novella di Griselda) dell’ami-
co Boccaccio.
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono i contenuti dell’epistolario?
Qual è l’elemento di maggiore attualità del poema Africa?
303
PARTE PRIMA Il Medioevo
Riportiamo qui alcuni brani della lettera più famosa dell’epistolario petrarchesco. Essa è rivolta a Dionigi di
Borgo San Sepolcro, frate agostiniano che regalò al poeta una copia delle Confessioni di sant’Agostino.
Petrarca racconta un’escursione sulla cima del Monte Ventoso, in Francia, insieme al fratello Gherardo: la
conquista della vetta diviene metafora della conquista della salvezza, o almeno del desiderio di essa. Men-
tre il fratello Gherardo sale in modo sicuro e diritto, il poeta incontra continue difficoltà. Giunto in vetta,
Francesco legge ad alta voce un brano delle Confessioni che sembra riferirsi proprio alla sua condizione.
I TEMI salita al monte come allegoria della vita
Oggi spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più
alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso.1 Da molti anni mi ero proposto
questa gita; come sai, infatti, per quel destino che regola le vicende degli uomini, ho abitato
in questi luoghi sino dall’infanzia e questo monte, che a bell’agio2 si può ammirare da ogni
5 parte, mi è stato quasi sempre negli occhi. [...]
Partimmo da casa il giorno stabilito e a sera eravamo giunti a Malaucena, alle falde del
monte, verso settentrione. Qui ci fermammo un giorno ed oggi, finalmente, con un servo cia-
scuno, abbiamo cominciato la salita, e molto a stento. La mole del monte, infatti, tutta sassi,
è assai scoscesa e quasi inaccessibile, ma ben disse il poeta che
Il giorno lungo, l’aria mite, l’entusiasmo, il vigore, l’agilità del corpo e tutto il resto ci favo-
rivano nella salita; ci ostacolava soltanto la natura del luogo. In una valletta del monte incon-
trammo un vecchio pastore che tentò in mille modi di dissuaderci dal salire, raccontandoci che
anche lui, cinquant’anni prima, preso dal nostro stesso entusiasmo giovanile, era salito sulla
15 vetta, ma che non ne aveva riportato che delusione e fatica, il corpo e le vesti lacerati dai sassi
e dai pruni,4 e che non aveva mai sentito dire che altri, prima o dopo di lui, avesse ripetuto il
tentativo. Ma mentre ci gridava queste cose, a noi – così sono i giovani, restii ad ogni consiglio
– il desiderio cresceva per il divieto. Allora il vecchio, accortosi dell’inutilità dei suoi sforzi,
inoltrandosi un bel po’ tra le rocce, ci mostrò col dito un sentiero tutto erto,5 dandoci molti av-
20 vertimenti e ripetendocene altri alle spalle, che già eravamo lontani. Lasciate presso di lui le
vesti e gli oggetti che ci potevano essere d’impaccio, tutti soli ci accingiamo a salire e ci incam-
miniamo alacremente.6 Ma come spesso avviene, a un grosso sforzo segue rapidamente la
stanchezza, ed eccoci a sostare su una rupe non lontana. Rimessici in marcia, avanziamo di
nuovo, ma con più lentezza; io soprattutto, che mi arrampicavo per la montagna con passo più
25 faticoso, mentre mio fratello, per una scorciatoia lungo il crinale del monte, saliva sempre più
in alto. Io, più fiacco, scendevo giù, e a lui che mi richiamava e mi indicava il cammino più dirit-
to, rispondevo che speravo di trovare un sentiero più agevole dall’altra parte del monte e che
non mi dispiaceva di fare una strada più lunga, ma più piana. Pretendevo così di scusare la mia
pigrizia e mentre i miei compagni erano già in alto, io vagavo tra le valli, senza scorgere da nes-
30 suna parte un sentiero più dolce; la via, invece, cresceva, e l’inutile fatica mi stancava. Annoia-
tomi e pentito, oramai, di questo girovagare, decisi di puntare direttamente verso l’alto e quan-
do, stanco e ansimante, riuscii a raggiungere mio fratello, che si era intanto rinfrancato con un
lungo riposo, per un poco procedemmo insieme. Avevamo appena lasciato quel colle che già io,
1 Ventoso: è il Mont Ventoux nel Comune di racconta l’ascensione al monte avvenuta tra latino Virgilio (Georgiche I, 145-146).
Malaucène (Malaucena), nella Provenza il 24 e il 26 aprile 1336. 4 pruni: rovi.
nord-occidentale, non lontano da Valchiusa, 2 a bell’agio: facilmente. 5 erto: ripido.
alto poco meno di duemila metri. La lettera 3 «l’ostinata...cosa»: è una frase del poeta 6 alacremente: di buona lena.
304
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
dimentico del primo errabondare,7 sono di nuovo trascinato verso il basso, e mentre attraver-
35 so la vallata vado di nuovo alla ricerca di un sentiero pianeggiante, ecco che ricado in gravi dif-
ficoltà. Volevo differire la fatica del salire, ma la natura non cede alla volontà umana, né può ac-
cadere che qualcosa di corporeo raggiunga l’altezza discendendo. Insomma, in poco tempo, tra
le risa di mio fratello e nel mio avvilimento, ciò mi accadde tre volte o più. Deluso, sedevo spes-
so in qualche valletta e lì, trascorrendo rapidamente dalle cose corporee alle incorporee, mi im-
40 ponevo riflessioni di questo genere: «Ciò che hai tante volte provato oggi salendo su questo
monte, si ripeterà, per te e per tanti altri che vogliono accostarsi alla beatitudine; se gli uomini
non se ne rendono conto tanto facilmente, ciò è dovuto al fatto che i moti del corpo sono visi-
bili, mentre quelli dell’animo son invisibili e occulti. La vita che noi chiamiamo beata è posta
in alto e stretta, come dicono, è la strada che vi conduce.8 Inoltre vi si frappongono molti colli,
45 e di virtù in virtù dobbiamo procedere per nobili gradi; sulla cima è la fine di tutto, è quel ter-
mine verso il quale si dirige il nostro pellegrinaggio. [...]
C’è una cima più alta di tutte, che i montanari chiamano il «Figliuolo»; perché non so dir-
ti; se non forse per ironia,9 come talora si fa: sembra infatti il padre di tutti i monti vicini. Sul-
la sua cima c’è un piccolo pianoro10 e qui, stanchi, riposammo. E dal momento che tu hai
50 ascoltato gli affannosi pensieri che mi sono saliti nel cuore mentre salivo, ascolta, padre mio,
anche il resto e spendi, ti prego, una sola delle tue ore a leggere la mia avventura di un solo
giorno. Dapprima, colpito da quell’aria insolitamente leggera e da quello spettacolo grandio-
so, rimasi come istupidito. [...] Ma ecco entrare in me un nuovo pensiero che dai luoghi mi
portò ai tempi. «Oggi – mi dicevo – si compie il decimo anno da quando, lasciati gli studi gio-
55 vanili, hai abbandonato Bologna. Dio immortale, eterna Saggezza, quanti e quali sono stati
nel frattempo i cambiamenti della tua vita! Così tanti che non ne parlo; del resto non sono
ancora così sicuro in porto da rievocare le trascorse tempeste. Verrà forse un giorno in cui po-
trò enumerarle nell’ordine stesso in cui sono avvenute; premettendovi le parole di Agostino:
“Voglio ricordare le mie passate turpitudini,11 le carnali corruzioni dell’anima mia, non
60 perché le ami, ma per amare te, Dio mio”.12 Troppi sono ancora gli interessi che mi produco-
no incertezza ed impaccio. Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo, ma meno;
ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho det-
7 errabondare: vagabondare. conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli giante situata a media altitudine.
8 stretta...conduce: si tratta di un riferimen- che la trovano». 11 turpitudini: azioni moralmente vergognose.
to al Vangelo di Matteo (VII, 14): «quanto 9 ironia: dicendo cioè il contrario del vero. 12 “Voglio...Dio mio”: citazione dalle Confes-
stretta invece è la porta e angusta la via che 10 pianoro: piccola zona di terreno pianeg- sioni di sant’Agostino (II, 1, 1).
305
PARTE PRIMA Il Medioevo
to la verità. È proprio così: amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tut-
tavia, ma contro voglia, nella costrizione, nel pianto, nella sofferenza. In me faccio triste
65 esperienza di quel verso di un famosissimo poeta:
Non sono ancora passati tre anni da quando quella volontà malvagia e perversa che tutto
mi possedeva e che regnava incontrastata nel mio spirito cominciò a provarne un’altra, ribel-
le e contraria; e tra l’una e l’altra da un pezzo, nel campo dei miei pensieri, s’intreccia una bat-
70 taglia ancor oggi durissima e incerta per il possesso di quel doppio uomo che è in me. [...] Men-
tre ammiravo questo spettacolo in ogni suo aspetto ed ora pensavo a cose terrene ed ora, in-
vece, come avevo fatto con il corpo, levavo più in alto l’anima, credetti giusto dare uno
sguardo alle Confessioni di Agostino, dono del tuo affetto, libro che in memoria dell’autore
e di chi me l’ha donato io porto sempre con me: libretto di piccola mole ma d’infinita dol-
75 cezza. Lo apro per leggere quello che mi cadesse sott’occhio: quale pagina poteva capitarmi
che non fosse pia e devota? Era il decimo libro. Mio fratello, che attendeva per mia bocca di
udire una parola di Agostino, era attentissimo. Lo chiamo con Dio a testimonio che dove
dapprima gettai lo sguardo, vi lessi: «E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i
vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri
80 e trascurano se stessi».14 Stupii, lo confesso; e pregato mio fratello che desiderava udire al-
tro di non disturbarmi, chiusi il libro, sdegnato con me stesso dell’ammirazione che ancora
provavo per cose terrene quando già da tempo, dagli stessi filosofi pagani, avrei dovuto im-
parare che niente è da ammirare tranne l’anima, di fronte alla cui grandezza non c’è nulla di
grande.
85 Soddisfatto oramai, e persino sazio della vista di quel monte, rivolsi gli occhi della mente
in me stesso e da allora nessuno mi udì parlare per tutta la discesa: quelle parole tormentava-
no il mio silenzio. Non potevo certo pensare che tutto fosse accaduto casualmente; sapevo
anzi che quanto avevo letto era stato scritto per me, non per altri.
F. Petrarca, Le familiari, trad. it. di U. Dotti, Argalia, Urbino 1974.
13 «Ti odierò...voglia»: si tratta di un passaggio del poeta 14 «E vanno...stessi»: citazione dalle Confessioni di
latino Ovidio (Amori III, 11, 35). sant’Agostino (X, 8, 15).
306
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
INTERPRETAZIONE I livelli di lettura L’ascesa al Monte Ventoso può essere letta su due livelli diversi:
E COMMENTO come il racconto autobiografico di un’escursione alla cima del monte, compiuta da Petrarca
insieme al fratello Gherardo;
come la rappresentazione della propria vicenda esistenziale.
Il secondo livello di lettura rivela la natura allegorica del testo: il monte rappresenta la via che
avvicina l’uomo alla salvezza, così come avviene per esempio nella Commedia (qui, infatti,
viene applicato “in piccolo” lo stesso modello presente nel poema di Dante). Le difficoltà
incontrate nella salita rappresentano gli ostacoli che vanno superati per raggiungere Dio. Ben
si spiega che il fratello Gherardo salga in modo più disinvolto e spedito, lui che si era ritirato
in convento e che costituiva agli occhi del poeta un modello di virtù cui guardare con inevita-
bili sensi di colpa.
307
PARTE PRIMA Il Medioevo
La Lettera ai posteri contiene il racconto della vita di Petrarca, presentandosi come una specie di autobio-
grafia ideale rimasta però incompiuta, fermandosi agli eventi del 1351. Ne riportiamo la prima parte, in
cui il poeta traccia il proprio ritratto morale di scrittore libero, disinteressato, amante della solitudine e
degli studi.
I TEMI rappresentazione di un’autobiografia ideale
Ti verrà forse all’orecchio qualcosa di me; sebbene sia dubbio che il mio povero, oscuro nome
possa arrivare lontano nello spazio e nel tempo. E forse ti piacerà sapere che uomo fui o qua-
le la sorte delle opere, soprattutto di quelle la cui fama sia giunta sino a te e di cui tu abbia sen-
tito vagamente parlare. Sul primo punto se ne diranno indubbiamente di varie: perché quasi
5 tutti parlano non come vuole la verità, ma come vuole il capriccio; e non c’è misura giusta né
per lodare né per biasimare. Sono stato uno della vostra specie, un pover’uomo mortale, di
classe sociale né elevata né bassa; [...] di temperamento per natura né malvagio né senza scru-
poli, se non fosse stato guastato dal contatto abituale con esempi contagiosi.1 L’adolescenza
mi illuse, la gioventù mi traviò, ma la vecchiaia mi ha corretto [...]. Non mi vanto di aver avu-
10 to una grande bellezza, ma in gioventù potevo piacere: di colore vivo tra bianco e bruno, occhi
vivaci e per lungo tempo di una grandissima acutezza, che contro ogni aspettativa mi tradì
passati i sessanta, in modo da costringermi a ricorrere con riluttanza all’aiuto delle lenti. La
vecchiaia prese possesso d’un corpo che era stato sempre sanissimo e lo circondò con la solita
schiera di acciacchi.2
15 Ho avuto sempre un grande disprezzo del denaro;3 non perché non mi piacesse essere ric-
co, ma perché detestavo le preoccupazioni e le seccature che sono compagne inseparabili
dell’essere ricchi. [...] I banchetti [...] non mi sono mai piaciuti, ed ho giudicato una fatica inu-
tile invitarvi gli altri e dagli altri essere invitato. Ma pranzare con gli amici mi è sempre piaciu-
to, tanto che nulla mi è stato più gradito che averli come commensali, e mai di mia volontà ho
20 mangiato senza compagnia. [...] Mi travagliò, quando ero molto giovane, un amore fortissi-
mo,4 ma fu il solo, e fu puro; e più a lungo ne sarei stato travagliato se la morte, crudele ma
provvidenziale,5 non avesse spento definitivamente quella fiamma quand’ormai era lan-
guente. Vorrei davvero poter dire d’essere assolutamente senza libidine;6 ma se lo dicessi
mentirei. Posso dir questo con certezza; d’aver sempre in cuor mio esecrato quella bassezza,7
25 quantunque vi fossi spinto dai calori dell’età e del temperamento. Ma tosto che fui presso ai
quarant’anni,8 quando ancora avevo parecchia sensibilità e parecchie energie, ripudiai siffat-
tamente non soltanto quell’atto osceno, ma il suo totale ricordo, come se mai avessi visto una
donna. E questa la pongo tra le mie principali felicità, ringraziando il Signore d’avermi libera-
to, ancora sano e vigoroso, da una servitù così bassa e per me sempre odiosa.
30 Ma passiamo ad altro. La superbia l’ho riscontrata negli altri, ma non in me stesso; e sebbe-
ne sia stato un piccolo uomo, sempre mi sono giudicato ancora più trascurabile. La mia ira
danneggiò assai di frequente me stesso, mai gli altri. Mi vanto francamente – perché so di di-
re la verità – d’aver un animo molto suscettibile, ma facilissimo a dimenticare le offese, ed al
contrario saldissimo nel ricordo dei benefici ricevuti. Fui desiderosissimo delle amicizie one-
1 esempi contagiosi: cattivi esempi. ria, superbia, ira, invidia e accidia). sempre da lui condannato (esecrato).
2 La vecchiaia...acciacchi: nel 1369 e nel 4 amore fortissimo: per Laura. 8 presso ai quarant’anni: cioè intorno al
1370 Petrarca fu colpito da febbri malariche e 5 la morte...provvidenziale: Laura morì nel 1343, quando nacque al poeta la figlia natura-
da una grave sincope. 1348, durante l’epidemia di peste nera. le Francesca – frutto del rapporto con una
3 Ho avuto...denaro: come si vedrà, l’autoa- 6 libidine: impulso sessuale. donna di cui non si hanno notizie – ed egli at-
nalisi di Petrarca segue le regole della tratta- 7 quella bassezza: l’atto sessuale, cui allu- traversò una grave crisi spirituale.
tistica morale cristiana, passando in rassegna dono anche le righe seguenti, è considerato
i sette peccati capitali (avarizia, gola, lussu- basso e osceno da Petrarca; perciò è stato
308
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
35 ste e le coltivai con assoluta fedeltà.9 Ma il supplizio di chi a lungo invecchia è appunto di do-
ver sempre più spesso piangere la morte dei propri cari. Ebbi la fortuna di godere la familiari-
tà dei principi e dei re, e l’amicizia dei nobili, tanto da esserne invidiato. Tuttavia da parecchi
di coloro che più amavo mi tenni lontano: fu sì radicato in me l’amore della libertà, da evitare
con ogni attenzione coloro che sembravano esserle contrari anche nel nome solo.10 I più
40 grandi re11 del mio tempo mi vollero bene e mi onorarono – il perché non lo so; è cosa che ri-
guarda loro – e con certuni ebbi rapporti tali che in certo qual modo erano loro a stare con me;
e dalla loro grandezza non ebbi noie, ma molti vantaggi. Fui d’intelligenza equilibrata piutto-
sto che acuta; adatta ad ogni studio buono e salutare, ma inclinata particolarmente alla filoso-
fia morale ed alla poesia. Quest’ultima con l’andare del tempo l’ho trascurata, preferendo le
45 Sacre Scritture, nelle quali ho avvertito una riposta dolcezza (che un tempo avevo spregiata),
mentre riservavo la forma poetica esclusivamente per ornamento. Tra le tante attività, mi de-
dicai singolarmente a conoscere il mondo antico, giacché questa età presente a me è sempre
dispiaciuta, tanto che se l’affetto per i miei cari non mi indirizzasse diversamente, sempre
avrei preferito d’esser nato in qualunque altra età; e questa mi sono sforzato di dimenticarla,
50 sempre inserendomi spiritualmente in altre. E perciò mi sono piaciuti gli storici; altrettanto
deluso, tuttavia, per la loro discordanza, ho seguito nei casi dubbi la versione a cui mi traeva
la verisimiglianza dei fatti o l’autorità dello scrittore. Nel parlare, secondo quanto hanno det-
to alcuni, chiaro ed efficace; ma a mio vedere fiacco ed oscuro. Ed in realtà nella conversazio-
ne quotidiana con gli amici e con i famigliari non ho mai avuto preoccupazione di parlar forbi-
55 to [...]. Ma dove l’argomento o la sede o la persona che m’ascoltava parevano richiedere diver-
samente, mi ci sono provato un poco; con quanta efficacia, non so; l’hanno da giudicare colo-
ro di fronte ai quali parlai. Per mio conto, purché l’abbia vissuto rettamente, poco mi curo di
come abbia parlato: gloria vana è cercare la fama unicamente nel luccicare delle parole.
F. Petrarca, Prose, a cura di G. Martelletti, P. G. Ricci, E. Carrara, E. Bianchi, Ricciardi, Milano-Napoli 1955.
9 Fui...fedeltà: Petrarca coltivava con molta a chi aveva criticato il suo soggiorno milanese 11 I più grandi re: Roberto d’Angiò, re di Na-
cura le proprie amicizie, tra cui è da ricordare presso i Visconti, la cui politica tirannica ed poli; l’imperatore Carlo IV; i pontefici Cle-
quella con Giovanni Boccaccio. espansionistica minacciava l’indipendenza degli mente VI, Innocenzo VI e Urbano V; il re di
10 l’amore...solo: Petrarca qui vuole rispondere altri Stati italiani e soprattutto quella di Firenze. Francia Giovanni II.
309
PARTE PRIMA Il Medioevo
INTERPRETAZIONE La forma e il contenuto Petrarca ha sempre presente l’interlocutore cui si rivolge e modula
E COMMENTO di conseguenza il registro: «nella conversazione quotidiana con gli amici e con i famigliari non
ho mai avuto preoccupazione di parlar forbito [...]. Ma dove l’argomento o la sede o la persona
che m’ascoltava parevano richiedere diversamente, mi ci sono provato un poco». Lodato per la
bellezza e la perfezione formale dei suoi testi, il poeta afferma tuttavia «gloria vana è cercare la
fama unicamente nel luccicare delle parole». Questa sentenza, insieme all’attenzione verso i
destinatari, ribadisce perché l’opera petrarchesca sia valida e letta ancora ai nostri giorni.
Altre caratteristiche
Non solo Petrarca, ma tutti i grandi autori hanno
della personalità scritto delle lettere, che spesso sono state raccolte
e pubblicate in volumi postumi. Oggi però la lettera è
2. Petrarca racconta che, quando era molto giovane, un genere desueto: nella prassi quotidiana la lettera
«un amore fortissimo» (rr. 20-21) lo travagliò. A chi si è stata sostituita da altre forme più immediate di
riferisce? comunicazione a distanza, come la mail o la
messaggistica istantanea (come gli sms, WhatsApp,
ecc.). Ti capita ancora di scrivere lettere? Quali sono
ANALISI
le differenze tra lettera e mail? Come cambiano lo
3. L’autoanalisi di Petrarca segue le regole della trat- stile e le forme della comunicazione? Prendendo
tatistica morale cristiana, passando in rassegna i set- spunto dalla tua esperienza personale, discuti la
te peccati capitali. Individua nel testo il passo relativo questione con i compagni.
a ciascun peccato.
6 Il Secretum
Composizione e La più importante delle opere in prosa di Petrarca è il Secretum, il cui titolo per esteso è De secreto
titolo dell’opera conflictu curarum mearum [Il segreto conflitto delle mie ansie]. Insieme all’epistolario, è la fonte
più attendibile e completa per conoscere il mondo interiore del poeta, ed è scritto in latino. Com-
posta probabilmente nel 1347, l’opera non era destinata alla pubblicazione, ma a una funzione
personale di confessione e di diario autobiografico, ed è il frutto della crisi spirituale vissuta negli
anni Quaranta. Per questo suo carattere privato, nel Secretum è assente l’intento di costruire una
figura pubblica dotata di caratteristiche esemplari che caratterizza invece l’epistolario.
L’OPERA
IL SECRETUM
310
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
La struttura
Un dialogo Il Secretum ha la forma di un dialogo tra il poeta stesso
tra il poeta e (Francesco) e sant’Agostino, svolto alla presenza della
sant’Agostino
Verità, sempre muta testimone e garante della sinceri-
tà delle affermazioni fatte: si tratta naturalmente di un
dialogo immaginario e impossibile, dato che il santo era
vissuto quasi mille anni prima di Petrarca. I due punti di
vista degli interlocutori si affrontano, senza che Fran-
cesco possa assumere del tutto quello di Agostino, di
cui tuttavia riconosce la superiorità morale e l’autori-
tà religiosa. Il dialogo si stende lungo l’arco di tre gior-
ni ed è suddiviso in tre libri, con riferimento al simbolo
della Trinità.
Libro III: Nel terzo e ultimo libro Agostino indica i due maggiori vincoli che ostacolano il riscatto mora-
gli ostacoli al le di Francesco: l’amore terreno per Laura e l’attaccamento effimero alla gloria. Francesco cer-
riscatto morale
ca tenacemente di dimostrare come entrambi siano stati, in realtà, motivo di elevazione spiri-
tuale; ma Agostino demolisce ogni suo tentativo di difesa dimostrandogli invece come amore
e fama poetica non portino affatto alla salvezza eterna ( T3, p. 312).
Un’opera aperta La conclusione del dialogo è aperta. In Francesco non si verifica una vera e propria conversio-
e problematica ne: egli può solo impegnarsi a raccogliere gli sparsi frammenti della sua anima, con la speran-
za di un reale cambiamento nella propria vita, ma senza alcuna certezza. La principale ra-
gione di interesse e di modernità dell’opera consiste proprio in questa sua natura aperta e pro-
blematica. Come nel Canzoniere, si assiste qui a una conflittualità interna (o a un’ambivalen-
za) che non può trovare pace né risoluzione. La voce di Agostino non è la voce di un vero con-
fessore, cioè di un punto di vista esterno e superiore, cui la personalità dell’interlocutore Fran-
cesco possa resistere o cedere; è, piuttosto, una parte della complessa psicologia petrarchesca,
al pari di quella di Francesco che più direttamente la rappresenta. I due dialoganti esprimono,
estremizzandoli, gli aspetti complementari e contraddittori della personalità dell’autore, senza
mai arrivare a una conclusione comune.
FACCIAMO IL PUNTO
Come è strutturato il Secretum?
L’opera era destinata alla pubblicazione secondo le intenzioni del suo autore?
311
PARTE PRIMA Il Medioevo
Nel frammento del Secretum qui proposto Francesco ha confessato ad Agostino il proprio amore per Laura,
sostenendone il significato positivo; ma Agostino contrasta questa visione riconoscendo nella donna la «rovi-
na» del poeta. Il punto di vista di Agostino si contrappone a quello di Francesco guadagnando a poco a poco
terreno, ma faticando ad annullarne le resistenze, e anzi non giungendo mai a una completa resa di esse.
I TEMI coscienza divisa contrasto fra amore terreno e amore divino
Francesco [...] Che altro infatti desideravo da giovane, se non di piacere proprio a lei1 so-
la, che proprio sola a me era piaciuta? E per raggiungere questo scopo, disprezzate le mille
attrattive delle voluttà,2 tu ben sai a quanti affanni e fatiche mi sottomettessi anzi tempo.
E mi comandi di dimenticare o di amare più tiepidamente colei che mi ha allontanato dal vol-
5 go,3 che ha spronato il mio torpido ingegno, e svegliato il mio animo semisopito?4
Agostino Infelice, quanto era meglio tacere che parlare! Sebbene anche quando tacevi
ti vedessi in tali condizioni nel tuo spirito, tuttavia codeste affermazioni tanto ostinate susci-
tano in me nausea e sdegno.
Francesco Perché, ti prego?
10 Agostino Perché pensare il falso è proprio dell’ignorante e del superbo.
Francesco Quale prova ti fa certo che io ho pensato o detto il falso?
Agostino Senz’altro tutto quel che ricordi! Anzitutto quando dici che devi a lei di essere
quello che sei. Se con ciò intendi che essa ti ha permesso di essere così, senza dubbio tu men-
ti. Ma se intendi che non ti ha permesso di essere qualcosa di più, allora dici il vero. Oh, che
15 grand’uomo saresti potuto riuscire, se essa non t’avesse distolto con le lusinghe della sua bel-
lezza! Quello che sei, te l’ha dunque concesso la bontà della natura; quello che potevi essere,
è stata lei a togliertelo; anzi, sei stato tu: essa è innocente.5 La sua bellezza ti è parsa così affa-
scinante, così dolce, che con l’ardore d’un accesissimo desiderio e una continua pioggia di la-
crime ha guastato ogni messe che sarebbe sorta dal seme di virtù che la natura ti aveva conces-
20 so. Quanto al fatto, poi, che essa ti avrebbe distolto da ogni turpitudine,6 te ne glorii a torto: ti
ha distolto forse da molte, ma ti ha spinto in affanni più gravi. Non si può infatti dire liberato-
re, ma piuttosto uccisore chi ha insegnato ad evitare una via insozzata da varie brutture, se ha
poi condotto ad un precipizio [...]. E costei, che tu vai dicendo tua guida, se ti ha distolto da
molte sconcezze, ti ha spinto in uno splendido baratro. Quanto all’averti insegnato a mirare in
25 alto, all’averti allontanato dal volgo, che altro è stato se non l’averti reso suo ammiratore, e –
preso dalla dolcezza di lei sola – dispregiatore di ogni altra cosa, e fastidiosamente pigro?7 Sap-
pi che nei rapporti umani non c’è nulla di più insopportabile di questo. Quanto al ricordare
che essa ti ha indotto a innumeri fatiche, questa è l’unica verità che vai dicendo. Che grande
compenso tu trovi in ciò, puoi pensarlo. Poiché infatti sono multiformi le fatiche che non si
30 possono evitare, quanta follia è il cercarne altre di propria iniziativa! Ma circa il tuo vantarti
d’esser divenuto per lei avido di fama più insigne,8 compatisco il tuo errore. Poiché ti dimo-
strerò che, fra i pesi del tuo animo, nessuno è per te più funesto.9 [...] Costei che tu esalti, cui
1 lei: cioè Laura, l’unico vero amore di Pe- ha non solo stimolato (spronato) le facoltà intel- Francesco attribuisce a Laura la sua fama: «quel
trarca. lettuali e morali del poeta, talvolta fiacche e pri- poco che mi vedi, sono per essa; né sarei mai
2 voluttà: intenso piacere che deriva dal sod- ve di vivacità (torpido ingegno), ma ha anche ri- giunto a questo grado […] di rinomanza e di glo-
disfacimento dei sensi. acceso il suo animo spento e triste (semisopito). ria, se costei non avesse coltivato, con nobilissi-
3 volgo: popolo. Secondo il poeta, l’amore per 5 anzi...innocente: Agostino non accusa mi sentimenti, la tenuissima semente della vir-
Laura lo ha allontano da una vita “volgare”, Laura, ma l’amore e il desiderio che il poeta tù, che natura aveva messo in questo cuore».
cioè caratterizzata da modi e atteggiamenti nutre per lei. 9 fra i pesi...funesto: Francesco, suo malgra-
banali e grossolani. 6 turpitudine: atteggiamento volgare. do, desidera la fama più di ogni altra cosa. È
4 spronato...semisopito?: secondo Francesco, 7 dispregiatore...pigro?: Agostino condanna consapevole della vanità di tutte le cose e per
l’amore per Laura è stato un grande rimedio qui l’accidia di Petrarca. questo il suo attaccamento all’idea della glo-
all’accidia che dominava il suo animo: la donna 8 vantarti...insigne: in un passo precedente ria lo addolora profondamente.
312
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
asserisci di esser debitore di tutto, costei è la tua rovina. [...] Ha distolto il tuo animo dall’amo-
re dei beni celesti, ed ha volto il tuo desiderio dal Creatore alla creatura. E questa sola è stata
35 sempre la via più facile verso la morte.
Francesco Ti prego, non sentenziare con troppa fretta: il suo amore giovò senz’altro a
farmi amare Dio.
Agostino Ma ha invertito l’ordine.
Francesco Come?
40 Agostino Perché bisogna amare tutto il creato per amore del Creatore; e tu, invece, pre-
so dalle attrattive d’una creatura, non hai amato il Creatore come si doveva, ma lo hai ammi-
rato come artefice di lei, quasi non avesse creato nulla di più bello, mentre la venustà10 corpo-
rea è l’ultima delle bellezze.
Francesco Chiamo a testimonio costei che è qui presente,11 e assieme faccio testimone
45 la mia coscienza, che io – come ho detto prima – non ho amato di lei più il corpo che l’anima. [...]
Agostino Mi vuoi prendere in giro? Se la stessa anima abitasse in un corpo brutto e con-
torto, ti sarebbe piaciuta ugualmente?
Francesco Non oserei a dir questo: l’anima non si può vedere, né l’aspetto del corpo l’a-
vrebbe promessa tale; ma se apparisse allo sguardo, amerei senz’altro la bellezza d’un’anima
50 che pure avesse una brutta dimora.
Agostino Cerchi mezzucci verbali; se puoi amare solo ciò che si presenta alla vista, hai
dunque amato il corpo. E tuttavia non negherei che anche l’anima e i costumi di lei abbiano of-
ferto esca alle tue fiamme, appunto come – lo dirò fra breve – il suo stesso nome12 ha accresciu-
to un po’, o anche moltissimo, codesti furori. Infatti come in tutte le passioni dell’animo, così
55 specialmente in questa avviene che da piccolissime faville si levino spesso grandi incendi.
Francesco Vedo a cosa mi obblighi: a confessare con Ovidio:13 «Ho amato l’anima as-
sieme al corpo».14
F. Petrarca, Opere, Mursia, Milano 1963.
10 venustà: bellezza. valori terreni e valori spirituali. La citazione ma. Mentre nel passato questi due elemen-
11 costei...presente: la Verità, muta testi- tratta da un’opera del poeta latino Ovidio (43 ti contraddittori avevano trovato una con-
mone del dialogo. a.C.-18 d.C.) serve a dare più peso all’argo- ciliazione in una gerarchia di valori, in cui
12 nome: più avanti Agostino chiarirà che mentazione: per gli antichi, cioè prima l’uno era subordinato all’altro, ora essi con-
per amore del nome di Laura il poeta ha per- dell’avvento del cristianesimo, non era pec- vivono, ugualmente radicati all’interno
seguito la laurea poetica ed è divenuto un cato concepire l’amore anche da un punto di dell’animo del poeta, senza che nessuno
adoratore del lauro. vista fisico; bisogna ricordare, tuttavia, che la dei due riesca a prevalere. Il desiderio ha la
13 confessare con Ovidio: Petrarca viene co- sapienza classica aspirava a un razionale con- stessa forza della ragione. Di qui la consa-
stretto a confessare ciò che costituisce la fon- trollo delle passioni. pevolezza in Petrarca del “doppio uomo”
te del suo conflitto interiore: il contrasto tra 14 «Ho amato...corpo»: questo è il dram- che è in lui.
313
PARTE PRIMA Il Medioevo
ANALISI Agostino e Francesco: due parti contrapposte di uno stesso io Agostino e Francesco
sostengono due tesi assai diverse e lontane. Con il procedere del dialogo, la distanza tra le posi-
zioni diminuisce, senza però mai scomparire del tutto. Non si tratta di un reciproco avvicina-
mento. In realtà, Agostino resta fermo nella propria opinione iniziale e la rende via via più espli-
cita e brutale. È dunque il solo Francesco a retrocedere, pur mantenendo sempre un margine di
resistenza alle ragioni del confessore. Viene così messo in risalto un contrasto irriducibile, che
rispecchia quello interiore del poeta: le due voci dialoganti non esprimono due identità separate
ma piuttosto due parti contrapposte della personalità petrarchesca.
I modelli letterari Per la composizione del Secretum, Petrarca guarda ai modelli della tradi-
zione classica, in particolare al genere del dialogo filosofico e morale, che vantava una lunga
serie di capolavori, a partire dai dialoghi di Platone. Ma ancora più vicine all’opera petrarche-
sca sono le Confessioni (397-401 d.C.) di sant’Agostino, in cui l’autore-protagonista ripercorre
le vicende del suo animo alla luce della conversione al cristianesimo, delineando una sorta di
autobiografia interiore. Inoltre, com’è naturale, nel Secretum sono presenti anche molti ele-
menti che appartengono alla tradizione del pensiero medievale, fra i quali, soprattutto, l’im-
pianto allegorico (riscontrabile nella presenza di un personaggio come quello della Verità) e la
drammatizzazione dei moti della coscienza (che si concretizzano nel dialogo fra i due interlo-
cutori, Francesco e Agostino).
INTERPRETAZIONE Una visione moderna e problematica La tesi sostenuta da Francesco (l’amore per un
E COMMENTO essere nobile e angelico avvicina l’uomo a Dio) attraversa l’intera tradizione lirica cortese,
raggiungendo la sua elaborazione più matura nello Stilnovismo e nella Vita nuova di Dante.
Il rifiuto di tale tesi, espresso dalla voce di sant’Agostino, segna una svolta, che si appro-
fondisce nel Canzoniere: nelle pagine del Secretum si coglie infatti la stessa contraddizione
tra i valori religiosi e l’esperienza erotica che contraddistingue l’opera maggiore di Petrarca.
Si tratta di una visione che ci appare senza dubbio più moderna perché più problematica e
conflittuale.
314
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
7 Il Canzoniere
Struttura, datazione e titolo
La struttura e Il capolavoro di Petrarca è senza dubbio il Canzoniere. Con i Trionfi, è la sola opera petrarchesca
la datazione scritta in volgare. Si presenta come una raccolta ordinata di 366 componimenti poetici: 317 so-
netti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. Le varie forme metriche sono liberamente
alternate. La struttura del Canzoniere è divisa in due momenti fondamentali: le rime che
precedono la morte di Laura e quelle che la seguono. L’opera trovò la sua forma definitiva
nell’ultimo anno di vita del poeta, tra il 1373 e il 1374. A una raccolta organica di testi poetici
egli lavorava però almeno dal 1342.
Il titolo Il titolo dato dall’autore all’opera, e che leggiamo sul manoscritto originale redatto sotto la sua
supervisione, è Francisci Petrarchae laureati poetae Rerum vulgarium fragmenta [Frammenti di
cose in volgare di Francesco Petrarca, poeta laureato]: l’uso di un titolo latino per un’opera in
volgare era normale per l’epoca. Già anticamente, tuttavia, l’opera era conosciuta con il titolo
DIGIT TESTI
«Era il giorno ch’al generico di Canzoniere. Il titolo allude innanzitutto al carattere frammentario dell’opera,
sol si scoloraro» che raccoglie componimenti poetici dotati ciascuno di autonomia testuale: ogni “fram-
«Movesi il
vecchierel canuto mento” può essere letto singolarmente o come parte della struttura complessiva. D’altra par-
et biancho»
«Zephiro torna,
te, il riferimento ai “frammenti” allude anche a un tema centrale della ricerca petrarchesca: la
e ’l tempo rimena» ricostruzione e la ricomposizione della personalità del poeta, lacerata da esperienze e passioni
«Benedetto sia contrastanti. Il Canzoniere rappresenta infatti per Petrarca il tentativo di attribuire un signifi-
’l giorno, e ’l mese,
et l’anno» cato unitario ai vari momenti di un’esistenza ricca di contraddizioni.
L’OPERA
IL CANZONIERE
Francisci Petrarchae laureati poetae Rerum vulgarium fragmenta [Frammenti di cose in volgare di
Titolo
Francesco Petrarca, poeta laureato]
Data la redazione definitiva è del 1373-1374 (ma una prima redazione è allestita già nel 1342-1343)
366 componimenti divisi fra “rime in vita di Laura” (liriche 1-263) e “rime in morte di Laura”
Struttura
(liriche 264-366)
l’io diviso del poeta, l’amore e l’amata, la memoria, la fuga del tempo e la precarietà della
Temi
condizione umana, il paesaggio-stato d’animo, il privilegio intellettuale
315
PARTE PRIMA Il Medioevo
proprio amore per lei. L’amore del poeta giunge quindi a una nuova maturazione: si afferma
no la coscienza dei limiti della propria passione e il rimpianto per la sua mancata realizzazione;
finché il desiderio di segnare un distacco dai valori terreni per aderire ai valori religiosi intro
duce il tema del pentimento e della conversione ( T16, p. 358).
Un itinerario Nel Canzoniere l’ordine dei componimenti non sempre corrisponde a quello della scrittura:
esemplare all’autore non interessa una cronologia reale, ma una cronologia soggettiva, che serva a ri-
costruire un itinerario esemplare e che sia capace di trasmettere, oltre che il senso dell’im
mediatezza dell’esperienza, anche un modello ideale di comportamento, il cui senso si chia
risce del tutto solo alla fine. Il sonetto «Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono», composto nella
maturità (intorno al 1350), apre il Canzoniere presentando l’amore per Laura come «giovenile
errore», precedendo testi più antichi: in questo modo Petrarca vuole orientare in una direzio
ne ben precisa la lettura dei testi che seguono e invita a percorrere l’opera come una parabola
dall’errore al pentimento e alla conversione ( T4, p. 319).
La simbologia La volontà di definire un percorso esemplare è anche alla base della simbologia che riguarda, nel
del numero sei Canzoniere, il numero sei. Il primo incontro con Laura avviene il 6 aprile 1327; la morte della don
na, il 6 aprile 1348. Il numero sei diventa perciò il numero di Laura: esso è contenuto due volte
nel numero dei componimenti che formano l’opera (366), così come due volte ha avuto una fun
zione decisiva nella vita di Petrarca. Inoltre, il totale dei testi (meno il sonetto proemiale) coinci
de con il numero dei giorni dell’anno, con allusione ai giorni esemplari di un anno di vita.
Fra diario e Nella sua forma definitiva, il Canzoniere si presenta come un diario composto da testi scritti in
autobiografia prima persona, che si riferiscono a esperienze, sentimenti e idee dell’autore. D’altra parte, l’ope
ra si presenta anche come un’autobiografia, da non intendere, in senso moderno, come racconto
veritiero e autentico della propria vita, ma piuttosto come costruzione di un personaggio idea-
lizzato, in cui ogni lettore può riconoscersi. Mentre il carattere diaristico del Canzoniere è dato dal
la cronaca, cioè dal riferimento puntuale a fatti e situazioni (con al centro la grande rottura rappre
sentata dalla morte di Laura avvenuta nel 1348), quello autobiografico è dato dalla costruzione ge
nerale dell’opera, che reinterpreta il passato in modo idealizzato. Occorre tenere ben presente che
nel Trecento ciò che conta nel racconto di una vita non è l’esperienza soggettiva e irripetibile di un
individuo, ma il suo valore esemplare per ogni essere umano. E questo resta vero anche in un’ope
ra che punta sull’esperienza puntuale del soggetto in modo rivoluzionario e moderno.
316
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
La donna tra Il nome di Laura può essere letto come un senhal, cioè, secondo la consuetudine della lirica pro
rappresentazione venzale, come un nome fittizio o un riferimento cifrato dietro il quale il poeta nascondeva la
simbolica e
realismo psicologico persona amata. Il nome Laura contiene innanzitutto un riferimento al “lauro”, cioè all’alloro,
la pianta sacra ad Apollo (dio pagano delle arti e della poesia) e dunque richiamo alla sacralità
dell’arte, ma anche alla “laurea” poetica conseguita da Petrarca a Roma, e siglata, per tradizio
ne, con una corona di alloro. L’amore per Laura-lauro rappresenta metaforicamente, dun
que, anche l’amore di Petrarca per i valori umanistici della poesia e della cultura. Ma è
anche, secondo la mitologia classica, un amore inappagato: come Laura si nega a Petrarca, così
la ninfa Dafne, amata da Apollo, preferisce essere trasformata in un albero d’alloro pur di sfug
gire al dio che la insegue. Non a caso l’amata è sempre rappresentata nel Canzoniere come figu
ra distante o assente. Nella prima parte dell’opera (quella “in vita” di Laura) la lontananza del-
la donna è una lontananza geografica, secondo un tema già ampiamente coltivato dai poeti
provenzali (l’amor de lonh). Nella seconda parte (quella “in morte” di Laura), invece, la lonta
nanza di Laura diventa un’assenza definitiva e irrimediabile. Ma Laura risulta lontana anche a
causa del suo atteggiamento sprezzante e superbo: l’amata è spesso caratterizzata come una
donna fredda e altera, tanto da essere considerata “nemica”. La sua bellezza straordinaria e
quasi angelica suscita il desiderio del poeta, che resta però inappagato. Nel ciclo dei sonetti del
lo specchio (4446) vediamo la donna contemplare narcisisticamente la propria bellezza, chiu
dendosi in sé e sottraendosi all’amore del poeta ( T7, p. 327).
Laura e Beatrice Rispetto alla donna lodata dagli stilnovisti, Laura appare figura più concreta: essa si dimo
stra dotata di una propria specifica personalità, definita dalle tappe biografiche, dalle notizie
anagrafiche, dalla concezione morale e ideologica. Laura è donna mutevole: può essere di buon
umore o contrariata, può ammalarsi e guarire, ecc. Questa mutevolezza della donna è una di
mensione nuova, inconciliabile con lo Stilnovismo: a differenza della Beatrice dantesca, Laura
non è un’immobile figura divina; è un essere mortale, e perciò fonte di una passione dolorosa
mente terrena e mutevole.
Il tempo come Per quanto riguarda il tempo, l’io avverte il futuro come incertezza e paura, il passato come
dimensione unico territorio sul quale riflettere e il presente come attimo fuggente che rivela la precarietà
soggettiva: il tema
della memoria della condizione umana. Il passato assume un significato particolare in relazione al tema del-
la memoria, decisivo nel Canzoniere. Il rapporto con la donna, impossibile nella realtà, si co
317
PARTE PRIMA Il Medioevo
Il paesaggio-stato Nel Canzoniere, anche lo spazio acquista una dimensione soggettiva e simbolica. La descri
d’animo zione e la rappresentazione del paesaggio naturale non sono più il contorno esteriore o lo sfon
do statico della vicenda personale del poeta, ma entrano a farne parte in modo organico e com
pleto. Nasce il paesaggiostato d’animo: il soggetto si specchia nella natura circostante e vi rico
nosce il proprio mondo interiore; il paesaggio diviene cioè l’equivalente – per somiglianza o
per opposizione – dello stato d’animo del soggetto lirico, che può riconoscersi nelle cose
che lo circondano ( T6, p. 325) oppure allontanarsene constatando una radicale estraneità.
Le ragioni Le ragioni di questo successo così profondo sono molte. Ma le sue radici stanno nella straordi
del successo naria capacità da parte di Petrarca di interpretare un cambiamento storico in atto che si sarebbe
dispiegato nei secoli successivi: la nascita del mondo moderno, con le sue strutture sociali e il
suo immaginario. Per questo tempo nuovo, Petrarca rivoluziona uno dei generi letterari più an
tichi, la lirica. Come abbiamo visto, descrive uno spazio nuovo, e quasi lo inventa: la coscienza
moderna, cioè la coscienza come territorio nel quale si esprimono contraddizioni e ambi-
valenze. Il portatore di questa coscienza moderna smette di essere semplicemente buono o cat
tivo, come accadeva ancora nel mondo dantesco, e sfugge alle stesse regole della conversione e
del peccato: abbracciare il bene o cadere vittima del male. Il portatore della coscienza moderna
è buono e cattivo insieme: conosce il bene e sceglie il male; peggio: sceglie il bene e continua a
preferire il male. Se Dante riconosceva nell’amore per Beatrice la strada verso la salvezza, Petrar
ca dichiara che il suo amore per Laura è una colpa e lo distoglie dal bene; ma la ama lo stesso e
non può non amarla. La sua coscienza è divisa, è lacerata, è contraddittoria. Vuole e non vuo
le. La coscienza è da questo momento una cosa del tutto nuova: un continente tutto da scopri
re. Il Canzoniere si slancia in questa scoperta, e registra i contorni inediti e misteriosi che la ca
ratterizzano. L’umanità prende a conoscersi in queste poesie rinnovata dalla forza di questa sco
perta, e dalle sue conseguenze: il peso della memoria e il suo dialogo spesso doloroso con il pre
sente, la malinconia della perdita e del lutto, la forza del desiderio che tutto travolge e sconvol
ge. Per parlare di questo continente nuovo la lingua e lo stile consegnati da tutti i poeti prece
denti non bastano più. Petrarca deve inventare una lingua e uno stile nuovi: gli unici adatti a
raccontare di questo luogo mai raccontato. Con lui la lingua e lo stile inclusivi di Dante – fatti
per accogliere quanta più realtà fosse possibile e per narrarla – si restringono a una lingua e a uno
stile esclusivi, adatti a parlare di una realtà concentrata e specifica: la vita interiore dell’io.
FACCIAMO IL PUNTO
A cosa allude il titolo originale del Canzoniere?
Cosa si intende per paesaggio-stato d’animo?
318
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
Con questo sonetto, composto intorno al 1350, si apre il Canzoniere. L’opera viene presentata al letto-
re come il frutto di una lunga illusione d’amore al termine della quale sta una trasformazione del sog-
getto. Il poeta si rivolge ai lettori chiedendo pietà e perdono per l’«errore» commesso in gioventù. Ora
egli è pentito e saggiamente cosciente della vanità dei beni terreni.
rinnegamento dell’amore giovanile vanità delle cose terrene
I TEMI percorso esemplare dall’«errore» al pentimento e alla conversione
PARAFRASI
Voi ch’ascoltate1 in rime sparse2 il suono 1-8 [O] voi [: lettori] che ascoltate in [queste] poesie
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core (rime) sparse il suono di quei sospiri [di dolore] dei
quali (ond’) io nutrivo il cuore nel tempo del primo
in sul mio primo giovenile errore errore che ho commesso in gioventù, quando ero in
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono: parte un uomo diverso (altr’uom) da quello che io
sono [ora]: ovunque (ove) [vi] sia qualcuno che (chi)
per esperienza (prova) conosca (intenda) [che cos’è]
5 del vario stile3 in ch’io piango et ragiono, l’amore, spero [di] trovar pietà, oltre che (nonché)
fra le vane speranze e ’l van dolore, perdono, per il [mio] stile mutevole (vario) in cui io
ove sia chi per prova intenda amore, piango e ragiono fra le inutili (vane) speranze e l’inu
tile dolore.
spero trovar pietà, nonché perdono.
Ma ben veggio or sì come al popol tutto 9-14 Ma ora vedo (veggio) bene che (sì come) per
10 favola4 fui gran tempo, onde sovente molto tempo (gran tempo) fui per tutta la gente
(al popol tutto) motivo di dicerie (favola), per cui
di me medesmo meco mi vergogno; (onde) spesso (sovente) mi vergogno di me stesso
(medesmo) fra me (meco); e [perciò] il risultato (’l
et del mio vaneggiar5 vergogna è ’l frutto, frutto) del mio illudermi (vaneggiar) è la vergo
gna, e il pentirsi, e il capire (conoscer) chiaramen
e ’l pentérsi, e ’l conoscer chiaramente te che tutto ciò che (quanto) piace nel mondo è
che quanto piace al mondo è breve sogno. fuggevole (breve) illusione (sogno).
DIGIT titolo originale latino della raccolta Rerum Favola Secondo il commento di Leopardi, «fa-
ANALISI ATTIVA • ASCOLTO • ALTA LEGGIBILITÀ vulgarium fragmenta [Frammenti di scritti in vola» (v. 10) vale qui ‘materia di discorso e di
volgare]. riso’: in vari punti del Canzoniere emerge infat-
Metrica: sonetto con rime ABBA, ABBA; CDE, 3 vario stile: si riferisce sia all’alternanza di ti il timore e insieme lo sdegno di Petrarca di
CDE. illusione e delusione vissuta dal poeta (v. 6) fronte alla gente che, vedendolo innamorato,
sia alla diversa riuscita artistica dei vari com si diverte a farne oggetto di chiacchiera e mal-
1 Voi ch’ascoltate: il vocativo iniziale (Voi) e ponimenti. dicenza. Il termine favola (dal latino fabula
il verbo alla seconda persona plurale (ascol- 4 favola: «materia di discorso e di riso» (Leo ‘racconto, favola’, e questo da fari, ‘parlare’) ha
tate) restano come isolati, dato che il resto pardi); Petrarca ha provocato chiacchiere e ri due significati principali. Anzitutto designa un
del discorso è incentrato sulla prima persona so tra la gente (popol tutto) ( La lingua breve e vivace componimento narrativo che
singolare del soggetto. nel tempo). ha il fine di far comprendere praticamente e in
2 rime sparse: cioè composte e diffuse sin 5 vaneggiar: riprende vane/van del v. 6, così modo semplice una verità morale; ma signifi-
golarmente; indica il carattere occasionale come vergogna più avanti riprende mi ver- ca anche, per estensione, ‘narrazione inventa-
della scrittura delle poesie, con richiamo del gogno del verso precedente. ta o finta’.
319
PARTE PRIMA Il Medioevo
ANALISI Il ripetersi dei suoni La forma metrica è quella del sonetto, dominante nel Canzoniere
petrarchesco, con schema di rime ABBA, ABBA; CDE, CDE. La raffinata elaborazione formale
del sonetto è testimoniata innanzitutto dalla scelta dei suoni. Tra le figure retoriche, un parti-
colare spicco ha infatti l’allitterazione, ovvero la ripetizione degli stessi suoni in parole vicine.
Nella prima quartina vediamo la ripetizione del gruppo ri: «rime», «sospiri», «nudriva», «primo»;
nella seconda, quella di va: «vario» (che fa da ponte, perché contiene anche il “ri” della quar-
tina precedente), «vane», «van», «prova», «trovar». Nelle terzine, invece, vediamo: «favola fui»;
«me medesmo meco mi»; «vanneggiar vergogna»; «conoscer chiaramente / che quanto». Inol-
tre, l’allitterazione tra «veggio» e «vaneggiar» nelle terzine rilancia e rafforza quella tra «giove-
nile» e «ragiono» nelle quartine.
INTERPRETAZIONE Fra cultura cortese e prospettiva cristiana: l’amore come «errore» Questo sonetto testi-
E COMMENTO monia la natura composita della formazione culturale di Petrarca. Esso contiene, infatti, nume-
rosi elementi tradizionali della poesia d’amore cortese (in particolare stilnovistica), così come
molti riferimenti alla prospettiva cristiana.
I principali elementi cortesi sono:
1. il coinvolgimento del lettore («Voi», v. 1);
2. il rimando a un pubblico di esperti d’amore («chi per prova intenda amore», v. 7);
3. l’adozione di una terminologia specifica della materia amorosa («sospiri», «core», «piango
et ragiono», «speranze», «dolore», «amore»).
I principali riferimenti alla prospettiva cristiana sono invece:
1. il richiamo alla trasformazione dell’individuo («quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’
sono», v. 4), che allude implicitamente al tema della conversione;
2. il motivo dell’inutilità e dell’illusorietà dei beni terreni («vane», «van», v. 6; «breve sogno», v. 14);
3. la dichiarazione di vergogna e di pentimento («’l pentérsi», v. 13; e l’intera ultima terzina);
4. il desiderio di pietà e perdono (v. 8).
Il tema centrale del Canzoniere, l’amore, è visto da questa doppia prospettiva, cortese e cristiana.
Lo stesso termine «errore», con cui si definisce la vicenda amorosa giovanile, ha un significato
duplice: “errare” è sia, in senso cortese, ‘andare senza meta’, con riferimento a un percorso amo-
roso incerto e frustrante; sia, in senso cristiano, ‘sbagliare, peccare’. È questa seconda acce-
zione che introduce la novità tematica introdotta da Petrarca: il nesso tra amore e peccato.
L’io diviso e esemplare Con Petrarca entra in crisi l’equilibrio tra motivi cortesi e motivi cri-
stiani caratteristico della tradizione stilnovistica. Le leggi dell’amore e quelle di Dio tornano a
dividersi e a provocare contraddizioni e ambivalenze interiori. Le due serie di riferimenti che
abbiamo individuato prima non coincidono in una prospettiva comune, ma si scontrano violen-
temente: il conflitto, tuttavia, tende a risolversi a favore dei valori cristiani, alla luce dei quali
viene rappresentato e reinterpretato il modello cortese e stilnovistico. Ciò conferisce al
sonetto un valore esemplare, che si presta alla funzione introduttiva, cioè al compito di dare
un significato positivo alle contraddizioni e agli smarrimenti rappresentati all’interno del Can-
zoniere. Il poeta intende infatti presentare la propria vicenda personale come vicenda esem-
plare, in cui i lettori, chiamati subito direttamente in causa, possono identificarsi. Il percorso
di maturazione petrarchesco (dall’«errore» al pentimento e alla conversione, con la raggiunta
consapevolezza della vanità delle cose terrene) può divenire il percorso di tutti gli uomini.
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CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
6. Lingua e stile Petrarca fa un uso calibrato 8. Il sonetto poggia su un’architettura sintattica ela-
dell’aggettivazione. Rintraccia tutti gli aggettivi pre- borata e rigorosa. Le quartine sviluppano una lunga
senti nel testo: quale valore hanno, positivo o piutto- serie di subordinate; mentre le terzine presentano un
sto negativo? andamento più incalzante.
a. Analizziamo, per esempio, la seconda quartina:
7. Lingua e stile Nel sonetto si alternano forme
qual è la frase principale?
verbali al passato e al presente. Riempi la tabella e
prova a spiegare quale significato assume tale oscil- b. Nella terzina finale troviamo «et del mio vaneggiar ver-
lazione. gogna è ’l frutto, / e ’l pentérsi, e ’l conoscer chiara-
mente»: che tipo di struttura sintattica si evidenzia?
presente passato
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
9. Trattazione sintetica Scritto nel 1350 circa,
questo sonetto è stato posto da Petrarca in apertu-
ra del Canzoniere. Spiega in una trattazione sintetica
(max 10 righe) perché il testo è particolarmente adatto
a fare da proemio all’opera.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
lirica si rivolge a un pubblico non preselezionato. Sicuramente, rispetto alle condizioni duecen-
tesche, anche alle più «aperte», Petrarca ipotizza e richiede un’udienza molto più vasta, tenden-
zialmente universale. Mentre dunque la prassi poetica duecentesca appare strettamente legata
ad una specifica referenza sociale, la poesia del Petrarca sembra non volersi rapportare a nessun
15 referente determinato. A questo pubblico indifferente Petrarca propone una storia d’amore, la
sua personale storia d’amore. Una storia però che è anche un itinerario spirituale e in quanto tale
un itinerario simbolico, suo e di tutti, individuale ed esemplare. È ovvio allora che un testo di
morale cristiana si rivolga ad un pubblico universale: una vicenda di salvazione (in senso agosti-
niano) non può rinchiudersi entro confini socialmente determinati.
20 Quella descritta ora è però l’esplicita operazione ideologica del Petrarca, l’intenzione che la
regge e il quadro di riferimento entro il quale vuole collocarsi. Se la assumessimo sic et simplici-
ter,1 rinunceremmo a fare della storia per fare del «petrarchismo», filologicamente fondato, ma
pur sempre subalterno al grande gioco del fondatore.
Anche il rilievo e la coerenza che, soprattutto nella critica più recente, si tende ad attribuire alla
25 storia d’amore, necessario presupposto dell’altra storia, mi sembrano un tributo non illegittimo,
ma forse un po’ forzato, alle esplicite indicazioni di lettura del Petrarca. È una impressione condi-
visa da molti lettori del Canzoniere che quella storia sia più asserita o suggerita che effettivamente
calata in racconto. Non credo che si cada necessariamente nello psicologismo rilevando che, prima
ancora della dimensione narrativa, ciò che colpisce nel Canzoniere è l’invadenza del personaggio
30 che dice «io», al punto che la storia stessa sembra quasi in funzione di quell’«io», che viene così ad
accamparsi al centro dello spazio testuale, nella duplice veste di oggetto e di soggetto del discorso.
La macrostruttura con le sue articolazioni «romanzesche» solo in un secondo momento viene
percepita come «forma» che dà senso ed orientamento ad una esperienza individuale; al primo
impatto appare piuttosto il luogo o lo spazio creati dall’espansione di un «io» soggettivo.
35 «Io» soggettivo non apparirà una zeppa2 se si riflette su ciò che quel pronome indica nella
lirica del Duecento: ivi l’«io» del poeta è infatti una istanza locutrice o testimoniale3 che si rap-
porta immediatamente ad una collettività: l’«io» che parla non si identifica con la materia di cui
parla, l’«io» che fonda il discorso non è l’oggetto del discorso. Dunque la seconda grande novità
petrarchesca, omogenea al rifiuto di una specifica referenza sociale, è nell’aver chiuso su se stes-
40 so il cerchio della poesia: l’«io» parla di sé. Lo statuto della lirica duecentesca ne viene radical-
mente sconvolto: la poesia da mezzo di scambio, da canale di trasmissione di una realtà cultura-
le di cui essa è parte ma che in essa non si esaurisce, richiudendosi in se stessa si trasforma in
oggetto. Il poeta ed il proprio testo, fra loro individualmente legati, si offrono alla fruizione del
pubblico. Una fruizione che può, anzi che deve essere apprendimento, ma una forma di appren-
45 dimento che ignora i canali della didassi.4 Al dire d’Amore, che richiede un pubblico «intelligen-
te», Petrarca sostituisce il confessare l’amore sollecitando la simpatia, la comprensione, oggi di-
remmo l’identificazione da parte dei suoi lettori.
M. Santagata, Dal sonetto al Canzoniere, Liviana, Padova 1979.
1 sic et simpliciter: letteralmente 2 una zeppa: un’aggiunta non ne- 3 una istanza locutrice o testimo-
vale così e semplicemente; cioè ‘senza cessaria artisticamente ma richie- niale: il punto di origine del discorso
operare distinzioni e approfondi- sta da ragioni metriche, stilistiche, o dei riferimenti di esso.
menti’. ecc. 4 didassi: i processi didattici.
322
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
Questo è il primo testo del Canzoniere non dedicato alla vicenda dell’amore per Laura. Si apre così un
secondo filone tematico: quello dell’impegno intellettuale e morale, accanto al quale prenderanno posto
il tema politico e quello strettamente religioso. Qui il poeta si rivolge a un amico e lo incoraggia alla «via»
dello studio, disprezzata dalla massa, interessata solo al guadagno.
I TEMI critica alla civiltà del «vil guadagno» elogio della distinzione intellettuale
PARAFRASI
La gola e ’l somno et l’otïose piume1 1-8 La gola e il sonno e i letti piacevoli (otïose: leggi ‘oziose’)
hanno cacciato (sbandita) dal mondo ogni virtù, per cui
ànno del mondo ogni vertù sbandita,
(ond’) la nostra natura [umana], vinta dalle [cattive] abitudi
ond’è dal corso suo quasi smarrita ni (costume), è quasi allontanata (smarrita) dal suo atteggia
nostra natura vinta dal costume; mento (corso) [naturalmente buono]; e ogni luce (lume) [: in
flusso] benevola del cielo, grazie alla quale la vita umana pren
de forma (s’informa), è a tal punto (sì) spenta, che viene iden
5 et è sì spento ogni benigno lume tificato (s’addita) come cosa degna di meraviglia (mirabile)
del ciel, per cui s’informa humana vita, chi vuole (vòl) far nascere il fiume [della poesia] dal [monte]
che per cosa mirabile s’addita Elicona [: chi vuole dedicarsi alla poesia].
chi vòl far d’Elicona2 nascer fiume.
Qual vaghezza di lauro, qual di mirto?3 9-11 Quale desiderio (vaghezza) di alloro (lauro) [c’è più]?,
quale [desiderio] di mirto? La massa (turba), attenta (intesa)
10 Povera et nuda vai, Philosophia,4
al vile guadagno, dice: [O] Studio (Philosofia), sei (vai) povero
dice la turba al vil guadagno intesa. e nudo [: privo di ricchezze e di agi].
Pochi compagni avrai per l’altra via; 12-14 Per altra via [: quella degli studi anziché del «vil guada
tanto ti prego più, gentile spirto: gno»] avrai pochi compagni; perciò (tanto) ti prego di più, [o]
spirito nobile (gentile): non abbandonare (lassar) la tua im
non lassar la magnanima tua impresa.5 presa di grande valore (magnanima).
F. Petrarca, Canzoniere, cit.
Metrica: sonetto con rime ABBA, ABBA; CDE, LA LINGUA NEL TEMPO
DCE; B, C e D hanno la ‘i’ tonica.
Lauro Il «lauro» (latino laurus) qui al v. 9 è
1 La gola...piume: il v. 1 sintetizza i momenti l’alloro. La parola “lauro” è particolarmente
della corruzione attraverso il richiamo a tre
significativa nel Canzoniere, sia perché ri-
dei sette peccati capitali: gola, accidia, lussu
chiama, con senhal, il nome di Laura, sia
ria (con il riferimento ai morbidi letti dedicati
perché si collega al tema della gloria lettera-
ai piaceri carnali). piume è sineddoche: viene
ria, caro a Petrarca. Dalla parola “lauro” deri-
indicata la parte (le piume) per il tutto (i letti).
va “laurea”, con riferimento alla corona di al-
2 Elicona: una della due vette del Parnaso, loro con cui si cingeva la fronte di imperatori
monte che secondo la mitologia classica
e poeti; come avvenne a Petrarca con l’inco-
era sacro ad Apollo e alle Muse (cioè all’ar
ronazione poetica del 1341. La laurea è, inve-
te); sul monte sgorgava il fiume Ippocrene,
ce, oggi il titolo che viene conferito a chi ha
consacrato alla poesia.
terminato un corso di studi universitari.
3 lauro...mirto: il lauro si riferisce alla corona
di alloro che premiava imperatori e poeti per
le loro imprese gloriose; il mirto è pianta sa
cra ai poeti d’amore in particolare. lauro e
mirto indicano perciò due tipi di poesia: il
primo quella di argomento civile ed eroico; il
secondo, quella di argomento erotico e priva
to ( La lingua nel tempo).
4 Philosophia: è l’amore per la sapienza.
5 impresa: l’interesse poetico; oppure, in Giorgione, Ritratto di Laura con alle sue spalle
modo più preciso, il comporre un’opera o il alcuni rami d’alloro, 1506. Vienna,
dedicarsi ad uno studio particolare. Kunsthistorisches Museum.
323
PARTE PRIMA Il Medioevo
ANALISI Due serie di valori opposti Il sonetto presenta due serie di valori opposti. Da una parte
stanno i piaceri carnali (la «gola», «l’otïose piume» che alludono al peccato di lussuria), l’indif-
ferenza («’l somno»), la corruzione dei costumi («costume»), che possono essere riassunti
nell’attenzione al «vil guadagno», cioè nella logica del profitto, divenuta dominante nel Tre-
cento. Dall’altra parte stanno la virtù, l’originaria «natura» benevola degli uomini, la bontà di
Dio («benigno lume / del ciel»), la poesia («lauro», «mirto») e l’amore per la sapienza («Philo-
sophia»). La prima serie ha dalla sua parte il successo e il favore della maggioranza degli
uomini (della «turba»). La seconda costituisce invece una scelta controcorrente e «mirabile»,
una «via» solitaria e sfortunata («Povera et nuda»).
INTERPRETAZIONE Critica dei valori della società e privilegio intellettuale È qui individuabile l’ennesima cri-
E COMMENTO tica radicale della società comunale e dei suoi valori. Tale critica si inserisce nel solco di una
tradizione che va da san Francesco a Dante, ma acquista in Petrarca connotati nuovi. Infatti, i
valori contrapposti a quelli dominanti sono una fusione di motivi cristiani e di temi preumani-
stici. Questi versi di Petrarca sono dominati dal sentimento aristocratico del privilegio intellet-
tuale, in cui la nobiltà e l’altezza morale coincidono con la cultura e con l’arte. Si comincia così
a disegnare quel distacco tra attività intellettuale e impegno civile che sta alla base della
civiltà umanistica e rinascimentale: l’attività artistico-letteraria, divenuta estranea all’organiz-
zazione sociale dei valori, afferma la propria separatezza e la propria superiorità.
COMPRENSIONE ANALISI
1. Il sonetto si apre con il riferimento a «La gola e ’l 3. Tutta la poesia è costruita sulla contrapposizione
somno et l’otïose piume». I tre elementi stanno per: fra molteplicità e individualità, fra «la turba» e i pochi
a. la fame, la pigrizia, il lusso che intraprendono «l’altra via». Cerchia nel testo, con
b. l’ingordigia, l’indifferenza, la lussuria colori diversi, le parole-chiave che si riferiscono a tale
c. lo spettegolare, la sonnolenza, il girovagare contrapposizione.
d. la sete, il torpore, il desiderio
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
2. Al v. 9 si trova la domanda retorica: «Qual vaghez- 4. Confrontare Questo sonetto apre, nel Canzo-
za di lauro, qual di mirto?». Essa rappresenta il desi- niere, un nuovo tema, diverso da quello amoroso. Al
derio del poeta per: centro c’è, infatti, l’impegno morale e intellettuale di
a. una vita immersa nel paesaggio naturale Petrarca.
b. la gloria proveniente dallo scrivere poesie d’argo- Quale tipo di intellettuale viene valorizzato dall’autore?
mento civile e amoroso Confrontalo con il modello di intellettuale della società
c. l’amore di Laura e di Marta comunale incarnato da Dante.
d. la pace che deriva dal contatto con la natura
324
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
Travolto dalla passione, il poeta si reca in luoghi isolati per non farsi vedere dagli altri. Il paesaggio – com-
posto da monti, fiumi e boschi – diventa l’unico testimone del suo tormento interiore. Tuttavia, per quan-
to cerchi di rifugiarsi nella natura, l’Amore lo insegue: questo del resto è dentro al suo animo, non fuori.
I TEMI corrispondenza fra paesaggio e stato d’animo
PARAFRASI
Solo et pensoso i più deserti campi 1-4 [Essendo io] solo e pensieroso vado misurando [: percorro]
vo mesurando1 a passi tardi et lenti, i campi più deserti con passi stanchi (tardi) e lenti, e giro (por-
to) gli occhi attenti (intenti) per evitare (per fuggire) i luoghi
et gli occhi porto per fuggire intenti2 in cui (ove) impronte (vestigio) umane segnino (stampi) il ter
ove vestigio human la rena stampi. reno (la rena).
5 Altro schermo non trovo che mi scampi 5-11 Non trovo [nessun] altro riparo (schermo) che mi salvi
dal manifesto accorger de le genti, (scampi) dall’evidente (manifesto) accorger[si da parte] delle
genti [della mia condizione di innamorato], perché nei gesti
perché negli atti d’alegrezza spenti (atti) privi (spenti) di allegria si capisce (si legge) dall’esterno
di fuor si legge com’io dentro avampi: (di fuor) come io bruci (avampi) dentro: così che io credo or
mai che monti e pianure (piagge) e fiumi e boschi (selve) sap
piano di che qualità (tempre) sia la mia vita, che è nascosta
sì ch’io mi credo omai che monti et piagge (celata) agli altri.
10 et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge 12-14 Ma tuttavia (pur) non so cercare vie abbastanza (sì)
cercar non so, ch’Amor non venga sempre impervie (aspre) né abbastanza isolate (selvagge), che Amore
non venga sempre parlando (ragionando) con me, e io [vada
ragionando con meco,3 et io co llui. parlando] con lui.
F. Petrarca, Canzoniere, cit.
DIGIT VIDEOLEZIONE Metrica: sonetto con rime secondo lo schema sostantivo dal suo attributo, determina un
Analisi del testo di Pietro Cataldi ABBA, ABBA; CDE, CDE. sentimento di ansia, che si aggiunge al senso
di raccoglimento della poesia.
DIGIT 1 vo mesurando: cioè percorro con un passo 3 con meco: è un’espressione sovrabbon
ANALISI ATTIVA • ASCOLTO • ALTA LEGGIBILITÀ regolare e cadenzato, come di chi misuri uno dante (pleonasmo) diffusa nell’italiano anti
spazio. co; «meco» significa già ‘con me’ (dal latino
2 gli occhi...intenti: l’iperbato, che separa il mecum).
ANALISI Armonia formale e disarmonia interiore Il sonetto è costruito secondo uno straordinario
equilibrio formale fondato su una predominante struttura binaria. Le quartine sono suddivise cia-
scuna in due coppie di versi; entrambe le terzine sono costituite da un unico periodo e chiuse
da un’aggiunta sintatticamente ben separata dal resto («sia la mia vita, ch’è celata altrui»; «ragio-
nando con meco, et io co llui»). Sono disposti a coppia gli aggettivi nella prima quartina («Solo et
pensoso»; «tardi et lenti») e nella terzina conclusiva («aspre... selvagge»), ed è in coppie di due
la suddivisione dei quattro sostantivi («monti et piagge / et fiumi et selve», vv. 9-10). Anche l’ac-
costamento di parole con significato opposto (antitesi) rientra in questa logica binaria, unendo
325
PARTE PRIMA Il Medioevo
«fuor» e «dentro» (v. 8), «spenti» e «avampi» (vv. 7-8). Infine, il sonetto si chiude con il binomio
«con meco... co llui». L’io lirico, frammentato dall’esperienza dell’amore, rappresenta se stesso
in forme di straordinaria armonia. Le tensioni dell’animo si ricompongono nell’equilibrio formale
della poesia; la letteratura tenta di placare le tempeste interiori.
INTERPRETAZIONE Il rapporto tra soggetto e paesaggio Il poeta stabilisce una corrispondenza diretta fra pae-
E COMMENTO saggio e stato d’animo, tanto che l’uno diventa proiezione dell’altro. Il protagonista è «Solo et
pensoso», triste («atti d’alegrezza spenti») e chiuso in se stesso («è celata altrui»). Il paesag-
gio intorno a lui sembra corrispondere ai suoi sentimenti: i campi appaiono «deserti» e la
natura circostante si riduce a un elenco scarno di vaghe tipologie ambientali («monti et piagge
/ et fiumi et selve»). L’indeterminatezza caratterizza sia la descrizione dei luoghi (potrebbero
riferirsi a qualsiasi posto della terra) sia la causa del dolore del poeta (senza nessun accenno
alla donna o al suo comportamento), come ha ben sottolineato il critico Hugo Friedrich (1904-
1978) nella sua interpretazione del sonetto. Te ne proponiamo un passo.
Solitudine e paesaggio
Il tema è la solitudine dell’amante in un paesaggio deserto che egli percorre pensieroso. Quale
paesaggio? Esso resta indeterminato. I suoi elementi vengono accennati solo con dei plurali gene-
rici: v. 1, vv. 9-10, v. 12. Esso costituisce, senza né un luogo né un tempo preciso, la scena di un avve-
nimento più interiore che esteriore [...]. Il fatto si manifesta come monologo, che prende lo spun-
to da un dolore imprecisato, una malinconia di cui si sa soltanto che si tratta di una fuga dagli uo-
mini, di una gioia che si è spenta, di un intimo ardore. Paesaggio indeterminato, dolore indetermi-
nato, questo in fondo è tutto. Tuttavia si vede come ambedue siano legati l’uno all’altro. Solo la na-
tura solitaria sembra poter comprendere la malinconia dell’amante e potergli offrire protezione e
sicurezza. Così sembra, ma la realtà è ben diversa. Anche nella natura egli incontra l’amore a cui
non può sfuggire (vv. 12-14). L’impossibilità di scampo interiore è anche esteriore. La natura incli-
ne all’ascolto e alla comprensione non può essere d’aiuto. Pur essendo l’unico luogo in cui l’aman-
te può meditare con se stesso, essa non lo sottrae alla sua pena.
H. Friedrich, Epoche della lirica italiana. Dalle origini al Quattrocento, Mursia, Milano 1964.
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CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
Il sonetto qui riportato è uno dei più straordinariamente moderni del Canzoniere. Laura si guarda allo
specchio e, invaghita di se stessa, è insensibile all’amore del poeta. La donna viene descritta con
grande realismo: da una parte, è sorpresa in un atteggiamento quotidiano (quello di abbellirsi di fron-
te allo specchio); dall’altra, rivela il suo narcisismo. Per la cultura medievale lo specchio è un oggetto
diabolico e la vanità che esso suscita è un peccato. Francesco avverte la natura peccaminosa di que-
sto gioco, ma è comunque attratto da Laura. Di qui la sofferenza e persino la morte imminente del
poeta.
I TEMI nuovo modello femminile
PARAFRASI
L’oro et le perle e i fior’ vermigli e i bianchi,1 1-4 L’oro e le perle e i fiori rossi (vermigli) e bianchi, che l’inverno do
che ’l verno devria2 far languidi et secchi, vrebbe (devria) fare appassiti (languidi) e secchi, sono per me spine
(stecchi) pungenti (acerbi) e velenose che io avverto (provo) nel pet
son per me acerbi et velenosi stecchi,3 to e nei fianchi.
ch’io provo per lo petto et per li fianchi.
5 Però i dì miei fien lagrimosi et manchi, 5-8 Perciò (Però) i miei giorni (dì) saranno (fien) dolorosi e scarsi
(manchi) [: morirò presto], poiché (ché) accade (aven) poche (rade)
ché gran duol rade volte aven che ’nvecchi:
volte che un gran dolore invecchi [: permetta a chi lo prova di raggiun
ma più ne colpo i micidiali4 specchi, gere la vecchiaia]: ma di ciò (ne) [: del dolore e della morte imminente]
che ’n vagheggiar voi stessa avete stanchi. incolpo più [ancora] gli specchi assassini (micidiali), che avete stanca
ti nel contemplare (vagheggiar) voi stessa.
Questi poser silentio al signor mio, 9-14 Questi [: gli specchi] fecero tacere (poser silentio) il mio signo
10 che per me vi pregava, ond’ei si tacque, re [: Amore], che vi pregava per conto mio, per cui egli (ond’ei) tacque,
vedendo il vostro desiderio esaurirsi (finir) in voi [stessa]; questi furo
veggendo in voi finir vostro desio;5 no (fuor) fabbricati presso (sopra) le acque dell’abisso [: nell’inferno],
e intinti nella dimenticanza (oblio) eterna [: nel fiume Lete], da cui
questi fuor fabbricati sopra l’acque (onde) si originò (nacque) l’inizio (’l principio) della mia morte.
d’abisso, et tinti ne l’eterno oblio,6
onde ’l principio de mia morte nacque.7
F. Petrarca, Canzoniere, cit.
327
PARTE PRIMA Il Medioevo
ANALISI La ricercatezza della struttura e dello stile Questo componimento è uno dei più eleganti
di Petrarca. Sul piano sintattico, il punto di svolta è il v. 7, aperto dall’avversativa «ma» che
introduce il tema dello specchio. Un tratto tipico dello stile petrarchesco è l’equilibrio nella
disposizione delle parole, che qui si collocano prevalentemente a due a due (dittologia): «L’oro
et le perle»; «vermigli e... bianchi»; «languidi et secchi»; «acerbi et velenosi»; «per lo petto et
per li fianchi»; «lagrimosi et manchi». Inoltre, notiamo grande cura nella scelta dei suoni, con
rime per lo più difficili (-anchi, -ecchi, -acque) e innumerevoli allitterazioni (p. es. v. 4: «provo per
lo petto et per»).
INTERPRETAZIONE Una visione problematica della donna e dell’amore La bellezza astratta, fredda, quasi
E COMMENTO senza corpo di Laura acquista in questo sonetto un carattere concreto, mondano. L’atteggia-
mento narcisistico della donna determina una chiusura che esclude ogni possibilità di approccio
amoroso, ma, al tempo stesso, accresce il desiderio dell’amante. E questo desiderio è assoluta-
mente da condannare. L’accenno alla morte del soggetto è un rimando metaforico alla morte
dell’anima, cioè al peccato e alla dannazione: così come Laura dimentica tutto ciò che è al di fuori
di se stessa, il poeta, concentrato sulla bellezza dell’amata, dimentica persino la salvezza eterna.
Emerge così una nuova rappresentazione della donna, non più fonte di innalzamento spirituale
come per gli stilnovisti, ma tentazione peccaminosa.
328
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
TEMI DI CITTADINANZA
Heisenberg’s Magic Mirror
of Uncertainty, fotografia di
Duane Michals del 1998.
IL DILAGANTE
NARCISISMO
Laura come Nel sonetto «L’oro et le perle e i fior’ vermigli e i bianchi» Petrarca propone una nuova e
Narciso problematica immagine femminile segnata dal narcisismo. Nella mitologia greca, Narci-
so è il bellissimo figlio del dio fluviale Cefiso (fiume della Beozia) che, per aver rifiutato
l’amore della ninfa Eco, viene condannato a un terribile amore verso se stesso: un
giorno, chinandosi a una fonte per bere, vede la propria immagine riflessa nell’acqua e
se ne innamora a tal punto da lasciarsi morire di fame e di sete, non potendo raggiunge-
re l’oggetto del proprio amore. La ripresa del mito è evidente nel sonetto petrarchesco,
che rappresenta la bella Laura tutta concentrata nella contemplazione di sé e indifferen-
te al poeta. Ma la morte sopraggiunge a punire Petrarca anziché la donna narcisista.
Secondo la cultura cristiana medievale, anche lui ha peccato perché si è fatto dominare
dal desiderio, e d’altra parte è anche responsabile di aver alimentato, con la sua poesia,
la vanità dell’amata.
Il narcisismo: Le parole “narciso” e “narcisismo” sono entrate nell’uso comune grazie alla psicoanali-
dall’individuo si, che a sua volta le ha desunte dal mito greco. Dunque, in termini psicoanalitici, il nar-
alla società cisismo indica un comportamento anomalo per cui l’eccitazione sessuale è provocata
dall’ammirazione per il proprio corpo, ma anche, più genericamente, una normale com-
ponente del carattere che determina la stima di sé e l’amor proprio. Infatti ogni persona,
specie nella prima infanzia, attraversa fasi di contemplazione e di cura di sé che servono
a rafforzare la propria identità. Qualcosa di diverso però succede al narcisista patologi-
co: in questo caso l’individuo non compie il passo ulteriore che prevede di cercare all’e-
sterno i propri oggetti d’amore.
Il narcisismo è diventato anche un fenomeno sociale tipico dei nostri tempi, caratterizza-
ti dal culto spasmodico del corpo, modellato sui canoni proposti dai mass media. Essere
narcisi non è solo legittimo, ma addirittura motivo di vanto. Tuttavia, occorre riflettere sul
potere “micidiale” dello specchio e della chiusura che esso comporta. Proponiamo di
seguito un articolo di Massimo Recalcati che illumina i rischi del vivere in un «mondo che
sembra assomigliare sempre più ad uno specchio».
329
PARTE PRIMA Il Medioevo
Massimo Recalcati
TEMI DI CITTADINANZA
330
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
TEMI DI CITTADINANZA
venire meno della differenza generazionale, alla confusione che regna tra genitori e figli e
tra le fasi evolutive della vita psichica: genitori che fanno i figli, adulti che giocano a fare
gli adolescenti. La rete stessa e i suoi vari social networks è luogo di apertura o di chiu-
sura del mondo? L’obbligo della connessione permanente non rischia forse di ridurre lo
schermo della rete in un nuovo specchio narcisistico? Anche la vita collettiva sembra in-
cistarsi in uno specchio narcisistico. Pensiamo alle forti tendenze particolariste, etniche,
che reagiscono all’universalismo apparente della globalizzazione dell’economia. Ho spesso
ricordato che quando utilizziamo la metafora della “società liquida” dobbiamo anche far
notare una tendenza altrettanto forte: quella del raggruppamento solido, autoreferenzia-
le, dei simili, dell’identico. L’assenza di confini, di binari simbolici saldamente costituiti,
di criteri normativi condivisi, che caratterizza l’aspetto “liquido” del nostro tempo, tende
a generare, come una sorta di reazione sintomatica, la spinta all’esclusione del diverso,
dello straniero, della differenza. Tende a radicalizzare una nozione di identità chiusa su
se stessa, ad esasperare la spinta ad una “identificazione a massa” che abolisce la differen-
za. La violenza del femminicidio, del razzismo, del fondamentalismo religioso ed etnico,
hanno la loro matrice comune proprio nell’adorazione narcisistica della propria immagine
ideale e onnipotente che esclude tutto ciò che risulta ad essa eccentrico. La psicoanalisi ci
insegna che l’arroccamento sulla nostra identità, resa falsamente solida, è sempre indice
di malattia. Questo accade nei gruppi sociali, nelle istituzioni come nella vita individuale.
Quando il confine – che ha il compito cruciale di delimitare la nostra identità (senza il
quale vi sarebbe il caos totale, il disordine della schizofrenia) – si irrigidisce, si inspessisce,
si ingessa, la vita si ammala, perde la ricchezza dello scambio. Il mondo si riduce a uno
specchio uniforme, a una superficie piatta che si limita a riflettere la presunta immagine
ideale di noi stessi.
M. Recalcati, Narciso in trappola nello specchio della tecnologia, «la Repubblica», 27 gennaio 2013.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Riassumi il testo, mettendo in evidenza il valore o il disvalore che assume lo specchio nella crescita dell’in-
dividuo.
2. Attraverso quali argomenti l’autore sostiene che «Da tappa fondamentale per la costituzione dell’autoco-
scienza, lo specchio di trasforma così in una prigione»?
3. Come risponde l’autore alla domanda che si pone «La rete stessa e i suoi vari social networks è luogo di
apertura o di chiusura del mondo?»?
4. Quale fenomeno, connesso ma apparentemente opposto alla cosiddetta “società liquida”, l’autore indivi-
dua come capace di generare sentimenti e gesti violenti?
5. Secondo l’autore, quali sono i rischi connessi a un “arroccamento” sulla propria identità, nella convinzione
di essere più stabili e solidi?
PRODUZIONE
Prendendo spunto dalle considerazioni di Recalcati, e sulla base delle conoscenze acquisite, delle tue lettu-
re e delle tue esperienze personali, elabora un testo argomentativo nel quale sviluppi le tue opinioni sulle
molteplici manifestazioni di narcisismo nel mondo contemporaneo. Organizza tesi e argomenti in un discor-
so coerente e coeso.
331
PARTE PRIMA Il Medioevo
Questo sonetto è stato composto tra il 1339 e il 1347. Sono ormai trascorsi molti anni dal giorno del primo
incontro di Petrarca con Laura (avvenuto il 6 aprile 1327) e la bellezza della donna è in parte sfiorita. Ma
la memoria recupera l’immagine di Laura giovane: i suoi capelli dorati, gli occhi splendenti, la sua andatu-
ra, la sua voce angelica divengono elementi quasi favolosi.
I TEMI ricordo idealizzato dell’amata
PARAFRASI
Erano i capei d’oro a l’aura1 sparsi 1-8 [Quando vidi per la prima volta Laura] i [suoi] capelli [co
che ’n mille dolci nodi gli avolgea, lor] d’oro [: biondi] erano sparsi all’aria (aura), che li (gli) in
trecciava (avolgea) in mille dolci nodi, e la attraente (vago) lu
e ’l vago lume oltra misura ardea minosità (lume) di quei begli occhi, che ora ne sono così privi
di quei begli occhi ch’or ne son sì scarsi; (scarsi), ardeva in modo eccezionale (oltra misura); il viso mi
pareva assumere (farsi) i segni (color’) della pietà [per me],
non so se veramente o falsamente (se vero o falso) [: se in real
5 e ’l viso di pietosi color’ farsi, tà o per mia illusione]: quale meraviglia [c’è] se io che avevo nel
non so se vero o falso,2 mi parea: cuore (al petto) la predisposizione (l’ésca) ad amare (amoro-
i’ che l’ésca3 amorosa al petto avea, sa) bruciai (arsi) immediatamente (di sùbito) [d’amore]?
qual meraviglia se di sùbito arsi?
Non era l’andar suo cosa mortale, 9-11 Il suo [: di Laura] [modo di] camminare (andar) non era
10 ma d’angelica forma,4 e le parole evento (cosa) umano (mortale), ma di anima (forma) angeli
ca; e le [sue] parole avevano suono diverso (sonavan altro) da
sonavan altro che pur voce humana. una semplice (che pur) voce umana.
Uno spirto celeste, un vivo sole 12-14 Uno spirito del cielo (celeste), un sole risplendente
fu quel ch’io vidi; et se non fosse or tale, (vivo) fu quello che io vidi [: Laura]: e [anche] se ora non fosse
[più] così (tale), la ferita (piagha) non guarisce (sana) perché
piagha per allentar d’arco non sana.5 si allenta (per allentar) l’arco [che la ha causata].
F. Petrarca, Canzoniere, cit.
Metrica: sonetto con rime secondo lo schema 2 vero o falso: viene messa in dubbio la di 4 forma: come in Dante, significa ‘anima’,
ABBA, ABBA; CDE, DCE. sponibilità verso il poeta che Laura aveva mo con una ripresa del lessico della teologia me
strato nel loro primo incontro; tale dubbio dievale.
1 l’aura: è un senhal di Laura, che genera iden conferma così la natura infelice dell’amore – 5 piagha...sana: l’amata è ormai invecchiata,
tificazione tra l’amata e l’aria. Per di più ai tem mai ricambiato – del poeta. ma ciò non implica la fine dell’amore del poe
pi di Petrarca non si segnavano gli apostrofi e si 3 ésca: materia infiammabile anticamente ta, così come una ferita non guarisce per il so
scriveva di seguito, per cui il v. 1 era letto anche usata per accendere il fuoco; si noti la lo fatto che si allenti l’arco che ha lanciato la
come «Erano i capei d’oro a Laura sparsi» (cioè: continuità metaforica tra ésca e il successivo freccia; arco è un riferimento alle armi tradi
Laura aveva i capelli d’oro sparsi). arsi. zionali dell’Amore.
332
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
ANALISI I principi di armonia e i tempi della memoria La struttura del sonetto è costruita secondo
i princìpi di armonia ed equilibrio formale tipici di Petrarca. Le due quartine (vv. 1-8) com-
pongono un unico periodo. Le due terzine sono, a loro volta, parallele: a ognuna corri-
sponde un periodo caratterizzato da una pausa centrale (v. 10 e v. 13). Per quanto riguarda
invece i tempi verbali, il tema della memoria determina la contrapposizione tra passato
(imperfetto e passato remoto) e presente; quest’ultimo sempre introdotto dalla determina-
zione temporale «or» («or ne son sì scarsi», v. 4; «or tale, / piagha per allentar d’arco non
sana», vv. 13-14).
INTERPRETAZIONE La descrizione di Laura La rappresentazione di Laura risente in modo particolare della tra-
E COMMENTO dizione stilnovistica. I particolari fisici della donna messi in risalto sono quelli consueti dello
Stilnovo: i capelli, gli occhi, il modo di camminare, la voce. Inoltre l’amata è descritta come
figura angelica pervasa di luce divina («vago lume», v. 3; «vivo sole», v. 12). Tuttavia, accanto
agli elementi di continuità con la tradizione, si colgono anche motivi di originalità. Mentre le
donne amate dai poeti stilnovisti erano creature immobili e intangibili, Laura si muove nello
spazio e nella natura. Il movimento accompagna infatti la bellezza fisica della donna: stra-
ordinario è l’attacco del sonetto, tutto concentrato sul particolare dei capelli biondi mossi
dal vento.
333
T9
TESTO GUIDA «Chiare, fresche et dolci acque»
dal testo [Canzoniere, 126]
all’opera
alla poetica
alle forme
al genere
al presente
In questa celebratissima canzone, composta tra il 1340 e il 1341, il poeta si rivolge ai luoghi che hanno
accolto in passato la presenza di Laura. Sentendo vicina la morte, chiede di essere sepolto appunto in
quei luoghi, anche nella speranza che un giorno la donna amata possa tornare e piangere sulla sua tom-
ba. Il paesaggio è l’elemento centrale del componimento: esso corrisponde intimamente al mondo inte-
riore del poeta. Sia il paesaggio sia la figura di Laura sono guardati nella prospettiva del ricordo, altra di-
mensione decisiva della lirica petrarchesca ( Temi di cittadinanza, Memoria e oblio: una partita a
scacchi, p. 340). Il testo oscilla così tra ricordo del passato, sentimenti confusi nel presente e dolorosi
presagi della futura morte: ne risulta un’armoniosa e malinconica indefinitezza.
I TEMI rappresentazione femminile fra tradizione e innovazione potere della memoria dialogo con il paesaggio
PARAFRASI
Chiare, fresche et dolci acque,1 1-13 [O] acque chiare [: trasparenti], fresche e dolci, in cui
ove le belle membra (ove) colei [: Laura] che unica (sola) sembra a me [degna di
essere chiamata] donna mise (pose) [: immerse] le belle mem
pose colei che sola a me par donna; bra [: il bel corpo]; [o] ramo nobile (gentil) dove fece piacere a
gentil ramo ove piacque lei [: Laura] di dare sostegno (di fare... colonna) al bel fianco
5 (con sospir’ mi rimembra) [: di appoggiarsi] (me ne ricordo con sospiri); [o] erba e fiori
che la gonna elegante (leggiadra) ricoprì (ricoverse) insieme
a lei di fare al bel fiancho colonna; al seno angelico; [o] aria (aere) sacra, serena, dove Amore mi
herba et fior’ che la gonna aprì (m’aperse) il cuore [: mi fece innamorare] con i begli oc
leggiadra ricoverse chi [di Laura]: date ascolto (udïenza) [tutti] insieme alle mie
ultime (extreme) parole dolorose (dolenti).
co l’angelico seno;
10 aere sacro, sereno,
ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:
date udïenza insieme
a le dolenti mie parole extreme.
S’egli2 è pur mio destino, 14-19 Se (S’egli) è proprio (pur) mio destino che Amore
15 e ’l cielo in ciò s’adopra, chiuda questi [miei] occhi piangenti (lagrimando) [: se è de
stino che l’amore mi faccia morire], e il cielo agisce (s’adopra)
ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda, in tale direzione (in ciò), un qualche gesto pietoso (gratia) ri
qualche gratia il meschino copra [: seppellisca] il [mio] povero (meschino) corpo fra voi
corpo fra voi ricopra, [: il paesaggio evocato nella prima strofa], e l’anima (alma) tor
ni nuda (ignuda) [: senza corpo] alla propria sede (albergo)
e torni l’alma al proprio albergo3 ignuda. [: in cielo].
DIGIT VIDEOLEZIONE Metrica: canzone di cinque stanze di tredici 1 Chiare...acque: si riferisce alle acque del
Analisi del testo di Pietro Cataldi ciascuna, quattro endecasillabi e nove settena fiume Sorga, tra Avignone e Valchiusa.
ri, con fronte divisa in due piedi e sirma colle 2 egli: è soggetto impersonale.
DIGIT gata alla fronte dalla chiave (c) con rime secon 3 albergo: ( La lingua nel tempo).
ANALISI ATTIVA • ASCOLTO • ALTA LEGGIBILITÀ do lo schema abC; cdeeDfF. Il congedo presen
ta lo schema degli ultimi tre versi della sirma.
334
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
20 La morte fia men cruda 20-26 La morte sarà (fia) meno crudele (cruda) se porto [con
se questa speme porto me] questa speranza (speme) [: di essere sepolto lungo le rive
TESTO GUIDA
del Sorga] a quel passaggio (passo) pauroso (dubbioso) [: la
a quel dubbioso passo; morte]; perché (ché) la [mia] anima (spirito) stanca (lasso)
ché lo spirito lasso non potrebbe comunque (non poria mai) abbandonare (fug-
non poria mai in più riposato porto gir) la carne [: il corpo] tormentata (travagliata) [: dall’amore]
e le ossa in un porto [: tomba] più rasserenante (riposato) né
25 né in più tranquilla fossa in una fossa più tranquilla [di quella invocata, lungo il Sorga].
fuggir la carne travagliata et l’ossa.
Tempo verrà anchor forse 27-39 Forse verrà un tempo che la belva (fera) bella e man
ch’a l’usato soggiorno sueta [: Laura] torni ancora a questo luogo già noto (a l’usato
soggiorno), e volga lo sguardo (la vista) desiderosa e lieta là
torni la fera bella et mansueta, dove (’v’= ove) lei mi vide (scorse) nel giorno benedetto, cer
30 et là ’v’ella mi scorse candomi: e, o pietà!, vedendo[mi] già [divenuto] terra [: polve
nel benedetto giorno, re] tra le pietre [della tomba], Amore la ispiri in modo (in gui-
sa) che [lei] sospiri così dolcemente che ottenga per me
volga la vista disiosa et lieta, (m’impetre) grazia (mercé), e forzi (faccia forza) [così] il cie
cercandomi: et, o pietà!, lo [: la volontà di Dio], asciugandosi gli occhi con il bel velo
già terra in fra le pietre [: mentre piange].
35 vedendo, Amor l’inspiri
in guisa che sospiri
sì dolcemente che mercé m’impetre,
et faccia forza al cielo,
asciugandosi gli occhi col bel velo.
40 Da’ be’ rami scendea 40-45 Una pioggia di fiori scendeva dai bei rami sopra il suo
(dolce ne la memoria)4 [: di Laura] grembo (piacevole ricordo) (dolce ne la memoria);
e lei [: Laura] era seduta in atteggiamento umile tra tanta glo
una pioggia di fior’ sovra ’l suo grembo; ria, già ricoperta dalla nuvola (nembo) amorosa.
et ella si sedea
humile5 in tanta gloria,
45 coverta già de l’amoroso nembo.6
Qual fior cadea sul lembo, 46-52 Qualche fiore cadeva sul lembo [della gonna], qualche
qual su le treccie bionde, [altro] sulle trecce bionde [di Laura], che quel giorno a vederle
erano [come] oro luccicante (forbito) e perle; qualche [altro]
ch’oro forbito et perle si posava in terra, e qualche [altro] sull’acqua (onde); qualche
eran quel dì7 a vederle; altro con un aggraziato (vago) movimento (errore) volteg
50 qual si posava in terra, et qual su l’onde; giando (girando) pareva dire: Qui regna Amore.
qual con un vago errore
girando parea dir: Qui regna Amore.
Quante volte diss’io 53-65 Allora quante volte io dissi pieno di spavento: Co
allor pien di spavento:8 stei [: Laura] certamente (per fermo) è nata in paradiso[!]
335
PARTE PRIMA Il Medioevo
Se tu avessi ornamenti quant’ài voglia, 66-68 [Canzone,] se tu avessi bellezze (ornamenti) quanto
vorresti (quant’ài voglia) [: se tu fossi bella come ho cercato di
poresti arditamente
farti essere, come vorrei], potresti con sicurezza (arditamen-
uscir del boscho, et gir in fra la gente. te) uscire dal bosco e andare (gir) fra (in fra) la gente.
F. Petrarca, Canzoniere, cit.
336
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
TESTO GUIDA
alla poetica La canzone mostra chiaramente come in Petrarca si combinino tradizione e innovazione: il
poeta utilizza alcuni modi tipici dello Stilnovo, ma reinterpretandoli alla luce di una sensibi-
lità nuova. Sono elementi caratteristici della poesia stilnovistica il locus amoenus (cioè il
‘luogo delizioso’) e la donna-angelo. Petrarca però li modifica entrambi. Infatti, il paesaggio
nel Canzoniere non costituisce un semplice sfondo statico alla vicenda, ma è sempre ani-
mato dalla presenza umana e in dialogo con l’interiorità del poeta. Vediamo qui come si sta-
bilisce una stretta corrispondenza tra le parti del corpo di Laura e gli elementi della natura:
tra le «acque » e le «belle membra», tra il «ramo» e il «bel fiancho», tra «herba et fior’» e «l’an-
gelico seno», tra l’«aere» e i «begli occhi». Il poeta si rivolge direttamente ai particolari del
paesaggio evocati perché gli diano «udïenza» (v. 12); mentre i fiori arrivano perfino a parlare
(v. 52).
La rappresentazione della donna, bella e simile a un angelo, risente chiaramente della tradi-
zione precedente, ma con una grande differenza: Laura non è più, come nello Stilnovo e
soprattutto in Dante, mezzo di elevazione spirituale e dispensatrice della grazia divina, ma
causa di turbamento e di totale spaesamento del poeta (v. 62: «Qui come venn’io, o
quando?»). D’altra parte, bisogna anche osservare che non è Laura la reale protagonista
della poesia petrarchesca. Al centro del Canzoniere non c’è tanto quella Laura che di conti-
nuo è oggetto esplicito dei testi, quanto l’io del poeta. Ciò è evidente anche per la rilevanza
che acquista nell’opera (e in questa canzone in particolare) il tema della memoria. L’imma-
gine della donna, assente nella realtà, prende corpo attraverso il ricordo del poeta, unico
argine alla forza disgregatrice del tempo. A un passato recuperato dalla memoria e idealiz-
zato si contrappone, nel Canzoniere, un presente incerto, precario, che annuncia una morte
imminente.
337
PARTE PRIMA Il Medioevo
si assiste a una specializzazione dello stile e del lessico, con l’affermazione, in contrasto
con Dante, del monolinguismo (unità di tono, lessico e registro). Per esempio, in «Chiare, fre-
TESTO GUIDA
sche et dolci acque» le scelte lessicali sono tutte orientate alla massima naturalezza ed
equilibrio: a termini piuttosto comuni («acque», «ramo», «gonna», «herba», «fior’», seno») si
mescolano parole di più elevata tradizione poetica («rimembra», «aere», «alma», «speme»,
«lasso», «fera»), senza però che tra le due serie si crei mai attrito;
il soggetto lirico acquista una centralità nuova e si caratterizza come identità complessa,
percorsa da tensioni contrastanti: è questa la novità assoluta del Canzoniere, che fa della
tematica esistenziale la base e il motore della vicenda narrata. In «Chiare, fresche et dolci
acque» abbiamo visto come Laura sia oggetto esplicito del testo, ma acquisti concretezza
solo attraverso la memoria del poeta.
338
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
I luoghi dell’anima
La nostalgia per un momento felice del passato, che carietà delle cose conservando il loro ricordo. E i
sta al centro di questa canzone, è un dato che s’incon- ricordi sono spesso collegati ai cosiddetti “luoghi
tra in tutte le letterature di tutte le epoche, e che cia- dell’anima”: un paese, una città, un parco, un albero,
scuno di noi sperimenta nel corso della propria vita: una casa, una stanza, un paesaggio. I luoghi dell’a-
chi non si è mai sentito turbato davanti a qualcosa che nima possono essere tanti e inaspettati: lì troviamo il
è stata e non è più? Un amore, un parente, un’amici- giusto raccoglimento per guardarci dentro, entriamo in
zia, un animale, un viaggio, l’infanzia? Di fronte alla contatto con i nostri sentimenti più profondi e magari
forza disgregatrice del tempo la memoria sfida la pre- sorprendenti, viviamo esperienze significative.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE
ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
Alla luce delle tue esperienze e delle tue letture, rifletti su questi argomenti ed elabora un testo argo-
mentativo di circa due colonne sulla capacità dei luoghi di custodire e far rivivere i ricordi. Presenta la
trattazione con un titolo complessivo che ne esprima sinteticamente il contenuto e organizza il tuo testo
in paragrafi, anch’essi titolati.
339
PARTE PRIMA Il Medioevo
TEMI DI CITTADINANZA
Guido sul molo,
fotografia di Nan Goldin,
Venezia 1998.
MEMORIA E OBLIO:
UNA PARTITA A SCACCHI
Petrarca e Il tema della memoria è uno dei più innovativi ed originali del Canzoniere. È nello spazio
la memoria della memoria, infatti, che l’amore per Laura, impossibile da raggiungere nella realtà, pren-
de corpo nella fantasia. Due fra i testi più celebri di Petrarca, compresi nella sezione “in
vita” di Laura, mostrano il valore positivo della memoria, che si oppone allo scorrere del
tempo e lo vince: «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi» e «Chiare, fresche et dolci acque». In
«Erano i capei d’oro e l’aura sparsi», il ricordo del poeta fissa la «forma» di Laura, cioè l’ani-
ma, conservando così l’immagine ideale del passato. E d’altra parte ricordare significa
anche, in certa misura, trasfigurare, fantasticare; in «Chiare, fresche et dolci acque» lo spazio
della memoria sembra confondersi con quello del sogno, fino all’ammissione di Petrarca di
essere «diviso / da l’imagine vera». Quale ruolo gioca invece la memoria dopo la morte
dell’amata? In «La vita fugge, et non s’arresta un’ora» la memoria continua a contrapporsi
allo scorrere rovinoso del tempo, ma l’assenza di Laura ne rende doloroso e triste il ricordo.
Il rimembrare diviene così pericoloso: da una parte consente di fissare il ricordo dell’amata
e della sua bellezza, dall’altra acuisce la sofferenza per la perdita. In nessun caso però si
mette in discussione il potere della memoria, unica forza capace di resistere al tempo.
Una partita Il lettore moderno rimane colpito della fiducia nella memoria espressa da Petrarca. La
a scacchi tra moderna concezione della memoria, che nasce nel Rinascimento (cioè un secolo e
memoria e oblio mezzo dopo Petrarca), esprime infatti una sostanziale sfiducia nelle possibilità di man-
tenere vivo per sempre dentro di noi il ricordo di qualcosa di importante, tanto è vero che
a partire dal Cinquecento avranno grande successo le cosiddette “mnemotecniche”
(tecniche per ricordare).
D’altra parte dimenticare è inevitabile e costruttivo quanto ricordare. Infatti, la memoria è
necessariamente selettiva e talvolta per poter continuare a vivere è necessario imporre la
dimenticanza o comunque attenuare la forza troppo invadente del passato. Dimenticare ci
dà la possibilità di cambiare ed evolvere, di costruire un ponte tra passato e futuro.
Con un’efficace immagine, il filosofo Remo Bodei immagina il rapporto tra memoria e
oblio come una partita a scacchi senza vincitori: alla fine i due re (quello bianco e quello
nero) rimangono entrambi in piedi, a indicare la necessità di una convivenza conflittuale
tra il ricordare e il dimenticare. Il paradosso è già in Petrarca, che mentre rievoca l’imma-
gine ideale di Laura si sente «carco d’oblio» (cfr. «Chiare, fresche e dolci acque», v. 56).
Il testo proposto di seguito è tratto appunto da un’intervista a Bodei sul tema dell’intrec-
cio tra memoria e oblio.
340
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
TEMI DI CITTADINANZA
R. Bodei Non dobbiamo pensare che la memoria sia semplicemente la registrazione di ciò
che è avvenuto. […]. Noi pensiamo che il passato sia come una cosa che sta lì, che il ricordo
semplicemente recupera. Dimentichiamo il fatto che qualsiasi evento del passato, a caldo,
quando è successo, è già un’interpretazione. E soprattutto dimentichiamo il fatto che gli
eventi importanti, traumatici o gioiosi, quelli non banali, quelli che eccedono la semplice
memoria, vengono reinterpretati più volte, proprio perché ci ossessionano, nel senso latino
obsideo che vuol dire assedio. Noi siamo assediati dai ricordi importanti e quindi noi li riper-
corriamo continuamente. […]
Studente Io volevo chiedere: oggi ha portato alcuni oggetti, tra cui anche un rocchetto. Volevo
sapere come mai l’ha portato.
R. Bodei Il rocchetto allude a un piccolo racconto di Kafka che si chiama Odradeck, e che
riguarda questi oggetti dimenticati, appunto un rocchetto. Uno apre un cassetto e trova
parte delle sue memorie, che sono, per così dire, consolidate in oggetti. Per Kafka, probabil-
mente, il rocchetto è il simbolo della figura paterna […]. Ecco il senso del rocchetto è che la
memoria non è soltanto un fatto interiore. La memoria sta negli oggetti – un profumo, un
viso –, e quindi attraverso questi oggetti noi ricostruiamo parte del nostro passato. Anzi si
può dire che negli oggetti, nei profumi soprattutto, in ciò che non è visibile o udibile, cioè
nei sensi acuti, si conserva un passato intatto. È come se la teca dell’oblio avesse conservato
Salvador Dalí, La persistenza
questi oggetti e avesse conservato noi stessi come eravamo. […] Questi oggetti del passato ci
della memoria, 1931.
New York, Museum danno questa emozione, che deriva dal fatto che ci riportano a un nostro io che non è stato
of Modern Art. modificato dal passare del tempo. […].
341
PARTE PRIMA Il Medioevo
Studentessa Il tempo per noi ha una direzione e una freccia. E quindi tutti gli eventi si
TEMI DI CITTADINANZA
collocano in un punto determinato di questa freccia e sono unici e irripetibili. Alcuni però
hanno affermato che pezzi del passato si riaffacciano nel presente, e danno origine a rinasci-
te o riemergenze. […] Allora la metafora del tempo come freccia non si sovrappone, sia pure
in modi imprevisti e complicati, a quella del tempo come ciclo, in cui sembra invece essere
opposta?
R. Bodei Noi abbiamo del tempo una concezione riduttiva, cioè appunto il tempo è come
una linea retta, sulla quale scorre un punto, il presente, che separa in maniera irreversibile
il passato dal futuro. Ma ad esempio, nel tempo psichico, cioè nel tempo della nostra vita,
succede che c’è un passato che non passa, qualcosa che resta in noi e che continuiamo a
elaborare […]. In Leibniz1 tempo e spazio sono degli ordini. Il tempo è l’ordine della succes-
sione, lo spazio è l’ordine della compresenza. […] Il tempo psichico è un po’ un incrocio tra
questi due ordini. […] Cioè il tempo, per certi aspetti, come quello di Leibniz, scorre, per
altri assomiglia allo spazio, cioè resta contemporaneamente presente. Ecco perché io posso
recuperare il passato. Cioè il passato non è scomparso, non è dissolto, resta come traccia in
1 Leibniz: Gottfried Wilhelm noi e per questo lo possiamo rievocare. […]
von Leibniz (Lipsia, 21 giugno Inoltre c’è, per così dire, un passato irredento, che è come una molla compressa. Il futuro
1646-Hannover, 14 novembre che, appunto, è paradossalmente contenuto nel passato, nel senso che il passato ci spinge
1716) è stato un filosofo e scien-
ziato tedesco dai vasti interessi per realizzare qualche cosa. È proprio come una molla compressa. Il futuro sta nel passato
(i suoi scritti concernono la giu- come la molla, quando ci teniamo le mani sopra, e, se noi la lasciamo andare, questi desideri
risprudenza, la politica, la storia, del passato si proiettano verso il futuro. Detto in termini più semplici, noi non dobbiamo
la teologia, la matematica e la fi-
sica). Secondo la sua visione, mai appiattire il tempo a una sola dimensione. La pienezza della nostra vita consiste nel
spazio e tempo non sono realtà a rendere il passato fruttuoso per il nostro presente e nel considerarlo come “il sogno di una
se stanti, ma concetti attraverso cosa”, avrebbe detto Marx, come l’aspettativa racchiusa nel passato, che ci apre le porte
cui esprimiamo le relazioni tra le
cose, così come appaiono nella verso il futuro. Noi dobbiamo, cioè, vivere il passato non semplicemente come un magazzi-
nostra mente. In particolare, no in cui i nostri ricordi stanno nel tempo. Noi passiamo continuamente dalla dimensione
come ricorda Bodei in questa in- di ciò che è stato a quella di ciò che sarà. Abbiamo bisogno nello stesso tempo di memoria e
tervista, lo spazio esprime i rap-
porti di compresenza, mentre il di oblio, perché dobbiamo ricordare il passato, se no non avremo identità, e dimenticarlo, se
tempo i rapporti di successione. no non avremo apertura al nuovo.
Ricordare e dimenticare, intervista a Remo Bodei, del 26.5.1998, Il Grillo, RAI educational.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Riassumi il testo in non più di tre righe.
2. Perché Bodei sostiene che «siamo assediati dai ricordi importanti»?
3. Come è spiegato il fatto che gli oggetti, i suoni, i profumi del passato ci procurano emozione?
4. Perché è riduttivo pensare il tempo come «una linea retta, sulla quale scorre un punto, il presente, che sepa-
ra in maniera irreversibile il passato dal futuro»?
5. Cos’è il “tempo psichico”?
6. Con quale immagine viene rappresentato il «passato irredento»? Perché?
7. Qual è, secondo Bodei, l’atteggiamento più costruttivo con cui guardare al passato?
PRODUZIONE
Prendendo spunto dalle risposte di Bodei e sulla base delle esperienze personali, elabora un testo nel qua-
le esponi il tuo rapporto con il tuo personale passato. Quanto e come ricordi? Come condiziona le tue scelte
di oggi e la progettualità per il tuo domani? Perché? Organizza il tuo discorso in maniera coerente e coesa.
342
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
È la grande canzone politica di Petrarca, la più impegnata tra quelle di argomento affine presenti nel Can-
zoniere, e la più fortunata presso i lettori futuri. Petrarca la compose probabilmente nell’inverno del
1344-45 a Parma, città contesa tra la famiglia ferrarese degli Este e quella mantovana dei Gonzaga.
Dall’occasione contingente Petrarca trae spunto per criticare severamente il particolarismo dell’Italia,
che divide i numerosi stati e staterelli della penisola e che mette gli italiani gli uni contro gli altri. Petrarca
si richiama, di contro, alla grande tradizione di Roma e dell’Impero romano e ai grandi valori di unità e di
pace. Egli si rivolge direttamente ai signori italiani, colpevoli di darsi lotta fra di loro e di avvalersi di infide
truppe mercenarie.
I TEMI universalismo politico contro il particolarismo delle Signorie intellettuale al di sopra delle parti
PARAFRASI
Italia mia, benché ’l parlar sia indarno 1-6 [O] Italia mia, benché il (’l) parlare sia inutile (indarno) a
a le piaghe mortali [curare] le piaghe mortali che vedo (veggio) nel tuo bel corpo
così (sì) numerose (spesse), voglio (piacemi = ‘mi piace’) al
che nel bel corpo tuo sì spesse veggio,1 meno che i (che’) miei sospiri [di dolore] siano quali il Tevere
piacemi almen che’ miei sospir’ sian quali e l’Arno e il Po, dove ora sto (seggio = ‘siedo’) addolorato (do-
5 spera ’l Tevero et l’Arno, glioso) e turbato (grave), si aspettano (spera).
e ’l Po,2 dove doglioso et grave or seggio.
Rettor del cielo, io cheggio 7-9 Governatore (Rettor) del cielo [: Dio], io chiedo (cheg-
gio) [: ti prego] che la pietà che Ti condusse sulla (in) terra [: a
che la pietà che Ti condusse in terra
incarnarti in Cristo] Ti [ri]volga al Tuo nobile (almo) paese
Ti volga al Tuo dilecto almo paese. preferito (dilecto) [: l’Italia].
10 Vedi, Segnor cortese, 10-16 [O] Signore cortese, [tu] vedi da (di) quanto (che) lievi
di che lievi cagion’ che crudel guerra; cause (cagion’<i>) che guerra crudele [è derivata]; e apri e in
tenerisci e sciogli (snoda) [dall’errore] Tu, o padre, i cuori, che
e i cor’, che ’ndura et serra
Marte superbo e feroce (fero) indurisce (’ndura) e chiude
Marte3 superbo et fero, (serra); fa’ che la Tua verità (vero) venga udita (s’oda) lì (ivi)
apri Tu, Padre, e ’ntenerisci et snoda;4 [: nei cuori] attraverso (per) le mie parole (la mia lingua), co
munque io sia (qual io mi sia) [: non badare al fatto che io sono
15 ivi fa’ che ’l Tuo vero,
indegno di pronunciare la tua verità].
qual io mi sia, per la mia lingua s’oda.
Voi cui Fortuna à posto in mano il freno 17-22 [O] voi [: signori italiani] ai quali (cui) la sorte (Fortu-
de le belle contrade, na) ha posto in mano [: ha affidato] il governo (il freno) delle
belle regioni (contrade) [italiane], delle quali (di che) pare
di che nulla pietà par che vi stringa, che [non] vi tocchi (stringa) nessuna (nulla) pietà, che fanno
20 che fan qui tante pellegrine spade?5 qui [: in Italia] tante spade [: soldati] straniere (pellegrine)?
perché ’l verde terreno [Sono qui forse] affinché (perché) il verde terreno si colori (si
depinga) del sangue dei barbari?
del barbarico sangue si depinga?6
Metrica: canzone di sette stanze di sedici ver 2 Tevero...Po: il riferimento ai tre fiumi più stranieri. Questa domanda contiene un’accu
si ciascuna con rime secondo lo schema AbC, conosciuti d’Italia indica la penisola nel suo sa: quella di aver condotto soldati stranieri
BaC; cDEeDdfGfG. Il congedo riprende lo insieme. sul territorio nazionale.
schema cDEeDdfGfG. 3 Marte: dio pagano della guerra, rappresen 6 perché ’l verde...depinga?: questa seconda
ta qui l’aggressività e la ferocia degli uomini. domanda (vv. 2122) contiene un riferimento
1 Italia mia...veggio: il discorso è rivolto di 4 ’ntenerisci et snoda: i due termini si con ironico alle speranze di trovare fedeltà in
rettamente all’Italia, immaginata nei termini trappongono a ’ndura et serra di due versi eserciti arruolati a pagamento, quasi il poeta
di una persona umana (corpo tuo), secondo prima. dicesse “sperate veramente che soldati stra
la tecnica della personificazione. Per questa 5 Voi cui Fortuna...spade?: Petrarca si rivolge nieri siano disposti a versare il loro sangue
ragione i problemi sono chiamati piaghe. Il ai potenti d’Italia, accusandoli di essere i per i vostri interessi?”. Le milizie mercenarie
poeta ha coscienza dell’inutilità delle proprie principali responsabili della decadenza del non combattono per difendere il loro paese,
parole, ma non rinuncia a svolgere il suo ruo paese. Infatti, è dalle lotte e dalle guerre tra i ma per soldi, e sono pronte a tradire il loro pa
lo di intellettuale che si appella all’unità vari signori che derivano i mali nazionali, a drone di oggi per schierarsi domani con chi
dell’Italia e alla pace. partire dalla presenza di soldati mercenari può pagarli di più.
343
PARTE PRIMA Il Medioevo
Vano error vi lusinga: 23-27 Vi seduce (vi lusinga) una illusione (error) infondata
(Vano): vedete [: capite] poco, e vi sembra (parvi) di vedere
poco vedete, et parvi veder molto,
molto, dato che (ché) cercate amore o fedeltà (fede) in cuori
25 ché ’n cor venale amor cercate o fede. (cor) mercenari (venale). Chi (Qual) possiede più truppe (gen-
Qual più gente possede, te), questi (colui) è più circondato (avolto) dai suoi nemici.
colui è più da’ suoi nemici avolto.7
O diluvio raccolto 28-32 O diluvio [: i soldati stranieri] raccolto da quali (di che)
di che deserti strani, orridi (strani) luoghi selvaggi (deserti), per inondare i nostri
dolci campi! Se questo ci accade (n’avene) a causa delle (da le)
30 per inondar i nostri dolci campi!8 [nostre] proprie mani [: per opera di scelte fatte da italiani], al
Se da le proprie mani lora (or) chi potrà (fia = sarà) salvarcene (che ne scampi)?
questo n’avene, or chi fia che ne scampi?
Ben provide Natura al nostro stato, 33-38 La natura provvide adeguatamente (Ben) alla nostra
quando de l’Alpi schermo [: degli italiani] esistenza (stato), quando mise (pose) la prote
zione (schermo) delle Alpi fra noi e la ferocia (rabbia) tedesca
35 pose fra noi et la tedesca rabbia; [: delle popolazioni germaniche]; ma poi il desiderio (’l desir)
ma ’l desir cieco,9 e ’ncontra ’l suo ben fermo, cieco [: stupido; dei signori d’Italia], e tenace (fermo) [anche]
s’è poi tanto ingegnato, contro (<i>’ncontra) il proprio interesse (’l suo ben), si è a tal
punto (tanto) dato da fare (ingegnato), che ha procurato cor
ch’al corpo sano à procurato scabbia.10 ruzione (scabbia; per metafora) al corpo sano [dell’Italia].
Or dentro ad una gabbia 39-48 Ora belve (fiere) selvagge [: i “barbari”] e greggi mansue
40 fiere selvagge et mansüete gregge11 ti [: gli italiani] abitano (s’annidan) dentro a una [stessa] gabbia
s’annidan sì, che sempre il miglior geme; [: l’Italia], così (sì) che il migliore [: le greggi, cioè gli italiani] sem
pre è oppresso (geme); e, cosa ancora più dolorosa (per più do-
et è questo del seme, lor), ciò accade ad opera dei discendenti (del seme) di quel popo
per più dolor, del popol senza legge, lo senza civiltà (legge) [: i barbari germanici], al quale, come si
al qual, come si legge, legge [nelle storie di Roma], Mario inflisse una tale sconfitta
(aperse sì ’l fianco = aprì a tal punto le viscere) che ancora (an-
45 Mario aperse sì ’l fianco,
cho) non si spegne (non langue) il ricordo (memoria) dell’even
che memoria de l’opra ancho non langue, to (de l’opra), quando [essendo] assetato e stanco non bevve dal
quando assetato et stanco fiume più acque che sangue [: bevve un liquido composto per
non più bevve del fiume acqua che sangue.12 metà del sangue nemico, misto alle acque del fiume].
Cesare taccio che per ogni piaggia 49-51 Non parlo (taccio) di Cesare che per ogni terra (piag-
50 fece l’erbe sanguigne gia) insanguinò (fece...sanguigne) le erbe del loro [: dei “bar
bari”] sangue, ovunque (ove) portò (mise) la spada (’l... ferro)
di lor vene, ove ’l nostro ferro mise. nostra [: degli italiani, sentiti come continuatori dei romani].
Or par, non so per che stelle maligne, 52-56 Ora pare che il cielo ci abbia (n’aggia) in odio, non so
che ’l cielo in odio n’aggia: per [influsso di] che stelle malefiche (maligne): grazie a voi
vostra mercé, cui tanto si commise. (vostra mercé) [: i signori], ai quali (cui) è stato affidato (si
commise) un così alto compito (tanto). Le vostre avidità (vo-
55 Vostre voglie divise glie) discordi (divise) guastano la più bella regione (parte) del
guastan del mondo la più bella parte. mondo [: l’Italia].
Qual colpa, qual giudicio o qual destino13 57-62 Quale colpa, [o] quale punizione (giudicio) o quale de
fastidire il vicino stino [vi spinge a] opprimere (fastidire) i vicini poveri, e per
seguitare (perseguire) i [lor] beni (fortune) [già] impoveriti
povero, et le fortune afflicte et sparte (afflicte) e dispersi (sparte), e a cercare e gradire gente stra
60 perseguire, e ’n disparte niera (’n disparte; ’n = in), che sparga il [proprio sangue] e
7 Qual più...avolto: a essere nemici, poten penisola, corrompendola. 12 al qual...acqua che sangue: i vv. 4448 ri
zialmente, sono infatti gli stessi soldati prov 10 scabbia: è propriamente una ripugnante evocano le imprese militari di Caio Mario, il
visoriamente arruolati a pagamento, con malattia della pelle. quale nel 102 a.C. distrusse l’esercito dei Teu
scarsa capacità di previsione e di valutazione. 11 gabbia...gregge: l’Italia, trasformata in toni (una popolazione germanica) presso l’o
8 O diluvio...dolci campi!: con la metafora del una gabbia, vede la convivenza forzata della dierna AixenProvence. Il condottiero, se
diluvio, che indica i soldati nemici, viene mes indifesa civiltà latina (rappresentata dalle condo le antiche storie di Roma, avrebbe be
sa in risalto una trasformazione di amici in ne greggi, simbolo evangelico di purezza e di mi vuto le acque del fiume Are intrise del sangue
mici, come nei versi 2627: i signori italiani non tezza) e della violenta rozzezza dei barbari dei nemici morti in battaglia.
fanno l’interesse dell’Italia così come i soldati germanici; il contrasto tra i due popoli è sotto 13 Qual colpa...destino: tre possibili cause
mercenari non fanno quello dei signori stessi lineato dal chiasmo al v. 40. Aggrava il dolore il del fatale comportamento dei signori: colpa
che li pagano (né tanto meno quello dell’Italia). fatto che della condizione inerme degli italia umana, punizione divina, destino voluto
9 desir cieco: l’avidità testarda dei potenti ni si approfittino i discendenti dei nemici sto dalla sorte. Le tre cause delineano tre diverse
ha distrutto le difese offerte dalla natura alla rici dei latini, da essi duramente sconfitti. concezioni della storia e del mondo.
344
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
cercar gente et gradire, venda l’anima (l’alma) [: la vita e la coscienza] per denaro (a
prezzo)?
che sparga ’l sangue et venda l’alma a prezzo?
Io parlo per ver dire,14 63-64 Io parlo per dire la verità (ver), [e] non per odio né per
non per odio d’altrui, né per disprezzo. disprezzo di qualcuno (d’altrui).
65 Né v’accorgete anchor per tante prove 65-73 E non (Né) vi accorgete ancora [pur] con (per) tante di
del bavarico inganno mostrazioni (prove) dell’inganno dei soldati germanici (bava-
rico = bavarese), che alzando il dito [: in segno di resa] si beffa
ch’alzando il dito colla morte scherza?15 (scherza) della morte? A parer mio è peggio lo scherno (lo
Peggio è lo strazio, al mio parer, che ’l danno; strazio) che il danno; ma il sangue dei vostri (vostro) [: degli
ma ’l vostro sangue piove italiani] viene versato (piove) con più larghezza (più larga-
mente), dato che (ch’) vi incita (vi sferza) un odio (ira) ben
70 più largamente, ch’altr’ira vi sferza.
maggiore (altr’<o>). Pensate a voi stessi (di voi) dall’alba alle
Da la matina a terza16 nove (Da la matina a [ora] terza), e vedrete [: capirete] quanto
di voi pensate, et vederete come (come) considera degni (tien caro) gli altri (altrui) chi [: i mer
cenari] considera sé così vile [: da vendere la propria vita].
tien caro altrui che tien sé così vile.
Latin sangue gentile, 74-80 [O] nobile (gentile) sangue latino [: gli italiani], lìberati
75 sgombra da te queste dannose some; (sgombra da te) di questi pesi (some) dannosi [: i mercenari];
non trasformare in un mito (non far idolo) una fama (un no-
non far idolo un nome
me) illusoria (vano) senza fondamento (soggetto) [: la gloria
vano senza soggetto: militare dei soldati tedeschi]: dal momento che (ché) è colpa
ché ’l furor de lassù, gente ritrosa, (peccato) nostra [: degli italiani] e non cosa naturale [: fatto
inevitabile] che la violenza (’l furor) [degli abitanti] del Nord
vincerne d’intellecto,
(de lassù) [: dei tedeschi], popolazione (gente) arretrata (ri-
80 peccato è nostro, et non natural cosa.17 trosa), ci vinca (vincerne) in intelligenza (d’intellecto).
Non è questo ’l terren ch’i’ tocchai pria? 81-86 Non è questa [: dell’Italia] la terra (’l terren) che io toc
Non è questo il mio nido cai per prima (pria) [: appena nato; cioè in cui io nacqui]? Non
è questo il mio nido [: la mia dimora] in cui (ove) fui nutrito
ove nudrito fui sì dolcemente? [: in cui vissi] così dolcemente? Non è questa la patria nella
Non è questa la patria in ch’io mi fido, quale io (in ch’io) ho fiducia (mi fido), [essa che è una] madre
85 madre benigna et pia, benevola (benigna) e pietosa (pia), che ricopre [: in cui sono
sepolti] l’uno e l’altro mio genitore (parente)?
che copre l’un et l’altro mio parente?
Perdio, questo la mente 87-96 In nome di Dio (Perdio), queste cose (questo) [appena
talor vi mova, et con pietà guardate dette] talora vi muovano (mova) la mente [: influenzino i vo
stri pensieri], e guardate con pietà le lacrime del popolo addo
le lagrime del popol doloroso, lorato (doloroso), che spera [di avere] serenità (riposo) solo
90 che sol da voi riposo da voi dopo Dio; e [basterebbe] solamente (pur) che voi mo
dopo Dio spera; et pur che voi mostriate striate qualche (alcun) segno di pietà (pietate), [e] il valore
(vertù) [: degli italiani] prenderà le armi contro la brutalità
segno alcun di pietate, (furore) [: dei tedeschi], e il combattimento (’l combatter)
vertù contra furore sarà (fia) breve (corto): perché (ché) l’antico valore non è
prenderà l’arme, et fia ’l combatter corto: ancora morto nei cuori italiani.
95 ché l’antiquo valore
ne l’italici cor’ non è anchor morto.18
14 Io parlo...ver dire: il poeta dichiara di ri gione della Germania del sud; vale, in gene rozzi i popoli nordici – serve a mettere ancora
correre a un tono così duro solo per amore re, ‘germanico’. una volta al centro dell’attenzione le respon
della verità dei fatti e non perché egli sia a sua 16 Da la matina a terza: un periodo di tre sabilità dei regnanti. L’intelligenza dei mer
volta coinvolto nello spirito fazioso che sta ore, tuttavia sufficiente a capire le ragioni cenari consiste nel vendersi senza poi essere
condannando; aggiunge così autorità e solen esposte dal poeta. Per dire che i signori non fedeli, né nel combattere, né nel conservarsi
nità al proprio giudizio. dedicano ormai alla riflessione neppure que legati alla causa di ingaggio.
15 Né v’accorgete...scherza?: due argo sto tempo brevissimo, tutti presi e accecati 18 Perdio...anchor morto: la condizione av
menti dovrebbero dissuadere dall’impiego dall’avidità. vilita del popolo italiano nasconde ancora,
di soldati mercenari: perché si arrendono al 17 non far idolo...natural cosa: non la pro secondo il poeta, la grandezza ereditata dal
primo pericolo (il dito alzato era segno di re verbiale forza delle armi tedesche, ma l’intel glorioso passato, in particolare romano; e
sa già al tempo degli antichi romani) e ligenza dei soldati mercenari è veramente su aspetta solamente di essere stimolata da un
perché sono sleali, pronti a vendersi al mi periore a quella degli italiani. Il paradosso – esempio anche minimo di virtù nei gover
glior offerente. bavarico: ‘della Baviera’, re data la concezione del tempo, che riteneva nanti.
345
PARTE PRIMA Il Medioevo
Signor’, mirate come ’l tempo vola, 97-102 [O] signori, osservate (mirate) come il tempo vola, e
allo stesso modo (sì) come la vita fugge, e la morte ci sta (n’è)
et sì come la vita
sulle (sovra le) spalle [: ci segue da vicino]. Voi ora siete qui
fugge, et la morte n’è sovra le spalle.19 [: sulla terra]; pensate alla partenza (partita) [: alla morte]: da
100 Voi siete or qui; pensate a la partita: to che (ché) è inevitabile (conven) che l’anima (l’alma) arrivi
ché l’alma ignuda et sola nuda (ignuda) e sola a quel cammino (calle) insidioso (dub-
bioso) [: la morte].
conven ch’arrive a quel dubbioso calle.
Al passar questa valle 103-112 Nell’attraversare (Al passar) questa valle [: la vita
piacciavi porre giù l’odio et lo sdegno, terrena] vogliate (piacciavi) deporre (porre giù) l’odio e l’ira
(lo sdegno), forze (vènti) contrarie alla vita serena; e quel
105 vènti contrari a la vita serena; tempo che viene impiegato (che... si spende) per (’n = ‘in’)
et quel che ’n altrui pena [procurare] sofferenze (pena) ad altri (altrui) venga rivolto (si
tempo si spende, in qualche acto più degno converta) [invece] in qualche atto (acto) più meritevole (de-
gno) o pratico (o di mano) o intellettuale (o d’ingegno), in
o di mano o d’ingegno, qualche bella attività lodevole (bella lode), in qualche impe
in qualche bella lode, gno (studio) onorevole (honesto): così qua giù [sulla terra] si
110 in qualche honesto studio si converta: è soddisfatti (si gode), e si trova aperta la strada del cielo [: la
beatitudine dopo la morte]
così qua giù si gode,
et la strada del ciel si trova aperta.20
19 et la morte...spalle: il pensiero della mor te con nemici e avversari. In questi ultimi pericoli dai quali le parole del poeta dovranno
te e del giudizio divino dovrebbero anch’essi versi trapela la concezione petrarchesca della cercare protezione presso i pochi ancora aman
spingere i governanti a un comportamento nobiltà umana, e del suo rapporto con la sfera ti della virtù e della verità, per diffondere grazie
virtuoso, pensando a come l’anima si presen religiosa: una originale sintesi di valori terre a essi il proprio messaggio di pace.
ta senza nessuna possibile protezione, nella ni e di interessi trascendenti. 22 Pace, pace, pace: non è un invito generico; e
prospettiva cristiana, al giudizio finale. 21 Canzone...piace: il congedo completa il da molti luoghi della canzone si ricavano
20 Al passar...si trova aperta: l’invito con quadro di corruzione imperante con un riferi esortazioni guerresche contro le milizie stranie
clusivo a dedicare a imprese elevate e merite mento, attraverso una perifrasi, all’adulazione re (vv. 4551, 75, 9196). Qui è insomma la pace
voli di lodi quelle energie inutilmente impie ipocrita e menzognera dei cortigiani e dei lette tra i signori italiani a essere invocata, la cessazio
gate, al presente, per competere faziosamen rati sottomessi al potere (l’usanza...nemica): ne delle inimicizie e delle ostilità fratricide.
346
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
tività del poeta che, riconoscente alla sua patria, esorta ancora i signori d’Italia: «la vita /
fugge» ed è preferibile impiegarla in attività onorevoli che aprano «la strada del ciel». Nel con-
gedo Petrarca si rivolge alla propria canzone e le raccomanda cautela perché il suo messag-
gio di pace sarà raccolto solo da una minoranza di «magnanimi».
ANALISI La tradizione della canzone civile: una poesia elevata Già con Dante, il genere della can-
zone è riservato alla trattazione di temi elevati. Oltre che per il metro (endecasillabi e sette-
nari disposti in rima), la canzone si identifica per l’uso di un lessico scelto, di una sintassi
complessa, di una struttura argomentativa ricca di parallelismi, riprese e figure retoriche.
Analizziamo più specificamente la presenza di queste caratteristiche nel testo petrarchesco.
La struttura ruota attorno all’invocazione ai signori, preceduta da una strofa (la prima) rivolta
all’Italia e a Dio, e seguita nel congedo dalle raccomandazioni conclusive alla canzone stessa.
L’invocazione ai signori è espressa in forma diretta nella seconda strofa («Voi...») e nella penul-
tima («Signor’...»), con circolare coerenza. Le numerose figure retoriche sono al servizio di
un’argomentazione appassionata e convincente: la causa per la quale ci si batte non è solo
presentata come la più opportuna, ma anche come la più giusta, sulla base di una coincidenza
tra bene politico e bene morale. Le frasi esclamative (vv. 28-30) e soprattutto le frequenti
interrogative retoriche (vv. 20-22, 31-32, 57-62, 65-67, 81, 82-83, 84-86) esprimono indigna-
zione e adesione alla materia trattata; le antitesi e le contrapposizioni (vv. 29-30, 40 e 93)
rivelano una concezione morale fondata su una separazione netta fra bene e male. Frequenti
sono anche le metafore (vv. 2, 28-30, 38, 39-41, 75, 82, 85, 97, 102, 103) che danno concre-
tezza ai concetti espressi. Ricorrono inoltre figure retoriche con funzione di innalzamento sti-
listico, come la preterizione (vv. 49-51) e la perifrasi (vv. 117-118).
INTERPRETAZIONE Le idee politiche Le idee politiche espresse da Petrarca in questa canzone definiscono una
E COMMENTO visione ancora legata ai grandi modelli culturali del Medioevo, basata su alcuni elementi fon-
damentali:
1) l’universalismo politico, cioè il rifiuto della logica municipalistica e particolaristica delle
Signorie in nome di un ideale di nazione astratto e generico;
2) la fedeltà alla tradizione dell’Impero romano, nei confronti del quale non si avverte frattura
ma continuità;
3) la concezione provvidenzialistica della storia, affidata nelle sue linee generali al disegno divino;
4) l’idea della superiorità del popolo italiano (in quanto discendente di Roma) rispetto agli
altri, sentiti come barbari. Da questo punto di vista non è segnalabile una vera differenza
rispetto all’ideologia, per esempio, di Dante.
Il nuovo ruolo dell’intellettuale La novità più rilevante di Petrarca riguarda il ruolo intellet-
tuale. Egli non è coinvolto nel terreno della lotta politica, ma posto in una dimensione di
distacco e di superiorità fatta coincidere direttamente con il bene comune e dichiarata al di
sopra delle parti in contesa (vv. 63-64). La funzione intellettuale è cioè definita ormai, anche
davanti al tema politico e civile, come una funzione separata e autonoma. È una visione desti-
nata ad avere grande fortuna nei secoli successivi, in cui i letterati immaginano se stessi
come portatori di un punto di vista superiore, disinteressato e libero da compromessi.
347
PARTE PRIMA Il Medioevo
L’amore e il desiderio causano violenti conflitti. Il poeta, rivolgendosi direttamente a Laura, le illustra
contraddizioni e ambiguità alle quali non sembra esserci alcun rimedio. La figura retorica di questa scis-
sione è l’antitesi: tutto il sonetto è dominato infatti da un continuo oscillare tra due poli contrastanti,
segno di una profonda tensione esistenziale.
I TEMI stato d’animo contraddittorio del poeta
PARAFRASI
Pace non trovo, et non ò da far guerra; 1-4 Non trovo pace, e non ho mezzi per fare guerra; e temo, e
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; spero; e brucio, e sono un [pezzo di] ghiaccio; e volo su in cie
lo, e giaccio in terra; e non possiedo (stringo) nulla, e abbrac
et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra; cio tutto il mondo.
et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio.1
5 Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra, 5-8 Una persona (Tal) [: Laura] mi tiene (m’à) in una prigione che
né per suo mi riten né scioglie il laccio; non mi apre e non [mi] chiude (serra), e non mi prende (né… mi ri-
ten) come suo [prigioniero] e non mi apre (scioglie) i vincoli (lac-
et non m’ancide Amore, et non mi sferra, cio); e Amore non mi uccide (m’ancide), e non mi libera (sferra =
né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio.2 ‘non mi toglie dai ferri [della prigionia]’), e non mi vuole vivo, e
non mi toglie (trae) dalla sofferenza (d’impaccio) [: con la morte].
Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido; 9-11 Vedo (Veggio) senza [avere gli] occhi, e grido [anche se]
10 et bramo di perir, et cheggio aita; non ho lingua; e desidero (bramo) morire, e chiedo (cheggio)
aiuto; e odio me stesso, e amo un’altra (altrui) [: Laura].
et ò in odio me stesso, et amo altrui.3
Pascomi di dolor, piangendo rido; 12-14 Mi nutro (Pascomi) di dolore, rido mentre piango; la
egualmente mi spiace morte et vita: morte e la vita mi dispiacciono nello stesso modo: [o] donna
[: Laura], io sono in questo stato per causa vostra.
in questo stato son, donna, per voi.4
F. Petrarca, Canzoniere, cit.
Metrica: sonetto con rime secondo lo schema di essere riamato gli danno l’impressione di 3 Veggio...altrui: il poeta ha perso la vista a cau
ABAB, ABAB; CDE, CDE. E è una rima siciliana. innalzarsi in paradiso; ma timore e disillusio sa della passione: continua a vedere con la sola
ne lo gettano nello sconforto (v. 3). Non ha forza dell’intuito; grida di dolore ma è incapace
1 Pace...abbraccio: il poeta vive una situa certezze di nulla, ma con il desiderio gli pare di parlare, perché è come se non avesse la lin
zione conflittuale ed è attraversato da senti di stringere a sé tutto il mondo, tanto il desi gua; vorrebbe morire, eppure chiede all’amata
menti contrastanti. Non ha pace, perché la derio è grande (v. 4). di aiutarlo a vivere. La ragione della condizione
passione e il desiderio gliela tolgono; e d’altra 2 Tal...impaccio: la prigionia imposta da Lau paradossale descritta in questi versi è il fatto
parte non è nelle condizioni di reagire, o per ra al poeta è ambigua, cioè: la donna non si che egli ama Laura e invece odia se stesso, con
difendersi o per ottenere di essere ricambiato decide né ad accettare l’amore del poeta, né a tro il principio elementare dell’amor proprio.
da Laura (v. 1). Ha paura di non essere amato, rifiutarlo in modo da lasciarlo libero per la 4 Pascomi...voi: così come Laura e Amore
e spera a volte di esserlo, e passa dal bruciare sua strada. Lo stesso Amore non uccide l’in non si decidono sulle sorti del poeta, egli
della passione al gelo del timore e della disil namorato, ma al tempo stesso non gli per stesso è sospeso tra dolore e felicità, tra vo
lusione (v. 2). L’amore per Laura e il pensiero mette di vivere veramente. glia di vivere e desiderio di morire.
348
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
Lo «stato» del poeta
Nel sonetto il poeta descrive il proprio stato interiore come paradossale, ambiguo e contraddittorio. Egli
è infatti attraversato da sentimenti e desideri contrapposti. Se nella prima quartina non è chiarita la
causa di tale condizione, nella seconda quartina si allude a Laura («Tal», v. 5) e si nomina «Amore» (v.
7). Nella conclusione il poeta diviene ancora più esplicito, dichiarando «in questo stato son, donna, per
voi» (v. 14).
Sottolinea nel testo tutte le espressioni che si riferiscono allo stato d’animo del poeta.
ANALISI
Lo stile della scissione: l’antitesi
L’antitesi è la figura retorica che contrappone due termini o due frasi di senso opposto: tale figura
compare in tutti i versi del sonetto (tranne l’ultimo), e talvolta addirittura doppiamente (vv. 2 e 3). Per
dare maggior forza a queste contrapposizioni, Petrarca usa una sintassi estremamente semplice: tutte
le proposizioni sono sullo stesso piano, perché sono tutte coordinate. Allo stesso modo, nel suo animo
tutte le opposizioni sono compresenti, senza che nessuna possa prevalere.
Sottolinea nel testo tutte le antitesi: quale funzione espressiva assume questa figura retorica? Quale
congiunzione lega la maggior parte delle frasi?
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
Amore come nemico
Nella tradizione stilnovistica, Amore è il signore del poeta, e gli ispira nobiltà d’animo. In Petrarca, inve-
ce, Amore è un signore crudele, che imprigiona l’uomo gettandolo nel dolore e nella contraddizione. La
donna acquista, di conseguenza, tratti nuovi e ambigui, riconosciuta come responsabile dello «stato» di
turbamento del poeta. Il dialogo che Petrarca cerca con Laura è anche il tentativo – vano – di liberarsi
dalla «pregion» che lei gli ha imposto.
In realtà, una visione tormentata dell’amore è presente anche nel poeta stilnovista Guido Cavalcanti.
Confronta questo sonetto di Petrarca con quello di Cavalcanti «Voi che per li occhi mi passaste ’l core»
( Capitolo 2, T9, p. 105), in cui Amore è rappresentato come un guerriero che ferisce l’innamorato.
349
PARTE PRIMA Il Medioevo
È qui presentato uno dei tre sonetti (136, 137 e 138) dedicati al tema della corruzione della Chiesa. La
permanenza della corte papale ad Avignone (la cosiddetta “cattività avignonese”) è uno dei bersagli po-
lemici dell’attività pubblica di Petrarca, impegnato per il ritorno della sede pontificia a Roma, secondo
tradizione. La Chiesa contemporanea appare luogo di vizio e di corruzione, contrapposto alla purezza
semplice della Chiesa delle origini. Dal cielo viene perciò invocata la punizione rigeneratrice.
I TEMI corruzione della Chiesa
PARAFRASI
Fiamma dal ciel su le tue treccie piova,1 1-8 Dal momento che (poi che) ti piace (ti giova) tanto [il
malvagia, che dal fiume et da le ghiande2 fatto] di peccare (mal oprar), sulle tue [: della corte papale,
personificata come donna corrotta] trecce piova dal cielo il
per l’altrui impoverir se’ ricca et grande, fuoco (Fiamma), [o] malvagia, che [provenendo] dal [bere
poi che di mal oprar tanto ti giova; l’acqua del] fiume e [prendere nutrimento] dalle ghiande [: ri
spetto alla semplicità delle tue origini], sei [diventata] ricca e
5 nido di tradimenti, in cui si cova potente (grande) grazie all’impoverimento (per l’… impove-
rir) degli altri (altrui); [o] nido [: covo] di tradimenti, in cui si
quanto mal per lo mondo oggi si spande,
prepara (si cova) tutto il male che (quanto mal) oggi si spande
de vin serva, di lecti et di vivande, 3 per il mondo, serva di vino, di letti e di cibi (vivande), nei qua
in cui Luxuria4 fa l’ultima prova. li (in cui) [: presso di te] la lussuria raggiunge il suo culmine (fa
l’ultima prova; ultima = ‘estrema’, cioè ‘peggiore’).
Per le camere tue fanciulle et vecchi 9-11 Nelle (Per le) tue [: dei tuoi palazzi] camere fanciulle e
10 vanno trescando,5 et Belzebub in mezzo vecchi vanno ballando (trescando) [: compiendo orge], e in
mezzo [a loro c’è] Belzebù [: il diavolo] con i (co’ = coi) mantici
co’ mantici et col foco et co li specchi.6 e con il fuoco e con gli (li) specchi.
Già non fostù nudrita in piume al rezzo, 12-14 In passato (Già) tu [: la Chiesa] non fosti (non fostù)
ma nuda al vento, et scalza fra gli stecchi:7 nutrita sui letti (in piume) e all’ombra (al rezzo) [: non sei cre
sciuta tra comodità e agi], ma nuda al vento e scalza fra le spi
or vivi sì ch’a Dio ne venga il lezzo. ne (gli stecchi): ora vivi in modo tale (sì = così) che il puzzo (il
lezzo) possa arrivare (ne venga) [fino] a Dio.
F. Petrarca, Canzoniere, cit.
350
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
ANALISI Uno sconfinamento nello stile comico Questo sonetto ci pone davanti a un Petrarca diverso
da quello che ci è più noto: abbandonando il tema d’amore, egli ne abbandona anche lo stile
dolce ed elevato. Il poeta sconfina così nello stile comico e grottesco, accostando immagini sur-
reali a un vocabolario espressivo e concreto (p. es. «treccie», «cova», «vin», «lecti», «Luxuria»,
«camere», «trescando», «Belzebub», «mantici», «lezzo»). Petrarca si rifà qui alla poesia comica
due-trecentesca ( Capitolo 2), ma soprattutto al più grande maestro di satira politica e reli-
giosa: il Dante della Commedia. Petrarca riprende da Dante l’allegorismo, ma evita le punte
espressive più violente: nel sonetto il poeta rappresenta la Chiesa come personificazione di
una donna lussuriosa (vv. 7-8), ma senza impiegare un vocabolo osceno («puttana») come fa
invece Dante nel Purgatorio (Purg. XXXII, 148).
INTERPRETAZIONE Il ruolo del poeta La poesia è costruita sulla contrapposizione fra la Chiesa delle origini,
E COMMENTO che si accontentava di cose umili e viveva misera e perseguitata, e la curia avignonese, ricca,
potente e immorale. Con questo sonetto di polemica, Petrarca rivendica una funzione impor-
tante per il poeta, che prende posizione su una questione di interesse pubblico. Ma si coglie
anche un collegamento con la vicenda privata: sia perché Petrarca visse ad Avignone e fu testi-
mone diretto dei fatti che condanna; sia perché il rifiuto del peccato di lussuria segna in modo
particolare il processo di maturazione cristiana rappresentato nel Canzoniere.
351
PARTE PRIMA Il Medioevo
Il tema della solitudine è frequente nel Canzoniere: stare da solo è per il poeta una forma di difesa e di
consolazione, soprattutto nelle fasi iniziali del suo amore. Ma con il tempo questa possibilità viene meno,
e la camera da letto cessa di essere un luogo protettivo, trasformandosi in un luogo di dolore. Perciò l’a-
mante cambia atteggiamento: non fugge più dalla gente che lo circonda ( T6, p. 325), ma, anzi, cerca
negli altri un nuovo rifugio.
I TEMI nuovo atteggiamento del poeta, che fugge la solitudine contraddizioni dell’io
PARAFRASI
O cameretta che già fosti un porto 1-4 O [mia] cameretta che in passato (già) sei stata un porto
a le gravi tempeste mie diurne, [: un rifugio] per le mie gravi tempeste [: angosce] giornaliere,
ora sei una fonte di lacrime notturne [: versate durante la not
fonte se’ or di lagrime nocturne, te], che di giorno porto nascoste (celate) per vergogna.
che ’l dì celate per vergogna porto.1
5 O letticciuol che requie eri et conforto 5-8 O [mio] piccolo letto (letticciuol) che eri [per me] il ripo
so (requie) e la consolazione (conforto) in tante angosce (af-
in tanti affanni, di che dogliose urne2
fanni), di quali (che) recipienti (urne) [: contenenti lacrime]
ti bagna Amor, con quelle mani eburne,3 ti bagna Amore, con [: per mezzo di] quelle mani [: di Laura]
solo ver’ me crudeli a sì gran torto!4 bianche (eburne), crudeli solo nei miei confronti (ver’ me)
così del tutto a torto!
Né pur il mio secreto e ’l mio riposo 9-14 E non (Né) evito (fuggo) solamente (pur) il mio rifugio
10 fuggo, ma più me stesso e ’l mio pensero, (secreto) e il mio riposo, ma più [ancora evito] me stesso e il
mio pensiero, il quale, quando io lo seguii, qualche volta mi
che, seguendol, talor levòmmi a volo;5 sollevò (levòmmi) in alto (a volo); e cerco (chero) come (per)
mio rifugio il popolo (vulgo) a me fastidioso (nemico) e odio
e ’l vulgo a me nemico et odïoso6 so (chi lo crederebbe mai?); così grande (tal) paura ho di ritro
(chi ’l pensò mai?) per mio refugio chero: varmi solo.
tal paura ò di ritrovarmi solo.
F. Petrarca, Canzoniere, cit.
Metrica: sonetto con rime ABBA, ABBA; CDE del poeta i recipienti che contengono le lacrime poeta), gli causa grande sofferenza.
CDE; A, C ed E sono assonanti. di questi, servendosi delle mani di Laura. 5 che, seguendol...volo: cioè il poeta evita di
4 solo...torto!: sono possibili varie interpre riflettere sulla propria condizione interiore e
1 porto...porto: è una rima equivoca, stabili tazioni, tra cui le principali sono due: 1) le di pensare, benché in passato tale concentra
ta tra un sostantivo e un verbo che hanno lo mani di Laura sono crudeli con il poeta zione gli abbia dato spunti per comporre ope
stesso suono, ma significato diverso. perché lo fanno soffrire per amore senza che re di valore.
2 urne: indica per metafora gli occhi del poe egli lo meriti; 2) in Francia le donne usavano 6 e ’l vulgo...odïoso: il disprezzo per la “gente
ta, diventati contenitori di lacrime. dare la mano in segno di saluto; Laura, non volgare” è tema frequente in Petrarca, tra i
3 O letticciuol...eburne: l’immagine dei vv. 58 facendolo per evitare fraintendimenti (e fondatori moderni di un atteggiamento di su
è piuttosto complessa: Amore versa nel letto quindi mancando di fiducia nell’onestà del periorità degli intellettuali.
ANALISI La rete di contrapposizioni La mutata condizione esistenziale del poeta dà luogo nel sonetto
a una serie di contrapposizioni. Anzitutto entrano in conflitto passato e presente, con una con-
tinua oscillazione dei tempi verbali (il passato ai vv. 1, 5, 11, 13; il presente ai vv. 3, 4, 7, 10,
13, 14); inoltre emergono le antitesi giorno/notte («diurne», v. 2; «nocturne», v. 3), pianto/ver-
352
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
Ritratto di Francesco
Petrarca, affresco nella
Casa di Petrarca ad Arquà
(Padova).
COMPRENSIONE ANALISI
1. Riassumere Il sonetto testimonia un radicale 2. Il testo è costruito sulla figura dell’antitesi, così
cambiamento di atteggiamento nel poeta. Sintetizza da sottolineare anche sul piano delle forme il dissidio
il contenuto della poesia servendoti di una tabella interiore del poeta. Sottolinea le antitesi presenti nel
come quella proposta. sonetto.
un tempo il poeta… ora, invece…
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
3. La solitudine non rappresenta più un rifugio per il
poeta, che ora cerca la compagnia degli altri:
a. perché il «vulgo» è definito «nemico et odïoso»?
b. perché egli ha paura di ritrovarsi da solo (v. 14)?
353
PARTE PRIMA Il Medioevo
Nella mattina di un bel giorno primaverile un uomo non più giovane, esperto dell’amore e di elevata con-
dizione, ha raccolto in un giardino due rose e le ha donate al poeta e a Laura, che passeggiavano insieme,
dichiarandoli affettuosamente una coppia di amanti insuperabile e facendoli arrossire. Il ricordo di tale
evento trasmette felicità e timore al poeta, sempre diviso tra sentimenti ambivalenti.
I TEMI potere della memoria contro lo scorrere inesorabile del tempo
PARAFRASI
Due rose fresche, et colte in paradiso1 1-8 Due rose fresche [: in boccio], e colte in un magnifico
l’altrier, nascendo il dì primo di maggio, giardino (in paradiso) l’altroieri, all’alba del giorno (nascendo
il dì) primo di maggio, dono bello e fatto da un esperto d’amo
bel dono, et d’un amante antiquo et saggio,2 re (d’un amante; d’ = ‘di’) anziano (antiquo = antico) e saggio,
tra duo minori egualmente diviso diviso in parti uguali (egualmente) [: una rosa per uno] tra
due più giovani (minori) [: il poeta e Laura] con parole (parlar)
così dolci e con un sorriso (riso) [tali] da far innamorare [perfi
5 con sì dolce parlar et con un riso no] un uomo rozzo (selvaggio), fece (fe’) [: il dono delle due
da far innamorare un huom selvaggio, rose] all’uno e all’altro [dei due più giovani] cambiare (cangia-
di sfavillante et amoroso raggio re) il viso con una luce (di… raggio) brillante (sfavillante) e
piena d’amore (amoroso) [: li fece arrossire].
et l’un et l’altro fe’ cangiare il viso.
– Non vede un simil par d’amanti il sole – 9-11 [Il donatore] diceva (dicea), ridendo e sospirando al
tempo stesso (inseme = ‘insieme’): – Il sole non vede [: non
10 dicea, ridendo et sospirando inseme;
esiste] una coppia (un… par = ‘un paio’) di amanti uguali (si-
et stringendo ambedue, volgeasi a torno.3 mil) [a voi] –; e si girava (volgeasi) intorno (a torno) stringen
do ambedue [: abbracciandoci].
Così partia le rose et le parole, 12-14 Così divideva (partia = ‘spartiva’) le rose e le parole
onde ’l cor lasso anchor s’allegra et teme:4 [: tra il poeta e Laura], per cui (onde) il [mio] cuore ansioso
(lasso) ancora si rallegra e teme: o parole (eloquentia) felici
o felice eloquentia, o lieto giorno! [: benedette], o giorno lieto!
F. Petrarca, Canzoniere, cit.
Metrica: sonetto con rime secondo lo schema di ‘giardino pieno di ogni bellezza e piacere’. circostante l’esemplarità di quella unione.
ABBA, ABBA; CDE, CDE. 2 un amante antiquo et saggio: di identità 4 s’allegra et teme: è la consueta ambivalen
ignota, nonostante le numerose ipotesi (il za dei sentimenti petrarcheschi, anche da
1 paradiso: può essere sia metafora iperbolica, poeta Sennuccio del Bene, il re Roberto d’An vanti a eventi in se stessi lieti; ambivalenza
a intendere che la bellezza delle rose era tale da giò, ecc.). qui motivata tanto dalle possibili conseguen
sembrare raccolte nel paradiso (forse il Paradiso 3 volgeasi a torno: guardava ora il poeta, ora ze negative dovute alla pubblicità data al suo
terrestre); sia, meglio, utilizzazione del termine Laura; o forse dava solennità pubblica al pro amore per Laura, quanto dalla paura di non
secondo un valore raro e letterario, con il senso prio gesto, quasi proclamando verso la realtà poter rivivere momenti altrettanto felici.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
Il dono, le parole e il loro ricordo
Le prime due quartine sviluppano un unico periodo e un unico tema: vi si narra il dono di due rose fatto
da un esperto d’amore «antiquo et saggio» al poeta e a Laura. La prima terzina riporta le parole pronun-
ciate dall’anziano signore, che esalta i due innamorati; mentre la conclusione (vv. 12-14) si concentra
sulla figura del poeta, che ricorda quell’incontro.
354
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
ANALISI
Il rapporto fra passato e presente
Il sonetto rappresenta il ricordo di un evento ormai trascorso (da due giorni circa: «l’altrier», v. 2). Ai tem-
pi verbali è affidata la funzione di esprimere il rapporto tra oggetto del ricordo e atto del ricordare, cioè
tra il passato (cfr. il passato remoto «fe’», v. 8, e gli imperfetti «dicea», v. 10; «volgeasi», v. 11; «partia»,
v. 12) e il presente («s’allegra et teme», v. 13).
Quali diverse funzioni assumono il passato remoto e l’imperfetto riferiti al ricordo narrato nel sonetto?
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
Un confronto fra «rose» e «parole»
L’elogio conclusivo rivolto alle parole («o felice eloquentia») riguarda la loro capacità di fissare il ricordo
nella memoria. Le «Due rose» sono invece destinate a sfiorire, con allusione al rapido sfiorire della
bellezza e della giovinezza. Ma il donatore è «saggio» e, insieme alle rose, regala lo strumento per pre-
servare dallo scorrere del tempo il bel momento vissuto; e tale strumento è appunto la parola («parlar»,
v. 5; «dicea», v. 10). Si può avanzare l’ipotesi che in questo sonetto si annidi un confronto tra «rose» e
«parole», cioè tra vita vissuta e vita espressa: insieme all’«eloquentia», Petrarca valorizza la possibilità
della poesia di dare una rappresentazione verbale e formalizzata al passato e ai ricordi.
Il tema della memoria, importante in tutto il Canzoniere, è al centro anche di questo sonetto: fai un
confronto con altri testi che hai letto in cui esso compare.
355
PARTE PRIMA Il Medioevo
T15 «La vita fugge, et non s’arresta una hora» [Canzoniere, 272]
Il sonetto che segue è tra i più conosciuti del Canzoniere. Composto tra il 1348 e il 1356-1357, si trova
nella parte iniziale della sezione “in morte” di Laura e tratta un tema che percorre la maggior parte delle
poesie petrarchesche: quello della fuga del tempo e dell’inevitabile fine di tutte le cose mortali.
I TEMI fuga del tempo e vanità dei beni terreni
Metrica: sonetto con rime secondo lo schema gliersi la vita è la consapevolezza delle pene navigazione.
ABBA, ABBA; CDE, CDE. infernali riservate ai suicidi. 6 sarte: sartie, cioè cavi usati di rinforzo agli
3 i’ sarei...fora: io mi sarei già tratto fuori da alberi della nave.
1 a gran giornate: l’espressione richiama questi pensieri [con la morte]. 7 lumi: secondo la metafora della navigazio-
quella latina, propria del linguaggio militare, 4 s’alcun...tristo: quelle gioie che qualche vol- ne, gli occhi di Laura (i lumi bei) assumono la
magnis itineribus (‘a marce forzate’). ta provò il mio cuore addolorato. funzione di stelle che hanno guidato l’imbar-
2 pietate: ciò che trattiene il poeta dal to- 5 veggio...vènti: vedo una tempesta sulla mia cazione nel suo cammino.
LABORATORIO DI SCRITTURA
LA PARAFRASI
Proviamo insieme, seguendo alcuni passaggi, a fare la parafrasi di questa poesia di Petrarca. Integra le note
ricercando il significato delle seguenti parole ed espressioni difficili o poco comuni. Le ultime tre parole si rife-
riscono al linguaggio della navigazione. Presta attenzione ad alcune sigle (p. es. ant. = antico; lett. = letterario;
poet. = poetico) normalmente usate nei vocabolari.
m’accora:
or quinci or quindi:
fortuna:
nocchier[e]:
arbore et sarte:
Di seguito riscriviamo il sonetto riordinando la sintassi e segnalando in neretto le parole e le espressioni che
dovranno essere sostituite con la parafrasi.
356
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
La vita fugge, et non s’arresta una hora, et la morte vien dietro a gran giornate, et le cose presenti et le passate mi
dànno guerra, et anchora le future; e or quinci m’accora ’l rimembrare et or quindi l’aspettar, sì che ’n veritate, i’
sarei già fora di questi pensier’ se non ch’i’ ò pietate di me stesso. Tornami avanti, s’alcun dolce ebbe mai ’l cor tristo;
et poi da l’altra parte veggio i vènti turbati al mio navigar; veggio fortuna in porto, et il mio nocchier stanco omai, et
rotte àrbore et sarte, e spenti i lumi bei che soglio mirar.
A questo punto, con l’aiuto delle note, scrivi tu la parafrasi completa del testo seguendo il normale ordine sin-
tattico ristabilito sopra.
ANALISI La struttura e il ritmo Il componimento si divide in due parti. Nella prima parte, costituita
dalle due quartine, il ritmo sostenuto e incalzante è determinato dal ricorrente polisindeto
(«et... et...») e dalla presenza di verbi di movimento («fugge», «non s’arresta», «vien dietro»);
mentre l’antitesi è la figura retorica dominante («le cose presenti et le passate», «’l rimembrare
et l’aspettar», «or quinci or quindi»). Nella seconda parte, costituita dalle due terzine, la corsa
rallenta: qui la crisi del poeta è rappresentata attraverso la tradizionale metafora della naviga-
zione. Il sonetto si conclude con una sospensione lunghissima, che separa «lumi» da «spenti»
(v. 14). L’aggettivo «spenti», posto alla fine dell’ultimo verso, acquista un rilievo particolare, sin-
tetizzando il messaggio del testo: infatti, come gli occhi di Laura, sembra spegnersi anche ogni
speranza per il futuro.
INTERPRETAZIONE La fuga del tempo, il naufragio, l’assenza di Laura Inserito nella seconda parte del Canzo-
E COMMENTO niere, contenente le rime “in morte” di Laura, questo sonetto assume il significato di una dolo-
rosa constatazione della vanità dei beni terreni, che prelude al pentimento e alla conversione.
Ma il percorso di maturazione del poeta non è ancora compiuto: il presente, il passato e il
futuro si danno guerra, senza allinearsi verso una direzione. La navigazione, cioè il viaggio di
vita di Petrarca, si risolve così in naufragio. Non è il senso cristiano della salvezza a illuminare
la via del poeta-naufrago, e infatti «i lumi» sono metafora degli occhi di Laura e non della luce
divina. In questo caso Petrarca sceglie una soluzione laica, chiudendo il suo canto con un pen-
siero rivolto alla donna di cui piange l’assenza.
357
PARTE PRIMA Il Medioevo
È questa la canzone conclusiva del Canzoniere, composta secondo alcuni attorno al 1353, secondo altri
più tardi. Il poeta invoca la Madonna chiedendole di intercedere presso Dio affinché gli vengano perdona-
ti i peccati: egli infatti ha male indirizzato le proprie energie spirituali, rivolgendole verso una passione
terrena (l’amore per Laura). Sebbene la canzone riveli ancora una certa ambivalenza, è chiaro come
essa segni l’approdo di Petrarca a una prospettiva cristiana e l’accoglimento di un nuovo modello di fem-
minilità, religioso e non terreno: Maria, insomma, ha preso il posto di Laura come donna «unica et sola».
I TEMI pentimento e conversione la Vergine come nuovo modello di femminilità
PARAFRASI
Vergine bella, che di sol vestita, 1-6 [O] bella Vergine, che [sei] vestita di sole [: raggiante lu
coronata di stelle, al sommo Sole ce], coronata di stelle, [e che] piacesti a tal punto (sì = ‘così’) a
Dio (al sommo Sole), che racchiuse (ascose = ‘nascose’) in te
piacesti sì, che ’n te Sua luce ascose, la Sua luce [: Gesù Cristo], l’amore mi spinge a parlare (dir...
amor1 mi spinge a dir di te parole: parole) di te: ma non so incominciare senza il tuo aiuto (tu’ ai-
5 ma non so ’ncominciar senza tu’ aita, ta), e [senza l’aiuto] di Colui [: Cristo] che per amore (aman-
do) [degli uomini] si incarnò (si pose) in te.
et di Colui ch’amando in te si pose.
Invoco lei che ben sempre rispose, 7-13 [Con questa preghiera] invoco colei (lei) che ha esaudi
chi la chiamò con fede: to (ben... rispose) sempre chi la invocò (chiamò) con fede: [o]
Vergine, se mai una volta (già) l’estrema miseria della condi
Vergine, s’a mercede zione (de l’<le>... cose) umana ti mosse (ti volse) al soccorso (a
10 miseria extrema de l’humane cose mercede), abbàssati (t’inchina) alle mie preghiere (al mio
già mai ti volse, al mio prego t’inchina, prego) [: esaudiscimi], dà aiuto (soccorri) alla mia angoscia
(guerra), benché io sia terra [: cosa vile], mentre (et) tu [sei]
soccorri a la mia guerra,2 regina del cielo.
bench’i’ sia terra, et tu del ciel regina.
Vergine saggia, et del bel numero una 14-26 [O] Vergine saggia, e una del gruppo (del... numero)
delle buone (bel) e beate vergini prudenti, anzi la prima [di lo
15 de le beate vergini prudenti,3
ro], e [quella] con lampada (lampa) più luminosa (chiara); o
anzi la prima, et con più chiara lampa; solido (saldo) scudo [: difesa] degli uomini (genti) addolorati
o saldo scudo de l’afflicte genti (afflicte) contro i colpi della (di) morte e della sorte (di Fortu-
na), sotto il quale [scudo] non solo (pur) ci si salva (scampa),
contra colpi di Morte et di Fortuna,
[ma] si trionfa (trïumpha; leggi ‘triunfa’) [su morte e sorte]; o
sotto ’l qual si trïumpha, non pur scampa; refrigerio al folle (cieco) fuoco (ardor) [delle passioni] che av
20 o refrigerio al cieco ardor ch’avampa vampa qui [: sulla terra] tra gli sciocchi uomini (mortali); [o]
qui fra i mortali sciocchi: Vergine, [ri]volgi verso la (al) mia condizione (stato) incerta
(dubio), che [essendo] irresoluta (sconsigliato) viene (vèn)
Vergine, que’ belli occhi da (a) te per [avere] consiglio, quei [tuoi] begli occhi che vide
che vider tristi la spietata stampa ro tristi l’impronta (la... stampa) spietata [del martirio] sulle
ne’ dolci membri del tuo caro figlio, (ne’ = ‘nei’) amate (dolci) membra del tuo caro figlio [: Gesù
Cristo].
25 volgi al mio dubio stato,
che sconsigliato a te vèn per consiglio.
Metrica: canzone formata da dieci stanze di che il secondo venga superato. (la luce dello Spirito Santo, cioè la fede) e
tredici versi ciascuna, dieci endecasillabi e tre 2 guerra: è la sofferenza del poeta, teatro di poterono accompagnare lo sposo al ban
settenari; con rime, secondo lo schema ABC, una lotta interiore tra richiamo religioso e chetto nuziale (il paradiso), cinque la lascia
BAC; CddCEf(f)E. Il congedo ha lo schema persistenza di sentimenti umani. rono spegnere e furono perciò respinte. Ma
cddcef(f)E. 3 vergini prudenti: con riferimento alla pa ria è, tra le vergini prudenti che mantenne
rabola del Vangelo (Matteo, 25), a forte si ro accesa la lampada, la prima in quanto in
1 amor: è sia l’amore religioso, e cioè la cari gnificazione allegorica, che narra di dieci lei i doni dello Spirito Santo si manifestaro
tà, sia l’amore terreno per Laura; il primo vergini (le anime) in attesa dello sposo (Cri no con maggiore intensità (la lampada più
chiede di essere aiutato ad affermarsi, così sto): cinque mantennero accesa la lampada luminosa).
358
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
Vergine pura, d’ogni parte intera, 27-36 [O] Vergine pura, integra (intera) in ogni [tua] parte
[: immacolata; di intatta verginità], [al tempo stesso] figlia e ma
del tuo parto gentil figliuola et madre,4
dre del tuo nobile (gentil) parto, che illumini (allumi) questa vi
ch’allumi questa vita, et l’altra adorni, ta [sulla terra], e abbellisci (adorni) l’altra [: la vita del cielo], o fi
30 per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre, nestra [: mediatrice, per metafora] del cielo luminosa (lucente)
o fenestra del ciel5 lucente altera, [ed] elevata (altera), per mezzo tuo (per te) il figlio tuo [: Cristo]
e del Padre supremo (sommo) [: Dio] venne a salvarci (salvarne)
venne a salvarne in su li extremi giorni;6 nell’ultima epoca (in su li extremi giorni) [del mondo]; e [per
et fra tutti terreni altri soggiorni tale compito] solo tu fosti scelta (electa) fra tutti i [possibili]
sola tu fosti electa, altri luoghi (soggiorni) [dove incarnarsi; cioè tra tutte le altre
possibili donne], [o] Vergine benedetta, che trasformi (torni) in
35 Vergine benedetta, allegria (in allegrezza) il pianto procurato da (d’) Eva.
che ’l pianto d’Eva in allegrezza torni.7
Fammi, ché puoi, de la Sua gratia degno, 37-39 O [Vergine] beata eternamente (senza fine), [tu che
sei] già coronata nel regno altissimo (superno) [del paradiso],
senza fine o beata,
rendimi (Fammi) degno della Sua [: di Dio] grazia [: perdono e
già coronata nel superno regno. aiuto], dato che puoi (ché) puoi [farlo].
40 Vergine santa d’ogni gratia piena, 40-52 [O] Vergine santa piena di ogni grazia, che sei salita
che per vera et altissima humiltate (salisti) al cielo, da dove (onde) ascolti le mie preghiere (pre-
ghi), per [la tua] vera e nobilissima (altissima) umiltà (humil-
salisti al ciel onde miei preghi ascolti, tate), tu partoristi la sorgente (fonte) [: l’origine] di pietà e il
tu partoristi il fonte di pietate, sole [: la luce] della giustizia, che rasserena il mondo (il secol)
et di giustitia il sol, che rasserena pieno di errori oscuri e frequenti (folti); hai raccolti in te tre
nomi dolci e cari, [cioè] madre, figlia e sposa: [o] gloriosa Ver
45 il secol pien d’errori oscuri et folti; gine, sposa (donna) del Re [: Dio] che ha sciolto i nostri legami
tre dolci et cari nomi ài in te raccolti, (lacci) [: i vincoli del peccato originale] e [ha] reso (fatto) il
madre, figliuola et sposa:8 mondo libero e felice, [io ti] prego, o vera beatrice, di calmare
(ch’appaghe) il [mio] cuore nelle sante piaghe di lui (cui)
Vergine glorïosa,
[: Cristo].
donna del Re che nostri lacci à sciolti
50 et fatto ’l mondo libero et felice,
ne le cui sante piaghe
prego ch’appaghe il cor, vera beatrice.9
Vergine sola al mondo senza exempio, 53-58 [O] Vergine unica (sola) al mondo [e] senza l’uguale
che ’l ciel di tue bellezze innamorasti, (senza exempio), che facesti innamorare (innamorasti) il
cielo delle tue bellezze, alla quale (cui) non [vi] fu uguale (si-
55 cui né prima fu simil né seconda, mil) né [donna] superiore (prima) né prossima (seconda; cioè
santi penseri, atti pietosi et casti degna di starle accanto sia pure in posizione inferiore), pen
al vero Dio sacrato et vivo tempio sieri santi, comportamenti (atti) pietosi [: improntati a reli
giosità] e casti prepararono (fecero) al vero Dio un sacro tem
fecero in tua verginità feconda.10 pio vivente (vivo) nella tua feconda verginità.
Per te pò la mia vita esser ioconda, 59-62 La mia vita può (pò) essere [: diventare] serena (iocon-
60 s’a’ tuoi preghi, o Maria, da = ‘gioconda’) grazie a te (Per te), o Maria, Vergine dolce e pie
Vergine dolce et pia, tosa (pia), se grazie alle (s’a’ = ‘se ai’) tue preghiere [in me] dove
fu grande (abondò) l’errore è grande (abonda) [anche] la grazia
ove ’l fallo abondò, la gratia abonda.
(gratia; leggi ‘grazia’) [divina].
Con le ginocchia de la mente inchine,
63-65 Con le ginocchia della mente inchinate (inchine)
prego che sia mia scorta, [: stando io in atteggiamento spiritualmente umile], [ti] prego
65 et la mia torta via drizzi a buon fine. di essere (che [tu] sia) mia guida (scorta), e di indirizzare (et
[che] drizzi) a buon fine [: verso la salvezza eterna] la mia via
erronea (torta; per metafora) [: il cammino della mia vita].
4 figliuola et madre: espressione tradiziona nella sesta e ultima età del mondo. 9 vera beatrice: unica vera fonte di felicità e
le; la Madonna era madre di Cristo in quanto 7 ’l pianto d’Eva in allegrezza torni: il dolore su di beatitudine, in contrapposizione ad altre
lo aveva partorito, e ne era figlia come tutti bito dall’umanità a causa del peccato originale possibili donne terrene (non senza riferi
gli uomini. (compiuto da Eva) è annullato e trasformato in mento al modello degli amori stilnovistici e
5 fenestra del ciel: passaggio di luce dal cielo felicità grazie all’incarnazione di Cristo, avve alla Beatrice dantesca).
alla terra, in quanto tramite per l’incarnazio nuta con la collaborazione decisiva di Maria. 10 verginità feconda: allude propriamente,
ne di Dio e in quanto disponibile alle inter 8 madre...sposa: amplifica il paradosso del v. con metonimia (astratto per il concreto), al
cessioni delle preghiere umane. 28 (vedi nota 4), sottolineando anche il lega grembo vergine e tuttavia fecondo di Maria;
6 li extremi giorni: secondo la tradizione bi me di sposa con Dio, avendone concepito il fi con altro paradosso corrispondente al dogma
blica, la discesa di Cristo sulla terra avvenne glio per mezzo dello Spirito Santo. centrale relativo alla Madonna.
359
PARTE PRIMA Il Medioevo
Vergine chiara et stabile in eterno, 66-71 [O] Vergine [che sei] stella [: punto di riferimento] lu
minosa (chiara) e stabile in eterno per (di) questo mare tempe
di questo tempestoso mare stella,
stoso [: la vita terrena], guida affidabile (fidata) di ogni naviga
d’ogni fedel nocchier fidata guida, tore (nocchier) [: vivente] che ha fede, guarda (pon’<i> mente)
pon’ mente in che terribile procella in che terribile tempesta (procella) io mi ritrovo da solo (sol),
70 i’ mi ritrovo sol, senza governo, senza timone (governo), e ho già vicine (da vicin) le grida fina
li (l’ultime strida) [: del naufragio e della dannazione eterna].
et ò già da vicin l’ultime strida.
Ma pur in te l’anima mia si fida, 72-78 Ma ciò nonostante (pur) si affida a te l’anima mia, [ani
ma] peccatrice, io non lo (nol) nego, [o] Vergine; ma ti prego
peccatrice, i’ nol nego,
[di far sì] che il tuo nemico [: il demonio] non si rallegri (non
Vergine; ma ti prego rida) della mia dannazione (del mio mal): ricordati che i no
75 che ’l tuo nemico del mio mal non rida: stri [: degli uomini] peccati fecero [sì] che Dio assumesse
ricorditi che fece il peccar nostro (prender Dio), per salvarci (per scamparne), carne umana
[: che Dio si incarnasse] nel (al) tuo utero (chiostro; con meta
prender Dio, per scamparne, fora) di vergine (virginal<e>).
humana carne al tuo virginal chiostro.
Vergine, quante lagrime ò già sparte, 79-86 [O] Vergine, quante lacrime ho già versato (sparte), [e]
quante lodi (lusinghe) e quante preghiere [: rivolte a Laura]
80 quante lusinghe et quanti preghi indarno,
inutilmente (indarno), solamente (pur) per [accrescere la]
pur per mia pena et per mio grave danno! mia sofferenza (pena) e per mio grave danno [spirituale]! Da
Da poi ch’i’ nacqui in su la riva d’Arno,11 quando io (Da poi ch’i’) nacqui sulla riva dell’Arno [: a Firen
cercando or questa et or quel’altra parte, ze], la mia vita non è stata altro che angoscia (affanno), per
correndo (cercando) ora questa e ora quell’altra terra (parte).
non è stata mia vita altro ch’affanno. Bellezza, atti e parole effimeri (Mortal<e>) [: di Laura, donna
85 Mortal bellezza, atti et parole m’ànno mortale] mi hanno riempito (ingombrata) l’anima (l’alma)
tutta ingombrata l’alma. per intero (tutta).
Vergine sacra et alma, 87-91 [O] Vergine sacra e divina (alma; latino almus = ‘vitale,
che nutre’), non tardare [ad aiutarmi], dato che io (ch’i’) sono
non tardar, ch’i’ son forse a l’ultimo anno.
forse nell’ultimo anno [della mia vita; cioè sto per morire]. I
I dì miei più correnti che saetta miei giorni (dì) se ne sono (sonsen’<e>) andati più veloci (cor-
90 fra miserie et peccati renti) che una freccia (saetta) fra cose insignificanti (mise-
rie) e peccati, e mi (n’ = ‘ne’ = ‘ci’) aspetta solo la morte.
sonsen’ andati, et sol Morte n’aspetta.
Vergine, tale è terra, et posto à in doglia 92-97 [O] Vergine, una donna (tale; indeterminato) [: Laura]
lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne è polvere (terra) [: morta], e ha posto il mio cuore nel dolore
(in doglia), [lei] che finché visse (vivendo) lo (il) tenne nel
et de mille miei mali un non sapea: pianto e non sapeva [neppure] uno dei miei mille [: numerosis
95 et per saperlo, pur quel che n’avenne simi; indeterminato] dolori (mali): e se anche l’avesse saputo
fôra avenuto, ch’ogni altra sua voglia (per saperlo), sarebbe (fôra) avvenuto ugualmente (pur) quel
che avvenne (n’avenne; n’ = ne = ci) [: l’amore sarebbe restato
era a me morte, et a lei fama rea.12 irrealizzato], perché (ch’<é>) ogni suo desiderio (voglia) diver
Or tu donna del ciel, tu nostra dea so (altra) [: dal rifiuto] sarebbe stato (era) per (a) me [ragione
(se dir lice, et convensi),13 di] morte [eterna; cioè dannazione], e per lei [: Laura] [ragione
di] cattiva (rea) nomea (fama) [: causa di disonore e d’infamia].
100 Vergine d’alti sensi,
98-104 Ebbene (Or) tu [che sei] signora (donna) del cielo, tu
tu vedi il tutto: et quel che non potea nostra [: dei cristiani] dea – se è lecito (lice) e opportuno (con-
far altri, è nulla a la tua gran vertute, vensi = ‘si conviene’) dire [così] – [o] Vergine di qualità (sensi)
por fine al mio dolore; elevate (alti), tu vedi tutto ciò (il tutto): e quello che altri
[: Laura] non poteva fare, [cioè] porre fine al mio dolore, è nul
ch’a te honore, et a me fia salute.
la per (a) la tua grande potenza (vertute); [il] che a te [sarà mo
tivo di] onore, e a me sarà (fia) [motivo di] salvezza (salute).
11 nacqui...d’Arno: in realtà Petrarca era na inguaribile dolore, e altrettanto dolore ha se (terzo assurdo), se ricambiato, l’amore del
to ad Arezzo e non a Firenze, ma da genitori gnato la vita del poeta anche quando la don poeta avrebbe dannato tanto lui che Laura a
fiorentini recentemente esiliati. na era viva; inoltre sia che lei non avesse co una colpa gravissima.
12 Vergine...rea: è qui sintetizzata l’assurdi nosciuta (come è stato) la vera entità della 13 (se dir...convensi): il poeta ha scrupolo a
tà della vita del poeta, in modo che l’errore e passione di lui, sia che l’avesse saputa, uguale usare, riferendosi alla Madonna, termini pro
il peccato risaltino con evidenza: l’amore fol sarebbe stato l’effetto, cioè il rifiuto di ricam pri delle religioni classiche (come dea); e se
le per Laura determina, ora che lei è morta, biarla o di dare corso a una relazione; infatti ne scusa.
360
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
105 Vergine, in cui ò tutta mia speranza 105-110 [O] Vergine, in cui ripongo (ò = ‘ho’) tutta la mia spe
ranza che [tu] possa e voglia aiutarmi in questo (al) gran biso
che possi et vogli al gran bisogno aitarme,
gno, non mi abbandonare (lasciare) nel passaggio (passo) supre
non mi lasciare in su l’extremo passo. mo (extremo) [: dalla vita alla morte]. Non guardare me
Non guardar me, ma Chi degnò crearme; [: perché indegno], ma Chi [: il volto di Dio] si degnò di crearmi;
no ’l mio valor, ma l’alta Sua sembianza, non [guardare] il mio merito (valor), ma la Sua [: di Dio] immagi
ne (sembianza) degna (alta), che è [presente] in me, ti spinga (ti
110 ch’è in me, ti mova a curar d’uom sì basso.14 mova) a preoccuparti (a curar) di un uomo così vile (sì basso).
Medusa15 et l’error mio m’àn fatto un sasso 111-117 Medusa [: il potere pietrificante di Laura] e il mio er
d’umor vano stillante: rore [: la passione] mi hanno reso (fatto) [come] un sasso che
Vergine, tu di sante versa (stillante) inutile (vano) pianto (umor<e> = ‘liquido’):
[o] Vergine, tu riempi (adempi) il mio cuore stanco (lasso) di
lagrime et pïe adempi ’l meo cor lasso, lacrime sante e religiose (pïe), così che (ch’<e>) almeno l’ulti
115 ch’almen l’ultimo pianto sia devoto, mo [mio] pianto sia devoto, senza fango (limo) [: impurità]
senza terrestro limo, terrestre, come il primo [: il pianto che precedette] è stato (fu)
non privo (non... vòto = ‘non vuoto’) di follia (insania).
come fu ’l primo non d’insania vòto.
Vergine humana, et nemica d’orgoglio, 118-123 [O] Vergine benevola (humana), e nemica dell’or
del comune principio amor t’induca: goglio [: umile], ti convinca (t’induca) [ad aiutarmi] l’amore
della [nostra] comune origine (principio) [umana]; abbi pietà
120 miserere d’un cor contrito humile. (miserere; latino) di un cuore pentito (contrito) e umiliato
Che se poca mortal terra caduca (humile). E (Che) se sono stato capace (soglio) di amare con
amar con sì mirabil fede soglio, fedeltà (fede) così ammirevole (mirabil) un poco di corrutti
bile (caduca) terra mortale [: il corpo di Laura], che dovrò fare
che devrò far di te, cosa gentile? [verso] di te, [che sei] una creatura (cosa) nobile (gentile)?
Se dal mio stato assai misero et vile 124-130 [O] Vergine, se mi risollevo (resurgo = ‘risorgo’) gra
125 per le tue man’ resurgo, zie alle (per le) tue mani [: con il tuo aiuto] dal mio stato assai
Vergine, i’ sacro et purgo misero e vile, io purificandoli consacro (sacro et purgo) al tuo
nome [: dedico a te] sia (et = ‘e’) [i miei] pensieri sia l’ingegno e
al tuo nome et penseri e ’ngegno et stile, lo stile, la lingua e il cuore, le lacrime e i sospiri. Guidami
la lingua e ’l cor, le lagrime e i sospiri. (Scorgimi) al transito (guado; metafora) [: verso l’aldilà] mi
Scorgimi al miglior guado, gliore [: la salvezza], e ricevi benevolmente (prendi in grado =
‘gradisci’) i [miei] desideri (desiri) mutati (cangiati).
130 et prendi in grado i cangiati desiri.16
Il dì s’appressa, et non pote esser lunge, 131-137 [O] Vergine unica e sola, il giorno (Il dì) [della mia
sì corre il tempo et vola, morte] si avvicina (s’appressa), e non può (non pote) essere
lontano, tanto (sì) corre e vola il tempo e ora coscienza [delle
Vergine unica et sola, colpe] ora [timore della] morte ferisce (punge) il [mio] cuore.
e ’l cor or coscïentia or morte punge. Raccomandami a tuo figlio [: Cristo], vero (verace) uomo e ve
135 Raccomandami al tuo figliuol, verace ro Dio, affinché riceva (ch’accolga) nella pace [del paradiso] la
mia anima (spirto) dopo la morte (ultimo).
homo et verace Dio,
ch’accolga ’l mïo spirto ultimo17 in pace.
F. Petrarca, Canzoniere, cit.
14 Non guardar...basso: i vv. 108110 si riferi logia classica, detta anche “Gorgone”, che ac Maria Vergine.
scono al fatto che Dio, secondo la testimo quisì il potere malefico di trasformare in sas 17 spirto ultimo: alcuni spiegano ‘ultimo re
nianza della Bibbia, ha creato l’uomo a propria so chiunque la guardasse in volto. Vi è qui al spiro’, ma è preferibile la lettura spirto = ‘ani
immagine e somiglianza; il poeta chiede dun lusione perciò al potere immobilizzante del ma’, che l’aggettivo ultimo colloca temporal
que alla Madonna di aiutarlo in nome di que le bellezze di Laura. mente nel momento della morte; come se il
sta somiglianza con il Creatore, ammettendo 16 cangiati desiri: mentre prima i desideri poeta dicesse ‘la mia anima come essa sarà nel
di non essere in se stesso degno di aiuto. del poeta erano interamente assorbiti dal suo ultimo momento’ (dato che è quello deci
15 Medusa: bellissima fanciulla della mito mondo e da Laura, ora sono rivolti al cielo e a sivo per stabilire la salvezza o la dannazione).
361
PARTE PRIMA Il Medioevo
ANALISI Fra tradizione stilnovistica e tradizione religiosa Nella canzone alla Vergine è possibile
individuare varie riprese, anche esplicite, tanto dalla tradizione cortese e stilnovistica, quanto
dalla tradizione religiosa mariana. Esempi della presenza della componente cortese e stilno-
vistica sono: alcuni epiteti riferiti alla Vergine («stella», v. 67; «dea», v. 98; «cosa gentile», v.
123) e la definizione di Maria secondo modi già usati a proposito di Laura (p. es. «unica et
sola», v. 133). Sono invece citazioni letterali dalla tradizione religiosa il v. 13, i vv. 14 e 15, l’e-
spressione «fenestra del ciel» (v. 31) ed altre.
INTERPRETAZIONE L’ambivalenza della canzone La compresenza delle due tradizioni letterarie – stilnovisti-
E COMMENTO co-cortese e religiosa – determina la natura ambivalente della canzone. Anche in questo testo
conclusivo si trova infatti la commistione di slancio religioso e di vocazione profana caratteri-
stica di Petrarca; sebbene qui risulti dominante la prospettiva cristiana. Rievocando l’amore
per Laura, l’autore si mostra distaccato e pentito, ma tradisce anche il persistere di una qual-
che forma di coinvolgimento emotivo. Viene infatti rappresentata un’anima che ancora lotta e
che implora. Siamo alle premesse di una conversione vera e propria.
362
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
363
PARTE PRIMA Il Medioevo
8 I Trionfi
Un poema I Trionfi (ma il titolo originale è ancora una volta in latino: Triumphi) sono l’unica opera in ver-
allegorico si in volgare di Petrarca, oltre al Canzoniere. Il modello è quello della Commedia dantesca, del-
la quale Boccaccio riprende la forma metrica della terzina incatenata: Dante, come gli anti-
chi, è un modello da imitare e, se possibile, da superare. Non sappiamo a quando risalga la com-
posizione dell’opera, ma è certo che l’ultimo dei sei trionfi che la compongono risale al 1374.
Benché completo nella sua struttura, il testo è da considerarsi incompiuto perché Petrarca non
riuscì a effettuare l’ultima e definitiva revisione.
Struttura e L’azione comincia in Valchiusa il 6 aprile 1327, giorno dell’innamoramento per Laura. Al poeta
contenuto appare una visione: il carro guidato dal dio Amore seguito dalle vittime più famose della sua
dell’opera
forza. Petrarca si accoda a loro insieme a Laura e tutti insieme si dirigono verso l’isola di Cipro,
sacra a Venere, dea dell’amore e della bellezza. A questo primo trionfo d’Amore ne seguono
altri cinque, anch’essi strutturati intorno a una personificazione allegorica: Pudicizia, Morte,
Fama, Tempo e Eternità. Ciascuna delle sei parti è inoltre suddivisa in capitoli ternari (cioè in
canti in terza rima, alla maniera dei canti della Commedia dantesca), in numero variabile.
Il messaggio comunicato dalla stessa struttura (dove è ricorrente il numero sei, le cui impli-
cazioni simboliche erano evidenti già nel Canzoniere) e dalla successione dei trionfi è chiaro:
DIGIT TESTI l’uomo si illude che l’amore (anche nella sua forma più sublimata e spirituale) possa vincere
«Triumphus mortis» su tutto, e invece ci sono forze ben più grandi in grado di vincerlo. Più forte della Morte e
[Trionfo della
morte] [Trionfi] persino della Fama e del Tempo è l’Eternità: tutto è dunque vanità, tranne Dio.
FACCIAMO IL PUNTO
Qual è il modello utilizzato da Petrarca nella composizione dei Trionfi?
Perché l’opera è da considerarsi incompiuta?
9 L’attualità di Petrarca
L’invenzione della Come l’opera e la lingua di Dante cercano di afferrare quanta più realtà è possibile, così il capo-
vita interiore lavoro di Petrarca, il Canzoniere, impiega un registro linguistico e uno stile unico e si specializ-
za in un unico tema: l’amore per Laura. Dietro queste scelte c’è la creazione di un continente
nuovo: la coscienza moderna, divisa e abitata da contraddizioni e ambivalenze. Con Petrar-
ca prende forma ciò che ancora noi chiamiamo “vita interiore”: un luogo nel quale si vuole e
non si vuole la stessa cosa, si ama ciò che si vorrebbe fuggire, avviene il contrario di ciò che cre-
diamo di aver scelto. Questa è la novità storica del Canzoniere, ma è anche la ragione dell’inte-
resse che riveste ancora oggi per noi.
Un intellettuale Il confronto con Dante rischia però di essere fuorviante. Mettendo in parallelo il Canzoniere e
moderno la Commedia potremmo dimenticare che anche Petrarca, in un modo diverso, è stato uno spe-
rimentatore, aperto alle novità ed esploratore di diversi campi del sapere: lo testimoniano il Se-
cretum, l’Africa, l’epistolario e le opere storiografiche ed erudite in latino. Il Petrarca filologo e
umanista prepara così un’epoca di riscoperta della cultura classica, della storia e delle lette-
re antiche e, più in generale, di rivalutazione laica dell’intelligenza e dell’esperienza umana.
Anche in questo campo le sue preoccupazioni spirituali e religiose non sono un limite alla cu-
riosità di questo grande intellettuale proiettato verso la modernità.
364
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
LA VITA
Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304. La sua vita, trascorsa tra 1304 nasce ad Arezzo
l’Italia e la Francia meridionale, è segnata da continui spostamenti. Ad
Avignone avviene l’incontro decisivo con Laura, databile, secondo la te- per tutta la vita si sposta
stimonianza del poeta, il 6 aprile 1327. Nel 1330, spinto da necessità tra l’Italia e la Francia
economiche, Petrarca intraprende la carriera ecclesiastica; intanto cre- primo incontro
1327
sce la sua fama letteraria, che lo porta a ricevere l’incoronazione poetica con Laura
nel 1341. Subito dopo si apre però un periodo di profonda crisi spiritua- 1341 incoronazione poetica
le, dalla quale scaturisce il Secretum [Il segreto]. Nel 1347 sostiene l’in-
epidemia di peste
surrezione romana guidata dall’amico Cola di Rienzo; nel 1348 l’epide- 1348 e morte di Laura
mia di peste colpisce anche Laura causandone la morte. Segue un perio-
1374 muore ad Arquà
do di spostamenti in varie città del Nord Italia (1353-1368), fino agli ulti-
mi anni trascorsi ad Arquà, sui Colli Euganei. Muore nel 1374.
IL FONDATORE DELLA LIRICA MODERNA
E UN NUOVO TIPO DI INTELLETTUALE
Petrarca è considerato il fondatore della lirica moderna: nella letteratura
italiana, il Canzoniere costituisce per almeno tre secoli (dal XIV al XVI) il mo- nuovo modello di lirica
dello del genere lirico, fondato sulla centralità dell’io, colto nella sua com- • centralità dell’io e del conflitto interiore
plessità e conflittualità interna, e sulla scelta di un linguaggio selettivo e • monolinguismo e monostilismo
di una tonalità media e raffinata (monolinguismo e monostilismo). La pro-
posta petrarchesca è strettamente collegata a una visione della letteratu- nuovo modello di intellettuale
ra come ambito “separato” e privilegiato della realtà, quale si manifesterà
pienamente nell’età dell’Umanesimo e del Rinascimento. D’altra parte, Pe- • intellettuale specialista della cultura
trarca rappresenta un nuovo tipo di intellettuale, specialista della cultura • attività intellettuale separata
e ormai escluso dalla partecipazione alla vita sociale e politica. dalla vita politica
L’EPISTOLARIO E IL SECRETUM
Due opere in prosa costituiscono le fonti più attendibili e complete per cono- epistolario
scere il mondo interiore del poeta: l’epistolario e il Secretum. L’epistolario pe-
trarchesco conta oltre cinquecento lettere in latino, raccolte in cinque sezio-
ni e scritte nell’arco di tutta la vita. Ricche di notizie biografiche, esse hanno 500 lettere in rappresentazione
anche l’intento di fornire una rappresentazione ideale dell’autore, insisten- latino, raccolte idealizzata del poeta,
in 5 sezioni studioso e moralista
do sulle qualità di studioso e di moralista piuttosto che sulle insicurezze psi-
cologiche e morali. Queste ultime emergono nel Secretum, opera non desti-
Secretum (1347)
nata alla pubblicazione ma a una funzione personale di confessione. Il Secre-
tum (1347) si presenta come un animato dialogo in tre libri tra Francesco e
sant’Agostino, al cospetto della Verità. Il poeta è invitato a convertirsi e ad dialogo in tre libri confessione
abbandonare l’amore per le cose terrene, in particolare per Laura. Ma la con- tra il poeta e della propria
clusione resta aperta, confermando la natura problematica dell’io. Come nel sant’Agostino, al conflittualità
Canzoniere, si assiste a una conflittualità interna irrisolta. cospetto della verità interna
365
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERIFICHE
1 Un intellettuale senza patria
Petrarca nasce e muore in Italia, ma vive per gran parte della sua vita in Francia, oltre a viaggiare molto per l’Europa:
spiegane le ragioni.
2 L’epistolario
Petrarca lascia un ampio epistolario, organizzato in cinque raccolte e predisposto alla pubblicazione. Quale immagi-
ne di sé l’autore intende offrire nelle lettere?
4 Senhal
Che cosa è un senhal? Qual è la sua funzione? Indica qualche esempio di senhal riferito a Laura.
5 Il Canzoniere
Il Canzoniere è strutturato in due parti: in base a quale evento?
a. la morte del padre del poeta
b. la conversione religiosa del poeta
c. l’ascesa al Monte Ventoso
d. la morte di Laura
6 Motivi petrarcheschi
In quali testi vediamo i seguenti motivi petrarcheschi?
a. la costruzione del messaggio per mezzo di antitesi:
366
CAPITOLO 5 Francesco Petrarca AUTORE
7 Il paesaggio-stato d’animo
Che cosa s’intende per “paesaggio-stato d’animo”? Fornisci qualche esempio in base ai testi che hai studiato in
questo Capitolo.
9 Nella Lettera ai posteri ( T2, p. 308), contenuta nell’epistolario petrarchesco, il poeta si rivolge al pubblico del
futuro, all’umanità in generale, a noi oggi. Lo statunitense Ernest Hatch Wilkins (1880-1966), uno dei maggiori
studiosi di Petrarca, scrive nel 1958 una lettera di risposta al poeta. La riportiamo di seguito con alcuni tagli: dopo
averla letta, prova anche tu a scrivere una lettera a Petrarca, dandogli notizie sulla sua fama, dicendogli ciò che è
ancora attuale nella sua opera e ciò che non lo è più, secondo quanto hai colto nei paragrafi e nei testi di questo
Capitolo.
A Francesco Petrarca, poeta laureato. Ci è giunta graditissima quella tua celebre lunga lettera che presenta mol-
te notizie sulla tua vita e sui successi dei tuoi studi. Del tuo nome illustre non solo abbiamo sentito parlare, ma
lo abbiamo addirittura scritto in lettere d’oro nel libro della nostra memoria. [...].
Il tuo intelletto fu certo incline, come affermi, «a ogni tipo di studio buono e salutare»; e con le semplici
parole («Mi sono dedicato in modo singolare, fra i molti miei interessi, alla conoscenza dell’antichità») indichi
un’attività che si è rivelata, al di là di qualsiasi tua aspettativa, estremamente importante. Infatti il grado di
familiarità che hai raggiunto in ogni minimo dettaglio con una gran quantità degli autori latini è davvero stupe-
facente; hai avuto un immenso successo nell’imprimere sui tuoi contemporanei e su molte generazioni succes-
sive i valori duraturi della cultura classica. «L’amore per la libertà fu in me connaturato», dici: e questo amore,
se ben comprendiamo, è stata l’energia dominante di tutta la tua vita. Si è trattato, soprattutto, a nostro parere,
di un desiderio di libertà individuale per studiare e per scrivere, un desiderio, cioè, non solo di apprendere ma
anche di comunicare quanto avevi appreso. Hai studiato e scritto, per dir così, «non per te, ma per gli amici, anzi
per moltissime persone, addirittura anche per noi». [...].
La tua fama dura ancora. [...] Ed è stata assai più vasta di quanto tu abbia mai potuto immaginare: noi che
adesso ti scriviamo viviamo in un continente la cui esistenza non potevi nemmeno supporre. [...].
Detestavi l’epoca nella quale sei vissuto [...]. Tutto considerato, ci sembra che tu sia stato ben collocato nella
tua epoca. [...] Proprio perché sei vissuto nel tempo in cui sei vissuto e per come sei vissuto, hai guadagnato una
fama che è durata nel corso delle età successive, e durerà ancora.
E dunque sia pace al tuo spirito inquieto.
E.H. Wilkins, Risposta alla “Lettera ai posteri”, in Vita del Petrarca, Feltrinelli, Milano 2003.
367
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERIFICHE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A
ANALISI E INTERPRETAZIONE DI UN TESTO LETTERARIO
Francesco Petrarca [Canzoniere, 167]
«Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo»
Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo,
oimè il leggiadro1 portamento altero;2
oimè il parlar ch’ogni aspro ingegno3 et fero4
facevi humile, ed ogni huom vil gagliardo!5
1 leggiadro: raffinato. dalla quale ormai non spero [di avere] altro bene che 11 e ’n voi respire: e [che io] respiri [: viva] grazie a
2 altero: nobile. la morte. voi [: alla possibilità di continuare a pensare a voi].
3 ingegno: carattere. 7 alma real: anima regale. 12 via men: assai meno.
4 fero: feroce. 8 dignissima d’impero: degnissima di essere guida. 13 quand’io...vivo: quando mi separai dalla [vo-
5 gagliardo: coraggioso. 9 voi: sono le cose nominate ai versi precedenti. stra] suprema bellezza [ancora] viva.
6 onde...spero: da cui uscì la freccia [di Amore] 10 conven: è inevitabile. 14 ne portava: portava via.
COMPRENSIONE
ANALISI
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
È questo il primo componimento “in morte” di Laura: quale rappresentazione dell’amata contiene il
testo? Quali somiglianze e quali differenze riscontri con altre poesie dedicate a Laura?
368
I dieci novellatori del Decameron, foto di scena del film Maraviglioso Boccaccio di Paolo e Vittorio Taviani, 2015.
AUTORE
CAPITOLO 6
Giovanni Boccaccio PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
Raccontare la realtà
Il Decameron di Boccaccio, quasi immediatamente tradotto nelle principali lingue europee,
è conosciuto in tutto il mondo. Questo capolavoro (insieme alla Commedia di Dante e al Can-
zoniere di Petrarca) sancisce il primato della letteratura italiana nell’Europa nel XIV secolo. Il
Decameron costituisce un libro-modello non solo per la narrativa italiana, ma anche al di
fuori del nostro Paese: i Racconti di Canterbury dell’inglese Geoffrey Chaucer (1340 ca.-
1400) presentano numerose analogie con il capolavoro boccacciano. E l’efficacia delle cento
novelle continuerà ad agire lungo i secoli in tutto il mondo e fino a noi.
In che cosa consiste la sua forza? Come sempre, una sola risposta non basta. Certo ha
una grande importanza lo stile vario e ricco, capace di adattarsi a ogni aspetto della
vita: capace di ridere di una beffa, di commuoversi per una passione infelice, di indi-
gnarsi per un’ingiustizia. E poi c’è la ricchezza dei temi, e c’è la forza delle invenzioni
narrative: ogni novella mette in scena una porzione vivida e trascinante di mondo, così
che in poche altre opere di tutti i tempi si ha altrettanto forte l’impressione che la lette-
ratura possa farci conoscere così tanta realtà.
I personaggi delle cento novelle mostrano un Medioevo che si avvia rapidamente verso
la modernità, nel quale la dimensione laica inizia ad avere il sopravvento su quella reli-
giosa e i nuovi valori borghesi (l’intraprendenza, la capacità di piegare la fortuna a pro-
prio vantaggio) trionfano. Nella lingua italiana esiste anche un aggettivo, “boccaccesco”,
che indica situazioni licenziose, allegre e sensuali, molto lontane dalla severità dante-
sca: furono proprio queste tematiche a colpire molti lettori, ma nel Decameron non c’è
solo questo: rappresentando la nuova società in trasformazione, Boccaccio si interroga
ancora sul senso della vita, in una prospettiva, però, ormai totalmente nuova, laica e
relativa, che guarda alla modernità.
369
PARTE PRIMA Il Medioevo
1 La vita e le opere
I due momenti Sia la vita sia l’opera di Giovanni Boccaccio possono Tardogotico In letteratura si definisce “tar-
della vita e essere suddivise in due grandi momenti: il primo è ca- dogotica” la ripresa di forme della letteratu-
dell’opera di
Boccaccio ratterizzato dalla prevalenza di temi legati alla lettera- ra cortese, arricchite dall’eleganza e dalla cu-
ra di particolari. Si avverte un senso di nostal-
tura cortese del Medioevo e si potrebbe definire tardo-
gia per il mondo medievale, che è giunto al
gotico ; il secondo momento è aperto alla nuova cultu- tramonto (lo storico Huizinga parla per il
ra preumanistica , accompagnato però ad una tensio- Trecento di «autunno del Medioevo»).
ne religiosa e morale. È al punto d’incontro tra le due Preumanistica Il termine “preumanesi-
fasi che si situa la composizione del suo capolavoro, il mo” (da cui l’aggettivo “preumanistico”) de-
signa la presenza, nella cultura e nella lettera-
Decameron, scritto fra il 1349 e il 1351: un risultato uni- tura, di motivi che anticipano l’affermazione
co ed eccezionale della produzione dell’autore. quattrocentesca della civiltà umanistica.
L’infanzia a Firenze Giovanni Boccaccio nasce nel 1313, non si sa con esattezza se a Certaldo o a Firenze. Figlio il-
legittimo, viene riconosciuto dal padre, il ricco e importante uomo d’affari Boccaccino di
Chelino. Compie i primi studi a Firenze, imparando le basi del latino e l’aritmetica.
A Napoli alla corte A quattordici anni, Giovanni si trasferisce con il padre a Napoli per essere avviato alla pratica
di Roberto d’Angiò della mercatura. Nella ricca e popolosa capitale del regno angioino scopre il mondo dei merca-
ti: sta al banco e vede sfilare davanti a sé una molteplicità di tipi curiosi, appartenenti a vari
strati sociali e provenienti da diversi paesi. Ma il giovane Boccaccio non ha alcuna inclinazione
per gli affari mercantili, perciò comincia a occuparsi di letteratura e a frequentare la corte
1313 1340-1341
Nasce probabilmente in Rientra in Toscana con la
questo piccolo borgo nei famiglia.
pressi di Firenze. Nel 1348 Firenze è
È figlio naturale del colpita dalla peste; l’anno
mercante Boccaccino di seguente inizia a lavorare
Chelino. al Decameron
Torna a Certaldo nel 1361,
dove conduce una vita Firenze
appartata sino alla morte Certaldo
nel 1375
1327
Si trasferisce con il padre Napoli
e frequenta la corte di
Roberto d’Angiò
370
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
di Roberto d’Angiò (1278-1343), sovrano di vasta cultura che raccoglie intorno a sé molti let-
terati di ogni provenienza. A diciott’anni è ormai deciso a coltivare in modo esclusivo la propria
vocazione letteraria e approfondisce la conoscenza dei classici, apprendendo persino le basi
della lingua e della letteratura greca. Allo stesso tempo, frequenta la nobiltà napoletana e
partecipa ai suoi riti fastosi: spettacoli, tornei, cacce e feste di corte nelle quali sopravvive,
ancora per pochi anni, un modello di civiltà antico e prestigioso, ben diverso da quello della
nuova realtà comunale.
Le prime opere Boccaccio scrive sia in latino sia, soprattutto, in volgare. Alle opere volgari di questo periodo
in volgare e la appartengono le Rime, la Caccia di Diana, il Filocolo, il Teseida e il Filostrato.
passione per i libri
In questo periodo Boccaccio frequenta la biblioteca reale: è un autodidatta appassionato ed
entusiasta. Ammira il modello dei classici e approfondisce la tradizione cortese e stilnovista,
tanto da crearsi un proprio mito letterario: quello dell’amore per Fiammetta, presunta figlia di
Roberto d’Angiò. Il sovrano e la sua corte, infatti, sono in questo momento i destinatari pri-
vilegiati delle opere giovanili di Boccaccio.
DIGIT
VIDEOLEZIONE DI ROMANO LUPERINI VIDEOLEZIONE
371
PARTE PRIMA Il Medioevo
Il ritorno a Firenze Il lungo e felice periodo napoletano si interrompe improvvisamente quando nell’inverno del
1340-1341 Boccaccio è costretto a rientrare con la famiglia a Firenze: l’impatto con la società
comunale, dopo la gioventù allegramente trascorsa nella raffinata corte angioina, è duro, e
per di più il padre deve far fronte a nuove difficoltà economiche. Ma Giovanni prosegue nella
sua attività di scrittore, rielaborando ancora una volta in chiave letteraria l’esperienza della cor-
te angioina. Compone la Commedia delle ninfe fiorentine, l’Amorosa visione, l’Elegia di Madonna
Fiammetta e il Ninfale fiesolano.
L’anno della peste All’età di trentacinque anni, Giovanni deve affrontare anche l’anno più terribile, il 1348, quel-
e l’inizio della lo della peste nera che stermina due terzi della popolazione fiorentina. L’anno dopo gli muo-
composizione del
Decameron re il padre, e deve far fronte lui stesso alle esigenze economiche sempre più pressanti della fa-
miglia (ha tra l’altro vari figli naturali dei quali deve occuparsi). Nello stesso 1349 comincia a
DIGIT lavorare al suo capolavoro: il Decameron. Il pubblico del nuovo libro, e la stessa società qui
APPROFONDIMENTI
La grande peste rappresentata, non è più quello raffinato della corte angioina, ma quello di una città borghe-
nelle cronache
di Villani e Morelli se dotata di una tradizione letteraria ricca ma diversa da quella napoletana, ed è in questa nuo-
va realtà che ora l’autore vuole inserirsi.
L’incontro con Nel 1350 Boccaccio conosce Francesco Petrarca e con lui stabilisce una fitta corrispondenza:
Petrarca inizia così un’amicizia decisiva per le sorti del preumanesimo italiano.
Tra Firenze e A partire dal 1351 Boccaccio inizia a ricevere vari incarichi prestigiosi dal Comune di Firen-
Napoli: Boccaccio ze, grazie anche alla sua fama di letterato. Durante gli anni fiorentini lo scrittore continua a so-
copista
gnare un ritorno a Napoli, dove infine si reca nel 1355. Il viaggio non ottiene però il risultato spe-
rato (e del resto in città il clima è molto cambiato dopo la morte di Roberto d’Angiò), cioè la no-
mina a segretario regio; gli serve tuttavia per visitare la biblioteca di Montecassino e trascriver-
ne alcuni codici. Scrive in latino varie opere erudite e, in volgare, il Trattatello in laude di Dante.
Il ritiro a Certaldo, Fra il 1360 e il 1361 un tentativo fallito di colpo di stato coinvolge vari amici di Boccaccio, fa-
la carriera cendo cadere anche su di lui alcuni sospetti. Per quattro anni è perciò esonerato da ogni incari-
ecclesiastica e la
crisi spirituale co pubblico e costretto a ritirarsi a Certaldo. Sempre nel 1360 lo scrittore intraprende la car-
riera ecclesiastica. Qualche anno dopo, una profonda crisi spirituale lo spinge ad allontanarsi
dagli interessi mondani e a dedicarsi alla scoperta e alla trascrizione dei codici antichi e allo
studio dei classici.
Il Corbaccio: Nel 1363 Boccaccio comincia a scrivere il Corbaccio, che rivela un radicale cambiamento nel
un’opera contro le rapporto con le donne: dalla filoginia (‘amore per le donne’) giovanile alla misoginia (‘odio
donne
per le donne’). Il titolo dell’opera sembra richiamare una figura di malaugurio – quella del cor-
vo o corvaccio – che può essere attribuita sia all’autore che augura male alle donne, sia alla pro-
tagonista negativa dell’opera, una vedova che porta male a tutti gli uomini che incontra. Idea-
li umanisti e crisi religiosa confluiscono, dopo il Decameron, in un nuovo atteggiamento di di-
sprezzo per la vita mondana.
Il culto Non si tratta però di un ritorno al passato, cioè alla misoginia e al moralismo religioso tipici del
preumanistico Medioevo, ma di una nuova forma di ascetismo di tipo letterario e umanistico: la rinuncia
delle lettere
al mondo e alle sue passioni è ormai funzionale non alla religione (come nel Medioevo), ben-
sì al culto della letteratura.
Gli ultimi anni a La situazione politica a Firenze cambia: gli esuli rien-
Firenze Ascetismo Sistema di vita che tende all’e-
trano in città e presto Boccaccio riceve nuovi incarichi levazione spirituale attraverso il dominio
dal Comune. In questo periodo viaggia molto: nel 1365 degli istinti, la rinuncia ai piaceri, la medita-
si reca ad Avignone da papa Urbano V per cercare di con- zione e il distacco dal mondo.
372
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
vincerlo a tornare a Roma; nel 1368 incontra di nuovo Petrarca a Padova. Nel 1370 trascrive il
Decameron in un codice autografo, cioè scritto di suo pugno, che fortunatamente è giunto sino
a noi. In pessime condizioni di salute, accetta comunque un ultimo incarico dal Comune fio-
rentino: leggere e commentare in pubblico la Commedia dantesca nella chiesa di Santo Stefa-
no di Badia. Fino alla morte lavora alla Genealogia deorum gentilium [Genealogia degli dèi paga-
ni], opera da lui considerata espressione esemplare dei suoi interessi umanistici: si tratta del
più vasto e organico trattato di mitologia dell’epoca. Muore il 21 dicembre 1375 a Certaldo.
FACCIAMO IL PUNTO
Quando viene composto e a chi è rivolto il Decameron?
Quale cambiamento segna in Boccaccio la composizione del Corbaccio?
ZIONI
INFORMA
Il Decameron e la nuova visione laica
Il significato delle parole: che rivendica – sul piano culturale, religiosa medievale: nel Trecento la
laico e laicismo sociale e politico – l’autonomia as- società comincia a interessarsi più
Il termine “laico” deriva dal latino ec- soluta sia del pensiero e delle azioni allo scambio di merci e di idee che allo
clesiastico laicum, modellato sul gre- dell’uomo sia dello Stato nei confronti spirito da crociata nei confronti degli
co laikós, ‘popolare’, ‘proprio del popo- di qualsiasi fede religiosa, confessio- altri popoli, e quindi più agli aspetti
lo’. L’aggettivo indica chi non fa parte ne o Chiesa. materiali ed economici che al mora-
del clero, cioè dell’ordine sacerdotale lismo religioso. Anche se il mondo di
della Chiesa. Per estensione, “laico” Laico, laicismo, laicità nel Decameron Boccaccio risulta ormai pienamente
indica anche ‘chi dichiara la propria Boccaccio nel Decameron prende laico, tuttavia nel Decameron la reli-
autonomia rispetto a qualsiasi dog- consapevolmente le distanze da ogni gione in quanto fede in Dio non viene
matismo ideologico (siano essi politi- concezione religiosa rigida e dogma- messa in discussione; piuttosto si tie-
ci, religiosi, ecc.) e si ispira ai princìpi tica. La cultura laica che vediamo fio- ne costantemente presente che essa
e agli ideali del laicismo’. Il “laicismo” rire nelle pagine dell’opera deriva dal appartiene, appunto, alla sfera della
(che la cultura cattolica connota oggi progressivo affermarsi della civiltà fede – cioè a ciò che non è possibile
negativamente, preferendogli “laici- mercantile e della cultura umanistica vedere e appurare – e non a quella
tà”), a sua volta, è un atteggiamento a scapito di quella prevalentemente della ragione. Di conseguenza il De-
cameron si concentra sul mondo ter-
reno, il solo che può essere giudicato
con i criteri della razionalità. Per quan-
to riguarda l’ambito della fede, invece,
è possibile solo un atteggiamento di
tolleranza religiosa e di relativismo,
come quello che emerge, per esem-
pio, dalla novella dell’ebreo Melchise-
dech ( T3, p. 396).
373
PARTE PRIMA Il Medioevo
2 La cultura e le idee
La formazione Figlio di un mercante fiorentino, Giovanni Boccaccio riceve sin dai primi anni, a Firenze,
giovanile un’educazione basata sul latino, sull’aritmetica e sulla pratica computistica. Gli anni decisi-
vi per la sua formazione sono tuttavia quelli dell’adolescenza napoletana. Qui, intorno ai di-
ciott’anni, abbandona l’apprendistato mercantile e si dedica in modo esclusivo alla lettera-
tura. Alla corte di Roberto d’Angiò frequenta la biblioteca di palazzo e conosce i mi-
gliori letterati dell’epoca: gli vengono insegnati i rudimenti della lingua e della cultura
greca (sconosciuti allo stesso Dante e alla maggior parte degli autori medievali), i classici la-
tini, la storia e la geografia. Fondamentale, sempre a Napoli, è la frequentazione della no-
biltà cittadina, che costituirà la base dell’idealizzazione della civiltà cortese nelle opere
giovanili dell’autore.
Boccaccio La cultura laica e ispirata ai valori cortesi del giovane Boccaccio subisce una profonda trasfor-
umanista mazione dopo il 1340, con il ritorno a Firenze. I suoi interessi s’incontrano, soprattutto a par-
tire dagli anni Cinquanta, con la nascente cultura umanistica inaugurata da Petrarca, che fu il
suo principale modello negli anni della maturità. Boccaccio scopre testi di Cicerone, Tacito, Te-
renzio, Plauto e di altri autori latini di cui si erano perse quasi le tracce nei secoli passati: di mol-
ti testi si fa egli stesso interprete, copista e diffusore. Inoltre, chiama dalla Calabria il mona-
co Leonzio Pilato per fargli tenere le prime lezioni pubbliche di greco all’Università di Firenze.
Parallelamente alla riscoperta della cultura classica, Boccaccio valorizza anche l’opera in
volgare di Dante, scrivendo la prima biografia del poeta (Trattatello in laude di Dante), copian-
do alcuni manoscritti della Commedia e leggendone pubblicamente alcuni canti nella chiesa di
Santo Stefano della Badia a Firenze.
La vena spirituale e religiosa coltivata da Boccaccio nell’ultima stagione della vita va in-
quadrata nell’ambito della “religione delle lettere” umanistica: l’allegoria a sfondo religioso,
così frequente nelle sue opere tarde, non è che lo strumento di una vera e propria ideologia
della letteratura, che ormai ha nell’uomo e nella sua capacità di produrre cultura il centro del
proprio interesse esclusivo.
FACCIAMO IL PUNTO
In che modo si compie la formazione giovanile di Boccaccio?
Qual è l’atteggiamento di Boccaccio nei confronti dell’opera in volgare di Dante?
3 La poetica
Lo sperimentalismo Il tratto comune della poetica di Boccaccio è uno sperimentalismo formale inesauribile, ali-
mentato dall’incontro tra due fattori: la vivacità degli ambienti culturali frequentati dall’auto-
re (Napoli e Firenze) e la scoperta di nuovi strati di pubblico. Per quanto riguarda il primo aspet-
to, è da notare come il recupero dei generi letterari della tradizione in volgare (principalmen-
te il romanzo e la lirica d’amore) non sia mai passivo e meccanico, ma sempre accompagnato
da qualche novità: le rime amorose di Boccaccio, per esempio, non ripetono mai banalmente
gli schemi dello Stil novo, ma li arricchiscono in modo originale con elementi giocosi e comici
del tutto estranei a quella tradizione.
374
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
Ameto incontra
le ninfe, episodio
tratto dalla
Commedia delle
ninfe fiorentine di
Boccaccio. Dipinto
del 1410 circa. New
York, Metropolitan
Museum of Art.
Un nuovo pubblico Quanto al pubblico, Boccaccio, come Dante, è consapevole del fatto che la “giovane” lette-
ratura in volgare deve avere lettori diversi da quelli ai quali si rivolgeva la produzione filo-
sofica e religiosa in latino. L’emblema di questo nuovo pubblico sono le donne, che per
consuetudine erano escluse dall’istruzione e che potevano dunque comprendere solo il
volgare.
Già nell’Elegia di Madonna Fiammetta (1343-44) la narratrice Fiammetta si rivolge alle
«nobili donne» e soprattutto alle «donne innamorate», affinché imparino a conoscere meglio
l’amore e gli inganni degli uomini. Anche il Decameron è dedicato alle lettrici, affinché pro-
vino piacere nel leggere le cento novelle e, allo stesso tempo, trovino in esse esempi positi-
vi (da seguire) o negativi (da evitare) riguardo soprattutto alla loro vita amorosa. Boccaccio
è insomma consapevole che esiste un pubblico nuovo, quello femminile, che ha bisogno di
essere formato da vari punti di vista: sentimentale, morale ed estetico. Insieme a questo pub-
blico femminile, egli si rivolge ovviamente anche a tutti coloro che non sono in grado di leg-
gere il latino, e che dalla letteratura cercano «diletto» e piacere, ma allo stesso tempo anche
ammaestramento di vita.
FACCIAMO IL PUNTO
Da quali esperienze personali nasce lo sperimentalismo formale di Boccaccio?
Qual è l’atteggiamento di Boccaccio nei confronti delle donne?
375
PARTE PRIMA Il Medioevo
4 Le forme e lo stile
L’elemento La vocazione sperimentale di Boccaccio si esprime innanzitutto nella scelta di una varietà molto
sperimentale ampia di generi e forme metriche: quelli della tradizione lirica (il sonetto e la canzone stilnovi-
stica), la terzina dantesca impiegata tanto nel poemetto mitologico (Caccia di Diana) quanto nel
poema allegorico-didattico (Amorosa visione), la prosa romanzesca nel Filocolo e nell’Elegia di Ma-
donna Fiammetta, l’ottava nel Teseida, nel Filostrato e nel Ninfale fiesolano, l’alternanza di poesia e
prosa nella Commedia delle ninfe fiorentine, il trattato in prosa. Boccaccio rielabora in modo ori-
L’invenzione ginale l’intero patrimonio formale della giovane letteratura in volgare. È molto probabilmen-
del poema in te proprio Boccaccio, nel Teseida, a inventare la struttura metrica dell’ottava di endecasillabi (con
ottava rima
rima ABABABCC), o almeno a darle una dignità letteraria: la stessa forma metrica viene infatti
adottata nei cantari popolari trecenteschi, la cui datazione, però, è difficile da stabilire.
La novella e Nel Decameron Boccaccio sperimenta un genere che non aveva una tradizione letteraria: la
l’invenzione dello prosa novellistica non aveva avuto, prima di Boccaccio, nessun precedente di rilievo. L’inven-
stile medio in
prosa zione del nuovo genere richiede dunque la ricerca di una forma linguistica adeguata e la messa
a punto di una tipologia narrativa.
Lingua e stile nel Nell’Introduzione alla Quarta giornata del Decameron l’autore afferma di avere adottato uno
Decameron stile «umilissimo» e dimesso, ma ciò non corrisponde esattamente alla realtà: la base linguisti-
ca è sempre il volgare fiorentino contemporaneo, ma il registro e lo stile variano notevol-
mente a seconda dei contenuti e dei luoghi testuali. Nelle parti di testo gestite in prima per-
sona dall’autore (la cornice) prevale un registro alto e ricercato: sono frequenti i latinismi, i co-
strutti latineggianti, le figure retoriche. E uno stile generalmente più alto con punte “tragiche”
si incontra anche quando i protagonisti delle vicende appartengono alla nobiltà. Nelle novelle
di ambientazione popolare, invece, lo stile si semplifica e il registro diventa più colloquiale e
aperto all’imitazione del parlato.
Lo stile «umile» è quindi solo uno di quelli a disposizione di Boccaccio. Si può parlare quin-
di di stile «medio» o «comico», nello stesso senso della «commedia» di Dante, cioè flessibile e
aperto a incursioni verso il basso o verso l’alto. Boccaccio compie dunque, per la prosa in vol-
gare, una operazione analoga a quella che Dante aveva compiuto per la scrittura in versi.
L’invenzione del Se paragoniamo il Decameron al Novellino, possiamo comprendere in che cosa consista il lavoro
genere novella di nobilitazione artistica compiuto da Boccaccio. Mentre le narrazioni della raccolta anonima
di fine Duecento erano piuttosto semplici tanto dal punto di vista stilistico quanto da quello nar-
rativo, il Decameron si presenta subito come una costruzione complessa e variegata e rivela un le-
game profondo con la tradizione narrativa non solo europea. Per quanto riguarda la struttura nar-
rativa generale, troviamo la stessa composizione “a cornice” di alcune raccolte di novelle della
cultura orientale: come in Le mille e una notte, anche nel capolavoro di Boccaccio le novelle sono
raccolte dentro una intelaiatura narrativa (una cornice, appunto) che le organizza in modo non
casuale e dà loro un senso complessivo. Quanto alle singole novelle, i personaggi sono sempre
ben delineati sia dal punto di vista psicologico che da quello sociologico, a differenza dei pro-
tagonisti del Novellino, dove questi sono solo rapidamente abbozzati. Anche la trama e lo svilup-
po narrativo delle novelle, sono sempre ben delineati e precisi nel mettere in luce i rapporti di
causa ed effetto: è la perfezione della macchina narrativa del Decameron a garantire un piacere
estetico di tipo del tutto nuovo e coinvolgente per un lettore di metà Trecento.
FACCIAMO IL PUNTO
Di quale genere Boccaccio può essere considerato l’inventore?
In che modo variano il registro e lo stile all’interno del Decameron?
376
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
5 Le opere minori
Le opere del Dietro al travestimento cortese e mitologico delle opere del periodo napoletano sta un forte
periodo elemento autobiografico. In questo periodo, inoltre, il giovane Boccaccio sperimenta con
napoletano: tra
autobiografismo e curiosità generi molto diversi tra loro come la lirica d’ispirazione stilnovistica nelle Rime, il
sperimentalismo poemetto mitologico in terzine incatenate (Caccia di Diana), il romanzo in prosa (Filocolo), il
poema epico in ottave (Teseida) e il poema romanzesco in ottave basato sulla materia troiana
(Filostrato).
Poche delle Rime pervenuteci sotto il nome di Boccaccio sono autentiche e di sicura attri-
buzione. Certo è che l’autore si dedicò al genere lirico componendo soprattutto sonetti di argo-
mento stilnovista, ma inserendo talvolta elementi comico-realistici estranei allo Stil novo. Le
rime di Boccaccio erano esercizi di carattere privato, non destinati a confluire in un libro orga-
nico (in un canzoniere). Molte di esse furono distrutte dall’autore a causa del loro scarso valore
letterario.
Più interessante è la produzione narrativa, sempre in versi. Nella Caccia di Diana Boccac-
cio riprende il metro della Commedia ma adattandolo a una materia ben diversa da quella dan-
tesca: il poemetto celebra infatti le più belle dame della corte angioina. Di argomento mitolo-
gico è anche il Filocolo, un romanzo d’avventura e d’amore in prosa che narra le peripezie di
due giovani innamorati, Florio e Biancifiore. La guerra di Teseo contro Tebe e le Amazzoni è
invece raccontata nel Teseida, un poema epico in ottave. Ancora l’ottava è il metro del poema
romanzesco Filostrato, che narra l’amore di Troilo e Criseida, durante la guerra di Troia.
Il Filocolo: un L’opera più rappresentativa del periodo napoletano è il Filocolo, un romanzo in prosa diviso in
romanzo in prosa cinque libri, incentrato sull’amore fra Biancifiore, cristiana, e Florio, figlio del re saraceno
Felice. Il re ostacola l’unione fra i due giovani, separandoli. Ma Florio non si arrende: comincia,
anzi, la sua “fatica d’amore”, assumendo il nome di Filocolo (che significa, appunto, ‘fatica d’a-
more’) e dando inizio alla ricerca di Biancifiore. Si ritrova in Italia, a Napoli, dove partecipa al
gioco delle “questioni d’amore” diretto da Fiammetta: una brigata di giovani discute tredici
questioni d’amore, anche attraverso il ricorso ad alcune novelle, aspettando poi il giudizio del-
la regina (è una situazione che tornerà nel Decameron). Giunto infine ad Alessandria, Florio ri-
trova Biancifiore e, dopo varie avventure, i due possono sposarsi.
Miniatura da un manoscritto
del Filocolo di Boccaccio,
1463-1464 circa.
Londra, British Library.
377
PARTE PRIMA Il Medioevo
Le opere fiorentine Le opere fiorentine anteriori al Decameron riprendono, adattandola al contesto locale, la ricer-
degli anni ca sperimentale degli anni napoletani. Anche in questo caso, sono molti i generi letterari pra-
Quaranta
ticati da Boccaccio: il romanzo pastorale (Commedia delle ninfe fiorentine), il poema allegori-
co-didattico in terzine (Amorosa visione), il romanzo in prosa (Elegia di Madonna Fiammetta),
il poemetto in ottave (Ninfale fiesolano).
La Commedia delle La Commedia (o più precisamente Comedìa) delle ninfe fiorentine è un romanzo pastorale in
ninfe fiorentine versi e in prosa che narra l’innamoramento del rozzo pastore Ameto per la ninfa Lia. L’am-
bientazione idillica nasconde però un intento allegorico: le sette ninfe rappresentano le tre vir-
tù teologali (fede, speranza, carità) e le quattro cardinali (prudenza, fortezza d’animo, tempe-
ranza e giustizia) alle quali Ameto deve essere educato.
L’Amorosa visione L’elemento allegorico ritorna in modo ancora più evidente e sistematico nell’Amorosa visione,
un poema in terzine suddiviso in cinquanta canti, in cui l’autore, sperduto in un deserto, è
guidato da Fiammetta verso la salvezza: il modello è chiaramente la Commedia di Dante, ma
nel poema di Boccaccio l’allegoria non è bilanciata dalla componente realistica del capolavoro
dantesco e il meccanismo narrativo risulta perciò astrattamente moralistico e macchinoso.
L’amore spiritualizzato costituisce il tema principale dell’opera.
L’Elegia di Il lavoro più innovativo dei primi anni fiorentini è l’Elegia di Madonna Fiammetta, un roman-
Madonna zo in prosa distribuito in un prologo e in nove capitoli, in cui Fiammetta racconta la sua tri-
Fiammetta
ste vicenda d’amore. La novità e l’elemento di maggior interesse stanno proprio nella sua for-
ma narrativa: per la prima volta nella letteratura italiana ed europea la voce narrante è quel-
la di una donna che si rivolge alle «nobili donne» individuate come pubblico privilegiato dell’o-
pera. Fiammetta ha amato Panfilo, pur essendo sposata con un altro uomo. Panfilo deve parti-
re da Napoli, dove il racconto è ambientato, per recarsi a Firenze; ma promette di tornare dopo
quattro mesi. Trascorso il tempo prefissato, Fiammetta non ha alcuna notizia del giovane, fin-
ché viene a conoscenza del suo tradimento con una donna fiorentina. L’angoscia della protago-
nista è raddoppiata dal fatto che essa non è manifestabile, dovendo nascondere al marito la ve-
ra ragione della sua disperazione. Fiammetta giunge a tentare il suicidio, ma viene salvata. Non
le resta che meditare severamente sulla propria vita e sul primato della sfortuna.
Il Ninfale fiesolano Il Ninfale fiesolano è tradizionalmente considerato l’ultimo lavoro di Boccaccio prima del Deca-
meron. Si tratta di un poemetto in ottave che vuole cantare le origini di Firenze e di Fieso-
le, fondate dai discendenti dei due protagonisti dell’opera, il pastore Africo e la ninfa Mensola.
Dopo il Decameron: La produzione successiva al Decameron (dagli anni Cinquanta al 1375) può già essere definita
Boccaccio umanistica ed è sostanzialmente bilingue, cioè in volgare e in latino. In entrambi i casi è deci-
umanista
sivo per un verso il modello della cultura classica (percepita come comunque superiore a
quella contemporanea) e per l’altro una incontestabile supremazia della letteratura rispet-
to agli altri elementi della vita intellettuale. La rottura rispetto alla produzione giovanile e
allo stesso Decameron è netta.
Il Corbaccio: Radicalmente rovesciata rispetto al passato è la figura femminile. Nel Corbaccio (1363-1366),
il rovesciamento un breve trattato in volgare, Boccaccio ripudia l’ideologia dell’amore cortese, rifacendosi
della figura
femminile alla tradizione misogina (cioè anti-femminile) della tradizione classica e dei Padri della Chie-
sa. È qui rielaborata, probabilmente, un’esperienza autobiografica segnata dall’amore senile
per una vedova: vedendo in sogno il marito morto della donna, chi scrive comprende quanto
sia inutile e vano abbandonarsi all’amore per una donna. Il “corbaccio” del titolo, cioè il ‘corvo’,
l’uccello del malaugurio, potrebbe dunque essere proprio costei, che porta sfortuna ai suoi
amanti.
378
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
Il Trattatello in Il culto boccacciano per la figura di Dante, già avviato negli anni del rientro a Firenze, culmina
laude di Dante tra il 1351 e il 1355 con la composizione di una biografia in volgare del grande poeta, la pri-
ma mai scritta, nota come Trattatello in laude di Dante. Boccaccio, inoltre, promuove letture
pubbliche della Commedia e compone un commento (incompiuto) al poema.
Gli scritti in latino Ricca è la produzione latina degli anni della vecchiaia, orientata sia sul versante delle biogra-
fie degli uomini illustri del passato sia su quello dell’erudizione geografica, storica e mi-
tologica: l’opera più importante sono le Genealogie deorum gentilium, un ampio trattato sul mi-
to in quindici libri composto a partire dal 1350. In latino Boccaccio compone anche un Buccoli-
cum carmen, raccolta di sedici ecloghe sul modello virgiliano, conclusa nel 1367.
FACCIAMO IL PUNTO
Qual è la principale novità presente nell’opera Elegia di Madonna Fiammetta?
Quali elementi caratterizzano la produzione di Boccaccio dopo il Decameron?
6 Il Decameron
Il capolavoro Nel Decameron confluiscono i due aspetti fondamentali della formazione di Boccaccio: da
dell’«autunno un lato l’esperienza di vita al seguito del padre nell’ambiente borghese-mercantile fiorenti-
del Medioevo»
no; dall’altro, l’apprendistato cortese della giovinezza napoletana, trascorsa frequentando
l’aristocrazia angioina. Sul piano autobiografico, si tratta quindi della sintesi delle due espe-
rienze vissute dall’autore; sul piano letterario, invece, il Decameron rappresenta il capola-
voro dell’«autunno del Medioevo». Infatti, esso riflette e illumina la società feudale e
borghese quale si era andata formando nei secoli XIII e XIV, e cerca di conciliare la nostal-
gia per gli antichi valori cortesi con i nuovi costumi e i nuovi valori laici della borghe-
sia mercantile ( Informazioni, p. 373).
La composizione Boccaccio comincia a scrivere il Decameron subito dopo la terribile peste che colpì Firenze nel
e le finalità 1348 e continua a lavorarci fino al 1351 circa. Il pubblico e le finalità dell’opera sono chiariti dal-
dell’opera
lo stesso autore nel Proemio. Il Decameron si apre con queste parole: «Umana cosa è aver com-
passione degli afflitti». Boccaccio si propone di consolare le donne afflitte da sofferenze
d’amore: esse non hanno infatti la possibilità di distrarsi con gli affari e con la politica, riserva-
ti agli uomini. Allo stesso tempo, egli intende insegnare loro che cosa devono «fuggire» (‘evi-
tare’) e che cosa invece devono «seguitare» (‘perseguire’). Tuttavia, al di là delle dichiarazioni,
il Decameron non si limita a essere un’opera di intrattenimento femminile: insieme alle don-
ne, Boccaccio immagina un pubblico ben più ampio, mostrandosi consapevole dei nuovi
spazi che si aprivano nella società del Trecento alla diffusione di una letteratura di consumo,
soprattutto fra i ceti emergenti legati all’ambiente borghese e mercantile.
CONFRONTI
IL DECAMERON E IL SUO TEMPO
esperienza borghese realismo
Decameron, capolavoro
comicità
dell’«autunno del Medioevo»
379
PARTE PRIMA Il Medioevo
Il titolo e la Decameron vuol dire ‘dieci giornate’: la parola viene dal greco ed è composta da deca, ‘dieci’,
struttura dell’opera e hemerôn, ‘giorni’. Il Decameron è infatti una raccolta di cento novelle, narrate nell’arco di
dieci giornate. Apre l’opera un Proemio, nel quale l’autore si rivolge direttamente al pubblico
dichiarando le proprie intenzioni. Seguono dieci capitoli che corrispondono, appunto, a dieci
giornate vissute da una brigata di dieci giovani.
La Prima giornata è introdotta dall’autore, che si trova costretto a un «orrido comincia-
mento», dovendo descrivere la peste che colpì Firenze nel 1348 ( T1, p. 387). È dunque in
un’atmosfera di morte e di degrado morale che dieci giovani, incontratisi una mattina nella
chiesa di Santa Maria Novella, decidono di rifugiarsi in campagna per trascorrere alcuni giorni
piacevoli lontano dal contagio e dalla tragicità della cronaca quotidiana.
Passatempo principale della brigata sarà raccontare e ascoltare novelle: ogni giovane raccon-
terà una novella al giorno, per un totale di cento novelle. Ogni giornata presenta una rubrica –
che ne sintetizza l’argomento generale – e un’Introduzione. Le novelle sono precedute anch’esse
da rubriche che riassumono il loro contenuto. Chiudono l’opera le Conclusioni dell’autore.
La brigata dei La brigata dei novellatori è formata da sette donne (Pampinea, Elissa, Lauretta, Neifile, Fiam-
novellatori metta, Filomena ed Emilia), di età compresa fra i diciotto e i ventotto anni, e da tre giovani
(Panfilo, Filostrato e Dioneo), loro amici. È lo stesso Boccaccio, nella nona novella della sesta
giornata, a spiegare che le brigate erano cerchie di amici che si riunivano per divertirsi, pranza-
re, giocare e fare gite insieme.
La proposta di andare a rifugiarsi in campagna per sfuggire alla peste è di Pampinea, la
più saggia e matura del gruppo. Il suo nome vuol dire, infatti, ‘rigogliosa’ e, per estensione, ‘di
grande intelligenza e ingegno’. Anche i nomi di altri personaggi suggeriscono, attraverso l’eti-
mologia, le tendenze del loro carattere: per esempio, Dioneo viene da Dione (madre di Venere,
dea dell’amore) e allude infatti a un temperamento licenzioso; Panfilo significa ‘tutto amore’;
Neifile ‘nuova innamorata’; Filomena ‘colei che è amata’; Filostrato ‘l’innamorato infelice’, ecc.
Talora i nomi evocano i protagonisti delle opere giovanili di Boccaccio (Panfilo e Fiammetta
ZIONI
INFORMA
Perché un film sul Decameron?
Perché la peste, che allora ebbe il carattere del contagio, oggi è la peste della disoccupazione e della fame nel mon-
do. E i ragazzi di oggi soffrono come i nostri dieci giovani del film, che nella sofferenza non vogliono arrendersi
alla disperazione. Per questo scelgono di lasciare Firenze e di affidarsi alla natura, al senso solidale di una piccola
comunità, e, soprattutto, alla fantasia, che riporta in primo piano i grandi sentimenti dell’umanità. Tra questi, il
primo è l’amore, che, come dice Dante, «move il sole e l’altre stelle».
Paolo e Vittorio Taviani
380
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
sono anche i due amanti dell’Elegia di Madonna Fiammetta; Emilia è un personaggio del Teseida;
Dioneo della Commedia delle ninfe fiorentine; Filostrato è addirittura il titolo di un’opera boc-
cacciana) oppure contengono allusioni letterarie (per esempio, Lauretta evoca la Laura petrar-
chesca; Elissa la Didone virgiliana).
L’organizzazione I dieci giovani si rifugiano in campagna, in un luogo piacevole a tre chilometri da Firenze, sog-
delle giornate giornando in un bel palazzo con un magnifico giardino. Vi arrivano un mercoledì mattina e re-
fra regole ed
eccezioni stano fuori città per due settimane. Su suggerimento di Pampinea, decidono di eleggere ogni
giorno un re o una regina che organizzi la giornata e scelga l’argomento delle novelle (che quin-
di cambierà ogni giorno). Si stabilisce anche che ciascuno dei dieci giovani racconterà una no-
vella al giorno sul tema stabilito la sera precedente. Alla fine di ogni giornata, uno dei no-
vellieri canterà inoltre una canzone. Fra questi quattordici giorni solo dieci però sono impegna-
ti nelle novelle: il novellare viene interrotto due volte (la prima e la seconda settimana) per due
giorni consecutivi, il venerdì (giorno sacro della Passione di Cristo) e il sabato (dedicato all’igie-
ne e al riposo). La brigata non resta sempre nello stesso posto: la mattina del quinto giorno (do-
menica) si trasferisce in un altro «bello e ricco palagio», dove resterà fino alla fine (tranne che
nella Settima giornata, trascorsa invece nella Valle delle donne).
381
PARTE PRIMA Il Medioevo
Il contenuto delle Dopo che l’autore, all’inizio dell’opera, è intervenuto in prima persona (nel Proemio e nell’In-
dieci giornate troduzione alla Prima giornata), la parola passa ai dieci novellieri. Boccaccio interverrà di nuo-
vo nell’Introduzione alla Quarta giornata e, infine, nelle Conclusioni. Ecco come si articolano,
nel dettaglio, le dieci giornate.
Prima giornata: retta da Pampinea, con novelle a tema libero. È possibile, comunque, tro-
varvi qualche motivo dominante: per esempio, il tema religioso delle novelle iniziali. La
prima, quella di Ciappelletto, prende di mira sia l’ipocrisia della borghesia mercantile (che
vorrebbe conciliare interesse negli affari e spirito cristiano), sia l’ingenuità degli uomini di
Chiesa, che santificano un solenne peccatore ( T2, p. 390). La terza, quella dell’ebreo
Melchisedech, sostiene la tolleranza religiosa ( T3, p. 396).
Seconda giornata: retta da Filomena, con novelle sul tema del potere della fortuna, con
avventure a lieto fine. Si narrano novelle fantastiche e avventurose: per esempio, nella
quinta novella vengono raccontati i tre «accidenti» capitati nella città di Napoli a un giova-
ne e inesperto perugino, Andreuccio ( T4, p. 402). Nelle novelle della Seconda giornata il
ritmo avventuroso della narrazione apre al lettore una serie vastissima di scenari (dalle
città italiane al Mediterraneo) e di tipi umani.
DIGIT TESTI Terza giornata: retta da Neifile, con novelle sul tema dell’ingegno, da usare per raggiun-
Lo stalliere gere l’oggetto del desiderio. In questa giornata Dioneo sviluppa anche una teoria sulla de-
del re Agilulfo
mocrazia amorosa, per cui l’eros ama i «palagi» (cioè i palazzi dei ricchi) ma non disdegna
neppure le «povere capanne».
Quarta giornata: introdotta dall’autore, che prende la parola per difendersi dall’accusa che
gli è stata rivolta di interessarsi troppo alle donne e di occuparsi di argomenti troppo frivoli.
Boccaccio afferma qui l’importanza degli istinti e della forza della natura, sostenendo
la sua tesi anche attraverso una breve racconto, noto come “novella delle papere” ( T5,
p. 418). Le successive novelle della Quarta giornata sono dedicate agli amori infelici. Dato il
tema, il re della giornata non può che essere Filostrato, l’‘innamorato infelice’. Le novelle di-
mostrano la forza invincibile dell’amore e l’esito tragico che deriva dal tentativo di opporvisi.
La rivendicazione del potere degli istinti e della natura si compie attraverso le parole e gli atti
di due eroine tragiche, Ghismunda ( T6, p. 421) ed Ellisabetta da Messina ( T7, p. 426).
Quinta giornata: retta da Fiammetta, con novelle dedicate a vicende d’amore inizialmente
contrastate ma poi concluse con un lieto fine (dunque novelle con esito capovolto rispetto a
quelle della giornata precedente). Contiene molti racconti famosi, come per esempio quello
di Nastagio degli Onesti ( T8, p. 431) e di Federigo degli Alberighi ( T9, p. 440).
DIGIT TESTI Sesta giornata: retta da Elissa, con novelle dedicate ai motti di spirito e alle risposte ar-
Frate Cipolla
gute. Sono novelle brevi, tutte concentrate sulla battuta conclusiva di un personaggio. A
volte protagonisti di battute spiritose sono grandi figure fiorentine, come il pittore Giotto
nella quinta novella o il poeta Guido Cavalcanti nella nona. Ma motteggiatori possono
essere anche personaggi umili come il cuoco Chichibìo ( T10, p. 447).
382
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
DIGIT TESTI Settima giornata: retta da Dioneo, con novelle che narrano di beffe ai mariti. I novellato-
Arriguccio geloso
ri si spostano nella Valle delle donne, dove le giovani della brigata si erano recate, in segre-
to, la sera precedente a fare il bagno. La Settima giornata è una delle più compatte e omo-
genee: le novelle, infatti, sono quasi sempre ambientate in Toscana e spesso a Firenze, e
tutte fondate sul meccanismo del triangolo erotico moglie-marito-amante. Inoltre, i tratti
dei personaggi sono fissi: in genere il marito è stupido, bigotto o geloso, e perciò merita di
essere beffato dalla moglie, che è, invece, astuta.
DIGIT TESTI Ottava giornata: retta da Lauretta, con novelle dedicate alle beffe fatte o da una donna a
Jancofiore
e Salabaetto un uomo o da un uomo a una donna o da un uomo a un altro uomo. Compare qui, nel ruolo
di beffato, un personaggio caro a Boccaccio, Calandrino ( T11, p. 451), protagonista di due
novelle di questa giornata e di altre due novelle della giornata successiva.
Nona giornata: retta da Emilia, con novelle a tema libero. Ricorrono comunque due mo-
tivi dominanti: la gioia di vivere e il dovere delle mogli. Il tema giocoso, che celebra «le
forze della natura» difese con l’astuzia, è al centro della novella della badessa e le brache
( T12, p. 458).
Decima giornata: retta da Panfilo, portavoce degli ideali dell’autore, che sceglie il tema
elevato della liberalità e della magnificenza . I personaggi e gli ambienti delle novelle
sono cortesi e nobili: siamo ormai ben lontani dalla realtà cittadina, borghese e comunale
delle novelle di beffa. A una materia più alta e nobile corrisponde uno stile più elevato.
Nella struttura generale del Decameron l’ultima novella ha una funzione molto rilevante:
indica nella protagonista, Griselda, un esempio alto di virtù, in implicita opposizione all’e-
sempio negativo di Ciappelletto, con cui l’opera era cominciata. Alla fine della Decima gior-
nata, Panfilo propone di ritornare in città per impedire che una prolungata convivenza
possa determinare qualche fastidio e anche per evitare le critiche dei malevoli. Inoltre, fa
un bilancio dei quattordici giorni trascorsi insieme,
osservando che la vita della brigata è stata sempre Liberalità Disposizione a nutrire senti-
caratterizzata da «continua onestà, continua con- menti nobili ed elevati, ad agire in modo giu-
sto, esemplare e generoso.
cordia, continua fraternal dimestichezza». Così, la
mattina del quindicesimo giorno, i dieci novellatori Magnificenza L’inclinazione a fare cose
ritornano a Firenze, alla chiesa di Santa Maria No- ammirevoli di chi è naturalmente dotato di
generosità e grandezza d’animo.
vella dove si erano incontrati, e qui si salutano.
383
PARTE PRIMA Il Medioevo
Le Conclusioni Nelle Conclusioni del Decameron Boccaccio torna a prendere la parola in prima persona rivol-
dell’autore gendosi di nuovo alle donne. Egli recupera l’autodifesa cominciata nell’Introduzione alla
Quarta giornata. Anzitutto l’autore risponde all’accusa di aver usato parole poco convenienti,
osservando che la forma doveva essere coerente con la materia. In secondo luogo, fa appello
alle esigenze del realismo: la lingua da lui usata non è altra che quella della vita quotidiana. Per
quanto riguarda invece le obiezioni morali sui contenuti dell’opera, Boccaccio ribatte che per-
sino le Sacre Scritture, se lette in modo perverso, possono indurre al peccato.
I temi del libro Oltre ai temi indicati esplicitamente dai re e delle regine delle singole giornate, se ne possono
individuare altri, trasversali all’intero libro. Possiamo individuare quattro grandi aree tema-
tiche servendoci di altrettante parole-chiave: fortuna, natura, ingegno e onestà.
1. Fortuna. Secondo Boccaccio, l’uomo è condizionato da «due ministre»: la fortuna e la natura.
La fortuna, cioè essenzialmente il caso, sconvolge i piani degli uomini e ne determina i
destini a suo piacimento. Essa decide anzitutto la condizione sociale (c’è chi nasce ricco e
chi povero – come la nobile Ghismunda e il suo amante di umili origini, protagonisti della
prima novella della Quarta giornata; T6, p. 421) e sottopone l’individuo al rischio continuo
dell’imprevisto, fino al ribaltamento delle situazioni. Nella Seconda giornata, per esempio, è
la fortuna a porre il povero Andreuccio di fronte a «tre gravi accidenti» ( T4, p. 402). Il tema
della ruota della fortuna – che girando decide la sorte umana – è strettamente connesso alla
percezione storica di una situazione di crisi e di rapidi cambiamenti economici e sociali: gli
anni della stesura del Decameron sono infatti quelli delle grandi bancarotte dei banchieri fio-
rentini, con risvolti negativi anche per le attività finanziarie del padre di Boccaccio.
2. Natura. Se è la fortuna che determina la condizione sociale dell’individuo, è la natura a fornir-
gli uno specifico carattere, e a renderlo orgoglioso, timido, iracondo o vigliacco. Secondo Boc-
caccio, la natura condiziona l’uomo soprattutto attraverso le sue spinte pulsionali, cor-
porali, materiali. L’autore difende più volte le «forze della natura», le quali vanno riconosciu-
te e rispettate: i moralisti che condannano il carattere aperto e licenzioso di certe novelle del
Decameron – sostiene Boccaccio – chiudono gli occhi ipocritamente di fronte alla realtà.
3. Ingegno. Uno strumento per controllare fortuna e natura è l’ingegno individuale, cioè
l’attività intelligente, l’«industria» e lo spirito d’iniziativa del singolo. Esso può essere
utilizzato in direzioni opposte (immorali o morali), ma è comunque valorizzato. Anche se
la preferenza dell’autore va verso l’impiego dell’ingegno nel senso dell’onestà e della gen-
tilezza, egli non esita a celebrarlo nelle novelle di motto e di beffa, in cui si diverte a pren-
dere in giro gli sciocchi e gli ingenui ( T11, p. 451). La prontezza di spirito, le risposte ar-
gute, la capacità di salvarsi con l’intelligenza e di sottolineare la stupidità altrui sono co-
munque per Boccaccio dei valori, attraverso i quali l’individuo può imporsi nel conflitto
sociale e, in parte, sottrarsi al condizionamento della fortuna e della natura ( T4, p. 402).
4. Onestà. Oltre all’ingegno, nel mondo del Decameron viene esaltata anche l’«onestà», cui più
volte fanno riferimento i dieci novellatori. L’onestà – intesa come dignità, decoro, superio-
rità morale e intellettuale – non ha nulla a che fare con l’ipocrisia; anzi, la brigata giovanile
e l’autore stesso non esitano a mostrare il basso e l’osceno e a dichiarare il proprio rispetto
per le pulsioni naturali ( T5, T6, T7 e T12, pp. 418, 421, 426, 458). Ciò nonostante, l’«one-
stà» è chiamata a difendere i valori della civiltà e le esigenze del vivere in società, contrappo-
nendosi alla liberalizzazione sfrenata dei costumi e al degrado morale provocati dalla peste
(cfr. T1). Da questo bisogno – che anticipa un tema umanistico – di compromesso e di conci-
liazione fra natura e civiltà nasce l’equilibrio tematico e compositivo del Decameron.
Realismo e Il Decameron è uno dei massimi esempi di realismo medievale. Il realismo boccacciano è riscon-
comicità nel trabile anzitutto nel trattamento dello spazio e del tempo, sempre ben individuati all’interno
Decameron
delle singole novelle: Boccaccio colloca le vicende sullo sfondo di una geografia precisa e con-
creta (che ruota attorno ai due poli principali della città e del Mediterraneo) e di un tempo sto-
384
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
rico parimenti definito (che coincide spesso con la realtà contemporanea all’autore). Alla pre-
cisione delle coordinate spazio-temporali si aggiunge la verosimiglianza delle situazioni psi-
cologiche presentate e l’interesse verso tutte le categorie sociali. L’attenzione di Boccaccio
per i diversi strati della popolazione è indubbiamente un segno di grande realismo, che dà vita a
un’ampia e articolata commedia sociale. Il realismo boccacciano si esprime poi particolarmente
nel comico. Realismo e comicità tendono spesso a coincidere nel Decameron. Il comico privile-
gia il basso, il corporeo, il materiale, ed è dunque strettamente collegato alle manifestazioni
concrete della vita. Attraverso le novelle, si irridono le consuete ipocrisie e si pone al centro
dell’attenzione ciò che di solito è oggetto di censura, vale a dire il mondo del corpo e del sesso.
Super-cornice Proemio
Introduzione alla Prima giornata
Introduzione alla Quarta giornata*
Conclusione * La novella delle papere
Racconto
Le cento novelle
voci dei personaggi delle novelle
385
PARTE PRIMA Il Medioevo
Paragonando i tre livelli a quelli di un quadro, abbiamo la seguente situazione: una specie
di “super-cornice” ingloba la “cornice”, che contiene a sua volta il racconto vero e pro-
prio, cioè le cento novelle. Possiamo anche considerare super-cornice e cornice come una
cosa sola, come spesso si fa, ma anche in questo caso è opportuno distinguere al suo interno
due livelli narrativi:
1) autore
2) novellatori.
La voce dell’autore Il primo livello narrativo costituisce quella che abbiamo chiamato “super-cornice”. Qui l’au-
e le voci dei tore parla in prima persona, dichiarando la propria poetica e rivolgendosi direttamente
novellatori
ai lettori. La sua voce e i suoi giudizi non devono essere confusi con quelli dei novellatori, e
possono essere uditi in luoghi ben precisi del testo:
1) nel Proemio;
2) nella parte iniziale dell’Introduzione alla Prima giornata, in cui vengono descritti la peste
( T1, p. 387) e l’incontro fra i dieci novellatori;
3) nell’Introduzione alla Quarta giornata (in cui l’autore, oltre a difendersi dalla critiche fatte
al suo libro, che già iniziava a circolare, racconta la novella delle papere, T5, p. 418);
4) nella Conclusione dell’opera, dove vengono respinte possibili critiche di carattere morali-
stico e viene esaltata la varietà delle opinioni e delle vicende della vita. In questo livello i
dieci giovani sono i personaggi della trama narrata.
Nel livello successivo (la cornice in senso stretto), i giovani sono invece coloro che rac-
contano le cento storie rivolgendosi a turno agli altri membri della brigata, che sono dunque
i destinatari della loro narrazione.
Stile medio, Boccaccio nel Filocolo aveva distinto, sulla scorta delle teorie medievali, tre livelli letterari:
plurilinguismo quello più alto, tragico ed epico; quello «mezzano» (o medio), contraddistinto dalla materia
e pluristilismo
amorosa e dal destinatario femminile; e infine il più basso, il «fabuloso parlare degli ignoran-
ti», cioè le trascrizioni semplici e ingenue di leggende e di favole. Il Decameron rientra nel se-
condo livello, ed è infatti qualificato dallo stile medio, dalla tematica erotica e dal pubblico
DIGIT femminile cui è rivolto. Tuttavia ci sono escursioni di stile verso l’alto o verso il basso. Lo sti-
APPROFONDIMENTI
Tradurre il le e la sintassi della prosa del Decameron risentono particolarmente dei modelli classici (so-
Decameron oggi
prattutto Quintiliano e Cicerone). Nella “cornice”, nelle novelle tragiche e soprattutto nei di-
Le traduzioni
del Decameron scorsi più impegnati dei personaggi nobilmente esemplari ( T6, p. 421) il linguaggio si in-
nalza e la sintassi è ampia e ipotattica. Tuttavia, non mancano esempi diversi e opposti. La
prosa tende infatti a essere frammentaria, agile e mimetica nelle novelle d’azione e di beffa.
Il linguaggio in questi casi è più basso, gergale e colloquiale, immediato e realistico, con qual-
che cedimento al dialettale ( T10, p. 447). Insomma, Boccaccio cerca di rappresentare la re-
altà multiforme impiegando una grande varietà di linguaggi (plurilinguismo) e di stili
(pluristilismo).
FACCIAMO IL PUNTO
Come sono organizzate le giornate dai dieci novellatori?
In che modo fortuna e natura influenzano la vita dell’uomo?
386
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
Il racconto della peste che colpì Firenze nel 1348 occupa quasi metà dell’Introduzione alla Prima
giornata del Decameron. Attraverso la descrizione della malattia e dei suoi effetti devastanti, Boc-
caccio raffigura l’estremo degrado della società sua contemporanea nelle forme di una diffusa be-
stialità di costumi.
I TEMI paura della morte rottura dei vincoli sociali e familiari
Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio1 al nu-
mero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a
ogn’altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de’ corpi
superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata so-
5 pra i mortali,2 alquanti anni davanti nelle parti orientali3 incominciata, quelle d’inumerabi-
le quantità de’ viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi,
verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata. […] E non come in Oriente aveva fatto, dove
a chiunque usciva il sangue del naso era manifesto segno di inevitabile morte: ma nascevano
nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le di-
10 tella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno
uovo, e alcune più e alcun’altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti
del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferente-
mente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità
della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le
15 cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute
e spesse. […]
Dico che di tanta efficacia fu la qualità della pestilenzia narrata nello appiccarsi da uno a
altro, che non solamente l’uomo all’uomo, ma questo, che è molto più, assai volte visibilmen-
te fece, cioè che la cosa dell’uomo infermo stato, o morto di tale infermità, tocca da un altro
PARAFRASI
Dico dunque che gli anni trascorsi dalla benefica Incarna- altri come un uovo, qualcuno più e altri meno. [Tali gon-
zione di Cristo erano giunti già al numero di 1348, quando fiori] erano chiamati dalla gente del popolo (i volgari) ga-
nella nobile città di Firenze, la più bella di tutte le città ita- vaccioli. E [partendo] dalle due parti del corpo prima no-
liane, si diffuse l’epidemia mortale [: la peste]: la quale, in- minate [: l’inguine e le ascelle], in poco tempo (infra brie-
viata sugli esseri umani o per influsso degli astri (per ope- ve spazio) il soprannominato gavacciolo mortale comin-
razion de’ corpi superiori) o dalla giusta ira di Dio come ciava a nascere e a svilupparsi (venire) in ogni altra parte
punizione delle nostre colpe per correggerci, iniziata alcu- del corpo indistintamente: e dopo ciò (e da questo ap-
ni anni prima in Oriente, dopo aver sterminato un gran presso) il sintomo della malattia in questione cominciava
numero di uomini, dilagando senza arrestarsi da un luogo a mutarsi in macchie nere o livide, che a molti compariva-
all’altro, si era diffusa in Occidente con terribili conse- no nelle braccia, nelle cosce e in ogni altra parte del corpo,
guenze (miserabilmente). […] E [si manifestò] in modo a chi (a cui) grandi e rade e a chi piccole e numerose. […]
diverso da come aveva fatto in Oriente, dove, se a qualcu- Dico che la capacità di contagio (nello appiccarsi da uno a
no usciva sangue dal naso, era un sintomo sicuro di morte altro) della pestilenza di cui ho parlato fu talmente poten-
inevitabile: ma all’inizio comparivano, ugualmente negli te che non soltanto l’uomo [la contagiava] all’uomo, ma
uomini e nelle donne, alcuni gonfiori (enfiature) all’in- ebbe, visibilmente, effetti ancora più ampi [nell’estensio-
guine o sotto le ascelle (ditella), alcuni dei quali si ingros- ne del contagio], cioè che un oggetto di un uomo ammala-
savano come una mela di media grandezza (comunal), to, o morto di tale malattia, toccato (tocca) da un altro
1 erano gli anni...Figliuolo di Dio: nel calen- nono mese precedente la sua nascita. Il con- viene subito affiancata a quella astrologica.
dario fiorentino l’anno cominciava con l’in- tagio si diffuse a Firenze dall’aprile del 3 parti orientali: l’epidemia ebbe probabil-
carnazione di Cristo (fruttifera perché 1348. mente origine in Asia, nel 1346. Fu portata in
procurò la salvezza spirituale dell’umanità) 2 nostre...mortali: la spiegazione morale e Sicilia da navi provenienti dalla Siria, e dall’I-
fissata al 25 marzo, in corrispondenza del religiosa (cioè, secondo il disegno di Dio) talia si diffuse poi in tutta Europa.
387
PARTE PRIMA Il Medioevo
Introduzione alla Prima giornata, Manoscritto del Decameron di Boccaccio del XV secolo. Parigi, Bibliothèque Nationale de France.
20 animale fuori della spezie dell’uomo, non solamente della infermità il contaminasse ma quel-
lo infra brevissimo spazio uccidesse. Di che gli occhi miei, sì come poco davanti è detto, pre-
sero tra l’altre volte un dì così fatta esperienza: che, essendo gli stracci d’un povero uomo da
tale infermità morto gittati nella via publica e avvenendosi a essi due porci, e quegli secondo
il lor costume prima molto col grifo e poi co’ denti presigli e scossiglisi alle guance, in piccola
25 ora appresso, dopo alcuno avvolgimento, come se veleno avesser preso, amenduni sopra li
mal tirati stracci morti caddero in terra. […]
E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro
cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spa-
vento questa tribulazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro
30 abbandonava e il zio il nepote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e, che
maggior cosa è e quasi non credibile, li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di
visitare e di servire schifavano.
G. Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, Einaudi, Torino 1992.
animale di specie diversa dall’uomo, non solo gli conta- caddero a terra morti sopra gli stracci sventuratamente
giasse la malattia, ma uccidesse quello [: l’animale] in po- (mal) afferrati. […] E lasciamo stare [il fatto che] un cittadi-
chissimo tempo. Della qual cosa i miei stessi occhi, come no evitasse (schifasse) l’altro e quasi nessun vicino avesse
poco fa si è detto, fecero una volta questa esperienza (pre- cura dell’altro e anche i parenti si facessero visita rara-
sero… esperienza): che, essendo [stati] gettati sulla pub- mente o mai e [comunque rimanendo] a distanza: questa
blica via gli stracci di un povero uomo morto di tale malat- preoccupazione era entrata con così grande paura nei cuo-
tia, ed essendosi imbattuti in (avvenendosi a) essi due por- ri degli uomini e delle donne, che un fratello abbandonava
ci, e avendoli quei [porci] secondo la loro abitudine (costu- l’altro, lo zio [abbandonava] il nipote, la sorella [abbando-
me) toccati a lungo prima con il muso (grifo) e poi, presili nava] il fratello e spesso la moglie [abbandonava] suo ma-
con i denti, agitati qua e là (scossiglisi alle guance), in bre- rito; e, cosa più grave e quasi da non credere, i padri e le
ve tempo, dopo qualche convulsione (avvolgimento), madri evitavano di visitare e accudire i figli, quasi non fos-
come se avessero preso del veleno, entrambi (amenduni) sero loro.
388
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
ANALISI La sintassi ampia e il realismo Già da questa Introduzione emergono due caratteristiche
fondamentali della scrittura di Boccaccio: 1) la tendenza a una sintassi ampia e ipotattica,
ricca di subordinate e modellata sul latino (basti osservare il primo lunghissimo periodo,
composto da ben otto proposizioni); 2) il realismo, che qui si manifesta con evidenza nella
descrizione particolareggiata dei sintomi della malattia. Daltra parte, Boccaccio si riferisce
a una situazione che ha vissuto personalmente («Di che gli occhi miei… presero tra l’altre
volte un dì così fatta esperienza») e può perciò indicare tempi, luoghi, cose e nomi precisi e
concreti.
INTERPRETAZIONE Degrado dei costumi e paura della morte Boccaccio sottolinea il degrado dei costumi che
E COMMENTO accompagna il contagio dilagante: tende a sciogliersi ogni vincolo non solo di solidarietà tra
vicini, ma anche di amore familiare (tra marito e moglie, tra fratelli e sorelle, e perfino tra geni-
tori e figli). La paura della morte sprigiona negli uomini i sentimenti più folli e barbari, cancel-
lando i valori morali fondamentali. In questo senso, la decisione dei dieci giovani di ritirarsi in
campagna per sfuggire alla peste è un tentativo di ritrovare, lontano dalla degradazione citta-
dina, il senso della vita e la compostezza dei costumi.
389
PARTE PRIMA Il Medioevo
Narrata da Panfilo, questa novella apre la Prima giornata del Decameron. Ser Ciappelletto da Prato, uomo
disonesto e senza scrupoli, riceve dal ricco mercante fiorentino Musciatto Franzesi l’incarico di riscuote-
re i suoi crediti in Borgogna. Egli non viene scelto a caso: infatti Ciappelletto era «il peggiore uomo forse
che mai nascesse», tanto era disonesto e senza scrupoli. Mentre si trova in Francia, ospite di due fratel-
li fiorentini che fanno gli usurai, Ciappelletto si ammala. Per salvare la reputazione sua e dei due fiorenti-
ni, è pronto a un ultimo inganno: egli pronuncia una falsa confessione in cui si auto-rappresenta come
modello di virtù. La recita è tanto efficace che, dopo la morte e i solenni funerali, Ciappelletto è conside-
rato un santo. Qui riportiamo la novella nella versione moderna di Piero Chiara.
I TEMI ingegno le contraddizioni della Chiesa relativismo
Alla fine del Medioevo, in Europa e quindi anche in Italia, a garantire la sopravvivenza degli uomi-
ni e la loro vita civile era, come sempre, il commercio. Vale a dire gli scambi di merci e di lavoro, le
esportazioni e le importazioni, il credito.1 Più brevemente, la produzione e il consumo.
Tra i protagonisti della economia di quell’epoca ci furono i banchieri e i mercanti, spe-
cialmente toscani, che operavano in tutta Europa. Uno di essi, a quanto si racconta, di nome
5 Musciatto Franzesi,2 dopo aver fatto fortuna in Francia, abbandonati gli affari, si dedicò alla
politica e divenne uomo di corte. Creato gentiluomo3 dal re Filippo il Bello, nel 1301 venne
inviato in Italia presso il papa Bonifacio4 insieme al fratello del re, Carlo detto il Senzaterra.5
Prima di mettersi in viaggio per Roma, Musciatto Franzesi provvide ad incaricare perso-
ne adatte alla liquidazione dei suoi affari6 in Francia, ma non trovò nessuno al quale affidare
10 la riscossione di molti crediti che aveva in Borgogna,7 terra di gente litigiosa e sleale. Gli
venne allora in mente un certo ser Cepparello Diotallevi,8 toscano di Prato, che viveva in
Francia e spesso gli capitava in casa.
Cepparello, che i francesi chiamavano Ciappelletto, era notaio ma viveva ai margini della
legge servendo imbroglioni e truffatori. Pronto a rogare9 atti falsi, spergiuro e violento,
15 bestemmiatore e frequentatore di taverne, era sempre disposto a dar mano in ogni male-
fatta. Aveva avuto parte perfino in omicidi e ferimenti. Schernitore di Dio e dei santi, ladro
e farabutto, sconcio bevitore e giocatore di vantaggio,10 si può dire, senza dilungarci di più,
che fosse il peggiore uomo che mai nascesse. Proprio quel che occorreva a Messer Musciatto,
che gli diede regolare procura11 e lo mandò in Borgogna, appoggiandolo presso due fratelli
20 fiorentini che in quelle terre vivevano prestando denaro ad usura.
Ospitato dai due fratelli, Ciappelletto aveva cominciato il suo lavoro, quando cadde grave-
mente ammalato. Vennero subito chiamati dei medici che fecero di tutto per curarlo, ma senza
risultato, perché il suo male era grave e certamente mortale. L’età, gli strapazzi e più che altro
gli stravizi, l’avevano così mal ridotto, che nessun medico avrebbe potuto ridargli la salute.
DIGIT VIDEO di tesoriere del re Filippo il Bello. 7 Borgogna: regione della Francia centrale.
Videolettura: i classici ad alta voce 3 Creato gentiluomo: Musciatto Franzesi 8 ser Cepparello Diotallevi: è un personaggio
DIGIT TESTI aveva acquistato prestigio sociale grazie al reale, originario di Prato e ancora vivo nel
Testo originale di Boccaccio fatto che si era messo al servizio del re Filippo 1304. Come attestano alcuni documenti
il Bello (1268-1314). duecenteschi e un suo libro di conti (tra i più
1 il credito: le attività finanziarie legate 4 papa Bonifacio: si tratta del papa Bonifacio antichi in lingua volgare), egli era attivo in
all’anticipazione di denaro da parte di una VIII che guidò la Chiesa dal 1294 al 1303. Francia come mercante ed esattore di impo-
banca a un privato o a un’impresa dietro 5 Carlo detto il Senzaterra: Carlo di Valois, ste per conto di Filippo il Bello. Egli era anche
garanzia di restituzione. soprannominato Senzaterra per la mancanza in rapporto con i fratelli Franzesi, Biccio e
2 Musciatto Franzesi: da moscia, forma fran- di possedimenti propri e per i fallati tentativi Musciatto, due loschi affaristi.
cese di ‘moscia’. Personaggio realmente esi- di procurarsi un regno. 9 rogare: stendere, scrivere.
stito. Musciatto era il soprannome di Giam- 6 liquidazione dei suoi affari: sistemazione 10 giocatore di vantaggio: baro.
paolo Guidi, un contadino di Firenze che si degli affari e risoluzione dei rapporti com- 11 procura: si tratta di una autorizzazione
era arricchito in Francia facendo il mercante, merciali in vista della cessazione di ogni atti- legale a rappresentarlo e ad agire per suo
prestando denaro a usura e svolgendo il ruolo vità. conto.
390
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
25 «Cosa dobbiamo fare?» si chiedevano i due fratelli stando in una stanza vicina a quella del
malato. «Se lo mandiamo a morire all’ospedale, la gente dirà che siamo delle carogne senza
cuore. Se lo teniamo in casa e costui, da quel miscredente che è sempre stato, morirà senza
confessarsi e comunicarsi, nessuna chiesa accetterà il suo corpo. Se poi si confessasse, sareb-
be ancor peggio, perché sentendo le ignominie delle quali si è coperto, il confessore, inor-
30 ridito, penserà di aver davanti il diavolo in persona. La voce si spargerà e noi che già siamo
malvisti a cagione del nostro mestiere, saremo cacciati dal paese e magari messi a morte a
furore di popolo».
Ciappelletto, al quale la malattia, come spesso avviene, aveva reso finissimo l’udito,
chiamò a sé i due fratelli.
35 «Ho sentito tutto» disse. «Quel che temete potrebbe in verità avvenire, ma io troverò
modo che non avvenga. Vivendo ho fatto tante ingiurie a Domineddio,12 che anche se ne
farò un’altra in punto di morte non cambierà nulla. Per cui vi prego di farmi venire qualche
santo frate, il migliore che si trovi da queste parti, perché voglio confessarmi in modo da
sistemare al meglio i fatti vostri e i miei».13
40 Pur non aspettandosi nulla di buono da Ciappelletto, i due chiamarono da un convento
vicino un santo frate, che postosi al capezzale del morente, dopo averlo confortato alquanto
gli chiese da quanto tempo non si confessasse.
Ciappelletto, che non si era mai confessato in vita sua, rispose:
«Di solito mi confesso due o tre volte la settimana, ma ora, con la malattia, saranno otto
45 giorni che non ho questo beneficio».
«Bravo» disse il frate «è una buona norma la tua. Anche perché così avrai ben poco da
dirmi».
«Ma che dite mai!» esclamò Ciappelletto. «Ogni volta io mi confesso di tutti i peccati che
ho commesso da quando sono nato».
50 Il frate lodò una così bella abitudine e cominciò a chiedergli se avesse mai peccato contro
la purezza.
«Se non fosse vanagloria» fu la risposta «vi direi che io sono innocente come un bambino
appena nato».
«Che tu sia benedetto!» esclamò il frate.
55 Gli domandò allora se avesse sulla coscienza dei peccati di gola.
«Purtroppo!» disse Ciappelletto. «Perché tre volte per settimana, dopo aver digiunato
a pane e acqua, bevo l’acqua con lo stesso gusto che prova un ubriacone nel bere il vino. E
anche il pane! Lo mangio troppo volentieri!».
«Figliolo mio» disse il frate. «Questi non sono peccati. Dopo il digiuno è giusto che si
60 mangi e anche che ci si tolga la sete».
«Eh, no, padre mio! Le cose che si fanno in servizio di Dio non debbono dar piacere di
nessuna sorte».
«È bene» disse allora il frate «che tu la pensi in questo modo. Sono proprio contento di
trovare un cuore tanto puro. Non mi capitava da un gran pezzo. Ma dimmi, hai mai peccato
65 d’avarizia?».
«Padre» rispose Ciappelletto sottovoce «non vorrei che voi, vedendomi in casa di questi
usurai, pensaste che io sia della loro specie. Sono venuto qui solo per ammonirli e per disto-
glierli da quel loro brutto mestiere di prestar denaro tirando il collo alla povera gente. E ci
sarei riuscito, se Iddio non mi avesse visitato con questo brutto male.14 In quanto a me, è
70 vero, sono stato mercante e ho guadagnato, ma, tolto il necessario per vivere, il resto l’ho
sempre dato ai poveri».
12 Domineddio: Signore Iddio. Formula che mare le cose in modo che sia creduto un danno.
si usa soprattutto nelle invocazioni. santo, da truffatore quale invece è, e nello 14 se Iddio...male: se Dio non mi avesse fatto
13 in modo...miei: Ciappelletto vuole siste- stesso tempo i suoi amici non abbiano ammalare.
391
PARTE PRIMA Il Medioevo
Ciappelletto, miniatura da un
manoscritto del Decameron del
quarto decennio del XV secolo
circa. Parigi, Bibliothèque
Nationale de France.
Non avendo nulla da rimproverargli, il frate passò a domandargli se fosse mai andato in
collera.15
«E chi potrebbe non adirarsi» sbottò Ciappelletto «vedendo la gente che non osserva
75 i comandamenti di Dio, i giovani che pensano solo a divertirsi, che non vanno in chiesa e
seguono le pazzie del mondo invece della legge del Signore?».
«Questa» disse il frate «non è collera. È santa indignazione. Ma non è che ti sia capitato
mai di commettere per esempio qualche omicidio o di far violenza a qualcuno, magari solo
per difenderti…».
80 «Ma vi pare, padre, che Dio m’avrebbe sostenuto e protetto per tanti anni se mi fosse
passato per il capo anche solo il pensiero di far cose simili?».
«Dimmi allora: hai fatto testimonianze false, hai mai detto male di qualcuno, hai mai
sottratto cose altrui?».
«Sì!» esclamò Ciappelletto. «Almeno una di queste cose l’ho fatta. Avevo un vicino, che
85 quando era ubriaco batteva la moglie. Ebbene, ho avvertito i parenti di quella poveretta».
«Dovevi farlo! L’avrei fatto anch’io» disse il frate. «Mi hai detto che sei stato mercante»
gli disse poi. «Hai mai ingannato qualche cliente?».
«Gnaffe!»16 esclamò Ciappelletto. «Avete colto giusto, stavolta! Un cliente, pagandomi
del panno17 che gli avevo venduto, mi aveva dato per sbaglio alcuni soldi in più del dovuto
90 senza che me ne avvedessi. Quando me ne accorsi, cercai quel cliente per restituirgli il suo,
ma non lo trovai. Era partito per chissà dove. Diedi allora quei pochi soldi ai poveri».
«Hai fatto benissimo» disse il frate. «Non potevi comportarti meglio. Sei un buon figliolo
e non mi resta che darti la più ampia delle assoluzioni».
«Piano, piano» lo fermò Ciappelletto. «Ho dell’altro da dirvi: una volta ho fatto lavorare
95 un servo a scopar la casa di domenica».
«È tutto qui?».
«Come! Vi pare poco? Non rispettare la domenica, il giorno in cui nostro Signore resu-
scitò e salì al Cielo? E poi, sentite quest’altra: un giorno che ero in chiesa, stavo così assorto
nella preghiera che, venendomi uno sputo, lo lasciai cadere sul pavimento».
15 se...collera: il confessore chiede a Ciap- 16 Gnaffe!: In fede mia! È interiezione del 17 panno: tessuto da confezione.
pelletto se ha mai commesso peccato d’ira. fiorentino parlato.
392
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
100 Il frate cominciò a ridere. «Noi» disse «che siamo religiosi, se ci viene da sputare, sputia-
mo. Che diamine!».
«Sputate?» disse Ciappelletto sgranando gli occhi. «Sputate in chiesa? Nella casa di Dio?».
Ciappelletto non se ne voleva persuadere, ma poi tacque e come preso da una nuova
angoscia, cominciò a piangere.
105 Il frate, che lo andava consolando, vedendolo affannato gli chiese se sentisse male in qualche
parte. Ma Ciappelletto, alzando gli occhi al cielo, gli fece capire che non si trattava del corpo, ma
dell’anima. Non trovava la forza per sgravarsi di un gran peso che aveva sulla coscienza.
«Figliolo» gli disse il frate che finalmente aveva capito «anche se tu avessi sulla coscienza tutti
i peccati del mondo, il pentimento che dimostri ti otterrebbe di sicuro la misericordia di Dio».
110 Senza dargli retta e piangendo sempre più forte, Ciappelletto disse: «Inorridite!
Inorridite! Quando ero piccolino, una volta ho ingiuriato mia madre!».
«Non è poi questo gran peccato» lo rassicurò il frate. «Gli uomini bestemmiano conti-
nuamente Dio, che è cosa ben più grave. Eppure se si pentono, Dio li perdona. Non vuoi che
passi sopra a una mala18 parola che avrai detto a tua madre? La tua contrizione19 è tale, che
115 ti perdonerebbe anche se tu fossi uno di quelli che l’hanno messo in croce!».
«La mamma! La mamma!» andava balbettando Ciappelletto. «La mia mamma! Così dolce,
così cara! Ho offeso la mia mamma! Se voi non pregherete Dio per me, non sarò mai perdonato!».
«Su, su» disse il frate. «Non dirmi altro, che un bravo uomo come te non l’ho mai trovato.
Ecco che io ti assolvo in nome di Dio da ogni peccato e ti benedico per omnia secula secolo-
120 rum.20 Ma ora vorrei chiederti qualche cosa d’altro genere: tu certamente guarirai, ma se,
Dio non voglia, la tua anima così ben disposta e preparata dovesse salire al Cielo, ti dispiace-
rebbe venir sepolto nella chiesa del nostro convento?».
«In nessun altro luogo, padre, vorrei avere sepoltura, perché so che voi pregherete sulla
mia tomba e poi perché sono stato sempre devoto del vostro Ordine. Portatemi subito il san-
125 tissimo corpo di Cristo, che io mi possa comunicare. Poi amministratemi l’estrema unzione,
che abbia a morire da cristiano anche se sono vissuto da peccatore».
I due fratelli, che avevano origliato dietro la porta, erano esterrefatti.
«Che uomo è questo» si dicevano «se né la vecchiaia, né l’infermità e neppure l’immi-
nenza della morte, può fargli paura?». Ma avendo capito che Ciappelletto aveva veramente
230 accomodato le cose in modo da non recar loro alcuna noia, se ne stimarono più che contenti.
Intanto il frate, andatosene al convento, tornò col Santissimo,21 comunicò Ciappelletto
e gli diede l’estrema unzione. Fece appena in tempo, perché il malato prima di notte spirò.
Il frate corse subito al convento a far suonare le campane e spiegò ai suoi confratelli quale
santo uomo era venuto a morire vicino a loro. I confratelli furono d’accordo nel rendere
135 grandi onoranze al defunto e, indossati i piviali,22 andarono in processione a prenderne il
corpo, che deposero davanti all’altare.
Tutto il popolo accorse e il padre che aveva ricevuto la confessione di Ciappelletto, salito
sul pergamo,23 parlò della vita esemplare del morto, dei suoi digiuni, della sua santa ingenu-
ità ed innocenza. Raccontò l’episodio della madre che il poveretto credeva di aver offeso e
140 tuonò: «E voi, maledetti da Dio, bestemmiate per cose da nulla non solo Dio e la Madre sua,
ma tutta la corte del paradiso!».
Si sparse tanto la fama della santa vita e della santa morte di Ciappelletto, che cominciò
ad accorrer gente al convento anche da lontano. Chi gli baciava le mani, chi i piedi, chi gli
strappava i panni di dosso per farne reliquie.
18 mala: cattiva. 21 Santissimo: si tratta dell’ostia consa- davanti sul petto con un fermaglio. Il ter-
19 contrizione: rimorso, pentimento. crata. mine viene dal latino pluviale = ‘mantello da
20 per omnia...seculorum: per tutti i secoli dei 22 piviali: sono le vesti che i sacerdoti indos- pioggia’.
secoli. Con questa formula terminano molte sano durante la cerimonia liturgica; esse 23 pergamo: pulpito.
preghiere in latino. sono dei mantelli che vengono tenuti sul
393
PARTE PRIMA Il Medioevo
INTERPRETAZIONE Una lezione di relativismo In questa novella Boccaccio mette in evidenza le contraddizioni
E COMMENTO della Chiesa, che pretende di non sbagliare mai facendosi portavoce di una verità assoluta.
D’altra parte, anche i fedeli sono segnati da una credulità ingenua e ridicola, che li porta a san-
tificare un imbroglione. Di fronte ai limiti del giudizio umano, avanza il relativismo di Boccac-
cio: l’uomo non può, con la sola ragione, cogliere una verità che coinvolge anche il piano
divino, ma può solo fare ipotesi e congetture.
Troviamo traccia di questo relativismo anche nella caratterizzazione di Ciappelletto, in cui si
coglie una irriducibile ambiguità. Indubbiamente Ciappelletto è un uomo malvagio, tuttavia non
è privo di grandezza nella sua fredda e calcolata beffa al confessore. Inoltre, la recita che egli
mette in scena è mossa anche da un senso di gratitudine per i due usurai che l’hanno ospi-
tato, e di responsabilità nei confronti degli italiani che abitano in Francia e che potrebbero
venire danneggiati dalla sua morte senza conforti religiosi. Si apre perciò un conflitto delle
interpretazioni: Ciappelletto solo cattivo o anche, in qualche modo, buono?
Questa lezione di relativismo implicita nella novella costituisce un elemento di grande inte-
resse, che risulta probabilmente meglio comprensibile al lettore moderno che non ai contem-
poranei di Boccaccio: la modernità ha infatti insistito da ogni punto di vista sulla precarietà
della verità e dei valori. In particolare, l’idea che le parole possano nascondere un meccani-
smo ingannevole, profondamente innovativa nel tempo in cui la novella è stata scritta, risulta
largamente diffusa nella cultura degli ultimi due secoli.
394
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
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Il ser Ciappelletto di Muscetta
L’inopportuna canonizzazione [: santificazione] e gli
4. Lingua e lessico Abbiamo presentato la novella
nella versione in italiano moderno elaborata da Piero opinabili miracoli non voluti certo da ser Ciappelletto
Chiara. Individua nel testo almeno cinque espressioni inquadrano un exemplum il cui contenuto non è certo
che certamente Boccaccio non avrebbe potuto usare dantesco. La cupiditas [‘cupidigia’], proprio perché è dive-
perché tipiche del nostro italiano contemporaneo. nuta «ragione di mercatura» (Branca), diviene la legge di
un mondo estetico e morale considerato nella sua logica
INTERPRETAZIONE E COMMENTO autonoma, dove la religione ha una dimensione di carat-
5. Spiega in quale senso si può cogliere nella novella tere sociale, fa parte del «convenevole»: il ben morire è
un doppio rovesciamento, che coinvolge sia il protago- non meno importante del ben vivere […]. Il novellatore
nista sia il frate confessore. ne può ricavare un lieto exemplum alla rovescia […]. Que-
6. Sintetizzare Il carattere ambiguo di ser Ciappel- sta religiosità non vuole essere né cinica né bigotta. È una
letto ha dato origine a un conflitto delle interpretazio- morale borghese, spregiudicata, serena.
ni, come si coglie dalle diverse letture del personaggio C. Muscetta, Boccaccio, Laterza, Roma-Bari 1992.
fornite da Branca e Muscetta. Riportiamo di seguito
i giudizi dei due studiosi, che risultano contrapposti. La tesi in breve:
Sintetizza in una frase-chiave le rispettive posizioni.
Il ser Ciappelletto di Branca
E allora anche il famoso bieco ritratto di Ciappelletto, che
apre la novella […] è premessa coerente e necessaria alla
enorme, calcolata empietà che è al centro del racconto; e
395
PARTE PRIMA Il Medioevo
Nella terza novella della Prima giornata del Decameron un ricco usuraio ebreo di nome Melchisedech racconta
la parabola dei tre anelli come risposta alla domanda-trappola che il principe musulmano Saladino gli pone,
cercando di estorcergli del denaro: «Vorrei sapere da te qual è la fede più vera, se quella ebrea, musulmana o
cristiana?». L’ebreo trova nel racconto un geniale modo per evitare l’intolleranza del suo interlocutore, lascian-
dolo nel dubbio sul primato di una delle tre grandi religioni. Dopo aver ascoltato questa parabola, il Saladino
riconosce l’intelligenza di Melchisedech e gli risparmia il processo che voleva intentargli. Alla fine i due stringo-
no un’eterna ed esemplare amicizia. Boccaccio celebra così una nuova cultura laica, prendendo le distanze
da una concezione religiosa rigida e dogmatica ( Temi di cittadinanza, Dialogo e tolleranza, p. 400).
I TEMI tolleranza e laicità
Il Saladino,1 il valore del quale fu tanto, che non solamente di piccolo uomo il fé di Babillo-
nia soldano, ma ancora molte vittorie sopra li re saracini e cristiani gli fece avere, avendo in
diverse guerre e in grandissime sue magnificenze speso tutto il suo tesoro e per alcuno acci-
dente sopravenutogli bisognandogli una buona quantità di denari, né veggendo donde così
5 prestamente come gli bisognavano avergli potesse, gli venne a memoria un ricco giudeo, il
cui nome era Melchisedech, il quale prestava a usura in Alessandria. E pensossi costui avere
da poterlo servire, quando volesse, ma sì era avaro che di sua volontà non l’avrebbe mai fat-
to, e forza non gli voleva fare; per che, strignendolo il bisogno, rivoltosi tutto a dover trovar
modo come il giudeo il servisse, s’avisò di fargli una forza da alcuna ragion colorata. E fattolsi
10 chiamare e familiarmente ricevutolo, seco il fece sedere e appresso gli disse: «Valente uomo,
io ho da più persone inteso che tu se’ savissimo e nelle cose di Dio senti molto avanti; e per ciò
io saprei volentieri da te quale delle tre leggi tu reputi la verace, o la giudaica o la saracina o
la cristiana». Il giudeo, il quale veramente era savio uomo, s’avisò troppo bene che il Saladino
guardava di pigliarlo nelle parole per dovergli muovere alcuna quistione, e pensò non potere
15 alcuna di queste tre più l’una che l’altre lodare, che il Saladino non avesse la sua intenzione.
Per che, come colui il qual pareva d’aver bisogno di risposta per la quale preso non potesse
essere, aguzzato lo ’ngegno, gli venne prestamente avanti quello che dir dovesse; e disse:
PARAFRASI
Il Saladino, che grazie al suo valore non solo divenne, da sovvenzionasse, decise (s’avisò) di fagli una violenza
uomo di umile condizione [qual era], sultano di Babilo- che avesse una qualche apparenza (colorata) di ragione.
nia, ma ottenne anche molte vittorie sui re musulmani e E fattolo chiamare e ricevutolo amichevolmente, lo fece
cristiani, avendo speso tutto il suo patrimonio in diverse sedere con sé e poi gli disse: «Uomo di valore, molti mi
guerre e in grandissimi atti di generosità (magnificen- hanno detto che tu sei molto addentro nella conoscenza
ze), e poiché, per un caso imprevisto che gli era capitato, delle cose di Dio; perciò mi piacerebbe sapere da te quale
aveva bisogno di una considerevole quantità di denaro, e delle tre religioni (leggi) tu reputi quella vera fra l’ebrai-
non vedendo da dove poterla ricavare così rapidamente ca, la musulmana e la cristiana». L’ebreo, che veramente
come gli serviva di averla, si ricordò di un ricco ebreo, di era un uomo saggio, si accorse [fin] troppo bene che il Sa-
nome Melchisedech, il quale praticava l’usura ad Ales- ladino pensava (guardava) di coglierlo in fallo nella ri-
sandria, e pensò che questi possedesse (avere) [abba- sposta (pigliarlo nelle parole) per potergli muovere
stanza denaro] da poterglielo prestare (servire), se aves- qualche accusa (quistione), e capì di non poter lodare
se voluto; ma [Melchisedech] era così avaro che non lo nessuna di queste tre [religioni] più delle altre, [senza]
avrebbe mai fatto di sua volontà, e [tuttavia il Saladino] che il Saladino raggiungesse il suo scopo. Perciò, aguzza-
non voleva costringerlo; per cui, poiché la necessità era to l’ingegno, sapendo di aver bisogno di una risposta che
urgente (strignendolo il bisogno), essendosi intera- non lo mettesse in trappola (per la quale… essere), gli
mente dedicato a cercare un modo affinché l’ebreo lo balenò subito in mente quello che doveva dire, e disse:
1 Il Saladino: forma italianizzata del tito- re Gerusalemme nel 1187, sconfiggendo i cio, lo ricordano Dante (che lo colloca nel
lo onorifico arabo Salah-ad-Din, conferito crociati. In tutto il Medioevo ebbe fama di Limbo) e Petrarca. Di lui si parla anche nel
a Yusuf idn Ayyud (1137-1193), sultano uomo saggio e accorto, benevolo e cortese Novellino.
d’Egitto e di Siria che riuscì a riconquista- anche verso i suoi nemici. Oltre a Boccac-
396
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
«Signor mio, la quistione la qual voi mi fate è bella, e a volervene dire ciò che io ne sento mi vi
convien dire una novelletta,2 qual voi udirete. Se io non erro, io mi ricordo aver molte volte udito
20 dire che un grande uomo e ricco fu già, il quale, intra l’altre gioie più care che nel suo tesoro avesse,
era uno anello3 bellissimo e prezioso; al quale per lo suo valore e per la sua bellezza volendo fare
onore e in perpetuo lasciarlo ne’ suoi discendenti, ordinò che colui de’ suoi figliuoli appo il quale,
sì come lasciatogli da lui, fosse questo anello trovato, che colui s’intendesse essere il suo erede e
dovesse da tutti gli altri esser come maggiore onorato e reverito. E colui al quale da costui fu lascia-
25 to tenne simigliante ordine ne’ suoi discendenti, e così fece come fatto avea il suo predecessore; e
in brieve andò questo anello di mano in mano a molti successori, e ultimamente pervenne alle
mani a uno il quale avea tre figliuoli belli e virtuosi e molto al padre loro obedienti, per la qual cosa
tutti e tre parimente gli amava. E i giovani, li quali la consuetudine dello anello sapevano, sì
come vaghi ciascuno d’essere il più onorato tra’ suoi, ciascun per sé, come meglio sapeva,
30 pregava il padre, il quale era già vecchio, che quando a morte venisse a lui quello anello lasciasse.
Il valente uomo, che parimente tutti gli amava né sapeva esso medesimo eleggere a quale più
tosto lasciar lo volesse, pensò, avendolo a ciascun promesso, di volergli tutti e tre sodisfare: e
segretamente a un buon maestro ne fece fare due altri, li quali sì furono simiglianti al primie-
ro, che esso medesimo che fatti gli aveva fare appena conosceva qual si fosse il vero; e venen-
35 do a morte, segretamente diede il suo a ciascun de’ figliuoli. Li quali, dopo la morte del padre,
volendo ciascuno la eredità e l’onore occupare e l’uno negandola all’altro, in testimonianza di
dover ciò ragionevolmente fare ciascuno produsse fuori il suo anello; e trovatisi gli anelli sì
simili l’uno all’altro, che qual fosse il vero non si sapeva cognoscere, si rimase la quistione,
qual fosse il vero erede del padre, in pendente: e ancor pende. E così vi dico, signor mio, delle
40 tre leggi alli tre popoli date da Dio padre, delle quali la quistion proponeste: ciascun la sua
eredità, la sua vera legge e i suoi comandamenti dirittamente si crede avere e fare, ma chi se
l’abbia, come degli anelli, ancora ne pende la quistione».
«Signor mio, la domanda (quistione) che mi ponete è in- migliore possibile, pregava il padre – che era già vecchio
teressante, e per dire ciò che ne penso, mi conviene rac- – che quando fosse morto lasciasse a lui quell’anello. Il
contarvi una breve novella, che voi ascolterete. Se la me- valoroso uomo, che li amava tutti allo stesso modo, né
moria non m’inganna (Se io non erro), ricordo di aver sapeva a quale dei tre lo dovesse lasciare a preferenza
sentito dire spesso che visse (fu già) un uomo grande e degli altri (più tosto), pensò, avendolo promesso a cia-
ricco, il quale, fra i gioielli più preziosi che teneva nel scuno [dei figli], di poterli accontentare tutti e tre; e in
suo tesoro, aveva un anello bellissimo e prezioso; e vo- segreto ne fece fare due copie a un bravo orafo (mae-
lendogli attribuire grande importanza (fare onore) per stro), le quali risultarono talmente somiglianti all’origi-
il suo valore e per la sua bellezza e tramandarlo per sem- nale, che egli stesso che le aveva fatte fabbricare ricono-
pre ai suoi discendenti, ordinò che quello tra i suoi figli sceva a malapena quale fosse l’originale. Ed essendo sul
presso (appo) il quale fosse stato trovato questo anello, punto di morte, in segreto [il padre] consegnò il suo
essendogli stato donato da lui, proprio quel [figlio] fosse [anello] a ciascuno dei tre figli. Essi, dopo la morte del
considerato suo erede e dovesse essere onorato e riveri- padre, volendo ciascuno accaparrarsi l’eredità e l’onore,
to da tutti gli altri come capofamiglia (maggiore). E co- e poiché ciascuno le negava agli altri, ognuno tirò fuori il
lui al quale fu lasciato [l’anello] da quest’uomo manten- proprio anello quale prova di aver diritto a fare ciò. E ve-
ne la stessa consuetudine nei confronti dei suoi discen- dendo gli anelli così simili l’uno all’altro, [tanto] che non
denti e si comportò proprio come aveva fatto il suo pre- si poteva riconoscere quale fosse l’originale, la questio-
decessore [: suo padre]; e, per farla breve (in brieve), ne su quale fosse il vero erede del padre rimase aperta:
questo anello passò di mano in mano a molti successori; ed è tuttora aperta. E la stessa cosa, signor mio, vale per
e per ultimo giunse tra le mani di uno che aveva tre figli, le tre religioni date da Dio padre ai tre popoli [diversi],
belli e buoni e molto obbedienti, motivo per cui egli riguardo alle quali mi avete posto il problema: ciascuno
amava tutti e tre in uguale misura. E i giovani, che cono- [dei popoli] è persuaso a buon diritto di avere e di com-
scevano la tradizione [familiare] dell’anello, essendo piere la sua eredità, la sua vera legge e i suoi comanda-
ciascuno [di essi] desideroso di essere riconosciuto pri- menti; ma rimane ancora aperta la questione su chi [tra
mo fra gli altri, ognuno per conto proprio, nella maniera loro] effettivamente l’abbia, come nel caso degli anelli».
2 dire una novelletta: qui si può notare la ron: Melchisedech, da personaggio di una 3 uno anello: l’anello era nel Medioevo un
struttura narrativa “a incastro” del Decame- novella, diventa lui stesso un novellatore. simbolo di riconoscimento e di autorità.
397
PARTE PRIMA Il Medioevo
Il Saladino conobbe costui ottimamente esser saputo uscire del laccio il quale davanti a’
piedi teso gli aveva, e per ciò dispose d’aprirgli il suo bisogno e vedere se servire il volesse; e
45 così fece, aprendogli ciò che in animo avesse avuto di fare, se così discretamente, come fatto
avea, non gli avesse risposto. Il giudeo liberamente d’ogni quantità che il Saladino il richiese il
servì, e il Saladino poi interamente il sodisfece; e oltre a ciò gli donò grandissimi doni e sem-
pre per suo amico l’ebbe e in grande e onorevole stato appresso di sé il mantenne.
G. Boccaccio, Decameron, cit.
Il Saladino riconobbe che costui [: Melchisedech] era avesse risposto così saggiamente come aveva fatto.
riuscito a uscire benissimo dalla trappola (laccio) che L’ebreo spontaneamente sovvenzionò il Saladino di
egli gli aveva teso davanti ai piedi, e perciò decise di tutto il denaro che gli chiese; e il Saladino, in seguito,
manifestargli [apertamente] il suo bisogno [di denaro] gli restituì (il sodisfece) per intero la somma dovuta; e
e verificare se [Melchisedech] volesse sovvenzionarlo; oltre a questo gli fece grandissimi doni e lo considerò
e così fece, rivelandogli ciò che in cuor suo avrebbe suo amico e lo tenne presso di sé in elevata e onorevole
avuto intenzione di fare, se [Melchisedech] non gli condizione.
ANALISI Un “racconto nel racconto” Come si è visto, la struttura del Decameron somiglia a un
gioco a incastro. La parabola dei tre anelli è un celebre esempio di “racconto nel racconto”:
all’interno della novella narrata da Filomena, vediamo l’ebreo Melchisedech raccontare la sto-
ria del padre e dei tre figli.
398
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
LABORATORIO DI SCRITTURA
IL RIASSUNTO
Per la stesura del riassunto di questa novella, procediamo attraverso tre tappe: riconoscimento dei punti
chiave, individuazione delle sequenze, composizione del testo. Ricordiamo che per scrivere il riassunto è utile
riferirsi alla parafrasi, che traduce il racconto originale in un linguaggio più accessibile. Nel riassunto vengono
conservati gli elementi essenziali della storia, mentre sono trascurati i particolari ed evitati i commenti perso-
nali. Il discorso diretto viene trasformato in indiretto.
Indichiamo di seguito la divisione in sequenze e una proposta di sintesi. Completa tu l’esercizio secondo
quanto richiesto.
Le sequenze
I. (rr. 1-9): il Saladino ha bisogno di denaro e pensa perciò di rivolgersi all’usuraio ebreo Melchisedech. Esco-
gita uno stratagemma per ottenere il prestito necessario.
II. (rr. 9-17): il Saladino pone a Melchisedech la controversa questione su quale sia la vera religione tra
l’ebraica, la musulmana e la cristiana. Il saggio giudeo non si fa mettere in trappola.
III. (rr. 18-39): in risposta, Melchisedech racconta una novella: un ricco uomo possedeva un anello prezioso
che lasciava in eredità al migliore dei figli. Quando l’anello perviene a un padre con tre figli ugualmente
virtuosi, egli ne ordina due copie per lasciare un gioiello a ciascun figlio. Resta quindi aperta la questione
su chi sia il vero erede.
IV. (rr. 39-42): la stessa conclusione vale per le tre grandi religioni: non si sa quale sia la vera erede di Dio
padre.
V. (rr. 43-48): il Saladino apprezza la saggia risposta e racconta la verità sul proprio bisogno di denaro.
Melchisedech concede il prestito e diviene amico del Saladino.
Il riassunto
Il Saladino era un uomo valoroso, sultano di Babilonia e comandante vittorioso. Avendo bisogno di denaro,
pensò di rivolgersi a Melchisedech, un ricco giudeo che praticava l’usura ad Alessandria. Convinto che l’avaro
Melchisedech non avrebbe acconsentito al prestito, pensò di tendergli una trappola sottoponendogli un que-
sito di difficile soluzione: gli domandò quale fosse la vera religione tra l’ebraica, la musulmana e la cristiana.
Per non farsi cogliere in fallo, Melchisedech fornì una saggia risposta attraverso una novella. Egli raccontò la
storia di un uomo ricco che aveva tra i suoi averi un prezioso anello, da destinare al figlio riconosciuto come
degno erede. La pratica continuò tra i successori, finché il gioiello capitò a un uomo che aveva tre figli ugual-
mente meritevoli. Fece fare perciò due copie dell’anello così che alla sua morte lasciò l’eredità a tutti e tre i
suoi figli. Essi non poterono stabilire quale fosse il vero anello e dunque il vero erede. Melchisedech stabilisce
un collegamento tra questa vicenda e la questione posta dal Saladino: anche rispetto alle tre grandi religioni,
non si sa quale sia la vera erede di Dio padre. L’arguta risposta del giudeo è apprezzata dal Saladino, che con-
fessa il proprio bisogno di denaro. Melchisedech concede il prestito ed è ricompensato dal Saladino in soldi,
onori e amicizia.
Prova tu a fare un riassunto più condensato della novella. Riduci il testo a 7-8 righe.
Ora invece arricchisci il primo riassunto elaborando un testo di una ventina di righe.
399
PARTE PRIMA Il Medioevo
TEMI DI CITTADINANZA
Alighiero Boetti,
Mappa del mondo,
arazzo, 1989-94.
DIALOGO
E TOLLERANZA
Il relativismo Il mondo di Boccaccio risulta ormai pienamente laico: nel Decameron il centro di interes-
(anche) religioso se è la realtà terrena, animata da luoghi e personaggi descritti con realismo. Anche il
di Boccaccio tema religioso è prevalentemente affrontato dal “lato umano” e dà vita a una divertente
e acuta polemica antiecclesiastica contro le facili santificazioni (cfr. la novella di Ciappel-
letto; T2, p. 390), la corruzione dei chierici e soprattutto l’ipocrita condanna delle pulsio-
ni naturali (cfr. la novella della badessa e le brache; T12, p. 458). Per quanto riguarda il
terreno vero e proprio della fede, è possibile solo un atteggiamento di relativismo, come
quello che si coglie nella novella di Melchisedech e il Saladino, in cui si mettono sullo
stesso piano la religione cristiana, quella musulmana e quella ebraica.
Una lezione «Dialogo significa porsi in discussione; battersi per le proprie idee, ma disposti, in via di
per il presente: principio, a lasciarsi convincere, se le tesi dell’avversario risultassero logicamente più
dialogo fondate e umanamente più autentiche»: sono parole dello scrittore Claudio Magris
e tolleranza (1939) e possono riferirsi anche alla novella appena letta per coglierne l’attualità. Il Sala-
dino, inizialmente fermo sulle proprie ragioni, riconosce infine la profonda saggezza con-
tenuta nella parabola raccontata dall’ebreo: tra i due personaggi si stabilisce, perciò, un
vero dialogo. Nel testo che proponiamo di seguito, Claudio Magris sostiene che ai nostri
giorni, nell’era della globalizzazione, la tolleranza si pone alla coscienza «con un’urgenza
mai prima conosciuta nella storia». Quindi ancora più che all’epoca di Boccaccio.
Claudio Magris
Le frontiere del dialogo
Nel settembre 1988 ho fatto un viaggio in Olanda. Un giorno mi sono trovato all’Aia. Credo
fosse una domenica. Nella grande piazza c’era una specie di festa o di fiera universale della tol-
leranza. Innumerevoli padiglioni, stand, banchi, chioschi, baracchini affiancati l’uno all’altro
esibivano, offrivano, predicavano, diffondevano ognuno il proprio Verbo […]. Partiti politici,
1 sciorinavano: mettevano in chiese, associazioni, club, movimenti, gruppi sciorinavano1 diverse e talora opposte ricette di
mostra.
2 Lessing: Gotthold Ephraim salvezza spirituale, fisica, sociale, metafisica, sessuale, culturale, gastronomica. […]
Lessing (1729-1781), scrittore Dialogo e tolleranza possono essere considerati quasi sinonimi. In quella piazza si avver-
tedesco, ha ripreso in Nathan il tiva, quasi fisicamente, che la verità non può mai essere il dominio e l’imposizione di una
saggio la parabola dei tre anelli
per esporre i suoi ideali di solida- sola dottrina, che non si ponga in discussione e non ammetta il dialogo paritetico con opi-
rietà e tolleranza. nioni diverse, ma può essere solo, come insegna Lessing,2 un incessante confronto, ossia un
400
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
dialogo, e un’incessante ricerca. […] Lo spettacolo di quella tolleranza esposta in piazza sug-
TEMI DI CITTADINANZA
geriva inoltre anche altri sentimenti, meno solenni e meno alti, ma egualmente liberatori e
inoltre amabili. Da quei chioschi non si proclamavano soltanto grandi credi religiosi e poli-
tici, messaggi di salvezza, cose ultime della vita e dell’uomo. Si sbandieravano anche manie
bislacche, unguenti miracolosi, miti, deliri, comiche finzioni, passioni eccentriche. […]
Tolleranza significa pure questa libertà d’espressione anche nelle cose apparentemente
piccole o minime […]. La vita è pure un circo in cui siamo tutti dei clown e tolleranza signi-
fica anche recitare a canovaccio,3 rispettare le improvvisazioni proprie e altrui e accettare
che chi recita con noi cambi inaspettatamente battuta e risponda, per esempio, con una ri-
cetta culinaria a una dichiarazione d’amore. […]
La tolleranza ovvero il dialogo e le sue contraddizioni costituiscono un problema univer-
sale, che si pone oggi alla coscienza – e anche alla legislazione – con un’urgenza mai prima
conosciuta nella storia. Sotto questo profilo, la nostra cultura appare forse impreparata alle
sconvolgenti trasformazioni del mondo che investono la nostra vita, la nostra società, i no-
stri valori. In questi enormi cambiamenti non ci sono più, come in passato, culture compat-
te, chiuse in se stesse e nell’edificio dei propri valori di altre culture. Oggi le civiltà si sposta-
no e si mescolano, popoli e stirpi lontane s’incontrano e le loro visioni del mondo – religio-
se, politiche, sociali – vivono fianco a fianco, come quelle baracche all’Aia […]. È un processo
che arricchisce le nostre culture e insieme desta paure e ossessioni di difesa. Nella globaliz-
zazione ogni identità si sente minacciata, teme di dissolversi e sparire, e allora esaspera la
propria particolarità, ne fa una diversità assoluta e selvaggia, un idolo che, come tutti gli
idoli, spinge facilmente alla violenza e al sacrificio di sangue. […]
Dialogo significa porsi in discussione; battersi per le proprie idee, ma disposti, in via di
principio, a lasciarsi convincere, se le tesi dell’avversario risultassero logicamente più fonda-
te e umanamente più autentiche. Ma ciò implica una scelta a priori – prima dell’inizio del
dialogo – delle posizioni con cui si è disposti a dialogare, per combatterle ma riconoscendo
loro pari dignità […]. Ma ci si può trovare – e ci si è trovati e ci si troverà – in situazioni che
impediscono, moralmente, di transigere4 e di dialogare, di tollerare. […]
La democrazia, che è figlia della tradizione occidentale e ne costituisce l’essenza, consiste
nello sforzo continuo e mai definitivo di distinguere fra le posizioni, anche duramente con-
trapposte ma aventi il diritto di affrontarsi su un piano di parità, e le posizioni che, dolorosa-
mente, devono venire escluse da questo libero dialogo, così come si permette a una formazio-
ne politica di propugnare l’economia pubblica e quella privata, ma non la persecuzione o la
3 recitare a canovaccio: cioè segregazione5 razziale. Questo rifiuto è doloroso, perché è sempre doloroso escludere uomini
improvvisare le battute. o idee dal dialogo, ma è inevitabile. Ovviamente ognuno di noi potrebbe incorrere in queste
4 transigere: scendere a patti.
5 segregazione: discrimina- aberrazioni, perché le diversità inaccettabili non arrivano necessariamente più da oltremare o
zione. da altri continenti che da casa nostra; […] Auschwitz l’abbiamo creata noi europei.
C. Magris, La storia non è finita. Etica, politica, laicità, Garzanti, Milano 2006.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Riassumi il contenuto essenziale del testo, mettendone in evidenza gli snodi argomentativi.
2. Perché l’autore sostiene che «Dialogo e tolleranza possono essere considerati quasi sinonimi»?
3. La mescolanza di civiltà, popoli e stirpi costituisce un arricchimento per le culture ma può, a parere di Ma-
gris, generare anche dei rischi. Quali?
4. Quali sono, secondo l’autore, i presupposti da cui partire per realizzare un dialogo proficuo tra posizioni differenti?
PRODUZIONE
Il dialogo è un esercizio quotidiano: bisogna allenarsi con questioni minime per saper cogliere i grandi problemi
del mondo. Analogamente, la tolleranza si coglie «anche nelle cose apparentemente piccole o minime». In base
alla tua esperienza, consideri diffuso l’atteggiamento di apertura al dialogo e di tolleranza? In quali contesti ritie-
ni che sia più facile trovare interlocutori pronti a dialogare proficuamente? La scuola è uno di questi? Perché?
Esprimi il tuo parere argomentando adeguatamente.
401
T4
TESTO GUIDA Andreuccio da Perugia
dal testo [II, 5]
alla biografia
alla poetica
al pensiero
all’epoca
al presente
Narrata da Fiammetta, la novella di Andreuccio da Perugia è la quinta della Seconda giornata, dedicata al
potere della fortuna e ad avventure a lieto fine. La storia è ambientata a Napoli, dove il mercante Andreuc-
cio si reca per un traffico di cavalli. La vivacità di una notte d’estate napoletana – animata da ladri e pro-
stitute – serve da sfondo realistico per un racconto in cui le avventure si susseguono con un ritmo incal-
zante: il protagonista, dapprima ingannato e derubato da una giovane siciliana, si unisce poi a una coppia
di ladri, impossessandosi, infine, di un prezioso rubino.
I TEMI fortuna e ingegno
Fu, secondo che io già intesi, in Perugia un giovane il cui nome era Andreuccio di Pietro, coz-
zone di cavalli; il quale, avendo inteso che a Napoli era buon mercato di cavalli, messisi in
borsa cinquecento fiorin d’oro, non essendo mai più fuori di casa stato, con altri mercatanti
là se n’andò: dove giunto una domenica sera in sul vespro, dall’oste suo informato la seguente
5 mattina fu in sul Mercato, e molti ne vide e assai ne gli piacquero e di più e più mercato tenne,
né di niuno potendosi accordare, per mostrare che per comperar fosse, sì come rozzo e poco
cauto più volte in presenza di chi andava e di chi veniva trasse fuori questa sua borsa de’ fiorini
che aveva.
E in questi trattati stando, avendo esso la sua borsa mostrata, avvenne che una giovane
10 ciciliana bellissima, ma disposta per piccol pregio a compiacer a qualunque uomo, senza ve-
derla egli, passò appresso di lui e la sua borsa vide e subito seco disse: «Chi starebbe meglio di
me se quegli denari fosser miei?» e passò oltre. Era con questa giovane una vecchia similmen-
te ciciliana, la quale, come vide Andreuccio, lasciata oltre la giovane andare, affettuosamen-
te corse a abbracciarlo: il che la giovane veggendo, senza dire alcuna cosa, da una delle parti
15 la cominciò a attendere. Andreuccio, alla vecchia rivoltosi e conosciutala, le fece gran festa,
PARAFRASI
Viveva a Perugia, per quel che ne udii, un giovane di nome borsa contenente i fiorini davanti a chi andava e a chi ve-
Andreuccio di Pietro, mercante (cozzone) di cavalli; che, niva. E, impegnato nelle trattative, mentre continuava a
avendo saputo che a Napoli c’era un buon mercato di ca- mostrare la borsa, avvenne che una siciliana, giovane e
valli, dopo aver messo in borsa cinquecento fiorini d’oro, molto bella, disposta per poco prezzo (pregio) a darsi a
senza mai essere stato prima fuori casa, si recò là con altri qualunque uomo, senza che lui la vedesse, gli passò ac-
mercanti. Giunto a Napoli una domenica sera verso l’ora canto e, vedendo la sua borsa, subito disse fra sé: «Chi sta-
del tramonto, dopo aver preso informazioni dall’alberga- rebbe meglio di me se quei soldi fossero miei?» e passò
tore, la mattina seguente si recò nella piazza del mercato, oltre. Insieme a questa giovane, c’era una vecchia, pure
e vide molti cavalli, molti gliene piacquero e per molti en- lei siciliana, che, non appena vide Andreuccio, lasciata
trò in trattative (mercato tenne), ma non riuscendo a tro- andare oltre la giovane, corse ad abbracciarlo affettuosa-
varsi d’accordo [per l’acquisto] di nessun [cavallo], per mente: vedendo ciò, la giovane, senza dire niente, la at-
provare che era [intenzionato] a comprare, [comportan- tese in disparte. Andreuccio, rivolto lo sguardo verso la
dosi] da persona inesperta e poco avveduta, tirava fuori la vecchia e avendola riconosciuta, la salutò festosamente;
402
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
e promettendogli essa di venire a lui all’albergo, senza quivi tenere troppo lungo sermone, si
partì: e Andreuccio si tornò a mercatare ma niente comperò la mattina. La giovane, che prima
TESTO GUIDA
la borsa d’Andreuccio e poi la contezza della sua vecchia con lui aveva veduta, per tentare se
modo alcuno trovar potesse a dovere aver quelli denari, o tutti o parte, cautamente incominciò
20 a domandare chi colui fosse o donde e che quivi facesse e come il conoscesse. La quale ogni cosa
così particularmente de’ fatti d’Andreuccio le disse come avrebbe per poco detto egli stesso, sì
come colei che lungamente in Cicilia col padre di lui e poi a Perugia dimorata era, e similmente
le contò dove tornasse e perché venuto fosse.
La giovane, pienamente informata e del parentado di lui e de’ nomi, al suo appetito fornire
25 con una sottil malizia, sopra questo fondò la sua intenzione; e a casa tornatasi, mise la vecchia
in faccenda per tutto il giorno acciò che a Andreuccio non potesse tornare; e presa una sua fan-
ticella, la quale essa assai bene a così fatti servigi aveva ammaestrata, in sul vespro la mandò
all’albergo dove Andreuccio tornava.
La qual, quivi venuta, per ventura lui medesimo e solo trovò in su la porta e di lui stesso il do-
30 mandò. Alla quale dicendole egli che era desso, essa, tiratolo da parte, disse: «Messere, una gentil
donna di questa terra, quando vi piacesse, vi parleria volentieri». Il quale vedendola, tutto postosi
mente e parendogli essere un bel fante della persona, s’avvisò questa donna dover di lui essere in-
namorata, quasi altro bel giovane che egli non si trovasse allora in Napoli,1 e prestamente rispose
che era apparecchiato e domandolla dove e quando questa donna parlar gli volesse.
35 A cui la fanticella rispose: «Messere, quando di venir vi piaccia, ella v’attende in casa sua».
Andreuccio presto, senza alcuna cosa dir nell’albergo, disse: «Or via mettiti avanti, io ti
verrò appresso».
Laonde la fanticella a casa di costei il condusse, la quale dimorava in una contrada chia-
mata Malpertugio,2 la quale quanto sia onesta contrada il nome medesimo il dimostra.
e la vecchia, dopo avergli promesso di andarlo a trovare in trovare Andreuccio; e, chiamata una giovane cameriera
albergo, se ne andò, senza dilungarsi nelle chiacchiere (fanticella) abituata a simili servizi, la mandò all’alber-
(senza… sermone). La giovane, che aveva notato prima go dove alloggiava Andreuccio. Essa, arrivata all’albergo,
la borsa di Andreuccio e poi la familiarità della sua do- per caso trovò Andreuccio da solo sulla porta e gli do-
mestica con lui, per capire se ci fosse stato un modo per mandò [notizie] di lui stesso. E quando egli le rispose di
impossessarsi di tutti o di una parte dei soldi, con pru- essere proprio lui (desso: esso) [quello che lei stava cer-
denza incominciò a chiedere [alla vecchia] chi fosse cando], la ragazza lo tirò in disparte e gli disse: «Signore,
l’uomo [che aveva salutato] e da dove [venisse], che co- una nobildonna di questa città vi vorrebbe parlare, se
sa facesse lì [a Napoli] e come lo conoscesse. La vecchia siete d’accordo». Mentre egli la osservava, giudicando
le raccontò dettagliatamente della vita di Andreuccio, [il proprio aspetto] e riconoscendosi un bel giovane,
quasi come avrebbe potuto fare egli stesso, per il fatto pensò che quella nobildonna si fosse innamorata di lui,
che lei era vissuta a lungo con il padre di lui in Sicilia e come se non ci fossero a Napoli altri bei giovani, e subi-
poi a Perugia, e allo stesso modo le disse dove alloggiava to rispose di essere pronto [ad incontrarla] e le domandò
(tornasse) Andreuccio e perché fosse venuto [a Napoli]. dove e quando questa nobildonna voleva parlargli. La ca-
La giovane, adeguatamente informata sui parenti di lui meriera gli rispose: «Signore, quando voi vorrete, lei vi at-
e sui loro nomi, sulla base di queste [informazioni] ela- tende a casa sua». E Andreuccio subito, senza dir niente
borò il suo piano (intenzione), per appagare (fornire) il all’albergatore, disse: «Su via fammi strada, che io ti se-
suo desiderio [di denaro] con una sottile astuzia; e, tor- guirò». Quindi la cameriera lo portò a casa della donna,
nata a casa, impegnò la vecchia in faccende che richie- che abitava in un quartiere chiamato Malpertugio, che
devano tutto il giorno affinché non potesse andare a già dal nome dimostra quanto esso fosse raccomandabile.
403
PARTE PRIMA Il Medioevo
40 Ma esso, niente di ciò sappiendo né suspicando, credendosi in uno onestissimo luogo andare e
a una cara donna, liberamente, andata la fanticella avanti, se n’entrò nella sua casa; e salendo
TESTO GUIDA
su per le scale, avendo la fanticella già la sua donna chiamata e detto «Ecco Andreuccio», la
vide in capo della scala farsi a aspettarlo.
Ella era ancora assai giovane, di persona grande e con bellissimo viso, vestita e ornata assai
45 orrevolemente; alla quale come Andreuccio fu presso, essa incontrogli da tre gradi discese
con le braccia aperte, e avvinghiatogli il collo alquanto stette senza alcuna cosa dire, quasi da
soperchia tenerezza impedita; poi lagrimando gli basciò la fronte e con voce alquanto rotta
disse: «O Andreuccio mio, tu sii il ben venuto!».
Esso, maravigliandosi di così tenere carezze, tutto stupefatto rispose: «Madonna, voi siate
50 la ben trovata!».
Ella appresso, per la man presolo, suso nella sua sala il menò e di quella, senza alcuna altra
cosa parlare, con lui nella sua camera se n’entrò, la quale di rose, di fiori d’aranci e d’altri odori
tutta oliva, là dove egli un bellissimo letto incortinato e molte robe su per le stanghe, secondo
il costume di là, e altri assai belli e ricchi arnesi vide; per le quali cose, sì come nuovo, ferma-
55 mente credette lei dovere essere non men che gran donna.
E postisi a sedere insieme sopra una cassa che appiè del suo letto era, così gli cominciò a par-
lare: «Andreuccio, io sono molto certa che tu ti maravigli e delle carezze le quali io ti fo e delle
mie lagrime, sì come colui che non mi conosci e per avventura mai ricordar non m’udisti. Ma tu
udirai tosto cosa la quale più ti farà forse maravigliare, sì come è che io sia tua sorella; e dicoti
60 che, poi che Idio m’ha fatta tanta grazia che io anzi la mia morte ho veduto alcuno de’ miei fra-
telli, come che io disideri di vedervi tutti, io non morrò a quella ora che io consolata non muoia.
E se tu forse questo mai più non udisti, io tel vo’ dire. Pietro, mio padre e tuo, come io credo che
tu abbi potuto sapere, dimorò lungamente in Palermo, e per la sua bontà e piacevolezza vi fu e è
ancora da quegli che il conobbero amato assai. Ma tra gli altri che molto l’amarono, mia madre,
65 che gentil donna fu e allora era vedova, fu quella che più l’amò, tanto che, posta giù la paura del
padre e de’ fratelli e il suo onore, in tal guisa con lui si dimesticò, che io ne nacqui e sonne3
qual tu mi vedi. Poi, sopravenuta cagione a Pietro di partirsi di Palermo e tornare in Perugia,
Ma Andreuccio, non sapendo né sospettando nulla di ciò, che lei dovesse essere una gran dama. E, messisi a sedere
credendo di trovarsi in un luogo onestissimo e presso una insieme su una cassapanca che si trovava ai piedi del letto,
donna rispettabile, tranquillamente seguì la cameriera la donna cominciò a parlargli in questo modo. «Andreuc-
ed entrò in casa; e, mentre saliva le scale, poiché la came- cio, certamente tu ti meravigli delle carezze che ti faccio
riera aveva annunciato l’arrivo di Andreuccio alla padro- e delle mie lacrime, poiché non mi conosci né per caso
na, vide la donna ad aspettarlo in cima ai gradini. Essa era sentisti mai parlare di me. Ma tu sentirai presto una cosa
ancora molto giovane, alta e con un bellissimo viso, vesti- che ti farà ancor di più meravigliare, cioè che io sono tua
ta con molta eleganza (orrevolemente: onorevolmente); sorella; e ti dico che, poiché Dio mi ha concesso la grazia
e quando Andreuccio le fu vicino, lei gli andò incontro di conoscere prima di morire uno dei miei fratelli – così
con le braccia aperte scendendo tre gradini, e abbraccian- come io desidero di vederli tutti – io, ormai, qualunque
dolo al collo stette per un po’ in silenzio, come se fosse so- sia l’ora in cui dovrò morire, non potrò che morire conso-
praffatta da eccessiva (soperchia) commozione; poi pian- lata. E, sebbene forse tu non sapessi niente [della mia esi-
gendo gli baciò la fronte e con voce rotta [dal pianto] gli stenza], io ti voglio raccontare [come sono andate le co-
disse: «O Andreuccio mio, tu sia il benvenuto!». Egli, stu- se]. Pietro, nostro padre, come probabilmente tu saprai,
pito di così tenere carezze, rispose: «Signora, voi siate la abitò per molto tempo a Palermo, e, grazie alla sua bontà
bentrovata!». Poi lei, presolo per mano, lo portò di sopra e alla sua amabilità fu – ed è ancora – molto amato da colo-
nel suo salone e da lì, senza dire niente, entrò con lui ro che lo conobbero. Ma, fra tutti coloro che lo amarono,
nella sua camera, che profumava (oliva) tutta di rose, di mia madre, che era una gentildonna rimasta in quel tem-
fiori d’arancio e di altri profumi, là dove egli vide un bel- po vedova, lo amò più di tutti, tanto che, messa da parte la
lissimo letto a baldacchino (incortinato) e molti abiti ap- paura del padre e dei fratelli e [la preoccupazione] per il
pesi sulle traverse (stanghe), secondo l’usanza di quella suo onore, entrò in tale intimità con lui (si dimesticò)
città, e molti altri ricchi e begli arredi (arnesi); e al vedere che sono nata io; ed eccomi qua, come tu mi vedi. Poi,
tutto ciò, inesperto com’era (sì come nuovo), credette dovendo Pietro lasciare Palermo per tornare a Perugia,
3 sonne: ne sono. La storia inventata da Fiordaliso è assai verosimile. Si ricordi che anche Boccaccio era figlio, illegittimo, di un mercante.
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CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
me con la mia madre piccola fanciulla lasciò, né mai, per quello che io sentissi, più né di me
né di lei si ricordò: di che io, se mio padre stato non fosse, forte il riprenderei avendo riguardo
TESTO GUIDA
70 alla ingratitudine di lui verso mia madre mostrata (lasciamo stare allo amore che a me come a
sua figliuola non nata d’una fante né di vil femina dovea portare), la quale le sue cose e sé pa-
rimente, senza sapere altrimenti chi egli si fosse, da fedelissimo amor mossa rimise nelle sue
mani. Ma che è? Le cose mal fatte e di gran tempo passate sono troppo più agevoli a ripren-
dere che a emendare: la cosa andò pur così. Egli mi lasciò piccola fanciulla in Palermo, dove,
75 cresciuta quasi come io mi sono, mia madre, che ricca donna era, mi diede per moglie a uno
da Gergenti, gentile uomo e da bene, il quale per amor di mia madre e di me tornò a stare in
Palermo; e quivi, come colui che è molto guelfo,4 cominciò a avere alcuno trattato col nostro
re Carlo. Il quale, sentito dal re Federigo5 prima che dare gli si potesse effetto, fu cagione di
farci fuggire di Cicilia6 quando io aspettava essere la maggior cavalleressa che mai in quella
80 isola fosse; donde, prese quelle poche cose che prender potemmo (poche dico per rispetto alle
molte le quali avavamo), lasciate le terre e li palazzi, in questa terra ne rifuggimmo, dove il re
Carlo verso di noi trovammo sì grato che, ristoratici in parte li danni li quali per lui ricevuti
avavamo, e possessioni e case ci ha date, e dà continuamente al mio marito, e tuo cognato che
è, buona provisione, sì come tu potrai ancor vedere. E in questa maniera son qui, dove io, la
85 buona mercé di Dio e non tua, fratel mio dolce, ti veggio».
E così detto, da capo il rabbracciò e ancora teneramente lagrimando gli basciò la fronte.
Andreuccio, udendo questa favola così ordinatamente, così compostamente detta da co-
stei, alla quale in niuno atto moriva la parola tra’ denti né balbettava la lingua, e ricordandosi
esser vero che il padre era stato in Palermo e per se medesimo de’ giovani conoscendo i co-
90 stumi, che volentieri amano nella giovanezza, e veggendo le tenere lagrime, gli abbracciari e
gli onesti basci, ebbe ciò che ella diceva più che per vero: e poscia che ella tacque, le rispose:
mi abbandonò lasciandomi con mia madre quando ero sola; per cui, prese quelle poche cose che potemmo (po-
ancora piccola, né mai, per quel che ne so, si ricordò di noi: che dico in confronto alle molte che avevamo), lasciate le
per la qual cosa, se non si trattasse di mio padre, lo con- proprietà terriere e i palazzi, ci rifugiammo in questa ter-
dannerei decisamente per l’ingratitudine mostrata verso ra, dove il re Carlo, grato nei nostri confronti, dopo averci
mia madre (lasciamo stare l’amore che doveva a me, sua risarcito in parte i danni che avevamo subito per causa
figlia, nata non da una domestica o da una donna di poco sua, ci ha dato possedimenti e case e dà regolarmente a
conto); [infatti] lei, mossa da un fedelissimo amore, aveva mio marito, che è tuo cognato, un buono stipendio (pro-
affidato nelle sue mani i suoi beni e se stessa, senza nep- visione), così come tu puoi vedere. Ed ecco perché sono
pure sapere chi egli fosse. Ma a che serve [recriminare]? qui, dove, per grazia di Dio e non per [merito] tuo, mio
Le cose mal fatte e passate da molto tempo sono più facili dolce fratello, ti ho [finalmente] incontrato». Dopo aver
da biasimare che da rimediare; tuttavia, la cosa andò così. detto ciò, di nuovo lo riabbracciò e, continuando a piange-
Egli mi lasciò quando ero ancora una bambina a Palermo, re, gli baciò teneramente la fronte. Andreuccio, ascoltan-
dove, una volta che fui cresciuta, mia madre, che era ricca, do questa storia raccontata in modo tanto ordinato e di-
mi dette in moglie a un gentiluomo molto per bene di sinvolto dalla donna, che mai esitava (in niuno… denti)
Agrigento, che, per amore mio e di mia madre, si trasferì a né balbettava, e ricordandosi che in effetti il padre aveva
Palermo; e qui, essendo del partito guelfo, cominciò ad vissuto a Palermo e conoscendo per esperienza (per se
avere qualche accordo segreto con il nostro re Carlo II medesimo) il comportamento dei giovani, che volentie-
d’Angiò. Questa cospirazione (Il quale), scoperta dal re ri si abbandonano all’amore durante la giovinezza, e
Federico [II d’Aragona], causò la nostra fuga della Sicilia considerando le tenere lacrime, gli abbracci e gli onesti
quando io aspettavo di diventare la maggiore dama (ca- baci [della donna], credette a ciò che lei aveva racconta-
valleressa: sposa di un nobile cavaliere) che ci fosse nell’i- to. Dopo che la donna ebbe finito di parlare, le rispose:
4 guelfo: cioè schierato dalla parte degli Sicilia dal 1296, ufficialmente riconosciuto e contese.
Angiò. In Italia, nei secoli XIII e XIV, i guelfi solo nel 1302 con il trattato di Caltabellotta. 6 fuggire di Cicilia: gli Angioini furono cac-
erano sostenitori del papa e delle autono- Nonostante la pace con gli Angioini (Federi- ciati dalla Sicilia durante la guerra dei Vespri
mie comunali, in opposizione ai ghibellini, go aveva sposato la figlia di Carlo, Eleonora) (1282). Re Carlo II d’Angiò, fino alla morte,
favorevoli all’imperatore. nel 1313 ripresero apertamente le ostilità, tentò invano di riconquistare l’isola.
5 re Federigo: re Federigo II d’Aragona, re di seguite da nuove congiure, macchinazioni
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PARTE PRIMA Il Medioevo
«Madonna, egli non vi dee parer gran cosa se io mi maraviglio: per ciò che nel vero, o che mio
padre, per che che egli sel facesse, di vostra madre e di voi non ragionasse giammai, o che, se
TESTO GUIDA
egli ne ragionò, a mia notizia venuto non sia, io per me niuna conscienza aveva di voi se non
95 come se non foste; e emmi tanto più caro l’avervi qui mia sorella trovata, quanto io ci sono più
solo e meno questo sperava. E nel vero io non conosco uomo di sì alto affare al quale voi non
doveste esser cara, non che a me che un picciolo mercatante sono. Ma d’una cosa vi priego mi
facciate chiaro: come sapeste voi che io qui fossi?».
Al quale ella rispose: «Questa mattina mel fé sapere una povera femina la qual molto meco
100 si ritiene, per ciò che con nostro padre, per quello che ella mi dica, lungamente e in Palermo
e in Perugia stette; e se non fosse che più onesta cosa mi parea che tu a me venissi in casa tua
che io a te nell’altrui, egli ha gran pezza che io a te venuta sarei».
Appresso queste parole ella cominciò distintamente a domandare di tutti i suoi parenti
nominatamente, alla quale di tutti Andreuccio rispose, per questo ancora più credendo quello
105 che meno di creder gli bisognava.
Essendo stati i ragionamenti lunghi e il caldo grande, ella fece venir greco e confetti e fé
dar bere a Andreuccio; il quale dopo questo partir volendosi, per ciò che ora di cena era, in niu-
na guisa il sostenne, ma sembiante fatto di forte turbarsi abbracciandol disse: «Ahi lassa me,
ché assai chiaro conosco come io ti sia poco cara! Che è a pensare che tu sii con una tua sorella
110 mai più da te non veduta, e in casa sua, dove, qui venendo, smontato esser dovresti, e vogli di
quella uscire per andare a cenare all’albergo? Di vero tu cenerai con esso meco: e perché mio
marito non ci sia, di che forte mi grava, io ti saprò bene secondo donna fare un poco d’onore».
Alla quale Andreuccio, non sappiendo altro che rispondersi, disse: «Io v’ho cara quanto
sorella si dee avere, ma se io non ne vado, io sarò tutta sera aspettato a cena e farò villania».
«Signora, non vi sembri troppo strano se io mi meraviglio: di tutti i suoi parenti, chiamandoli distintamente per
poiché, in verità, sia che mio padre, per qualunque ragio- nome, così che Andreuccio, che rispose sul conto di tutti,
ne lo abbia fatto, non parlò mai né di vostra madre né di si convinse ancora di più di ciò che [invece] avrebbe fatto
voi, sia che, se [pure] egli ne parlò, non ne sia venuto a meglio a non credere [: di essere suo fratello]. Avendo
conoscenza, io non sapevo nulla di voi se non il fatto che parlato a lungo e con il caldo, la donna ordinò del vino
non esistevate (se non… foste); e mi è (emmi) tanto più (greco) e dei confetti e fece servire da bere ad Andreuc-
gradito l’avervi trovata qui [e l’aver scoperto che siete] cio; che, dopo aver bevuto, se ne voleva andare, visto che
mia sorella, in quanto sono solo in questa città e non era ora di cena, ma la donna in nessun modo glielo per-
avrei mai sperato in una simile notizia. E in verità non mise, e, fingendo di esserci rimasta molto male (sem-
conosco nessun uomo di così alto rango a cui non dovre- biante… turbarsi), abbracciandolo gli disse: «Povera me,
ste essere cara, tralasciando me (non che a me) che sono poiché vedo bene quanto poco ti stia a cuore! Come si
un piccolo mercante. Ma vi prego di chiarirmi una cosa: può pensare che tu sia con tua sorella, mai conosciuta
come avete saputo che io mi trovavo qui?». Lei gli rispo- prima, in casa sua, dove, venendo in questa città, avresti
se: «Me lo ha detto stamattina una povera donna che ha dovuto alloggiare e voglia [invece] andartene per recarti
molta confidenza con me (molto meco si ritiene), poi- a cenare in albergo? In verità cenerai con me: e, benché
ché – a quanto dice – ha abitato a lungo con nostro padre mio marito non ci sia, il che mi dispiace molto, io ti saprò
a Palermo e a Perugia; e se non mi fosse sembrato più op- bene onorare, come si conviene a una donna». Andreuc-
portuno far venire te qui, in casa tua, piuttosto che veni- cio, non sapendo che cosa rispondere, disse: «Io vi voglio
re io in casa d’altri, sarei [già] venuta al tuo albergo da un bene come si deve a una sorella, ma se io non torno in al-
bel pezzo». Dopo queste parole lei cominciò a chiedere bergo, mi aspetteranno e mi comporterò scortesemente».
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CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
115 E ella allora disse: «Lodato sia Idio, se io non ho in casa per cui mandare a dire che tu non
sii aspettato! benché tu faresti assai maggior cortesia, e tuo dovere, mandare a dire a’ tuoi
TESTO GUIDA
compagni che qui venissero a cenare, e poi, se pure andare te ne volessi, ve ne potresti tutti
andar di brigata».
Andreuccio rispose che de’ suoi compagni non volea quella sera, ma, poi che pure a grado
120 l’era, di lui facesse il piacer suo. Ella allora fé vista di mandare a dire all’albergo che egli non
fosse atteso a cena; e poi, dopo molti altri ragionamenti, postisi a cena e splendidamente di
più vivande serviti, astutamente quella menò per lunga infino alla notte obscura; e essendo
da tavola levati e Andreuccio partir volendosi, ella disse che ciò in niuna guisa sofferrebbe, per
ciò che Napoli non era terra da andarvi per entro di notte, e massimamente un forestiere; e
125 che come che egli a cena non fosse atteso aveva mandato a dire, così aveva dello albergo fatto
il somigliante. Egli, questo credendo e dilettandogli, da falsa credenza ingannato, d’esser con
costei, stette. Furono adunque dopo cena i ragionamenti molti e lunghi non senza cagione
tenuti; e essendo della notte una parte passata, ella, lasciato Andreuccio a dormire nella sua
camera con un piccol fanciullo che gli mostrasse se egli volesse nulla, con le sue femine in
230 un’altra camera se n’andò.
Era il caldo grande: per la qual cosa Andreuccio, veggendosi solo rimaso, subitamente si
spogliò in farsetto7 e trassesi i panni di gamba e al capo del letto gli si pose; e richiedendo
il naturale uso di dovere diporre il superfluo peso del ventre, dove ciò si facesse domandò
quel fanciullo, il quale nell’uno de’ canti della camera gli mostrò uno uscio e disse: «Andate
135 là entro». Andreuccio dentro sicuramente passato, gli venne per ventura posto il piè sopra
una tavola, la quale dalla contraposta parte sconfitta dal travicello sopra il quale era, per la
qual cosa capolevando questa tavola con lui insieme se n’andò quindi giuso: e di tanto l’amò
Idio, che niuno male si fece nella caduta, quantunque alquanto cadesse da alto, ma tutto della
bruttura, della quale il luogo era pieno, s’imbrattò. Il quale luogo, acciò che meglio intendiate
140 e quello che è detto e ciò che segue, come stesse vi mostrerò. Egli era in un chiassetto stretto,
come spesso tra due case veggiamo: sopra due travicelli, tra l’una casa e l’altra posti, alcune ta-
vole eran confitte e il luogo da seder posto, delle quali tavole quella che con lui cadde era l’una.
E lei allora disse: «Grazie a Dio io ho in casa una persona cio con vari e lunghi discorsi; e, essendo notte inoltrata,
per mezzo della quale (per cui) mandare a dire che non ti essa, lasciato Andreuccio a dormire nella sua camera con
aspettino! Anzi sarebbe tuo dovere e cosa a me gradita un giovane posto al suo servizio, se ne andò in un’altra ca-
che tu mandassi a dire ai tuoi compagni che ti raggiunges- mera con le sue domestiche (femine). Faceva molto cal-
sero qui a cenare, e poi, se tu te ne volessi andare dopo ce- do; per cui Andreuccio, essendo rimasto solo, si tolse su-
na, potreste rientrare [in albergo] tutti insieme». An- bito il farsetto e i pantaloni e li appoggiò in cima al letto.
dreuccio rispose che non voleva la compagnia dei suoi E poiché la naturale abitudine richiedeva di dover eva-
amici quella sera, desiderando rimanere con lei, e per cuare ciò che aveva di troppo dentro la pancia, domandò
questo la donna poteva disporre di lui, a suo piacere. Lei al giovane dove fosse il bagno, il quale gli indicò una por-
allora fece finta di mandare a dire all’albergo di non aspet- ta in un angolo della camera e disse: «Andate là dentro».
tare Andreuccio a cena; e poi, dopo molti altri ragiona- Andreuccio entrò senza sospetto e gli venne per caso di
menti, si misero a tavola e, servite splendide e numerose appoggiare un piede sopra una tavola che era schiodata
vivande, astutamente la donna prolungò la cena finché (sconfitta) dal travicello su cui poggiava, perciò la tavola
fu notte fonda; e, essendosi alzati da tavola e volendo An- si capovolse insieme ad Andreuccio, che precipitò in bas-
dreuccio tornare [in albergo], lei disse che non lo avrebbe so; e, per amor di Dio, non si fece male, benché fosse ca-
assolutamente permesso (sofferrebbe), per il fatto che duto da molto in alto, ma si sporcò tutto con gli escre-
Napoli non era una città in cui girare di notte, soprattut- menti (bruttura) di cui il luogo era pieno. Vi spiegherò
to per un forestiero; e, così come aveva mandato a dire come era fatto tale luogo, affinché capiate meglio ciò che
che Andreuccio non fosse atteso per cena, lo stesso aveva ho raccontato e ciò che racconterò. Esso era situato in un
fatto per l’alloggio. Egli, credendo questo e avendo piace- vicolo (chiassetto) stretto, come se ne vedono spesso fra
re di restare con lei, ingannato da quella bugia [: che qual- due case: sopra due travicelli, sospesi fra l’una e l’altra
cuno fosse andato ad avvertire in albergo], rimase. Dopo casa, erano state inchiodate alcune tavole e posta la latrina,
cena [la donna], non senza ragione, trattenne Andreuc- e una di queste tavole era caduta insieme ad Andreuccio.
407
PARTE PRIMA Il Medioevo
Ritrovandosi adunque là giù nel chiassetto Andreuccio, dolente del caso, cominciò a chia-
mare il fanciullo; ma il fanciullo, come sentito l’ebbe cadere, così corse a dirlo alla donna. La
TESTO GUIDA
145 quale, corsa alla sua camera, prestamente cercò se i suoi panni v’erano; e trovati i panni e con
essi i denari, li quali esso non fidandosi mattamente sempre portava addosso, avendo quello a
che ella di Palermo, sirocchia d’un perugin faccendosi, aveva teso il lacciuolo, più di lui non cu-
randosi prestamente andò a chiuder l’uscio del quale egli era uscito quando cadde.
Andreuccio, non rispondendogli il fanciullo, cominciò più forte a chiamare: ma ciò era nien-
150 te. Per che egli, già sospettando e tardi dello inganno cominciandosi a accorgere, salito sopra
un muretto che quello chiassolino dalla strada chiudea e nella via disceso, all’uscio della casa, il
quale egli molto ben riconobbe, se n’andò, e quivi invano lungamente chiamò e molto il dimenò
e percosse. Di che egli piagnendo, come colui che chiara vedea la sua disaventura, cominciò a
dire: «Oimè lasso, in come piccol tempo ho io perduti cinquecento fiorini e una sorella!».
155 E dopo molte altre parole, da capo cominciò a battere l’uscio e a gridare; e tanto fece così,
che molti de’ circunstanti vicini, desti, non potendo la noia sofferire, si levarono; e una delle
servigiali della donna, in vista tutta sonnocchiosa, fattasi alla finestra proverbiosamente dis-
se: «Chi picchia là giù?».
«Oh!» disse Andreuccio «o non mi conosci tu? Io sono Andreuccio, fratello di madama
160 Fiordaliso».
Al quale ella rispose: «Buono uomo, se tu hai troppo bevuto, va dormi e tornerai domat-
tina; io non so che Andreuccio né che ciance son quelle che tu di’; va in buona ora e lasciaci
dormir, se ti piace».
«Come» disse Andreuccio «non sai che io mi dico? Certo sì sai; ma se pur son così fatti i
165 parentadi di Cicilia, che in sì piccol termine si dimentichino, rendimi almeno i panni miei, li
quali lasciati v’ho, e io m’andrò volentier con Dio».
Al quale ella quasi ridendo disse: «Buono uomo, e’ mi par che tu sogni», e il dir questo e il
tornarsi dentro e chiuder la finestra fu una cosa.
Di che Andreuccio, già certissimo de’ suoi danni, quasi per doglia fu presso a convertire
170 in rabbia la sua grande ira, e per ingiuria propose di rivolere quello che per parole riaver non
potea; per che da capo, presa una gran pietra, con troppi maggior colpi che prima fieramente
cominciò a percuoter la porta. La qual cosa molti de’ vicini avanti destisi e levatisi, credendo
lui essere alcuno spiacevole il quale queste parole fingesse per noiare quella buona femina,
Ritrovandosi dunque Andreuccio giù nel vicolo, dispera- (servigiali) della donna, dall’aspetto mezzo addormenta-
to, cominciò a chiamare il giovane; ma il servo, nel frat- to, andò alla finestra e disse in tono di rimprovero: «Chi
tempo, sentitolo cadere, era corso a dirlo alla donna. La bussa laggiù?». «Oh!», disse Andreuccio, «non mi ricono-
quale, corsa nella sua camera, cercò subito se c’erano i ve- sci? Sono Andreuccio, fratello di madama Fiordaliso». La
stiti, e trovati gli abiti con dentro i soldi, che lui, non fi- domestica gli rispose: «Buonuomo, se sei ubriaco, va a
dandosi, scioccamente portava sempre addosso, avendo dormire e torna domattina; io non so chi sia Andreuccio
ottenuto quello [: la borsa con i fiorini] per cui lei, palermi- né di cosa tu stia parlando; vattene subito (in buona ora) e
tana, fingendosi sorella (sirocchia) di un perugino, aveva lasciaci dormire, per piacere». «Come», disse Andreuccio,
teso l’inganno, senza più curarsi di lui, andò subito a chiu- «non capisci quello che dico? Certo che lo capisci; ma se le
dere la porta dalla quale Andreuccio era uscito quando era parentele in Sicilia sono fatte in modo tale che si dimenti-
caduto. Andreuccio, poiché il ragazzo non gli rispondeva, cano in così poco tempo, restituiscimi almeno i miei vesti-
cominciò a chiamarlo più forte, ma senza ottenere nulla. ti, che vi ho lasciato, e me ne andrò volentieri con [il favo-
Per cui egli, ormai sospettando e cominciandosi ad accor- re di] Dio». E lei, quasi ridendo, gli disse: «Buonuomo, mi
gere tardi dell’inganno, salito sopra a un muretto che se- pare che tu stia sognando», e nel dire questo si ritirò chiu-
parava quel vicoletto dalla strada e, sceso sulla via, andò dendo la finestra. A causa di ciò Andreuccio, ormai sicuris-
[davanti] alla porta di casa, che egli riconobbe molto bene, simo dell’inganno, per dolore mutò in rabbia la sua grande
e qui invano chiamò a lungo e più volte la scosse e la colpì. ira, e si ripromise di ottenere con la violenza (ingiuria)
Perciò piangendo, avendo [ora] chiara la sua disavventura, quello che non riusciva a riavere con le parole; perciò ri-
cominciò a dire: «Povero me, che in poco tempo ho perso prese, con una grande pietra, a colpire violentemente la
cinquecento fiorini e una sorella!». E dopo molte altre pa- porta con colpi molto più forti di prima. Per la qual cosa
role ricominciò a colpire la porta e a gridare, tanto che molti dei vicini che si erano prima svegliati e alzati, cre-
molti vicini si svegliarono e, non potendo più sopportare dendo che Andreuccio fosse uno scocciatore che dicesse
il fastidio (la noia), si alzarono; e una delle domestiche quelle bugie per insidiare (noiare) quella brava signora,
408
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
recatosi a noia il picchiare il quale egli faceva, fattisi alle finestre, non altramenti che a un can
175 forestiere tutti quegli della contrada abbaiano adosso, cominciarono a dire: «Questa è una
TESTO GUIDA
gran villania a venire a questa ora a casa le buone femine e dire queste ciance; deh! va con Dio,
buono uomo; lasciaci dormir, se ti piace; e se tu hai nulla a far con lei, tornerai domane, e non
ci dar questa seccaggine stanotte».
Dalle quali parole forse assicurato uno che dentro dalla casa era, ruffiano della buona femi-
180 na, il quale egli né veduto né sentito avea, si fece alle finestre e con una boce grossa, orribile e
fiera disse: «Chi è laggiù?».
Andreuccio, a quella voce levata la testa, vide uno il quale, per quel poco che comprender
poté, mostrava di dovere essere un gran bacalare,8 con una barba nera e folta al volto, e come
se del letto o da alto sonno si levasse sbadigliava e stropiccia vasi gli occhi: a cui egli, non senza
185 paura, rispose: «Io sono un fratello della donna di là entro».
Ma colui non aspettò che Andreuccio finisse la risposta, anzi più rigido assai che prima dis-
se: «Io non so a che io mi tegno che io non vegno là giù, e deati tante bastonate quante io ti
vegga muovere, asino fastidioso e ebriaco che tu dei essere, che questa notte non ci lascerai
dormire persona»; e tornatosi dentro serrò la finestra. Alcuni de’ vicini, che meglio conoscieno
190 la condizion di colui, umilmente parlando a Andreuccio dissero: «Per Dio, buono uomo, vatti
con Dio, non volere stanotte essere ucciso costì: vattene per lo tuo migliore».
Laonde Andreuccio, spaventato dalla voce di colui e dalla vista e sospinto da’ conforti di co-
loro li quali gli pareva che da carità mossi parlassero, doloroso quanto mai alcuno altro e de’
suoi denar disperato, verso quella parte onde il dì aveva la fanticella seguita, senza saper dove
195 s’andasse, prese la via per tornarsi all’albergo. E a se medesimo dispiacendo per lo puzzo che a
lui di lui veniva, disideroso di volgersi al mare per lavarsi, si torse a man sinistra e su per una via
chiamata la Ruga Catalana9 si mise. E verso l’alto della città andando, per ventura davanti si vide
due che verso di lui con una lanterna in mano venieno, li quali temendo non fosser della fami-
glia della corte o altri uomini a mal far disposti, per fuggirli, in un casolare, il qual si vide vicino,
200 pianamente ricoverò. Ma costoro, quasi come a quello proprio luogo inviati andassero, in quel
medesimo casolare se n’entrarono; e quivi l’un di loro, scaricati certi ferramenti che in collo
avea, con l’altro insieme gl’incominciò a guardare, varie cose sopra quegli ragionando.
infastiditi dal suo picchiare [contro la porta], andati alle fi- notte dormire nessuno»; e rientrò dentro chiudendo la fi-
nestre, tutti quelli del quartiere cominciano ad abbaiargli nestra. Alcuni dei vicini, che sapevano bene che tipo d’uo-
addosso come se fosse un cane sconosciuto, dicendo: «è mo fosse quello, dissero sottovoce (umilmente) ad An-
una grande maleducazione venire a quest’ora a casa di don- dreuccio: «In nome di Dio, buonuomo, vattene, se vuoi evi-
ne oneste e raccontare queste storie; su, va’ con Dio [: vat- tare di essere ucciso lì stanotte: vattene, per il tuo bene».
tene], buonuomo; lasciaci dormire, per favore; e se hai Perciò Andreuccio, spaventato dalla voce e dalla vista di
qualcosa con lei, torna domani e non seccarci stanotte». In- quell’uomo e spinto dai consigli (conforti) di quella gente
coraggiato forse dalle parole dei vicini, uno degli abitanti che gli pareva parlasse mossa da carità, addolorato come
della casa, che era il protettore della donna, che non aveva nessun’altro e senza più speranza [di recuperare] i suoi sol-
né visto né sentito Andreuccio prima, si affacciò alla fine- di, prese la strada per tornare all’albergo, [incamminando-
stra e con una voce grossa, terribile e arrabbiata disse: «Chi si] verso quella via che aveva percorso durante il giorno se-
è laggiù?». Andreuccio, alzando la testa [per vedere chi guendo la domestica [di madama Fiordaliso], senza sapere
avesse parlato], scorse un uomo che, per quel poco che poté dove andasse. Disgustato dal suo stesso puzzo, pensò di di-
capire, sembrava essere una persona autorevole (un gran rigersi verso il mare per lavarsi, [ma] girò a sinistra e imboc-
bacalare), con una barba nera e folta sul viso, e che sbadi- cò una via chiamata Rua Catalana. E andando verso la città
gliava e si stropicciava gli occhi come se si fosse appena al- alta, per caso si ritrovò davanti due uomini che venivano
zato dal letto, svegliato da un sonno profondo. Andreuccio, verso di lui con una lanterna in mano e, temendo che fosse-
non senza paura, rispose all’uomo: «Io sono un fratello del- ro delle guardie di corte o delinquenti, per evitarli, si rifu-
la donna che abita là dentro». Ma l’uomo, senza aspettare giò in un casolare lì vicino. Ma quegli uomini, come se fos-
che Andreuccio finisse di rispondere, gridò molto più dura- sero diretti proprio nel luogo [in cui Andreuccio si era rifu-
mente di prima: «Non so perché mi trattengo dal venire giato], entrarono in quello stesso casolare; e qui, uno di lo-
laggiù a darti tante bastonate fino a non farti muovere più, ro, scaricati certi arnesi di ferro che portava sulle spalle, in-
asino fastidioso e ubriaco che sei, da non lasciare questa sieme all’altro cominciò a esaminarli, discorrendo di essi.
8 bacalare: baccelliere. Nelle università me- dente alla laurea. Qui si sta per indicare, non che collega la zona del porto alla città alta. An-
dievali il baccelliere era lo studente che aveva senza ironia, una persona autorevole. dreuccio la imbocca erroneamente, andando
raggiunto il primo grado negli studi, antece- 9 Ruga Catalana: cioè Rua Catalana, è la via così incontro a una nuova disavventura.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
E mentre parlavano, disse l’uno: «Che vuol dir questo? Io sento il maggior puzzo che mai
mi paresse sentire»; e questo detto, alzata alquanto la lanterna, ebber veduto il cattivel d’An-
TESTO GUIDA
E mentre parlavano, uno dei due disse: «Cosa sarà mai? Io rai essere nostro complice in un affare che stiamo andan-
sento il puzzo peggiore che mai abbia sentito»; e detto ciò, do a fare, siamo certi che la parte [di bottino] che ti toc-
alzata un po’ la lanterna, vide il povero (cattivel) Andreuc- cherà sarà molto superiore a quanto hai perduto». An-
cio, e stupiti domandarono: «Chi è là?». Andreuccio rimase dreuccio, disperato com’era, rispose che era pronto [a se-
in silenzio, ma gli uomini, avvicinatigli con la luce, do- guirli]. Quel giorno era stato sepolto un arcivescovo di Na-
mandarono che cosa ci facesse lì così tutto sporco (brut- poli, chiamato messer Filippo Minutolo, ed era stato sep-
to); così Andreuccio gli raccontò tutto quanto l’accaduto. pellito con ricchissimi gioielli e con un rubino al dito, che
Essi, immaginando dove ciò gli potesse essere successo, valeva più di cinquecento fiorini d’oro e che i due uomini
dissero fra sé: «Senz’altro è accaduto in casa del ruffiano volevano rubare; e così esposero [il loro piano] ad An-
(scarabone) Buttafuoco». E rivolgendosi ad Andreuccio, dreuccio. Perciò Andreuccio, più avido (cupido) che sag-
disse uno dei due uomini: «Buonuomo, nonostante (come gio, si avviò con loro; e andando verso il duomo, siccome An-
che) tu abbia perso i tuoi soldi, devi ringraziare Dio che ti dreuccio puzzava (putendo) moltissimo, disse uno dei due
ha fatto cadere e che poi non sei potuto rientrare in casa; uomini: «Non si potrebbe trovare il modo che da qualche
infatti, se non fossi caduto, dai per certo che, non appena parte questi si lavasse in modo che non puzzi così tanto?».
ti fossi addormentato, ti avrebbero ucciso, così che, insie- Disse l’altro: «Sì, siamo vicini a un pozzo dove c’è sempre la
me con i soldi, avresti perso [anche] la vita. Ma ormai a che carrucola e un gran secchio; andiamocene là e lo laveremo
cosa serve piangere? Non potresti recuperare un denaro alla svelta (spacciatamente)». Arrivati a questo pozzo tro-
come avere le stelle del cielo: potresti essere ucciso, se varono la fune ma non il secchio, che era stato tolto: perciò
Buttafuoco sapesse che ne hai parlato [con qualcuno]». E decisero di legare Andreuccio alla fune e di calarlo nel poz-
detto ciò, dopo essersi consultati fra di loro, gli dissero: zo, in modo che laggiù si lavasse e, una volta lavato, scrollas-
«Vedi, abbiamo avuto compassione di te: perciò, se tu vor- se la fune così che loro lo avrebbero tirato su, e così fecero.
10 Buttafuoco: secondo le ricerche di Bene- protettori di prostitute. arcivescovo della città dal 1288 al 1301. Uomo
detto Croce, Francesco Buttafuoco fu capo 11 Filippo Minutolo: appartenente ad una fra di cultura e scrittore, favorì opere di amplia-
di una compagnia di malviventi e ruffiani, le famiglie più potenti del regno di Napoli, fu mento e di ricostruzione del Duomo di Napoli.
410
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
Avvenne che, avendol costor nel pozzo collato, alcuni della famiglia della signoria, li quali
e per lo caldo e perché corsi erano dietro a alcuno avendo sete, a quel pozzo venieno a bere:
TESTO GUIDA
li quali come quegli due videro, incontanente cominciarono a fuggire, li famigliari che quivi
235 venivano a bere non avendogli veduti. Essendo già nel fondo del pozzo Andreuccio lavato, di-
menò la fune. Costoro assetati, posti giù lor tavolacci e loro armi e lor gonnelle, cominciarono
la fune a tirare credendo a quella il secchion pien d’acqua essere appicato. Come Andreuccio
si vide alla sponda del pozzo vicino, così, lasciata la fune, con le mani si gittò sopra quella. La
qual cosa costor vedendo, da subita paura presi, senza altro dir lasciaron la fune e cominciaro-
240 no quanto più poterono a fuggire: di che Andreuccio si meravigliò forte, e se egli non si fosse
bene attenuto, egli sarebe infin nel fondo caduto forse non senza suo gran danno o morte;
ma pure uscitone e queste arme trovate, le quali egli sapeva che i suoi compagni non avean
portate, ancora più s’incominciò a maravigliare.
Ma dubitando e non sappiendo che, della sua fortuna dolendosi, senza alcuna cosa toc-
245 car quindi diliberò di partirsi: e andava senza saper dove. Così andando si venne scontrato in
que’ due suoi compagni, li quali a trarlo del pozzo venivano; e come il videro, maravigliandosi
forte, il domandarono chi del pozzo l’avesse tratto. Andreuccio rispose che non sapea, e loro
ordinatamente disse come era avvenuto e quello che trovato aveva fuori del pozzo. Di che
costoro, avvisatisi come stato era, ridendo gli contarono perché s’eran fuggiti e chi stati eran
250 coloro che sù l’avean tirato. E senza più parole fare, essendo già mezzanotte, n’andarono alla
chiesa maggiore, e in quella assai leggiermente entrarono e furono all’arca, la quale era di
marmo e molto grande; e con lor ferro il coperchio, ch’era gravissimo, sollevaron tanto quan-
to uno uomo vi potesse entrare, e puntellaronlo.
E fatto questo, cominciò l’uno a dire: «Chi entrerà dentro?».
255 A cui l’altro rispose: «Non io».
«Né io» disse colui «ma entrivi Andreuccio».
«Questo non farò io» disse Andreuccio.
Verso il quale ammenduni costoro rivolti dissero: «Come non v’enterrai? In fé di Dio, se
tu non v’entri, noi ti darem tante d’uno di questi pali di ferro sopra la testa, che noi ti farem
260 cader morto».
Andreuccio temendo v’entrò, e entrandovi pensò seco: «Costoro mi ci fanno entrare per
ingannarmi, per ciò che, come io avrò loro ogni cosa dato, mentre che io penerò a uscir dall’arca,
Avvenne che, dopo che i due uomini ebbero calato An- Mentre camminava si imbatté per caso nei suoi due compa-
dreuccio nel pozzo, andarono lì a bere alcune guardie (fami- gni, che stavano andando a tirarlo fuori dal pozzo; e, appena
glia della signoria), che avevano sete a causa del caldo e lo videro, si stupirono e gli chiesero chi lo avesse tirato fuori
perché avevano [appena] fatto un inseguimento: appena vi- dal pozzo. Andreuccio rispose che non lo sapeva ed espose
dero le guardie, i due ladri cominciarono a fuggire immedia- ordinatamente i fatti come erano accaduti e quello che
tamente (incontanente), senza farsi vedere. Andreuccio, aveva trovato fuori dal pozzo. Così essi, compreso ciò che
essendosi già lavato nel fondo del pozzo, dimenò la fune. Le era avvenuto, ridendo raccontarono ad Andreuccio perché
guardie assetate, appoggiati gli scudi di legno (tavolacci), le erano fuggiti e chi erano quelli che lo avevano tirato su [dal
armi e le sopravesti (gonnelle), cominciarono a tirare la fu- pozzo]. E senza aggiungere altro, poiché era già mezzanot-
ne credendo che a essa fosse attaccato il secchio pieno d’ac- te, andarono al duomo e facilmente (leggiermente) vi en-
qua. Appena Andreuccio vide la sponda del pozzo vicina, la- trarono e raggiunsero il sarcofago (arca), che era di marmo e
sciò la fune e si attaccò con le mani all’orlo. Vedendo ciò, le di grosse dimensioni; e con un loro arnese di ferro sollevaro-
guardie, impaurite, senza dire niente lasciarono la fune e no il pesantissimo coperchio in modo che vi potesse entra-
cominciarono a fuggire più [veloce] che potevano: Andreuc- re un uomo, e lo puntellarono. Ciò fatto, disse uno di loro:
cio rimase di stucco (si meravigliò forte) e, se non si fosse «Chi entrerà dentro?». E l’altro gli rispose: «Non io». «Nem-
tenuto ben saldo (attenuto) [all’orlo del pozzo], sarebbe ri- meno io», replicò il primo, «ma vi entri Andreuccio». «Non
caduto nel fondo procurandosi forse gravi ferite (gran dan- lo farò», disse Andreuccio. Verso il quale si rivolsero entram-
no) o [addirittura] la morte; ma, uscito dal pozzo e viste le bi (ammenduni) dicendo: «Come non vi entrerai? Quanto
armi, che sapeva non essere dei suoi compagni, si meravi- è vero Dio, se tu non vi entri, noi ti daremo tante [botte] sul-
gliò ancora di più. Ma temendo senza sapere bene che cosa la testa con uno di questi pali di ferro che ti uccideremo».
(dubitando e non sappiendo), lamentandosi della sua sfor- Andreuccio, pieno di paura, vi entrò pensando fra sé: «Essi
tuna, decise di andarsene (quindi: di qui) senza toccare mi ci fanno entrare per ingannarmi, e quando avrò dato
niente: e camminava senza sapere dove [fosse diretto]. loro il bottino, mentre io faticherò a uscire dal sarcofago,
411
PARTE PRIMA Il Medioevo
essi se ne andranno pe’ fatti loro e io rimarrò senza cosa alcuna». E per ciò s’avisò di farsi
innanzi tratto la parte sua; e ricordatosi del caro anello che aveva loro udito dire, come fu
TESTO GUIDA
265 giù disceso così di dito il trasse all’arcivescovo e miselo a sé; e poi dato il pasturale e la mitra
e’ guanti e spogliatolo infino alla camiscia, ogni cosa diè loro dicendo che più niente v’avea.
Costoro, affermando che esser vi doveva l’anello, gli dissero che cercasse per tutto: ma esso,
rispondendo che nol trovava e sembiante faccendo di cercarne, alquanto gli tenne in aspet-
tare. Costoro che d’altra parte eran sì come lui maliziosi, dicendo pur che ben cercasse, pre-
270 so tempo, tiraron via il puntello che il coperchio dell’arca sostenea, e fuggendosi lui dentro
dall’arca lasciaron racchiuso. La qual cosa sentendo Andreuccio, quale egli allor divenisse
ciascun sel può pensare.
Egli tentò più volte e col capo e con le spalle se alzare potesse il coperchio, ma invano si
faticava: per che da grave dolor vinto, venendo meno cadde sopra il morto corpo dell’arci-
275 vescovo; e chi allora veduti gli avesse malagevolmente avrebbe conosciuto chi più si fosse
morto, o l’arcivescovo o egli. Ma poi che in sé fu ritornato, dirottissimamente cominciò
a piagnere, veggendosi quivi senza dubbio all’un de’ due fini dover pervenire: o in quella
arca, non venendovi alcuni più a aprirla, di fame e di puzzo tra’ vermini del morto corpo
convenirlo morire, o vegnendovi alcuni e trovandovi lui dentro, sì come ladro dovere essere
280 appiccato.
E in così fatti pensieri e doloroso molto stando, sentì per la chiesa andar genti e parlar
molte persone, le quali, sì come egli avvisava, quello andavano a fare che esso co’ suoi compa-
gni avean già fatto: di che la paura gli crebbe forte. Ma poi che costoro ebbero l’arca aperta e
puntellata, in quistion caddero chi vi dovesse entrare, e niuno il voleva fare: pur dopo lunga
285 tencione un prete disse: «Che paura avete voi? credete voi che egli vi manuchi? Li morti non
mangian gli uomini: io v’entrerò dentro io». E così detto, posto il petto sopra l’orlo dell’arca,
volse il capo in fuori e dentro mandò le gambe per doversi giuso calare. Andreuccio, questo
vedendo, in piè levatosi prese il prete per l’una delle gambe e fé sembiante di volerlo giù tira-
re. La qual cosa sentendo il prete mise uno strido grandissimo e presto dell’arca si gittò fuori;
290 della qual cosa tutti gli altri spaventati, lasciata l’arca aperta, non altramente a fuggir comin-
ciarono che se da centomilia diavoli fosser perseguitati.
essi se ne andranno per i fatti loro senza lasciarmi nien- quella situazione andare incontro a una delle due morti
te». Perciò decise di riservarsi anzitutto la sua parte; e (fini): o morire in quella tomba, se nessuno fosse più ve-
ricordandosi del prezioso anello di cui avevano parlato, nuto ad aprirla, per la fame e per il puzzo fra i vermi del
appena scese giù lo sfilò dal dito dell’arcivescovo e se lo cadavere [in decomposizione], o morire impiccato
mise al suo; e poi, consegnato il [bastone] pastorale, il come un ladro, se qualcuno fosse venuto [ad aprire la
copricapo e i guanti e spogliato il cadavere fino alla ca- tomba] e lo avesse trovato dentro. Preso da simili pen-
micia, diede ogni cosa ai suoi compagni dicendo che sieri e in preda al dolore, sentì camminare e parlare per
non c’era più niente. Essi, affermando che ci doveva la chiesa molte persone, che credeva fossero lì per fare
essere [anche] l’anello, gli dissero di cercare dappertut- quello che lui con i suoi compagni aveva già fatto: perciò
to: ma egli li fece molto aspettare, dicendo che non lo la paura aumentò. Ma appena essi ebbero aperta la tom-
trovava mentre fingeva di cercarlo. Essi che d’altra par- ba e puntellato [il coperchio], cominciarono a discutere
te erano sospettosi come lui, continuando a dire che lo (in quistion caddero) su chi vi dovesse entrare, e nessu-
cercasse bene, al momento giusto (preso tempo), tira- no lo voleva fare; finalmente, dopo una lunga discussio-
rono via il puntello che teneva su il coperchio del sarco- ne (tencione) un prete disse: «Di che cosa avete paura?
fago e fuggirono, lasciando Andreuccio rinchiuso nella credete che egli vi mangi (manuchi)? I morti non man-
tomba. Come si sentisse Andreuccio dopo che aveva ca- giano gli uomini; vi entrerò io dentro». E detto ciò, ap-
pito che cosa era successo, ciascuno se lo può immagi- poggiato il petto sull’orlo della tomba, girò la testa in
nare (sel può pensare). Egli tentò più volte di alzare il fuori e mandò dentro le gambe per potersi calare giù.
coperchio con la testa e con le spalle, ma invano: finché, Andreuccio, vedendo ciò, alzatosi in piedi, prese il prete
per il grande dolore [provocato dallo sforzo], cadde sve- per una delle due gambe e finse di volerlo tirare giù.
nuto sopra il cadavere dell’arcivescovo; e chi li avesse vi- Sentendo ciò, il prete emise un grido fortissimo e si pre-
sti in quel momento avrebbe difficilmente riconosciuto cipitò subito fuori della tomba; mentre anche tutti gli
chi fosse più morto fra l’arcivescovo e lui. Ma dopo che altri, spaventati, lasciata la tomba aperta, cominciarono
si riprese, cominciò a piangere a dirotto, vedendosi in a fuggire come se fossero inseguiti da centomila diavoli.
412
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
La qual cosa veggendo Andreuccio, lieto oltre a quello che sperava, subito si gittò fuori e
per quella via onde era venuto se ne uscì della chiesa; e già avvicinandosi al giorno, con quello
TESTO GUIDA
anello in dito andando all’avventura, pervenne alla marina e quindi al suo albergo si abbatté;12
295 dove li suoi compagni e l’albergatore trovò tutta la notte stati in sollecitudine de’ fatti suoi. A’
quali ciò che avvenuto gli era raccontato, parve per lo consiglio dell’oste loro che costui incon-
tanente si dovesse di Napoli partire; la qual cosa egli fece prestamente e a Perugia tornossi,
avendo il suo investito in uno anello, dove per comperare cavalli era andato.
G. Boccaccio, Decameron, cit.
Alla vista di ciò, Andreuccio, felice oltre ogni aspettati- sia (sollecitudine) per lui. Dopo aver loro raccontato ciò
va, si precipitò subito fuori dalla tomba e uscì dalla chie- che gli era accaduto, parve prudente all’albergatore farlo
sa per quella via da cui era entrato; e, venuto quasi immediatamente partire da Napoli; cosa che Andreuccio
giorno, mentre andava a caso con quell’anello al dito, ar- fece subito tornando a Perugia, ritrovandosi ad aver in-
rivò al mare e da qui capitò al suo albergo; dove i suoi vestito [i suoi soldi] in un anello, mentre era andato per
compagni e l’albergatore erano stati tutta la notte in an- comprare cavalli.
12 al...si abbatté: si imbatté nel suo alber- da negativa, è divenuta favorevole. Si ri- fortuna si dimostra, nella conclusione,
go. Si noti che Andreuccio trova per caso cordi che in questa giornata si raccontano propizia.
l’albergo andando all’avventura: la sorte, novelle di avventure a lieto fine in cui la
Scena di mercato,
miniatura tratta
da un manoscritto
del 1403-1404.
Parigi, Bibliothèque
Nationale de France.
413
PARTE PRIMA Il Medioevo
alla poetica La novella di Andreuccio mostra chiaramente il realismo di Boccaccio. Esso è riscontrabile
anzitutto nella varietà dei linguaggi (plurilinguismo) e degli stili (pluristilismo) adottati, che mira
a rappresentare la multiforme realtà cittadina. E infatti i diversi personaggi che qui prendono la
parola si esprimono secondo un proprio caratteristico registro. Per esempio, la giovane sici-
liana rivela una padronanza linguistica ben superiore ad Andreuccio, invece impacciato e insi-
curo. Il realismo boccacciano è inoltre riconoscibile nel trattamento dello spazio e del tempo,
sempre ben individuati: la novella è ambientata a Napoli intorno ai primi anni del Trecento. La
realtà cittadina in cui si muove il protagonista assume tratti realistici grazie alla presenza di
pochi ma precisi particolari: i nomi dei luoghi, l’accenno a personaggi realmente vissuti e la
rappresentazione di una vita notturna animata da ladri, prostitute e ruffiani. L’ambientazione
cittadina è una novità introdotta da Boccaccio e costituisce uno degli elementi di originalità del
Decameron rispetto alla novellistica del Due-Trecento.
414
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
TESTO GUIDA
1. Nella rubrica originale della novella di Andreuccio, sull’uso di certi termini presenti in questa novella:
leggiamo: «Andreuccio da Perugia, venuto a Napoli a a. «sermone» (r. 16): con quale significato è impiegato
comperar cavalli, in una notte da tre gravi accidenti so- da Boccaccio e quale significato assume nel lin-
prapreso, da tutti scampato con un rubino si torna a guaggio religioso?
casa sua». Quali sono i «tre gravi accidenti» vissuti da b. «si dimesticò» (r. 66): come può essere reso nella
Andreuccio? parafrasi questo verbo arcaico?
1. c. «ruffiano» (r. 179): che cosa significa nel testo e
quale altro significato assume il termine nel linguag-
gio corrente?
2. d. «brutto» (r. 206): con quale significato si trova nel testo
e qual è, invece, il significato comune del termine?
e. «famiglia» (r. 232), «famigliari» (r. 234): con quale
3. significato, diverso da quello del linguaggio comune,
si trova nella novella?
OLTRE IL TESTO
1. Scrittura creativa
Rifletti sul condizionamento della fortuna nelle vicende umane e scrivi un racconto ispirandoti a
episodi vissuti da te personalmente o da tuoi conoscenti in cui la fortuna ha giocato un ruolo
fondamentale. Nel testo combina elementi autobiografici con spunti di fantasia, dando vita a una
vicenda che sia, come quella di Andreuccio, insieme realistica e divertente.
2. Confrontare
Guarda l’episodio di Andreuccio nella versione cinematografica di Pasolini del 1971 e procedi a un confron-
to tra il film e il testo del Decameron. In particolare, rileva gli elementi impiegati dal regista per mettere in
risalto l’aspetto vitalistico del personaggio.
415
PARTE PRIMA Il Medioevo
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
Andreuccio, un eroe moderno
La lotta che Andreuccio affronta in una società regolata
dalle leggi spietate del mercato e del profitto fa del perso-
naggio un eroe moderno. Il protagonista si trova da solo a
combattere contro forze non più magiche o divine, ma eco-
nomiche. Esse sono espressione di un nuovo “dio”: il “dio”
del denaro, che, già potente al tempo di Boccaccio, domina
oggi incontrastato, condizionando anche i rapporti umani e
i sentimenti. D’altra parte, già nella vicenda di Andreuccio
si vede come gli interessi economici inquinino i sentimenti
di fratellanza (nell’inganno della siciliana) e i sentimenti reli-
giosi (nella scena della profanazione del vescovo). Nella
novella non mancano dunque elementi di attualità. E tutta-
via si potrebbe dare un’interpretazione persino antibor-
ghese e antimoderna del protagonista. Nel suo film tratto
dal Decameron, Pier Paolo Pasolini (1922-1975) esalta il
vitalismo autentico e immediato di Andreuccio in contrappo-
sizione alla società dei consumi che si era affermata negli
anni Sessanta del Novecento ( Informazioni, Andreuccio
al cinema: il Decameron di Pasolini).
WEBQUEST
Andreuccio da Perugia, “rozzo e poco cauto”, attraversa nella sua notte napoletana varie vicissitudini,
che alla fine, grazie alla fortuna propizia, si risolvono in maniera positiva.
Questo tipo di personaggio, inizialmente sprovveduto, che si ritrova a combattere da solo contro gente
ben più scaltra e potente e a uscirne vincitore e più avveduto, è un modello che attraversa non solo la
letteratura di tutti i tempi ma anche la cinematografia.
Scegli un ambito della tua ricerca (es. letteratura classica, moderna o contemporanea, cinema…) e
conduci una ricerca sul web su questo tipo di personaggio. Raccogli un numero significativo di esempi
e realizza un documento a tua scelta (es. presentazione con slides) in cui li presenti indicando
• l’opera in cui compaiono
• le loro caratteristiche fisiche e psicologiche
• il contesto storico e sociale in cui avvengono le loro avventure
• una sintesi delle vicende in cui vengono coinvolti.
Se possibile, riporta anche delle battute significative o, nel caso di personaggi cinematografici, inserisci
un trailer.
416
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
ZIONI
INFORMA
Andreuccio al cinema: il Decameron di Pasolini
Il Decameron e la «Trilogia della vita» la novella di Andreuccio: si può parago- del sole assorbe l’immagine di An-
Nel 1971 lo scrittore e regista Pier nare la scena così come viene narrata dreuccio che, come un’ombra, sal-
Paolo Pasolini (1922-1975) gira il De- nel Decameron ( A) e come risulta dal- ta e balla»
cameron, primo film della «Trilogia della la sceneggiatura del film ( B): P. P. Pasolini, Trilogia della vita,
vita», che comprende anche I racconti a cura di G. Gattei, Cappelli, Bologna 1975.
di Canterbury e Il fiore delle Mille e una A «[…] Andreuccio, lieto oltre a quel-
notte. Il corpo, il vitalismo e il realismo lo che sperava, subito si gittò fuori Il realismo linguistico
sono, come in Boccaccio, fondamenti [dall’arca] e per quella via onde era Nel film Pasolini sottolinea un altro aspet-
dell’opera cinematografica di Pasolini. venuto se ne uscì della chiesa; e già to presente nelle novelle di Boccaccio: il
Non per nulla, la maggior parte dei dieci avvicinandosi al giorno, con quello realismo, in particolare quello linguisti-
racconti boccacciani scelti dal regista anello in dito andando all’avventu- co. Nella trasposizione cinematografica
sono a forte carica erotica. ra pervenne alla marina […]». della novella di Andreuccio, i personaggi
parlano dialetto napoletano. Pasolini sce-
La novella di Andreuccio: B «Esce con un balzo giocoso dall’ar- glie il dialetto per la sua immediatezza
da Boccaccio a Pasolini ca, libero! Si rimira il rubino che gli e per la vivacità ancora primitiva che
Anche quando manca la tematica eroti- luccica al dito, lo lustra contro il esprime: esso infatti non sarebbe ancora
ca, Pasolini inserisce una nota giocosa panno del giustacuore, lo rimira di omologato all’italiano standard, che se-
e vitalistica assente in Boccaccio. Si nuovo. Si avvia ballando verso l’u- gna, per il regista, la fine dell’autenticità
prenda, per esempio, la conclusione del- scita. Fuori è già giorno e la luce e il trionfo del consumismo.
DIGIT VIDEO
• Pasolini e Ser Ciappelletto
• Pasolini e Andreuccio da Perugia
• Pasolini e il Decameron
417
PARTE PRIMA Il Medioevo
Per difendersi dalle accuse di aver badato troppo alle donne e di essersi occupato di argomenti troppo
frivoli, nell’Introduzione alla Quarta giornata Boccaccio racconta una divertente storia conosciuta come
“novella delle papere”: un padre, nel tentativo di tenere un figlio lontano dalle tentazioni, lo cresce sepa-
rato dal mondo, in completo isolamento. Ma la prima volta che il ragazzo, ormai grande, va in città, resta
colpito da una visione straordinaria: si tratta delle donne, che il padre, per evitare di pronunciarne anche
il nome, chiama “papere”. Con questa novella Boccaccio intende dimostrare come sia del tutto inutile
opporsi alla forza naturale dell’eros.
I TEMI potere dell’eros
Nella nostra città, già è buon tempo passato, fu un cittadino, il qual fu nominato Filippo Bal-
ducci, uomo di condizione assai leggiere, ma ricco e bene inviato e esperto nelle cose quanto lo
stato suo richiedea; e aveva una sua donna moglie1 la quale egli sommamente amava, ed ella lui,
e insieme in riposata vita si stavano, a niuna altra cosa tanto studio ponendo quanto in piacere
5 interamente l’uno all’altro. Ora avvenne, sì come di tutti avviene, che la buona donna passò di
questa vita, né altro di sé a Filippo lasciò che un solo figliuolo di lui conceputo, il quale forse
d’età di due anni era. Costui per la morte della sua donna tanto sconsolato rimase, quanto mai
alcuno altro amata cosa perdendo rimanesse. E veggendosi di quella compagnia la quale egli più
amava rimaso solo, del tutto si dispose di non volere più essere al mondo, ma di darsi al servigio
10 di Dio, e il simigliante fare del suo piccol figliuolo. Per che, data ogni sua cosa per Dio, senza in-
dugio se n’andò sopra Monte Asinaio,2 e quivi in una piccola celletta si mise col suo figliuolo, col
quale di limosine in digiuni e in orazioni vivendo, sommamente si guardava di non ragionare là
dove egli fosse d’alcuna temporal cosa né di lasciarnegli alcuna vedere, acciò che esse da così fat-
to servigio nol traessero, ma sempre della gloria di vita etterna e di Dio e de’ santi gli ragionava,
15 nulla altro che sante orazioni insegnandoli. E in questa vita molti anni il tenne, mai della cella
non lasciandolo uscire, né alcuna altra cosa che sé dimostrandogli.
Era usato il valente uomo3 di venire alcuna volta a Firenze, e quivi secondo le sue oportu-
nità dagli amici di Dio sovvenuto, alla sua cella tornava.
Ora avvenne che, essendo già il garzon d’età di diciotto anni e Filippo vecchio, un dì il do-
20 mandò ov’egli andava. Filippo gliele disse. Al quale il garzon disse: «Padre mio, voi siete oggimai
vecchio e potete male durare fatica; perché non mi menate voi una volta a Firenze, acciò che,
PARAFRASI
A Firenze, molto tempo fa, viveva un cittadino, di nome vendo con lui di elemosine in digiuni e in preghiere, evita-
Filippo Balducci, uomo di origini modeste, ma [divenuto] va in ogni modo di parlare [con il figlio] di ogni cosa terrena
ricco e ben avviato [negli affari] e con una discreta espe- (temporal) o di lasciargliene vedere qualcuna, in qualun-
rienza (e esperto… richiedea); aveva una moglie che ama- que circostanza (là dove egli fosse), di modo che esse [: le
va molto e dalla quale era ricambiato: insieme conduceva- cose terrene] non lo allontanassero da quel servizio [rivol-
no una vita tranquilla senza altra preoccupazione che pro- to a Dio]; invece, gli parlava sempre di Dio e dei santi, non
curarsi piacere reciproco. Ma avvenne – così come accade a insegnandogli altro che preghiere. E lo costrinse molti an-
tutti – che la buona donna morì, lasciando a Filippo l’unico ni a questo tipo di vita, non lasciandolo mai uscire dalla cel-
figlio che aveva avuto da lui, che aveva all’incirca (forse) la e non facendogli vedere nessun’altra cosa eccetto se stes-
due anni. Filippo rimase tanto addolorato per la morte di so (né… dimostrandogli). Il brav’uomo [: Filippo] era soli-
sua moglie, quanto nessun altro rimane quando perde una to venire qualche volta a Firenze e, dopo essere stato aiuta-
persona amata. E essendo rimasto privo di quella compa- to secondo i suoi bisogni (oportunità) da persone devote,
gnia che egli amava più [di ogni altra cosa], decise di non tornava alla sua cella. Ma un giorno avvenne che il giova-
volersi più occupare di cose terrene (essere al mondo) e di ne – che aveva [già] diciotto anni, mentre Filippo era [or-
mettersi al servizio di Dio insieme con il figlioletto (e il si- mai] vecchio – chiese al padre dove egli andasse. Filippo
migliante… figliuolo). Perciò, offerti tutti i suoi beni in glielo disse. E il giovane disse: «Padre mio, voi siete ormai
opere di carità, senza indugio se ne andò sul Monte Asina- (oggimai) vecchio e potete resistere a stento alla fatica;
io, dove si stabilì in una piccola celletta con suo figlio, e vi- perché non mi portate una volta a Firenze con voi, così che,
1 donna moglie: espressione ridondante as- 2 Monte Asinaio: l’attuale monte Senario, 3 valente uomo: è espressione tipica per si-
sai frequente con il sostantivo “donna”. che si trova a 18 km da Firenze. gnificare ‘persona di grandi meriti e pregi’.
418
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
faccendomi cognoscere gli amici e divoti di Dio e vostri, io che son giovane e posso meglio faticar
di voi, possa poscia pe’ nostri bisogni a Firenze andare quando vi piacerà, e voi rimanervi qui?».
Il valente uomo, pensando che già questo suo figliuolo era grande, ed era sì abituato al ser-
25 vigio di Dio che malagevolmente le cose del mondo a sé il dovrebbono omai poter trarre, seco
stesso disse: «Costui dice bene»; per che, avendovi ad andare, seco il menò.
Quivi il giovane veggendo i palagi, le case, le chiese e tutte l’altre cose delle quali tutta la
città piena si vede, sì come colui che mai più per ricordanza vedute non n’avea, si cominciò
forte a maravigliare, e di molte domandava il padre che fossero e come si chiamassero. Il pa-
30 dre gliele diceva; ed egli, avendolo udito, rimaneva contento e domandava d’una altra. E così
domandando il figliuolo e il padre rispondendo, per avventura si scontrarono in una brigata di
belle giovani donne e ornate, che da un paio di nozze venieno; le quali come il giovane vide,
così domandò il padre che cosa quelle fossero.
A cui il padre disse: «Figliuol mio, bassa gli occhi in terra, non le guatare, ch’elle son mala cosa».
35 Disse allora il figliuolo: «O come si chiamano?».
Il padre, per non destare nel concupiscibile appetito del giovane alcuno inchinevole disi-
derio men che utile, non le volle nominare per lo proprio nome, cioè femine, ma disse: «Elle
si chiamano papere».
Maravigliosa cosa a udire! Colui che mai più alcuna veduta non avea, non curatosi de’ palagi,
40 non del bue, non del cavallo, non dell’asino, non de’ danari né d’altra cosa che veduta avesse, subi-
tamente disse: «Padre mio, io vi priego che voi facciate che io abbia una di quelle papere».
«Oimè, figliuol mio», disse il padre «taci: elle son mala cosa».
A cui il giovane domandando disse: «O son così fatte le male cose?».
«Sì» disse il padre.
45 E egli allora disse: «Io non so che voi vi dite, né perché queste sieno mala cosa: quanto è, a
me non è ancora paruta vedere alcuna così bella né così piacevole come queste sono. Elle son
più belle che gli agnoli dipinti che voi m’avete più volte mostrati. Deh! se vi cal di me, fate che
noi ce ne meniamo una colà sù di queste papere, e io le darò beccare».4
Disse il padre: «Io non voglio; tu non sai donde elle s’imbeccano!» e sentì incontanente più
50 aver di forza la natura che il suo ingegno;5 e pentessi d’averlo menato a Firenze.
G. Boccaccio, Decameron, cit.
facendomi conoscere le persone devote a Dio e a voi, io, (concupiscibile appetito) del giovane nessuna propensio-
che sono giovane e sopporto meglio di voi la fatica, possa ne (inchinevole disiderio) pericolosa (men che utile),
poi andare a Firenze per i nostri bisogni quando vorrete, non volle chiamarle con il nome loro proprio, cioè femmi-
mentre voi rimarrete qui?». Il brav’uomo, pensando che ne, ma disse: «Esse si chiamano papere». Cosa stupefacen-
suo figlio era già grande ed era così abituato al servizio di te da sentirsi! Egli, che non aveva mai visto nessuna [don-
Dio che difficilmente ormai le cose terrene avrebbero po- na], non interessandosi [più, da quel momento] né dei pa-
tuto attirarlo a sé, si disse fra sé e sé: «Lui ha ragione»; per- lazzi, né del bue, del cavallo e dell’asino, né di nessun’altra
ciò, dovendoci andare [: a Firenze], lo portò con sé. Qui il cosa che aveva visto, subito disse: «Padre mio, vi prego di
giovane, vedendo i palazzi, le case, le chiese e tutte le altre fare in modo che io abbia una di quelle papere». «Ahimè, fi-
cose che ci sono in città, poiché non le aveva mai viste, a gliolo mio», disse il padre «taci: quelle sono cose cattive».
quanto ricordava, si meravigliò tantissimo, e di molte [co- Al che il giovane chese: «E sono fatte così le cose cattive?».
se che vedeva] chiedeva al padre che cosa fossero e come si «Sì», rispose il padre. Ed egli allora disse: «Io non so ciò che
chiamassero. Il padre gli rispondeva; ed egli, dopo averlo dite, né perché queste siano una cosa cattiva: e tuttavia,
sentito, restava soddisfatto e [subito] chiedeva un’altra co- non mi è ancora sembrato di vedere niente di così bello e
sa. E, mentre il figlio faceva domande e il padre risponde- piacevole. Esse sono più belle degli angeli dipinti che voi
va, per caso (per avventura) si imbatterono in una compa- mi avete più volte mostrati. Ebbene! Se vi importa (cal) di
gnia di giovani donne belle ed eleganti, di ritorno da un me, fate che noi ci portiamo lassù [: nell’eremo sul monte]
matrimonio; e quando il giovane le vide, subito (così) chie- una di queste papere, e io le darò da mangiare (beccare)».
se al padre che cosa fossero. Il padre gli rispose: «Figlio Il padre disse: «Io non voglio; tu non sai da che parte esse
mio, abbassa gli occhi in terra e non guardarle, perché sono mangiano!» e capì subito che gli impulsi naturali avevano
una cosa cattiva». Disse allora il figlio: «E come si chiama- più forza dei suoi ammaestramenti (ingegno); e si pentì di
no?». Il padre, per non risvegliare nell’istinto al desiderio avere portato il figlio a Firenze.
4 Deh!...beccare: il ragazzo usa involonta- successivo s’imbeccano. sessuali e naturali risulta superiore a ogni
riamente un doppio senso osceno. Si tratta 5 più aver...ingegno: è il passaggio decisivo tentativo programmatico di eliminarli o di
di una metafora a carattere sessuale come il della breve novella: il potere degli impulsi attenuarne la forza.
419
PARTE PRIMA Il Medioevo
INTERPRETAZIONE L’amore come istinto naturale L’amore degli uomini per le donne è un istinto naturale e,
E COMMENTO quindi, giusto: questo è il tema centrale dell’autodifesa di Boccaccio. Si tratta di una visione
controcorrente rispetto alla visione cristiana medievale, che tendeva a considerare gli istinti
come la parte bassa dell’uomo, legata al corpo, al peccato, al male: è proprio sugli “appetiti”
e anzitutto sull’«appetito» sessuale che il diavolo farebbe presa per tentare l’uomo e dannarlo.
Boccaccio capovolge questa prospettiva, sostenendo che bisogna invece riconoscere e rispet-
tare “le forze della natura”. I moralisti che censurano il Decameron – sostiene l’autore – chiu-
dono gli occhi ipocritamente di fronte alla realtà. L’eros è un aspetto serio e importante della
vita, che merita ogni considerazione.
L’«onestà» Il riconoscimento delle “forze della natura” da parte di Boccaccio non significa
però ammettere l’abbandono totale alla spinta degli istinti. È necessario anche un controllo
sui comportamenti, che si manifesta attraverso l’«onestà», cioè il decoro pubblico, che gli
stessi novellatori perseguono con la scelta di ritirarsi in campagna. Boccaccio conduce dun-
que una lotta su due fronti: anzitutto, e con maggiore energia, sul fronte dell’ipocrisia e della
censura, rivendicando le forze della natura; in secondo luogo, contro l’eccesso, in favore del
decoro pubblico. L’autore propone, insomma, un superiore compromesso fra natura e onestà,
fra piacere e decoro, fra liberazione degli istinti e loro controllo.
420
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
La novella di Tancredi e Ghismunda riprende alcuni motivi dell’autodifesa dell’autore svolta nell’Introdu-
zione alla Quarta giornata. Attraverso il personaggio di Ghismunda viene celebrata la nobiltà d’animo del-
le donne innamorate ed è ribadita la forza naturale dell’eros. Si narra la storia di un amore infelice: il
principe Tancredi fa uccidere l’amante di sua figlia Ghismunda e ordina che il suo cuore sia mandato alla
donna in una coppa. Ghismunda berrà da quella stessa coppa un veleno letale. Tancredi, pentito, farà
seppellire insieme i due amanti. Riportiamo la parte della novella in cui Ghismunda, in un fiero discorso
rivolto al padre, difende il suo amore per Guiscardo, uomo di umili origini ma pieno di virtù.
difesa della naturalità degli istinti
I TEMI difesa della nobiltà d’animo contro la nobiltà di sangue nuovo modello femminile
Ghismunda, udendo il padre e conoscendo non solamente il suo segreto amore esser disco-
perto ma ancora esser preso Guiscardo, dolore inestimabile sentì e a mostrarlo con romore e
con lagrime, come il più le femine fanno, fu assai volte vicina: ma pur questa viltà vincendo il
suo animo altiero, il viso suo con maravigliosa forza fermò, e seco, avanti che a dovere alcun
5 priego per sé porgere, di più non stare in vita dispose, avvisando già esser morto il suo Gui-
scardo.1
Per che, non come dolente femina o ripresa del suo fallo, ma come non curante e valorosa,
con asciutto viso e aperto e da niuna parte turbato così al padre disse2 «Tancredi,3 né a nega-
re né a pregare son disposta, per ciò che né l’un mi varrebbe né l’altro voglio che mi vaglia; e
10 oltre a ciò in niuno atto intendo di rendermi benivola la tua mansuetudine e ’l tuo amore:
ma, il ver confessando, prima con vere ragioni difender la fama mia e poi con fatti fortissima-
mente seguire la grandezza dell’animo mio. Egli è il vero che io ho amato e amo Guiscardo, e
quanto io viverò, che sarà poco, l’amerò; e se appresso la morte s’ama, non mi rimarrò d’amarlo:
ma a questo non m’indusse tanto la mia feminile fragilità, quanto la tua poca sollecitudine del
15 maritarmi e la virtù di lui. Esser ti dové, Tancredi, manifesto, essendo tu di carne, aver generata
figliuola di carne e non di pietra o di ferro;4 e ricordarti dovevi e dei, quantunque tu ora sia vecchio,
PARAFRASI
Ghismunda, sentendo [le parole] del padre e venendo a sa- sta né a negare [l’amore per Guiscardo] né a pregarti [di
pere (conoscendo) che non solo il suo amore segreto era perdonarmi] per il fatto che negare non mi servirebbe a
stato scoperto ma anche che Guiscardo era stato cattura- niente e pregare non voglio che mi serva; e oltre a ciò non
to, fu presa da un dolore inestimabile e fu spesso sul punto intendo in nessun modo ingraziarmi la tua compassione e
di esprimerlo con le grida (romore) e con il pianto, come di il tuo amore: ma, confessando la verità, [intendo] prima
solito (il più) fanno le donne: ma il suo carattere forte difendere la mia reputazione con ragioni fondate e poi te-
(animo altiero) avendo prevalso anche su questa debolez- nere con i fatti pienamente fede alla mia magnanimità
za (viltà) [: l’inclinazione femminile a disperarsi], con una [: alla elevatezza e alla nobiltà dei miei sentimenti]. È vero
grande forza [interiore] atteggiò in modo risoluto (fermò) che io ho amato e amo Guiscardo, e finché vivrò, cioè per
il viso, e, piuttosto che dover rivolgere da parte sua (per poco altro tempo ancora, io lo amerò; e se dopo la morte [si
sé) delle preghiere, decise fra sé (seco) di non vivere più, continua] ad amare, non cesserò di amarlo: ma all’amore
comprendendo che il suo Guiscardo era già morto. Perciò, (a questo) non mi indusse tanto la mia fragilità femmini-
non come donna addolorata o consapevole e pentita (ri- le, quanto la tua riluttanza a farmi sposare e la virtù di Gui-
presa) del suo errore, ma come [donna] impenetrabile scardo. Ciò ti doveva essere chiaro, essendo tu di carne e
(non curante) e valorosa, con viso asciutto e fiero e per avendo generato una figlia di carne e non di pietra o di fer-
niente turbato, disse al padre: «Tancredi, non sono dispo- ro, e ti dovevi e devi ricordare, benché ora tu sia vecchio,
1 ma pur...Guiscardo: il carattere fiero e nome nel segno di un confronto che sente e in grado di soddisfare i suoi naturali desi-
risoluto di Ghismunda comincia a manife- vuole orgogliosamente paritario. deri di donna (fatta di carne e non di pie-
starsi, facendone una vera eroina tragica. 4 ma a questo...ferro: sono esposte le due tra o di ferro); 2) esso è stato alimentato
2 Per che...disse: qui viene ampliato il ri- argomentazioni principali del discorso di anche dalla consapevolezza della virtù,
tratto di Ghismunda: la donna si atteggia in Ghismunda: 1) il suo sentimento d’amore cioè della nobiltà d’animo di Guiscardo,
modo impassibile e deciso. è sorto per colpa di Tancredi che non si è che è riuscita di fatto a riscattare l’umiltà
3 Tancredi: Ghismunda chiama il padre per preoccupato di trovarle un nuovo marito delle sue origini.
421
PARTE PRIMA Il Medioevo
chenti e quali e con che forza vengano le leggi della giovanezza: e come che tu, uomo, in parte
ne’ tuoi migliori anni nell’armi essercitato ti sii, non dovevi di meno conoscere quello che gli
ozii e le dilicatezze possano ne’ vecchi non che ne’ giovani.5 Sono adunque, sì come da te ge-
20 nerata, di carne, e sì poco vivuta, che ancor son giovane, e per l’una cosa e per l’altra piena di
concupiscibile disidero, al quale maravigliosissime forze hanno date l’aver già, per essere stato
maritata, conosciuto qual piacer sia a così fatto disidero dar compimento. Alle quali forze non
potendo io resistere, a seguir quello a che elle mi tiravano, sì come giovane e femina, mi dispo-
si e innamora’mi. E certo in questo opposi ogni mia vertù di non volere né a te né a me di
25 quello a che natural peccato mi tirava, in quanto per me si potesse operare, vergogna fare. Alla
qual cosa e pietoso Amore e benigna Fortuna assai occulta via m’avean trovata e mostrata, per
la quale, senza sentirlo alcuno, io a’ miei disideri perveniva: e questo, chi che ti se l’abbia mo-
strato o come che tu il sappi, io nol nego. Guiscardo non per accidente tolsi, come molte fanno,
ma con diliberato consiglio elessi innanzi a ogni altro e con avveduto pensiero a me lo ’ntro-
30 dussi e con savia perseveranza di me e di lui lungamente goduta sono del mio disio. Di che egli
pare, oltre all’amorosamente aver peccato, che tu, più la volgare opinione che la verità segui-
tando, con più amaritudine mi riprenda, dicendo, quasi turbato esser non ti dovessi se io nobi-
le uomo avessi a questo eletto, che io con uomo di bassa condizione mi son posta: in che non
t’accorgi che non il mio peccato ma quello della fortuna riprendi, la quale assai sovente li non
35 degni a alto leva, abbasso lasciando i degnissimi.6 Ma lasciamo or questo, e riguarda alquanto
a’ principii delle cose: tu vedrai noi d’una massa di carne tutti la carne avere e da uno medesi-
mo Creatore tutte l’anime con iguali forze, con iguali potenzie, con iguali vertù create. La
vertù primieramente noi, che tutti nascemmo e nasciamo iguali, ne distinse; e quegli che di
lei maggior parte avevano e adoperavano nobili furon detti, e il rimanente rimase non nobile.
quante e di quale natura sono le leggi della giovinezza e lo nego. Guiscardo non lo scelsi per caso, come fanno
con quale forza [si impongono]: e benché tu, uomo, hai molte, ma dopo aver riflettuto (con diliberato consiglio)
dedicato parte dei tuoi anni migliori a combattere, non lo elessi davanti a ogni altro [uomo] e con ponderato giu-
per questo avresti dovuto ignorare (non dovevi… cono- dizio (avveduto pensiero) lo avvicinai a me, dopo di che,
scere) quello che possono [procurare] gli ozi e i piaceri con nostra saggia perseveranza, mi sono goduta a lungo il
[dell’amore] nei vecchi oltre che nei giovani. Sono dun- mio desiderio. Perciò sembra (Di che egli pare) che tu, se-
que di carne, come tu mi hai generato, e vissuta così poco guendo l’opinione comune (volgare) più che la verità, mi
che ancora sono giovane, e per l’una e per l’altra cosa sono riprenda con più amarezza per il fatto che ho scelto un
piena di istinti al desiderio (concupiscibile disidero), al uomo di umili origini che non per il fatto di aver peccato
quale grandissima forza hanno dato l’aver conosciuto – facendo l’amore (all’amorosamente), quasi non fosse
per il fatto di essere già stata sposata – quale piacere sia stato un problema (quasi… dovessi) se io avessi scelto
abbandonarsi a questi istinti. Non potendo resistere a ta- [come amante] un uomo nobile: dicendo ciò (in che), non
li istinti, mi decisi, essendo giovane e donna, a seguire ti accorgi che riprendi non il mio peccato ma quello della
quello a cui essi mi trascinavano, e mi innamorai. E certo fortuna, che spesso eleva le persone che non sono degne,
nel compimento del mio desiderio (in questo) cercai, per lasciando in basso quelle piene di virtù (degnissimi). Ma
quanto lo potessi, di non procurare vergogna a te e a me lasciamo stare questo discorso, e guarda bene al principio
assecondando un istinto peccaminoso, eppure naturale. delle cose: tu vedrai che noi tutti siamo fatti di una massa
Al fine di ciò mi avevano trovata e mostrata una maniera di carne e che tutte le anime sono state create da uno
segreta (occulta via) il pietoso Amore e la benevola For- stesso Creatore con uguali forze, potenze e virtù. La virtù
tuna, per la quale, senza che nessuno lo sapesse, io soddi- per prima distinse gli uomini, che nascono tutti uguali; e
sfacevo i miei desideri: e questo, chiunque te l’abbia rive- quegli [uomini] che ne avevano di più e che la mettevano
lato e in qualunque modo tu sia venuto a saperlo, io non a frutto furono detti nobili, e gli altri rimasero non nobili.
5 con che forza... giovani: il tema della 6 non il mio...degnissimi: è il passaggio-chia- smunda, l’umile condizione di Guiscardo
forza incontrollabile dell’amore, che coin- ve dell’argomentazione di Ghismunda: non non deve essere considerata una colpa. È
volge e sconvolge gli uomini di tutte le ci si può opporre al natural peccato se alla questo il punto di partenza per le dichiara-
età, è uno dei motivi fondamentali espo- base di questa condanna sussiste una discri- zioni seguenti sull’uguaglianza di nascita e
sti nell’Introduzione alla Quarta giornata minazione sociale operata dalla fortuna, sulle differenziazioni operate soltanto dalla
( T5, p. 418). cioè del caso. In sostanza, sostiene Ghi- virtù.
422
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
40 E benché contraria usanza poi abbia questa legge nascosa, ella non è ancor tolta via né guasta
dalla natura né da’ buon costumi; e per ciò colui che virtuosamente adopera, apertamente si mo-
stra gentile, e chi altramenti il chiama, non colui che è chiamato ma colui che chiama commette
difetto. Raguarda tra tutti i tuoi nobili uomini ed essamina la lor virtù, i lor costumi e le loro
maniere, e d’altra parte quelle di Guiscardo raguarda: se tu vorrai senza animosità giudicare, tu
45 dirai lui nobilissimo e questi tuoi nobili tutti esser villani. Delle virtù e del valore di Guiscardo io
non credetti al giudicio d’alcuna altra persona che a quello delle tue parole e de’ miei occhi. Chi il
commendò mai tanto quanto tu ’l commendavi in tutte quelle cose laudevoli che valoroso uomo
dee essere commendato? E certo non a torto: ché, se’ miei occhi non m’ingannarono, niuna laude
da te data gli fu che io lui operarla, e più mirabilmente che le tue parole non poteano esprimere,
50 non vedessi: e se pure in ciò alcuno inganno ricevuto avessi, da te sarei stata ingannata.
E benché un’usanza contraria abbia poi nascosto questa Ho conosciuto le virtù e il valore di Guiscardo attraverso
legge, essa non è ancora estinta e corrotta dalla natura né le tue parole e i miei occhi e non affidandomi al giudizio di
dai buoni costumi; perciò colui che opera virtuosamente altre persone. Chi mai lo lodò (commendò) tanto quanto
si rivela evidentemente nobile, e commette un errore chi tu lo lodavi in tutte quelle cose lodevoli per le quali (che)
non lo definisce tale e non chi tale non è considerato. Pas- un uomo valoroso deve essere lodato? E certamente [non
sa in rassegna (Riguarda) tutti gli uomini nobili al tuo ser- lo lodavi] a torto: poiché, se i miei occhi non m’ingannaro-
vizio ed esamina la loro virtù, i loro costumi e le loro ma- no, nessuna lode gli fu da te rivolta che io non mi rendessi
niere, e, dall’altra parte, considera quelli di Guiscardo: se conto che lui metteva in atto (operarla... vedessi), e che
tu vorrai giudicare senza rancore, tu dirai che lui è nobilis- le tue parole non potevano esprimere meglio: e se pure in
simo e che questi tuoi nobili non sono [in realtà] nobili. ciò fossi stata ingannata, lo sarei stata [proprio] da te.
423
PARTE PRIMA Il Medioevo
Dirai dunque che io con uomo di bassa condizion mi sia posta? Tu non dirai il vero: ma per
avventura se tu dicessi con povero, con tua vergogna si potrebbe concedere, ché così hai sapu-
to un valente uomo tuo servidore mettere in buono stato; ma la povertà non toglie gentilezza
a alcuno ma sì avere. Molti re, molti gran prencipi furon già poveri, e molti di quegli che la terra
55 zappano e guardan le pecore già ricchissimi furono e sonne. L’ultimo dubbio che tu movevi,
cioè che di me far ti dovessi, caccial del tutto via: se tu nella tua estrema vecchiezza a far quello
che giovane non usasti, cioè a incrudelir, se’ disposto, usa in me la tua crudeltà, la quale a alcun
priego porgerti disposta non sono, sì come in prima cagion di questo peccato,7 se peccato è; per
ciò che io t’acerto che quello che di Guiscardo fatto avrai o farai, se di me non fai il simigliante,
60 le mie mani medesime il faranno. Or via, va con le femine a spander le lagrime,8 e incrudelen-
do con un medesimo colpo altrui e me, se così ti par che meritato abbiamo, uccidi».9
G. Boccaccio, Decameron, cit.
Dirai dunque che mi sono innamorata (mi sia posta) di in vecchiaia sei disposto a fare quello che in gioventù non
un uomo di bassa condizione? Tu non diresti la verità: ma facesti, cioè compiere atti di crudeltà, usa [pure] contro
se per caso tu dicessi che è un uomo povero, ne derivereb- di me la tua crudeltà, visto che non sono disposta a rivol-
be la tua vergogna, perché non avresti saputo garantire gere alcuna preghiera, poiché tu sei la prima causa di que-
un buono stato [economico] a un tuo meritevole servito- sto peccato, se di peccato si tratta; perciò io ti assicuro
re; e poi la povertà non toglie nobiltà a nessuno ma solo che se di me non farai la stessa cosa [: uccidermi] che hai
le ricchezze (avere; cioè l’avere). Molti re, molti grandi fatto o farai a Guiscardo, la farò con le mie stesse mani.
principi furono poveri, e molti contadini e pastori furono Or su, vai con le femmine a piangere, e manifesta la tua
e sono ricchissimi. L’ultimo dubbio che tu avanzavi, cioè crudeltà (incrudelendo) uccidendo con uno stesso colpo
che cosa avresti dovuto fare di me, toglilo del tutto: se tu me e Guiscardo, se ti pare che ce lo meritiamo.
7 usa...peccato: Ghismunda, rispettan- d’amore, ammesso e non concesso che esso emotiva del padre e conferendole grande
do la retorica, riprende i motivi fino qui sia davvero peccato (se peccato è). Lo sco- eloquenza. L’autore, amico delle donne, per
esposti formulandoli in sintesi (ripete, per po di tutto il suo ragionamento, infatti, non esaltarle costruisce una figura quasi virile:
esempio, lo stesso concetto presentato all’i- è stato altro che il tentativo di dimostrare il segno paradossale di una cultura che, co-
nizio: né a negare né a pregare son dispo- contrario. munque, attribuisce agli uomini il primato.
sta). Nella parte conclusiva del discorso la 8 va...lagrime: Boccaccio dipinge Ghismun- 9 uccidi: l’imperativo chiude il tragico e ap-
donna non si appella alla benevolenza del da come un personaggio che rifugge certe passionato discorso di Ghismunda: si tratta
padre perché lo ritiene causa principale (sì caratteristiche tipicamente femminili, con- di una scelta espressiva di straordinaria ef-
come in prima cagion) di questo peccato trapponendola soprattutto alla debolezza ficacia.
ANALISI La forza delle parole di Ghismunda Nel suo lungo discorso, Ghismunda rivela una straordina-
ria eloquenza: la principessa resta fedele al proposito iniziale di contenere l’emozione, riu-
scendo ad esporre le proprie motivazioni in modo rigoroso, coerente e convincente. Il monologo
che rivolge a Tancredi si presenta infatti come un testo argomentativo ben costruito: ricorrendo
a una sintassi complessa e articolata, Ghismunda chiarisce la propria visione dell’amore, della
424
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
naturalità degli istinti e della nobiltà d’animo, risultando praticamente inattaccabile. Anziché
chiedere perdono per le sue colpe, la donna addita le colpe del padre: è lui che l’ha indotta a
cercare un amante, dimostrandosi riluttante a procurarle un marito («ma a questo non m’in-
dusse tanto la mia feminile fragilità, quanto la tua poca sollecitudine del maritarmi»), ed è lui
che l’ha spinta fra le braccia del virtuoso valletto, lodato di continuo («Delle virtù e del valore di
Guiscardo io non credetti al giudicio d’alcuna altra persona che a quello delle tue parole»).
INTERPRETAZIONE Un nuovo modo di concepire l’amore Il Decameron segna una svolta nel modo di conce-
E COMMENTO pire l’amore: il discorso di Ghismunda ne chiarisce efficacemente gli aspetti. Il riconoscimento
e la valorizzazione, da parte della protagonista, della forza degli istinti naturali («Sono adun-
que, sì come da te generata, di carne») è distante sia dalla prospettiva idealizzante di Dante,
che riconosceva un valore trascendente alla donna e all’amore, sia dalla visione “conflittuale”
di Petrarca, che individuava un contrasto drammatico fra spiritualità e sensualità. Si colgono,
dunque, le seguenti differenze:
In Dante In Petrarca In Boccaccio
La bellezza, la donna e l’amore La dimensione spirituale e La dimensione terrena e sensuale
sono messi in rapporto con la quella terrena dell’amore dell’amore si impone su quella
dimensione divina sono in drammatico conflitto spirituale in nome della natura
Un nuovo modello di femminilità In Boccaccio le donne acquistano per la prima volta dignità
di personaggi: esse non sono solo oggetto del desiderio maschile, ma provano loro stesse
attrazione e sentimenti, che esprimono con le parole e manifestano con gli atti. Così Ghi-
smunda prende l’iniziativa amorosa con Guiscardo e poi difende la propria scelta in un lungo
discorso pronunciato contro il padre Tancredi. Secolarmente condannata al silenzio, nel Deca-
meron la donna fa sentire finalmente la propria voce: pensiamo, per esempio, al personaggio
di monna Filippa (VI, 7), che parlerà addirittura in tribunale e convincerà il giudice ad assolverla
dalla condanna di adulterio. Insomma, la donna nel Decameron non è più la muta donna-an-
gelo degli Stilnovisti: Ghismunda incarna un nuovo modello di femminilità, che sfida l’autorità
maschile del padre rivendicando la libertà dei sensi. Certo, la fine tragica dell’eroina mette
anche in luce il limite storico con cui è destinata a scontrarsi l’iniziativa femminile.
425
PARTE PRIMA Il Medioevo
Dopo che nell’Introduzione alla Quarta giornata Boccaccio ha preso la parola per difendersi dalle criti-
che dei benpensanti, seguono storie di amori infelici che intendono dimostrare la forza incontenibile
della passione e l’esito tragico che deriva dal tentativo di opporvisi. Narrata da Filomena, la novella di
Ellisabetta (che nel testo qui riportato viene indicata come Lisabetta) ha evidenti punti di contatto
con quella di Tancredi e Ghismunda ( T6, p. 421). Anche l’amato di Ellisabetta, il garzone Lorenzo,
viene “punito” con la morte, ucciso in segreto dai fratelli di lei e sepolto in campagna. Ellisabetta viene
a conoscenza dell’accaduto attraverso un sogno rivelatore: va perciò, il mattino seguente, in cerca del
cadavere e, trovatolo, ne recupera la testa per portarla con sé. Nasconde poi la testa in un vaso di ba-
silico, sul quale piange di continuo. Quando i fratelli le sottraggono anche il vaso, Ellisabetta muore di
dolore. La novella viene riportata nella traduzione che ne ha fatto Aldo Busi nel Decamerone. Da un
italiano all’altro.
I TEMI forza incontenibile dell’amore
Tre giovani fratelli di Messina, commercianti di mestiere, si erano ritrovati con un bel patri-
monio alla morte del padre, che veniva da San Geminiano,1 e avevano una sorella, Lisabetta,
ragazza molto bella e con la testa a posto, alla quale, chissà perché, i tre fratelli non avevano
ancora trovato marito.
5 I tre fratelli avevano in una loro bottega un giovanissimo commesso pisano di nome Lo-
renzo, di bell’aspetto e modi accattivanti, che si occupava un po’ di tutto, dall’acquisto alla
vendita. A forza di averlo sotto gli occhi, Lisabetta stranamente se ne invaghì. Quando Loren-
zo se ne accorse, cominciò una dopo l’altra a lasciare le morose che aveva in giro e a concen-
trarsi sul pensiero di lei; siccome l’attrazione reciproca era ormai indomabile, non ci misero
10 molto a prender confidenza e passare all’azione.
DIGIT VIDEOLEZIONE
Analisi del testo di Romano Luperini
DIGIT VIDEO
Videolettura: i classici ad alta voce
TESTI Testo originale di Boccaccio
ALTA LEGGIBILITÀ
426
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
I loro interludi di sesso appassionato divennero ben presto una consuetudine divorante e
sempre meno circospetta e, forse per una certa dose di incoscienza sopravvenuta, una notte
accadde che il fratello maggiore di Lisabetta la vide, a sua insaputa, mentre si dirigeva in pun-
ta di piedi verso la camera di Lorenzo. Quella rivelazione fu per lui un boccone troppo amaro
15 da ingoiare ma, chiamato a raccolta tutto il suo buon senso, pensò che la cosa più ragionevole
fosse starsene zitto e non far niente subito. Trascorse così tutta la notte a rimuginare su que-
sto fatto increscioso e la mattina dopo raccontò ai fratelli quello che aveva scoperto fra Lisa-
betta e Lorenzo. Dopo una lunga discussione, decisero di passare la cosa sotto silenzio e con
lei di far finta di niente, finché non si fosse presentata l’occasione giusta per troncare di netto
20 la storia senza coinvolgere in uno scandalo né loro stessi né la sorella.
Continuarono così a ridere e a scherzare con Lorenzo come facevano di solito, finché un
giorno, con la scusa di voler andare a spassarsela un po’ fuori città, invitarono il ragazzo a se-
guirli. Durante l’allegra trasferta, capitarono in un posto isolato lontano da ogni passaggio e
uccisero Lorenzo, completamente inerme e lontano mille miglia dal benché minimo sospet-
25 to, e lì lo seppellirono, senza che nessuno si accorgesse di nulla. Quando ritornarono a Messi-
na, sparsero la voce che lo avevano mandato a sbrigare alcune commissioni. Dapprima la sua
assenza non destò alcun sospetto, dato che capitava spesso che i tre fratelli lo mandassero di
qua e di là come loro uomo di fiducia, ma Lorenzo non tornava più e Lisabetta, che sentiva
crescere una strana nostalgia, cominciò a preoccuparsi e a fare un sacco di domande ai fratelli,
30 finché uno di loro, esasperato dall’insistenza della sorella disse:
– Ma si può sapere perché continui a chiedere di Lorenzo? Ti importa così tanto di lui? Se
non la finisci con questo interrogatorio, ti rispondiamo noi per le rime.
Nacque un brutto presentimento nella ragazza, che smise di fare domande e cominciò a
vivere in silenzio il suo dolore e la sua tristezza, anche se spesso di notte chiamava Lorenzo
35 ad alta voce, fra i singhiozzi, lo pregava di ritornare da lei e, lungi dal rassegnarsi, non abban-
donava la speranza di vederselo comparire davanti.
Una notte che Lisabetta a furia di piangere era scivolata nel sonno quasi senza accorgerse-
ne, vide in sogno Lorenzo che, pallido e stravolto e con i vestiti strappati e fradici, le diceva:
«Oh, Lisabetta, tu non fai altro che chiamarmi e soffrire per la mia lunga assenza, ma io
40 non merito le tue parole di biasimo. Io non posso più tornare da te, perché i tuoi fratelli mi
hanno ucciso quello stesso giorno che mi hai visto per l’ultima volta».
Poi le disegnò la mappa di dove l’avevano sotterrato e le chiese di non chiamarlo e di non
aspettarlo più e scomparve.
Lisabetta si svegliò di soprassalto e, prestando ciecamente fede alla visione, si mise a pian-
45 gere disperata.
Il giorno dopo le mancò il coraggio di affrontare i suoi fratelli,2 ma decise di andare comun-
que nel luogo indicato da Lorenzo per verificare se le silenti parole del sogno corrispondevano
alla realtà; chiese il permesso di fare una passeggiata nei dintorni di Messina con una sua vec-
chia tata che era al corrente di tutto. Le due donne si precipitarono sul posto, Lisabetta tolse
50 via le foglie morte e, dove il terreno le sembrava meno duro, cominciò a scavare.
Non dovette però rimuovere molta terra per scoprire il cadavere ancora perfettamente
conservato del suo infelice amante e capire che quel sogno era stata una vera e propria rivela-
zione. Nonostante il cuore straziato dalla pena, si rese conto che non era quello il momento di
piangere, ah, se avesse potuto si sarebbe portata via il corpo intero per seppellirlo come me-
55 ritava, ma era impossibile; con un coltello gli tagliò via la testa come meglio poté, la avvolse
in un asciugamano, la mise in grembo alla vecchia domestica, ricoprì con la terra il resto del
corpo e, senza essere vista da nessuno, ritornò a casa.
2 Il giorno dopo...suoi fratelli: Ellisabetta lontani dall’esempio di un’altra eroina tra- la parola per difendersi dalle accuse
non si pronuncia contro i fratelli e così gica: Ghismunda si ribella contro il padre paterne.
accetta la sua sottomissione. Siamo molto (che manda a morte il suo amante) e prende
427
PARTE PRIMA Il Medioevo
Una volta rinchiusasi in camera sua, cominciò a piangere sconsolatamente, lasciando che
le lacrime scorressero sopra a lavare la testa, riempiendola di baci in ogni parte. Poi prese una
60 bella terracotta, uno di quei vasi in cui crescono la maggiorana o il basilico, vi collocò la testa
avvolta in un drappo di seta, la ricoprì di terra e vi piantò parecchi germogli di bellissimo basi-
lico salernitano. Da quel giorno cominciò a innaffiarlo solo con acqua di rose o fiori di arancio
oppure con le sue lacrime, e prese l’abitudine di sedersi sempre vicino a questo vaso, custode
segreto del suo Lorenzo, per guardarlo con occhi persi nei chiaroscuri del rimpianto, finché
65 non si sporgeva di nuovo sopra le piantine di basilico per bagnarle con un nuovo pianto.3
Vuoi per l’assiduità delle cure di Lisabetta, vuoi perché la testa putrefatta aveva concimato
la terra in modo straordinario, quel basilico diventò magnifico e profumatissimo. I vicini di
casa, intanto, avevano notato le strane abitudini della ragazza e un giorno dissero ai fratelli
che non riuscivano a spiegarsi dove fosse andata a finire tutta la sua bellezza, gli occhi sembra-
70 vano scomparsi da tanto si erano infossati:
«Guardate, noi ci siamo accorti che Lisabetta ogni giorno fa così e cosà».
I fratelli si misero allora a sorvegliarla, e siccome tutte le prediche si rivelavano inutili,
decisero di sottrarle la terracotta. Quando Lisabetta scoprì che il suo basilico era scomparso,
cominciò a cercarlo, ma poiché era introvabile chiese con insistenza ai suoi fratelli di restitu-
75 irglielo. Fu come chiedere a un muro, e a furia di piangere e disperarsi, si ammalò, ma nemme-
no durante l’infermità smetteva di chiedere la restituzione del suo vaso.
I fratelli non capivano perché questo vaso fosse così importante per la ragazza e vollero
vedere che cosa c’era dentro: quando rovesciarono fuori la terra, videro il pezzo di seta e la
testa che vi era avvolta e, poiché non era ancora del tutto decomposta, non fecero fatica a
80 riconoscere i riccioli di Lorenzo. I tre ci rimasero a dir poco di sasso e per la paura che la fac-
cenda diventasse di pubblico dominio, sotterrarono la testa e, senza alcuna giustificazione,
troncarono ogni affare e si trasferirono a Napoli.
Lisabetta, invece, senza smettere di piangere e di chiedere del suo vaso, morì con le lacri-
me negli occhi. Ma dopo, quando la cosa si riseppe, qualcuno compose quella canzone che si
85 canta ancora oggi e che dice:
Ah, chi fu mai il malefico cristiano
che mi rubò quel vaso
del basilico amato siciliano4
A. Busi, Decamerone. Da un italiano all’altro, Rizzoli, Milano 2003.
3 Da quel giorno...pianto: qui Ellisabetta lenza testa-basilico. Facendo crescere il basi- 4 Ah...siciliano: la fanciulla che canta nella
appare già dominata da una dolce follia: non lico è come se mantenesse in vita l’amante, la canzone popolare, da cui la novella trae
obbedisce più alla ragione, ma alla propria cui testa si trasforma in una pianta e quasi, si spunto, chiede chi è stato a derubarla del
fantasia, che prima le fa apparire in visione direbbe, in un figlio da allevare amorosa- vaso in cui aveva fatto crescere la pianta di
l’innamorato e ora le suggerisce l’equiva- mente. basilico.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
La struttura
Anche questa novella, inserita nella Quarta giornata e ispirata agli amori infelici, intende dimostrare la
forza dell’eros e criticare chi le si oppone. Nella versione di Busi viene privilegiata la vicenda, mentre
sono omesse sia la rubrica sia la parte introduttiva della novella. Il racconto, perciò, si apre subito con
la narrazione dei fatti. Sono riconoscibili quattro parti che hanno come protagonisti alternativamente
i fratelli o Ellisabetta. Nella prima parte (rr. 5-36) è narrato l’evento centrale: i fratelli, dopo aver sco-
perto la relazione di Ellisabetta ed essersi confrontati sul da farsi, uccidono a tradimento Lorenzo. La
seconda parte (rr. 37-65) è dedicata al dolore di Ellisabetta, che attende invano il ritorno dell’amante,
428
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
finché, grazie a un sogno rivelatore, scopre la verità. La disperazione di Ellisabetta si riversa ora su un
vaso di basilico in cui la donna custodisce segretamente la testa di Lorenzo. La terza parte (rr. 66-82) è
incentrata sulla sottrazione del vaso da parte dei fratelli; infine, la quarta parte (rr. 83-88), brevissima,
comunica la morte della protagonista.
Rintraccia nel testo le battute di discorso diretto e indica quali sono i soggetti che le pronunciano.
ANALISI
Elementi realistici e mitico-simbolici
La novella si ispira a una canzone popolare che doveva essere molto nota al pubblico del Decameron.
Ne deriva un racconto che combina elementi realistici ed elementi di carattere mitico-simbolico. Sono
realistiche le coordinate spazio-temporali, determinate da precise notazioni sui luoghi e sulla condi-
zione della famiglia, e verosimile è la psicologia dei personaggi. Hanno un valore simbolico il gesto
del seppellimento della testa e la cura della pianta, attraverso i quali Ellisabetta cerca di sconfiggere
la dimensione della morte, trasferendo sul vaso l’immagine del protettivo grembo materno. Il rito del
pianto che alimenta la crescita del basilico ci riconduce infine all’antico mito della fertilità di Iside e
Osiride.
La traduzione di Busi
Abbiamo notato che nella sua traduzione-rifacimento Busi tralascia la parte introduttiva della novella per
concentrarsi sul racconto vero e proprio. È evidente che, rinunciando a buona parte della “cornice”, di
cui è composto l’originale di Boccaccio, si sacrifica l’architettura dell’opera. La scelta, inoltre, di omet-
tere la storia e le vicende dell’“allegra brigata” dei novellatori fa venir meno in qualche modo il significa-
to e il valore della loro scelta di sfuggire dal degrado morale per ricercare un sereno equilibrio anche
attraverso l’arte del novellare. Per questo siamo di fronte, con l’opera di Busi, ad una riscrittura fondata
sull’originalità e sulla sorpresa, più che sulla fedeltà all’originale. Busi utilizza infatti un linguaggio gio-
coso e ironico, in cui ricorrono modi ed espressioni tipici del nostro mondo e della nostra società. Que-
sto intento attualizzante si coglie in vari punti del testo, in cui si trovano, per esempio, vari modi di dire
tipici dell’italiano colloquiale (come avere la testa a posto, rispondere per le rime, ingoiare un boccone
amaro, chiedere a un muro, rimare di sasso, ecc.).
Rintraccia nel testo il riferimento esplicito alla canzone popolare da cui deriva la novella.
Raccogli informazioni sulla storia mitica di Iside e Osiride: perché essa può essere ricollegata alla
novella di Ellisabetta?
Lavoriamo adesso sulla traduzione di Aldo Busi: segna sul testo le espressioni linguistiche più si-
gnificative che rimandano al nostro tempo e al nostro italiano. Qui di seguito ne trovi già un elenco.
Trascrivi nel quaderno l’espressione corrispondente nel testo originale di Boccaccio che trovi nelle
espansioni digitali e prova a fare una parafrasi fedele all’originale.
a. «avevano una sorella, Lisabetta, ragazza molto bella e con la testa a posto»
b. «[Lorenzo] cominciò una dopo l’altra a lasciare le morose che aveva in giro»
c. «I loro interludi di sesso appassionato divennero ben presto una consuetudine divorante»
429
PARTE PRIMA Il Medioevo
d. «Quella rivelazione fu per lui un boccone troppo amaro da ingoiare […]. Trascorse così tutta la notte
a rimuginare su questo fatto increscioso»
e. «con la scusa di voler andare a spassarsela un po’ fuori città»
f. «lontano mille miglia dal benché minimo sospetto»
g. «Se non la finisci con questo interrogatorio, ti rispondiamo noi per le rime».
h. «per guardarlo con occhi persi nei chiaroscuri del rimpianto»
i. «Guardate, noi ci siamo accorti che Lisabetta ogni giorno fa così e cosà»
j. «Fu come chiedere a un muro, e a furia di piangere e disperarsi, si ammalò»
k. «I tre ci rimasero a dir poco di sasso e per la paura che la faccenda diventasse di pubblico domi-
nio…»
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
Due gruppi di personaggi contrapposti
La novella intende dimostrare la forza naturale e inarrestabile dell’amore, che non guarda alle conve-
nienze sociali ma lega uomini e donne senza distinzioni di censo. I protagonisti della vicenda formano
due gruppi contrapposti per caratteristiche sociali e umane: da una parte stanno i tre fratelli, dall’altra
i due amanti. I fratelli possiedono l’autorità che deriva dalla loro posizione economica (sono i datori di
lavoro di Lorenzo) ma anche dalle leggi della famiglia (gestiscono, in quanto maschi, la vita della sorel-
la); inoltre, ragionano secondo la pura logica della convenienza, ignorando le ragioni dell’amore invece
rappresentate da Ellisabetta e Lorenzo. Essi esercitano brutalmente il potere sui loro “sottoposti”, ma
alla fine ottengono solo danno: la famiglia è costretta a trasferirsi a Napoli.
Ellisabetta, Ghismunda e l’ideologia di Boccaccio
Questa novella si collega a quella di Tancredi e Ghismunda ( T6, p. 421): in entrambe una donna in-
frange le regole sociali innamorandosi di un uomo di condizione sociale inferiore. Boccaccio si contrap-
pone sia all’ostinata difesa dei privilegi di sangue di Tancredi, sia alla logica puramente economica se-
guita dai tre fratelli di Ellisabetta, promuovendo piuttosto una sintesi tra vecchi valori cortesi e nuovi
valori borghesi capace di superare i ristretti interessi di classe.
Prova a spiegare perché Ellisabetta non prende mai la parola durante l’intera storia.
Ritieni che in questa storia sia possibile riconoscere dei vincitori e dei vinti? Quali? Motiva la tua
risposta.
Confronta la novella di Ellisabetta con le altre novelle lette finora: dove hai ritrovato fra i protagonisti un
rappresentante della classe borghese e mercantile? Come era connotato?
DIGIT VIDEOLEZIONE
Analisi del testo di Romano Luperini
Ascolta la videolezione che Romano Luperini dedica all’analisi della novella. Per lo studioso quali altre novelle
della Quarta giornata possono essere collegate a questa? Quali sono gli elementi comuni?
430
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
La novella racconta la storia di Nastagio, ricco borghese che ama, non ricambiato, una donna nobile di
sangue. Invano egli spende e sperpera le proprie ricchezze per mostrarsi degno dell’amore di lei. Un ve-
nerdì, nella pineta di Ravenna, Nastagio vede una fanciulla nuda inseguita da due cani e da un cavaliere.
Scopre dall’inseguitore che si tratta di una “caccia” voluta da Dio, che punisce così il cavaliere suicidatosi
per amore e la donna che lo ha crudelmente rifiutato. La giovane viene poi raggiunta e trafitta dal cava-
liere, che ne dà il cuore in pasto ai mastini. Dopo essersi ripreso dalla scena agghiacciante, Nastagio ha
un’idea: il venerdì successivo organizza nello stesso luogo una cena a cui invita molti amici e la donna
che lo respinge. Quando questa assiste alla “caccia”, cambia immediatamente atteggiamento nei con-
fronti di Nastagio e accetta di sposarlo. Presentiamo la novella nella riscrittura in italiano moderno fatta
da Luciano Corona.
I TEMI rappresentazione negativa del femminile
10 Non appena Lauretta tacque, per ordine della regina prese la parola Filomena, la quale disse:
«Amabili compagne, come la pietà è apprezzata in modo particolare in noi donne, così la
giustizia divina ci punisce severamente se siamo crudeli. Per dimostrarvelo e per fornirvi un
esempio che vi aiuti a non essere mai dure e spietate, vi voglio raccontare una novella che vi
commuoverà e, insieme, ne sono certa, vi piacerà.
15 A Ravenna, antichissima città della Romagna, vissero un tempo molti gentiluomini, fra i
quali un giovane, chiamato Nastagio degli Onesti, che, dopo la morte del padre e di un suo zio
senza altri eredi, si ritrovò ricchissimo.
Non aveva ancora moglie e dunque, come accade normalmente alla sua età, si innamorò di
una figlia di messer Paolo Traversaro. Nonostante la nobiltà della famiglia di lei fosse assai più
20 elevata della sua, Nastagio sperava di convincerla ad amarlo con il suo operato. Ma esso, nono-
stante fosse degno della più grande ammirazione, non gli servì a nulla, anzi, parve nuocergli,
perché la fanciulla era nei suoi confronti sempre più crudele, inflessibile e scontrosa. Forse
per la sua bellezza fuori dal comune, forse per la sua alta posizione sociale, divenne tanto al-
tezzosa e sprezzante che non teneva in nessuna considerazione né lui né alcun suo tentativo
25 di piacerle. Il che, per Nastagio, era talmente duro da sopportare che il dolore gli fece spesso
meditare il suicidio.
Ogni volta, per fortuna, all’ultimo momento cambiava idea e allora si imponeva di dimen-
ticarla o, ammesso che ne fosse capace, di odiarla come lei odiava lui. Ma anche tali propositi
erano vani, perché quanto più la sua speranza veniva meno, tanto più non riusciva a toglier-
30 sela dalla mente e dal cuore.
Dato che il giovane continuava dunque ad amare e a fare il grandioso nello spendere per
farsi bello agli occhi di lei, amici e parenti cominciarono a pensare che lui e il suo patrimonio
DIGIT TESTI 1 NASTAGIO DEGLI ONESTI: gli Onesti appar- 2 TRAVERSARI: nobilissima famiglia raven-
Testo originale di Boccaccio tenevano a una famiglia nobile di Ravenna. nate di parte guelfa.
431
PARTE PRIMA Il Medioevo
avrebbero fatto tutti e due una brutta fine. Per cui, lo pregarono per il suo bene di lasciare
Ravenna e di andarsene per un po’ a vivere da qualche altra parte, dove sarebbe stato più facile
35 che la sua rovinosa passione progressivamente scemasse, insieme alle uscite di denaro.
Nastagio dapprima non diede retta a tali consigli, ma quelli insistettero tanto che, alla
fine, cedette e acconsentì. Fatti fare grandi preparativi, come se dovesse andare in Francia o
in Spagna o in qualche altro luogo lontano, montò a cavallo, e, insieme a molti dei suoi amici,
uscì da Ravenna.
40 In realtà, non fece che tre miglia, perché si fermò vicino alla pineta di Classe. Qui, fece
sistemare tende e baracche da accampamento; dopodiché, congedò quelli che lo avevano ac-
compagnato: potevano pure tornarsene in città, perché lui voleva stare lì.
Sistematosi dunque in quel luogo, Nastagio continuò a fare la vita bella e lussuosa di pri-
ma, invitando gente ogni giorno sia a pranzo sia a cena.
45 Verso gli inizi di maggio,3 un giorno che il tempo era splendido e che il ricordo di quella
donna crudele lo tormentava più del solito, il giovane, per poter pensare a lei in santa pace, or-
dinò alla servitù di lasciarlo solo e si incamminò lentamente verso la pineta, nella quale, passo
dopo passo, finì con l’inoltrarsi, sempre chiuso nelle sue dolci e malinconiche meditazioni.
Erano già passate da un pezzo le undici e Nastagio aveva percorso più di mezzo miglio
50 all’interno del bosco, senza che gli venisse neppure in mente che era quasi ora di pranzo,
quando, all’improvviso, gli sembrò di udire un pianto disperato e i lamenti acutissimi di una
donna. Per cui, staccatosi dai propri pensieri, si guardò intorno, per vedere da dove provenis-
sero quei disperati rumori umani e, prima di tutto, si meravigliò di trovarsi nella pineta, dove
non si era neppure accorto di entrare.
55 Scrutando davanti a sé, da un boschetto fitto di rami e di rovi, vide uscire e correre verso di
lui una bellissima giovane nuda, con i capelli scompigliati e la pelle tutta graffiata dagli sterpi
e dalle spine. Era lei che piangeva e gridava, implorando pietà. Era incalzata da due enormi
mastini che, ogni volta che riuscivano a raggiungerla, la mordevano rabbiosamente. Un po’
più distaccato, veniva, su un destriero nero come la pece, un cavaliere vestito di scuro, stravol-
60 to in viso dalla collera e con uno spadino in mano. Urlava contro la donna minacce di morte,
insieme a parole terribili e oltraggiose.
Nastagio, vedendo ciò, si spaventò moltissimo, ma, nello stesso tempo, fu preso da pietà
per quella sventurata. Se possibile, avrebbe voluto liberarla dalla terribile situazione in cui
si trovava e salvarla. Essendo senza armi, prese un ramo d’albero a mo’ di bastone e avanzò
65 contro cani e cavaliere.
Quest’ultimo, quando si accorse di quel che aveva intenzione di fare, da lontano gli disse
ad alta voce: – Nastagio, non t’impicciare! Lascia fare alle bestie e a me quel che questa mal-
vagia femmina si è meritato.
Intanto, i cani, addentata la giovane il primo a un fianco, il secondo all’altro, l’avevano
70 bloccata e le impedivano di continuare a correre. Dopo un istante, fu raggiunta dal suo inse-
guitore, che subito smontò da cavallo.
Nastagio, allora, gli si avvicinò e gli fece: – Non so chi tu sia, tu che invece sembri conoscer-
mi così bene. Una cosa sola vogli dirti: è una gran vigliaccheria, per un uomo armato come te,
uccidere una donna nuda e inerme, dopo averla fatta braccare come se fosse una bestia selva-
75 tica. Sappi dunque che io la difenderò, per quanto potrò.
Il cavaliere, pronto, ribatté: – Nastagio, io vissi nella tua stessa città. Tu eri ancora un bam-
bino quando io, che mi chiamo Guido degli Anastagi, mi innamorai di questa donna, forse
ancor più pazzamente di quanto tu ora ami la Traversari. A causa del suo sprezzante rifiuto,
giunsi a un punto tale di disperazione che, con quest’arma che mi vedi in mano, mi uccisi e,
80 perciò, ora sono dannato per l’eternità. Non trascorse poi molto tempo che costei, che aveva
accolto con perfido sollievo la notizia della mia morte, morì e, a causa della sua crudeltà e del-
432
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
la gioia provata di fronte alle mie sofferenze, peccati di cui neppure aveva pensato di pentirsi,
non ritenendoli tali, fu ed è dannata, come lo sono io. Non appena precipitò nell’inferno, a lei
fu data come pena il fuggire terrorizzata e a me, che tanto l’amai, l’inseguirla, come se fosse
85 una mia mortale nemica. E ogni volta che la raggiungo, l’ammazzo con lo spadino con cui tolsi
la vita a me stesso e la squarto da dietro. Come mi vedrai fare fra poco, le strappo dal corpo quel
suo cuore duro e freddo, in cui non penetrarono mai amore né pietà, e lo getto, insieme alle
altre interiora, a questi cani perché se lo mangino. Non passa poi molto tempo che lei, come
vogliono la giustizia e la potenza di Dio, risorge e da capo comincia a fuggire disperatamente,
90 inseguita da me e dai mastini. Ogni venerdì,4 la caccia avviene in questa pineta e qui, come
constaterai di persona, faccio strazio di lei. Gli altri giorni, non credere che noi ci riposiamo,
ché io la rincorro e la uccido alla stessa maniera, ma in luoghi diversi, tutti posti, comunque,
che furono testimoni di quel che lei pensò o fece contro di me. E io, diventato, come vedi, da
suo amante suo spietato carnefice, devo e dovrò in tal modo punirla per tanti anni quanti fu-
95 rono i mesi nei quali fu crudele nei miei confronti. Pertanto, lasciami essere l’esecutore della
giustizia divina e non opporti a quel che, in ogni caso, tu non potresti contrastare.
A quelle parole, non ci fu pelo di Nastagio che non si fosse arricciato. Si tirò indietro e,
pieno di reverente paura, rimase a guardare quel che avrebbe fatto alla misera giovane quel
cavaliere.
100 Costui, non appena ebbe finito di parlare, come una fiera rabbiosa si gettò, brandendo lo
spadino, sulla donna, che, in ginocchio e sempre tenuta ferma dai mastini, lo supplicava in
lacrime di avere pietà. Lui, con tutta la sua forza, la colpì in pieno petto, trapassandola da par-
te a parte. Lei, subito dopo, cadde bocconi, sempre piangendo e gridando. Il cavaliere, allora,
messo mano a un coltello, le squarciò la schiena e, estratto dal torace il cuore e quant’altro
105 c’era intorno, gettò il tutto ai due cani che, affamatissimi, lo divorarono in un attimo.
Non passò molto tempo che la giovane, come se non le fosse accaduto nulla, si rialzò ra-
pida in piedi e cominciò di nuovo a fuggire, in direzione del mare, con i mastini dietro. E il
cavaliere, recuperato il proprio spadino e montato di nuovo in sella, riprese l’inseguimento
e in breve lui, la donna e i due animali si dileguarono e scomparvero dalla vista di Nastagio.
110 Il quale, dopo quello spettacolo agghiacciante, rimase per un bel pezzo diviso fra pietà e
paura. Poi, gli venne un’idea: dato che la caccia, come aveva detto Guido, si ripeteva in quel
luogo ogni venerdì, la cosa gli poteva essere molto utile. Perciò, impressosi bene nella memo-
ria il posto, se ne tornò dalla sua servitù.
In seguito, mandò a chiamare numerosi suoi amici e parenti e, una volta arrivati che furo-
115 no, disse loro: – Voi mi avete a lungo esortato a smettere di amare quella donna che non vuole
saperne di me e, insieme, di largheggiare nelle spese per conquistarla. Sono pronto a farlo, se
però voi otterrete per me un favore. Venerdì prossimo, dovete fare in modo che vengano a
pranzo qui da me tutti i Traversari, messer Paolo, moglie, figlia e altri parenti. Potete portare
anche chiunque altro vogliate voi. Il motivo per cui voglio questo, lo capirete allora.
120 A coloro a cui era stata rivolta questa richiesta, essa parve ben facile da esaudire. Tornati a
Ravenna, rivolsero l’invito di Nastagio a quelli che lui aveva indicato e, anche se non fu facile
convincerla, anche la giovane da lui amata lo accettò.
Nastagio fece preparare un banchetto splendido e ordinò che le tavole fossere collocate
sotto i pini, proprio là dove aveva assistito allo strazio della femmina crudele. Dopo che uomi-
125 ni e donne furono arrivati, al momento di assegnare loro i posti in cui potevano accomodarsi,
fece in modo che la sua bella sedesse proprio di fronte al luogo dove avrebbe dovuto ripetersi
la caccia.
Quando stava per essere servita l’ultima portata, si cominciarono a udire le urla disperate
della donna inseguita. I commensali si meravigliarono non poco e domandarono l’uno all’al-
130 tro che cosa stesse capitando, ma nessuno lo sapeva. Così, alzatisi in piedi, videro la giovane
433
PARTE PRIMA Il Medioevo
braccata e il suo inseguitore e i cani e, in un amen, se li ritrovarono a pochi passi da loro. Tutti
presero a gridare e a inveire sia contro quelle bestiacce sia contro l’uomo e molti si fecero
avanti per aiutare la poveretta.
Ma il cavaliere, parlando a tutti come aveva fatto a Nastagio, non solo li fece indie-
135 treggiare, ma li riempì anche di stupore e di spavento. E quando poi compì le medesime
azioni dell’altra volta, le donne presenti (molte delle quali erano parenti o della vittima
o del suo giustiziere e si ricordavano benissimo dell’amore di lui e della fine che aveva
fatto) scoppiarono a piangere terrorizzate, come se fossero state loro le vittime di quella
tremenda punizione.
140 Non appena la caccia fu terminata e i suoi protagonisti si furono allontanati, quanti ave-
vano assistito a quella scena raccapricciante fecero molte e diverse considerazioni. La più spa-
ventata di tutti era la giovane amata da Nastagio, la quale, come gli altri, aveva visto e udito
distintamente ogni cosa, ma che, a differenza degli altri, si rendeva conto, ricordandosi della
propria crudeltà nei confronti del suo spasimante, che la sua colpa era analoga a quella della
145 dannata. Per cui, già le sembrava di vedersi fuggire davanti a lui e di avere i mastini alle calca-
gna.
Fu tanta la paura che ciò le capitasse per davvero che, all’improvviso, sentì di amare l’uo-
mo che aveva sempre rifiutato. Non appena ebbe l’occasione, che le si presentò quella sera
stessa, mandò segretamente da Nastagio una cameriera fidata che lo pregasse di andare da lei
150 quando volesse, perché era pronta a fare tutto ciò che a lui facesse piacere.
Il giovane le fece rispondere che era contentissimo della cosa, ma che intendeva prendersi
la propria soddisfazione senza compromettere l’onore di lei. Per cui, se accettava, l’avrebbe
presa in moglie.5
La donna, consapevole che, a quel punto, tale legittima unione dipendeva soltanto dalla
155 sua volontà, gli fece sapere di essere pienamente disposta. Pertanto, volendo essere lei stessa6
a presentare la richiesta di matrimonio alla propria famiglia, disse a padre e madre che era
lieta di diventare la moglie di Nastagio e i genitori, non avendo nulla da eccepire, diedero il
loro consenso.
La domenica seguente, lui pronunciò la sua promessa e, subito dopo, furono celebrate le
160 nozze vere e proprie. In seguito, i due continuarono a vivere insieme per molto tempo e fu-
rono sempre felici.
Non fu il solo effetto positivo che produsse la paura di quella punizione infernale, perché,
da allora, tutte le donne di Ravenna ne furono colte, diventando molto più disponibili di pri-
ma ad accontentare gli uomini nei loro desideri».
L. Corona, Decameron di Boccaccio. Riscrittura integrale in italiano moderno, Fermento, Roma 2006.
5 l’avrebbe presa in moglie: Nastagio rico- le della società borghese e contrariamente, 6 volendo...stessa: il capovolgimento ri-
nosce la realizzazione dell’amore all’interno invece, dalla morale cortese, che anzi consi- spetto alla situazione di partenza è davvero
del matrimonio, come richiesto dalle rego- gliava amori adulteri. radicale.
434
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
Ecco le sequenze:
I. (rr. 1-54): presentazione del protagonista e narrazione dell’amore infelice;
II. (rr. 55-109): rappresentazione della caccia infernale;
III. (rr. 110-127): svolta narrativa: l’intuizione e il piano di Nastagio;
IV. (rr. 128-139): seconda rappresentazione della caccia infernale;
V. (rr. 140-164): lieto fine amoroso.
ANALISI La “caccia infernale” Per questa novella Boccaccio attinge al genere dell’exemplum (‘esem-
pio morale’) e si serve in particolare di un tema noto nella tradizione religiosa e letteraria
medievale, quello della “caccia infernale”. Essa rappresentava la punizione della donna per i
suoi peccati d’amore e con tale significato era riportata all’interno delle prediche religiose. Ma
dalla novella di Nastagio degli Onesti si ricava un messaggio opposto: la donna è colpevole
non perché ha amato ma perché ha rifiutato l’amore. D’altra parte, anche il modello dantesco
è ripreso in modo originale: la descrizione della caccia infernale rinvia alla selva dei suicidi
della Commedia; ma, in una prospettiva decisamente umana e mondana, Boccaccio sembra
condannare la crudeltà della donna, ma soprattutto mostra ai nostri occhi una prospettiva
nonostante tutto fortemente segnata dallo sguardo maschile.
INTERPRETAZIONE Un conflitto sociale Nella novella emerge un conflitto sociale: quello fra la nuova borghesia
E COMMENTO arricchita rappresentata da Nastagio degli Onesti e la vecchia aristocrazia rappresentata dalla
figlia dei Traversari. La giovane Traversari è la tipica nobile altezzosa che rifiuta un pretendente
di rango “inferiore”; mentre Nastagio è ripreso dalla famiglia perché sperpera inutilmente il pro-
prio denaro per conquistare l’amata. C’è da un lato l’attaccamento aristocratico al “titolo” e dal-
l’altro l’attaccamento borghese al denaro. In questo conflitto, tuttavia, ad avere la meglio è infine
l’amore, che, nella visione di Boccaccio, ristabilisce un equilibrio al di là delle ragioni sociali.
COMPRENSIONE Riscrittura
1. La giovane Traversari rifiuta l’amore di Nastagio Boccaccio Parafrasi
di Corona
degli Onesti: con quale motivazione?
a. perché non è abbastanza ricco «Ogni volta, per
fortuna, all’ultimo
b. perché non è abbastanza nobile
momento
c. perché non è abbastanza cortese cambiava idea»
d. perché non è abbastanza bello
«fare il grandioso
ANALISI nello spendere
per farsi bello agli
2. Nastagio intuisce che la visione della caccia infer-
occhi di lei»
nale può essere utile ai suoi fini. Si tratta di un punto
di svolta nella vicenda: rintraccialo nel testo. «lui e il suo
3. Lingua e lessico L’atteggiamento della giovane patrimonio
Traversari è definito attraverso la serie di aggettivi «cru- avrebbero fatto
tutti e due una
da e dura e salvatica» (nella traduzione di Corona si
brutta fine»
trova «crudele, inflessibile e scontrosa»). Con l’aiuto
del dizionario proponi per ciascuno uno o più sinonimi. «in un amen, se li
4. Parafrasare La traduzione di Luciano Corona, ritrovarono a
frutto dell’esperienza di un professore e pensata per pochi passi da
loro»
la scuola, è piuttosto fedele all’originale. La differen-
za rispetto all’operazione di Aldo Busi è evidente. Tut-
tavia, anche in questa versione si possono riconosce-
re alcune espressioni tipiche dell’italiano colloquiale INTERPRETAZIONE E COMMENTO
e certi passaggi che si distanziano più evidentemente 5. Nel Medioevo, l’episodio della caccia infernale rap-
dall’originale lingua del Decameron. Riportiamo di se- presentava un exemplum edificante e doveva servire a
guito alcuni esempi: trascrivi accanto l’espressione condannare il peccato di adulterio. Boccaccio ne ribal-
corrispondente nel testo originale di Boccaccio che ta il senso: quali diversi insegnamenti ricavano Nasta-
trovi nelle espansioni digitali e una proposta di para- gio e la giovane Traversari dalla scena terrificante cui
frasi più fedele. assistono?
435
PARTE PRIMA Il Medioevo
ZIONI
INFORMA
La novella di Nastagio degli Onesti illustrata da Botticelli
Botticelli ha illustrato la novella di Na- do Quattrocento il Decameron era sta- mia. La pineta acquista profondità, lu-
stagio in quattro pannelli del 1483, in to confinato in questa umile tradizio- ce, si apre su una serena distesa ma-
occasione delle nozze del ricco mer- ne figurativa. Alla fine del Quattrocen- rina, inquadra e ordina razionalmente
cante Giannozzo Pucci con Lucrezia to l’accesso alla tradizione figurativa gli eventi. Gli alberi, come le quinte di
Bini. Questi pannelli erano destinati a nobile di Botticelli e dei grandi artisti un palcoscenico, scandiscono la sto-
decorare le pareti, secondo un uso dif- rinascimentali dimostra che ormai l’o- ria e mettono in rilievo i dettagli più
fuso nei palazzi fiorentini. pera di Boccaccio è letta e apprezzata ricercati: la drammaticità delle scene
L’illustrazione di questa novella e di anche negli ambienti colti. è neutralizzata dalla ricerca di equili-
quella di Cimone da parte di Botticelli Botticelli reinterpreta Boccaccio alla brio e di eleganza.
testimonia un cambiamento del pub- luce della nuova sensibilità umanisti- Il primo dipinto della serie è relativo
blico del Decameron, fino ad allora co- co-rinascimentale. Riprende dal Deca- a tre episodi: la figura di Nastagio, in-
stituto essenzialmente da mercanti. meron il tono laico e mondano, ma in- fatti, vi compare tre volte. Il dipinto
Per esempio, Boccaccio stesso, rivol- serisce la scena in un’ampia prospet- va letto da sinistra a destra. L’episo-
gendosi a un pubblico borghese, aveva tiva spaziale. Mentre in Boccaccio lo dio all’estrema sinistra è relativo alla
illustrato i suoi codici con una tecnica spazio è strettamente funzionale all’a- decisione di Nastagio, dopo una de-
simile al “genere” fumetto e fino al tar- zione narrativa, qui ha la sua autono- lusione amorosa, di allontanarsi da
436
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
Ravenna per vivere di cene e di ospi- per darlo in pasto ai mastini. Ma subi- donna amata da Nastagio gli dice che
talità insieme ai suoi amici. Il secon- to dopo la donna si rialza e ricomincia la padrona è disposta ad amarlo. La
do raffigura un Nastagio pensieroso a correre. Nella scena sullo sfondo Gui- serie si completa con il quarto dipinto,
e nostalgico che si inoltra nella pine- do e i cani la inseguono di nuovo. in cui è raffigurato il sontuoso banchet-
ta. Nel terzo episodio Nastagio cerca Anche il terzo dipinto raffigura due epi- to allestito sotto una serie di archi di
di difendere con un bastone improv- sodi e va letto da sinistra a destra. L’e- trionfo per i festeggiamenti delle noz-
visato una donna nuda che viene in- pisodio più rilevante è il banchetto al- ze tra Nastagio e la ragazza. Il dipinto
seguita in una “caccia infernale” da lestito nel luogo dove sarebbe avve- celebra la ricca borghesia fiorentina,
un cavaliere, un nobile suo concitta- nuta la caccia infernale. Lì l’amata di e allo sfarzo architettonico fa da cor-
dino, suicida per l’amore non corri- Nastagio può vedere quali conseguen- nice l’altrettanto sfarzoso allestimen-
sposto dalla donna. ze siano sorte dall’amore non corrispo- to, dove viene dato rilievo a particola-
Il secondo dipinto della serie raffigura sto fra la donna e Guido degli Anasta- ri che denotano ricchezza e lusso come
due episodi. Guido degli Anastagi, il gi. Nella scena Nastagio compare di le preziose stoviglie da parata siste-
cavaliere, dopo aver spiegato a Nasta- spalle, mentre chiede ai convitati di mate sul tavolino al centro, l’abbon-
gio le ragioni della “caccia infernale”, non intervenire. Sul margine destro danza delle vivande, l’eleganza delle
estrae il cuore dal corpo della donna del dipinto, infine, la cameriera della vesti di servitori e invitati.
437
PARTE PRIMA Il Medioevo
TEMI DI CITTADINANZA
Zapatos Rojos (scarpe
rosse), progetto dell’artista
messicana Elina Chauvet
per la formazione di una
coscienza collettiva contro il
femminicidio.
FEMMINICIDIO:
LA PAROLA, LA COSA
Boccaccio Nel Decameron la figura femminile assume una centralità inedita. La donna forma una
e le donne coppia indivisibile con l’amore, che è il tema principale dell’opera. L’associazione fra le
donne e l’amore è esplicita fin dall’inizio, come è esplicita la volontà dell’autore di met-
tersi dalla loro parte. Le donne che amano rappresentano il pubblico privilegiato a cui si
rivolge direttamente Boccaccio nella dedica. L’eros e la sessualità femminile, tradizio-
nalmente repressi e condannati, sono rivalutati con grande spregiudicatezza, fino a ca-
povolgere i luoghi comuni della polemica misogina (dall’insaziabilità sessuale all’infedel-
tà e all’adulterio delle donne). Il rovesciamento della morale tradizionale è radicale nella
novella di Nastagio degli Onesti, dove la punizione divina si scaglia sulla donna non per
i suoi peccati d’amore ma per la sua ritrosia all’amore. E tuttavia anche questa condan-
na risulta per noi inammissibile perché contraria a quella libertà di scelta che è (dovreb-
be essere) oggi un diritto fondamentale. Per di più la “caccia” infernale mette in scena
ciò che oggi, con una parola entrata di recente nella nostra lingua, chiamiamo “femmini-
cidio”, riferendoci a un fenomeno terribile e sempre più spesso al centro della cronaca.
Ma certo Boccaccio non è contro le donne, e anzi nel Decameron le donne per la prima
volta nella nostra letteratura acquistano dignità di personaggi: nelle novelle esse danno
prova di coraggio, di ingegno e di virtù, prendono la parola per difendere fieramente le
loro scelte (il modello più alto è Ghismunda). La sfera di azione femminile è però sempre
limitata all’ambito erotico; mentre viene riconfermata la marginalità sociale delle donne.
La fine tragica delle eroine dell’amore (pensiamo a Ghismunda e a Ellisabetta) mette in
luce un limite storico della condizione femminile. Le donne restano subordinate all’auto-
rità dei padri, dei mariti, dei fratelli, spesso rappresentati nelle novelle in ruoli oppressivi
e crudeli. Siamo ancora di fronte al dominio violento dell’uomo sulla donna: dal passato
al presente.
Femminicidio: Con “femminicidio” si definisce ‘l’uccisione di una donna o di una ragazza’; ma anche
un termine ‘qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una
controverso, sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordina-
un fatto infame zione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino
alla schiavitù o alla morte’ (Dizionario Devoto-Oli 2009). Ci sono resistenze all’introdu-
zione del termine, ritenuto da alcuni una sottolineatura forzata del genere della vittima,
da altri un neologismo frutto di una moda linguistica piuttosto che del bisogno di nomi-
nare un nuovo concetto. Certo, «femminicidio non è una bella parola: ma il fatto è infa-
438
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
me, e del suo orrore fa parte la rinuncia antica a dargli un nome proprio. Le donne am-
TEMI DI CITTADINANZA
mazzate perché sono donne, e gli uomini che ammazzano donne, sono altra cosa dal
nome generico, e che vuole apparire neutro, di omicidio» (A. Sofri).
Dopo aver fatto il punto sulla parola, è necessario fare il punto sulla cosa, orrenda, attra-
verso alcuni contributi sul tema del femminicidio. Proponiamo di seguito un articolo
dello stesso Sofri, che illumina le radici antropologiche e culturali della tendenza ma-
schile a possedere la donna. Significativamente, nella rappresentazione del giornalista
si ripropone lo scenario della caccia infernale, con «il cacciatore [che] gode di scovare la
preda, inseguirla, braccarla, catturarla – e farla finita».
Adriano Sofri
L’uomo in casa diventa assassino
L’uomo è cacciatore, si dice: il cacciatore gode di scovare la preda, inseguirla, braccarla,
catturarla – e farla finita. Al centro del millenario addestramento dell’uomo maschio sta
il desiderio, e la certezza del diritto naturale, di possedere la donna. È una metà della cosa:
prendi la donna, la chiudi a chiave, la usi, la fai figliare e lustrare stivali, la bastoni ogni tan-
to, perché non si distragga dall’obbedienza, come fai con gli altri animali addomesticati.
L’altra metà della cosa sta nella sensazione che la “tua” donna ti sfugga, anche quando l’hai
riempita di botte e di moine, che il diritto di possederla è eluso da un’impossibilità. Non c’è
carceriere che possa voltare le spalle tranquillamente al suo prigioniero. Non c’è prigioniero
più irriducibile della donna. L’uomo avverte con offesa, paura, vergogna questo scacco indo-
mabile, […] e, quando si persuade di averla perduta e di non poter più vivere senza di lei, la
uccide. […] L’uomo che uccide la “sua” donna compie il più alto sacrificio di sé, in tutta una
sublime tradizione artistica e letteraria, più che se ammazzasse sé per amore. E solo oggi, e
faticosamente, ci si divincola da questo inaudito retaggio di ammirazione e commiserazio-
ne per l’uomo che uccide per amore, e lo si vede nella sua miserabile piccineria. E gli si vede
dietro la moltitudine di ometti “tranquilli”, “perbene” – sono sempre questi, all’indomani,
gli aggettivi dei vicini – che pestano con regolarità mogli e fidanzate e amanti e prostitute
e figlie, le tormentano, le insultano e ricattano e spaventano e violentano. Panni sporchi di
famiglia. Pressoché tutti gli omicidi che ho incontrato in galera – dov’ero loro collega – ave-
vano ammazzato donne: la “loro”, o prostitute, dunque di nessuno, dunque di tutti.
A. Sofri, «la Repubblica», 27 marzo 2012.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Riassumi il contenuto essenziale del testo, mettendone in evidenza gli snodi argomentativi.
2. Cosa significa «Non c’è prigioniero più irriducibile della donna»?
3. In che senso l’autore parla di una «sublime tradizione artistica e letteraria» in riferimento all’uccisione di
una donna da parte dell’uomo che dice di amarla?
PRODUZIONE
Il femminicidio è solo l’ultimo atto di un crescendo di violenza; questa si esprime a partire dall’incapacità di
riconoscere autonomia di pensiero e di azione ed evolve in insulti, ricatti e violenze psicologiche che prima o
poi diventano violenze fisiche. Quali consigli daresti a una ragazza che si affaccia alla vita e inizia a costruire
relazioni con l’altro sesso? Imposta il tuo discorso come una lettera e argomenta adeguatamente il tuo pun-
to di vista.
439
T9
TESTO GUIDA Federigo degli Alberighi
dal testo [V, 9]
alla biografia
all’epoca
all’ideologia
all’opera
al presente
Narrata da Fiammetta, è la nona novella della Quinta giornata, dedicata agli amori inizialmente infeli-
ci ma con lieto fine. Questo celebre racconto traduce l’aspirazione di Boccaccio a coniugare in una
nuova aristocrazia sia i valori cortesi della vecchia nobiltà sia lo spirito di intraprendenza del nuovo
individualismo borghese. Il nobile Federigo degli Alberighi, dopo essersi impoverito per aver tentato
invano di conquistare una ricca borghese, monna Giovanna, riesce infine a sposarla divenendo «mi-
glior massaio» (miglior amministratore dei suoi beni). Ricevendo la visita a sorpresa dell’amata, Fe-
derigo, che vive ormai in condizioni di miseria e non ha nulla da offrire alla donna per il pranzo, sacri-
fica il suo adorato falcone. Quando monna Giovanna chiede proprio quel falcone per accontentare il
figlio gravemente ammalato, scopre di averlo appena mangiato! Ammirata dalla generosità di Federi-
go, decide allora di sposarlo. Presentiamo la novella nella riscrittura in italiano moderno di Bianca
Pitzorno.
I TEMI recupero dei valori cortesi nuova virtù della masserizia
Viveva un tempo a Firenze un giovane chiamato Federigo, figlio di messer1 Filippo Alberi-
ghi,2 il quale era valoroso e cortese, e per queste sue qualità veniva assai stimato e ritenuto
superiore a tutti gli altri giovanotti della Toscana.
Come avviene spesso agli uomini di nobili sentimenti, Federigo si innamorò d’una gentil-
5 donna, chiamata monna3 Giovanna, che godeva fama d’essere una delle più belle e leggiadre
giovani di Firenze. Per conquistare l’amore della bella dama, Federigo cominciò a mettersi in
mostra, duellando, partecipando a giostre e tornei, offrendo grandi feste e sontuosi regali e
spendendo senza alcun riguardo il suo denaro.
La donna però, ch’era onesta4 quanto bella ed era sposata, non si curava affatto di lui, né di
10 tutte queste imprese compiute per attirare la sua attenzione.
Da un lato Federigo spendeva oltre le proprie possibilità, dall’altro non aveva entrate che
compensassero tali spese. E come avviene facilmente in questi casi, arrivò il momento che
le sue ricchezze si prosciugarono ed egli cadde in miseria. Di tutto il suo gran patrimonio gli
era rimasto soltanto un poderetto, le cui rendite gli bastavano a stento per sopravvivere, e un
15 falcone,5 che era però tra i migliori che ci fossero al mondo.
Quando si rese conto che non poteva continuare a condurre in città la vita lussuosa di un
tempo, benché fosse ancora innamorato della donna, Federigo decise di ritirarsi a vivere in
DIGIT VIDEO 1 messer: signor; dall’antico provenzale fine del Medioevo veniva preposto ai nomi
Videolettura: i classici ad alta voce mes sir, ‘mio signore’. propri femminili.
TESTI Testo originale di Boccaccio 2 Alberighi: membri di un’antica famiglia 4 onesta: che manifesta dignità, decoro,
ALTA LEGGIBILITÀ fiorentina, sono ricordati da Dante nel Para- superiorità morale e intellettuale.
diso come nobili decaduti. 5 falcone: per Federigo il falcone è l’ultimo
3 monna: appellativo di cortesia (contra- simbolo di una vita dedicata alla caccia e agli
zione di madonna ‘mia signora’) che alla altri piaceri del mondo cortese.
440
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
campagna, presso Campi,6 dov’era il suo piccolo podere. Per procurarsi il cibo, quando il tem-
po lo permetteva, andava a caccia col falcone. Per il resto sopportava pazientemente la sua
TESTO GUIDA
20 estrema povertà senza chiedere niente a nessuno.
Ora avvenne che, mentre Federigo conduceva una vita così grama,7 il marito di monna
Giovanna si ammalò gravemente e, vedendosi prossimo alla morte, fece testamento. Era ric-
chissimo e lasciò tutto il patrimonio al suo unico figlio, ch’era già grandicello. Ma poiché aveva
molto amato la moglie, fece aggiungere nel testamento che se il figlio fosse morto senza eredi
25 legittimi, tutte le sue ricchezze dovevano andare, come unica erede, a monna Giovanna.
Poco tempo dopo l’ammalato morì e monna Giovanna restò vedova.
L’estate successiva, come è abitudine delle donne toscane, la dama se ne andò a villeggiare
col figlio in una sua campagna che era assai vicina al poderetto di Federigo.
Fu così che il fanciullo fece amicizia col gentiluomo impoverito e prese l’abitudine di pas-
30 sare molto tempo con lui, appassionandosi di cani e d’uccelli. Il falcone, che aveva visto molte
volte levarsi in volo, gli piaceva in modo straordinario. Ardeva dal desiderio di averlo, ma non
osava chiederlo perché vedeva quanto fosse caro a Federigo.
Le cose stavano a questo punto, quando il ragazzo si ammalò. La madre, che lo amava pro-
fondamente e che aveva solo lui, lo circondava di cure, non lo lasciava un attimo e lo supplica-
35 va continuamente di dirle se desiderasse qualcosa. Gli prometteva che, qualunque cosa fosse,
se appena fosse stato possibile, avrebbe fatto in modo di accontentarlo.
Il fanciullo, sentendo ripetere molte volte questa promessa, alla fine le disse: – Madre mia,
se voi fate in modo che io abbia il falcone di Federigo, credo che in poco tempo guarirò.
Monna Giovanna non si aspettava questa richiesta. Rimase perplessa e cominciò a riflet-
40 tere. Sapeva che Federigo l’aveva lungamente amata, senza ricevere in cambio da lei neppure
uno sguardo, e si diceva: «Come potrei chiedergli, o mandargli a chiedere questo falcone che,
a quanto ho sentito, è tra i migliori che ci siano al mondo? E che, oltre a ciò, è il suo principale
mezzo di sostentamento? Come potrei essere così egoista e ingrata da voler togliere a un gen-
tiluomo, che ha perdutto tutto, l’unica cosa cara che gli sia rimasta?».
45 Turbata da questi pensieri, sebbene fosse certissima di ottenere il falcone se lo avesse do-
mandato, non sapeva cosa fare e prendeva tempo, senza dare risposta alle richieste del figlio.
Ma a lungo andare l’amore per il fanciullo prevalse sugli scrupoli e, per accontentarlo, monna
Giovanna decise che, qualunque conseguenza ne fosse derivata, non avrebbe mandato a chie-
dere il falcone, ma sarebbe andata lei stessa a prenderlo e glielo avrebbe portato.
50 – Figlio mio, consolati e pensa a guarire. Ti prometto che la prima cosa che farò domattina
sarà di andare a prenderti il falcone.
Il fanciullo se ne rallegrò e in quello stesso giorno la sua salute mostrò qualche migliora-
mento.
La mattina dopo, la madre prese per compagnia un’altra donna e, fingendo di andare a
55 passeggio, arrivò alla casa di Federigo e lo fece chiamare.
Poiché non era tempo di andare a caccia col falcone, né lo era stato nei giorni precedenti,
Federigo stava nell’orto, intento a certi suoi lavoretti. Quando gli dissero che monna Giovanna
chiedeva di lui, si meravigliò, e, pieno di gioia, corse alla porta di casa per accoglierla con tutti
gli onori. Ella, vedendolo arrivare, gli andò incontro con affabilità8 tutta femminile e lo salutò:
60 – Buon giorno, Federigo! Sono venuta per ripagarti dei danni che hai avuto a causa mia, aman-
domi più di quanto io non meritassi. E questo è il compenso per i tuoi dispiaceri: che oggi io, con
questa mia compagna, mi fermerò a pranzare familiarmente con te nella tua casa.9
6 Campi: cioè Campi Bisenzio, località a 8 affabilità: cordialità, disponibilità. sé, arriva addirittura a trattarlo con ironia.
pochi chilometri da Firenze, tra Peretola e 9 Buon giorno...casa: monna Giovanna dà Si noti l’astuzia della donna che, dalla scon-
Prato. del tu a Federigo, lo chiama per nome e, trosità più assoluta, intende adesso passare
7 grama: misera. mostrando molta confidenza e sicurezza di a una familiare confidenza.
441
PARTE PRIMA Il Medioevo
Al che Federigo umilmente10 le rispose: – Madonna, non ricordo d’aver mai ricevuto alcun
danno per causa vostra, ma soltanto del bene. Perché, se mi sono elevato spiritualmente e ho
TESTO GUIDA
65 raggiunto qualche valore, l’ho fatto per essere all’altezza del valor vostro.11 La vostra gene-
rosità nel venirmi oggi a trovare mi fa tanto piacere quanto me ne farebbe se potessi ancora
spendere, per ricevervi, tanto denaro quanto ne ho speso nel passato. Sappiate che siete venu-
ta a trovare un ospite molto povero.
La fece entrare e la ricevette, pieno di vergogna per la miseria della casa. Poi la fece acco-
70 modare in giardino e, non avendo nessuno da cui farle tenere compagnia, le disse: – Madonna,
poiché non ho altra servitù, questa povera donna, moglie del contadino, vi farà compagnia
intanto che io vado a far mettere la tavola.
Sebbene la sua povertà fosse estrema, Federigo non si era reso conto fino a quel momento
di quanto fosse disperata la situazione in cui era finito per aver sperperato senza criterio tutte
75 le sue ricchezze. Lo capiva soltanto adesso, rendendosi conto che in casa non c’era alcun cibo
con cui fare onore alla donna per conquistare la quale aveva riempito di onori tanti uomini.
Pieno di angoscia, maledicendo la sorte, andava come impazzito da una stanza all’altra,
senza trovare né denaro né alcun oggetto da dare in pegno. Era tardi, voleva ricevere degna-
mente la donna offrendole un buon pranzo, ma non sapeva risolversi a chiedere niente a nes-
80 suno, neppure al contadino… In quello lo sguardo gli cadde sopra il suo buon falcone che stava
sul trespolo nella saletta. Era la sua unica risorsa. Lo prese, lo trovò grasso e pensò che sarebbe
stato una vivanda degna della donna tanto amata… Per cui, senza stare a pensarci su, gli tirò
il collo e lo dette a una sguattera12 che subito lo spennò, lo pulì e lo mise diligentemente ad
arrostire su uno spiedo.
85 Federigo aveva ancora qualche bella tovaglia bianchissima. Fece apparecchiare la tavola e
col viso lieto tornò in giardino e disse a monna Giovanna che il modesto pranzo che le poteva
offrire era pronto. La donna e la sua accompagnatrice si misero a tavola e, senza sapere cosa
avevano nel piatto, insieme a Federigo che le serviva pieno di sollecitudine mangiarono di
gusto il buon falcone. Finito il pranzo conversarono piacevolmente per un poco, finché alla
90 donna parve arrivato il momento di dire il motivo per cui era venuta.
– Federigo – disse parlandogli con grande dolcezza – se consideri tutto quello che facesti per
me nel passato, se ripensi alla mia onestà che ti poté forse sembrare segno d’un animo duro e
crudele, ti meraviglierai della mia presunzione quando saprai perché ti sono venuta a trovare.
Tu non hai mai avuto figli e non sai quanto è forte l’amore che ci lega alle nostre creature.
95 Altrimenti mi scuseresti almeno in parte. Tu non hai figli. Io però ne ho uno, e non mi posso
sottrarre alla legge comune a tutte le madri. È l’amore materno che mi costringe a fare una
cosa che non mi piace, che non è né giusta né conveniente: a chiederti in dono una cosa cui so
che tieni moltissimo. E a buona ragione, perché è l’unica consolazione, l’unico svago, l’unico
piacere, l’unica risorsa che ti ha lasciato la tua estrema sfortuna. Il dono che ti chiedo è il tuo
100 falcone. Mio figlio se ne è invaghito così forte che, se non glielo porto, temo che la malattia
che l’ha colpito si aggravi e che io rischi di perderlo. Non te lo chiedo per l’amore che mi porti,
in nome del quale tu non mi devi niente. Ma per la tua grandezza d’animo, che si è mostrata
maggiore di ogni altra proprio nella generosità e nella munificenza,13 ti prego di volermelo
donare. Il tuo dono salverà la vita a mio figlio e io te ne sarò riconoscente per sempre.
105 Quando Federigo si rese conto che la donna gli chiedeva proprio quello che lui le aveva
offerto da mangiare e quindi non poteva più darle, scoppiò in un pianto così dirotto che non
riusciva a parlare.
10 umilmente: la risposta di Federigo sarà devozione alla donna amata) e non osa trat- povertà (la vera ricchezza è quella dell’animo).
invece piena di umiltà e dolcezza: egli si ri- tarla da pari, ma le dà sempre del voi. 12 sguattera: addetta ai servizi più faticosi
volge a monna Giovanna con l’appellativo 11 Perché...vostro: è un principio del mondo della cucina, in aiuto del cuoco.
«Madonna» (il quale dimostra tutta la sua cortese cui Federigo rimane fedele anche in 13 munificenza: è sinonimo di generosità.
442
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
Monna Giovanna sulle prime pensò che piangesse per il dolore di separarsi dal falcone e fu
per dirgli che non lo voleva più. Ma si trattenne e decise di aspettare che si calmasse e potesse
TESTO GUIDA
110 rispondere. Quando fu in grado di parlare, Federigo le disse: – Madonna, da quando piacque a
Dio che io mi innamorassi di voi, la sorte mi è stata sempre nemica e di molte cose ho avuto
motivo di lamentarmi. Ma tutte le mie passate disgrazie sono niente rispetto a quello che mi
capita oggi, per cui non avrò mai più pace e sempre maledirò la mia sorte. Quando la mia casa
era ricca, voi non vi degnaste di venirci. Ci venite ora che è povera e mi chiedete un piccolo
115 dono. E la sorte fa in modo che io non ve lo possa dare.
E raccontò alla donna come, non avendo altro da offrirle per il pranzo, avesse ucciso e fatto
cucinare per lei proprio il falcone. E per dare maggior credito alle sue parole, le fece gettare
davanti le penne, le zampe e il becco dell’uccello.
Viste e udite tali cose, monna Giovanna lo rimproverò perché aveva ucciso un falcone di
120 tale valore per dare da mangiare a una donna. Ma insieme lo elogiò per la sua grandezza d’ani-
mo, che la miseria non era riuscita a fiaccare.14
Però il falcone non lo poteva più avere. Piena di malinconia e preoccupata per la salute del
figlio, la donna se ne tornò a casa.
Il fanciullo, vuoi per la tristezza di non aver avuto il falcone, vuoi per la malattia che lo do-
125 veva comunque portare a quel punto, dopo pochi giorni, con grandissimo dolore della madre,
morì.
Monna Giovanna lo pianse a lungo e amaramente. Ma i suoi fratelli, poiché era ancora
giovane e adesso ricchissima, dopo qualche tempo cominciarono a fare pressioni per con-
vincerla a risposarsi. Lei non voleva, ma quelli insistevano tanto che alla fine si decise. E ri-
230 cordando la grandezza d’animo di Federigo e il suo ultimo gesto di magnificenza,15 disse ai
fratelli: – Quanto a me, se a voi piacesse, preferirei restare così come sono. Ma se voi volete
che mi risposi, allora vi dico che nessun altro uomo diventerà mio marito se non Federigo
degli Alberighi.
A tale risposta i fratelli, facendosi beffe di lei, le dicevano: – Sciocca, ma cosa dici? Vuoi
135 sposare proprio lui che non possiede niente al mondo?
E monna Giovanna: – Fratelli miei, io so bene che quello che voi dite è vero. Ma preferisco
sposare un uomo privo di patrimonio che un patrimonio privo d’uomo.
Era così determinata che i fratelli, che conoscevano da molto tempo Federigo, nonostante
fosse povero gliela dettero in moglie con tutte le sue ricchezze.
140 Così Federigo non solo finì per sposare una donna di così nobili sentimenti e che tanto a
lungo aveva amato, ma si trovò anche ricchissimo. Diventò miglior amministratore delle sue
sostanze16 e trascorse con lei felice e contento tutto il resto della sua vita.
Il falcone di Federigo degli Alberighi, in G. Boccaccio, Dame mercanti e cavalieri,
dieci novelle cortesi scelte e tradotte da B. Pitzorno, Mondadori, Milano 2007.
443
PARTE PRIMA Il Medioevo
alla Abbiamo detto come nel Decameron confluiscono i due aspetti fondamentali dell’educazione
e della formazione di Boccaccio: quello borghese-mercantile della famiglia paterna e dell’am-
biografia biente fiorentino e quello cortese della giovinezza napoletana, trascorsa frequentando l’aristo-
crazia angioina ancora strettamente legata alla cultura cavalleresca francese del secolo prece-
dente. La figura di Federigo degli Alberighi, fedele fino in fondo agli ideali di cortesia e genti-
lezza, esprime questo secondo elemento della formazione dell’autore. In verità, Boccaccio si
reca a Napoli con il padre nel 1327 per fare «pratica di mercatura», ma presto si accorge che il
mestiere paterno non fa per lui. Indirizzato agli studi di diritto canonico, segue le lezioni di Cino
da Pistoia, poeta stilnovista che fa conoscere a Boccaccio la tradizione lirica in volgare. Ben
presto Giovanni comincia a frequentare la corte angioina: un ambiente culturale denso di sti-
moli, che lo porta a contatto con colti letterati e con i testi della letteratura classica, francese
e provenzale (di cui abbondava la biblioteca regia).
444
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
cio: le virtù cortesi di Federigo si coniugano, nel lieto fine matrimoniale, con le virtù della «mas-
serizia». Come viene sottolineato dal critico Giuseppe Petronio, la novella di Federico degli Albe-
TESTO GUIDA
righi riflette sia l’ideologia di Boccaccio sia il mutamento storico al quale l’autore partecipa:
Di questa nuova borghese aristocrazia comunale il Boccaccio è il poeta. […] Egli è il poeta dei ceti
più elevati della nuova società trecentesca, di quei ceti che, mercantili per interessi e per nascita,
pure tendevano a differenziarsi dai meno abbienti e meno fini per costituirsi in un’aristocrazia
dell’intelletto, del sentimento, del gusto. […] Federigo, nobile di famiglia e di cortesi costumi, at-
tua la sua gentilezza secondo i canoni cavallereschi tradizionali: amando, armeggiando, spenden-
do senza misura. Ma intanto un non so che di più moderno, di più umano, di borghese, spira pure
in tutta la storia, e la novella termina, borghesemente, contro tutte le norme della tradizione cor-
tese, col matrimonio. […] Monna Giovanna sposa borghesemente Federigo, e questi, addirittura,
ammaestrato dalla dura esperienza, vive serenamente con lei «miglior massaio fatto»: il nobile e
cortese donzello si tramuta in un cultore della masserizia e della misura […]: un mondo è veramen-
te finito, e il Boccaccio ne registra fedelmente la fine.
G. Petronio, I miei Decameron, Editori Riuniti, Roma 1989.
445
PARTE PRIMA Il Medioevo
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
Una nuova figura di madre
Monna Giovanna è una “madre del sacrificio”, disposta,
per amore del figlio, a fare qualcosa che non le piace
perché “non è né giusta né conveniente”. Oggi questo
modello di amore materno, che potremmo definire “obla-
tivo” in quanto contraddistinto dalla capacità di amare
senza contropartita, mettendo da parte, se necessario,
l’amor proprio e le convinzioni più radicate, è percepito
come superato. C’è una nuova rappresentazione della
figura materna, ovvero la “madre narcisistica”, che esige
di realizzare se stessa, oltrepassando l’esistenza e i
bisogni dei figli. Ecco cosa scrive a proposito lo psicoa-
nalista Massimo Recalcati:
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE
ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
In base alla tua esperienza, diretta o indiretta, e alle tue letture, condividi o confuti la tesi espressa da
Recalcati? La madre narcisistica ha soppiantato definitivamente la madre del sacrificio oppure questi
due atteggiamenti convivono, in momenti e situazioni diversi, nell’esperienza della maternità e man
mano che il figlio cresce e si emancipa dai legami familiari?
Sviluppa questi spunti e articola il tuo elaborato in paragrafi, opportunamente titolati. Dai anche un
titolo complessivo che esprima sinteticamente il contenuto del tuo lavoro.
446
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
Narrata da Neifile, la quarta novella della Sesta giornata si incentra sull’ingegnosa battuta finale con cui
Chichibìo, un sempliciotto cuoco veneziano, riesce a trarsi d’impaccio da una situazione difficile. Chichibìo
lavora alle dipendenze del nobile fiorentino Corrado Gianfigliazzi. Mentre sta cucinando una gru per il suo
padrone, cede alle richieste della propria donna, Brunetta, desiderosa di assaggiarla. Quando Chichibìo
porta in tavola l’animale senza una coscia, suscita l’inevitabile ira del padrone, che lo costringe, il mattino
seguente, a recarsi con lui al fiume per constatare come siano in effetti fatte le gru. Chichibìo e Corrado
dapprima vedono gli uccelli ritti su una gamba sola; ma basta un grido del padrone perché le gru spaven-
tate abbassino la seconda gamba e spicchino il volo. Al padrone soddisfatto e pronto a punirlo, Chichibìo
risponde con una battuta spiritosa che riporta la pace fra i due contendenti.
I TEMI valore del motto di spirito
Tacevasi già la Lauretta, e da tutti era stata sommamente commendata la Nonna, quando la
5 reina a Neifile impose che seguitasse; la qual disse:
Quantunque il pronto ingegno, amorose donne, spesso parole presti e utili e belle, secon-
do gli accidenti, a’ dicitori, la fortuna ancora, alcuna volta aiutatrice de’ paurosi, sopra la lor
lingua subitamente di quelle pone che mai a animo riposato per lo dicitore si sareber sapute
trovare: il che io per la mia novella intendo di dimostrarvi.
10 Currado Gianfigliazzi, sì come ciascuna di voi e udito e veduto puote avere, sempre della
nostra città è stato nobile cittadino, liberale e magnifico, e vita cavalleresca tenendo conti-
nuamente in cani e in uccelli3 s’è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare.
Il quale con un suo falcone avendo un dì presso a Peretola una gru ammazzata, trovandola
grassa e giovane, quella mandò a un suo buon cuoco, il quale era chiamato Chichibio e era vinizia-
15 no; e sì gli mandò dicendo che a cena l’arrostisse e governassela bene. Chichibio, il quale come nuo-
vo bergolo era così pareva, acconcia la gru, la mise a fuoco e con sollicitudine a cuocer la cominciò.
PARAFRASI
CHICHIBÌO, CUOCO DI CORRADO GIANFIGLIAZZI, Gianfigliazzi, così come ognuna di voi può averlo sentito
CON UN PRONTO DISCORSO [DETTO] PER SALVARSI oppure visto, è sempre stato un nobile cittadino della no-
(A SUA SALUTE) TRASFORMA L’IRA DI CORRADO IN stra città, generoso (liberale) e dotato di grandezza d’ani-
RISO E SI SALVA (SÉ CAMPA) DALLA BRUTTA FINE MI- mo (magnifico), e avendo abitudini da cavaliere si diletta-
NACCIATAGLI DA CORRADO. Taceva già Lauretta, e va nella caccia (in cani e in uccelli), per non parlare in
Nonna [: Nonna de’ Pulci, protagonista della terza novella questo momento delle sue opere maggiori. Corrado,
della giornata] era stata molto lodata da tutti, quando la re- avendo un giorno ammazzato nella località di Peretola
gina impose a Neifile di prendere la parola; la quale disse: con il suo falcone [addestrato alla caccia] una gru, trovan-
«Sebbene un’intelligenza pronta spesso offra a chi parla dola grassa e giovane, la mandò a un suo bravo cuoco, che
parole utili e belle secondo le occasioni (accidenti), anche si chiamava Chichibìo ed era veneziano, con la raccoman-
la fortuna, che talvolta aiuta i paurosi, pone sulla loro boc- dazione di arrostirla e prepararla con cura per cena. Chi-
ca improvvisamente discorsi che in normali condizioni (a chibìo, che era uno sciocco chiacchierone (bergolo; parola
animo riposato) essi non avrebbero saputo formulare: io veneta usata in senso spregiativo), preparata (acconcia) la
intendo dimostrarvi ciò attraverso la mia novella. Corrado gru, la mise sul fuoco e iniziò a cuocerla con molta cura.
DIGIT VIDEOLEZIONE 1 CHICHIBIO: con accento sull’ultima “i”, il so- 2 CURRADO GIANFIGLIAZZI: nobile fiorenti-
Analisi del testo di Pietro Cataldi prannome è probabilmente derivato dal verso no vissuto tra Duecento e Trecento, famoso
del fringuello, un piccolo uccello canoro che per la sua grande generosità.
DIGIT VIDEO in veneto viene chiamato “cicibìo” (il protago- 3 in cani e in uccelli: cioè nella caccia, che si
Videolettura: i classici ad alta voce nista della novella è infatti di origine veneta). faceva appunto con i cani e con uccelli adde-
ANALISI ATTIVA • ALTA LEGGIBILITÀ Indica anche persona ingenua o inesperta. strati, come i falconi.
447
PARTE PRIMA Il Medioevo
La quale essendo già presso che cotta grandissimo odor venendone, avvenne che una femi-
netta della contrada, la qual Brunetta era chiamata e di cui Chichibio era forte innamorato,
entrò nella cucina, e sentendo l’odor della gru e veggendola pregò caramente Chichibio che
20 ne le desse una coscia.
Chichibio le rispose cantando e disse: «Voi non l’avrì da mi, donna Brunetta, voi non l’avrì
da mi».
Di che donna Brunetta essendo un poco turbata, gli disse: «In fé di Dio, se tu non la mi dai,
tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia», e in brieve le parole furon molte; alla fine Chichi-
25 bio, per non crucciar la sua donna, spiccata l’una delle cosce alla gru, gliele diede.
Essendo poi davanti a Currado e a alcun suo forestiere messa la gru senza coscia, e Currado
maravigliandosene, fece chiamare Chichibio e domandollo che fosse divenuta l’altra coscia
della gru. Al quale il vinizian bugiardo subitamente rispose: «Signor mio, le gru non hanno se
non una coscia e una gamba».
30 Currado allora turbato disse: «Come diavol non hanno che una coscia e una gamba? non
vid’io mai più gru che questa?»
Chichibio seguitò: «Egli è, messer, com’io vi dico; e quando vi piaccia, io il vi farò veder ne’
vivi».
Currado per amor dei forestieri che seco aveva non volle dietro alle parole andare, ma dis-
35 se: «Poi che tu di’ di farmelo vedere ne’ vivi, cosa che io mai più non vidi né udi’ dir che fosse,
e io il voglio veder domattina e sarò contento; ma io ti giuro in sul corpo di Cristo che, se altra-
menti sarà, che io ti farò conciare in maniera, che tu con tuo danno ti ricorderai, sempre che
tu ci viverai, del nome mio».
Finite adunque per quella sera le parole, la mattina seguente come il giorno apparve, Cur-
40 rado, a cui non era per lo dormire l’ira cessata, tutto ancor gonfiato si levò e comandò che i ca-
valli gli fosser menati; e fatto montar Chichibio sopra un ronzino, verso una fiumana, alla riva
della quale sempre soleva in sul far del dì vedersi delle gru, nel menò dicendo: «Tosto vedremo
chi avrà iersera mentito, o tu o io».
Chichibio, veggendo che ancora durava l’ira di Currado e che far gli convenia pruova della
45 sua bugia, non sappiendo come poterlasi fare cavalcava appresso a Currado con la maggior
paura del mondo, e volentieri, se potuto avesse, si sarebbe fuggito; ma non potendo, ora in-
nanzi e ora adietro e dallato si riguardava, e ciò che vedeva credeva che gru fossero che stes-
sero in due piè.
Poiché la gru, quasi cotta, emanava un buonissimo profu- quando vorrà, glielo mostrerò negli uccelli vivi». Corrado,
mo, avvenne che una giovane donna della campagna, di per riguardo nei confronti degli ospiti che aveva con sé,
nome Brunetta e della quale Chichibìo era molto inna- non volle dare retta alle parole [di Chichibìo], ma disse:
morato, entrò nella cucina, e, sentendo il profumo della «Poiché tu dici di farmelo vedere negli [uccelli] vivi, cosa
gru e vedendola, chiese a Chichibìo con affettuosa insi- che io non ha mai visto e udito da altri che [ciò] fosse; eb-
stenza (caramente) che gliene desse una coscia. Chichi- bene, io voglio vederlo domattina e [solo allora] sarò sod-
bìo le rispose cantilenando [in dialetto veneto] e disse: disfatto; ma io ti giuro in nome di Dio che, se sarà diversa-
«Voi non la [: la coscia della gru] avrete da me, signora mente, ti farò punire in maniera che ti ricorderai di me,
Brunetta, voi non l’avrete da me». La signora Brunetta, ri- tuo malgrado, finché vivrai in questo mondo». Terminato
manendo contrariata di ciò, gli disse: «Quanto è vero Dio, dunque per quella sera il discorso, la mattina seguente,
se tu non me la dai, non avrai mai da me ciò che desideri», non appena si fece giorno, Corrado, che non si era calma-
e, per farla breve, le liti furono molte; alla fine Chichibìo to durante il sonno, ancora tutto gonfio d’ira si alzò e co-
per non indispettire (crucciar) la sua donna, staccata mandò che gli fossero portati i cavalli; e, fatto montare
(spiccata) una delle cosce alla gru, gliela diede. Quando Chichibìo sopra un ronzino, lo condusse a un fiume sulla
poi la gru senza la coscia venne messa [a tavola] davanti a riva del quale, all’alba, si vedevano di solito delle gru, e
Corrado e ad alcuni suoi ospiti, il padrone, meravigliando- disse: «Presto vedremo chi dei due avrà mentito ieri se-
sene, fece chiamare Chichibìo e gli chiese quale fine aves- ra». Chichibìo, vedendo che Corrado era ancora arrabbia-
se fatto l’altra coscia della gru. Il veneziano bugiardo im- to e che doveva portare le prove della sua bugia, non sa-
mediatamente gli rispose: «Signore mio, le gru non han- pendo come poterlo fare, cavalcava dietro a (appresso a)
no che una [sola] coscia e una [sola] gamba». Allora Corra- Corrado con grandissima paura, e, se avesse potuto, sa-
do replicò irritato: «Che diavolo dici, non hanno che una rebbe fuggito via volentieri; ma non potendolo fare, si
coscia e una zampa? Credi che questa sia la prima gru che guardava intorno (ora… dallato), e [, come un’ossessione,]
vedo?». Chichibìo continuò: «È, signore, come vi dico io; e credeva di vedere [dappertutto] gru ritte su due zampe.
448
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
Ma già vicini al fiume pervenuti, gli venner prima che a alcun vedute sopra la riva di quello
50 ben dodici gru, le quali tutte in un piè dimoravano, si come quando dormono soglion fare; per
che egli, prestamente mostratele a Currado, disse: «Assai bene potete, messer, vedere che ier-
sera vi dissi il vero, che le gru non hanno se non una coscia e un piè, se voi riguardate a quelle
che colà stanno».
Currado vedendole disse: «Aspettati, che io ti mostrerò che elle n’hanno due», e fattosi
55 alquanto più a quelle vicino, gridò: «Ho, ho!», per lo qual grido le gru, mandato l’altro piè giù,
tutte dopo alquanti passi cominciarono a fuggire; laonde Currado rivolto a Chichibio disse:
«Che ti par, ghiottone? parti che elle n’abbian due?»
Chichibio quasi sbigottito, non sappiendo egli stesso donde si venisse, rispose: «Messer sì, ma
voi non gridaste ‘ho, ho’ a quella d’iersera; ché se così gridato aveste ella avrebbe così l’altra
60 coscia e l’altro piè fuor mandata, come hanno fatto queste».
A Currado piacque tanto questa risposta, che tutta la sua ira si convertì in festa e riso, e disse:
«Chichibio, tu hai ragione, ben lo doveva fare».
Così adunque con la sua pronta e sollazzevol risposta Chichibio cessò la mala ventura e pace-
ficossi col suo signore.
G. Boccaccio, Decameron, cit.
Ma, arrivati vicino al fiume, furono viste da lui prima che [ne] pare, imbroglione goloso? ti sembra (parti) che esse
da ogni altro, sopra la riva, ben dodici gru, che stavano rit- ne [: di zampe] abbiano due?». Chichibìo, stupito, non sa-
te su una sola zampa così come sono solite fare mentre pendo egli stesso da dove [quella sua risposta] provenisse,
dormono; per tal motivo egli, subito indicatole a Corrado, rispose: «Sì, signore, ma voi non gridaste “oh, oh” a quella
disse: «Potete ben vedere, signore, che ieri sera vi dissi la [gru] di ieri sera; perché, se aveste gridato in questo modo,
verità, cioè che le gru hanno una [sola] coscia e una [sola] essa avrebbe tirato fuori l’altra coscia e l’altra zampa, come
zampa, se voi guardate a quelle che stanno [appollaiate] hanno fatto queste [gru]». A Corrado piacque tanto questa
là». Corrado, vedendole, disse: «Aspetta che io ti mostrerò risposta, che tutta la sua ira si mutò in festose risate, e dis-
che esse hanno due zampe», e, avvicinandosi alle gru, gri- se: «Chichibìo, tu hai ragione, avrei fatto bene a farlo». In
dò: «Oh, oh!»; e a causa di questo grido tutte le gru, abbas- questo modo dunque, con la sua pronta e divertente (sol-
sata l’altra zampa, dopo alcuni passi iniziarono a scappare; lazzevol) risposta, Chichibìo sfuggì la cattiva sorte e si ri-
perciò Corrado, rivolgendosi a Chichibìo, disse: «Che te appacificò con il suo signore.
449
PARTE PRIMA Il Medioevo
ANALISI Il ricorso al dialetto Come si confà a una novella di motto, la sintassi è piuttosto agile e
include numerose brevi battute di discorso diretto. Anche il linguaggio si fa a tratti più collo-
quiale, fino all’impiego del dialetto veneziano da parte di Chichibìo (rr. 21-22). Il ricorso al dia-
letto è, in verità, raro nel Decameron e vale forse qui a sottolineare ulteriormente la distanza
fra i due protagonisti. Il contrasto fra Chichibìo e Corrado, evidente sul piano sociale (sono
servo e padrone), si approfondisce su quello geografico: i veneziani erano mal visti dai fioren-
tini perché rivali dal punto di vista economico. Di qui gli appellativi di senso spregiativo con cui
viene definito Chichibìo («nuovo bergolo» e «vinizian bugiardo»).
INTERPRETAZIONE Il valore del motto di spirito Nella novella vengono messi di fronte due ambienti sociali e due
E COMMENTO classi diversi: da una parte stanno la cucina, con il cuoco Chichibìo e la sua amante Brunetta;
dall’altra sta il salotto nobiliare, con il padrone Corrado Gianfigliazzi e i suoi ospiti. Una momen-
tanea uguaglianza dei due livelli sociali è resa possibile, nel finale, grazie a un motto improvvi-
sato. La morale comune, che vorrebbe la punizione del ladro, risulta così messa fra parentesi in
nome dei valori dello spirito. Il padrone, che pure era il derubato, non può fare a meno di abban-
donarsi a una liberatoria risata e perdonare il “peccato” commesso dal cuoco. Va sottolineato
che il motto pronunciato da Chichibìo non è frutto della sua intelligenza ma della fortuna, che,
come annuncia Neifile introducendo la novella, è «alcuna volta aiutatrice de’ paurosi».
COMPRENSIONE
OLTRE IL TESTO
1. Riassumere La brevità del testo è al servizio del
tema, cioè serve a valorizzare il motto di spirito finale. 1. Lavorare con la videolezione
Prova a riassumere la vicenda in massimo cinque righe.
DIGIT VIDEOLEZIONE
Analisi del testo di Pietro Cataldi
ANALISI
Nella videolezione dedicata all’analisi della novella
2. La novella è fondata sul contrasto fra Chichibìo e Pietro Cataldi sostiene che il motto di spirito pro-
Corrado, che solo alla fine arrivano a una conciliazio- nunciato da Chichibìo non è frutto della sua intelli-
ne. Ricostruisci l’identikit dei due personaggi comple- genza ma della fortuna. Quali elementi della novella
tando la tabella. avvalorano questa interpretazione? Sei d’accordo
Chichibìo Corrado con la tesi di Cataldi? Motiva la tua risposta.
classe sociale
2. Lavorare con Prometeo
La novella che hai letto è tratta dalla
caratteristiche Sesta giornata del Decameron, incen-
trata sui motti di spirito e sulle risposte
spazio in cui si muove argute. Arricchisci la scelta antologica
del manuale attraverso la funzione Myebook+: indi-
vidua nella Biblioteca di Prometeo un’altra novella
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
della stessa giornata e allegala al libro digitale. Cor-
3. Argomentare Anche questa novella ci pone di reda la novella con una nota in cui ne riassumi il
fronte all’affermazione da parte di Boccaccio di una contenuto.
nuova morale laica e relativa. Spiega in che senso.
450
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
Riportiamo di seguito, con alcuni tagli, la novella di beffa per eccellenza. Raccontata da Elissa, essa ha
come protagonista Calandrino, senz’altro la figura comica più famosa del Decameron. Calandrino è un
pittore, noto per la sua semplicità e goffaggine. La beffa ai suoi danni è preparata da Maso del Saggio, che
gli racconta dell’esistenza del fantastico paese di Bengodi e della pietra dell’elitropia che ha il potere di
rendere invisibili. Bruno e Buffalmacco favoriscono la riuscita dell’inganno, accompagnando Calandrino
alla ricerca della pietra magica lungo il fiume Mugnone. A un certo punto i due amici fingono di non vede-
re più Calandrino, che si convince perciò di aver trovato l’elitropia e subisce senza lamentarsi i colpi e i
lanci di pietra dei due beffatori. Ma, tornato a casa, è ovviamente visto dalla moglie, che egli allora picchia
violentemente accusandola di avere interrotto l’incantesimo che lo rendeva invisibile. Della novella for-
miamo anche la versione tradotta in italiano moderno di Claudio Bura e Maria Antonietta Morettini: secon-
do la scelta degli autori, essa si accompagna comunque all’originale boccacciano, presente come testo a
fronte. La riscrittura proposta risulta molto fedele.
I TEMI meccanismo comico e sadico della beffa
Nella nostra città, la qual sempre di varie maniere e di nuove genti è stata abondevole, fu,
ancora non è gran tempo, un dipintore chiamato Calandrino,1 uom semplice e di nuovi co-
stumi. Il quale il più del tempo con due altri dipintori usava, chiamati l’un Bruno e l’altro Buf-
falmacco,2 uomini sollazzevoli molto ma per altro avveduti e sagaci, li quali con Calandrino
5 usavan per ciò che de’ modi suoi e della sua simplicità sovente gran festa prendevano. Era
similmente allora in Firenze un giovane di maravigliosa piacevolezza in ciascuna cosa che far
voleva, astuto e avvenevole, chiamato Maso del Saggio,3 il quale, udendo alcune cose della
semplicità di Calandrino, propose di voler prender diletto de’ fatti suoi col fargli alcuna beffa
o fargli credere alcuna nuova cosa.
10 E per avventura trovandolo un dì nella chiesa di San Giovanni e vedendolo stare attento a
riguardare le dipinture e gl’intagli del tabernaculo il quale è sopra l’altare della detta chiesa,
non molto tempo davanti postovi, pensò essergli dato luogo e tempo alla sua intenzione. E
informato un suo compagno di ciò che fare intendeva, insieme s’accostarono là dove Calandri-
no solo si sedeva, e faccendo vista di non vederlo insieme incominciarono a ragionare delle
15 virtù di diverse pietre, delle quali Maso così efficacemente parlava come se stato fosse un so-
lenne e gran lapidario. A’ quali ragionamenti Calandrino posta orecchie, e dopo alquanto leva-
tosi in piè, sentendo che non era credenza, si congiunse con loro, il che forte piacque a Maso;
TRADUZIONE
A Firenze, città sempre ricca di usanze svariate e di tipi Lo trovò un giorno per caso nella chiesa di San Giovanni
singolari, viveva non molto tempo fa un pittore chia- mentre osservava attentamente i dipinti e i bassorilievi del
mato Calandrino, uomo sciocco e di bizzarri costumi tabernacolo da poco tempo posto sopra l’altare e pensò che
che si accompagnava di frequente con altri due pittori fosse giunta l’occasione favorevole per divertirsi alle sue
chiamati l’uno Bruno e l’altro Buffalmacco. Questi era- spalle. Informato un amico della sua intenzione, insieme si
no uomini avveduti e astuti e al tempo stesso molto avvicinarono al luogo ove Calandrino sedeva solo e, facen-
amanti dei divertimenti e frequentavano Calandrino do finta di non vederlo, cominciarono a parlare delle pro-
perché spesso si prendevano gioco della sua ingenuità. prietà miracolose di diverse pietre. Maso ne parlava con
In quello stesso tempo viveva in Firenze Maso del Sag- tanta efficacia come se fosse stato un esperto e un gran co-
gio, uomo assai piacevole, astuto ed abilissimo che, noscitore di pietre preziose. Calandrino dapprima tese le
avendo sentito parlare della semplicità di Calandrino, orecchie per ascoltare poi, alzatosi in piedi, si unì ai due dal
decise di burlarsi di lui con una beffa o facendogli crede- momento che non parlavano tra loro in segreto. Maso non
re cose impossibili. aspettava che questo e, mentre seguitava il suo discorso,
1 Calandrino: è il soprannome del pittore 2 Bruno...Buffalmacco: si tratta, rispetti- sciuto che svolgeva la professione di sensale
fiorentino Giannozzo di Pierino, noto per vamente, dei pittori Bruno di Giovanni e (mediatore in affari e contratti).
la sua ingenuità, unita alla presunzione di Bonamico.
volersi mostrare furbo. 3 Maso del Saggio: un burlone molto cono-
451
PARTE PRIMA Il Medioevo
il quale, seguendo le sue parole, fu da Calandrin domandato dove queste pietre così virtuose
si trovassero. Maso rispose che le più si trovavano in Berlinzone,4 terra de’ baschi, in una con-
20 trada che si chiamava Bengodi,5 nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevavisi un’oca
a denaio e un papero giunta, e eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato,
sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli e cuo-
cergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi
presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro
25 gocciola d’acqua.
«Oh!» disse Calandrino «cotesto è buon paese; ma dimmi, che si fa de’ capponi che cuocon
coloro?».
Rispose Maso: «Mangiansegli i baschi tutti».
Disse allora Calandrino: «Fostivi tu mai?».
30 A cui Maso rispose: «Di’ tu se io vi fu’ mai? Sì vi sono stato così una volta come mille».6
Disse allora Calandrino: «E quante miglia ci ha?».
Maso rispose: «Haccene più di millanta,7 che tutta notte canta».
Disse Calandrino: «Dunque dee egli essere più là che Abruzzi».
«Sì bene», rispose Maso «sì è cavelle».
35 Calandrino semplice, veggendo Maso dir queste parole con un viso fermo e senza ridere,
quella fede vi dava che dar si può a qualunque verità è più manifesta, e così l’aveva per vere;
e disse: «Troppo ci è di lungi a’ fatti miei: ma se più presso ci fosse, ben ti dico che io vi verrei
una volta con esso teco pur per veder fare il tomo a quei maccheroni e tormene una satolla.
Ma dimmi, che lieto sie tu, in queste contrade non se ne truova niuna di queste pietre così
40 virtuose?».
A cui Maso rispose: «Sì, due maniere di pietre ci si truovano di grandissima virtù. L’una
sono i macigni da Settignano e da Montisci,8 per vertù de’ quali, quando son macine fatti,
se ne fa la farina, e per ciò si dice egli in que’ paesi di là che da Dio vengon le grazie e da
Montisci le macine; ma ècci di questi macigni sì gran quantità, che appo noi è poco prez-
45 zata, come appo loro gli smeraldi, de’ quali v’ha maggior montagne che Monte Morello,9
Calandrino gli chiese dove si trovassero queste pietre «E quante miglia è lontano?». Chiese ancora Calandri-
dotate di potere magico. Maso rispose che la maggior no. «Più di millanta, che tutta notte canta».
parte si trovavano in Berlinzone, terra abitata dai Ba- E Calandrino: «Dunque deve essere più lontano degli
schi, in un paese chiamato Bengodi dove le vigne erano Abruzzi!».
legate con le salsicce, per un denaro si poteva avere E Maso: «Certamente, più o meno».
un’oca e in più un papero e vi era una montagna fatta L’ingenuo Calandrino, udendo da Maso tutte queste co-
tutta di formaggio parmigiano grattugiato, in cima alla se dette con serietà e con volto impassibile, vi prestava
quale stavano delle persone che non facevano altro che più fede che alle verità più evidenti e, ritenendole vere,
cuocere maccheroni e ravioli in brodo di cappone e poi li esclamò: «È troppo lontano da qui per me! Ma se fosse più
facevano rotolare lungo i fianchi della montagna, e chi vicino vorrei andarci una volta in tua compagnia per vede-
stava in basso poteva mangiare a sazietà; inoltre vicino re rotolar giù quei maccheroni e farmene una scorpaccia-
scorreva un piccolo fiume di vernaccia della migliore ta; ma dimmi, che tu sia benedetto, da queste parti non si
qualità mai bevuta, senza che vi fosse dentro una sola trova nemmeno una pietra magica?».
goccia d’acqua. E Maso: «Vi sono due specie di pietre di grande virtù, l’una
Calandrino meravigliato esclamò: «Questo è un buon sono i macigni di Settignano e di Mentisci con i quali si ma-
paese, ma dimmi che fine fanno i capponi cotti?». «Se li cina la farina, per cui da quelle parti si dice che da Dio vengo-
mangiano tutti i Baschi». Rispose Maso. E Calandrino: «Ci no le grazie e da Mentisci le macine. C’è però qui così gran
sei mai stato tu?». quantità di questi macigni che noi li apprezziamo poco
E Maso: «Mi chiedi se ci sono mai stato? Sì, vi sono stato come presso di loro sono poco apprezzati gli smeraldi dei
una volta così come vi sono stato mille». quali ve ne sono montagne intere più alte di Monte Morello,
4 Berlinzone: nome di paese immaginario. 6 una volta come mille: locuzione equivoca 8 Settignano...Montisci: due colline nei
5 Bengodi: altro toponimo favoloso, forma- che nasconde una risposta in realtà negativa. pressi di Firenze in cui si trovano cave di
to dall’unione di “ben” e “godi”, che fa pen- 7 millanta: altra espressione equivoca e pietra serena.
sare al paese della Cuccagna. senza senso. 9 Monte Morello: un colle presso Firenze.
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CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
che rilucon di mezzanotte vatti con Dio; e sappi che chi facesse le macine belle e fatte legare
in anella prima che elle si forassero e portassele al soldano, n’avrebbe ciò che volesse. L’altra si
è una pietra, la quale noi altri lapidarii appelliamo elitropia,10 pietra di troppo gran vertù, per
ciò che qualunque persona la porta sopra di sé, mentre la tiene, non è da alcuna altra persona
50 veduto dove non è».
Allora Calandrin disse: «Gran virtù son queste; ma questa seconda dove si truova?».
A cui Maso rispose che nel Mugnone11 se ne solevan trovare.
Disse Calandrino: «Di che grossezza è questa pietra? o che colore è il suo?».
Rispose Maso: «Ella è di varie grossezze, ché alcuna n’è più, alcuna meno, ma tutte son di
55 colore quasi come nero».
Calandrino, avendo tutte queste cose seco notate, fatto sembianti d’avere altro a fare, si
partì da Maso e seco propose di volere cercare di questa pietra; ma diliberò di non volerlo fare
senza saputa di Bruno e di Buffalmacco, li quali spezialissimamente amava. […]
[Calandrino si reca a rendere partecipi gli amici del suo progetto. Bruno e Buffalmacco ripren-
60 dono il filo gettato loro da Maso e partecipano all’inganno, accordandosi con Calandrino per anda-
re alla ricerca dell’elitropia la domenica mattina].
Calandrino con disidero aspettò la domenica mattina: la qual venuta, in sul far del dì si
levò. E chiamati i compagni, per la porta a San Gallo usciti e nel Mugnon discesi cominciaro-
no a andare in giù della pietra cercando. Calandrino andava, e come più volenteroso, avanti
65 e prestamente or qua e or là saltando, dovunque alcuna pietra nera vedeva si gittava e quella
ricogliendo si metteva in seno. I compagni andavano appresso, e quando una e quando un’al-
tra ne ricoglievano; ma Calandrino non fu guari di via andato, che egli il seno se n’ebbe pieno
per che, alzandosi i gheroni della gonnella, che alla analda12 non era, e faccendo di quegli
ampio grembo, bene avendogli alla coreggia attaccati d’ogni parte, non dopo molto gli empié,
70 e similmente, dopo alquanto spazio, fatto del mantello grembo, quello di pietre empié. Per
che, veggendo Buffalmacco e Bruno che Calandrino era carico e l’ora del mangiare s’avicinava,
secondo l’ordine da sé posto disse Bruno a Buffalmacco: «Calandrino dove è?».
Buffalmacco, che ivi presso sel vedea, volgendosi intorno e or qua e or là riguardando, ri-
spose: «Io non so, ma egli era pur poco fa qui dinanzi da noi».
che risplendono nel cuore della notte; sappi inoltre che per la porta di San Gallo, lungo il fiume Mugnone, diretti
chi facesse incastonare in un anello le macine prima che verso la foce alla ricerca della pietra. Calandrino andava
fossero forate al centro e le portasse al sultano di Babilo- avanti con molto entusiasmo e saltava rapidamente qua e
nia potrebbe avere ciò che desidera. L’altra specie è una là, si gettava dove vedeva una pietra nera e la raccoglieva
pietra che noi esperti chiamiamo elitropia, che ha la gran- mettendosela in seno; i compagni lo seguivano e di tanto
de virtù di rendere invisibile la persona che la porta con in tanto raccoglievano qualche pietra: Calandrino non eb-
sé, cioè la persona non si vede dove non è». be percorsa molta strada che, avendo già il seno pieno, al-
Calandrino allora chiese particolari soprattutto su zò i lembi della veste che non era stretta come quelle che
quest’ultima pietra e Maso affermò che si trovava lungo il usano in Belgio e li attaccò alla cintura di cuoio facendo
fiumicello Mugnone e, alla domanda di che grandezza e con essi un ampio grembo. Una volta riempita la veste,
colore fossero, precisò che erano di varia misura, ma tutte dopo un po’ di cammino, tirò su con le mani anche i bordi
di un colore quasi nero. Calandrino, ricco di tutte queste del mantello e ne fece lo stesso uso. Era ormai carico e si
informazioni, facendo finta di avere altri impegni, si al- avvicinava l’ora del pranzo per cui Bruno, secondo il piano
lontanò da Maso con il proposito di cercare questa pietra, insieme stabilito, disse a Buffalmacco: «Dov’è Calandri-
ma decise di non volerlo fare prima di averne parlato con no?».
Bruno e Buffalmacco, suoi carissimi amici. […] E Buffalmacco che se lo vedeva vicino a due passi, fin-
Calandrino aspettò con ansia la domenica mattina, gendo di guardare intorno, rispose: «Non lo so, ma poco fa
all’alba si recò a chiamare i compagni e insieme uscirono era dinanzi a noi».
10 elitropia: minerale che si credeva avesse 11 Mugnone: piccolo affluente dell’Arno. centro di produzione tessile dell’Europa del
qualità terapeutiche e, secondo una creden- 12 alla analda: secondo la moda di Hainant, Nord.
za tipicamente medievale, magiche. cioè stretta. Hainant era un importante
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PARTE PRIMA Il Medioevo
75 Disse Bruno: «Ben che fa poco! a me par egli esser certo che egli è ora a casa a desinare e noi
ha lasciati nel farnetico d’andar cercando le pietre nere giù per lo Mugnone».
«Deh come egli ha ben fatto» disse allor Buffalmacco «d’averci beffati e lasciati qui, poscia
che noi fummo sì sciocchi, che noi gli credemmo. Sappi! chi sarebbe stato sì stolto, che avesse
creduto che in Mugnone si dovesse trovare una così virtuosa pietra, altri che noi?».
80 Calandrino, queste parole udendo, imaginò che quella pietra alle mani gli fosse venuta
e che per la vertù d’essa coloro, ancor che loro fosse presente, nol vedessero. Lieto adunque
oltre modo di tal ventura, senza dir loro alcuna cosa, pensò di tornarsi a casa; e volti i passi
indietro se ne cominciò a venire.
Vedendo ciò, Buffalmacco disse a Bruno: «Noi che faremo? ché non ce ne andiam noi?».
85 A cui Bruno rispose: «Andianne; ma giuro a Dio che mai Calandrino non me ne farà più
niuna; e se io gli fossi presso come stato sono tutta mattina, io gli darei tale di questo ciotto
nelle calcagna, che egli si ricorderebbe forse un mese di questa beffa»; e il dir le parole e l’a-
prirsi e ’l dar del ciotto nel calcagno a Calandrino fu tutto uno, Calandrino, sentendo il duolo,
levò alto il piè e cominciò a soffiare ma pur si tacque e andò oltre.
90 Buffalmacco, recatosi in mano uno de’ codoli che raccolti avea, disse a Bruno: «Deh vedi
bel codolo: così giugnesse egli testé nelle reni a Calandrino!» e lasciato andare, gli diè con esso
nelle reni una gran percossa; e in brieve in cotal guisa, or con una parola e or con un’altra, su
per lo Mugnone infino alla porta a San Gallo il vennero lapidando. Quindi, in terra gittate le
pietre che ricolte aveano, alquanto con le guardie de’ gabellieri si ristettero; le quali, prima da
95 loro informate, faccendo vista di non vedere lasciarono andar Calandrino con le maggior risa
del mondo. Il quale senza arrestarsi se ne venne a casa sua, la quale era vicina al Canto alla
Macina;13 e in tanto fu la fortuna piacevole alla beffa, che, mentre Calandrino per lo fiume ne
venne e poi per la città, niuna persona gli fece motto, come che pochi ne scontrasse per ciò
che quasi a desinare era ciascuno.
100 Entrossene adunque Calandrino così carico in casa sua. Era per avventura la mogli di lui, la
quale ebbe nome monna Tessa, bella e valente donna, in capo della scala: e alquanto turbata
della sua lunga dimora, veggendol venire cominciò proverbiando a dire: «Mai, frate, il diavol ti
ci reca! Ogni gente ha già desinato quando tu torni a desinare».
Il che udendo Calandrino e veggendo che veduto era, pieno di cruccio e di dolore cominciò a
105 gridare: «Oimè, malvagia femina, o eri tu costì? Tu m’hai diserto, ma in fé di Dio io te ne pagherò!»
E Bruno: «Altro che poco fa! È chiaro che egli è ora a casa E Buffalmacco, preso in mano una di quelle pietre che aveva
a desinare e ci ha lasciati in questa pazzia di andare cer- raccolto, disse a Bruno: «Guarda che bel ciottolo per colpire
cando pietre nere lungo il Mugnone». subito Calandrino alle reni!». E, lanciatolo, lo colpì con violen-
Buffalmacco allora: «Egli è riuscito a beffarci ben bene e ci za; e, ora dicendo una cosa, ora un’altra, lo accompagnarono a
ha lasciati qui dal momento che siamo stati così sciocchi da colpi di sassi fino alla porta San Gallo. Qui, gettate a terra le
credergli. Pensa! Chi altri che noi sarebbe stato così stolto pietre raccolte, si fermarono con le guardie del dazio che, da
da credere che nel Mugnone esistesse una pietra così mira- loro informate, avevano lasciato passare Calandrino, facendo
colosa?». Calandrino, sentendo queste parole, pensò che finta di non vederlo, con grandi risate. Questi senza mai fer-
gli fosse capitata tra le mani la pietra che lo rendeva invisi- marsi giunse a casa che era vicina all’angolo in cui si trovava
bile, benché egli fosse dinanzi a loro. Felice di tale fortuna, una macina da mulino e, tanto fu la fortuna favorevole alla
senza dir nulla, pensò di andarsene e si avviò verso casa. beffa che, durante il tragitto dal fiume alla città, nessuno gli ri-
Buffalmacco, vista la manovra, disse a Bruno: «Che stia- volse la parola. In realtà Calandrino aveva incontrato poche
mo a fare qui? Perché non ce ne andiamo?». persone in quanto quasi tutti a quell’ora erano a pranzo.
E Bruno: «Andiamo, ma ti giuro in nome di Dio che Ca- Nel momento in cui rientrava in casa carico di pietre, la
landrino non ce ne farà più nessuna e, se mi fosse vicino moglie di lui, monna Tessa, una donna bella e saggia, era
come mi è stato per tutta la mattina, lo colpirei in tal mo- per caso in cima alla scala e, contrariata per la lunga atte-
do con questo ciottolo nelle calcagna che si ricorderebbe sa, rimproverandolo cominciò a dire: «Finalmente una
forse per un mese di questa beffa». E il dire queste parole buona volta il diavolo ti riporta a casa! Tutti hanno pran-
e lanciare il sasso contro il calcagno di Calandrino fu zato e tu torni soltanto ora!».
tutt’uno; questi, colpito, sollevò il piede, cominciò a sof- Calandrino, accorgendosi che non era più invisibile, irato
fiare per il dolore, ma non disse nulla e continuò il suo e pieno di dolore cominciò a gridare: «Malvagia femmina,
cammino. eri qui? Tu mi hai rovinato, ma per Dio, ti ricompenserò».
13 Canto alla Macina: incrocio di via San Gallo e via Guelfa, dove era murata una macina.
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CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
e salito in una sua saletta e quivi scaricate le molte pietre che recate avea, niquitoso corse
verso la moglie e presala per le trecce la si gittò a’ piedi, e quivi, quanto egli poté menar le
braccia e’ piedi, tanto le diè per tutta la persona: pugna e calci, senza lasciarle in capo capello
o osso adosso che macero non fosse, le diede, niuna cosa valendole il chieder mercé con le
110 mani in croce.
Buffalmacco e Bruno, poi che co’ guardiani della porta ebbero alquanto riso, con lento pas-
so cominciarono alquanto lontani a seguitar Calandrino; e giunti a piè dell’uscio di lui senti-
rono la fiera battitura la quale alla moglie dava, e faccendo vista di giugnere pure allora il chia-
marono. Calandrino tutto sudato, rosso e affannato si fece alla finestra e pregogli che suso a
115 lui dovessero andare. Essi, mostrandosi alquanto turbati, andaron suso e videro la sala piena di
pietre e nell’un de’ canti la donna scapigliata, stracciata, tutta livida e rotta nel viso dolorosa-
mente piagnere; e d’altra parte Calandrino, scinto e ansando a guisa d’uom lasso, sedersi. […].
E salito in casa, scaricate le pietre che aveva con sé, furi- quel momento, alla fine lo chiamarono. Calandrino, af-
bondo corse verso la moglie, la prese per le trecce, la gettò facciatosi alla finestra tutto sudato e affannato, li pregò di
per terra e con pugni e calci la colpì in tutta la persona e, salire in casa. Costoro, mostrandosi alquanto adirati con
nonostante che ella chiedesse pietà a mani giunte, la la- lui, appena salite le scale, si trovarono dinanzi a questo
sciò alla fine pesta e malconcia. spettacolo: nel mezzo della sala un mucchio di pietre, in
Buffalmacco e Bruno, dopo aver molto riso con le guar- un angolo la donna scapigliata, con i vestiti stracciati e
die del dazio, lentamente cominciarono a seguire Calan- piena di lividi e di ferite nel viso che piangeva dolorosa-
drino da lontano e, giunti alla porta di casa, udirono la vio- mente, dall’altra parte Calandrino seduto, discinto e an-
lenta battitura della moglie e, facendo finta di arrivare in sante come un uomo distrutto. [...]
L’attore Kim Rossi Stuart interpreta Calandrino, foto di scena del film Maraviglioso Boccaccio di Paolo e Vittorio Taviani, 2015.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
Buffalmacco e Bruno, queste cose udendo, facevan vista di maravigliarsi forte e spesso af-
fermavano quello che Calandrino diceva, e avevano sì gran voglia di ridere, che quasi scoppia-
vano; ma vedendolo furioso levare per battere un’altra volta la moglie, levatiglisi alla ’ncontro
il ritennero, dicendo di queste cose niuna colpa aver la donna ma egli, che sapeva che le femi-
ne facevano perdere la vertù alle cose e non l’aveva detto che ella si guardasse d’apparirgli in-
125 nanzi quel giorno: il quale avvedimento Idio gli aveva tolto o per ciò che la ventura non dove-
va esser sua o perché egli aveva in animo d’ingannare i suoi compagni, a’ quali, come s’avedeva
averla trovata, il dovea palesare. E dopo molte parole, non senza gran fatica la dolente donna
riconciliata con essolui e lasciandol malinconoso con la casa piena di pietre, si partirono.
G. Boccaccio, Decameron, cit.
Buffalmacco e Bruno, sentendo il racconto, facevano corgimento o perché non doveva toccare a lui una così
finta di meravigliarsi molto e spesso confermavano quan- grande fortuna o perché aveva avuto l’intenzione di in-
to Calandrino andava dicendo. Stavano per scoppiare dal gannare i compagni ai quali non aveva subito rivelato di
ridere, ma vedendolo furioso sul punto di picchiare di aver trovato la pietra. E dopo aver ancora speso molte pa-
nuovo la moglie, gli si pararono dinanzi trattenendolo: role, i due amici riuscirono a gran fatica a riconciliare Ca-
monna Tessa non aveva alcuna colpa, ma lui, che sapeva landrino con la moglie ed infine si congedarono, lascian-
che le donne tolgono la virtù ad ogni cosa, non le aveva dolo sconsolato con la casa piena di pietre.
raccomandato di non comparirgli dinanzi quel giorno. C. Bura, M.A. Morettini, Dieci novelle dal Decameron
Forse Dio stesso gli aveva impedito di pensare a quell’ac- di Boccaccio, Guerra, Perugia 1997.
ANALISI Le invenzioni di Maso Il discorso di Maso serve a preparare la beffa e produce un effetto
comico. L’abilità linguistica del personaggio si esprime essenzialmente in tre forme:
1) l’invenzione di mondi fatti di parole, come il paese di Bengodi, dove oggetti della vita quo-
tidiana vengono montati in uno scenario surreale, puramente linguistico;
2) la deformazione di espressioni correnti e l’uso di frasi gergali e colorite, fino all’introdu-
zione di espressioni senza senso (p. es. «Haccene più di millanta, che tutta notte canta»);
la stessa scelta di un termine raro come «elitropia» risponde a questa logica;
3) il gusto della frase ambigua, puntualmente fraintesa da Calandrino («vi sono stato così una
volta come mille»; «non è […] veduto dove non è»; la descrizione delle pietre, che sono in
realtà quelle più comuni).
Una figura comica Calandrino è la figura comica più famosa del Decameron, protagonista
di altre tre novelle oltre a questa. Rappresenta il cittadino inurbato («uom semplice e di nuovi
costumi»), guardato con sufficienza dai fiorentini e vittima delle beffe dei suoi colleghi. È un
personaggio interessante, caratterizzato non solo da una sciocca ingenuità ma anche da una
vitalità e da uno spirito di avventura quasi fanciulleschi, come si coglie in questa novella nella
scena in cui salta «prestamente» di qua e di là alla ricerca dell’elitropia.
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CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
Dopo esserti adeguatamente documentato con una ricerca in rete, completa questo approfondimento
scrivendo una scheda in cui analizzi il linguaggio della cucina italiana, soffermandoti, in particolare, sulle
varietà di pasta e le loro origini regionali.
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PARTE PRIMA Il Medioevo
La storia della badessa e le brache viene narrata da Elissa: è la seconda novella della Nona giornata. In un
convento famoso per la sua «santità», una religiosa giovane e attraente, di nome Isabetta, ha un aman-
te. Le monache scoprono la tresca e denunciano il fatto alla badessa. Ma anche lei, nel momento in cui la
vanno a chiamare in camera, si trova in compagnia di un prete: per la fretta di rivestirsi, la badessa, al
posto del velo, si mette in testa i calzoni («le brache») dell’amante. Quando Isabetta fa notare lo strano
copricapo, costringe la badessa a interrompere i rimproveri e a riconoscere che è impossibile difendersi
«dagli stimoli della carne». Il racconto non intende tanto denunciare la corruzione dei costumi religiosi
quanto piuttosto riconoscere le «forze della natura», che si fanno valere anche nei conventi.
I TEMI polemica contro l’ipocrisia dei religiosi rivendicazione delle «forze della natura»
– Carissime donne, saviamente si seppe madonna Francesca, come detto è, liberar dalla noia
sua; ma una giovane monaca, aiutandola la fortuna,1 sé da un soprastante pericolo leggiadra-
mente parlando diliberò. E come voi sapete, assai sono li quali, essendo stoltissimi, maestri
degli altri si fanno gastigatori, li quali, si come voi potrete compredere per la mia novella, la
5 fortuna alcuna volta e meritatamente vitupera: e ciò addivenne alla badessa sotto la cui obe-
dienza era la monaca della quale debbo dire.
Sapere adunque dovete in Lombardia essere un famosissimo monistero di santità e di reli-
gione,2 nel quale, tra l’altre donne monache che v’erano, v’era una giovane di sangue nobile e di
maravigliosa bellezza dotata, la quale, Isabetta chiamata, essendo un dì ad un suo parente alla
10 grata venuta, d’un bel giovane che con lui era s’innamorò; e esso, lei veggendo bellissima, già il
suo disidero avendo con gli occhi concetto, similmente di lei s’accese: e non senza gran pena di
ciascuno questo amore un gran tempo senza frutto sostennero. Ultimamente, essendone cia-
scun sollecito, venne al giovane veduta una via da potere alla sua monaca occultissimamente
andare; di che ella contentandosi,3 non una volta ma molte con gran piacer di ciascuno la visitò.
15 Ma continuandosi questo, avvenne una notte che egli da una delle donne di là entro fu veduto,
senza avvedersene egli o ella, dall’Isabetta partirsi e andarsene. Il che costei con alquante altre
comunicò; e prima ebber consiglio d’accusarla alla badessa, la quale madonna Usimbalda ebbe
nome, buona e santa donna4 secondo la oppinion delle donne monache e di chiunque la conoscea;
PARAFRASI
– Carissime donne, come si è detto [nella precedente novel- farle visita], s’innamorò di un bel ragazzo che era con lui; e
la], Francesca [: la protagonista della storia], seppe sottrarsi anche questi, vedendo lei bellissima e avendo già percepito
con saggezza a una situazione fastidiosa (noia); ma una gio- (concetto) con lo sguardo il desiderio della ragazza, s’inna-
vane monaca, aiutandola la sorte, si sottrasse (diliberò) a un morò: e non senza grande sofferenza sopportarono a lungo
pericolo incombente parlando in modo opportuno (leggia- di non appagare questo amore. Infine, avendone desiderio
dramente). E come voi sapete, sono molti coloro che, pur es- (sollecito) entrambi, il giovane scoprì un modo per raggiun-
sendo assai stolti, si pretendono maestri e giudici (gastigato- gere in tutta segretezza la monaca da lui amata (sua); essen-
ri) degli altri, ed essi, così come potrete comprendere attra- do lei contenta di ciò, non una [sola] volta ma molte [volte]
verso la mia novella, vengono qualche volta e a ragione sma- le fece visita, con grande soddisfazione di entrambi. Ma
scherati dalla sorte: proprio ciò avvenne alla badessa alla cui continuando questo [comportamento], una notte avvenne
autorità era sottomessa la monaca della quale vi racconterò che il ragazzo fu visto da una delle monache del monastero
la storia. Dovete dunque sapere che in Lombardia c’è un fa- mentre si separava e se ne andava via da Isabetta, senza che
mosissimo monastero pieno di devozione religiosa, nel qua- se ne accorgessero né lui né lei. La monaca lo riferì ad alcune
le, tra le monache che vi risiedevano, c’era una ragazza bel- altre [monache]; e prima decisero di denunciarla alla bades-
lissima e di nobili origini, di nome Isabetta, che quando un sa, di nome Usimbalda, che era una donna buona e santa
giorno andò in parlatorio (grata) da un suo parente [venuto a secondo l’opinione delle monache e di chi la conosceva;
1 aiutandola la fortuna: subito viene intro- le cui monache si dimostrano tutt’altro che La passione amorosa è data dalla natura e
dotto il tema della fortuna: essa ribalterà in sante e devote. non può essere negata, come sarà ammesso
modo positivo la sorte della giovane mo- 3 di che...contentandosi: l’autore non rivol- dalla badessa nella conclusione.
naca. ge alcuna condanna di tipo morale all’amore 4 buona e santa donna: la descrizione del-
2 di santità e di religione: l’autore sottoli- dei due giovani, anzi sottolinea la sofferen- la badessa – come già quella del monastero
nea ironicamente la santità del monastero, za procurata dal suo mancato appagamento. (cfr. nota 2) – è piena di ironia.
458
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
poi pensarono, acciò che la negazione non avesse luogo, di volerla far cogliere col giovane alla
20 badessa; e così taciutesi, tra sé le vigilie e le guardie5 segretamente partirono per incoglier
costei.
Or, non guardandosi l’Isabetta da questo né alcuna cosa sappiendone, avvenne che ella
una notte vel fece venire, il che tantosto sepper quelle che a ciò badavano; le quali, quando a
loro parve tempo, essendo già buona pezza di notte, in due si divisero, e una parte se ne mise
25 a guardia del l’uscio della cella dell’Isabetta, e un’altra n’andò correndo alla camera della ba-
dessa; e picchiando l’uscio, a lei che già rispondeva dissero: «Su, madonna, levatevi tosto, ché
noi abbiam trovato che l’Isabetta ha un giovane nella cella».
Era quella notte la badessa accompagnata d’un prete il quale ella spesse volte in una
cassa si faceva venire. La quale, udendo questo, temendo non forse le monache per troppa
30 fretta o troppo volonterose tanto l’uscio sospignessero, che egli s’aprisse, spacciatamente
si levò suso e come il meglio seppe si vestì al buio; e credendosi torre certi veli piegati, li
quali in capo portano e chiamanli il saltero,6 le venner tolte le brache7 del prete; e tanta fu
la fretta che, senza avvedersene in luogo del saltero le si gittò in capo e uscì fuori e presta-
mente l’uscio si riserrò dietro dicendo: «Dove è questa maladetta da Dio?» E con l’altre, che
35 sì focose e sì attente erano a dover far trovare in fallo l’Isabetta, che di cosa che la badessa in
capo avesse non s’avvedieno, giunse all’uscio della cella, e quello, dall’altre aiutata, pinse in
terra: e entrate dentro nel letto trovarono i due amanti abbracciati. Li quali, da così subito
sopraprendimento storditi, non sappiendo che farsi, stettero fermi. La giovane fu inconta-
nente dall’altre monache presa e per comandamento della badessa menata in capitolo.8 Il
40 giovane s’era rimaso; e vestitosi aspettava di veder che fine la cosa avesse, con intenzione di
fare un mal giuoco a quante giugner ne potesse, se alla sua giovane novità niuna fosse fatta,
e di lei menarne con seco.
La badessa, postasi a sedere in capitolo in presenzia di tutte le monache, le quali solamente
alla colpevole riguardavano, incominciò a dirle la maggior villania che mai a femina fosse detta,
poi progettarono, affinché non fosse possibile negare rio, le accadde di prendere [invece] i calzoni del prete; e
[l’accaduto], di far cogliere alla badessa Isabetta [in fla- tanta fu la fretta che, senza accorgersene, se li ficcò in ca-
grante mentre era] con l’amante; quindi senza divulgare po al posto del salterio, uscì fuori e richiuse subito la por-
nulla [di quanto scoperto] si divisero segretamente tra ta dietro di sé dicendo: «Dov’è questa maledetta da Dio?».
loro i turni di veglia (vigilie) e quelli di guardia per co- E insieme alla altre [monache] – che erano così preoccu-
glierla sul fatto. Ora, poiché Isabetta non si preoccupava pate (sì focose e sì attente) di far cogliere Isabetta in fla-
di ciò, e non ne sapeva nulla, fece venire l’amante nella grante, che non si accorgevano di che cosa avesse la bades-
sua cella (vel = ‘ve lo’), cosa che seppero subito (tantosto) sa sul capo – arrivò alla porta della cella e, aiutata dalle al-
quelle che erano di guardia; le quali, quando sembrò loro tre, la gettò a terra; e, entrate dentro, trovarono i due
il momento opportuno, essendo notte inoltrata, si divi- amanti abbracciati nel letto. I quali, intontiti per essere
sero in due [gruppi]: una parte si mise a guardia della por- stati sorpresi (sopraprendimento) in modo così fulmineo
ta della cella di Isabetta, l’altra andò di corsa ad avvertire (subito), non sapendo che cosa fare, rimasero fermi.
la badessa; e, bussando alla badessa che dette un cenno di La giovane fu subito (incontanente) presa dalle altre mo-
risposta, dissero: «Su, badessa, alzatevi subito, perché ab- nache e, per ordine della badessa, portata di fronte alla ri-
biamo visto che Isabetta è in compagnia di un giovane unione di tutte le religiose (in capitolo). Il giovane se ne
nella cella». Quella notte la badessa era in compagnia di era rimasto [là]; e, dopo essersi vestito, aspettava di vede-
un prete, che lei spesso si faceva portare [nascosto] in una re come la cosa andasse a finire, con l’intenzione di fare
cassa. La badessa, sentendo questo, forse temendo che un brutto scherzo (mal giuoco) a quante ne avesse potu-
(temendo non forse) le monache o per troppo fretta o te raggiungere se alla giovane fosse stato fatto qualcosa di
per troppa voglia di avvertirla [del fatto] spingessero a tal male (novità niuna), e [quindi] portarla via con sé (me-
punto la porta da aprirla, si alzò dal letto (si levò suso) in narne con seco). La badessa, dopo essersi messa a sedere
gran fretta (spacciatamente) e si rivestì al buio come me- in capitolo, alla presenza di tutte le monache, che avevano
glio poté; e credendo di prendere (torre) certi veli piegati, occhi solo per la colpevole, iniziò a rivolgerle le peggiori
che le monache portano in capo e che si chiamano salte- offese (villania) che mai fossero state dette a una donna,
5 le vigilie e le guardie: le suore si danno da triangolo che ricorda la forma del salterio, 8 in capitolo: luogo del monastero in cui si
fare con una disciplina quasi militare. un antico strumento musicale a corde. fanno le riunioni.
6 saltero: i veli indossati dalle monache 7 le brache: indumento maschile costituito
venivano disposti in modo da costituire un da calzoni corti e stretti.
459
PARTE PRIMA Il Medioevo
45 sì come a colei la quale la santità, l’onestà, la buona fama del monistero con le sue sconce e
vituperevoli opere, se di fuor si sapesse,9 contaminate avea: e dietro alla villania aggiugneva
gravissime minacce.
La giovane, vergognosa e timida, sì come colpevole non sapeva che si rispondere, ma ta-
cendo di sé metteva compassion nell’altre: e, multiplicando pur la badessa in novelle,10 venne
50 alla giovane alzato il viso e veduto ciò che la badessa aveva in capo e gli usulieri11 che di qua e
di là pendevano: di che ella, avvisando ciò che era, tutta rassicurata disse: «Madonna, se Dio
v’aiuti, annodatevi la cuffia e poscia mi dite ciò che voi volete».
La badessa, che non la ’ntendeva, disse: «Che cuffia, rea femina? ora hai tu viso di motteg-
giare? Parti egli aver fatta cosa che i motti ci abbian luogo?».
55 Allora la giovane un’altra volta disse: «Madonna, io vi priego che voi v’annodiate la cuffia;
poi dite a me ciò che vi piace»; laonde molte delle monache levarono il viso al capo della ba-
dessa, e ella similmente ponendovisi le mani, s’accorsero perché l’Isabetta così diceva.
Di che la badessa, avvedutasi del suo medesimo fallo e vedendo che da tutte veduto era né
aveva ricoperta, mutò sermone e in tutta altra guisa che fatto non aveva cominciò a parlare, e
60 conchiudendo venne impossibile essere il potersi dagli stimoli della carne difendere; e per ciò
chetamente, come infino a quel dì fatto s’era, disse che ciascuna si desse buon tempo quando
potesse; e liberata la giovane, col suo prete si tornò a dormire, e l’Isabetta col suo amante. Il
qual poi molte volte, in dispetto di quelle che di lei avevano invidia, vi fé venire; l’altre che
senza amante erano, come seppero il meglio, segretamente procacciaron lor ventura.
G. Boccaccio, Decameron, cit.
visto che lei aveva messo a rischio la santità, l’onestà, il fia; dopodiché potrete dirmi ciò che volete»; quindi (laon-
buon nome del monastero con le sue azioni sconce e spre- de) molte delle monache alzarono gli occhi al capo della ba-
gevoli: e, oltre alle offese, aggiungeva gravissime minacce. dessa, ed essa pure vi mise le mani, così che [tutte] capirono
La giovane, che si vergognava ed era impaurita (timida), perché Isabetta parlasse in quel modo. Per tal motivo, la ba-
siccome [era] colpevole non sapeva che cosa rispondere, dessa, accortasi del suo proprio errore e vedendo che era vi-
ma, stando zitta, suscitava la compassione delle altre [mo- sto da tutte né aveva la possibilità di nasconderlo, cambiò
nache]; e, mentre la badessa si dilungava sempre di più in linguaggio e cominciò a parlare in modo del tutto diverso da
chiacchiere, accade alla giovane di alzare il viso e di vedere quello usato fino a quel momento, e giunse in conclusione
ciò che la badesse aveva in capo e i lacci dei pantaloni (usu- ad affermare l’impossibilità di difendersi dagli stimoli della
lieri) che pendevano da una parte e dall’altra: per cui Isabet- carne; e perciò disse che, con discrezione, come era stato
ta, comprendendo ciò che era [accaduto], completamente fatto finora, ciascuna si procurasse il proprio divertimento;
rassicurata disse: «Badessa, che Dio vi assista, annodatevi la e, liberata la giovane, la badessa tornò a dormire con il suo
cuffia e poi mi direte ciò che volete». La badessa, che non la prete, e Isabetta con il suo amante. E in seguito lo fece veni-
capiva, disse: «Di quale cuffia parli, donna peccatrice (rea)? re molte altre volte, con dispetto di quelle che avevano invi-
Hai la sfacciataggine (viso) di scherzare? Ti pare di aver fat- dia di lei. Le altre [monache] che non avevano l’amante, ap-
to qualcosa che consenta battute di spirito?». Allora la gio- pena appresero di una condizione di vita più piacevole, in
vane disse di nuovo: «Badessa, vi prego di annodarvi la cuf- segreto si procurarono il loro piacere.
9 se di fuor si sapesse: le parole della ba- si sapesse quanto accaduto. per lo stesso peccato di cui sa di essere col-
dessa sono intessute di ipocrisia: lasciano 10 multiplicando...novelle: i rimprove- pevole.
trasparire che la sua vera preoccupazione è ri della badessa sono considerati discorsi 11 usulieri: legacci con cui si fissavano le
il discredito che ricadrebbe sul monastero se vuoti: essa pretende di condannare altri brache alle calzature.
460
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
4) la conclusione: gli eventi della tumultuosa notte in cui vengono smascherate Isabetta e
Usimbalda terminano con l’imprevedibile esito del «capitolo», che avrebbe dovuto sancire
la condanna di Isabetta e invece sancisce la vittoria degli «stimoli della carne».
ANALISI L’ironia Si è visto come la divisione del testo in brevi sequenze dia alla novella un anda-
mento molto dinamico e brillante. A ciò si unisce l’ironia di certe parti del racconto: per esem-
pio, va intesa in senso ironico la presentazione iniziale del monastero («un famosissimo moni-
stero di santità e di religione») e della badessa («buona e santa donna»). Piena di ironia è
anche la descrizione della reazione delle monache di fronte alla “scandalosa” scoperta dell’a-
mante di Isabetta: esse si organizzano con disciplina soldatesca per fare «le vigilie e le guar-
die» così da cogliere la compagna in flagrante.
INTERPRETAZIONE La polemica contro l’ipocrisia Due sono i temi che si intrecciano nella novella: 1) quello
E COMMENTO della polemica contro l’ipocrisia dominante nella vita conventuale (e religiosa in genere); 2)
quello della rivendicazione dei diritti della natura. La badessa è costretta ad ammettere che è
«impossibile […] il potersi dagli stimoli della carne difendere»; perciò le monache sono auto-
rizzate a ricercare i piaceri dell’amore («ciascuna si desse buon tempo quando potesse»). L’au-
tore non è affatto scandalizzato da tale conclusione, e anzi ridicolizza piuttosto la prima severa
reazione della badessa, fondata sul solito e ipocrita assunto “fate quel che dico, non quel che
faccio”. Ancora una volta, un comportamento che secondo la morale comune dovrebbe essere
punito, viene visto sotto una prospettiva diversa: la nuova morale difesa da Boccaccio –
aperta e laica – non serve a pronunciare condanne, ma a cercare, di volta in volta, un punto di
equilibrio tra valori da difendere e atteggiamenti da evitare.
461
PARTE PRIMA Il Medioevo
7 L’attualità di Boccaccio
La fortuna europea Il successo del Decameron si estende presto al di là dei confini italiani, e l’opera diviene un mo-
di Boccaccio dello internazionale: I racconti di Canterbury dell’inglese Geoffrey Chaucer (1340 ca.-1400)
presentano numerose analogie con il capolavoro boccacciano, anche se la questione critica sul
rapporto fra le due opere resta aperta e problematica ( Informazioni, Un’opera a confronto
col Decameron: I racconti di Canterbury di Chaucer, p. 464). D’altra parte il modello narrativo
delle cento novelle ha continuato ad agire per secoli, e fino a noi, costituendo un patrimonio e
un modello del genere breve, chiamato “novella” fino ai primi decenni del Novecento (come fa
esempio ancora Pirandello) e poi “racconto” a partire soprattutto dagli anni Trenta.
Boccaccio e noi D’altra parte la fortuna di Boccaccio non va solo al di là dello spazio – varcando i confini della
letteratura italiana –, ma anche al di là del tempo – varcando l’epoca dell’autore e arrivando fi-
no a noi. Il successo del Decameron prosegue attraverso i secoli, influenzando la mentalità co-
mune. Nella lingua italiana esiste addirittura un aggettivo – “boccaccesco” (per indicare situa-
zioni di beffe scostumate, di sensualità allegra e grossolana) – che fa ben capire quale aspetto
dell’opera di Boccaccio abbia più colpito la fantasia po-
polare.
Al di là di questo aspetto specifico della ricezione del
Decameron, ci sono però molte altre ragioni che ren-
dono attuale questo libro. Una di queste è il piacere
che si può ricavare dalla sua lettura, un piacere che
deriva dal pieno dominio che Boccaccio ha dell’arte
della narrazione: se Dante, nella Commedia, aveva cer-
cato di interpretare la realtà del suo tempo e l’intera
storia umana, Boccaccio non ha più una simile ambi-
zione, ma vuole solo procurare diletto al suo pubblico,
mostrandogli aspetti nuovi e strani (o buffi) della realtà
e della psicologia umana servendosi di meccanismi nar-
rativi avvincenti, fatti di attese, di ritardi calcolati e di
finali a sorpresa, che spesso sorprendono il lettore.
Questa unione di piacevolezza e di rappresentazione
realistica ha sempre la meglio sulle intenzioni morali
ed educative dichiarate dall’autore, che sono d’altra Illustrazione di Anna ed Elena Balbusso per il
parte tratti caratteristici della cultura della sua epoca. Decameron di Boccaccio.
Il capolavoro del Boccaccio proprio perché appare nei suoi aspetti più costituzionali e più validi
come la tipica «commedia dell’uomo» rappresentata […] come una vasta e multiforme epopea
della società medievale italiana colta e ritratta nel suo autunno splendido e lussureggiante, non
si oppone alla Divina Commedia, ma in qualche modo le si affianca e quasi la completa. Se si
5 volesse vedere l’immagine del Medioevo soltanto in una di queste due opere, l’immagine che ne
risulterebbe sarebbe falsa e unilaterale. Non serberebbe certo l’impronta della suggestiva e qua-
si enigmatica armonia di ansia del trascendente e di ricerca del concreto e del reale, di mistici
rapimenti e di corposa volontà di vivere, di eroismi civili e religiosi e di violenza degli istinti del
sesso e della roba, di astrattismo speculativo e di risolutezza pragmatica, che rende così affasci-
10 nante questa età così complessa e multiforme, questa civiltà madre della nostra cultura e della
nostra vita. Il poema dantesco rappresenta la più grandiosa sistemazione, la più grandiosa sum-
ma poetica1 dello speculare intellettuale e morale di quella società, ed è in qualche modo un
estremo monito e una estrema profezia lanciata all’umanità intera partendo da quegli alti pre-
supposti ideali: il Decameron è a sua volta la rappresentazione, o meglio la consacrazione artisti-
15 ca e in certo senso metafisica, della storia di ogni uomo e della realtà quotidiana di quel mondo
umanissimo.
È anch’esso in certo senso una summa: la summa di quella vita faticosa, ricca di avventure e
di agguati in cui ogni giorno l’uomo misurava le sue capacità e le sue virtù, e la borghesia e la
folla più umile e anonima provavano la loro energia industriosa, il loro slancio operoso nel ricor-
20 do e quasi nella scia dell’epopea eroica dei secoli precedenti: la summa di un mondo che – proprio
secondo il pensiero scolastico2 – non è meno reale e non è meno valido di quello dominato dal
trascendente che fu cantato da Dante.
V. Branca, Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron, Sansoni, Firenze 1990.
1 summa poetica: la massima ma, insieme, sintesi complessiva’. elaborata da san Tommaso nel XIII
espressione poetica. summa è voce 2 il pensiero scolastico: è un richia- secolo, che cerca di conciliare la ra-
latina medievale che significa ‘som- mo alla Scolastica, cioè alla filosofia gione con la fede.
TRACCIA Nel Decameron, Boccaccio propone una sintesi fra la prospettiva borghese-mercantile e la prospettiva
cortese.
463
PARTE PRIMA Il Medioevo
ZIONI
INFORMA
Un’opera a confronto col Decameron: I racconti di Canterbury di Chaucer
Chaucer e il suo tempo trare in una locanda una compagnia di flessione sulla figura della donna, sul
I racconti di Canterbury sono un ca- pellegrini diretti a Canterbury, luogo di rapporto fra i sessi e sulla relazione
polavoro della letteratura europea: culto di san Thomas Becket (sec. XII). coniugale. A tal proposito emergono
scritti da Geoffrey Chaucer fra il 1386 L’oste propone un modo per allietare il punti di vista discordanti e opposti,
e il 1394, essi costituiscono anche il viaggio: ciascuno racconterà delle sto- poiché domina nell’opera la logica del
fondamento della tradizione letteraria rie ed egli farà da moderatore e da giu- contrasto. All’esaltazione della su-
inglese. Come nel caso del Decame- dice. A chi avrà raccontato la storia più periorità femminile sostenuta dalla
ron di Boccaccio, I racconti di Canter- bella sarà offerta una cena. Rispetto spregiudicata donna di Bath fa perciò
bury testimoniano un’epoca storica al Decameron, la cornice dei Raccon- da contraltare la visione del chierico,
travagliata e segnata da profondi mu- ti di Canterbury presenta un’assoluta che racconta la storia di una moglie
tamenti sociali: alla fine del Trecen- originalità: mentre i novellatori di Boc- devotamente sottomessa al marito.
to comincia ad affermarsi nella vita caccio si equivalgono per estrazione Sulla scia di Boccaccio, anche Chau-
economica inglese una nuova classe sociale e per età, i pellegrini di Chau- cer riconosce alla donna la dignità di
media di ricchi mercanti e di artigia- cer sono molto diversi fra loro. Essi personaggio, illuminando una varietà
ni, destinata a scalzare il predominio rappresentano quasi tutte le classi so- estrema di comportamenti: si passa
dell’alta nobiltà. Inoltre, l’Inghilterra, ciali dell’Inghilterra trecentesca (so- dagli esempi sublimi di virtù a quel-
appena uscita dalla devastante epide- no escluse soltanto l’alta nobiltà e la li più bassi di sfrenatezza sessuale.
mia di peste, è impegnata nella guer- servitù): prendono alternativamente Sia nel Decameron sia nei Racconti di
ra dei Cent’anni (1337-1453) contro la la parola membri del clero, nobili, bor- Canterbury viene rivendicato il diritto
Francia. Questo contesto – di crisi e ghesi, liberi professionisti, proprietari della donna al piacere, in nome della
di cambiamento – è il terreno che ali- terrieri, funzionari e membri dell’am- forza delle pulsioni naturali. Leggia-
menta le tensioni spirituali e il moto ministrazione. mo di seguito una parte illuminante
continuo, disordinato e vitalistico del del discorso della donna di Bath: essa
capolavoro di Chaucer. I temi incarna una donna di tipo nuovo, non
I temi dei Racconti di Canterbury so- più chiusa fra le mura domestiche ma
I racconti e la cornice no i più vari: la novelle non vertono, coinvolta nel mondo del lavoro (è una
Come il Decameron, anche I racconti di come nel Decameron, su un argomen- drappiera, abile esponente dell’artigia-
Canterbury (l’opera, rimasta incompiu- to via via prefissato, ma rispecchiano nato tessile inglese), non più condan-
ta, include ventiquattro racconti scritti la libera creatività dei narratori. Spic- nata al silenzio ma libera di esprimere
in versi e in prosa) sono organizzati ca tuttavia il tema dell’amore, inteso il proprio “scandaloso” punto di vista.
all’interno di una cornice, cioè una sia in senso elevato e cavalleresco Nel brano riportato la donna di Bath de-
storia principale che collega le varie sia in senso concreto e sensuale. Il crive il tipo di rapporto instaurato con il
novelle. Chaucer immagina di incon- motivo amoroso solleva un’acuta ri- suo quinto marito.
464
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
1 san Tommaso: si tratta di Thomas Becket (1118- felicità dello stato coniugale per colpa della mal- sposato con Santippe, nota per il suo carattere
1170), arcivescovo di Canterbury. Per essersi oppo- vagità delle donne. Subito dopo si cita san difficile e bisbetico. Benché si tratti di una citazio-
sto ai propositi di ridimensionamento dei privilegi Gerolamo, un altro “classico” della tradizione ne classica, si noti il carattere scurrile e licenzioso
ecclesiastici da parte di re Enrico II, venne ucciso misogina medievale (per “misoginia” si intende dell’espressione “Prima tuona e poi piove”.
nel 1170. La sua morte suscitò un grande movimen- l’avversione morbosa nei confronti della donna). 5 Lui mi diede...lite: la resa incondizionata del ma-
to di devozione popolare, tanto che papa Alessandro 3 Sansone: si tratta di una storia biblica. Sansone rito, sia pure a lieto fine, conferisce alla donna un
III fu indotto a santificarlo già nel 1173. A Canter- è un giudice. Egli si innamora di Dalila, che però fascino minaccioso. La donna di Bath trasferisce la
bury presto venne stabilito il suo culto e la città viene pagata dai nemici per scoprire l’origine del- problematica amorosa all’interno del matrimonio,
divenne meta di numerosi pellegrinaggi (descritti, la sua forza. Innamorato, Sansone stesso le rivela ponendo senza peli sulla lingua la questione del
appunto, da Chaucer nei Racconti). il segreto del proprio potere, cioè i capelli. Dalila rapporto tra i sessi. Rovesciando anche in questo
2 Valerio e Teofrasto: il libro del giovane uomo allora glieli taglia di nascosto e Sansone viene fat- caso un luogo comune, sostiene una tesi estrema e
comprendeva testi della letteratura antifemmini- to prigioniero. scandalosa: la sovranità femminile è condizione
le del Medioevo, che avevano per argomento l’in- 4 Socrate: filosofo greco (469 a.C-399 a.C.). Fu essenziale per una perfetta concordia fra i coniugi.
465
PARTE PRIMA Il Medioevo
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
LA VITA
Giovanni Boccaccio nasce nel 1313 a Certaldo o a Firenze, figlio illegittimo del nasce a Certaldo o
ricco mercante Boccaccino di Chelino. Nel 1328 si trasferisce a Napoli con il 1313 Firenze
padre, con il proposito di fare «pratica di mercatura», ma si scopre piuttosto
a Napoli alla corte
interessato alla letteratura. Frequenta perciò la corte degli Angiò e compone 1328 degli Angiò
le sue opere giovanili. Nell’inverno del 1340-1341 rientra a Firenze, dove con-
tinua l’attività letteraria, scrivendo fra l’altro il romanzo-confessione Elegia di 1340-1341 rientra a Firenze
Madonna Fiammetta. Nel 1348 la città è colpita dalla peste, così come è de-
scritto nell’Introduzione del Decameron, il capolavoro iniziato nel 1349. Nel
1350 conosce Francesco Petrarca, con cui instaura una fitta corrispondenza. 1360 ritiro a Certaldo
Ricopre vari incarichi politici; finché il sospetto di un coinvolgimento in un col-
po di stato lo costringe a lasciare Firenze per ritirarsi a Certaldo (1360). Una 1375 muore a Certaldo
profonda crisi religiosa lo induce ad allontanarsi dalla vita mondana e deter-
mina una nuova poetica, come testimonia il Corbaccio (1363). Negli ultimi
anni è riammesso all’attività politica. Muore il 21 dicembre 1375 a Certaldo.
IL DECAMERON: LA STRUTTURA DELL’OPERA
Boccaccio scrive il Decameron tra il 1349 e il 1351, ovvero subito dopo la Decameron (1349-1351)
peste che colpì Firenze. Il titolo viene dal greco e significa ‘dieci giornate’.
In ogni giornata vengono raccontate dieci novelle, per un totale di cento no-
velle (oppure centouno, se consideriamo la novella delle papere). Dopo il cento novelle raccontate
Proemio, in cui l’autore dedica l’opera alle donne, comincia la Prima gior- in dieci giorni da dieci novellatori
nata. Ogni giornata, così come ogni novella, è introdotta da una “rubrica”. e inserite in una cornice
Nell’Introduzione alla Prima giornata, dove è ancora l’autore a prendere di-
rettamente la parola, è presentata la vicenda della “cornice”: nell’atmosfe-
ra di degrado materiale e morale che caratterizza Firenze colpita dalla pe- cornice: una brigata di dieci giovani
ste, una brigata di dieci giovani (sette donne e tre uomini) decide di recar- decide di recarsi fuori Firenze
si fuori città per due settimane, in un palazzo del contado, e di passare il per sfuggire alla peste e di passare
tempo passeggiando, scherzando e raccontando novelle. La brigata deci- il tempo raccontando novelle
de di eleggere ogni giorno un re o una regina con il compito di decidere l’or-
ganizzazione della giornata e l’argomento delle novelle.
I TEMI
I temi dominanti nel Decameron sono: 1. la fortuna, che Boccaccio intende temi dominanti
in senso laico, come potere condizionante per l’uomo: essa determina lo sta-
to sociale dell’individuo (facendolo nascere ricco o povero) e insinua nella determina lo stato
sua esistenza il rischio continuo dell’imprevisto. Il potere della fortuna è av- la fortuna sociale dell’individuo e
produce imprevisti
vertibile in numerose novelle boccacciane e costituisce l’argomento specifi-
co della Seconda giornata. Esemplare in tal senso è la novella di Andreuccio condiziona l’uomo
da Perugia (II, 5), in cui il protagonista è alle prese con «tre gravi accidenti» la natura attraverso gli istinti
“mandati” dalla fortuna; 2. la natura, che condiziona l’uomo soprattutto at- e le pulsioni
traverso le sue spinte pulsionali, corporali e materiali. Numerose novelle mo- «l’industria»
strano «le forze della natura», alle quali è inutile e sbagliato opporsi: il tragi- l’ingegno del singolo che cerca
co epilogo degli amori infelici al centro della Quarta giornata dipende proprio di contrastare
dal vano tentativo di combattere il potere dell’eros; 3. l’ingegno, ovvero l’atti- la fortuna e la natura
vità intelligente, l’«industria» del singolo, che opera per contrastare i condi- stile di vita sereno
zionamenti della fortuna e della natura e può essere indirizzato sia a fini buo- l’onestà
e decoroso
ni sia a fini cattivi (per esempio per prendersi gioco di qualcuno come avvie-
ne nelle novelle di motto e di beffa); 4. l’onestà, perseguita dalla brigata du-
rante il soggiorno in campagna, attraverso uno stile di vita sereno e armonio-
so, in contrapposizione al degrado morale e sociale provocato dalla peste. La
vita ritratta nella cornice esprime la fiducia boccacciana nella possibilità di
affermare un ordine umano alla realtà dominata dal caos.
466
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
VERIFICHE
1 Il significato del titolo Decameron
Per il titolo del suo capolavoro Boccaccio sceglie un termine di origine greca. Decameron deriva dal greco e significa:
a. dieci novellatori
b. dieci giorni
c. cento novelle
d. dieci argomenti
3 Un pubblico privilegiato
Nel Proemio, l’autore si rivolge direttamente al pubblico per cui l’opera è pensata. Di che tipo di pubblico si tratta?
Quali finalità persegue Boccaccio?
4 Novellare in campagna
La brigata si trasferisce dalla città in campagna. Perché viene presa questa decisione? E quale funzione viene attri-
buita all’attività del novellare?
467
PARTE PRIMA Il Medioevo
VERIFICHE
6 L’ideologia di Boccaccio
La novella di Federigo degli Alberighi ( T9, p. 440) ben esprime l’ideologia di Boccaccio. Ricostruiscila comple-
tando il seguente paragrafo: scegli fra le espressioni che trovi in fondo.
aristocrazia; Federigo degli Alberighi; della giovinezza a Napoli; cortese; fedeltà; gentilezza; passato; decadenza; della
società europea; spendere; dell’infanzia e della maturità fiorentine; investire; del nuovo individualismo borghese.
1.
2.
3.
468
CAPITOLO 6 Giovanni Boccaccio AUTORE
Quali novelle ci aiutano a capire che per Boccaccio… [inserisci tra le quadre il/i numero/i corrispondente/i]:
a. [....................] la nobiltà d’animo non dipende dalla nobiltà di sangue
b. [....................] l’amore non è un peccato, ma un piacere da perseguire
c. [....................] la fortuna condiziona la vita dell’uomo, provocando continui rovesciamenti
d. [....................] lo spirito d’avventura e l’ingegno sono sempre valorizzati
e. [....................] agisce in malafede chi prova a opporsi alla forza dell’eros e degli istinti
f. [....................] è ridicolo il fatto che la Chiesa, anche se in buona fede, pretenda di non sbagliare mai
g. [....................] la fede e la religione non devono essere presi come valori assoluti, ma relativi
h. [....................] l’amore unisce anche categorie sociali distanti
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C
RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO
SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
Il Decameron di Boccaccio è solo una delle tante testimonianze del ruolo che la narrazione
assume nei processi di costruzione di una civiltà. In ogni luogo e tempo gli uomini hanno
fatto uso della narrazione, sia in forma orale che scritta, sia nelle comuni pratiche quotidia-
ne che nell’attività politica e nelle relazione con gli altri popoli.
Il racconto dà forma e logica alla nostra esperienza di conoscenza del mondo, alle emozio-
ni e ai sentimenti che questa conoscenza ci provoca. Per questo ha sempre accompagnato
i processi di crescita e di educazione: il bambino che cresce trova nelle vicende narrate
modelli di comportamento, credenze, valori, ideali, e gli strumenti per discernere ai quali
aderire e dai quali rifuggire.
Anche tu, fin dall’infanzia, hai ascoltato e poi letto racconti che probabilmente hanno inciso
sulla tua formazione. Rievocando le tue esperienze, considera se e quanto hanno avuto
importanza e per quali aspetti della tua personalità. Quali racconti e quali personaggi in
particolare? Perché?
Elabora un testo espositivo/argomentativo di circa due colonne. Presenta la trattazione con
un titolo complessivo che ne esprima sinteticamente il contenuto e organizza il tuo testo
in paragrafi, anch’essi titolati.
469
PARTE SECONDA
Umanesimo e
Rinascimento
QUADRO STORICO-CULTURALE
CAPITOLO 1 GENERE La poesia tra Quattrocento
e Cinquecento
Giorgio Vasari,
Lorenzo il Magnifico
riceve l’omaggio
degli ambasciatori
(particolare),
1556-1558. Firenze,
Palazzo Vecchio.
472
L’Italia nella prima metà
del Quattrocento
La cartina mostra i confini
degli Stati che occupavano il
territorio italiano alla metà
del quindicesimo secolo. Si
notano in particolare lo Stato
della Chiesa, nell’Italia cen-
trale, e i possedimenti arago-
nesi, che iniziavano dall’at-
tuale Abruzzo per estendersi
sino a tutto il Sud e alle Isole.
Il Centro-nord è invece molto
frammentato: vi sono i due
grandi ducati di Savoia e di
Milano, le repubbliche mag-
giori di Venezia, Genova, Fi-
renze e Siena e molte altre
più piccole di cui oggi resta
traccia nelle più importanti
città d’arte italiane.
DIGIT APPROFONDIMENTI
Il Quattrocento comico di Benigni
e Troisi
C.M. Cipolla, I traffici transoceanici e
la situazione economica in Europa
Le Signorie e il Diversa è la situazione nella penisola italiana. Gli Stati regionali italiani sono ora dominati da un’a-
particolarismo ristocrazia formata dalla parte più ricca dell’antica nobiltà feudale e della vecchia e nuova borghesia
italiano
cittadina: è il sistema delle Signorie. Questa aristocrazia
forma un’ oligarchia che gestisce il potere oppure lo asse- Oligarchia L’“oligarchia” (dal greco olígos,
‘poco’) è una forma di governo in cui il po-
gna a un signore, che lo tramanda ai figli. Lo Stato diventa tere è nelle mani di poche persone.
in questi casi una proprietà personale e familiare.
In Italia l’equilibrio politico è determinato dai contrasti e dalle alleanze tra i cinque Stati
più importanti (Milano, Venezia, Firenze, Stato della Chiesa e Regno di Napoli): nessuno
di questi è abbastanza forte da imporsi sugli altri, né tanto debole da doversi sottomettere.
Questo “particolarismo” impedisce al nostro Paese di arrivare a uno Stato nazionale unico,
come in Francia, Inghilterra e Spagna. La pace di Lodi (1454) fra gli Stati italiani conferma
questo equilibrio, garantendo una relativa pace per circa un quarantennio.
473
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Il mecenatismo Durante il Quattrocento, i mercanti italiani si specializzano sempre di più nei traffici dei ge-
neri di lusso: la seta, ma anche le spezie e soprattutto il pepe (fondamentali per conservare i
cibi e renderli più appetibili). Ma invece di investire i propri profitti in altri campi produttivi, i
mercanti preferiscono acquistare terre e adottare i modi di vita dell’aristocrazia, costruendo
splendidi palazzi e finanziando artisti. Questa attitudine al mecenatismo costituisce la base
economica della fioritura della grande arte rinascimentale.
DIGIT
VIDEOLEZIONE DI ROMANO LUPERINI VIDEOLEZIONE
Flipped classroom
Fai una ricerca in rete e scegli tre immagini di opere d’arte rinascimentali che illustrino in modo esemplare i tratti signifi-
cativi dell’epoca messi in evidenza nella lezione di Luperini. Correda ciascuna immagine con una didascalia, in cui spieghi
quali caratteristiche della cultura rinascimentale individui nell’opera che hai scelto. Mostra le immagini alla classe presen-
tandole ai compagni come chiavi d’accesso per mettere a fuoco alcuni aspetti importanti della cultura del periodo.
474
QUADRO STORICO-CULTURALE
Alla lunga, però, l’assenza di investimenti nei settori produttivi, che caratterizza invece le
borghesie degli altri paesi d’Europa, finisce per favorire il ristagno economico e la decadenza
dell’Italia. Grazie infatti all’intraprendenza dei ceti borghesi e allo sviluppo dei traffici mercan-
tili intercontinentali successivi alle scoperte, gli altri Paesi europei escono dalla crisi avviando-
si verso un’economia di tipo capitalistico.
La scoperta Nel 1492 avviene qualcosa che inciderà notevolmente sull’Europa: Cristoforo Colombo sbar-
dell’America e il ca in America. Questo avvenimento porterà alla nascita di un impero coloniale spagnolo al di
nuovo mercato
mondiale là dell’Oceano. Si verificano intanto altri fenomeni che collaborano a un profondo cambiamen-
to storico: la circumnavigazione dell’Africa, che permette un nuovo sviluppo dei traffici anche
verso est, lo sviluppo di un impero commerciale da parte dei portoghesi e la trasformazione di
Anversa, sul Mare del Nord, in grande centro commerciale e finanziario creano per la prima vol-
ta un mercato mondiale, che richiede una sempre maggiore disponibilità di capitali.
Il ruolo dell’Italia La presenza degli italiani in questo nuovo mercato mondiale incontra però alcune difficoltà,
nell’economia determinate essenzialmente da tre elementi:
internazionale
1. la pressione dei turchi a est e sul Mediterraneo;
2. la concorrenza dei portoghesi, che importano le spezie dall’Oriente circumnavigando l’A-
frica e saltando l’intermediazione commerciale degli arabi, da cui dipendeva invece il com-
mercio veneziano;
3. la lontananza dall’Atlantico, che sfavorisce gli italiani rispetto a spagnoli, portoghesi,
olandesi e inglesi nel rapporto con il nuovo mondo americano.
475
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
3 La Riforma protestante
La vendita delle Lo Stato della Chiesa è una delle più importanti corti regionali. Qui come negli altri Stati ita-
indulgenze liani si spende molto in lusso, mecenatismo e opere d’arte. Roma acquista, fra XV e XVI se-
colo, quei tratti di splendida capitale artistica e culturale che la caratterizzano. L’enorme quan-
tità di denaro necessaria a finanziare tutto ciò proviene in buona parte dalla vendita di indul-
genze: dietro pagamento, il clero prometteva ai fedeli di abbreviare o, addirittura, annullare il
periodo che l’anima di un defunto avrebbe dovuto trascorrere in Purgatorio per l’espiazione dei
propri peccati.
La vendita delle indulgenze provoca scandalo presso molti credenti. Fu questa una delle ra-
gioni all’origine della Riforma promossa in Germania, a partire dal 1517, dal monaco agosti-
niano Martin Lutero. Reagendo alla diffusa corruzione della Chiesa di Roma, la predicazione
di Lutero mette radicalmente in discussione molti e importanti elementi della dottrina cri-
stiana, quale si era venuta configurando a partire dai primi secoli del Medioevo. Il movimento
luterano viene favorito dai principi tedeschi, che vedono la possibilità di accaparrarsi i beni ec-
clesiastici.
La Riforma di Lutero La Riforma di Lutero mira essenzialmente ad abolire la mediazione della Chiesa – cioè dei
e gli altri movimenti sacerdoti – nel rapporto tra Dio e i fedeli e a sancire il principio di libera interpretazione
protestanti
dei testi sacri, favorendo la lettura diretta della Bibbia. La salvezza dell’individuo non si fonda
sulle opere (elemosine, buone azioni) né tantomeno sui sacramenti (confessione, comunione)
che solo un sacerdote può amministrare, ma sulla fede individuale e sulla grazia che Dio elar-
gisce ad alcuni e non ad altri.
Sulle orme di quello luterano, vari movimenti protestanti si diffondono anche in altre par-
ti d’Europa: il calvinismo in Svizzera e la Chiesa anglicana in Inghilterra (1534). Il cristiane-
simo occidentale si divide così, da questo momento in poi, fra cattolici e riformati.
La Controriforma Alla Riforma protestante la Chiesa reagisce con un movimento detto Controriforma, inaugu-
rato nel 1545 dal Concilio di Trento. La cultura della Controriforma segnerà profondamente
gli anni dalla seconda metà del XVI secolo.
Lucas Cranach il
Vecchio, I contrasti
tra cattolici e
protestanti, 1545
circa. Berlino,
Gemäldegalerie.
476
QUADRO STORICO-CULTURALE
Lo scontro tra Carlo V d’Asburgo, infatti, nel 1519 raccoglie nelle proprie mani sia la corona di Spagna sia quel-
Francia e Spagna la di imperatore dei domini degli Asburgo (1519), minacciando lo Stato francese. L’Italia divie-
ne così il terreno di scontro tra le grandi potenze straniere. Le spedizioni dei francesi in Ita-
lia mirano a impedire che gli imperiali occupino la Penisola e aprano contro di loro un nuovo
fronte ostile a sud-est. Gli spagnoli sono comunque destinati a prevalere: nel 1503 si insediano
a Napoli; nel 1534 si assicurano anche il controllo del Ducato di Milano. L’egemonia spagnola
in Italia verrà poi sancita dalla pace di Cateau-Cambrésis nel 1559.
Il sacco di Roma Ma la crisi italiana era iniziata già prima: nel 1527 le truppe imperiali marciano su Roma e la
e la fine del saccheggiano barbaramente. Il “sacco di Roma” ha un valore simbolico ed è un vero e proprio
Rinascimento
trauma che conclude un’epoca, quella splendida del Rinascimento, e apre il periodo della de-
cadenza italiana. Nel 1530 Carlo V riceve dal papa la corona imperiale.
Nell’arte e nella letteratura inizia a manifestarsi il Manierismo, caratterizzato da un’esaspe-
razione del classicismo e da un gusto dell’eccesso. Il quindicennio che va dal 1530 al 1545 (an-
no dell’apertura del Concilio di Trento) è contraddistinto dalla coscienza della fine di un perio-
do splendido.
477
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
La cultura dell’Umanesimo
CONCETTI-CHIAVE
La cultura dell’Umanesimo valorizza al tempo stesso l’uomo e il mondo naturale: ponendo l’uomo
al centro dell’universo, la nuova cultura comincia a mettere in crisi l’autorità della Chiesa, senza tut-
tavia negarla. Gli studi degli umanisti si concentrano sui classici, considerati un modello da imitare.
Tuttavia propongono un nuovo atteggiamento scientifico, sia nelle materie letterarie, con la nascita
della filologia, sia nelle discipline artistiche, con la proposta della prospettiva. Gli intellettuali trovano
accoglienza nelle corti, ponendosi al servizio dei signori, ma anche in luoghi indipendenti dal potere
politico, come cenacoli, accademie e stamperie.
Antonello da
Messina,
San Girolamo nel
suo studio, 1475
circa. Londra,
National Gallery.
478
QUADRO STORICO-CULTURALE
Donato Bramante,
Eraclito e Democrito,
1486-1487. Milano,
Pinacoteca di Brera.
Il concetto di humanitas esalta una proprietà tipica degli uomini: il desiderio di conoscen-
za, che li distingue fra tutti gli esseri animati. Proprio la curiosità intellettuale (e non l’obbe-
dienza al principio di autorità) è il valore che nella concezione umanistica deve ispirare la vita
del saggio ( Documento 1, p. 481). Oltre a questo concetto, altri elementi di novità introdot-
ti dalla cultura dell’Umanesimo nella civiltà rinascimentale sono l’individualismo, la valoriz-
zazione dell’elemento naturale e la rivalutazione del corpo umano, studiato e misurato ac-
curatamente per ricercare la perfetta armonia.
La riscoperta del La riscoperta del mondo classico è la premessa culturale più importante del Rinascimen-
mondo classico to ( Documento 1). È per questo che gli umanisti privilegiano innanzitutto gli studia huma-
nitatis, cioè discipline umanistiche come la filologia (lo studio della lingua e della letteratu-
ra), la filosofia, la giurisprudenza: conoscendo meglio l’uomo si può conoscere meglio anche il
mondo naturale. Nei confronti del passato, la cultura umanistica ha la percezione precisa di
una rottura, mentre la cultura medievale (che del mondo classico aveva una conoscenza mol-
to approssimativa) non percepiva affatto una simile distanza. Durante l’età umanistico-rina-
scimentale si teorizzano, infatti, una rottura profonda con il Medioevo e un collegamento di-
retto con l’età classica, concepita come una sorta di età dell’oro da far rivivere e da imitare.
L’intellettuale quattrocentesco non si sente affatto schiacciato dal confronto con le epoche
classiche, ma è spinto a imitarle o addirittura a rivaleggiare con esse. Comincia un acceso di-
battito sull’imitazione e sul rapporto tra antichi e moderni: vanno imitati gli antichi o di-
rettamente la natura che essi avevano imitato?
Un nuovo rapporto Il rapporto con la natura (intesa in senso generale, anche come mondo delle passioni e degli
con la natura istinti) cambia profondamente: non più considerata un’entità passiva o come “espressione
del diavolo” (come nel Medioevo), la natura inizia a essere vista come vita in movimen-
479
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
LA CULTURA UMANISTICA
Cultura umanistica
to, una realtà positiva da imitare, strettamente collegata all’esistenza umana. Si cerca
di conciliare il piacere che essa offre con i valori religiosi. Nasce così una nuova morale: il pia-
cere non è più un pericolo da demonizzare ma un fine da perseguire in armonia con gli altri
valori ( Documento 2, p. 482).
La centralità Nella concezione umanistico-rinascimentale l’uomo è considerato quasi come un dio terre-
dell’uomo no: è creatore e signore del suo mondo. Tale concezione non è di per sé contraria alla religio-
ne; anzi, in genere viene conciliata con la fede. L’uomo, infatti, deve il proprio potere a Dio, che
lo ha fatto a sua immagine e somiglianza e che lo ha reso libero e creatore. Nell’orazione De ho-
minis dignitate [Sulla dignità dell’uomo] di Pico della Mirandola ( Documento 3, p. 483), sor-
ta di “manifesto” dell’Umanesimo, questa concezione è espressa molto chiaramente: si esalta
l’uomo, unico essere in grado di eguagliare la potenza
conoscitiva di Dio e di dominare la natura e le cose. Ermetismo L’“ermetismo” è una dottrina
mistico filosofica diffusa in Grecia tra il II e
III secolo d.C., che parte dalla fede nel pote-
La fortuna Nel Quattrocento gli intellettuali umanisti considerano re esercitato dalla magia sulla natura e dagli
di Platone il pensiero di Platone (V sec. a.C.) un punto di riferi- astri sulle vicende umane. Deriva il suo no-
mento: il filosofo greco sosteneva che il miglior modo me dagli scritti di Ermete Trismegisto, auto-
re leggendario che veniva identificato sia
di arrivare alla conoscenza della natura e dell’uomo fos- con il dio greco Hermes, il messaggero degli
se quello dialogico, cioè quello basato sul dialogo e sul dèi, sia con Thoth, dio egiziano della scien-
confronto tra più punti di vista diversi. Nel Quattrocen- za, dell’astrologia e delle dottrine occulte.
In ambito letterario novecentesco, l’Erme-
to, il centro del platonismo italiano è Firenze, dove
tismo è invece un movimento di poeti che
viene fondata l’Accademia platonica (1462). negli Trenta e Quaranta propone un tipo di
poesia oscura e allusiva. Qui è ovvio l’uso se-
Nella seconda metà del secolo s’impone invece un Pla- condo la prima accezione.
Il neoplatonismo
e Ficino tone filtrato attraverso l’ ermetismo , lo gnosticismo Gnosticismo La “gnosi” (dal greco gnôsis,
‘conoscenza’) è una dottrina religiosa fiorita
e l’insegnamento di Plotino (205-270 d.C.), molto di- tra il II e il III secolo d.C. nel Mediterraneo
verso da quello dialogico ripreso dagli umanisti della orientale. Divenne poi un movimento ereti-
prima metà del Quattrocento e caricato di elementi mi- cale all’interno del cristianesimo perché
concepiva il mondo in termini dualistici
stici e irrazionalistici. In quegli anni Cosimo de’ Medici
(bene vs male, spirito vs materia, anima vs
incarica Marsilio Ficino (1433-1499) di tradurre il co- corpo) e mistici: solo pochi eletti potevano
dice contenente tutte le opere di Platone: vengono get- essere iniziati alla “verità assoluta”. Lo “gno-
tate così le basi di una nuova fortuna europea del filoso- sticismo” è l’insieme delle teorie filosofiche
e religiose ispirate alla gnosi.
fo greco.
480
QUADRO STORICO-CULTURALE
DOCUMENTO 1
Poggio Bracciolini
Alla ricerca dei classici rinchiusi in un «tristissimo ed oscuro carcere»
Poggio Bracciolini (1380-1459) è uno dei più importanti rappresentanti dell’Umanesimo italiano
del primo Quattrocento. È stato segretario apostolico presso la curia papale e poi cancelliere del
Comune fiorentino. Partecipa al Concilio di Costanza (1414-1418) e approfitta del viaggio per per-
lustrare le abbazie e le biblioteche dove è custodito il patrimonio librario della zona. In una delle
numerose Lettere narra agli amici italiani il ritrovamento dei codici dei grandi classici che ormai si
pensavano perduti. Alla base del testo c’è l’idea di morte e di rinascita della cultura classica: l’attivi-
tà di ricerca dell’umanista permette di dare nuova libertà a quei testi rinchiusi in un «tristissimo ed
oscuro carcere». L’entusiasmo per la scoperta è grandissimo, soprattutto perché avviene per un
«caso fortunato», insistendo su un altro tema importante per la cultura dell’epoca, cioè quello laico
della fortuna.
Un caso fortunato […] volle che, mentre ero ozioso a Costanza,1 mi venisse il desiderio di
andar a visitare il luogo dove egli era tenuto recluso. V’è infatti, vicino a quella città, il mona-
stero di S. Gallo,2 a circa venti miglia. Perciò mi recai là per distrarmi, ed insieme per vedere i
libri di cui si diceva vi fosse un gran numero. Ivi, in mezzo a una gran massa di codici che
5 sarebbe lungo enumerare, ho trovato Quintiliano ancor salvo ed incolume,3 ancorché tutto
pieno di muffa e di polvere. Quei libri infatti non stavano nella biblioteca, come richiedeva la
loro dignità, ma quasi in un tristissimo ed oscuro carcere, nel fondo di una torre, in cui non si
caccerebbero neppure dei condannati a morte. Ed io son certo che chi per amore dei padri
andasse esplorando con cura gli ergastoli in cui questi grandi son chiusi, troverebbe che una
10 sorte uguale è capitata a molti dei quali ormai si dispera.
Trovai inoltre i tre primi libri e metà del quarto delle Argonautiche di Caio Valerio Flacco,4
ed i commenti a otto orazioni di Cicerone, di Quinto Asconio Pediano,5 uomo eloquentissi-
mo, opera ricordata dallo stesso Quintiliano. Questi libri ho copiato io stesso, ed anche in fret-
ta, per mandarli a Leonardo Bruni e a Niccolò Niccoli,6 che avendo saputo da me la scoperta di
15 questo tesoro, insistentemente mi sollecitarono per lettera a mandar loro al più presto Quin-
tiliano. Accogli, dolcissimo Guarino, ciò che può darti un uomo a te tanto devoto. Vorrei po-
terti mandare anche il libro, ma dovevo contentare il nostro Leonardo. Comunque sai dov’è,
e se desideri averlo, e credo che lo vorrai molto presto, facilmente potrai ottenerlo. Addio e
voglimi bene, ché l’affetto è ricambiato.
20 Costanza, 15 dicembre 1416.
Prosatori latini del Quattrocento, trad. it. di E. Garin, Ricciardi, Milano-Napoli 1952.
1 Costanza: città del Baden, sul lago omo- all’Istitutio oratoria, un trattato di retorica 6 Leonardo Bruni...Niccolò Niccoli: Leo-
nimo, dove si svolse il Concilio a cui Pog- dello scrittore latino. nardo Bruni (1374-1444) è un intellet-
gio Bracciolini partecipava. 4 Caio Valerio Flacco: scrittore latino del I tuale fiorentino, autore delle Storie del po-
2 S. Gallo: monastero fondato nel VII se- secolo d.C., autore del poema epico-mito- polo fiorentino e dei Dialoghi a Pier Paolo
colo da san Gallo, un monaco irlandese. Fu logico Argonautica, interrotto all’ottavo Vergerio. Niccolò Niccoli è un umanista
un centro culturale di spicco e sede di libro. fiorentino (1365-1437) che promuove la
un’importante biblioteca, in cui vennero 5 Quinto Asconio Pediano: grammatico diffusione della cultura umanistica insie-
trascritti moltissimi testi antichi. latino del I secolo d.C. La sua opera princi- me a Coluccio Salutati, svolgendo un’in-
3 ho trovato...incolume: ho trovato Quinti- pale è il commento alle orazioni ciceronia- tensa attività di ricerca di codici antichi e
liano ancora salvo e illeso. Qui si riferisce ne rinvenuto da Poggio Bracciolini. di copista.
481
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
DOCUMENTO 2
Sandro Botticelli DIGIT
IMMAGINE ATTIVA
Nascita di Venere [1483-1488 ca. Firenze, Galleria degli Uffizi]
Questo dipinto è stato realizzato da Sandro Botticelli probabilmente per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Me-
dici, cugino del Magnifico. L’opera è legata al clima della Firenze medicea e rappresenta perfettamente la
nuova cultura umanistico-rinascimentale per questi motivi:
1. la centralità dell’uomo nell’universo: il fulcro del dipinto è una protagonista femminile, la dea pagana
Venere, simbolo dell’amore e della bellezza, verso la quale convergono tutti gli altri elementi del qua-
dro, cioè Zefiro e Cloni, abbracciati alla destra della dea, e la ninfa Ora, che alla sua sinistra le porge un
mantello ricamato di fiori per proteggerne la nudità;
2. la rivalutazione della natura: la fisicità del corpo di Venere e l’attenzione per lo sfondo paesaggi-
stico testimoniano il nuovo interesse dell’intellettuale umanista per la vita terrena. La natura non è
più sede del peccato e del male, ma diventa il luogo in cui l’uomo può godere dei piaceri transitori
dell’esistenza;
3. la bellezza classica come ideale: la dimensione fisica di Venere si risolve in una dimensione ideale
di grazia e di perfezione assoluta. La scelta di esaltare una dea pagana risponde alla riscoperta dei
classici in atto in tutta la cultura umanistica. Nel quadro ogni elemento è disposto inoltre secondo
un principio di simmetria formale, in base alla regole di proporzione e di armonia tipiche dell’arte
classica.
482
QUADRO STORICO-CULTURALE
DOCUMENTO 3
Giovanni Pico della Mirandola
La dignità dell’uomo [De hominis dignitate]
L’orazione De hominis dignitate è una sorta di manifesto dell’Umanesimo, in cui si esalta la posizione
dell’uomo all’interno del disegno divino: l’essere umano è in una condizione privilegiata intermedia tra la
divinità e le cose materiali. Pico della Mirandola parte dai testi sacri (la Genesi) e dalla filosofia antica (in
particolare da Platone) per esaltare l’uomo nell’universo. L’uomo, a cui Dio ha dato la piena libertà di sce-
gliere, cioè il libero arbitrio, può modellare la propria vita così come un artista crea la propria opera. Secon-
do questa visione antropocentrica, l’uomo è l’unico essere in grado di eguagliare la potenza conoscitiva
di Dio e di dominare la natura e le cose. Il suo destino dipende solo da lui stesso.
[…] Perciò, compiuto ormai il tutto,1 come attestano Mosè e Timeo,2 [Dio] pensò da ultimo
a produrre l’uomo. Ma degli archetipi3 non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova crea-
tura,4 né dei tesori uno ce n’era da largire in retaggio5 al nuovo figlio, né dei posti di tutto il
mondo rimaneva in cui sedesse codesto contemplatore dell’universo. […] Ma non sarebbe
5 stato degno della paterna potestà6 venir meno, quasi impotente, nell’ultima fattura;7 […]
Stabilì finalmente l’ottimo artefice che a colui cui nulla poteva dare di proprio fosse comu-
ne tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri. Perciò accolse l’uomo come opera
di natura indefinita e postolo8 nel cuore del mondo così gli parlò: «Non ti ho dato, o Adamo,
né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa9 tua, perché quel
10 posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo
consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me
prescritte. Tu te la determinerai da nessuna barriera costretto, secondo il tuo libero arbi-
trio,10 alla cui potestà ti consegnai. […] Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i
bruti;11 tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine».
15 […]
G. Pico della Mirandola, De hominis dignitate, in De hominis dignitate, Heptaplus, de ente et uno,
a cura di E. Garin, Vallecchi, Firenze 1942.
1 il tutto: l’universo. 8 postolo: avendolo messo. propria vita. Il libero arbitrio, se da un la-
2 Mosè e Timeo: Mosè è ritenuto l’autore 9 prerogativa: diritto, potere. to implica una particolare libertà d’azione,
dei primi cinque libri del Vecchio Testa- 10 secondo il tuo libero arbitrio: secondo la dall’altro espone l’uomo al rischio e all’er-
mento, tra i quali anche la Genesi, in cui tua libertà di scelta. È il passaggio decisivo rore.
viene descritta la creazione dell’universo di tutta l’orazione: Pico rivendica all’uomo 11 bruti: esseri viventi guidati dall’istin-
e dell’uomo. Il Timeo è un dialogo in cui la possibilità di scegliere come condurre la to, non dalla ragione.
Platone affronta problematiche relative
all’origine e alla formazione dell’uomo e LA LINGUA NEL TEMPO
dell’universo.
3 archetipi: sono i modelli originari e Voto Il termine «voto» (r. 10) deriva dal latino vovere, cioè ‘augurare, desiderare’.
ideali del mondo sensibile. Nell’antichità il “voto” era un’offerta fatta alla divinità per ottenerne il favore: l’espressio-
4 foggiare la nuova creatura: dare forma ne latina ex voto indica il dono che si offriva in seguito alla richiesta di una grazia. Nell’ita-
alla nuova creatura. liano di oggi la parola “voto” ha i seguenti significati: ‘impegno o promessa di compiere
5 largire in retaggio: concedere in eredità. una determinata azione, di fare o non fare qualcosa’ (“ho fatto voto di mantenere un se-
6 paterna potestà: potere del padre, cioè greto”); ‘preghiera, promessa fatta a Dio’ (“un voto alla Madonna”); ‘manifestazione del-
Dio. la volontà dei componenti di un gruppo nelle elezioni’ (“il popolo italiano esprime la pro-
7 nell’ultima fattura: nel momento di crea- pria volontà con il voto”); nell’uso scolastico, ‘valutazione di merito, relativa a una singo-
re l’uomo. la prova o a una serie di prove’ (“ho preso un ottimo voto al tema”).
483
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
6 Il razionalismo e il mutamento
dei concetti di spazio e di tempo
Un nuovo Nel corso del Quattrocento, si afferma ovunque un atteggiamento razionalistico, basato sulla
atteggiamento ragione critica e non sul principio di autorità. Ciò avviene non solo in attività di tipo pratico
razionalistico
come l’amministrazione del denaro e il commercio, ma anche nella cultura letteraria, filosofica e
artistica. Anche lo studio dei classici è condotto con criteri razionali e assume la forma di una
nuova disciplina: la filologia , che si pone come obietti-
vo il recupero e il “restauro” dei testi antichi tramandati Filologia La “filologia” (dal greco filologia,
‘amore della parola’) è una disciplina che mi-
per via manoscritta. Anche la proposta della prospettiva ra alla ricostruzione e alla corretta interpre-
segue i principi del razionalismo. Il suo impiego da parte tazione dei documenti linguistico-letterari
dei pittori del Rinascimento esprime la capacità dell’uo- delle varie epoche, cercando di riportarli alla
loro forma originale e di individuarne i carat-
mo di dominare il mondo naturale, rappresentandolo in
teri specifici.
pittura secondo princìpi geometrici rigorosi.
Una cultura L’atteggiamento scientifico della cultura umanistica influenza campi molto diversi fra lo-
ispirata da criteri ro: dalle scienze naturali allo studio del corpo umano, fino al grande sviluppo della magia e
scientifici
dell’alchimia. La riscoperta dell’ermetismo greco, che teorizzava pratiche magiche e l’influen-
za degli astri sul mondo naturale e umano, contribuisce ad alimentare un interesse per la re-
altà fisica, in cui esigenze scientifiche e tendenze mistiche e irrazionali sono stretta-
mente connesse. La magia, l’alchimia, l’astrologia si diffondono rapidamente negli strati più
alti della società, e riflettono bene questa ambiguità tra razionalità e irrazionalità. Si esprime
anche così una nuova esigenza, tutta moderna, di conoscere le leggi che regolano il mondo fi-
sico e di manipolarlo secondo i bisogni dell’uomo.
Giorgione,
Tre filosofi,
1506-1508
circa. Vienna,
Kunsthistorisches
Museum.
484
QUADRO STORICO-CULTURALE
DIGIT
IMMAGINE ATTIVA
Uno spazio a Lo spazio teocentrico , già messo in crisi dalla cultura laica comunale, diventa uno spazio mi-
misura d’uomo surato razionalmente dallo sguardo umano. La natura non è più soggetta all’interpretazio-
ne simbolica tipica del Medioevo. Vista con occhi nuovi, essa può suggerire a scrittori e pittori
la visione di mondi irreali costruiti secondo criteri di or-
dine e di armonia, o, all’opposto, luoghi immaginari do- Teocentrico L’aggettivo “teocentrico” si
ve dominano gli istinti naturali e la ricerca del piacere: riferisce a “teocentrismo”, una dottrina filo-
sofica che identifica in Dio il centro e il fine
nascono così, rispettivamente, il tema della città ideale
di ogni cosa, compresa ogni attività umana.
e il mito trasgressivo del paese di Cuccagna.
La prospettiva Il mondo medievale era in un certo senso un mondo a due dimensioni. Nella pittura di quell’e-
e il nuovo sguardo poca, ad esempio, si poteva cogliere un movimento ascensionale e più in generale una separa-
sul mondo terreno
zione tra basso e alto avente un chiaro carattere simbolico-religioso: il basso (cioè il mondo ter-
reno) rappresentava il lato profano e il male; l’alto, quello sacro e il bene. La prospettiva ren-
de possibile l’apertura della terza dimensione, dando l’illusione della profondità delle cose
rappresentate. In questo modo, essa offre la chiave per una raffigurazione realistica del
mondo fisico e rafforza l’importanza dell’elemento terreno rispetto a quello divino. Se nel Me-
dioevo lo spazio era costruito in base a una gerarchia che aveva Dio al suo vertice, nel Rinasci-
mento il vertice è invece l’uomo, che può contare sullo strumento di misura della razionalità
matematica e geometrica.
485
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Una nuova idea Anche l’idea del tempo, nel Quattrocento, cambia significativamente: per la prima volta si ha
di tempo: la percezione precisa del passato come età diversa e lontana dal presente. Nasce così la co-
la nascita della
coscienza storica scienza storica. L’umanista è consapevole della netta separazione che distingue il proprio se-
colo da quelli precedenti, in cui individua due epoche ben diverse: l’età classica e il Medioevo.
L’Umanesimo si definisce contrapponendosi alla visione teocentrica medievale e richiamando-
si all’età classica, secondo uno schema che vede una successione tra perfezione del passato clas-
sico, barbarie medievale e rinascita umanistica.
Il tempo della Ma c’è un’altra dimensione del tempo, non meno interessante, che attira la riflessione degli
vita umana umanisti. È la percezione del tempo quotidiano, del breve giro della vita terrena, il quale ap-
partiene ormai interamente all’uomo. La vita va vissuta appieno: è un bene che si può sprecare
e perdere o risparmiare e capitalizzare. L’idea del tempo come impiego produttivo già circo-
lava in ambiente mercantile, ma è l’Umanesimo a far nascere il concetto di “economia del tem-
po”, cioè di un suo uso cosciente e organizzato per evitarne lo spreco ( Documento 1, p. 481).
L’Umanesimo e i La laicizzazione del tempo e dello spazio non si contrappone tuttavia ai principi cristiani, che
principi cristiani restano ben radicati soprattutto nella mentalità popolare, sulla quale la Chiesa esercitava
ancora un forte controllo. Questa duplice sensibilità convive nel Quattrocento e trova con-
temporanea espressione, a Firenze, nelle personalità di Lorenzo il Magnifico e di Savonarola.
Mentre Lorenzo invita a cogliere l’attimo fuggente, senza pensare al futuro ( Capitolo 1, T3,
p. 514), Savonarola mette al rogo le “vanità” dei suoi contemporanei ed esorta i peccatori alla
penitenza: entrambi gli atteggiamenti sono la risposta, il primo sul piano mondano (e intellet-
tuale) e il secondo su quello religioso (e popolare), al senso di precarietà della vita e all’idea di
un tempo distruttore, che gli sconvolgimenti politici di fine secolo rendono drammatico.
486
QUADRO STORICO-CULTURALE
7 Artisti e intellettuali
L’artista diventa Anche in campo artistico l’osservazione diretta (imitazione) della natura si accompagna allo
un intellettuale studio dei trattati classici: pittori e scultori hanno dunque un interesse per il mondo classico
non inferiore a quello dei letterati. Di fatto l’artista rinascimentale non è più un artigiano
(come nel Medioevo) ma diventa anche lui un intellettuale umanista. Viene così superato il
senso di inferiorità che nel Medioevo contrassegnava le arti meccaniche (architettura, scultu-
ra e pittura), caratterizzate dal lavoro manuale. Durante l’età umanistico-rinascimentale l’ar-
tista diventa anzi l’emblema dell’uomo nuovo, dell’uomo-creatore, padrone del creato in
quanto capace di riprodurne visivamente l’armonia.
Legisti, cortigiani L’intellettuale del Quattrocento assume diversi ruoli, a seconda dell’ambiente dove opera.
e chierici A Firenze e a Venezia, dove permangono a lungo istituzioni repubblicane, continua a pre-
valere la figura dell’intellettuale-legista. L’intellettuale-legista è un notaio, un uomo politi-
co o un burocrate che proviene dall’alta borghesia cittadina, partecipa all’amministrazione del
potere e promuove in prima persona l’affermazione e la diffusione degli ideali di rinnovamen-
to culturale, di impegno pratico e di vita attiva. Nelle corti agisce invece soprattutto l’intel-
lettuale-cortigiano, costretto spesso a cercar protezione passando da una corte all’altra e sot-
toposto a tutti gli imprevisti dei cambiamenti del potere signorile. In ambito religioso opera
invece l’intellettuale-chierico, che dipende dalla Chiesa.
Il mecenatismo Il mecenatismo cortigiano diventa nel Quattrocento Accademia Il termine “accademia” rin-
delle corti un fattore decisivo nella produzione e nell’organiz- via a Platone, che nel 387 a.C. acquistò un
zazione della cultura. Accanto alle attività culturali giardino alle porte di Atene, presso un bo-
sco consacrato all’eroe antico Academo (e
svolte nelle corti, va registrata però anche quella degli
perciò detto akadémeia) per riunirsi con i
stessi umanisti, riuniti in cenacoli o in accademie , a propri discepoli. A partire dal Quattrocen-
volte indipendenti dal potere signorile. to il termine ritorna in uso con il significa-
to di ‘associazione di artisti, letterati o
I cenacoli sono aggregazioni volontarie di intellet-
scienziati’. Le accademie si fondano su ri-
tuali, nelle quali gruppi di umanisti si riuniscono, al di tuali precisi e a volte su un vero e proprio
fuori delle sedi tradizionali del sapere, per discutere libe- cerimoniale: per esempio, i suoi membri
ramente dei propri studi e dei problemi filosofici ed etici assumono uno pseudonimo preso dal
mondo classico, le riunioni avvengono in
che essi suscitano. I cenacoli nascono, dunque, da un forma periodica e si consolida la pratica
DIGIT
APPROFONDIMENTI
modo nuovo di concepire la conoscenza, cioè non più del banchetto. La struttura delle accade-
Le corti in Italia: dall’apprendimento di verità già date, ma dall’esigenza mie si sviluppa soprattutto nella seconda
i diversi centri metà del Quattrocento e si prolungherà fi-
culturali, città per del confronto tra posizioni diverse, dello scambio di no a tutto il Settecento.
città. esperienze intellettuali, del dialogo aperto e libero.
Piero di Cosimo,
La costruzione di un
edificio, 1490 circa.
Sarasota (Florida),
John and Mable
Ringling Museum
of Art.
487
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Lorenzo Costa,
Allegoria della corte
di Isabella d’Este,
1505-1506. Parigi,
Musée du Louvre.
488
QUADRO STORICO-CULTURALE
Gli intellettuali Oltre a prestare servizio nelle corti o ad esercitare la funzione di chierici, gli intellettuali del
e l’editoria Rinascimento hanno altre due possibilità di carriera: quella universitaria e quella edito-
riale. Pietro Aretino, ad esempio, coglie appieno le possibilità offerte dalla stampa. L’invenzio-
ne di Gutenberg ( Temi di cittadinanza, Dai caratteri mobili di Gutenberg all’e-book, p. 491) si
diffonde rapidamente e nei primi del Cinquecento rivoluziona le modalità di diffusione del-
la cultura garantendone una più ampia accessibilità. Non a caso Pietro Aretino opera a Ve-
nezia, che, con le sue 200 stamperie, era all’inizio del Cinquecento la capitale europea dell’e-
ditoria. Aretino capisce che la stampa poteva diventare una vera e propria industria e che il li-
bro si poteva vendere come un comune prodotto di mercato.
Una nuova funzione Nel periodo compreso tra la discesa di Carlo VIII (1494) e il sacco di Roma (1527) il letterato
del letterato: umanista è obbligato a svolgere compiti più concreti. Uno di questi è sfruttare la propria cul-
elaborare modelli
di comportamento tura e il proprio sapere per elaborare modelli pratici di comportamento, quasi dei “ma-
nuali”: è il caso del principe delineato da Niccolò Machiavelli, nell’omonima opera del 1513, e
del cortigiano descritto da Castiglione nel Libro del Cortegiano (1528). Il principe è, per Machia-
velli, il capo di stato che conquista e mantiene il potere grazie alla propria virtù, cioè grazie al-
le proprie capacità di comprendere la realtà e di agire su di essa. Il principe non rappresenta af-
fatto un modello morale: egli potrà infatti ricorrere anche alla violenza e all’inganno, violando
i principi morali, per il bene dello Stato. Sia pure a malincuore e con un senso tragico della po-
litica, Machiavelli guarda con realismo alla natura umana, in cui riconosce anche una parte ir-
razionale e quasi bestiale.
Il “cortigiano” di L’aspetto animale dell’uomo, tenuto ben presente da Machiavelli, non è invece considerato da
Castiglione: modello Castiglione: il suo cortigiano possiede anzitutto la “grazia”, qualità fondamentale per assume-
di comportamento e
autorappresentazio- re il ruolo di guida nei confronti del proprio signore. Tuttavia la figura di intellettuale-cortigia-
ne dell’intellettuale no di Castiglione entra in crisi dopo il sacco di Roma. Il letterato deve ora trasformarsi in “mi-
nistro”: deve diventare cioè un funzionario con precise competenze tecniche o professio-
nali e deve rispondere del proprio operato non più direttamente a un principe ma agli orga-
ni di governo e di amministrazione dello Stato. L’intellettuale diventa, così, sempre meno libe-
ro e sempre più controllato dall’alto.
Due figure Oltre al cortigiano di Castiglione e al principe di Machiavelli, altre due figure entrano nella
dell’immaginario: letteratura e nell’immaginario del Cinquecento: il cavaliere, declassato nella realtà ma ce-
il cavaliere
e il selvaggio lebrato dalla letteratura, e il selvaggio che abita il Nuovo Mondo.
Nelle guerre rinascimentali, il ruolo della cavalleria risulta decisamente ridimensionato dal-
la diffusione delle armi da fuoco, utilizzate dai fanti. Il cavaliere continua però a rappresenta-
re il guerriero ideale, legato all’antica civiltà cavalleresca ormai estinta. Il mito dell’eroe a
cavallo continua quindi ad agire nell’immaginario di migliaia di nobili, intellettuali, cortigiani,
proprio mentre viene smentito dalla nuova realtà sociale e militare.
Nell’immaginario compare anche una figura mai vista prima: quella del selvaggio abitan-
te del Nuovo Mondo di cui i resoconti dei viaggiatori cominciano presto a diffondere la cono-
scenza. Il selvaggio appare all’uomo europeo, incapace di cogliere le differenze di cultura,
come un animale incapace di pensiero razionale e di darsi principi civili. Questa rappresen-
tazione dell’altro serve a legittimare la conquista e le brutalità dei vincitori ( Documento 4,
p. 490): anche la letteratura italiana sottolinea spesso il carattere diabolico e subumano degli
indios, presentando i conquistadores come i portatori della civiltà e della vera fede.
Il disprezzo La demonizzazione del “diverso”, avviata in Europa a partire dai primi decenni del Cinque-
per il “diverso” cento per giustificare il processo di colonizzazione, è destinata a durare a lungo nei secoli
futuri, anche in situazioni storiche del tutto diverse. Periodicamente, e soprattutto nei perio-
di di crisi, essa ricompare ancora fino ai nostri giorni.
489
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
DOCUMENTO 4
Juan Ginés de Sepúlveda
Gli indios: un popolo di servi
L’Europa del Cinquecento era attraversata da numerose questioni riguardanti gli indios, cioè gli abitanti
delle terre americane scoperte da Colombo. Una fra tante era quella che rifletteva sulla loro appartenenza
al genere umano: se gli indios non erano umani, allora era “naturale” che gli occidentali li conquistassero
anche con la forza delle armi. A favore della schiavitù degli indios si schiera anche il filosofo spagnolo
Juan Ginés de Sepúlveda, che, nel 1550, affronta il frate domenicano Bartolomé de Las Casas, che sul
tema aveva idee opposte.
La tesi centrale del filosofo è espressa nella conclusione di questo brano: il dominio europeo sugli indios
è considerato «giusto». Il filosofo esalta l’opera di civilizzazione europea che va di pari passo con l’affer-
mazione dell’ineguaglianza degli esseri umani e dei popoli: esistono cioè, per l’autore, individui da sotto-
mettere come le donne, i giovani, e tutti coloro che sono «imperfetti», e uomini migliori, «signori», che,
secondo una presunta legge naturale, devono sottomettere gli altri.
Prima della venuta dei cristiani [gli indios] avevano il carattere, i costumi, la religione e i ne-
fandi1 sacrifici che abbiamo descritto; ora, dopo aver ricevuto col nostro dominio le nostre
lettere, le nostre leggi e la nostra morale ed essersi impregnati della religione cristiana, coloro
– e sono molti – che si sono mostrati docili ai maestri e ai sacerdoti che abbiamo loro procura-
5 to, si discostano tanto dalla loro prima condizione quanto i civilizzati dai barbari, i dotati di
vista dai ciechi, i mansueti dagli aggressivi, i pii dagli empi, e, per dirla con una sola espressio-
ne, quasi quanto gli uomini dalle bestie. […]
È per questo che le belve sono domate e sono sottoposte all’autorità dell’uomo. Per questo
motivo l’uomo comanda alla donna, l’adulto al fanciullo, il padre al figlio; cioè i più forti e i
10 perfetti prevalgono sui più deboli e sugli imperfetti. Questa stessa situazione si riscontra tra
gli uomini; perché alcuni sono per natura signori di altri che per natura sono servi. Quelli che
superano gli altri per prudenza e per saggezza, anche se non prevalgono per la forza fisica,
quelli sono, per la stessa natura, i signori; al contrario, i pigri, i tardi di mente, anche se hanno
forze fisiche per compiere tutti i lavori necessari, sono per natura dei servi. Ed è giusto ed
15 utile che essi siano servi, e noi lo vediamo sanzionato dalla stessa legge divina, perché sta
scritto nel libro dei proverbi “Lo stolto servirà il saggio”. Tali sono le nazioni barbare e inuma-
ne, estranee alla vita civile e ai costumi tranquilli. E sarà sempre giusto e conforme al diritto
naturale che queste genti siano sottomesse all’autorità di principi e nazioni più colte ed uma-
ne, di modo che, grazie alla virtù di quest’ultimi ed alla prudenza delle loro leggi, essi abban-
20 donino la barbarie e si conformino a una vita più umana ed al culto delle virtù. E se essi rifiu-
tano questa autorità, si può loro imporla per mezzo delle armi e questa guerra sarà giusta
come lo dimostra il diritto naturale In conclusione: è giusto, normale e conforme alla legge
naturale che gli uomini probi,2 intelligenti, virtuosi ed umani dominino tutti quelli che non
hanno queste virtù.
J. G. de Sepúlveda, in «I viaggi di Erodoto», n. 5, B. Mondadori, Milano 1992.
1 nefandi: mostruosi; l’autore si riferisce ai sacrifici umani praticati come riti religiosi dagli aztechi.
2 probi: onesti.
490
QUADRO STORICO-CULTURALE
TEMI DI CITTADINANZA
La Biblioteca di Tientsin
a Tianjin in Cina.
Aldo Manuzio Il maggior tipografo del Quattrocento fu l’italiano Aldo Manuzio (1449-1515). Tra i primi
e la stampa tipografi a usare i caratteri mobili, Manuzio viene considerato il primo editore in senso
in Italia moderno, anche perché introduce numerose innovazioni che hanno segnato la storia
della tipografia fino ai nostri giorni. Tra queste innovazioni ci sono la definitiva sistema-
zione della punteggiatura (l’uso del punto finale, della virgola, del punto e virgola e dell’a-
postrofo fatto da Manuzio è lo stesso che facciamo noi oggi), l’invenzione del formato
ottavo (maneggevole e di piccole dimensioni, precursore dei libri tascabili odierni) e del
carattere corsivo (in francese e in inglese il corsivo si chiama rispettivamente italique e
italics, proprio a causa della sua origine italiana)
Dal libro Che cosa sta diventando il libro oggi, nell’epoca di Internet? Accanto al tradizionale for-
tradizionale mato cartaceo, si sta diffondendo un nuovo strumento di lettura: l’e-book, cioè il libro
all’e-book digitale, che trasforma profondamente il modo di leggere e di “conservare” i volumi: gli
491
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
e-reader e i tablet in cui si leggono gli e-book sono capaci di contenere centinaia di testi,
TEMI DI CITTADINANZA
risparmiando così molto spazio. Ma la lettura su uno schermo innesca gli stessi proces-
si cognitivi di quella sul supporto cartaceo? In proposito, ecco un estratto da un articolo
in cui si indagano gli «effetti cerebrali della rivoluzioni digitale».
Alice Vigna
La letteratura digitale ci cambierà?
Negli anni Settanta ci domandavamo che cosa ne sarebbe stato delle nostre abilità matemati-
che con l’arrivo delle calcolatrici, ora le implicazioni della tecnologia paiono ben più profonde:
la trasformazione radicale delle abitudini di lettura e scrittura sembra infatti minare abilità ce-
rebrali come l’attenzione o la capacità di comprensione, stando alle ricerche di Anne Mangen,
dell’Università di Stavanger, in Norvegia. «Abbiamo chiesto a un gruppo di volontari di leggere
lo stesso testo su un e-reader o su carta – racconta Mangen. Chi ha letto il libro cartaceo ricordava
meglio la trama e riusciva più facilmente a mettere gli eventi nella giusta sequenza. L’effetto
potrebbe essere correlato con la necessità di “tenere il filo” di ciò che leggiamo: su carta abbiamo
molti indizi fisici ad aiutarci, ad esempio possiamo ricordare che un fatto si è compiuto quando
eravamo quasi all’inizio o a circa metà del volume. Il testo elettronico invece ci fa “perdere” di
più tra le sue righe: non percepiamo quanto manca alla fine o a che punto siamo, il testo appare
sempre uguale». Tutto ciò in qualche modo confonde e forse ci priva di un po’ di coinvolgimento
nei confronti dei fatti narrati, almeno stando a un’altra ricerca della Mangen secondo cui leggere
su carta aumenta l’empatia del lettore nei confronti dei personaggi e della storia. […]
C’è di più: la lettura online ci sta rendendo incapaci di attenzione a lungo termine, e forse
impedirà alle nuove generazioni di godere di romanzi come I fratelli Karamazov: banner,1
video e link distraggono e minano la capacità di concentrazione che serve per una lettura
“profonda”, l’unica che consenta di seguire trame complesse. Il libro di carta (ma anche la
scrittura a mano) sembra per il momento vincente. […]
Tuttavia il nostro cervello e la qualità delle nostre conoscenze stanno cambiando pro-
babilmente non solo a causa dei supporti usati per leggere o scrivere: oggi vogliamo sapere
come e dove possiamo trovare un’informazione, piuttosto che cercare di ricordarla. «La tec-
nologia ha modificato il nostro modo di intendere il sapere, perché consente di accedere ai
dati in ogni momento», sottolinea Naomi Baron, di cui è in pubblicazione negli Usa il volu-
me Words on screen: the fate of reading in a digital world (“Le parole sullo schermo: il destino
1 banner: piccola immagine o
animazione inserita in una pagi- della lettura in un mondo digitale”). Ma che accadrebbe se andasse via la corrente e non
na web a scopi pubblicitari. avessimo Internet, tablet o smartphone funzionanti? Sapremmo qualcosa o no?
A. Vigna, La lettura digitale ci cambierà? Meno attenzione e memoria, 12 febbraio 2015, in www.corriere.it
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Riassumi il contenuto essenziale del testo, mettendone in evidenza gli snodi argomentativi.
2. Quali, secondo le ricerche citate dall’autrice, sono gli aspetti negativi della lettura di opere letterarie in digitale?
3. Nell’articolazione dell’argomentazione, quale funzione ha il connettivo “Tuttavia” con cui si apre l’ultimo ca-
poverso?
4. Con quale timore in merito alla lettura in digitale si chiude l’articolo?
PRODUZIONE
Accostarsi alle opere letterarie è un’abitudine che spesso nasce spontaneamente, si perfeziona durante il
percorso scolastico e per molti diventa una passione e un bisogno che dura tutta la vita. Tu che rapporto hai
con la letteratura? Dai classici ai romanzi moderni, dal fantasy alla narrativa impegnata, cosa ti attira in par-
ticolare? Oltre al supporto cartaceo, hai esperienza di lettura digitale o audiolibri? Quali pensi siano i rispet-
tivi punti di forza e di debolezza e come influiscono sulla fruizione del testo letterario? Articola e argomenta
adeguatamente il tuo punto di vista.
492
QUADRO STORICO-CULTURALE
Lorenzo Lotto,
Ritratto di giovane
gentiluomo nello
studio, 1530 circa.
Venezia, Gallerie
dell’Accademia.
L’imitazione dei La stessa lettura dei classici viene vista in questa prospettiva molto dinamica e aperta. Da un
classici (e il loro lato viene così messo l’accento sul potere creatore dell’artista, e dall’altro sul fatto che i gran-
superamento)
di esempi del passato classico si pongono come modelli. Ne nasce una discussione che du-
rerà almeno due secoli. Già Petrarca aveva indicato una soluzione a questa dualità: l’imitazio-
ne originale. Secondo il poeta, il rapporto con i classici doveva essere quello – di somiglianza
e di distinzione – che ogni figlio ha con il padre. Spesso imitare significa superare o cercare di
migliorare il modello prescelto.
493
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Il genere Nel Quattrocento si assiste alla diffusione di numerosi generi letterari utili per veicolare
epistolare le nuove conoscenze acquisite dagli umanisti. Per esempio, si ha un grande sviluppo dell’e-
pistola umanistica: essa serviva a collegare i vari studiosi e i vari cenacoli e a dar conto dei ri-
sultati delle ricerche filologiche e scientifiche e dei viaggi compiuti a questo scopo. Si tratta di
un genere assai flessibile, che spazia dal tono colloquiale delle lettere agli amici a quello solen-
ne della trattatistica morale e filosofica.
Il genere Altro genere di grande successo è l’orazione, basata sul modello di Cicerone. Secondo la tra-
dell’orazione dizione classica, essa è concepita come un discorso da tenersi in pubblico seguendo rego-
le utili a convincere l’uditorio e sostenendo una tesi precisa. L’orazione più famosa del
Quattrocento, l’Oratio de hominis dignitate [Orazione sulla dignità dell’uomo] ( Documen-
to 3, p. 483), è stata scritta nel 1486 da Giovanni Pico della Mirandola (1463- 1494), uno dei
protagonisti del neoplatonismo fiorentino.
Il genere dialogico Anche il genere del dialogo riflette la consuetudine della discussione e del dibattito cultu-
rale che avveniva nei cenacoli umanisti. Così come l’epistola umanistica, esso esprime un
nuovo modo di concepire la verità: non più come qualcosa di prestabilito da apprendere, ma
come qualcosa da cercare insieme agli altri, in un processo a cui concorrono voci e testi diversi.
I dialoghi venivano scritti prevalentemente in latino, la lingua europea della cultura. Non man-
cano, però, esempi di dialoghi in volgare: fra questi ultimi i più significativi sono quelli del geno-
vese Leon Battista Alberti (1404-1472), una delle personalità più importanti dell’Umanesimo.
La riscoperta A partire dagli anni Trenta del Cinquecento, la Poetica di Aristotele viene assunta come base di
della Poetica ogni discorso sull’arte. Gli ambiti del dibattito promosso da quest’opera sono soprattutto tre:
di Aristotele
1. la specificità della poesia rispetto alla filosofia e alla storia;
2. il problema se la poesia sia puro piacere oppure abbia (anche) fini morali e civili;
3. la questione delle regole da applicare al poema eroico e, soprattutto, alla tragedia, per la
quale si codificano le tre unità aristoteliche: di azione, di luogo e di tempo.
Secondo la poetica aristotelica, l’azione doveva nella tragedia essere unica, nel senso che
non doveva essere disturbata da episodi secondari; e unici dovevano essere il luogo e il tempo
(un giorno) in cui si svolgeva la storia.
I generi antichi Anche il sistema dei generi rinascimentali tende a imitare gli esempi antichi: rinascono quindi
e il dibattito la tragedia e la commedia, mentre il poema eroico risponde alle indicazioni della Poetica ari-
sul poema eroico
stotelica. Molti intellettuali non comprendono la novità di un poema cavalleresco come l’Or-
lando furioso di Ariosto, il massimo capolavoro della poesia rinascimentale italiana: il Furioso
viene infatti ancora visto come dipendente dal modello dei cantari e dei poemi quattrocente-
schi, cioè come un prodotto della “vecchia” cultura medievale.
Il genere Il trattato assume in questo periodo un’importanza decisiva, assai maggiore che nel secolo
del trattato precedente, nelle due forme del dialogo (Bembo, Castiglione) o della trattazione (Il Principe di
494
QUADRO STORICO-CULTURALE
Machiavelli). Nelle Prose della volgar lingua (1525) Pietro Bembo fissa i due modelli di stile
per la prosa e per la poesia: rispettivamente Boccaccio e Petrarca. La moderna saggistica si
afferma soprattutto con Machiavelli e con Guicciardini. Le loro opere nascono dall’analisi con-
creta della situazione storica contemporanea.
Il Principe Nel Principe, Machiavelli guarda alla «verità effettuale», ovvero alle cose così come sono
di Machiavelli veramente, e non come dovrebbero essere nelle intenzioni degli uomini. Egli non si vuole tut-
tavia limitare a descrivere la realtà: questa va conosciuta per poterla cambiare. La conoscen-
za delle leggi generali e l’esempio degli antichi permetteranno di agire con successo.
I Ricordi di Di contro, Guicciardini rifiuta i princìpi generali e universali, considerando invece i vari
Guicciardini «particulari» in cui si articola la realtà. Nei suoi Ricordi possiamo cogliere un sentimento
diffuso del tempo: viene meno la volontà di azione e l’intellettuale si ritira nella sfera del
privato. Se Il Principe di Machiavelli vuole cambiare il mondo e si chiude con una vibrante esor-
tazione ai principi italiani, i Ricordi di Guicciardini nascono dalla constatazione che il mondo è
così com’è e la pace si ottiene solo nel ritiro e nella riflessione.
L’anticlassicismo Alla tendenza dominante del classicismo e dell’imitazione di Petrarca si oppongono poetiche
realistiche o comiche, caratterizzate dall’immediatezza del parlato o addirittura del dialet-
to e dal rovesciamento parodico del sublime. Anche se esse hanno un ruolo minoritario, espri-
mono una controtendenza assai vivace e ricca di risultati estetici significativi. Accenniamo qui a
tre opere: il Baldus di Folengo, parodia del poema in un divertentissimo latino “maccheronico”;
i Ragionamenti di Pietro Aretino, che rovesciano lo schema del dialogo morale; i Dialoghi rusti-
ci di Ruzante, che mettono al centro della scena un contadino che parla in dialetto padovano.
epistola
rinascita tragedia
poema eroico
e commedia
dialogo
nascita della
saggistica moderna
orazione
Machiavelli
e Guicciardini
trattato
495
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
ZIONI
INFORMA
I padri della filosofia rinascimentale
La Scuola di Atene è un affresco di Raf- cornice di cielo racchiusa dall’arco sul- gareggiava con l’efficacia della parola
faello situato su una delle pareti della lo sfondo. scritta».
Stanza della Segnatura, una delle quat- Platone regge il Timeo e solleva il dito Nella raffigurazione dei due filosofi è
tro Stanze Vaticane all’interno, appun- verso l’alto a indicare la sfera celeste; stato visto, fin dai secoli scorsi, anche
to, dei Musei Vaticani a Roma. Aristotele regge l’Etica e distende il un parallelismo con i due apostoli Pie-
Vi sono rappresentati i due principali fi- braccio destro col palmo aperto verso tro e Paolo.
losofi del mondo classico, Platone e terra, a sottolineare il suo metodo ba- Platone e Aristotele rappresentano i
Aristotele: le due figure si trovano al sato sullo studio della natura e sul con- due principali poli di aggregazione del-
centro della composizione, vicino al creto. L’essenza delle loro dottrine è le altre figure, raffigurando in qualche
punto di fuga, in quanto simboli dello quindi racchiusa in questi gesti, una modo la complementarità tra la filoso-
sviluppo del pensiero occidentale. delle caratteristiche più strabilianti fia platonica e quella aristotelica. Que-
L’occhio dello spettatore è inevitabil- dell’arte di Raffaello: a questo si riferi- sta impostazione gerarchica riflette le
mente direzionato su queste figure, va probabilmente Vasari quando scri- convinzioni del neoplatonismo dell’e-
per l’effetto delle linee del pavimento e veva che il pittore «fu alla composizio- poca, spiegando la posizione relativa-
per via dell’isolamento offerto dalla ne delle storie così facile e pronto che mente marginale di Socrate.
DIGIT
IMMAGINE ATTIVA
Raffaello, La scuola di Atene, 1509-1510. Roma, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura.
496
QUADRO STORICO-CULTURALE
Donatello, David,
scultura in bronzo
del 1440 circa.
Filippo Brunelleschi, Modello ligneo della Cupola del Duomo, 1420- Firenze, Museo del
1440 circa. Firenze, Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore. Borgello.
497
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
una finestra su uno spazio unificato e organizzato in base a precise regole matematiche e ge-
ometriche. Nella Flagellazione di Piero della Francesca (cfr. p. 486), lo spazio, scandito da una
grandiosa architettura classica, è il vero protagonista. In primo piano si accampano tre figure
profane, sullo sfondo è rappresentata la scena sacra. I due gruppi sono perfettamente bilanciati
nella simmetria della dislocazione spaziale.
L’Umanesimo nell’arte: la celebrazione della gloria terrena L’affermazione della corte come
centro del potere signorile e della cultura umanistica porta alcune conseguenze sull’arte del
Quattrocento. Per la prima volta dall’antichità si afferma un’arte profana, cioè non legata a con-
tenuti religiosi, destinata a un uso privato. L’immaginario degli artisti del Quattrocento si appro-
pria dei temi dell’Umanesimo, tra cui uno dei più diffusi è la celebrazione della gloria terrena.
Particolare importanza assumono il ritratto e il monumento equestre, che celebrano i principi e
i condottieri attraverso l’esaltazione della loro potenza, energia e vitalità. Inoltre, la vita di corte
diventa il soggetto di diversi cicli di affreschi che abbelliscono i palazzi signorili.
Anche in architettura si diffondono importanti novità: le costruzioni civili si affiancano per impor-
tanza a quelle religiose. Il palazzo privato, simbolo del potere dei mercanti e dei signori, diventa
un monumento, costruito secondo i principi classici tipici delle chiese.
Alla corte medicea A Firenze la Signoria di Lorenzo de’ Medici sviluppa una vita culturale ricchis-
sima e all’avanguardia: egli fu l’esempio più alto di principe umanistico, tanto da meritarsi l’appella-
tivo di “Magnifico”. Presso di lui si incontrano intellettuali, poeti e pittori che celebrano il rinnovato
amore per i classici e propongono nuovi valori, più terreni e individuali, lontani dalla rigida religiosità
del Medioevo. Il poeta di corte, Angelo Poliziano (1454-1494), e il pittore dei Medici, Sandro Botticelli
(1445-1510), presentano nelle loro opere temi molto simili ( Documento 2, p. 482).
Andrea Mantegna, La camera degli sposi, particolare dell’oculo del soffitto, 1474.
Mantova, Castello San Giorgio.
498
QUADRO STORICO-CULTURALE
499
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Lo shock del sacco di Roma e l’evoluzione dell’arte di Michelangelo Con la morte di Raffaello
(1520) il classicismo artistico entra in crisi. Il successivo shock provocato dal sacco di Roma
(1527) ad opera dei mercenari tedeschi dimostra che l’equilibrio e la stabilità degli antichi non
sono più possibili. Nasce così la corrente artistica detta Manierismo, che dissolve la regolarità e
l’armonia del classicismo e privilegia forme più turbate e anche più bizzarre. Questo cambiamen-
to è avvertibile nell’evoluzione artistica di Michelangelo, che nelle ultime opere mostra i segni del
trapasso dal Rinascimento all’epoca della Controriforma.
Michelangelo è lontano dalla calma e dalla fluidità raffaellesche. Nelle sue opere entra spesso un ele-
mento di inquietudine: lo studio anatomico e l’energica bellezza dei corpi esaltano il protagonismo ri-
nascimentale dell’uomo, ma all’interno di una visione della vita che non esclude il dramma e il dolore.
Le figure della Cappella Sistina presentano un carattere possente e dinamico, energia eroica e carica
drammatica, che si esprimono nelle audaci torsioni dei corpi. Nella Creazione di Adamo, Dio crea l’uomo
veramente a sua immagine e somiglianza. Il gesto dell’Eterno che trasmette ad Adamo la forza vitale
stabilisce un’ideale continuità tra perfezione divina e umana, esaltata dalla bellezza del corpo. L’orga-
nizzazione spaziale trasgredisce le regole compositive rinascimentali, dal principio prospettico a quello
delle corrispondenze simmetriche. È l’espressione del genio dell’artista, ma anche il presagio della crisi.
Il sacco di Roma, con la sua inaudita e cieca violenza, segna la fine del sogno umanistico di una supe-
riore civiltà dello spirito capace di dar forma alla storia. Michelangelo è uno degli artisti più sensibili a
percepire e a esprimere la fine dell’ideale di armonia rinascimentale e a mostrare i segni del trapasso
dal Rinascimento all’epoca della Controriforma. Nel Giudizio – osserva Hauser – il nuovo spirito domi-
na assoluto. Qui Cristo, al centro della parete, è circondato da una massa di corpi contorti e disperati.
I corpi, nella fisicità greve e scomposta, contraddicono l’ideale di decoro e di bellezza dei nudi rina-
scimentali. L’artista non rispetta i princìpi di armonia e di ordine propri della visione rinascimentale.
500
QUADRO STORICO-CULTURALE
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
IL CONCETTO DI UMANESIMO E RINASCIMENTO
La parola “Umanesimo” indica la cultura degli “umanisti”, cioè degli stu-
diosi delle “discipline umane” (grammatica, storia, poesia e filosofia), Umanesimo
che riscoprono i classici greci e latini e affermano l’importanza dei va-
lori terreni che questi autori avevano esaltato. La parola “Rinascimen- cultura degli umanisti
to” indica la rinascita artistica e culturale della civiltà dopo i secoli bui
del Medioevo.
discipline riscoperta importanza
umane dei classici dei valori
terreni
Rinascimento
LA STORIA E LA SOCIETÀ
L’età dell’Umanesimo e del Rinascimento va dalla fine del Trecento fi- Umanesimo e Rinascimento
no alla metà del Cinquecento, quando il Concilio di Trento apre l’età della
Controriforma. Questo periodo può essere diviso in due fasi. La prima va 1380
dal 1380 al 1492 e coincide con lo splendore artistico e culturale dell’I-
talia, in cui trionfa la politica di pace e di stabilità tra gli Stati inaugura- prima fase:
splendore artistico e
ta da Lorenzo de’ Medici, signore di Firenze. La seconda fase si apre nel culturale dell’Italia
1492, anno della morte di Lorenzo e della scoperta dell’America da par-
te di Cristoforo Colombo, e si conclude nel 1545, in un momento di gran- 1492
di trasformazioni economiche e sociali, dovute alla nascita di un impero
coloniale spagnolo oltreoceano e alla fine della pace tra gli Stati italiani. seconda fase:
Anche la Chiesa affronta un periodo di grandi cambiamenti: nel 1517 il scoperte geografiche,
monaco tedesco Martin Lutero, stanco della corruzione derivante dalla grandi trasformazioni
pratica della vendita delle indulgenze ai fedeli, promuove la Riforma pro- economiche e sociali,
fine della pace tra gli
testante, che riduce drasticamente l’importanza della Chiesa come gui- Stati italiani, Riforma
da per i fedeli. 1545 protestante
LA CULTURA DELL’UMANESIMO
L’Umanesimo esalta la centralità dell’uomo nell’universo, liberando così cultura dell’Umanesimo
la cultura dall’autorità millenaria della Chiesa. Gli intellettuali si concen-
trano sui classici, considerati un modello da imitare, e propongono un
atteggiamento razionalista, fondato cioè sull’uso della ragione, sia in uomo = centro dell’universo
ambito letterario, con la nascita della filologia, sia in quello artistico, con
la scoperta della prospettiva. Gli intellettuali si riuniscono nelle corti, a
servizio dei signori, ma anche in luoghi indipendenti dal potere politico,
classici come atteggiamento
come cenacoli e accademie. modelli da imitare razionalista
filologia prospettiva
501
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
LA LETTERATURA
Nel primo Umanesimo si diffonde la poesia, concepita come momento in generi della letteratura
cui il poeta educa se stesso. Le nuove conoscenze acquisite dagli uma-
nisti attraverso il confronto con i classici favoriscono la diffusione di nuo-
vi generi, come l’epistola umanistica, l’orazione (si ricordi l’Orazione sul- nel primo in epoca
la dignità dell’uomo di Pico della Mirandola) e il dialogo. In epoca rinasci- Umanesimo rinascimentale
mentale, ha grande fortuna il genere del trattato, sia nella forma del dia-
logo (le Prose della volgar lingua di Bembo e il Cortegiano di Castiglio- nuovi genere
ne), sia in quella della trattazione (Il Principe) di Machiavelli. Si svilup- generi poesia del trattato
pa anche un filone parodico nei confronti del poema cavalleresco (il Bal- poema
dus di Folengo) e del dialogo tradizionale (i Ragionamenti dell’Aretino). cavalleresco
• epistola
umanistica
• orazione
• dialogo dialogo trattazione
502
QUADRO STORICO-CULTURALE
VERIFICHE
1 L’età umanistico-rinascimentale
L’età umanistico-rinascimentale va da a e si divide in due fasi.
Quale importante data fa da spartiacque? .
2 Umanesimo e Rinascimento
Stabilisci quali tra le seguenti affermazioni sui concetti di Umanesimo e Rinascimento sono vere e quali false.
a. sono del tutto sovrapponibili V F
b. sono uno il contrario dell’altro V F
c. indicano due diverse fasi dello stesso fenomeno di rinato interesse per i classici V F
d. indicano rispettivamente gli aspetti ideologico-culturali e quelli artistici dello stesso periodo V F
3 Umanesimo
L’Umanesimo sostiene:
a. la subordinazione dell’individuo alla collettività
b. la valorizzazione dell’individuo
c. una visione naturalistica della vita
d. una visione teologica della storia
e. una riscoperta della lezione degli antichi
f. il rifiuto del passato
4 Rinascimento
Nel 1550 Giorgio Vasari conia il termine “rinascita” per definire:
a. il rinnovamento dello spirito religioso
b. un nuovo interesse per la cultura scientifica
c. il rinnovato culto della civiltà classica
d. il distacco dall’insegnamento dei classici
1527:
1545:
7 L’intellettuale-ministro
Il sacco di Roma segnò una svolta nella condizione e nel ruolo dell’intellettuale. Che cosa si intende quando si dice
che l’intellettuale, all’interno della corte, tende a trasformarsi in “ministro”?
503
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
VERIFICHE
9 Che cos’è il classicismo?
“Classicismo” è parola-chiave per descrivere la tendenza dell’arte e della letteratura durante il Rinascimento maturo.
Chiarisci il significato di questo termine.
504
Dosso Dossi, Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù, 1523-1525 circa. Cracovia, Castello del Wawel.
GENERE
CAPITOLO 1
La poesia tra Quattrocento
e Cinquecento PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
François Villon, un François Villon nasce nel 1431 a Parigi, dove studia alla Facoltà delle Arti. Partecipa alla vita
“poeta maledetto” spensierata degli studenti e poi frequenta bande di ladri, partecipa in risse – in una delle quali uc-
cide un prete – ed è coinvolto in rapine e furti clamorosi. Per questi reati finisce in prigione ed è
condannato a morte per impiccagione. Assolto dalla condanna nel 1463, deve però abbandonare
Parigi per dieci anni; da questo momento non abbiamo più sue notizie. La figura di Villon diven-
ne ben presto leggendaria. All’inizio venne vista come quella beffarda di un giullare; in seguito gli
illuministi, e poi i romantici e i simbolisti, la rivaluteranno pienamente, apprezzando il suo at-
teggiamento provocatorio e contribuendo a creare l’immagine di “poeta maledetto”.
Il Testament Il capolavoro di Villon è il Testament [Testamento]. Scritto tra il 1461 e Caducità “Caducità” signifi-
il 1462, inizia con un componimento in cui il poeta, appena scarcerato, ca ‘transitorietà, fragilità’. “Ca-
DIGIT duco” è dunque tutto ciò che
TESTI fa il bilancio della propria vita; poi prosegue con una serie di ballate, ha un carattere temporaneo,
François Villon, in cui emergono i motivi ricorrenti dell’ubi sunt? (cioè ‘dove sono?’ cioè è destinato a cadere, tra-
Introduzione
a Testamento nel senso di ‘dove sono andati a finire?’) e della caducità della vita. montare e finire per sempre.
505
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Con l’opera di Villon entra in crisi non solo l’elegante mondo cortese e tardogotico, ma anche la
rigida gerarchia dell’universo medievale. La struttura di Testament, infatti, non segue un’impo-
stazione razionale: la prima parte riflessiva si sovrappone al tono carnevalesco della seconda.
La Ballade Fra le ballate di Villon spicca invece la famosissima Ballade des pendus [La ballata degli impicca-
des pendus ti], nota anche come Epitaffio di Villon, da cui emerge un tragico, profondo senso di pietà e
di uguaglianza degli uomini di fronte alla morte: la grande espressività di questa ballata è
data dal fatto che qui sono i morti a rivolgersi ai vivi e a fare appello alla loro carità cristiana
( T1, p. 508).
Il realismo Le opere di Villon sono ancora influenzate da motivi caratteristici della cultura medievale:
“creaturale” la danza della Morte, il lamento delle creature terrene di fronte al dolore fisico e alla mor-
di Villon
te, il motivo dell’ubi sunt?, che lamenta la scomparsa delle cose terrene, e il mondo alla rove-
scia tipico dei clerici vagantes (l’esaltazione del basso dei beni materiali, della taverna e della
DIGIT
APPROFONDIMENTI donna). Tuttavia questi motivi vengono trattati in un modo nuovo, con un realismo po-
Villon oggi:
la ripresa di tente, ora malinconico ora provocatorio, che si serve di un linguaggio borghese e popo-
Fabrizio De André lare allo stesso tempo. Villon rappresenta un momento storico in cui i vecchi valori sono crol-
506
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
L’OPERA DI VILLON
danza della Morte
cultura
la crisi motivo dell’ubi sunt?
del passato
François della Francia esaltazione della taverna e della donna
Villon dopo la guerra
dei Cent’anni nuovo fratellanza tra gli uomini materialità
Umanesimo di fronte alla precarietà della vita dell’esistenza
lati e i nuovi non sono ancora nati: di fatto, egli vive nel vuoto che si forma dopo la crisi dei si-
stemi culturali del passato e prima dell’affermazione della cultura umanistica. L’opera di que-
sto poeta rispecchia un mondo in crisi, quello della Francia uscita dalla guerra dei Cent’anni, af-
flitta da epidemie e miseria, percorsa da bande di malfattori, con una ristretta classe borghese
spesso arricchitasi attraverso la guerra e con grandi masse di contadini impoveriti.
Un poeta Accanto a grandi autori molto noti e studiati, la letteratura europea ha ancora molti tesori da
da scoprire: scoprire. Uno di questi è il poeta catalano Ausiàs March (1400-1459), un autore poco cono-
il catalano
Ausiàs March sciuto al grande pubblico perché considerato oscuro già dai suoi contemporanei e, soprattutto,
a causa della marginalizzazione subita dalla lingua e dalla cultura catalane.
Fra il XIV secolo e la prima metà del XV, in realtà, la Catalogna (la regione sud-occidentale
della Penisola iberica, confinante con la Francia meridionale) visse una splendida fioritura cul-
turale. Tuttavia, questo momento fu breve e la fortuna del catalano andò presto incontro a un
rapido declino, che culminò con il predominio della cultura castigliana.
La tradizione Già prima di March, la regione fra Valencia e Barcellona aveva accumulato una tradizione let-
provenzale teraria ricchissima servendosi, per la poesia, della lingua provenzale (simile a quella catala-
in Catalogna
na), e per oltre un secolo prolungò e rinnovò la lezione dei trovatori, spenta già all’inizio del
Duecento. Per primo, March abbandonò il provenzale per scrivere nella propria lingua. La sua
opera poetica è raccolta in un canzoniere di circa diecimila versi, distribuiti in 128 componi-
menti di lunghezza assai variabile.
I temi della poesia I temi della lirica marchiana sono assai circoscritti: l’amore è un impulso interiore non pri-
di March vo di contraddizioni ( T2, p. 510). La poesia di March riprende quindi i temi della lirica tro-
badorica, ma si lascia alle spalle ogni convenzionalità e ogni modello. Le sue scelte stilistiche
sono anticonformiste e innovative, più vicine allo sperimentalismo e al plurilinguismo di
Dante che all’equilibrio monostilistico di Petrarca. Il lessico mescola le forme alte derivate dal-
la lingua poetica provenzale al linguaggio crudo della sensualità e dei mestieri umili.
L’amore “misto” Il tema principale di March è l’amore, trattato ora come forma di nobilitazione spirituale
(come nella tradizione cortese), ora come piacere sensuale, e più spesso come tormento in-
teriore derivante dall’impossibilità di conciliarli. La figura della donna può essere esaltata fino
ad assumere connotati sacri, ma anche aggredita e degradata con cruda violenza. March vor-
rebbe tenere insieme la carnalità più appassionata e l’elevazione spirituale, facendo dell’eros
un momento di integrità umana. Ma l’equilibrio tanto cercato non è mai stabile, e quell’amore
“misto”, che secondo March dovrebbe caratterizzare gli umani (a metà strada fra quello spiri-
tuale degli angeli e quello solo carnale degli animali) si rivela per lo più irrealizzabile.
FACCIAMO IL PUNTO
Perché si può parlare di François Villon come di un poeta maledetto?
Come è trattato il tema dell’amore nella poesia di March?
507
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
T1 François Villon
La ballata degli impiccati (L’epitaffio di Villon)
Scritta nel 1462, subito dopo la condanna a morte per impiccagione, questa ballata è il com-
ponimento più celebre di Villon. Protagonisti della ballata sono gli impiccati stessi e non più
un’allegoria della morte, come succedeva nelle raffigurazioni dell’epoca. Il poeta, in attesa di
subire la stessa sorte di altri suoi compagni di malavita, si identifica con il loro punto di vista,
in una soluzione del tutto originale. Il tema macabro degli impiccati che oscillano al vento
con gli occhi mangiati dagli uccelli si accompagna qui a una nota drammatica di pietà e di
fratellanza umana.
I TEMI tema macabro pietà e fratellanza umana
DIGIT TESTI della prima persona plurale in tutto il compo- 7 Intercedete...Maria: essendo morti, agli
Testo in lingua originale nimento. impiccati non resta altro che chiedere ai vivi
3 La nostra carne...imputridita: Il nostro cor- di intervenire per loro presso Gesù.
Metrica: tre strofe di dieci decasillabi ciascu- po (carne troppo nutrita) è da tempo (Da un 8 La sua grazia...estinta: nella simbologia
na, seguite da una di cinque. Lo schema me- pezzo) fatto a brandelli (divorata) e marcito. religiosa la grazia è acqua; estinta: finita.
trico è ABABBCCDCD nelle prime tre, AA- 4 le ossa: quello che rimane del nostro corpo. 9 fulmini infernali: fiamme infernali.
BAB nella quarta. 5 Ma Dio...assolvere: il ritornello, di significa- 10 nessuno ci sbeffeggi: nessuno ci derida.
to altamente rituale, torna alla fine di ogni 11 assolvere: il poeta è rassegnato alla propria
1 Fratelli umani: la ballata è concepita come strofa. In esso sono presenti i morti (ci) e i vivi, morte, ma prega ancora di essere perdonato.
una preghiera rivolta agli uomini ancora vivi, a cui il poeta si rivolge (pregate): tale fusione 12 E il sole...anneriti: come nei versi 17 e 18,
di cui si invoca la solidarietà. ricorda il destino comune di tutti gli esseri. qui ricompaiono l’acqua (pioggia) e il fuoco
2 noi: il poeta s’identifica con il punto di vi- 6 abbia uccisi: è l’unica determinazione (sole): ora però non sono più forze sopranna-
sta degli impiccati, con cui presto condivi- temporale del testo, tutto immerso in un turali, bensì elementi naturali, concreti, che
derà la sorte. Si noti l’insistente ricorrenza continuo presente. deteriorano i corpi.
508
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
13 ditale: i corpi, dondolanti al vento e or- i suoi interlocutori non subiscano mai le stes- ne all’inferno.
mai privi di occhi, barba e sopracciglia, perdo- se sue pene. 17 qui: cioè nell’aldilà. Il poeta, che era abi-
no la propria identità, riducendosi a semplici 15 Gesù...signoria: la preghiera rivolta dagli tuato a beffarsi di tutto e di tutti, si confronta
oggetti inanimati (ditale). Questo non indi- impiccati agli uomini si fonde coralmente ora con la serietà della morte.
ca mancanza di pietà o di partecipazione, ma con quella rivolta a colui che ha potere su 18 Ma Dio...assolvere: il ritornello raggiunge
il rifiuto di ogni facile sentimentalismo. tutti. in chiusura la sua dimensione corale, collet-
14 Non siate...compagnia: il poeta spera che 16 che...potere: che non ci sia da scontare pe- tiva.
ANALISI Una prospettiva diversa Il tema della morte è molto diffuso nell’immaginario medievale.
Sono infatti numerosi gli affreschi che raffigurano un “trionfo della morte” o una “danza maca-
bra”, nei quali la protagonista è la morte, rappresentata con una falce in mano, mentre colpi-
sce senza pietà uomini e donne, giovani e vecchi, ricchi e poveri. La protagonista di questa bal-
lata non è però un’allegoria della morte, come succede in diverse rappresentazioni contempo-
ranee, ma sono i morti stessi, con i quali Villon si identifica. Il poeta presta la propria voce agli
impiccati e l’originalità del testo sta proprio in questo cambiamento di prospettiva.
INTERPRETAZIONE Il conflitto interiore del poeta In Villon, il rapporto con Dio è diretto, privo di mediazioni. Il
E COMMENTO poeta, nonostante creda in un’autorità superiore, la sfida, pensando unicamente a godersi la
vita. Da questa contraddizione nasce un forte conflitto interiore. Priva di ogni convenzionali-
smo, la sua religiosità, infatti, non porta mai a un annullamento dell’io dinanzi alla divinità né
al terrore dell’inferno, bensì al tema, già umanistico, della eguaglianza fra gli uomini e la
natura davanti alla precarietà della vita.
509
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
COMPRENSIONE ANALISI
1. Riassumere Rileggi La ballata degli impiccati e 2. Lingua e stile Nella Ballata degli impiccati notia-
rispondi alle seguenti domande per ottenere un breve mo l’insistente ricorrenza della prima persona plura-
riassunto schematico del testo. le. Individua i verbi e i pronomi in prima persona plu-
Chi parla? rale ed evidenziali nel testo. Perché Villon fa questa
scelta stilistica?
A chi si rivolge?
Che cosa chiedono gli impiccati?
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
Che cosa è successo?
3. Argomentare Leggi la seguente frase:
Perché?
«Se vi chiamiamo fratelli, non dovete / Risentirvi, benché
ci abbia uccisi / La Giustizia».
Secondo il poeta perché i suoi interlocutori non dovreb-
bero risentirsi? Secondo te, Villon crede che la «Giusti-
zia» sia davvero sempre giusta?
T2 Ausiàs March
Piacere e amore
Questo componimento rappresenta pienamente il modo di March di trattare il tema amoroso: insiste
sulle contraddizioni dell’amore e ne descrive appassionatamente i sintomi. Di fascinosa, moderna inten-
sità è il finale rivolto alla donna, misteriosa portatrice di una segreta diseguaglianza tra amante e amata,
alla quale non è necessario dichiarare l’amore, perché lei lo ha già intuito.
I TEMI complessità e contraddittorietà dell’amore
510
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
Filippo Lippi,
Ritratto di donna
con un uomo al
davanzale
(particolare), 1440
circa. New York,
Metropolitan
Museum of Art.
INTERPRETAZIONE La sapienza femminile Se l’innamorato è come il malato, la donna, quale compare nell’ul-
E COMMENTO tima strofa, è come il medico: non ha bisogno che le si dica nulla, non ha bisogno di sentire la
febbre. L’innamorato, come il malato, non può parlare; ma la donna, come il medico, non ne
ha bisogno. Tutto sembra dunque risolto. E invece resta il mistero della imprendibile sapienza
femminile evocata negli ultimi due versi: la donna sa per certo di essere amata, ma in lei è
nascosta la ragione che rende l’amore «disuguale». Un modo per dire che lei non potrà comun-
que amarlo quanto ne è amata? O un modo per ricordare che l’incontro e l’intesa che l’eros
invoca resteranno comunque sempre parziali e imperfetti?
COMPRENSIONE ANALISI
1. Che cosa teme l’innamorato quando dice di avere 2. Lingua e stile Analizza la seconda strofa: qual è
«paura del peggio» (v. 4)? la figura retorica dominante? Fai un esempio e prova
a spiegarla.
511
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
La morte di Lorenzo Nel 1492, quando Lorenzo morì, si aprì a Firenze un periodo di conflitti politici e cultura-
e la predicazione li, mentre l’Italia diventava terra di conquista per le potenze straniere. Dopo la morte di Loren-
di Savonarola
zo, la scena politica e culturale fiorentina fu dominata dal frate domenicano Girolamo Savona-
rola (1452-1498). Nel suo ideale rinnovamento della Chiesa e della società, egli condannò se-
veramente la ricerca del piacere e le raffinatezze umanistiche che avevano caratterizzato la Fi-
renze medicea. Nel 1494 Savonarola istituì un governo repubblicano che resistette fino al 1512.
Contrastato sia dalle grandi famiglie fiorentine sia da papa Alessandro VI Borgia, fu scomuni-
cato nel 1497 e mandato al rogo come eretico nel 1498.
DIGIT La Firenze di fine Quattrocento fu celebre per le sue feste carnevalesche, per i riti celebran-
TESTI
Girolamo ti la natura, per lo splendore artistico e per la vita sfarzosa delle classi più ricche. Ma non solo.
Savonarola, Negli ultimi decenni del secolo la città toscana vide anche l’accesa predicazione di Savonarola,
Il tempo della
penitenza i roghi delle “vanità” in cui si bruciavano in piazza libri e disegni giudicati “pagani”, i movimen-
ti che mettevano sotto accusa la corruzione delle famiglie più ricche e della stessa Chiesa e
chiedevano un profondo rinnovamento della vita religiosa.
512
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
Lorenzo de’ Medici: Come scrittore, Lorenzo de’ Medici si dedicò a diversi generi. La sua formazione fu all’inizio
la produzione influenzata dal poeta Luigi Pulci. A questo primo periodo, in cui si avverte soprattutto la pre-
letteraria
senza del registro comico e burlesco (caro a Pulci), segue una seconda fase (1476-1484), in cui
la produzione di Lorenzo è per lo più lirica e di carattere serio. L’ultimo periodo della sua pro-
duzione comprende i componimenti scritti fra la seconda metà degli anni Ottanta e la morte,
nel 1492, ed è caratterizzato dall’influsso classicheggiante e umanistico di Poliziano e dalla pre-
senza di una tematica religiosa. La personalità di Lorenzo appare così scissa fra due tenden-
ze opposte: da un lato l’esaltazione “pagana” della natura e dei sensi; dall’altro la ricerca
devota, in cui si avverte un senso di precarietà personale (è il presentimento della malattia che
lo condurrà alla morte) e politica (la percezione dell’instabilità dell’equilibrio italiano). Il com-
DIGIT
TESTI ponimento più importante di questa ultima fase e della produzione letteraria di Lorenzo è la
Lorenzo de’ Medici, Canzona di Bacco ( T3, p. 514), scritta per il carnevale del 1490. Si tratta di un trionfo, cioè
La bellezza di
Nencia e il lamento di un testo fatto per essere cantato da un corteo (o trionfo, appunto) di maschere ispirate a sog-
di Vallera
getti mitologici: il suo tema centrale è quello della giovinezza e della precarietà del futu-
ro, che deve invogliare a vivere intensamente e con gioia il presente.
Angelo Poliziano: Angelo Ambrogini – detto Poliziano dal nome latino di Montepulciano (Mons Politianus), sua
un grande città natale – è stato, insieme a Marsilio Ficino (1433-1499), il più grande umanista di Firenze
umanista nella
Firenze di Lorenzo nell’età di Lorenzo de’ Medici. La sua poesia è quella che meglio rappresenta la sensibilità e il
gusto umanistico-rinascimentale del Quattrocento. Nato a Firenze nel 1454, Poliziano entrò
DIGIT nel 1473 nella cancelleria di Lorenzo e due anni dopo ne divenne precettore del figlio Pie-
TESTI
Angelo Poliziano, ro. Negli anni 1475-1478, per esaltare la vittoria a una giostra (cioè a un torneo di armi) di Giu-
«Ben venga liano de’ Medici, compose le Stanze per la giostra ( T4, p. 520), lasciandole però incompiute
maggio»
in seguito alla morte improvvisa di Giuliano nella congiura dei Pazzi (1478). Le Stanze sono un
poemetto che unisce l’argomento epico-mitologico a quello celebrativo dei due fratelli
Giuliano e Lorenzo e della casata dei Medici. Dopo aver intrapreso la carriera ecclesiastica,
nel 1479 interruppe il suo rapporto con i Medici (forse per un litigio con la moglie di Lorenzo)
e si trasferì a Mantova, dove, per i Gonzaga, scrisse e mise in scena il primo dramma non
religioso del teatro italiano: la Fabula di Orfeo (1480). Richiamato a Firenze nello stesso an-
no, diventò insegnante di greco e latino nell’università cittadina. Fino alla morte, avvenuta nel
1494, il poeta si occupò di studi classici e filologici, raccolti nei Miscellanea (1489).
Stile e temi della La produzione in volgare di Poliziano è caratterizzata da versi leggeri, spesso raffinatissimi
poesia di Poliziano nella loro semplicità. Il linguaggio, limpido e scorrevole, risente sia della tradizione stilnovi-
sta sia di quella popolare ed è perciò, come quello della gran parte della lirica del Quattrocento,
lontano dal monolinguismo di Petrarca.
Anche Poliziano, come molti altri poeti di quest’epoca, canta la caducità delle cose terrene, del-
la bellezza e dello stesso sentimento amoroso. Se la vita è breve, occorre godere dei suoi aspetti
positivi fino in fondo, coltivando soprattutto il valore della bellezza, tanto nella contemplazione
della natura quanto nell’amore per la donna. È ricorrente il tema della rosa come emblema della
bellezza femminile. Il parallelo fra questo fiore e la donna è un motivo antico della letteratura
medievale: basti ricordare il Roman de la Rose. Ma in Poliziano il raggiungimento della donna-rosa
non presuppone più un’elevazione morale dell’amante: c’è ormai una sensualità naturale che nel
Medioevo non sarebbe stata possibile. In Poliziano, inoltre, questo motivo s’intreccia a quello della
caducità della bellezza femminile, introducendo una nota malinconica e un invito a godere l’a-
more quando si è ancora in tempo, come nella strofa finale della canzone «I’ mi trovai, fanciulle, un
bel mattino», in cui si legge un invito a non sprecare la bellezza e la giovinezza ( T5, p. 525).
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono gli elementi che caratterizzano il mecenatismo di Lorenzo il Magnifico?
Quali sono i temi della poesia di Poliziano?
513
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
PARAFRASI
Quant’è bella giovinezza, 1-4 Quant’è bella [la] giovinezza che fugge continuamente
che si fugge tuttavia! (tuttavia)! Chi vuole essere felice (lieto) sia [adesso]: non c’è
certezza sul futuro (di doman).
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.1
5 Quest’è Bacco ed Arïanna,2 5-10 Questi sono (Quest’è) Bacco e Arianna, belli e innamo-
belli, e l’un dell’altro ardenti: rati (ardenti) l’uno dell’altro: poiché (perché) il tempo fugge e
illude (inganna), stanno sempre insieme contenti. [Anche]
perché ’l tempo fugge e inganna, queste ninfe e [questi] altri personaggi (genti) [: i satiri] stan-
sempre insieme stan contenti. no (sono) sempre (tuttavia) allegri.
Queste ninfe ed altre genti
10 sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Questi lieti satiretti, 13-18 Questi satiretti felici (lieti), innamorati delle ninfe,
delle ninfe innamorati, hanno fatto loro (han lor posto) [: alle ninfe] cento tranelli
(agguati) tra (per) caverne e boschetti; ora eccitati (riscaldati)
15 per caverne e per boschetti dal vino (da Bacco), ballano (ballon), [e] saltano in continua-
han lor posto cento agguati; zione (tuttavia).
or da Bacco riscaldati,
ballon,3 salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
20 di doman non c’è certezza.
Queste ninfe hanno anche caro 21-26 Queste ninfe hanno anche piacere (hanno… caro) [a]
da lor essere ingannate: essere ingannate [: a cadere nei tranelli] da loro [: dai satiri]:
a[ll’]Amore non può opporre resistenza (fare… riparo) se non
non può fare a Amor riparo, gente rozza e insensibile (ingrate): ora [le ninfe] mescolate
se non gente rozze e ingrate:4 [insieme ai satiri] suonano, [e] cantano senza sosta (tuttavia).
25 ora insieme mescolate
suonon, canton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
DIGIT («tuttavia» – «sia»); in questa posizione corteo di Bacco e Arianna è seguito da ninfe
ANALISI ATTIVA • ASCOLTO • ALTA LEGGIBILITÀ l’ultima strofa ha una rima identica («sia» (le Baccanti) e satiri (divinità mitologiche dei
– «sia»). boschi, raffigurate in forma di uomo con coda
Metrica: è una frottola di ottonari adatta e zampe caprine o equine).
per essere accompagnata dalla musica e 1 Quant’è bella...non c’è certezza: questa 3 ballon: forma linguistica dell’antico fio-
dalla danza. Dopo la proposta di quattro quartina esprime il nucleo della filosofia epi- rentino.
versi (vv. 1-4) con rime ZYYZ, seguono curea cui si ispira Lorenzo in questa canzone: 4 Queste ninfe...ingrate: le ninfe apprezza-
strofe di otto versi con lo schema ABAB- l’oraziano carpe diem. no i gesti dei satiri in quanto agli animi sensi-
BYYZ. Gli ultimi due versi di ogni strofa 2 Bacco ed Arïanna: Arianna era stata abban- bili è impossibile non ricambiare un invito
fanno da ritornello, riprendendo gli ultimi donata dal leggendario eroe greco Teseo amoroso: è un riferimento ai canoni dell’a-
due della proposta. In tutte le strofe il ter- nell’isola di Nasso; qui le apparve Bacco che more cortese e stilnovistico.
zultimo verso è in rima con il penultimo se ne innamorò e la portò con sé in cielo. Il
514
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
Questa soma, che vien drieto 29-34 Questo carico (soma), che segue (vien drieto; drieto =
30 sopra l’asino, è Sileno:5 ‘dietro’) [: nel corteo] [trasportato] sopra l’asino, è [il satiro]
Sileno: [benché sia] così vecchio è ubriaco (ebbro) e allegro
così vecchio è ebbro e lieto, (lieto), ormai (già) pieno di carne e di anni [: grasso e vecchio];
già di carne e d’anni pieno; [anche] se non riesce (può) [a] stare eretto (ritto) [sul dorso
se non può star ritto, almeno dell’asino], comunque (tuttavia) almeno ride e [se la] gode.
5 Sileno: è un vecchio satiro grasso e ubriaco al 6 Mida: è il mitico re della Frigia. Come ri- calzante. Il riferimento a fatica e a dolore
punto di non poter camminare e di non riuscire compensa per aver ritrovato Sileno ottenne introduce un sentimento angosciato, tenuto
neanche a stare con la schiena dritta in groppa da Bacco il potere di trasformare in oro tutto sotto controllo e anzi smentito dalla nega-
all’asino che lo trasporta. Fu maestro di Bacco. La quello che toccava. Ciò nonostante, morì di zione. Si potrebbe trattare, anzi, di una nega-
soma è il carico portato sul dorso da asini, muli e fame. L’insaziabile desiderio di ricchezza im- zione di tipo freudiano, in cui contenuti ri-
altri animali da trasporto (le “bestie da soma”): pedisce di provare il piacere (dolcezza) di ciò mossi dalla coscienza (in questo caso la fati-
Sileno, nella sua grassezza e scompostezza, sem- che si possiede. ca e il dolore) tornano a galla solo attraverso
bra aver perso le sue caratteristiche fisiche ridu- 7 Non fatica, non dolore!: l’invito a godere il una negazione dietro la quale, però, si intra-
cendosi quasi a un ammasso informe. presente in questa ultima strofa diventa in- vede un significato affermativo.
515
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
ANALISI Tra classico e popolare L’originalità di questo componimento consiste soprattutto nell’in-
contro fra elementi classicheggianti ed elementi popolareschi. Vediamoli visualizzati nel
seguente schema riassuntivo.
INTERPRETAZIONE Il tema della precarietà della vita Nel componimento di Lorenzo emerge il tema della cadu-
E COMMENTO cità della vita terrena che, nel Quattrocento, poteva esser delineato in due modi molto diversi:
1) come invito cristiano alla penitenza religiosa e alla repressione dei sensi e dei piaceri ter-
reni in vista della salvezza eterna (è il modo di cui, nella Firenze di allora, si fa interprete il frate
Savonarola); 2) come invito alla spensieratezza e ai godimenti materiali senza pensare al
domani, tipico della cultura umanistica. Nella Canzona prevale l’elemento umanistico; tutta-
via, nell’ultima strofa vengono ricordati la «fatica» e il «dolore» (v. 57), che richiamano la tema-
tica religiosa.
516
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
TEMI DI CITTADINANZA
Tiziano, Bacco e Arianna,
1520-1523. Londra,
National Gallery.
LA CULTURA
DEL VINO
Il tema di Bacco La Canzona di Bacco presenta nel titolo l’esaltazione di questa divinità e del vino, capa-
e del vino nella ce di liberare temporaneamente gli uomini dalle pene del presente. Questo tema ha una
cultura antica lunga tradizione nel Medioevo. È presente, per esempio, nel Canto dei bevitori, un testo
goliardico dei Carmina Burana, e nel sonetto di Cecco Angiolieri «Tre cose solamente
m’ènno in grado». In questa tradizione l’esaltazione del vino e della taverna è legata a
una visione carnevalesca della vita, in cui cioè i valori “bassi” della fisicità e dell’eros,
solitamente repressi, hanno modo di emergere.
Le attestazioni della vite e del vino sono antichissime: già i sumeri rappresentavano con
una foglia di vite l’esistenza umana, mentre gli ebrei attribuivano a Noè la piantagione
della prima vigna, considerando la vite uno dei beni più preziosi dell’uomo e il vino una
bevanda che rallegra il cuore.
Nell’antica Grecia il mito attribuiva a Dioniso, il più giovane figlio immortale di Zeus, l’in-
troduzione della coltura della vite tra gli uomini. Dioniso venne poi venerato anche in
Etruria, dove era identificato con la divinità agreste Fufluns, e quindi nel mondo romano,
dove era conosciuto come Bacco e ricollegato a Liber, antica divinità latina della fertilità.
A differenza di altri lavori agricoli, la vendemmia era considerata un’attività festosa, che
non apparteneva alla sfera del lavoro quotidiano, ma elevava la semplice condizione
umana alla sfera del divino. Infatti, la maggior parte delle raffigurazioni sulla vendemmia
ha come protagonisti Dioniso e il suo seguito di satiri e menadi, che sono spesso rap-
presentati mentre riempiono i cesti di grappoli d’uva.
Ottobre (particolare
della vendemmia),
affresco del Ciclo
dei Mesi della
Torre dell’Aquila,
1400 circa. Trento,
Castello del
Buonconsiglio.
517
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Il vino Nella società contemporanea si è sviluppata una vera e propria cultura del vino, come è
TEMI DI CITTADINANZA
nella società stato testimoniato, per esempio, durante l’Expo 2015, svoltosi a Milano. Durante que-
contemporanea sta manifestazione, il vino è stato uno dei grandi protagonisti: con la creazione di uno
specifico padiglione all’interno dello spazio dedicato all’Italia, i visitatori hanno potuto
compiere un vero e proprio “percorso emozionale” capace di coinvolgere tutti i sensi
nella degustazione di uno dei prodotti più rappresentativi del nostro paese.
La classificazione Con 48 milioni di ettolitri nel 2015, l’Italia è al primo posto tra i produttori di vino nel
del vino mondo (la Francia, al secondo posto, ne ha prodotti 46 milioni). Il vino è quindi un setto-
re che produce un grosso ricavo economico e per questo ha bisogno di una legislazione
specifica in materia di classificazione delle diverse varietà esistenti.
La normativa in materia di classificazione ed etichettatura dei prodotti vinicoli è stata re-
centemente modificata a seguito dell’entrata in vigore della nuova Organizzazione Comu-
ne del Mercato nel 2009. I vini prodotti nella Comunità Europea devono essere classifica-
ti nelle seguenti tipologie, riconducibili a uno schema piramidale (vedi figura sotto).
Al vertice ci sono i vini DOP (Denominazione di Origine Protetta), prodotti con uve della spe-
cie Vitis vinifera, provenienti esclusivamente da un preciso ambiente geografico e lavorate
nella stessa zona di coltivazione. Seguono i vini IGP (Indicazione Geografica Protetta), otte-
nuti con uve della specie Vitis vinifera o da un incrocio tra questa e altre specie del genere
Vitis, che provengono per almeno l’85% esclusivamente da una determinata zona geografi-
ca, dove vengono anche lavorate. Alla base della piramide ci sono i semplici “vini”, quelli
che non riportano in etichetta nessun tipo di menzione geografica, né DOP, né IGP. La legge
europea prevede che a precise condizioni il “vino” possa però riportare alcune indicazioni
in etichetta, come l’annata e il vitigno. Si ha quindi un “vino varietale” quando almeno l’85%
del vino venga ottenuto dal vitigno che si vuole indicare in etichetta. Nel caso in cui siano
nominati due o più vitigni, il 100% del prodotto dev’essere ottenuto da uve di queste va-
rietà. Per i vini varietali, inoltre, è ammessa anche l’indicazione dell’annata, a condizione
che almeno l’85 % delle uve siano state vendemmiate nell’anno riportato. Si ha semplice
“vino”, infine, quando il prodotto non DOP e non IGP, non soddisfa le condizioni viste per i
vini varietali e non può quindi indicare in etichetta né la varietà del vitigno né l’annata.
Nel 2009 sono entrate in vigore anche le nuove norme per etichettare correttamente un
vino. Un’etichetta che segue le normative europee deve indicare:
nome del prodotto seguito dall’espressione “Denominazione di origine protetta” o
“Indicazione geografica protetta” o, in sostituzione, dalla menzione tradizionale
DOC/DOCG/IGT;
titolo alcolometrico volumico;
origine e provenienza;
riferimenti all’imbottigliatore (nome e/o marchio più indirizzo);
tenore zuccherino (solo per gli spumanti);
indicazione relativa alla presenza
di allergeni;
lotto; Denominazione
indicazione della quantità. di origine protetta
(DOP)
Vini varietali
Vini
518
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
Come giudicare La proliferazione di numerose etichette vinicole italiane ha favorito lo sviluppo di una
TEMI DI CITTADINANZA
il vino? grande passione per il vino: negli ultimi anni abbiamo assistito alla diffusione di riviste
legate a questa bevanda, di programmi televisivi che consigliano abbinamenti gastrono-
mici, di blog su internet nei quali gli esperti del settore si scambiano opinioni con sem-
plici appassionati. La domanda che accomuna tutti è: “Come giudicare un buon vino?”
In proposito riportiamo un breve estratto di un famoso enologo francese, Emile Peynaud,
in merito alle qualità che deve avere un buon degustatore.
Emile Peynaud
Le caratteristiche di un buon degustatore
Il valore di un degustatore non dipende soltanto dalla sua sensibilità come strumento recet-
tivo né dalla sua capacità di riconoscere gli odori, i gusti e di apprezzarne l’armonia; esso di-
pende anche dalla sua capacità di descrivere le proprie impressioni. Non è sufficiente che
abbia un palato esercitato e dei sensi attenti e allenati, una memoria pronta e docile e che
sappia porsi nelle condizioni migliori per giudicare un vino; è necessario che possa tradurre
chiaramente le proprie reazioni sensoriali. Egli deve possedere un vocabolario gustativo suf-
ficientemente esteso per esprimere le proprie percezioni e motivare i propri giudizi. Ciò che
fa la reputazione di un degustatore è in gran parte il suo modo di parlare del vino, la sua
chiarezza, la precisione, le sfumature dei suoi commenti. Ma diffidate dell’eloquente: sa
parlare meglio di quanto non sappia assaggiare.
E. Peynaud, Il gusto del vino. Il grande libro della degustazione, www.bibenda.it, 2002.
WEBQUEST
Fai una ricerca sul web e produci un testo o una presentazione di slide in cui sono presenti le seguenti
informazioni:
• in cosa consiste l’analisi organolettica del vino e quali caratteristiche possono essere individuate
attraverso i sensi;
• quali sono i vini più rappresentativi della tua regione: realizza per ciascuno una scheda che ne riporta
le caratteristiche organolettiche.
Se vuoi, crea l’etichetta di un vino DOP (Denominazione di Origine Protetta): inventa un nome, inserisci
un’immagine coerente e riporta le indicazioni necessarie per la vendita, seguendo le norme della Comu-
nità Europea.
519
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
T4 Angelo Poliziano
L’apparizione di Simonetta
Un giorno di primavera Iulio, il protagonista dell’opera, va a caccia con i compagni. Amore, che vuole
vendicarsi per il disprezzo che il giovane mostra nei suoi confronti, gli fa apparire una bella cerva
bianca. Il giovane la insegue e la raggiunge, ma la cerva si trasforma in una ninfa. Allora Amore scoc-
ca la freccia che colpisce Iulio e lo fa innamorare della ninfa, di nome Simonetta. La scelta di questo
nome è un omaggio a Simonetta Cattaneo, genovese, sposa di Marco Vespucci, realmente amata da
Giuliano de’ Medici. Segue la descrizione della bellezza della donna e delle virtuose doti che la giova-
ne possiede.
I TEMI valorizzazione naturalistica della donna
43 PARAFRASI
Candida è ella, e candida la vesta, 43 Ella [: la ninfa] è [di carnagione] bianca (Candida), e bian-
ma pur di rose e fior dipinta e d’erba; ca [è] la veste, ma anche (pur) ornata (dipinta) di rose e fiori e
di erba; i capelli ricci (lo inanellato crin) scendono dalla testa
lo inanellato crin dall’aurea testa bionda (aurea) sulla (in la) fronte umilmente superba. Tutta
scende in la fronte umilmente superba. la foresta le sorride (Rideli) intorno (a torno) e mitiga (disa-
Rideli a torno tutta la foresta, cerba) [per] quanto è possibile (può) [le] sue [: della ninfa] pe-
ne (cure); [la ninfa] è d’atteggiamento (nell’atto) regalmente
e quanto può suo cure disacerba;1 docile (mansueta), e placa (acqueta) le tempeste con il solo
nell’atto regalmente è mansueta, sguardo (pur col ciglio).
e pur col ciglio le tempeste acqueta.
44
Folgoron gli occhi d’un dolce sereno,2 44 Gli occhi, in cui (ove) Cupido tiene nascoste (ascose) [le]
ove sue face tien Cupido ascose; sue fiamme (face) [d’amore], hanno la luminosità (Folgoron
= ‘sfolgorano’) di un dolce [cielo] sereno; dovunque [ella] giri
l’aier d’intorno si fa tutto ameno gli occhi (le luce) pieni d’amore (amorose) [: in qualunque di-
ovunque gira le luce amorose. rezione guardi] l’aria (l’aier) intorno diventa (si fa) tutta ri-
Di celeste3 letizia il volto ha pieno, dente (ameno). [Ella] ha il volto pieno di gioia (letizia) cele-
stiale, dolcemente (dolce) dipinto di ligustri e di rose; al suo
dolce dipinto di ligustri e rose;4 parlar divino tace [: si calma] ogni vento (aura = ‘aria’), e ogni
ogni aura tace al suo parlar divino, uccellino (augelletto) canta nel proprio linguaggio (in suo
e canta ogni augelletto in suo latino.5 latino).
Metrica: ottave. 3 celeste: l’aggettivo celeste significa ‘cele- 5 latino: il latino è la lingua per eccellenza
stiale, che ha una dolcezza propria delle crea- ( La lingua nel tempo). In questa ottava è
1 Candida è ella...cure disacerba: la natura ture celesti’ e si collega per spiritualità al par- approfondito il tema del rapporto amoroso
non è qui un semplice sfondo, ma un ele- lar divino del v. 7; ma si può anche cogliere tra la natura e la fanciulla. La descrizione del-
mento determinante per la perfetta armonia un riferimento implicito al colore (celeste) lo sguardo della giovane, con cui si è chiusa
dell’insieme, capace di interagire con l’umo- degli occhi, dai quali del resto è espressa la l’ottava precedente, ritorna arricchita di
re della giovane (vv. 5-6). Il fascino della ra- letizia. nuovi elementi: nello sguardo risplende la
gazza deriva non solo dalla bellezza canoni- 4 il volto...e rose: la fanciulla ha il viso bianco dolcezza del cielo sereno e insieme brucia la
ca, ma dal carattere costruito per contrasti: come i fiori del ligustro e le guance rosate. fiamma d’amore.
regale e insieme mite, altero e umile; inanel-
lato crin: capelli fatti ad anelli, cioè ricci, a LA LINGUA NEL TEMPO
boccoli; umilmente superba: è un ossimoro;
Latino In toscano, come in diversi altri volgari italiani, il termine «latino» (ottava 44, v. 8) indica-
la fronte della donna è in atteggiamento
va sia la lingua per eccellenza, diventando sinonimo di “discorso”, sia una lingua chiara e compren-
umile (cioè, forse, chinata verso il basso) no-
sibile a tutti. Nell’italiano contemporaneo la parola ha perso completamente il valore di ‘linguaggio
nostante l’eccezionale bellezza.
facile da capire’, assumendo talvolta addirittura il significato opposto, quello cioè di lingua oscura e
2 gli occhi...sereno: gli occhi sono luminosi
specialistica, di difficile comprensione.
come un cielo sereno, ma forse anche celesti.
520
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
45
Con lei sen va Onestate umile e piana6 45 [L’]Onestà umile e semplice (piana) che gira (volge) la
chiave [: apre] di qualsiasi (ogni) cuore chiuso se ne va con lei
che d’ogni chiuso cor volge la chiave;
[: l’accompagna sempre]; [la] Gentilezza in persona (in vista
con lei va Gentilezza in vista umana, umana; vista = ‘aspetto’) va con lei e da lei [: dalla Gentilezza]
e da lei impara il dolce andar soave. [la giovane] impara il [modo] dolce [ed] elegante (soave) [di]
Non può mirarli il viso alma villana,7 camminare (andar). Un animo (alma) rozzo (villana) non può
guardarle (mirarli) il viso [: gli occhi] se prima non ha rimorso
se pria di suo fallir doglia8 non have; (doglia non have) [: non si pente] dei suoi errori (di suo fallir),
tanti cori Amor piglia fere o ancide, Amore conquista (piglia), ferisce (fere) o uccide (ancide)
quanto ella o dolce parla o dolce ride.9 tanti cuori quanto [ella] e (o) parla dolcemente (dolce) e ride
dolcemente.
46
Sembra Talia se in man prende la cetra, 46 Se [ella] prende in mano la cetra sembra Talia [: la musa
sembra Minerva se in man prende l’asta; della lirica], se prende in mano la lancia (l’asta) sembra Miner-
va [: la dea della guerra]; se ha in mano l’arco, [e appesa] al fian-
se l’arco ha in mano, al fianco la faretra,10 co la faretra, potresti essere sicuro (giurar potrai) che sia [la]
giurar potrai che sia Diana casta.11 casta Diana [: la dea della caccia]. Dal suo volto si allontana
Ira dal volto suo trista s’arretra,12 (s’arretra) l’Ira infelice (trista) e davanti a lei [: alla donna; al
suo cospetto], la Superbia resiste (basta) [ben] poco; ogni dol-
e poco, avanti a lei, Superbia basta; ce virtù le è compagna (in compagnia), la Bellezza (Biltà) e la
ogni dolce virtù l’è in compagnia, Leggiadria l’additano (la mostra a dito) [come esempio].
Biltà la mostra a dito e Leggiadria.
47
Ell’era assisa sovra la verdura, 47 Ella [: la fanciulla] era seduta sopra l’erba (sovra la verdu-
ra), allegra, e aveva intrecciato (contesta) una piccola corona
allegra, e ghirlandetta avea contesta
(ghirlandetta) con (di) quanti fiori [la] natura abbia mai crea-
di quanti fior creassi mai natura, to (creassi mai), dei quali (de’ quai) [la] sua veste [era] tutta
de’ quai tutta dipinta era sua vesta. ornata (dipinta). E appena (come prima) si accorse (puose cu-
E come prima al gioven puose cura, ra = ‘fece attenzione’) del giovane, alzò la testa alquanto spa-
ventata (paurosa); poi, preso (ripreso) il lembo [della veste]
alquanto paurosa alzò la testa; con la mano bianca, si alzò in piedi (levossi in piè) con il grem-
poi colla bianca man ripreso il lembo,13 bo pieno di fiori.
levossi in piè con di fior pieno un grembo.14
6 umile e piana: il sintagma ricorda quello Odi I, 22: «dulce ridentem Lalagem amabo, dul- (Candida è ella, strofa 43, v. 1; colla bianca
dantesco «soave e piana» (Inf. II, 56), tanto ce loquentem». man, strofa 47, v. 7), al vestito ornato di fiori
più che l’aggettivo soave compare tre versi 10 faretra: è un astuccio in cui si tengono le (la vesta, / […] di rose e fior dipinta e d’er-
dopo. Un’eco dantesca è anche nel verso suc- frecce, portato generalmente a tracolla. ba, strofa 43, v. 2; de’ quai [fiori] tutta dipin-
cessivo: la chiave che volge il cor ricorda i vv. 11 Diana casta: Diana è sia dea della caccia ta era sua vesta, strofa 47, v. 4), alla fronte
58-59 del XIII canto dell’Inferno: «Io son co- sia dea della luna. L’aggettivo casta (= ‘pudi- (lì in atteggiamento umile, forse chino –
lui che tenni ambo le chiavi / del cor di Fede- ca, discreta’), spesso riferito alla luna, unisce strofa 43, v. 4 –, qui colta nel momento in cui
rigo, e che le volsi». implicitamente in questi versi i due aspetti si alza – strofa 47, v. 6).
7 villana: il tema dell’animo indegno di guar- della divinità.
dare la donna, la quale è mezzo di innalza- 12 Ira...s’arretra: le passioni violente (l’Ira)
mento spirituale, è di origine stilnovistica si allontanano infelici (trista) dalla donna LA LINGUA NEL TEMPO
( La lingua nel tempo). poiché da lei sconfitte, in quanto sono incon-
8 doglia: rimorso, dolore. ciliabili con lei. Villano Il termine “villano” deriva dal latino vil-
9 tanti cori...ride: la possibilità che ha Amore 13 ripreso il lembo: la fanciulla piega un lem- lanus, che significa ‘abitante della casa di cam-
di far innamorare è strettamente legata al bo del vestito per non far cadere i fiori che ha pagna’, cioè contadino. Qui «villana» (ottava
modo di parlare e di ridere della donna. Il v. 8 raccolto in grembo. 45, v. 5) significa ‘non nobile’, riferito all’impos-
dell’ottava 45 è quasi un calco di Petrarca «et 14 Ell’era assisa...pieno un grembo: questa sibilità di guardare in viso la donna se non si
come dolce parla, et dolce ride» (presente in ottava si ricollega a quella in cui la fanciulla appartiene alla nobiltà. Oggi il termine è usato
«In qual parte del ciel, in qual ydea», 159, 14), viene per la prima volta descritta (ottava 43): nel suo significato figurativo: “essere un villa-
che egli a sua volta riprende dal poeta Orazio, il poeta fa riferimento al candore della pelle no” vuol dire ‘essere scortese e maleducato’.
521
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
48
Già s’inviava, per quindi partire, 48 La ninfa già si avviava (s’inviava) sull’erba, lentamente
la ninfa sovra l’erba, lenta lenta, (lenta lenta), per allontanarsi (partire) da quel posto (quin-
di), lasciando il giovinetto in gran[de] pena (martire), [poi]ché
lasciando il giovinetto in gran martire, [egli non] desidera (talenta) nessun’altra cosa (null’altro) se
che fuor di lei null’altro omai talenta. non (fuor di) lei [: la ninfa]. Ma l’infelice (el miser) [: il giova-
Ma non possendo el miser ciò soffrire, ne] non potendo (possendo) sopportare (soffrire) ciò [: il fat-
to che la ninfa s’allontani], tenta di fermarla (d’arrestarla) con
con qualche priego d’arrestarla tenta; qualche supplica (priego = ‘preghiera’); per cui (che), tutto
per che, tutto tremando e tutto ardendo, tremante (tremando) e tutto ardente (ardendo), cominciò [a
così umilmente incominciò dicendo: parlare] umilmente dicendo così:
49
“O qual che tu ti sia, vergin sovrana, 49 «O chiunque tu sia (qual che tu ti sia), fanciulla (vergin)
o ninfa o dea, ma dea m’assembri certo; superiore (sovrana) [a ogni altra], o ninfa o dea, a me sembri
(m’assembri) senz’altro (certo) [una] dea; se [sei una] dea, for-
se dea, forse se’ tu la mia Diana;15 se tu sei la mia Diana; se [invece tu sei] solo (pur) [una creatu-
se pur mortal, chi tu sia fammi certo, ra] mortale, rivelami (fammi certo) chi tu sia, [poi]ché [il] tuo
ché tua sembianza è fuor di guisa umana; aspetto (tua sembianza) è [al di] fuori della forma (di guisa)
umana [: la tua bellezza è divina]; né io so già quale sia [il] mio
né so già io qual sia tanto mio merto, merito (merto) tanto [grande], quale grazia del cielo [sia inter-
qual dal cel grazia, qual sì amica stella, venuta], [o] quale stella tanto (sì = ‘così’) amica [: quale influs-
ch’io degno sia veder cosa sì bella”. so benevolo del cielo], da rendermi degno (ch’io degno sia) [di]
vedere [una] cosa tanto (sì) bella».
50
Volta la ninfa al suon delle parole, 50 Girata[si] (Volta) la ninfa al suono delle parole [di Iulio],
lampeggiò d’un sì dolce e vago riso,16 [il suo viso] si illuminò all’improvviso (lampeggiò) di un riso
così dolce e leggiadro (vago), che avrebbe (avre’) fatto muove-
che i monti avre’ fatto ir, restare il sole: re (ir<e> = ‘andare’) i monti, [e] fermare (restare) il sole: poi-
ché ben parve s’aprissi un paradiso. ché sembrava (parve) veramente (ben) [che] si mostrasse
Poi formò voce fra perle e viole, (s’aprissi) un paradiso. Poi articolò parole (formò voce) [: co-
minciò a parlare] fra [i denti bianchi come le] perle e [le labbra
tal ch’un marmo per mezzo avre’ diviso;17 vellutate come le] viole, in un modo (tal) che avrebbe spezza-
soave, saggia e di dolceza piena, to (diviso) a metà (per mezzo) [persino] un [pezzo di] mar-
da innamorar non ch’altri una Sirena:18 mo; [la ninfa era talmente] leggiadra (soave), giudiziosa (sag-
gia) e piena di dolcezza, da [fare] innamorare perfino (non
ch’altri) una Sirena.
51
“Io non son qual tua mente invano auguria, 51 «Io non sono quella [: una dea] che (qual) [la] tua mente
immagina (auguria) invano, non [sono] degna dell’altare, né
non d’altar degna, non di pura vittima;19
(non) [sono degna] di [una] vittima innocente (pura) [: in se-
ma là sovra Arno innella vostra Etruria gno di sacrificio]; piuttosto (ma) vivo sposata (sto soggiogata)
sto soggiogata alla teda20 legittima; con nozze (alla teda) legittime [proprio] là sull’Arno nella (in-
mia natal patria è nella aspra Liguria,21 nella, rafforzativo) vostra Toscana (Etruria); [la] mia terra
(patria) natale [: il mio paese d’origine] è nella Liguria imper-
sovra una costa alla riva marittima, via (aspra), sopra una costa in riva al mare (alla riva maritti-
ove fuor de’ gran massi indarno gemere ma), dove al di là degli scogli (fuor de’ gran massi) si sente
si sente il fer Nettunno e irato fremere. l’impetuoso (il fer; fer = ‘fiero’) Nettuno [: il dio del mare] ru-
moreggiare (gemere) e ribollire infuriato (irato).
15 forse...mia Diana: Diana, come si è detto, è «un lampeggiar di riso». sull’altare del dio in segno di sacrificio.
la dea della caccia: poiché Iulio, prima di incon- 17 ch’un marmo...diviso: la voce della ninfa 20 teda: è una fiaccola (costituita da un ra-
trare la ninfa, era dedito prevalentemente alla avrebbe intenerito anche il cuore più duro. mo resinoso) usata durante l’antichità nelle
caccia, definisce mia la dea. Il paragone con la 18 da innamorar...una Sirena: la bellezza e la cerimonie, soprattutto nuziali.
dea Diana si trova già ai vv. 3-4 della strofa 46. dolcezza della ninfa sono tali che perfino una 21 mia natal...Liguria: Simonetta Cattaneo
16 lampeggiò...riso: l’attenzione del poeta si Sirena, cioè la seduttrice per eccellenza, ne (il nome di battesimo compare nell’ottava
concentra sulla bocca di lei, prima sul sorriso sarebbe sedotta. successiva, al v. 6) era genovese, ma sposata
e poi sulle labbra e sui denti. Il riso che “lam- 19 non d’altar...vittima: per ingraziarsi gli al toscano Marco Vespucci. Di lei si inna-
peggia” è un ricordo di Dante, Purg. XXI, 114: dèi era necessario immolare una vittima morò effettivamente Giuliano de’ Medici.
522
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
52
Sovente in questo loco mi diporto, 52 Spesso vengo a svagarmi (mi diporto) in questo luogo (lo-
qui vegno a soggiornar tutta soletta; co), vengo (vegno) qui tutta soletta a passeggiare (soggior-
nar); questo [posto] è un dolce rifugio (porto) per i miei (de’
questo è de’ mia pensieri un dolce porto, mia) pensieri, qui mi attirano (m’alletta) l’erba e i fiori, [e] l’a-
qui l’erba e’ fior, qui il fresco aier m’alletta; ria (aier) fresca; [la strada per] tornare da qui (quinci) a casa
quinci il tornare a mia magione è accorto, (magione) mia è breve (accorto), [io,] Simonetta mi tratten-
go (mi dimoro) lieta qui all’ombra, [e vicino] a qualche sor-
qui lieta mi dimoro Simonetta, gente (linfa) limpida (chiara) e rinfrescante (fresca), e spesso
all’ombre, a qualche chiara e fresca linfa, in compagnia di qualche (d’alcuna) fanciulla (ninfa).
e spesso in compagnia d’alcuna ninfa.
53
Io soglio pur nelli ociosi tempi, 53 Nei giorni (tempi) festivi (ociosi = ‘oziosi’), quando [il] no-
quando nostra fatica s’interrompe, stro lavoro (fatica) s’interrompe, io sono solita (soglio) andare
(venire) presso [i] sacri altari [: in chiesa] nelle vostre chiese
venire a’ sacri altar ne’ vostri tempî (tempî) insieme (fra) alle altre donne [e] con gli ornamenti
fra l’altre donne con l’usate pompe;22 (pompe) di rito (usate); ma affinché io (perch’io) possa soddi-
ma perch’io in tutto el gran desir t’adempi sfarti (t’adempi) in tutto il [tuo] grande desiderio (desir) [: sa-
pere se la fanciulla è divina o mortale] e possa sciogliere (tolga)
e ’l dubio tolga che tuo mente rompe, il dubbio che assilla (rompe) [la] tua mente, non ti meraviglia-
meraviglia di mie bellezze tenere23 re (meraviglia... non prender) delle mie tenere bellezze, [poi]
non prender già, ch’io nacqui in grembo a Venere.24 ché io sono nata nel grembo di Venere [: in riva al mare].
54
Or poi che ’l sol sue rote in basso cala,25 54 Ora, dal momento che (poi che) il sole abbassa (in basso
e da questi arbor cade maggior l’ombra, cala) le sue ruote [: tramonta], e da questi alberi (arbor) scen-
de (cade) un’ombra più lunga (maggior), già la cicala stanca
già cede al grillo la stanca cicala,26 lascia il posto (cede) al grillo, già il rozzo contadino (zappator)
già ’l rozo zappator del campo sgombra, si allontana (sgombra) dal campo, e già il fumo si alza (essala)
e già dell’alte ville il fumo essala, [dai comignoli] delle case in alto (dell’alte ville), [e] la conta-
dinella (villanella) apparecchia (ingombra = ‘riempie’) la ta-
la villanella all’uom suo el desco ingombra; vola (el desco) al suo compagno (uom); io riprenderò ormai
omai riprenderò mia via più accorta, [la] via più breve (accorta) [per casa] mia, e tu ritorna felice
e tu lieto ritorna alla tua scorta”. (lieto) alla tua comitiva (scorta) [di cacciatori].
22 Io soglio...con l’usate pompe: Simonetta 23 tenere: l’aggettivo si riferisce alla giovi- mare è nata anche Venere, dea della bellezza.
dice di appartenere alla stessa società cui ap- nezza di Simonetta. 25 ’l sol...cala: il sole veniva raffigurato come
partiene Iulio: frequenta infatti le chiese fio- 24 meraviglia...a Venere: la bellezza della una divinità alla guida di un grande carro.
rentine vestendo gli abiti lussuosi richiesti donna non deve far stupire: ella è nata a Ge- 26 la stanca cicala: la cicala canta tutto il
per tradizione nei giorni di festa. nova, quindi in riva al mare; e dalle onde del giorno e al tramonto, quindi, è stanca.
523
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Un repertorio di tòpoi letterari Nel brano appena letto ritroviamo una serie di tòpoi lette-
rari, cioè di temi ricorrenti: il locus amoenus della natura fiorita, la caccia, la cerva-ninfa, le
metamorfosi, Amore che scaglia la freccia, la primavera associata alla bellezza femminile.
Sono situazioni già presenti in Ovidio, in Dante (nella rappresentazione di Simonetta con i fiori
c’è un’eco di Matelda nel Purgatorio), nella poesia dello Stilnovo e in quella di Petrarca (l’im-
magine della fanciulla tra i fiori e le «chiare e fresche linfe» sono riprese da «Chiare, fresche et
dolci acque»), ma che Poliziano riprende ed elabora in modo nuovo.
INTERPRETAZIONE La natura e la bellezza femminile In questo testo il paesaggio naturale e la grazia fem-
E COMMENTO minile si incontrano, fino a coincidere. La capacità rappresentativa richiama l’arte di Bot-
ticelli, celebre pittore dell’epoca ( Quadro storico-culturale, D2, p. 482). Simonetta è
descritta in vari atteggiamenti, sempre eleganti e leggeri: seduta, in piedi con il grembo
pieno di fiori, nell’atto di andarsene lentamente e di girarsi indietro per rispondere a Iulio.
In ogni caso l’elemento naturale ne sottolinea la dolcezza dei tratti. La donna viene così
trasportata in un mondo laico e moderno: non è più vista come un angelo, come in Dante,
né è più vissuta come motivo di turbamento morale, come in Petrarca. In Poliziano la
donna diventa una ninfa o una dea pagana, secondo il gusto dell’Umanesimo. È la donna
della corte rinascimentale, in cui il naturalismo pagano e l’eleganza cortese si fondono in
un ideale di perfezione, nell’aspirazione a un equilibrio superiore lontano dai fatti concreti
della vita e della storia.
524
T5
TESTO GUIDA Angelo Poliziano [Rime]
A intonare questa canzone è una ragazza che parla ad alcune compagne, descrivendo un giardino di
fiori a metà maggio. La vista della bellezza che fugge induce Poliziano a pronunciare l’invito a cogliere la
rosa – cioè la bellezza femminile – quando è più fiorita, a non sprecare la giovinezza.
I TEMI celebrazione della bellezza femminile fugacità della giovinezza
PARAFRASI
I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino 1-8 Un bel mattino a metà (di mezzo) maggio io mi trovai, [o]
di mezzo maggio in un verde giardino. fanciulle, in un giardino verde. [Vi] erano tutt’intorno (d’in-
torno) fra l’erba verde violette e gigli, e graziosi (vaghi) fiori
Eran d’intorno violette e gigli appena sbocciati (novelli = nuovi) azzurri gialli bianchi (candi-
fra l’erba verde, e vaghi fior novelli di) e rossi (vermigli): per cui (ond’io) stesi (porsi) la mano per
5 azzurri gialli candidi e vermigli: raccogliere (a côr) [qualcuno] di quelli per adornar[ne] i miei
(e’ mie’) capelli biondi e circondare (cinger) i bei capelli (el va-
ond’io porsi la mano a côr di quelli go crino) con una ghirlanda (di grillanda).
per adornar e’ mie’ biondi capelli
e cinger di grillanda el vago crino.1
Ma poi ch’i’ ebbi pien di fiori un lembo, 9-14 Ma dopo (poi) che io ebbi riempito (ebbi pien) di fiori
un lembo [del vestito], vidi le rose, e non solo (pur) di un co-
10 vidi le rose e non pur d’un colore:
lore: io allora [ne] [rac]colsi [tante] da (per) [ri]empire tutto
io colsi allor per empir tutto el grembo,2 il grembo, perché il loro profumo (odore) era così (sì) piace-
perch’era sì soave il loro odore vole (soave) che mi sentii animare (destar = ‘svegliare’) tut-
che tutto mi senti’ destar el core to il cuore di [una] dolce voglia e di un piacere divino.
Metrica: canzone a ballo o ballata. Dopo la pro- raccoglie fiori per farne una ghirlanda da della rosa (in boccio, sbocciata e appassita)
posta (o ripresa) iniziale di due endecasillabi a mettere in testa, intorno ai capelli biondi, è rimandano alle tre fasi della bellezza fem-
rima baciata XX, seguono strofe di sei endeca- un tòpos letterario. minile: l’adolescenza, la giovinezza e la ma-
sillabi con lo schema ABABBX (l’ultimo verso 2 tutto el grembo: la fanciulla tira su un lem- turità.
riprende dunque quelli della proposta). bo del vestito e ne fa una sorta di sacca all’al- 4 sicché fanciulle...del giardino: è l’invito a
tezza del ventre. non sprecare la bellezza e la giovinezza, come
1 per adornar...el vago crino: la fanciulla che 3 quale scoppiava...in sullo spino: i tre stadi rivela la presenza dell’esortativo cogliàn.
525
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Sandro Botticelli,
TESTO GUIDA
Primavera, 1482.
Firenze, Galleria
degli Uffizi.
526
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
nismo di Poliziano ha però una punta di malinconia, che si esprime attraverso il tema della
fugacità del tempo («prima che sua bellezza sia fuggita», v. 24). Tuttavia, la distanza dalla peni-
TESTO GUIDA
tenza cristiana e dalla visione petrarchesca è netta: se Petrarca prospettava la rinuncia alle
cose mondane proprio a causa del loro dissolversi, Poliziano suggerisce il godimento dei beni
terreni prima che essi svaniscano.
527
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
Il cambiamento dei modelli di vita
Cesare Tacchi,
I guardiani della
primavera Pop,
2006.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE
ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
Poliziano suggerisce di “cogliere la rosa”, cioè di godere liberamente dei piaceri della vita finché la
gioventù lo consente. Questo invito si inserisce perfettamente nel contesto delle corti rinascimentali
italiane in cui si esercitano, nell’ozio creativo, amore e poesia.
La società di oggi, invece, propone un modello esistenziale basato sulla velocità e sulla iperproduttività
lavorativa: l’individuo, immerso nella società dei consumi, che crea sempre nuove esigenze, vive per
lavorare, produrre e consumare in maniera frenetica e inarrestabile. Lo spazio dedicato a riflettere, ad
assaporare lo scorrere della vita e delle sue stagioni e apprezzare il senso più profondo dell’esistenza,
sembra essersi ridotto o addirittura annullato.
Tuttavia si diffonde sempre di più l’esigenza che tutti (e non solo le elites sociali e culturali, come nel
Rinascimento!) possano tornare a coltivare il piacere della vita nella sua completezza. Questa istanza, a
tuo parere, è una velleità passeggera o si può tradurre in un progetto di vita concretamente realizzabile?
Attraverso quali modalità e quali strumenti?
Alla luce delle tue esperienze e delle tue letture, rifletti su questi argomenti ed elabora un testo argo-
mentativo di circa due colonne sulla possibilità di accogliere ancora oggi l’invito di Poliziano. Presenta la
trattazione con un titolo complessivo che ne esprima sinteticamente il contenuto e organizza il tuo testo
in paragrafi, anch’essi titolati.
528
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
I poeti petrarchisti Fra i poeti che per primi rilanciano il modello di Petrarca, imitandolo e riprendendone temi e
DIGIT
situazioni, deve essere ricordato lo stesso Bembo ( T6, p. 534). Mentre alcuni poeti si limita-
APPROFONDIMENTI no a imitare meccanicamente il Canzoniere, altri elaborano il modello in modi originali: è il ca-
La poesia cinque-
centesca in Italia so di Michelangelo Buonarroti, Giovanni Della Casa, Galeazzo di Tarsia. Un posto significativo
spetta poi alle poetesse, tra le quali spicca Gaspara Stampa. Grazie al petrarchismo si forma
in Italia una società letteraria omogenea, unificata linguisticamente e culturalmente. Il pe-
trarchismo non è solo un fenomeno letterario, ma anche un modo di espressione e un feno-
meno culturale e sociale, capace di espandersi anche fuori d’Italia e fra le donne. Esso rispec-
chia perfettamente l’ideale classicistico del Rinascimento e i suoi valori: la compostezza
formale, la linearità, la purezza della forma.
Caratteri del Con il petrarchismo si istituzionalizza quella particolare visione della poesia e del poeta che ri-
petrarchismo sale a Petrarca: la poesia riflette l’esperienza interiore dell’io ma deve essere anche un raf-
cinquecentesco
finato e sapiente gioco stilistico, fondato su un linguaggio selettivo ed equilibrato. Il poeta
vive una condizione separata e nello stesso tempo privilegiata: non ha più la possibilità di in-
tervento attivo sulla società circostante, ma si proclama depositario di valori superiori, che
vanno oltre l’immediato presente. In questi anni, il modello petrarchesco prevale su quello
dantesco non solo nella poesia italiana, ma in tutta Europa ( Informazioni, Il petrarchismo
europeo, p. 532).
Michelangelo Tra i maggiori esponenti del petrarchismo c’è il più grande artista del Rinascimento: Miche-
Buonarroti langelo Buonarroti (Caprese, Arezzo 1475 – Roma 1564). Dopo aver trascorso l’infanzia e la
giovinezza a Firenze, visse per lunghi periodi a Roma, al servizio della corte pontificia. Nel
1508, su commissione di papa Giulio II, iniziò ad affrescare la volta della Cappella Sistina. Dal
1536 al 1547 strinse un legame di amicizia amorosa con la poetessa Vittoria Colonna, che fu
anche la destinataria di una corrispondenza epistolare in versi, secondo una consuetudine
del petrarchismo. Nel 1547 fu nominato architetto di San Pietro. La poesia restò per Michelan-
gelo sempre un’attività secondaria: le sue Rime (302 testi, tra finiti e non finiti, databili tra il
1503 e il 1560) uscirono solo postume nel 1623. Sono riconducibili al petrarchismo soprattut-
to i versi d’amore scritti, a partire dal 1532, per il giovane Tommaso de’ Cavalieri e poi, come già
accennato, per la poetessa Vittoria Colonna. Le poesie della vecchiaia sono invece dominate dal
senso del peccato e della morte ( T7, p. 536). Il petrarchismo di Michelangelo non è mai pa-
cificato, ma resta sempre contrastato e contraddittorio. L’equilibrio del classicismo rinasci-
mentale si rompe per aprirsi alle inquietudini del Manierismo: ciò vale sia per la produzio-
ne lirica, sia per quella artistica della fase più tarda.
Giovanni Della Casa Anche le Rime di Giovanni Della Casa (1503-1556) furono pubblicate postume, nel 1558. Que-
sto autore viene ricordato, oltre che per la sua produzione letteraria, per aver istituito nel 1544
il tribunale dell’Inquisizione a Venezia, nel periodo della Controriforma. Della Casa intentò va-
ri processi contro i sostenitori della Riforma luterana. Tra il 1551 e il 1555 scrisse un trattato
che divenne presto famoso, il Galateo, nel quale sono esposte le regole per vivere con decoro e
529
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
sobrietà. Nelle sue Rime emerge un petrarchismo “grave” e “rotto” allo stesso tempo: “gra-
ve” in quanto impiega uno stile classicamente solenne, “rotto” perché si avverte un elemento
di frantumazione e di inquietudine. Le poesie scritte dopo il 1549-1550 esprimono il senso del-
la delusione (dopo il trauma della mancata nomina a cardinale), l’angoscia del peccato e dell’at-
tesa della morte ( T8, p. 538); tutti temi, questi, che hanno la prevalenza sul tradizionale mo-
tivo amoroso.
Galeazzo di Tarsia Nell’area meridionale spicca Galeazzo di Tarsia (Napoli 1520-1553). L’eco amara che si avver-
te nei versi di Galeazzo (un piccolo gruppo di componimenti pubblicati postumi nel 1617) è le-
gata agli episodi dolorosi della sua breve vita (la morte della moglie e la prigionia). Il poeta si ca-
ratterizza inoltre per l’uso di immagini rare e bizzarre, e per un gusto dell’artificio e della
sperimentazione che possono far pensare già al Barocco.
Il petrarchismo Il petrarchismo svolse un importante ruolo di promozione sociale e culturale per le don-
femminile ne. Nel Cinquecento, infatti, cominciarono anch’esse a scrivere e a pubblicare poesie. Qua-
DIGIT si tutte le poetesse appartenevano alla nobiltà, oppure erano cortigiane di lusso. All’epoca le
APPROFONDIMENTI
Padrona del suo donne erano distinte tra «oneste» (cioè in convento o sposate) e «meretrici», cioè ‘prostitute’
destino
(lo erano, secondo la legge di allora, tutte le donne che non avevano marito, o che vivevano se-
parate dal coniuge, e che tuttavia stabilivano relazioni amorose anche con un solo uomo). C’e-
ra poi la categoria più ambigua della «cortesana»: una donna colta che stabiliva relazioni eroti-
che solo con grandi personaggi; la sua preparazione culturale le conferiva una certa rispettabi-
lità e dignità.
La poesia femminile nacque e si affermò dentro il petrarchismo poiché era quello l’unico
linguaggio codificato dalla lirica: conoscere e usare quel codice poetico voleva dire, per le don-
ne, essere ascoltate e riconosciute in una società letteraria quasi esclusivamente maschile.
La voce femminile doveva dunque fare i conti con un codice di comunicazione che rifletteva
l’immaginario e il potere maschili. Fu una strada difficile, che dette vita a esperienze di segno
opposto: dal massimo adeguamento al modello petrarchesco in Vittoria Colonna, alla ricerca di
una voce propria in Gaspara Stampa.
Vittoria Colonna Vittoria Colonna (1490-1547), moglie del marchese di Pescara, fu in corrispondenza con i
principali intellettuali e i maggiori artisti dell’epoca, da Michelangelo a Galeazzo di Tarsia, che
le dedicarono numerose poesie. La sua raccolta, uscita nel 1538, è il primo canzoniere fem-
minile e quindi offrirà alle altre poetesse un punto di riferimento obbligato. Colonna divise il
suo canzoniere in due parti, in vita e in morte dell’amato, secondo lo schema petrarchesco,
spingendo la propria fedeltà al modello fino alla composizione di centoni (ovvero testi compo-
sti unendo tra loro versi di altri poeti: in questo caso, di Petrarca). Nelle sue poesie privilegiò
l’aspetto logico e filosofico, lontano dall’esperienza vissuta.
Gaspara Stampa Gaspara Stampa nacque a Padova nel 1523 da una nobile famiglia. Si trasferì poi a Venezia, do-
ve la sua casa divenne luogo di ritrovo intellettuale e mondano. Visse una breve e difficile rela-
zione con il conte Collaltino di Collalto, al quale dedicò numerose poesie. Morì poco più che
trentenne, nel 1554, e nello stesso anno, postume, uscirono le sue Rime. Gaspara Stampa si al-
lontanò dal modello petrarchesco sia sul piano stilistico sia su quello tematico. Il suo canzo-
niere può essere letto come un diario amoroso, che registra una passione sensuale vissuta
nelle sue contraddizioni e nel suo susseguirsi di momenti di dolore, di gelosia e di esaltazione.
Attingendo all’esperienza personale, il tono si abbassa: i termini e i luoghi del codice eleva-
to petrarchesco sono spesso sostituiti da un linguaggio privato e diaristico. Sul piano te-
matico, le Rime non raccontano una storia d’amore esemplare, né elevano l’amato a modello di
virtù: al centro c’è piuttosto un rapporto contrastato e un amante che si rivela a volte crudele
( T9, p. 540, e T10, p. 542).
530
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
Altre poetesse Tra i due nomi “maggiori” della Stampa e della Colonna ci sono altre poetesse di rilievo, che at-
tinsero in modi diversi al modello petrarchesco. Isabella di Morra, nobildonna lucana nata nel
1520, impiegò nelle sue poesie un linguaggio aspro e doloroso, derivato dalla sua infelice espe-
rienza personale: viveva, infatti, in un selvaggio isolamento fisico e intellettuale nel castello di
Favale (tra la Basilicata e la Calabria), oppressa dai fratelli, che infine la uccisero a soli ventisei
anni per la sua corrispondenza con un poeta spagnolo. Chiara Matraini (nata a Lucca nel 1514,
morì dopo il 1597) scelse invece una lingua alta e sostenuta, in linea con il petrarchismo pratica-
to da Bembo e dalla Colonna. Di contro, la cortigiana veneziana Veronica Franco (1546-1591)
adottò un linguaggio espressivo e diretto, lontano dalla raffinatezza formale petrarchista.
L’antipetrarchismo La tendenza al classicismo e al petrarchismo suscitò, per contrasto, una linea poetica caratterizza-
ta da un marcato rifiuto dei modelli proposti e dal loro rovesciamento parodico. L’opposizione
venne soprattutto dall’ambiente toscano, dove la tradizione comico-realistica del Duecento e del
Trecento era stata ripresa e continuata nel Quattrocento da Pulci. Il principale rappresentante del-
la reazione antipetrarchista fu il toscano Francesco Berni (1478-1535; cfr. cap. 7, § 5, T4, p. 835).
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono le caratteristiche del petrarchismo?
Qual è stato il ruolo del petrarchismo all’interno del panorama della poesia femminile?
ma rappresentazione burlesca
della vita di corte
rielaborazioni autonome
Francesco Berni
petrarchismo femminile
il canzoniere come
Vittoria Colonna Gaspara Stampa diario d’amore
531
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
ZIONI
INFORMA
Il petrarchismo europeo
La diffusione del petrarchismo fuori ideologia unificante nel neoplatonismo, tiano (tre quartine con schema di rime
dall’Italia che puntava sugli elementi spirituali e in- ABAB, CDCD, EFEF e un distico a rima
Il successo cinquecentesco del model- teriori, esaltando il poeta d’amore come baciata) e del blank verse o verso epi-
lo lirico di Petrarca non fu solo italiano, intermediario fra le cose e Dio. co (decasillabo sciolto derivante dall’en-
ma europeo; la sua ampia diffusione fu A queste ragioni generali se ne aggiun- decasillabo italiano impiegato da Surrey
dovuta a ragioni sia sociali sia culturali. sero di particolari. Le guerre d’Italia fa- per tradurre il secondo e il quarto libro
Anzitutto, nel Cinquecento era in atto un vorirono la presenza nelle varie corti di dell’Eneide). Il petrarchismo inglese co-
profondo mutamento del ruolo del poeta: diplomatici, ufficiali, funzionari – dun- noscerà poi una fase di splendore nella
si era trasformato in cortigiano e viveva que di intellettuali – soprattutto spa- seconda metà del secolo, passando però,
in corti che – in Spagna, in Francia, in In- gnoli e francesi. L’influenza del petrar- in questo caso, attraverso la mediazio-
ghilterra – non erano solo centralizzate chismo italiano passò attraverso questi ne francese della «Pléiade». I poeti più
e potenti, ma aspiravano anche a svolge- personaggi, e talvolta fu promossa di- notevoli saranno allora Edmund Spen-
re una funzione di promozione culturale. rettamente dai sovrani (come nel ca- ser (1552-1599) e Philip Sidney (1554-
La condizione “separata” del letterato già so del re di Francia Francesco I e del- 1586) detto “Petrarca inglese”.
vissuta da Petrarca venne istituzionaliz- la sorella di lui Margherita di Navarra). In Spagna i corrispettivi di Wyatt e
zata: l’intellettuale avvertiva da un lato Surrey furono Juan Boscán Almogaver
un senso di frustrazione per uno stato Il petrarchismo in Inghilterra e in Spagna (1495-1542) e Garcilaso de la Vega
di dipendenza e di subalternità, dall’altro In Inghilterra dettero una spinta decisiva (1503-1536; nel 1533 risiede a Napoli al
un senso di superiorità per la capacità di al petrarchismo Thomas Wyatt (1503- servizio del viceré Toledo); mentre nella
padroneggiare gli strumenti della cultu- 1542) e Henry Howard conte di Surrey seconda metà del secolo si affermeran-
ra e dello stile. Il modello di Petrarca era (1517-1547, condannato a morte per de- no Luis de León (1527-1591), Fernando
il più adatto a rispondere a queste due capitazione da Enrico VIII). A quest’ultimo de Herrera (1543-1597) e Juan de la
spinte. Questa condizione trovò la sua si deve la diffusione del sonetto elisabet- Cruz (1542-1591; poi santificato come
532
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
san Giovanni della Croce). L’influenza della lingua francese], scritto in due libri il caposcuola indiscusso fu Pierre de
del petrarchismo italiano comportò, da Joachim Du Bellay, in collaborazione Ronsard (1524-1585), considerato il
sul piano della prosodia, l’elaborazio- – molto probabilmente – con Ronsard. creatore della lingua poetica in Fran-
ne dell’endecasillabo spagnolo e della L’opera segnò, di fatto, la nascita del- cia, capace di unire, nei suoi versi, una
misura del sonetto; su quello culturale, la letteratura nazionale in Francia, e si forte impronta letteraria e una genuina
la diffusione del neoplatonismo, delle fondava sul seguente programma: 1. di- sensualità. La lezione di Petrarca è ben
teorie di Bembo e di Castiglione. fesa della lingua francese, che va arric- presente nel primo libro degli Amours
chita con l’inserimento di nuove parole [Amori, 1552], dedicato a una giova-
La «Pléiade» e Ronsard prese dal latino, dal greco e dall’italiano; ne donna italiana, Cassandra Salviati, e
Benché assai diffuso in Inghilterra e 2. rinnovamento della poesia francese composto di 183 sonetti. Il ricordo della
in Spagna, il petrarchismo raggiunse attraverso il principio di imitazione de- donna appena intravista e poi sposa di
i suoi risultati più alti in Francia, dove gli antichi, ma tenendo presenti anche i un altro uomo diventa desiderio strug-
si affermò come nuova tendenza. Ini- contemporanei modelli italiani; 3. neces- gente di perfezione e di bellezza. Nel se-
zialmente si trattò di un petrarchismo sità nella metrica e nel ritmo di criteri di condo libro di Amours sono raccolte le
eclettico, che si rifaceva alla poesia cor- armonia, ottenuti con l’adozione delle liriche per Marie Dupin, fra cui le famo-
tigiana italiana e soprattutto ai canzo- forme dell’ode e del sonetto e la predi- se Sur la mort de Marie [Per la morte di
nieri del Tebaldeo e di Serafino Aquila- lezione del verso alessandrino (corri- Marie], dove una classica e composta
no. Il maggior poeta di questa prima fa- spondente al doppio settenario italiano). grazia si unisce a un profondo senso di
se fu Clément Marot (1496-1544), che La nuova tendenza fu promossa da set- malinconia. Sulla linea degli Amours si
introdusse l’uso del sonetto. Una svol- te poeti che si riunirono nel gruppo della collocano poi i due libri di Sonnets pour
ta si ebbe poi nel 1549, quando uscì il «Pléiade», la costellazione che conta Hélène [Sonetti per Hélène], pubblicati
manifesto Deffense et illustration de la appunto sette astri principali. Du Bel- nel 1578 e dedicati a una damigella di
langue français [Difesa e illustrazione lay ebbe un ruolo di primo piano; ma Caterina de’ Medici, Hélène de Surgères.
Pierre de Ronsard
Per la morte di Marie
Presentiamo qui, nella traduzione di Mario Luzi, il quarto sonetto in morte di Marie Dupin, contenuto nel secondo libro di
Amours. La donna è paragonata a una rosa (tema tipico anche della poesia italiana: basti pensare a Lorenzo de’ Medici e a Po-
liziano), splendente di bellezza ma presto languente o per la pioggia o per eccessivo ardore del sole. I temi della sensualità e
della caducità costituiscono i due poli, distinti e nondimeno strettamente intrecciati, della poesia. Inoltre, come è tipico in Ron-
sard, le citazioni classiche si bilanciano perfettamente con uno struggente sentimento moderno della bellezza e della natura.
Come quando di maggio sopra il ramo la rosa
nella sua bella età, nel suo primo splendore
ingelosisce i cieli del suo vivo colore
se l’alba nei suoi pianti con l’oriente la sposa,1
Metrica: sonetto di alessandrini (resi in
italiano da doppi settenari) secondo lo 5 nei suoi petali grazia ed amor si riposa
schema ABBA, ABBA; CCD, EED.
cospargendo i giardini e gli alberi d’odore;
1 se...sposa: Luzi traduce liberamente il ma affranta dalla pioggia o da eccessivo ardore
verso francese introducendo l’immagine languendo si ripiega, foglia a foglia corrosa.
suggestiva «con l’oriente la sposa»; alla
lettera, l’originale dice ‘quando l’alba la Così nella tua prima giovanile freschezza,
bagna con i suoi pianti [: la rugiada] al prin-
cipio del giorno’. 10 terra e cielo esultando di quella tua bellezza,
2 la Parca ti recise: secondo la mitologia la Parca ti recise,2 cenere ti depose.
dell’antica Grecia le tre Parche erano le
divinità che controllavano il destino Fa’ che queste mie lacrime, questo pianto ti onori,
dell’uomo dalla nascita alla morte. Atropo,
una delle tre, aveva l’incarico di recidere il questo vaso di latte, questa cesta di fiori;
filo della vita. e il tuo corpo non sia, vivo o morto, che rose.
P. Ronsard, Oeuvres complètes, Gallimard, Parigi 1993; trad. it. in AA.VV., Orfeo. Il tesoro della lirica universale,
a cura di V. Errante ed E. Mariano, Sansoni, Firenze 1952.
533
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
PARAFRASI
Crin d’oro crespo e d’ambra1 tersa e pura, 1-4 Capelli (Crin) crespi [del colore] dell’oro e dell’ambra chiara (tersa)
ch’a l’aura su la neve ondeggi e vole, e pura [: biondi], che al vento (ch’a l’aura) ondeggiate e volate (vole) sul
[collo bianco come] la neve; occhi dolci (soavi) e più luminosi (chiari)
occhi soavi e più chiari che ’l sole,2 del (che ’l = ‘che il’) sole, [al punto] da trasformare (far) la notte oscura
da far giorno seren la notte oscura,3 [in un] giorno sereno.
5 riso, ch’acqueta ogni aspra pena e dura, 5-8 sorriso (riso), che tranquillizza (ch’acqueta) ogni angoscia (pe-
rubini e perle, ond’escono parole na) crudele (aspra) e dolorosa (dura), [labbra rosse come] rubini e
[denti bianchi come] perle, dai quali (ond’<e>) escono parole così (sì)
sì dolci, ch’altro ben l’alma non vòle, dolci, che l’anima (l’alma) non desidera (non vòle) [nessun] altro
man d’avorio, che i cor distringe e fura,4 bene, mano [bianca come] l’avorio, che stringe (distringe) e ruba (fu-
ra) i cuori [degli uomini] [: se ne impossessa, facendoli innamorare].
cantar, che sembra d’armonia divina, 9-14 cantare, che sembra di armonia divina, saggezza (senno) [già]
10 senno maturo a la più verde etade, matura nell’età (a la…etade) più giovane (verde), eleganza mai vista
(non veduta unqua; unqua = ‘mai’; latino unquam) fra noi [uomini],
leggiadria non veduta unqua fra noi,5
DIGIT APPROFONDIMENTI
Storia della lingua. Bembo e il petrarchismo
534
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
giunta a somma beltà somma onestade, massima (somma) dignità (onestade) unita (giunta) a massi-
ma bellezza, [tutte queste doti] sono state (fur<o> = ‘furono’)
fur l’esca6 del mio foco, e sono in voi
la causa (l’esca) del mio fuoco [d’amore], e in voi sono doni
grazie, ch’a poche il ciel largo destina.7 (grazie), che il cielo destina a poche [donne] con generosità
P. Bembo, Prose della volgar lingua. Gli Asolani. Rime, (largo).
a cura di C. Dionisotti, Tea, Milano 1993.
6 fur l’esca: è il predicato verbale che regge i sione, ‘qualsiasi materia che può facilmente terale dell’incipit del sonetto 213 di Petrarca
capelli e gli occhi del v. 1, il sorriso del v. 5, le lab- accendersi e produrre fuoco’. La parola è spesso («Grazie ch’a pochi il Ciel largo destina»):
bra del v. 6 e le mani del v. 8. l’esca: ha qui il si- usata da Petrarca in questa stessa accezione. Bembo conclude così il suo sonetto con un
gnificato di ‘miccia’, in quanto indica, per esten- 7 grazie...destina: è una citazione quasi let- esplicito omaggio al proprio modello.
ANALISI Il modello di Petrarca… Il sonetto di Bembo ha come modello l’opera di Petrarca sin dalla
struttura, che riprende l’equilibrio petrarchesco: ogni strofa è aperta da una qualità della
donna («Crin… riso… cantar») e i parallelismi sono studiati («giorno seren… notte oscura»,
v. 4; «somma beltà somma onestade», v. 12). Il verso finale è ripreso direttamente da un capo-
verso del Canzoniere di Petrarca (sonetto 213); il lessico è ispirato profondamente a questo
autore, come si nota dalla spia del sostantivo «l’aura» (che evoca Laura) ai capelli «d’oro», e
dagli «occhi più chiari che ’l sole» ( Canzoniere, 352) che possono «far chiara la notte, oscuro
il giorno» ( Canz. 215). Petrarchesco è anche il termine «esca» e il tema della bellezza
«giunta a beltà» ( Canz. 261 e 351).
INTERPRETAZIONE L’esaltazione dell’amore platonico La bellezza e l’amore cantati nel sonetto rispecchiano
E COMMENTO il modello petrarchesco, ma soprattutto quello delle teorie platonizzanti esposte da Bembo
negli Asolani. In questo testo si assiste alla perfetta coincidenza di «beltà» e «onestade», come
se le bellezze della donna fossero espressioni della volontà di Dio. Anche per questo il canto
della donna è paragonato all’«armonia divina»: la musica degli uomini è un modo per far risuo-
nare in terra il suono delle sfere celesti. La bellezza femminile non porta però alla salvezza
eterna, come nello Stil novo, ma rivela la perfezione del creato, che esprime i voleri divini nelle
sue molteplici forme.
535
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
PARAFRASI
Giunto è già ’l corso della vita mia, 1-4 Il corso della vita mia è ormai (già) giunto, per mezzo di
con tempestoso mar, per fragil barca, (per) una fragile barca in un mare tempestoso, al porto comu-
ne [: la morte], dove si passa (si varca) a rendere conto e ragio-
al comun porto, ov’a render si varca ne di ogni opera colpevole (trista) e virtuosa (pia).
conto e ragion d’ogni opra trista e pia.1
5 Onde l’affettüosa fantasia 5-8 Per cui (Onde) ora conosco bene [: capisco] come era pie-
che l’arte mi fece idol e monarca na (carca = ‘carica’) di errore la [mia] fantasia appassionata (af-
fettüosa) che trasformò per me (mi fece) l’arte in idolo e so-
conosco or ben com’era d’error carca vrano (monarca) [: che mi fece guidare dai valori dell’arte], [e
e quel c’a mal suo grado ogn’uom desia. conosco bene] ciò (quel) che ognuno (ogn’uom) desidera (de-
sia) contro il proprio stesso bene (a mal suo grado) [: l’amore,
che allontana anch’esso dalla spiritualità].
Gli amorosi pensier, già vani e lieti, 9-11 Che cosa diventeranno (che fien) ora i pensieri d’amo-
10 che fien or, s’a duo morte m’avvicino? re, già inutili (vani) e felici (lieti), se mi avvicino a due morti
D’una so ’l certo, e l’altra mi minaccia. [: del corpo e dell’anima]? Di una [di queste due morti: quella
corporale] so che è certa (’l certo = ‘il sicuro’ [compiersi]), e
l’altra [: la morte spirituale, cioè la dannazione] mi minaccia.
Né pinger né scolpir fie più che quieti 12-14 Né dipingere né scolpire accadrà (fie = ‘sarà’) più che con-
l’anima, volta a quell’amor divino2 soli (quieti) la [mia] anima, [ormai] rivolta a quel dio amoroso
(quell’amor divino) [: Cristo] che aprì le braccia in croce per ac-
c’aperse, a prender noi, ’n croce le braccia.3 cogliere (prender) noi [uomini; cioè per salvare l’umanità].
Michelangelo, Rime, a cura di E. Barelli, Rizzoli, Milano 1987 [1975].
Metrica: sonetto con rime secondo lo schema Petrarca («Passa la nave mia colma d’oblio»). 2 quell’amor divino: metonimia.
ABBA, ABBA; CDE, CDE. La condizione tempestosa del mare rappre- 3 c’aperse...braccia: c’è un riferimento alla
senta le difficoltà incontrate nell’esistenza; canzone di Petrarca «I’ vo pensando»: «Quelle
1 Giunto è già ’l corso...e pia: l’allegoria del- la fragilità dell’imbarcazione, le debolezze pietose braccia / in ch’io mi fido, veggio
la navigazione per indicare la vita umana è umane; il porto, la meta della morte e ancora aperte» (264, vv. 14-15).
assai frequente, e si ritrova per esempio in dell’aldilà.
ANALISI Il petrarchismo contrastato La metafora della prima quartina, che paragona il corso della
vita a una «fragil barca» abbandonata in un «tempestoso mar», riprende l’immagine impiegata da
Petrarca nel sonetto 189: «Passa la nave mia colma d’oblio / per aspro mare ». Anche l’espres-
536
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
COMPRENSIONE
v. 3
1. Giunto quasi al termine della vita, Michelangelo ti-
ra le somme: quale giudizio esprime sull’arte e sull’a- v. 4
more?
v. 6
a. sono stati gli unici valori che lo hanno reso felice
b. non li ha mai presi in considerazione v. 7
c. sono stati valori che gli ha imposto il re v. 8
d. sono i valori che lo hanno distratto dalla propria vita
v. 10
2. L’attività artistica non è più in grado di consolare
l’anima dell’artista. A che cosa si rivolge ora Miche- v. 11
langelo?
v. 12
a. all’amore per le donne
b. all’amore divino v. 13
c. alla riflessione filosofica v. 14
d. all’attività poetica
4. Lingua e lessico Individua nel brano tutte le for-
ANALISI me elise o contratte e indica il corrispondente nella
3. Lingua e lessico Il linguaggio michelangiolesco grafia dell’italiano di oggi.
è lontano dalla fluidità petrarchesca. Ciò è dovuto, per
esempio, alla ripetizione di “r” + consonante: comple- 5. Indica quale tipo di subordinata costituisce la frase
ta la tabella qui sotto indicando le parole nelle quali «a prender noi» (v. 14) e trascrivila in forma esplicita.
ricorre questo fenomeno. L’esercizio è avviato.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
v. 1 corso 6. Nel sonetto Michelangelo si sofferma sulla sua
esperienza artistica: quale rapporto stabilisce egli
v. 2 fragil barca
con la propria arte nella giovinezza e nella vecchiaia?
537
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
PARAFRASI
O Sonno, o de la queta, umida, ombrosa 1-8 O sonno, o placido figlio [: conseguenza serena] della not-
Notte placido figlio; o de’ mortali te tranquilla (queta), umida, scura (ombrosa); o conforto de-
gli uomini (de’ mortali) sofferenti (egri), dolce dimenticanza
egri1 conforto, oblio dolce de’ mali (oblio) dei mali tanto (sì = ‘così’) pesanti (gravi) dei quali (on-
sì gravi ond’è la vita aspra e noiosa; d<e>) la vita è dura (aspra) e dolorosa (noiosa); ormai dai risto-
ro (soccorri) al [mio] cuore, che languisce e non ha (non ave)
pace (posa), e ristora (solleva) queste [mie] membra stanche
5 soccorri al core omai che langue e posa e fragili (frali): vola [: vieni presto] da (a) me, o sonno, e di-
non ave, e queste membra stanche e frali stendi e posa sopra di me le tue ali scure (brune).
solleva: a me ten vola, o Sonno, e l’ali
tue brune sovra me distendi e posa.
Ov’è ’l silenzio che ’l dì fugge e ’l lume,2 9-11 Dov’è il silenzio che evita (fugge) il giorno (’l dì) e la luce
10 e i lievi sogni che con non secure (’l lume) [: la luce del giorno; endiadi]? e [dove sono] i sogni leg-
geri (lievi) che hanno l’abitudine (per costume) di seguirti [: ri-
vestigia di seguirti3 han per costume? volto al sonno] con passi (vestigia) non affidabili (non secure)?
Lasso!, che ’nvan te chiamo e queste oscure 12-14 Povero me (Lasso)!, che ti invoco (te chiamo) inutil-
e gelide ombre invan lusingo. O piume mente (<i>’nvan<o>), e imploro inutilmente queste ombre
oscure e gelide. O letto (piume) colmo di sofferenze (d’a-
d’asprezza colme, o notti acerbe e dure! sprezza), o notti angosciose (acerbe) e dure!
G. Della Casa, Rime, a cura di R. Fedi, Salerno, Roma 1978.
538
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
ANALISI L’uso dell’enjambement Il sonetto ha una cadenza ritmica spezzata, creata dalle frequenti
invocazioni (vv. 1, 7, 13, 14), dalle interrogative (vv. 9 e 11) e dalle esclamative (vv. 12 e 14);
le frasi sono essenziali e scandite attraverso l’uso del «che» relativo. Si noti poi la tendenza a
chiudere il verso con una dittologia, formata tre volte da due aggettivi uniti da «e» (v. 4 «aspra
e noiosa», v. 6 «membra stanche e frali», v. 14 «notti acerbe e dure») e una volta da due verbi
(v. 8 «distendi e posa»). Inoltre, il componimento è ricco di enjambements, un procedimento
caro a Della Casa. Essi sono molto forti, perché spesso separano aggettivo e sostantivo (vv.
1-2, 2-3, 3-4, 7-8, 10-11, 12-13), verbo e complemento (vv. 5-6, 6-7). Lo scopo degli enjambe-
ments è quello di mettere in rilievo le parole-chiave, che sottolineano i colori grigi e spenti e i
significati collegati all’area semantica della morte («ombrosa / Notte», «frali / solleva», «l’ali /
tue brune», «oscure / e gelide ombre»).
INTERPRETAZIONE Il sonno come raffigurazione della morte Il sonno è un tema tradizionale della letteratura
E COMMENTO e trova nel Cinquecento una certa diffusione: in genere, si ricollega alle sofferenze amorose
cui qui, però, non si accenna. La sofferenza di cui parla Della Casa sembra legata alla natura
stessa della «vita aspra e noiosa». Il poeta manifesta un’angoscia esistenziale più moderna,
che nasce da una stanchezza insanabile. L’insonnia diventa così il sintomo di un disagio pro-
fondo, raffigurando implicitamente la morte. L’unico riposo sta nella negazione, momentanea
o definitiva, della vita.
539
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
PARAFRASI
Rimandatemi il cor, empio tiranno, 1-4 Rimandatemi il cuore (cor), crudele (empio) tiranno [: il
ch’a sì gran torto avete ed istraziate, conte Collaltino di Collalto], perché (ch’) a torto [lo] tenete
(avete) e [lo] straziate (istraziate), e del mio cuore (di lui) e
e di lui e di me quel proprio fate, di me [stessa] fate quello (quel proprio) che le tigri e i leoni
che le tigri e i leon di cerva fanno. (leon) fanno di [una] cerva.
5 Son passati otto giorni, a me un anno, 5-8 Sono passati otto giorni, per (a) me [come] un anno, [da]
ch’io non ho vostre lettre od imbasciate, che (ch’) io non ho [più ricevuto] vostre lettere (lettre) o [vo-
stri] messaggi (imbasciate), contrariamente (contro) [al]le
contro le fé che voi m’avete date, promesse (fé) che voi mi avete fatte (date), conte, valoroso (o
o fonte di valor, conte, e d’inganno. fonte di valor) [in pubblico] e sleale (d’inganno) [con me].
Credete ch’io sia Ercol o Sansone1 9-14 Credete che (ch’) io sia [come] Ercole o Sansone, per (a)
10 a poter sostener tanto dolore, poter sostenere tanto dolore, [io che sono] giovane e donna e
folle (fuor d’ogni ragione), soprattutto (massime) perché so-
giovane e donna e fuor d’ogni ragione, no (essendo) qui senza il (’l) mio cuore e senza voi in (a) mia
difesa (difensione), da dove (onde) solitamente mi vengono
massime essendo qui senza ’l mio core (mi suol venir) forza e vigore?
e senza voi a mia difensione,
onde mi suol venir forza e vigore?
G. Stampa, Rime, a cura di R. Cariello, Rizzoli, Milano 1994.
Paris Bordon,
Gli amanti veneziani,
1525-1530. Milano,
Pinacoteca di Brera.
540
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
I due momenti della poesia
Il sonetto ha al centro il tema del poeta che cede il suo cuore all’amante. Il componimento può essere
diviso in due momenti, corrispondenti a due diversi argomenti:
1. la poetessa rivolge una preghiera all’amato, affinché egli le rimandi il suo cuore: la mancanza di
notizie dell’uomo fa soffrire infatti la donna innamorata;
2. la poetessa afferma di non avere più la forza di andare avanti, ormai priva del suo cuore e senza
l’amato che la difenda dagli ostacoli della vita.
Rintraccia nella poesia i versi corrispondenti ai due nuclei tematici in cui è divisa.
Al centro del sonetto, e dell’intero canzoniere, sta un amore realmente vissuto: chi sono i protagonisti
reali di questa vicenda?
ANALISI
Un linguaggio privato e diaristico
Sul piano formale notiamo due aspetti: da un lato ricorrono termini e luoghi della tradizione petrarche-
sca; dall’altro emerge uno stile semplice, privato e diaristico. I verbi e i sostantivi in coppia, «le tigri
e i leon», «Ercol o Sansone», sono tutti elementi del linguaggio petrarchesco, ma si inseriscono in un
discorso dimesso, che assume i tratti della struggente lettera d’amore («Son passati otto giorni, a me
un anno, / ch’io non ho vostre lettre od imbasciate»).
Sottolinea nel testo le espressioni riconducibili al modello petrarchesco.
Sottolinea la presenza nel sonetto di forme immediate e dirette, o di termini di stampo quotidiano.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
L’amato è «empio»
Gaspara Stampa riprende qui un motivo tipico della poesia d’amore, quello del poeta rimasto senza
cuore, avendolo ceduto all’amante. C’è però una grande novità rispetto alla tradizione petrarchesca:
l’amato non è affatto un esempio di virtù, anzi è crudele e falso. L’uomo si mostra valoroso in pubblico,
ma è sleale nel rapporto privato con la donna. Sta qui la grande novità del canzoniere della Stampa:
l’amore non è reciproco e non serve a innalzare il soggetto a Dio, anche perché l’amato si rivela «empio»,
cioè crudele e soprattutto infedele.
Quale immagine dell’amato emerge?
541
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
PARAFRASI
Conte, dov’è andata 1-6 Conte [: Collaltino di Collalto], dov’è finita (andata) così
la fé sì tosto, che m’avete data?1 presto (tosto) la promessa (fé) [di amore] che mi avete fatta
(data)? Che cosa vuol dire (dir) che la mia è più solida (costan-
Che vuol dir che la mia te) di prima (che non era pria)? Che cosa vuol dire che, dopo
è più costante, che non era pria? (poi) che partiste, io sono sempre con voi?
5 Che vuol dir che, da poi
che voi partiste, io son sempre con voi?
Sapete voi quel che dirà la gente, 7-10 Sapete voi che cosa (quel che) dirà la gente, [perfino]
dove forza d’Amor punto si sente? coloro nei quali (dove) non si sente per niente (punto) la for-
za di Amore? – O che conte crudele! o che donna fedele!
– O che conte crudele!
10 o che donna fedele!
G. Stampa, Rime, cit.
Metrica: madrigale di settenari e di endecasillabi 1 la fe’...che m’avete data: cfr. v. 7 del sonet- ( T9): l’amato è solito non mantenere le
con rime secondo lo schema aA, bB, cC, DD, ee. to «Rimandatemi il cor, empio tiranno» promesse.
ANALISI Uno stile da melodramma In questo madrigale la musicalità è povera, i concetti sono
semplici, il lessico è elementare. Risulta qui evidente la distanza che separa Gaspara
Stampa dallo stile sostenuto ed elevato di Petrarca. La poetessa registra in modo diretto e
immediato i movimenti della passione d’amore, con effetti che avvicinano il suo linguaggio
a quello del melodramma. In particolare, lo stile della Stampa è stato accostato a quello di
Metastasio, il più grande autore di melodrammi del Settecento: entrambi adottano un lin-
guaggio semplice, facilmente comunicativo, trasparente. Inoltre, tendono a smorzare le
punte più drammatiche: qui, infatti, il lamento per la mancanza di lealtà dell’amato non
assume mai toni tragici.
INTERPRETAZIONE Lei, «donna fedele»; lui, «conte crudele» Nel Canzoniere petrarchesco l’amata assume la
E COMMENTO funzione di guida in un percorso di perfezionamento spirituale. Ciò non accade nelle Rime
di Gaspara Stampa: il conte non può aprire la via verso la virtù e verso Dio. L’uomo rivela,
infatti, diverse mancanze: come già in «Rimandatemi il cor, empio tiranno», anche in questa
poesia si insiste sul fatto che egli non mantiene le promesse («dov’è andata / la fé sì
tosto, che m’avete data?»). L’amato non può dunque rappresentare una fonte di insegna-
mento morale; è piuttosto la donna che incarna valori positivi: lei, «donna fedele»; lui,
«conte crudele».
542
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
Giovanni Bellini, Giovane donna nuda allo specchio, 1515. Vienna, Kunsthistorisches Museum.
543
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
IL PRIMATO LETTERARIO DELL’ITALIA NEL XV SECOLO
Nel campo delle arti e della letteratura l’Italia continua a essere la nazio- paese-guida
ne-guida in Europa durante tutto il secolo XV. Nel resto d’Europa il pas-
saggio all’Umanesimo avviene solo alla fine del Quattrocento. La poesia
è la forma letteraria più diffusa in tutti i paesi europei. Italia
genere-guida
poesia
544
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
IL PETRARCHISMO
Sotto la spinta di Pietro Bembo, il modello di Petrarca assume un ruolo petrarchismo
centrale nella poesia cinquecentesca, soprattutto a partire dagli anni
Venti del Cinquecento: è il fenomeno del petrarchismo. Questa tendenza
poetica agevola la nascita di una società letteraria omogenea nella cul-
Petrarca assunto maggiori
tura e nell’immaginario. Tra i petrarchisti più originali ci sono Michelan- esponenti:
come modello
gelo Buonarroti (1475-1564) – autore delle Rime (1623), che rivelano della poesia
un petrarchismo contrastato –, Giovanni Della Casa (1503-1556) – au- • Michelangelo
del ’500 Buonarroti
tore delle Rime (1558), nelle quali emerge un petrarchismo dallo stile
solenne, ma inquieto – Vittoria Colonna (1490-1547), – autrice del pri- • Giovanni Della
mo canzoniere femminile della letteratura italiana – e Gaspara Stampa Casa
(1523 -1554) – una delle più importanti poetesse petrarchiste che, nel- • Vittoria Colonna
le sue Rime (1554), varia il modello petrarchesco sia sul piano dei temi • Gaspara
che su quello dello stile. Stampa
VERIFICHE
1 L’opera di Villon
Il maggior poeta francese del Quattrocento è François Villon (1431-1463). Le sue opere appaiono influenzate da
diversi motivi caratteristici della cultura medievale, tra i quali:
a. la peste nera
b. la danza della Morte
c. il ballo delle streghe
d. il motivo dell’ubi sunt? (‘dove sono?’)
e. il mondo alla rovescia
2 I clerici vagantes
Chi sono i cosiddetti clerici vagantes?
a. frati predicatori
b. uomini di Chiesa senza una fissa dimora
c. studenti di teologia
d. studenti vaganti
4 Lorenzo il Magnifico
Giunto al potere nel 1469, Lorenzo de’ Medici fu l’esempio più alto di principe umanistico. Oltre a essere sopranno-
minato “Magnifico”, Lorenzo fu chiamato “l’ago della bilancia” della situazione politica italiana. Perché?
a. riuscì a mantenere gli equilibri tra i diversi Stati italiani
b. evitò di appoggiare le Signorie dell’Italia settentrionale
c. fu il promotore della pace di Lodi
d. il suo atteggiamento causò l’ascesa di Savonarola
545
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
VERIFICHE
5 La morte del Magnifico
Che cosa successe nello scenario politico italiano dopo la morte di Lorenzo de’ Medici?
a. il papa concentrò tutto il potere dell’Italia centrale a Roma
b. si aprì un periodo di grande stabilità per l’Italia
c. Carlo VIII arrivò in Italia
d. Carlo VIII concedette il potere a Savonarola
7 Le opere di Poliziano
Tra gli scritti di Angelo Poliziano non c’è:
a. il Canzoniere
b. le Stanze per la giostra
c. i Miscellanea
d. la Fabula di Orfeo
8 La donna e la rosa
Come abbiamo visto nella canzone «I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino» ( T5, p. 525) di Poliziano, il parallelo
fra la rosa e la donna rimanda a un motivo ricorrente della letteratura medievale. Quale riflessione è contenuta in
questo parallelo?
546
CAPITOLO 1 La poesia tra Quattrocento e Cinquecento GENERE
11 Brecht e Villon
Molti scrittori e cantautori si sono ispirati alla vita e all’opera di François Villon. È il caso, per esempio, dello scrittore
tedesco Bertolt Brecht (1898-1956), che compose il seguente testo poetico in ricordo del poeta francese.
François Villon era figlio di povera gente,
gli dondolava la culla un freddo föhn.
Fin dalla sua giovinezza fra neve e vento
era bello solo il cielo libero sopra di lui.
5 François Villon che mai un letto proteggeva
trovò presto e facilmente che il vento freddo gli piaceva.
[…]
Per lui il soave premio del cielo non ha mai sorriso,
la polizia presto gli spezzò l’orgoglio nel petto,
e pure anche lui era un figlio di Dio.
10 Per vento e pioggia a lungo lui è fuggito
alla fine una croce di legno gli sorride in premio.
François Villon morì mentre fuggiva la prigione prima
d’essere preso, rapido, nei cespugli per scaltrezza;
ma la sua anima insolente resterà viva
15 a lungo, come questa immortale canzonetta.
Quando stava per crepare e le membra stendeva
trovò tardi e a fatica che anche questo stendersi gli piaceva.
B. Brecht, Poesie 1918-1933, trad. it. di R. Fertonani, Einaudi, Torino 1968.
In quale modo questa poesia di Brecht “dialoga” con l’opera di Villon? Commentala con parole tue.
547
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
VERIFICHE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A
ANALISI E INTERPRETAZIONE DI UN TESTO LETTERARIO
Gaspara Stampa [Rime, CIV]
«O notte, a me più chiara e più beata»
Dopo molta attesa, l’amante è tornato e ha passato una notte con Gaspara, che in questo testo canta la felicità dell’in-
contro d’amore.
O notte, a me più chiara e più beata
che i più beati giorni ed i più chiari,
notte degna da’ primi e da’ più rari
ingegni1 esser, non pur da me, lodata;
5 tu de le gioie mie sola sei stata
fida ministra;2 tu tutti gli amari
de la mia vita hai fatto dolci e cari,
resomi3 in braccio lui che m’ha legata.
Sol mi mancò che non divenni allora
10 la fortunata Alcmena,4 a cui stè tanto
più de l’usato a ritornar l’aurora.
Pur così bene io non potrò mai tanto
dir di te, notte candida, ch’ancora
da la materia non sia vinto il canto.
G. Stampa, Rime, a cura di R. Ceriello, Rizzoli, Milano 1994.
1 ingegni: artisti. 4 fortunata Alcmena: moglie di Anfitrione, con la quale Giove trascorse una
2 ministra: dal latino ministare, cioè ‘servire, offrire’. notte d’amore così intensa da chiederne a Febo (o Apollo) il prolungamento,
3 resomi: è un participio passato con valore temporale. ritardando l’arrivo dell’alba. Da quell’incontro nacque Ercole.
COMPRENSIONE
Fai la parafrasi completa del testo.
ANALISI
Individua la forma metrica e lo schema delle rime.
Nella prima strofa è presente un chiasmo: individualo.
Nell’ultima strofa è presente un ossimoro: qual è e quale funzione svolge?
Evidenzia l’alternanza di toni alti e toni bassi e realistici.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
Quale rapporto intercorre tra l’immagine della notte e il tema amoroso?
Il motivo della notte è un tòpos presente anche in altri poeti del periodo, come Della Casa ( T8, p. 538).
Quali differenze puoi riscontrare in questi due componimenti?
548
Miniatura del Bestiario di Aberdeen, manoscritto miniato inglese del XII secolo. Aberdeen, Biblioteca dell’Università.
TEMI
CAPITOLO 2
Scienza e letteratura
fra Medioevo e Rinascimento PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
Le dottrine Nel Medioevo, ogni aspetto del sapere è subordinato alla religione: se gli elementi che esi-
filosofiche del stono in natura derivano da Dio, che li riconduce a una perfetta unità, allora anche la loro co-
Medioevo
noscenza deve tendere a un sistema unitario basato sui principi della religione. Ogni elemen-
to del sapere umano trova posto all’interno di un sistema unitario in cui tutto è subordinato
alla scienza di Dio, cioè alla teologia. Lo studioso medievale non è mai, quindi, uno specialista
in una materia specifica, ma deve acquisire tutto il sapere possibile. Dall’esigenza di una siste-
mazione completa e universale delle conoscenze umane nasce la Scolastica, una scuola filoso-
fica sorta negli ambienti monastici e affermatasi poi, tra il XII e il XIII secolo, nelle grandi uni-
versità. La Scolastica vuole costruire un sistema di pensiero in cui la fede cristiana si basa sui
fondamenti della ragione, costituiti dalla filosofia di Aristotele, che viene diffusa in Occidente
grazie ai commenti dei filosofi arabi Avicenna e Averroè.
Il massimo studioso della Scolastica, il frate domenicano Tommaso d’Aquino (1225-1274),
propone una lettura cristiana della filosofia aristotelica, organizzando così tutto il sapere nelle
sue diverse articolazioni.
I bestiari medievali La cultura del Medioevo è caratterizzata da un’interpretazione essenzialmente simbolica del-
la natura: in essa il cristiano può vedere la presenza di Dio e di forze soprannaturali e ogni par-
ticolare della realtà può assumere un significato profondo e ricco di mistero. La trattatistica di
549
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
DIGIT quest’epoca non assume quindi un carattere scientifico (in senso moderno), ma simbolico: i
APPROFONDIMENTI
Bestiari, trattati dedicati agli animali, cioè i “bestiari”, non studiano analiticamente le loro caratteristi-
lapidari, erbari che specifiche, ma mirano all’interpretazione simbolica degli elementi naturali utilizzan-
nella letteratura
e nelle arti do come “chiave” il sapere religioso e morale fondato sulla Bibbia e sui padri della Chiesa. Ana-
figurative
logamente, anche i “lapidari”, che analizzano le pietre, e gli “erbari”, che si occupano della ve-
getazione, hanno una struttura simile a quella dei bestiari e assegnano a elementi della natu-
ra significati soprannaturali.
I bestiari medievali, in cui sono presenti anche animali fantastici come il drago e l’unicorno,
derivano dal Fisiologo, un libretto greco del II-III secolo, che trasferisce nell’immaginario cri-
stiano l’insieme di conoscenze naturalistiche dell’antichità. In questi trattati l’interesse scien-
tifico e quello morale sono strettamente collegati: le descrizioni degli animali servivano a rap-
presentare un aspetto del carattere, un vizio o una virtù. In questo campo l’opera più impor-
tante è il Libro della natura degli animali, scritto nell’ultimo decennio del Duecento da un
autore sconosciuto.
L’influenza araba Mentre la cultura occidentale è simbolica e profondamente legata alla religione, la cultura ara-
sulla scienza e ba dell’epoca è molto più concreta e materiale, e dunque più propensa allo studio analitico del-
sulla filosofia
la natura. Lo scienziato più importante dell’età medievale è il persiano Avicenna (980-1037),
che riassume in un codice enciclopedico, detto il Canone di Avicenna, i dati tratti dalle opere di
Ippocrate e di Galeno, studiosi di medicina e di anatomia dell’antichità greca e romana. In cam-
po filosofico è fondamentale l’attività di Averroè (1126-1198), che traduce i testi di Aristotele,
consentendo così all’Occidente di conoscerne l’opera. Il sapere assorbito dall’Occidente non fu
quindi direttamente quello dell’antichità greca, ma fu mediato dalla cultura araba.
Nell’ambito della matematica, gli arabi importano dall’India il sistema numerale, adottato
poi dal mondo cristiano, e trasmettono una serie di nozioni sconosciute in Europa: l’algebra e
l’uso dello zero, l’estrazione di radici quadrate e cubiche, le frazioni, le equazioni di primo e di
secondo grado e la trigonometria. La mediazione della cultura araba ha consentito dunque all’Eu-
ropa di appropriarsi del sapere dell’antichità (la filosofia greca) e di arricchirsi di influenze esterne.
FACCIAMO IL PUNTO
Cosa è la Scolastica? Chi ne fu il massimo rappresentante?
Quali saperi dell’antichità giunsero all’Occidente attraverso la mediazione della cultura araba?
550
CAPITOLO 2 Scienza e letteratura fra Medioevo e Rinascimento TEMI
Il brano riporta la descrizione della sirena, un animale stravagante che può assumere diverse forme. Il
fascino del canto di questo animale diventa il simbolo della donna bellissima e ammaliante che attira gli
uomini e li conduce alla pazzia.
I TEMI valore simbolico e morale di un animale
1 nova: stravagante. ragione (cagione) gli uomini si innamorino LA LINGUA NEL TEMPO
2 messo: mezzo. di loro, o per la bellezza fisica (belessa di
Luogo Il termine «luogo» (r. 12), dal latino
3 fatta a similitudine: fatta a somiglianza. corpo) o per lo sguardo (per vista) che la
locus, viene usato in questo brano con il si-
4 somigliantemente: allo stesso modo. donna (ella) rivolga loro, o (u) per i discorsi
gnificato di ‘passo tratto da un testo’ (“un
5 Questa serena...ne inganna: Potremmo ingannevoli (paraule inganevile) che dice,
luogo scelto della Bibbia”). Più genericamen-
chiamare (appellare) [come] questa sirena [quest’uomo] si può considerare (tenere)
te, la parola indica una parte, più o meno va-
[quelle] donne che sono di buona conversa- morto proprio (sì) come colui che la sirena
sta di spazio (“ha visitato molti luoghi del
zione, che [riescono a] ingannare gli uomini, inganna.
mondo”) oppure lo spazio delimitato di una
i quali si innamorano di loro fisicamente (car- 6 luogo: passo tratto da un testo, in questo
cosa, di una superficie, di un corpo (“il muro è
nalmente), perché (che) per qualunque caso la Bibbia ( La lingua nel tempo).
sverniciato in più luoghi”). “Luogo” può anche
indicare il posto dove accade o è accaduto
qualcosa (“il luogo dell’omicidio”), un edificio
o parte di esso destinato a un uso particolare
(“il luogo di studio”). In senso figurato, que-
sta parola ha ulteriori significati: ‘posto o mo-
mento opportuno, conveniente’ (“la tua ri-
sposta è fuori luogo”); ‘ufficio, funzione, vece’
(“sono qui in luogo di mio padre”). Inoltre, nel-
le elencazioni, unito a un numero ordinale,
“luogo” indica l’ordine o l’importanza con cui
si fa o si considera qualcosa (“in primo luogo
queste spese mi sembrano superflue”). Infi-
ne, insieme con dare, la parola luogo viene
usata con il significato di ‘provocare’ (“le tue
parole danno luogo a equivoci”).
551
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
ANALISI Una lingua composita L’analisi del brano rivela la mescolanza linguistica del Libro della
natura degli animali, un’opera in volgare che mostra lo stato della lingua all’inizio del Due-
cento. L’eredità del latino è ancora pesante (si notino, come esempio, le forme «femena»,
«omo», che stanno per i latini femina e hòmo), ma trovano spazio anche parole che testimo-
niano l’origine francese della materia (per esempio «appellare», che proviene molto probabil-
mente dal francese appel, cioè ‘chiamarsi’).
INTERPRETAZIONE Una scrittura “doppia” Il procedimento conoscitivo che si attua nei bestiari medievali è
E COMMENTO stato chiaramente individuato dallo studioso Giorgio Celli nella sua opera Le proprietà degli
animali, di cui riportiamo un breve estratto dalla prefazione:
Questa scrittura “doppia” – A: descrizione della natura; B: confronto con la natura umana – sembra
distinguere nettamente il bestiario dal trattato di zoologia quale noi lo intendiamo. La scienza […]
ha il suo punto di partenza nella natura e non nella mente. Lo scienziato confronta le osservazioni
esposte in A, non con B, ma […] con il mondo dei fenomeni. […] Al contrario il compilatore dei bestiari
si confrontava, sì, un poco, con il mondo, e molto di più con tutti gli “ipse dixit”1 dei testi, ma fonda-
mentalmente, l’operazione più propria del suo metodo era di cercare la convalida di A in B […]. Al
punto che, mentre allo scienziato non è consentito interpolare2 la creazione con l’immaginazione,
e trattare come reale l’animale fantastico […], il bestiario non conosceva queste restrizioni: ogni
mostro, o prodigio, che servisse a illustrare esattamente una qualità, o una virtù dell’uomo, era legit-
timato a reclamare diritto di esistenza, e trovava il suo posto tra le creature “vere”.
G. Celli, Il bestiario vivente, prefazione a Le proprietà degli animali, Costa & Nolan, Genova 1983.
1 “ipse dixit”: l’ha detto lui stesso. Frase latina con cui ci si riferiva a un’autorità filosofica o religiosa indiscussa, in genere ad Aristotele.
2 interpolare: mescolare. Propriamente questa parola indica l’inserimento di un dato in un insieme di elementi a esso estranei.
552
CAPITOLO 2 Scienza e letteratura fra Medioevo e Rinascimento TEMI
La magia, Il Quattrocento è anche il periodo della diffusione delle teorie matematiche di Pitagora – filo-
l’alchimia, sofo greco del VI secolo a.C. –, che vedono rapporti numerici, misteriose simmetrie e propor-
l’astrologia
zioni armoniche in ogni aspetto dell’universo. Inoltre, nel periodo umanistico si scopre l’erme-
tismo greco, che teorizzava l’influenza diretta degli astri sul mondo naturale e umano. Lo svi-
luppo di queste due teorie contribuisce ad aumentare l’interesse per una realtà fisica in cui esi-
genze scientifiche e tendenze irrazionali non riconducibili alla teologia sono strettamente con-
nesse. Da qui deriva la grande diffusione, soprattutto nelle classi sociali più elevate, delle arti
occulte: la magia, l’alchimia, l’astrologia ( Informazioni, Alchimia e astrologia, p. 554). Si av-
via così il superamento degli schemi del sapere medievale e si esprime una nuova volontà di co-
noscere le leggi del mondo naturale allo scopo di manipolarlo e trasformarlo.
Pico della La magia esercita un ruolo anche nella ricerca scientifica, contribuendo a sviluppare una visio-
Mirandola: il ne concreta e sperimentale dei fenomeni sociali: entrambe hanno infatti la stessa finalità
sapiente-mago
di fondo, cioè l’idea di manipolare il mondo, di trasformarlo a beneficio dell’uomo. Uno dei più
Ritratto di Luca
Pacioli e Guidobaldo
di Montefeltro,
dipinto del 1500
circa attribuito a
Jacopo de’ Barbari.
Napoli, Museo
Nazionale di
Capodimonte.
553
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
noti umanisti, Pico della Mirandola, propone un tipo di sapiente visto soprattutto come mago,
capace di modificare le forze della natura con le proprie capacità e di agire all’interno di un uni-
verso regolato da leggi verificabili nell’esperienza e nella pratica.
La rivalutazione Sin dall’età comunale, gli intellettuali erano distinti in due grandi categorie: chi praticava arti
delle arti manuali all’interno della bottega dell’artigiano (le cosiddette “arti meccaniche”) e chi si dedi-
meccaniche
cava a discipline teoriche e astratte, studiate all’interno delle Università (le cosiddette “arti li-
berali”). Mentre pittori, scultori e architetti erano in genere figli di artigiani, gli scrittori e gli
scienziati umanisti erano aristocratici o ricchi borghesi. L’attività di artista era considerata in-
feriore e indegna del figlio di un nobile o di un ricco borghese, perché era un’“arte meccanica”,
che implicava il contatto con la materia e rendeva necessario un rapporto continuo con gli ope-
ZIONI
INFORMA
Alchimia e astrologia
L’alchimia e la pietra filosofale chi si dedicava a pratiche occulte di moderni, l’alchimia perse l’importan-
Il termine “alchimia” deriva dall’arabo magia nera, rispettava gli alchimisti, za che aveva avuto nei secoli passati.
alkı̄mı̄ya, cioè ‘(arte della) pietra fi- che a suo avviso manipolavano gli
losofale’. Furono infatti gli arabi, dopo elementi naturali con effetti benefici. L’alchimia nella letteratura:
la conquista dell’Egitto (VII secolo), a Due grandi alchimisti, Giambattista da Dante a Harry Potter
diffondere l’alchimia in Occidente, in- della Porta (1535-1615) e Paracelso Molti autori si sono interessati al mon-
sieme con la cultura greco-orientale. (1493-1541), conseguirono risultati do dell’alchimia: da Dante Alighieri, che
A fondamento dell’alchimia vi è una che possono considerarsi scientifi- colloca gli alchimisti nell’Inferno (ri-
visione del mondo in cui Dio tende a ci: il primo ottenne la riduzione degli specchiando la concezione medievale,
identificarsi nella natura. Tale visione ossidi metallici, il secondo anticipò le che riteneva l’alchimia un’eresia), a
“eretica” suscitò ben presto la con- terapie omeopatiche, ipotizzando una Johann Wolfgang Goethe (1749-1832),
danna della Chiesa. correlazione tra fenomeni biologici e che nella seconda parte del Faust
L’alchimia aveva come obiettivo la psichici. Solo nel XVIII secolo, con l’av- (1773-1831) descrive i procedimenti
trasformazione dei metalli non pre- vento della scienza e del razionalismo alchemici utilizzati da Wagner.
giati in metalli preziosi, come l’oro,
tramite la “pietra filosofale”. Si pen-
sava inoltre che essa potesse guarire
dalle malattie e che con essa si potes-
se forgiare il vetro e colorare le pietre
preziose di rosso rubino. L’intervento
dell’alchimista investiva perciò anche
la sfera biologica e la medicina.
Gli alchimisti
In Occidente l’alchimia si praticò
dall’XI al XVII secolo ed ebbe il mas-
simo sviluppo nel tardo Medioevo e
nel Rinascimento. Leonardo da Vinci,
mentre condannava i negromanti, cioè
554
CAPITOLO 2 Scienza e letteratura fra Medioevo e Rinascimento TEMI
rai dei cantieri. L’artista inoltre vendeva spesso le sue opere, aveva una bottega come qualsiasi
altro mercante e ciò era ritenuto disonorevole.
La cultura umanistica rivaluta invece l’importanza delle arti meccaniche, soprattutto
grazie all’esempio di Leonardo da Vinci, che mostra come la tecnica artistica possa diventare
oggetto di riflessione teorica, anticipando così il metodo sperimentale introdotto nel Seicento
da Galileo Galilei.
FACCIAMO IL PUNTO
Quale tipo di sapiente propone Pico della Mirandola?
Grazie a chi, durante l’Umanesimo, viene rivalutata l’importanza delle arti meccaniche?
Oltre a questi due grandi classici, ri- siliano Paulo Coelho e Harry Potter e una scienza occulta in cui l’osserva-
troviamo l’alchimia in romanzi come la pietra filosofale (1997) dell’inglese zione degli astri, ai quali è attribuita
L’opera al nero (1969) della francese J. K. Rowling. la facoltà di influenzare le vicende
Marguerite Yourcenar (che raccon- umane, è finalizzata alla conoscenza
ta la vita dell’alchimista Zenone) e L’astrologia e le sue origini del futuro.
Cent’anni di solitudine (1967) del Il termine “astrologia” deriva dal greco Nata in Mesopotamia nel III millennio
colombiano Gabriel García Márquez e significa ‘studio degli astri e dei loro a.C. e praticata poi sia dai greci sia dai
(in cui è presente un alchimista chia- movimenti’. Benché nel Medioevo i romani, l’astrologia conobbe un perio-
mato Melquíades). Oggi l’alone di mi- termini “astrologia” e “astronomia” do di declino con l’avvento del cristia-
stero che avvolge l’alchimia è di nuo- venissero usati a volte indifferente- nesimo e fu poi riabilitata nel Medio-
vo al centro dell’interesse del grande mente, esiste tra loro una sostanzia- evo e soprattutto nel Rinascimento:
pubblico. Tale interesse può essere le differenza: mentre l’astronomia è viene ripresa l’idea antichissima che
riscontrato nel successo di best sel- lo studio scientifico degli astri e dei gli astri sarebbero in grado di annun-
ler come L’Alchimista (1988) del bra- fenomeni a essi relativi, l’astrologia è ciare tutti gli eventi, anche quelli che
dipendono dalla volontà umana. La
posizione degli astri, cioè, determine-
rebbe non solo i singoli destini, ma i
cambiamenti di assetto politico, le
guerre, le epidemie, ecc.
L’astrologia oggi
Ancor oggi l’astrologia è praticata con
larga diffusione, spesso nella forma
semplificata e banalizzante, collega-
ta allo zodiaco, della previsione del
futuro immediato (sentimentale, eco-
nomico, sanitario, ecc.), quale appare
in rubriche fisse su riviste, giornali e
programmi radiotelevisivi.
555
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
ZIONI
INFORMA
La Gioconda
La Gioconda, nota anche come Mon- line, ecc. All’inizio del nuovo millennio, cato una rinnovata passione per l’arte e
na Lisa, è il lavoro più celebre di Leo- Il codice da Vinci di Dan Brown ha provo- la figura di Leonardo da Vinci.
nardo da Vinci e uno dei capolavori
più famosi del mondo. Il quadro viene
considerato oggi il simbolo più rap-
presentativo delle arti pittoriche.
La figura della donna emerge in primo
piano su un paesaggio che sprofonda
in una lontananza infinita. Leonardo
usa la prospettiva, ma ne trasforma il
rigore geometrico nello sfumato, che
fonde i lineamenti del corpo con quelli
dello spazio. L’immagine della donna
è tutta costruita dalla luce che, pro-
venendo dal fondo, investe il corpo e
l’avvolge, comunicandogli un’intima
vibrazione. Tale vibrazione culmina
nel leggero sorriso enigmatico, che da
sempre divide esperti d’arte e studio-
si: come interpretarlo?
Nel corso del Novecento vari artisti
hanno rivisitato questo capolavoro
leonardesco: da Marcel Duchamp a
Andy Warhol, da Salvador Dalí a Fer-
nando Botero. L’arte contemporanea
ha stabilito un vivace, contraddittorio
e continuo dialogo con questo classi-
co. A quanto può arrivare il potere di
un’icona? Le immagini che riportia-
Leonardo da Vinci,
mo di seguito costituiscono una delle Ritratto di donna
possibili risposte a questa domanda. (La Gioconda
Il ritratto della Gioconda si trova ovun- o Monna Lisa),
que: su magliette, ombrelli, puzzle, pen- 1503-1505.
Parigi, Musée
ne, tazze, grembiuli, biancheria, carto- du Louvre.
556
CAPITOLO 2 Scienza e letteratura fra Medioevo e Rinascimento TEMI
Figlio naturale di un notaio e di una contadina, Leonardo nasce a Vinci, nella Repubblica fio-
rentina, nel 1452. Fino ai trent’anni egli visse in Toscana, lavorando a Firenze nella bottega del
pittore Andrea del Verrocchio (1435-1488). Poi fu assunto a Milano da Ludovico il Moro in qua-
lità di architetto e di ingegnere. Trascorse nella corte milanese diciassette anni. Qui dipinse la
Vergine delle rocce e L’Ultima Cena ( Informazioni, Il cenacolo di Leonardo, p. 564). Caduto
Ludovico, si recò a Mantova, Venezia, Firenze, Roma e infine in Francia, al servizio del sovrano
Francesco I. La Gioconda ( Informazioni, La Gioconda), il suo lavoro più celebre, si trova tut-
tora in terra francese. Morì ad Amboise nel 1519.
Gli scritti di Leonardo ha lasciato alcuni scritti letterari (e tra questi anche un Bestiario) e migliaia di ap-
Leonardo punti sparsi, spesso di difficile decifrazione anche perché scriveva da destra verso sinistra. Un
allievo di Leonardo sistemò alcuni di questi manoscritti ricavandone il Trattato di pittura, og-
gi considerata l’unica opera completa dell’artista.
Marcel Duchamp,
La Gioconda
L.H.O.O.Q, 1919.
Collezione privata.
Fernando Botero,
Mona Lisa, 1978.
557
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Un metodo basato Il metodo di ricerca di Leonardo si basa sulla centralità dell’esperienza e sullo studio diretto
sull’esperienza della natura ( T3, p. 560). Questo atteggiamento scientifico di tipo sperimentale è eviden-
temente un aspetto della sua cultura umanistico-rinascimentale e non sarebbe stato possibile
nel Medioevo. Leonardo non concepisce la scienza come sapere puramente teorico e astratto e
getta così le basi del moderno metodo di ricerca scientifica che, a partire da Galileo Galilei, ten-
derà a unire sempre di più la teoria alla pratica ( T4, p. 562).
Leonardo e le “arti Rientra nella cultura umanistica di Leonardo anche la sua rivalutazione delle “arti meccani-
meccaniche” che”, tra cui la pittura. Leonardo, infatti, considera la pittura l’attività umana superiore perché
l’unica capace di conoscere la realtà in modo scientifico, ritenendo che sia superiore persino
alla poesia. Secondo lui, non si può conoscere la realtà attraverso le «belle favole». In questa
contrapposizione tra poesia e pittura possiamo notare un atteggiamento antiumanistico. Gli
umanisti sono visti con diffidenza da Leonardo perché preferiscono la retorica e i discorsi
astratti alla conoscenza diretta della natura. Ma in questo modo Leonardo si colloca già oltre il
gusto erudito dell’Umanesimo, preparando la fusione di teoria e pratica che caratterizzerà la
nascita della scienza moderna un secolo più tardi.
FACCIAMO IL PUNTO
Su cosa si basa il metodo di ricerca di Leonardo?
Qual è l’opinione di Leonardo riguardo alla pittura?
T2 Leonardo da Vinci
La natura e l’esperienza
In questo appunto, Leonardo accetta la definizione di «omo sanza lettere» che qualche cortigiano aveva
dato di lui. L’artista fiorentino, infatti, conosceva poco il latino e il greco e usava solo il volgare. Leonardo
afferma però che, anche se è un illetterato, sa seguire l’insegnamento della natura. Troviamo qui implici-
ta una vena polemica antiumanistica e un’esaltazione della scienza fondata sull’esperienza.
I TEMI polemica antiumanistica esaltazione della scienza fondata sull’esperienza
So bene che, per non essere io litterato,1 che alcuno prosuntuoso2 gli parrà ragionevolmente
potermi biasimare coll’allegare io essere omo sanza lettere.3 Gente stolta! Non sanno questi tali
ch’io potrei, sì come Mario4 rispose contro a’ patrizi romani, io sì rispondere dicendo: «Quelli
che dall’altrui fatiche se medesimi fanno ornati, le mie a me medesimo non vogliano concede-
5 re».5 Diranno che, per non avere io lettere, non potere ben dire quello di che voglio trattare. Or
non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienzia, che d’altrui parola; la
quale fu maestra di chi bene scrisse, e così per maestra la piglio e quella in tutti i casi allegherò.6
L. da Vinci, Scritti letterari, a cura di A. Marinoni, Rizzoli, Milano 1991 [1974].
1 litterato: conoscitore della letteratura generale romano appartenente alla parte tori: Essi si vantano dei risultati degli altri [: del
classica, la quale veniva considerata il solo democratica, contrapposto all’aristocratico sapere degli antichi] e non vogliono ricono-
sapere dai filologi umanisti. Silla. Lo stesso atteggiamento di Leonardo scere le mie personali capacità [: il merito delle
2 che alcuno prosuntuoso: che qualche pre- può essere visto come un rifiuto dell’aristo- mie conclusioni scientifiche].
suntuoso. Da notare l’uso del “che” ripetuto craticismo degli umanisti, fondato più sul 6 Or...allegherò: Ora non sanno questi [: i
dopo la frase incidentale, abituale nell’ita- prestigio degli autori studiati e sulla forza denigratori] che le mie cose devono essere tratte
liano antico per riprendere il discorso. della tradizione che sull’effettivo valore più dall’esperienza che dalle parole degli altri; la
3 coll’allegare... lettere: con l’affermare che io scientifico delle loro ricerche. quale esperienza fu maestra di chi ha scritto
sono un uomo senza cultura letteraria. 5 «Quelli...concedere»: Leonardo capovolge cose veritiere e così per maestra la prendo e sem-
4 Mario: si tratta di Caio Mario (156-86 a.C.), polemicamente le accuse dei suoi denigra- pre la porterò ad esempio.
558
CAPITOLO 2 Scienza e letteratura fra Medioevo e Rinascimento TEMI
ANALISI Toni polemici e citazioni colte Nonostante la semplicità di questo appunto, si avverte il
forte tono polemico di Leonardo («Gente stolta!») e si può leggere, tra le righe, anche un atteg-
giamento sottilmente canzonatorio: è paradossale, infatti, che un illetterato, a cui si rinfaccia
l’ignoranza della cultura classica – fondamento dell’Umanesimo –, si difenda dall’accusa ini-
ziando proprio con la citazione di una risposta di Caio Mario ai patrizi romani.
INTERPRETAZIONE Da Leonardo a Galileo Nella polemica che qui Leonardo, «omo sanza lettere», conduce con-
E COMMENTO tro gli “uomini di lettere”, cioè contro gli umanisti, sembra di sentire già risuonare la voce di
Galileo Galilei (1564-1642). La valorizzazione della «sperienzia», cioè dell’esperienza, contrap-
posta a un sapere libresco fondato sulla conoscenza dei classici, è parte di una battaglia cul-
turale che Galileo porterà avanti. È il «mondo sensibile», cioè il mondo che può essere perce-
pito dai sensi attraverso l’esperienza, contro il «mondo di carta», cioè il mondo astratto delle
teorie che cercano di interpretare la realtà. Mentre respinge l’idea tradizionale di scienza
come sapere puramente teorico, verbale e astratto, Leonardo pone le basi del moderno
metodo di ricerca scientifica, che unisce la verifica sperimentale (la pratica, la tecnica) alle
dimostrazioni matematiche (la teoria).
559
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
E tu, che di’ esser meglio il vedere fare la notomia che vedere tali disegni, diresti bene, se fussi
possibile veder tutte queste cose, che in tal disegni si dimostrano in una sola figura; nella qua-
le, con tutto il tuo ingegno, non vedrai e non arai la notizia se non d’alquante poche vene; delle
quali io, per averne vera e piena notizia, ho disfatti più di dieci corpi umani, destruggendo ogni
5 altri membri, consumando con minutissime particule tutta la carne che dintorno a esse vene
si trovava, sanza insanguinarle, se non d’insensibile insaguinamento delle vene capillare.1
E un sol corpo non bastava a tanto tempo, che bisognava procedere di mano in mano in tanti
corpi, che si finissi la intera cognizione; la qual ripricai due volte per vedere le differenzie.2
E se tu arai l’amore a tal cosa, tu sarai forse impedito dallo stomaco; e se questo non ti im-
10 pedisce, tu sarai forse impedito dalla paura coll’abitare nelli tempi notturni in compagnia di
tali morti squartati e scorticati e spaventevoli a vederli; e se questo non t’impedisce, forse ti
mancherà il disegno bono, il qual s’appartiene a tal figurazione.3
E se tu arai disegno, e’ non sarà accompagnato dalla prespettiva; e se sarà accompagnato, e’
ti mancherà l’ordine delle dimostrazion geometriche e l’ordine delle calculazion delle forze e
15 valimento de’ muscoli; o forse ti mancherà la pazienza, che tu non sarai diligente.4
Delle quali, se in me tutte queste cose sono state o no, i centoventi libri da me composti ne
daran sentenzia del sì o del no, nelli quali non sono stato impedito né d’avarizia o negligenzia,
ma sol dal tempo. Vale.5
L. da Vinci, Scritti letterari, cit.
1 E tu...capillare: E tu che dici che è meglio veder ci fossero differenze. stabilisce tra il sapere fisico-matematico e le
fare l’anatomia che vedere tali disegni, avresti 3 E se...figurazione: E se tu avrai amore per tecniche pittoriche. Il disegno è concepito
ragione se fosse possibile vedere tutte queste cose una tal cosa, tu sarai forse ostacolato dal disgusto come vera e propria attività conoscitiva.
che in tali disegni sono mostrate in una sola (stomaco); e se questo non te lo impedisce, tu 5 Delle quali...Vale: Sul fatto che in me siano
figura; nella quale anatomia, con tutto il tuo inge- sarai forse bloccato dalla paura a stare durante la state presenti tutte queste cose, i centoventi libri
gno, non vedrai e non avrai conoscenza se non di notte in compagnia di cadaveri squartati, scorti- da me composti permetteranno di esprimere un
alcune poche vene; per avere conoscenza delle cati e orribili a vedersi; e se questo non ti è d’osta- parere positivo o negativo; alla realizzazione dei
quali io ho disfatto più di dieci corpi umani, colo, forse ti mancherà l’abilità nel disegno che è quali non sono stato ostacolato né dall’avarizia,
distruggendo ogni altro membro, eliminando a necessaria a tale tipo di raffigurazione. né dalla negligenza, ma solo dalla mancanza di
piccolissime particelle tutta la carne che si tro- 4 E se...diligente: E se tu avrai la capacità di tempo. Addio. Questi libri sono stati soltanto
vava attorno alle vene, senza insanguinarle, se disegnare, [questa] non sarà accompagnata progettati e lasciati in forma di abbozzo e di
non con il pochissimo sangue delle vene capillari. dalla prospettiva; e se sarà accompagnata [dalla frammenti. La causa, come scrive Leonardo, è
2 E un...differenzie: E un solo corpo non prospettiva] ti mancherà la capacità delle dimo- da attribuirsi alla mancanza di tempo. La
durava tanto tempo da permettere di comple- strazioni geometriche e la capacità di calcolare il frammentarietà dei suoi appunti riflette il
tare la conoscenza delle vene, ma era necessario peso e la consistenza dei muscoli; o forse ti man- bisogno più generale di rimettere tutto in
procedere via via [a fare l’anatomia] di tanti cherà la pazienza, poiché tu non sarai diligente. discussione, di non arrendersi mai al dato per
corpi; la quale replicai due volte per verificare se È di grande interesse il legame che Leonardo mantenersi aperti alle nuove speculazioni.
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CAPITOLO 2 Scienza e letteratura fra Medioevo e Rinascimento TEMI
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
Una conoscenza totale
Il brano descrive l’aspirazione di Leonardo all’«intera cognizione», cioè alla completa conoscenza spe-
rimentale dell’anatomia umana, possibile solo sottoponendo le sue osservazioni a continue verifiche.
Sottolinea nel testo il punto in cui l’autore afferma di ripetere i suoi esperimenti.
ANALISI
Un linguaggio elaborato ed efficace
Il Proemio della anatomia è uno dei testi leonardeschi più attenti agli effetti stilistici. Leonardo si dimo-
stra tutt’altro che «sanza lettere» ( T2, p. 558): la sua scrittura è riccamente elaborata e raggiunge
risultati molto efficaci. Da notare la cura della costruzione testuale caratterizzata da formule anaforiche,
spesso all’inizio di ogni periodo, e la straordinaria capacità descrittiva di Leonardo, che attraverso la
meticolosa spiegazione dei vari procedimenti ci permette quasi di visualizzarli come se fossimo davvero
all’interno del suo laboratorio. In questo caso, dunque, la precisione stilistica è in funzione della preci-
sione scientifica.
Individua le anafore presenti nel testo.
Quali sono le fasi che lo scienziato segue per sezionare i cadaveri? Elencale in ordine cronologico.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
Leonardo, artista e scienziato
Il testo qui presentato mostra la passione scientifica di Leonardo, la centralità dell’esperienza e dell’os-
servazione diretta della natura e il legame strettissimo che esse hanno con l’attività del pittore. Leo-
nardo artista, infatti, non si spiega senza Leonardo scienziato e viceversa: se prima, nella giovinezza, lo
studio delle forme anatomiche era stato funzionale alla pittura, adesso è quest’ultima a offrire le basi
utili all’elaborazione della ricerca scientifica. La capacità di memorizzare molti particolari e un’abilità
nel dipingere fuori dal comune permisero a Leonardo di fare scoperte all’avanguardia per il suo tempo.
Il brano testimonia la passione di Leonardo per il suo lavoro. Nonostante ciò, lo scienziato elenca gli
ostacoli che possono verificarsi durante l’analisi del corpo umano. Quali sono?
Qual è l’importanza dell’atteggiamento di Leonardo sia nei confronti della scienza, sia in quelli della
conoscenza in generale? Da che cosa lo deduci?
561
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
T4 Leonardo da Vinci
Un’anticipazione del metodo di Galileo
Respingendo l’idea tradizionale di scienza come sapere teorico, verbale e astratto, Leonardo pone le basi
del moderno metodo di ricerca scientifica, che unisce la verifica sperimentale (la pratica, la tecnica) alle
dimostrazioni matematiche (la teoria). Egli rifiuta anche ogni concezione filosofica e religiosa della na-
tura: i fenomeni naturali sono prima di tutto un oggetto che si conosce attraverso i sensi.
I TEMI ricerca scientifica come unione di esperienze concrete e rielaborazioni teoriche
Nessuna umana investigazione1 si può dimandare2 vera scienza, se essa non passa per le ma-
tematiche dimostrazioni e se tu dirai che le scienze che principiano e finiscono nella mente3
abbiano verità, questo non si concede, ma si nega per molte ragioni; e prima che in tali discorsi
mentali non accade esperienza, senza la quale nulla dà di sé certezza.
5 Fuggi i precetti di quelli speculatori4 che5 loro ragioni non son confermate dalla esperienza.
La sperienza non falla,6 ma sol fallano i nostri giudizi, promettendosi di lei cose che non
sono in sua potestà.7
A torto si lamentano li omini della esperienza, li quali, con somme rampogne,8 quella accu-
sano esser fallace.9 Ma lascino stare essa esperienza e voltate tale lamentazione contro alla vo-
stra ignoranza, la quale vi fa trascorrere, coi vostri vani e stolti desideri, a impromettervi di quel-
le cose che non sono in sua potenza, dicendo quella esser fallace.10 A torto si lamentano li omini
della innocente esperienza, quella spesso accusando di fallacie e di bugiarde dimostrazioni.
Ma prima farò alcuna esperienza, avanti ch’io più oltre proceda, perché la mia intenzione
è allegare11 prima l’esperienza, e poi con la ragione dimostrare perché tale esperienza è co-
15 stretta in tal modo ad operare.
E questa è la vera regola come li speculatori delli effetti naturali hanno a procedere, e,
ancora che la natura cominci dalla ragione e termini nella esperienza, a noi bisogna seguitare
in contrario, cioè cominciando, come sopra dissi, dalla sperienza, e con quella investigare la
ragione.12
20 […]
Dicono quella cognizione esser meccanica la quale è partorita dall’esperienza, e quella esser
scientifica che nasce e finisce nella mente, e quella essere semimeccanica che nasce dalla scien-
za e finisce nella operazione manuale.13 Ma a me pare che quelle scienze siano vane e piene di
errori le quali non sono nate dall’esperienza, madre d’ogni certezza, e che non terminino in nota
esperienza, cioè che la loro origine o mezzo o fine non passa per nessuno de’ cinque sensi. E se
noi dubitiamo della certezza di ciascuna cosa che passa per i sensi, quanto maggiormente dob-
biamo dubitare delle cose ribelli ad essi sensi,14 come dell’essenza di Dio e dell’anima e simili,
1 investigazione: ricerca. rimproverare l’esperienza, e rivolgete [: si noti e tramite questa ricercare la ragione. Leonardo
2 dimandare: considerare. il passaggio improvviso dalla terza alla se- era convinto che la natura fosse retta da una
3 principiano...mente: puramente mentali, conda persona plurale] tale lamento contro regola razionale, che si traduceva in termini
non sottoposte al controllo dell’esperienza e la vostra ignoranza, la quale vi induce, con i matematici.
dell’osservazione della realtà. vostri infondati e stolti desideri, ad aspettarvi 13 Dicono...manuale: Dicono che è pura-
4 speculatori: pensatori. [dall’esperienza] cose che essa non può dare, mente tecnica (meccanica) quella conoscenza
5 che: le cui. accusandola poi di trarre in inganno. (cognizione) che è frutto dell’esperienza ed è
6 falla: sbaglia. 11 allegare: addurre. scientifica quella che nasce e finisce nella men-
7 promettendosi di lei...in sua potestà: 12 E questa...ragione: E questa è la regola te [: non è sottoposta a controllo sperimentale]
aspettandosi dall’esperienza ciò che non è in secondo la quale devono procedere i ricercatori ed è applicata (semimeccanica) quella che
suo potere dare. dei fenomeni naturali e, sebbene la natura co- nasce dalla teoria (scienza) e finisce in una
8 rampogne: rimproveri. minci dalla ragione e termini nell’esperienza, operazione manuale.
9 fallace: falsa, ingannatrice. noi dobbiamo procedere al contrario, cioè co- 14 ribelli...sensi: che si sottraggono alla per-
10 Ma...fallace: Ma [gli uomini] cessino di minciare, come ho detto sopra, dall’esperienza, cezione dei sensi.
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CAPITOLO 2 Scienza e letteratura fra Medioevo e Rinascimento TEMI
per le quali sempre si disputa e contende. E veramente accade che sempre ove manca la ragione
suppliscono le grida, la qual cosa non accade nelle cose certe.15 Per questo diremo che ove si grida
30 non è vera scienza, perché la verità ha un sol termine, il quale essendo pubblicato,16 il litigio resta
in eterno distrutto, e s’esso litigio resurge, ella è bugiarda e confusa scienza e non certezza rinata.
L. da Vinci, Scritti letterari, cit.
15 ove...certe: quando si è a corto di ragioni il che non accade nelle scienze sperimentali, 16 pubblicato: noto.
si cerca di sopraffare l’avversario con le parole, dove il risultato è certo.
ANALISI Un esempio di testo argomentativo Come la maggior parte dei suoi scritti, spesso presen-
tati nella forma frammentaria di appunti e annotazioni, anche questo brano rivela l’imposta-
zione argomentativa della scrittura di Leonardo: rifiutando il sapere medievale, egli ne rifiuta
anche i modi espositivi. Lo scienziato non scrive infatti un trattato, né ricorre al ragionamento
difficile e oscuro di molti testi medievali: l’efficacia dello stile di Leonardo sta proprio nel com-
porre testi in cui si richiama a principi chiari e subito evidenti.
INTERPRETAZIONE Contro la cultura medievale, a favore dell’esperienza In questi appunti Leonardo attacca
E COMMENTO la cultura medievale, fondata sul ragionamento astratto e sul principio di autorità, e afferma
l’importanza dell’esperienza, delimitando così il campo della scienza al mondo sensibile. La
pratica va comunque rielaborata passando attraverso le «matematiche dimostrazioni»: esi-
ste una specie di armonia fra le attività della natura e quelle della mente umana, in cui si
rispecchia l’ordine dell’universo. Proprio questa corrispondenza, insieme con il primato
dell’esperienza nella ricerca scientifica, fanno di Leonardo un anticipatore del metodo di
Galileo Galilei.
563
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
ZIONI
INFORMA
Il cenacolo di Leonardo
A Milano, tra il 1495 e il 1497, Leonar- colpevolezza. Negli altri è meraviglia, Questi tratti rivivono nelle figure degli
do dipinse in Santa Maria delle Grazie sconcerto, disorientamento. Nel Ce- apostoli e la narrazione evangelica si
uno dei suoi capolavori, inaugurando nacolo, come è stato osservato, tro- risolve in un dramma intensamente
la grande pittura del Cinquecento. Il viamo «la più formidabile assemblea umano. Cristo è il fulcro di un movi-
cenacolo colpisce subito per l’origi- di tipi umani che mai potesse porsi a mento contrastante, che ha l’origine
nalità con cui l’artista interpreta il confronto con la divinità». Leonardo e insieme il punto di attrazione nella
tema religioso dell’ultima cena. Cristo infatti trasferisce nelle figure degli sua figura e che si propaga ai due lati
appare al centro di una scena movi- apostoli i volti e i gesti delle persone in un fluire ininterrotto di forme e ge-
mentata, in cui gli apostoli traducono che andava studiando per le strade, sti, ritmato dai gruppi di apostoli. La
nell’agitazione dei corpi lo sconvol- nelle piazze, nei mercati. Coerente- luminosità del paesaggio che traspa-
gimento interiore. Cristo ha appena mente con il suo metodo di ricerca, re dallo sfondo esalta gesti e sguardi
annunciato il tradimento di uno di basato sull’osservazione diretta, l’ar- delle figure in primo piano in un gran-
loro, gettando lo scompiglio intorno tista a Milano aveva approfondito lo dioso effetto scenografico.
a sé: «la mano di chi mi tradirà è con studio della figura umana, come do-
me sulla tavola». Giuda si ritrae con cumentano i numerosi schizzi di volti, Leonardo da Vinci, Il cenacolo, 1494-1498.
veemenza denunciando la propria espressioni, sguardi ripresi dal vivo. Milano, Refettorio di Santa Maria delle Grazie.
564
CAPITOLO 2 Scienza e letteratura fra Medioevo e Rinascimento TEMI
TEMI DI CITTADINANZA
Leonardo da Vinci, disegni
dal Codice Atlantico,
1480-1482 ca. Milano,
Biblioteca Ambrosiana.
LE ORIGINI DELLA
SCIENZA MODERNA
Un’epoca I testi antologizzati in questo Capitolo mostrano lo straordinario sviluppo che la
di grandi scienza compie nel Rinascimento. Dall’enciclopedismo medievale della Scolastica,
cambiamenti in cui ogni sapere umano è subordinato a quello divino, si passa a un’età di grande
rinnovamento, nella quale scoperte fondamentali, come quella del continente ame-
ricano, si alternano a numerose invenzioni, come la stampa, la bussola, la polvere
da sparo.
Leonardo Il Rinascimento è l’epoca in cui vengono gettate le fondamenta del moderno metodo
e il primo nucleo sperimentale, che verrà poi teorizzato compiutamente nel Seicento da Galileo Galilei:
del metodo la rivalutazione dell’esperienza pratica nella speculazione scientifica e l’importanza
sperimentale assegnata alla matematica come linguaggio della scienza. Leonardo da Vinci anticipa
moderno per molti versi la figura del moderno scienziato. La sua attività di pittore lo conduce a
osservare direttamente e quotidianamente la natura: per questo motivo Leonardo
pone l’esperienza al centro di ogni sua indagine. Ma la sola pratica non basta. «Nes-
suna certezza è dove non si può applicare una delle scienze matematiche»: con que-
sta affermazione egli sancisce il fondamento di una nuova scienza, costituita dall’os-
servazione diretta, quindi dall’esperienza concreta, e dalle dimostrazioni matemati-
che. Il testo del filosofo Cesare Luporini mostra come l’attività di Leonardo sia il primo
nucleo del metodo sperimentale moderno, cioè il controllo reciproco di teoria e pratica
( Doc. 1).
L’importanza Anche nella riflessione contemporanea sul metodo scientifico si continua a sottolineare
della matematica l’importanza del linguaggio matematico nelle scienze sperimentali. Il filosofo Ludovico
nella scienza Geymonat sostiene nel secondo brano riportato l’importanza del rigore nelle scienze
moderna sperimentali: sono necessari degli strumenti di misurazione e un linguaggio con cui
poter registrare i dati raccolti. Se gli strumenti di cui si serve lo scienziato nelle proprie
sperimentazioni sono continuamente in via di perfezione, e quindi non costituiscono
una base oggettiva per la ricerca, la matematica è l’unico linguaggio universale in grado
di esporre i dati raccolti ( Doc. 2).
565
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
TEMI DI CITTADINANZA
DOCUMENTO 1
Cesare Luporini
Leonardo, primo scienziato «sperimentatore»
La rivoluzione scientifica è essenzialmente legata alla formazione storica e al trionfo del
metodo sperimentale. [...] Quale sia stata l’importanza del metodo sperimentale non saprei
dir meglio che con alcune parole di Antonio Gramsci: «È indubbio che l’affermarsi del meto-
do sperimentale separa due mondi della storia, due epoche, e inizia il processo di dissoluzio-
ne della teologia e della metafisica e di sviluppo del pensiero moderno... L’esperienza scien-
tifica è la prima cellula del nuovo metodo di produzione, della nuova forma di unione attiva
fra l’uomo e la natura. Lo scienziato sperimentatore è anche un operaio», – e Leonardo fu un
tale operaio – «non un puro pensatore e il suo pensare è continuamente controllato dalla
pratica e viceversa finché si forma l’unità perfetta di teoria e pratica».
Due mondi della storia! Il pensiero di Leonardo è il discrimine di questi due mondi. [...]
Leonardo fu il primo a mettere sicuramente e consapevolmente il piede su quel nuovo conti-
nente che verrà scoprendosi al moderno metodo sperimentale, in quanto circolazione, e reci-
proco controllo, di teoria e di pratica, in quanto «unione attiva fra l’uomo e la natura».[…] La
nuova scienza non poteva porsi in cammino senza assimilare la tecnica, né la tecnica avanzare
senza promuovere la scienza. [...] Caratterizza invece Leonardo – e lo oppone in modo radicale
alla mentalità e tradizione scolastica – la preoccupazione di non perdere mai il contatto con la
realtà fisica sperimentabile. [...] Il problema di Leonardo è costantemente quello di trovare i
nessi reali dei fenomeni materiali. […] Tale era dunque la esigenza nuova che si poneva a Leo-
nardo: di indagare matematicamente i fatti fisici, ma serbandoli nella loro concreta sperimen-
tabilità. Un passo fondamentale per l’instaurarsi della moderna scienza della natura.
C. Luporini, La mente di Leonardo, Le Lettere, Firenze 1997.
DOCUMENTO 2
Ludovico Geymonat
L’importanza della matematica nelle scienze sperimentali
I rapporti fra scienza e filosofia affondano le loro radici nel fatto che entrambe hanno fra i
loro scopi quello di accrescere le nostre conoscenze. Parecchie volte si afferma che la scien-
za mira ad accrescere le nostre conoscenze intorno ad argomenti particolari mentre la filo-
sofia si occupa prevalentemente di problemi generali [...].
Orbene una riflessione anche minimamente accurata su questo problema ci fa conclude-
re che il carattere più importante che è presente nella scienza e assente nelle altre fasi della
conoscenza è il rigore o per lo meno la ricerca del rigore. [...]
Leonardo da Vinci:
The Mechanics of Genius,
mostra itinerante nata dalla
collaborazione del Museo
Nazionale della Scienza e
della Tecnologia di Milano con
la Cité des sciences et de
l’industrie di Parigi.
566
CAPITOLO 2 Scienza e letteratura fra Medioevo e Rinascimento TEMI
Come è noto, parlando di rigore occorre fare una netta distinzione fra rigore nelle scien-
TEMI DI CITTADINANZA
ze formali e rigore in quelle sperimentali. Che quest’ultimo sia sottoposto a notevoli trasfor-
mazioni da un’epoca all’altra è ben noto, perché esso dipende dall’esattezza degli strumenti
tecnici usati per la sperimentazione, in particolare per la misura dei fenomeni esaminati, e
si sa che questi strumenti vengono continuamente raffinati e precisati. [...]
Questa esigenza di rigore nelle scienze sperimentali non riguarda soltanto l’esigenza di
avvalersi di apparecchi (di osservazione e di misura) che siano i più sensibili e i più esat-
ti possibile, ma riguarda anche problemi generali di indubbio interesse filosofico, come i
rapporti fra esperienza e teoria. Mentre la prima esigenza testé1 accennata concerneva gli
strumenti tecnici di osservazione, la seconda concerne essenzialmente la loro registrazio-
ne, e perciò ci riporta al problema del linguaggio di cui ci serviamo per tale registrazione.
Orbene, come tutti sappiamo, il linguaggio più usato per questo scopo è incontestabilmente
il linguaggio della matematica. Se ci domandiamo il perché, la risposta è facile: 1) perché le
operazioni della matematica (anche allorché questa non sia assiomatizzata)2 sono semplici
e precise, cosicché è facile manovrare con esse, vuoi che si tratti della geometria, vuoi che
1 testé: poco fa. si tratti dell’algebra, dell’aritmetica o anche dell’analisi differenziale e integrale;3 2) perché
2 assiomatizzata: l’“assioma” la matematica dispone di una ricchezza di simboli enormemente superiore a quelli del
è una proposizione, posta a base
di un ragionamento, che non ha
linguaggio comune (si pensi soltanto ai numeri interi, frazionari, irrazionali, immaginari
bisogno di dimostrazione dell’aritmetica). [...]
perché evidente di per sé. Sembra incontestabile che il largo uso e il grande successo del discorso matematico nel-
“Assiomatizzate” significa ‘trat-
tate mediante principi assioma- le scienze sperimentali siano la dimostrazione dei risultati che si ottengono aprendo la via,
tici’. anche in queste scienze, all’esigenza del massimo rigore. È sempre questa esigenza di rigore
3 analisi...integrale: sono due
parti della matematica che si
che ci ha fatto abbandonare il famoso principio di induzione4 che fino al secolo scorso era parso
occupano del calcolo infinitesi- costituire la base delle scienze dell’esperienza. Un’analisi rigorosa dell’esperienza ci dimostra
male. infatti che essa ci pone sempre di fronte a fenomeni singoli e che, se pretendiamo di generaliz-
4 principio di induzione: forma
di ragionamento logico che zarli, noi compiamo un’operazione che nessun principio logico è in grado di giustificare. Fra la
dall’esame di uno o più casi par- logica che regge la matematica e la cosiddetta logica induttiva vi è un salto incolmabile. Anche
ticolari giunge a una conclu-
sione la cui validità si estende al se abbiamo osservato innumerevoli volte che un certo processo naturale si svolge sempre se-
di là dei casi esaminati. condo determinate regole, nulla ci autorizza ad affermare che altrettanto accadrà in futuro.
L. Geymonat, Dialettica scientifica e libertà, in Le ragioni della scienza,
a cura di L. Geymonat e G. Giorello, Laterza, Roma- Bari 1986.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE
ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
Ma la matematica può davvero spiegare il mondo o è solo un’illusione?
«La matematica si è rivelata uno strumento di efficacia straordinaria nella descrizione, analisi e previsione
dei fatti fisici, da quando la rivoluzione scientifica ha affermato la credenza che la natura abbia struttura
matematica. Il successo pratico di tale presupposto ha indotto, a partire dal Settecento, a ritenere che un
successo analogo potesse verificarsi nell’ambito del mondo non fisico e quindi nei campi dell’economia,
delle scienze sociali, della biologia, della psicologia, ecc. Purtroppo, in questo ambito le cose si fanno molto
più difficili a causa della presenza di componenti soggettive le cui caratteristiche è impossibile formalizzare
quantitativamente in modo soddisfacente».
R. Italo Zanini, L’economia? Non si prevede con i numeri, da «Avvenire», 25 giugno 2015.
Nel brano sopra riportato, Giorgio Israel, storico della scienza, matematico ed epistemologo italiano,
rispondendo alle domande del giornalista di «Avvenire», avanza delle critiche all’idea che la razionalità
matematica e il meccanicismo possano essere la chiave per una lettura completa e definitiva della
realtà. Può essere rassicurante credere che un modello matematico possa dare una spiegazione a
tutto, ma nella realtà ciò avviene realmente? Perché?
Rifletti su tale tematica, facendo riferimento alle tue esperienze, conoscenze e letture personali. Puoi
articolare il tuo testo in paragrafi opportunamente titolati e presentare la trattazione con un titolo
complessivo che ne esprima sinteticamente il contenuto.
567
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Cristoforo Colombo,
particolare
dell’Allegoria dei
domini di Carlo V
d’Asburgo, dipinto di
Peter Johann
Nepomuk Geiger
(1805-1880).
Trieste, Castello di
Miramare, Sala del
Trono.
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CAPITOLO 2 Scienza e letteratura fra Medioevo e Rinascimento TEMI
La matematica e le All’inizio del Cinquecento si riscoprono i grandi maestri della matematica e della geometria
scienze applicate greca: Euclide, Apollonio e Archimede. Proprio la rinnovata importanza del calcolo e della di-
mostrazione geometrica, essenziali per conoscere in modo preciso il mondo naturale, dà nuo-
vo slancio alle scienze applicate. Il matematico italiano Niccolò Tartaglia (1500-1557) applica
le nuove nozioni della fisica alla balistica, la scienza che studia il movimento dei proiettili.
Georg Bauer (1494-1557), umanista e scienziato tedesco noto con il nome di Giorgio Agrico-
la, applica la cinematica alla scienza mineraria mediante la creazione di nuove macchine (pom-
pe, leve, montacarichi) per l’estrazione dei metalli dalle profondità della Terra.
Dall’astrologia Gli studi matematici e scientifici favoriscono la sostituzione dell’astrologia con lo studio rigo-
all’astronomia roso dei movimenti degli astri, e cioè con l’astronomia. Alla base di questa nuova disciplina ci
sono le ricerche condotte dal polacco Niccolò Copernico (1473-1543), studioso di matemati-
ca, di geometria e di fisica. Dal 1505 Copernico lavora a una nuova, sconvolgente ipotesi: rifiu-
tando la precedente visione dell’universo – sostenuta dalla Chiesa e dalle teorie di Tolomeo
( Informazioni, Il sistema tolemaico e quello copernicano) –, che metteva la Terra al centro
dell’universo, lo studioso polacco sostiene la centralità del Sole all’interno del sistema pla-
netario ( T5, p. 570). Nel 1543 rende pubblica la sua scoperta nell’opera De revolutionibus or-
bium coelestium [Sulle rivoluzioni dei corpi celesti]. La posizione di Copernico, che all’inizio
non provoca l’opposizione della Chiesa in quanto era stata presentata come semplice ipotesi
teorica, portò, nel secolo successivo, alla condanna di Galileo Galilei, il quale sostenne aperta-
ZIONI
INFORMA
Il sistema tolemaico e quello copernicano
Tolomeo “mette” la Terra al centro nel II secolo d.C. dall’astronomo Tolo- so). Ruoterebbero intorno al nostro pia-
dell’universo meo. Nasce così il sistema tolemaico neta le sfere celesti, con le stelle fisse
Nel IV secolo a.C. Aristotele elabora una o aristotelico, detto anche geocentrico che segnano il confine dell’universo.
visione del cosmo che viene ripresa (cioè con la Terra al centro dell’univer- Nel Medioevo il sistema geocentrico
viene fatto proprio dalla Chiesa, che
modella sul cosmo aristotelico l’aldilà
celeste, come appare anche nella Com-
media dantesca.
La teoria di Copernico
Nel 1543 con la pubblicazione del De
revolutionibus orbium coelestium [Le
rivoluzioni dei corpi celesti], Coperni-
co propone un sistema eliocentrico
(cioè con il Sole al centro dell’uni-
verso). Anche scienziati successi-
vi, come Galilei e il tedesco Keplero
(1571-1630), il quale scopre che il
movimento dei pianeti intorno al Sole
è ellittico e non circolare, partono dal-
la concezione eliocentrica per elabo-
rare le loro teorie.
569
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
mente la teoria copernicana e ne dimostrò concretamente (cioè con prove derivanti dall’osser-
vazione astronomica) la fondatezza.
L’anatomia: Il Cinquecento è anche il secolo in cui nasce l’anatomia moderna. Già nel Quattrocento Leo-
Leonardo e Vesalio nardo aveva compiuto numerosi studi di anatomia, disegnando nei suoi appunti personali il
corpo umano con una cura e una precisione di dettagli mai raggiunta prima.
Nel 1543 il fiammingo Andrea Vesalio (1514-1564) pubblica il trattato De humani corporis
fabrica [La struttura del corpo umano], che ha un grande successo grazie alle splendide illustra-
zioni. Attraverso queste immagini, il lettore era in grado di vedere per la prima volta l’interno
del corpo umano e i suoi organi, come se stesse assistendo al sezionamento di un cadavere o
a una lezione di anatomia dal vero.
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono le principali scoperte scientifiche del Rinascimento?
In cosa consiste la teoria copernicana?
Un’opinione «assurda»
Il brano riportato è tratto dalla Prefazione all’opera. Copernico, dedicando l’opera a papa Paolo III, si mo-
stra già perfettamente consapevole della portata innovativa del suo messaggio e della necessità di evi-
tare i pericoli di una contrapposizione fra ciò che è scritto nella Bibbia e quello che sostengono le scoper-
te scientifiche.
I TEMI centralità del Sole nell’universo portata rivoluzionaria di una nuova teoria astronomica
Forse Vostra Santità […] desidererà sapere da me come mi sia venuto in mente di andare con-
tro l’opinione ormai stabilita dei matematici e quasi contro lo stesso senso comune, imma-
ginando qualche movimento della terra. […] Sebbene l’opinione potesse sembrare assurda,
tuttavia, poiché sapevo che prima di me ad altri1 era stata concessa questa libertà, cioè di im-
5 maginare qualsivoglia cerchio per spiegare i fenomeni celesti, ritenni che anche a me senza
difficoltà fosse concesso di cercare se, ammesso un qualche movimento della terra, si potes-
sero trovare spiegazioni più sicure delle loro sulla rivoluzione delle sfere celesti. E così […]
finalmente, dopo lunghe e ripetute osservazioni, trovai che, se si rapportavano i movimenti
degli astri erranti a quello circolare della terra2 e si calcolava quindi il movimento di rivoluzio-
1 prima di me ad altri: la centralità del Sole anziché della 2 se si rapportavano...terra: se si riferivano i movimen-
Terra nell’universo era già stata sostenuta nell’antichità ti apparenti dei pianeti (astri erranti) al movimento cir-
greca dai pitagorici. colare della Terra attorno al Sole.
570
CAPITOLO 2 Scienza e letteratura fra Medioevo e Rinascimento TEMI
10 ne di ogni astro, non solo conseguivano di qui i lor movimenti apparenti, ma anche gli ordini
e le grandezze degli astri e di tutte le sfere e inoltre il cielo stesso si trovavano in una tale
connessione che non si poteva in nessuna loro parte spostare qualcosa senza che ne derivasse
confusione nelle altre parti e nella totalità. […]
E se tuttavia ci saranno dei chiacchieroni i quali, pur ignorando tutte le scienze matemati-
15 che, pretendano di trinciare giudizi su esse, in virtù di qualche brano della Sacra Scrittura, di
cui abbiano malamente stravolto il senso per i loro scopi, e osino attaccare e schernire questa
mia opera, non me ne curo affatto fino, anzi, a disprezzare il loro giudizio come temerario.
N. Copernico, Opere, a cura di F. Barone, Utet, Torino1979.
ANALISI Uno stile “cauto” Nella sua Prefazione, Copernico appare perfettamente consapevole della
novità della sua teoria: anche lo stile con cui si apre il De revolutionibus mostra il cauto atteg-
giamento che lo scienziato ha nel riportare i risultati delle sue osservazioni. Infatti, il brano si
apre con un avverbio dubitativo («Forse») e prosegue con frasi concessive («Sebbene l’opi-
nione potesse sembrare…») e ipotetiche («se, ammesso un qualche movimento della terra, si
potessero…»). Lo stile e il linguaggio della scrittura copernicana rivelano come l’autore fosse
consapevole delle difficoltà che avrebbe incontrato nel sostenere le sue teorie.
571
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
IL SAPERE SCIENTIFICO NEL MEDIOEVO
L’epoca medievale, caratterizzata da una visione statica del reale e domi- il sapere scientifico nel Medioevo
nata dall’idea che l’ordine del mondo sia voluto da Dio, favorisce la nasci-
ta di sistemi di conoscenza unitari e gerarchici. Si sviluppa per esempio
ordine del mondo voluto da Dio
l’enciclopedismo, in cui ogni conoscenza è subordinata alla teologia e na-
sce la Scolastica, una scuola filosofica dominata dal pensiero di Tommaso
d’Aquino, che propone una lettura cristiana della filosofia aristotelica. La
enciclopedismo Scolastica
natura è interpretata simbolicamente attraverso i bestiari, trattati dedicati
agli animali e alle loro caratteristiche in senso religioso e morale.
La cultura araba si mostra più concreta e incline allo studio della natura: trattati che analizzano la natura
introduce il sistema numerale, adottato poi dal mondo cristiano, e una se- in senso religioso e morale
rie di importanti formule matematiche.
LA SCIENZA NELL’UMANESIMO…
L’Umanesimo sancisce la fortuna di saperi più concreti e immediatamen- il sapere scientifico nell’Umanesimo
te utilizzabili, come l’ingegneria, l’architettura e la costruzione di mac-
chine, di cui un esempio è offerto dalle invenzioni di Leonardo da Vinci
(1452-1519). Questo studioso pone le basi per la fondazione del moder- saperi concreti saperi
no metodo scientifico: occorre partire dall’osservazione diretta della na- e utilizzabili irrazionali
tura per fondare teorie generali. Leonardo è anche il promotore della riva-
lutazione delle “arti meccaniche”, tanto criticate nel Medioevo, che per-
mettono di verificare le riflessioni teoriche. Si diffonde poi l’interesse per ingegneria • magia
alcune conoscenze di tipo irrazionale come la magia, l’alchimia e l’astro- • alchimia
logia, determinato dalla crescente volontà dell’uomo di manipolare la na- architettura • astrologia
tura e le sue leggi.
…E NEL RINASCIMENTO
Le scoperte geografiche di Colombo, Vespucci e Magellano modificano il sapere scientifico nel Rinascimento
l’immagine del mondo allora conosciuto e quella dell’uomo stesso, ca-
pace adesso di essere più padrone dello spazio. Proseguono i progressi uomo = padrone del mondo
in ambito matematico: si riscoprono i maestri della geometria e dell’arit-
metica greca (Euclide e Archimede), che portano anche alla sostituzione
dell’astrologia con l’astronomia, cioè lo studio rigoroso del movimento de- scoperte astronomia
gli astri. Il polacco Copernico lavora a una sconvolgente teoria, che sostie- geografiche
ne la centralità del Sole all’interno del sistema planetario. teoria copernicana
VERIFICHE
1 L’enciclopedismo
La cultura medievale è dominata dall’enciclopedismo. Che cosa si intende con questo termine?
a. la tendenza a organizzare il sapere in vaste enciclopedie
b. la volontà di arricchire il sapere dell’antichità con ciò che affermano le Sacre Scritture
c. l’organizzazione di ogni elemento del sapere umano all’interno di un sistema in cui tutto è subordinato alla teo-
logia
d. l’organizzazione di ogni elemento del sapere umano all’interno di un sistema indipendente dalla filosofia
572
CAPITOLO 2 Scienza e letteratura fra Medioevo e Rinascimento TEMI
2 La cultura araba
Nel Medioevo il mondo islamico ha una cultura diversa da quella occidentale. Quale di questi definizioni non
la rappresenta?
a. concreta b. simbolica c. materiale d. incline allo studio della natura
4 Il metodo di Leonardo
Il metodo di ricerca di Leonardo si basa:
a. sulla centralità dell’esperienza d. sullo studio diretto della natura
b. sulla frammentazione dei contenuti e. sullo studio dei classici
c. sulla distinzione tra uomo e natura f. sulla lettura della Bibbia
6 Leonardo antiumanistico?
In Leonardo si notano alcuni atteggiamenti di carattere antiumanistico. Quali?
573
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
VERIFICHE
9 Le arti meccaniche
Quali, tra le seguenti discipline, non possono essere considerate “arti meccaniche”?
a. pittura
b. scultura
c. edilizia
d. musica
e. astronomia
f. geometria
VERSO L’ESAME
IL COLLOQUIO
A partire dall’immagine della Gioconda di Leonardo da Vinci (cfr. p. 556) progetta un possibile percorso da
sviluppare oralmente, trovandone le implicazioni con i contenuti delle discipline del tuo percorso di studi.
Completa o modifica la seguente tabella, in parte compilata, con le materie del tuo piano di studi e con gli
argomenti che hai affrontato sia a scuola che in altre esperienze formative e di apprendimento.
DISEGNO La prospettiva
FILOSOFIA
Adesso cimentati con un’esposizione circostanziata degli argomenti in elenco. Stai attento a curare le con-
nessioni da un argomento all’altro in modo da evitare la frammentarietà del discorso. Prevedi anche una
conclusione in cui tiri le somme del percorso che hai illustrato.
574
Andrea Mantegna, Famiglia e corte di Ludovico III Gonzaga, 1465-1474. Mantova, Castello San Giorgio.
TEMI
CAPITOLO 3
Nuovi modelli di stile e di
comportamento nel Cinquecento PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
La centralità Già diffuso nel Quattrocento nella forma prevalente del dialogo, il genere del trattato si affer-
del genere ma nel Cinquecento per una serie di ragioni:
trattatistico
1. la tendenza all’unità di cultura e di comportamento: nei trattati si cerca di superare le
differenze culturali e storiche che esistono tra le diverse corti rinascimentali per stabilire
invece modelli generali e omogenei di cultura e di comportamento. Attraverso questa spin-
ta all’unità, gli intellettuali si riconoscono come ceto a sé stante, indipendente dalle
diverse corti in cui svolgono le loro attività; d’altra parte, il potere trae beneficio da questa
opera di unificazione e regolamentazione dei comportamenti, che possono così essere sot-
toposti ad un controllo più efficace.
2. il legame con la pedagogia: già nel corso del Quattrocento si era diffusa la pratica della
pedagogia, basata sull’idea che l’uomo sia artefice del proprio destino: «sors animae filia» (‘il
destino è figlio dell’anima’) è un motto di Pico della Mirandola. La trattatistica rinascimen-
tale propone nuove regole per aiutare l’educazione dell’uomo;
3. il legame con il platonismo e con il concetto di imitazione: già nel Quattrocento la ri-
scoperta del platonismo aveva diffuso la convinzione che esistessero modelli ideali e stabi-
li di perfezione ai quali occorreva avvicinarsi nella realtà. La pubblicazione della Poetica di
Aristotele nel 1536 rilancia il concetto di imitazione, che presuppone l’esistenza di norme
precise da seguire.
575
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
I temi del trattato La trattatistica del Cinquecento copre un’ampia serie di temi, suddivisibili in quattro grandi
nel Cinquecento aree:
1. la vita morale, interiore e sociale: appartengono a quest’area sia i trattati sull’amore,
come gli Asolani di Pietro Bembo ( § 2), sia i trattati sull’agire umano, come l’Elogio della
follia di Erasmo da Rotterdam ( § 5);
2. la vita civile e sociale: appartengono a quest’area i trattati che celebrano particolari am-
bienti sociali e propongono modelli di comportamento, come il Cortegiano di Baldassar
Castiglione e il Galateo di Giovanni della Casa ( § 3), ma anche quelli che propongono
modelli sociali alternativi, come l’Utopia di Tommaso Moro ( § 5). Parallelamente, si
sviluppa anche una trattatistica di tipo comico e parodico, che fa il verso ai grandi model-
li celebrando gli aspetti più bassi della vita: nei Ragionamenti di Pietro Aretino ( § 4) si
insegna ad esempio come diventare prostitute o ruffiane;
3. la storia e la politica: appartengono a quest’area i trattati che ricostruiscono la storia
passata e presente, cercando di individuare una soluzione politica ai mali dell’Italia: è il
caso esemplare del Principe di Niccolò Machiavelli;
4. le arti e la letteratura: appartengono a quest’area i trattati che danno forma istituzionale
alle varie arti e ai diversi generi letterari e che stabiliscono il canone e il gusto rinascimen-
tale: è il caso del modello linguistico proposto da Bembo nelle Prose della volgar lingua ( § 2).
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono le ragioni per cui il genere del trattato si afferma nel Cinquecento?
Quali sono i temi principali del trattato cinquecentesco?
2 Le riflessioni di Bembo
sull’amore e sulla lingua
L’importanza storica e culturale di Bembo
La collaborazione Nella trattatistica del Cinquecento un posto di rilievo spetta a Pietro Bembo (Venezia 1470-
con Manuzio 1547). Noto soprattutto per aver dato una svolta alla riflessione linguistica del tempo con le sue
Prose della volgar lingua, si inserisce anche (con gli Asolani) nella discussione sull’amore aperta-
si nel Medioevo. Collabora inoltre con l’umanista Aldo Manuzio, il tipografo veneziano che
all’inizio del secolo aveva creato una collana di libri tascabili, pubblicando prima Virgilio, poi
Orazio. Una svolta decisiva per le sorti della letteratura italiana – dovuta proprio alla collabora-
zione tra Bembo e Manuzio – fu rappresentata dalla scelta di pubblicare fra i classici tasca-
bili anche Petrarca e Dante. Questi due autori venivano ad assumere, così, la stessa autorità
di quelli latini.
La vita La vita di Pietro Bembo (nato a Venezia nel 1470) è segnata da vari spostamenti: risiede preva-
lentemente nella città lagunare fino al 1506; è a Urbino dal 1506 al 1512 e a Roma nel periodo
1512-1521. Si trasferisce poi a Padova, dove resta fino al 1539. Nominato cardinale, torna a risie-
dere a Roma, dove abiterà fino alla morte (1547). Tanto la discussione sull’amore quanto la que-
stione della lingua nel primo Cinquecento furono profondamente influenzate dalle tesi di
576
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
forme
dialogo in tre libri sull’amore,
Asolani
ambientato ad Asolo, alla corte di
Caterina Comaro
Bembo, esposte in due importanti trattati: gli Asolani, pubblicato nel 1505 a Venezia, e le Pro-
se della volgar lingua, uscito a Padova nel 1525. Nel 1530 Bembo stampa inoltre la prima edi-
zione delle Rime, basate sull’imitazione di Petrarca.
L’imitazione dello Sul piano linguistico, gli Asolani costituiscono un esempio di prosa alta, modellata sullo stile
stile di Boccaccio e sulla lingua di Boccaccio. Si tratta della prima opera in rigoroso toscano letterario compo-
sta da un autore non toscano. La lingua qui usata da Bembo non è quella che si parlava al suo
tempo a Firenze, ma una lingua di due secoli prima, che ai fiorentini contemporanei appariva
arcaizzante e lontana da quella della comunicazione quotidiana.
577
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Un elogio Gli Asolani riassumono le principali idee sull’amore che caratterizzano il dibattito del Rinasci-
dell’amore mento: Perottino riprende la condanna classica dell’amore fonte di dolore; Gismondo esalta le
platonico
gioie sensuali dell’amore; Lavinello si fa portavoce della teoria platonica dell’amore. L’amore
platonico è un’esperienza essenzialmente mentale, pura contemplazione della grazia e
dell’armonia che emanano dall’animo e dal corpo della donna. Questa visione tende a conci-
liarsi con l’idea cristiana dell’amore rivolto a Dio: negli Asolani il «romito» afferma che «la vera
bellezza non è umana o mortale», ma «divina e immortale».
Il tema amoroso Anche il Cortegiano di Baldassar Castiglione ( § 3) si conclude con l’esaltazione dell’amor pla-
nel Cortegiano di tonico, dell’amore in «assenza», che permette la contemplazione della pura bellezza nell’im-
Castiglione
maginazione, attraverso gli occhi della mente. Ma Castiglione tratta anche i riflessi del sen-
timento amoroso nella vita sociale e soprattutto nei rapporti tra coloro che vivono a corte:
da questo punto di vista, ciò che a Castiglione interessa è il «ragionamento» o l’«intertenimen-
to» (‘intrattenimento’) amoroso, che si esprime nel gioco di sguardi, di parole e di gesti tra il
cortigiano e la dama di corte.
Le Prose della Nelle Prose della volgar lingua (1525) si immagina un dialogo tra Carlo Bembo, fratello di Pietro,
volgar lingua e il Giuliano de’ Medici duca di Nemours, Ercole Strozzi e Federico Fregoso, i quali espongono le
primato del
toscano letterario loro posizioni a proposito della lingua letteraria. Le Prose esaltano la scrittura e, di conse-
del Trecento guenza, il ruolo degli intellettuali: attraverso la scrittura essi possono infatti sottrarsi ai con-
dizionamenti del tempo e raggiungere l’eternità. La lingua letteraria deve perciò basarsi su
regole fisse, accettate dall’intero ceto intellettuale e sottratte alla mutevolezza della lin-
gua parlata, che vive invece di cambiamenti e di adattamenti continui. Carlo Bembo, il cui
punto di vista rispecchia quello dell’autore, interviene nel dialogo proponendo come modelli
il Canzoniere di Petrarca per la poesia e i passi più elevati del Decameron di Boccaccio per
la prosa. Si delinea così una concezione elitaria della cultura e della letteratura, considera-
te come realtà separate dalla vita della nazione e del popolo ( T1).
Le altre voci della La posizione di Bembo in tema di lingua letteraria non era l’unica. Negli stessi anni interven-
“questione della nero nel dibattito, noto come “questione della lingua”, anche Baldassar Castiglione, attraver-
lingua” nel
Cinquecento: so alcune pagine del Cortegiano (1528), sostenendo una lingua che nascesse dallo scambio
Castiglione, tra le persone colte di tutte le corti italiane e che quindi accogliesse modi e vocaboli di tut-
Trìssino, ta la penisola. Posizione “aperta” anche quella di Gian Giorgio Trìssino (1478-1550), tradutto-
Machiavelli
re del De vulgari eloquentia di Dante, che nel Castellano (1529) immagina una “lingua italiana”
letteraria che selezioni – come auspicava Dante nel suo trattato – le forme più raffinate pre-
CONFRONTI
LA POSIZIONE DI BEMBO SULLA LINGUA E LE ALTRE TEORIE DELL’EPOCA
Nelle Prose della volgar lingua (1525) Pietro Bembo propone una lingua per la letteratura,
basata su regole fisse e lontana da quella parlata: il modello è il toscano usato
nel Decameron di Boccaccio per la prosa e nel Canzoniere di Petrarca per la poesia
Niccolò Machiavelli
Discorso intorno alla nostra lingua la lingua letteraria deve basarsi sul fiorentino vivo, cioè realmente parlato
(1525-1526)
Baldassar Castiglione
la lingua letteraria deve essere composta dall’unione delle forme migliori dei
Il Cortegiano
diversi volgari in uso nelle corti italiane
(1528)
Gian Giorgio Trissino la lingua letteraria deve essere costituita dalle forme espressive più raffinate
Il Castellano tratte da tutti i volgari d’Italia, come già teorizzato da Dante nel De vulgari
(1529) eloquentia
578
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
senti negli scrittori delle diverse regioni italiane. Decisamente più moderna la posizione di
Machiavelli, che nel Discorso intorno alla nostra lingua si proclama fautore di una lingua viva,
basata sul fiorentino parlato ai suoi tempi e non su quello letterario di due secoli prima.
La proposta di Bembo risultò vincente perché, in un Paese dove convivevano parlate diver-
se e dove mancava, diversamente da altri Stati europei, un centro politico unificante, forniva
agli intellettuali uno strumento linguistico unitario, basato su modelli di indiscusso presti-
gio come Petrarca e Boccaccio. L’efficacia di questo strumento di comunicazione scritta per
mise al ceto intellettuale di assumere un ruologuida nella trasformazione della società rina
scimentale e di vedere così rafforzata la propria funzione. Di qui la grande fortuna degli Asola-
ni e soprattutto delle Prose della volgar lingua. In particolare la poesia trovò nel petrarchismo di
Bembo un codice espressivo capace di durare per secoli.
FACCIAMO IL PUNTO
Quale tipologia di amore Bembo elogia negli Asolani?
Quali sono i modelli di lingua letteraria proposti da Bembo, Machiavelli, Castiglione e Trìssino?
T1 Pietro Bembo [Prose della volgar lingua, Libro primo, capp. XVIII-XIX]
1 Tacevasi...tacevano: si noti la struttura a cò subito in questo modo (in questa guisa). uomini viventi [: a lui contemporanei]. La tesi di
chiasmo che apre questo capitolo: «Taceva- 3 Debole...dato: Avete dato alle vostre idee un ap- Giuliano individua soprattutto nella lingua
si… il Magnifico… gli altri… tacevano». Il Ma- poggio fragile e costruito sulla sabbia (arenoso). dell’uso l’ambito di riferimento per una scrittu-
gnifico è Giuliano de’ Medici (1479-1516), 4 dicendo...ciascuno: sostenendo che, poiché le ra che voglia essere sempre viva e attuale.
duca di Nemours, ma conosciuto con lo stes- lingue (favelle) mutano, quando qualcuno (altri) 5 a coloro...gentili: converrebbe attribuire
so soprannome del padre Lorenzo. medesi- si mette a scrivere deve sempre avvicinare e assimi- una lode maggiore a coloro che scrivono secon-
mamente: ugualmente. lare i suoi componimenti alla lingua parlata (a do l’uso popolare [: la lingua parlata], [piutto-
2 aspettando...rispose: attendendo quello che quel parlare) che è in bocca alla gente, dal mo- sto] che a quelli che compongono le loro opere
mio fratello [: Carlo Bembo] controbattesse mento che (con ciò sia cosa che) ciascuno [scrit- (scritture) con più figure retoriche e con più
(recasse allo ’ncontro), e Carlo [infatti] repli- tore] deve cercare di essere letto e compreso dagli raffinatezza (più figurate e più gentili).
579
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
suoi poemi usa modi del dire in tutto lontani dall’usanze del popolo, e costoro non vi si disco-
stano giamai.6 La lingua delle scritture, Giuliano, non dee a quella del popolo accostarsi, se
non in quanto, accostandovisi, non perde gravità, non perde grandezza; che altramente ella
discostare se ne dee e dilungare, quanto le basta a mantenersi in vago e in gentile stato.7 Il che
15 aviene per ciò, che appunto non debbono gli scrittori por cura di piacere alle genti solamente,
che sono in vita quando essi scrivono, come voi dite, ma a quelle ancora, e per aventura mol-
to più, che sono a vivere dopo loro: con ciò sia cosa che ciascuno la eternità alle sue fatiche più
ama, che un brieve tempo.8 E perciò che non si può per noi compiutamente sapere quale ab-
bia ad essere l’usanza delle favelle di quegli uomini, che nel secolo nasceranno che appresso
20 il nostro verrà,9 e molto meno di quegli altri, i quali appresso noi alquanti secoli nasceranno,
è da vedere che alle nostre composizioni tale forma e tale stato si dia, che elle piacer possano
in ciascuna età, e ad ogni secolo, ad ogni stagione esser care; sì come diedero nella latina lin-
gua a’ loro componimenti Virgilio, Cicerone e degli altri, e nella greca Omero, Demostene e
di molt’altri ai loro; i quali tutti, non mica secondo il parlare, che era in uso e in bocca del vol-
25 go della loro età, scriveano, ma secondo che parea loro che bene lor mettesse a poter piacere
più lungamente.10 Credete voi che se il Petrarca avesse le sue canzoni con la favella compo-
ste de’ suoi popolani, che elle così vaghe, così belle fossero come sono, così care, così gentili?
Male credete, se ciò credete. Né il Boccaccio altresì con la bocca del popolo ragionò; quantun-
que alle prose ella molto meno si disconvenga, che al verso.11 Che come che egli alcuna volta,
30 massimamente nelle novelle, secondo le proposte materie, persone di volgo a ragionare tra-
ponendo, s’ingegnasse di farle parlare con le voci con le quali il volgo parlava, nondimeno egli
si vede che in tutto ’l corpo delle composizioni sue esso è così di belle figure, di vaghi modi e
dal popolo non usati, ripieno, che meraviglia non è se egli ancora vive, e lunghissimi secoli vi-
verà.12 Il somigliante13 hanno fatto nelle altre lingue quegli scrittori, a’ quali è stato bisogno,
35 per conto delle materie delle quali essi scriveano, le voci del popolo alle volte porre nel cam-
po delle loro scritture,14 sì come sono stati oratori e compositori di comedie o pure di cose che
6 e Virgilio...giamai: e Virgilio sarebbe stato 10 i quali...lungamente: i quali non scrive- nelle novelle, introducendo a parlare (a ragio-
considerato di minor pregio rispetto a quanto vano secondo la lingua parlata nell’uso e sulla nare traponendo), a seconda degli argomenti,
per caso lo furono molti attori (dicitori) nelle bocca del popolo della loro età, ma nel modo personaggi popolari, cercasse di farli esprimere
piazze e tra il popolo, poiché (con ciò sia cosa che a loro risultasse utile (che parea loro che con le voci proprie del popolo, tuttavia risulta
che) [mentre] egli [: Virgilio] assai spesso nei bene lor mettesse) a procurare piacere più a chiaro che nel nucleo consistente (in tutto ’l
suoi poemi usa espressioni del tutto lontane dal- lungo. corpo) delle sue composizioni è così ricco di bel-
la pratica popolare, costoro [: i dicitori] non se 11 quantunque...verso: sebbene alla prosa es- le figure [retoriche], di espressioni eleganti non
ne allontanano mai. La tesi di Carlo Bembo è sa [: la lingua popolare] sia meno sconveniente usate dal popolo, che non fa meraviglia se egli vi-
che la definizione di un volgare comune non che al verso. Mentre la purezza del linguaggio ve ancora e se vivrà nei secoli futuri.
deve tener conto delle varietà locali e popola- petrarchesco non lascia dubbi sulla canonici- 13 Il somigliante: La stessa cosa.
ri della lingua, ma attenersi a modelli alti e tà classica del suo stile, per Boccaccio Carlo 14 a’ quali...scritture: per i quali, in rapporto
ben individuati. Bembo è costretto ad ammettere qualche at- agli argomenti su cui scrivevano, è stato neces-
7 se non...stato: se non per quel tanto che, av- tenuante, giustificata, subito dopo, con la sario inserire nella loro scrittura le voci del po-
vicinandovisi [: alla lingua popolare], essa non particolarità tematica delle sue numerose polo. L’apporto della lingua popolare, dun-
perda gravità né grandezza; perché altrimenti se novelle e la diversa provenienza sociale dei que, per Bembo si restringe all’ambito di una
ne deve allontanare e prenderne distanza (di- vari personaggi. citazione, distinguibile come elemento “ec-
lungare), quanto le è sufficiente per mantenere 12 Che come...viverà: Sebbene (Che come cezionale” in un contesto che deve mante-
un livello di piacevolezza e di gentilezza (in vago che) egli [Boccaccio] qualche volta, soprattutto nersi sempre a un livello più alto.
e in gentile stato). La gravità proposta da
Bembo deriva dalla gravitas latina e può essere LA LINGUA NEL TEMPO
interpretata come eloquenza solenne e deco-
Gravità Il termine «gravità» (r. 13) proviene dal latino gravitas, che significa ‘pesantezza’. La
rosa sostenutezza ( La lingua nel tempo).
gravitas nell’epoca dei Romani indicava una delle virtù umane più importanti, cioè la serietà, in-
8 Il che...tempo: Carlo Bembo invita Giulia- tesa come fermezza di carattere e costanza. La “gravità” proposta da Bembo deriva dalla gra-
no a concepire la scrittura come un’attività
vitas latina e può essere interpretata come eloquenza solenne e decorosa sostenutezza. Og-
destinata non solo alle generazioni contem-
gi il termine ha assunto diversi significati: 1) può indicare la proprietà di ciò che è importante e
poranee allo scrittore o al brieve tempo del
quindi spesso anche preoccupante (per esempio “la gravità di una decisione”); 2) può esprime-
nostro quotidiano, ma proiettata nei lettori
re qualcosa che è difficile da sopportare, di solito in relazione ai suoi effetti dannosi (“la gravi-
futuri e addirittura nell’eternità.
tà di una malattia”); 3) può essere sinonimo di ‘compostezza, austerità’ (“gravità dell’aspet-
9 quale...verrà: quale sarà l’uso della lingua to”); 4) può riferirsi alla forza di attrazione verso il centro della Terra (“la legge di gravità”); 5)
(l’usanza delle favelle) da parte degli uomini
può indicare la qualità dei suoni di tono basso (“sentire un suono grave”).
che nasceranno nel secolo successivo al nostro.
580
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
al popolo dirittamente si ragionano, se essi tuttavia buoni maestri delle loro opere sono sta
ti.15 Quale altro giamai fu, che al popolo ragionasse più di quello che fe’ Cicerone?16 Nondi
meno il suo ragionare in tanto si levò17 dal popolo, che egli sempre solo, sempre unico, sem
40 pre senza compagnia18 è stato. […]
Ora mi potreste dire: cotesto tuo scriver bene onde si ritra’ egli, e da cui si cerca?19 Hass’egli
sempre ad imprendere dagli scrittori antichi e passati?20 Non piaccia a Dio sempre, Giuliano,
ma sì bene ogni volta che migliore e più lodato è il parlare nelle scritture de’ passati uomini,
che quello che è o in bocca o nelle scritture de’ vivi. Non dovea Cicerone o Virgilio, lasciando
45 il parlare della loro età, ragionare con quello d’Ennio o di quegli altri, che furono più antichi
ancora di lui, perciò che essi avrebbono oro purissimo, che delle preziose vene del loro fertile
e fiorito secolo si traeva, col piombo della rozza età di coloro cangiato;21 sì come diceste che
non doveano il Petrarca e il Boccaccio col parlare di Dante, e molto meno con quello di Guido
Guinicelli e di Farinata e dei nati a quegli anni ragionare.22 Ma quante volte aviene che la ma-
50 niera della lingua delle passate stagioni è migliore che quella della presente non è, tante volte
15 o pure...stati: oppure di composizioni indi- poranei (dei nati a quegli anni). Carlo Bem te, tendeva a porsi come “esemplare”. Fari-
rizzate espressamente al popolo, se essi sono tut- bo risponde ancora a Giuliano, che aveva so nata è Farinata degli Uberti (morto nel
tavia risultati buoni maestri delle loro opere. stenuto la necessità di attenersi ad un model 1264), il famoso personaggio storico della fa
Qui “maestro” va inteso nel suo senso più lo linguistico vivo, dimostrando che anche zione ghibellina (cfr. Dante, Inferno X). Era
ampio e quindi anche come sapiente costrut- Petrarca e Boccaccio si erano ispirati a un idea contemporaneo di Guinizzelli, il “padre” del
tore-conduttore del testo. le di lingua che, oltrepassando persino Dan lo Stil novo.
16 Quale...Cicerone?: Quale altro [scrittore]
mai ci fu che si rivolgesse più spesso al popolo di
quanto abbia fatto Cicerone? Bembo si riferi-
sce all’attività oratoria e, dunque, pubblica
del grande scrittore latino.
17 sì levò: si distinse.
18 senza compagnia: isolato, perché senza
rivali.
19 cotesto...cerca?: da dove può essere tratto
(onde si ritra’) questo tuo scrivere bene e pres-
so chi deve essere cercato? Dopo le affermazio-
ni teoriche, Bembo passa a definire in pratica
quali autori occorre imitare nella lingua e
considerare “canonici”.
20 Hass’egli...passati: Si deve sempre ap-
prendere dagli scrittori antichi [greco-latini] e
da quelli [a noi] precedenti? egli è pleonastico.
21 Non dovea...cangiato: Cicerone o Virgilio,
trascurando il linguaggio della loro età, non do-
vevano esprimersi (ragionare) con quello di En-
nio o degli altri [scrittori] ancora più antichi,
perché avrebbero sostituito (cangiato) l’oro pu-
rissimo che veniva estratto dalle vene preziose del
loro tempo ricco e fecondo [di buona letteratura]
con il piombo [: con la pesantezza] della loro
rozza età [: quella degli autori arcaici]. Ennio
(III-II sec. a.C.), considerato il padre della let-
teratura latina, è sempre stato visto, fin dalle
poetiche classiche (Lucilio, Ovidio), come un
autore arcaico e di linguaggio non ancora raffi
nato. Avrebbero, dunque, sbagliato Cicerone e
Virgilio a eleggerlo a modello, risultando as
senti nella sua opera gli indispensabili requisi
ti di armonia e di purezza linguistica.
22 sì come...ragionare: così come diceste che
Petrarca e Boccaccio non dovevano esprimersi
con la lingua di Dante, e ancora meno con quel- Giovanni Boccaccio e Francesco Petrarca, miniatura da un manoscritto del 1480 circa. Londra,
la di Guinizzelli e di Farinata e dei loro contem- British Library.
581
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
si dee per noi con lo stile delle passate stagioni scrivere, Giuliano, e non con quello del nostro
tempo. Perché molto meglio e più lodevolmente avrebbono e prosato e verseggiato, e Seneca
e Tranquillo e Lucano e Claudiano e tutti quegli scrittori, che dopo ’l secolo di Giulio Cesare e
d’Augusto e dopo quella monda e felice età stati sono infino a noi, se essi nella guisa di que’ lo-
55 ro antichi, di Virgilio dico e di Cicerone, scritto avessero, che non hanno fatto scrivendo nella
loro;23 e molto meglio faremo noi altresì, se con lo stile del Boccaccio e del Petrarca ragione-
remo nelle nostre carte,24 che non faremo a ragionare col nostro, perciò che senza fallo alcu-
no25 molto meglio ragionarono essi che non ragioniamo noi. Né fie per questo che dire si pos-
sa, che noi ragioniamo e scriviamo a’ morti più che a’ vivi.26 A’ morti scrivono coloro, le scrit-
60 ture de’ quali non sono da persona lette giamai, o se pure alcuno le legge, sono que’ tali uomi-
ni di volgo, che non hanno giudicio27 e così le malvagie cose leggono come le buone, perché
essi morti si possono alle scritture dirittamente chiamare, e quelle scritture altresì, le quali in
ogni modo muoiono con le prime carte.28 La latina lingua, sì come si disse pur dianzi, era agli
antichi natia,29 e in quel grado medesimo che è ora la volgare a noi, che così l’apprendevano
65 essi tutti e così la usavano, come noi apprendiamo questa e usiamo, né più né meno. Non per-
ciò ne viene, che quale ora latinamente scrive, a’ morti si debba dire che egli scriva più che a ’
vivi, perciò che gli uomini, de’ quali ella era lingua, ora non vivono, anzi sono già molti seco-
li stati per lo adietro.30
P. Bembo, Prose della volgar lingua. Gli Asolani. Rime, a cura di C. Dionisotti, Tea, Milano 1993.
23 Perché molto...loro: Perché avrebbero ca.) è uno degli ultimi poeti pagani, imitatore giustamente (dirittamente) definiti “morti”
scritto in prosa (prosato) e in versi in modo mi- dei classici. riguardo alla scrittura [letteraria], e [morte]
gliore e più lodevole Seneca, Svetonio Tranquil- 24 nelle nostre carte: nei nostri scritti. anche quelle opere che deperiscono fin dalle pri-
lo, Lucano, Claudiano e tutti gli scrittori vissuti 25 senza fallo alcuno: senza alcuna possibili- me pagine (con le prime carte).
dopo l’età pura (monda) e felice di Cesare e di tà di errore. 29 natia: nel senso di naturale e innata.
Augusto fino alla nostra, se avessero scritto alla 26 Né fie...vivi: Né per questo si potrà dire che 30 Non perciò...adietro: Non per questo ne
maniera (guisa) degli autori antichi, Virgilio e noi parliamo e scriviamo più ai morti che ai vi- consegue che colui che adesso scrive in latino si
Cicerone, cosa che non hanno fatto scrivendo vi. Questa è la tesi sostenuta da Giuliano in rivolga ai morti piuttosto che ai vivi dal mo-
nella loro [: nella lingua del loro tempo]. Sene- tutto il trattato. fie è la forma antica di futuro mento che non vivono più gli uomini di cui [il
ca e Lucano sono due scrittori latini di origine del verbo fieri con il significato di ‘accadere’ latino] era la lingua, e anzi sono già vissuti mol-
spagnola. Il primo, filosofo, e l’altro, poeta (fiet = ‘accadrà’). ti secoli fa (per lo adietro). La tesi di Carlo
epico autore della Farsaglia, morirono nel 65 27 che non hanno giudicio che non hanno la Bembo è che la vera letteratura è sempre at-
d.C. per volere di Nerone; Svetonio (tra I e II ragione e, dunque, neppure la possibilità di tuale e si incarna nelle opere che attraversa-
sec. d.C.) era a capo degli archivi imperiali e valutare le opere. no il tempo, superando le mode, i gusti, i giu-
biografo dei Cesari; Claudiano (370 ca.-404 28 perché...carte: perciò essi possono essere dizi effimeri del pubblico popolare.
ANALISI La strategia argomentativa di Bembo In questo brano, uno dei più importanti delle Prose
della volgar lingua, Bembo attua una strategia argomentativa volta a sostenere una tesi pre-
582
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
cisa: il rifiuto del fiorentino parlato come lingua letteraria e l’adozione a modello di due grandi
autori, Petrarca e Boccaccio. Per mostrare tutti gli snodi logici del suo ragionamento, egli fa
grande uso dei connettivi testuali: «Perciò», usato molto all’inizio delle frasi per collegar le une
alle altre; «con ciò sia cosa che» con il significato di ‘poiché’, che introduce proposizioni cau-
sali; «nondimeno» con il valore di ‘ciò nonostante’, spesso inserito dopo una proposizione con-
cessiva. Il brano è quindi sia un discorso di critica letteraria, che giudica e classifica gli scrit-
tori del passato, sia uno di poetica che, formulando un giudizio di valore estetico, lo suggeri-
sce agli scrittori come esemplare da seguire e da imitare.
INTERPRETAZIONE La letteratura come arte perfetta e aristocratica Bembo teorizza qui la sua idea di lette-
E COMMENTO ratura: essa è sottratta a ogni immediata funzione sociale e volta esclusivamente a raggiun-
gere un ideale di bellezza formale e di perfezione aristocratica. A Bembo interessa solo la
forma, non il contenuto. Il letterato non deve preoccuparsi del popolo e dei contemporanei, ma
solo di una cerchia di pochi intenditori e del pubblico futuro: dai posteri infatti dipenderà la sua
gloria. La vera letteratura ha un valore assoluto, indipendente dai condizionamenti del tempo
e delle mode. Questo ideale si raggiunge attraverso l’imitazione di un modello di eccellenza
valido in ogni epoca. Così l’arte risulta sottratta alla storia ed esaltata al di sopra di ogni altra
attività umana. La prospettiva di Bembo è volta evidentemente a valorizzare anche l’intellet-
tuale e la sua condizione separata e privilegiata.
583
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
L’OPERA
IL CORTEGIANO DI BALDASSAR CASTIGLIONE
Forme dialogo in 4 libri ambientato alla corte di Urbino nel 1506
584
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
La struttura del Il Cortegiano è diviso in quattro libri, preceduti da una lettera dedicatoria a Michele De Silva,
Cortegiano vescovo di Viseu in Portogallo.
Il dialogo è collocato nel 1506, nella corte di Urbino ( T2, p. 587), dove si immagina che
per quattro sere siano riuniti intorno alla contessa Elisabetta Gonzaga una trentina di cortigia-
ni, fra cui Pietro Bembo e Giuliano de’ Medici conte di Nemours: argomento delle loro discus-
sioni è la definizione del perfetto cortigiano. Castiglione allontana nel tempo l’occasione
del dialogo. L’autore vuole infatti svincolare l’opera da una situazione troppo attuale e concre-
ta: può così fornire un modello assoluto di comportamento, valido nelle diverse corti europee
e non circoscritto a una situazione storica specifica.
La «medietà» Nel secondo libro si indicano le altre qualità del cortigiano: deve saper combattere e pri-
meggiare nei tornei cavallereschi, saper cantare e danzare. L’ideale è quello di una «me-
dietà», che deve tenerlo lontano da ogni eccesso, anche nel vestire e nell’atteggiarsi. Il concet
to di medietà è legato a una categoria culturale che si stava iniziando a diffondere nella civiltà
europea: quella del buon gusto, inteso come equilibrata capacità di rispettare un codice di com-
portamento e un sistema di valori.
Le qualità La dama ha, rispetto al cortigiano, qualità specifiche. «Alla donna sta bene aver una tenerezza
specifiche della molle e delicata», una «dolcezza feminile, che nell’andar e stare e dir ciò che si voglia sempre
gentildonna di
corte la faccia parer donna, senza similitudine alcuna d’omo». Perciò non deve andare a cavallo, né
fare inopportuni esercizi fisici, né assumere atteggiamenti maschili. La bellezza è un attribu-
to fondamentale della gentildonna, a lei più necessario che al cortigiano. La donna conquista
un ruolo centrale nella vita di corte; tuttavia la sua posizione resta sempre contraddistinta
dall’inferiorità sociale rispetto all’uomo. La dama è un’intrattenitrice: deve possedere
un’«affabilità piacevole, per la quale sappia gentilmente intertenere ogni sorte d’omo con ra-
gionamenti grati ed onesti, ed accomodati [adatti] al tempo e loco ed alla qualità di quella per-
sona con cui parlerà». Nella conversazione deve dimostrarsi virtuosa, cercando un difficile
equilibrio fra libertà e onestà.
Nel Cinquecento le norme morali si irrigidiscono e si raccomanda alla donna assoluta fedeltà.
I rapporti sessuali fuori dal matrimonio sono perciò vietati: la donna di palazzo, se indotta ad ama
re altri da un marito odioso, non dovrà concedere all’amante «niuna altra cosa... eccetto che l’ani
mo» e se non sarà maritata, «avendo d’amare voglio che ella ami uno col quale possa maritarsi».
585
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Letteratura- Il Cortegiano esce nel 1528, l’anno che segue il sacco di Roma, quando il mondo vagheggiato da
mondo. Un modello Castiglione stava ormai crollando; ma ciò non impedì al libro di offrire un modello efficace di
europeo
vita alle corti europee. Su quel modello sarebbero vissute le famiglie reali e la nobiltà di Fran
cia, Spagna, Inghilterra, Paesi tedeschi, Russia; si sarebbe organizzata la reggia di Versailles nei
pressi di Parigi e i castelli di mezza Europa. In questo modo, proprio nel momento in cui la ci
viltà umanisticorinascimentale tramontava in Italia, che più di ogni altra parte di Europa
aveva contribuito a crearla, da qui si trasmetteva al resto del continente. Il prestigio dell’Italia
e dell’italiano sarebbe anche per questa ragione rimasto molto alto, pur in assenza di una pre
senza significativa sullo scenario politico e militare internazionale.
CONFRONTI
CONFRONTO FRA IL CORTEGIANO E IL GALATEO
forme destinazione
Il Cortegiano (1528)
dialogo sui valori più alti della civiltà pubblico ristretto e aristocratico della corte
forme destinazione
Il Galateo (1558)
dialogo sulle regole della buona educazione gentiluomini, cittadini
FACCIAMO IL PUNTO
Cosa si propone di descrivere il Cortegiano?
Quali sono le qualità del perfetto cortigiano secondo Castiglione?
586
T2
TESTO GUIDA Baldassar Castiglione [Il libro del Cortegiano, Libro primo, capp. II-V]
I capitoli iniziali presentano l’ambientazione del dialogo, avvenuto nel 1506, alla corte di Guidobaldo di
Montefeltro e della moglie Elisabetta Gonzaga. Dopo aver descritto brevemente la città e il palazzo duca-
le, si parla del duca Federico (cap. II), poi del figlio Guidobaldo (cap. III), infine di Elisabetta Gonzaga e
della corte (cap. IV e inizio del cap. V). L’elogio della duchessa non ha niente di eccessivo: in effetti Elisa-
betta fu una delle donne di corte che nella sua epoca ebbe maggiore influenza, anche nelle attività cultu-
rali. Si costruisce così, in queste pagine, il mito di Urbino.
corte riunascimentale come luogo in cui trionfa l’armonia
I TEMI “grazia” come base dell’educazione del perfetto cortigiano
II
Alle pendici dell’Appennino, quasi al mezzo della Italia verso il mare Adriatico, è posta, come
ognun sa, la piccola città d’Urbino; la quale, benché tra monti sia, e non così ameni come forse
alcun’altri che veggiamo in molti lochi, pur di tanto avuto ha il cielo favorevole,1 che intorno
il paese è fertilissimo e pien di frutti; di modo che, oltre alla salubrità dell’aere, si trova abun-
5 dantissima d’ogni cosa che fa mestieri per lo vivere umano.2 Ma tra le maggior felicità che se
le possono attribuire, questa credo sia la principale, che da gran tempo in qua sempre è stata
dominata da ottimi Signori;3 avvenga che nelle calamità universali delle guerre della Italia es-
sa ancor per un tempo ne sia restata priva.4 Ma non ricercando più lontano, possiamo di que-
sto far bon testimonio con la gloriosa memoria del duca Federico, il quale a’ dì suoi fu lume
10 della Italia;5 né mancano veri ed amplissimi testimonii, che ancor vivono, della sua pruden-
1 pur...favorevole: ha avuto tuttavia il cielo 4 avvenga...priva: sebbene nelle calamità ge- 5 Ma non...Italia: Ma senza riportarsi [a un
così favorevole. Qui cielo assume il significato nerali (universali) delle guerre d’Italia essa tempo] più lontano, possiamo di questo [stato
anche di condizione meteorologica e dunque [: Urbino] per un certo periodo di tempo ne sia di felicità] essere buoni testimoni ricordando la
di clima. Urbino, insomma, viene subito col- rimasta priva [: della felicità procurata dalla gloria del duca Federico che al suo tempo fu luce
locata in una posizione geografica ideale, tra Signoria]. Durante le guerre combattute da [: punto di riferimento] dell’Italia. Si tratta del
le colline dell’Appennino e l’Adriatico. Cesare Borgia in Romagna (1502-1503) il du- padre di Guidobaldo, il duca Federico da
2 di modo...umano: cosicché, oltre all’aria sa- ca Guidobaldo perdette due volte il controllo Montefeltro (1422-1482) (è notissimo il suo
lutare (salubrità dell’aere), è presente in mo- della città. ritratto, opera di Piero della Francesca).
do assai abbondante tutto ciò che è necessario
(fa mestieri La lingua nel tempo) alla vi- LA LINGUA NEL TEMPO
ta umana. Urbino appare come una città eco-
nomicamente florida, ricca, produttiva.
Mestiere L’espressione “fare mestiere” (r. 5), vale, tutta insieme, ‘è necessario’, così come in
3 Ma...Signori: ecco comparire il motivo poli- latino la formula opus est, non a caso contenente il termine opus, ‘opera’, affine a mestiere nel si-
tico come dato centrale di tutta la presenta-
gnificato. Mestiere, dal latino ministerium, cioè ‘servizio’, ‘compito’, indica nell’italiano contem-
zione: la principale ricchezza della città con-
poraneo ogni tipo di lavoro esercitato abitualmente, soprattutto in riferimento ad attività ma-
siste nell’equilibrato governo della sua Signo-
nuali (“esercito il mestiere di falegname”) ed è usato in una serie di espressioni comuni, come
ria, da ritenersi superiore alle doti naturali e
“essere del mestiere”, cioè esercitare con esperienza e abilità un’attività abituale; “i ferri del me-
geografiche fin qui esposte.
stiere”, cioè l’insieme degli strumenti e delle capacità necessari per eseguire un lavoro.
587
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
zia, della umanità, della giustizia, della liberalità, dell’animo invitto6 e della disciplina milita
re; della quale precipuamente7 fanno fede le sue tante vittorie, le espugnazioni de lochi ine
TESTO GUIDA
spugnabili, la sùbita prestezza nelle espedizioni, l’aver molte volte con pochissime genti fug
gato numerosi e validissimi eserciti, né mai esser stato perditore in battaglia alcuna; di modo
15 che possiamo non senza ragione a molti famosi antichi agguagliarlo.8 Questo, tra l’altre co
se sue lodevoli, nell’aspero sito9 d’Urbino edificò un palazzo, secondo la opinione di molti, il
più bello che in tutta Italia si ritrovi; e d’ogni oportuna cosa sì ben lo fornì, che non un palaz-
zo, ma una città in forma de palazzo esser pareva;10 e non solamente di quello che ordinaria-
mente si usa, come vasi d’argento, apparamenti11 di camere di ricchissimi drappi d’oro, di se-
20 ta e d’altre cose simili, ma per ornamento v’aggiunse una infinità di statue antiche di marmo e
di bronzo, pitture singularissime, instrumenti musici d’ogni sorte;12 né quivi cosa alcuna vol-
se,13 se non rarissima ed eccellente. Appresso14 con grandissima spesa adunò un gran nume-
ro di eccellentissimi e rarissimi libri greci, latini ed ebraici, quali tutti ornò d’oro e d’argento,
estimando che questa fusse la suprema eccellenzia del suo magno palazzo.15
III
25 Costui adunque, seguendo il corso della natura, già di sessantacinque anni, come era visso,16
così gloriosamente morì; ed un figliolino di diece anni, che solo maschio aveva e senza madre,
lasciò signore dopo sé; il qual fu Guid’Ubaldo. Questo, come dello stato, così parve che di tut-
te le virtù paterne fosse erede, e sùbito con maravigliosa indole cominciò a promettere tan-
to di sé, quanto non parea che fusse licito sperare da uno uom mortale;17 di modo che estima-
30 vano gli omini delli egregi fatti del duca Federico niuno esser maggiore, che l’avere generato
un tal figliolo.18 […]
IV
Erano adunque tutte l’ore del giorno divise in onorevoli19 e piacevoli esercizi così del corpo
come dell’animo; ma perché il signor Duca continuamente, per la infirmità, dopo cena assai per
tempo se n’andava a dormire, ognuno per ordinario dove era la signora duchessa Elisabetta Gon-
35 zaga a quell’ora si riduceva;20 dove ancor sempre si ritrovava la signora Emilia Pia,21 la qual per
esser dotata di così vivo ingegno e giudicio, come sapete, pareva la maestra di tutti, e che ognu-
no da lei pigliasse senno e valore. Quivi22 adunque i soavi ragionamenti e l’oneste facezie23
588
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
s’udivano, e nel viso di ciascuno dipinta si vedeva una gioconda ilarità, talmente che quella casa
certo dir si poteva il proprio albergo24 della allegria; né mai credo che in altro loco si gustasse
TESTO GUIDA
40 quanta sia la dolcezza che da una amata e cara compagnia deriva, come quivi si fece un tempo;
ché, lassando25 quanto onore fosse a ciascun di noi servir a tal signore come quello che già di so
pra ho detto, a tutti nascea nell’animo una summa contentezza ogni volta che al conspetto del
la signora Duchessa ci riducevamo;26 e parea che questa fosse una catena che tutti in amor te
nesse uniti, talmente che mai non fu concordia di voluntà o amore cordiale tra fratelli maggior
45 di quello, che quivi tra tutti era.27 Il medesimo28 era tra le donne, con le quali si aveva liberissi
mo ed onestissimo commerzio;29 ché a ciascuno era licito parlare, sedere, scherzare e ridere con
chi gli parea; ma tanta era la reverenzia30 che si portava al voler della signora Duchessa, che la
medesima libertà era grandissimo freno;31 né era alcuno che non estimasse per lo maggior pia
cere che al mondo aver potesse il compiacer a lei, e la maggior pena di dispiacerle.32 Per la qual
50 cosa quivi onestissimi costumi erano con grandissima libertà congiunti ed erano i giochi e i ri
si al suo conspetto conditi, oltre agli argutissimi sali,33 d’una graziosa e grave maestà; ché quel
la modestia e grandezza che tutti gli atti e le parole e i gesti componeva della signora Duchessa,
motteggiando e ridendo, facea che ancor da chi mai più veduta non l’avesse, fosse per grandissi
ma signora conosciuta.34 E così nei circonstanti imprimendosi, parea che tutti alla qualità e for
55 ma di lei temperasse;35 onde ciascuno questo stile imitare si sforzava, pigliando quasi una nor
ma di bei costumi dalla presenzia d’una tanta e così virtuosa signora:36 le ottime condizioni37
della quale io per ora non intendo narrare, non essendo mio proposito, e per esser assai note al
mondo e molto più ch’io non potrei né con lingua né con penna esprimere; e quelle che forse sa
riano38 state alquanto nascoste, la fortuna, come ammiratrice di così rare virtù, ha voluto con
60 molte avversità e stimuli di disgrazie scoprire,39 per far testimonio che nel tenero petto d’una
donna in compagnia di singular bellezza possono stare la prudenzia e la fortezza d’animo, e tut
te quelle virtù che ancor40 ne’ severi omini sono rarissime.
V
Ma lassando41 questo, dico che consuetudine di tutti i gentilomini della casa era ridursi42
sùbito dopo cena alla signora Duchessa; dove, tra l’altre piacevoli feste e musiche e danze che
589
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
65 continuamente si usavano, talor si proponeano belle questioni, talor si faceano alcuni giochi
ingeniosi43 ad arbitrio44 or d’uno or d’un altro, ne’ quali sotto varii velami spesso scoprivano i
TESTO GUIDA
circonstanti allegoricamente i pensier sui a chi più loro piaceva.45 Qualche volta nasceano al-
tre disputazioni di diverse materie, o vero si mordea con pronti detti;46 spesso si faceano im-
prese,47 come oggidì chiamiamo; dove di tali ragionamenti maraviglioso piacere si pigliava
70 per esser, come ho detto, piena la casa di nobilissimi ingegni.
B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, a cura di G. Carnazzi, con introduzione di S. Battaglia, Rizzoli, Milano 1994.
43 giochi ingeniosi: Castiglione si riferisce ai 45 ne’ quali...piaceva: i presenti (circonstan- prio pensiero, al confine tra verità e finzione.
giochi di società, uno dei passatempi preferiti ti) si comunicavano sentimenti e pensieri in 46 con pronti detti: con ardite parole.
della vita di corte. forma allusiva, velata (sotto varii velami). È la 47 imprese: figure e motti ( La lingua nel
44 ad arbitrio: diretti. tipica maniera cortigiana di comunicare il pro- tempo) .
590
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
poco sulle qualità naturali del luogo e insiste invece sulle doti politiche e umane dei signori che
lo governano. Subito, insomma, l’attenzione è posta sull’aspetto umano e sociale piuttosto che
TESTO GUIDA
su quello geografico e sulla bellezza del paesaggio. Nel Rinascimento la corte acquista grande
importanza politica e culturale. La corte di Urbino, esaltata nei primi capitoli per lo splendore del
palazzo, ricco di bellezze artistiche («statue antiche di marmo e di bronzo, pitture singularis-
sime… un gran numero di eccellentissimi e rarissimi libri greci, latini ed ebraici… la suprema
eccellenzia del suo magno palazzo»), acquista subito la forza di un modello esemplare.
La vita di corte è immersa in un’atmosfera ideale di gioia e di serenità: il tempo è occupato in
«piacevoli feste e musiche e danze», in «belle questioni», in «soavi ragionamenti», in «giochi
ingeniosi». «Erano dunque tutte l’ore del giorno divise in onorevoli e piacevoli esercizi così del
corpo come dell’animo». Tutto è posto sotto il segno dell’armonia: armonia tra corpo e anima,
conformemente ai principi dell’educazione rinascimentale, e armonia nei rapporti sociali, rego-
lati da una «concordia di voluntà o amore cordiale tra fratelli».
Alla base dell’equilibrio sta il superiore controllo dell’intelligenza. Anche gli svaghi mirano a un
piacere che è soprattutto gioco intellettuale e letterario: «dove di tali ragionamenti maraviglioso
piacere si pigliava per esser… piena la casa di nobilissimi ingegni».
Questa idealizzazione della vita a corte corrisponde però a un impoverimento reale degli intel-
lettuali. I cortigiani erano completamente dipendenti dai signori presso cui vivevano: pur parte-
cipando all’organizzazione del palazzo con lo svolgimento di compiti precisi, essi dovevano sot-
tostare ai voleri dei principi.
591
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
alla poetica Nel Cortegiano Castiglione esprime un ideale di perfezione raggiungibile attraverso l’educa-
zione. La duchessa viene lodata e si presenta come un modello ideale di comportamento,
tanto che «parea che tutti alla qualità e forma di lei temperasse [adeguasse]». L’importanza
riconosciuta alla formazione dell’uomo e all’educazione del comportamento è una caratteri-
stica tipica della letteratura rinascimentale. Il cortigiano deve saper controllare l’istintività e
l’impulso delle passioni: «nascondere» e «apparire», dissimulare e simulare sono il segreto
della grazia cortigiana. La qualità fondamentale del cortigiano è proprio la grazia. Essa consi-
ste nel «fuggir quanto si po… la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa
una certa sprezzatura, che nasconda l’arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza
fatica e quasi senza pensarvi». La grazia è dunque il frutto di un’ardua conquista, di studio e di
esercizio e insieme della capacità di nascondere questa fatica. La vita di corte diventa una
sorta di rappresentazione teatrale.
Il cortigiano ripropone nella corte rinascimentale, incivilita e aggraziata, la figura del cava-
liere medievale. Il gentiluomo di corte deve essere contemporaneamente esperto nelle armi
e nelle lettere. Ma nel «cortegiano» le virtù guerriere si riducono a esercizio spettacolare: la
destrezza nel «maneggiar bene ogni sorte d’arme a piedi e a cavallo» si manifesta soprat-
tutto nel correr tornei e giostre. Poiché a questo novello cavaliere è richiesto essenzial-
mente di «intertenersi piacevolmente con ognuno»: egli deve ridere, scherzare, danzare in
modo tale da mostrarsi sempre «ingenioso», «discreto» e in ogni cosa che faccia o dica
«aggraziato». Castiglione sottolinea così le virtù culturali e sociali del cortigiano: mentre la
“cortesia” del cavaliere medievale è una qualità morale e naturale, la “grazia” del cortigiano
è frutto dell’educazione.
Contrapposizioni
Comparazioni
capitolo su Guidobaldo
«come era visso così gloriosamente morì»
(rr. 25-26)
così parve che di tutte la virtù
rr. 27-28 «come dello stato
paterne fosse erede»
«cominciò a promettere tanto quanto non parea che fusse
rr. 28-29
di sé, licito sperare»
Ed ecco invece una serie di consecutive nel capitolo dedicato alla duchessa (rr. 38-39, 43-45
e 47-48): «nel viso di ciascuno dipinta si vedeva una gioconda ilarità, talmente che quella casa
certo dir si poteva il proprio albergo della allegria»; «parea che questa fosse una catena che
tutti in amor tenesse uniti, talmente che mai non fu concordia di voluntà o amore cordiale tra
fratelli maggior di quello»; «tanta era la reverenzia che si portava al voler della signora
Duchessa, che la medesima libertà era grandissimo freno».
592
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
TESTO GUIDA
1. All’inizio del Cortegiano, Castiglione presenta l’e- Elisabetta Gonzaga. Quale risulta essere il suo ruolo
semplare corte di Urbino. Assegna un titoletto ai quat- nella vita di corte?
tro capitoli riportati nel testo.
6. Lingua e lessico Tema di questi capitoli iniziali
2. Il Cortegiano è ambientato a Urbino. La città è pre- è il mito della corte di Urbino: essa è presentata da
sentata: Castiglione come la corte modello del Rinascimento.
Sottolinea nel capitolo II i superlativi che si riferisco-
a. dall’interno
no a Urbino e al palazzo ducale. L’aggettivo di gra-
b. senza reali riferimenti geografici do superlativo “ottimo” (cfr. «ottimi Signori» al r. 7)
c. inserita nel suo contesto ambientale a quale forma di grado positivo corrisponde? Quale
d. senza visione prospettica variante sarebbe dunque accettabile come sinonimo?
3. Dopo cena i cortigiani si riunivano attorno alla du- 7. Lingua e lessico Al r. 56 Castiglione usa il ter-
chessa. Su quali delle loro virtù insiste Castiglione? mine «condizioni»: con quale significato? Quali altri
significati conosci di questa parola? Con l’aiuto del
a. morali
dizionario cercane le diverse accezioni, trascrivendo
b. religiose per ognuna un esempio.
c. sociali
d. culturali INTERPRETAZIONE E COMMENTO
7. Trattazione sintetica Castiglione riprende il te-
ANALISI ma boccacciano della «brigata», trasferendolo nella
4. Castiglione sottolinea, in particolare, una qualità corte: nuova guida della compagnia è la duchessa Eli-
della corte di Urbino: «che da gran tempo in qua sem- sabetta Gonzaga. Confronta la «brigata» del Decameron
pre è stata dominata da ottimi Signori». Il capitolo II ( Parte prima, Capitolo 6) con quella che si delinea
è dedicato alla «gloriosa memoria del duca Federico». in questi primi capitoli del Cortegiano. Per esempio,
Elenca le virtù che fanno di lui un principe ideale. qual è la classe sociale dei personaggi? In quale luogo
si ritrovano? Per quali motivi si incontrano? Quali sono
5. Lingua e lessico Castiglione elogia lungamente le loro attività? Rispondi a queste domande organiz-
la duchessa di Urbino. Rintraccia nel finale del ca- zando una trattazione sintetica (max 25 righe).
Nella Rivoluzione francese gli ideali rivoluzionari dell’uomo moderno vennero definiti in termini di libertà, ugua-
glianza e fratellanza. I primi due sono stati vigorosamente perseguiti nelle diverse parti del mondo; sono entrambi
impersonali e dipendono dai movimenti di massa. Il terzo, la fratellanza, è stato in pratica ignorato come ideale: è
l’ideale del rispetto della persona ed è infinitamente più difficile degli altri da promuovere e mantenere. Ma esso
deve diventare sempre più la preoccupazione principale del nostro tempo, e in tale processo verrà sempre più defi-
nito il tipo di ideale educativo ad esso associato. Il Castiglione è uno dei pochissimi educatori che hanno afferrato
l’importanza di questo ideale, ed è la ragione per cui il suo libro non è soltanto un bel manuale sulla grazia ma una
visione profonda del destino dell’umanità.
Il «Cortegiano» in una società senza cortigiani, in Mito, metafora, simbolo, Editori Riuniti, Roma 1989.
Sviluppa una relazione sugli aspetti che trovi più interessanti relativi a questa lettura attualizzante del Cor-
tegiano.
593
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
L’importanza delle “buone maniere”
La corte rinascimentale descritta da Castiglione è il luogo in cui la cultura viene prodotta in tutte le sue forme,
diventando addirittura uno stile di vita per chi la abita. Il cortigiano, infatti, deve possedere alcune qualità: la «gra-
zia», la «sprezzatura», la moderazione degli istinti e delle passioni. Ma che cosa resta, oggi, degli insegnamenti del
Cortegiano, dell’ideale di gentiluomo europeo teorizzato in quest’opera? Sicuramente l’importanza attribuita a
quelle che oggi chiameremmo “buone maniere”. Tuttavia oggi, in una società multiculturale, in cui le relazioni ven-
gono vissute non solo nel mondo reale ma anche in quello virtuale, la cortesia si esercita in maniera diversa che
nelle corti medievali. Più che prescrizioni e divieti da osservare, occorre conoscere usi e costumi diversi e mostrare
sensibilità e rispetto per tutte le culture.
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nostra cultura, sono invece poco apprezzati in altri paesi e perché. Realizza un prodotto multimediale e
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594
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
La vita Nato ad Arezzo nel 1492, si trasferì a Roma nel 1519, appoggiandosi a Giulio de’ Medici e soste-
di Pietro Aretino nendolo con violente pasquinate, componimenti satirici di argomento politico, così detti
perché venivano affissi in modo anonimo su quella che era popolarmente chiamata la “statua
di Pasquino”. La stampa di sedici sonetti osceni gli provocò l’avversione del vescovo Giberti, che
pagò un sicario per ucciderlo. L’Aretino si salvò ma fu costretto a lasciare Roma. Nel 1527 si sta
bilì a Venezia, dove restò fino alla morte, avvenuta nel 1556. A Venezia – Stato repubblicano e
quindi più adatto a un uomo libero e anticonformista come lui – l’Aretino sviluppò un’intensa
attività di pubblicista e di incessante polemista, pronto a ricattare o ad adulare i potenti, a se-
conda delle esigenze pratiche. Fu giudicato un cinico «avventuriero della penna» ma fu anche
amico di grandi personaggi, come Bembo e Tiziano Vecellio, e stimato da sovrani come France-
sco I e Carlo V. Oggi si tende a rivalutare l’autenticità dei suoi atteggiamenti, non dettati solo
da spregiudicate ragioni di opportunismo, ma anche rispondenti a valori consapevolmente
contrapposti al conformismo cortigiano.
Il Dialogo Tra le opere dell’Aretino ricordiamo la commedia Cortigiana (1525; seconda redazione 1534),
e i Ragionamenti: che rovescia il modello perfetto di corte rappresentato da Castiglione, sei libri di Lettere
il rovescio della
civiltà cortigiana (pubblicati a partire dal 1538) e, soprattutto, i Ragionamenti.
Nei Ragionamenti confluiscono due opere fra loro collegate: il Ragionamento della Nanna e
della Antonia (1534) e il Dialogo nel quale la Nanna insegna alla Pippa (1536). Il Ragionamento si
svolge in tre giornate, in cui la più anziana Antonia e la più giovane Nanna commentano i tre
stati delle donne: la vita scostumata delle monache, quella delle mogli infedeli e quella delle
prostitute. Anche il Dialogo è in tre giornate e anch’esso ha un contenuto osceno: nella prima
giornata Nanna insegna alla figlia Pippa «l’arte puttanesca»; segue il racconto sulle «poltrone-
DIGIT rie» (mascalzonate) degli uomini; infine, il discorso della Comare sull’arte della ruffianeria, cioè
TESTI
Pietro Aretino, l’attività di chi organizza gli incontri tra clienti e prostitute. Nei Ragionamenti l’Aretino utiliz-
La seduzione di
un «uomo da za lo schema del dialogo morale, ma lo rovescia ironicamente, contrapponendosi ai model
bene» li alti e ideali proposti da Bembo e da Castiglione.
FACCIAMO IL PUNTO
Che tipo di intellettuale era Pietro Aretino?
Che schema utilizza Aretino nei Ragionamenti?
595
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
L’Elogio della follia Il capolavoro di Erasmo è l’Elogio della follia, scritto in Inghilterra, in casa di Tommaso Moro, nel
1509. L’opera è strutturata come un’orazione nella quale la Follia (secondo il procedimento re-
596
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
597
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
sa anglicana promossa per ragioni soprattutto politiche da Enrico VIII, e rimase cattolico). Fu
perciò imprigionato e infine decapitato nel 1535.
Un mondo perfetto L’Utopia è un trattato diviso in due libri. Si immagina un dialogo tra l’autore e un portoghese
che racconta di aver viaggiato per anni nel Nuovo Mondo e di essere infine arrivato nella lonta-
na terra di Utopia. In questo paese, dove ha vissuto cinque anni, il viaggiatore ha trovato isti-
tuzioni politiche e civili superiori a quelle europee.
Nel primo libro si sottolinea che la vita è il bene principale dell’uomo e dunque si condan-
na la pena di morte, allora impiegata anche per reati minori, come i furti; inoltre ci si pronun-
cia per l’uguaglianza e contro la proprietà privata. Nel secondo libro, che ha la forma di un
romanzo-saggio, viene descritta la felice vita di Utopia: tutti gli abitanti lavorano sei ore al
giorno, esercitando l’agricoltura e almeno un mestiere. Chiunque è libero di praticare la pro-
pria fede senza dover temere persecuzioni o condanne: a Utopia regna la tolleranza religiosa.
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono le accezioni della «follia» nell’opera di Erasmo da Rotterdam?
Quali sono i temi trattati nell’Utopia di Tommaso Moro?
In S. Paolo, infatti, combattono per la Sacra Scrittura parole che non lo fanno nel loro conte-
sto (se c’è da fidarsi di S. Gerolamo, conoscitore di cinque lingue), visto che ha saputo forza-
re l’iscrizione vista per caso su un altare ad Atene, facendola diventare un argomento in fa-
vore del cristianesimo e, tralasciando tutto il resto, che avrebbe danneggiato la causa, ne ha
5 estratto soltanto le due parole conclusive, cioè: «Al dio ignoto», per di più modificandole leg-
germente, poiché l’iscrizione completa era di questo tenore: «Agli dèi dell’Asia, dell’Europa
e dell’Africa, agli dèi ignoti e stranieri».1 Seguendo il suo esempio (almeno credo) i figli dei
teologi adattano ai loro bisogni ad ogni piè sospinto quattro o cinque parole prese qua e là e se
occorre anche corrotte, quand’anche ciò che precede e segue o non conferma affatto la tesi o
10 vi contrasta addirittura.2 E lo fanno con una sfacciataggine così beata che spesso i giuristi de-
vono invidiare i teologi. […]
Di recente ho preso parte3 di persona a un dibattito teologico4 (lo faccio spesso). In
quell’occasione uno aveva chiesto quale autorità scritturale prescrivesse di vincere gli ereti-
1 In S. Paolo...dèi ignoti e stranieri»: qui monumenti del vostro culto, ho trovato rendere il cristianesimo più accettabile ai
Erasmo si riferisce a un episodio narrato ne- anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. non credenti e la distorsione del testo sacro
gli Atti degli Apostoli 17, 23, in cui si raccon- Quello che voi adorate senza conoscere, io a fini mondani per acquisire potenza e ric-
ta di una visita che san Paolo fece ad Atene, ve lo annunzio». chezza.
durante la quale gli abitanti della città gli 2 Seguendo...addirittura: la Follia associa 3 Di recente ho preso parte: è la Follia che
chiedevano chi fosse la divinità che andava in questo caso comportamenti formalmen- parla in prima persona.
annunciando nella sua missione. San Paolo te analoghi, ma di diverso significato mora- 4 dibattito teologico: si allude al Concilio
rispose: «Passando infatti e osservando i le: il travisamento di un testo pagano per provinciale di Londra (1512) contro l’eresia.
598
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
ci col fuoco anziché convincerli con la discussione; e un austero vecchio, bastavano le soprac-
15 ciglia a proclamarlo teologo, rispose con grande indignazione che questa legge risaliva a Pao-
lo apostolo, che aveva detto: «Evita l’eretico dopo due correzioni». E siccome ripeteva sempre
queste parole con voce cantilenante e i più si chiedevano meravigliati cosa gli fosse successo,
si decise a spiegare che l’eretico andava eliminato «dalla vita».5 Alcuni risero, ma c’era anche
chi riteneva questo un’autentica trovata da teologo; ma poiché c’erano ancora contestatori,
20 prese il suo posto un avvocato di Tenedo,6 per così dire, e un’autorità inconfutabile. «State a
sentire» disse «nella Bibbia è scritto: “Non lasciar vivere l’autore di malefici”. Ogni eretico è
autore di malefici; dunque ecc.». I presenti erano rimasti sbalorditi dalla sua ingegnosità e la
sua tesi venne approvata a una voce sola.
E. da Rotterdam, Elogio della follia, Rizzoli, Milano 1991.
5 l’eretico...vita»: san Paolo dice: «Haereti- nem devita». Questo «devita», invece che ‘evi- 6 avvocato di Tenedo: chi risolve la lite trop-
cum hominem post unam et alteram correptio- ta’, veniva tradotto ‘allontana dalla vita’. po in fretta.
ANALISI Un narratore insolito Il narratore di questo brano è la personificazione della Follia stessa:
interventi come «Di recente ho preso parte» testimoniano come sia proprio questa protagoni-
sta insolita a parlare. L’Elogio è un’operetta fantastico-filosofica, un genere letterario che
mescola invenzione e conoscenza e permette di rivolgere una critica ironica alla politica e alla
cultura di un determinato periodo storico.
INTERPRETAZIONE Contro la mancanza di razionalità Il tema principale del brano è la critica ai teologi con-
E COMMENTO temporanei, i quali «adattano ai loro bisogni ad ogni piè sospinto quattro o cinque parole
prese qua e là», determinando così la totale mancanza di spirito critico e di un atteggia-
mento razionale nell’interpretazione delle Scritture.
599
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
LA CENTRALITÀ DELLA TRATTATISTICA
La trattatistica ha un’importanza centrale nel Rinascimento, in quanto
risponde al compito di fondare un nuovo costume e una nuova scrittu- il trattato nel Rinascimento
ra basati su modelli e norme precisi. I campi d’indagine sono infatti: 1. la
vita morale, interiore ed esteriore (Asolani di Bembo, Elogio della follia fonda un stabilisce temi trattati:
di Erasmo da Rotterdam); 2. la vita civile e politica (Cortegiano di Casti- nuovo un nuovo • vita morale
glione, Galateo di Della Casa, Utopia di Moro, Ragionamenti di Aretino); costume modello di
3. la storia (Il Principe di Machiavelli); 4. le arti (Prose della volgar lin- scrittura • vita civile
gua di Bembo). e politica
• storia
• arti
IL CORTEGIANO DI CASTIGLIONE
Fra i trattati sul comportamento spicca in Italia e in Europa il Cortegiano Baldassar Castiglione (1478-1529)
(1527) di Baldassar Castiglione (1478-1529), in cui l’autore si propone
di descrivere «qual sia la forma di cortigiania più conveniente a gentiluo-
mo che viva in corte de’ principi». Vi si immagina un dialogo avvenuto nel Cortegiano
1506 nella esemplare corte di Urbino (frequentata e apprezzata personal-
mente da Castiglione nel periodo 1504-1513). I primi due libri indicano le
dialogo 4 libri:
qualità del perfetto cortigiano, che deve possedere anzitutto la «grazia»; avvenuto alla
nel terzo libro si delinea il ritratto della «donna di palazzo»; nel quarto li- I-II: qualità
corte di Urbino del perfetto
bro, infine, si considerano i rapporti del cortigiano con il principe. cortigiano
descrive III: ritratto della
il perfetto uomo «donna di
di corte palazzo»
IV: rapporti tra
cortigiano e
principe
600
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
I RAGIONAMENTI DI ARETINO
In opposizione netta a quelle di Bembo e di Castiglione, vanno viste la per- Pietro Aretino (1492-1556)
sonalità e l’opera di Pietro Aretino (1492-1556). I suoi Ragionamenti assu-
mono, con un’intenzione parodica, lo schema del dialogo morale e peda-
gogico: Nanna si ripromette di fare della figlia Pippa una perfetta prostitu- Ragionamenti
ta esattamente come Castiglione voleva contribuire a formare dei perfet-
ti cortigiani.
riprende con intento parodico
lo schema del dialogo morale
e pedagogico
descrive
rappresenta un modello di
le storture società ideale
della vita politica
e religiosa
VERIFICHE
1 Sul trattato
Nel Cinquecento il trattato assume grande importanza perché:
a. è teorizzato dai maggiori studiosi del tempo
b. la cultura rinascimentale ha l’esigenza di mettere in pratica le nuove conoscenze umanistiche
c. permette grandi guadagni alle nuove stamperie
d. la cultura rinascimentale vuole superare le conquiste dell’Umanesimo
601
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
VERIFICHE
4 Un altro trattato di Bembo
Gli Asolani sono un altro trattato scritto da Bembo. Il tema è:
a. la riflessione sulla lingua b. la riflessione sulla società delle corti
c. la riflessione sull’amore d. la riflessione sulla situazione politica in Italia
5 Sul Cortegiano
Nel Cortegiano di Castiglione si afferma che:
a. l’attività fisica è una delle caratteristiche fondamentali del perfetto uomo di corte
b. la vita di corte è ridicola e inutile
c. il perfetto cortigiano deve sottostare completamente ai voleri del proprio signore
d. il perfetto cortigiano deve saper guidare il proprio signore verso le scelte politiche più giuste
6 L’Aretino e i Ragionamenti
Una riflessione controcorrente è presente nell’opera dell’Aretino. Nei suoi Ragionamenti l’autore:
a. descrive come diventare delle perfette prostitute b. descrive come diventare delle cortigiane
c. descrive come diventare ricchi grazie alla stampa d. descrive come diventare uomini liberi
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A
L’ANALISI E L’INTERPRETAZIONE DEL TESTO
Pietro Bembo [Asolani]
L’amore secondo Lavinello
Il testo che segue è tratto dal libro III degli Asolani, un dialogo in cui alcuni giovani si fanno
portavoce delle varie posizioni sull’amore che caratterizzano il dibattito del Rinascimento.
Nel brano seguente a parlare è Lavinello.
Ma non credere tuttavia, Gismondo, perciò che io così parlo, che io per aventura stimi buono
essere, lo amare nella guisa che tu ci hai ragionato.1 Io tanto sono da te, quanto tu dalla verità lon-
tano, dalla quale ti discosti ogni volta, che fuori de’ termini de’ duo primi sentimenti e del pensiero
ti lasci dal tuo disiderio trasportare, e di loro amando non stai contento.2 Perciò che è verissima
1 Ma non...ragionato: Ma non pensare, tuttavia, hai dimostrato. sta ti allontani tutte le volte che ti lasci trasportare dal
Gismondo, che, per il mio parlare così, io per caso 2 Io tanto...contento: Io sono distante da te [: dalle desiderio al di fuori dei due primi sentimenti [: la vista
creda che sia cosa buona amare nel modo che tu ci tue posizioni] quanto tu [lo sei] dalla verità, e da que- e l’udito] e del pensiero, e non sei contento di amarli.
602
CAPITOLO 3 Nuovi modelli di stile e di comportamento nel Cinquecento TEMI
5 openione, a noi dalle più approvate scuole degli antichi diffinitori lasciata, nulla altro essere il buo
no amore che di bellezza disio.3 La qual bellezza, che cosa è, se tu con tanta diligenza per lo adietro
avessi d’intendere procacciato, con quanta ci hai le parti della tua bella donna voluto ieri dipignere
sottilmente, né come fai, ameresti tu già, né quello, che ti cerchi amando, aresti agli altri lodato,
come hai.4 Perciò che ella non è altro che una grazia che di proporzione e di convenenza nasce e
10 d’armonia nelle cose, la quale quanto è più perfetta ne’ suoi suggetti, tanto più amabili essere ce
gli fa e più vaghi, et è accidente negli uomini non meno dell’animo che del corpo.5 Perciò che sì
come è bello quel corpo, le cui membra tengono proporzione tra loro, così è bello quello animo,
le cui virtù fanno tra sé armonia; e tanto più sono di bellezza partecipi e l’uno e l’altro, quanto in
loro è quella grazia, che io dico, delle loro parti e della loro convenenza, più compiuta e più piena. È
15 adunque il buono amore disiderio di bellezza tale, quale tu vedi, e d’animo parimente e di corpo, e
allei, sì come a suo vero obbietto, batte e stende le sue ali per andare.6 Al qual volo egli due finestre
ha: l’una, che a quella dell’animo lo manda, e questa è l’udire; l’altra, che a quella del corpo lo porta,
e questa è il vedere.7 Perciò che sì come per le forme, che agli occhi si manifestano, quanta è la
bellezza del corpo conosciamo, così con le voci, che gli orecchi ricevono, quanta quella dell’animo
20 sia comprendiamo.8 Né ad altro fine ci fu il parlare dalla natura dato, che perché esso fosse tra noi
de’ nostri animi segno e dimostramento.9 Ma perciò che il passare a’ loro obbietti per queste vie
la fortuna e il caso sovente a’ nostri disiderii tôr possono,10 dalloro, sì come spesso aviene, lonta-
nandoci, ché, come tu dicesti, a cosa, che presente non ci sia, l’occhio né l’orecchio non si stende,11
quella medesima natura, che i due sentimenti dati n’avea, ci diede parimente12 il pensiero, col qua-
25 le potessimo al godimento delle une bellezze e delle altre, quandunque a noi piacesse,13 pervenire.
P. Bembo, Prose della volgar lingua. Gli Asolani. Rime, a cura di C. Dionisotti, Tea, Milano 1993.
3 Perciò...disio: Dal momento che è verissima opi- proveniente da proporzione e convenienza, e da ar- sciamo quanto è grande la bellezza del corpo, così
nione, trasmessa a noi dalle scuole più apprezzate monia nelle cose, che quanto più è perfetta nei vari attraverso le voci, ricevute dagli orecchi, possiamo
degli antichi filosofi (diffinitori) che l’amore buono soggetti, tanto più ce li rende amabili e piacevoli comprendere quanto lo sia quella dell’animo.
non è altro che desiderio (disio) di bellezza. (vaghi) ed è una qualità (accidente) sia del corpo 9 dimostramento: dimostrazione.
4 La qual...hai: Che cosa sia tale bellezza, se tu in che dell’animo umano. 10 Ma...possono: Ma poiché spesso la fortuna e la
passato (per lo adietro) ti fossi sforzato di inten- 6 e allei...andare: e (il buono amore) batte e di- sorte possono togliere (tôr) il passaggio ai loro og-
derlo con la stessa cura con la quale ieri ci hai voluto stende le ali per dirigersi verso di lei [: verso la bel- getti attraverso queste vie [: l’udito e la vista].
precisamente raffigurare il corpo (le parti) della lezza], come al suo vero scopo (obbietto). 11 dalloro...stende: quando ci allontaniamo da
tua bella donna, non ameresti come ami ora (come 7 l’una...vedere: una, che dirige l’amore verso la loro [: dal vedere e dal sentire], come spesso acca-
fai), né avresti lodato agli altri quello che tu cerchi bellezza dell’animo, ed è l’udito; l’altra, che lo indi- de, poiché, come tu hai detto, l’occhio e l’orecchio non
amando, cosa che invece hai fatto (come hai). rizza a quella del corpo, ed è la vista. arrivano a [percepire] qualcosa che non sia presente.
5 Perciò...corpo: [Ciò risulta evidente] per il fatto 8 Perciò...comprendiamo: Perciò, come attraver- 12 parimente: ugualmente.
che essa [: la bellezza] non è altro che una grazia so le forme, che si presentano agli occhi, noi cono- 13 quandunque...piacesse: ogni volta che vogliamo.
COMPRENSIONE
Fa’ il riassunto del testo proposto.
ANALISI
Che tipo di sintassi e di lessico vengono usati da Bembo? Quale funzione hanno queste scelte?
Rintraccia nel testo i termini e le espressioni che fanno riferimento al campo semantico dell’armonia e
della grazia.
Al r. 11 è presente il termine «accidente»: in quale senso viene usato da Bembo? Quale significato ha
nell’italiano contemporaneo?
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
Quale idea dell’amore esprime Lavinello? Che ruolo vi rivestono i sensi?
Quali altri autori incontrati in questo Capitolo parlano del tema dell’amore? A quali conclusioni giungo-
no? Sono le stesse proposte da Bembo? Rifletti su questo argomento in un commento personale.
603
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
VERIFICHE
VERSO L’ESAME
IL COLLOQUIO
A partire dall’immagine del Palazzo Ducale di Urbino, progetta un possibile percorso da sviluppare oralmen-
te, trovandone le implicazioni con i contenuti delle discipline del tuo percorso di studi.
Completa o modifica la seguente tabella, in parte compilata, con le materie del tuo piano di studi e con gli
argomenti che hai affrontato sia a scuola che in altre esperienze formative e di apprendimento.
DIRITTO ED
ECONOMIA
SCIENZE
Adesso cimentati con un’esposizione circostanziata degli argomenti in elenco. Stai attento a curare le con-
nessioni da un argomento all’altro in modo da evitare la frammentarietà del discorso. Prevedi anche una
conclusione in cui tiri le somme del percorso illustrato.
604
La Tavola Doria, dipinto attribuito a Leonardo da Vinci, 1503-1505. Firenze, Galleria degli Uffizi.
AUTORE
CAPITOLO 4
Niccolò Machiavelli PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
1 La vita
La formazione Niccolò Machiavelli nacque nel 1469 a Firenze da una famiglia della borghesia intellettua-
materialistica le cittadina; il padre era dottore in legge e notaio. Ebbe una formazione umanistica, fondata
sui classici latini e orientata in senso materialistico ,
come dimostra anche il lavoro di trascrizione del De re- Materalistico Il termine “materialismo”
rum natura [La natura] di Lucrezio, uno dei capolavori designa, in filosofia, ogni dottrina che faccia
del materialismo antico. Decisivo per lo sviluppo del della materia il principio di spiegazione del-
la realtà. Il materialismo nega l’idea che
suo pensiero è anche il confronto con gli storici e gli all’origine dell’universo stia la Provvidenza.
scrittori latini (Tito Livio innanzitutto).
DIGIT
VIDEOLEZIONE DI ROMANO LUPERINI VIDEOLEZIONE
Esercitare le competenze
Luperini ci spiega che la riflessione di Machiavelli sulla politica ha segnato una svolta irrevocabile, come ben sanno i tanti
uomini politici che hanno pubblicato edizioni del Principe accompagnate dalle proprie riflessioni attualizzanti. A che cosa
si deve il successo che Il Principe riscuote ancora oggi? Riassumi in poche righe la risposta a questa domanda che Lupe-
rini suggerisce nella videolezione. Quindi, prendendo le mosse dalla tesi del critico, discuti la questione in classe con il do-
cente e i compagni.
606
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
La fase Machiavelli riprende il filone dell’Umanesimo civile fiorentino, apertosi nel Quattrocento, che
dell’impegno incitava l’intellettuale all’impegno politico in prima persona. Dopo la caduta di Savonarola
politico
(1498-1512) (1498), Machiavelli, che non appoggiava né i seguaci del frate né i sostenitori dei Medici, senza
schierarsi apertamente con nessuna delle fazioni in campo, viene nominato responsabile del-
la seconda Cancelleria e poi anche segretario dei Dieci di balìa, l’organo che si occupava della
politica estera. Successivamente egli ricopre importanti incarichi nell’amministrazione po-
litica della Repubblica fiorentina: fu il principale col-
laboratore del gonfaloniere a vita Pier Soderini, parte- Gonfaloniere Capo del governo civile del
cipando per un quindicennio a frequenti missioni di- la città.
plomatiche nelle corti italiane (presso Cesare Borgia, il
Valentino, un personaggio che colpisce profondamente la sua fantasia) e all’estero (in Francia,
presso Luigi XII, e presso Massimiliano d’Asburgo, in Tirolo, in Svizzera, in Germania). Di tut-
te queste esperienze, Machiavelli dà conto in relazioni e scritti politici che danno già testimo-
nianza della sua acutezza di osservatore e della sua tendenza a leggere la realtà in cerca di leg-
gi generali: anziché seguire l’impostazione tradizionale dei pensatori politici precedenti, che
pretendevano di ricavare da leggi generali e astratte le regole di comportamento ideali, egli ap-
plica un metodo induttivo, procedendo dal particolare all’universale e partendo sempre
dalla considerazione puntuale dei dati concreti offerti dalla realtà.
Dopo il 1512: la Nel 1512 la Repubblica cade, i Medici tornano a Firenze e Machiavelli viene licenziato da tutti
fase dell’impegno i suoi incarichi. Si ritira nel podere dell’Albergaccio, vicino a San Casciano, e qui scrive le
letterario
sue opere maggiori. Nel 1513 viene addirittura arrestato e torturato con l’accusa di aver parte-
cipato a una congiura contro i Medici. Una testimonianza significativa di come Machiavelli ab-
bia vissuto questo periodo si può ricavare dalle sue lettere. Nello stesso anno compone Il Prin-
cipe e inizia i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio; nel 1518 scrive la commedia La mandra-
gola e la novella Belfagor arcidiavolo: il diavolo Belfagor, inviato sulla terra a verificare la condi-
zione degli uomini sposati, conclude infine che il mondo umano è davvero peggiore di quello
infernale. Tra il 1519 e il 1520 Machiavelli scrive Dell’arte della guerra, in cui, guardando ancora
all’esempio dell’antica Roma, sostiene l’importanza di un esercito di cittadini e non di merce-
nari: questi ultimi combattono infatti solo per denaro, non sacrificherebbero mai la propria vi-
ta per il bene comune e non sono quindi affidabili. Nel 1525 presenta a papa Clemente VII le
Istorie fiorentine, che narrano i fatti storici avvenuti dalla caduta dell’Impero romano fino alla
morte di Lorenzo il Magnifico (1492). La ricostruzione storica non pretende di essere oggetti
va e neutrale: a Machiavelli interessa soprattutto che la storia sia maestra di vita, e dunque
egli interpreta i fatti per trarne lezioni politiche attuali.
L’ultima delusione I rapporti con la Signoria medicea migliorano: viene riabilitato ed eletto provveditore e can
politica celliere per la difesa di Firenze nel 1525. Il ritorno alla vita attiva fu però di breve durata: nel
maggio 1527, in seguito al sacco di Roma, i Medici vennero scacciati dalla città (vi torneran
no stabilmente tre anni dopo), dove fu ristabilita la Repubblica. Machiavelli, guardato con
sospetto per aver collaborato con i signori di Firenze, è di nuovo escluso dall’attività po
litica. Provato dalla ennesima, amarissima delusione, Machiavelli si ammala e muore il 21
giugno 1527.
FACCIAMO IL PUNTO
Quale fu il ruolo di Machiavelli all’interno della Repubblica fiorentina tra il 1498 e il 1512?
Perché Machiavelli nel 1512 si ritira all’Albergaccio? Come occupa il suo tempo qui?
607
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
2 Le idee
La ricerca della I nuclei principali del pensiero di Machiavelli sono tre. In primo luogo, egli cerca sempre, nei
«verità effettuale» suoi scritti, la «verità effettuale», rifiutando ogni interpretazione idealizzata e astratta della
e il metodo
induttivo realtà e della natura umana. Nelle sue opere storiografiche e politiche egli adotta perciò un me-
todo induttivo e non deduttivo: non parte cioè da principi generali astratti, ma ricava leggi
generali dall’osservazione puntuale delle cose presenti e dallo studio dei documenti del
passato. Il metodo induttivo e la formazione materialistica fanno di Machiavelli un pensatore
in controtendenza sia rispetto alla concezione religiosa che vede nella Provvidenza divina il
motore della storia, sia rispetto al platonismo rinascimentale, per il quale la realtà era un rifles-
so del mondo delle pure idee.
L’autonomia della Il secondo elemento rivoluzionario del pensiero di Machiavelli è la separazione della politica
politica e la nuova dalla morale. Questa idea contraddistingue l’intera riflessione politica di Machiavelli, e soprat-
concezione
della morale tutto il suo capolavoro: Il Principe. Le azioni del principe non sono giudicate in base alla mora-
le, ma considerando il successo politico. Nasce da qui il termine “machiavellismo”, in uso in
tutto il mondo, a indicare il ricorso ai “mezzi” più spregiudicati pur di raggiungere il “fine” del
successo politico. In realtà, il pensiero di Machiavelli non si riduce affatto a questo; e tuttavia
tale espressione prova tutt’oggi l’impatto dirompente delle teorie dello scrittore fiorentino, il
quale impone sì un ripensamento della morale, ma non per cancellarla. Piuttosto la morale
cessa di essere un valore astratto e ipocrita; cessa cioè di essere un insieme di leggi da procla-
mare senza potersi poi in realtà conformare a esse; e diviene una formazione sospesa fra i va-
lori ideali cui tendere e la concreta possibilità di tradurli in pratica.
Tiziano, Allegoria
della Prudenza,
1565-70 circa.
Londra, The National
Gallery.
608
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
CONFRONTI
LE NOVITÀ DEL PRINCIPE
Prima di Machiavelli in Machiavelli
La critica Terza caratteristica innovativa del pensiero di Machiavelli è la sua carica provocatoria e demi-
delle ideologie stificatoria, tesa cioè a svelare l’inganno che impedisce di vedere la verità. Machiavelli invita
e il pensiero
del sospetto a cercare i veri moventi della storia sotto le motivazioni ufficiali e sotto le ideologie dichia
rate. Nasce con lui il pensiero del sospetto, che guarda oltre le apparenze contrapponendosi
DIGIT
APPROFONDIMENTI
coraggiosamente al pensiero dominante. È questo un altro aspetto della modernità di Machia
I “maestri velli: egli apre una strada che sarà ripresa, fra l’Ottocento e l’inizio del Novecento, dai “critici
del sospetto”
dell’ideologia” e dai cosiddetti “maestri del sospetto”, vale a dire da filosofi e pensatori come
Marx, Nietzsche e Freud.
La spregiudicatezza di Machiavelli, che fonda l’autorità del proprio testo solo sulla forza del
pensiero, fa di questo autore anche il primo saggista moderno.
FACCIAMO IL PUNTO
Cosa è il “metodo induttivo” utilizzato da Machiavelli nelle sue opere?
Cosa si intende con l’espressione “pensiero del sospetto”?
3 Le forme e lo stile
L’invenzione del Con Il Principe ma anche con i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, Machiavelli rinnova pro
saggio moderno fondamente il genere del trattato: abbandona le forme della riflessione filosofica e scientifica
basata su un sistema di verità precostituite e adotta la forma del saggio, in cui l’autore può so-
stenere e dimostrare una sua verità personale. Nel caso di Machiavelli, questa verità è basata
sulla conoscenza delle leggi della natura e della storia, fornite dall’esperienza diretta e dalle let-
ture dei classici. In questo modo, entrano in crisi le autorità a cui facevano riferimento le ope-
re del passato: per esempio, la trattatistica politica medievale (De Monarchia di Dante); la trat-
tatistica quattrocentesca che descriveva lo speculum principis [lo specchio del principe], cioè le
qualità morali che il principe doveva possedere; la stessa autorità religiosa. Tra questa trattati-
stica e Il Principe c’è anzitutto una grande differenza: Machiavelli guarda alla «verità effet-
tuale» della lotta politica, rifiutando ogni interpretazione astratta della realtà e dell’uo-
mo. Egli non ritrae un principe ideale, ma reale.
609
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
La lingua di Coerentemente con le sue idee sulla lingua (p. 578), e in controtendenza rispetto ai principali
Machiavelli: teorici del classicismo rinascimentale (Bembo innanzitutto, ma anche Trissino e Castiglione),
la scelta
del fiorentino Machiavelli adotta nella sua prosa una lingua viva, realmente parlata e non artificiale: il fio-
contemporaneo rentino contemporaneo. La grande varietà del fiorentino cinquecentesco è sfruttata da Ma-
chiavelli a fini espressivi nelle lettere e nei saggi, che devono la loro straordinaria efficacia
anche alla lingua utilizzata. Tuttavia, è soprattutto nell’attività di commediografo che Machia
velli riesce a dare una forma artistica al fiorentino del tempo. La mandragola, in particolare, si
avvale di un forte realismo linguistico nella caratterizzazione dei diversi personaggi, attingen
do sia ai registri più bassi e popolari sia a quelli più alti e sofisticati.
FACCIAMO IL PUNTO
In che modo Machiavelli rinnova il genere del trattato?
Quale lingua Machiavelli utilizza nelle sue opere in prosa?
4 Le lettere
Il rinnovamento Le lettere di Machiavelli ci sono giunte solo in minima parte (circa una settantina), ma hanno
dell’epistola egualmente una grande importanza per conoscere alcuni aspetti della vita dello scrittore e per
umanistica
valutarne in modo diretto il carattere e la personalità. Questi scritti non rientrano più nel ge
nere dell’epistola umanistica, innanzitutto perché sono redatti in volgare, anziché in latino, e
non hanno uno stile elegante e raffinato; ma anche perché la finalità non è più quella di offrire
un ritratto esemplare di sé, offrendosi quale modello ideale di comportamento, ma piuttosto
quello di comunicare situazioni e sentimenti in modo immediato e diretto, non senza mo-
menti di appassionata umanità.
I temi e lo stile Nelle lettere di Machiavelli si alternano spontaneamente e liberamente momenti di riflessio-
ne e momenti comici, battute giocose agli amici o racconti di scherzi e confessioni autobio-
grafiche. Vanno ricordate soprattutto le lettere rivolte a Francesco Vettori, ambasciatore fio-
rentino a Roma, fra cui quella famosissima in cui descrive una giornata all’Albergaccio ( T1),
e quelle a Francesco Guicciardini. Benché non destinate alla pubblicazione, e pensate anzi per
una finalità privata, le lettere di Machiavelli hanno un notevole valore letterario: non solo per
lo stile personalissimo, ma anche perché costituiscono una delle manifestazioni più immedia-
te e gustose del suo carattere umorale e tuttavia pronto allo scherzo.
FACCIAMO IL PUNTO
In che modo le lettere di Machiavelli si distaccano dalle epistole umanistiche?
Quale elemento del carattere di Machiavelli viene fuori dalla lettura delle sue lettere?
Fiorenza, veduta a
volo di uccello detta
“Pianta della
Catena”, riferita a
Francesco di
Lorenzo Rosselli,
1471-1482 circa.
Firenze, Palazzo
Vecchio.
610
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
[…] Venuta la sera, mi ritorno in casa, et entro nel mio scrittoio; et in su l’uscio mi spoglio
quella veste cotidiana, piena di fango et di loto,1 et mi metto panni reali et curiali;2 et rivesti-
to condecentemente3 entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto
5 amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, et che io nacqui per lui;4 dove io non
mi vergogno parlare con loro, et domandarli della ragione delle loro actioni; et quelli per loro
humanità mi rispondono; et non sento per 4 hore di tempo alcuna noia, dimenticho ogni
affanno, non temo la povertà, non mi sbigottiscie la morte: tucto mi transferisco in loro.5 E
perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo havere inteso,6 io ho notato quello di
10 che per la loro conversatione ho fatto capitale,7 et composto uno opuscolo De principatibus,8
dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitationi di questo subbietto,9 disputando10 che
cosa è principato, di quale spetie sono, come e’ si acquistono, come e’ si mantengono, perché
e’ si perdono. Et se vi piacque mai alcuno mio ghiribizo,11 questo non vi doverrebbe dispia-
cere; et a un principe, et maxime12 a un principe nuovo, doverrebbe essere accetto; però io lo
15 indrizzo alla Magnificenza di Giuliano.13 Philippo Casavecchia l’ha visto; vi potrà ragguagliare
in parte et della cosa in sé, et de’ ragionamenti ho hauto seco,14 anchor che tuttavolta io l’in-
grasso et ripulisco.15
[…] Io ho ragionato con Filippo di questo mio opuscolo, se gli era ben darlo o non lo dare;
et, sendo ben darlo, se gli era bene che io lo portassi, o che io ve lo mandassi.16 El non lo dare
20 mi faceva dubitare che da Giuliano e’ non fussi, non ch’altro, letto,17 et che questo Ardinghel-
li si facessi honore di questa ultima mia faticha.18 El darlo mi faceva la necessità che mi cac-
cia, perché io mi logoro,19 et lungo tempo non posso star così che io non diventi per povertà
contennendo,20 appresso al desiderio harei che questi signori Medici mi cominciassino ado-
1 piena...loto: coperta di fango. loto è un 9 dove...subbietto: nel quale approfondisco mente o mandarlo [attraverso un amico]. Il
latinismo, sinonimo del precedente fango. il più possibile le riflessioni su questo argomen- problema riguarda il modo più opportuno
2 reali et curiali: adatti alle corti e alle regge. to (subbietto). per presentare l’opera ai Medici.
3 condecentemente: con il conveniente de- 10 disputando: discutendo polemicamente. 17 El non lo dare...letto: Mi faceva credere
coro. Segue la rapida sintesi degli argomenti del che fosse meglio non presentarlo il dubbio che
4 mi pasco...lui: [attraverso la lettura degli Principe. [l’opera] non fosse neppure letta da Giuliano.
antichi] mi nutro di quel sapere (cibo) che è 11 ghiribizo: stravagante e bizzarra inven- 18 et che questo...faticha: e che questo Ar-
soltanto (solum) mio e per il quale (che con zione. dighelli si sarebbe appropriato di questa ulti-
valore di ‘per il quale’, frequente nel lin- 12 maxime: massimamente, soprattutto. È ma mia fatica. Piero Ardighelli, segretario
guaggio familiare e popolaresco) sono nato. un latinismo. di Leone X ostile a Machiavelli, contribuì
5 tucto...loro: mi annullo completamente in 13 però...Giuliano: perciò lo dedico a Giulia- a ostacolare un riavvicinamento fra l’ex se-
loro. no de’ Medici. In realtà l’opera fu dedicata a gretario e i Medici. Qui l’autore mostra di
6 non fa scienza...inteso: non dà un [vero] Lorenzo. temere che l’avversario possa presentare
sapere aver sentito senza [poi] ricordare (rite- 14 et de’...seco: e delle discussioni che ho come opera sua Il Principe.
nere) (Paradiso V, 41-42). avuto con lui. 19 El darlo...logoro: Invece, la necessità eco-
7 io ho notato...capitale: ho annotato [: ho 15 anchor...ripulisco: benché continuamen- nomica che mi incalza (caccia) mi spingeva
messo per iscritto] ciò di cui ho fatto tesoro te (tuttavolta) io lo arricchisca e lo corregga. a presentarlo, perché sto consumando i miei
attraverso la conversazione con loro. 16 se gli era ben...ve lo mandassi: se era beni (mi logoro).
8 De principatibus: Sui principati; è il titolo bene presentarlo [a Giuliano de’ Medici] o 20 contennendo: da disprezzare. È un lati-
latino del Principe. meno; e se sì, se era meglio portarlo personal- nismo (da contemnendus).
611
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
perare, se dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso;21 perché, se poi io non me gli gua-
25 dagnassi, io mi dorrei di me; et per questa cosa, quando la fussi letta, si vedrebbe che quindici
anni che io sono stato a studio all’arte dello stato, non gl’ho né dormiti né giuocati;22 et dover-
rebbe ciascheduno haver caro servirsi d’uno che alle spese d’altri fussi pieno di experienzia.23
Et della fede24 mia non si doverrebbe dubitare, perché, havendo sempre observato la fede, io
non debbo imparare hora a romperla; et chi è stato fedele et buono 43 anni, che io ho, non
30 debbe potere mutare natura; et della fede et della bontà mia ne è testimonio la povertà mia.25
Desidererei adunque che voi ancora mi scrivessi26 quello che sopra questa materia vi
paia,27 et a voi mi raccomando. Sis felix.28
N. Machiavelli, Tutte le opere, a cura di M. Martelli, Sansoni, Firenze 1971.
612
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
ANALISI Il tono più adatto a un momento solenne Per descrivere la propria giornata, Machiavelli
aveva scelto un tono colloquiale, con frequenti espressioni popolari. La seconda parte della
lettera, qui riportata, viene riservata al racconto delle letture serali. In questa sezione prevale
invece lo stile solenne, caratterizzato dall’uso di latinismi (cfr. «maxime», «contennendo» e la
formula di chiusura alla latina), dalla scelta di un lessico aulico («piena di fango et di loto»,
«panni reali et curiali», «nelle cogitationi di questo subbietto») e da una citazione dantesca
(«non fa scienza sanza lo ritenere lo havere inteso»). Il colloquio serale con gli «antiqui huo-
mini» libera l’autore dalla degradazione quotidiana: «dimenticho ogni affanno, non temo la
povertà, non mi sbigottiscie la morte».
INTERPRETAZIONE Machiavelli uomo e scrittore Il contrasto tra gli stili rispecchia il contrasto reale che vive
E COMMENTO Machiavelli, diviso tra le futili occupazioni quotidiane e la coscienza del proprio valore. Da que-
sta condizione nasce anche il dubbio se presentare o no a Giuliano de’ Medici Il Principe: con
la tipica capacità analitica, l’autore esamina i pro e i contro. La sua speranza è che i Medici,
apprezzando la sua opera, comincino a impegnarlo di nuovo in qualche incarico, anche solo
per «voltolare un sasso». Dopo questa espressione autoironica, Machiavelli passa improvvisa-
mente all’orgogliosa rivendicazione del proprio valore e della propria fedeltà: «quindici anni
che io sono stato a studio all’arte dello stato, non gl’ho né dormiti né giuocati»; «et della fede
et della bontà mia ne è testimonio la povertà mia».
613
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
5 Il Principe
Composizione, Nella lettera scritta a Francesco Vettori dall’Albergaccio di San Casciano in Val di Pesa (Firenze)
datazione il 10 dicembre 1513 ( T1, p. 611), Machiavelli annuncia di aver concluso l’opuscolo De princi-
e diffusione
del Principe patibus [I principati], noto anche come Il Principe, un’opera che spicca nella trattatistica del Ri-
nascimento per il suo carattere rivoluzionario. L’annuncio a Vettori si colloca all’interno di un
dialogo con quest’ultimo in cui Machiavelli mette in risalto tre aspetti della propria vita dopo
il distacco forzato dalla politica attiva: 1) l’insofferenza per l’inattività e il desiderio di torna-
re alla vita politica e civile fiorentina; 2) la riflessione sui limiti attuali dei principi italiani
rispetto agli Stati europei più avanzati; 3) l’elaborazione di una teoria politica che sappia far te-
soro dell’esperienza presente concreta e al tempo stesso sappia dialogare con i grandi model-
li antichi, ai quali Machiavelli dedica le proprie letture nelle lunghe sere dell’esilio.
Machiavelli ha probabilmente composto l’opera di getto, fra l’estate e l’autunno del 1513, in
reazione all’esclusione dalla vita politica attiva e nel tentativo di promuovere il proprio ritorno
a essa. L’opera, tuttavia, circolò manoscritta in ambienti ristretti senza suscitare reazioni
importanti, e fu stampata a Roma e a Firenze solo dopo la morte dell’autore, nel 1532: è da quel
momento che inizia la sua ricezione internazionale e il dibattito appassionato sullo scandalo
che essa rappresentava.
La struttura
Un’opera unitaria Il Principe è un’opera fortemente unitaria, suddivisa in ventisei capitoli, ognuno dei quali con
un titolo in latino. Dopo la lettera dedicatoria «ad Magnificum Laurentium Medicem» (‘al Ma-
gnifico Lorenzo de’ Medici’; si tratta di Lorenzo di Piero de’ Medici, non del Magnifico), è pos-
sibile distinguere quattro sezioni tematiche principali:
prima sezione (capp. I-XI): sui diversi tipi di principato e, in particolare, sul principato di
nuova acquisizione;
seconda sezione (capp. XII-XIV): sulla questione delle milizie;
terza sezione (capp. XV-XXIII): sulle “virtù” del principe, cioè le doti che lo caratterizzano;
quarta sezione (capp. XXIV-XXVI): sulla situazione italiana e il problema della fortuna.
Termina con l’esortazione finale rivolta al casato dei Medici.
Prima sezione (capp. I-XI): principato nuovo e principato civile.
Dopo la lettera dedicatoria ( T2, p. 619), Machiavelli passa a esaminare i diversi tipi di
principato. Nei primi capitoli l’autore parla rapidamente dei principati ereditari e misti (in
parte ereditari e in parte nuovi, cioè formati da alcune province di nuova acquisizione), poi
volge la sua attenzione alla conquista di principati del tutto nuovi (capp. VI e VII). Essa può
realizzarsi con armi proprie e grazie alla virtù del principe ( T3, p. 622), oppure con armi al-
trui e per fortuna, come è capitato al duca Valentino ( T4, p. 626).
Nel capitolo VIII si prende in considerazione il principato governato esclusivamente con la
crudeltà, condannato da Machiavelli per ragioni non morali, ma politiche: la crudeltà senza
motivo diminuisce infatti il consenso dei sudditi. Di contro, nel capitolo IX, l’autore prende
posizione a favore del «principato civile», in cui il principe gode dell’appoggio dei citta-
dini. Il capitolo X riguarda la valutazione delle forze che i principati possono mettere in cam-
po contro i nemici esterni; mentre nel capitolo XI si tratta dei principati ecclesiastici, in cui il
potere è detenuto dall’autorità religiosa, come nel caso dello Stato della Chiesa.
Seconda sezione (capp. XII-XIV): le milizie cittadine.
I capitoli XII-XIV costituiscono un blocco tematico autonomo e riguardano l’ordinamen-
to delle milizie. Machiavelli sostiene che solo le armi proprie, costituite da cittadini, pos-
sono garantire la sicurezza dello Stato. Infatti gli eserciti mercenari, combattendo per de-
naro, agiscono per fini egoistici, e sono perciò inaffidabili e pericolosi.
614
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
ZIONI
INFORMA
La struttura e i temi del Principe
Dedica T2, p. 619
Prima sezione
I Elenco dei tipi di principati esistenti
(11 capitoli): II Descrizione dei principati ereditari
i diversi tipi di principati III Descrizione dei principati misti (zone ereditate + territori conquistati)
IV Distinzione tra principati assoluti e principati feudali
V Modi per governare un principato nuovo: - distruggerlo, - abitarlo e governarlo
direttamente, - governarlo indirettamente tramite alcuni rappresentanti scelti
VI La virtù e le armi proprie come mezzi per conquistare un principato T3, p. 622
VII La fortuna e le armi degli altri come mezzi per conquistare un principato T4, p. 626
VIII Distinzione tra principi e tiranni
IX Descrizione del principato civile, cioè acquisito con l’elezione da parte dei cittadini
X Modi per rafforzare un esercito mercenario e uno proprio
XI Descrizione dei principati ecclesiastici, cioè governati dall’autorità religiosa
Seconda sezione
XII Composizione dell’esercito di cittadini, non di mercenari
(3 capitoli): l’esercito XIII Pericolosità degli eserciti ausiliari
XIV Necessità da parte del principe di essere sempre pronto alla guerra
Terza sezione (9 capitoli):
XV Analisi dei comportamenti di un principe nuovo, basata sulla «verità effettua-
le virtù necessarie a un le», cioè sull’osservazione concreta della realtà T5, p. 631
principe nuovo XVI La liberalità e la parsimonia come doti del principe
XVII La pietà e la crudeltà come doti del principe
XVIII Autonomia della politica dalla morale comune: il principe deve utilizzare la
legalità o la forza per «mantenere lo Stato» T6, p. 638
XIX Comportamenti da tenere per evitare l’odio e il disprezzo dei sudditi
XX Riflessione sull’utilità della costruzione di una fortezza da parte del principe
XXI Necessità di promuovere la propria immagine da parte del principe che, a
questo proposito, deve promuovere la cultura e tutelare i cittadini
XXII Le qualità che devono possedere i ministri del principe
XXIII Descrizione dei modi in cui il principe deve difendersi dagli adulatori
Quarta sezione (3 capitoli):
XXIV Analisi delle cause per cui il duca di Milano e il re di Napoli hanno perso il loro
la perdita dello Stato da Stato
parte dei principi italiani; la XXV Rapporto tra virtù e fortuna T7, p. 645
fortuna; l’esortazione finale XXVI Esortazione rivolta a Lorenzo II de’ Medici a liberare l’Italia dalla presenza stra-
niera T8, p. 651
615
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Quarta sezione (capp. XXIV-XXVI): la perdita dello Stato da parte dei principi italiani; la for-
tuna; l’esortazione finale.
Nel capitolo XXIV si esaminano le ragioni che hanno determinato la recente perdita del
potere da parte di alcuni principi italiani. Di qui scaturisce naturalmente l’argomento del
capitolo XXV, il rapporto tra virtù e fortuna: la fortuna è come un fiume in piena, ma Ma-
chiavelli non si rassegna alla sua forza e sostiene l’importanza dell’azione impetuosa per con-
trastarla ( T7, p. 645). Il capitolo XXVI contiene l’esortazione finale a liberare l’Italia dagli
stranieri ( T8, p. 651).
La lingua e lo stile Le scelte di lingua e di stile del Principe rivelano una grande originalità: in quest’opera, Ma-
chiavelli si discosta nettamente dalle tendenze linguistiche dominanti nel Cinquecento,
basate sull’esempio dei classici del Trecento e, per la prosa, su Boccaccio. Come dichiara
nella Lettera dedicatoria, l’autore rifiuta la retorica classicistica e sceglie una lingua viva, in
cui si alternano espressioni popolaresche del fiorentino allora in uso ed espressioni
colte.
Sul piano sintattico prevalgono i periodi costruiti sulla base del “procedimento dilemma-
tico” o disgiuntivo: si presentano cioè, senza vie di mezzo, due alternative nettamente con-
trapposte (“o... o...”).
ZIONI
INFORMA
Machiavelli: l’invenzione della politica e la nascita dello Stato moderno
Un nuovo modo di interpretare la coerente di realizzare questo compito, dello Stato, ottenendone in cambio or-
politica in esso avvenne una sorta di “inven- dine, pace e sicurezza.
Nel 1510, dopo una missione diploma- zione” della politica in senso moderno;
tica in Francia, Machiavelli scrisse un in cui cioè si ragiona sulla realtà per Due prospettive politiche
Ritratto di cose di Francia nel quale come è e non per come dovrebbe Se Machiavelli era stato il teorico delle
esprimeva la propria ammirazione per essere, e a partire dai modi per lotte politiche, il filosofo inglese Tho-
le caratteristiche di quel paese che ottenere e conservare il potere e dalla mas Hobbes (1588-1679) fu il maggior
aveva, a differenza degli Stati regionali conflittualità che se ne genera. teorico dello Stato assoluto. Nel Leviata-
italiani, un potere politico e una buro- L’invenzione della politica in senso mo- no (1651), Hobbes paragona lo Stato a
crazia fortemente accentrati. Osser- derno e la nascita dello Stato moderno un animale artificiale, o a una macchi-
vando fatti concreti – l’emanazione di sono dunque collegate, e fino alla svol- na, creato dagli uomini per sottrarsi allo
leggi e l’esercizio della giustizia, la ri- ta della Rivoluzione francese (1789), stato di natura, nel quale trionfa la guer-
scossione delle tasse, l’organizzazione che metterà in discussione la natura ra di tutti contro tutti. La parte di libertà,
militare e burocratica – Machiavelli si dello Stato a vantaggio di una più este- anche cospicua, che i cittadini cedono
rese conto della novità costituita dagli sa partecipazione democratica, gli Sta- allo Stato è il prezzo per ottenere una
Stati moderni e delle conseguenze che ti moderni tendono a organizzarsi se- concordia sociale ed essere liberati dai
derivavano dalla loro affermazione. condo i principi dell’assolutismo. Lo conflitti individuali e sociali.
La complessità sociale e istituzionale Stato assoluto porta alle estreme con- Come si può capire, le due prospettive
degli Stati moderni rese di colpo supe- seguenze l’accentramento del potere hanno continuato ad agire fino a oggi
rati e anacronistici i modi precedenti e il rigore organizzativo dello Stato mo- nelle diverse posizioni politiche, ora spin-
di considerare la politica e la sua rap- derno: gli stessi antagonismi fra grup- gendo a valorizzare la partecipazione e il
presentazione. Si trattava di ragionare pi sociali e fra cittadini per i quali Ma- confronto, anche conflittuali e antagoni-
realisticamente a partire dalla cono- chiavelli aveva “inventato” la media- stici, ora inducendo a scoraggiarli con
scenza diretta e articolata della realtà zione della politica, nello Stato assolu- strutture di potere più accentrate o perfi-
sociale; e di inventare un modo nuovo to cedono il posto a uno scambio no assolute (come i totalitarismi). E la
per interpretare le trasformazioni in (chiamato perfino “contratto”) fra cit- politica in senso moderno è una “scien-
atto e per intervenire in esse in modo tadini e Stato. I primi rinunciano a una za” che si muove fra questi due modelli
efficace. Il Principe fu il tentativo più parte della propria libertà a vantaggio storici, e fra questi due orizzonti teorici.
616
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
Lo stile del Principe mostra la forte tensione saggistica che anima la scrittura di Machia-
velli, nella quale si alternano linguaggio “alto” (con il ricorso a latinismi) e linguaggio “basso”
(con l’influenza del parlato e del fiorentino allora in uso). Inoltre, la prosa del Principe procede
sia per argomentazioni rigorose, sia per immagini naturali e fantasiose; sia per procedimenti
del ragionamento scientifico, sia per momenti di intensità appassionata.
Un manifesto Il Principe non è però solo un trattato di analisi politica, ma può essere considerato anche una
politico in risposta sorta di manifesto politico che contiene un programma di interventi per il futuro dell’Ita-
alla crisi italiana
lia. Infatti, l’analisi storica rivela a Machiavelli la gravità della crisi della Penisola. Occorre che
ad essa ponga rimedio un principe, creando uno Stato nuovo a partire dall’attuale fram-
mentazione. Ciò significa anzitutto superare i particolarismi dell’eredità feudale: il sovrano
deve cercare il consenso del “popolo”, ostacolando le pretese di potere dell’aristocrazia feu-
dale. Per realizzare questo programma occorre «andare drieto (dietro) alla verità effettuale del-
le cose» e non alla «immaginazione di essa». È proprio grazie alla «verità effettuale» delle cose
che Machiavelli mostra il suo realismo: bisogna guardare in faccia la realtà, anche negli aspetti
spiacevoli, e smascherarne ogni interpretazione idealizzata.
Il rapporto L’analisi e lo studio della realtà mostrano che la «fortuna», cioè la mutevolezza della storia e
tra «virtù» e delle situazioni, condiziona la vita umana. L’uomo può tentare di combattere i capricci del-
«fortuna»
la fortuna con la «virtù», cioè attraverso doti personali come l’ingegno, la prudenza, l’intra-
prendenza. Secondo Machiavelli, in certe situazioni occorre avere un atteggiamento “impetuo-
so”, in altre uno “respettivo” (cioè prudente). Purtroppo l’uomo sa difficilmente modificare il
proprio carattere e adattarlo alle diverse situazioni. Ma, visto che «la fortuna è donna», essa
preferisce i giovani e gli impetuosi rispetto agli anziani e ai cauti.
Il rapporto tra Le “virtù” del principe sono elencate nei capitoli XV-XXIII, proprio quelli che hanno deter-
politica e morale minato la condanna dell’autore. L’analisi di Machiavelli è incentrata su un realismo scono-
sciuto alla precedente tradizione medievale e umanistica. Il principe «savio» (cioè saggio)
non può farsi condizionare da obblighi morali: egli deve perseguire solo il bene dello Stato.
Viene dunque affermata l’autonomia della politica dalla morale comune. Se il principe de-
ve obbedire solo alla “ragion di Stato”, allora è autorizzato a usare anche dei mezzi moral-
mente condannabili. Questo non vuol dire che Machiavelli sia un cinico senza morale: sem-
plicemente è consapevole che il male esiste; l’uomo deve guardarlo in faccia e servirsene, se
costretto, per ottenere un bene superiore (in questo caso, la stabilità del principato). Di qui
la spregiudicatezza del principe, che è il prezzo da pagare per sconfiggere la fortuna e agire
con efficacia sul terreno concreto della politica. Machiavelli è come uno scienziato che ha da-
vanti a sé un organismo e deve diagnosticarne la malattia: la sua analisi è spietata; la realtà è
quella che è.
È questa visione a fare di Machiavelli il fondatore della moderna scienza politica, incen-
trata sulla efficacia dell’azione e sulla capacità di raggiungere gli obiettivi. Liberata dal campo
della morale, l’attività del principe non sarà più da giudicare sulla base dei criteri del bene e del
male ma sulla base del successo o dell’insuccesso. Ciò ha due effetti significativi:
in primo luogo le azioni dell’uomo non sono più sottoposte alla morale religiosa ma ven-
gono ricondotte a un orizzonte laico e terreno;
in secondo luogo, anche le idealizzazioni umanistiche vengono a loro volta relativizzate: di
queste rimane in Machiavelli la fiducia nelle facoltà eroiche dell’azione, ma l’eroismo di
cui parla Machiavelli comprende anche la dimensione dell’istinto e della bestialità, che la
trattatistica del classicismo rinascimentale non prendeva in considerazione. Affinché que-
ste parti non prevalgano, occorre realisticamente sapercisi confrontare, e all’occorrenza
saperle anzi impiegare a proprio vantaggio.
617
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Le leggi e la Per descrivere le virtù che il principe ideale deve possedere, Machiavelli riprende un’immagi-
violenza: il politico ne della mitologia classica: quella del centauro, mezzo uomo e mezzo cavallo. Esistono infatti
“centauro”
due modi diversi di combattere: quello dell’uomo e quello della bestia. Il primo osserva critica-
mente la realtà e ne ricava le leggi di funzionamento, il secondo usa la violenza. Quando la for-
za delle leggi non basta più, il principe deve saper usare la violenza. Il principe è dunque
un politico-centauro.
Con queste affermazioni, Machiavelli rivoluziona la visione dell’uomo dominante nella
cultura umanistica. Egli riprende la fiducia umanistica nella capacità dell’individuo di control-
lare razionalmente gli eventi, ma rifiuta ogni visione idealizzata che avvicina l’uomo alle spe-
cie angeliche. Per la tradizione umanistica l’animalità è cieca negatività; per Machiavelli,
invece, la «bestia» non rappresenta la degradazione, ma una componente essenziale nell’indi-
viduo. Razionalità e istinto non sono più concepiti come due poli in opposizione: la bestia
non è contrapposta all’uomo, ma è parte integrante di esso. La vitalità della bestia è anzi valo-
rizzata: per fronteggiare le «variazioni della fortuna» è infatti preferibile, secondo Machiavelli,
un temperamento impetuoso piuttosto che «rispettivo». Machiavelli deriva la sua visione
naturalistica dalla tradizione materialistica classica, che considerava gli organismi viventi
dominati da leggi comuni a tutti i cicli vitali. L’uomo viene considerato come uno dei tanti
fenomeni della natura, come il corso del sole e delle stelle e come il ciclo delle stagioni. La
parte bestiale della natura umana viene descritta attraverso l’immagine della «golpe»
[volpe], che rappresenta l’astuzia prudente e simulatrice, e quella del «lione», che indica la
violenza impetuosa. Di conseguenza, il principe deve «sapere bene usare la bestia e l’uomo».
Alla base di questa affermazione c’è una lucida analisi storica e una visione pessimistica della
natura umana: sono gli uomini «non buoni» e «tristi» [malvagi] a costringere il principe a
essere, se necessario, feroce come una bestia.
La prospettiva Il punto di partenza della riflessione di Machiavelli è la crisi italiana iniziata nell’ultimo de-
utopica cennio del Quattrocento, con la morte di Lorenzo de’ Medici e la discesa di Carlo VIII in Italia.
Egli vede lucidamente le cause principali di quella crisi: la mancanza di una monarchia nazio-
nale come quella francese, la divisione in tanti piccoli Stati, la debolezza militare, la conse-
guente subordinazione ai francesi e agli spagnoli. Dopo una lunga analisi storica, il trattato si
conclude però con l’invito rivolto a Lorenzo di Piero de’ Medici affinché metta fine alla cri-
si d’Italia, liberandola dagli stranieri. L’esortazione finale, che rivela il progetto politico dell’o-
pera e insieme la sua prospettiva utopica, fa appello non più al ragionamento logico ma alla
forza dei sentimenti.
La necessità delle Nei tre capitoli dal XII al XIV Machiavelli affronta la questione delle milizie che un principe de-
milizie proprie ve avere per difendersi dai nemici e per attaccarli, ove sia necessario. Come in altri scritti spe-
cificamente dedicati a questo tema, Machiavelli mostra la inaffidabilità degli eserciti merce-
nari, cioè di professionisti retribuiti, e la necessità per il principe di munirsi di armi proprie,
cioè di truppe costituite dagli stessi cittadini. La questione assume un rilievo sia storico-mili-
tare sia teorico. Dal punto di vista storico, Machiavelli aveva avuto modo di verificare di perso-
na i limiti militari degli eserciti mercenari e la superiorità degli eserciti costituiti da milizie cit-
tadine; e aveva avuto modo di rendersi conto della fragilità intrinseca dei piccoli Stati italiani
sul piano innanzitutto militare. Dal punto di vista teorico, la necessità di avere armi per preva-
lere sulla fortuna avversa e l’inutilità di essere «profeti disarmati» ha un logico corollario nella
importanza attribuita ad eserciti sicuri e affidabili.
FACCIAMO IL PUNTO
È possibile distinguere 4 sezioni all’interno del Principe: quale argomento tratta ciascuna sezione?
Perché si parla di “prospettiva utopica” dell’opera?
618
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
Scritta probabilmente all’inizio del 1516, la lettera dedicatoria è posta ad apertura del Principe: in essa
Machiavelli dichiara di far dono dell’opera a Lorenzo di Piero de’ Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico.
L’autore rivela così il proprio desiderio di fare ritorno alla politica attiva. È dunque evidente quanto delica-
to in questo testo sia il rapporto tra l’intellettuale e il potere.
I TEMI affermazione della propria competenza in ambito politico rapporto tra intellettuale e potere
Sogliono, el più delle volte, coloro che desiderano acquistare grazia appresso uno Principe,
farsegli incontro con quelle cose che infra le loro abbino più care, o delle quali vegghino lui
più delettarsi;2 donde3 si vede molte volte essere loro presentati cavalli, arme, drappi d’oro,
5 pietre preziose e simili ornamenti degni della grandezza di quelli. Desiderando io, adunque,
offerirmi alla Vostra Magnificenzia con qualche testimone della servitù mia verso di quella,4
non ho trovato, intra la mia suppellettile,5 cosa quale io abbi più cara o tanto esìstimi6 quanto
la cognizione delle azioni degli uomini grandi, imparata da me con una lunga esperienzia del-
le cose moderne e una continua lezione7 delle antique; le quali avendo io con gran diligenzia
10 lungamente escogitate ed esaminate,8 e ora in uno piccolo volume ridotte, mando alla Ma-
gnificenzia Vostra.
E benché io giudichi questa opera indegna della presenzia di quella, tamen9 confido assai
che per sua umanità li debba essere accetta, considerato come da me non gli possa essere fatto
maggiore dono che darle facultà a potere in brevissimo tempo intendere10 tutto quello che
1 NICOLAUS...MEDICEM: Niccolò Machiavelli pe trae maggior diletto. 7 continua lezione: La lingua nel tempo.
al Magnifico Lorenzo de’ Medici. Si tratta di 3 donde: e perciò. 8 lungamente...esaminate: a lungo ricercate
Lorenzo de’ Medici il Giovane (1492-1519), 4 testimone...quella: con qualche segno del con la riflessione e analizzate.
duca di Urbino, che con l’appoggio di papa mio rispettoso ossequio verso la Vostra Magni- 9 indegna...tamen: indegna di comparire
Leone X era candidato a reggere il nuovo do- ficenza. davanti alla Magnificenza Vostra (quella),
minio mediceo a Firenze. 5 intra...suppellettile: tra le cose da me pos- tuttavia (tamen; latinismo).
2 farsegli incontro...delettarsi: offrire in sedute; è da intendersi in senso metaforico 10 facultà...intendere: capacità di poter ap-
omaggio le cose che, tra quelle possedute, sono come mio bagaglio di esperienze. prendere in brevissimo tempo.
loro più care o dalle quali sanno che un princi- 6 esìstimi: stimi. Dal latino existimo.
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PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
15 io, in tanti anni e con tanti mia disagi e periculi, ho conosciuto e inteso. La quale opera io non
ho ornata né ripiena di clausule ample,11 o di parole ampullose e magnifiche, o di qualunque
altro lenocinio o ornamento estrinseco,12 con li quali molti sogliono le loro cose descrivere e
ornare; perché io ho voluto, o che veruna cosa la onori, o che solamente la varietà della mate-
ria e la gravità del subietto la facci grata.13 Né voglio sia reputata presunzione se uno uomo di
20 basso ed infimo stato ardisce discorrere e regolare e’ governi de’ principi;14 perché, così come
coloro che disegnano e’ paesi si pongono bassi nel piano a considerare la natura de’ monti e
de’ luoghi alti, e per considerare quella de’ bassi si pongono alti sopra e’ monti, similmente,
a conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe, e a conoscere bene quella de’
principi, bisogna essere populare.15
25 Pigli, adunque, Vostra Magnificenzia questo piccolo dono con quello animo che io lo man-
do; il quale se da quella fia16 diligentemente considerato e letto, vi conoscerà dentro uno
estremo mio desiderio; che Lei pervenga a quella grandezza che la fortuna e le altre sue qua-
lità gli promettano. E se Vostra Magnificenzia dallo apice della sua altezza qualche volta vol-
gerà gli occhi in questi luoghi bassi, conoscerà quanto io indegnamente17 sopporti una grande
30 e continua malignità di fortuna.
N. Machiavelli, Il Principe, in Tutte le opere, cit.
11 La quale...ample: E quest’opera io non l’ho (estrinseco). dizione non nobile osa esaminare e dotare di
rivestita né riempita di studiati finali dei perio- 13 o che veruna...grata: che nessun orna- regole i governi dei principi.
di (clausule), tradizionalmente impiegati mento formale la renda bella, e che solo la no- 15 populare: far parte del popolo. Per popu-
per dare, secondo l’uso retorico delle lettera- vità del soggetto trattato (varietà) e l’impor- lare Machiavelli intende la media borghesia
ture classiche, solennità e ritmo al discorso. tanza dell’argomento (gravità del subietto) produttiva e delle professioni, non il popolo
12 o di parole...estrinseco: o di parole enfa- la rendano pregevole. dei lavoratori manuali.
tiche e altisonanti, o di ogni altra ruffianeria 14 Né voglio...principi: E desidero che non sia 16 fia: sarà.
formale (lenocinio) o ornamento esteriore ritenuta una presunzione se un uomo di con- 17 indegnamente: immeritatamente.
ANALISI Uno stile preciso e concreto L’autore descrive il proprio stile come assolutamente asciutto,
privo di qualunque ornamento esteriore, mirato esclusivamente a evidenziare la novità dei
temi e l’importanza dell’argomento. Machiavelli rifiuta le «clausule ample» e le «parole ampul-
lose» che caratterizzavano la trattatistica umanistica precedente: è consapevole di impiegare
uno stile nuovo, che nomina le cose con precisione, nella loro crudezza e concretezza. Lo stile
di Machiavelli si caratterizza soprattutto per il “procedimento dilemmatico” o disgiuntivo, che
consiste in una serie di frasi principali coordinate tra loro da congiunzioni avversative o disgiun-
tive («o… o…»), usato per incitare il lettore a pensare per opzioni alternative e a costringerlo
a una scelta.
Una lingua composita Già in questa dedica emergono i tratti salienti della lingua compo-
sita del Principe, in cui sono abilmente mescolati latinismi («esìstimi», «tamen» «fia») a termini
di uso popolare («Pigli»). Non mancano, inoltre, vocaboli tecnici, appartenenti cioè al linguag-
gio della politica («e’ governi de’ principi») o a quello della burocrazia («Vostra Magnificenzia»).
620
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
Un dono speciale per il signore: «uno piccolo volume» Machiavelli dichiara di aver voluto
donare al signore qualcosa di diverso dall’usuale offerta di cavalli, armi, drappi d’oro e pie-
tre preziose. Porge infatti «uno piccolo volume» che dà la possibilità di intendere in brevis-
simo tempo quello che in tanti anni di esperienza e di letture egli aveva conosciuto e com-
preso. Il fatto che un uomo di bassa condizione sociale detti le regole per i governi dei prin-
cipi non dovrà sembrare presunzione: lo scrittore è paragonato al disegnatore che, per
ritrarre la natura delle montagne, deve scegliere la pianura come punto d’osservazione. Allo
stesso modo, per osservare la natura dei principi, lo scrittore deve essere «populare», un
uomo del popolo.
INTERPRETAZIONE Machiavelli di fronte al potere La dedica offre all’autore lo spunto per un sintetico giudizio
E COMMENTO sulla propria opera: riprendendo un’idea già espressa nella lettera al Vettori, Machiavelli pre-
senta il trattato come un serbatoio della propria esperienza. In modo prudente rivendica la pro-
pria competenza in ambito politico e la offre al potente nella speranza che ciò lo induca a
impiegarlo di nuovo nell’azione, a volgere lo sguardo «in questi luoghi bassi» dove egli imme-
ritatamente sopporta «una grande e continua malignità di fortuna».
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PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Il capitolo VI illustra la situazione di individui che conquistano il principato con virtù e armi proprie. È le-
gato in forma oppositiva al settimo, in cui si parla, invece, di chi conquista il potere con la fortuna e con
l’aiuto delle armi altrui. L’inizio del capitolo segna una svolta: dalla classificazione dei principati si passa
a parlare dei principati del tutto nuovi e del modo per conquistarli. Per raggiungere tale obiettivo, occorre
ispirarsi ai «grandissimi esempli» di Mosè, Ciro, Romolo, Teseo, i quali, grazie alla loro virtù, seppero
fronteggiare la fortuna. Come esempio negativo viene indicato invece Savonarola, che non ricorse all’uso
della forza, da Machiavelli ritenuto necessario per istituire nuovi ordinamenti.
I TEMI esempio degli antichi rapporto tra virtù e occasione necessità dell’uso della forza
Non si maravigli alcuno se, nel parlare che io farò de’ principati al tutto nuovi, e di principe e
di stato,2 io addurrò grandissimi esempli;3 perché, camminando gli uomini quasi sempre per
le vie battute da altri, e procedendo nelle azioni loro con le imitazioni,4 né si potendo le vie
5 di altri al tutto tenere,5 né alla virtù di quelli che tu imiti aggiugnere,6 debbe uno uomo pru-
dente intrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi
imitare, acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore;7 e fare come
gli arcieri prudenti, a’ quali parendo el loco dove disegnano ferire troppo lontano, e conoscen-
do fino a quanto va la virtù del loro arco,8 pongono la mira assai più alta che il loco destinato,
10 non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere, con lo aiuto di sì alta
mira, pervenire al disegno loro.9
Dico, adunque, che ne’ principati tutti nuovi, dove sia uno nuovo principe, si trova a mante-
nerli10 più o meno difficultà, secondo che più o meno è virtuoso colui che gli acquista. E perché
questo evento di diventare, di privato, principe,11 presuppone o virtù o fortuna, pare che l’una o
15 l’altra di queste dua cose mitighi, in parte, di molte difficultà; nondimanco, colui che è stato meno
in sulla fortuna, si è mantenuto più.12 Genera ancora facilità essere il principe costretto, per non
avere altri stati, venire personalmente ad abitarvi. Ma per venire a quelli che, per propria virtù
e non per fortuna, sono diventati principi, dico che li più eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo,
Teseo13 e simili. E benché di Moisè non si debba ragionare, sendo suto uno mero esecutore delle
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CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
20 cose che gli erano ordinate da Dio, tamen debbe essere ammirato solum per quella grazia che lo
faceva degno di parlare con Dio.14 Ma consideriamo Ciro e gli altri che hanno acquistato o fondato
regni: li troverrete15 tutti mirabili; e se si considerranno le azioni e ordini loro particulari, parran-
no non discrepanti da quelli di Moisè, che ebbe sì gran precettore.16 Ed esaminando le azioni e
vita loro, non si vede che quelli avessino altro dalla fortuna che la occasione; la quale dette loro
25 materia a potere introdurvi dentro quella forma parse loro;17 e sanza quella occasione la virtù
dello animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta invano.18
[…]
Quelli e’ quali per vie virtuose,19 simili a costoro, diventano principi, acquistano el princi-
pato con difficultà, ma con facilità lo tengono; e le difficultà che gli hanno nello acquistare el
30 principato, in parte nascono da’ nuovi ordini e modi che sono forzati introdurre per fondare
lo stato loro e la loro securtà.20 E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare,
né più dubia a riuscire, né più periculosa a maneggiare, che farsi capo a21 introdurre nuovi
ordini; perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che degli ordini vecchi fanno bene,22
e ha tepidi defensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbono bene.23 La quale tepidezza
35 nasce, parte per paura degli avversarii, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredu-
lità degli uomini, li quali non credano24 in verità le cose nuove, se non ne veggano nata una
ferma esperienza;25 donde nasce che qualunque volta quelli che sono nimici hanno occasione
di assaltare, lo fanno partigianamente,26 e quegli altri defendano tepidamente:27 in modo
che insieme con loro si periclita.28 È necessario pertanto, volendo discorrere29 bene questa
40 parte, esaminare se questi innovatori stanno per loro medesimi o se dependano da altri;30
cioè, se per condurre l’opera loro bisogna che preghino, ovvero possono forzare.31 Nel primo
caso capitano sempre male e non conducano cosa alcuna; ma, quando dependono da loro pro-
prii e possono forzare, allora è che rare volte periclitano.32 Di qui nacque che tutti e’ profeti
armati vinsono, e li disarmati ruinorono.33 Perché, oltre alle cose dette, la natura de’ populi è
14 E benché...con Dio: E sebbene Mosè non Si tratta di uno dei luoghi classici per la defi- lo fanno con la forza di chi combatte per i pro-
possa costituire un esempio adatto al nostro nizione dei concetti machiavelliani di virtù, pri interessi (partigianamente).
ragionamento essendo stato (senso suto) un fortuna e occasione nelle loro interconnes- 27 e quegli altri...tepidamente: mentre gli
semplice esecutore degli ordini che gli veniva- sioni e nei loro limiti reciproci. altri [: i sudditi a lui consenzienti] lo difendo-
no da Dio, tuttavia (tamen) deve essere am- 19 per vie virtuose: basandosi sulla virtù. no debolmente, senza convinzione.
mirato, non fosse altro che per quella speciale 20 in parte...securtà: in parte derivano dai 28 si periclita: si corre pericolo. Latinismo.
grazia che lo rendeva degno di parlare con Dio. nuovi ordinamenti giuridici e dalle nuove 29 discorrere: trattare.
Qui e nella successiva affermazione riferi- forme di governo (nuovi ordini e modi) che 30 se questi...altri: se questi fondatori di Stati
ta a Mosè (cfr. nota 16) si scorge una certa sono costretti a introdurre per dare solide basi nuovi (innovatori) contino solo sulle proprie
ironia, frequente in Machiavelli quando af- al loro Stato e alla propria sicurezza. Il tema forze oppure se contino sull’aiuto altrui.
fronta il tema dell’uso della religione come dell’introduzione di nuovi ordini è una 31 bisogna...forzare: bisogna che invochi-
mezzo di dominio. delle questioni centrali del pensiero poli- no l’aiuto altrui oppure possano agire con
15 troverrete: troverete. È una forma del fio- tico di Machiavelli, ricorrente non solo nel energia e decisione. L’opposizione tra i ter-
rentino parlato. Principe ma anche nei Discorsi. Introdurre mini “pregare” e “forzare”, istituita da Ma-
16 sì gran precettore: una così alta guida. un “nuovo ordine” in una città o in uno Sta- chiavelli, rinvia a due situazioni opposte:
Riferito a Dio. Come la precedente espres- to è l’impresa più complessa per il principe; quella di implorante debolezza verso alleati
sione (cfr. nota 14), anche questa non è pri- coinvolge infatti la questione del consenso poco sicuri e quella di energica determina-
va di ironia. dei sudditi. zione da parte di chi conta solo sulle pro-
17 la quale...loro: la quale [la occasione] of- 21 che farsi capo a: che prendere l’iniziativa di. prie forze.
frì loro il dato materiale nel quale essi poterono 22 fanno bene: traggono vantaggio. 32 dependono...periclitano: dipendono esclu-
infondere e modellare la forma [dello Stato] 23 e ha...bene: e trova consensi ben poco de- sivamente da se stessi e possono agire con deci-
secondo il proprio intendimento. La distin- cisi (tepidi) in quelli che trarrebbero vantag- sione, allora è raro che corrano pericolo.
zione fra materia e forma, e la concezione gio (farebbono bene) dai nuovi ordinamenti 33 Di qui nacque...ruinorono: Da tutto ciò
della forma come principio vitale creatore, politici e giuridici. ebbe origine [il principio] per cui tutti i fon-
rinviano alla filosofia aristotelica. 24 credano: credono. Forma del fiorentino datori di ordini nuovi che si basarono sulla
18 e sanza...invano: senza quella particolare parlato. forza riuscirono vincitori, mentre coloro che
disposizione delle circostanze oggettive (oc- 25 una ferma esperienza: una conoscenza non disponevano di proprie forze fallirono nel
casione) la loro capacità operativa (virtù) consolidata e sicura. loro intento. Per denominare il fondatore di
sarebbe venuta meno, ma senza quella loro 26 donde...partigianamente: ne consegue nuovi ordini Machiavelli introduce qui il
capacità anche quelle particolari circostanze che ogni volta che i sudditi che gli sono avversi termine “profeta” pensando all’esempio di
favorevoli sarebbero intervenute inutilmente. hanno occasione di assalire il nuovo principe, Savonarola, introdotto subito dopo.
623
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
45 varia;34 ed è facile a persuadere loro una cosa,35 ma è difficile fermarli in quella persuasione;
e però conviene essere ordinato36 in modo che, quando e’37 non credono più, si possa fare
loro credere per forza. Moisè, Ciro, Teseo e Romulo non arebbono possuto38 fare osservare
loro lungamente le loro costituzioni,39 se fussino40 stati disarmati: come ne’ nostri tempi
intervenne a fra’ Girolamo Savonerola;41 il quale ruinò ne’ sua ordini nuovi,42 come la mol-
50 titudine cominciò a non credergli;43 e lui non aveva modo a tenere fermi quelli che avevano
creduto, né a far credere e’ discredenti.44 Però questi tali hanno nel condursi gran difficultà, e
tutti e’ loro periculi sono fra via, e conviene che con la virtù li superino:45 ma superati che gli
hanno,46 e che cominciano ad essere in venerazione,47 avendo spenti quelli che di sua qualità
li avevano invidia,48 rimangono potenti, securi, onorati, felici.
N. Machiavelli, Il Principe, in Tutte le opere, cit.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
I principati nuovi
Il brano è tratto dal capitolo VI e introduce un argomento ancora non trattato, cioè la nascita di principati
nuovi. Machiavelli propone, come esempi da imitare, grandi uomini. Gli innovatori sono sempre guardati
con sospetto perché sono boicottati da chi si trovava prima al potere e dagli stessi sudditi che non
credono facilmente alle novità: per questo i nuovi principati si devono fondare su una forza solida, che
consenta al principe di agire indipendentemente dall’aiuto degli altri.
Quali sono i grandi uomini che l’autore cita come esempio?
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CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
ANALISI
Metafore utili all’argomentazione
Il brano inizia con due metafore, entrambe tratte dall’esperienza comune e sviluppate in maniera sin-
tetica. Le due metafore non sono semplici oggetti letterari, inseriti solo per abbellire retoricamente il
discorso, ma sono funzionali all’argomentazione a cui vogliono dare rilievo e importanza.
Individua le due metafore con cui si apre il brano.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
Il principio di imitazione in politica
Machiavelli apre il capitolo introducendo una questione di metodo: l’applicazione, in campo politico, del
principio di imitazione caro alla cultura rinascimentale. Bisogna trarre insegnamento dagli eventi politici
del passato per l’azione nel presente; bisogna percorrere le «vie [già] battute da uomini grandi».
Come viene applicato il principio di imitazione in politica?
625
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Il capitolo VII si contrappone al precedente: chi conquisterà uno stato con l’aiuto della fortuna e delle armi altrui
lo manterrà con grandissima difficoltà. Lo stato così realizzato è paragonato a un albero cresciuto troppo in
fretta, privo delle “barbe”, delle radici, destinato a cadere alla prima tempesta. Diversamente dalle “cose di
natura”, però, nelle cose dello Stato è possibile forzare i tempi della crescita naturale e combattere anche le
difficoltà più estreme. A rappresentare questo caso limite Machiavelli sceglie la figura per lui esemplare del
duca Valentino, Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI. Egli aveva dato prova di grande decisione, eliminan-
do tutti i suoi nemici. Il Valentino aveva cercato anche di essere previdente per il futuro: per far eleggere come
successore al padre un papa non ostile, tentò di tirare dalla propria parte l’aristocrazia romana e di controllare
il collegio dei cardinali; tentò inoltre di conquistare la Toscana per realizzare un vasto Stato centro-italiano.
Tuttavia fallì. La «estraordinaria ed estrema malignità di fortuna» fu una delle cause del fallimento: a
breve distanza, papa Alessandro VI morì e il duca si ammalò gravemente. Il Valentino fece un fatale erro-
re: non ostacolò l’elezione di Giulio II Della Rovere, nemico dei Borgia e «cagione dell’ultima ruina sua».
I TEMI esemplarità della figura del duca Valentino fallimento dovuto alla fortuna o ad un errore fatale?
Coloro e’ quali solamente per fortuna diventano, di privati, principi,2 con poca fatica diven
tano, ma con assai si mantengono; e non hanno alcuna difficultà fra via, perché vi volano;3
ma tutte le difficultà nascono quando e’ sono posti.4 E questi tali sono quando è concesso ad
5 alcuno uno stato o per danari o per grazia di chi lo concede: come intervenne a molti in Grecia,
nelle città di Ionia e di Ellesponto, dove furono fatti principi da Dario,5 acciò le tenessino per
sua securtà e gloria;6 come erano fatti ancora quegli imperadori che, di privati, per corruzione
de’ soldati, pervenivano allo imperio.7 Questi stanno semplicemente in sulla voluntà e for
tuna di chi lo ha concesso loro, che sono dua cose volubilissime e instabili; e non sanno e non
10 possono tenere quel grado.8 Non sanno, perché, se non è uomo di grande ingegno e virtù, non
è ragionevole che, sendo sempre vissuto in privata fortuna,9 sappi comandare; non possono,
perché non hanno forze che li possino essere amiche e fedeli. Di poi, gli stati che vengano
subito, come tutte le altre cose della natura che nascono e crescono presto, non possono ave
re le barbe e corrispondenzie loro;10 in modo che el primo tempo avverso le spegne;11 se già
15 quelli tali, come è detto, che sì de repente12 sono diventati principi, non sono di tanta virtù
che quello che la fortuna ha messo loro in grembo, e’ sappino subito prepararsi a conservarlo,
e quelli fondamenti che gli altri hanno fatti avanti che13 diventino principi, li faccino poi.
Io voglio all’uno e all’altro di questi modi detti, circa il diventare principe per virtù o per
fortuna, addurre dua esempli stati ne’ dì della memoria nostra:14 e questi sono Francesco
20 Sforza e Cesare Borgia.15 Francesco, per li debiti mezzi16 e con una grande sua virtù, di pri
1 DE...ACQUIRUNTUR: I principati nuovi che la sicurezza e come segno della gloria di Dario. dello Statopianta evidenziata dalle barbe
si acquistano con armi altrui e con la fortuna. 7 quegli...imperio: allo stesso modo agirono e corrispondenzie rivela la machiavelliana
2 diventano...principi: da cittadini privati quegli imperatori romani che pervennero al concezione naturalistica della realtà politica.
divengono principi. trono imperiale mediante la corruzione dell’e- 11 el...spegne: la prima tempesta le elimina.
3 non...volano: non incontrano nessuna dif- sercito. Machiavelli si riferisce agli imperato 12 sì de repente: così improvvisamente.
ficoltà durante l’impresa di conquista (fra via) ri che vennero acclamati dalle legioni, dopo 13 avanti che: prima di.
perché vi giungono al volo. avere corrotto a tal fine i soldati. 14 ne’ dì...nostra: nei giorni che noi possia-
4 sono posti: hanno raggiunto il dominio, 8 quel grado: quella posizione di comando. mo ricordare, molto recenti.
essendovisi insediati. 9 privata fortuna: condizione (fortuna) di 15 Francesco Sforza e Cesare Borgia: Fran
5 Dario: l’imperatore persiano Dario I nel privato cittadino. cesco Sforza (14011466) nel suo tragitto da
522 a.C. riorganizzò l’Impero in satrapie, 10 Di poi...loro: Inoltre, gli Stati che crescono capitano di ventura a signore di Milano costi
affidando ai satrapi, che governavano in suo in fretta (vengano subito), come tutto ciò che tuisce per Machiavelli, come il Valentino, un
nome, l’amministrazione delle città greche in natura nasce e cresce troppo rapidamente, modello esemplare di principe nuovo.
dell’Asia Minore. non possono avere le radici e le loro ramifica- 16 per li debiti mezzi: con i mezzi politica-
6 acciò...gloria: affinché le amministrassero per zioni (barbe e corrispondenzie). La figura mente adatti.
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CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
vato diventò duca di Milano; e quello che con mille affanni aveva acquistato, con poca fatica
mantenne. Dall’altra parte Cesare Borgia, chiamato dal vulgo duca Valentino, acquistò lo sta-
to con la fortuna del padre, e con quella lo perdé; nonostante che per lui si usassi ogni opera17
e facessi tutte quelle cose che per uno prudente e virtuoso uomo si doveva fare per mettere le
25 barbe sue18 in quelli stati che l’arme e fortuna di altri gli aveva concessi. Perché, come di sopra
si disse, chi non fa e’ fondamenti prima, li potrebbe con una gran virtù farli poi, ancora che
si faccino con disagio dello architettore e periculo dello edifizio.19 Se, adunque, si considerrà
tutti e’ progressi del duca,20 si vedrà lui aversi fatti gran fondamenti alla futura potenzia; li
quali non iudico superfluo discorrere,21 perché io non saprei quali precetti mi dare22 migliori
30 a uno principe nuovo, che lo esemplo delle azioni sua: e se gli ordini suoi non li profittorono,23
non fu sua colpa, perché nacque da una estraordinaria ed estrema malignità di fortuna.24
[...]
Preso che ebbe il duca la Romagna, e trovandola suta comandata da signori impotenti, li
quali più presto avevano spogliato e’ loro sudditi che corretti,25 e dato loro materia di disunio-
17 per lui...opera: da parte sua fosse fatta del principe-costruttore. 23 se gli ordini...profittorono: se le sue delibe-
ogni azione [utile a conservare lo Stato]. 20 si considerrà...duca: si considereranno razioni non gli giovarono.
18 le barbe sue: le sue radici. Ritorna la i diversi modi di procedere (progressi) del 24 estraordinaria...fortuna: il riferimento
metafora dello Stato-pianta per indicare i duca. Il verbo al singolare e il soggetto plura- è, come verrà spiegato successivamente,
fondamenti saldi e sicuri del potere del Va- le sono presenti talvolta nella sintassi vicina all’imprevedibile contemporaneità della
lentino. al parlato impiegata da Machiavelli. morte del papa e di una grave malattia del
19 ancora...edifizio: anche se la costruzione 21 li quali...discorrere: e credo non sia inutile Valentino.
[delle fondamenta], dopo che l’edificio intero esaminarli [: i fondamenti]. 25 trovandola...corretti: trovando che [la
sia stato innalzato, si può fare solo con gravi 22 perché io...mi dare: quanto a me, io non Romagna] era stata (suta) governata da si-
disagi per l’architetto e mettendo in pericolo saprei quali precetti dare. Il mi, fiorentini- gnori incapaci, i quali avevano rapinato i loro
l’edificio. Alla metafora dello Stato-pianta si smo, rafforza il riferimento personale del sudditi piuttosto (più presto) che governarli
sostituisce qui quella dello Stato-edificio e verbo. (corretti).
627
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
35 ne, non di unione, tanto che quella provincia era tutta piena di latrocinii, di brighe e di ogni
altra ragione di insolenzia,26 iudicò fussi necessario, a volerla ridurre pacifica e obediente al
braccio regio,27 darli buon governo. Però vi prepose messer Remirro de Orco, uomo crudele ed
espedito, al quale dette pienissima potestà.28 Costui in poco tempo la ridusse pacifica e unita,
con grandissima reputazione. Di poi iudicò el duca non essere necessario sì eccessiva autorità,
40 perché dubitava non divenissi odiosa;29 e preposevi uno iudicio civile nel mezzo della provin-
cia, con uno presidente eccellentissimo, dove ogni città vi aveva lo avvocato suo.30 E perché
conosceva le rigorosità passate averli generato31 qualche odio, per purgare gli animi di quelli
populi e guadagnarseli in tutto, volle mostrare che, se crudeltà alcuna era seguìta, non era
nata da lui, ma dalla acerba natura del ministro.32 E presa sopr’a questo occasione,33 lo fece
45 a Cesena, una mattina, mettere in dua pezzi in sulla piazza,34 con uno pezzo di legno e uno
coltello sanguinoso a canto. La ferocità del quale spettaculo fece quelli populi in uno tempo
rimanere satisfatti e stupidi.35
[...]
E questi furono e’ governi36 suoi quanto alle cose presenti. Ma quanto alle future, lui aveva
50 a dubitare,37 in prima, che uno nuovo successore alla Chiesa non li fussi amico e cercassi tòrli
quello che Alessandro gli aveva dato. Di che pensò assicurarsi in quattro modi: prima, di spegne-
re tutti e’ sangui di quelli signori che lui aveva spogliati,38 per torre al papa quella occasione:39
secondo, di guadagnarsi tutti e’ gentili uomini di Roma, come è detto, per potere con quelli te-
nere el papa in freno:40 terzo, ridurre el Collegio più suo che poteva:41 quarto, acquistare tanto
55 imperio, avanti che il papa morissi, che potessi per se medesimo resistere a uno primo impeto.42
Di queste quattro cose, alla morte di Alessandro43 ne aveva condotte tre; la quarta aveva quasi
per condotta; perché de’ signori spogliati ne ammazzò quanti ne possé aggiugnere,44 e pochis-
simi si salvorono; e’ gentili uomini romani si aveva guadagnati, e nel Collegio aveva grandissima
parte: e, quanto al nuovo acquisto, aveva disegnato45 diventare signore di Toscana, e possedeva
60 di già Perugia e Piombino, e di Pisa aveva presa la protezione. [...] Il che se li fusse riuscito (che gli
riusciva l’anno medesimo che Alessandro morì), si acquistava tante forze e tanta reputazione,
che per se stesso si sarebbe retto, e non sarebbe più dependuto46 dalla fortuna e forze di altri,
ma dalla potenzia e virtù sua. Ma Alessandro morì dopo cinque anni ch’egli aveva cominciato a
trarre fuora la spada. Lasciollo con lo stato di Romagna solamente assolidato, con tutti gli altri in
65 aria,47 intra dua potentissimi eserciti inimici, e malato a morte.48 [...] Ma se nella morte di Ales-
26 tanto che...insolenzia: al punto tale che 32 per purgare...ministro: per liberare suoi nemici].
quella provincia era interamente pervasa da [dall’odio] gli animi di quelle popolazioni e 40 per...freno: per potere, attraverso di loro,
rapine, contrasti armati (brighe) e da ogni conquistarne interamente il consenso, volle condizionare le scelte del [nuovo] papa.
altro tipo di azioni contrarie all’unità e all’au- dimostrare che se si era verificata qualche cru- 41 ridurre...poteva: ridurre il Collegio dei
torità statale (insolenzia). deltà, non era stata originata da lui ma dall’in- cardinali quanto più possibile sotto il suo con-
27 al braccio regio: al potere del principe. Si dole crudele e violenta del suo luogotenente. trollo. Dal Collegio dei cardinali dipendeva
noti l’opposizione fra signori impotenti e 33 E presa...occasione: E colto il momento infatti l’elezione del nuovo pontefice.
insolenzia da un lato, braccio regio e buon favorevole. 42 acquistare...impeto: acquisire un tale
governo dall’altro. 34 mettere...piazza: lo fece esporre in piazza controllo di territori (imperio) prima che il
28 Però...potestà: Perciò (Però) vi inviò Ra- squartato in due pezzi. Ramiro de Lorqua fu papa morisse, da potere resistere da solo al pri-
miro de Lorqua, uomo crudele e deciso (espe- trovato così ammazzato a Cesena il 26 di- mo assalto (impeto).
dito) al quale diede pieni poteri. Giunto in cembre 1502. 43 alla morte di Alessandro: Alessandro VI
Italia dalla Francia al seguito del Valentino, 35 La ferocità...stupidi: La ferocia di un morì improvvisamente il 18 agosto 1503.
Ramiro de Lorqua fu suo luogotenente ge- tale spettacolo fece rimanere quelle popola- 44 aggiugnere: raggiungere.
nerale in Romagna nel 1501. zioni, allo stesso tempo, soddisfatte e sgo- 45 disegnato: progettato.
29 perché...odiosa: perché temeva che potes- mente. 46 dependuto: dipeso.
se suscitare odio. 36 governi: azioni, comportamenti. 47 Lasciollo...in aria: Lo lasciò con il solo Sta-
30 uno iudicio...suo: un tribunale civile al 37 aveva a dubitare: doveva temere. to di Romagna consolidato (assolidato) e con
centro della provincia, con un presidente ap- 38 spegnere...spogliati: eliminare tutti i tutti gli altri non ancora saldamente assestati
prezzato da tutti, e presso il quale ogni città consanguinei (e’ sangui) dei signori ai quali (in aria).
poteva ricorrere con un proprio rappresentan- aveva tolto gli Stati. 48 intra...morte: tra due potentissimi eserciti
te (avvocato). 39 per torre...occasione: per privare il [nuo- nemici [: quello francese e quello spagnolo]
31 conosceva...generato: sapeva che i siste- vo] papa di quella occasione [: di poter attac- e malato in modo così grave da far temere la
mi duri usati in passato gli avevano procurato. care il Valentino sfruttando l’appoggio dei morte.
628
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
sandro lui fussi stato sano, ogni cosa gli era facile. E lui mi disse, ne’ dì che fu creato Iulio II, che
aveva pensato a ciò che potessi nascere,49 morendo el padre, e a tutto aveva trovato remedio,
eccetto che non pensò mai, in su la sua morte, di stare ancora lui per morire.50
Raccolte io adunque tutte le azioni del duca, non saprei reprenderlo;51 anzi mi pare, come
70 ho fatto, di preporlo imitabile a tutti coloro che per fortuna e con l’arme d’altri sono ascesi
allo imperio. Perché lui avendo l’animo grande e la sua intenzione alta,52 non si poteva go-
vernare altrimenti;53 e solo si oppose alli sua disegni la brevità della vita di Alessandro e la
malattia sua. Chi, adunque, iudica necessario nel suo principato nuovo assicurarsi de’ nimici,
guadagnarsi degli amici, vincere o per forza o per fraude,54 farsi amare e temere da’ populi,
75 seguire e reverire da’ soldati, spegnere quelli che ti possono o debbono offendere, innovare
con nuovi modi gli ordini antiqui,55 essere severo e grato, magnanimo e liberale, spegnere la
milizia infedele, creare della nuova, mantenere le amicizie de’ re e de’ principi in modo che ti
abbino o a beneficare con grazia o offendere con respetto,56 non può trovare e’ più freschi57
esempli che le azioni di costui. Solamente si può accusarlo nella creazione di Iulio pontefice,
80 nella quale lui ebbe mala elezione;58 perché, come è detto, non potendo fare uno papa a suo
modo, e’ poteva tenere che uno non fussi papa;59 e non doveva mai consentire al papato di
quelli cardinali che lui avessi offesi, o che, diventati papi, avessino ad avere paura di lui. [...]
Errò, adunque, el duca in questa elezione; e fu cagione dell’ultima ruina sua.60
N. Machiavelli, Il Principe, in Tutte le opere, cit.
ANALISI Lo stile del teorico e quello dello storico Machiavelli adotta qui un doppio stile, a seconda
dell’argomento che sta trattando. Quando vuole mostrare l’esempio della vicenda di Borgia,
l’autore si aiuta con due metafore per sottolineare il proprio ragionamento: quella delle
«barbe», cioè delle radici dello Stato, e quella dell’architetto, che concentra l’attenzione sulle
629
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
capacità creative e sulle responsabilità dell’uomo. In questa veste Machiavelli adotta lo stile
del teorico, pronunciando massime universali e giudizi espliciti.
Quando, invece, narra le imprese del Valentino, cioè quando riporta episodi realmente acca-
duti, l’autore mostra lo stile dello storico, teso a evidenziare la logica dei fatti: in questo
senso, ricorre spesso a nessi logici e temporali («adunque… prima… che… adunque», ecc.).
Neanche in questa parte, però, l’autore rinuncia a intervenire per organizzare razionalmente
la materia, evidenziando alcuni elementi in maniera geometrica («Di che pensò assicurarsi in
quattro modi; prima… secondo… terzo… quarto… Di queste quattro cose… ne aveva con-
dotte tre; la quarta…»). È presente, inoltre, una particolare abilità narrativa, rappresentata
dall’episodio di Ramiro de Lorqua, che si conclude in modo fulmineo: «La ferocità del quale
spettaculo fece quelli populi in uno tempo rimanere satisfatti e stupidi» (rr. 46-47). Restano
costanti nello stile di Machiavelli il rigore e la semplicità della scrittura.
INTERPRETAZIONE Una contraddizione: colpa della fortuna o del duca? In questo capitolo Machiavelli parla
E COMMENTO di coloro che conquistano il principato grazie alla fortuna e alle armi altrui. L’autore sceglie
quale caso esemplare quello del duca Valentino, Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI:
egli fece infatti di tutto per dotare di solide fondamenta il suo Stato. La figura del Borgia risulta
in realtà idealizzata: Machiavelli ne fa il rappresentante del perfetto principe nuovo. Ma il Bor-
gia in realtà coincide solo in parte con l’immagine del principe ideale: il suo disegno politico si
conclude infatti con un fallimento. Per salvare il suo esempio Machiavelli sostiene inizialmente
che il fallimento fu dovuto a una «estraordinaria ed estrema malignità di fortuna» (cioè casua-
lità): poco dopo la morte del padre, il Valentino si ammalò gravemente e non poté dunque por-
tare a termine i suoi piani. Nella conclusione, però, Machiavelli capovolge il suo giudizio: non fu
la sorte avversa a determinare la caduta del Valentino, ma un suo errore. Il duca, non impe-
dendo l’elezione a pontefice del nemico Giulio II, «fu cagione dell’ultima ruina sua».
Machiavelli ha in mente il perfetto principe nuovo; e solo per un tratto di strada il Valentino
gli apparirà come la figura storica in grado di incarnare quell’ideale. Ma alla fine anche
Machiavelli, per salvare il suo principe ideale, dovrà, come la fortuna, voltare le spalle a
Cesare Borgia. Nel suo implacabile rigore intellettuale, l’autore fa crollare il mito da lui stesso
creato.
630
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
Con il capitolo XV ha inizio la nuova sezione dedicata alla concreta pratica di governo: l’inizio del capitolo
(«Resta ora a vedere») segnala al lettore l’introduzione di un nuovo tema. Subito dopo Machiavelli pren-
de le distanze dalla trattatistica precedente: egli non vuole delineare i ritratti ideali del principe e del
principato, ma intende «andare drieto alla verità effettuale della cosa». Il principe che voglia mantenere
il potere deve quindi anche saper essere «non buono» in caso di necessità. È da respingere il catalogo di
vizi e virtù che compariva nella precedente trattatistica: in campo politico, ciò che a volte è qualità, altre
volte può diventare vizio. Il «vizio» usato per difendere lo stato risponde a una necessità collettiva e
dunque coincide con la «securtà» e con il «bene essere» dei cittadini. Le virtù morali usate a sproposito
risultano invece causa di «ruina».
I TEMI rispetto della «verità effettuale» autonomia della politica dalla morale
Resta ora a vedere quali debbano essere e’ modi e governi2 di uno principe con sudditi o con
gli amici.3 E perché io so che molti di questo hanno scritto,4 dubito, scrivendone ancora io,
5 non essere tenuto prosuntuoso, partendomi massime, nel disputare questa materia, dagli or-
dini degli altri.5 Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più
conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla imaginazione di essa.6 E
molti si sono imaginati republiche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere
in vero;7 perché egli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere,8 che colui
10 che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare impara piuttosto la ruina che la
perservazione sua: perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono,
conviene rovini infra tanti che non sono buoni.9 Onde è necessario a uno principe, volendosi
mantenere, imparare a potere essere non buono, e usarlo e non l’usare secondo la necessità.10
Lasciando, adunque, indrieto11 le cose circa uno principe imaginate, e discorrendo quel-
15 le che sono vere, dico che tutti gli uomini, quando se ne parla, e massime e’ principi, per
essere posti più alti, sono notati di alcune di queste qualità che arrecano loro o biasimo o
laude.12 E questo è che alcuno è tenuto liberale,13 alcuno misero14 (usando uno termine to-
scano, perché avaro in nostra lingua è ancora colui che per rapina desidera di avere,15 misero
1 DE...VITUPERANTUR: Cose per le quali gli me) in quanto, nel discutere questo argomento, vrebbe vivere [: secondo la morale comune].
uomini, e specialmente i principi, vengono lo- mi allontano (partendomi) dal metodo e dai 9 uno uomo...buoni: l’uomo che in tutti i suoi
dati oppure vituperati. criteri (ordini) seguiti dagli altri. Machiavelli comportamenti (in tutte le parte) voglia di-
2 e’ modi e governi: i sistemi di governo. È anticipa la sua presa di distanza rispetto alla mostrarsi buono, è inevitabile (conviene) che
un’endiadi. precedente trattatistica politica. vada incontro alla rovina in mezzo a tanti che
3 con sudditi...amici: nei riguardi dei sudditi 6 Ma...essa: Tuttavia, essendo il mio scopo buoni non sono.
e dei collaboratori. amici del principe, nelle scrivere qualcosa di utile per coloro che sanno 10 volendosi...la necessità: che voglia con-
Signorie del Cinquecento, sono i cortigiani, capire, mi è sembrato più opportuno indagare servare il proprio Stato (mantenere) dovrà
legati al principe da favori e incarichi di va- (andare drieto) la realtà dei fatti (effettua- acquisire la capacità (potere) di essere non
rio genere. le) riguardante l’argomento, piuttosto che ciò buono, e di servirsi o meno di questa capacità
4 E perché...scritto: Sapendo che molti auto- che ci si immagina intorno a esso. È un pas- a seconda della necessità.
ri hanno trattato questo argomento. È verosi- saggio fondamentale nell’elaborazione del 11 Lasciando...indrieto: Lasciando da parte
mile che Machiavelli alluda alla lunga tra- trattato – che Machiavelli sottolinea con l’u- dunque.
dizione di pensiero che, dalla trattatistica so del “ma” avversativo all’inizio della frase 12 sono notati...laude: sono giudicati (nota-
classica (Platone, Aristotele) giunge a quella –, incentrato sulla capitale importanza del ti) per alcune di queste qualità che li rendono
medievale (san Tommaso, Dante) e a quella principio di verifica nell’indagine politica. meritevoli di biasimo oppure di lode.
umanistica (Poggio Bracciolini), delineando 7 essere in vero: esistere nella realtà. vero qui 13 liberale: generoso.
un’immagine ideale del principe. richiama il precedente verità effettuale. 14 misero: taccagno.
5 dubito...altri: temo di essere ritenuto presun- 8 egli è...vivere: c’è tanta differenza tra come 15 ancora...avere: anche chi desidera avere
tuoso scrivendone ancora, soprattutto (massi- si vive [: nella concreta realtà] e come si do- per mezzo della rapina.
631
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
chiamiamo noi quello che si astiene troppo di usare il suo); alcuno è tenuto donatore, alcu-
20 no rapace; alcuno crudele, alcuno pietoso; l’uno fedifrago,16 l’altro fedele; l’uno effeminato
e pusillanime,17 l’altro feroce e animoso;18 l’uno umano,19 l’altro superbo; l’uno lascivo,
l’altro casto; l’uno intero,20 l’altro astuto;21 l’uno duro,22 l’altro facile;23 l’uno grave,24 l’al-
tro leggieri;25 l’uno religioso, l’altro incredulo, e simili. E io so che ciascuno confesserà che
sarebbe laudabilissima cosa in uno principe trovarsi, di tutte le soprascritte qualità, quelle
25 che sono tenute buone; ma perché le non si possono avere né interamente osservare, per le
condizioni umane che non lo consentono,26 gli27 è necessario essere tanto prudente28 che
sappia fuggire l’infamia di quelli vizii che li torrebbano lo stato, e da quelli che non gnene
tolgano, guardarsi, se egli è possibile;29 ma, non possendo, vi si può con meno respetto la-
sciare andare.30 Et etiam non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizii sanza quali e’
30 possa difficilmente salvare lo stato;31 perché, se si considerrà bene tutto, si troverrà qualche
cosa che parrà virtù, e, seguendola, sarebbe la ruina sua;32 e qualcuna altra che parrà vizio,
e, seguendola, ne riesce la securtà e il bene essere suo.33
N. Machiavelli, Il Principe, in Tutte le opere, cit.
16 fedifrago: che non rispetta la parola data. a causa della natura stessa dell’uomo che non procurerebbero la sua [: del principe] rovina.
17 effeminato e pusillanime: debole come lo permette. 33 ne...suo: ne consegue la sicurezza e il be-
una donna e vile. 27 gli: a lui, al principe. nessere suo.
18 feroce e animoso: fiero e coraggioso. 28 prudente: La lingua nel tempo.
19 umano: affabile, cortese. Latinismo. 29 e da...possibile: e, se gli è possibile, aste-
20 intero: integro, leale. nersi da quelli che non glielo (gnene, riferito LA LINGUA NEL TEMPO
21 astuto: è qui il contrario di intero, quin- a stato) tolgono.
30 ma...andare: ma se non può astenersi può Prudente Il termine «prudente» (r. 26) de-
di doppio, sleale.
riva dal latino prudens, -entis, che proviene a
22 duro: rigido, inflessibile. abbandonarsi a essi con minore scrupolo e pre-
sua volta da provĭdens, cioè ‘provvidente,
23 facile: accondiscendente. occupazione.
31 Et etiam...stato: E inoltre non si faccia capace di vedere prima’. Machiavelli usa
24 grave: serio, ponderato.
questa parola con il senso antico di ‘saggio,
25 leggieri: frivolo. scrupolo di incorrere nel biasimo che deriva da
capace di agire con intelligenza’. Nell’italia-
26 ma perché...consentono: ma dal mo- quei vizi senza l’uso dei quali potrebbe difficil-
mente conservare lo Stato.
no di oggi, prudente viene usato come sino-
mento che [le qualità considerate buone] non
32 si troverrà...sua: ci sono cose che hanno nimo di ‘cauto, che evita ogni pericolo’ (“sii
si possono possedere tutte né rispettare in
prudente nell’attraversare la strada”).
ogni circostanza (interamente osservare) l’apparenza di virtù ma che messe in pratica
632
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
«sarebbe». Ciò serve a dare maggiore energia affermativa alla conclusione: dal vizio del prin-
cipe può derivare, se il vizio è reso necessario dalla situazione concreta, il bene dello Stato.
INTERPRETAZIONE La politica e la morale Il brano presenta uno dei temi più importanti della visione di Machiavelli:
E COMMENTO il rapporto fra la politica e la morale. Machiavelli afferma che morale e politica sono dimensioni
dell’agire umano che hanno mezzi e fini diversi e che perciò hanno bisogno di criteri di giudizio auto-
nomi. La morale, infatti, giudica quello che è bene e quello che è male per l’uomo in base al prin-
cipio teorico del “dover essere”; la politica giudica ciò che è utile o dannoso per l’uomo in base agli
interessi dell’intera società. Per questo Machiavelli afferma che un principe ha il dovere di agire in
modo moralmente discutibile se quella è la via necessaria per conseguire un vantaggio politico per
lo Stato.
La fine del metodo medievale Machiavelli rovescia il metodo medievale: per definire i compor-
tamenti del principe, non muove da principi astratti e universali, ma guarda alla realtà concreta.
Questa affermazione può apparire in contraddizione con quanto detto a proposito della struttura
del testo: lì avevamo notato un procedere dal principio generale al caso concreto (si parla di pro-
cedimento deduttivo, dal generale al particolare). E tuttavia, se si sta ai contenuti del discorso
machiavelliano, la rottura con il mondo medievale è evidente: egli non parte più da verità prefis-
sate, ma dalla «verità effettuale».
Rispetto alla precedente trattatistica, la posizione di Machiavelli è radicalmente nuova: la poli-
tica viene sottratta alla morale religiosa e affermata per la prima volta come attività autonoma.
A ben vedere è questa una delle acquisizioni più importanti del Rinascimento.
Machiavelli appartiene al Rinascimento maturo anche per la sua visione pessimistica del
mondo: gli uomini non sono buoni per natura, e di ciò il principe deve tener conto se non vorrà
andare incontro alla rovina. Questa concezione disincantata allontana ogni prospettiva reli-
giosa medievale. A conferma di ciò va osservato che Machiavelli non si pone uno scopo supe-
riore e morale, bensì un fine pratico: non ha un obiettivo religioso, ma intende solo «scrivere
cosa utile» e giovare a chi vuole imparare l’arte del governo.
633
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
TEMI DI CITTADINANZA
Bansky, Devolved Parliament,
2019.
POLITICA
E MORALE
Il primo Machiavelli è il primo intellettuale nella cultura occidentale che sancisce la liberazione
intellettuale della teoria politica dal dominio della morale. Con Il Principe egli determina la distinzione
a separare tra la sfera civile dello Stato e la sfera spirituale della Chiesa, separando i compiti e gli
la politica obiettivi della classe politica dal pensiero teologico e religioso. Machiavelli abbandona il
dalla morale sistema di pensiero medievale, per cui l’agire politico coincideva con i dettami della reli-
gione, e propone invece un principe, cioè un uomo politico, che conosca gli ideali e i va-
lori generali della morale, ma che li applichi per ottenere il fine principale della politica:
mantenere lo Stato. La politica diventa, con Machiavelli, una scienza “terrena”, che si
occupa della «verità effettuale», cioè della concretezza della realtà storica e umana,
senza nessuna interferenza di tipo ideale e religioso.
Con Machiavelli, inoltre, ha inizio quella riflessione sullo Stato moderno e laico che cul-
minerà poi nel Leviatano (1651) del filosofo inglese Thomas Hobbes, il teorico della
monarchia assoluta.
Il complesso Nelle moderne democrazie occidentali la separazione di ambiti e ruoli tra politica e reli-
rapporto tra etica gione è ormai un dato che si dichiara acquisito. Eppure i rapporti tra politica e morale
e politica sono spesso al centro di numerosi dibattiti. Nel brano seguente il filosofo Norberto
Bobbio analizza il percorso di riflessione sul complesso rapporto tra etica e politica, di
cui il Principe di Machiavelli costituisce una fondamentale tappa.
Norberto Bobbio
Etica e politica
Come si pone il problema
Il problema dei rapporti fra etica e politica è più grave in quanto l’esperienza storica ha mo-
strato [...] e il senso comune sembra pacificamente aver accettato, che l’uomo politico possa
comportarsi in modo difforme dalla morale comune, che ciò che è illecito in morale possa
essere considerato e apprezzato come lecito in politica, insomma che la politica ubbidisca a
un codice di regole, o sistema normativo, differente da, e in parte incompatibile con, il codice,
o il sistema normativo, della condotta morale. Quando Machiavelli attribuisce a Cosimo de’
Medici (e sembra approvare) il detto che gli Stati non si governano coi pater noster in mano,
mostra di ritenere, e dà per scontato, che l’uomo politico non possa svolgere la propria azio-
634
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
ne seguendo i precetti della morale dominante, che in una società cristiana coincide con
TEMI DI CITTADINANZA
la morale evangelica. Per venire ai giorni nostri, in un ben noto dramma, Les mains sales,1
Jean-Paul Sartre sostiene, o meglio fa sostenere a uno dei suoi personaggi, la tesi che chi svol-
ge un’attività politica non può fare a meno di sporcarsi le mani (di fango o anche di sangue).
Per quanto, dunque, la questione morale si ponga in tutti i campi della condotta umana,
quando viene posta nella sfera della politica assume un carattere particolarissimo. In tutti
gli altri campi, la questione morale consiste nel discutere quale sia la condotta moralmente
lecita e, viceversa, quale sia illecita, e per avventura, in una morale non rigoristica, quale
sia indifferente, via via nei rapporti economici, sessuali, sportivi, tra medico e malato, tra
maestro e scolaro, e così via. [...] Ciò che non è generalmente in discussione è la questione
morale stessa, ovvero che vi sia una questione morale, che in altre parole sia plausibile porsi
il problema della moralità delle rispettive condotte. [...]
1 Les mains sales: Le mani sporche, opera teatrale del 1948 di Jean-Paul Sartre (1905-1980) filosofo e scrittore francese.
635
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Più che alla argomentazione, destinata ad avere scarsa forza persuasiva circa la moralità del-
la politica, la maggior parte degli autori che si sono occupati della questione hanno preso
atto della lezione della storia e dell’esperienza comune, dalla quale si trae l’insegnamento
del divario fra morale comune e condotta politica, e hanno rivolto la loro attenzione a cerca-
re di capire e in ultima istanza di giustificare questa divergenza. Ritengo si possa riassumere
tutta, o per lo meno gran parte, della storia del pensiero politico moderno nella ricerca di
una soluzione del problema morale in politica interpretandola come una serie di tentativi
di dare una giustificazione del fatto di per se stesso scandaloso del contrasto evidente tra
morale comune e morale politica. [...]
Parlo a ragion veduta di «giustificazione ». La condotta che ha bisogno di essere giustificata
è quella non conforme alle regole. Non si giustifica l’osservanza della norma, cioè la condotta
morale. L’esigenza della giustificazione nasce quando l’atto viola o sembra violare le regole
sociali generalmente accettate, non importa se morali, giuridiche o del costume. Non si giu-
stifica l’obbedienza ma, se si ritiene che abbia un qualche valore morale, la disobbedienza. [...]
L’unica dottrina politica che non ha bisogno di ricorrere ad argomenti di giustificazione è
quella, se mai ve n’è stata una, per la quale la condotta politica non può mai violare la morale
per la perentoria ragione che la morale non esiste, o meglio non esiste un sistema normativo di-
verso o superiore a quello della politica, e non vi è altro sistema normativo che quello politico.
Credo che una teoria politica di questo genere sia esistita, e sia la hobbesiana. Per Hob-
bes due sono gli stati in cui può essere raffigurata la vita dell’uomo, lo stato naturale e lo
stato civile: nel primo non vi è alcuna regola morale, o, se c’è, è inapplicabile, nel secondo
non c’è altra regola di condotta che quella imposta dal sovrano, cioè da colui cui gl’individui
hanno attribuito il potere di stabilire ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. Prove ne siano, in
primo luogo, la mancanza in Hobbes della distinzione fra il buon governante e il tiranno,
mancanza dipendente dal fatto che, una volta istituito il potere civile, non vi è più alcun
criterio per distinguere il lecito dall’illecito se non il comando o il divieto del sovrano; e in
secondo luogo, la radicale negazione della tradizionale distinzione fra lo Stato e la Chiesa,
con la conseguente totale riduzione della Chiesa allo Stato, vale a dire la soppressione della
istituzione che era considerata rivelatrice e garante della validità di quella legge morale ri-
spetto alla quale deve misurarsi continuamente la condotta politica.
L’ipotetico sovrano di Hobbes non avrebbe avuto bisogno di giustificare la propria con-
dotta immorale dicendo, come Cosimo de’ Medici, che gli Stati non si governano coi pater
noster, perché egli è signore anche del pater noster, nel senso preciso che la «volontà che
deve essere fatta» è esclusivamente la sua.
N. Bobbio, Etica e politica (http://temi.repubblica.it/micromega-online).
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE
ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
La sfiducia di Machiavelli nei confronti dell’uomo lo porta a credere che un comportamento ispirato a
ideali di giustizia e lealtà oppure a princìpi religiosi non possa essere efficace sul piano pragmatico
perché verrebbe schiacciato dalla corruzione, dall’opportunismo e dalla sete di potere.
A questa concezione si oppone Erasmo da Rotterdam che, nell’Educazione del principe cristiano, sostie-
ne la tesi che non può porsi contrasto fra morale e politica. Il principe deve comportarsi da buon cristia-
no e le virtù del buon principe sono le virtù morali classiche: la magnanimità, la temperanza, l’onestà.
Al principe che vuole educare Erasmo si rivolge con questa esortazione: «Se vorrai entrare in gara con
altri prìncipi, non ritenere di averli vinti perché hai tolto loro parte del dominio. Li vincerai veramente se
sarai meno corrotto di loro, meno avaro, arrogante, iracondo, precipitoso di loro».
Rifletti su queste due concezioni antitetiche e, basandoti sulle tue conoscenze storiche, sulle tue letture
e sulle tue esperienze, scrivi un testo espositivo-argomentativo in cui, in non più di due colonne, sostieni
la tesi che ti appare più convincente, confutando adeguatamente l’altra.
636
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
TEMI DI CITTADINANZA
Antonio Gramsci
Machiavelli e il «dover essere»
In questo brano il pensatore Antonio Gramsci (1891-1937) riconosce nel Principe un vero e proprio «mani-
festo politico», cioè un programma che esprime gli interessi dei ceti produttivi borghesi del Cinquecento.
Secondo Gramsci, nella delicatissima crisi della società umanistica italiana la borghesia ambiva a creare
un organismo statale in grado di garantire il suo sviluppo. La «verità effettuale» indagata da Machiavelli si
configura quindi come rapporto di forze storicamente concrete. Inoltre, nel Principe sarebbero espresse
indicazioni ancora attuali: nell’epoca della politica di massa, il «nuovo Principe» corrisponde a un partito
rivoluzionario (a suo giudizio, il Partito Comunista Italiano, di cui Gramsci era stato il fondatore), capace di
organizzare le forze delle masse popolari e di guidare l’azione contro il regime fascista.
Il “troppo” (e quindi superficiale e meccanico) realismo politico porta spesso ad affermare che
l’uomo di Stato deve operare solo nell’ambito della “realtà effettuale”, non interessarsi del “do-
ver essere”, ma solo dell’“essere”. Ciò significherebbe che l’uomo di Stato non deve avere pro-
spettive oltre la lunghezza del proprio naso. […] Bisogna distinguere oltre che tra “diplomatico”
5 e “politico”, anche tra scienziato della politica e politico in atto. Il diplomatico non può non
muoversi solo nella realtà effettuale, perché la sua attività specifica non è quella di creare nuovi
equilibri, ma di conservare entro certi quadri giuridici un equilibrio esistente. Così anche lo
scienziato deve muoversi solo nella realtà effettuale in quanto mero1 scienziato.
Ma il Machiavelli non è un mero scienziato; egli è un uomo di parte, di passioni poderose, un
10 politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e perciò non può non occuparsi del “do-
ver essere”, certo non inteso in senso moralistico. La questione non è quindi da porre in questi
termini, è più complessa: si tratta cioè di vedere se il “dover essere” è un atto arbitrario2 o neces-
sario, è volontà concreta, o velleità,3 desiderio, amore con le nuvole. Il politico in atto è un crea-
tore, un suscitatore, ma né crea dal nulla, né si muove nel vuoto torbido dei suoi desideri e sogni.
15 Si fonda sulla realtà effettuale, ma cos’è questa realtà effettuale? È forse qualcosa di statico e
immobile o non piuttosto un rapporto di forze in continuo movimento e mutamento di equili-
brio? Applicare la volontà alla creazione di un nuovo equilibrio delle forze realmente esistenti
ed operanti, fondandosi su quella determinata forza che si ritiene progressiva, e potenziandola
per farla trionfare è sempre muoversi nel terreno della realtà effettuale ma per dominarla e su-
20 perarla (o contribuire a ciò). Il “dover essere” è quindi concretezza, anzi è la sola interpretazione
realistica e storicistica della realtà, è sola storia in atto e filosofia in atto, sola politica.
A. Gramsci, Note sul Machiavelli, Editori Riuniti, Roma 1977.
TRACCIA Il Principe si configura come un vero e proprio manifesto politico, nel quale l’autore si dimostra un politico che
vuole modificare attivamente la realtà.
637
T6
TESTO GUIDA Il leone e la volpe
[Il Principe, capitolo XVIII]
dal testo
all’opera
alla poetica
all’epoca
al genere
alle forme
al presente
Il capitolo diciottesimo costituisce uno dei punti fondamentali del Principe: Machiavelli parte dal rove-
sciamento del punto di vista tradizionale, secondo cui in un principe la fedeltà e la lealtà sono virtù lode-
voli. L’esperienza concreta insegna invece che in tempi recenti hanno ottenuto grandi risultati i principi
che non si sono curati di mantenere la parola data e che hanno agito con «astuzia» e con consapevole
malafede.
Machiavelli distingue due diversi modi di combattere: quello dell’uomo e quello della bestia. Il primo usa
il confronto di idee e ha come risultato le leggi; il secondo impiega invece la violenza. Quando le leggi
non bastano, il principe deve saper usare anche la parte bestiale. Il concetto si incarna nell’immagine
del centauro, personaggio mitologico per metà uomo e per metà cavallo. Fra le bestie, il principe deve
scegliere come modello la «golpe» [volpe] e il «lione», simboli dell’astuzia e della forza, con le quali è
possibile evitare i tranelli e vincere la potenza degli avversari (i «lupi»).
I TEMI esaltazione della componente istintuale umana critica dell’idealizzazione rinascimentale dell’uomo
Quanto sia laudabile in uno principe mantenere la fede e vivere con integrità e non con astu
zia,2 ciascuno lo intende; nondimanco si vede, per esperienzia ne’ nostri tempi, quelli prin
cipi avere fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto,3 e che hanno saputo con
5 l’astuzia aggirare e’ cervelli4 degli uomini; e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati
in sulla lealtà.
Dovete, adunque, sapere come sono dua generazioni5 di combattere: l’uno con le leggi,
l’altro con la forza: quel primo è proprio dello uomo, quel secondo è delle bestie: ma perché
el primo molte volte non basta, conviene6 ricorrere al secondo. Pertanto, a uno principe è ne
10 cessario sapere bene usare la bestia e l’uomo.7 Questa parte è suta insegnata a’ principi coper
tamente dagli antichi scrittori;8 li quali scrivono come Achille e molti altri di quelli principi
antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro,9 che sotto la sua disciplina li custodissi.10
DIGIT VIDEOLEZIONE
Analisi del testo di Romano Luperini lizzato grandi imprese quei principi che hanno insegnato ai principi dagli antichi scrittori in
tenuto in scarsa considerazione la parola data. modo allusivo, coperto dalle immagini dei miti
DIGIT 4 aggirare e’ cervelli: confondere le idee. (copertamente).
ASCOLTO • ALTA LEGGIBILITÀ
MATERIALI PER IL RECUPERO 5 dua generazioni: due modi. 9 li quali...centauro: i quali raccontano come
6 conviene: è necessario. Achille e molti altri principi antichi furono
1 QUOMODO...SERVANDA: In che misura i 7 sapere...uomo: saper utilizzare conve- dati perché li educasse (dati a nutrire) al
principi debbano mantenere la parola data. nientemente sia i metodi della bestia che quelli centauro Chirone. Chirone è un personaggio
2 mantenere...astuzia: tener fede alla paro- dell’uomo. L’espressione riassume efficace della mitologia greca, figlio di Saturno, per
la data e vivere lealmente e non in malafede mente l’intera concezione dell’uomo pro metà uomo e per metà cavallo. Fu il maestro
(astuzia). pria di Machiavelli: la consapevolezza delle dei famosi eroi Esculapio, Giasone, Ercole,
3 nondimanco...conto: tuttavia nei nostri radici materiali e istintuali dell’uomo. Teseo, Achille.
tempi si può toccar con mano che hanno rea- 8 Questa...scrittori: Questo aspetto è stato 10 custodissi: educasse.
638
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
Il che non vuole dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia e mezzo uomo, se non che
bisogna a uno principe sapere usare l’una e l’altra natura; e l’una sanza l’altra non è durabile.11
TESTO GUIDA
15 Sendo, dunque, uno principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pi-
gliare la golpe e il lione;12 perché il lione non si defende da’ lacci, la golpe non si defende da’
lupi.13 Bisogna, adunque, essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi.14 Coloro
che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano.15 Non può, pertanto, uno si-
gnore prudente, né debbe, osservare la fede,16 quando tale osservanzia li torni contro17 e che
20 sono spente le cagioni che la feciono promettere.18 E se gli uomini fussino tutti buoni, questo
precetto non sarebbe buono; ma perché sono tristi, e non la osservarebbono a te, tu etiam non
l’hai ad osservare a loro.19 Né mai a uno principe mancorono cagioni legittime di colorire la
inosservanzia.20 Di questo se ne potrebbe dare infiniti esempli moderni e mostrare quante
paci, quante promesse sono state fatte irrite e vane21 per la infidelità de’ principi: e quello che
25 ha saputo meglio usare la golpe, è meglio capitato.22 Ma è necessario questa natura saperla
bene colorire, ed essere gran simulatore e dissimulatore:23 e sono tanto semplici gli uomini, e
tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna, troverrà sempre chi si lascerà
ingannare.24
Io non voglio, degli esempli freschi,25 tacerne uno. Alessandro VI non fece mai altro, non
30 pensò mai ad altro, che a ingannare uomini: e sempre trovò subietto26 da poterlo fare. E non
fu mai uomo che avessi maggiore efficacia in asseverare,27 e con maggiori giuramenti affer-
massi una cosa, che la osservassi meno: nondimeno sempre li succederono gli inganni ad vo-
tum,28 perché conosceva bene questa parte del mondo.29
A uno principe, adunque, non è necessario avere in fatto tutte le soprascritte qualità,30
35 ma è bene necessario parere di averle.31 Anzi ardirò di dire questo, che, avendole e osservan-
dole sempre, sono dannose; e parendo di averle, sono utili;32 come parere pietoso, fedele,
umano, intero, religioso, ed essere; ma stare in modo edificato con l’animo, che, bisognando
non essere, tu possa e sappi mutare el contrario.33 E hassi ad intendere34 questo, che uno
principe, e massime35 uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le quali
40 gli uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato,36 operare
contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione. E però bisogna
11 non è durabile: non può durare. Usando 18 sono...promettere: e sono venute meno le 27 avessi...asseverare: fosse più abile nel
una sola delle due nature, cioè, il principe circostanze che avevano determinato la pro- dare garanzie di verità.
non può mantenere il proprio Stato. messa. 28 li succederono...ad votum: gli inganni
12 Sendo...lione: Essendo dunque un princi- 19 ma...loro: ma dal momento che sono mal- [da lui creati] gli riuscirono sempre secondo i
pe costretto (necessitato) a saper adeguata- vagi, e non terrebbero fede alla parola data a te, suoi desideri (ad votum).
mente impiegare la parte bestiale, fra le bestie anche tu non devi mantenerla nei confronti loro. 29 questa...mondo: questo aspetto dell’uma-
deve scegliere il modello (pigliare) della volpe 20 mancorono...inosservanzia: mancarono nità. Cioè l’arte dell’inganno e l’ingenuità
e del leone. È una delle metafore più note del ragioni per fare apparire (colorire) legittima degli uomini.
Principe, per creare la quale Machiavelli ha la propria inosservanza dei patti. 30 le soprascritte qualità: quelle elencate
probabilmente utilizzato diverse fonti, sia 21 irrite e vane: inefficaci e inutili. irrite è nel cap. XV ( T5, p. 631.
classiche (Esopo, Aristotele, Cicerone), sia un latinismo, proprio del linguaggio giuri- 31 parere di averle: simulare di possederle.
medievali (bestiari, raccolte di favole, lo dico (“in-ratus”: giuridicamente inefficace) 32 e parendo...utili: e dando l’impressione di
stesso Dante: Inferno XXVII, 75). riferito alla stipulazione delle paci. possederle, risultano utili.
13 perché...lupi: perché il leone [: che pos- 22 è meglio capitato: ha avuto più successo. 33 ed essere...contrario: ed [è utile anche]
siede la forza] non sa difendersi dai tranelli 23 Ma è...dissimulatore: Ma è necessario na- esser[lo]; ma a patto di avere sempre l’animo
dell’astuzia (lacci), mentre la volpe [: che pos- scondere sotto una diversa apparenza questa disposto, qualora sia necessario non essere
siede l’astuzia] non sa difendersi dalla violen- natura [della volpe], e saper bene simulare [di [pietoso, fedele, religioso, ecc.], a mutarti nel
za dei nemici (lupi). essere ciò che non si è] e dissimulare [quello che contrario.
14 sbigottire e’ lupi: sbaragliare e impaurire si è in realtà]. 34 E hassi ad intendere: E si ha da intendere.
i nemici. 24 sono...ingannare: e gli uomini sono tal- 35 massime: soprattutto.
15 Coloro...intendano: Coloro che fondano il mente ingenui e talmente legati alle necessità 36 mantenere lo stato: viene qui reso espli-
proprio Stato esclusivamente sulla forza non contingenti che chi vuole ingannarli troverà cito il presupposto di tutto il ragionamento.
se ne intendono [: di arte politica]. sempre chi sarà disposto a lasciarsi ingannare. Soprattutto il principe nuovo, se desidera
16 osservare la fede: mantenere la parola 25 freschi: recenti. conservare lo Stato, deve saper andare con-
data. 26 subietto: materia. Cioè uomini disposti tro i precetti della morale tradizionalmente
17 li torni contro: si traduca in un danno per lui. a lasciarsi ingannare. intesa.
639
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
che egli abbia uno animo disposto a volgersi secondo ch’e’ venti della fortuna e le variazioni
delle cose li comandano,37 e, come di sopra dissi, non partirsi38 dal bene, potendo, ma sapere
TESTO GUIDA
37 uno animo...comandano: una capacità di cui appellarsi (iudizio a chi reclamare) si altro che una massa passiva e inconsapevole;
agire secondo quanto comanda il variare della guarda al risultato. e i pochi che non sono tali non contano nulla
fortuna e delle circostanze. 45 Facci...laudati: Provveda dunque un (non ci hanno luogo) se la massa (li assai) si
38 non partirsi: non allontanarsi. principe di conquistare e conservare lo Stato, appoggia all’autorità dello Stato.
39 necessitato: quando vi sia costretto. e i mezzi saranno sempre giudicati onesti e lo- 48 quale...nominare: allude a Ferdinando il
40 E non è...qualità: E non vi è cosa più utile che dati da tutti. Cattolico, re di Spagna, ancora vivo nell’epo-
simulare di possedere quest’ultima qualità [: la 46 il vulgo...cosa: la generalità della popola- ca in cui Machiavelli scrive (morì nel 1516).
religione]. La religione, in Machiavelli, è so- zione inconsapevole (vulgo) sarà sempre col- In una lettera al Vettori del 29 aprile 1513
prattutto un potente strumento di dominio. pita dalle apparenze e dal successo dell’azione. Ferdinando viene definito «più astuto e for-
41 E gli uomini...mani: E gli uomini, in ge- Per vulgo La lingua nel tempo. tunato che savio e prudente».
nerale (in universali), giudicano più in base 47 e nel...appoggiarsi: e nel mondo non c’è 49 osservata: messa in pratica.
all’apparenza (occhi) che alla concreta realtà
(mani).
42 perché...a pochi: perché è concesso (toc- LA LINGUA NEL TEMPO
ca) a tutti di vedere, ma a pochi di toccare con
Volgo/popolo Il termine “volgo” (qui presente nella forma antica «vulgo», r. 55) proviene dal lati-
mano (sentire) la realtà.
no vulgus che indicava la parte più numerosa della popolazione, caratterizzata dall’irrazionalità
43 quelli...defenda: e quei pochi non osano
e dalla mancanza di coesione sociale e culturale. Dal suo senso piuttosto negativo deriva il signi-
opporsi all’opinione di una maggioranza che
ficato attuale dell’aggettivo “volgare”. Anche Machiavelli utilizza «vulgo» nel senso di passività
abbia dalla sua l’autorità dello Stato che la
e incapacità di giudizio critico. Il «vulgo» si distingue dal “popolo”, inteso come ‘l’unione dei citta-
protegga.
dini che si riconosce nelle leggi di uno Stato e capace di dare vita a una comunità sociale e civile’.
44 dove...fine: laddove non c’è tribunale a
640
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
TESTO GUIDA
Elmetto del 1550
circa decorato con
scene di lotta tra
Centauri e Lapiti.
New York,
Metropolitan
Museum of Art.
641
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Machiavelli rivoluziona così la concezione dell’uomo propria della cultura umanistica: alla
dimensione fondata sull’equilibrio, l’autore contrappone l’idea della convivenza di comporta-
TESTO GUIDA
menti opposti, come quello razionale dell’uomo e quello istintivo e violento della bestia. Rifiu-
tando ogni visione idealizzata che considera l’uomo creatura superiore e vicina alle specie
angeliche, Machiavelli esplicita nel Principe la situazione di crisi in cui si trovava l’Italia del Cin-
quecento, in cui forze straniere (Francia e Spagna) si alternavano spregiudicatamente al
comando.
4 Congiunzioni con valore conclusivo che «dunque», «adunque», «pertanto», «però» con
sottolineano la conclusione logica cui valore di “perciò”
l’autore giunge alla fine di ogni paragrafo
5 Sentenze brevi e nette, che conferiscono «a uno principe è necessario sapere bene usare
al ragionamento il tono secco di un la bestia e l’uomo» (rr. 9-10), «non partirsi dal
proverbio o di una verità indiscutibile bene, potendo, ma sapere entrare nel male,
necessitato» (rr. 43-44).
642
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
TESTO GUIDA
1. Machiavelli afferma che esistono due modi di com- velli perviene alla conclusione: «Facci dunque a uno
battere: nel rispetto delle leggi e con la forza. Perché principe di vincere e mantenere lo stato: e’ mezzi sa-
afferma che sia necessario usare la forza? ranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno lauda-
ti». Quale forma verbale è rappresentata dalla varian-
a. perché il fine giustifica i mezzi
te arcaica «Facci»?
b. perché il rispetto delle leggi non basta
c. perché la fortuna non basta
d. perché è proprio degli animali
2. Riassumere Titolo del capitolo è In che misura
i principi debbono mantenere la parola data. Prova a
riassumere in un paio di righe la risposta che Machia- 9. Lingua e lessico Alle righe 2-3 Machiavelli usa
velli dà alla questione introdotta nel titolo. la parola «astuzia»: con quale significato? Qual è il
senso nel quale viene usata nell’italiano di oggi?
ANALISI
3. Il capitolo si apre con la costruzione «Quanto sia
laudabile… nondimanco…», simile a quella trovata in
T5, p. 631, «sarebbe laudabilissima cosa… ma…». In
effetti l’inizio di questo capitolo riprende osservazioni
fatte nel capitolo XV: quali? INTERPRETAZIONE E COMMENTO
4. Il capitolo XVIII è il più scandaloso e provocatorio 10. Confrontare Per il tema della bestialità, Ma-
del Principe. Nell’indicare quali dovrebbero essere le chiavelli ricorre a varie fonti, sia classiche (Cicerone
qualità e i comportamenti del principe, Machiavelli in particolare) che medievali (Dante). Riportiamo in
non segue affatto la morale tradizionale. traduzione due passi dal De officiis [Sui doveri] di Ci-
a. Sottolinea nel testo le parti che descrivono come cerone: confrontali in una trattazione sintetica (max
dovrebbe essere e come dovrebbe comportarsi il 30 righe) con quanto si afferma in questo capitolo.
principe. I, 11, 34: Poiché vi sono due modi di risolvere le contro-
b. Machiavelli indica cinque qualità: «pietoso», versie, l’uno tramite la discussione, l’altro tramite la
«fedele», «umano», «intero», «religioso». Sono le forza, l’uno tipico dell’uomo, l’altro delle bestie, bisogna
qualità che il principe dovrebbe avere? ricorrere al secondo se non è possibile servirsi del primo.
c. Si legge: un principe deve avere «uno animo dispo- I, 13, 41: In due modi poi si può recare offesa: cioè con la
sto a volgersi secondo ch’e’ venti della fortuna e le violenza o con la frode; con la frode che è propria dell’a-
variazioni delle cose li comandono». Che cosa stuta volpe e con la violenza che è propria del leone; inde-
intende qui Machiavelli?
gnissime l’una e l’altra dell’uomo, ma la frode è assai più
5. In questo capitolo, in particolare nell’ultimo capo- odiosa. Fra tutte le specie d’ingiustizia, però, la più dete-
verso, Machiavelli riflette sulla questione del consen- stabile è quella di coloro che, quando più ingannano, più
so del popolo. cercano di apparir galantuomini.
a. Che tipo di rapporto viene qui prospettato tra prin-
cipe e sudditi?
b. Quali significati assume il termine «vulgo»?
6. Nel capitolo ricorrono alcune sentenze brevi e net-
te, che somigliano a proverbi. Abbiamo già fatto qual- OLTRE IL TESTO
che esempio: sai trovarne altri? Sottolineali nel testo.
1. Lavorare con la videolezione
7. Lingua e lessico Rintraccia nel secondo e nel
terzo capoverso le espressioni che sono riconducibili DIGIT VIDEOLEZIONE
Analisi del testo di Romano Luperini
al campo semantico della necessità e del dovere: a
che cosa sono riferite? Nella videolezione Romano Luperini mostra le carat-
teristiche salienti dello stile saggistico di Machia-
velli. Ascolta l’analisi di Luperini prendendo appunti.
Poi rileggi il brano antologizzato, sottolineando nel
testo i passaggi in cui si rendono manifesti in modo
più appariscente i tratti stilistici tipici di Machiavelli.
Motiva le tue scelte.
643
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
La difficile convivenza tra istinto e ragione
Il tema machiavelliano della doppiezza del principe centauro, metà uomo e metà bestia, esprime l’idea della com-
presenza naturale negli uomini di ragione ed istinto, tra “dover essere” ed “essere” e rimanda al problema del loro
ineludibile rapporto. È un tema antico, che compare già nel mito della biga alata di Platone, prosegue nella rifles-
sioni di filosofi, poeti e romanzieri ed è rappresentato anche in molte opere d’arte in tutte le epoche.
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terarie di questo tema (miti, poesie, citazioni…), opportunamente commentate e disposte in ordine
cronologico.
644
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
Il capitolo pone un problema centrale del Principe: il rapporto tra virtù e fortuna. Machiavelli rivela che,
davanti agli sconvolgimenti della situazione politica italiana, anche lui si è trovato a condividere qualche
volta l’opinione di quanti credono impossibile prevedere e dominare gli eventi. A questa premessa segue
però una dichiarazione più ottimistica: per Machiavelli la fortuna è arbitro di metà delle azioni umane,
mentre l’altra metà resta nelle mani degli uomini. La fortuna è paragonata a un fiume rovinoso che allaga
le pianure e distrugge alberi e case: gli uomini previdenti devono predisporre per tempo argini e ripari.
Passando dalla regola generale ai casi particolari, tuttavia, Machiavelli riconosce che spesso si vedono
principi avere successo o, al contrario, «ruinare», senza aver modificato il proprio comportamento. Que-
sto avviene perché le circostanze esterne variano e richiedono, di volta in volta, comportamenti diversi.
La conclusione è affidata a due parti distinte. La prima rivela grande pessimismo: la fortuna è straordi-
nariamente mutevole, mentre la natura umana è immodificabile; gli uomini sono destinati a fallire, quin-
di, non appena natura umana e fortuna discordano tra loro. Nella seconda parte, invece, l’autore reagisce
contro ogni forma di rassegnazione e dichiara la propria preferenza per l’azione impetuosa: rappresenta
la fortuna come una donna, che si lascia vincere da chi è giovane, deciso e coraggioso piuttosto che da
chi agisce con prudenza e cautela.
I TEMI rapporto tra virtù e fortuna
E’ non mi è incognito come2 molti hanno avuto e hanno opinione che le cose del mondo sieno
in modo governate dalla fortuna e da Dio,3 che gli uomini con la prudenzia loro non possino
5 correggerle,4 anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo potrebbono iudicare che non
fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare alla sorte.5 Questa opinione è suta
più creduta ne’ nostri tempi, per la variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi
ogni dì, fuora di ogni umana coniettura.6 A che pensando, io, qualche volta, mi sono in qual-
che parte inclinato nella opinione loro.7 Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia
10 spento,8 iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre,
ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi.9 E assomiglio quella10 a uno
di questi fiumi rovinosi, che, quando s’adirano, allagano e’ piani, ruinano gli alberi e gli edi-
fizii, lievono11 da questa parte terreno, pongono da quell’altra; ciascuno fugge loro dinanzi,
ognuno cede allo impeto loro, sanza potervi in alcuna parte obstare.12 E benché sieno così
15 fatti, non resta però che13 gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare prov-
vedimenti, e con ripari e argini, in modo che, crescendo poi, o egli andrebbano per uno cana-
le, o l’impeto loro non sarebbe né sì licenzioso né sì dannoso.14 Similmente interviene della
1 QUANTUM...OCCURRENDUM: Quanto possa 6 Questa...coniettura: Questa opinione è sta- chiavelli non significa, come nell’accezione
la fortuna nelle cose umane e in che modo si ta (suta) oggetto di maggior credito nei nostri teologica del termine, ‘possibilità di scelta
debba resisterle. tempi per la grande instabilità degli eventi fra il bene e il male’, ma ‘possibilità di inter-
2 E’...come: Non mi è ignoto che. politici recenti e presenti, verificatisi al di là di venire sulla realtà, modificandola’.
3 dalla fortuna e da Dio: Machiavelli pone ogni previsione umana. Si allude agli avveni- 9 ma che...noi: ma anche (etiam) che la for-
sullo stesso piano la cieca casualità degli menti accaduti a partire dalla discesa di Car- tuna lasci governare l’altra metà [delle azioni],
eventi e la Provvidenza divina: entrambe lo VIII in Italia (1494), che avevano scon- o quasi (presso), a noi.
escludono o riducono la funzione operativa volto gli equilibri fra gli Stati, cogliendo del 10 E assomiglio quella: E paragono quella
dei soggetti storici (e cioè della virtù e della tutto impreparate le classi dirigenti italiane. [: la fortuna].
prudenzia). 7 A che...loro: Riflettendo sui quali [problemi] 11 lievono: levano, erodono.
4 correggerle: cambiarne il corso. (A che pensando) anch’io mi sono talvolta, 12 obstare: fare resistenza. Latinismo.
5 per questo...sorte: sulla base di tutto ciò po- per certi aspetti, avvicinato all’opinione loro. 13 non resta però che: nulla impedisce che.
trebbero essere del parere che non ci si debba affa- 8 Nondimanco...spento: Tuttavia, per non 14 o egli...dannoso: o [i fiumi] troverebbero
ticare troppo (insudare) per modificare le cose, dover giungere alla negazione della nostra sfogo in un canale o l’impeto loro non sarebbe
e che occorra invece lasciarsi guidare dalla sorte. possibilità di azione. libero arbitrio in Ma- né così sfrenato (licenzioso) né così dannoso.
645
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
fortuna; la quale dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle; e quivi volta
li sua impeti dove la sa che non sono fatti gli argini e li ripari a tenerla.15 E se voi considerrete
20 l’Italia, che è la sedia di queste variazioni e quella che ha dato loro il moto,16 vedrete essere
una campagna sanza argini e sanza alcuno riparo: ché, s’ella fussi riparata da conveniente vir-
tù,17 come la Magna, la Spagna e la Francia,18 o questa piena non arebbe19 fatte le variazioni
grandi che ha, o la20 non ci sarebbe venuta.
E questo voglio basti avere detto quanto allo opporsi alla fortuna, in universali.21 Ma, re-
25 stringendomi più a’ particulari, dico come si vede oggi questo principe felicitare, e domani
ruinare, sanza averli veduto mutare natura o qualità alcuna.22 Il che credo che nasca, prima,
dalle cagioni che si sono lungamente per lo adrieto discorse,23 cioè che quel principe che si ap-
poggia tutto in sulla fortuna, rovina, come24 quella varia. Credo, ancora, che sia felice quello
che riscontra el modo del procedere suo con le qualità de’ tempi,25 e similmente sia infelice
30 quello che con il procedere suo si discordano e’ tempi.26 Perché si vede gli uomini, nelle cose
che li conducono al fine quale ciascuno ha innanzi,27 cioè glorie e ricchezze, procedervi va-
riamente; l’uno con respetto,28 l’altro con impeto; l’uno per violenzia, l’altro con arte;29 l’uno
per pazienzia, l’altro con il suo contrario: e ciascuno con questi diversi modi vi può pervenire.
Vedesi ancora dua respettivi,30 l’uno pervenire al suo disegno, l’altro no; e similmente dua
35 equalmente felicitare con dua diversi studii, sendo l’uno respettivo e l’altro impetuoso:31 il
che non nasce da altro, se non dalla qualità de’ tempi, che si conformano o no col procedere
loro.32 Di qui nasce quello ho detto, che dua, diversamente operando, sortiscono el medesi-
mo effetto; e dua equalmente operando, l’uno si conduce33 al suo fine, e l’altro no. Da questo
ancora depende la variazione del bene;34 perché, se uno che si governa con respetti e pazien-
40 zia, e’ tempi e le cose girono in modo che il governo suo sia buono, e’ viene felicitando; ma,
se li tempi e le cose si mutano, e’ rovina, perché non muta modo di procedere.35 Né si truova
15 Similmente...tenerla: In modo analogo la Francia e della Spagna all’Italia, qui isti- perdere lo Stato (ruinare), senza che abbia in
accade per la fortuna, la quale esibisce tutta tuita da Machiavelli, si basa sull’intuizione nulla mutato carattere o modalità di azione.
la sua forza dove la virtù non sia predisposta dell’importanza delle monarchie moderne 23 per lo adrieto discorse: esaminate prece-
(ordinata) a resisterle; e qui rivolge il suo im- nella storia europea. La Germania (Magna), dentemente.
peto distruttivo, dove sa che non sono stati pur contrapposta all’Italia per l’efficienza 24 come: non appena.
costruiti argini e ripari per imbrigliarla (te- degli eserciti, non costituisce invece un mo 25 Credo...de’ tempi: Credo poi che possa
nerla). Per virtù e fortuna La lingua nel dello di Stato moderno. prosperare quel principe che adegua (riscon-
tempo. 19 arebbe: avrebbe. tra) la sua azione alla specificità delle situa-
16 la sedia...il moto: la sede di questi sconvol- 20 la: pronome pleonastico, tipico del fio zioni.
gimenti politici e militari e il luogo che ne ha rentino. 26 e similmente...tempi: e analogamente sia
determinato l’avvio. I contrasti tra i principi 21 in universali: in generale. Da qui in avan incline a perdere lo Stato quello il cui operato
italiani, infatti, determinarono l’intervento ti il discorso si restringe a’particulari, cioè discordi con la specificità delle situazioni.
degli stranieri. all’influenza della fortuna nelle scelte del 27 quale...innanzi: che ciascuno si propone.
17 riparata...virtù: difesa da adeguata capa- principe. 28 respetto: prudenza.
cità politica e militare. 22 si vede...alcuna: si può vedere un princi- 29 l’uno...con arte: chi per mezzo della vio-
18 come...Francia: la contrapposizione del- pe oggi prosperare (felicitare) e l’indomani lenza, chi con l’astuzia (arte).
30 dua respettivi: due prudenti.
LA LINGUA NEL TEMPO 31 e similmente...impetuoso: e analogamen-
te [si vedono] due raggiungere lo stesso successo
Virtù e fortuna Nel mondo classico la parola virtus si riferiva al vigore, alla forza, al valore mili- con diversi modi di procedere (studii), essendo
tare. Con l’avvento del cristianesimo il termine assume un nuovo significato, religioso e mora- l’uno prudente e l’altro impetuoso.
le, che rimanda all’onestà, alla bontà. Nel Principe si torna a un’accezione laica della parola “vir- 32 col procedere loro: con il loro [: degli uo-
tù”, intesa come capacità dinamica e operativa di contrastare la “fortuna”. Machiavelli fonda mini] modo d’agire.
così una nuova morale, completamente terrena, non più religiosa o spirituale, e basata sull’a- 33 si conduce: giunge.
zione dell’uomo in quanto partecipe di una società. 34 la variazione del bene: il variare di ciò che
Il termine “fortuna” significa letteralmente ‘ciò che porta il caso’. La “fortuna” è una divinità capric- è opportuno fare.
ciosa e crudele nella tradizione pagana. In Dante diviene invece intelligenza provvidenziale che 35 perché, se uno...procedere: perché se uno
realizza la volontà divina. Da Boccaccio agli umanisti il tema della “fortuna” andrà però evolvendo- si comporta con prudenza e pazienza, e le cir-
si in direzione opposta all’accezione dantesca: essa è una forza cieca e casuale; rappresenta l’im- costanze si evolvono in modo concorde con le
prevedibilità delle circostanze, l’avvenimento casuale in grado di abbattere il progetto umano. La sue azioni, egli procede prosperando, ma se le
“fortuna” è in Machiavelli innanzitutto l’insieme dei limiti che la realtà oppone all’azione politica. circostanze discordano egli perde lo Stato (ro-
Oggi i due termini hanno significati vicini a quelli del passato: la “virtù” si riferisce a una carat- vina), perché non adatta a queste le proprie
teristica positiva dell’animo umano (“l’onestà è una virtù”), mentre con “fortuna” si indicano azioni. Il periodo ha una sintassi libera, tipi-
anche grandi quantità di denaro (“ho speso una fortuna”). ca del parlato.
646
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
uomo sì prudente che si sappi accomodare36 a questo; sì perché non si può deviare da quello
a che la natura lo inclina;37 sì etiam38 perché, avendo sempre uno prosperato camminando
per una via, non si può persuadere partirsi39 da quella. E però l’uomo respettivo, quando egli
45 è tempo di venire allo impeto, non lo sa fare; donde rovina;40 ché, se si mutassi di natura con
li tempi e con le cose, non si muterebbe fortuna.
Papa Iulio II procedé in ogni sua cosa impetuosamente; e trovò tanto e’ tempi e le cose
conforme a quello suo modo di procedere, che sempre sortì felice fine. […] E la brevità della
vita non gli ha lasciato sentire il contrario;41 perché, se fussino venuti tempi che fussi biso-
50 gnato procedere con respetti, ne seguiva la sua ruina:42 né mai arebbe deviato da quelli modi
a’ quali la natura lo inclinava.
Concludo, adunque, che, variando la fortuna, e stando gli uomini ne’ loro modi ostinati,
sono felici mentre concordano insieme, e, come discordano, infelici.43 Io iudico bene que-
sto:44 che sia meglio essere impetuoso che respettivo; perché la fortuna è donna, ed è necessa-
55 rio, volendola tenere sotto, batterla e urtarla.45 E si vede che la46 si lascia più vincere da questi,
che da quelli che freddamente47 procedano; e però48 sempre, come donna, è amica de’ giovani,
perché sono meno respettivi, più feroci49 e con più audacia la comandano.
N. Machiavelli, Il Principe, in Tutte le opere, cit.
36 accomodare: adattare [alle circostanze]. 39 partirsi: allontanarsi. 42 perché...ruina: perché, se fossero venuti
37 perché...inclina: perché non può allon- 40 E però...rovina: E perciò l’uomo prudente, tempi in cui fosse stato necessario agire con
tanarsi da quello [: il modo di procedere] quando è tempo di passare all’attacco (venire prudenza, ne sarebbe derivata la sua rovina.
verso cui la natura lo dirige. Nello scontro fra allo impeto) non lo sa fare e perciò rovina. 43 come...infelici: falliscono non appena [il
«virtù» e «fortuna» delineato nel Principe, 41 E...contrario: E la brevità della vita non gli loro temperamento e le circostanze esterne] di-
questo passo sembra favorire la fortuna: se ha permesso di fare l’esperienza del contrario scordano tra loro.
la natura umana condiziona la virtù ren- [: dell’insuccesso]. Giulio II morì nel 1513. 44 Io iudico bene questo: nelle ultime righe
dendola non adeguata alle continue modifi- Anch’egli, secondo Machiavelli, non sa- del capitolo Machiavelli reagisce alla rasse-
cazioni della fortuna, la vittoria, in conclu- rebbe sfuggito alla regola generale esposta gnazione con uno slancio ottimistico.
sione, spetterebbe proprio a quest’ultima, nel capitolo XXV: variando le situazioni e 45 urtarla: percuoterla.
rendendo così inutile l’azione politica di divenendo opposte a quelle che si accorda- 46 la: essa [: la fortuna].
modifica del reale. Contro questa contraddi- vano con il suo temperamento impetuoso, 47 freddamente: con prudente e fredda cir-
zione, Machiavelli reagirà sul finire del capi- sarebbe andato incontro a «ruina» perché cospezione.
tolo XXVI e in quello successivo. non sarebbe stato in grado di discostarsi dal 48 però: perciò.
38 sì etiam: [e] così anche. carattere impostogli dalla natura. 49 feroci: coraggiosi, fieri.
647
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
ANALISI Lo stile dilemmatico Anche in questo brano è possibile cogliere le caratteristiche basilari
della prosa di Machiavelli. Ritorna ancora una volta l’uso della forma disgiuntiva e correlativa
per antitesi: «l’uno con respetto, l’altro con impeto; l’uno per violenzia, l’altro con arte; l’uno
per pazienzia, l’altro con il suo contrario», «l’uno pervenire al suo disegno, l’altro no», «l’uno
respettivo e l’altro impetuoso», «l’uno si conduce al suo fine, e l’altro no». Questo stile dilem-
matico esprime la specificità dell’analisi concreta della realtà attuata dall’autore, che vuole
indurre il lettore a operare delle scelte impegnate e responsabili.
L’uso delle metafore L’asciuttezza dello stile di Machiavelli si accompagna al rigore del
ragionamento: il discorso si articola in massime universali, incisive ed estremamente perti-
nenti, unite all’uso di metafore particolarmente efficaci per illustrare al lettore anche i concetti
più elaborati. Una metafora molto suggestiva è quella della fortuna, descritta come un fiume
in piena che, quando si “adira”, cioè si infuria, allaga le pianure, sradica gli alberi e distrugge
le case, senza che sia possibile opporle resistenza. Allo stesso modo, la virtù umana è parago-
nata agli argini, costruiti dall’uomo previdente, che contengono lo scorrere impetuoso del
fiume. La metafora è poi riferita all’Italia, che appare come «una campagna sanza argini e
sanza alcuno riparo».
Anche in conclusione di capitolo, Machiavelli propone un’altra metafora: la «fortuna è donna»,
cioè richiede un atteggiamento spavaldo e fermo per comandarla proprio come le donne che,
secondo l’opinione dell’autore, devono essere sottomesse dagli uomini.
INTERPRETAZIONE La fortuna: un concetto-chiave Il capitolo XXV affronta una questione che scorre sotterra-
E COMMENTO nea in tutta l’opera. Il concetto di fortuna ricorre infatti con ossessiva frequenza nel Principe:
pensiamo alla dedica ( T2, p. 619), in cui l’autore si descrive come vittima di una «grande e
continua malignità di fortuna», e al capitolo VII ( T4, p. 626), dove il Valentino risulta colpito
da una «estraordinaria ed estrema malignità di fortuna». Tuttavia, la nozione-chiave del trat-
tato, la fortuna, non è analizzata in modo chiaro e netto: con il concetto di fortuna – è stato
osservato – «ci troviamo dinnanzi a un gran manto sotto cui non si può vedere chiaro». Spesso
la fortuna è risolta in un’immagine: il fiume rovinoso da arginare, la donna da “battere e
urtare”. Probabilmente per l’autore il concetto di fortuna resta contraddittorio. Di qui la dop-
pia conclusione di Machiavelli: gli uomini sono destinati a fallire quando natura umana e for-
tuna discordano tra loro, oppure la fortuna si lascia vincere da chi è deciso e coraggioso?
Storia, natura, fortuna Storia e Natura sono in conflitto nel Principe: da un lato l’estrema
mutevolezza della Storia, dall’altro l’assoluta immobilità della Natura. Mentre gli eventi storici
scorrono caotici, la Natura e l’uomo restano immobili. Di fronte a una realtà esterna impreve-
dibile e minacciosa, e a una natura umana immutabile, può venir meno la fiducia nell’azione
politica. La realtà rischia più volte, nel corso del capitolo XXV, di ridursi a dominio assoluto del
caso, mettendo in crisi la ragione stessa del trattato e aprendo il campo alla rassegnazione.
Ma, alla fine, Machiavelli reagisce alla rassegnazione con slancio visionario e utopico: la for-
tuna, che è donna, si lascia vincere da chi è giovane, coraggioso e audace.
Machiavelli cerca un rimedio concreto alla fortuna: egli guarda alla crisi italiana e vuole asso-
lutamente darle una risposta in positivo. L’autore dunque non teorizza in astratto il problema
della fortuna, ma lo tratta in relazione a una specifica situazione storica: in lui convivono dun-
que analisi realistica e slancio utopico.
648
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
LABORATORIO DI SCRITTURA
IL RIASSUNTO
Il riassunto è uno strumento utile anche quando ci troviamo di fronte a un testo teorico-saggistico. Le fasi per
la composizione del riassunto sono le stesse indicate a proposito del testo narrativo ( Boccaccio; Laborato-
rio di scrittura, p. 406): sottolineatura dei passaggi-chiave, divisione in sequenze, stesura.
Le sequenze
I. (rr. 1-11) È opinione di molti che gli eventi siano governati dalla fortuna e da Dio, senza possibilità d’inter-
vento da parte degli uomini. Machiavelli ritiene invece che la fortuna sia arbitro di metà delle azioni
umane.
II. (rr. 11-23) La fortuna è paragonata a un fiume rovinoso: per controllarne il corso è necessario che gli
uomini provvedano nei tempi quieti a costruire argini. Ma l’Italia risulta una campagna senza argini.
III. (rr. 24-30) Machiavelli restringe il discorso alla questione particolare dell’influenza della fortuna
sull’operato del principe: un principe ha successo se adegua la sua azione alla specificità delle
situazioni.
IV. (rr. 30-41) Non c’è regola fissa sul comportamento da tenere per raggiungere il successo: comportamenti
diversi possono sortire il medesimo effetto; comportamenti simili possono non sempre raggiungere il
fine prefissato. Dipende dai tempi.
V. (rr. 41-46) Poiché la natura umana è immutabile, il principe non sa adeguarsi al cambiamento delle
circostanze.
VI. (rr. 47-51) Papa Giulio II tenne un comportamento impetuoso e fu premiato perché i tempi richiedevano
questo tipo di condotta; ma egli non avrebbe saputo fare altrimenti.
VII. (rr. 52-57) È comunque preferibile un comportamento impetuoso perché la fortuna è come una donna
che deve essere percossa.
Elaboriamo ora il riassunto utilizzando un metodo definito “a grappolo”. Esso prevede anzitutto di individuare
il messaggio essenziale del testo condensandolo al massimo in un’unica frase.
649
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
A partire dai precedenti passaggi, realizza un riassunto di 15-20 righe stando attento a conservare sia il senso del
ragionamento sia lo sviluppo dell’argomentazione.
650
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
Il capitolo conclusivo appare costruito, sul piano stilistico, in modo completamente diverso rispetto a
tutti gli altri. Machiavelli qui si accosta allo stile del genere letterario dell’esortazione. Il capitolo si apre
con una fiduciosa valutazione delle condizioni presenti: le condizioni attuali sono favorevoli a rendere
degno di onore un «principe nuovo». L’invocazione è rivolta ai Medici, perché si mettano alla testa della
«redenzione» dell’Italia. Occorre prima di tutto dotarsi di armi proprie, sostituendo le inaffidabili truppe
mercenarie con milizie cittadine. I Medici vengono esortati a intraprendere questa impresa di liberazione:
il trattato si chiude nel segno della speranza, con i versi della canzone petrarchesca «Italia mia, benché
’l parlar sia indarno».
I TEMI risposta utopica alla crisi italiana Il Principe come manifesto politico
Considerato, adunque, tutte le cose di sopra discorse, e pensando meco medesimo se, al pre-
sente, in Italia correvano tempi da onorare uno nuovo principe,2 e se ci era materia che dessi
5 occasione a uno prudente e virtuoso di introdurvi forma che facessi onore a lui e bene alla
università degli uomini di quella;3 mi pare concorrino tante cose in benefizio4 di uno principe
nuovo, che io non so qual mai tempo fussi più atto a questo. E se, come io dissi,5 era necessa-
rio, volendo vedere la virtù di Moisè, che il populo d’Isdrael fussi stiavo6 in Egitto; e a cono-
scere la grandezza dello animo di Ciro, ch’e’ Persi fussino oppressati da’ Medi, e la eccellenzia
10 di Teseo, che gli Ateniesi fussino dispersi; così, al presente, volendo conoscere la virtù di uno
spirito italiano, era necessario che la Italia si riducessi nel termine7 che ella è di presente, e
che la fussi più stiava che gli Ebrei, più serva ch’e’ Persi, più dispersa che gli Ateniesi; sanza
capo, sanza ordine; battuta, spogliata, lacera, corsa;8 ed avessi sopportato d’ogni sorte ruina.
E benché fino a qui si sia mostro qualche spiraculo in qualcuno, da potere iudicare che
15 fussi ordinato da Dio per sua redenzione, tamen si è visto da poi, come, nel più alto corso delle
azioni sue, è stato dalla fortuna reprobato.9 In modo che, rimasa10 come sanza vita, aspetta
qual possa11 essere quello che sani le sue ferite, e ponga fine a’ sacchi12 di Lombardia, alle
taglie13 del Reame e di Toscana, e la guarisca di quelle sue piaghe già per lungo tempo infisto-
lite.14 Vedesi come la15 prega Dio, che le mandi qualcuno che la redima da queste crudeltà ed
20 insolenzie barbare; vedesi ancora tutta pronta e disposta a seguire una bandiera, pur che ci sia
uno che la pigli. Né ci si vede, al presente, in quale lei possa più sperare che nella illustre casa
1 EXHORTATIO...VINDICANDAM: Esortazione frontato il tema del principato nuovo, con- lusione richiama la vicenda del Valentino
a pigliare l’Italia e a ripristinare la libertà dai quistato per virtù e armi proprie e da dove ( T4, p. 626).
barbari. vengono ripresi gli esempi di Mosè, Ciro e 10 rimasa: rimasta. Riferito all’Italia.
2 pensando...principe: e pensando, tra me e Teseo. Qui infatti si invitano i Medici, nella 11 qual possa: colui che possa.
me, se, allo stato attuale delle cose, in Italia vi concreta situazione italiana contempora- 12 sacchi: saccheggi. Le guerre combat-
fossero le condizioni per procurare onore a un nea, a seguire quella direzione. tute in Italia dopo la discesa di Carlo VIII
principe nuovo. 6 stiavo: schiavo. ebbero tutte come teatro principale la
3 se ci era...quella: se ci fosse materia tale da 7 nel termine: nelle condizioni estreme. Lombardia.
offrire l’occasione a un principe dotato di sag- 8 corsa: percorsa ovunque dagli eserciti stra- 13 taglie: pressioni fiscali.
gezza e virtù di darle una forma che onorasse nieri. 14 infistolite: incancrenite.
lui e portasse beneficio a tutti (università) gli 9 E benché...reprobato: E benché, fino a oggi, 15 la: essa, cioè l’Italia, personificata
uomini d’Italia. materia e forma sono ter- si sia mostrato (mostro) qualche spiraglio nell’atto di implorare Dio. Questa personifi-
mini del linguaggio filosofico aristotelico, (spiraculo) in qualcuno [: in qualche prin- cazione dell’Italia implorante ha come pre-
già impiegati da Machiavelli nel capitolo VI cipe virtuoso] tale da far sperare che fosse cedenti i versi di Dante riguardanti Roma
( T3, p. 622). inviato da Dio per la sua [: dell’Italia] reden- che prega piangendo Cesare (Purgatorio VI,
4 in benefizio: a favore. zione, tuttavia (tamen) si è poi visto come, nel 112-114) e la canzone «Italia mia, benché ’l
5 come io dissi: non è casuale il rimando al momento più importante delle sue imprese, sia parlar sia indarno» di Petrarca, di cui alcuni
capitolo VI ( T3, p. 622), dove era stato af- stato respinto (reprobato) dalla fortuna. L’al- versi sono inclusi a fine capitolo.
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PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
vostra,16 quale con la sua fortuna e virtù, favorita da Dio e dalla Chiesa, della quale è ora prin-
cipe,17 possa farsi capo di questa redenzione. Il che non fia18 molto difficile, se vi recherete
innanzi le azioni e vita de’ sopranominati.19 E benché quegli uomini sieno rari e maraviglio
25 si, nondimanco furono uomini, ed ebbe ciascuno di loro minore occasione che la presente;
perché la impresa loro non fu più iusta di questa, né più facile, né fu a loro Dio più amico che
a voi. Qui è iustizia grande: «iustum enim est bellum quibus necessarium, et pia arma ubi
nulla nisi in armis spes est».20 Qui è disposizione grandissima;21 né può essere, dove è grande
disposizione, grande difficultà, pur che quella pigli degli ordini di coloro che io ho proposti
30 per mira.22 Oltre di questo, qui si veggano estraordinarii sanza esemplo condotti da Dio:23 el
mare si è aperto; una nube vi ha scorto el cammino; la pietra ha versato acqua; qui è piovuto la
manna;24 ogni cosa è concorsa nella vostra grandezza. El rimanente dovete fare voi. Dio non
vuole fare ogni cosa, per non ci torre el libero arbitrio e parte di quella gloria che tocca a noi.25
E non è maraviglia se alcuno de’ prenominati Italiani26 non ha possuto fare quello che si
35 può sperare facci la illustre casa vostra; e se, in tante revoluzioni27 di Italia e in tanti maneggi
di guerra, e’ pare sempre che in quella la virtù militare sia spenta. Questo nasce che gli ordini
antiqui di essa non erano buoni, e non ci è suto alcuno che abbi saputo trovare de’ nuovi:28
e veruna cosa fa tanto onore a uno uomo che di nuovo surga,29 quanto fa le nuove legge e li
nuovi ordini trovati da lui. Queste cose, quando sono bene fondate e abbino in loro grandezza,
40 lo fanno reverendo30 e mirabile. E in Italia non manca materia da introdurvi ogni forma; qui
è virtù grande nelle membra, quando la non mancassi ne’ capi. Specchiatevi ne’ duelli e ne’
congressi de’ pochi, quanto gli Italiani sieno superiori con le forze, con la destrezza, con lo in
gegno;31 ma, come si viene agli eserciti, non compariscono.32 E tutto procede dalla debolezza
de’ capi; perché quelli che sanno, non sono obediti, e a ciascuno pare di sapere, non ci sendo
45 infino a qui alcuno che si sia saputo rilevare, e per virtù e per fortuna, che gli altri cedino.33 Di
qui nasce che, in tanto tempo, in tante guerre fatte ne’ passati venti anni, quando egli è stato
uno esercito tutto italiano, sempre ha fatto mala pruova. Di che è testimone prima el Taro, di
poi Alessandria, Capua, Genova, Vailà, Bologna, Mestri.34
Volendo, dunque, la illustre casa vostra seguitare35 quegli eccellenti uomini che redimer
50 no le provincie loro, è necessario, innanzi a tutte le altre cose, come vero fondamento d’o
36
16 casa vostra: intende il casato dei Medici soprannaturale dell’urgenza della reden- uomini (congressi de’ pochi), quanto gli
a cui appartiene il destinatario del Principe, zione d’Italia. Italiani siano superiori in quanto a forze,
Lorenzo di Piero. 25 Dio...noi: Machiavelli ritorna sul tema prontezza e abilità nell’uso delle armi.
17 della...principe: dal marzo 1513 a capo del “libero arbitrio”, già trattato nel cap. 32 ma...compariscono: ma non appena si
della Chiesa era stato eletto, con il nome di XXV ( T7, p. 645). Al posto della fortuna arriva agli scontri di interi eserciti non fan-
Leone X, il cardinale Giovanni de’ Medici. vi è qui Dio: viene comunque ribadito che no buona figura (non compariscono).
18 non fia: non sarà. una parte rilevante dell’azione nella storia 33 non ci sendo...cedino: non essendoci fi-
19 se vi...sopranominati: se terrete davanti a spetta alla libera iniziativa degli uomini. nora nessuno che abbia saputo primeggiare
voi, come modelli, la vita e le azioni dei sopran- 26 alcuno...Italiani: nessuno dei sopranno- (rilevare) per virtù e per fortuna, in modo
nominati [: Mosè, Ciro, Teseo]. minati principi italiani. Si tratta dei prin- da far cedere gli altri e farsi ubbidire.
20 Qui...est: In questa impresa vi è una cipi trattati nei capitoli precedenti, e in 34 Taro...Mestri: sono i teatri di battaglie
grande giustizia; «le guerre giuste sono solo particolare di Cesare Borgia e di Francesco in cui gli eserciti dei principi italiani furono
quelle necessarie, e le armi sono sante là dove Sforza. sconfitti: Fornovo sul Taro, dove Carlo VIII
non esiste speranza se non nelle armi». Ma- 27 revoluzioni: mutamenti. Il significato riuscì, nel 1495, a sbaragliare le truppe del-
chiavelli cita, con qualche inesattezza, una moderno del termine “rivoluzione” si fissa la lega italiana che intendevano impedirgli
sentenza dello storico latino Tito Livio. solo a partire dal XVIII secolo. il rientro in Francia; Alessandria, assediata
21 Qui...grandissima: Qui la situazione è 28 Questo...nuovi: Ciò è causato dal fatto e conquistata dai francesi nel 1499; Capua,
favorevolissima all’intervento. che gli ordinamenti militari precedentemen- saccheggiata dai francesi nel 1501; Geno-
22 pur che...per mira: a condizione che la te adottati dagli Stati italiani non erano effi- va, che si arrese, dopo una debole rivolta,
Casa Vostra (quella) si ispiri a coloro che ho caci, e non vi è stato nessuno che abbia sapu- a Luigi XII nel 1507; Vailate presso cui vi è
proposto come modelli. to inventarne di nuovi. Agnadello, località famosa per la sconfitta
23 estraordinarii...Dio: segni soprannatu- 29 e veruna...surga: e nessuna cosa onora subita dai veneziani nel 1509; Bologna, ab-
rali senza precedenti suscitati da Dio. tanto un uomo che salga al potere come prin- bandonata dal legato pontificio in mano ai
24 el mare...manna: si tratta di un elenco cipe nuovo. francesi nel 1501; Mestre, da dove nel 1513
di miracoli tratto dall’esodo biblico degli 30 reverendo: degno di reverenza. gli spagnoli tirarono alcuni colpi di canno-
Ebrei verso la Terra Promessa, riferito però 31 Specchiatevi...ingegno: Guardate nei ne contro Venezia.
al tempo presente come segno profetico e combattimenti fra due (duelli) o fra pochi 35 seguitare: imitare.
652
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
gni impresa, provvedersi d’arme proprie;37 perché non si può avere né più fidi, né più veri,
né migliori soldati. E benché ciascuno di essi sia buono, tutti insieme diventeranno migliori,
quando si vedranno comandare dal loro principe e da quello onorare ed intratenere. È ne-
cessario, pertanto, prepararsi a queste arme, per potere con la virtù italica defendersi dagli
55 esterni.38 […]
Non si debba, adunque, lasciare passare questa occasione, acciò che la Italia, dopo tanto
tempo, vegga uno suo redentore. Né posso esprimere con quale amore e’ fussi ricevuto39 in
tutte quelle provincie che hanno patito per queste illuvioni esterne;40 con che sete di vendet-
ta, con che ostinata fede, con che pietà, con che lacrime. Quali porte se gli serrerebbano?41
60 quali populi gli negherebbano la obedienzia? quale invidia se gli42 opporrebbe? quale Italiano
gli negherebbe l’ossequio? A ognuno puzza questo barbaro dominio. Pigli, adunque, la illustre
casa vostra questo assunto43 con quello animo e con quella speranza che si pigliano le impre-
se iuste; acciò che, sotto la sua insegna, e questa patria ne sia nobilitata, e, sotto li sua auspizi,
si verifichi quel detto del Petrarca:
36 redimerno: liberarono. principe sulla base del proprio consenso. Vi- 41 se gli serrerebbano: gli si chiuderebbero.
37 provvedersi d’arme proprie: per Machia- ceversa le “armi altrui”, ossia le milizie mer- 42 se gli: gli si.
velli la soluzione della crisi politica italiana cenarie, risultano inaffidabili e pericolose. 43 assunto: impegno.
è anche un problema militare, al quale 38 È necessario...esterni: È necessario, per- 44 Virtù...morto: si tratta dei vv. 9396 del
sono dedicati i capp. XII-XIV del Principe. tanto, allestire milizie proprie, cittadine, se si la canzone di Petrarca all’Italia (Canzoniere,
Alle “armi altrui” vengono ripetutamente intende difendersi, con il valore [di un esercito] 128): «la virtù [degli Italiani] prenderà le
contrapposte le arme proprie. Il cittadi- italiano, dagli stranieri (esterni). armi contro il furore [degli stranieri]; e il
no, legato alla vita dello Stato da interessi 39 fussi ricevuto: sarebbe accolto. combattimento sarà breve, perché l’antico
materiali e da vincoli etici, combatte per il 40 illuvioni esterne: invasioni straniere. valore nei cuori italiani non è ancora morto».
ANALISI Un manifesto politico Il ventiseiesimo capitolo è l’ultimo del Principe. Si distingue dagli altri
per un tono vibrante e appassionato. Con questo capitolo l’opera assume più evidentemente
l’aspetto di un manifesto politico volto a ottenere un risultato immediato: la liberazione dell’I-
talia dal dominio straniero e la sua trasformazione in uno Stato forte e unitario.
Lo stile dell’esortazione Il consueto ragionamento logico cede qui il posto a un tono appas-
sionato e profetico, ricco di metafore, immagini e figure retoriche. I mali dell’Italia vengono elen-
cati in una tragica lista: «sanza capo, sanza ordine; battuta, spogliata, lacera, corsa». L’Italia
viene personificata e raffigurata come un grande corpo malato: «rimasa come sanza vita»,
attende chi «sani le sue ferite […] e la guarisca di quelle sue piaghe già per lungo tempo infisto-
lite». L’esortazione si fa più appassionata attraverso il ricorso a immagini bibliche: «el mare si è
aperto; una nube vi ha scorto el cammino; la pietra ha versato acqua; qui è piovuto la manna».
Sono frequenti, inoltre, le ripetizioni e le domande retoriche. Ecco alcuni esempi di ripetizione:
«più stiava che gli Ebrei, più serva ch’e’ Persi, più dispersa che gli Ateniesi»; «con che sete di
653
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
vendetta, con che ostinata fede, con che pietà, con che lacrime». L’effetto della ripetizione
aumenta all’interno di domande retoriche: «Quali porte gli serrerebbano? quali populi gli neghe-
rebbano la obedienzia? quale invidia se gli opporrebbe? quale Italiano gli negherebbe l’osse-
quio?». Il tono, insomma, è elevato, e al suo interno trova naturale collocazione la citazione
finale della canzone petrarchesca «Italia mia, benché ’l parlar sia indarno». E tuttavia non man-
cano espressioni di tipo completamente diverso. Il vocabolo “basso” e popolare «puzza», posto
al culmine di un’esortazione dal tono “alto”, determina un forte contrasto («A ognuno puzza que-
sto barbaro dominio»). Il tono elevato, modellato sui classici, e il linguaggio religioso (oltre alle
immagini bibliche, notiamo i termini «redenzione» e «redentore», che dal campo religioso ven-
gono trasportati a quello politico) si scontrano con il gusto dell’espressione popolaresca. Ma
proprio la presenza di elementi linguistici e stilistici “alti” e “bassi” è la spia di una tensione
appassionata che si discosta dal ragionamento logico e punta a coinvolgere l’interlocutore.
654
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
6 Le opere storiografiche:
i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio,
Dell’arte della guerra e le Istorie fiorentine
I Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio
Il Principe Mentre Il Principe è un’opera breve e compatta, una sorta di manifesto destinato all’immedia-
e i Discorsi: to uso politico, i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, l’altro capolavoro politico di Ma-
due diverse
prospettive chiavelli, sono un’opera varia ed eterogenea che, nelle intenzioni dell’autore, doveva costitui-
politiche re i fondamenti di una moderna teoria politica basata sugli insegnamenti della storia
dell’antica Roma. Sono entrambe opere che trattano di politica, ma quale relazione c’è tra Il
DIGIT
APPROFONDIMENTI Principe e i Discorsi? Il Principe si pone il problema di fondare uno Stato nuovo, e ciò può avve-
G. Procacci, nire solo a partire dalla “virtù” di un singolo; i Discorsi considerano invece la durata nel tempo
Confronto tra
Il Principe dello Stato, che secondo Machiavelli solo la repubblica può garantire. Di qui la differenza di
e i Discorsi
prospettive e di indicazioni politiche fra le due opere: il principato nel Principe, la repub-
blica nei Discorsi.
Composizione Machiavelli compone i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio fra il 1513 e il 1518. I Discorsi si
e struttura presentano come una serie di divagazioni condotte a partire da un testo-base: la prima Deca
(ovvero i primi dieci libri) della storia di Roma del grande storico latino Tito Livio (59 a.C.-17
d.C.), Ab urbe condita [Dalla fondazione di Roma]. Non si tratta dunque di un commento vero
e proprio, ma di una serie di riflessioni e appunti che vorrebbero costituire i principi su cui
basare una moderna teoria politica.
L’opera è divisa in tre libri. Il libro I è dedicato alla politica interna. Si sottolinea l’impor-
tanza della religione come instrumentum regni (‘strumento di governo’). Machiavelli rim-
piange la religione pagana dell’antica Roma, che induceva il cittadino a identificarsi nello
Stato, e critica quella cristiana, che invece lo distoglie dagli interessi civili e dall’amore per la
patria; e rivolge una dura critica alla Chiesa di Roma, considerata in generale dal segretario fio-
rentino la causa principale della frammentazione politica italiana e della decadenza nazionale
( T9, p. 657). Il libro II è dedicato alla politica estera. Il libro III è più vario: considera sia
come le azioni di «uomini particolari» abbiano fatto grande Roma, sia come si trasformino
gli Stati, cioè nascano, si evolvano, decadano. In quest’ultimo libro sono più insistenti i rife-
rimenti alla crisi di Firenze.
L’OPERA
DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO
religione come
libro I politica interna strumento
politico
655
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Principato e In quest’opera, Machiavelli rivela quali siano le uniche forme accettabili di Stato: 1) il principa-
repubblica to, ma controllato dal “popolo” o borghesia, secondo il contemporaneo modello della monar-
chia francese; 2) la repubblica “mista”, cioè modellata sull’esempio dell’antica Roma, con un
equilibrio interno di poteri e una conflittualità regolata fra plebe, borghesia e aristocrazia. Poi,
fra principato e repubblica “mista”, Machiavelli preferisce, in ultima istanza, la seconda,
perché in grado di garantire una maggiore durata allo Stato. Esclude, invece, ogni degene-
razione del potere in tirannia (potere assoluto del monarca) o in oligarchia (potere assoluto
dell’aristocrazia) o in anarchia (potere assoluto del popolo).
Le Istorie fiorentine
Un’opera della Negli ultimi anni, Machiavelli si dedicò fra l’altro all’attività di storiografo: nel 1520 ricevette
tarda maturità infatti da Giulio de’ Medici l’incarico di scrivere una storia di Firenze. Ne nacquero le Istorie
fiorentine, completate nel 1525 e pubblicate postume nel 1532. L’opera è divisa in otto libri. Il
primo contiene un quadro storico generale delle vicende italiane a partire dalla caduta dell’Im-
pero romano. Il secondo libro tratta della fondazione di Firenze, narrando le vicende della cit-
tà fino al 1353. I libri dal terzo all’ottavo descrivono in modo assai più minuzioso i fatti cittadi-
ni da questa data fino alla morte di Lorenzo il Magnifico (1492).
Un saggio sulla Il modello storiografico seguito da Machiavelli è di tipo saggistico e non documentario. I fatti
crisi di Firenze narrati non sono cioè ricostruiti con scrupolo su fonti di prima mano e sulla base di ricerche ori-
ginali; l’autore si affida alle cronache precedenti, e soprattutto a quelle di Villani, Capponi,
Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini. E d’altra parte la narrazione storiografica è finalizzata a
L’OPERA
DUE OPERE IMPORTANTI
data di composizione genere argomenti
1519-1520 trattato in forma composizione dell’esercito
Dell’arte (pubblicazione di dialogo importanza delle “armi proprie” dello Stato
della guerra nel 1521) e polemica contro le truppe mercenarie
decadenza della cavalleria e importanza
della fanteria
656
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
DIGIT
APPROFONDIMENTI
Ermanno Olmi,
Il mestiere delle
armi [2001]
sostenere il punto di vista politico dell’autore (e appunto in questo risiede la sua natura sag-
gistica): come nei Discorsi, Machiavelli intende dimostrare come lo smarrimento delle antiche
virtù municipali, la lotta delle fazioni, la mancanza di gruppi dirigenti capaci, l’incapacità di as-
sumere a modello l’antica Roma abbiano prodotto la crisi politica della città e, più in generale,
di tutti gli Stati italiani. L’interpretazione spregiudicata della storia conta insomma più del-
la attendibilità scientifica dei fatti. E proprio questo dato costituisce d’altra parte il fascino
dell’opera e alimenta l’efficacia della sua scrittura appassionata.
FACCIAMO IL PUNTO
Che tipo di esercito propone Machiavelli nell’opera Dell’arte della guerra?
A quali materiali si affida Machiavelli per scrivere la sua storia di Firenze?
T9 Le colpe della Chiesa [Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, libro I, cap. XII]
Nel capitolo dodicesimo del libro primo, Machiavelli sostiene l’importanza della religione nella vita degli
Stati. Analizza la situazione italiana e vede, tra le ragioni della crisi, la mancanza di unità religiosa. Di ciò
sarebbe responsabile la Chiesa: la corruzione della corte pontificia ha allontanato i fedeli; inoltre la pre-
senza dello Stato della Chiesa ha impedito la costituzione in Italia di un moderno Stato unitario sul model-
lo di quello francese o spagnolo.
I TEMI religione come strumento politico polemica contro la corte papale e lo Stato della Chiesa
Quelli principi o quelle republiche, le quali si vogliono mantenere incorrotte, hanno sopra
ogni altra cosa a mantenere incorrotte le cerimonie2 della loro religione, e tenerle sempre
1 PER...ROMANA: per esserne stata privata a causa della Chiesa romana [: cattolica].
2 le cerimonie: si intende l’insieme dei rituali religiosi.
657
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
5 nella loro venerazione; perché nessuno maggiore indizio si puote avere della rovina d’una
provincia,3 che vedere dispregiato il culto divino. Questo è facile a intendere, conosciuto che
si è in su che sia fondata la religione dove l’uomo è nato;4 perché ogni religione ha il fonda-
mento della vita sua in su qualche principale ordine suo.5 La vita della religione Gentile6 era
fondata sopra i responsi degli oracoli, e sopra la setta degli indovini e degli aruspici:7 tutte le
10 altre loro cerimonie, sacrifici e riti, dependevano8 da queste; perché loro facilmente credevo-
no che quello Iddio che ti poteva predire il tuo futuro bene o il tuo futuro male, te lo potessi
ancora concedere.9 Di qui nascevano i templi, di qui i sacrifici, di qui le supplicazioni, ed ogni
altra cerimonia in venerarli:10 per che l’oracolo di Delo, il tempio di Giove Ammone,11 ed altri
celebri oracoli, i quali riempivano il mondo di ammirazione e divozione. Come costoro co-
15 minciarono dipoi a parlare a modo de’ potenti, e che questa falsità si fu scoperta ne’ popoli, di-
ventarono gli uomini increduli, ed atti a perturbare ogni ordine buono.12 Debbono, adunque,
i principi d’una republica o d’uno regno, i fondamenti della religione che loro tengono, man-
tenergli;13 e fatto questo, sarà loro facil cosa mantenere la loro republica religiosa, e, per con-
seguente, buona e unita. E debbono, tutte le cose che nascano in favore di quella, come che le
20 giudicassono false,14 favorirle e accrescerle; e tanto più lo debbono fare, quanto più prudenti
sono, e quanto più conoscitori delle cose naturali. E perché questo modo è stato osservato
dagli uomini savi, ne è nato l’opinione dei miracoli, che si celebrano nelle religioni eziandio
false; perché i prudenti gli augumentano, da qualunque principio e’ si nascano; e l’autorità
loro dà poi a quelli fede appresso a qualunque.15 Di questi miracoli ne fu a Roma assai; intra i
25 quali fu, che, saccheggiando i soldati romani la città de’ Veienti,16 alcuni di loro entrarono nel
tempio di Giunone, ed accostandosi alla imagine di quella, e dicendole: «Vis venire Romam?»
parve a alcuno vedere che la accennasse,17 a alcuno altro che la dicesse di sì. Perché, sendo18
quegli uomini ripieni di religione (il che dimostra Tito Livio, perché, nello entrare nel tempio,
vi entrarono sanza tumulto, tutti devoti e pieni di riverenza), parve loro udire quella risposta
30 che alla domanda loro per avventura si avevano presupposta:19 la quale opinione e credulità da
3 d’una provincia: La lingua nel tempo. era in grado anche di concederti il futuro [che pubblica o regno] vengono seguiti.
4 Questo...nato: Ciò [: il disprezzo della reli- desideravi]. 14 come che...false: anche se le conside-
gione] è facile da riconoscere, quando ci si sia 10 in venerarli: per venerarli [: gli dèi]. rassero false. Come sempre in Machiavelli,
resi conto (conosciuto che si è) su quali basi 11 per che...Ammone: per questo motivo [ve- l’interesse dello Stato è superiore all’accer-
sia fondata (in su che sia fondata) la religio- nivano fondati] l’oracolo di Delo, il tempio di tamento di qualsiasi verità e scopo finale di
ne in cui l’uomo è nato [: la religione di quel Giove Ammone. Quest’ultimo era situato in ogni azione umana.
determinato popolo]. un’oasi della Libia. 15 E perché...qualunque: E poiché questo
5 in su...suo: in qualche particolare principio 12 Come...buono: Non appena costoro [: gli modo è stato rispettato dagli uomini saggi, ne è
fondamentale. oracoli] cominciarono a profetizzare in fa- derivata la credenza nei miracoli che si celebra-
6 della religione Gentile: della religione dei vore dei potenti, e i popoli compresero questa no anche (eziandio) nelle religioni false; perché
pagani (in latino gentiles). falsità, gli uomini divennero scettici e pronti le persone sapienti e accorte ne innalzano il cre-
7 la setta...aruspici: la classe sacerdotale a rovesciare ogni buon ordinamento politico. dito, da qualunque origine essi [: i miracoli] pro-
degli indovini e degli aruspici. Gli aruspici L’assenza di saldi e condivisi principi reli- vengano; e la loro autorità ne produce in chiun-
predicevano il futuro esaminando le viscere giosi è causa di instabilità politica e di una que la fede. A Machiavelli importa sottolineare
degli animali (soprattutto il fegato). pericolosa mancanza di governo all’interno la forza attivata dall’autorità anche nel campo
8 dependevano: derivavano. dello Stato. religioso, perché è su questa capacità di unio-
9 perché loro...concedere: perché essi rite- 13 Debbono...mantenergli: I governanti di ne che occorre fondare il rispetto delle norme
nevano facilmente che la divinità che poteva una repubblica o di un regno devono, dunque, civili e degli ordinamenti repubblicani.
prevedere il tuo futuro, positivo o negativo, mantenere i fondamenti religiosi che lì [: re- 16 saccheggiando...Veienti: mentre i soldati
romani stavano saccheggiando la città di Veio.
LA LINGUA NEL TEMPO È una proposizione temporale espressa con
il gerundio, come in latino. Veio cadde in
Provincia Il termine «provincia» (r. 6) indicava, in epoca romana, un territorio conquistato nel mano romana nel 395 a.C. per opera del dit-
quale l’autorità era esercitata da un rappresentante di Roma. È usato con il senso generico di tatore Furio Camillo.
‘regione, territorio’ anche in Machiavelli. Nell’ordinamento amministrativo italiano moderno, la 17 Vis...accennasse: «Vuoi venire a
“provincia” è un ente territoriale autonomo, intermedio tra il comune e la regione, comprenden- Roma?», a qualcuno sembrò di vedere che essa
te il territorio di diversi comuni, il più importante dei quali ne costituisce il capoluogo. (la) annuisse [con un cenno].
Per estensione, il termine indica ‘l’insieme dei piccoli centri, dei paesi di una provincia, contrap- 18 sendo: essendo.
posti al capoluogo’ e più in generale alla grande città. In questo caso il termine “provincia” as- 19 parve...presupposta: a loro parve di udi-
sume il connotato di ‘luogo socialmente e culturalmente arretrato’, non all’avanguardia (“la vi- re quella risposta che per caso (per avventu-
ta di provincia è più noiosa di quella della capitale”). ra) avevano presunto per la loro domanda.
658
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
Cammillo a dagli altri principi20 della città fu al tutto favorita ed accresciuta. La quale religione
se ne’ principi della republica cristiana si fusse mantenuta, secondo che dal datore d’essa ne fu
ordinato, sarebbero gli stati e le republiche cristiane più unite, più felici assai, che le non sono.21
Né si può fare altra maggiore coniettura della declinazione d’essa, quanto è vedere come quel-
35 li popoli che sono più propinqui alla Chiesa romana, capo della religione nostra, hanno meno
religione.22 E chi considerasse i fondamenti suoi, e vedesse l’uso presente quanto è diverso da
quelli, giudicherebbe essere propinquo, sanza dubbio, o la rovina o il fragello.23
E perché molti sono d’opinione, che il bene essere delle città d’Italia nasca dalla Chiesa
romana, voglio, contro a essa, discorrere quelle ragioni che mi occorrono:24 e ne allegherò due
40 potentissime ragioni le quali, secondo me, non hanno repugnanzia.25 La prima è, che, per gli
esempli rei di quella corte, questa provincia ha perduto ogni divozione e ogni religione:26 il
che si tira dietro infiniti inconvenienti e infiniti disordini; perché, così come dove è religione
si presuppone ogni bene, così, dove quella manca, si presuppone il contrario. Abbiamo, adun-
que, con la Chiesa e con i preti noi Italiani questo primo obligo,27 di essere diventati sanza
45 religione e cattivi: ma ne abbiamo ancora uno maggiore, il quale è la seconda cagione della
rovina nostra. Questo è che la Chiesa ha tenuto e tiene questa provincia divisa. E veramente,
alcuna provincia non fu mai unita o felice, se la non viene tutta alla ubbidienza d’una repu-
blica o d’uno principe, come è avvenuto alla Francia ed alla Spagna.28 E la cagione che la Italia
non sia in quel medesimo termine,29 né abbia anch’ella o una republica o uno principe che
50 la governi, è solamente la Chiesa: perché, avendovi quella abitato e tenuto imperio tempo-
rale, non è stata sì potente né di tanta virtù che l’abbia potuto occupare la tirannide d’Italia
e farsene principe;30 e non è stata, dall’altra parte, sì debole, che, per paura di non perdere il
dominio delle sue cose temporali, la non abbia potuto convocare uno potente che la difenda
contro a quello che in Italia fusse diventato troppo potente:31 come si è veduto anticamente
55 per assai esperienze, quando, mediante Carlo Magno, la ne cacciò i Longobardi,32 ch’erano già
quasi re di tutta Italia; e quando ne’ tempi nostri ella tolse la potenza a’ Viniziani con l’aiuto di
Francia; di poi ne cacciò i Franciosi con l’aiuto de’ Svizzeri.33 Non essendo, adunque, stata la
Chiesa potente da potere occupare la Italia, né avendo permesso che un altro la occupi, è stata
20 principi: intende, come al solito, tutte le dei Medici, dunque strettamente collegato 31 e non...potente: e non è stata, per altro,
autorità laiche e religiose della città. a Firenze e ai suoi interessi politici. così debole, per paura di perdere il controllo del
21 La quale...non sono: La quale religione, se 24 voglio...occorrono: voglio, contro quella potere temporale, da non chiamare in aiuto un
si fosse mantenuta nei capi della comunità cri- [opinione], esaminare le ragioni che mi vengo- potente che la difendesse contro quello [Stato]
stiana nei modi previsti dal suo ispiratore (dal no in mente. che fosse divenuto troppo forte.
datore d’essa) [: Cristo], gli Stati e le repub- 25 non hanno repugnanzia: non possono 32 come...Longobardi: come si è potuto ve-
bliche cristiane sarebbero più unite e molto più essere contraddette. dere nel passato in molti casi, quando, grazie
felici di quanto non lo sono adesso. Machia- 26 per gli...religione: a causa dei cattivi a Carlo Magno, fece cacciare i Longobardi
velli ribadisce la superiorità della religione esempi offerti dalla corte pontificia, questo dall’Italia. I Longobardi, a partire dal 568,
pagana greco-latina (socialmente rispettata territorio [: l’Italia] ha perduto ogni rispetto si erano stabiliti nell’Italia settentrionale
e condivisa) nei confronti del cristianesimo verso la religione. ma avevano territori anche in Italia centrale
che nella Chiesa di Roma ha storicamente 27 obligo: obbligo di riconoscenza, ma detto e meridionale (ducati di Spoleto e di Bene-
trovato il suo “traditore” e nemico. in senso ironico e sarcastico. vento), dunque a nord e a sud dello Stato
22 Né si...religione: E non possiamo avere 28 se...Spagna: se non è tutta unificata della Chiesa. Proprio per impedire una loro
prova più convincente del suo declino quanto nell’obbedire al potere di una repubblica o di un pericolosa riunificazione, il Papato chiese
vedere come i popoli più vicini (propinqui) principe, come è accaduto in Francia e in Spa- più volte l’aiuto dei Franchi, che con Carlo
alla Chiesa di Roma (centro della nostra reli- gna. Il riferimento alla situazione francese e Magno, nel 774, posero fine al potere longo-
gione) dimostrano minor senso religioso. spagnola nasce dalla consapevolezza di una bardo in Italia.
23 E chi...fragello: E chi considerasse i suoi reale mancanza di peso politico da parte dei 33 e quando...Svizzeri: Machiavelli si riferi-
principi e vedesse quanto i comportamen- vari Stati italiani, sottomessi più volte al po- sce alla Lega di Cambrai stipulata nel 1508
ti presenti sono diversi da quelli, riterrebbe tere di queste due grandi monarchie. da Giulio II con i francesi, gli Asburgo, i Gon-
senza dubbio assai vicini o la rovina o la pu- 29 in quel...termine: nelle stesse condizioni zaga, gli Este per impedire l’espansione ter-
nizione [delle colpe]. Queste frasi suonano [: della Francia e della Spagna]. ritoriale di Venezia. La spregiudicatezza di
come un tremendo atto di accusa verso la 30 perché...principe: perché, pur avendo tali alleanze emerge dal fatto che il Papato
Chiesa e dimostrano la grande preoccupa- essa [: la Chiesa] la sua sede e il potere tem- non esitò a chiedere l’appoggio della stessa
zione storica di Machiavelli, soprattutto porale in Italia, non è stata così potente né di Venezia (oltre che della Svizzera, della Spa-
qualora si consideri che dal 1513 al 1521 è tanto valore da riuscire a occupare il potere e gna, dell’Inghilterra) per limitare l’influen-
papa Leone X, appartenente alla famiglia istituirne il principato (farsene principe). za francese (Lega Santa).
659
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
cagione che la non è potuta venire sotto uno capo;34 ma è stata sotto più principi e signori, da’
60 quali è nata tanta disunione e tanta debolezza, che la si è condotta a essere stata preda, non
solamente de’ barbari potenti, ma di qualunque l’assalta.35 Di che noi altri Italiani abbiamo
obbligo con la Chiesa, e non con altri. E chi ne volesse per esperienza certa vedere più pronta
la verità,36 bisognerebbe che fusse di tanta potenza che mandasse ad abitare la corte romana,
con l’autorità che l’ha in Italia, in le terre de’ Svizzeri; i quali oggi sono, solo, popoli che vivo-
65 no, e quanto alla religione e quanto agli ordini militari, secondo gli antichi:37 e vedrebbe che
in poco tempo farebbero più disordine in quella provincia i rei costumi di quella corte, che
qualunque altro accidente che in qualunque tempo vi potesse surgere.38
N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, in Tutte le opere, cit.
34 la non...capo: non si è potuta riunificare certe, ancor più manifesta la verità. ge qui alle estreme conseguenze la critica
sotto un unico capo. 37 i quali...antichi: i quali oggi sono la sola verso il cattolicesimo romano. Egli sostiene
35 che la...l’assalta: che [l’Italia] si è ridotta popolazione che vive secondo i costumi degli che la corruzione della Curia è talmente in-
a essere preda non solo dei forti Stati stranieri antichi, in riferimento allo spirito religioso e sidiosa da riuscire a mettere in crisi anche
(barbari potenti), ma di chiunque l’assalga. agli ordinamenti militari. la radicata saldezza religiosa e morale degli
36 chi...verità: chi volesse vedere, con prove 38 e vedrebbe...surgere: Machiavelli spin- svizzeri.
ANALISI Uno stile ironico e polemico Nell’esposizione del secondo punto, cioè l’esame della situa-
zione dell’Italia, il tono dell’autore si fa più polemico. La critica contro la Chiesa e contro quanti
credono che da essa nasca «il bene essere delle città d’Italia» introduce una nota di sarcasmo.
In senso ironico, Machiavelli parla di “obblighi” di riconoscenza nei confronti della Chiesa: l’Ita-
lia deve ringraziarla – sembra voler dire amaramente e dispettosamente l’autore – perché le ha
fatto perdere lo spirito religioso e perché le ha impedito di divenire uno Stato nazionale unita-
rio. Occorre notare che l’ironia non solo suggerisce una cosa per farne capire un’altra (in effetti
l’Italia non deve ringraziare la Chiesa, perché deve a essa la sua disgrazia), ma contiene anche
una qualche sfumatura di minaccia: il debito contratto con la Chiesa può essere risolto facen-
dole pagare a caro prezzo i danni provocati. Il finale è fortemente polemico: l’autore arriva addi-
rittura a immaginare che se la corte romana fosse spostata in Svizzera, anche i sani montanari
che l’abitano ne sarebbero rapidamente corrotti, assimilandone «i rei costumi».
Dunque l’autore passa dalla dimostrazione logica (prima parte del capitolo) al discorso pole-
mico e irritato (seconda parte): questa alternanza di toni è caratteristica della scrittura machia-
velliana ed è infatti riscontrabile anche nel Principe.
660
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
T10 La fortuna e l’uomo [Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, libro III, cap. IX]
Nel brano Machiavelli riflette su come la fortuna condizioni l’uomo non solo attraverso gli imprevisti del
caso, ma anche con il carattere che gli dà alla nascita. L’indole degli uomini, infatti, è o “rispettiva” (cauta,
ponderata) o “impetuosa”, e non è possibile passare agevolmente dall’una all’altra. Secondo l’autore,
infatti, l’uomo può essere assistito da buona fortuna solo se riesce ad adattarsi a circostanze che richie-
dono doti ogni volta diverse d’ingegno e di carattere. In teoria, quindi, riuscirebbe ad avere successo chi
può adeguarsi di continuo al variare dei tempi e dei casi.
I TEMI potere della fortuna importanza di adattare il proprio comportamento ai cambiamenti della storia
COME CONVIENE VARIARE CO’ TEMPI VOLENDO SEMPRE AVERE BUONA FORTUNA
Io ho considerato più volte come la cagione della trista e della buona fortuna degli uomini è
riscontrare1 il modo del procedere suo con i tempi: perché e’ si vede che gli uomini nelle ope-
re loro procedono, alcuni con impeto, alcuni con rispetto e con cauzione.2 E perché nell’uno
661
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
3 si passano...erra: si superano i limiti della bada il nemico. a non perdere la guerra, in seguito ebbe Sci-
convenienza, non riuscendo ad attenersi alla 8 Né...suoi: Né Fabio avrebbe potuto incon- pione nella circostanza adatta a vincerla. Da
vera via [: l’equilibrio tra le due], si sbaglia trare tempi più propizi al suo comportamen- questo passo si potrebbe pensare a una su-
nell’uno o nell’altro [modo]. to. I momenti della storia e della “fortuna” periorità del modello repubblicano (aperto
4 Ma...natura: Ma quello che, come ho detto, esaltano una particolare predisposizione al contributo dei molti) rispetto al regime
fa incontrare il tempo con il suo modo [di agi- che deve sempre adattarsi al rapido capo- principesco (dominato dal giudizio del sin-
re] viene a sbagliare meno e ad avere la for- volgimento delle situazioni. golo). Ma il pensiero di Machiavelli, in altri
tuna prospera, e sempre procede a seconda di 9 elezione: scelta. passaggi, tende a far emergere costante-
come ti costringe la natura. 10 si vide...sua: si vide quando, volendo Sci- mente il primato della fortuna, spesso re-
5 Fabio Massimo: Quinto Fabio Massimo fu pione passare in Africa con gli eserciti per golatrice di tutte le vicende umane.
eletto dittatore dopo la disfatta delle legio- porre fine alla guerra, egli contrastò molto la 14 Quinci: Da ciò.
ni romane al lago Trasimeno (217 a.C.). Era cosa, poiché (come quello che) non poteva 15 alla...temporali: alla molteplicità delle si-
soprannominato Cunctator, il Temporeg- allontanarsi dai suoi modi [di agire] e dalle tuazioni.
giatore, per la sua tattica attendistica nelle sue abitudini. 16 e conviene...rovini: avviene di necessità
operazioni di guerra, per altro ben eviden- 11 se...lui: se fosse dipeso da lui. che, quando cambiano i tempi, [divenuti]
ziata da Machiavelli con i due avverbi: ri- 12 come...guerra: Machiavelli vuol dire che estranei al suo comportamento, egli vada in
spettivamente e cautamente. il comportamento di Fabio Massimo si è rovina.
6 discosto: lontano. rivelato utile per la Repubblica in un dato 17 Piero Soderini: Soderini (1452-1522), le-
7 Perché...nimico: Perché, essendo giunto momento storico, ma nel mutare degli gato a Piero de’ Medici, fu nominato gon-
Annibale in Italia, giovane e con una fortuna eventi l’incapacità di adeguamento diviene faloniere a vita della Repubblica fiorentina.
recente [: ancora da sperimentare], e aven- un pericolo ed è nociva alle risoluzioni più Dopo essere stato allontanato da Firenze
do già sconfitto il popolo romano due volte urgenti. con il ritorno dei Medici (1512) si rifugiò a
[: nelle battaglie sul Ticino e sul Trasime- 13 ma...vincerla: ma poiché era nato in una Roma presso papa Leone X.
no], ed essendo quasi priva quella repubblica repubblica con molti cittadini di diverso 18 altre volte preallegato: già citato in altri
del suo valido esercito e atterrita, non poté temperamento (diversi cittadini e diversi momenti.
avere in sorte miglior fortuna di un capitano umori), così come essa [: la repubblica] ebbe 19 rompere...umiltà: tagliar corto con la pa-
che con la sua lentezza e prudenza tenesse a Fabio che fu ottimo nel momento opportuno zienza e la moderazione.
662
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
dere suo: ma come e’ vennero dipoi tempi dove e’ bisognava rompere la pazienza e la umiltà,19
non lo seppe fare; talché insieme con la sua patria rovinò. Papa Iulio II20 procedette in tut-
to il tempo del suo pontificato con impeto e con furia; e perché gli tempi l’accompagnarono
35 bene,21 gli riuscirono le sua imprese tutte. Ma se fossero venuti altri tempi che avessono ri-
cerco altro consiglio,22 di necessità rovinava; perché non arebbe mutato né modo né ordine
nel maneggiarsi.23 E che noi non ci possiamo mutare, ne sono cagioni due cose: l’una, che noi
non ci possiano opporre a quello a che c’inclina la natura;24 l’altra, che, avendo uno con uno
modo di procedere prosperato assai, non è possibile persuadergli che possa fare bene a proce-
40 dere altrimenti: donde ne nasce che in uno uomo la fortuna varia, perché ella varia i tempi, ed
elli non varia i modi.25 Nascene ancora le rovine delle cittadi, per non si variare gli ordini delle
republiche co’ tempi;26 come lungamente di sopra discorremo: ma sono più tarde, perché le
penono più a variare, perché bisogna che venghino tempi che commuovino tutta la republica;
a che uno solo, col variare il modo del procedere, non basta.27
N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, in Tutte le opere, cit.
20 Papa Iulio II: Giulio II (Giuliano della Ro- “ricercato”). particolari circostanze, ci hanno portato il
vere, 1443-1513), pontefice dal 1503, strin- 23 perché non...maneggiarsi: in quanto non successo, ma che non possono in ogni caso
se una serie di spregiudicate alleanze con avrebbe cambiato né il modo né l’ordine del farci prevedere il futuro.
tutti i principali Stati italiani ed europei al suo comportamento. Il carattere combattivo 26 Nascene...tempi: Ne deriva anche la ro-
fine di garantire un difficile equilibrio ter di Giulio II non si sarebbe adattato al mu vina della città, per il fatto che non vengono
ritoriale e politico allo Stato della Chiesa. tare dei tempi e lo avrebbe condotto alla variati gli ordinamenti delle repubbliche in-
21 e perché...bene: e poiché le circostanze lo rovina. sieme con le situazioni.
assecondarono bene [nei suoi propositi]. 24 a quello...natura: a quello, verso cui ci 27 ma sono...non basta: ma [le repubbliche]
22 che...consiglio: che avessero richiesto spinge la nostra natura [: la nostra indole]. sono più lente, perché esse impiegano più
(ricerco) un carattere diverso (consiglio). 25 perché ella...i modi: il difficile rapporto tempo a modificarsi, e perché occorre che ar-
avessono è la forma consueta di imperfet tra l’uomo e la fortuna si gioca tutto nella rivino momenti che scuotano tutta la Repub-
to congiuntivo in italiano antico; ricerco è capacità di andare incontro ai travolgimen- blica; e per far questo (a che) non è sufficiente
forma accorciata dei participi deboli della ti delle situazioni, sapendo anche rinuncia- il cambiamento nel modo di comportarsi di
prima coniugazione (“ricerco” al posto di re agli aspetti del nostro carattere che, in un solo uomo.
ANALISI L’imitazione del mondo antico e l’immutabilità dell’uomo Alla base della riflessione avviata
da Machiavelli nei Discorsi ci sono due principi fondamentali: l’imitazione del mondo antico e l’af-
fermazione del carattere immutabile della natura umana. In questo brano la storia della Roma
repubblicana è presa come esempio con la figura del dittatore Quinto Fabio Massimo, che si rivela
l’uomo giusto al momento giusto, capace di adattare le proprie doti personali al mutevole orien-
tarsi della fortuna, ottenendo così grandi successi in determinati momenti storici. Il principio di
imitazione del mondo classico è possibile solo grazie all’immutabilità della natura umana, per cui
ogni individuo resta sempre uguale a se stesso: secondo Machiavelli «un uomo che sia consueto
a procedere in uno modo, non si muta mai».
663
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
INTERPRETAZIONE Il tema della fortuna nei Discorsi Il tema della fortuna, ampiamente presente anche nel
E COMMENTO Principe, è al centro di questo brano tratto dai Discorsi. Qui Machiavelli parla del rapporto fra
la vita di uno Stato e gli imprevisti colle-
gati al mutare dei tempi e della sorte. Per
questo si indica nella repubblica una
forma istituzionale che, essendo fondata
sulla volontà collettiva, appare meno
esposta ai colpi della fortuna, mentre i
principati, che dipendono da un solo indi-
viduo, sono più condizionati dall’indole del
signore. Machiavelli concentra l’atten-
zione sull’evoluzione degli Stati e sugli
aspetti che ne permettono la durata, sug-
gerendo l’esigenza di trovare meccanismi
di potere così facilmente modificabili da
permettere un “riscontro” dei modi di
governo con i “tempi”. Non si tratta
quindi, per la classe dirigente, di trovare
una via di mezzo fra modi “impetuosi” o
“rispettivi”, ma di saper individuare, di
volta in volta, attraverso lo studio delle
situazioni reali, i modi adatti a un con-
fronto vincente con i diversi momenti sto-
rici. Anche le repubbliche, apparente-
mente più solide, sono destinate alla
rovina: la conclusione di Machiavelli è
quindi pessimista, in quanto egli vede
trionfare alla fine solo la fortuna. La ruota della fortuna, 1372. Pavimento del Duomo di Siena.
664
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
7 La mandragola
Il capolavoro Durante il periodo di inattività politica, Machiavelli scrisse anche due commedie: Clizia e La
teatrale mandragola. La prima, ispirata al commediografo latino Plauto, parla dell’amore di un vec-
di Machiavelli
chio, Nicomaco, per una giovane schiava, Clizia: egli è costretto a subire le beffe organizzate
DIGIT dalla moglie Sofronia e dai familiari. Ma il capolavoro di Machiavelli in campo teatrale è La
TESTI mandragola, scritta intorno al 1518. Si avverte l’influenza di Boccaccio: il protagonista, il dot-
Dal «Prologo»
alla Mandragola tore in legge Nicia, ha qualcosa di Calandrino; e anche il tema della beffa erotica deriva dal
APPROFONDIMENTI Decameron. Mancano però in Machiavelli la celebrazione del piacere dei sensi e l’esaltazione
La Mandragola
di Alberto Lattuada dell’astuzia dei beffatori. Piuttosto, Machiavelli si rende conto che il mondo si divide fra fur-
bi ingannatori e ingenui ingannati. Nella Mandragola il lettore o lo spettatore non esplodono
mai in un riso liberatorio, perché comprendono che i personaggi si muovono in una realtà
degradata, che riflette la situazione di crisi italiana benché manchino espliciti riferimenti
a questa.
Una vicenda La commedia prende il titolo da un’erba medicinale, la mandragola, che avrebbe tra l’altro la
di beffa virtù di combattere la sterilità delle donne. Nicia, vecchio dottore in legge sciocco e ingenuo,
DIGIT cade nell’inganno di Callimaco, che è innamorato della moglie di lui, Lucrezia, giovane don-
TESTI
Messer Nicia, na bellissima e onesta. Callimaco si avvale dei consigli del parassita Ligurio, freddo calcolatore
Timoteo, Ligurio e e stratega della beffa. Poiché Nicia vuole avere un figlio, Ligurio lo convince a far bere alla mo-
Siro catturano
Callimaco glie una pozione di mandragola, avvertendolo però – sta qui l’astuzia – che la prima persona che
travestito da
«garzonaccio» avrà un rapporto sessuale con Lucrezia ne assorbirà il veleno e morirà entro otto giorni. Occor-
re dunque trovare qualcuno che si presti, a sua insaputa, a morire al posto del marito. Ovvia-
mente questo qualcuno sarà Callimaco stesso, che così potrà godersi Lucrezia per un’intera
notte con il consenso del marito. Più difficile è convincere Lucrezia, che viene indotta ad accet-
tare il gioco dalle insistenze della madre, Sostrata, e del confessore, Timoteo ( T11, p. 666).
Alla fine Lucrezia, dopo una notte d’amore con Callimaco, deciderà di avere con lui una relazio-
ne duratura ( T12, p. 671).
La lingua: Nella commedia, ogni personaggio è caratterizzato da un particolare linguaggio: Nicia usa pro-
un mezzo di critica verbi e modi di dire tipici del fiorentino, espressione di una saggezza spicciola basata su luoghi
e celebrazione
comuni e, in questo caso, controproducente; Timoteo impiega il linguaggio della Chiesa, ridot-
to però a pura retorica che nasconde un’ipocrisia di fondo; Callimaco quello, solenne e vuoto,
del letterato che declama i propri sentimenti; Ligurio quello implacabile del ragionamento e
dell’astuzia, che si compiace anche dell’ironia e del doppio senso; Lucrezia quello elevato della
retorica. In questo modo, la commedia sprigiona un plurilinguismo che ha fatto pensare alla
ricchezza inventiva di Dante, e che veicola per mezzo del realismo linguistico la rappresenta-
zione desolata e realistica di una società in crisi.
Timoteo linguaggio oscuro della Chiesa critica alla corruzione della Chiesa
Callimaco linguaggio solenne e vuoto del letterato critica all’inutilità della cultura fine a se stessa
665
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Il personaggio Tutti i personaggi, tranne Lucrezia, hanno qualcosa di ridicolo o di degradato: Nicia, oltre che
di Lucrezia stupido, è volgare; Timoteo, il frate, usa la religione solo per arricchirsi; Callimaco è un giovina-
stro perdigiorno e buono a nulla; Ligurio mette la sua intelligenza al servizio di interessi me-
diocri; Sostrata, madre di Lucrezia, accetta di essere complice di Timoteo e Ligurio. Quanto a
Lucrezia, c’è chi ha visto in lei qualcosa del principe machiavelliano: si dimostra infatti capa-
ce di respingere le ipocrisie e le mezze misure (o si è del tutto buoni, come cerca di essere
all’inizio, o si è del tutto e “onorevolmente” cattivi, come finisce con l’essere alla fine) e sa
adattarsi alle circostanze mutando con esse. D’altra parte, essa può essere anche vista come
un emblema della «fortuna», così come era stata definita nel Principe: in quanto donna, essa
preferisce i giovani e gli impetuosi rispetto agli anziani e ai cauti, e infatti Lucrezia preferisce
l’irruenza del giovane Callimaco all’ingenuità del vecchio Nicia.
FACCIAMO IL PUNTO
Da chi Machiavelli riprende il tema della beffa erotica?
Perché il personaggio di Lucrezia può essere considerato un emblema della «fortuna»?
T11 Lucrezia fra Sostrata e Timoteo [La mandragola, atto III, scene 9ª, 10ª e 11ª]
Il frate Timoteo è stato convinto da Ligurio a far parte della beffa ordita ai danni di Nicia. Ligurio prima
aveva chiesto a Timoteo di aiutarlo, dietro compenso di denaro, a far abortire una ragazza; avendo così
verificato la disponibilità del frate a farsi corrompere, gli aveva poi proposto il vero inganno ai danni di
Nicia. Fra’ Timoteo ha il compito di convincere Lucrezia a bere una pozione di mandragola e a giacere con
uno sconosciuto. Il frate si fa aiutare dalla madre della ragazza, Sostrata, che in gioventù è stata donna
di facili costumi. Entrambi insistono sul senso del dovere di Lucrezia per indurla a cedere.
I TEMI corruzione degli ecclesiastici
SCENA NONA
Fra’ Timoteo solo
FRATE Io non so chi si abbi giuntato l’uno l’altro.1 Questo tristo di Ligurio ne venne a me con
quella prima novella,2 per tentarmi, acciò, se io li consentivo quella, m’inducessi più facilmente
a questa; se io non gliene consentivo,3 non mi arebbe detta questa, per non palesare e disegni
loro sanza utile,4 e di quella che era falsa non si curavano. Egli è vero che io ci sono suto giunta-
5 to,5 nondimeno, questo giunto è con mio utile.6 Messer Nicia e Callimaco sono ricchi, e da cia-
scuno, per diversi rispetti, sono per trarre assai;7 la cosa convien8 stia secreta, perché l’importa
così a loro, a dirla, come a me.9 Sia come si voglia, io non me ne pento. È ben vero che io dubito
non ci avere dificultà,10 perché madonna Lucrezia è savia e buona: ma io la giugnerò in sulla
DIGIT VIDEO verificata tale disponibilità, gli prospetterà 7 per...assai: per vari aspetti, guadagnerò
Testo in scena
la verità, la possibilità cioè d’intervenire per molto.
1 Io...l’altro: Io non so chi dei due abbia in- convincere Lucrezia. 8 convien: è meglio.
gannato l’altro. 3 se...consentivo: se io non ero accondiscen- 9 perché...me: perché non hanno interesse
2 prima novella: primo racconto. Ligurio rac- dente. loro a raccontarla, come non ne ho io.
conta infatti a frate Timoteo la storia falsa di 4 sanza utile: senza vantaggio. 10 dubito...dificultà: dubito di avere pro-
una ragazza che deve liberarsi di una gravi- 5 io...giuntato: io sono stato ingannato. blemi. Come nella costruzione latina, la
danza indesiderata per sondare la disponi- 6 questo giunto...utile: quest’inganno torna negazione dubito non ha qui valore affer-
bilità del frate a farsi corrompere. Una volta a mio vantaggio. mativo.
666
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
La mandragola di
Niccolò Machiavelli,
regia e adattamento
di Ugo Chiti.
Produzione di Arca
Azzurra Teatro,
Teatro Stabile di
Torino, 2014.
bontà.11 E tutte le donne hanno alla fine poco cervello; e come ne è una sappi dire dua parole, e’
10 se ne predica,12 perché in terra di ciechi chi vi ha un occhio è signore. Ed eccola con la madre, la
quale è bene una bestia, e sarammi uno grande adiuto a condurla alle mia voglie.13
SCENA DECIMA
Sostrata, Lucrezia
SOSTRATA Io credo che tu creda, figliuola mia, che io stimi l’onore ed el bene tuo quanto
persona del mondo,14 e che io non ti consiglierei di cosa che non stessi15 bene. Io ti ho detto e
ridicoti, che se fra’ Timoteo ti dice che non ti sia carico di conscienzia,16 che tu lo faccia sanza
15 pensarvi.
LUCREZIA Io ho sempremai dubitato17 che la voglia, che messer Nicia ha d’avere fi-
gliuoli, non ci facci fare qualche errore; e per questo, sempre che lui mi ha parlato di alcuna
cosa, io ne sono stata in gelosia e sospesa,18 massime poi che m’intervenne quello che vi sape-
te, per andare a’ Servi.19 Ma di tutte le cose, che si son tentate, questa mi pare la più strana, di
20 avere a sottomettere el corpo mio a questo vituperio,20 ad esser cagione che uno uomo muoia
per vituperarmi: perché io non crederrei, se io fussi sola rimasa nel mondo e da me avessi a
risurgere l’umana natura,21 che mi fussi simile partito concesso.22
SOSTRATA Io non ti so dire tante cose, figliuola mia. Tu parlerai al frate, vedrai quello
che ti dirà, e farai quello che tu dipoi sarai consigliata da lui, da noi, da chi ti vuole bene.
25 LUCREZIA Io sudo per la passione.23
11 ma io...bontà: ma io la ingannerò proprio 15 stessi: stesse. na 2ª dell’atto III Nicia spiega che Lucrezia
approfittando della sua bontà. 16 che non...conscienzia: che non è peccato aveva fatto voto di partecipare a quaranta
12 e come...predica: e come ve ne è una [: di che pesa sulla coscienza. messe nella chiesa dei Servi, ma smise di
donne] che sappia dire due parole se ne parla 17 Io...dubitato: Io ho sempre temuto. andarci a causa di un frate che la molestava.
addirittura nelle prediche [: lo si cita come 18 sempre...sospesa: ogni volta che lui mi 20 vituperio: infamia.
fatto straordinario]. ha parlato di qualcosa in merito [all’aver figli], 21 e da me...natura: e il genere umano
13 e sarammi...voglie: e mi sarà di grande io ne sono stata sempre timorosa e sospettosa. dovesse rinascere da me.
aiuto nel farla agire come voglio io. 19 massime...Servi: soprattutto dopo che mi 22 che mi...concesso: che mi fosse concesso
14 quanto...mondo: quanto nessuna altra successe quello che voi sapete, per andare [a se- un simile espediente.
persona al mondo. guire la messa] alla chiesa dei Servi. Nella sce- 23 sudo...passione: sudo freddo.
667
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
SCENA UNDECIMA
Fra’ Timoteo, Lucrezia, Sostrata
FRATE Voi siate le ben venute. Io so quello che voi volete intendere da me, perché messer
Nicia m’ha parlato. Veramente, io sono stato in su’ libri più di dua ore a studiare questo caso;
e, dopo molte essamine,24 io truovo di molte cose che, ed in particulare ed in generale, fanno
per noi.25
30 LUCREZIA Parlate voi da vero o motteggiate?26
FRATE Ah, madonna Lucrezia! Sono, queste, cose da motteggiare? Avetemi voi a cono-
scere ora?27
LUCREZIA Padre, no; ma questa mi pare la più strana cosa che mai si udissi.28
FRATE Madonna, io ve lo credo, ma io non voglio che voi diciate più così. E’ sono molte
35 cose che discosto29 paiano terribili, insopportabili, strane, che quando tu ti appressi loro, le
riescono30 umane, sopportabili, dimestiche;31 e però si dice che sono maggiori li spaventi che
e mali:32 e questa è una di quelle.
LUCREZIA Dio el voglia!
FRATE Io voglio tornare a quello, ch’io dicevo prima. Voi avete, quanto alla conscienzia,
40 a pigliare questa generalità,33 che, dove è un bene certo ed un male incerto, non si debbe
mai lasciare quel bene per paura di quel male. Qui è un bene certo, che voi ingraviderete, ac-
quisterete una anima a messer Domenedio;34 el male incerto è che colui che iacerà, dopo la
pozione, con voi, si muoia;35 ma e’ si truova anche di quelli che non muoiono. Ma perché la
cosa è dubia, però è bene che messer Nicia non corra quel periculo. Quanto allo atto,36 che sia
45 peccato, questo è una favola, perché la volontà è quella che pecca, non el corpo; e la cagione
del peccato è dispiacere al marito,37 e voi li compiacete;38 pigliarne piacere, e voi ne avete di-
spiacere. Oltr’a di questo, el fine si ha a riguardare in tutte le cose: el fine vostro si è riempiere
una sedia in paradiso, e contentare el marito vostro. Dice la Bibia che le figliuole di Lotto,39
credendosi essere rimase sole nel mondo, usorono con el padre,40 e, perché la loro intenzione
50 fu buona, non peccorono.41
LUCREZIA Che cosa mi persuadete voi?42
SOSTRATA Làsciati persuadere, figliuola mia. Non vedi tu che una donna, che non ha
figliuoli, non ha casa? Muorsi43 el marito, resta come una bestia, abandonata da ognuno.
FRATE Io vi giuro, madonna, per questo petto sacrato,44 che tanta conscienzia vi è ot-
55 temperare in questo caso al marito vostro,45 quanto vi è mangiare carne el mercoledì, che è
un peccato che se ne va con l’acqua benedetta.46
LUCREZIA A che mi conducete voi, padre?47
FRATE Conducovi a cose, che voi sempre arete cagione di pregare Dio per me,48 e più vi
satisfarà questo altro anno che ora.49
24 e, dopo...essamine: e, dopo lunghe ricer- 35 che colui...muoia: che colui che avrà rap- a fare?
che. porti sessuali con voi, dopo aver bevuto la po- 43 Muorsi: Muore.
25 io...noi: io trovo molti elementi che, sia nei zione [di mandragola], muoia. 44 per...sacrato: su questo cuore consacrato
particolari che in generale, fanno al nostro caso. 36 Quanto allo atto: Per quanto riguarda l’a- [: sul mio onore di frate].
26 motteggiate: scherzate. zione [di adulterio]. 45 tanta...vostro: c’è tanto peccato, in questo
27 Avetemi...ora?: Mi conoscete soltanto ora? 37 e la cagione...marito: e la ragione che fa caso, a obbedire al volere del vostro marito.
28 la più...udissi: la cosa più strana che si sia dell’adulterio un peccato è il fatto che dà di- 46 peccato...benedetta: peccato veniale,
mai sentita. spiacere al marito [non l’atto di per sé]. poco grave.
29 discosto: da lontano. 38 e voi li compiacete: mentre voi appagate 47 A che...padre?: A che cosa mi inducete,
30 le riescono: risultano. i suoi desideri. padre?
31 dimestiche: normali, comuni. 39 le figliuole di Lotto: il riferimento è al 48 Conducovi...me: Vi induco a fare cose per
32 e però...mali: e perciò si dice che sono mag- racconto della Genesi (19, 30-37) dell’accop- le quali avrete ragione di ricordarmi nelle vo-
giori le paure del male che i mali. piamento delle figlie di Lot con il padre. stre preghiere a Dio.
33 avete...generalità: quanto alla coscienza, 40 usorono...padre: si unirono [sessualmen- 49 e più...ora: e avrete maggiori soddisfa-
dovete considerare questa regola generale. te] con il padre [dopo averlo inebriato]. zioni fra un anno che ora. L’allusione è alla
34 acquisterete...Domenedio: darete una 41 non peccorono: non peccarono. nascita del figlio che il frate dà per certa a
nuova anima a Dio. 42 Che cosa...voi?: Che cosa mi persuadete Lucrezia se berrà la mandragola.
668
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
60 SOSTRATA Ella farà ciò che voi volete. Io la voglio mettere stasera al letto io. [A Lucre-
zia]. Di che hai tu paura, moccicona?50 E’ ci è cinquanta donne, in questa terra, che ne alze-
rebbono le mani al cielo.51
LUCREZIA Io sono contenta:52 ma io non credo mai essere viva domattina.53
FRATE Non dubitar, figliuola mia: io pregherrò Iddio per te, io dirò l’orazione dell’An-
65 giolo Raffaello, che ti accompagni.54 Andate, in buona ora, e preparatevi a questo misterio,55
ché si fa sera.
SOSTRATA Rimanete in pace, padre.
LUCREZIA Dio m’aiuti e la Nostra Donna,56 che io non càpiti male.
N. Machiavelli, La mandragola, in Tutte le opere, cit.
50 moccicona: stupidona. pare come la guida di Tobia, perché accom- 55 misterio: La lingua nel tempo.
51 E’...cielo: Ci son cinquanta donne, in que- pagni Lucrezia. 56 la Nostra Donna: la Madonna.
sta città, che ringrazierebbero Dio per questo. LA LINGUA NEL TEMPO
cinquanta è usato qui per esprimere un
grandissimo numero. Mistero Il termine “mistero” (qui nella forma latineggiante «misterio», r. 65) deriva dal latino
52 Io sono contenta: Io acconsento. mysterium e indica originariamente la celebrazione dei riti d’iniziazione, in particolari culti se-
53 ma...domattina: Lucrezia non crede di greti (“i misteri orfici”). Nel linguaggio religioso questa parola si riferisce alle verità di fede non
sopravvivere alla vergogna per quell’azione. razionalmente conoscibili (“il mistero della fede”). Da ciò deriva l’estensione del termine che
54 io...accompagni: frate Timoteo pregherà può indicare sia un ‘fatto oscuro’, che non si può spiegare o capire con la ragione (“il mistero del-
l’arcangelo Raffaele, che nella Bibbia com- la nascita”), sia ‘un atteggiamento di voluta segretezza’ (“perché hai quell’aria di mistero?”).
ANALISI Il doppio linguaggio di Timoteo Gli argomenti religiosi con cui Timoteo convince Lucrezia
sono esposti secondo una cavillosa logica avvocatesca, che parte da una verità generale per
dedurne conseguenze particolari: non si deve rinunciare a fare un bene certo (in questo caso
donare una nuova anima a Dio e far felice Nicia) per paura di un danno incerto (la morte pro-
babile dell’uomo che per la prima volta giacerà con lei). Timoteo usa dunque una doppia
autorità: quella del linguaggio religioso e quella del linguaggio giuridico-filosofico. Inoltre egli
non esita a usare in modo improprio la terminologia religiosa, definendo «misterio» il pros-
simo congiungimento di Lucrezia con uno sconosciuto. Insomma, il linguaggio usato da
Timoteo ben si addice al suo carattere: il personaggio si identifica con uno specifico modo
di parlare.
INTERPRETAZIONE Il cinismo contro la bontà: frate Timoteo, Sostrata e Lucrezia Ligurio e Timoteo sono per-
E COMMENTO sonaggi simili e opposti: l’uno rappresenta la società civile, l’altro quella religiosa, ma sono
uniti dallo stesso cinismo e dalla stessa astuzia. Timoteo non sa chi dei due ha veramente
ingannato l’altro: infatti anche lui ricaverà il proprio utile dall’inganno organizzato da Ligurio,
669
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
dato che probabilmente avrà ricompense sia da Callimaco, sia da messer Nicia, entrambi ric-
chi. L’unica difficoltà è convincere Lucrezia; ma basterà puntare sulla sua bontà. Sostrata
spalleggia il frate: agli argomenti religiosi aggiunge quelli pratici (se Lucrezia non avesse figli,
qualora restasse sola resterebbe senza casa e senza averi) e allude maliziosamente alla for-
tuna che sta per capitare alla figlia («E’ ci è cinquanta donne, in questa terra, che ne alzereb-
bono le mani al cielo»). Inoltre sottolinea, anche se in modo grottesco, il suo ruolo di madre:
dice che sarà lei stessa, quella sera, a portare a letto la figlia, e chiama Lucrezia «moccicona».
Lucrezia oppone i dubbi del buon senso ai ragionamenti del frate e della madre. Ma finisce,
seppure con vergogna, per rassegnarsi. È comunque l’unico personaggio che sembra conser-
vare un briciolo di moralità.
670
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
T12 La conclusione della beffa: tutti contenti [La mandragola, atto V, scene 1ª, 2ª, 3ª e 4ª]
Il quinto atto si apre con il monologo di Timoteo: la religione, per lui, non solo è subordinata al denaro, ma
anche ridotta a pura esteriorità. Nella seconda scena Nicia racconta che cosa ha fatto per controllare che
l’incontro d’amore fra il giovane sconosciuto e la moglie sia andato secondo le aspettative: le parole di
Nicia rivelano il carattere ripugnante e avaro del personaggio. Poi è Callimaco a raccontare come è trascor-
sa la notte con Lucrezia. Così quanto è avvenuto nella casa di Nicia e nel letto di Lucrezia non è mai rap-
presentato direttamente ma sempre attraverso le parole dei personaggi. Attraverso Callimaco, che riporta
le parole di Lucrezia, sappiamo della decisione della donna di continuare la relazione con lui. Così tutti
sono contenti: Nicia avrà il suo figlio maschio, Callimaco la donna, Ligurio e Timoteo la loro ricompensa.
I TEMI attaccamento al denaro da parte di uomini di Chiesa
SCENA PRIMA
Fra’ Timoteo solo
FRATE Io non ho potuto questa notte chiudere occhio, tanto è el desiderio, che io ho d’in-
tendere come Callimaco e gli altri l’abbino fatta.1 Ed ho atteso a consumare el tempo in varie
cose: io dissi mattutino,2 lessi una vita de’ Santi Padri, andai in chiesa ed accesi una lampana3
che era spenta, mutai un velo ad una Nostra Donna, che fa miracoli. Quante volte ho io detto
5 a questi frati che la tenghino pulita! E si maravigliono poi se la divozione manca! Io mi ricordo
esservi cinquecento immagine,4 e non ve ne sono oggi venti: questo nasce da noi, che non le
abbiamo saputa mantenere la reputazione.5 Noi vi solavamo6 ogni sera doppo la compieta7
andare a procissione, e facevànvi cantare ogni sabato le laude.8 Botavànci noi sempre quivi,9
perché vi si vedessi delle immagine fresche; confortavamo nelle confessioni gli uomini e le
10 donne a botarvisi. Ora non si fa nulla di queste cose, e poi ci maravigliamo che le cose vadin
fredde!10 Oh, quanto poco cervello è in questi mia frati! Ma io sento un gran romore da casa
messer Nicia. Eccogli, per mia fé!11 E’ cavon fuora el prigione.12 Io sarò giunto a tempo. Ben
si sono indugiati alla sgocciolatura:13 e’ si fa appunto l’alba. Io voglio stare ad udire quel che
dicono sanza scoprirmi.
SCENA SECONDA
Messer Nicia, Callimaco, Ligurio, Siro travestiti
15 NICIA Piglialo di costà, ed io di qua, e tu, Siro, lo tieni per il pitocco,14 di drieto.
CALLIMACO Non mi fate male!
LIGURIO Non aver paura, va’ pur via.
NICIA Non andian più là.
1 come...fatta: come Callimaco e gli altri l’ab- rappresentati spesso dal ritratto della perso 10 che...fredde!: il riferimento è alla “fred
biano trascorsa. na che aveva ricevuto la grazia. dezza” e alla mancanza di sensibilità religio
2 dissi mattutino: dissi le preghiere liturgi- 5 che...reputazione: che non abbiamo fatto sa.
che del mattino. mattutino, nel linguaggio in modo da conservarle la rispettabilità. 11 Eccogli...fé: Eccoli, in fede! È una escla
liturgico, indica la prima parte dell’ufficio 6 Noi vi solavamo: Noi si soleva. mazione.
divino che anticamente era recitata o canta 7 compieta: l’ultima delle ore canoniche 12 E’...prigione: Essi tirano fuori il prigionie-
ta a mezzanotte e in seguito nelle prime ore con la quale si conclude la preghiera della ro [: Callimaco].
del mattino. giornata liturgica. 13 Ben...sgocciolatura: si tratta probabil-
3 lampana: lampada. 8 facevànvi...laude: ogni sabato vi facevamo mente di un’allusione all’atto sessuale.
4 Io...immagine: Io mi ricordo che [un tempo] cantare le litanie. 14 pitocco: abito corto maschile che i sol-
vi erano cinquecento ritratti di persone [il cui 9 Botavànci...quivi: Qui facevamo sempre dati portavano sull’armatura.
voto era stato esaudito]. Gli exvoto erano voti anche noi.
671
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
LIGURIO Voi dite bene. Lasciànl’ir qui:15 diàngli dua volte,16 che non sappi donde e’ si
20 sia venuto. Giralo, Siro!
SIRO Ecco.
NICIA Giralo un’altra volta.
SIRO Ecco fatto.
CALLIMACO El mio liuto!
25 LIGURIO Via, ribaldo,17 tira via! S’io ti sento favellare, io ti taglierò el collo!
NICIA E’ si è fuggito. Andianci a sbisacciare:18 e vuolsi che noi usciàn fuori tutti a buona
ora, acciò che non si paia che noi abbiam vegghiato questa notte.19
LIGURIO Voi dite el vero.
NICIA Andate, Ligurio e Siro, a trovar maestro Callimaco, e li dite che la cosa è proceduta
30 bene.
LIGURIO Che li possiamo noi dire?20 Noi non sappiamo nulla. Voi sapete che, arrivati in
casa, noi ce n’andamo nella volta21 a bere: voi e la suocera rimanesti alle man’ seco,22 e non vi
rivedemo mai se non ora, quando voi ci chiamasti per mandarlo fuora.
NICIA Voi dite el vero. Oh! io vi ho da dire le belle cose!23 Mogliama era nel letto al buio.
35 Sostrata m’aspettava al fuoco.24 Io giunsi su con questo garzonaccio, e, perché e’ non andassi
nulla in capperuccia,25 io lo menai in una dispensa, che io ho in sulla sala, dove era un certo
lume annacquato,26 che gittava un poco d’albore, in modo ch’e’ non mi poteva vedere in viso.
LIGURIO Saviamente.
NICIA Io lo feci spogliare: e’ nicchiava;27 io me li volsi come un cane, di modo che gli
40 parve mille anni di avere fuora e panni,28 e rimase ignudo. Egli è brutto di viso: egli aveva un
nasaccio, una bocca torta... Ma tu non vedesti mai le più belle carne: bianco, morbido, pastoso!
E dell’altre cose non ne domandare.
LIGURIO E’ non è bene ragionarne. Che bisognava vederlo tutto?
NICIA Tu vuoi el giambo!29 Poi che io avevo messo mano in pasta, io ne volli toccare el
45 fondo.30 Poi volli vedere s’egli era sano: s’egli avessi aùto le bolle,31 dove mi trovavo io? Tu ci
metti parole!32
LIGURIO Avevi ragion voi.
NICIA Come io ebbi veduto che gli era sano, io me lo tirai drieto, ed al buio lo menai in
camera, messilo al letto; ed innanzi che mi partissi, volli toccare con mano come la cosa anda-
50 va, ché io non sono uso ad essermi dato ad intendere lucciole per lanterne.33
LIGURIO Con quanta prudenzia avete voi governata questa cosa!
NICIA Tocco34 e sentito che io ebbi ogni cosa, mi usci’ di camera, e serrai l’uscio, e me
n’andai alla suocera, che era al fuoco, e tutta notte abbiamo atteso a ragionare.
LIGURIO Che ragionamenti son suti e vostri?35
55 NICIA Della sciocchezza di Lucrezia, e quanto egli era meglio che, sanza tanti andiri-
vieni, ella avessi ceduto al primo.36 Dipoi ragionamo del bambino, che me lo pare tuttavia37
15 Lasciànl’ir qui: Lasciamolo andare qui. 22 rimanesti...seco: rimaneste [a che fare] cane, in modo che gli sembrò impiegare tanto
16 diàngli dua volte: facciamolo girare due direttamente (alle man’) con loro (seco). tempo a svestirsi.
volte [su se stesso]. 23 Oh!...cose!: segue il racconto di Nicia 29 Tu...giambo!: Tu vuoi scherzare!
17 ribaldo: furfante. sulla notte passata dalla moglie con il garzo 30 Poi...fondo: Poiché mi ero gettato in
18 Andianci a sbisacciare: Andiamoci a sve- naccio (Callimaco). quell’impresa, volli andare a fondo.
stire. 24 al fuoco: vicino al focolare. 31 le bolle: le conseguenze della sifilide.
19 e vuolsi...notte: ed è necessario che noi 25 e, perché...capperuccia: e perché nulla 32 tu ci...parole!: Fai presto tu a parlare!
usciamo fuori di casa presto, affinché non si passasse inosservato, ossia perché nulla re- 33 ché...lanterne: poiché io non sono abituato
mostri che siamo stati svegli questa notte. stasse come sotto una cappa. capperuccia è che mi si dia a intendere lucciole per lanterne.
20 Che...dire?: è una trovata di Ligurio per infatti il termine con cui anticamente si in 34 Tocco: Toccato, forma verbale antica e
farsi raccontare da Nicia i particolari dell’in- dicava il cappuccio del mantello. dialettale.
contro fra Lucrezia e il garzonaccio (che, in 26 lume annacquato: lume dalla luce debole 35 Che...vostri?: Che ragionamenti sono sta-
realtà, è Callimaco). perché all’olio era stata aggiunta l’acqua. ti i vostri? [: Di che cosa avete parlato?].
21 volta: la stanza della dispensa che aveva 27 nicchiava: esitava, resisteva. 36 al primo: fin dal primo momento.
il soffitto a volta. 28 io...panni: io mi rivolsi rabbioso come un 37 tuttavia: continuamente.
672
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
avere in braccio, el naccherino!38 Tanto che io senti’ sonare le tredici ore; e, dubitando che
il dì non sopragiugnessi, me n’andai in camera. Che direte voi, che io non potevo fare levare
quel ribaldone?39
60 LIGURIO Credolo!40
NICIA E’ gli era piaciuto l’unto!41 Pure, e’ si levò, io vi chiamai, e lo abbiamo condutto
fuora.
LIGURIO La cosa è ita bene.
NICIA Che dirai tu, che me ne incresce?
65 LIGURIO Di che?
NICIA Di quel povero giovane, ch’egli abbia a morire sì presto, e che questa notte gli
abbia a costar sì cara.
LIGURIO Oh! voi avete e pochi pensieri! Lasciàtene la cura a lui.42
NICIA Tu di’ el vero. – Ma e’ mi par ben mille anni43 di trovare maestro Callimaco, e
70 rallegrarmi seco.
LIGURIO E’ sarà fra una ora fuora. Ma egli è già chiaro el giorno: noi ci andreno a spoglia-
re; voi, che farete?
NICIA Andronne anch’io in casa, a mettermi e panni buoni. Farò levare e lavare la donna,
farolla venire alla chiesa, ad entrare in santo.44 Io vorrei che voi e Callimaco fussi là, e che noi
75 parlassimo al frate, per ringraziarlo e ristorarlo45 del bene, che ci ha fatto.
LIGURIO Voi dite bene: così si farà. A Dio.
SCENA TERZA
Fra’ Timoteo solo
SCENA QUARTA
Callimaco, Ligurio
CALLIMACO Come io ti ho detto, Ligurio mio, io stetti di mala voglia infino alle nove ore;
e, benché io avessi gran piacere, e’ non mi parve buono. Ma, poi che io me le fu’ dato a cono-
85 scere, e ch’io l’ebbi dato ad intendere l’amore che io le portavo, e quanto facilmente, per la
semplicità del marito, noi potavamo viver felici sanza infamia alcuna, promettendole che
qualunque volta Dio facessi altro di lui,48 di prenderla per donna,49 ed avendo ella, oltre alle
673
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
vere ragioni, gustato che differenzia è dalla ghiacitura mia50 a quella di Nicia, e da e baci d’uno
amante giovane a quelli d’uno marito vecchio, doppo qualche sospiro, disse: – Poiché l’astuzia
90 tua, la sciocchezza del mio marito, la semplicità di mia madre e la tristizia del mio confessoro
mi hanno condutto a fare quello che mai per me medesima arei fatto, io voglio giudicare che
venga da una celeste disposizione, che abbi voluto così, e non sono sufficiente a recusare51
quello che ’l Cielo vuole che io accetti. Però, io ti prendo per signore, patrone, guida: tu mio
padre, tu mio defensore, e tu voglio che sia ogni mio bene; e quel che ’l mio marito ha voluto
95 per una sera, voglio ch’egli abbia sempre. Fara’ti52 adunque suo compare,53 e verrai questa
mattina a la chiesa, e di quivi ne verrai a desinare con esso noi;54 e l’andare e lo stare starà a te,55
e potreno ad ogni ora e sanza sospetto convenire insieme. – Io fui, udendo queste parole, per
morirmi per la dolcezza. Non potetti rispondere a la minima parte di quello che io arei desiderato.
Tanto che io mi truovo el più felice e contento uomo che fussi mai nel mondo; e, se questa felici
100 tà non mi mancassi o per morte o per tempo,56 io sarei più beato ch’e beati, più santo ch’e santi.
LIGURIO Io ho gran piacere d’ogni tuo bene, ed ètti intervenuto57 quello che io ti dissi
appunto. Ma che facciàn noi ora?
CALLIMACO Andian verso la chiesa, perché io le promissi d’essere là, dove la verrà lei,
la madre ed il dottore.
105 LIGURIO Io sento toccare l’uscio suo: le sono esse, che escono fuora, ed hanno el dottore
drieto.
CALLIMACO Avviànci in chiesa, e là aspetteremole.
N. Machiavelli, La mandragola, in Tutte le opere, cit.
50 dalla ghiacitura mia: dal mio modo di fare comicità della allusione: l’allusione al batte posta dopo la preposizione con e davanti a
l’amore. simo implicita nella parola compare fa in nome o a pronome personale, resta perlopiù
51 e non...recusare: e non sono capace di ri- tuire che Callimaco è destinato a diventare invariata e ha un valore rafforzativo.
fiutare. compare di Nicia per un bambino che deve 55 starà a te: dipenderà da te.
52 Fara’ti: Ti farai. ancora nascere e che Nicia crede suo, men 56 per tempo: a causa del trascorrere del tem-
53 compare: padrino di battesimo e, co tre è di colui che lo inganna. po.
munque, amico stretto di famiglia. Si noti la 54 con esso noi: con noi. La particella esso, 57 ètti intervenuto: ti è accaduto.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
La religione secondo Timoteo
Come nei brani già riportati dell’atto III, anche qui incontriamo i monologhi di Timoteo, nella scena prima
e nella scena terza. In questi due monologhi, la sua idea di religione si chiarifica e si completa.
Non può certo avere un sincero sentimento religioso un frate che sfrutta il proprio ruolo per far soldi. La
religione, insomma, serve a Timoteo per alzare il prezzo.
Quale idea della religione emerge dai monologhi di Timoteo?
ANALISI
Il linguaggio solenne di Lucrezia
Nella scena quarta Callimaco esprime nel linguaggio tradizionale dell’amante la sua felicità per la con-
clusione della vicenda. Il suo lungo racconto è interessante però soprattutto perché riporta le parole
di Lucrezia. Con linguaggio solenne, la donna annuncia la sua decisione: «quello che ’l mio marito ha
voluto per una sera, voglio ch’egli abbia sempre». La donna conferisce a Callimaco triplici attributi:
674
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
«signore, padrone, guida»; e poi: «mio padre... mio defensore... mio bene». Il linguaggio sostenuto vale
probabilmente a valorizzare il personaggio di Lucrezia, da alcuni riconosciuto come rappresentante della
moralità machiavelliana.
Individua nel testo le frasi che meglio rappresentano la solennità e la complessità del linguaggio di
Lucrezia.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
L’oscenità di Nicia
L’incontro di Lucrezia e Callimaco è raccontato due volte, prima da Nicia, poi da Callimaco.
Il racconto di Nicia mostra tutta la sua sconcia pretesa di furbizia. Egli non è semplicemente lo sciocco
beffato, ma ha qualcosa di ripugnante. Inoltre è avaro e attaccato al denaro: Nicia vuole anche control-
lare di aver speso bene i suoi soldi e le sue energie!
Quali sono le azioni che rivelano l’oscenità di Nicia?
8 Le opere minori
Il Discorso intorno Benché consideri l’attività politica comunque superiore a ogni altra, Machiavelli si interessa di let-
alla nostra lingua teratura lungo tutto l’arco della propria vita, mostrando un’ottima conoscenza dei classici latini e
italiani e uno spiccato talento creativo. Interviene con autorevolezza anche sulla questione del-
la lingua, sostenendo una posizione diversa da quella di Bembo (che nelle Prose della volgar lingua
rivendicava l’esemplarità dei classici trecenteschi) e da Trissino e Castiglione (i quali puntavano
sulla lingua in uso nelle corti): nel Discorso intorno alla nostra lingua, Machiavelli sostiene la ne-
cessità di rifarsi al fiorentino contemporaneo, accogliendone tutti i registri e le sfumature.
La produzione Questa scelta linguistica è d’altra parte dettata dalla radice civile dell’impegno letterario di Ma-
poetica chiavelli, che colloca la sua produzione all’interno di un dibattito che coinvolge soprattutto i
ceti dirigenti e le persone colte della Firenze sua contemporanea. È in questa prospettiva che
scrive, come già Lorenzo, canti carnascialeschi e le terzine del Decennale primo (un bilancio
storico e filosofico in versi sul decennio 1494-1504) e quelle dell’incompiuto Decennale secon-
do (sul decennio seguente). Anche la poesia è dunque un modo di intervenire nella vita civi-
le e politica della propria città.
Belfagor La scelta di un punto di vista “straniato” da cui guardare la vita umana e i suoi limiti caratteriz-
arcidiavolo za la novella nota con il titolo Belfagor arcidiavolo, scritta probabilmente nel 1518. Rifacendosi
al modello di Boccaccio e alla tradizione misogina, il racconto narra dell’esperienza del diavolo
Belfagor, che vuole provare se davvero la vita matrimoniale sia, come sostengono gli uomini,
peggio dell’Inferno. Colpito dalle beffe di un villano che lo ospita, Gianmatteo del Brica, e so-
prattutto dall’insopportabilità della donna che ha sposato, Belfagor sceglie infine di ritornare
nell’Inferno, che giudica preferibile.
FACCIAMO IL PUNTO
Qual è il punto di vista di Machiavelli sulla questione della lingua?
In che modo Machiavelli considera la poesia?
675
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
9 L’attualità di Machiavelli
Machiavelli A dispetto di quella che è stata la banalizzazione del suo pensiero, Machiavelli non elogia il ma-
maestro le, ma lo chiama per nome, senza ipocrisie e senza abbellimenti. Anche per questo il suo pen-
del sospetto
siero è attuale e moderno. Oggi forse anche più che in passato ne possiamo apprezzare il carat-
tere anticonformistico e demistificatorio, la capacità di smascherare l’inganno delle ideologie
cercando i veri moventi della storia. Machiavelli si affianca idealmente, per questo, ai moderni
maestri del sospetto (Marx, Nietzsche e Freud) che ci insegnano ancora adesso a diffidare del
le verità precostituite, delle motivazioni ufficiali fornite da uomini politici o da organizzazio
ni religiose, per guardare in faccia la realtà.
La forma Nel far questo, Machiavelli rinnova profondamente la forma del trattato inaugurando il gene-
del saggio re moderno del saggio, in cui l’autore sostiene e dimostra una sua verità individuale, assu
mendosene consapevolmente la responsabilità. Nel Principe la forza della scrittura regge e le
gittima da sola l’assunto dell’opera: il realismo spietato dell’analisi e la serrata logica argomen
tativa del discorso convivono con una scrittura piena di immagini e appassionata, e con una
prospettiva decisamente utopica. E anche questa straordinaria e contraddittoria fusione di
realismo e utopia è una caratteristica ricorrente della scrittura saggistica. Insomma oggi si
tende a vedere in Machiavelli non solo o non tanto uno “scienziato” della politica, quanto,
piuttosto, il primo saggista – con la carica di passione “soggettiva” e di parzialità che questa
parola comporta – e il primo pensatore della modernità.
676
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
LA VITA
Niccolò Machiavelli nasce nel 1469 a Firenze da una famiglia borghese. Ha nasce a Firenze
1469
una formazione umanistica, fondata sui classici latini, ed è attivamente
impegnato in politica. Ricopre importanti incarichi nell’amministrazione incarichi nella
della Repubblica fiorentina, partecipando a missioni diplomatiche nelle Repubblica fiorentina
corti italiane e all’estero. Ma, quando nel 1512 la Repubblica cade e i Medici 1512 ritiro nell’Albergaccio
tornano a Firenze, Machiavelli viene licenziato da tutti i suoi incarichi. Si ri-
tira perciò nel podere dell’Albergaccio, vicino a San Casciano, e qui scrive ritorno alla vita
le sue opere maggiori. Nel 1525, la dedica delle Istorie fiorentine a papa Cle- 1525 politica attiva
mente VII, appartenente alla famiglia dei Medici, facilita la riammissione di ritiro dall’attività
Machiavelli nella politica attiva. La cacciata dei Medici dalla città, in segui- 1527 politica
to al sacco di Roma (1527), causa un nuovo allontanamento di Machiavel-
li dall’attività politica. Lo scrittore muore il 21 giugno 1527. 1527 muore il 21 giugno
LE LETTERE
Le lettere di Machiavelli, giunte a noi solo in minima parte, hanno una lettere
grande importanza per conoscere alcuni aspetti della vita dello scrit-
tore. Scritte in volgare, esse non vogliono offrire un ritratto esemplare scritte offrono un ritratto
dell’autore, ma comunicano situazioni e sentimenti in modo realistico in volgare realistico e diretto
e diretto. dell’autore
IL PRINCIPE E I SUOI ASPETTI RIVOLUZIONARI
Il Principe (1513) rinnova profondamente il genere del trattato, presentan- Il Principe (1513)
dosi come un moderno saggio in cui l’autore sostiene la propria tesi. Il ca-
rattere rivoluzionario dell’opera si coglie in due elementi essenziali: 1. Ma-
chiavelli guarda alla «verità effettuale», cioè pratica e concreta, della lotta saggio moderno manifesto politico
politica, rifiutando ogni interpretazione idealizzata della realtà e dell’uomo; con programma
2. le azioni del principe non sono giudicate in base a una morale astratta, guarda di interventi per
ma valorizzandone il successo politico. alla il futuro dell’Italia
Il Principe può essere considerato una sorta di manifesto politico che con- «verità
tiene un programma di interventi per il futuro dell’Italia: la gravità della cri- effettuale» esortazione a Lorenzo
si della Penisola rende infatti necessario l’intervento di un principe, capa- di Piero de’ Medici
ce di creare dal nulla uno Stato nuovo. Con slancio utopico, il trattato si
conclude perciò con l’esortazione a Lorenzo di Piero de’ Medici affinché li- giudica le azioni del principe
beri il paese dagli stranieri. sulla base del suo successo
677
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
VERIFICHE
1 La vita
Machiavelli dedicò la prima parte della sua vita all’attività politica e la seconda alla produzione letteraria. Ripercor-
riamo le tappe principali della sua biografia: completa tu gli spazi bianchi, scegliendo tra le alternative che ti propo-
niamo di seguito.
Cesare Borgia, Luigi XII e Massimiliano d’Asburgo; della caduta della Repubblica; 1513; 1469; 1518; 1536; 1527;
1589; di un processo per corruzione; Cesare Borgia, Clemente VII e Ferdinando d’Aragona; 1413; 1512; 1566
Machiavelli nasce a Firenze nel . Riveste incarichi importanti nell’amministrazione politica
della Repubblica fiorentina: partecipa a missioni diplomatiche che gli consentono di conoscere personalità come
.
Nel viene però licenziato da tutti i suoi incarichi a causa .
Da questo momento si dedica alla stesura delle sue opere maggiori: nel scrive Il Principe
e inizia i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, nel compone la commedia La mandrago-
la. Nel 1525 i Medici tornano ad affidargli qualche incarico, ma, quando nel viene restau-
rata la Repubblica, Machiavelli è di nuovo esonerato dall’attività politica. Muore nello stesso anno.
678
CAPITOLO 4 Niccolò Machiavelli AUTORE
2 Un’opera scandalosa
Il Principe è un’opera che ha fatto molto discutere. Machiavelli vi introduce, in effetti, concetti rivoluzionari e forse
sconcertanti per la sua epoca: scegli una affermazione dell’autore che, secondo te, può destare particolare scandalo.
3 “Chiavi” di lettura
Il pensiero di Machiavelli può essere ricostruito attraverso una serie di espressioni-chiave. Ne riportiamo di seguito
alcune, chiariscine il significato:
principato civile – armi proprie – verità effettuale – virtù – fortuna
4 Un ritratto reale
Machiavelli indica le qualità e i comportamenti che il principe deve avere per governare: non delinea un ritratto ideale,
ma reale. Le azioni del principe non sono giudicate sulla base della morale comune, ma guardando al successo politico.
Ricava da ciascun testo il suggerimento principale che l’autore dà all’aspirante principe: risulterà l’identikit comple-
to del “perfetto” sovrano.
T3, p. 622 – T4, p. 626 – T5, p. 631 – T6, p. 638
679
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
VERIFICHE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B
ANALISI E PRODUZIONE DI UN TESTO ARGOMENTATIVO
IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Perché, a parere dell’intervistato, la politica non deve avere come compito quello di realizzare l’etica?
2. Quali obiettivi, invece, sono propri dello Stato e la politica deve contribuire a realizzarli?
3. Tra politica come potere e politica come servizio, a quale sintesi giunge l’intervistato? Come motiva questa
convinzione?
PRODUZIONE
Cosa significa, a tuo parere, “realizzare la giustizia”? Questo è prioritariamente un compito dello Stato: ma il
singolo cittadino può contribuire al raggiungimento di questo obiettivo? Come?
Fai riferimento alle tue conoscenze, ai personaggi storici o letterari che hai incontrato nel corso dei tuoi stu-
di e articola un testo argomentando adeguatamente le tue posizioni.
680
Giorgio Vasari, Arnolfo di Cambio mostra ai Priori il progetto di ampliamento di Firenze (part.), 1563-1565. Firenze, Palazzo Vecchio, Salone dei Cinquecento.
AUTORE
CAPITOLO 5
Francesco Guicciardini PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
1 La vita
Tra politica Francesco Guicciardini nasce quattordici anni dopo Machiavelli, nel 1483, anche lui a Firen-
e scrittura ze. Si forma sui grandi storici dell’antichità e, in seguito, intraprende gli studi giuridici a Fer-
rara, Firenze, Padova e Pisa. Esercita quindi la carriera di avvocato e, dal 1508 al 1516, anche
grazie al matrimonio con Maria Salviati, riveste importanti incarichi pubblici a Firenze (nel
1511 viene inoltre nominato ambasciatore presso Ferdinando il Cattolico, re di Spagna). Nel
1512 i Medici ritornano a Firenze e riprendono il controllo della città e l’anno successivo Guic-
ciardini torna a Firenze dalla Spagna. Dal 1516 al 1527 lavora come avvocato per la Curia pon-
tificia, al servizio dei papi della famiglia Medici: prima Leone X (figlio di Lorenzo il Magnifi-
co), poi Clemente VII. Qui, nel 1526, collabora con il papa per la realizzazione della Lega di Co-
gnac, ovvero l’alleanza stipulata nel 1526 presso l’omonima cittadina francese tra papa Cle-
mente VII, Enrico VIII d’Inghilterra, la repubblica di Venezia, Firenze e il re Francesco I di Fran-
cia contro l’imperatore Carlo V di Spagna.
Il ritiro provvisorio Quando Carlo V ha la meglio sulla Lega, a Firenze viene restaurata la Repubblica e Roma è sac-
dalla vita politica cheggiata dalle truppe spagnole-imperiali (1527). Guicciardini è costretto a lasciare la vita
politica per aver servito i Medici. Ritiratosi a Roma, scrive le Considerazioni intorno ai Discorsi
del Machiavelli sulla prima Deca di Tito Livio e completa la redazione definitiva dei Ricordi
(1530).
FACCIAMO IL PUNTO
Quale importante incarico Guicciardini svolge in Spagna?
Quali circostanze lo spingono a ritirarsi definitivamente dalla politica?
682
CAPITOLO 5 Francesco Guicciardini AUTORE
2 Le idee
La nascita A Firenze la crisi italiana del secolo XVI è avvertita più che altrove. Il ricordo dello splendore
della saggistica della corte di Lorenzo il Magnifico contrasta infatti con il succedersi delle crisi politiche dopo
moderna
la sua morte. Nel 1512 cade la Repubblica e viene restaurato il potere dei Medici; nel 1527 vie-
ne ripristinata la Repubblica, che dura però solo tre anni. Questa situazione così confusa, se-
gnata da continui capovolgimenti politici del governo di Firenze, costituisce il punto di vista
privilegiato di due grandi fiorentini, Machiavelli e Guicciardini, entrambi nati sotto Lorenzo il
Magnifico, ma vissuti nel clima di «turbazioni» (per usare una parola cara a Guicciardini) che
seguì la sua morte (1492). La loro riflessione storica e politica nasce direttamente da questo cli-
ma: è questo un periodo in cui crolla ogni certezza, nel quale la riflessione non può più ap-
poggiarsi su verità precostituite e diventa sempre più interpretazione individuale. La trattati-
stica e la storiografia tradizionali si modificano così radicalmente, gettando le basi della saggi-
stica moderna. Già Machiavelli aveva imboccato questa strada; Guicciardini fa una scelta ancora
più radicale: il trattato sistematico e compiuto si polverizza nei Ricordi, una serie di pen-
sieri staccati tra loro e spesso contradditori. Questa trasformazione del genere verrà porta-
ta in Francia da Montaigne ( Informazioni, I Saggi di Michel de Montaigne, p. 685).
Un nuovo senso Con l’Umanesimo nasce la moderna coscienza storica e si comincia a guardare al passato in una
della storia prospettiva diversa: il tempo perde quel senso di continuità indistinta che aveva avuto nel Me-
dioevo e ogni epoca è ora vista nei suoi tratti caratteristici. È soprattutto il rapporto con l’anti-
chità classica a cambiare. Di essa si avverte la profonda diversità rispetto al presente ma si ap-
prezza anche il valore esemplare: il passato è dunque colto nella sua alterità e se ne attualiz-
zano quegli aspetti che appaiono più utili a comprendere il presente.
La nuova dimensione assunta dal tempo dà luogo, tra la fine del Quattrocento e i primi del
Cinquecento, a una grande fioritura di scritture storiche. Secondo le consuetudini dell’U-
manesimo, esse si rivolgono molto spesso a un pubblico nuovo, ai principi, o comunque ai ceti
dirigenti degli Stati signorili con intento celebrativo e privilegiando gli aspetti politici.
Machiavelli e Guicciardini segnano una svolta anche rispetto ai modelli umanistici, che
riprendono solo in parte.
Elementi in Sia per Guicciardini che per Machiavelli il corso degli eventi non è più determinato dalla Prov-
comune tra videnza. Entrambi hanno cioè una visione interamente laica della storia e si limitano ad inda-
Guicciardini e
Machiavelli gare i rapporti di causa-effetto tra i fatti, senza presupporre l’attività di un’intelligenza superiore
che imprima agli eventi una direzione chiara e riconoscibile. Inoltre, nessuno dei due crede più
nel principio umanistico, secondo il quale la storia è una guida morale per l’uomo. Oltre a questi
elementi comuni, occorre tuttavia considerare anche le molte differenze tra i due autori.
Guicciardini Se Machiavelli vede negli esempi del passato una guida per le scelte politiche più opportune,
e Machiavelli: Guicciardini è più scettico e non crede che la storia possa fornire regole generali ed esem-
le differenze
pi validi per il presente. Per Guicciardini, nella lotta contro la fortuna e il caso, l’uomo è sem-
pre destinato a perdere, mentre in Machiavelli prevale l’ottica di chi trae dalla storia lezioni uti-
li a modificare il presente: la storia è maestra di vita e in questo senso è tenuta costantemente
presente nel Principe.
Il relativismo In Guicciardini, soprattutto quando la crisi dell’Italia ha toccato il fondo con il sacco di Roma,
di Guicciardini scompare del tutto ogni idea della storia come lotta eroica contro il caos. La sua visione storica
è caratterizzata dal senso del continuo mutamento, della diversità e della complessità de-
gli eventi, ormai dominati dal potere della fortuna. L’uomo non può prevedere e fronteggia-
re «la grandissima potestà» della sorte. Perciò nessuna regola generale è ricavabile dalla storia o
683
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
CONFRONTI
PUNTI DI CONTATTO TRA MACHIAVELLI E GUICCIARDINI
analisi spregiudicata della concreta realtà dei fatti
visione laica della storia e della realtà
coscienza della crisi politica e della decadenza d’Italia
Firenze come punto di osservazione privilegiato
la riflessione teorica nasce dalla pratica politica e dall’esperienza diplomatica
uso del volgare
stabilisce delle regole generali che si basano anche relativismo ed empirismo: la realtà va giudicata caso
sulla lezione della storia per caso attraverso l’osservazione e l’esperienza; la
e sull’esempio degli antichi lezione degli antichi non è valida per i moderni
l’uomo di potere (il principe) può essere brutale, ma il l’uomo di potere deve governare ciò
suo scopo è migliorare il mondo che esiste
Il Principe è un trattato che vuole incidere sulla realtà, i Ricordi hanno una struttura aperta e frammentaria e sono
indirizzato a un capo di Stato scritti dall’autore per sé e per una ristretta cerchia di amici
Ritratti di Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini attribuiti ad Antonio Maria Crespi. Milano, Pinacoteca Ambrosiana.
684
CAPITOLO 5 Francesco Guicciardini AUTORE
dal comportamento umano. Per Guicciardini ogni caso è nuovo e irripetibile ed è inutile rifarsi
agli esempi degli antichi: la storia ci dice appunto che tra il passato e il presente c’è una distan-
za incolmabile. Diffidente nei confronti delle regole generali, Guicciardini si basa solo sull’osser-
vazione e sull’esperienza (di qui, per esempio, l’importanza dell’analisi psicologica dei grandi
personaggi nella sua storiografia: memorabili sono i ritratti di Leone X e Clemente VII).
Tutto questo non significa, per Guicciardini, rinunciare a una spiegazione razionale degli
eventi: esistono leggi che governano la storia, ma queste sono troppo complesse per potere
essere dominate dalla mente umana. L’uomo non può dominare il mondo esterno, e tutta-
via egli resta sovrano del mondo dell’intelletto. La ragione non spinge più all’azione, come
in Machiavelli, ma solo alla conoscenza, ed è nel campo della conoscenza che l’uomo può
trovare riscatto dal senso di impotenza che caratterizza il suo rapporto con la realtà.
FACCIAMO IL PUNTO
In che modo nell’Umanesimo cambia il rapporto con l’antichità classica?
Secondo Guicciardini, qual è il rapporto tra l’uomo e la fortuna?
ZIONI
INFORMA
I Saggi di Michel de Montaigne
Nel Rinascimento si assiste alla trasfor- gne formula le sue riflessioni a partire suoi Saggi si apre ad un ideale di com-
mazione del trattato e della storiografia dal “particolare” e ha una visione del prensione e di tolleranza verso le cul-
che si aprono alle forme della saggisti- mondo basata sul relativismo, che nei ture diverse dalla propria.
ca moderna, in cui l’autore sostiene e
dimostra una sua verità individuale,
assumendone consapevolmente la re-
sponsabilità. La nascita del saggio mo-
derno si deve all’opera di Machiavelli e
di Guicciardini in Italia, e poi di Montai-
gne in Francia.
Michel de Montaigne (1553-1592) è un
pensatore e politico francese, fautore
di un pensiero relativista, critico e pro-
blematico, contrario ad ogni dogmati-
smo. Per Montaigne non esistono va-
lori assoluti: i nostri giudizi morali di-
pendono dalle abitudini e dalle
tradizioni, che però cambiano da epoca
a epoca e da paese a paese.
La sua opera principale sono i Saggi,
pubblicati in prima edizione nel 1580
e, dopo alcune rielaborazioni, nella
stampa definita e postuma del 1595.
Si tratta di prose di vario argomento,
disposte in modo non sistematico, che
partono spesso da casi concreti ed
esperienze personali. Nulla è mai dato
per scontato nel pensiero di Montaigne, Ritratto di Michel de
Montaigne di
che ha come unico valore irrinunciabi- anonimo, dipinto tra
le il dubbio. Come Guicciardini, Montai- il 1800 e il 1820.
685
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
3 I Ricordi
Il titolo: Il titolo Ricordi è ricavabile da vari passi in cui Guicciardini chiama in questo modo le sue massime
un’opera “privata” o aforismi , ma non è indicato esplicitamente dall’autore. Il termine “ricordi” non ha il valore pri-
vato e personale che tendiamo a dargli oggi, ma significa ‘avvertimenti, ammonimenti che è op-
portuno ricordare’ e prende origine da forme di scrittura privata destinate a un ambito familiare.
Guicciardini non pensava di pubblicare quest’opera, che infatti uscì, postuma, solo nel
1576: si tratta di appunti e di pensieri scritti per se stesso, senza l’intenzione di scrivere un
libro, un’opera organica ( T1). Nel corso della sua vita, Guicciardini ne stese tre redazioni;
quella definitiva, del 1530, rielabora anche le precedenti e contiene in tutto 221 aforismi.
Una struttura La struttura dell’opera è aperta e frammentaria. Il principio organizzatore è quello dell’afo-
aforistica risma isolato, del singolo pensiero slegato dagli altri, se non per piccoli raggruppamenti tema-
tici. Questo impianto disorganico e discontinuo si accorda perfettamente con la concezione
DIGIT
TESTI
della storia di Guicciardini e mostra chiari legami con il pensiero empirico e relativistico
Ricordi 1 dell’autore, secondo il quale la conoscenza si basa sull’esperienza (empirismo) e la realtà può
essere vista e valutata da punti di vista diversi (relativismo).
Il metodo: La struttura aforistica dei Ricordi rispecchia il modo originale in cui Guicciardini vive la crisi dei
la «discrezione» sistemi di pensiero tradizionali. In quest’opera avviene la frantumazione di ogni sistema chiu-
e il «particulare»
so attraverso l’esposizione di una serie di massime, talvolta anche contraddittorie tra loro. In
questo modo, Guicciardini cerca di adeguarsi alla complessità e alla varietà delle cose, ritenen-
do che solo la ragione e l’esperienza possano guidare l’analisi dei diversi casi “particola-
ri”. Nei Ricordi ricorrono infatti frequentemente due parole-chiave: «discrezione» e «particu-
DIGIT
TESTI lare». «Discrezione» deriva da “discernere”: implica la capacità di distinguere caso per caso,
Ricordi 104, 110, di valutare le diverse circostanze, rifiutando i principi generali e universali. Il ragionamen-
117, 118, 125, 134
to, sostiene Guicciardini, non può partire da considerazioni astratte, ma deve valutare situa-
zioni specifiche. È dunque importante considerare i vari «particulari», vale a dire le mille ecce-
zioni e circostanze in cui si articola la realtà in concreto. Tutto questo, aggiunge, non lo si im-
para solo dai libri, ma anche e soprattutto attraverso l’esperienza personale ( T2, p. 691).
L’intellettuale Da questa visione del mondo deriva, in campo pratico-morale, l’impossibilità di superare la sfe-
chiuso nella sua ra individuale. Guicciardini non si abbandona come Machiavelli allo slancio ideale e irrealizza-
sfera individuale
bile; non scrive un manifesto per l’azione e non pretende di poter cambiare i destini di Fi-
renze o dell’Italia, ma prende atto di una situazione di impotenza, che non prevede più ri-
scatti possibili. L’intellettuale ormai è un soggetto isolato. Gli resta solo l’orgoglio dell’analisi
razionale e della conoscenza, di cui però intravede tutti i limiti.
L’OPERA
Aforisma Breve RICORDI
testo o frase che ripiegamento nella sfera individuale
pronuncia una sor-
ta di sentenza, cioè struttura aperta frantumazione del trattato tradizionale
una verità assoluta raccolta
che di solito non di aforismi
coincide con l’opi-
«discrezione»
nione comune.
empirismo e relativismo
«particolare»
FACCIAMO IL PUNTO
Qual è la struttura dei Ricordi?
Cosa intende Guicciardini quando parla di «discrezione»?
686
CAPITOLO 5 Francesco Guicciardini AUTORE
T1 Francesco Guicciardini
Ricordi, 15, 17, 28, 30, 32, 35, 41, 44, 46, 57, 66
I pensieri riportati presentano diversi temi che rivelano l’assenza di un disegno unitario dell’opera: la ri-
flessione spazia dall’ambizione umana alla corruzione della Chiesa.
valorizzazione dell’ambizione umana dominio della fortuna
I TEMI egoismo e tendenza al male degli uomini corruzione della Chiesa
687
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
32. L’ambizione
La ambizione non è dannabile,1 né da vituperare quello ambizioso che ha appetito d’avere
gloria co’ mezzi onesti e onorevoli: anzi sono questi tali2 che operano cose grande e eccelse,
e chi manca di questo desiderio è spirito freddo e inclinato più allo ozio che alle faccende.
Quella è ambizione perniziosa e detestabile3 che ha per unico fine la grandezza, come hanno
communemente e4 prìncipi, e quali, quando se la propongono per idolo, per conseguire ciò
che gli5 conduce a quella, fanno uno piano6 della conscienza, dell’onore, della umanità e di
ogni altra cosa.
30 3 Quella...detestabile: Quella è invece peri- 2 chi è preposto a altri: chi comanda sugli
1 la fortuna: il caso. colosa e degna di condanna quell’ambizione. altri.
2 potestà: potere. 4 e: i. 3 arebbe a usare: dovrebbe adoperare.
3 a ognora...fortuiti: di continuo [le cose 5 gli: li. 4 fondarsi: fare affidamento.
umane] ricevono grandissimi cambiamenti 6 fanno uno piano: annullano, come appia- 5 condire: stemperare.
da fatti casuali. nando; cioè “fanno tabula rasa”. 6 l’una con l’altra: cioè la dolcezza e la seve-
4 a schifargli: evitarli. rità nella gestione del potere.
5 lo accorgimento e sollicitudine: la pron- 35 7 concento: suono d’insieme; cioè accordo.
tezza nelle precauzioni; è un’endiadi, che 1 teorica: teoria. 8 ma sono grazie...destina: ma sono fortu-
favorisce il verbo seguente al singolare anzi- 2 non si ricordono: non si ricordano [al mo- ne che il cielo destina a pochi con generosità
ché al plurale (sola non basta per “sole non mento giusto]. (largo). C’è un ricordo di Petrarca («Grazie
bastano”). 3 questa intelligenza: questa capacità di ch’a pochi il Ciel largo destina»: Canzoniere
6 gli bisogna ancora: gli è necessaria anche. comprensione; cioè di intendere bene le CCXIII, 1).
cose, come si legge subito sopra.
32 44
1 dannabile: da condannarsi. 41 1 perché: dato che.
2 questi tali: ambiziosi di tal fatta. 1 fussino: fossero. 2 non sarete: sottinteso: buoni veramente.
688
CAPITOLO 5 Francesco Guicciardini AUTORE
46. La giustizia
Non mi piacque mai ne’ miei governi1 la crudeltà e le pene eccessive, e anche non sono ne-
cessarie, perché da certi casi essemplari in fuora, basta, a mantenere el terrore,2 el punire e3
delitti a 15 soldi per lira:4 pure che si pigli regola di punirgli tutti.
689
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
ANALISI L’aforisma e lo stile frammentato L’aforisma è un breve testo che concentra in poche righe
una verità esistenziale, morale, storica o filosofica. È caratterizzato da uno stile secco ed
essenziale, che mira ad affermare con decisione qualcosa. Ecco spiegata la presenza degli
imperativi e degli esortativi («Non crediate» all’inizio dei pensieri 17 e 66; «Fate ogni cosa per
parere buoni» nel pensiero 44), le esclamative (nei pensieri 35 e 57: «Quanto è diversa la pra-
tica dalla teorica!» e «Quanto sono più felici gli astrologi che gli altri uomini!»). Non manca poi
l’ironia, evidente nel pensiero 57, in cui Guicciardini critica gli astrologi.
La scelta dello stile aforistico, così vario e frammentato, riflette l’idea che l’autore ha del
mondo: un sovrapporsi e inseguirsi di fatti che spesso sono legati tra loro da una spiegazione
difficilmente individuabile. La ragione deve quindi essere flessibile e capace di ricostruire ogni
volta i singoli eventi “particolari”.
INTERPRETAZIONE Il giudizio positivo sull’ambizione I pensieri 15, 17, 32 trattano un unico tema: l’ambizione,
E COMMENTO il desiderio dell’«onore» e dell’«utile», è una molla positiva dell’azione umana, se perseguita
con mezzi «onesti e onorevoli». La tendenza a realizzare l’interesse «particulare» non è da con-
dannarsi. Guicciardini registra una situazione di crisi: domina la fortuna (30), pratica e teoria
non coincidono (35), gli uomini sono disposti al male (41) ed è impossibile prevedere il futuro
(57). In questo difficile contesto non resta che un sano individualismo, da perseguirsi con
decoro, non limitandosi a fingere di essere buoni (44).
Il peso della fortuna è più forte in Guicciardini che in Machiavelli, il quale immaginava che esi-
stessero uomini dal carattere impetuoso capaci di dominarla. Comuni a Machiavelli sono
invece il realismo e la spregiudicatezza dell’analisi, la tendenza a cercare sotto le motivazioni
ideali la vera molla del comportamento umano: l’individuo guarda ai propri «interessi particu-
lari» più che alla libertà (66).
La riforma morale Il giudizio sulla Chiesa è affidato al famoso pensiero 28. Guicciardini
denuncia la corruzione del clero, incline all’«ambizione, la avarizia e la mollizie». Tuttavia l’au-
tore dichiara di aver comunque amato la «grandezza» della Chiesa (si riferisce ai papi Medici,
di cui fu al servizio) per amore del suo «particulare». Analogamente a Machiavelli, Guicciardini
mostra di adattarsi alle specifiche condizioni e alle possibilità che gli si presentano davanti.
Sul piano morale desidera comunque una riforma della Chiesa: guarda quindi con simpatia a
Lutero, di cui condivide le ragioni, non sul piano della dottrina, ma su quello della lotta contro
la corruzione delle gerarchie ecclesiastiche.
COMPRENSIONE ANALISI
1. Rifiutando ogni dichiarazione ideale, Guicciardini 3. Lingua e lessico Indica per ciascuno dei se-
riconosce la vera molla dell’agire umano. Qual è? (cfr. guenti termini tratti dal testo il suo sinonimo e il suo
pensieri 15, 17, 66). antonimo.
a. la libertà termine sinonimo antonimo
b. un lavoro soddisfacente
a. «avarizia»
c. il successo e i vantaggi materiali ......................................... .........................................
690
CAPITOLO 5 Francesco Guicciardini AUTORE
4. Completa la tabella seguente, indicando per ogni 5. Lingua e lessico «particulare» è una parola-chia-
complemento la tipologia cui appartiene. ve che ricorre frequentemente nei Ricordi: con quale
significato? Quale significato ha invece nell’italiano
Ricordo complemento tipologia contemporaneo? Prova a fare alcuni esempi di frasi
15 «delle […] cupidità» ......................................... nelle quali ricorre questa parola.
17 «per amore» .........................................
T2 Francesco Guicciardini
Ricordi, 140, 141
Presentiamo due ricordi di argomento politico, nei quali Guicciardini polemizza sulla presenza del popolo
al potere e sulla lontananza che divide i governanti dalle esigenze dei cittadini.
I TEMI condanna del popolo distanza tra i governanti e le esigenze dei cittadini
140. Il popolo
Chi disse1 uno popolo disse veramente uno animale pazzo, pieno di mille errori, di mille con-
fusione, sanza gusto,2 sanza deletto,3 sanza stabilità.
691
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
non di quelle che giornalmente si fanno in una medesima città; e spesso tra ’l palazzo e la piaz-
za2 è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso che, non vi penetrando l’occhio degli uomini,
tanto sa el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose
che fanno in India. E però3 si empie facilmente el mondo di opinione erronee e vane.4
F. Guicciardini, Ricordi, cit.
2 tra ’l palazzo e la piazza: sono, ri, separati da una distanza incolma- 3 però: perciò.
con metonimia, i luoghi emblema- bile della quale si originano infiniti 4 erronee e vane: sbagliate e incon-
tici del potere e delle masse popola- errori di giudizio. cludenti.
ANALISI Il palazzo e la piazza Lo stile essenziale e asciutto di Guicciardini non esclude però l’uso
di alcune figure retoriche. Qui, per esempio, troviamo una metonimia nel pensiero 141: «tra
’l palazzo e la piazza». La metonimia è un procedimento espressivo che consiste in uno spo-
stamento logico-concettuale all’interno dello stesso campo semantico. Guicciardini sceglie
di nominare lo spazio al posto di coloro che lo abitano: il «palazzo» è il luogo nel quale agi-
scono i governanti, quindi la sede del potere, mentre la «piazza» è il posto dove si raduna il
popolo.
INTERPRETAZIONE Il popolo «pazzo» distante dal «palazzo» Il pensiero 140 contiene un duro giudizio sul
E COMMENTO popolo: la sua prevalenza nel governo porterebbe instabilità e anarchia. La posizione di Guic-
ciardini è, in politica, moderata e conservatrice, favorevole a un regime equilibrato (il “governo
misto”), ma con una forte presenza di “savi”, cioè di una ristretta aristocrazia.
Il ricordo 141 considera la «nebbia» o il «muro» che separa i governanti dalla popolazione. Qui
Guicciardini pone l’accento su un problema attuale: la distanza che divide ormai, a partire dal
Quattrocento, le classi sociali e la riduzione della politica ad arte per pochi, inaccessibile alla
massa. Nel pensiero non troviamo però alcuna soluzione contro questa tendenza.
692
CAPITOLO 5 Francesco Guicciardini AUTORE
TEMI DI CITTADINANZA
Stefano Rodotà
La e-democracy: se la rete diventa un luogo di democrazia diretta
L’e-democracy è una forma di consultazione popolare che avviene attraverso le
nuove tecnologie digitali. In questo brano, tratto da un articolo del 2007 apparso sul
quotidiano «la Repubblica» il giurista Stefano Rodotà sottolinea i punti di forza di
questa modalità di esercizio della democrazia diretta.
La sfida lanciata ai parlamenti [...] investe lo stesso modo d’intendere la cittadinanza. La
vera novità democratica delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione [...] con-
siste nel potere dato a ciascuno e a tutti di servirsi della straordinaria ricchezza di materiali
messa a disposizione dalle tecnologie per elaborare proposte, controllare i modi in cui viene
esercitato il potere, organizzarsi nella società. Con questo vasto mondo – in cui la democra-
zia si manifesta in maniera “diretta”, ma senza sovrapporsi a quella “rappresentativa” – i
parlamenti devono trovare nuove forme di comunicazione, attraverso consultazioni anche
informali, messa in Rete di proposte sulle quali si sollecita il giudizio dei cittadini, procedu-
re che consentano di far giungere in parlamento proposte elaborate da gruppi ai quali, poi,
vengano riconosciute anche possibilità di intervento nel processo legislativo. La rigida con-
trapposizione tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta potrebbe così essere su-
693
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
perata, e la stessa democrazia parlamentare riceverebbe nuova legittimazione dal suo pre-
TEMI DI CITTADINANZA
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Quali sono i vantaggi della e-democracy, a parere di Rodotà?
2. L’esercizio della e-democracy costituisce un rischio per la democrazia rappresentativa? Perché?
3. In quali modo i parlamenti possono trarre vantaggio da una forma di comunicazione continua e diretta con i
cittadini elettori?
PRODUZIONE
Rodotà sostiene che «la stessa democrazia parlamentare riceverebbe nuova legittimazione dal presentarsi
come interlocutore continuo della società». A tuo parere è auspicabile e privo di rischi fare in modo che la
democrazia parlamentare svolga questo ruolo di «interlocutore continuo della società»? Questa funzione
era svolta dalla democrazia prima dell’avvento delle tecnologie digitali? E come?
Fai riferimento alle tue conoscenze e alla tua esperienza e scrivi un testo argomentativo in cui illustri quelli
che a tuo parere possono essere i punti di forza e di debolezza della e-democracy.
694
CAPITOLO 5 Francesco Guicciardini AUTORE
4 La Storia d’Italia
La composizione Il capolavoro storiografico di Guicciardini è la Storia d’Italia, scritta fra il 1537 e il 1540. In que-
gli anni Guicciardini si era ritirato a meditare sul suo doppio fallimento: sul piano politico, la
Lega di Cognac era stata sconfitta e Carlo V aveva trionfato; su quello individuale, il nuovo pa-
pa Paolo III lo aveva esonerato da ogni incarico importante. La situazione di crisi, di sfiducia,
di fallimento privato costituisce lo sfondo dell’opera mostrando tratti di pessimismo e di scet-
ticismo ancora più marcati che nei Ricordi. L’opera, l’unica che Guicciardini volesse destinata
alla stampa, rimase senza elaborazione finale a causa della sua morte, e fu pubblicata per la
prima volta, in parte censurata e senza gli ultimi quattro libri, solo nel 1561.
I contenuti: una I fatti narrati coprono circa un quarantennio: dal chiudersi nel 1492 di un’epoca felice, fino alla
storia della crisi rovinosa del sacco di Roma e poi alla morte di Clemente VII, al quale succede nel 1534
decadenza d’Italia
Paolo III. Gli avvenimenti sono esposti in ordine cronologico, anno per anno, e suddivisi in
venti libri. Il titolo, Storia d’Italia, non è dell’autore.
La novità del Con la Storia d’Italia Guicciardini si qualifica come primo grande storiografo della modernità.
contenuto: L’opera presenta infatti due novità assolute, di contenuto e di metodo. Sul piano del contenu-
una storia d’Italia in
prospettiva europea to, Guicciardini introduce una prospettiva non solo nazionale, ma europea. L’autore cerca di
ricostruire la rete delle relazioni fra le varie vicende storiche, allargando lo sguardo dal quadro
L’assedio di Castel Sant’Angelo a Roma nel 1527, incisione di Maarten van Heemskerck del 1556.
695
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
italiano a quello europeo, data la massiccia presenza sulla Penisola delle potenze straniere.
Inoltre, a differenza della storiografia umanistica, l’opera non nasce per celebrare un principe,
una città o uno Stato: il suo unico fine è la conoscenza della realtà.
La novità Sul piano del metodo, la novità più importante della Storia d’Italia sta nell’analisi e nel con-
del metodo fronto delle fonti. Guicciardini inaugura così un criterio moderno di ricerca storiografica, ba
sato sulla scrupolosa verifica dei documenti. Un altro elemento originale è costituito dall’a-
DIGIT nalisi psicologica dei personaggi: se per l’autore è impossibile individuare leggi generali, la
TESTI
L’inizio della personalità, il carattere e le azioni dei grandi protagonisti della storia italiana sono invece os
Storia d’Italia servabili nel concreto, ed offrono a Guicciardini i «particulari» sui quali esercitare la «discrezio
ne». Sono famosi i ritratti di Leone X e di Clemente VII.
FACCIAMO IL PUNTO
Dal punto di vista del contenuto, qual è il periodo trattato nella Storia d’Italia?
Qual è la novità più importante della Storia d’Italia dal punto di vista metodologico?
5 Attualità di Guicciardini
L’insofferenza Se la Storia d’Italia è il capolavoro storiografico di Guicciardini, i Ricordi sono invece il libro che
per i princìpi più lo avvicina alla sensibilità moderna. Moderne sono la struttura asistematica e frammen-
generali e astratti
taria del libro (che fa già pensare agli aforismi dei grandi filosofi della fine dell’Ottocento e del
Novecento, come Friedrich Nietzsche e Theodor Adorno) e l’insofferenza del suo autore nei
confronti delle regole generali e dei principi assoluti: «È grande errore parlare delle cose del
mondo indistintamente e assolutamente e, per dir così, per regola; perché quasi tutte hanno
distinzione e eccezione per la varietà delle circumstanze, le quali non si possono fermare con
una medesima misura» (Ricordi, 6). Pensieri come questo ci appaiono straordinariamente at
tuali perché ci invitano a riflettere sui limiti della ragione umana e sulla necessità di sottopor-
re a continue verifiche le nostre certezze, che non devono mai essere assolute. Il relativismo
di Guicciardini lo colloca in una posizione originale rispetto al suo tempo e lo proietta verso la
modernità.
La ricerca Ma Guicciardini è attuale anche perché il suo scetticismo nei confronti delle teorie astratte
della verità non comporta una rinuncia a cercare la verità: «E’ filosofi e e’ teologici e tutti gli altri che
scrutano le cose sopra natura o che non si veggono, dicono mille pazzie: perché in effetto gli
uomini sono al buio delle cose, e questa indagazione ha servito e serve più a esercitare gli in-
gegni che a trovare la verità» (Ricordi, 125). La filosofia e la teologia, rivolgendosi al mondo
delle idee e delle cose invisibili, non aiutano a fare luce sulla verità. Dunque per Guicciardini
la verità esiste, ma è la verità concreta e materiale della storia e degli uomini che la fan-
no. Essa è troppo complessa per poter essere conosciuta interamente dall’uomo: con una bel-
la immagine, Guicciardini afferma che «gli uomini sono al buio delle cose», cioè non ne pos-
sono conoscere con certezza le cause e le direzioni future. Tuttavia, lo scopo dell’attività in-
tellettuale e della cultura deve essere quello di continuare a cercare questa verità. Dietro la
sfiducia e il pessimismo professati da Guicciardini si cela dunque un bisogno profondo di co-
noscenza e di scoperta.
696
CAPITOLO 5 Francesco Guicciardini AUTORE
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
LA VITA
Francesco Guicciardini nasce nel 1483 a Firenze. Dopo gli studi in giuri-
sprudenza compiuti a Ferrara, Firenze, Padova, Pisa, riveste importanti in- 1483 nasce a Firenze
carichi pubblici, sia a Firenze che presso la Curia pontificia a Roma. Re- incarichi pubblici
staurata la Repubblica a Firenze e dopo il sacco di Roma ad opera delle a Roma e a Firenze
truppe spagnole-imperiali (1527), Guicciardini è costretto a lasciare la vi- costretto a lasciare
ta politica per aver servito i Medici e si ritira a Roma. Nel 1530 viene restau- 1527 la vita politica
rato il potere mediceo: Guicciardini rientra a Firenze e torna a ricoprire vari incarichi pubblici
incarichi pubblici, finché, nel 1537, non si ritira a vita privata nelle campa- 1530 presso i Medici
gne di Firenze. Muore nel 1540.
1537 si ritira a vita privata
1540 muore a Firenze
I RICORDI
I Ricordi (la redazione definitiva è del 1530) sono una raccolta di pen- I Ricordi (1530)
sieri destinati a un ambito familiare. La struttura dell’opera, aperta e
frammentaria, si lega a un’idea di conoscenza che rifiuta i princìpi uni- raccolta di pensieri pensata
versali e si basa invece sulla «discrezione», cioè sulla capacità di di- per rimanere privata
stinguere caso per caso, analizzando i diversi casi «particulari» in cui
si articola la realtà. Sta qui la rottura rispetto a Machiavelli, che tende struttura aperta
ancora a «parlare generalmente». e frammentaria
«discrezione»
e casi «particulari»
LA STORIA D’ITALIA
Il capolavoro storiografico di Guicciardini è la Storia d’Italia, scritta fra il Storia d’Italia (1537-1540)
1537 e il 1540, che ripercorre il periodo che va dal 1492 al 1534. L’opera
presenta due novità assolute: 1. l’allargamento a una prospettiva euro-
pea; 2. l’introduzione di un criterio moderno di ricerca storiografica, basato ripercorre il periodo novità
sulla scrupolosa verifica delle fonti e dei documenti. tra il 1492 e il 1534 metodologiche
697
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
VERIFICHE
1 Guicciardini e Firenze
Anche Guicciardini nasce, come Machiavelli, a Firenze. La sua riflessione è legata in qualche modo alla storia della
città? Perché?
a. perché racconta fatti avvenuti a Firenze
b. perché risente del clima di incertezza politica creatosi a Firenze dopo la morte di Lorenzo il Magnifico
c. perché esalta la storia antica di Firenze
d. perché viene incentivata dal potere politico
4 Identikit dell’opera
a. La struttura dei Ricordi è decisamente diversa da quella del trattato tradizionale. Sottolinea quali tra i seguenti
aggettivi aiutano a definirla:
aperta – coerente – ordinata – frammentaria – asistematica – unitaria
b. Parlando per metafore, possiamo dire che il trattato tradizionale mirava a costruire un solido edificio di idee, a deli-
neare un quadro chiaro e unitario. Scegli tu una metafora per definire, invece, la struttura dei Ricordi.
6 Per temi
I vari pensieri dei Ricordi non sono collegati tra loro, ma è possibile individuare alcuni filoni tematici. Di seguito
isoliamo alcuni temi e indichiamo in quali pensieri li abbiamo incontrati. Scegli uno dei temi, rileggi i pensieri ad
esso relativi e trai le conclusioni: quale visione dell’autore emerge rispetto a questo argomento?
l’ambizione (pensieri 15, 17, 32)
la natura umana (pensieri 41, 66)
la conoscenza (pensieri 35, 57)
il tema politico (pensieri 46, 140, 141)
698
CAPITOLO 5 Francesco Guicciardini AUTORE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A
L’ANALISI E L’INTERPRETAZIONE DEL TESTO
Francesco Guicciardini
Ritratti di Leone X e Clemente VII
Lione,1 che portò primo grandezza ecclesiastica2 nella casa de’ Medici, e con l’autorità del cardina-
lato sostenne tanto sé e quella famiglia, caduta di luogo eccelso in somma declinazione,3 che e’
potetteno4 aspettare il ritorno della prospera fortuna,5 fu uomo di somma liberalità; se però si
conviene6 questo nome a quello spendere eccessivo che passa ogni misura. In costui, assunto al
5 pontificato, apparì tanta magnificenza e splendore e animo veramente regale che e’ sarebbe stato
maraviglioso eziandio7 in uno che fusse per lunga successione disceso di re o di imperadori: né
solo profusissimo8 di danari ma di tutte le grazie che sono in potestà di uno pontefice; le quali
concedeva sì smisuratamente che faceva vile9 l’autorità spirituale, disordinava lo stile della cor-
te,10 e per lo spendere troppo si metteva in necessità di avere sempre a cercare danari per vie
10 estraordinarie. A questa tanta facilità11 era aggiunta una profondissima simulazione,12 con la qua-
le aggirava13 ognuno nel principio del suo pontificato, e lo fece parere principe ottimo; non dico di
bontà apostolica,14 perché ne’ nostri corrotti costumi è laudata la bontà del pontefice quando non
trapassa15 la malignità degli altri uomini; ma era riputato clemente,16 cupido17 di beneficare ognu-
no e alienissimo18 da tutte le cose che potessino offendere alcuno. Il medesimo fu deditissimo alla
15 musica alle facezie e a’ buffoni; ne’ quali sollazzi19 teneva il più del tempo immerso l’animo, che
altrimenti sarebbe stato volto a fini e faccende grandi, delle quali aveva intelletto capacissimo.
Credettesi per molti,20 nel primo tempo del pontificato, che e’ fusse castissimo; ma si scoperse poi
dedito eccessivamente, e ogni dì più senza vergogna, in quegli piaceri che con onestà non si pos
sono nominare.21 Ebbe costui, tra le altre sue felicità, che furono grandissime, non piccola ventu
20 ra22 di avere appresso di sé Giulio de’ Medici suo cugino; quale, di cavaliere di Rodi, benché non
fusse di natali legittimi, esaltò al cardinalato.23 Perché essendo Giulio di natura grave,24 diligente,
assiduo alle faccende, alieno da’ piaceri, ordinato e assegnato25 in ogni cosa, e avendo in mano per
volontà di Lione tutti i negozi26 importanti del pontificato, sosteneva e moderava molti disordini
che procedevano dalla sua larghezza e facilità;27 e quel che è più, non seguendo il costume degli
25 altri nipoti e fratelli de’ pontefici, preponendo l’onore e la grandezza di Lione agli appoggi potesse
farsi28 per dopo la sua morte, gli era in modo fedelissimo e ubbidientissimo che pareva che vera
mente fusse un altro lui;29 per il che fu sempre più esaltato30 dal pontefice, e rimesse a lui ogni dì
più le faccende: le quali, in mano di due nature tanto diverse, mostravano quanto qualche volta
convenga bene insieme la misura di due contrari.31 L’assiduità32 la diligenza l’ordine la gravità di
30 costumi [di questo], la facilità la prodigalità i piaceri e la ilarità di quell’altro, facevano credere a
1 Lione: papa Leone X. 12 simulazione: tendenza alla finzione. 23 quale...cardinalato: il quale [: compl. ogg.]
2 portò...ecclesiastica: per primo portò nella 13 aggirava: raggirava. [Leone: sogg.] innalzò (esaltò) al grado di cardina-
casata dei Medici il prestigio di un’alta carica reli- 14 non dico...apostolica: non intendo addirittu- le, benché non fosse di nascita legittima, da che era
giosa. ra di una bontà come quella degli apostoli; ovvero cavaliere di Rodi.
3 declinazione: decadenza. come quella che dovrebbe caratterizzare il vica- 24 di natura grave: di carattere serio.
4 e’ potetteno: essi [: i Medici] potettero. rio di Cristo. 25 assegnato: prudente.
5 della prospera fortuna: della sorte favorevole. 15 trapassa: supera. 26 negozi: faccende politiche e amministrative.
6 si conviene: si addice. 16 clemente: pietoso. 27 sosteneva...facilità: conteneva e moderava
7 e’ sarebbe...eziandio: avrebbe destato meravi- 17 cupido: desiderosissimo. molti inconvenienti che derivavano dalla sua [: di
glia anche. e’ = ‘ei’ = ‘egli’, è pleonastico. 18 alienissimo: lontanissimo. Leone] prodigalità e facilità nello spendere.
8 né solo profusissimo: e non fu solamente assai 19 sollazzi: divertimenti. 28 agli appoggi potesse farsi: agli appoggi che
prodigo. 20 Credettesi per molti: Fu creduto da parte di avrebbe potuto crearsi; con ellissi del “che”.
9 faceva vile: rendeva di poco valore; perché “in molti. 29 un altro lui: traduce il latino alter ego.
flazionata” nelle sue concessioni. 21 quegli piaceri...nominare: ovviamente pia- 30 esaltato: valorizzato.
10 disordinava...corte: turbava il consueto modo ceri sessuali, con riferimento in particolare all’o- 31 convenga...contrari: stia bene insieme il mi-
di vita della corte papale. mosessualità. scuglio di due diversi caratteri.
11 facilità: nello spendere. 22 non piccola ventura: la non piccola fortuna. 32 L’assiduità: La perseveranza.
699
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
VERIFICHE
molti che Lione fusse governato da Giulio, e che egli per se stesso non fusse uomo da reggere tan-
to peso, non da nuocere33 ad alcuno e desiderosissimo di godersi i comodi del pontificato; e allo
incontro,34 che in Giulio fusse animo ambizione cupidità di cose nuove, in modo che tutte le se-
verità tutti i movimenti tutte le imprese che si feceno a tempo di Lione si credeva procedessino
35 per istigazione di Giulio,35 riputato uomo maligno ma di ingegno e di animo grande. […]. Ma si
conobbe presto36 quanto erano stati vani37 i giudizi fatti di Lione e di lui. Perché in Lione fu di
grande lunga più sufficienza che bontà,38 ma Giulio ebbe molte condizioni diverse39 da quello che
prima era stato creduto in lui: con ciò sia che e’ non vi fusse40 né quella cupidità di cose nuove né
quella grandezza e inclinazione di animo a fini generosi e magnanimi che prima era stata l’opinio-
40 ne,41 e fusse stato più presto appresso a Lione esecutore e ministro de’ suoi disegni che indirizza-
tore e introduttore de’ suoi consigli e delle sue volontà.42 E ancora che43 avesse lo intelletto capa-
cissimo e notizia maravigliosa44 di tutte le cose del mondo, nondimeno non corrispondeva45 nella
risoluzione ed esecuzione; perché, impedito non solamente dalla timidità dell’animo, che in lui
non era piccola, e dalla cupidità di non spendere ma eziandio da una certa irresoluzione e perples-
45 sità che gli era naturale, stesse46 quasi sempre sospeso e ambiguo quando era condotto alla deter-
minazione di quelle cose le quali aveva da lontano molte volte previste, considerate e quasi risolu-
te.47 […]. Nella quale natura implicata e modo confuso di procedere, lasciandosi spesso traportare
da’ ministri, pareva più presto menato da loro che consigliato.48
F. Guicciardini, Storia d’Italia, a cura di S. Seidel Menchi, Einaudi, Torino 1971.
33 non da nuocere: e neppure [però] da far del 39 ebbe...diverse: diede varie prove di essere di- destare meraviglia.
male. verso. 45 non corrispondeva: era incapace.
34 allo incontro: al contrario. 40 con ciò...fusse: a causa del fatto che in lui non 46 perché...stesse: per il fatto che… stava. ezian-
35 fusse animo...Giulio: vi fosse carattere, am- vi erano. dio: anche.
bizione, desiderio di novità, di modo che tutti gli 41 che prima...opinione: che era stato ritenuto in 47 sospeso e ambiguo...risolute: esitante e in-
atti rigorosi, tutti i cambiamenti, tutte le imprese precedenza [: mentre era un aiutante di Leone]. deciso quando arrivava il momento di decidere in-
che venivano fatti durante il pontificato di Leone si 42 e fusse stato...volontà: e [Giulio] era stato torno a quelle cose che aveva con anticipo previsto
credeva che avvenissero per suggerimento di Giulio. piuttosto (più presto) accanto a Leone un esecu- molte volte, analizzato e quasi deciso.
36 presto: una volta che Giulio de’ Medici di- tore e un incaricato dei disegni di quello che una 48 Nella quale...consigliato: In questo atteggia-
viene papa, nel 1523, due anni dopo la morte di guida e una causa delle decisioni e delle scelte di lui mento indeciso (implicata) e in questo modo confu-
Leone X. [: Leone]. so di procedere sembrava piuttosto trascinato dai mi-
37 vani: infondati. 43 E ancora che: E nonostante il fatto che. nistri che non aiutato da essi con buoni consigli, dato
38 fu...bontà: vi fu assai più abilità che bontà. 44 notizia maravigliosa: una conoscenza tale da che si lasciava spesso condurre a loro piacimento.
COMPRENSIONE
Fai il riassunto del testo proposto.
ANALISI
Caratterizza il lessico e la sintassi usati da Guicciardini nel brano.
Quali sono gli aspetti del carattere di Leone X evidenziati da Guicciardini?
Di Giulio de’ Medici vengono forniti due ritratti diversi: quello di quando era cardinale e quello da papa.
Quali sono le rispettive caratteristiche?
In che modo la maggior parte della gente giudicava il rapporto fra Leone X e Giulio de’ Medici?
Che cosa cambia, rispetto a tale giudizio, una volta che Giulio de’ Medici diviene pontefice?
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
In che modo nel brano le aspettative del lettore vengono ribaltate?
Guicciardini giudica l’operato dei papi prevalentemente dal punto di vista religioso o da quello politico?
In altre parole, la sua prospettiva di storico è morale oppure laica?
Dal brano emerge una visione pessimistica del presente e degli uomini («perché ne’ nostri corrotti costu-
mi è laudata la bontà del pontefice quando non trapassa la malignità degli altri uomini»): collega questo
tema ad altri testi dell’autore che hai letto e al pensiero di Machiavelli.
700
William Xerra, Omaggio a Ludovico Ariosto, 2014.
GENERE
CAPITOLO 6
Il poema cavalleresco
e Ariosto PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
1 L’equilibrio rinascimentale
incontra i turbamenti della modernità
La modernità In apparenza, il genere del poema cavalleresco rinascimentale è lontano dalla nostra sensibili-
del poema tà e dai nostri gusti. E tuttavia esso contiene elementi che continuano ad essere presenti nella
cavalleresco
nostra esperienza e nella nostra cultura: il gusto del fiabesco e dell’avventura, il bisogno di al-
largare le possibilità della vita reale e delle sue leggi. Deriva da questo bisogno, d’altra parte, il
successo costante di libri e film d’avventura, e in particolare del fantasy.
I poemi cavallereschi sono dunque una forma di narrazione che concede largo spazio all’im-
maginazione e al fantastico: riprendono illustri tradizioni antiche, è vero, ma le rileggono in una
forma nuova, che riconosce il valore in se stesso dell’avventura a un alto livello artistico. Si allarga
così lo spazio della letteratura, e si può dire che la letteratura ha così modo di conquistare nuove
forme di rappresentazione dell’esperienza e della realtà, nuovi bisogni di significato e di “gioco”.
Questa funzione, anticipata dai poemi di Pulci e di Boiardo, produce il suo capolavoro
nell’Orlando furioso di Ariosto, il più grande testo narrativo (e poetico) del Rinascimento
italiano. Nel Furioso si incontrano due tradizioni alternative (quella guerresca carolingia e
quella erotica arturiana), e la tensione fra la struttura compatta del poema epico e quella varie-
gata del romanzo fanno dell’opera di Ariosto un capolavoro in equilibrio fra modelli (e perfino
fra mondi) diversi, e in qualche modo inconciliabili. Il miracolo compiuto con l’Orlando furioso
sta però nel tenerli in un affascinante equilibrio, trasmettendo la sensazione che la nuova
civiltà europea – dove stavano trovando posto le armi da fuoco e i grandi eserciti moderni, le
banche e i commerci coloniali, la rivoluzione della stampa – possa comunque preservare i
valori e i modelli collettivi dell’epica medievale. In realtà quell’epoca era tramontata, e l’equi-
librio del Furioso è occupato anche da una malinconia nostalgica per i cavalieri antichi.
In questa ricerca di equilibrio, e più ancora nelle contraddizioni con le quali essa deve fare i conti,
stanno il fascino del Furioso e il suo interesse ancora oggi. Il gusto dell’avventura può ancora affasci-
nare lettori colti e pazienti, con il regalo, riservato alle grandi opere d’arte, di fare un’esperienza di
divertimento non fine a se stesso, ma arricchito della malinconia che sempre sta insieme alle favole.
701
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
La tradizione In Italia, già nel Trecento, queste due tradizioni erano state riprese e fuse nei cantari, com-
popolare ponimenti in ottave di endecasillabi, spesso anonimi, che venivano recitati nelle piazze da-
dei cantari
vanti a un vasto pubblico prevalentemente analfabeta. Non va d’altra parte dimenticato che già
nel Trecento esisteva in Italia anche un filone di cantari colti, di cui è capostipite Boccaccio,
autore di poemetti in ottave come il Filostrato e il Teseida.
Il cantare, che all’inizio aveva una durata breve perché non poteva tenere occupato il pub-
blico su una piazza per molte ore, si articola, tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento,
702
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
in cicli il cui ascolto poteva durare per diversi giorni. Il successo di questa materia cresce nel
Quattrocento, quando si assiste al moltiplicarsi di poemi e poemetti in ottave. Il poema di
materia cavalleresca diventa così uno dei generi più amati della nostra letteratura, capace di
coinvolgere tanto un pubblico colto quanto un pubblico popolare: il primo legge i testi scritti,
mentre il secondo assiste a messe in scena recitate nelle piazze. Il poema cavalleresco si dif-
fonde soprattutto nelle città padane e in Toscana.
La rielaborazione Nella seconda metà del Quattrocento, alcuni autori colti, come Luigi Pulci e Matteo Maria
colta e la nascita Boiardo, riprendono questa tradizione e la rielaborano con intenti artistici per il pubblico raffi
del poema
cavalleresco nato delle corti. Mentre il cantare si fonda sull’oralità, presuppone un individuo che lo canti (il
in ottave “canterino”) e un pubblico popolare che lo ascolti, il poema cavalleresco è invece un testo
scritto con intenti letterari, cioè con l’ambizione di intrattenere un pubblico colto e raffina
to. Di conseguenza, molti tratti del genere scompaiono o subiscono mutamenti: scompaiono
le formule stereotipate spesso presenti nei cantari per confermare le attese del pubblico e
tutte quelle espressioni volte a tenere sveglia l’attenzione dell’uditorio; la trama si infittisce
e si complica ed emerge l’elemento propriamente narrativo dell’opera; la versificazione e lo
stile si fanno più elaborati e raffinati.
FACCIAMO IL PUNTO
Qual è la tradizione a cui attinge il poema cavalleresco?
Quali sono le sue caratteristiche principali?
poema cavalleresco
703
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Il Morgante
La composizione L’opera più importante di Pulci è il Morgante, formato dall’accostamento e dalla fusione di due
e il titolo poemi diversi, di 23 cantari (o canti) il primo (scritto tra il 1461 e il 1472), e di 5 il secondo. Il
poema completo uscì a stampa nel 1483: si tratta di 28 cantari, per un totale di oltre trentami
la versi. Il titolo non è d’autore ma si è imposto da solo a causa del grande successo popolare ri
scosso dalla figura del gigante Morgante, una novità introdotta da Pulci nella tradizionale ma
teria dei cantari.
La prima parte: la Le vicende raccontate da Pulci non sono originali ma riprese dalle tradizioni di cui abbiamo par
novità di Morgante lato in §1 e dai cantari (in particolare il Cantare di Orlando). Nella prima parte del poema (can
e Margutte
tari IXXIII) si raccontano le vicende del paladino Orlando, offeso e calunniato da Gano, che
lascia sdegnato la corte di Carlo Magno a Parigi dirigendosi verso la terra dei pagani (Pagania).
Durante il viaggio, Orlando libera un’abbazia minacciata da tre giganti: ne uccide due, mentre
il terzo, di nome Morgante, convertitosi alla religione cristiana, diventa il suo scudiero. Mor-
gante è accompagnato da un mezzo gigante, Margutte, con il quale ha compiuto varie impre-
se eroicomiche. Margutte muore dalle risa vedendo una scimmia che si infila i suoi stivali.
L’OPERA
IL MORGANTE
704
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
Morgante, invece, muore mentre porta in salvo la nave dei paladini, semplicemente per il mor-
so di un piccolo granchio.
La seconda parte Nella seconda parte del poema (cantari XXIV-XXVIII) Orlando difende la Francia da una nuo-
va invasione nemica. Ma il traditore Gano si mette d’accordo con Marsilio per far cadere in una
trappola Orlando a Roncisvalle. Qui infatti il paladino è assalito dai saraceni ( T1, p. 706). Gli
vengono in aiuto dall’Egitto, su cavalli incantati nei quali sono entrati i diavoli Astarotte e Far-
ferello, il cugino Rinaldo e Ricciardetto, ma non riescono a impedire la morte di Orlando.
Compare qui Astarotte, figura anticonformista di diavolo gentile e malinconico, ma anche
dotto teologo. Carlo Magno si rende infine conto del tradimento di Gano e lo manda al suppli-
zio dopo aver fatto uccidere anche Marsilio. Morgante, intanto, sta aspettando in cielo l’arrivo
di Orlando, mentre Margutte, all’Inferno, è diventato araldo di Belzebù, il capo dei diavoli.
Il gusto del La trama del Morgante risente dell’andamento tipico dei cantari: non è rigorosa, procede per
meraviglioso improvvisi colpi di scena, e i legami fra un episodio e l’altro sono spesso deboli. Pulci ricorre
molto spesso a miracoli e ad avvenimenti magici, con un gusto del meraviglioso e dello spet-
tacolare in cui si mescolano le tradizioni medievali e la nuova attenzione rinascimentale per
la magia e per le scienze occulte.
La figura Nella prima parte del Morgante, Pulci reinterpreta le versioni popolari della storia di Orlando
di Margutte ( Informazioni, La storia e la leggenda di Orlando) arricchendole di trovate linguistiche co-
raggiosamente sperimentali e di episodi grotteschi, in particolare quelli che hanno come
ZIONI
INFORMA
La storia e la leggenda di Orlando
Il 15 agosto del 778 la retroguar-
dia dell’esercito di Carlo Magno,
mentre stava attraversando i
Pirenei (al confine tra Francia e
Spagna), venne sorpresa da una
banda di baschi a Roncisvalle;
nella lotta morì un guerriero di
nome Roland. Da questo episodio
storico del tutto marginale ebbe
origine la più importante leggen-
da eroica medievale. Roland (in
italiano, Orlando) divenne nell’im-
maginario collettivo il modello del
valore guerriero, il difensore della
fede contro gli arabi, il cavaliere
leale al suo signore fino alla mor-
te. La leggenda di Roland veniva
cantata lungo le vie dei pellegri-
naggi, di castello in castello e di
piazza in piazza, da cantori di pro-
fessione, i giullari. Dopo il celebre
poema del secolo XI, la Chanson
de Roland, le opere ispirate alle
gesta del paladino divennero in-
numerevoli. La rotta di Roncisvalle, miniatura delle Grandes Chroniques de France. Bruxelles, Bibliothèque Royal.
705
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
L’elemento Questa commistione di elementi seri derivanti dalla tradizione epico-cavalleresca e di elemen-
parodico ti comico-grotteschi fa sì che la prima parte del Morgante possa essere letta come una paro-
dia del poema cavalleresco. Nella seconda parte, invece, la narrazione acquista un carattere
più serio ed eroico. Ciò nonostante, Pulci non rinuncia mai, neanche qui, a uno stile comico e
irriverente. Infatti, lo spirito carnevalesco è alla base di tutta la poetica pulciana. Il gusto per
l’eccesso, il paradosso, la libertà compositiva ed espressiva, una continua mescolanza di alto e
basso fanno del Morgante un’opera inconsueta nella letteratura italiana e poco in sintonia con
la stessa città natale di Pulci: la sua cultura e il suo gusto letterario erano nettamente in contra-
sto con le tendenze allora dominanti a Firenze, rappresentate sul piano culturale da Marsilio
Ficino (1433-1499), su quello letterario da Poliziano ( Capitolo 1) e su quello religioso, di lì a
poco, da Savonarola, il quale arriverà a bruciare in piazza il Morgante, perché «inutile e danno-
so alla morale».
FACCIAMO IL PUNTO
All’interno dell’opera di Pulci, chi sono i personaggi di Morgante e Margutte?
Quali sono le caratteristiche che ci permettono di leggere la prima parte del Morgante come una parodia del
poema cavalleresco?
Il “tegame” di Roncisvalle
A Roncisvalle la retroguardia dell’esercito cristiano viene sorpresa da un numero immenso
di saraceni, guidati da Marsilio, re di Saragozza. Questi, d’accordo con Gano, aveva architet-
tato una trappola per Orlando. I paladini cristiani compiono prodigi di valore ma vengono
sopraffatti. Orlando, prima di morire, suona il corno che richiama indietro l’esercito di Carlo
Magno: così alla fine i saraceni saranno sconfitti.
I TEMI rivisitazione in chiave gastronomica e grottesca di un famoso episodio della tradizione epica
50 PARAFRASI
E’1 si vedeva tante spade e mane, 50 Si vedevano (E’ si vedeva) tante spade e tante mani, tante
tante lance cader sopra la resta,2 lance cadere sopra il gancio dell’armatura (resta), si sentivano
tante urla e cose strane che si poteva dire [che sembrava] il
e’ si sentia tante urle e cose strane mare in tempesta. Le campane rintoccarono (tempelloron)
che si poteva il mar dire in tempesta. tutto il giorno senza sapere [se] (chi: le campane) suonassero
Tutto il dì tempelloron le campane (suoni) [per annunciare] la morte [di qualcuno] o [qualche]
festa; [si sentivano] sempre tuoni sordi con fulmini all’asciut-
sanza saper chi suoni a morto o festa; to (con baleni a secco) [: senza che piovesse; cioè a ‘ciel sere-
sempre tuon sordi con baleni a secco no’] e [si sentiva] poi l’eco (Ecco) [: dei tuoni] rimbombar per
e per le selve rimbombar poi Ecco.3 le foreste.
Metrica: ottave. 2 resta: è il gancio dell’armatura cui si fissa sta ottava viene descritto soprattutto il con-
la lancia per andare all’attacco. testo sonoro (urla, campane, tuoni, eco)
1 E’: ‘Egli’ è ridondante (anche al v. 3). 3 Ecco: la ninfa Eco, e quindi l’eco. In que- della battaglia svoltasi a Roncisvalle.
706
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
51
E’ si sentiva in terra e in aria zuffa, 51 Si sentiva in terra e nell’aria [: ovunque] [la] battaglia (zuf-
perché Astarotte, non ti dico come, fa), per la quale [: battaglia] [i diavoli] Astarotte e Farferello,
non ti [: a te, lettore] dico come, ciascuno [di loro, per conto
e Farferello4 ognun l’anime ciuffa: proprio] acchiappava (ciuffa) le anime [: dei soldati morti]:
e’ n’avean sempre un mazzo per le chiome, Astarotte e Farferello] ne [: di anime di soldati] avevano sem-
e facean pur la più strana baruffa, pre un mazzo [tenute] per i pennacchi dell’elmo (chiome) e
facevano pure [loro] la più strana battaglia (baruffa). E spesso
e spesso fu d’alcun sentito il nome:
fu sentito il nome di qualcuno: – Lascia a me il tizio (tale): lo
– Lascia a me il tale: a Belzebù5 lo porto. – porto a Belzebù [: all’Inferno]. – L’altro diceva: – Marsilio
L’altro diceva: – È Marsilio6 ancor morto? [non] è ancor morto?
52
E’ ci farà stentar prima che muoia. 52 Egli (E’) [: Marsilio] ci farà penare (stentar) prima che
Non gli ha Rinaldo ancor forbito il muso, muoia. Rinaldo non gli [: a Marsilio] ha ancora pulito (forbito)
il muso [: cioè cancellato i connotati del viso con un’arma e, di
che noi portian giù l’anima e le cuoia? – conseguenza, ucciso], [in modo] che noi portiamo giù [: all’In-
O Ciel, tu par’ questa volta confuso! ferno] l’anima e le cuoia [: il corpo] [di Marsilio]? – Oh cielo
O battaglia crudel, qual Roma o Troia!7 [: Dio], tu sembri (par’) confuso questa volta! Oh battaglia
crudele, come (qual) [quelle] di Roma e Troia! Questa [batta-
Questa è certo più là che al mondano uso.8 glia] è molto (certo) più oltre (là) di quanto si sia soliti fare sul-
Il sol pareva di fuoco sanguigno, la terra (che al mondano uso) [: è certo più crudele di quando
e così l’aire d’un color maligno.9 accada di solito sulla terra]. Il sole pareva [fatto] di fuoco color
sangue (sanguigno), così come (e così) l’aria (aire) [pareva fat-
ta] di un colore luttuoso (maligno).
53
Credo ch’egli era più bello a vedere 53 [In] quel giorno [: della battaglia] credo che fosse (era) più
certo gli abissi, il dì, che Runcisvalle: bello vedere piuttosto (certo) gli abissi [: dell’Inferno] che
Roncisvalle: perché (ch’e’) i saraceni (saracin) cadevano come
ch’e’ saracin cadevon come pere pere [mature] e [il demonio] Squarciaferro li portava a mucchi
e Squarciaferro gli portava a balle; (balle); tanto che questi [: i saraceni] occupano tutto l’inferno
tanto che tutte l’infernal bufere con le sue bufere (tutte l’infernal bufere), ogni [sua] roccia,
ogni [sua] via (calle), e le fosse (bolge), le mura (spaldi) e le
occupan questi, ogni roccia, ogni calle fortificazioni (meschite), e tutta la città di Dite [: la città in-
e le bolge e gli spaldi e le meschite,10 fernale] è in festa [: perché si festeggiano i numerosi arrivati].
e tutta in festa è la città di Dite.
54
Lucifero avea aperte tante bocche11 54 Lucifero aveva aperto tante bocche che somigliava (pareva)
che pareva quel giorno i corbacchini quel giorno ai piccoli corvi quando sono imbeccati [: quando apro-
no il becco per ricevere il cibo] (i corbacchini alla imbeccata), e in-
alla imbeccata, e trangugiava a ciocche ghiottiva (trangugiava) a mucchi (ciocche) le anime dei saraceni
l’anime che piovean de’ saracini, che cadevano [negli abissi dell’Inferno] come pioggia (piovean),
che par che neve monachina fiocche [tanto] che sembrava (par = ‘sembra’) che fioccasse (fiocche =
‘fiocchi’) neve scura (monachina: scura come il saio dei monaci),
come cade la manna12 a’ pesciolini: come [quando] cadono le farfalline (la cosiddetta manna dei pe-
non domandar se raccoglieva i bioccoli sci) [sino] ai pesciolini: non chiedermi [oh lettore] se [Lucifero]
e se ne fece gozzi d’anitroccoli!13 raccoglieva i fiocchi (bioccoli) [: le anime dei saraceni] e se se ne fa-
ceva [una bella abbuffata di] stomaci (gozzi) di anatroccoli!
4 Astarotte...e Farferello: sono due diavoli, 10 meschite: sono propriamente le mo- della voracità è qui collegato al male: Lucife-
che compaiono già nell’Inferno di Dante. schee, che, in quanto templi dei pagani, di- ro ha tante bocche insaziabili.
5 Belzebù: è il principe dei diavoli. ventano costruzioni infernali. La descrizione 12 manna: è il cibo che, secondo il racconto
6 Marsilio: il re di Spagna, che con Gano ha dell’ottava è intessuta di ricordi danteschi. biblico, cadde dal cielo sugli ebrei che attra-
tradito Orlando spingendolo nell’agguato di 11 Lucifero...tante bocche: Lucifero è il versavano il deserto.
Roncisvalle. nome dell’angelo della luce diventato prin- 13 gozzi d’anitroccoli: è una metafora per
7 Roma o Troia: allude al sacco di Roma del cipe degli angeli ribelli e per questo precipi- indicare l’ingordigia, perché le anatre sono
455 e alla distruzione di Troia tato con loro nell’Inferno da Dio. Il tema considerate animali voraci.
8 Questa è certo...che al mondano uso:
iperbole. LA LINGUA NEL TEMPO
9 Il sol pareva...maligno: nei vv. 7 e 8 di que- Calle Il termine «calle» (ottava 53, v. 6) deriva dal latino callis e significa ‘sentiero di campagna’ o ‘stra-
sta ottava la percezione del paesaggio (aria e da stretta’. La parola, che si ritrova spesso nella lingua letteraria, non è più usata nell’italiano di oggi,
sole) viene alterata dall’intensità della bat- tranne che a Venezia, dove il termine è usato come sinonimo di ‘via’ (“abito nella calle del Paradiso”).
taglia.
707
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
55
E’ si faceva tante chiarentane 55 [All’Inferno] si facevano (E’ si faceva) tanti balli (chiaren-
che ciò ch’io dico è disopra una zacchera,14 tane) [: una tale festa] che [al confronto] quello che dico di so-
pra è una cosa da nulla (zacchera), e la festa non dura stamat-
e non dura la festa mademane, tina (mademane), domani (crai) e dopodomani (poscrai) e il
crai e poscrai e poscrigno e posquacchera,15 giorno dopo (poscrigno) e il giorno ancora dopo (posquacche-
come spesso alla vigna le romane; ra), come spesso le [feste] romane per la vendemmia (alla vi-
gna) [: la festa infernale dura invece in eterno]; e [c’era] chi
e chi sonava tamburo, e chi nacchera,
suonava il tamburo, chi le nacchere, [chi] la baldosa, la zampo-
baldosa16 e cicutrenna e zufoletti, gna (cicutrenna) e i flauti (zufoletti), e i passi di danza (gli
e tutti affusolati gli scambietti. scambietti) [erano] tutti rapidi e leggeri (affusolati = ‘come
un fuso che gira’).
56
E Runcisvalle pareva un tegame 56 E Roncisvalle pareva un tegame in cui ci fosse (fussi) un
dove fussi di sangue un gran mortito, grande spezzatino (mortito) insanguinato (di sangue), una
specie (certo) di pasticcio (guazzabuglio) ribollito [fatto] di
di capi e di peducci17 e d’altro ossame teste (capi), di piedi (peducci) e di altre ossa (altro ossame), il
un certo guazzabuglio ribollito, quale (che) [pasticcio] sembrava il lago bollente (bulicame)
che pareva d’inferno il bulicame dell’Inferno che [però] non diminuiva (fusse sparito = ‘fosse
sparito’) davanti a Nesso; e sembra che il vento faccia ruotare
che innanzi a Nesso18 non fusse sparito; (avviluppi) in aria certi spruzzi (sprazzi) di sangue con vorti-
e ’l vento par certi sprazzi avviluppi ci (nodi) e turbini (gruppi = ‘groppi’).
di sangue in aria con nodi e con gruppi.
57
La battaglia era tutta paonazza, 57 Il campo di battaglia (La battaglia) era tutto paonazzo,
sì che il Mar Rosso pareva in travaglio,19 tanto (sì) che sembrava il Mar Rosso in tempesta (travaglio)
[e] che ognuno, per sembrare vivo, ci si agitava (si diguazza):
ch’ognun per parer vivo si diguazza: si poteva buttare (gittar) lo scandaglio dappertutto (per tut-
e’ si poteva gittar lo scandaglio20 to), a tal punto (in modo) [la gente] si sguazzava (guazza) nel
per tutto, in modo nel sangue si guazza, sangue, e poi [si poteva] guardare come fanno solitamente
(suol) l’ammiraglio o (ovver) il nocchiere se sanno usare (co-
e poi guardar come e’ suol l’ammiraglio gnosce = ‘conosce’) la sonda [: dappertutto il sangue è così pro-
ovver nocchier se cognosce la sonda,21 fondo che, per trovare la terra, bisognerebbe usare una son-
ché della valle trabocca ogni sponda. da], poiché (ché) ogni versante (sponda) della valle [: di Ron-
cisvalle] straripa (trabocca).
L. Pulci, Morgante, a cura di D. Puccini, Garzanti, Milano 1989.
14 zacchera: è il residuo di fango che rima- corde. La scena infernale viene descritta sangue” in un’impresa apocalittica e surreale.
ne sotto la suola delle scarpe o lo schizzo come una festa indiavolata. Il riferimento al Mar Rosso avviene per
che si attacca al fondo degli abiti. 17 peducci: è la parola toscana per ‘zam l’accostamento del colore rosso del sangue.
15 e...posquacchera: mademane, crai, po- petti di ovini o suini’. paonazza: di colore rossoviolaceo.
scrai e poscrigno sono parole meridionali; 18 Nesso: davanti al centauro Nesso, Dante 20 scandaglio: è uno strumento di vario
posquacchera è invece un’invenzione di aveva visto un lago di sangue che diminuiva tipo adoperato per misurare la profondità
Pulci, creata in consonanza con i termini costantemente di profondità (Inferno XII, delle acque.
precedenti e stimolata dalla rima difficile in 128): questo, invece, aumenta sempre di più. 21 sonda: è uno strumento usato per ef
“àcchera”. 19 La battaglia...pareva in travaglio: Pulci fettuare misurazioni, esplorazioni, perfo
16 baldosa: è uno strumento medievale a sviluppa l’iperbole tradizionale del “mare di razioni.
708
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
ottava 55: la narrazione si sposta all’Inferno, dove si festeggia in modo straordinario, con
canti e balli, l’ingresso dei “nuovi arrivati”, cioè delle anime dei soldati caduti nella lotta
armata;
ottave 56-57: ritornando sul campo di battaglia, il narratore paragona Roncisvalle a un
«tegame» in cui cuoce un «gran mortito»: uno spezzatino in cui il rosso delle carni dei sol-
dati uccisi inonda ormai tutto.
ANALISI L’alternanza di tragico e comico La descrizione della battaglia, qui solo in parte antologiz-
zata, è un esempio di mescolanza di stili. Vi confluiscono toni diversi, ora turbati e commossi,
ora comici e grotteschi: epico, tragico e comico si alternano in modo caotico. Mentre l’ottava 50
introduce una nota di pauroso mistero e un senso tragico della guerra, le ottave 53-56, con la
descrizione dei diavoli che si godono l’arrivo all’Inferno delle anime dei saraceni, hanno un tim-
bro carnevalesco. Né manca, anche in questo caso, il solito gusto per l’eccesso e per la dismi-
sura (le tante bocche di Lucifero, cfr. ottava 54; il profondissimo mare di sangue, cfr. ottava 57).
Invenzione linguistica e ricerca della disarmonia Una delle principali caratteristiche della
scrittura di Pulci è il gusto per l’accumulazione delle parole: spesso il poeta impiega termini
rari, dialettali, tecnici o specialistici (come nell’ottava 55, in cui vengono elencati danze e stru-
menti musicali). Pulci ama anche inventare parole nuove, come «posquacchera» (cfr. ottava
55). In questa ottava, per esempio, tutti questi termini – dialettali, specialistici o inventati che
siano – vogliono rappresentare linguisticamente il concerto bizzarro di musiche, canti e suoni
intonati dai diavoli che gioiscono per l’arrivo nell’Inferno di tante anime. Si crea così quell’ef-
fetto di dissonanza, cioè di disarmonia e di caos, appositamente ricercato dall’autore.
INTERPRETAZIONE La rivisitazione “gastronomica” di Pulci Nella descrizione della battaglia i riferimenti gastro-
E COMMENTO nomici abbondano: il vorace Lucifero s’ingozza di anime di saraceni (cfr. ottava 54); Roncisvalle
sembra un tegame in cui si sta cuocendo uno spezzatino insanguinato fatto di teste, piedi e altre
ossa (cfr. ottava 56). L’evento viene visto, infatti, come una cucina infernale. Il registro gastrono-
mico-grottesco del testo di Pulci è molto lontano da quello epico-eroico delle chansons de geste
( Parte prima, Capitolo 1): il testo mostra la volontà di rivisitare in chiave bizzarra e grottesca
– qui addirittura gastronomica – un famoso episodio della tradizione epica carolingia.
709
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
La vita e le opere Matteo Maria Boiardo nasce a Scandiano (Reggio Emilia) nel 1441 e riceve una formazione
di Boiardo culturale di alto livello: la famiglia appartiene ad un ambiente elevato non solo socialmente,
ma anche culturalmente (Boiardo era fra l’altro cugino del grande intellettuale umanista Pico
della Mirandola). La formazione di tipo umanistico è evidente nella sua prima produzione in
latino: Carmina de laudibus Estensium [Poesie in lode degli Estensi], composte tra il 1463 e il
DIGIT 1464, e Pastoralia [Poesie pastorali], del 1464. In entrambe le opere è evidente l’intento cele-
TESTI
Matteo Maria brativo della corte degli Estensi. Nel 1469 conosce la giovane Antonia Caprara, per la quale
Boiardo, «Datime a
piena mano e rose comincia a scrivere un canzoniere in volgare, ma dal titolo ancora in latino, cioè Amorum libri
e zigli» tres [Tre libri di poesie d’amore], terminato nel 1476.
710
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
Nel 1476 Boiardo si trasferisce a Ferrara presso la corte del duca Ercole I e comincia a
scrivere il poema cavalleresco Orlando innamorato. Tra il 1480 e il 1483 ricopre la carica di
governatore a Modena, dove scrive le Egloghe volgari in terzine dantesche, alcune di tema per-
sonale e amoroso, altre di argomento politico. Nel 1487 è nominato capitano a Reggio Emilia,
dove resterà fino alla morte. Nel 1491 scrive la commedia Timone per venire incontro alle esi-
genze di spettacolo della corte. Boiardo muore nel 1494.
L’Orlando innamorato
La composizione: L’opera più famosa di Boiardo è il poema cavalleresco Orlando innamorato. La prima versio-
un poema ne è composta da due libri e viene pubblicata nel 1483 a Reggio Emilia. La seconda versio-
incompiuto
ne, che prevede un terzo libro di cui il poeta scrive solo 8 canti e 26 ottave del canto IX, rima-
ne incompiuta a causa dell’arrivo in Italia del re francese Carlo VIII nel settembre 1494, che
segna l’inizio della “crisi” italiana. Boiardo morirà tre mesi dopo.
La trama del I libro: Dopo l’esordio, l’opera comincia con l’arrivo di Angelica, la bellissima figlia del re del Ca-
Angelica, tai, alla corte di Carlo Magno ( T2, p. 713). La donna è accompagnata dal fratello Argalia e
Orlando e Rinaldo
si promette in sposa a chi lo sconfiggerà in duello. Tutti i cavalieri presenti si innamorano di
lei e accettano la sfida. Ma quando Ferraguto sconfigge Argalia, Angelica fugge, inseguita,
oltre che dallo stesso Ferraguto, dai due cugini Rinaldo e Orlando. Rinaldo beve alla fonta-
na del disamore, mentre Angelica a quella dell’amore. Di qui in avanti Angelica insegue Ri-
naldo, ma è inseguita da Orlando, innamorato vanamente di lei. Alla fine Angelica è assedia-
ta in una città asiatica, Albraca, da un grande esercito guidato da Agricane, re dei Tartari, an-
ch’egli innamorato di lei. Ma Orlando interviene in difesa di Angelica e uccide Agricane
in un duello. Anche Rinaldo, che odia Angelica, si schiera contro di lei, cosicché i due cugi-
ni si trovano di fronte in duello. Ma quando Orlando sta per sopraffare Rinaldo, Angelica in-
terviene facendo allontanare il primo e salvando così il secondo, che lei continua ad amare
non ricambiata.
La trama del II Parigi viene assediata da un esercito musulmano guidato da Agramante. Uno dei capi di questo
libro: la discesa in esercito è Ruggiero, che il mago Atlante tiene nascosto per sottrarlo al destino funesto che lo
campo di Ruggiero
e la guerra aspetterebbe se partecipasse alla guerra. Grazie al ladro Brunello, che ruba ad Angelica un anel-
contro i pagani lo magico che rende invisibili, Ruggiero è liberato e in grado di unirsi ai saraceni. Nel frattem-
po, alla fonte del mago Merlino, Rinaldo beve alla fontana dell’amore e Angelica a quella del di-
samore, per cui si inverte la situazione del libro precedente: ora Rinaldo insegue Angelica, che
lo fugge. Ciò porta a un nuovo duello fra i cugini Rinaldo e Orlando, adesso rivali in amore. Ma
il duello è interrotto da Carlo Magno che, avvicinandosi il momento della grande battaglia con-
tro i saraceni, vuole i due cugini alleati con lui. Anzi, Carlo Magno promette di dare in sposa An-
gelica a chi dei due sarà più valoroso contro i nemici musulmani.
L’OPERA
IL POEMA DI BOIARDO
materia cavalleresca bretone e carolingia
711
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
La trama del III Una fanciulla-guerriera, la cristiana Bradamante, si reca a Parigi per portare aiuto a Carlo asse-
libro: Bradamante diato, e viene assalita dal pagano Rodomonte. Accorre in sua difesa Ruggiero, che la salva
e la conversione
di Ruggero ( T3, p. 715). Nelle intenzioni di Boiardo, quest’ultimo, prima di essere ucciso a tradimento
da Gano, si sarebbe dovuto convertire al cristianesimo e avrebbe dovuto sposato Bradamante,
dando origine alla famiglia degli Estensi. Il poema, però, rimane interrotto prima di questa
evoluzione, che sarà narrata infatti da Ariosto nell’Orlando furioso.
La poetica di Boiardo riprende la materia cavalleresca bretone e carolingia ma vi innesta alcune importan-
Boiardo e le novità ti novità, che caratterizzano la sua personale poetica anche rispetto all’altro grande autore del
dell’Orlando
innamorato genere cavalleresco nel Quattrocento, Luigi Pulci. Queste novità sono soprattutto quattro:
1) in Boiardo il tema dell’amore è dominante rispetto a quello guerriero: lo stesso perso-
naggio di Orlando è “innamorato” e questa divergenza rispetto alla tradizione epico-caval-
leresca, che lo aveva sempre rappresentato come un eroico guerriero e un difensore della
fede, è sottolineata sin da titolo;
2) c’è nell’Orlando innamorato una autentica nostalgia per il mondo cavalleresco medie-
vale, i cui valori di gentilezza e cortesia sono ritenuti dall’autore ancora attuali nel mondo
delle corti rinascimentali: manca quindi la distanza ironica e parodica di Pulci;
3) Boiardo crea nuovi personaggi, come Rodomonte, Ruggiero e Angelica, mentre altri ven-
gono profondamente rinnovati, come Orlando e Rinaldo. Angelica mostra una femminili-
tà e una bellezza ormai del tutto fisiche e corporee e, nonostante il nome, resta lontanis-
sima dalle figure angelicate dello Stilnovismo e di Petrarca;
4) nuovo è anche il destinatario al quale il poema di rivolge: non il popolo delle piazze né un
generico lettore colto, ma il pubblico cortigiano. A questo aspetto è legato anche l’inten-
to encomiastico e celebrativo e l’elogio della stirpe degli Estensi.
La lingua e lo stile Scrivendo alcuni decenni prima della normalizzazione linguistica proposta da Bembo nelle
Prose della volgar lingua, Boiardo non segue i principi del classicismo rinascimentale. La lingua
del suo poema è, di base, toscana e letteraria, ma è anche molto varia, cioè ricca di parole e
forme dialettali (padane) ma anche di latinismi. Questo elemento stilistico differenzia vi-
stosamente l’Innamorato dall’Orlando furioso di Ariosto, che riprenderà la vicenda interrotta da
Boiardo nel III libro scegliendo di aderire, nella redazione definitiva del suo poema (1532), ai
principi del classicismo bembesco.
Le tecniche Boiardo introduce alcune tecniche narrative che più tardi saranno riprese anche da Ariosto.
narrative Due in particolare appaiono degne di nota: la simulazione dell’oralità e la libertà dell’inven-
zione. Boiardo non si limita a narrare le vicende di Orlando, Angelica e Ruggiero, ma si rivolge
al pubblico e accompagna l’entrata e l’uscita dei suoi personaggi con formule che stimolano la
curiosità o creano suspense: è come se la voce del canterino e la dimensione dell’oralità risuo-
nassero nella pagina scritta, diventando uno dei tanti elementi del gioco colto e raffinato della
narrazione. Boiardo è inoltre estremamente libero nell’invenzione di situazioni ed episodi,
che germogliano l’uno dall’altro, accompagnati dalla voce del narratore, in un ininterrotto suc
cedersi di situazioni e di ambienti. Se Ariosto saprà governare questa tecnica narrativa con
maggiore equilibrio e genialità, la freschezza delle invenzioni di Boiardo trasmette ancora og
gi al lettore colto la suggestione di un mondo pieno di fiducia e di gusto della vita, la sensazio
ne di trovarsi nell’età dell’oro delle corti italiane.
FACCIAMO IL PUNTO
Qual era la politica culturale perseguita dagli Estensi?
Quali sono le novità dell’Orlando innamorato rispetto al poema cavalleresco di Pulci?
712
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
21 PARAFRASI
Però che in capo della sala bella 21 Poiché (Però che) all’entrata (in capo) della
Quattro giganti grandissimi e fieri bella sala [: del palazzo di Carlo Magno] entrarono
(Intrarno) quattro giganti grandissimi e fieri, e in
Intrarno, e lor nel mezzo una donzella, mezzo a loro (e lor nel mezzo) una fanciulla, che
Che era seguìta da un sol cavallieri. era seguita da un solo cavaliere [: suo fratello Ar-
Essa sembrava mattutina stella1 galia]. Ella sembrava la stella del mattino, un gi-
glio di orto, la rosa di un giardino (verzieri): in-
E giglio d’orto e rosa de verzieri:2 somma, per dire la verità su di lei, non fu mai vi-
In somma, a dir di lei la veritate, sta una bellezza così grande (tanta beltate).
Non fu veduta mai tanta beltate.
[…]
29
Al fin delle parole ingenocchiata 29 Alla fine delle [sue] parole, [Angelica] atten-
Davanti a Carlo attendia risposta. deva (attendia) risposta inginocchiata davanti a
Carlo. Ognuno (Ogni om) l’ha fissata (mirata)
Ogni om per meraviglia l’ha mirata, con stupore (per meraviglia), ma Orlando si avvi-
Ma sopra tutti Orlando a lei s’accosta cina a lei con cuore tremante [: emozionato] e
Col cor tremante e con vista cangiata, con aspetto turbato (vista cangiata; cangiata =
‘cambiata’) più di tutti (sopra tutti), benché te-
Benché la voluntà tenìa nascosta; nesse (tenìa = ‘teneva’) nascoste le [proprie] in-
E talor gli occhi alla terra bassava, tenzioni (la voluntà); e talvolta abbassava (bassa-
Ché di se stesso assai si vergognava. va) gli occhi in terra, perché si vergognava molto
di se stesso.
30
«Ahi paccio Orlando!» nel suo cor dicia 30 Diceva (dicia) nel proprio cuore [: tra sé e sé]:
«Come te lasci a voglia trasportare! «Ahi pazzo (paccio) Orlando, come ti lasci tra-
sportare secondo i capricci [di altri] (a voglia)!
Non vedi tu lo error che te desvia, Non vedi l’errore che ti svia (desvia) e ti fa errare
E tanto contra a Dio te fa fallare?3 (fallare) tanto contro Dio? Dove mi conduce
Dove mi mena la fortuna mia? (mena) il mio destino (fortuna)? Mi vedo cattu-
rato (preso) [dall’amore] e non posso liberarmi
Vedome preso e non mi posso aitare; (aitare = ‘aiutare’); io, che consideravo tutto il
Io, che stimavo tutto il mondo nulla, mondo niente, sono vinto senza armi da una fan-
Senza arme vinto son da una fanciulla. ciulla.
Metrica: ottave. 2 giglio d’orto e rosa de verzieri: sono me- a Dio: essendo un paladino della fede e per
tafore della poesia popolare per indicare la di più già sposato, egli non dovrebbe infatti
bellezza femminile. perdersi dietro una donna. Il lamento d’a-
3 Non vedi tu lo error...fa fallare?: l’inna- more di Orlando (ottave 30-31) allude al
1 mattutina stella: è il pianeta Venere. moramento di Orlando è un error… contra linguaggio della lirica tre-quattrocentesca.
713
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
31
Io non mi posso dal cor dipartire 31 Io non mi posso allontanare (dipartire) dal
La dolce vista del viso sereno, cuore la dolce visione (vista) del viso sereno [di
Angelica], perché, senza di lei, io mi sento morire e
Perch’io mi sento senza di lei morire, venir meno lo spirito [: morire] a poco a poco. Ades-
E il spirito a poco a poco venir meno, so non mi servono (val) né la forza né il coraggio
Or non mi val la forza, né lo ardire contro [il dio] Amore, che mi ha già messo il freno
[: ridotto in suo potere]; e non mi servono (giova)
Contra d’Amor, che m’ha già posto il freno; né la saggezza (saper) né il consiglio di altri, perché
Né mi giova saper, né altrui consiglio. io vedo [quello che sarebbe] meglio [fare], ma mi
Ch’io vedo il meglio ed al peggior m’appiglio». attengo (m’appiglio) al peggio (al peggior)».
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
Una donna bellissima e Orlando innamorato
Il brano può essere diviso in due parti:
1) la bellissima Angelica avanza nella sala del palazzo di Carlo Magno difesa da quattro giganti, le cui
enormi proporzioni la fanno apparire ancora più piccola. È seguita dal fratello Argalia, giunto a corte
per partecipare alla giostra annuale;
2) dopo aver ascoltato il discorso di Angelica, che ha proposto la propria mano al vincitore della giostra,
tutti i presenti aspettano la risposta di Carlo Magno. Nel frattempo il paladino Orlando si dispera in
cuor suo perché profondamente innamorato della donna sin da questo primo incontro.
A quali ottave corrispondono le parti in cui si può dividere il testo?
ANALISI
La struttura cinematografica della scena
La scena dell’apparizione di Angelica è costruita secondo una struttura d’effetto, che oggi diremmo
cinematografica: la donna appare in fondo alla sala in mezzo a un gruppo di quattro giganti, seguita dal
fratello. Successivamente l’attenzione si focalizza sulla sua bellezza. Infine, si sposta sui cavalieri per
registrare gli effetti che essa ha su di loro: Orlando è diviso tra l’attrazione irresistibile che prova per
Angelica e la consapevolezza che questo sentimento è un «error», peggio: una colpa contro Dio.
Individua nel testo quali sono gli elementi che fanno pensare a una scena da cinema.
Sottolinea nel testo le reazioni di Orlando alla vista di Angelica.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
L’atteggiamento verso la materia cavalleresca
Boiardo intende ridare attualità ai valori di cortesia della tradizione cavalleresca. Tuttavia egli non li con-
sidera con serietà. In questo testo, per esempio, un grande personaggio epico come Orlando ha ormai
ben poco di eroico e di solenne. L’amore lo rende umano, ma lo abbassa anche al rango dei comuni
borghesi. L’abbassamento della materia cavalleresca è implicito nel fatto che la molla dell’azione nar-
rativa nel poema non è individuata in qualche impresa a difesa della fede cristiana, ma nel sentimento
d’amore che travolge i cavalieri e che rende pazzo Orlando.
Tenendo presente il monologo di Orlando, spiega quale novità è introdotta da Boiardo nella tradizione
cavalleresca.
714
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
Bradamante e Ruggiero
Bradamante è una fanciulla cristiana che si veste e si comporta come un valoroso cavaliere. Mentre va a
Parigi a portare aiuto a Carlo Magno, la giovane viene assalita da Rodomonte e difesa da un cavaliere a lei
sconosciuto, il musulmano Ruggiero. Allontanatosi Rodomonte, Bradamante e Ruggiero restano soli. La
donna chiede a Ruggiero chi sia ed egli risponde di essere discendente di Ettore difensore di Troia. Men-
tre Ruggiero parla, Bradamante lo guarda e se ne innamora.
I TEMI donna-guerriera motivo erotico
38 PARAFRASI
Non avea tratto Bradamante un fiato, 38 Bradamante non aveva fatto un respiro (trat-
Mentre che ragionava a lei Rugiero, to…un fiato), mentre Ruggiero le parlava, e mille
volte lo aveva riguardato, dalle staffe [: dai piedi]
E mille volte lo avea riguardato fino su al cimiero [: alla decorazione posta sull’el-
Giù dalle staffe fin suso al cimero; mo]; e tanto gli pareva ben fatto [: bello di corpo-
E tanto gli parea bene intagliato, ratura] (bene intagliato), che non riusciva a pen-
sare a un’altra cosa: [così tanto] desiderava (disia-
Che ad altra cosa non avea il pensiero: va) potergli vedere il viso, [piuttosto] che vedere
Ma disiava più vederli il viso aperta [la porta del] paradiso.
Che di vedere aperto il paradiso.
39
E stando così tacita e sospesa, 39 1-4 [Bradamante] rimase così in silenzio e in
Rugier sogionse a lei: – Franco barone,1 attesa (tacita e sospesa), Ruggiero le soggiunse
(sogionse): – Nobile barone (Franco barone), sa-
Volentier saprebbi io, se non ti pesa, prei (saprebbi) volentieri, se non ti pesa [dirme-
Il nome tuo e la tua nazïone, – lo] il tuo nome e la famiglia (nazïone = ‘nascita’).
E la donzella, che è d’amore accesa, 5-8 E la donzella, che brucia d’amore, gli rispose
con questo discorso (sermone): – Potessi tu vede-
Rispose ad esso con questo sermone: re (vedestù = ‘vedessi tu’) il [mio] cuore, ma non
– Così vedestù il cor, che tu non vedi,2 lo vedi, così io ti mostrerò (mostrarò) ciò che mi
Come io ti mostrarò quel che mi chiedi. chiedi.
40
Di Chiaramonte nacqui e di Mongrana.3 40 Sono nata dalle famiglie Chiaramonte e Mon-
grana. Non so se sai niente di queste stirpi (ge-
Non so se sai di tal gesta nïente,
sta), ma la fama altissima (soprana) di Ranaldo
Ma di Ranaldo la fama soprana [che appartiene alla famiglia Chiaramonte] po-
Potrebbe essere agionta a vostra gente. trebbe essere giunta (agionta) tra il vostro popo-
A quel Ranaldo son sôra germana; lo [: gli africani, poiché Ruggiero milita nel loro
esercito]. Sono sorella carnale (sôra germana) di
E perché tu mi creda veramente, quel Ranaldo, e affinché tu mi creda veramente, ti
Mostrarotti la faccia manifesta –; mostrerò chiaramente (manifesta) il mio volto; –
E così lo elmo a sé trasse di testa. e così si tolse (trasse) l’elmo dalla testa.
Metrica: ottave. ella è completamente coperta dall’armatura. 3 Chiaramonte...Mongrana: sono due nobili
2 che tu non vedi: se infatti Ruggiero vedes- famiglie di vassalli di Carlo Magno.
1 Franco barone: Ruggiero non ha ancora se il cuore di Bradamante, capirebbe che ella
capito che Bradamante è una donna, poiché si è innamorata di lui.
715
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
41
Nel trar de l’elmo si sciolse la treccia, 41 1-2 Quando si tolse (Nel trar) l’elmo la trec-
Che era de color d’oro allo splendore. cia [di capelli] si sciolse, che era dorata per lo
splendore (allo splendore).
Avea il suo viso una delicateccia 3-8 Il suo viso aveva una delicatezza unita al co-
Mescolata di ardire e de vigore; raggio (ardire) e alla forza (vigore), e le labbra, il
E labri, il naso, e cigli e ogni fateccia naso, le ciglia e ogni fattezza sembravano dipinti
da (depenti per) dalla mano di Amore, ma gli oc-
Parean depenti per la man de Amore, chi avevano una dolcezza così intensa (un dolce
Ma gli occhi aveano un dolce tanto vivo, tanto vivo), che non si può (pôssi) dire, e io non
Che dir non pôssi, ed io non lo descrivo. lo descrivo.
42
Ne lo apparir dello angelico aspetto 42 1-4 All’apparire (Ne lo apparir) di un aspetto
Rugier rimase vinto e sbigotito, [così] angelico, Ruggiero rimane vinto e turbato
(sbigotito), e si sentì (sentissi) tremare il cuore
E sentissi tremare il core in petto, dentro al petto [: per l’emozione], sembrandogli
Parendo a lui di foco esser ferito. di essere ferito dal fuoco [: la passione amorosa].
Non sa pur che si fare il giovanetto: 5-8 Il giovanotto non sa neppure (pur) che cosa
fare (che si fare): non aveva il coraggio (era…ardi-
Non era apena di parlare ardito. to) nemmeno (apena) di parlare. Non l’aveva te-
Con l’elmo in testa non l’avea temuta, muta [quando aveva] l’elmo in testa [: quando l’a-
Smarito è mo che in faccia l’ha veduta. veva vista combattere], è smarrito adesso (mo)
che l’ha vista in faccia.
43
Essa poi cominciò: – Deh bel segnore! 43 1-4 Ella (Essa) poi cominciò a parlare: – Deh
Piacciavi compiacermi solo in questo, bel signore! Siate così gentile da (Piacciavi = ‘Vi piac-
cia’): compiacermi solo in questo, che se mai porta-
Se a dama alcuna mai portasti amore, ste (portasti) amore a qualche dama, che io possa
Ch’io veda il vostro viso manifesto. – vedere apertamente (manifesto) il vostro viso.
Così parlando odirno un gran rumore; 5-8 Parlando così udirono (odirno) un gran ru-
more; disse Ruggiero: – Ah [mio] Dio! Che cosa
Disse Rugiero: – Ah Dio! Che serà questo? – sarà questo [rumore]?– Presto si gira e vede uomi-
Presto se volta e vede gente armata, ni armati, che vengono correndo verso di loro (a
Che vien correndo a lor per quella strata. lor) per quella strada (strata).
ANALISI Una lingua basata sui dialetti del Nord Nell’Orlando innamorato Boiardo compie una sin-
golare scelta linguistica, lontana dalla normalizzazione toscana della lingua che di lì a poco
sarebbe stata proposta da Bembo nelle Prose della volgar lingua. Boiardo sceglie una varietà
di soluzioni, in cui è forte l’elemento emiliano e, più in generale, “padano”. Non mancano
quindi tratti che risentono dei dialetti dell’Italia settentrionale: si noti, come esempio, la ten-
denza allo scempiamento delle consonanti doppie se poste tra due vocali («sogionse»,
«agionta», «labri» «fateccia»). La lingua e lo stile sono spontanei e immediati, per stabilire un
rapporto diretto con il pubblico.
716
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
Bradamante,
acquaforte di Aligi
Sassu del 1974
(particolare).
INTERPRETAZIONE La donna-guerriera e il tema erotico Il motivo della donna-guerriera, che risale alla figura
E COMMENTO di Camilla nell’Eneide, viene ripreso da Boiardo con Bradamante, la cui figura tornerà nell’Or-
lando furioso di Ariosto. In Tasso la donna-guerriera sarà Clorinda, uccisa da Tancredi, che pure
ne è innamorato ma che non l’ha riconosciuta sotto l’armatura da guerriero.
In Boiardo il motivo guerresco si fonda con quello erotico: già nella strofa 38 Bradamante si
innamora di Ruggiero per la prestanza fisica del cavaliere («tanto gli parea bene intagliato»).
L’erotismo, appena accennato, raggiunge il culmine nell’ottava 41, quando la fanciulla si toglie
l’elmo con la scusa di mostrare la somiglianza con il fratello Rinaldo, ma in realtà per offrire
la propria bellezza agli sguardi di Ruggiero: a questo punto, la bionda treccia raccolta sotto il
copricapo si scioglie e la giovane appare in tutta la sua dolcezza e delicatezza. L’incanto è
breve: ecco di nuovo il rumore delle armi, che fa ritornare i due personaggi al tumulto dei duelli
e alla crudeltà della guerra.
COMPRENSIONE ANALISI
1. Con quale scusa Bradamante si toglie l’elmo per 3. La descrizione della bellezza di Bradamente è affi-
mostrarsi a Ruggiero? data a temi e immagini tipici della poesia stilnovista:
quale tratto se ne discosta? Individualo nel testo.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
2. Il dialogo tra Bradamante e Ruggiero viene inter- 4. Trattazione sintetica In una breve trattazione
rotto: perché? (max 15 righe) confronta l’apparizione di Bradamante
a Ruggiero con la comparsa di Angelica alla corte di
Carlo Magno ( T2, p. 713): da quale punto di vista
Boiardo descrive le due bellezze femminili?
717
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Al servizio Nel 1503 viene assunto dal cardinale Ippolito d’Este e, nello Ordini minori Nella Chiesa
del cardinale stesso anno, prende gli ordini minori (che lo obbligano al celi- cattolica (fino al Concilio Vati-
Ippolito d’Este cano II, 1962-1965) si chiama-
bato) per ottenere alcuni benefici ecclesiastici e quindi poter vi- no “ordini minori” i vari mini-
vere di rendita. Inizia così un periodo di intense attività legate steri ecclesiastici che non com-
alla vita di corte, con numerosi spostamenti e viaggi. Va a Bolo- portavano una vera e propria
ordinazione sacramentale, ma
gna, poi a Mantova presso Isabella d’Este, alla quale confida di conferivano lo stato giuridico
essere impegnato nella scrittura di un poema sulla pazzia di Or- di chierico a chi li riceveva. Chi
lando. Il ricco epistolario di Ariosto, schietto e diretto nei toni, ne beneficiava aveva il divieto
di sposarsi.
documenta bene la sua non sempre facile esperienza biografica e
1474 1484
Nasce l’8 settembre La famiglia di Ariosto
vi si trasferisce.
1497
Entra al servizio della
Ferrara corte estense.
Reggio Emilia 1503
È assunto dal cardinale
1522-1525 Ippolito d’Este.
Garfagnana
È commissario ducale 1525
e qui affronta numerosi Vi ritorna e si dedica alla
problemi di governo revisione del poema. Qui
muore il 6 luglio del 1533
Roma
1509-1513
Vi compie numerose
ambascerie su incarico del
cardinale Ippolito d’Este
718
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
quella creativa. Nei primi decenni del Cinquecento Ariosto compone numerose poesie in vol-
gare, che risentono dell’influsso di Petrarca e del petrarchismo sostenuto dall’amico Pietro
Bembo, anche se non mancano rielaborazioni originali, attraverso le quali egli utilizza sugge-
stioni di autori classici e quattrocenteschi.
Dalle prime Tra il 1508 e il 1509 vanno in scena le prime commedie ariostesche: La Cassaria e I Supposi-
commedie ti. Nel 1509 nasce il figlio Virginio, che Ariosto ha con una popolana all’interno di un’unione il-
all’Orlando furioso
legittima: nonostante questo, egli riconosce il bambino come suo figlio. Nel 1512 fugge rocam-
bolescamente da Roma, dove si era recato insieme al duca Alfonso d’Este, in seguito alla rottu-
ra dei rapporti diplomatici tra il papa Giulio II e la casata ferrarese. Nel 1515 il poeta stringe
una relazione con la nobildonna ferrarese Alessandra Benucci, che sposerà poi in gran se-
greto, per non perdere i benefici ecclesiastici, nel 1528.
DIGIT
VIDEOLEZIONE DI PIETRO CATALDI VIDEOLEZIONE
Flipped classroom
Quali sono i grandi temi dell’Orlando furioso? Ascolta la videolezione di Cataldi appuntando le informazioni che ti aiutano
a rispondere a questa domanda. Alla fine della lezione, rileggi gli appunti per individuare quali temi dell’opera siano stati
analizzati e messi in risalto dallo studioso.
In classe confronta i temi che hai selezionato con quelli individuati dagli altri compagni. Con la guida dell’insegnante, scri-
vi sulla lavagna l’elenco dei temi-chiave ariosteschi emersi dalla discussione e dalla riflessione di gruppo.
719
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Maestro di Tavarnelle
(o Maestro dei
Cassoni Campana),
Teseo e il Minotauro,
1500-1525.
Avignone, Musée
du Petit Palais.
La prima edizione Nel 1516 esce a Ferrara la prima edizione dell’Orlando furioso, in quaranta canti. Il successo
dell’Orlando furioso è grande e immediato. L’Orlando furioso riprende e prosegue la materia cavalleresca trattata da
Boiardo nell’Orlando innamorato, spesso in chiave ironica e rivolgendola a nuovi significati: il
gusto dell’avventura lascia il posto a una riflessione sulla condizione umana, sulla forza in-
controllabile della fortuna che guida i fatti, sul potere dell’immaginazione e della capaci-
tà artistica. Il capolavoro di Ariosto segna quindi sia il trionfo dello spirito rinascimentale,
nella sua compostezza equilibrata, espressione di un distacco e di una serenità capaci di con-
trollare le passioni, sia la consapevolezza della precarietà umana, in balìa dei capricci della for-
tuna, in cui si registra il fallimento quasi completo di tutte le ricerche e di tutti i desideri dei
protagonisti.
Al servizio di Nel 1517 si verifica una nuova svolta nella vita del poeta: Ludovico si rifiuta di seguire Ippo-
Alfonso d’Este lito nella nuova sede vescovile in Ungheria e l’anno successivo entra a servizio dal duca Al-
fonso d’Este, fratello di Ippolito. I fatti sono narrati nelle Satire I e III. Ma la corte estense, in
difficoltà economica, nel 1521 (anno in cui esce la seconda edizione del Furioso) gli sospende
lo stipendio. Il poeta è così costretto ad accettare lo sgradito incarico di Commissario duca-
le in Garfagnana (15221525), territorio impervio e lontano da Ferrara. In questo periodo scri
ve le Satire IV, VI e VII, nonché la maggior parte delle lettere che formano il suo importante epi
stolario.
Le opere teatrali Rientrato a Ferrara nell’ottobre del 1525, può finalmente tornare con tranquillità al lavo
della maturità, ro letterario e dedicarsi in particolare alla revisione linguistica del Furioso. Dopo circa un
la revisione del
Furioso e la morte decennio di riflessione, Ariosto ritorna a comporre opere teatrali. Le commedie di questo
periodo sono scritte in versi per ottenere un tono più sostenuto, e anche La Cassaria e I Sup-
positi, originariamente in prosa, sono riscritte in versi. Nel 1528, l’anno in cui Ariosto è no
minato soprintendente agli spettacoli ducali, vengono rappresentate Il Negromante e La Le-
na, forse la sua commedia più riuscita. Ariosto pubblica nel 1532 la terza edizione del Furio-
so, ampliata a quarantasei canti e rivista nello stile, sulla base dei precetti sostenuti da Pietro
Bembo. Ancora impegnato nell’ennesima revisione del poema, che non porterà mai a termi
ne, muore il 6 luglio 1533.
FACCIAMO IL PUNTO
Per quale importante famiglia Ariosto lavora per gran parte della sua vita?
Oltre al poema Orlando furioso, a quali altri generi si dedica Ariosto?
720
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
6 La poetica di Ariosto
Il poeta Ariosto è per definizione il poeta dell’equilibrio rinascimentale. Nell’Orlando furioso, il suo
dell’equilibrio capolavoro, dominano sovrani il piacere dell’invenzione fantastica, la gioia del narrare, l’a-
spirazione alla bellezza e all’armonia, tanto sul piano delle strutture narrative quanto su
quello linguistico e metrico. Allo stesso modo, in Ariosto troviamo l’esaltazione dei principi
umanistici e degli ideali di vita cortesi: la cultura e la letteratura in particolare sono il luogo
in cui quei principi e quei valori vengono elaborati, e la corte ferrarese è presentata come lo
spazio reale in cui essi prendono consistenza e forma.
Elementi di L’immagine di Ariosto come «poeta dell’armonia», proposta nella prima metà del Novecento da
contraddizione Benedetto Croce, è stata tuttavia in parte corretta man mano che gli studi sul Rinascimento
hanno messo in rilievo le tensioni e i conflitti di quest’epoca. Lo stesso Ariosto del resto, so-
prattutto nelle Satire, mostra anche gli aspetti meno gradevoli della condizione dell’intellet-
tuale al servizio dei potenti: la mancanza di libertà, la necessità di scendere a compromessi e
il rischio di inimicarsi la corte. In modo più ambiguo, lo stesso poema di Ariosto prende cau-
tamente le distanze dalla poetica rinascimentale: è la sottile ma onnipresente ironia
dell’autore a mettere in dubbio ogni valore assoluto e ogni ideale di poesia, di bellezza e di
eroismo. Insomma, la poetica di Ariosto va certamente inquadrata nella temperie culturale del
Rinascimento ma ce ne dà un’immagine aperta e problematica. Proprio per questo la sua ope-
ra principale, l’Orlando furioso, è considerato un capolavoro assoluto.
FACCIAMO IL PUNTO
Quali elementi rinascimentali sono presenti nell’Orlando furioso?
In che modo, nel suo capolavoro, Ariosto prende le distanze dalla poetica rinascimentale?
Giorgio De Chirico,
Corazze con cavaliere
(natura morta
ariostea), 1940.
Collezione privata.
721
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
7 La forma e lo stile
La regolarizzazione Sul piano dello stile, l’aspetto più rilevante della poetica di Ariosto è la regolarizzazione lingui-
linguistica stica in senso toscano perseguita sia nella lirica sia, e soprattutto, nel poema. Già nella prima
edizione del Furioso (1516) si può notare un certo allontanamento dalla lingua “padana”
dell’Orlando innamorato di Boiardo, ma è soprattutto con la terza edizione (1532) che Ariosto
dà una forma toscana alla sua opera: elimina i dialettalismi settentrionali e i latinismi per av-
vicinarsi il più possibile al modello linguistico di Petrarca, seguendo le indicazioni di
Bembo e delle Prose della volgar lingua (1525).
Petrarca: Il modello di Petrarca, adottato da Ariosto anche nelle rime, non è imitato solo a livello lingui-
un modello non stico. Molte sono infatti le citazioni e le allusioni intertestuali al Canzoniere, e molte sono
solo linguistico
soprattutto le riprese stilistiche da Petrarca che Ariosto adotta nel suo poema: l’attenzione al-
le simmetrie e agli equilibri interni del verso, l’uso delle dittologie («l’ire e i giovenil furori»).
Anche la metrica dell’Orlando furioso è riconducibile all’ideale petrarchesco di musicalità e di
armonia: l’ottava, come abbiamo visto, è un metro di
Dittologia Figura retorica che consiste nel
origine popolare, ma Ariosto ne dà una versione partico- l’esprimere un concetto attraverso una coppia
larmente raffinata, usa con discrezione l’enjambement di aggettivi o nomi, con significato simile o
ed evita la ripetitività cercando piuttosto la varietà. equivalente («a passi tardi e lenti», Petrarca).
FACCIAMO IL PUNTO
A quale ideale linguistico Ariosto cerca di adattarsi nel suo poema?
Quale autore può essere considerato un modello per Ariosto dal punto di vista della forma e dello stile?
Cecco Bravo,
Angelica e Ruggiero,
1640. Chicago,
Smart Museum of Art.
722
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
8 La lirica di Ariosto
La lirica di Ariosto Accanto alle opere maggiori, si colloca la produzione lirica, parte in latino e parte in volga-
e il modello re. Mentre la prima, formata da quasi settanta testi, ha carattere prevalentemente erudito e
petrarchesco
valore documentario, la produzione lirica in italiano, più abbondante (87 componimenti), ha
un interesse maggiore.
La lirica in volgare La produzione lirica in italiano non fu mai raccolta dall’autore in un canzoniere organico ed ap-
parve postuma nel 1546. Essa rivela l’influenza del modello petrarchesco, anche sulla base
delle indicazioni rigorosamente imitative proposte nelle Prose della volgar lingua (1525) dall’a-
mico Pietro Bembo: Ariosto adotta il fiorentino letterario trecentesco e tratta quasi esclusi-
vamente di temi amorosi. Anche le forme metriche sono quelle della tradizione petrarchesca
(sonetti, madrigali, canzoni), ma con la vistosa eccezione di un genere narrativo come il capi-
tolo in terza rima: ben ventisette componimenti adottano questo metro e presentano caratte-
DIGIT ristiche analoghe alle Satire. Anche in questo ambito minore della sua attività artistica, Ariosto
TESTI
Ludovico Ariosto, mostra una straordinaria capacità di stare in equilibrio tra modelli diversi, e in particolare tra
«Chiuso era il sol
da un tenebroso il rigido classicismo del nuovo codice rinascimentale imposto soprattutto dall’autorità di
velo» Bembo e modelli più liberi e sperimentali.
LA PRODUZIONE LIRICA
FACCIAMO IL PUNTO
Come è composta la produzione lirica di Ariosto?
Quali forme metriche Ariosto adopera nella sua produzione lirica in volgare?
9 Autobiografia e scrittura:
le Satire e l’epistolario ariostesco
Le Satire
La struttura Le sette Satire (scritte fra il 1517 e il 1525 e diffuse dall’autore attraverso copie manoscritte de-
dialogica e il tono stinate a pochi amici) sono, dopo l’Orlando furioso, l’opera più importante di Ariosto. Esse
colloquiale
prendono sempre spunto da eventi biografici e rispondono per lo più a un bisogno di difen-
dersi dalle accuse dei propri detrattori o di affermare il proprio punto di vista su vicende
DIGIT
TESTI controverse. Questi componimenti in versi presentano infatti una struttura dialogica: Ario-
Ludovico Ariosto,
Un ideale di vita sto si rivolge a vari interlocutori, rispondendo alle loro domande e perfino alle loro accuse. Il
minimalista tono è dimesso e colloquiale: pur impiegando come metro la terzina dantesca, la Satire si
caratterizzano per un tono confidenziale, che ben si addice alla scelta di temi autobiografici,
lontani da ogni intento celebrativo e solenne. Le Satire sono lo sfogo di un intellettuale cor-
tigiano, che vive da un lato la marginalità della condizione dell’uomo di lettere e dall’altro la
crisi di un intero modello di società.
723
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Un genere All’interno dei testi troviamo racconti con funzione dimostrativa, proverbi, personaggi se-
alternativo condari: una ricchezza che già nella struttura e nei temi si colloca ben al di fuori del model-
al petrarchismo
lo “puro” di Petrarca, che, come sappiamo, si concentrava quasi esclusivamente sull’amore e
sull’introspezione. Ariosto sceglie con le Satire un genere alternativo a quello della lirica e del
petrarchismo. I sui modelli principali sono le Satire e le Epistole del poeta latino Orazio.
La Satira I: Tra le sette satire ariostesche, spicca la Satira I, composta nel 1517 e indirizzata al fratello Alessandro e
la difesa della all’amico Ludovico Da Bagno. Qui Ariosto espone i motivi per i quali si è rifiutato di seguire il cardi-
propria libertà
nale Ippolito in Ungheria. Dalle umili ragioni (soprattutto di salute) il poeta passa infine alla rivendi-
cazione della propria dignità, dichiarandosi deciso a difendere la libertà a ogni costo ( T4).
L’epistolario
Una scrittura L’elemento autobiografico segna anche la scrittura delle lettere, che diversamente dalle Satire
concreta e diretta hanno però carattere privato e pratico. A differenza dei grandi modelli che lo precedono, a
partire da quello di Petrarca, l’epistolario di Ariosto si rivela ancorato a situazioni reali, trattate
nel modo più diretto possibile; è dunque molto lontano dal genere dell’epistolografia umani-
stica. Ariosto non mira a fornire un ritratto idealizzato di sé, ma a comunicare in modo il più
possibile autentico e concreto gli avvenimenti del proprio mondo psicologico, affettivo e intel-
L’OPERA
LE SATIRE
stile colloquiale
Forme struttura dialogica
ironia
autobiografici
Temi
difesa del proprio punto di vista
724
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
L’OPERA
L’EPISTOLARIO
lettuale; oppure a documentare momenti significativi della vita vissuta. Lo stile concreto e
diretto sa rappresentare una grande varietà narrativa di tipi umani e di situazioni, facendo tra-
pelare, in ogni caso, lo spessore umano dell’autore.
Delle oltre duecento lettere finora ritrovate, circa due terzi appartengono al triennio in cui
Ariosto fu Commissario ducale in Garfagnana (1522-1525). In molte di queste lettere, il poeta
esprime il proprio disagio e le difficoltà concrete di amministrare un territorio montuoso e
impervio, costantemente minacciato dalla presenza dei briganti ( T5, p. 728).
FACCIAMO IL PUNTO
A quali modelli Ariosto si rifà per la composizione delle Satire nella scelta del metro e dei temi?
Quale argomento viene trattato nella Satira I?
Metrica: terzine di endecasillabi a rima inca- 1 Apollo...Muse: l’invocazione ad Apollo e nità protettrici e ispiratrici della poesia.
tenata (o dantesca). alle Muse, comune alla poesia alta, viene 2 Culiseo...sugello: gettarli via, mandarli “a
qui trasformata in una sorta di rimprovero quel paese”, come suggerisce il gioco di pa-
carico di ironia che il poeta rivolge alle divi- role scurrile con Culiseo.
725
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Non vuol che laude sua da me composta [Ippolito] non vuole che una lode [poetica] da me
per opra degna di mercé si pona; composta in onore suo sia considerata (si pona)
opera degna di ricompensa (mercé); degno di ri-
di mercé degno è l’ir correndo in posta. compensa è [invece] l’andar (ir) correndo nelle
stazioni di posta. [Egli] dona a chi lo segue nel
100 A chi nel Barco3 e in villa il segue, dona, Barco e in villa, a chi lo veste e[lo] spoglia, o [a chi
fin] dal primo pomeriggio (a nona) ponga in fre-
a chi lo veste e spoglia, o pona i fiaschi sco nel pozzo i fiaschi [di vino] per la sera; [o a co-
nel pozzo per la sera in fresco a nona;4 lui che] vegli (vegghi) la notte fino all’ora in cui [i
fabbri] Bergamaschi si alzano (levino) a fare chio-
di [: all’alba], così che spesso cada addormentato
vegghi la notte, in sin che i Bergamaschi
con la torcia (torchio) in mano. Se io l’ho lodato
se levino a far chiodi,5 sì che spesso nei miei versi, dice che l’ho fatto a mio piacere e
105 col torchio in mano addormentato caschi. per passatempo (in ocio = ‘per ozio’); più gradito
[a lui] sarebbe stato (fòra) l’essergli stato appres-
so. E se mi ha associato al Costabili [nel beneficio]
S’io l’ho con laude ne’ miei versi messo, della cancelleria [arcivescovile] di Milano (a Me-
dice ch’io l’ho fatto a piacere e in ocio; lan), così che io usufruisco (ho) di un terzo di
più grato fòra essergli stato appresso. quello che viene al notaio per ogni affare (nego-
cio), ciò avviene (gli è) perché qualche volta io
sprono e sferzo [i cavalli] cambiando le bestie e le
E se in cancellaria m’ha fatto socio [loro] guide perché devo correre in fretta per
110 a Melan del Constabil, sì c’ho il terzo monti e balze, scherzando con la morte.
di quel ch’ al notaio vien d’ogni negocio,
115 Fa a mio senno, Maron:8 tuoi versi getta 115 1-123 Segui il mio consiglio (Fa a mio sen-
con la lira in un cesso, e una arte impara, no), Marone: getta i tuoi versi con la tua arte (li-
ra) in un cesso, e, se vuoi [godere di] benefici [ec-
se beneficii vuoi, che sia più accetta. clesiastici], impara un’arte che sia più gradita [al
cardinale]. Ma una volta (tosto) che ne hai [otte-
Ma tosto che n’hai, pensa che la cara nuti], pensa che hai perduto la tua preziosa (cara)
libertà non meno che se te la fossi (avessi) giocata
tua libertà non meno abbi perduta d’azzardo (a zara); e che questa tua condizione
120 che se giocata te l’avessi a zara; non cambia mai più, anche se tu e il cardinale
(egli) viveste [fino] alla età del canuto Nestore.
e che mai più, se ben alla canuta
età vivi e viva egli di Nestorre,9
questa condizïon non ti si muta.
L. Ariosto, Satire, a cura di C. Segre, Einaudi, Torino 1987.
3 Barco: bellissimo parco degli Este, sulla seguire il cardinale in Ungheria: gli fu prefe- 9 Nestorre: Nestore, l’omerico re di Pilo,
riva del Po, adoperato come bosco da caccia rito invece Celio Calcagnini. proverbiale saggio vissuto per tre secoli.
e serraglio per i cavalli.
4 nona: si tratta della nona ora del giorno,
LA LINGUA NEL TEMPO
che i Romani facevano iniziare dalle sei del
mattino, corrispondente dunque alle quin- Mercé Il termine «mercé» (qui ai v. 88 e 98) deriva dal latino mercèdem, che significa ‘ricom-
dici; con lo stesso nome si intende anche la pensa, paga, premio’. Da questa accezione deriva anche “mercenario”, che indica un soldato a
liturgia che si recita appunto a quell’ora. pagamento. Nel linguaggio religioso, il termine “mercé” assume soprattutto il significato di
5 in sin che i Bergamaschi...chiodi: perifra- ‘pietà, compassione, grazia’. Ariosto usa «mercé» nei due sensi: al v. 98 con il primo significa-
si per “fino all’alba”; i Bergamaschi erano i to, mentre al v. 88 con il secondo. Nell’italiano di oggi, questa parola è rimasta in alcune espres-
fabbri per antonomasia. sioni colte, come “chiedere mercé”, cioè ‘chiedere aiuto’, ed “essere alla mercé di qualcuno”, cioè
6 io sprono...guide: numerosi i pericoli cor- ‘sottostare alle sue volontà’.
si da Ariosto per i suoi signori, attestati in
Negozio Il termine “negozio” (qui al v. 111 nella variante antica «negocio») deriva dal latino
varie lettere.
negotium, composto da nec, cioè ‘non’, e otium, cioè ‘ozio’. La parola originariamente indica un
7 con la morte scherzo: Petrarca, Canzo-
affare o un’occupazione, anche di natura commerciale (“ho fatto un cattivo negozio acquistan-
niere, 128, 67 (Capitolo 5, T10, v. 67, p. 343).
do quella partita di spezie”). Il senso attuale è invece quello di ‘locale per i commerci’ (“un nego-
8 Maron: Andre Marone, poeta bresciano
zio di abiti in via del Corso”).
che, al contrario di Ariosto, avrebbe voluto
726
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
ANALISI Un dialogo con altre voci Le Satire hanno una struttura dialogica. Il soggetto poetico si
rivolge a vari interlocutori, confrontandosi con le loro posizioni: c’è un io che si mette di conti-
nuo in rapporto con gli altri, con le loro scelte diverse, con le loro differenti opinioni, addirittura
con le loro possibili reazioni. Così all’obiezione di Apollo (v. 91: «“Oh! il signor t’ha dato…”»),
il poeta risponde (v. 91 e seguenti: «io ve ’l conciedo, / tanto […]»). L’io delle Satire è cioè un
io problematico, la cui voce sa di risuonare tra altre voci, alle quali deve rendere conto, anche
concedendo loro uno spazio all’interno del testo. Di qui la differenza dalla lirica alta, in cui,
invece, risuona la sola voce del soggetto poetico.
Il linguaggio usato da Ariosto nelle Satire è colloquiale e assorbe in sé immagini e lessico rea-
listici (vv. 103-105), se non addirittura scurrili (v. 96 e vv. 115-116).
INTERPRETAZIONE Il valore della poesia Quale valore attribuisce il signore alla poesia e dunque all’intellet-
E COMMENTO tuale? Questo è il tema di questi versi. Se il cardinale ha concesso qualcosa ad Ariosto, non è
certo per ricompensarlo del suo impegno poetico. Al contrario, i versi che Ariosto compone, se
dipendesse dal cardinale, potrebbero andare al «Culiseo». Nelle corti viene apprezzato solo chi
sa rendersi utile svolgendo una qualche attività pratica, anche la più insignificante come è
quella di mettere in fresco il vino. L’amara conclusione è affidata alle parole che Ariosto indi-
rizza all’amico Andrea Marone, poeta anche lui: «i tuoi versi getta / con la lira in un cesso, e una
arte impara / se beneficii vuoi, che sia più accetta». D’altra parte Ariosto è consapevole che
per ottenere questi «beneficii» bisogna rinunciare alla propria libertà. All’intellettuale si prospet-
tano due strade: piegarsi ai meccanismi della corte o difendere la propria «cara… libertà».
OLTRE IL TESTO
1. Dialogare
«La satira ha una componente di moralismo e una componente di canzonatura. Entrambe le componenti vor-
rei mi fossero estranee, anche perché non le amo negli altri. In ogni caso, la satira esclude un atteggiamento
d’interrogazione, di ricerca. Non esclude invece una forte parte d’ambivalenza, cioè la mescolanza d’attra-
zione e ripulsione che anima ogni vero satirico verso l’oggetto della sua satira»: così scrive lo scrittore nove-
centesco Italo Calvino a proposito del genere letterario della satira. Pensi che queste affermazioni possano
essere riferite anche alle Satire di Ariosto? Discutine in classe con i compagni.
2. Webquest
Cosa s’intende oggi con il termine “satira”? Cos’è la satira oggi e chi la fa? Fai una ricerca in rete per ca-
pire quali sono oggi le forme della satira contemporanea. Esponi in classe i risultati della tua ricerca.
727
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
T5 Ludovico Ariosto
Una lettera dalla Garfagnana
È questa una delle molte lettere inviate da Ariosto al duca di Ferrara Alfonso I d’Este durante l’incarico di
Commissario in Garfagnana. Ariosto dovette far fronte a violente forme di brigantaggio, che minacciava-
no il controllo di questo territorio da parte del governo centrale. Seppe comportarsi con umanità e con
fermezza, spesso però dichiarando la propria inadeguatezza al compito politico-militare e spesso lamen-
tandosi, come in questa lettera, di non essere sufficientemente appoggiato dal potere centrale.
I TEMI richiesta d’aiuto ammissione di inadeguatezza a una carica politica
1 l’onor de l’officio: la dignità della carica (di gnità della [mia] carica, e conseguentemente te, anch’esso ricordato in seguito, presso il
commissario). Per officio La lingua nel rendono le persone con le quali devo avere a castello delle Verugole.
tempo. che fare più insolenti verso i loro governi, non 8 prigione: prigioniero.
2 magistro: magistrato. mi pare di dover sopportare ciò senza lamen 9 ricusaro di darmilo: rifiutarono di darmelo.
3 Serìa: Sarebbe. tarmene con Vostra Signoria. 10 non ci fossi...l’officio: che in questo modo
4 sì come è accaduto...replicare: Ariosto si 6 Bonaventura: Bonaventura Pistofili, se non fosse garantita la dignità del mio incarico.
riferisce a vari episodi nei quali le scelte du gretario del duca. Infatti dei banditi si riservavano il diritto di
cali avevano mostrato di non rispettare l’o 7 quelli da le Verugole: banditi al comando trattare direttamente con il potere centrale
rientamento del governatore, cioè avevano di Bernardello, nominato più avanti. Essi (o di fingere di farlo), ignorando gli ordini
mancato di appoggiarlo adeguatamente. I prestavano la propria opera a un Simon pre del Commissario.
fatti si riferiscono in particolare a gravi pro
blemi di ordine pubblico. la rivocazione de
la lettera già registrata è il rifiuto, da par LA LINGUA NEL TEMPO
te ducale, di prendere atto di una lettera di Ufficio Il termine “ufficio” (qui nella forma antica «officio», r. 2, ma è anche possibile trovare
Ariosto, benché già formalmente registrata. “uffizio”, “ofizio”) deriva dal latino officium che significa ‘compito, dovere, carica, funzione’. In
Il ser Tomaso [Micotto] di cui si parla era da Ariosto mantiene il significato originario di ‘incarico’. Nell’italiano attuale questa parola indica
tempo podestà di Trasilico (una delle quat il luogo dove si compie un determinato lavoro, spesso di tipo intellettuale o amministrativo
tro “vicarie” in cui era suddivisa la provin (“l’ufficio del giudice”). Una delle prime attestazioni di questo significato è la Galleria degli Uffi-
cia di Garfagnana); accusato da Ariosto di zi di Firenze, costruita nel Cinquecento per essere la sede delle magistrature pubbliche. La for-
favoreggiamento verso i ribelli, era tuttavia ma “uffizio” rimane oggi nel linguaggio religioso della liturgia cattolica per indicare l’insieme di
stato assolto dal duca sulla base di testimo preghiere da recitarsi in particolari circostanze (“il 2 novembre si recita l’uffizio per i defunti”).
nianze assai dubbie, e addirittura autorizza Dal sostantivo “ufficio” derivano sia l’aggettivo “ufficiale”, che indica qualcosa che proviene da
to a mantenere la carica fino alla regolare un’autorità competente (“il bollettino ufficiale del Parlamento”), sia “ufficioso”, che indica in-
scadenza. confirmazione: conferma. vece qualcosa di ‘non ufficiale’ (“la notizia è ufficiosa”) ma comunque proveniente dagli “uffici”
5 ma redundando...Signoria: ma visto che (di solito ben informati).
tali offese (incarichi) pesano assai sulla di
728
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
mettessino per loro chi volessino che intervinesseno alli esamini, ch’io non ero per farne11
20 se non quanto volea la giustizia. Non mi hanno rescritto altro, se non che m’hanno mandato
a dire a bocca pel messo che non me lo vogliono dare; et hanno di più usato12 parole prima
alli balestrieri e poi al secondo messo, che sanno che io avevo preso denari da li Madaleni, e
per questo io non avevo fatto bruciare le lor case, e che dubitano che s’avrò questo Genese in
mano io lo lasci per danari.13 Se appresso all’insolenzie che per tutto il paese fanno questi di
25 Simon prete,14 come Vostra Excellenzia ne debbe saper qualche cosa (che già non è mancato
per me15 di darne aviso), et al tenere di continuo banditi ne le rocche appresso a Bernardel-
lo, ancora Vostra Excellenzia vol comportare16 che non rendano ubidienzia al Commissario,
prego quella che mandi qui uno in mio luogo che abbia miglior stomaco di me a patire queste
ingiurie, ché a me non basta la pazienzia a tolerarle. Io non so quello che Vostra Excellenzia
30 determini circa a Bernardello, che non avendo pace da alcuno di suoi nimici, de infiniti che
n’ha, debbia stare nel paese dovunque voglia, e col favore di questi da le Verugole avere sem-
pre séguito di compagnia armata, e ne’ suoi bisogni aver ricorso ne la miglior fortezza che in
queste parti abbia Vostra Excellenzia, e tuttavia séguiti di mettere taglie,17 come altre volte
11 mettessino per loro...farne: nominassero Commissario l’accusa di corruzione; mo- 16 vol comportare: vuole tollerare.
per difendere i propri interessi chi volessero tivando così il rifiuto di consegnargli l’as- 17 e tuttavia...taglie: lasciando nei fatti che
che intervenisse agli interrogatori, dato che io sassino, e in realtà non riconoscendo il suo Bernardello possa agire indisturbato, ben
non avevo intenzione di fare di lui [: Genese]. potere. protetto da uomini armati, il duca di Ferrara
12 usato: detto. 14 questi di Simon prete: i banditi al coman- si limitava a mettere taglie sulla sua testa,
13 che sanno che io avevo preso denari... do di Simon prete. con una scelta di rigore solo apparente.
danari: in sostanza i banditi rivolgono al 15 per me: da parte mia.
729
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
n’ho scritto et anco mandato a dire a bocca pel Capitano de la Ragione. Ma se né a questo, né
35 alli assassinamenti che fa Battistino Magnano e Donatello et altri ribaldi, che hanno preso il
campanile di Carreggini e vi sono stati parecchi giorni dentro come in una lor fortezza, non
pare a Vostra Excellenzia di provedere, io non me ne debbio pigliar più cura che essa voglia.
Ma dove importa tanto smaccamento18 de l’onor mio, io vo’ gridare e farne instanzia, e pre-
gare e suplicare Vostra Excellenzia che più presto19 mi chiami a Ferrara, che lasciarmi qui con
40 vergogna: in buona grazia de la quale20 mi raccomando.
18 dove importa tanto smaccamento: dove c’è di mezzo 19 più presto: piuttosto.
un così grande smacco. 20 de la quale: del duca.
ANALISI Un epistolario documentario Ariosto scrisse oltre duecento lettere: esse non sono mai
state raccolte organicamente dall’autore, né presentano una costruzione letteraria. L’epistola-
rio ariostesco è quindi lontanissimo da quello di Petrarca: se il primo presenta situazioni reali,
ancorate profondamente alla vita di tutti i giorni, il secondo è il frutto di una laboriosa riflessione
intellettuale e letteraria. Il brano appena letto testimonia come le lettere contengano aspetti
pratici – qui la difficoltà del Commissario Ariosto di difendersi dagli attacchi dei briganti senza
l’aiuto del duca –, trattati però con estrema precisione retorica e argomentativa. Qui il poeta rie-
sce a mettere in risalto l’assurdità del comportamento del signore, pur senza mancare mai di
rispetto nei suoi confronti, e ad affermare, contemporaneamente, la propria dignità umana, rifiu-
tando di sostenere l’incarico senza la fiducia e il sostegno del duca d’Este.
COMPRENSIONE
OLTRE IL TESTO Raccontare
1. Qual è il motivo per cui Ariosto scrive questa lettera?
Nella lettera Ariosto racconta di non essere
all’altezza dell’incarico assegnatogli dal duca. Hai
mai ricevuto un compito (dai tuoi genitori,
dall’insegnante) che non sei riuscito a portare a
termine per cause indipendenti dalla tua volontà?
INTERPRETAZIONE E COMMENTO Qual è stato? Come ti sei giustificato di fronte a chi
2. Per quale motivo si può affermare che l’epistolario ti aveva commissionato l’incarico?
di Ariosto ha valore letterario?
730
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
10 Il teatro di Ariosto
Il teatro nelle corti Le corti rinascimentali, raggiunto un alto grado di sviluppo sociale, scoprono l’importanza del
europee teatro non solo come momento di raffinato intrattenimento ma anche come strumento di af-
fermazione e di prestigio sul piano culturale. Si apre nell’intera Europa una fase che vedrà fio
rire – soprattutto in Inghilterra, in Spagna e in Francia – una produzione teatrale di altissimo li
vello, dalla quale ci verranno i capolavori di Shakespeare, Calderón de la Barca, Racine e Molière.
Anche le corti italiane partecipano a questo grande capitolo della storia del teatro, e dall’I
talia si svilupperà presto il genere del dramma in musica (o melodramma o opera lirica), desti
nato a immensa fortuna internazionale fino all’Ottocento e oltre. Ma la dimensione più conte
nuta degli Stati italiani e le questioni linguistiche che continuano ad affliggere il nostro paese,
privo di una lingua nazionale moderna parlata, ostacolano lo sviluppo di un teatro di livello pari
a quello che si afferma nelle altre grandi letterature europee. Ciò nonostante, alcuni scrittori si
impegnano anche in questo campo; e fra questi vanno ricordati Machiavelli e lo stesso Ariosto.
La ricerca teatrale Ariosto si dedicò in più fasi alla scrittura teatrale, anche per venire incontro alle esigenze della
di Ariosto corte ferrarese. Dapprima si impegnò nella traduzione di capolavori latini di Plauto e di Te-
renzio, per poi comporre testi originali. La sua ricerca tiene conto di due esigenze difficil-
mente conciliabili: da un lato sente il bisogno di assicurare un alto decoro letterario al testo
teatrale, ma dall’altro non vuole rinunciare alla vivacità e alla immediatezza, elementi essen-
ziali in un genere destinato alla rappresentazione scenica. La ricerca del decoro letterario pun-
tò inizialmente sulla ripresa di modelli classici, e di temi presenti soprattutto nel teatro co-
mico romano: I Suppositi riprende per esempio il modello dei Menecmi di Plauto.
Dalla prosa Alla composizione di due commedie in prosa – La Cassaria (1508) e I Suppositi (1509) – seguì in
al verso un secondo momento la scelta di utilizzare il verso. La prosa consentiva il ricorso a una lin-
gua vivace e colorita, capace di accogliere anche modi del parlato e perfino dialettismi, ma com-
portava il rischio di scadere nel popolare e di non soddisfare l’esigenza di un alto livello di
decoro stilistico. Dopo un decennio di ripensamento, Ariosto decise dunque, insoddisfatto, di
impiegare la scrittura in versi, ricorrendo all’endecasillabo sdrucciolo, il metro sentito più vici-
no al trimetro giambico della commedia latina classica. Fra il 1518 e la morte riscrisse dunque
in versi le due commedie precedenti e si dedicò a comporre tre nuove commedie: Il Negroman-
te e La Lena furono rappresentate nel 1528, mentre incompiuta rimase I studenti.
La commedia più riuscita è probabilmente La Lena: sullo sfondo di Ferrara si muove la pro-
tagonista, una ruffiana non più giovane che, nonostante il cinismo interessato che muove le
sue azioni, finisce con il favorire involontariamente il lieto fine, consistente nelle tradizionali
nozze conclusive di due giovani innamorati.
I limiti del teatro Nonostante l’autorevolezza di questi tentativi, al teatro di Ariosto manca tuttavia infine la vi
ariostesco vacità linguistica e il senso dell’intrigo teatrale che caratterizzano i veri capolavori, e che pro
prio negli stessi anni aveva dato vita alla commedia italiana più importante del Cinquecento,
La mandragola di Machiavelli: un testo ancora oggi rappresentato e apprezzato.
LA RICERCA TEATRALE
4 commedie compiute: scarsa vivacità linguistica
Le commedie
due in prosa, due in versi poco senso dell’intrigo
FACCIAMO IL PUNTO
Qual è il ruolo assunto dal teatro all’interno delle corti rinascimentali europee?
Perché, in un secondo momento, Ariosto sceglie di utilizzare il verso nelle sue opere teatrali?
731
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
11 L’Orlando furioso
La tradizione Con l’Orlando furioso di Ariosto il poema cavalleresco si qualifica definitivamente come gene-
del poema re della letteratura alta, disciplinato da regole precise e ricco di prestigio. Già l’Orlando inna-
cavalleresco
morato di Boiardo (1483) aveva segnato una svolta, rivolgendosi a un pubblico non più popola-
re (come facevano i cantari) ma di corte.
Ma la fortuna nel Cinquecento della materia cavalleresca non riguarda solo l’Italia: in Spa-
gna García Rodríguez de Montalvo compone l’Amadigi di Gaula, un romanzo cavalleresco in
prosa uscito nel 1508 che avrà grande fortuna. In quattro libri, esso narra la storia d’amore fra
Amadigi e Oriana, sui quali si abbattono numerose disgrazie. Se da un lato si delinea uno sce-
nario fantastico, animato da prìncipi e cavalieri, maghi e maghe, draghi e giganti, dall’altro lato
si riconoscono i costumi e le abitudini delle corti rinascimentali.
732
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
ZIONI
INFORMA
Il Furioso e l’unificazione linguistica nazionale
Dopo l’uscita della prima edizione, nel La revisione riguardò anche l’aspetto Versione del 1516
1516, Ariosto sottopone il Furioso a una linguistico. Ariosto si adegua sempre Li dui cavalli, con terribile urto
lunga opera di revisione. La seconda più al toscano letterario, orientandosi cozzaro insieme a guisa di montoni:
edizione, del 1521, presenta già alcune sulla linea proposta dall’amico Pietro quel del guerrier pagan morì di curto,
variazioni ma è quella del 1532 a subire Bembo. Il Furioso assume così un ruo- ch’era vivendo in numero de’ buoni;
le modifiche più sostanziali. Da qua- lo significativo nel processo di unifi- quel altro cadde ancor, ma l’ha risurto
ranta, i canti diventano quarantasei. cazione linguistica italiana. Il genere presto il suo cavallier con briglia e
Inoltre, la nuova edizione rispecchia cavalleresco ha, infatti, larga circola- sproni;
una mutata situazione storica: il ducato zione: si rivolge a un pubblico non so- ma quel del Saracin restò disteso
estense è sempre più schiacciato sia lo cortigiano ma anche borghese, non addosso il suo signor con tutto il peso.
dagli altri Stati italiani, sia da potenze solo regionale ma anche nazionale.
straniere come la Francia di Francesco Ariosto scrive un’opera nazionale per Versione del 1532
I e l’Impero di Carlo V. Ariosto si apre l’Italia dell’età moderna. Già non fero i cavalli un correr torto,
quindi a un’ottica europea: le corti, inte- Per capire come funzioni il lavoro di re- anzi cozzaro a guisa di montoni:
se come organismi politici, sono in crisi visione linguistica al Furioso, possiamo quel del guerrier pagan morì di corto,
e vengono superate dal consolidarsi di confrontare una stessa ottava nella ch’era vivendo in numero de’ buoni;
Stati più complessi e moderni. versione del 1516 e in quella del 1532: quell’altro cadde ancor, ma fu risorto
tosto ch’al fianco si sentì gli sproni.
Quel del re saracin restò disteso
addosso al suo signor con tutto il peso.
733
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
La dedica a Il poema è dedicato al cardinale Ippolito d’Este. Come Boiardo, Ariosto intende infatti celebra-
Ippolito d’Este re la casata del proprio signore: Ruggiero, di cui si narrano le imprese, è l’immaginario capo-
stipite degli Estensi, secondo quanto si legge già nell’Innamorato. La presenza di un motivo en-
comiastico non è una novità ma è ripresa da Virgilio, che nell’Eneide esalta la famiglia Giulia fa-
cendone risalire le origini al leggendario Enea: questo aspetto collega dunque la narrazione del
Furioso al genere epico. Il titolo del poema ricalca quello scelto da Boiardo: Orlando, da inna-
morato, diviene “furioso”, cioè pazzo per amore. Ma c’è anche un riferimento all’Hercules fu-
rens [Ercole impazzito], titolo di una tragedia dell’autore latino Seneca. La cultura rinascimen-
tale si confronta così con i grandi modelli classici.
La vicenda Il poema si apre sull’assedio di Parigi, che oppone i cristiani di Carlo Magno ai saraceni di Agra-
guerresca: mante, re d’Africa, e di Marsilio, re di Spagna. L’antefatto è in Boiardo: per sanare l’ostilità tra
lo scontro tra
cristiani e saraceni i paladini Orlando e Rinaldo, entrambi innamorati di Angelica, principessa del Catai, Carlo
ha affidato la giovane al duca Namo. La otterrà chi ucciderà più nemici. Ma Angelica fugge, in
seguita da Rinaldo e da altri cavalieri. Nel frattempo la guerra continua. Le sorti cristiane sa
ranno risollevate dal ritorno di Rinaldo, che porta rinforzi dall’Inghilterra. Il paladino uccide
il re Dardinello: Cloridano e Medoro cercano di recuperare il corpo del loro sovrano, ma vengo
no sorpresi dai cristiani. Cloridano muore e Medoro resta gravemente ferito ( T10, p. 772).
L’OPERA
L’ORLANDO FURIOSO
La guerra la guerra tra il re africano Agramante e Carlo Magno
Orlando e Angelica
Gli amori
Ruggiero e Bradamante
Europa
NUCLEI luoghi reali Africa
TEMATICI America
Spazio
la selva
luoghi fantastici il palazzo di Atlante
la luna
734
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
Medoro viene trovato da Angelica, che se ne innamora. Mentre i pagani sono in ritirata, la loro
flotta viene sbaragliata. Agramante, rifugiato a Lipadusa (Lampedusa), propone a Carlo di risol-
vere definitivamente il conflitto con un duello fra tre campioni cristiani e tre saraceni: Orlan-
do, Brandimarte e Oliviero combattono così contro Agramante, Gradasso e Sobrino. La vittoria
è dei cristiani.
La vicenda amorosa: Alle vicende guerresche si intrecciano quelle amorose, che hanno come protagonisti Orlando
Orlando e Angelica e Angelica, Ruggiero e Bradamante. Orlando parte alla ricerca di Angelica in piena guerra.
Durante il suo viaggio, il paladino vive numerose avventure: libera la nobile Olimpia, legata a
uno scoglio e offerta in pasto a un’orca; è attirato nel castello del mago Atlante ( T9, p. 766);
salva la giovane Isabella. Giunge infine in un bosco e qui scopre che Angelica ha sposato il sara-
ceno Medoro: folle di gelosia, abbatte su ogni cosa la sua furia devastatrice ( T11, p. 784). Ma
Astolfo recupera il senno di Orlando sulla luna ( T12, p. 799): il paladino è ora pronto a com-
battere insieme ai cristiani e a concludere vittoriosamente la guerra.
La vicenda di Lungo il poema si snoda inoltre la storia di Ruggiero, legata, come abbiamo visto, al tema
Ruggiero e il tema encomiastico dell’opera. Egli è un giovane saraceno, amato da Bradamante, bella guerriera
encomiastico
cristiana sorella di Rinaldo. Ruggiero è prigioniero di Atlante: il mago africano, che lo ha tro-
vato orfano e abbandonato, cerca di tenerlo lontano dalla guerra in cui lo ha trascinato Agra-
mante. Sa infatti che il suo destino è di diventare cristiano e morire per mano dei Maganze-
si, i traditori che vivono alla corte di Carlo. Bradamante libera Ruggiero; ma egli è subito por-
tato via dall’ippogrifo, mostro alato mezzo cavallo e mezzo grifone. Su di esso, Ruggiero
giunge all’isola della fata Alcina, della quale s’innamora. Guidato dalla maga Melissa e da Lo-
gistilla, Ruggiero vince le insidie di Alcina. Riparte sull’ippogrifo, si imbatte in Angelica pri-
gioniera dell’orca e la libera ( T8, p. 758). Attirato in un nuovo palazzo costruito da Atlan-
te, vi resta finché non lo libera Astolfo. Altri inconvenienti ritardano le nozze tra Ruggiero e
Bradamante: la gelosia di lei per la guerriera saracena Marfisa; la tardiva conversione di lui; il
fatto che la paladina cristiana sia già promessa a Leone. Ma i due riescono infine a sposarsi,
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TESTI dando origine alla dinastia estense. Il giorno delle nozze però il pagano Rodomonte accusa
Ludovico Ariosto,
Il duello di Ruggiero Ruggiero di aver tradito Agramante. Il Furioso si conclude con il duello tra i due e la morte di
e Rodomonte Rodomonte.
Una guerra Scontri e battaglie erano all’ordine del giorno nell’Italia del primo Cinquecento, terra di
idealizzata conquiste e di guerre fra Stati. Tuttavia, la guerra raccontata da Ariosto è fortemente idea-
lizzata: essa prende le forme (ormai anacronistiche) della guerra cavalleresca ed è allonta-
nata in un tempo e in uno spazio remoti. Le motivazioni stesse del conflitto non hanno
nulla a che fare con la realtà storica della fine dell’VIII secolo, dove il poema pretende di
essere ambientato: la guerra tra cristiani e saraceni (che nella realtà si era combattuta non
al tempo di Carlo Magno ma molti anni prima, a quello di Carlo Martello) è presentata qua-
si come una vendetta privata di re Agramante, che viene a vendicare la morte del padre so-
pra «re Carlo imperator romano» ( T7, p. 746). Alle origini del conflitto non ci sono dun-
que motivazioni religiose, e del resto i condottieri di entrambi gli schieramenti si compor-
tano tutti secondo il codice cavalleresco e credono negli stessi valori di lealtà, coraggio
e fedeltà al loro re.
735
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
La guerra: una Ariosto è molto lontano da ogni celebrazione dello spirito bellico. Ammira le virtù cavallere-
questione privata sche (la generosità, l’onore, la fedeltà al signore), ma le esalta come valori del perfetto cortigia-
no più che del guerriero. L’episodio di Cloridano e Medoro è presentato come un caso esempla-
re di dedizione verso il proprio signore ( T10, p. 772). La guerra è dunque, essenzialmente, lo
scenario di grandi azioni individuali. Rodomonte e Orlando, i più forti guerrieri dell’eserci-
to saraceno e cristiano, si allontanano dal campo per amore e seguono un percorso di eroiche
imprese personali. Queste culminano nella prova del duello, in cui si esprimono al meglio il co-
raggio e le virtù del cavaliere. La guerra non è mai descritta nelle sue dimensioni collettive, nei
movimenti di massa, ma è sempre una questione privata nella quale si misura il valore del
singolo.
L’amore: una L’altro grande tema del Furioso è l’amore: in tutta l’opera il poeta insiste sulle sofferenze e
passione che fa sull’irrazionalità della passione. Bradamante si tormenta per conquistare Ruggiero; Angeli-
perdere la ragione
ca, innamoratasi di Medoro, sente una «piaga» nel cuore; Orlando perde addirittura il senno di
fronte al tradimento dell’amata. Orlando impazzisce perché ha idealizzato la donna amata e
non è capace di vedere e accettare il fatto che ami un altro. Agli occhi di Orlando, Angelica è una
dea, una creatura perfetta da adorare e servire con umile devozione. L’eroe si trova dunque
inerme e vulnerabile di fronte alla realtà, che mostra la donna per quello che è davvero, smen-
tendo ogni idealizzazione. Orlando perde il senno, rinuncia alla sua identità, non solo di cava-
liere e di amante cortese, ma di uomo: diventa irriconoscibile come un animale che si rivolta
nel fango ( T11, p. 784). La concezione cortese dell’amore risulta rovesciata: l’amore e la
fedeltà alla donna non nobilitano l’uomo guidandolo verso una dimensione spiritualmente
superiore, ma lo degradano a una condizione bestiale. L’esperienza di Orlando non è isolata:
Astolfo, quando va sulla luna a recuperare il senno di Orlando, trova anche quello di tantissimi
Piero di Cosimo, altri uomini. È segno che l’irrazionalità, la follia, la vanità delle azioni umane sono una condi-
Liberazione di zione comune e diffusa. Il recupero del senno, per mano di Astolfo, permette a Orlando di riac-
Andromeda,
1510-1515. Firenze, quistare l’equilibrio. La saggezza consiste dunque nel riconoscere i limiti della passione e
Galleria degli Uffizi. dell’amore cortese.
736
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
Bradamante Bradamante, tutta tesa al proprio progetto matrimoniale, rappresenta nel poema un princi-
e l’amore pio d’ordine e di equilibrio. In quanto promessa sposa dell’eroe Ruggiero, capostipite della
come equilibrio
stirpe estense, la sua statura morale non può essere messa in discussione.
Angelica e la Angelica, invece, causa l’“errare” e l’“errore” dei cavalieri e da ultimo la pazzia di Orlando. Lei
degenerazione rappresenta la bellezza: ma una bellezza che non corrisponde più alla nobiltà d’animo. Come già
dell’amore cortese
in Boiardo, è “angelica” d’aspetto, ma è lontana dalle donne-angelo della tradizione. Beatri-
ce conduceva alla salvezza; Laura induceva Petrarca al peccato, ma dopo la morte lo guida alla
virtù: Angelica invece incarna la bellezza eccessiva che scatena in tutti un desiderio incon-
trollato, sconvolge l’ordine, mette in crisi l’etica guerriera e la divisione tra amici e nemici.
Lo spazio e il tempo
Luoghi reali e La geografia del Furioso è varia, mobile, aperta. Non c’è alcun centro stabile, alcun luogo pre-
luoghi fantastici minente: tutti i luoghi del Furioso divengono, di volta in volta, temporanei centri della vicen-
da. Nel poema esiste anzitutto una geografia attendibile e documentata, per la quale Ariosto
consultava i trattati e le carte del tempo. Essa abbraccia i vari luoghi dell’Europa, fino all’isola
estrema di Ebuda (nelle Ebridi), l’Africa e il Catai, dove regna il padre di Angelica; ma Ariosto ar-
riva anche ad accennare all’America, celebrando le scoperte geografiche. Esiste poi una geogra-
fia fantastica, ben raffigurata dalla luna. Essa rappresenta il complemento della terra, dove
si «raguna», cioè si raduna, quello che si perde nel nostro mondo ( T12, p. 799).
Una geografia Ma c’è, soprattutto, una geografia dal significato simbolico: la selva e il palazzo di Atlante, le iso-
simbolica le. Domina su tutti la selva, luogo della ricerca, della fuga, dell’incontro fortuito, dell’attesa
delusa, della follia. Essa incarna materialmente, nell’intrico dei sentieri, nei suoi «calli obliqui»,
il labirinto delle emozioni e delle passioni in cui i cavalieri si aggirano e si perdono. È, insomma,
l’emblema dell’“errare” e dell’“errore” dei paladini. La selva si mostra sotto varie vesti: da or-
rida e paurosa, diventa un accogliente boschetto fiorito ( T7, p. 746); partecipa all’idillio amo-
roso di Angelica e Medoro; è luogo sconvolto dalla pazzia di Orlando ( T11, p. 784). Il palazzo in-
cantato di Atlante ha lo stesso significato simbolico della selva. Qui i cavalieri, presi dall’inganno
del desiderio, si aggirano dietro fantasmi, alla ricerca dell’oggetto d’amore perduto.
Il tempo e il caso Nel poema la dimensione spaziale domina nettamente su quella temporale. Le azioni si susse-
guono una dietro e l’altra e si intrecciano tra loro rapidissimamente e quasi senza lasciare re-
spiro al lettore, un tempo sospeso e senza profondità storica. Si ha spesso l’impressione che
le azioni dei personaggi siano determinate, in ultima istanza, dal caso: quello descritto da Ario-
sto è un mondo governato dalla fortuna, dove il viaggio dell’uomo verso la conoscenza è un
viaggio alla cieca, con il rischio continuo di perdere se stesso.
L’elemento epico Dal punto di vista formale, Ariosto ricerca uno stile epico illustre, rifacendosi a modelli
classici e a Virgilio in particolare, come si vede già nei primi versi del poema ( T7, p. 746) che
riprendono l’inizio dell’Eneide. La funzione sociale si lega al carattere encomiastico dell’o-
pera. L’epica è la forma letteraria con cui una comunità celebra la propria nascita e la propria
identità. Per esempio, l’Iliade risale all’epoca in cui i Greci conquistano buona parte del Medi-
terraneo; l’Eneide, alla nascita dell’Impero romano sotto Ottaviano Augusto; la Chanson de Ro-
land, al momento in cui, con le crociate, l’Europa cristiana combatte i pagani. Il Furioso è dun-
que epico perché celebra lo Stato degli Estensi, i suoi diritti e la giustezza della sua politica e
delle sue alleanze. Ma, in senso più profondo, questo poema è epico in quanto si presenta come
opera leggibile in tutta Italia: accessibile a un vasto pubblico e, per questo, capace di costi-
tuire un’opera nazionale e di alludere a una comunità nazionale che anticipa l’Italia mo-
derna. Gli stessi interventi linguistici operati da Ariosto nell’edizione del 1532 mostrano que-
sta finalità nazionale, e costituiscono in qualche modo un gesto di politica culturale ( Infor-
mazioni, Il Furioso e l’unificazione linguistica nazionale, p. 733).
L’elemento Per altri aspetti, il Furioso si colloca invece sulla via del romanzo. Mentre l’epica propone va-
romanzesco lori collettivi, il romanzo celebra valori individuali. I valori comuni proposti dal Furioso do-
vrebbero essere quelli della lotta cristiana contro i saraceni: in effetti, i paladini ariosteschi
sentono quest’obbligo, che però non era condiviso dal destinatario dell’opera. Infatti, Ario-
sto non propone ai cortigiani cinquecenteschi, che costituivano il suo pubblico, una guerra
di religione, ormai lontana dal loro immaginario: la guerra è soprattutto l’occasione per
mostrare il proprio valore individuale, così come la ricerca della felicità nell’eros motiva
molte delle imprese dei cavalieri. Del romanzo, Ariosto riprende la mescolanza dei generi:
nel Furioso ci sono momenti lirici, parentesi pastorali (per esempio, l’idillio tra Angelica e
Medoro) e novelle inserite direttamente nel poema in quanto narrate da qualche personag-
gio. Le strutture epiche vorrebbero inoltre un racconto chiuso, stabile e tragico. Il Furioso,
invece, ha una struttura aperta e dinamica (i cavalieri viaggiano continuamente alla ricer-
ca del proprio destino), tipica del romanzo. Inoltre, Ariosto preferisce i toni ironici a quelli
tragici dell’epica.
La struttura aperta La struttura aperta e dinamica del poema è resa possibile dalla ripresa del motivo della quête
e il motivo (‘ricerca’, o ‘inchiesta’), presente nella tradizione arturiana ma caricata da Ariosto di nuovi si-
della quête
gnificati. Mentre nei romanzi arturiani la quête riguarda oggetti religiosi di grande valore sim-
bolico e allude alla ricerca di un innalzamento spirituale, nel Furioso essa ha assunto caratteri
laici e terreni: ogni personaggio insegue un suo obiettivo in genere del tutto profano, e più
di ogni altra cosa l’amore e il piacere. Non a caso, l’azione del poema è messa in movimento da
Angelica, desiderata da Orlando e da molti altri paladini, e immagine stessa del desiderio. Ma
come Angelica è sfuggente e imprendibile, così la ricerca di ciascuno è sempre destinata a
restare frustrata. Non solo, dunque, la quête riguarda nel Furioso oggetti terreni, ma è comun-
que destinata all’insuccesso: Ariosto intuisce così la crisi del mondo moderno dopo il tra-
monto dei grandi sistemi teologici medievali; e anche per questo ha potuto parlare con tan-
ta forza ai lettori dei secoli successivi e fino a noi.
738
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
La lingua, sul Come si è detto, nell’ultima revisione del poema, per l’edizione del 1532, Ariosto adotta il mo-
modello di Bembo dello linguistico e stilistico di Bembo, caratterizzato dal rispetto classicistico dei modelli
(Petrarca) e da una ricerca di equilibrio, decoro, compostezza. Questa scelta collabora a co-
stituire il rigore formale e il senso di ordine e di armonia del Furioso. Attraverso lo stile, Ario-
sto riesce a controllare una materia appassionante e ricca di tensioni.
La metrica: Anche sotto il profilo metrico, Ariosto persegue un ideale estetico di tipo classicistico: egli
l’ottava di Ariosto adotta l’ottava del genere cavalleresco, ma ne varia il ritmo scongiurando la monotonia e la
pesantezza. La metrica di Ariosto asseconda perfettamente il movimento narrativo e lo scan-
disce senza lasciare spazio a tempi morti o a inutili rallentamenti dell’azione. L’armonia del
verso permette ad Ariosto di tenere sotto controllo una vitalità intensa e variata, e perfino un
senso profondo di inquietudine e di mistero.
Ariosto narratore Fin dall’inizio del poema, Ariosto si mette in scena in una duplice veste: quella di narratore onni-
e Ariosto sciente e quella di personaggio. Il narratore onnisciente sa ogni cosa della vicenda narrata e,
personaggio
dall’alto, muove e controlla i personaggi. Il poeta si rappresenta come un tessitore che intrec-
cia i vari fili del racconto. Egli non crea però la sua materia dal nulla. Il Furioso è la continuazio-
ne di un testo preesistente (l’Orlando innamorato di Boiardo); per di più si riallaccia a una tradi-
zione ormai fissa e ripetitiva come quella carolingia, sia pure arricchita a animata con gli apporti
di quella amorosa arturiana. Si tratta dunque di un’opera fondata sull’utilizzazione delle fon-
ti. D’altra parte il poeta rinascimentale non cerca solo l’originalità: egli è come un architetto che
vuole essere ammirato per la scelta dei materiali e per la sua capacità di combinarli e di variarli.
La tecnica La tecnica narrativa per mezzo della quale Ariosto organizza e dispone la sua materia è quella
dell’entrelacement dell’entrelacement (intreccio). Come nella tessitura di una stoffa, i vari fili vengono intrecciati
per ottenere un effetto d’insieme. Il modo in cui Ariosto realizza questo procedimento serve a
dare varietà al racconto, interrompendo e riprendendo i diversi filoni della storia; e ser-
ve a tenere vive l’attenzione e la curiosità dei lettori ricorrendo a effetti di suspense: spes-
so il racconto si interrompe temporaneamente sul più bello, o per il sopraggiungere della fine
del canto o per l’irrompere di altri personaggi.
739
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Uno sguardo Lo sguardo di Ariosto, che domina dall’alto la materia, è uno sguardo ironico. Affronta con iro-
ironico per nia anche i problemi legati al suo ruolo di cortigiano: il signore concede la sua protezione, ma
interpretare
la realtà l’intellettuale deve obbedirgli. San Giovanni illustra ad Astolfo i rapporti tra letteratura e
verità, sostenendo che i poeti mentono per farsi amici i potenti. Quindi anche il Furioso,
percorso da lodi agli Estensi, è una menzogna? L’ironia ariostesca è qui ambigua e corrosiva: il
poeta guarda con un sorriso scettico alla propria stessa opera. L’ironia di Ariosto colpisce
anche l’intera tradizione cavalleresca. Il poeta finge di derivare la materia narrativa da Tur-
pino, il leggendario autore di una cronaca latina che racconta i fatti di Roncisvalle. Turpino di-
viene nel Furioso l’emblema della tradizione cavalleresca nel suo complesso, considerata
un repertorio di vicende da narrare privo di qualunque fondamento e veridicità. Allo
sguardo nostalgico di Boiardo si sostituisce quello ironico e divertito di Ariosto.
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono le tre linee fondamentali lungo le quali si sviluppa la vicenda nell’Orlando furioso?
Qual è il motivo encomiastico presente nell’opera?
CONFRONTI
IL POEMA CAVALLERESCO: DAI CANTARI ALL’ORLANDO FURIOSO
“materia carolingia” e “materia bretone”, incentrata sulla lotta
Cantari
tra cristiani e saraceni all’epoca di Carlo Magno
Morgante di Pulci lotta tra cristiani e saraceni all’epoca di Carlo Magno
Argomento le avventure e gli amori di Orlando durante le guerre contro i
Orlando innamorato di Boiardo
saraceni
la guerra tra Carlo Magno e Agramante e gli amori di Orlando
Orlando furioso di Ariosto
e Angelica, e di Ruggiero e Bradamante
740
T6
TESTO GUIDA Ludovico Ariosto [Orlando furioso, I, 1-4]
Le prime quattro ottave costituiscono il proemio all’intera opera. Esso è suddiviso in argomento (prima
ottava e vv. 1-4 della seconda), invocazione (vv. 5-8 della seconda ottava) e dedica (ottave terza e quarta).
I TEMI tema guerresco e tema amoroso rapporto tra l’intellettuale e il suo signore
1 PARAFRASI
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, 1 Io racconto in versi (io canto) le donne, i cava-
le cortesie, l’audaci imprese io canto, lieri, le battaglie (arme), gli amori, [gli atti di] cor-
tesia e le imprese coraggiose che [ci] furono nel
che furo al tempo che passaro i Mori1 tempo in cui i Mori dell’Africa attraversarono il
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, mare [Mediterraneo: per giungere in Europa]; e
seguendo l’ire e i giovenil furori fecero gravi danni in Francia, seguendo le ire e i
furori giovanili del loro re Agramante, il quale si
d’Agramante lor re, che si diè vanto vantò di [poter] vendicare la morte di Troiano
di vendicar la morte di Troiano2 contro (sopra) re Carlo, imperatore del Sacro Ro-
sopra re Carlo imperator romano. mano Impero.
2
Dirò d’Orlando in un medesmo tratto 2 1-4 Nello stesso tempo (in un medesmo trat-
cosa non detta in prosa mai né in rima: to) dirò, [a proposito] di Orlando, cose [che] non
[sono] mai [state] dette [né] in prosa né in versi:
che per amor venne in furore e matto, [e cioè] che, per amore, divenne completamente
d’uom che sì saggio era stimato prima; folle (venne in furore e matto), lui che prima era
se da colei3 che tal quasi m’ha fatto, considerato uomo così saggio;
5-8 [dirò queste cose] se da [parte di] colei che mi
che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima, ha quasi reso tale [quale Orlando: cioè pazzo per
me ne sarà però tanto concesso, amore] e che a poco a poco consuma il mio picco-
che mi basti a finir quanto ho promesso. lo ingegno, me ne sarà concesso tanto [: di inge-
gno] che mi basti a finire quello che ho promesso
[: il presente poema].
741
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
3
Piacciavi, generosa Erculea prole, 3 1-4 [O] Ippolito, nobile (generosa) figlio (pro-
TESTO GUIDA
ornamento e splendor4 del secol nostro, le) del [duca] Ercole (Erculea), [voi che siete come
un] ornamento e splendore del nostro tempo, ab-
Ippolito,5 aggradir questo che vuole biate la gentilezza (Piacciavi = ‘Vi piaccia’) di gra-
e darvi sol può l’umil servo vostro. dire questo [poema] che il vostro umile servitore
Quel ch’io vi debbo, posso di parole [: Ariosto] vuole darvi e che può [darvi] come sola
cosa [: e che è la sola cosa che possa darvi].
pagare in parte, e d’opera d’inchiostro;
5-8 Il mio debito nei vostri confronti, [lo] posso
né che poco io vi dia da imputar sono; pagare [solamente] in parte con le mie parole e la
che quanto io posso dar, tutto vi dono. mia opera letteraria (d’inchiostro); né mi si deve
accusare di darvi poco, perché io vi dono tutto
quanto posso [donarvi].
4
Voi sentirete fra i più degni eroi, 4 1-4 Tra i più valorosi eroi, che mi appresto a ci-
che nominar con laude m’apparecchio, tare lodandoli, voi [: Ippolito] sentirete ricordare
quel Ruggiero che fu il capostipite (ceppo vec-
ricordar quel Ruggier,6 che fu di voi chio) vostro e dei vostri nobili avi.
e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio. 5-8 Vi farò udire il suo [: di Ruggiero] grande va-
L’alto valore e’ chiari gesti suoi lore e le sue famose imprese (chiari gesti), se voi
mi prestate ascolto; e i vostri importanti (alti)
vi farò udir, se voi mi date orecchio, pensieri si ritirino (cedino = ‘cedano’) un po’, in
e vostri alti pensier cedino un poco, modo che tra loro i miei versi possano trovare
sì che tra lor miei versi abbiano loco. spazio (abbiano loco).
4 ornamento e splendor: la metafora dello 5 Ippolito: è il cardinale Ippolito d’Este, fra- 6 Ruggier: la leggenda di Ruggiero progeni-
splendore, tipica della tradizione encomia- tello del duca Alfonso; Ariosto era alle sue tore degli Este si afferma nell’età di Boiardo,
stica latina e umanistica, viene rafforzata dipendenze. ma è più antica. Ariosto la riprende per cele-
dall’endiadi. brare il proprio signore.
742
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
dal testo L’amore per la donna e la dedica alla famiglia degli Estensi
TESTO GUIDA
alla vita Il proemio offre numerosi spunti biografici, che riconducono alla vita di Ariosto. Nella seconda
ottava ai vv. 5-8 Ariosto si riferisce all’amata Alessandra Benucci: proprio come il saggio
Orlando è diventato pazzo per amore, così il poeta, innamorato di questa donna, si augura di
non fare la stessa fine del suo eroe. L’io del poeta emerge così come amante e personaggio
con una sua storia, diversamente da quello che accade nella tradizione epica, dove il narratore
è tradizionalmente figura lontana e impersonale. I cenni alla storia personale di Ariosto prose-
guono con il riferimento, nella terza ottava, al cardinale Ippolito d’Este, suo signore e dedicata-
rio dell’opera, di cui egli intende celebrare l’antenato Ruggiero (4, vv. 3-4).
743
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Ci sono inversioni dell’ordine naturale delle parole (ai vv. 1-2 soggetto e verbo seguono il com-
plemento oggetto, al v. 3 il soggetto «i Mori» segue il verbo «passaro»); sono frequenti gli enjam-
TESTO GUIDA
bements (vv. 3-4, 5-6, 6-7). Passando dalla materia guerresca al tema della pazzia di Orlando, il
tono si abbassa. La seconda ottava ha infatti uno stile colloquiale: significativamente il termine
chiave, «matto», è un vocabolo comune, poco nobile. Inoltre Ariosto fa dell’ironia sul proprio
caso personale e perfino sulle proprie scarse capacità intellettuali, dichiarando di avere «poco
ingegno». La terza ottava, infine, presenta al suo interno caratteri stilistici delle prime due: ai
primi quattro versi, in cui è presente il vocativo «Ippolito» e il lessico ricercato e letterario («gene-
rosa Erculea prole» e la metafora «ornamento e splendor del secol nostro»), seguono gli ultimi
quattro versi, nei quali si nota un abbassamento di tono, dovuto ancora una volta alla comparsa
dell’immagine dell’autore che deve «pagare in parte» con un’«opera d’inchiostro».
OLTRE IL TESTO
1. Lavorare con la videolezione
DIGIT VIDEOLEZIONE
Analisi del testo di Pietro Cataldi
Dopo aver seguito la videolezione di Pietro Cataldi, spiega in un breve testo le caratteristiche di fondo del
contesto storico e sociale in cui nasce il progetto culturale di Ariosto.
2. Lavorare con Prometeo
L’interesse per la figura del cavaliere è ancora vivo soprattutto per quanto riguarda la scelta di
soggetti cinematografici. Effettua una “doppia ricerca”: trova informazioni nella biblioteca multi-
mediale sulla figura del cavaliere nel Medioevo e nel Rinascimento; quindi intreccia le informa-
zioni che hai isolato con quelle che reperisci con una ricerca in Internet sui film degli ultimi dieci
anni che hanno come protagonista un cavaliere. Riporta i dati ottenuti in una presentazione che
utilizzi lo Slideshow della piattaforma Prometeo 3.0, da esporre in classe, basata sulle caratte-
ristiche che hanno i “vecchi” eroi cavallereschi e i “nuovi” cavalieri del cinema contemporaneo.
744
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
dal testo
TESTO GUIDA
al presente
I temi attuali del Furioso: le avventure di guerra, gli amori, l’eroe pazzo
Le ragioni di interesse del Furioso stanno oggi nella vivacità dell’intreccio: Ariosto non si limita infatti a occuparsi
di un solo argomento, ma sceglie di narrare varie vicende, connesse all’«arme», agli «amori», alla follia del protago-
nista. Rappresenta sì un mondo distante dal nostro, ma questo accresce e non diminuisce l’interesse per l’avven-
tura. L’alternarsi senza sosta di battaglie ed incontri amorosi attira il pubblico di oggi, come anche il tema della fol-
lia, espressione di un mondo misterioso interno all’individuo, che esplode sconvolgendo la pretesa di ordine e
razionalità della realtà. Tanti film e romanzi del genere fantasy degli ultimi tempi devono il loro successo anche alla
presenza di questi temi, presenti già nel Furioso.
Star Wars: L’ascesa di Skywalker, film del 2019 scritto da George Lucas e diretto da Jeffrey Jacob Abrams.
WEBQUEST
Fai una ricerca sul web e individua opere letterarie e cinematografiche di genere fantasy che per la pre-
senza di elementi, personaggi e temi possano ricollegarsi al poema ariostesco.
Realizza un prodotto multimediale con le opportune citazioni o i trailer delle opere individuate.
745
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
5 PARAFRASI
Orlando, che gran tempo inamorato1 5 Orlando, che per tanto (gran) tempo era stato
fu de la bella Angelica, e per lei innamorato della bella Angelica, e per lei aveva la-
sciato molte e eterne testimonianze di valore
in India, in Media, in Tartaria2 lasciato (trofei) in India, in Media e in Tartaria, era torna-
avea infiniti et immortal trofei, to insieme a lei in Occidente (in Ponente), dove,
in Ponente con essa era tornato, sotto gli alti monti Pirenei, con le popolazioni
della Francia e della Germania (Lamagna), re Car-
dove sotto i gran monti Pirenei lo aveva posto le tende (era attendato) in campo
con la gente di Francia e de Lamagna aperto (alla campagna),
re Carlo era attendato alla campagna,
6
per far al re Marsilio e al re Agramante 6 1-6 [aveva messo le tende] per far pentire ama-
battersi ancor del folle ardir la guancia, ramente (per far… battersi… la guancia) re Marsi-
lio [: della Spagna musulmana] e re Agramante del
d’aver condotto, l’un, d’Africa quante [loro] sconsiderato coraggio; l’uno [: Agramante] di
genti erano atte a portar spada e lancia; aver condotto dall’Africa chiunque (quante genti)
l’altro, d’aver spinta la Spagna inante fosse in grado (atte) di portare le armi; l’altro
[: Marsilio] di aver istigato (spinta… inante) la Spa-
a destruzion del bel regno di Francia. gna a distruggere il bel regno di Francia.
E così Orlando arrivò quivi a punto: 7-8 E così Orlando arrivò qui proprio al momen-
ma tosto si pentì d’esservi giunto; to giusto (quivi a punto), ma si pentì subito (to-
sto) di esservi arrivato;
7
che vi fu tolta la sua donna3 poi: 7 1-2 giacché qui (vi) [a Orlando] fu poi sottrat-
ecco il giudicio uman come spesso erra! ta la sua amata [: Angelica]: ecco come spesso sba-
glia la ragione umana!
Quella che dagli esperii ai liti eoi 3-6 Quella [donna] che egli aveva difeso con una
avea difesa con sì lunga guerra, guerra dalle terre occidentali a quelli orientali (da-
or tolta gli è fra tanti amici suoi, gli esperii ai liti eoi) [: ovunque], adesso gli è porta-
ta via [proprio] fra tanti suoi compagni, senza [ne-
senza spada adoprar, ne la sua terra. anche] adoperare la spada, proprio nelle sue terre.
Il savio imperator, ch’estinguer vòlse 7-8 A togliere Angelica a Orlando fu il saggio im-
un grave incendio, fu che gli la tolse. peratore [: Carlo Magno] che volle mettere fine
(estinguer = ‘spegnere’) a una grave lite (un gra-
ve incendio).
Metrica: ottave. dell’Innamorato, per ricollegarvisi ogni volta 3 la sua donna: la signora (in latino domina)
che compaia un suo personaggio. del suo cuore, secondo un’espressione
1 Orlando...innamorato: il v. 1 è un’allusione 2 in Media, in Tartaria: la Media è la regione a comune già nella lirica del Duecento.
al titolo del poema boiardesco. Di qui fino sud del mar Caspio; la Tartaria quella a ovest
all’ottava 9 Ariosto ricuce le fila con la trama della Cina.
746
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
8
Nata pochi dì inanzi era una gara 8 1-4 Pochi giorni prima era cominciata una di-
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo; sputa (gara) tra il conte Orlando e suo cugino Ri-
naldo, i quali avevano entrambi il cuore infiam-
che ambi avean per la bellezza rara mato (l’animo caldo) di desiderio d’amore (d’a-
d’amoroso disio l’animo caldo. moroso disio) per la rara bellezza [di Angelica].
Carlo, che non avea tal lite cara, 5-8 Carlo [Magno] il quale non apprezzava (non
avea… cara) questa lite, che gli rendeva l’aiuto lo-
che gli rendea l’aiuto lor men saldo, ro [: di Orlando e di Rinaldo] meno sicuro, portò
questa donzella, che la causa n’era, via (tolse) questa donzella, che era la causa [del li-
tolse, e diè in mano al duca di Bavera; tigio] e la affidò (diè in mano) al duca di Baviera;
9
in premio promettendola a quel d’essi 9 1-4 promettendola [: Angelica] in premio a chi
ch’in quel conflitto, in quella gran giornata, uccidesse il maggior numero (copia) di infedeli in
quella battaglia, in quella battaglia campale (gran
degli infideli più copia4 uccidessi, giornata) [: e compisse] (prestassi) con le proprie
e di sua man prestassi opra più grata. mani l’opera (opra) più gradita [all’imperatore].
Contrari ai voti poi furo i successi; 5-8 [Ma] poi gli eventi (i successi = ‘le cose suc-
cesse’) furono opposti ai desideri (voti); i cristiani
ch’in fuga andò la gente battezzata, (la gente battezzata) fuggirono e il duca venne
e con molti altri fu ’l duca prigione, fatto prigioniero (prigione) insieme con molti
e restò abbandonato il padiglione.5 altri, e la tenda [del duca] (il padiglione) rimase
incustodita (abbandonato).
10
Dove, poi che rimase la donzella 10 1-6 E la fanciulla (donzella) [Angelica] che
ch’esser dovea del vincitor mercede, doveva essere il premio (mercede) del vincitore,
dopo esservi (Dove, poi che rimase; Dove: nel
inanzi al caso era salita in sella, padiglione) rimasta, prima della disfatta (inanzi
e quando bisognò le spalle diede, al caso; caso = ‘evento’) era montata a cavallo (era
presaga che quel giorno esser rubella salita in sella); e quando fu il momento (biso-
gnò), fuggì (le spalle diede), prevedendo (presa-
dovea Fortuna alla cristiana fede: ga) che quel giorno la sorte (Fortuna) doveva
entrò in un bosco, e ne la stretta via essere sfavorevole (rubella = ‘ribelle’) ai cristiani:
rincontrò un cavallier ch’a piè venìa. 7-8 [la fanciulla] entrò in un bosco, e su uno
stretto sentiero incontrò un cavaliere che avan-
zava a piedi.
11
Indosso la corazza, l’elmo in testa, 11 1-4 [Il cavaliere aveva] la corazza addosso,
la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo: l’elmo in testa, la spada sul fianco, e al braccio
teneva lo scudo: e più rapido (leggier) correva per
e più leggier correa per la foresta, la foresta che il contadino (villan) mezzo nudo
ch’al pallio6 rosso il villan mezzo ignudo. per [conquistare] il palio rosso.
Timida pastorella mai sì presta 5-8 Mai un’impaurita (Timida) pastorella ritras-
se (volse) il piede davanti (inanzi) a un serpente
non volse piede inanzi a serpe crudo,
crudele così rapida (presta) come Angelica, [che]
come Angelica tosto il freno torse, subito (tosto) tirò (torse) il freno [: o morso, del
che del guerrier, ch’a piè venìa, s’accorse. cavallo] [e] che si accorse del cavaliere che veniva
a piedi.
747
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
12
Era costui quel paladin gagliardo, 12 1-4 Era costui un cavaliere valoroso (gagliar-
figliuol d’Amon, signor di Montalbano, do), figlio di Amone, signore di Montalbano, al
quale poco prima (pur dianzi) era sfuggito di ma-
a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo no per una strana casualità il suo cavallo (de-
per strano caso uscito era di mano.7 strier) Baiardo.
Come alla donna egli drizzò lo sguardo, 5-8 Come [il cavaliere] indirizzò lo sguardo
verso la donna, anche se (quantunque) da lonta-
riconobbe, quantunque di lontano, no, riconobbe l’aspetto (sembiante) angelico e il
l’angelico sembiante e quel bel volto bel viso che lo tenevano prigioniero (involto =
ch’all’amorose reti il tenea involto.8 ‘avvolto’) nella rete dell’Amore.
13
La donna il palafreno a dietro volta, 13 La donna [: Angelica] volta indietro il [proprio]
e per la selva a tutta briglia il caccia; cavallo (palafreno), e lo spinge (il caccia) a briglia
sciolta nella selva; e non prende (procaccia) la stra-
né per la rara più che per la folta, da più sicura o migliore, [badando di andare] per la
la più sicura e miglior via procaccia: [selva] rada (rara) piuttosto che [per quella più]
ma pallida, tremando, e di sé tolta, folta [: cioè va del tutto a caso]: ma pallida, treman-
te e fuori di sé (di sé tolta), lascia al cavallo (de-
lascia cura al destrier che la via faccia. strier) la preoccupazione (cura) di aprirsi la strada
Di su di giù, ne l’alta selva fiera (che la via faccia). E si aggira nella profonda (alta)
tanto girò, che venne a una riviera.9 selva paurosa (fiera) da ogni parte (Di su di giù)
tanto, che giunge a un fiumicello (riviera).
14
Su la riviera Ferraù10 trovosse 14 1-2 Sul fiumicello incontrò (trovosse) Fer-
di sudor pieno e tutto polveroso. raù, pieno di sudore e tutto sporco di polvere
(polveroso).
Da la battaglia dianzi lo rimosse 3-8 Dalla battaglia poco prima (dianzi) lo allon-
un gran disio di bere e di riposo; tanò (rimosse) un gran desiderio (disio) di bere e
e poi, mal grado suo, quivi fermosse, di riposarsi; e poi, suo malgrado, qui si fermò (qui-
vi fermosse), perché avido di acqua e impaziente
perché, de l’acqua ingordo e frettoloso, [nel berla], si era lasciato scivolare l’elmo nel fiu-
l’elmo nel fiume si lasciò cadere, me, e non l’aveva ancora (anco) ripreso.
né l’avea potuto anco rïavere.
15-31
Ferraù riconosce nella donna la bella Angelica e se ne innamora. Arriva Rinaldo e lo sfida a duello,
ma poi i due si mettono d’accordo sull’interrompere la sfida per proseguire la ricerca della donna,
fuggita per il bosco. Ferraù invita Rinaldo a salire sul suo cavallo; arrivati a un bivio, i due cavalieri
si salutano.
Ferraù, tornato al punto di partenza, continua la ricerca dell’elmo caduto in acqua. Improvvisamente
dal fiume emerge un cavaliere. È lo spettro di Argaglia, il fratello di Angelica che Ferraù ha vinto in duel-
lo. Argaglia rimprovera Ferraù perché non ha mantenuto la promessa di buttare via il suo elmo, che in-
vece ha conservato e adesso cerca inutilmente di ripescare nel fiume. Argaglia suggerisce a Ferraù di
procurarsi in modo onorevole l’elmo di Orlando o quello di Rinaldo. Ferraù promette dunque a se stes-
so che non avrà altro elmo se non quello di Orlando. A questo punto il racconto ritorna a Rinaldo.
7 Era costui...mano: è Rinaldo che nell’Or- 9 riviera: La lingua nel tempo. pare nei testi più antichi del ciclo carolingio e
lando innamorato (III, IV, 29) smonta da 10 Ferraù: è un guerriero pagano che com- anche in Boiardo.
cavallo perché vuole duellare in condizioni di
parità con Ruggiero, che è appiedato; è allora
che Baiardo gli sfugge. LA LINGUA NEL TEMPO
8 l’angelico...involto: sono metafore e lin-
Riviera La parola «riviera» (ottava 13, v. 8) è usata nell’italiano antico specialmente con due
guaggio della lirica petrarchesca; ma l’attri-
significati: nell’accezione poetica, come sinonimo di ‘fiume’, e per estensione con il senso di
buto angelico qui gioca sul nome della prin-
‘territorio, paese, contrada’. Oggi il termine “riviera” indica il territorio costiero che lambisce un
cipessa. Il tema di Amore che tende le reti,
mare, un lago o un fiume (“ho trascorso la Pasqua sulla riviera del Garda”) e, per antonomasia,
cioè inganni contro gli amanti, è già presente
la Riviera ligure o quella adriatica (“ho una villa in Riviera”; “ho trascorso le vacanze in Riviera”).
nel Canzoniere di Petrarca.
748
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
32
Non molto va Rinaldo, che si vede 32 1-4 Non prosegue per molta strada Rinaldo,
saltare inanzi il suo destrier feroce: che si vede comparire davanti il suo cavallo imbiz-
zarrito (feroce) [e gli dice]: – Fermati, Baiardo mio,
– Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede! ferma le tue zampe (il piede)! [Dato] che stare
che l’esser senza te troppo mi nuoce. – senza di te mi procura troppo danno (mi nuoce).
Per questo il destrier sordo a lui non riede, 5-8 Nonostante ciò (Per questo) il cavallo, che
non lo ascolta (sordo), non ritorna (riede) da lui,
anzi più se ne va sempre veloce. anzi si mette a correre sempre più veloce. Lo se-
Segue Rinaldo, e d’ira si distrugge: gue Rinaldo, rodendosi dalla rabbia, ma seguiamo
ma seguitiamo Angelica che fugge. (seguitiamo) Angelica che fugge.
33
Fugge tra selve spaventose e scure, 33 Fugge tra selve spaventose e buie, luoghi di-
per lochi inabitati, ermi e selvaggi. sabitati, solitari (ermi) e selvaggi. Il muoversi del-
le fronde e delle piante (verzure), che profumava
Il mover de le frondi e di verzure,11 (sentia) di cerri di olmi e di faggi, le aveva fatto
che di cerri12 sentia, d’olmi e di faggi, prendere (trovar), tra improvvisi spaventi (con
fatto le avea con subite paure subite paure), strani percorsi (vïaggi), ora da una
parte ora dall’altra; perché a (ch’ad) ogni ombra
trovar di qua di là strani vïaggi; vista su un monte o in una valle, temeva sempre
ch’ad ogni ombra veduta o in monte o in valle, di avere Rinaldo alle spalle.
temea Rinaldo aver sempre alle spalle.
34
Qual pargoletta o damma o capriuola,13 34 [Angelica era] come (Qual) o una daina (dam-
che tra le fronde del natio boschetto ma) o una cerbiatta (capriuola) giovinetta (par-
goletta), che abbia visto, tra i rami del boschetto
alla madre veduta abbia la gola in cui è nata, azzannare la gola alla madre da un
stringer del pardo, o aprirle ’l fianco o ’l petto, leopardo, o lacerarle (aprirle) i fianchi o il petto [e
di selva in selva dal crudel s’invola, che] fugge (s’invola) dalla [bestia] feroce (dal
crudel) per tutto il bosco (di selva in selva), e tre-
e di paura triema e di sospetto: ma di paura e di timore (sospetto): a ogni ramo
ad ogni sterpo che passando tocca, che tocca passando, crede di essere tra le fauci
esser si crede all’empia fera in bocca. della belva spietata (empia fera).
35
Quel dì e la notte e mezzo l’altro giorno 35 1-4 Vagò tutto il giorno, la notte e un’altra
s’andò aggirando, e non sapeva dove. mezza giornata, non sapendo dove andare. Si tro-
vò infine in un piccolo bosco fiorito (adorno), che
Trovossi al fine in un boschetto adorno,14 un fresco venticello (aura = ‘aria’) fa muovere lie-
che lievemente la fresca aura muove. vemente.
Duo chiari rivi, mormorando intorno 5-8 Due limpidi ruscelli (chiari rivi), mormoran-
do intorno, rendono lì (vi) sempre tenera e fresca
sempre l’erbe vi fan tenere e nuove; l’erba; e il [loro] placido scorrere, infrangendosi
e rendea ad ascoltar dolce concento, su (rotto tra) piccoli sassi, offriva (rendea) all’a-
rotto tra picciol sassi, il correr lento. scolto una dolce musica (concento = ‘concerto’).
36-40
Angelica scende da cavallo e decide di riposarsi, addormentandosi all’ombra di una quercia e tra i
cespugli pieni di fiori. Il suo sonno è presto interrotto dal cavaliere saraceno Sacripante che, inna-
morato di lei, si siede presso un ruscello e comincia a sospirare e piangere, credendo di non essere
visto da nessuno.
11 selve spaventose...verzure: l’ottava è frondi e di verzure, ecc.) 14 boschetto adorno: Ariosto riprende qui il
costruita attraverso simmetrie (selve spa- 12 cerri: sono alberi simili alle querce. tòpos del locus amoenus, comune alla narra-
ventose e scure / lochi inabitati, ermi e 13 Qual pargoletta...capriuola: la similitu- tiva romanzesca medievale.
selvaggi) e presenta diverse dittologie (spa- dine è di origine classica e già in Orazio si rife-
ventose e scure; ermi e selvaggi; de le risce a una giovane che evita l’amante.
749
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
41
– Pensier (dicea)15 che ’l cor m’aggiacci et ardi, 41 Diceva [Sacripante]: «Pensiero [d’amore], che
e causi il duol che sempre il rode e lima, mi geli (aggiacci = ‘agghiacci’) e ardi [al tempo stes
so] il cuore, e [che] causi il dolore che lo rode e consu
che debbo far, poi ch’io son giunto tardi, ma (lima) continuamente, che cosa devo fare, giac
e ch’altri a côrre il frutto è andato prima? ché sono arrivato (giunto) tardi, e un altro è andato
a pena avuto io n’ho parole e sguardi, prima [di me] a raggiungere l’oggetto dei suoi deside
ri (côrre il frutto = ‘cogliere il frutto’) [: Angelica]? Io
et altri n’ha tutta la spoglia opima. ne [: da Angelica] ho avuto appena parole e sguardi,
Se non ne tocca a me frutto né fiore, mentre un altro ne ha tutto il ricco bottino (la spo-
perché affliger per lei mi vuo’ più il core? glia opima). [Ma] se a me non spettano di lei (ne)
[né] il frutto né il fiore, perché [o pensiero d’amore]
mi vuoi ancora (più) affliggere il cuore per lei?
42
La verginella è simile alla rosa, 42 Una giovane vergine è simile a una rosa a cui
ch’in bel giardin su la nativa spina (ch’<e>), mentre se ne sta (riposa) sola e sicura in
un bel giardino sul ramo dove è sbocciata (su la
mentre sola e sicura si riposa, nativa spina), non si avvicinano né il gregge né il
né gregge né pastor se le avicina; pastore; il dolce vento (l’aura soave), l’alba con le
l’aura soave e l’alba rugiadosa, rugiade (rugiadosa), l’acqua, la terra si inchinano
a farle omaggio (al suo favor s’inchina): giovani
l’acqua, la terra al suo favor s’inchina: innamorati (vaghi) e donne innamorate amano
gioveni vaghi e donne inamorate avere i petti (seni) e il capo (tempie) decorate con
amano averne e seni e tempie ornate. essa [: la rosa].
43
Ma non sì tosto dal materno stelo 43 Ma non appena (non sì tosto… che) viene tol-
rimossa viene e dal suo ceppo verde, ta dallo stelo su cui è nata e dalla sua verde pianta
(ceppo), perde tutto quanto: il favore, la grazia, la
che quanto avea dagli uomini e dal cielo bellezza che aveva dagli uomini e dal cielo. [Allo
favor, grazia e bellezza, tutto perde. stesso modo] la vergine che lascia cogliere (côrre)
La vergine che ’l fior, di che più zelo a qualcuno il fiore [: la verginità] del quale (di
che) deve (de’) avere cura maggiore (più zelo)
che de’ begli occhi e de la vita aver de’, che non dei [suoi] begli occhi e della vita, perde il
lascia altrui côrre, il pregio ch’avea inanti valore (pregio) che prima (inanti) aveva nel cuo-
perde nel cor di tutti gli altri amanti. re di tutti gli altri innamorati.
44
Sia vile agli altri, e da quel solo amata 44 1-2 Sia [pure] disprezzata dagli altri (vile
a cui di sé fece sì larga copia. agli altri), e amata solo da colui al quale (da quel…
a cui) fece così grande dono (copia = ‘abbondan-
Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata! za’) concedendo se stessa.
trionfan gli altri, e ne moro io d’inopia. 3-4 Ah, destino (Fortuna) crudele, destino ingrato!
Dunque esser può che non mi sia più grata? Gli altri trionfano e io muoio di privazione (inopia =
‘povertà’: muoio perché non posso avere Angelica).
dunque io posso lasciar mia vita propia? 5-6 Può darsi quindi che ella [: Angelica] non mi sia
Ah, più tosto oggi manchino i dì miei, più cara (grata)? Dunque io posso lasciare la mia vita?
ch’io viva più, s’amar non debbo lei! – 7-8 Ah, finiscano (manchino) oggi i miei giorni
[: che io muoia oggi stesso], piuttosto che vivere
ancora, se non devo amarla!
45
Se mi domanda alcun chi costui sia, 45 1-4 Se qualcuno mi domanda chi sia l’uomo
che versa sopra il rio lacrime tante, (costui) che versa sopra il ruscello (rio) così tante
lacrime, io dirò che egli è il re di Circassia, quel Sa-
io dirò ch’egli è il re di Circassia, cripante [a voi già noto], tormentato (travaglia-
quel16 d’amor travagliato Sacripante; to) dall’amore.
15 – Pensier (dicea): il lamento di Sacri- Petrarca. Angelica è paragonata a un frutto: il 16 quel: il pronome indica persona già cono-
pante (ottave 41-45) è un inserto lirico nel cavaliere non ha potuto coglierlo (cioè l’ha sciuta: Sacripante è infatti un personaggio
racconto. Il cavaliere si rivolge al proprio sen- amata solo da lontano, senza poterla mai dell’Innamorato, le cui imprese verranno
timento, quasi personificandolo: è una tec- sfiorare), e crede che qualcuno lo abbia prece- ricordate nelle ottave seguenti.
nica retorica che, dallo Stil novo, passa a duto.
750
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
io dirò ancor, che di sua pena ria 5-8 e aggiungerò che principale (prima) e sola
sia prima e sola causa essere amante, causa della sua crudele sofferenza (pena ria) è
che è innamorato (essere amante), e anzi (pur)
e pur un degli amanti di costei: uno degli innamorati di costei [: Angelica], e lei
e ben riconosciuto fu da lei. infatti lo riconosce immediatamente (ben rico-
nosciuto fu da lei).
46-51
Angelica, ancora nascosta, ascolta in silenzio le parole di Sacripante e riflette su come ottenere pro-
tezione da lui, non concedendosi però fisicamente.
52
E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco 52 E compare improvvisamente in tutta la sua
fa di sé bella et improvisa mostra, bellezza (fa di sé bella et improvisa mostra) fuo-
ri del cespuglio del tutto oscuro e buio (cieco),
come di selva o fuor d’ombroso speco come, a teatro (in scena), Diana o Venere (Cite-
Dïana in scena o Citerea si mostra; rea) si mostrano fuori da una selva o da una caver-
e dice all’apparir: – Pace sia teco; na (speco) ombrosa; e comparendo dice: «La pace
sia con te (teco; la frase è semplicemente una for-
teco difenda Dio la fama nostra, mula di cortesia); Dio difenda davanti a te il mio
e non comporti, contra ogni ragione, buon nome (la fama nostra) e non permetta
ch’abbi di me sì falsa opinïone. – (non comporti) che tu, contro ogni ragione, ab-
bia su di me un’opinione così falsa».
53
Non mai con tanto gaudio o stupor tanto 53 Mai nessuna madre alzò gli occhi con una gioia
levò gli occhi al figliuolo alcuna madre, (gaudio) o uno stupore così grandi verso il figlio,
per il quale (ch’<e>) aveva pianto e sospirato cre-
ch’avea per morto sospirato e pianto,17 dendolo morto (per morto) dopo aver sentito (poi
poi che senza esso udì tornar le squadre; che… udì) che l’esercito (squadre = ‘truppe’) era
con quanto gaudio il Saracin, con quanto tornato [dalla guerra] senza di lui; con quanta gioia
e con quanto stupore [alzò gli occhi] il Saraceno,
stupor l’alta presenza e le leggiadre [quando] si vide apparire improvvisamente davan-
maniere e il vero angelico sembiante, ti la nobile figura (l’alta presenza), i modi eleganti
improviso apparir si vide inante. (le leggiadre maniere) e l’aspetto angelico [della
principessa] nella sua concreta realtà (vero).
54
Pieno di dolce e d’amoroso affetto, 54 1-4 Pieno di dolcezza e di sentimento (affet-
alla sua donna, alla sua diva corse, to) d’amore, [Sacripante] corse incontro alla sua
donna, alla sua dea (diva: cioè la sua amata), [la
che con le braccia al collo il tenne stretto, quale] lo abbracciò stretto con le braccia al collo,
quel ch’al Catai non avria fatto forse. cosa che (quel ch’<e>) [: abbracciarlo] forse non
Al patrio regno, al suo natio ricetto, avrebbe (avria) fatto [se si fosse trovata al sicuro]
in Catai [: in patria].
seco avendo costui, l’animo torse:
5-8 Avendo con sé (seco) costui [: Sacripante] ri-
subito in lei s’avviva la speranza volse (torse) il pensiero (l’animo) al regno del pa-
di tosto riveder sua ricca stanza. dre e al luogo dove è nata (natio ricetto): subito
rinasce (s’avviva) in lei la speranza di rivedere
presto (tosto) la sua ricca dimora (stanza).
55
Ella gli rende conto pienamente 55 1-4 Lei gli racconta (gli rende conto) com-
dal giorno che mandato fu da lei pletamente [ciò che è accaduto], dal giorno in cui
egli fu mandato da lei a chiedere aiuto al re dei Se-
a domandar soccorso in Orïente ricani e degli Arabi (Nabatei);
al re de’ Sericani e Nabatei;18
LA LINGUA NEL TEMPO
17 sospirato e pianto: “piangere” e “sospi-
rare” sono in questo caso transitivi, anziché
Stanza La parola «stanza» (ottava 54, v. 8) è usata nell’italiano letterario come sinonimo di
intransitivi secondo l’uso moderno (“piangere
‘dimora’ in espressioni come “prendere stanza”, il cui significato sopravvive in aggettivi come
qualcuno” anziché “piangere per qualcuno”).
“stanziale” (‘che abita abitualmente in un luogo’) o in participi aggettivali come “stanziato”
18 al re...e Nabatei: cioè Gradasso, altro per- (‘collocato’, ‘inserito in un determinato posto’). Oggi il termine indica comunemente un ambien-
sonaggio dell’Innamorato di Boiardo, re degli
te interno di un’abitazione (“un appartamento con tre stanze”), mentre in senso figurato è usa-
abitanti della Cina del nord (Sericani) e degli
to in espressioni come “la stanza dei bottoni”, per indicare il luogo dove si esercita il potere, di
Arabi (Nabatei).
solito quello politico. In ambito letterario, la “stanza” è la strofa di una canzone.
751
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
e come Orlando la guardò sovente 5-8 e [raccontò] come Orlando la protesse spesso (la guardò
da morte, da disnor, da casi rei; sovente) dalla morte, dal disonore e da eventi pericolosi (da
disnor, da casi rei); e che in questo modo aveva conservato
e che ’l fior virginal così avea salvo, (salvo = ‘salvato’) la verginità (’l fior virginal), così come la
come se lo portò del materno alvo. aveva avuta (se lo portò) dal grembo della madre (del mater-
no alvo) [: dalla nascita].
56
Forse era ver, ma non però credibile 56 1-4 [Il racconto di Angelica] era forse vero, ma non per
a chi del senso suo fosse signore; questo (però) credibile da chi fosse stato padrone del proprio
intelletto (del senso suo… signore: cioè lucido abbastanza da
ma parve facilmente a lui possibile, poter capire); ma sembrò a lui [Sacripante] possibile, dato che
ch’era perduto in via più grave errore.19 ormai era perso in un errore ben più grave (in via più grave er-
Quel che l’uom vede, Amor gli fa invisibile, rore: cioè quello ispirato dall’amore).
5-8 Quello che l’uomo potrebbe vedere, la forza dell’Amore
e l’invisibil fa vedere Amore. lo rende invisibile, e ciò che è invisibile la forza dell’Amore lo
Questo creduto fu; che ’l miser suole fa vedere. Questo [: ciò che aveva detto Angelica] fu creduto;
dar facile credenza a quel che vuole. poiché chi è infelice (’l miser) è solito (suole) prestare un faci-
le credito (dar facile credenza) a quello che vuole [credere].
57
– Se mal si seppe il cavallier d’Anglante 57 Sacripante, senza parlare (tacito), dice (parla) tra sé [e sé]:
– Se il cavaliere di Anglante [: Orlando] per la sua ingenuità
pigliar per sua sciochezza il tempo buono,
(sciochezza) non ha saputo cogliere (mal si seppe… pigliar) il
il danno se ne avrà; che da qui inante momento opportuno, ben gli sta (il danno se ne avrà); perché
nol chiamerà Fortuna a sì gran dono d’ora in poi (che da qui inante) la sorte non lo chiamerà più a
(tra sé tacito parla Sacripante): [godere di] un dono così grande: ma io non intendo certo (già
non sono) imitarlo, così da (che) trascurare (lasci) questo
ma io per imitarlo già non sono, bene così grande (tanto) che mi è concesso, e poi dovermi
che lasci tanto ben che m’è concesso, (ch’<e>… m’abbia) rammaricare (doler) di me stesso.
e ch’a doler poi m’abbia di me stesso.
58
Corrò la fresca e matutina rosa, 58 1-2 Coglierò (Corrò) la rosa fresca e mattutina [: priverò
che, tardando, stagion perder potria.20 Angelica della verginità], che, se esito, potrebbe (potria) per-
dere la sua freschezza (stagion).
So ben ch’a donna non si può far cosa 3-6 So bene che a una donna non si può fare una cosa più dol-
che più soave e più piacevol sia, ce o piacevole, sebbene mostri di disdegnarla [: finga di non
ancor che se ne mostri disdegnosa, volere accondiscendere ai desideri sessuali], e talvolta se ne
stia triste (mesta) e piagnucolosa (flebil);
e talor mesta e flebil se ne stia: 7-8 non mi tratterrò, per i rifiuti (repulsa) o uno sdegno in-
non starò per repulsa o finto sdegno, sincero (finto), dall’intraprendere (ch’io non adombri) e dal
ch’io non adombri e incarni21 il mio disegno. – portare a termine (incarni) il mio progetto (disegno).
59
Così dice egli; e mentre s’apparecchia 59 1-4 Così egli [Sacripante] dice; e mentre si prepara (s’ap-
al dolce assalto, un gran rumor che suona parecchia) al dolce assalto [: a sedurre Angelica], risuona (suo-
na) un gran rumore dal bosco vicino, che gli rintrona (intruo-
dal vicin bosco gl’intruona l’orecchia, na) le orecchie, cosicché contro la propria volontà (mal grado)
sì che mal grado l’impresa abbandona: abbandona l’impresa:
752
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
e si pon l’elmo (ch’avea usanza vecchia 5-8 e si mette l’elmo (dato che aveva come abitu-
di portar sempre armata la persona), dine consolidata quella di essere sempre armato),
si avvicina al cavallo e gli rimette le briglie, ri-
viene al destriero e gli ripon la briglia, monta in sella e prende la lancia.
rimonta in sella e la sua lancia piglia.
60
Ecco pel bosco un cavallier venire, 60 1-4 Ecco un cavaliere arrivare per il bosco; il
il cui sembiante è d’uom gagliardo e fiero: cui aspetto (sembiante) è quello di un uomo va-
loroso (gagliardo) e coraggioso (fiero): il suo ve-
candido come nieve è il suo vestire, stito (vestire) è bianco (candido) come la neve [e]
un bianco pennoncello ha per cimiero. ha come ornamento sull’elmo (per cimiero) una
Re Sacripante, che non può patire bandierina (pennoncello) bianca.
5-8 Re Sacripante, che non può sopportare (pati-
che quel con l’importuno suo sentiero re) che quell’uomo (quel), con il suo percorso
gli abbia interrotto il gran piacer ch’avea, (sentiero) inopportuno, gli abbia interrotto una
con vista il guarda disdegnosa e rea. situazione così piacevole (gran piacere), lo fissa
con sguardo (vista) sprezzante e minaccioso.
61
Come è più presso, lo sfida a battaglia; 61 1-2 Appena è più vicino, lo sfida a duello,
che crede ben fargli votar l’arcione.22 poiché è intenzionato (che crede ben) a disarcio-
narlo (fargli votar l’arcione; votar = ‘vuotare’).
Quel che di lui non stimo già che vaglia 3-8 L’altro (Quel) [cavaliere], che non credo che
un grano meno, e ne fa paragone, valga (vaglia) neppure un briciolo (un grano) me-
l’orgogliose minaccie a mezzo taglia, no di lui, e lo dimostra apertamente (ne fa parago-
ne), tronca a metà (a mezzo taglia) le [sue] superbe
sprona a un tempo, e la lancia in resta pone. (orgogliose) minacce, contemporaneamente (a un
Sacripante ritorna con tempesta, tempo) sprona [il cavallo], e mette la lancia in resta
e corronsi a ferir testa per testa. [: in posizione di combattimento]. Sacripante ritor-
na con furia (tempesta), e i [due] corrono a ferirsi
(corronsi a ferir) frontalmente (testa per testa).
62-64
Nel duello Sacripante avrà la peggio. Viene buttato giù dal cavallo e il cavaliere sconosciuto, senza
preoccuparsi di continuare il combattimento, fugge via lasciando Sacripante a piedi e umiliato.
65
Qual istordito e stupido aratore, 65 Come un contadino (aratore) stordito e stu-
poi ch’è passato il fulmine, si leva pefatto (stupido), dopo che è passato un fulmine,
si alza dal luogo in cui (di là dove) il fortissimo (al-
di là dove l’altissimo fragore tissimo) fragore l’aveva steso insieme ai (appres-
appresso ai morti buoi steso l’aveva; so ai) buoi morti; il quale [contadino] guarda (mi-
che mira senza fronde e senza onore ra) il pino che era solito (soleva) vedere di lonta-
no [ormai] privo dei rami che lo adornavano
il pin che di lontan veder soleva: (senza fronde e senza onore): così si alzò il paga-
tal si levò il pagano a piè rimaso, no disarcionato (a piè rimaso = ‘rimasto a piedi’),
Angelica presente al duro caso. mentre Angelica assiste (Angelica presente) alla
triste situazione (al duro caso).
66
Sospira e geme, non perché l’annoi 66 1-6 [Sacripante] sospira e geme, non perché
gli dia dolore (l’annoi) l’avere (che... s’abbi = ‘che si
che piede o braccia s’abbi rotto o mosso,
abbia’) un piede o un braccio rotto o slogato (mos-
ma per vergogna sola, onde a’ dì suoi so), ma solo per la vergogna di cui (onde) non ebbe
né pria, né dopo il viso ebbe sì rosso: mai il viso così rosso in tutta la sua vita (a’ dì suoi),
e più, ch’oltre al cader, sua donna poi né prima né dopo: e [arrossì ancor] più, perché, ol-
tre a essere caduto (ch’oltre al cader), fu la sua
fu che gli tolse il gran peso d’adosso. amata a togliergli di dosso il gran peso [del cavallo].
Muto restava, mi cred’io, se quella 7-8 Sarebbe rimasto (restava) muto, io credo, se
non gli rendea la voce e la favella. quella [: Angelica] non gli avesse ridato (rendea,
da “rendere”) voce e parola (favella).
22 l’arcione: è quella sporgenza della sella che aiuta a reggersi sul cavallo.
753
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
67
– Deh! (diss’ella) signor, non vi rincresca! 67 1-4 Disse ella: – Deh, signore, non siate di
che del cader non è la colpa vostra, spiaciuto (non vi rincresca), che la colpa della ca
duta non è vostra, ma del cavallo, per il quale oc
ma del cavallo, a cui riposo et esca correvano (si convenia) più (meglio) riposo e ci
meglio si convenia che nuova giostra. bo (esca) che un nuovo combattimento (giostra).
Né perciò quel guerrier sua gloria accresca; 5-8 Perciò quel cavaliere non può accrescere la
propria gloria (sua gloria accresca), dato che
che d’esser stato il perditor dimostra:
(quando) dimostra di essere stato il vero perden
così, per quel ch’io me ne sappia, stimo, te (perditor): credo infatti, per quel che ne so, che
quando a lasciare il campo è stato primo. –23 è stato il primo ad abbandonare il campo.
68
Mentre costei conforta il Saracino, 68 1-4 Mentre costei [: Angelica] conforta il Sa-
ecco col corno e con la tasca24 al fianco, raceno [: Sacripante], ecco arrivare al galoppo so-
pra un ronzino un messaggero con il corno e la ta-
galoppando venir sopra un ronzino25 sca [legati] al fianco, che sembrava preoccupato
un messaggier che parea afflitto e stanco; (afflitto) e stanco;
che come a Sacripante fu vicino, 5-8 il quale, appena fu vicino a Sacripante, gli do-
mandò se aveva visto passare per la foresta un
gli domandò se con un scudo bianco guerriero con lo scudo e il pennacchio bianchi.
e con un bianco pennoncello in testa
vide un guerrier passar per la foresta.
69
Rispose Sacripante: – Come vedi, 69 1-4 Rispose Sacripante: – Come vedi, [egli]
m’ha qui abbattuto, e se ne parte or ora; mi ha buttato giù da cavallo proprio qui (abbattu-
to), ed è fuggito adesso; e affinché (perch’<é>) io
e perch’io sappia chi m’ha messo a piedi, sappia chi mi ha messo a piedi, fa’ che io lo cono
fa che per nome io lo conosca ancora. – sca per nome [: cioè come si chiama].
Et egli a lui: – Di quel che tu mi chiedi 5-8 E [il messaggero gli rispose]: – [A proposito]
di quello (Di quel) che mi chiedi, io ti soddisferò
io ti satisfarò senza dimora: senza indugio (senza dimora): devi sapere che ti
tu déi saper che ti levò di sella ha tolto da cavallo (di sella) il grande valore di una
l’alto valor d’una gentil donzella.26 fanciulla gentile.
Jean-Honoré Fragonard,
Carlo Magno conduce
Angelica lontana da
Orlando, illustrazione
per l’Orlando furioso,
1785 circa.
754
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
Piatto di Bradamante,
maiolica di Castel
Durante, 1525-1560
circa. Sèvres, Cité de la
Céramique.
70
Ella è gagliarda, et è più bella molto; 70 1-4 Ella è valorosa (gagliarda), ma di più è
né il suo famoso nome anco t’ascondo: molto bella; non ti nascondo più (né… anco t’a-
scondo) il suo famoso nome: è stata Bradamante
fu Bradamante27 quella che t’ha tolto che ti ha tolto tutto l’onore che (quanto onor) hai
quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. – guadagnato nel mondo.
Poi ch’ebbe così detto, a freno sciolto 5-8 Dopo che ebbe detto così, ripartì a briglia
sciolta (a freno sciolto: cioè velocemente), lasciò
il Saracin lasciò poco giocondo, il Saraceno per nulla contento (poco giocondo),
che non sa che si dica o che si faccia, [tanto] che non sa più che cosa dire o che cosa fa-
tutto avvampato di vergogna in faccia. re, (che… faccia), tutto rosso (avvampato) in fac-
cia per la vergogna.
71
Poi che gran pezzo al caso intervenuto 71 1-4 Dopo che ebbe pensato a lungo inutilmen-
ebbe pensato invano, e finalmente te al fatto accaduto (intervenuto), alla fine (final-
mente) si rese conto (si trovò) [di essere stato] but-
si trovò da una femina abbattuto, tato giù [da cavallo] da una femmina, che [quanto]
che pensandovi più, più dolor sente; più ci pensa, [tanto] più ne soffre (dolor sente);
montò l’altro destrier, tacito e muto: 5-8 montò il cavallo [di Angelica] in silenzio e
senza parlare: quietamente fece salire (tolse) An-
e senza far parola, chetamente gelica in sella (in groppa) e rimandò (differilla) [la
tolse Angelica in groppa, e differilla conquista di Angelica] a un momento più felice (a
a più lieto uso, a stanza più tranquilla. più lieto uso) e a un luogo (stanza) più tranquillo.
27 Bradamante: guerriera cristiana sorella di Rinaldo, si innamora di Ruggiero nel III libro dell’Orlando innamorato.
755
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
ANALISI Il legame con l’Orlando innamorato L’antefatto (ottave 5-9) serve da collegamento con l’Or-
lando innamorato. Là Rinaldo e Angelica avevano alternativamente bevuto alla fontana dell’o-
dio e dell’amore: Rinaldo, che prima fuggiva da Angelica innamorata di lui dopo aver bevuto
alla fontana dell’amore, adesso la insegue; mentre Angelica, che ha bevuto alla fontana dell’o-
dio, lo fugge. Angelica scappa anche da Orlando, che l’ha portata con sé in Francia dal lontano
Catai. Sui Pirenei si fronteggiano l’esercito cristiano di Carlo Magno e quello saraceno di Agra-
mante, re d’Africa, e di Marsilio, re di Spagna. Orlando e Rinaldo si contendono l’amore di
Angelica: Carlo decide di affidare la fanciulla al duca Namo, per poi consegnarla a chi tra i due
paladini si dimostrerà più valoroso nella guerra in atto. Ma lo scontro volge a sfavore dei cri-
stiani: il duca Namo è imprigionato e Angelica, rimasta senza sorveglianza, si dà alla fuga. È
l’inizio del Furioso: la guerra santa viene momentaneamente messa tra parentesi per seguire
la vicenda romanzesca che ha come protagonisti Angelica e i suoi inseguitori.
L’abbassamento del mondo cavalleresco La voce narrante interviene per esclamare: «Oh
gran bontà de’ cavallieri antiqui!». Ariosto ammira il mondo cavalleresco, ma è consapevole
che si tratta di un mondo ormai lontano. Per avvicinarlo alla realtà presente occorre “abbas-
sarlo”: così il poeta fa emergere sotto i cavalieri e le dame della leggenda gli uomini e le donne
reali, con i loro limiti e i loro problemi. Guardiamo Sacripante: egli è atterrato da una donna
proprio sotto gli occhi dell’amata! Lo stesso Rinaldo è presentato come «un cavallier ch’a piè
venia»: il dover correre per la selva a piedi sminuisce l’eroica dignità del paladino.
Prende spazio il realismo: Angelica è una donna cinica e opportunista; Sacripante vuole con lei un
rapporto sessuale; Ferraù rinuncia all’amata per inseguire un più modesto ma disponibile oggetto
sostitutivo, l’elmo di Orlando. Personaggi come Angelica, Sacripante e Ferraù dimostrano così di
sapersi adattare alla varie situazioni che la Fortuna mette loro davanti, rinunciando ai princìpi ideali.
Il lessico dell’azione e del movimento Il canto è caratterizzato dalla successione rapida di
avvenimenti, espressa anche attraverso scelte lessicali mirate. Nelle ottave che descrivono la
fuga di Angelica abbondano i verbi di moto: per esempio, nell’ottava 10 si trovano «era salita»
(v. 3), «le spalle diede» (v. 4) «entrò» (v. 7) «a piè venìa» (v. 8). I periodi sono brevi ed esprimono
soprattutto le azioni dei protagonisti. Numerose e ravvicinate sono le determinazioni di luogo,
che sostengono i continui spostamenti dei personaggi: «a dietro» (13, v. 1), «Di su di giù» (13,
v. 7), «a una riviera» (13, v. 8), «Su la riviera» (14, v. 1), «quivi» (14, v. 5), «nel fiume» (14, v. 7).
Allo stesso modo, abbondano le determinazioni di tempo: «dianzi» (14, v. 3), «anco» (14, v. 8).
INTERPRETAZIONE La vana ricerca Al centro del canto – e di tutto il poema – sta il tema della ricerca: Angelica
E COMMENTO desidera la libertà e il ritorno in patria, Rinaldo insegue il suo cavallo e poi Angelica, Ferraù
vuole conquistare l’elmo di Orlando, Bradamante vuole trovare Ruggiero. Si determina un
movimento continuo: un movimento circolare, che torna sempre al punto di partenza. L’og-
getto del desiderio sempre si dilegua, irraggiungibile: Angelica, che svanisce regolarmente alla
vista dei suoi spasimanti, diviene il simbolo di una ricerca vana e continuamente delusa.
Nessuno trova quello che cerca: Angelica cerca la libertà e trova invece l’odiato Rinaldo;
Rinaldo cerca Baiardo e trova Angelica, si volge poi a inseguire l’amata e trova il cavallo; Fer-
raù cerca l’elmo e incontra Angelica, ecc.
Tutto ha luogo nella selva, spazio labirintico in cui infiniti cammini si intrecciano e si biforcano.
La selva rappresenta la realtà intricata, sottoposta all’«arbitrio di fortuna» (23, 5). I personaggi
appaiono vittime del caso: compiono libere scelte (fuggire, disertare, inseguire), ma non
dipende da loro che realizzino i propri obiettivi o meno. La forma di libertà più alta sembra
quella di chi, dall’alto, osserva e intreccia i destini dei protagonisti: la libertà del narratore, che
più volte fa sentire la sua voce all’interno del racconto.
756
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
OLTRE IL TESTO
1. Raccontare
Nel primo canto Ariosto introduce il tema che percorrerà tutto il poema: gli uomini rincorrono l’oggetto del loro
desiderio, ma spesso la corsa si rivela vana e inconcludente. I cavalieri sembrano smarriti, girano in tondo per
tornare sempre al punto di partenza. È una condizione di disagio, che può capitare anche nella nostra quoti-
dianità. Ti è mai capitato di voler ottenere qualcosa senza riuscirci? Come ti sei sentito? Quali ostacoli hai
incontrato? Descrivi la tua personale esperienza.
2. Produrre
Questo primo canto è esemplare perché permette al lettore di comprendere subito i temi e le caratteristi-
che formali che caratterizzano tutto il Furioso. Stendi un elenco dei temi che compaiono nel brano. Illustra
ciascuno dei temi che hai individuato con un’immagine.
757
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
X, 92 PARAFRASI
Quindi poi sopra il mare il destrier muove 92 5-8 Da lì (Quindi) [Ruggiero] muove il suo
là dove la minor Bretagna1 lava: cavallo (destrier: l’ippogrifo) sopra il mare, là do-
ve [il mare] bagna (lava) la Bretagna francese: e
e nel passar vide, mirando a basso, mentre passava [egli] vide, guardando in basso,
Angelica legata al nudo sasso. Angelica nuda legata a una pietra.
93
Al nudo sasso, all’Isola del pianto; 93 [Angelica era legata] nuda a una pietra, nel-
che l’Isola del pianto era nomata l’Isola del pianto [: Ebuda]; era chiamata Isola del
pianto quella che era abitata da gente crudele e
quella che da crudele e fiera tanto tanto feroce (fiera tanto) e disumana (inumana),
et inumana gente era abitata, la quale, come io vi dicevo prima, in un [altro]
che (come io vi dicea sopra nel canto)2 canto (sopra nel canto), se ne andava (iva) ordi-
nata in schiere (in armata) sulle diverse spiagge
per varii liti sparsa iva in armata (per varii liti), rapendo (depredando) tutte le
tutte le belle donne depredando, belle donne, per darle poi come pasto scellerato
per farne a un mostro poi cibo nefando. (nefando) a un mostro.
94
Vi fu legata pur quella matina, 94 1-4 Quella stessa mattina [Angelica] fu lega-
dove venìa per trangugiarla viva ta [alla pietra], dove arrivava un mostro smisura-
to, un’orca marina, per mangiarla (trangugiarla)
quel smisurato mostro, orca marina, viva, dato che si nutriva di cibo orribile (aborre-
che di aborrevole esca si nutriva. vole esca).
Dissi di sopra,3 come fu rapina 5-8 Ho detto prima (Dissi di sopra), in quale mo-
do (come) fu preda (rapina) di coloro che la trova-
di quei che la trovaro in su la riva rono sulla spiaggia (riva), mentre dormiva vicino
dormire al vecchio incantatore a canto, (a canto) al vecchio incantatore, che lì l’aveva at-
ch’ivi l’avea tirata per incanto. tirata (tirata) con la magia.
95
La fiera gente inospitale e cruda 95 1-4 L’inospitale gente crudele (fiera) e catti-
alla bestia crudel nel lito espose va (cruda) espose la bellissima donna alla bestia
crudele nella spiaggia (nel lito), nuda proprio
la bellissima donna, così ignuda come la Natura l’aveva fatta (la compose) da prin-
come Natura prima la compose. cipio (prima) [: quando nacque].
758
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
Un velo non ha pure, in che richiuda 5-8 Non ha neppure un velo con il quale (in che)
i bianchi gigli e le vermiglie rose,4 coprire (richiuda) i bianchi gigli e le rose rosse [: il
bianco e il rosso dell’incarnato], [tali] da non ca-
da non cader per luglio o per dicembre, dere [: sfiorire] né a luglio [: in estate] né a dicem-
di che son sparse le polite membre. bre [: in inverno], [gigli e rose] di cui le sue mem-
bra levigate (polite) sono cosparse.
96
Creduto avria che fosse statua finta 96 1-5 Ruggiero avrebbe (avria) creduto che fos-
o d’alabastro o d’altri marmi illustri se una statua fatta [da uomini] (finta) o di alaba-
stro o di altri marmi famosi (illustri: ‘pregiati’), e
Ruggiero, e su lo scoglio così avinta [che fosse stata] legata (avinta) sullo scoglio come
per artificio di scultori industri; opera (per artificio) di scultori abili (industri);
se non vedea la lacrima distinta 5-8 se non avesse visto, tra le fresche rose [: il ros-
sore] e i bianchi gigli (candidi ligustri) [: il pallo-
tra fresche rose e candidi ligustri re], una lacrima che spiccava bagnare come rugia-
far rugiadose le crudette pome, da (far rugiadose = ‘rendere bagnate di rugiada’) le
e l’aura sventolar l’aurate chiome. mele un po’ acerbe (crudette pome) [: i seni] e
[non avesse visto] il vento (l’aura) [far] sventolare
i capelli (chiome) biondi (aurate = ‘dorate’).
97
E come ne’ begli occhi gli occhi affisse, 97 1-2 E nel momento in cui (come) [Ruggie-
de la sua Bradamante gli sovvenne. ro] fissò (affisse) gli occhi negli occhi belli [di An-
gelica], si ricordò (gli sovvenne) della sua Brada-
Pietade e amore a un tempo lo traffisse, mante.
e di piangere a pena si ritenne; 3-8 Lo colpirono (lo traffisse) nello stesso istan-
e dolcemente alla donzella disse, te pietà e amore, e si trattenne (si ritenne) a ma-
lapena dal piangere; e dopo aver frenato le ali
poi che del suo destrier frenò le penne: dell’ippogrifo (destrier frenò le penne) disse dol-
– O donna, degna sol de la catena5 cemente alla fanciulla: – O donna, degna solo del-
con chi i suoi servi Amor legati mena, la catena con la quale (con chi) Amore conduce
(mena) legati i suoi servi [: gli innamorati]
98
e ben di questo e d’ogni male indegna, 98 1-4 e certo (ben) indegna di questo e di ogni
chi è quel crudel che con voler perverso male; chi è quell’[individuo] crudele che, con un
disegno criminale (con voler perverso), segna di
d’importuno livor stringendo segna inopportuni lividi (importuno livor) l’avorio rilu-
di queste belle man l’avorio terso? – cente (terso) [: il candore] delle tue belle mani
Forza è ch’a quel parlare ella divegna stringendole [con le catene]?
5-8 È inevitabile (Forza è) che a quelle parole lei
quale è di grana un bianco avorio asperso, diventi (divegna) come è un bianco avorio co-
di sé vedendo quelle parte ignude, sparso (asperso) di porpora (grana) [: che arrossi-
ch’ancor che belle sian, vergogna chiude. sca], vedendo nude quelle parti del proprio corpo
che, per quanto (ancor che) siano belle, il pudore
fa coprire (vergogna chiude).
99
E coperto con man s’avrebbe il volto, 99 1-4 E si sarebbe coperta (coperto… s’avreb-
se non eran legate al duro sasso; be) il viso con le mani, se non fossero legate alla
pietra dura; ma di pianto, che almeno quello non
ma del pianto, ch’almen non l’era tolto, le era impedito (tolto), lo cosparse, e si sforzò di
lo sparse, e si sforzò di tener basso. mantenerlo abbassato [: il volto] (tener basso).
E dopo alcun’ signozzi, il parlar sciolto 5-7 E dopo alcuni singhiozzi (signozzi) inco-
minciò a parlare speditamente (il parlar sciolto)
incominciò con fioco suono e lasso: con voce debole e stanca (fioco… e lasso): ma non
ma non seguì; che dentro il fe’ restare poté continuare; poiché glielo fece (il fe’) restare
il gran rumor che si sentì nel mare. in gola (dentro) il gran rumore che proveniva dal
mare.
4 i bianchi gigli e le vermiglie rose: la meta- 5 – O donna...de la catena: Ruggiero si tema del trionfo di Amore, diffuso da Ovidio
fora è di origine classica. esprime con la ricercatezza di un petrarchi- e Petrarca in particolare: il dio è un signore
sta. La metafora della catena è collegata al crudele che opprime gli amanti.
759
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
100
Ecco apparir lo smisurato mostro 100 1-2 Ecco apparire il grande mostro per metà
mezzo ascoso ne l’onda e mezzo sorto. nascosto dall’acqua, e per metà fuori (sorto).
3-6 Come, spinta da borea o dall’austro, è solita
Come sospinto suol da borea o d’ostro6 (suol) venire ad approdare (a pigliar porto) una
venir lungo navilio a pigliar porto, lunga imbarcazione (navilio), così viene al cibo
così ne viene al cibo che l’è mostro7 che le è mostrato (mostro) la bestia orrenda [: l’or-
ca]; e il tempo (intervallo) [che impiega] è breve.
la bestia orrenda; e l’intervallo è corto. 7-8 La donna è mezza morta dalla paura, [tanto
La donna è mezza morta di paura; che] (né) non si rassicura con il conforto degli
né per conforto altrui si rassicura. altri (altrui: di Ruggiero).
101
Tenea Ruggier la lancia non in resta, 101 1-2 Ruggiero teneva la lancia non in resta
(: nella posizione giusta, cioè all’altezza della vi-
ma sopra mano, e percoteva l’orca.
ta), ma all’altezza della spalla (sopra mano), e pic-
Altro non so che s’assimigli a questa, chiava l’orca.
ch’una gran massa che s’aggiri e torca; 3-6 Non conosco nient’altro che somigli a questa
né forma ha d’animal, se non la testa, [: all’orca], che una cosa grande (gran massa) che si
volti e si contorca (s’aggiri e torca); non ha forma
c’ha gli occhi e i denti fuor, come di porca. di animale, se non per la testa, che [presenta] gli
Ruggier in fronte la ferìa tra gli occhi; occhi e i denti di fuori, come una cinghialessa (por-
ma par che un ferro o un duro sasso tocchi. ca: l’orca ha cioè le zanne che escono dalla bocca).
7-8 Ruggiero la feriva (ferìa) in fronte tra gli occhi;
ma sembra che colpisca (tocchi) un ferro o un sasso.
102
Poi che la prima botta poco vale, 102 1-2 Dato che il primo colpo serve a poco
ritorna per far meglio la seconda. (poco vale), ritorna [alla carica] per fare meglio la
seconda [volta].
L’orca, che vede sotto le grandi ale 3-7 L’orca, che riesce a vedere sotto le grandi ali
l’ombra di qua e di là correr su l’onda, [dell’ippogrifo] l’ombra [di Rinaldo] che corre qua
lascia la preda certa litorale, e là sulle onde [del mare], lascia la preda sicura
che è sul lido (litorale) [: Angelica, che non può
e quella vana segue furibonda: muoversi] e segue furibonda quella inafferrabile
dietro quella si volve e si raggira. (vana) [: l’ipprogrifo]: dietro l’ombra si volta e si
Ruggier giù cala, e spessi colpi tira. rigira (si volve e si raggira).
8 Ruggiero si cala giù [: nel mare] e numerosi
(spessi) colpi tira.
103
Come d’alto venendo aquila suole, 103 Come è solita (suole) [fare] l’aquila che, ve-
ch’errar fra l’erbe visto abbia la biscia, nendo dall’alto, abbia visto un serpente (la biscia)
vagare (errar) nell’erba o starsene al sole su un
o che stia sopra un nudo sasso al sole, sasso nudo dove rende belle (abbella) e liscia le
dove le spoglie d’oro abbella e liscia; squame (le spoglie) dorate, non vuole assalirla da
non assalir da quel lato la vuole quel lato dove (onde) la [bestia] velenosa sibila e
striscia, ma la afferra (adugna = ‘adunghia’) da
onde la velenosa e soffia e striscia, dietro (da tergo), e batte le ali (i vanni), perché
ma da tergo la adugna, e batte i vanni, (acciò) [il serpente] non le si volti [contro] e la
acciò non se le volga e non la azzanni: morda (azzanni),
104
così Ruggier con l’asta e con la spada, 104 così Ruggiero, con la lancia e con la spada,
non dove era de’ denti armato il muso, vuole che il colpo ferisca (cada) tra le orecchie,
ora sul dorso (le schene), ora giù (giuso) sulla co-
ma vuol che ’l colpo tra l’orecchie cada, da, e non dove il muso è munito (armato) di den-
or su le schene, or ne la coda giuso. ti. Se la belva (fera) si volta, egli cambia (ei muta)
Se la fera si volta, ei muta strada, strada, cala giù al momento opportuno (a tempo)
e resta (poggia) in su: ma, come se colpisse (giun-
et a tempo giù cala, e poggia in suso: ga = ‘raggiunga’) sempre un [pezzo di] roccia
ma come sempre giunga in un dïaspro, (dïaspro), non riesce a tagliare le scaglie (lo sco-
non può tagliar lo scoglio duro et aspro. glio) [dell’orca], dure e ruvide (aspro).
760
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
105
Simil battaglia fa la mosca audace 105 [Compie] una battaglia simile la mosca corag
giosa (audace) contro il cane mastino nell’agosto
contra il mastin nel polveroso agosto,
pieno di polvere, o nel mese prima o in quello se
o nel mese dinanzi o nel seguace, guente (seguace), il primo [: luglio] ricco di grano
l’uno di spiche e l’altro pien di mosto: (spiche = ‘spighe’), il secondo [: settembre] [ricco] di
negli occhi il punge e nel grifo mordace, mosto [perché si vendemmia]: lo punge negli occhi
e nel muso pronto a mordere (grifo mordace), gli
volagli intorno e gli sta sempre accosto; vola intorno e gli sta sempre accanto (accosto); e
e quel suonar fa spesso il dente asciutto: quello [: il cane mastino] fa spesso risuonare i denti
ma un tratto che gli arrivi,8 appaga il tutto. a vuoto (asciutto) [: senza riuscire a mordere la mo-
sca] ma se d’un colpo (un tratto), [il mastino] la
prende, trova piena soddisfazione (appaga il tutto).
106
Sì forte ella nel mar batte la coda, 106 1-4 Ella [: l’orca] batte così forte la coda sul
che fa vicino al ciel l’acqua inalzare; mare, che fa alzare l’acqua fino al cielo; di modo
che [Ruggiero] non sa se il suo cavallo (destrier)
tal che non sa se l’ale in aria snoda, [: l’ippogrifo] muove (snoda) le ali in aria oppure
o pur se ’l suo destrier nuota nel mare. se nuota nel mare.
Gli è spesso che disia trovarsi a proda; 5-8 Accade spesso (Gli è spesso) che desideri tro-
varsi sulla terraferma (a proda); poiché, se lo schiz-
che se lo sprazzo in tal modo ha a durare, zare (sprazzo) deve continuare in questo modo,
teme sì l’ale inaffi all’ippogrifo, teme che bagni (inaffi) le ali dell’ippogrifo, tanto
che brami invano avere o zucca o schifo. che desidererebbe (sì… che brami) invano avere
un galleggiante o un battello (o zucca o schifo).
107
Prese nuovo consiglio, e fu il migliore, 107 1-4 [Ruggiero] prese una decisione (consi-
di vincer con altre arme il mostro crudo: glio), e fu la migliore [che potesse prendere], di
vincere con altre armi il mostro crudele (crudo):
abbarbagliar lo vuol con lo splendore lo vuole accecare (abbarbagliar) con lo splendore
ch’era incantato nel coperto scudo. che c’era, per incantesimo (era incantato), nello
Vola nel lito; e per non fare errore, scudo velato.
5-8 Vola sulla spiaggia e per non commettere
alla donna legata al sasso nudo l’errore [di accecare anche Angelica], lascia alla
lascia nel minor dito de la mano donna legata alla pietra nuda, nel dito più piccolo
l’annel,9 che potea far l’incanto vano. della mano, l’anello, che poteva vanificare (far…
vano) l’incantesimo.
108
Si racconta brevemente la storia dell’anello e dei suoi numerosi passaggi di mano.
109
Lo dà ad Angelica ora, perché teme 109 1-4 Ora lo dà ad Angelica perché teme che
che del suo scudo il fulgurar non viete,10 (teme che… non) annulli (viete) lo sfolgorare del
suo scudo, e perché al tempo stesso (insieme) lei
e perché a lei ne sien difesi insieme ne abbia protetti (difesi) gli occhi, che lo avevano
gli occhi che già l’avean preso alla rete. già fatto innamorare (preso alla rete; d’Amore).
Or viene al lito, e sotto il ventre preme 5-6 Ora arriva sulla spiaggia, e sotto la pancia lo
smisurato cetaceo (cete: l’orca) ricopre (preme)
ben mezzo il mar la smisurata cete. metà del mare.
Sta Ruggiero alla posta, e lieva il velo; 7-8 Ruggiero sta in agguato (alla posta) e toglie il
e par ch’aggiunga un altro sole al cielo. velo [che copre lo scudo] (lieva il velo); e sembra
che aggiunga un altro sole in cielo [da quanto lo
scudo è luminoso].
110
Ferì negli occhi l’incantato lume 110 1-2 La luce magica (l’incantato lume) ferì gli
di quella fera, e fece al modo usato. occhi di quella belva (fera) e produsse l’effetto con-
sueto (fece al modo usato = ‘fece nel solito modo’).
8 ma un tratto che gli arrivi: basta un non- 9 l’annel: l’anello magico di Angelica, ora in magico annulla gli incantesimi, Ruggiero
nulla perché la mosca sia finita: e così Rug- possesso di Ruggiero. teme, tenendolo al dito, che lo scudo non
giero. 10 del suo scudo...non viete: poiché l’anello funzioni.
761
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Quale o trota o scaglion va giù pel fiume 3-6 Come una trota o uno scaglione [: pesce di acqua dolce] va
c’ha con calcina il montanar turbato, giù per il fiume che il montanaro ha intorbidato (turbato) con
della calcina, nello stesso modo (tal) si vedeva il mostro orri-
tal si vedea ne le marine schiume bilmente rovesciato (riversciato) tra la schiuma del mare.
il mostro orribilmente riversciato. 7-8 Ruggiero percuote [l’orca] di qua e di là, ma non trova mai
Di qua di là Ruggier percuote assai, il punto adatto (via) in cui ferirlo [mortalmente].
ma di ferirlo via non truova mai.
111
La bella donna tuttavolta priega 111 1-5 La bella donna [: Angelica] intanto (tuttavolta) pre-
ch’invan la dura squama oltre non pesti. ga che [Ruggiero] non percuota più (oltre non pesti) inutil-
mente la dura pelle (squama) [dell’orca]. Diceva piangendo: –
– Torna, per Dio, signor: prima mi slega Ritorna, per [amor] di Dio, mio signore, slegami prima che
(dicea piangendo), che l’orca si desti: (prima mi slega… che) l’orca si risvegli (desti): portami con te
portami teco e in mezzo il mar mi anniega: (teco) e fammi affogare (mi anniega) in mezzo al mare: non
permettere che io resti nella pancia (in ventre) dell’orrendo
non far ch’in ventre al brutto pesce io resti. – (brutto) pesce [: cioè che il pesce mi mangi].
Ruggier, commosso dunque al giusto grido, 7-8 Ruggiero, commosso dunque da questi lamenti legittimi
slegò la donna, e la levò dal lido. (giusto grido), liberò la donna e la portò via dalla spiaggia (lido).
112
Il destrier punto, ponta i piè all’arena 112 1-4 L’ippogrifo (Il destrier) spronato (punto), punta le
zampe (piè) nella sabbia (arena) e balza in aria e [inizia a] ga-
e sbalza in aria e per lo ciel galoppa;
loppare attraverso il cielo, e porta il cavaliere sulla schiena e la
e porta il cavalliero in su la schena, fanciulla [seduta] dietro sulla groppa.
e la donzella dietro in su la groppa.11 5-6 Così [Ruggiero] privò la belva (fera) della cena, per lei
Così privò la fera de la cena [: l’orca] troppo (troppa) piacevole e delicata.
7-8 Ruggiero si gira [all’indietro] e mille baci imprime sul
per lei soave e delicata troppa. (figge nel) petto e negli occhi risplendenti (vivaci) [: di An-
Ruggier si va volgendo, e mille baci gelica].
figge nel petto e negli occhi vivaci.
113
Non più tenne la via, come propose 113 1-4 Non proseguì più la strada (tenne la via) di circum-
prima, di circundar tutta la Spagna; navigare (circundar) tutta la Spagna, come si era proposto
(propose) prima; ma nella spiaggia vicina (propinquo) fece
ma nel propinquo lito il destrier pose, scendere (pose) l’ippogrifo, dove la Bretagna francese mag-
dove entra in mar più la minor Bretagna. giormente si protende verso il mare [con il suo promontorio].
Sul lito un bosco era di querce ombrose, 6-8 Sulla spiaggia c’era un bosco di querce ombrose, dove sem-
bra che si lamenti (piagna = ‘pianga’) sempre Filomena [: cioè
dove ognor par che Filomena piagna;12 dove cantano sempre gli usignoli]; il quale [: il bosco] aveva nel
ch’in mezzo avea un pratel con una fonte, mezzo un praticello (pratel) con una fonte, e [circondato] da
e quinci e quindi13 un solitario monte. una parte e dell’altra (quinci e quindi) un monte solitario.
114
Quivi il bramoso cavallier ritenne 114 1-4 Qui il cavaliere desideroso (bramoso: perché in-
l’audace corso, e nel pratel discese; fiammato d’amore per Angelica) frenò il volo ardito [dell’ippo-
grifo] (ritenne l’audace corso), e discese nel praticello: e fece
e fe’ raccorre al suo destrier le penne, raccogliere (fe’ raccorre) le penne [: l’ippogrifo chiuse le ali],
ma non a tal che più le avea distese. ma [non le fece raccogliere] a un altro (a tal), che le aveva
Del destrier sceso, a pena si ritenne [anche] più aperte [: cioè a se stesso, preso dall’eccitazione].
5-8 Sceso dal destriero, si trattenne a stento dal salire su altri [: An-
di salir altri; 14 ma tennel l’arnese: gelica]; ma lo trattenne (tennel) l’armatura (arnese): lo trattenne
l’arnese il tenne, che bisognò trarre, l’armatura, che bisognava togliere (trarre) e che ostacolò (messe le
e contra il suo disir messe le sbarre. sbarre; messe = ‘mise’) il suo desiderio (contra il suo disir).
762
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
115
Frettoloso, or da questo or da quel canto 115 1-2 In modo frenetico (Frettoloso) [Rug-
confusamente l’arme si levava. giero] si toglieva confusamente le armi prima da
un lato (canto), poi dall’altro.
Non gli parve altra volta mai star tanto; 3-4 Altre volte non gli era sembrato di metterci
che s’un laccio sciogliea, dui n’annodava. tanto tempo (star tanto); che se scioglieva un lac-
Ma troppo è lungo ormai, Signor, il canto, cio, due se ne annodavano.
6-8 Ma il canto, o mio Signore [: Ippolito d’Este],
e forse ch’anco l’ascoltar vi grava: è troppo lungo, e forse vi pesa (vi grava) anche
sì ch’io differirò l’istoria mia ascoltarlo: così (sì) rimanderò (differirò) la mia
in altro tempo che più grata sia.15 storia al momento in cui sarà più gradita (grata).
XI, 1
Quantunque debil freno16 a mezzo il corso XI 1 Sebbene un debole freno spesso [riesca a]
animoso destrier spesso raccolga, trattenere (raccolga) un cavallo focoso (animoso
destrier), in corsa (a mezzo il corso) è però raro
raro è però che di ragione il morso che il freno (morso) della ragione faccia tornare
libidinosa furia a dietro volga, indietro (a dietro volga) la passione dei sensi (li-
quando il piacere ha in pronto; a guisa d’orso17 bidinosa furia), quando ha a disposizione (ha in
pronto) [l’oggetto del] piacere; come (a guisa
che dal mel non sì tosto si distolga, d’<i>) un orso che non si distoglie così presto (sì
poi che gli n’è venuto odore al naso, tosto) dal miele (mel), dopo che gliene è arrivato
o qualche stilla ne gustò sul vaso. al naso il profumo o ne ha gustato qualche goccia
(stilla) dal vaso.
2
Qual raggion fia che ’l buon Ruggier raffrene, 2 1-4 Quale sarà (fia) la ragione che tratterrà
sì che non voglia ora pigliar diletto (raffrene) il buon Ruggiero, tanto che non voglia
godere (pigliar diletto: in senso erotico) della bel-
d’Angelica gentil che nuda tiene la Angelica, che tiene nuda nel boschetto solitario
nel solitario e commodo boschetto? e appartato (commodo)?
Di Bradamante più non gli soviene, 5-8 Non si ricorda (gli soviene) più di Bradaman-
te, che era solito (solea) avere così fissa nel cuore,
che tanto aver solea fissa nel petto:
e se anche se ne ricorda (gli ne sovien) come pri-
e se gli ne sovien pur come prima, ma, è pazzo se non apprezza e stima anche (an-
pazzo è se questa ancor non prezza e stima; cor) questa [: Angelica],
3
con la qual non saria stato quel crudo 3 1-2 con la quale [Angelica] il celebre e inflessi-
Zenocrate18 di lui più continente. bile (quel crudo) Senocrate non sarebbe stato più
continente di lui.
Gittato avea Ruggier l’asta e lo scudo, 3-8 Ruggiero aveva gettato [via] (Gittato) la lan-
e si traea l’altre arme impazïente; cia (l’asta) e lo scudo e si toglieva (si traea) le altre
quando abbassando pel bel corpo ignudo armi impazientemente, quando la donna, abbas-
sando gli occhi con vergogna lungo il [proprio] bel
la donna gli occhi vergognosamente, corpo nudo, si vide al dito il prezioso anello che
si vide in dito il prezïoso annello già Brunello le tolse presso Albracca.
che già le tolse ad Albracca Brunello.19
4-5
continua la digressione sulla storia dell’anello (cfr. X, 108) […]
15 sì ch’io...grata sia: la chiusa riprende i 17 d’orso: l’orso è simbolo di lussuria sin dal bellissima Frine che voleva sedurlo.
modi dei poemi canterini. Medioevo. 19 si vide in dito...Brunello: l’episodio è nar-
16 freno: la metafora del freno della ragione 18 Zenocrate: Zenocrate o Senocrate è un rato nel II libro dell’Orlando innamorato.
è tradizionale. filosofo greco, famoso per avere resistito alla
763
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
6
Or che sel vede, come ho detto, in mano, 6 1-4 Come ho detto, ora che [Angelica] si vede
sì di stupore e d’allegrezza è piena, nella mano [l’anello], è così piena di stupore e di
allegria che, quasi dubitando (dubbia = ‘dubbio-
che quasi dubbia di sognarsi invano, sa’) di fare un sogno privo di fondamento (inva-
agli occhi, alla man sua dà fede a pena. no), crede (dà fede) appena ai suoi occhi, [su ciò
Del dito se lo leva, e a mano a mano che è] alla sua mano.
5-8 Si leva [l’anello] dal dito e immediatamente
sel chiude in bocca: e in men che non balena, (a mano a mano) se lo mette in bocca: e in meno
così dagli occhi di Ruggier si cela, che non scatti un fulmine [: in un baleno] (in men
come fa il sol quando la nube il vela. che non balena), si nasconde dagli occhi di Rug-
giero, come fa il sole quando viene nascosto da
una nube (quando la nube il vela).
7
Ruggier pur d’ogn’intorno riguardava, 7 Ruggiero si guardava intorno, e andava giran-
e s’aggirava a cerco come un matto; do alla tonda (a cerco = ‘in cerchio’) come un mat-
to; ma dopo essersi ricordato dell’anello, vi rimase
ma poi che de l’annel si ricordava, beffato (scornato) e stupito; e malediceva (beste-
scornato vi rimase e stupefatto: miava) la propria sprovvedutezza, accusando la
e la sua inavvertenza bestemiava, donna di quel comportamento scortese (discor-
tese) e ingrato, che gli aveva reso (renduto) in ri-
e la donna accusava di quello atto compensa del suo aiuto.
ingrato e discortese, che renduto
in ricompensa gli era del suo aiuto.
8
– Ingrata damigella, è questo quello 8 1-4 Diceva: – Ingrata damigella, è questa la ri-
guiderdone (dicea), che tu mi rendi? compensa (guiderdone) che mi rendi? [Cioè] che
vuoi (vogli) rubare (involar) l’anello, piuttosto
che più tosto involar vogli l’annello, che averlo in dono. Perché non lo (nol) prendi da
ch’averlo in don. Perché da me nol prendi? me?
Non pur quel, ma lo scudo e il destrier snello 5-8 Non solo (pur) quello ti dono, ma anche il
destriero agile (snello: l’ippogrifo) e me stesso, e
e me ti dono, e come vuoi mi spendi; fa’ di me quello che vuoi (come vuoi mi spendi);
sol che ’l bel viso tuo non mi nascondi. purché (sol che) tu non mi nasconda il tuo bel vi-
Io so, crudel, che m’odi, e non rispondi. – so. Io lo so, donna crudele, che tu mi ascolti, ma
non rispondi.
9
Così dicendo, intorno alla fontana 9 1-2 Diceva così, e andava barcollando (bran-
brancolando n’andava come cieco. colando) intorno alla fonte come un cieco.
3-4 Oh quante volte abbracciò l’aria inconsisten-
Oh quante volte abbracciò l’aria vana, te (vana), sperando di stringere con sé [: tra le
sperando la donzella abbracciar seco! proprie braccia] (seco) la donzella!
Quella, che s’era già fatta lontana, 4-8 Quella [: Angelica], che già si era allontanata
(fatta lontana), mai non smise di fuggire, finché
mai non cessò d’andar, che giunse a un speco non giunse a una grotta (che giunse a un speco),
che sotto un monte era capace e grande, ampia (capace) e grande, [situata] sotto un mon-
dove al bisogno suo trovò vivande. te, nella quale trovò ristoro (vivande) per quanto
ne aveva bisogno (al bisogno suo).
L. Ariosto, Orlando furioso, cit.
764
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
ANALISI L’ironia del poeta Lo stile di Ariosto in più di un caso mira a moderare lo slancio drammatico.
È utile rileggere, a questo proposito, le ottave sulla lotta tra Ruggiero e l’orca (X, 101-112 in par-
ticolare), nelle quali sono presenti rime difficili (per esempio: «diaspro: aspro», «ippogrifo: schifo»).
Anche il registro ironico nell’ultima parte dell’episodio serve a smorzare la tensione. Ruggiero,
che ha appena liberato Angelica dall’orca, pensa bene di violentarla (X, 114-115; XI, 1-3). E
l’amata Bradamante? Ruggiero in questo momento l’ha dimenticata e vuole approfittare della
situazione presente. Accecato dal desiderio, cerca di sbarazzarsi dell’ingombrante armatura
che «contra il suo disir messe le sbarre»; ma nel far questo esibisce una goffaggine esem-
plare: «s’un laccio sciogliea, dui n’annodava». L’operazione va tanto per le lunghe da consen-
tire ad Angelica di trarsi d’impiccio grazie all’anello magico.
INTERPRETAZIONE I temi: la fortuna, il narratore-regista, la bellezza Dal punto di vista tematico, ha un ruolo di
E COMMENTO primo piano la sorte (o fortuna). Sono due le forze che si confrontano. La prima è quella del
caso: per caso Ruggiero si trova a Ebuda al momento giusto; per caso Angelica ritrova il suo
anello e sfugge al suo salvatore. La seconda forza è la volontà ordinatrice del narratore, che
dispone le storie secondo il suo progetto di regia. Egli così ha la meglio sulla fortuna: ma è
l’ambito del pensiero, non dell’azione.
Un altro tema presente è quello implicito della violenza che colpisce le donne e qui Angelica.
765
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Il palazzo di Atlante
Mentre Angelica, fra mille avventure, pensa di tornarsene in patria, Orlando la cerca ovunque. Per un caso
sfortunato non è capitato a lui di liberarla dall’orca a Ebuda (dove pure è giunto), ma a Ruggiero. Un
giorno, finalmente, gli sembra di vedere l’amata che, assalita da un cavaliere, invoca il suo aiuto. Il palaz-
zo in cui il paladino è trascinato nell’inseguimento è però una nuova magia di Atlante. Qui giunge anche
Ruggiero: l’incantesimo è stato concepito proprio per sottrarre quest’ultimo alla guerra. Nel palazzo ci
sono i più famosi cavalieri cristiani e saraceni, tutti affannati nella vana ricerca dei loro desideri. Alla fine
arriverà Angelica a dissolvere l’incantesimo del castello con il suo anello magico.
I TEMI castello incantato vano desiderio di realizzare le illusioni umane
4 PARAFRASI
L’ha cercata per Francia: or s’apparecchia 4 1-4 [Orlando] ha cercato [Angelica] per la
per Italia cercarla e per Lamagna, Francia e ora si prepara (s’apparecchia) a cercarla
attraverso l’Italia e la Germania (Lamagna), per la
per la nuova Castiglia e per la vecchia, nuova e per la vecchia Castiglia [: in Spagna cen-
e poi passare in Libia il mar di Spagna. trale] e poi attraversare (passare) lo stretto di Gi-
Mentre pensa così, sente all’orecchia bilterra (mar di Spagna) [fino] in Libia.
6-8 Mentre [Orlando] così pensa, sente arrivare
una voce venir, che par che piagna: una voce alle sue orecchie, [la quale] sembra
si spinge inanzi; e sopra un gran destriero piangere (che par che piagna): prosegue più
trottar si vede inanzi un cavalliero, avanti; e sopra un grande cavallo (destriero), ve-
de arrivare al trotto davanti a lui un cavaliere;
5
che porta in braccio e su l’arcion1 davante 5 1-2 [il cavaliere] porta con la violenza (per
per forza una mestissima donzella. forza) tra le braccia sull’arcione anteriore (davan-
te) una fanciulla tristissima (mestissima).
Piange ella, e si dibatte, e fa sembiante 3-8 Ella piange, e si dimena e mostra dall’aspetto
di gran dolore; et in soccorso appella un gran dolore (fa sembiante di gran dolore); e in
il valoroso principe d’Anglante; aiuto (soccorso) invoca (appella) il principe d’An-
glante [: Orlando], il quale non appena (come)
che come mira alla giovane bella, guarda verso la bella giovane, gli sembra [che sia]
gli par colei, per cui la notte e il giorno colei [: Angelica] per cui ha esplorato (cercato…
cercato Francia avea dentro e d’intorno. avea) notte e giorno la Francia dentro e intorno.
6
Non dico ch’ella fosse, ma parea 6 1-2 Non dico che ella fosse [davvero], ma sem-
Angelica gentil ch’egli tant’ama. brava (parea) Angelica gentile che egli [: Orlando]
ama tanto.
Egli, che la sua donna e la sua dea 3-8 Egli, che vede condurre la sua donna [che
vede portar sì addolorata e grama, adora come una] dea così addolorata e infelice
spinto da l’ira e da la furia rea, (grama), spinto dall’ira e dalla furia terribile (rea),
chiama il cavaliere con voce spaventosa (orren-
con voce orrenda il cavallier richiama; da); chiama ancora il cavaliere e lo (gli) minaccia e
richiama il cavalliero e gli minaccia,2 spinge Brigliadoro [: il suo cavallo] a briglia sciolta
e Brigliadoro a tutta briglia caccia. [: velocemente].
766
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
7
Non resta quel fellon, né gli risponde, 7 1-4 Quel vigliacco (fellon) non si arresta (Non resta) e non
all’alta preda, al gran guadagno intento; gli risponde, [tutto] intento alla nobile (alta) preda [: Angelica]
e al ricco guadagno [che essa rappresenta]; e se ne va così velo-
e sì ratto ne va per quelle fronde, ce (ratto) tra quei rami (per quelle fronde), che [persino] il
che saria tardo a seguitarlo il vento. vento sarebbe (saria) lento nell’inseguirlo (a seguitarlo).
L’un fugge, e l’altro caccia; e le profonde 5-6 Il cavaliere sconosciuto (L’un) fugge e Orlando (l’altro)
[lo] insegue (caccia); e le folte foreste (profonde selve) si sen-
selve s’odon sonar d’alto lamento. tono risuonare di un lamento acuto (alto).
Correndo, usciro in un gran prato; e quello 7-8 Correndo, giunsero all’aperto (usciro) [rispetto all’intri-
avea nel mezzo un grande e ricco ostello. co della foresta]; e il prato (quello) aveva nel mezzo un grande
e sontuoso edificio (ostello).
8
Di vari marmi con suttil lavoro 8 1-4 Lo splendido (altiero) palazzo era stato costruito (edi-
ficato) con marmi [di] vari [colori], grazie a un abile (con sut-
edificato era il palazzo altiero.
til) lavoro. Il cavaliere corre dentro la porta dorata (messa d’o-
Corse dentro alla porta messa d’oro ro) con la fanciulla in braccio.
con la donzella in braccio il cavalliero. 5-6 Dopo non molto arrivò Brigliadoro, che porta [in sella]
Dopo non molto giunse Brigliadoro, Orlando sprezzante (disdegnoso) e fiero.
7-8 Appena è dentro [al palazzo], Orlando si guarda intorno
che porta Orlando disdegnoso e fiero. (gli occhi gira) e non vede più (né più… mira) né il cavaliere
Orlando, come è dentro, gli occhi gira; (guerrier), né la donzella.
né più il guerrier, né la donzella mira.
9
Subito smonta, e fulminando passa 9 Smonta subito [da cavallo] e come un fulmine (fulminan-
dove più dentro il bel tetto s’alloggia: do) va (passa) dove si abita (s’alloggia) il bel palazzo (tetto)
più internamente (più dentro) [: nelle stanze più interne];
corre di qua, corre di là, né lassa corre di qua, corre di là, e non tralascia (né lassa = ‘non lascia’)
che non vegga ogni camera, ogni loggia. di esplorare (che... vegga = ‘che veda’) ogni camera, ogni por-
Poi che i segreti d’ogni stanza bassa tico. E dopo che (Poi che) ha perlustrato (cerco = ‘cercato’) in-
vano gli angoli più nascosti (i segreti) di tutte le stanze [del
ha cerco invan, su per le scale poggia; piano] di sotto (bassa), sale (poggia) su per le scale; e non per-
e non men perde anco a cercar di sopra, de meno tempo e fatica (l’opra) a cercare anche di sopra, di
che perdessi di sotto, il tempo e l’opra. quanto ne abbia persi (che perdessi) di sotto.
10
D’oro e di seta i letti ornati vede: 10 1-4 Vede i letti addobbati (ornati) d’oro e di seta: non si
nulla de muri appar né de pareti; vede (appar) nulla dei muri, né delle pareti; che quelle sono ri-
vestite (ascose = ‘nascoste’) da tendaggi (da cortine) e anche
che quelle, e il suolo ove si mette il piede, il pavimento dove si cammina (il suolo ove si mette il piede).
son da cortine ascose e da tapeti.
767
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Di su di giù va il conte Orlando e riede; 5-8 Il conte Orlando va su e ritorna giù [per le
né per questo può far gli occhi mai lieti stanze] (riede); né può mai rallegrare (far… lie-
ti) la vista rivedendo Angelica, o quel ladro che
che riveggiano Angelica, o quel ladro gli ha rapito (che n’ha portato) il bel viso dolce.
che n’ha portato il bel viso leggiadro.
11
E mentre or quinci or quindi invano il passo 11 E mentre camminava (il passo movea) inutil-
movea, pien di travaglio e di pensieri, mente ora da una parte ora dall’altra (or quinci or
quindi), pieno di angoscia (travaglio) e di pensie-
Ferraù, Brandimarte e il re Gradasso, ri, vi ritrovò Ferraù, Brandimarte e il re Gradasso,
re Sacripante et altri cavallieri re Sacripante e altri cavalieri, che giravano: in alto
vi ritrovò, ch’andavano alto e basso, e in basso (alto e basso: ai vari piani del palazzo], e
non seguivano percorsi meno inutili (vani sen-
né men facean di lui vani sentieri; tieri) di [quanto facesse] lui, e maledicevano (si
e si ramaricavan del malvagio ramaricavan) il malvagio e invisibile padrone di
invisibil signor di quel palagio.3 quel palazzo (signor di quel palagio).
12
Tutti cercando il van, tutti gli dànno 12 Lo (il: il signor di quel palagio] vanno cer-
colpa di furto alcun che lor fatt’abbia: cando tutti, tutti lo incolpano di un qualche fur-
to che [egli] abbia fatto loro: uno (altri) si affan-
del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno; na per il cavallo che gli ha sottratto; un altro è fu-
ch’abbia perduta altri la donna, arrabbia; ribondo (arrabbia) per aver smarrito la propria
altri d’altro l’accusa: e così stanno, amata; e un altro [ancora] lo accusa di [qualcosa]
altro; e in questo modo rimangono [lì], [tanto]
che non si san partir di quella gabbia; che non sanno allontanarsi (partir) da quella
e vi son molti, a questo inganno presi, trappola (gabbia); e molti, vittime di questo in-
stati le settimane intiere e i mesi. ganno (a questo inganno presi), ci sono stati
settimane e mesi interi.
13
Orlando, poi che quattro volte e sei 13 1-6 Dopo che (poi che) Orlando ebbe esplo-
tutto cercato ebbe il palazzo strano, rato (cercato) quello strano palazzo un gran nu-
mero di volte (quattro volte e sei), disse fra di sé:
disse fra sé: – Qui dimorar potrei, – Qui potrei restare (dimorar), e sprecare (gittare)
gittare il tempo e la fatica invano: inutilmente il tempo e la fatica; e il ladro [di Ange-
e potria il ladro aver tratta costei lica] potrebbe (potria) averla portata via (tratta)
da un’altra uscita, ed essere molto lontano.
da un’altra uscita, e molto esser lontano. – 7-8 Con questo pensiero, uscì nel prato verde, dal
Con tal pensiero uscì nel verde prato quale tutto il palazzo era circondato (aggirato).
dal qual tutto il palazzo era aggirato.
14
Mentre circonda la casa silvestra, 14 Mentre gira intorno (circonda) all’edificio
che sorge in mezzo al bosco (la casa silvestra) te-
tenendo pur a terra il viso chino
nendo continuamente (pur) lo sguardo chino a
per veder s’orma appare, o da man destra terra per vedere se si nota (appare) un’orma che
o da sinistra, di nuovo camino; indichi (di) un passaggio (camino) recente, a de-
si sente richiamar da una finestra: stra (da man destra) o a sinistra; si sente richia-
mare da una finestra: e alza gli occhi; e gli sembra
e leva gli occhi; e quel parlar divino di udire quella voce (quel parlar) divina e gli sem-
gli pare udire, e par che miri il viso, bra di vedere (che miri) il viso che lo ha tanto tra-
che l’ha, da quel che fu, tanto diviso.4 sformato (diviso = ‘reso diverso’) da quello che
era [prima].
3 signor di quel palagio: anche nel senso di ‘signore feudale, 4 che l’ha...tanto diviso: indica, con espressione petrarchesca,
castellano’. l’effetto dell’amore sull’innamorato.
768
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
15
Pargli Angelica udir, che supplicando 15 Gli sembra (Pargli) di sentire Angelica, che
e piangendo gli dica: – Aita, aita! supplicando e piangendo, gli dica: – Aiuto, aiuto
(Aita, aita)! Ti raccomando la mia verginità più
la mia virginità ti raccomando della mia anima, più della mia vita. Dunque in
più che l’anima mia, più che la vita. presenza del mio caro Orlando, mi verrà sottratta
Dunque in presenzia del mio caro Orlando [rapita: la verginità] da questo ladro? Uccidimi
con le tue mani, piuttosto che lasciarmi giungere
da questo ladro mi sarà rapita?
a un destino così infelice.
Più tosto di tua man dammi la morte,
che venir lasci a sì infelice sorte. –
16
Queste parole una et un’altra volta 16 1-4 Queste parole fanno ritornare Orlando
fanno Orlando tornar per ogni stanza, più volte (una et un’altra volta) in ogni stanza,
con sofferenza (passïone) e con molta fatica,
con passïone e con fatica molta, [sofferenza e fatica] comunque (pur) addolcite
ma temperata pur d’alta speranza. (temperata) da una grande speranza [: ritrovare
Talor si ferma, et una voce ascolta, Angelica].
5-8 Talvolta si ferma, e ascolta una voce, che so-
che di quella d’Angelica ha sembianza miglia a (di… ha sembianza) quella di Angelica
(e s’egli è da una parte, suona altronde), che chieda (chieggia) aiuto; e non riesce a trovare
che chieggia aiuto; e non sa trovar donde. da dove (donde) [provenga] (e se egli è da una par-
te, da un’altra (altronde [la voce] risuona).
17
Ma tornando a Ruggier, ch’io lasciai quando 17 1-6 Ma ritornando a Ruggiero, [le cui avven-
dissi che per sentiero ombroso e fosco ture avevo] lasciato quando dissi che stava inse-
guendo (seguitando) un gigante e una donna per
il gigante e la donna seguitando,5 il sentiero ombroso e oscuro (fosco), era uscito
in un gran prato uscito era del bosco; dal bosco in un gran prato; io dico che, se ricono-
io dico ch’arrivò qui dove Orlando sco il luogo, arrivò proprio dove Orlando era giun-
to poco prima (dianzi).
dianzi arrivò, se ’l loco riconosco.6 7-8 Dentro la porta il gran gigante passa: Ruggie-
Dentro la porta il gran gigante passa: ro gli è accanto (appresso), e non smette (lassa) di
Ruggier gli è appresso, e di seguir non lassa. seguirlo.
18
Tosto che pon dentro alla soglia il piede, 18 1-4 Appena [Ruggiero] mette piede oltre la
per la gran corte e per le loggie mira; soglia [del palazzo], guarda (mira) attraverso il
gran cortile (corte) e per i porticati (loggie); non
né più il gigante né la donna vede, vede più né il gigante né la donna, e gira inutil-
e gli occhi indarno or quinci or quindi aggira. mente gli occhi ora da una parte ora dall’altra.
Di su di giù va molte volte e riede; 5-8 Molte volte va su e ritorna (riede) giù; ma
non gli succede mai ciò che desidera (desira); né
né gli succede mai quel che desira: riesce a immaginare dove si sia nascosto così in
né si sa imaginar dove sì tosto fretta (sì tosto) il vigliacco (fellon) con la donna.
con la donna il fellon si sia nascosto.
19
Poi che revisto ha quattro volte e cinque 19 1-4 Dopo che [Ruggiero] ha rivisitato (revi-
di su di giù camere e loggie e sale, sto) più volte camere, porticati, sali in alto e in
basso, ritorna ancora di nuovo, non trascura di
pur di nuovo ritorna, e non relinque7 esplorarlo (non relinque… cerchi) [: il palazzo] fi-
che non ne cerchi fin sotto le scale. no ai sottoscala (sotto le scale).
5 Ma tornando...seguitando: Ariosto ricorda sembrava avesse tra le braccia Bradamante sto gioca sul proprio ruolo di narratore.
qui l’ultima apparizione di Ruggiero (XI, 21): (la donna del v. 3). 7 relinque: è un latinismo.
egli si era messo a seguire un gigante che gli 6 se ’l loco riconosco: con questo inciso Ario-
769
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Con speme al fin che sian ne le propinque 5-8 In fine, con la speranza (speme) che [Brada-
selve, si parte: ma una voce, quale mante e il gigante] siano nei boschi vicini (pro-
pinque) se ne va (si parte): ma una voce, simile a
richiamò Orlando, lui chiamò non manco; quella che aveva richiamato Orlando, chiamò lui
e nel palazzo il fe’ ritornar anco. non di meno (non manco); e lo fece (il fe’) ritor-
nare ancora nel palazzo.
20
Una voce medesma, una persona 20 Quella stessa (Una… medesma) voce, quella
che paruta era Angelica ad Orlando, [stessa] figura (persona = ‘corpo’) che a Orlando
era sembrata (paruta) Angelica, sembrò a Ruggie-
parve a Ruggier la donna di Dordona, ro la donna di Dordona [: Bradamante], la quale lo
che lo tenea di se medesmo in bando.8 teneva fuori (in bando) di se stesso [: lo aveva fat-
Se con Gradasso o con alcun ragiona to innamorare].
[E] se parla con Gradasso o con qualcuno di quelli
di quei ch’andavan nel palazzo errando,9 che stanno vagando (errando) nel palazzo, [sco-
a tutti par che quella cosa sia, pre che tale immagine] a tutti sembra che sia
che più ciascun per sé brama e desia. quello che ognuno di loro vuole e desidera (bra-
ma e desia) di più per se stesso.
21
Questo era un nuovo e disusato incanto 21 1-6 Questo era un nuovo e insolito (disusato)
ch’avea composto Atlante di Carena,10 incantesimo (incanto) che aveva preparato (com-
posto) Atlante di Carena, affinché (perché) Ruggie
perché Ruggier fosse occupato tanto ro fosse tanto occupato in quell’ affanno (travaglio),
in quel travaglio, in quella dolce pena, in quella dolce pena, [tanto] che fosse allontanato
che ’l mal’influsso n’andasse da canto, (n’andasse da canto = ‘se ne andasse da parte’) il fu-
nesto (mal’) influsso [delle stelle], [cioè] l’influsso
l’influsso ch’a morir giovene il mena.11 che conduce (mena) il giovane alla morte (a morir).
Dopo il castel d’acciar, che nulla giova, 7-8 Dopo il castello d’acciaio (acciar), che non
e dopo Alcina,12 Atlante ancor fa pruova. era servito (giova) a nulla, e dopo Alcina, Atlante
ci prova ancora.
22
Non pur costui, ma tutti gli altri ancora, 22 Atlante progetta di condurre in questo luogo in-
che di valore in Francia han maggior fama, cantato (in questo incanto) non solo (pur) costui
[: Ruggiero], ma anche (ancora) tutti gli altri [cava-
acciò che di lor man Ruggier non mora, lieri] che in Francia hanno fama più grande per il [lo-
condurre Atlante in questo incanto trama. ro] valore, affinché (acciò che) Ruggiero non muoia
E mentre fa lor far quivi dimora, (non mora) ucciso da loro . E perché mentre li fa di
morare (fa lor far… dimora) qui non soffrano (pati-
perché di cibo non patischin brama, schin = ‘patiscano’) desiderio (brama) di cibo [: la fa-
sì ben fornito avea tutto il palagio, me], ha fornito [di vivande] così bene tutto il palaz-
che donne e cavallier vi stanno ad agio. zo, che donne e cavalieri vi stanno comodamente.
8 che lo tenea...in bando: l’amore mette in Ruggiero fin da bambino, secondo quanto Maganza, il traditore che sarà artefice anche
bando di sé perché priva della lucidità intel- racconta Boiardo. La Carena è una catena della fine di Orlando. La profezia è già in
lettuale. montuosa dell’Africa nord-occidentale. Boiardo (Innamorato III, I, 3).
9 errando: ha il significato primo di ‘vagare’, 11 l’influsso...giovene il mena: Atlante, 12 castel d’acciar...Alcina: il castel d’acciar
ma anche quello di ‘sbagliare’: i cavalieri cioè essendo indovino, ha letto nelle stelle il è un incantesimo simile a questo, narrato nel
sono vittime di un’illusione. destino di Ruggiero: convertitosi al cristiane- IV canto. Alcina è la maga che ha tentato di
10 Atlante di Carena: il mago che ha allevato simo, egli morirà per opera di Gano di sedurre, con la bellezza, Ruggiero.
770
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
ANALISI Lo stile scorrevole di Ariosto Il brano rappresenta un ottimo esempio della scorrevolezza
narrativa propria dello stile di Ariosto, che fa fluire il racconto da un’ottava a un’altra senza
interruzioni. Nel canto sono da osservare le scelte lessicali che sottolineano il tema dell’illu-
sorietà dei desideri umani. Il verbo «parere» ritorna per esempio con frequenza: 4, 6; 5, 7; 6,
1; 14, 7; 15, 1; 20, 2, 3 e 7. Un altro dato stilistico insiste sull’affannarsi delle ricerche: sono
le espressioni come «di qua… di là», «Di su, di giù», «quinci… quindi» (9, 3; 10, 5; 11, 1; 18,
4 e 5). Il cammino dei cavalieri è un andare a vuoto, un ritornare sui propri passi; così come
sui propri passi ritornano il lessico e lo stile del poeta.
INTERPRETAZIONE Atlante come doppio di Ariosto Il palazzo di Atlante rappresenta uno dei tentativi com-
E COMMENTO piuti dal mago per sottrarre Ruggiero alla morte destinata (cfr. ottava 21). I suoi incantesimi
sono sempre indirizzati ad allontanare il destino epico dell’eroe. Così, Atlante diventa una
sorta di doppio (cioè un personaggio che ha le stesse funzioni o lo stesso carattere di un
altro) di Ariosto: come il poeta, rimanda la chiusura del poema promessa da Boiardo, cioè
la morte di Ruggiero.
Ariosto fa fallire tutti i trucchi di Atlante, ma alla fine gli concederà la parziale vittoria di lasciare
fuori dal poema la morte del paladino.
La vita è tutto un vano affaticarsi dietro alle illusioni Uno dei rischi di un’opera com-
plessa e varia come l’Orlando furioso è che la trama si dissolva in una serie di vicende auto-
nome e scollegate. Questo episodio suggerisce però come Ariosto abbia saputo garantire al
poema unità e varietà al tempo stesso. L’unità, per esempio, è qui assicurata dalla somi-
glianza dei destini di Orlando e Ruggiero, entrambi rappresentati come inseguitori frustrati. Ma
un’unità ancora più profonda è data dal fatto che l’incantesimo del castello di Atlante porta in
primo piano il tema attorno al quale ruota tutta l’opera, cioè quello della ricerca vana. I perso-
naggi ariosteschi si affaticano inutilmente dietro alle loro passioni e ai loro desideri. Per di più,
l’oggetto di queste passioni è un’illusione, cioè qualcosa che in realtà non esiste.
Il tema della vanità delle cose, già presente nella Bibbia, è ripreso così da Ariosto in chiave
moderna, che non lascia spazio a eventuali valori alternativi come quelli proposti dalla reli-
gione: al di là del vano e dell’illusorio non c’è nulla.
771
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Cloridano e Medoro
La storia di Cloridano e Medoro deriva da un celebre episodio dell’Eneide ( Informazioni, Eurialo e Niso,
p. 783). Ariosto ce la presenta come caso esemplare di amicizia reciproca e di fedeltà verso il proprio si-
gnore. Cloridano e Medoro sono due semplici soldati saraceni, giunti in Europa con il loro re Dardinello.
Questi è morto in battaglia: di notte, i due amici decidono di recuperarne il cadavere per dargli sepoltura. È
Medoro, il più giovane, a trascinare nell’impresa Cloridano. Dopo aver fatto strage di nemici, essi trovano il
corpo di Dardinello. Ma mentre lo trasportano via, vengono sorpresi dalle truppe del cristiano Zerbino. Clo-
ridano si mette in salvo lasciando involontariamente solo Medoro, che non vuole abbandonare il cadavere.
Quando si accorge di non avere con sé l’amico, torna indietro per salvarlo dai nemici ma, nella lotta, muore.
Medoro, risparmiato da Zerbino ma ferito gravemente da un «cavallier villano», verrà ritrovato da Angelica.
I TEMI valore dell’amicizia fedeltà verso il proprio signore
166
Cloridan, cacciator tutta sua vita, 166 Cloridano, cacciatore [da] tutta la sua vita, era una perso-
na [di costituzione] robusta e snella: Medoro aveva le guance
di robusta persona era et isnella:
d’un bel colore (colorita), chiare e belle (grata = ‘gradita’) per
Medoro avea la guancia colorita la giovane età; e non c’era faccia più piacevole (gioconda) e
e bianca e grata ne la età novella; bella fra [tutta] la gente che era venuta alla guerra (a quella
e fra la gente a quella impresa uscita impresa uscita); [Medoro] aveva gli occhi neri e biondi capel-
li ricci (chioma crespa d’oro): sembrava un angelo di quelli
non era faccia più gioconda e bella: della schiera più alta (del sommo coro) [: i Serafini, che essen-
occhi avea neri, e chioma crespa d’oro: do i più vicini a Dio, sono i più belli].
angel parea di quei del sommo coro.4
167
Erano questi duo sopra i ripari 167 1-4 Questi due [: Cloridano e Medoro] si trovavano so-
con molti altri a guardar gli alloggiamenti, pra le fortificazioni (ripari), insieme con molti altri [soldati] a
sorvegliare l’accampamento (a guardar gli alloggiamenti),
quando la Notte fra distanzie pari5 mentre la Notte, con gli occhi assonnati, vedeva il cielo
mirava il ciel con gli occhi sonnolenti. [posto] tra pari distanze [: era mezzanotte].
Medoro quivi in tutti i suoi parlari 5-8 Qui Medoro, in tutti i suoi discorsi (parlari) non può fare
a meno di (non può far che… non) ricordare il proprio signore,
non può far che ’l signor suo non rammenti, Dardinello [figlio] di Almonte, e di lamentarsi (piagna = ‘pian-
Dardinello d’Almonte, e che non piagna ga’) che rimanga sul campo (ne la campagna) [di battaglia]
che resti senza onor ne la campagna. senza [ricevere] gli onori [funebri].
772
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
168
Vòlto al compagno, disse: – O Cloridano, 168 1-4 Rivoltosi (Vòlto) al compagno, [Medo-
io non ti posso dir quanto m’incresca ro] disse: – O Cloridano, io non so dirti quanto mi
addolori (m’incresca) del mio signore, [del fatto
del mio signor, che sia rimaso al piano, che] sia rimasto sul campo (al piano) [di battaglia],
per lupi e corbi, ohimè! troppo degna esca. pasto (esca) troppo nobile (degna), ahimè, per i lu-
Pensando come sempre mi fu umano, pi e i corvi [: i quali mangeranno il cadavere].
5-8 Pensando a come fu sempre benevolo (uma-
mi par che quando ancor questa anima esca
no) con me, mi sembra che, anche se (quando an-
in onor di sua fama, io non compensi cor) questa [mia] anima uscisse [di vita] [: io mo-
né sciolga verso lui gli oblighi immensi. rissi] per onorare la sua fama, io non ricambierei
(compensi) né assolverei (sciolga) gli enormi de-
biti (oblighi) nei suoi confronti.
169
Io voglio andar, perché non stia insepulto 169 1-4 Io voglio andare a ritrovarlo [: Dardinel-
in mezzo alla campagna, a ritrovarlo: lo], affinché [il suo corpo] non rimanga insepolto
in mezzo alla campagna; e forse Dio vorrà che io
e forse Dio vorrà ch’io vada occulto vada di nascosto (occulto) là dove l’accampamen
là dove tace il campo del re Carlo. to (il campo) di Carlo è tranquillo (tace).
Tu rimarrai; che quando in ciel sia sculto 5-8 Tu rimarrai [qui]; perché quando in cielo sia
stabilito (sculto = ‘scolpito’) che io debba morire,
ch’io vi debba morir, potrai narrarlo; potrai raccontarlo [ai posteri], perché se la sorte
che se Fortuna vieta sì bell’opra, (Fortuna) mi impedisce un’azione (opra = ‘ope
per fama almeno il mio buon cor si scuopra. – ra’) così nobile, almeno il mio coraggio (buon cor)
si riveli (si scuopra) grazie alla fama.
170
Stupisce Cloridan, che tanto core, 170 1-6 Cloridano [si] stupisce che un fanciullo
tanto amor, tanta fede abbia un fanciullo: abbia tanto coraggio (core), tanto amore, tanta
fedeltà (fede), e si impegna molto, perché spinto
e cerca assai, perché gli porta amore, dall’affetto (perché gli porta amore), a cancellare
di fargli quel pensiero irrito e nullo; in lui quel pensiero (fargli… irrito e nullo = ‘ren-
ma non gli val, perch’un sì gran dolore dergli vano e senza effetto’) [: cioè a pensare che
Medoro possa morire], ma non gli riesce (val),
non riceve conforto né trastullo. perché un dolore così grande non può ricevere
Medoro era disposto o di morire, conforto né distrazione (trastullo).
o ne la tomba il suo signor coprire. 7-8 Medoro era deciso (disposto) a morire, o
seppellire (ne la tomba… coprire) il suo signore
[: Dardinello].
171
Veduto che nol piega e che nol muove, 171 Visto che non lo (nol) convince (piega) e non
Cloridan gli risponde: – E verrò anch’io, lo smuove [dal suo proposito] (muove), Cloridano
gli risponde: – Allora (E) verrò anche io, anche io
anch’io vuo’ pormi a sì lodevol pruove, voglio intraprendere un’impresa (pormi a… pruo-
anch’io famosa morte amo e disio. ve) così degna di ammirazione, anche io amo e de-
Qual cosa sarà mai che più mi giove, sidero una morte che procuri fama (famosa mor-
te). Che cosa ci sarà mai che potrebbe piacermi
s’io resto senza te, Medoro mio? (mi giove) ancora (più) se io resto senza di te, Me-
Morir teco con l’arme è meglio molto, doro mio? È molto meglio morire con te con le ar-
che poi di duol, s’avvien che mi sii tolto. – mi [in pugno], che [morire] di dolore (duol) dopo,
se accade che tu mi sia tolto [: che tu sia ucciso].
172
Così disposti, messero in quel loco 172 1-2 Così decisi, misero (messero) alla loro
le successive guardie, e se ne vanno. postazione (loco = ‘luogo’) le guardie del turno
successivo, e partirono [: per la missione].
Lascian fosse e steccati, e dopo poco 3-4 Oltrepassano trincee (fosse) e palizzate (stec-
tra’ nostri son, che senza cura6 stanno. cati) e poco dopo sono tra i cristiani (nostri), che se
ne stanno senza preoccupazioni (senza cura).
773
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Il campo dorme, e tutto è spento il fuoco, 5-6 L’accampamento dorme, e il fuoco è spento
perché dei Saracin poca tema hanno. ovunque, dato che [i cristiani] hanno poco timore
(tema) dei Saraceni.
Tra l’arme e’ carrïaggi stan roversi, 7-8 [I cristiani] stanno rovesciati (roversi) tra le
nel vin, nel sonno insino agli occhi immersi. armi e i carri, immersi fino agli occhi nel vino
[: completamente ubriachi] e nel sonno [: com-
pletamente addormentati].
173
Fermossi alquanto Cloridano, e disse: 173 1-4 Cloridano si fermò un poco (alquanto)
– Non son mai da lasciar l’occasïoni. e disse: – Queste occasioni non sono mai da spre-
care (lasciar). Di questa moltitudine [di soldati]
Di questo stuol che ’l mio signor trafisse, (stuol) che uccise il mio signore, non devo farne
non debbo far, Medoro, occisïoni? una strage (occisïoni = ‘uccisioni’), [o] Medoro?
Tu, perché sopra alcun non ci venisse, 5-6 Tu, perché nessuno ci venga addosso (so-
pra… ci venisse) [: ci assalga], presta attenzione
gli occhi e l’orecchi in ogni parte poni; con la vista e l’udito da ogni parte, che io mi offro
ch’io m’offerisco farti con la spada (m’offerisco) di farti con la [mia] spada una stra-
tra gli nimici spazïosa strada. – da spaziosa fra i nemici.
174
Così disse egli, e tosto il parlar tenne, 174 1-6 Così egli disse, e subito trattenne le pa-
et entrò dove il dotto Alfeo dormia, role [: tacque] (e tosto il parlar tenne), ed entrò
dove dormiva il sapiente (dotto) Alfeno, che l’an-
che l’anno inanzi in corte a Carlo venne, no prima era arrivato alla corte di Carlo, medico e
medico e mago e pien d’astrologia: mago [esperto] in astrologia, ma questa volta [l’a-
ma poco a questa volta gli sovenne; strologia] gli fu ben poco utile (gli sovenne = ‘lo
aiutò’), anzi piuttosto gli disse il falso su tutto (gli
anzi gli disse in tutto la bugia. disse in tutto la bugia).
Predetto egli s’avea, che d’anni pieno 7-8 Aveva predetto per sé che sarebbe morto
dovea morire alla sua moglie in seno: vecchio (d’anni pieno) tra le braccia (in seno) di
sua moglie.
175
et or gli ha messo il cauto Saracino 175 1-2 E adesso l’astuto (cauto) Saraceno
la punta de la spada ne la gola. [: Cloridano] lo ha trafitto nella gola con la punta
della spada.
Quattro altri uccide appresso all’indovino, 3-8 Dopo (appresso) l’indovino uccide altri quat-
che non han tempo a dire una parola: tro [cristiani], che non hanno neanche tempo di
menzion dei nomi lor non fa Turpino,7 dire una parola: Turpino non cita i loro nomi, e il
lungo tempo trascorso (lungo andar) ha cancella-
e ’l lungo andar le lor notizie invola: to (invola = ‘ruba’) notizie su di loro; dopo di loro
dopo essi Palidon da Moncalieri, [uccide] anche Palidone da Moncalieri, che dormi-
che sicuro dormia fra duo destrieri. va, al sicuro, tra due cavalli (destrieri).
176
Poi se ne vien dove col capo giace 176 1-4 Poi [Cloridano] arriva dove il povero
appoggiato al barile il miser Grillo: Grillo dorme (giace) con la testa appoggiata a un
barile: lo aveva svuotato (avealo vòto), e aveva
avealo vòto, e avea creduto in pace creduto di godersi in pace un sonno calmo e tran-
godersi un sonno placido e tranquillo. quillo.
Troncògli il capo il Saracino audace: 5-8 Il coraggioso saraceno [: Cloridano] gli taglia
(Troncògli = ‘Gli troncò’) la testa, e il vino [bevu-
esce col sangue il vin per uno spillo, to] esce con il sangue dallo stesso foro (per uno
di che n’ha in corpo più d’una bigoncia;8 spillo), [vino] di cui (di che) aveva in corpo un’e-
e di ber sogna, e Cloridan lo sconcia. norme quantità (più d’una bigoncia); e mentre
(e… e) sogna di bere, Cloridano lo massacra (lo
sconcia).
7 Turpino: secondo la leggenda, Turpino, zione cavalleresca dichiara di derivare da lui il foro della botte da cui si fa uscire il vino. La
vescovo di Reims, partecipò alle imprese di la propria materia di racconto. bigoncia è un’unità di misura dei liquidi, pari
Carlo Magno e scrisse una Cronaca. La tradi- 8 spillo...bigoncia: lo spillo è, propriamente, a circa 150 litri.
774
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
177
E presso a Grillo, un Greco et un Tedesco 177 1-6 E dopo (presso) il Grillo spegne [: uccide]
spenge in dui colpi, Andropono e Conrado, in due colpi un Greco e un Tedesco, Andropono e
Corrado, che avevano passato (goduto) la notte
che de la notte avean goduto al fresco all’aria aperta (al fresco), ora bevendo ,ora giocando
gran parte, or con la tazza, ora col dado: (or con la tazza, ora col dado): felici [loro], se aves-
felici, se vegghiar sapeano a desco9 sero saputo star svegli (vegghiar = ‘vegliare’) alla ta-
vola (desco) fino a che il sole non avesse attraversa-
fin che de l’Indo10 il sol passassi il guado. to (passassi) il guado dell’Indo [: non fosse sorto].
Ma non potria negli uomini il destino, 7-8 Ma il destino non avrebbe potere (potria =
se del futuro ognun fosse indovino. ‘potrebbe’) sugli uomini, se ciascuno fosse capace
di predire (fosse indovino) il proprio futuro.
178
Come impasto leone in stalla piena, 178 1-5 Come un leone affamato (impasto =
che lunga fame abbia smacrato e asciutto, ‘che non ha mangiato’), che un lungo digiuno ab-
bia reso magro (smacrato) e prosciugato (asciut-
uccide, scanna, mangia, a strazio mena to), uccide, scanna, mangia e dilania (a strazio
l’infermo gregge in sua balìa condutto; mena) in una stalla piena il povero (infermo)
così il crudel pagan nel sonno svena gregge caduto in suo potere (in sua balìa condut-
to); così il crudele pagano [: Cloridano] nel sonno
la nostra gente, e fa macel per tutto.11 uccide (svena) i cristiani (la nostra gente); e com-
La spada di Medoro anco non ebe;12 pie un macello dappertutto.
ma si sdegna ferir l’ignobil plebe. 7-8 La spada di Medoro non resta inattiva (non
ebe), ma non si abbassa (si sdegna) a ferire il po-
polo non nobile [: uccide solo i nobili, gli ufficiali].
179
Venuto era ove il duca di Labretto 179 1-4 [Medoro] era giunto dove il duca di La
con una dama sua dormia abbracciato; bretto con una donna dormiva abbracciato; e si te
nevano così stretti l’uno all’altra, che tra loro non
e l’un con l’altro si tenea sì stretto, sarebbe passata (entrato) [neppure] l’aria.
che non saria tra lor l’aere entrato. 5-8 Medoro taglia ad entrambi il capo di netto
Medoro ad ambi taglia il capo netto. (netto). O morte felice! o dolce destino! perché
sono convinto (ho… fede) che le anime (alme)
Oh felice morire! oh dolce fato! andarono alla loro sede [ultraterrena] abbracciate
che come erano i corpi, ho così fede così come [lo] erano i corpi.
ch’andâr l’alme abbracciate alla lor sede.
180
Malindo uccise e Ardalico il fratello, 180 Uccise Malindo e il fratello Ardalico, figli del
che del conte di Fiandra erano figli; conte delle Fiandre, che Carlo aveva nominato
(fatto) l’uno e l’altro cavalieri da poco (cavallier
e l’uno e l’altro cavallier novello novello), e aveva aggiunto alle loro insegne nobi
fatto avea Carlo, e aggiunto all’arme i gigli, liari (all’arme) i gigli [: emblema dei re di Francia],
perché il giorno amendui d’ostil macello perché aveva visto tornare quel giorno entrambi
con gli spadoni (stocchi) rossi (vermigli) [di san-
con gli stocchi tornar vide vermigli: gue] per [aver compiuto] una strage di nemici
e terre in Frisa avea promesso loro, (d’ostil macello): e aveva promesso loro delle ter-
e date avria; ma lo vietò Medoro. re in Frisia, e gliele avrebbe (avria) date; ma lo im-
pedì (vietò) Medoro [uccidendoli].
181
Gl’insidïosi ferri eran vicini 181 Le pericolose spade (insidïosi ferri) [di Clorida-
ai padiglioni che tiraro in volta no e Medoro] erano vicine alle tende (padiglioni) che
i paladini avevano montato (tiraro in volta) [presso]
al padiglion di Carlo i paladini, la tenda di Carlo [Magno] facendo a turno (la sua vol-
facendo ognun la guardia la sua volta; ta) ognuno la guardia; quando i Saraceni ritirarono
quando da l’empia strage i Saracini (trasson = ‘ritrassero’) le spade dalla spietata (em-
pia) strage [: smisero di uccidere], e ritornarono indie-
trasson le spade, e diero a tempo volta;13 tro (e diero… volta) al momento giusto (a tempo);
9 se vegghiar sapeano a desco: rimanendo giunge da quel punto cardinale quando Ariosto la imita da Virgilio.
svegli i due avrebbero potuto rendersi conto sorge. 12 ebe: è un latinismo ricercato.
dell’aggressione e difendersi. 11 Come impasto leone...per tutto: la simili- 13 volta...volta...volta: volta compare tre
10 l’Indo: il fiume Indo è in Oriente: il sole tudine è molto diffusa nella tradizione epica: volte in rima equivoca.
775
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
ch’impossibil lor par, tra sì gran torma, tanto che parve a loro impossibile, tra così grande
che non s’abbia a trovar un che non dorma. massa [di gente] (sì gran torma), trovare qualcu-
no che non stesse dormendo.
182
E ben che possan gir di preda carchi, 182 1-2 E benché possano andarsene (gir) carichi
salvin pur sé, che fanno assai guadagno. di bottino, [è meglio che] salvino se stessi, perché
ne avrebbero un guadagno sufficiente (assai).
Ove più creda aver sicuri i varchi 3-4 Cloridano va dove crede di [poter] avere pas
va Cloridano, e dietro ha il suo compagno. saggio (varchi) più sicuro [: dove crede di poter
Vengon nel campo, ove fra spade et archi passare con meno pericolo], e dietro ha il suo
compagno [: Medoro].
e scudi e lance in un vermiglio stagno 5-8 Arrivano all’accampamento, dove tra spade e
giaccion poveri e ricchi, e re e vassalli, archi e scudi e lance, si trovano [insieme] in un la-
e sozzopra con gli uomini i cavalli. go rosso [di sangue] (vermiglio stagno) poveri e
ricchi, re e vassalli, gli uomini sottosopra (sozzo-
pra) con i cavalli.
183
Quivi dei corpi l’orrida mistura, 183 1-6 Qui l’orribile ammasso confuso (mi-
che piena avea la gran campagna intorno, stura = ‘mescolanza’) di cadaveri, che aveva riem-
pito (piena avea) l’immensa campagna intorno,
potea far vaneggiar la fedel cura poteva rendere inutile (far vaneggiar) la preoc-
dei duo compagni insino al far del giorno, cupazione (cura) [: di ritrovare il cadavere] ispira-
se non traea fuor d’una nube oscura, ta dalla fedeltà [a Dardinello], se, alle preghiere
(prieghi) di Medoro, la Luna non metteva fuori
a’ prieghi di Medor, la Luna il corno. da una nuvola oscura il [proprio] corno.
Medoro in ciel divotamente fisse 7-8 Medoro rivolse (fisse) devotamente gli oc-
verso la Luna gli occhi, e così disse: chi al cielo, verso la Luna, e disse così:
184
– O santa dea, che dagli antiqui nostri 184 – O santa Dea, che sei giustamente (debita-
debitamente sei detta triforme;14 mente) definita triforme dai nostri antenati (an-
tiqui); poiché mostri la tua nobile (alta) bellezza
ch’in cielo, in terra e ne l’inferno mostri sotto [tre] diversi aspetti (sotto più forme) in cie-
l’alta bellezza tua sotto più forme, lo [: come Luna], sulla terra [: come Diana] e negli
e ne le selve, di fere e di mostri inferi [: come Proserpina] e [: in quanto Diana]
cacciatrice vai per le selve a seguire le orme delle
vai cacciatrice seguitando l’orme; belve feroci (di fere e di mostri); mostrami dove,
mostrami ove ’l mio re giaccia fra tanti, tra tanti [corpi], giace il mio re, il quale in vita (vi-
che vivendo imitò tuoi studi santi. – vendo) praticò l’occupazione che ti è consacrata
(imitò tuoi studi santi) [: fu cacciatore come te].
185
La Luna a quel pregar la nube aperse 185 1-4 A quella preghiera, la Luna squarciò
(o fosse caso o pur la tanta fede), (aperse = ‘aprì’) la nuvola [che la copriva], (forse
per caso o per la tanta devozione (fede) [di Medo-
bella come fu allor ch’ella s’offerse, ro]), bella come fu quella volta che si offrì e si die-
e nuda in braccio a Endimïon15 si diede. de nuda a Endimione, [andandogli] tra le braccia.
Con Parigi a quel lume si scoperse 5-8 [Grazie] a quel chiarore, si illuminarono (si
scoperse), insieme con Parigi, l’accampamento
l’un campo e l’altro; e ’l monte e ’l pian si vede: cristiano e quello pagano (l’un campo e l’altro); si
si videro i duo colli di lontano, videro la montagna e la pianura: si videro anche le
Martire a destra, e Lerì16 all’altra mano. due colline da lontano, Montmartre (Martire) a
destra e Monthléry (Lerì) a sinistra.
186
Rifulse lo splendor molto più chiaro 186 1-2 La luce risplendette (Rifulse) molto di
ove d’Almonte giacea morto il figlio. più nel punto in cui giaceva morto il figlio di Al-
monte [: Dardinello].
14 sei detta triforme: la credenza sulla dea Medoro. Ma nei poemi cavallereschi questi 15 Endimïon: l’unico amante della dea Luna.
triforme era in realtà dei greci e dei romani, ultimi sono detti semplicemente pagani: da 16 Martire...e Lerì: sono due colline di
non dei musulmani, ai quali appartiene qui deriva la confusione. Parigi.
776
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
Medoro andò, piangendo, al signor caro; 3-8 Medoro si avvicinò, piangendo, al suo amato
che conobbe il quartier17 bianco e vermiglio: signore, poiché aveva riconosciuto (conobbe) [lo
scudo a] quartieri bianchi e rossi: e gli bagnò tutto
e tutto ’l viso gli bagnò d’amaro il viso [: di Dardinello] di un pianto amaro, pianto
pianto, che n’avea un rio sotto ogni ciglio, di cui (che n’<e>) aveva un ruscello (un rio) sotto
in sì dolci atti, in sì dolci lamenti, ciascun occhio (ciglio), con gesti così dolci e la-
menti così dolci che avrebbe potuto [far] fermare
che potea ad ascoltar fermare i venti. i venti se l’avessero ascoltato (ad ascoltar)
[: avrebbe commosso anche la natura inanimata].
187
Ma con sommessa voce e a pena udita; 187 1-6 E tuttavia [Medoro si lamenta] con voce
non che riguardi a non si far sentire, sommessa e a malapena udibile, non perché badi
(riguardi) a non farsi (si far) sentire, perché si pre-
perch’abbia alcun pensier de la sua vita, occupi della propria vita, che anzi (più tosto) odia
più tosto l’odia, e ne vorrebbe uscire: e dalla quale vorrebbe uscire [: vorrebbe morire]:
ma per timor che non gli sia impedita ma per timore che (per timor che non) gli sia im-
pedita l’opera pietosa (pia) che l’aveva fatto (fe’ =
l’opera pia che quivi il fe’ venire. ‘fece’) venire qui [: il seppellimento di Dardinello].
Fu il morto re sugli omeri sospeso 7-8 Il re morto fu appoggiato sulle spalle (sugli
di tramendui, tra lor partendo il peso. omeri sospeso) di entrambi (tramendui) divi-
dendo (partendo) il peso tra di loro.
188
Vanno affrettando i passi quanto ponno, 188 Si mettono ad affrettare i passi il più possibile
sotto l’amata soma che gl’ingombra. (quanto ponno = ‘quanto possono’), sotto il peso
(soma) dell’amato [Dardinello] (amata), che li
E già venìa chi de la luce è donno ostacola (gl’ingombra). E veniva già colui che (chi)
le stelle a tor del ciel, di terra l’ombra; è signore (donno) della luce [: il sole] a togliere (tor)
quando Zerbino,18 a cui del petto il sonno le stelle dal cielo e l’oscurità dalla terra; quando Zer-
bino, al quale, quando è necessario (ove è bisogno),
l’alta virtude, ove è bisogno, sgombra, il nobile valore (alta virtude) toglie (sgombra) dal
cacciato avendo tutta notte i Mori, petto il sonno, torna (si traea) al campo sul far
al campo si traea nei primi albori. dell’alba (nei primi albori), dopo che i [due] Mori
[: Cloridano e Medoro] hanno fatto strage (cacciato
avendo…i Mori) per tutta la notte.
189
E seco alquanti cavallieri avea, 189 1-2 [Zerbino] aveva con sé (seco) molti cavalie-
che videro da lunge i dui compagni. ri, che da lontano (da lunge) videro i due compagni.
3-4 Ciascuno [: degli uomini di Zerbino] andava
Ciascuno a quella parte si traea, (si traea) da quella parte, sperando di trovarci un
sperandovi trovar prede e guadagni. ricco bottino (prede e guadagni).
– Frate, bisogna (Cloridan dicea) 5-8 Cloridano diceva: – Amico (Frate = ‘Fratel-
lo’), bisogna liberarci del peso (gittar la soma; git-
gittar la soma, e dare opra ai calcagni;
tar = ‘gettare’; la soma è il cadavere di Dardinel-
che sarebbe pensier non troppo accorto, lo), e correre via (dare opra ai calcagni = ‘darsi da
perder duo vivi per salvar un morto. – fare con i piedi’), perché sarebbe un’idea insensa-
ta (non troppo accorto), far morire (perder) due
uomini vivi per salvarne uno morto.
190
E gittò il carco, perché si pensava 190 1-4 E [Cloridano] gettò [via] il carico (gittò
che ’l suo Medoro il simil far dovesse: il carco) [: il cadavere di Dardinello], perché pen-
sava che il suo [compagno] Medoro facesse la
ma quel meschin, che ’l suo signor più amava, stessa cosa (il simil): ma quel poveretto (me-
sopra le spalle sue tutto lo resse. schin), che amava [ancora] di più il suo signore, lo
L’altro con molta fretta se n’andava, resse tutto sopra le sue spalle.
5-8 L’altro [: Cloridano] si allontanava con molta
come l’amico a paro o dietro avesse: fretta, come se avesse l’amico di lato o [subito]
se sapea di lasciarlo a quella sorte, dietro [di sé (a paro o dietro): se si fosse reso con-
mille aspettate avria, non ch’una morte. to (sapea = ‘sapeva’) di abbandonarlo a quel modo
(sorte), avrebbe (avria) aspettato non [il rischio]
di una [sola], ma di mille morti.
17 quartier: in araldica il “quartiere” è ciascuna delle quattro parti in 18 Zerbino: è un personaggio inventato da Ariosto, cavaliere cristiano
cui è diviso uno scudo. e figlio del re di Scozia.
777
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
191
Quei cavallier, con animo disposto 191 1-4 Quei cavalieri, con l’animo determinato
che questi a render s’abbino o a morire, [a far sì] che questi [: Cloridano e Medoro] si deb-
bano (s’abbino…a) arrendere o morire, si sparpa-
chi qua chi là si spargono, et han tosto gliano chi di qua chi di là, e hanno presto (tosto)
preso ogni passo onde si possa uscire. occupato ogni passaggio dal quale si possa fuggire.
Da loro il capitan poco discosto, 5-8 Il capitano [: Zerbino], poco lontano da loro,
più degli altri [cavalieri] è pronto (sollicito) a in-
più degli altri è sollicito a seguire; seguirli, poiché, vedendoli essere impauriti (te-
ch’in tal guisa vedendoli temere, mere) a questo modo, capisce (certo è) come sia-
certo è che sian de le nimiche schiere. no dell’esercito nemico.
192
Era a quel tempo ivi una selva antica, 192 In quel tempo, [c’]era là (ivi) una vecchia
d’ombrose piante spessa e di virgulti, selva, folta (spessa) di piante ombrose e di giova-
ni alberi (di virgulti), che all’interno (entro),
che, come labirinto, entro s’intrica come un labirinto, dentro ha un intrico di stretti
di stretti calli e sol da bestie culti. sentieri (calli), frequentati (culti) solo da bestie.
Speran d’averla i duo pagan sì amica, I due pagani sperano che [la selva] sia loro favore-
vole (amica), tanto da nasconderli (sì… ch’abbi a
ch’abbi a tenerli entro a’ suoi rami occulti. tenerli… occulti) tra i suoi rami. Ma chi si diverte
Ma chi del canto mio piglia diletto, (piglia diletto) al mio racconto, io lo aspetto per
un’altra volta ad ascoltarlo aspetto. un’altra volta perché lo ascolti (ad ascoltarlo)
[: aspetto per un’altra volta chi si diverte ad ascol-
tare il mio racconto].
XIX, 1
Alcun non può saper da chi sia amato, XIX 1 Nessuno può sapere da chi sia amato [vera-
quando felice in su la ruota siede:19 mente] finché (quando) se ne sta felice sulla ruo-
ta [della Fortuna] [: gode della buona sorte];
però c’ha i veri e i finti amici a lato, perché (però c’<he>) ha vicino (a lato) sia i veri sia
che mostran tutti una medesma fede. i falsi amici, che mostrano tutti la medesima fe-
Se poi si cangia in tristo il lieto stato, deltà (fede) [: che si mostrano tutti fedeli allo
stesso modo]. Se poi il destino favorevole (il lieto
volta la turba adulatrice il piede;
stato) si trasforma (si cangia = ‘cambia’) in avver-
e quel che di cor ama riman forte, so (in tristo), la folla degli adulatori (la turba adu-
et ama il suo signor dopo la morte. latrice) se ne va via (volta… il piede); e rimane co-
stante (forte) colui che ama di cuore, e ama il pro-
prio signore [anche] dopo la morte.
2
Se, come il viso, si mostrasse il core, 2 1-6 Se il cuore si rivelasse [in quello che pro-
tal ne la corte è grande e gli altri preme, va] come il viso [: se potessimo conoscere i pen-
sieri segreti degli altri], chi (tal) ha nella corte una
e tal è in poca grazia al suo signore, posizione di rilievo e domina (preme) sugli altri e
che la lor sorte muteriano insieme. chi è poco apprezzato (è in poca grazia = ‘è poco
Questo umil diverria tosto il maggiore: nelle grazie’) dal proprio signore cambierebbero
(muteriano) l’un con l’altro (insieme) la propria
staria quel grande infra le turbe estreme. condizione (lor sorte). Chi è in basso (Questo
Ma torniamo a Medor fedele e grato, umil) diventerebbe (diverria) subito (tosto) il più
che ’n vita e in morte ha il suo signore amato. grande: e quello [che sta] in alto (grande) stareb-
be (staria) tra la folla più bassa (infra le turbe
estreme) [: tra i cortigiani di rango inferiore].
7-8 Ma torniamo [a parlare di] Medoro, fedele e
riconoscente (grato), che ha sempre amato il suo
signore [: Dardinello] sia da vivo, sia da morto.
19 in su la ruota siede: l’antica immagine della umani e lo scambiarsi di posto tra chi ha suc- bio secondo cui i veri amici si riconoscono nelle
ruota della Fortuna indica il mutare dei destini cesso e chi non ne ha. Ariosto parte dal prover- difficoltà; e lo riferisce al mondo cortigiano.
778
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
3
Cercando gìa nel più intricato calle 3 1-4 Il giovane sventurato (infelice) andava
il giovine infelice di salvarsi; (gìa) nel sentiero (calle) più tortuoso cercando di
salvarsi; ma il pesante carico (grave peso: quello
ma il grave peso ch’avea su le spalle, del cadavere di Dardinello) faceva sì che tutti i
gli facea uscir tutti i partiti scarsi. tentativi (partiti) [di salvarsi] si rivelassero inuti-
Non conosce il paese, e la via falle, li (uscir… scarsi).
5-6 Non conosce il luogo (paese), e sbaglia (falle)
e torna fra le spine a invilupparsi. la strada, e torna a intricarsi (invilupparsi) tra i
Lungi da lui tratto al sicuro s’era rovi (spine) [della selva].
l’altro, ch’avea la spalla più leggiera. 7-8 Lontano (Lungi) da lui si era messo (tratto)
in salvo Cloridano (l’altro), che aveva le spalle più
leggere [: non portava il peso del cadavere].
4
Cloridan s’è ridutto ove non sente 4 1-4 Cloridano si è rifugiato (s’è ridutto) in un
luogo in cui non sente il fracasso (strepito) e il ru-
di chi segue lo strepito e il rumore:
more degli inseguitori (di chi segue); ma quando
ma quando da Medor si vede absente, si accorge di essere separato (absente) da Medo-
gli pare aver lasciato a dietro il core. ro, gli pare di aver perduto (lasciato a dietro = ‘la-
– Deh, come fui (dicea) sì negligente, sciato indietro’) il cuore [: la parte più importante
di sé, la cosa più cara].
deh, come fui sì di me stesso fuore, 5-8 [Egli] diceva: Ahimè! Come ho potuto essere
che senza te, Medor, qui mi ritrassi, così negligente, ahimè, come ho potuto essere così
né sappia quando o dove io ti lasciassi! – fuori di me, che senza di te, oh Medoro, giunsi (mi
ritrassi) qui, e non so quando o dove ti ho lasciato!
5
Così dicendo, ne la torta via 5 1-4 Dicendo queste parole, [Cloridano] si
de l’intricata selva si ricaccia; spinge nuovamente (si ricaccia) nei tortuosi sen-
tieri (torta via) della selva e riprende la via (si rav-
et onde era venuto si ravvia, via) dalla quale (onde) era venuto, e torna sui pas-
e torna di sua morte in su la traccia. si (in su la traccia) che lo porteranno alla morte.
Ode i cavalli e i gridi tuttavia, 5-8 Sente continuamente (tuttavia) i cavalli e le
grida, e la voce del nemico che urlava minacce:
e la nimica voce che minaccia: alla fine sente il suo Medoro, e vede che lui solo è
all’ultimo ode il suo Medoro, e vede a piedi tra tanti [che sono] a cavallo.
che tra molti a cavallo è solo a piede.
6
Cento a cavallo, e gli son tutti intorno: 6 1-2 [Sono] cento [uomini] a cavallo, e lo cir-
Zerbin commanda e grida che sia preso. condano: Zerbino comanda e grida di catturarlo.
3-6 Il poveretto (L’infelice) girava [su se stesso]
L’infelice s’aggira com’un torno, come se fosse in un tornio (torno), e si tiene al ripa-
e quanto può si tien da lor difeso, ro (si tien… difeso) come meglio può: ora dietro una
or dietro quercia, or olmo, or faggio, or orno, quercia, ora [dietro] un olmo, ora [dietro] un faggio,
ora [dietro] un ornello (orno), senza separarsi mai
né si discosta mai dal caro peso. dal caro peso [: il cadavere dell’amato Dardinello] .
L’ha riposato al fin su l’erba, quando 7-8 Infine (al fin) lo ha posto (L’ha riposato)
regger nol puote, e gli va intorno errando: sull’erba, dal momento che (quando) non lo può
(nol puote) reggere [sulle spalle] e gli va vagando
(errando) intorno.
7
come orsa, che l’alpestre cacciatore 7 [Medoro si comporta] come un’orsa, che il cac-
ne la pietrosa tana assalita abbia, ciatore montanaro (alpestre) abbia assalito nella
grotta in cui ha la tana (ne la pietrosa tana), sta
sta sopra i figli con incerto core, sui figli [per difenderli] con il cuore incerto [sul da
e freme in suono di pietà e di rabbia: farsi: proteggerli o assalire], e freme con mugghi
ira la ’nvita e natural furore (in suono) di affetto (pietà) [: per i piccoli] e di
rabbia [: contro il cacciatore]: l’ira e il furore istin-
a spiegar l’ugne e a insanguinar le labbia; tivo (natural) la spingono (la ’nvita) a sfoderare
amor la ’ntenerisce, e la ritira gli artigli (spiegar l’ugne) e a insanguinarsi il mu-
a riguardare ai figli in mezzo l’ira. so (le labbia) [mordendo il cacciatore]; l’amore la
intenerisce, e la induce (ritira) a proteggere i pic-
coli, pur nell’ira.
779
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
8
Cloridan, che non sa come l’aiuti, 8 1-4 Cloridano, che non sa come aiutarlo [: Me-
e ch’esser vuole a morir seco ancora, doro] e che vuole essere con lui (seco) anche nella
morte (a morir… ancora), ma non [vuole] trasfor-
ma non ch’in morte prima il viver muti, mare (ch’<e>… muti) la vita in morte [: non vuole
che via non truovi ove più d’un ne mora; morire] prima di aver trovato (prima… che… non
mette su l’arco un de’ suoi strali acuti, truovi) modo (via) per uccidere (ove… ne mora =
‘in cui muoia’) più d’un [nemico];
e nascoso con quel sì ben lavora, 5-8 mette sull’arco una delle sue frecce pungen-
che fora ad uno Scotto le cervella, ti (strali acuti) e, nascosto, agisce così bene con
e senza vita il fa cader di sella. quello [: l’arco], che buca a uno scozzese (Scotto)
il cervello, e lo fa cadere senza vita da cavallo.
9
Volgonsi tutti gli altri a quella banda 9 1-2 Si voltano (Volgonsi) tutti gli altri da
ond’era uscito il calamo omicida. quella parte (a quella banda) da dove (ond’<e>)
proveniva la freccia (calamo) assassina.
Intanto un altro il Saracin ne manda, 3-8 Nel frattempo il Saraceno [: Cloridano] sca-
perché ’l secondo a lato al primo uccida; glia un’altra freccia (un altro), affinché uccida un
che mentre in fretta a questo e a quel domanda altro cristiano (<i>’l secondo), [che si trova] ac
canto (a lato) al primo; il quale [: il secondo cava-
chi tirato abbia l’arco, e forte grida, liere cristiano] mentre domanda in fretta ad un
lo strale arriva e gli passa la gola, compagno e all’altro chi abbia tirato [con] l’arco
e gli taglia pel mezzo la parola. (chi tirato abbia l’arco), gridando forte, la freccia
(lo strale) arriva e gli trafigge (passa) la gola, la-
sciando la frase a metà (pel mezzo).
10
Or Zerbin, ch’era il capitano loro, 10 1-2 A questo punto (a questo) Zerbino, che
non poté a questo aver più pazïenza. era il loro capitano, non poté più sopportare (aver
più pazïenza).
Con ira e con furor venne a Medoro, 3-4 Pieno di collera e con rabbia venne verso Me-
dicendo: – Ne farai tu penitenza. – doro, dicendogli: – Pagherai tu [queste morti] (Ne
Stese la mano in quella chioma d’oro, farai tu penitenza).
5-8 Protese la mano verso quella chioma [bionda
e strascinollo a sé con vïolenza: come] l’oro, e lo trascinò (strascinollo) a sé con
ma come gli occhi a quel bel volto mise, violenza: ma come rivolse (mise) gli occhi a quel
gli ne venne pietade, e non l’uccise. bel volto, venne assalito dalla pietà, e non lo uccise.
11
Il giovinetto si rivolse a’ prieghi, 11 1-4 Il giovanotto ricorse alle preghiere (si ri-
e disse: – Cavallier, per lo tuo Dio, volse a’ prieghi) e disse: – Cavaliere, per [l’amore]
del tuo Dio, non essere così crudele da non conce-
non esser sì crudel, che tu mi nieghi dermi (che tu mi nieghi) di seppellire il corpo del
ch’io sepelisca il corpo del re mio. mio re.
Non vo’ ch’altra pietà per me ti pieghi, 5-8 Non voglio che ti intenerisca (ti pieghi) altra
pietà per me, né che tu pensi che io desideri vivere
né pensi che di vita abbi disio: (di vita abbi disio): della mia vita, ho una preoccu-
ho tanta di mia vita, e non più, cura, pazione (cura) pari (tanta… quanta), e non superio-
quanta ch’al mio signor dia sepultura. re, a [quella di] dare sepoltura al mio signore [: mi in-
teressa vivere solo per seppellire Dardinello].
12
E se pur pascer vòi fiere et augelli, 12 1-4 Ma se proprio (E se pur) vuoi (vòi) far
che ’n te il furor sia del teban Creonte,20 mangiare (pascer) le belve e gli uccelli [rapaci], [in
modo] che sia in te la follia (il furor) del tebano Cre-
fa lor convito di miei membri, e quelli onte, offri loro come pasto (fa lor convito) il mio
sepelir lascia del figliuol d’Almonte. – corpo (di miei membri), e lascia seppellire quello
Così dicea Medor con modi belli, [: il corpo] del figlio di Almonte [: Dardinello].
5-8 Così diceva Medoro con fare gentile (con
e con parole atte a voltare un monte;
modi belli) e con parole [che sarebbero state] ca-
e sì commosso già Zerbino avea, paci di capovolgere (atte a voltare) una monta-
che d’amor tutto e di pietade ardea. gna; e aveva già commosso Zerbino, che ardeva
tutto di affetto e di compassione (pietade).
20 Creonte: è il tiranno che aveva stabilito la pena di morte per chi avesse sepolto i nemici uccisi.
780
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
13
In questo mezzo un cavallier villano, 13 1-4 In questo momento (In questo mezzo)
avendo al suo signor poco rispetto, un rozzo (villano) cavaliere, avendo poco rispet-
to del suo signore, ferì il delicato petto del [giova-
ferì con una lancia sopra mano ne] supplicante [: Medoro] con una lancia, [impu-
al supplicante il delicato petto. gnandola] più alta della spalla (sopra mano).
Spiacque a Zerbin l’atto crudele e strano; 5-8 Il comportamento crudele e immotivato
(strano) non piacque (Spiacque) a Zerbino, tanto
tanto più, che del colpo il giovinetto più che vide cadere per il (del) colpo il giovinetto
vide cader sì sbigottito e smorto, pallido come un morto (sbigottito e smorto), che
che ’n tutto giudicò che fosse morto. giudicò davvero (<i>’n tutto) fosse morto.
14
E se ne sdegnò in guisa e se ne dolse, 14 1-2 E se ne irritò (se ne sdegnò) e se ne addo-
che disse: – Invendicato già non fia! – lorò (dolse) in modo che (in guisa… che) disse: ––
Non resterà (non fia = ‘non sarà’) certo (già)
e pien di mal talento si rivolse senza vendetta (Invendicato)!
al cavallier che fe’ l’impresa ria: 3-6 E pieno di istinto vendicativo (mal talento:
ma quel prese vantaggio, e se gli tolse mal = ‘cattivo’) si rivolse al cavaliere che compì
l’atto scellerato (fe’ l’impresa ria): ma quello al-
dinanzi in un momento, e fuggì via. lontanandosi (prese vantaggio) gli si (se gli) tolse
Cloridan, che Medor vede per terra, da davanti (dinanzi) in un momento, e fuggì via.
salta del bosco a discoperta guerra. 7-8 Cloridano, che vede Medoro per terra, esce dal
bosco per lo scontro diretto (a discoperta guerra).
15
E getta l’arco, e tutto pien di rabbia 15 1-4 [Cloridano] getta l’arco, e tutto pieno di
tra gli nimici il ferro intorno gira, rabbia fa roteare (intorno gira) la spada (il ferro)
tra i nemici, più per morire, che perché egli abbia
più per morir, che per pensier ch’egli abbia il pensiero di fare una vendetta che sia pari (pa-
di far vendetta che pareggi l’ira. reggi) [: dia soddisfazione] alla [sua] ira.
Del proprio sangue rosseggiar la sabbia 5-6 Vede la sabbia diventare rossa (rosseggiar)
del proprio sangue fra tante spade [nemiche], e
fra tante spade, e al fin venir si mira; [si vede] arrivare alla morte (al fin); e [quando] si
e tolto che si sente ogni potere, sente ogni forza (potere) venir meno (tolto), si
si lascia a canto al suo Medor cadere. lascia cadere accanto al suo Medoro.
781
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
ANALISI Uno stile elevato Anche sul piano dello stile, Ariosto guarda a Virgilio e adotta un tono alto.
A differenza delle parti romanzesche, i monologhi non sono lamenti sentimentali, ma eloquenti
preghiere, arricchite da riferimenti mitologici (XVIII, 184 e XIX, 11-12). Inoltre, le similitudini
non sono quelle eleganti della poesia d’amore, ma quelle del repertorio guerresco (XVIII, 178).
Tuttavia, all’interno di un tono complessivamente serio, tornano note ironiche (nella descri-
zione dei nemici di cui fanno strage Cloridano e Medoro) e sarcastiche (XVIII, 185, 2). Il variare
dei registri serve ad Ariosto a smorzare la drammaticità del passo.
782
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
ZIONI
INFORMA
Eurialo e Niso
Per la vicenda di Cloridano e Medoro, della situazione? – pensa Niso. Eu- Messàpo: i due sono così scoperti da
Ariosto si ispira al racconto del IX libro rialo accoglie con entusiasmo il pro- una schiera di trecento guerrieri che
dell’Eneide, che ha per protagonisti posito dell’amico: lo accompagnerà e stava portando un messaggio a Turno.
Eurialo e Niso. affronterà al suo fianco ogni pericolo. Niso riesce a nascondersi e trafigge,
Mentre Enea è presso Evandro per Dopo aver avuto il consenso di Asca- non visto, alcuni nemici; ma quando
chiedere alleanza e aiuto, l’accam- nio, i due partono per l’impresa. Fuori vede Volcente colpire l’amico, esce al-
pamento troiano, stretto dall’assedio dall’accampamento, un fumo nero lo scoperto e si avventa sull’uccisore,
dei Rùtuli, si trova in grave pericolo. sale lento dai fuochi che stanno per gli immerge in gola la spada, e poi ca-
Durante la notte sono di guardia a spegnersi, mentre i Rùtuli giacciono de morto sul corpo senza vita di Euria-
una delle porte due giovani guerrieri: immersi nell’ubriachezza e nel sonno. lo, come abbracciandolo. Puoi leggere
Eurialo, appena un ragazzo, e Niso, Niso e Eurialo ne fanno strage. Ma un l’episodio direttamente nell’Eneide, IX
anche lui nel fiore degli anni. Perché raggio di luna fa balenare all’improv- libro, soffermandoti in particolare sui
non raggiungere Enea e ragguagliarlo viso l’elmo che Eurialo aveva tolto a vv. 217-277 e 379-536.
Jean-Baptiste Roman,
Eurialo e Niso, 1827.
Parigi, Musée du Louvre.
783
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
La pazzia di Orlando
Tra le varie avventure, Orlando ha perso di vista il pagano Mandricardo, con cui deve battersi. Cercandolo,
giunge nel bosco dove si sono amati Angelica e Medoro e qui scopre le iscrizioni tracciate dai due; ma non
vuole credere a esse. Disperato, trova riparo nella casa di un pastore lì vicino: è quella che ha ospitato i
due giovani innamorati. Per confortare Orlando, il pastore gli narra la storia di Angelica e Medoro; e, come
se non bastasse, gli mostra il braccialetto ricevuto in dono dalla principessa. Di fronte all’evidenza, Orlan-
do non può più illudersi e impazzisce. La sua furia devastatrice si abbatte su ogni cosa.
I TEMI follia devastatrice del protagonista
101
Il merigge facea grato l’orezzo 101 1-4 Il [caldo del] pomeriggio (merigge)
al duro armento et al pastore ignudo; rendeva gradevole la frescura (l’orezzo) al gregge
resistente [alle fatiche] (duro armento) e al pa-
sì che né Orlando sentia alcun ribrezzo, store nudo; così che neppure (né) Orlando senti-
che la corazza avea, l’elmo e lo scudo. va alcun brivido [di freddo] (ribrezzo), dato che
Quivi egli entrò per riposarvi in mezzo: aveva [addosso] la corazza, l’elmo e lo scudo.
5-8 Qui [: nel praticello] entrò per riposarvi nel
e v’ebbe travaglioso albergo e crudo, mezzo, e quel giorno infelice e sfortunato, vi tro-
e più che dir si possa empio soggiorno, vò (ebbe) un riparo (albergo) pieno di angosce
quell’infelice e sfortunato giorno. (travaglioso) e crudele (crudo) e una dimora più
spietata (empio) di quanto non si possa dire.
102
Volgendosi ivi intorno, vide scritti 102 1-2 Girandosi qui intorno, vide molti albe-
molti arbuscelli in su l’ombrosa riva. relli con delle scritte [sulla corteccia] (scritti mol-
ti arbuscelli).
Tosto che fermi v’ebbe gli occhi e fitti, 3-4 Non appena (Tosto che) vi fermò e fissò lo
fu certo esser di man de la sua diva. sguardo, fu certo che [le scritte] erano di mano
Questo era un di quel lochi già descritti, della sua dea [: Angelica].
5-8 Questo era uno di quei luoghi già descritti,
ove sovente con Medor veniva dove spesso (sovente) Medoro veniva dalla casa
da casa del pastore indi vicina del pastore lì vicina (indi vicina) con la bella An-
la bella donna del Catai regina. gelica (donna del Catai regina).
784
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
103
Angelica e Medor con cento nodi 103 Vede in cento luoghi (lochi) [i nomi di] An-
legati insieme, e in cento lochi vede. gelica e Medoro intrecciati insieme con cento di-
segni (nodi). Quante sono le lettere, altrettanti
Quante lettere son, tanti son chiodi sono i chiodi con i quali [il dio] Amore gli trafigge
coi quali Amore il cor gli punge e fiede. e ferisce (punge e fiede) il cuore. Con il pensiero,
Va col pensier cercando in mille modi va cercando in mille modi di non credere quello
che, suo malgrado (al suo dispetto), crede: si sfor-
non creder quel ch’al suo dispetto crede:3 za di credere che quella che ha scritto il proprio
ch’altra Angelica sia, creder si sforza, nome su quella corteccia (scorza) sia un’altra An-
ch’abbia scritto il suo nome in quella scorza. gelica.
104
Poi dice: – Conosco io pur queste note: 104 1-4 Poi dice: – Eppure (pur) io conosco questi
di tal’io n’ho tante vedute e lette. caratteri (note) [: questa grafia], di simili (tal) ne ho
visti e letti tanti; lei [: Angelica] si può (ella si puote)
Finger questo Medoro ella si puote: inventare (Finger) questo Medoro: forse (forse
forse ch’a me questo cognome mette. – ch’<e>) dà a me questo soprannome (cognome).
Con tali opinïon dal ver remote 5-8 Grazie a tali pensieri (opinïon) lontani dalla
verità (dal ver remote), e ingannando (usando
usando fraude a se medesmo, stette fraude a = ‘facendo frode a’) se medesimo, Orlan-
ne la speranza il malcontento Orlando, do, non del tutto soddisfatto (malcontento: delle
che si seppe a se stesso ir procacciando. sue stesse spiegazioni), conservò la speranza (stet-
te ne la speranza) che aveva saputo procurare (ir
procacciando = ‘andare a procurare’) a se stesso.
105
Ma sempre più raccende e più rinuova, 105 Ma quanto più cerca di mettere a tacere
quanto spenger più cerca, il rio sospetto: (spenger = ‘spegnere’) il terribile (rio) sospetto,
tanto più [gli] dà forza (raccende) e [lo] rinnova:
come l’incauto augel che si ritrova come l’uccello sprovveduto, che si ritrova ad aver
in ragna o in visco4 aver dato di petto, colpito con il petto (dato di petto) una ragnatela
quanto più batte l’ale e più si prova o del visco, [e che] quanto più batte le ali e tenta
di liberarsi (disbrigar), [tanto] più vi si impiglia
di disbrigar, più vi si lega stretto. strettamente. Orlando giunge dove il monte, so-
Orlando viene ove s’incurva il monte pra la fonte limpida (chiara), presenta un’altura
a guisa d’arco in su la chiara fonte. (s’incurva) come (a guisa) un arco.
106
Aveano in su l’entrata il luogo adorno 106 Edere e viti rampicanti (erranti) avevano
coi piedi storti edere e viti erranti. adornato (adorno) il luogo, all’entrata, con i [lo-
ro] ceppi (piedi) storti. Qui i due felici amanti
Quivi soleano al più cocente giorno [: Angelica e Medoro] erano soliti starsene ab-
stare abbracciati i duo felici amanti. bracciati nel [momento] più caldo [del] giorno (al
V’aveano i nomi lor dentro e d’intorno, più cocente giorno). Lì dentro e intorno, più che
in [alcun] altro dei luoghi circostanti, c’erano
più che in altro dei luoghi circonstanti, (V’aveano) scritti i loro nomi ora con il carbone,
scritti, qual con carbone e qual con gesso, ora con il gesso, ora incisi con la punta di un col-
e qual con punte di coltelli impresso. tello.
107
Il mesto conte a piè quivi discese; 107 1-4 Il triste (mesto) conte [: Orlando] scese
e vide in su l’entrata de la grotta5 qui a piedi [da cavallo]; e vide all’entrata della
grotta molte scritte (parole), che Medoro aveva
parole assai, che di sua man distese tracciate (distese) con la sua mano, che sembra-
Medoro avea, che parean scritte allotta. vano scritte [proprio] allora (allotta).
785
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Dosso Dossi,
Angelica e Orlando
furioso, 1510-1516.
Firenze, Galleria
Palatina di Palazzo
Pitti.
Del gran piacer che ne la grotta prese, 5-6 Aveva messo (ridotta) in versi il seguente
questa sentenzia in versi avea ridotta. pensiero (questa sentenzia) sul grande piacere
che aveva goduto (prese) nella grotta.
Che fosse culta in suo linguaggio6 io penso; 7-8 Io penso che fosse elaborata (culta) nella sua
et era ne la nostra tale il senso: lingua; e il senso nella nostra [lingua] era questo:
108
– Liete piante, verdi erbe, limpide acque, 108 – Liete piante, verdi erbe, acque limpide,
spelunca opaca e di fredde ombre grata, grotta ombrosa (spelunca opaca) e gradevole
(grata) per le fresche ombre, [grotta] dove la bella
dove la bella Angelica che nacque Angelica, nata da Galafrone e amata da molti inu-
di Galafron, da molti invano amata, tilmente [: senza che fossero ricambiati], giacque
spesso ne le mie braccia nuda giacque: spesso nuda tra le mie braccia; io, povero Medoro,
non posso ricompensarvi per il comodo riparo
de la commodità che qui m’è data, che mi avete offerto qui (che qui m’è data) in al-
io povero Medor ricompensarvi tro modo (d’altro = ‘con altra cosa’) che lodandovi
d’altro non posso, che d’ognior lodarvi: sempre (d’ognior lodarvi)
109
e di pregare ogni signore amante, 109 e pregando ogni nobile innamorato (ogni si-
e cavallieri e damigelle, e ognuna gnore amante), cavaliere e dama, e ogni persona,
abitante di questo paese (paesana) o viandante
persona, o paesana o vïandante, [: forestiera], che conducano (meni) qui la propria
che qui sua volontà meni o Fortuna; volontà o il caso (Fortuna); di dire alle erbe, alle
ch’all’erbe, all’ombre, all’antro, al rio, alle piante ombre, alla grotta (all’antro), al ruscello, alle pian-
te: vi siano favorevoli (benigno abbiate) sia (e) il so-
dica: benigno abbiate e sole e luna, le, sia la luna sia l’insieme (coro) delle ninfe, il qua-
e de le ninfe il coro, che proveggia le faccia in modo (proveggia = ‘provveda’) che mai
che non conduca a voi pastor mai greggia. – un pastore conduca da voi il gregge [a deturparvi].
786
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
110
Era scritto in arabico, che ’l conte 110 Era scritto in arabo, che il cavaliere capiva
intendea così ben come latino:7 bene come il latino: tra molte lingue che padro-
neggiava (ch’avea pronte), il paladino sapeva be-
fra molte lingue e molte ch’avea pronte, nissimo quella [: l’arabo]; e [ciò] gli permise di evi-
prontissima avea quella il paladino; tare (schivò) più volte danni e disonore (onte), le
e gli schivò più volte e danni et onte, molte volte che (che) si trovò tra il popolo sarace-
no: ma non si vanti, se già [altre volte] ne fece
che si trovò tra il popul saracino: guadagno [: se la conoscenza dell’arabo gli fu favo-
ma non si vanti, se già n’ebbe frutto; revole], perché ora ne riceve (n’ha) un danno, che
ch’un danno or n’ha, che può scontargli il tutto. può fargli pagare (scontargli) tutto quanto.
111
Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto 111 1-6 Quell’infelice lesse le scritte tre, quat-
quello infelice, e pur cercando invano tro, sei volte, sempre (pur) sperando inutilmente
che non vi fosse scritto quello che [realmente]
che non vi fosse quel che v’era scritto; c’era scritto; e sempre lo vedeva più chiaramente
e sempre lo vedea più chiaro e piano: ed evidentemente (piano): ed ogni volta [che leg-
et ogni volta in mezzo il petto afflitto geva] si sentiva in mezzo al petto sconsolato (af-
flitto) stringere il cuore con mano gelida.
stringersi il cor sentia con fredda mano.8 7-8 Rimase lì con gli occhi e con il pensiero fissi
Rimase al fin con gli occhi e con la mente sul sasso, [ormai] uguale (indifferente = ‘non di-
fissi nel sasso, al sasso indifferente. verso’) al sasso [: Orlando è pietrificato].
112
Fu allora per uscir del sentimento, 112 1-4 Fu allora sul punto di perdere la ragione
sì tutto in preda del dolor si lassa. (uscir del sentimento), a tal punto si era abban-
donato (si lassa = ‘si lascia’) completamente in
Credete a chi n’ha fatto esperimento,9 preda al dolore. Credete a chi l’ha provato (n’ha
che questo è ’l duol che tutti gli altri passa. fatto esperimento = ‘ne ha avuto esperienza’),
Caduto gli era sopra il petto il mento, che questo è un dolore che supera tutti gli altri.
5-8 Il mento gli era caduto sopra il petto [: era a
la fronte priva di baldanza e bassa; capo basso], la fronte [era] priva di sicurezza (bal-
né poté aver (che ’l duol l’occupò tanto) danza) e abbassata, e poiché il dolore (’l duol) si
alle querele voce, o umore al pianto. era impadronito di lui (l’occupò) tanto, non poté
avere voce per i lamenti (alle querele) o lacrime
113 (umore = ‘liquido’) per il pianto.
7 latino: indica genericamente le lingue che derivano dal latino 9 Credete a chi...esperimento: il poeta, paragonandosi a Orlando,
(Orlando è francese). allude alla gelosia che egli stesso ha sofferto.
8 stringersi...con fredda mano: è una metafora per indicare l’angoscia.
787
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
115
In così poca, in così debol speme 115 1-4 Con così poca, così debole speranza (speme) ritorna
sveglia gli spirti e gli rinfranca un poco; in se stesso (sveglia gli spirti; cioè gli spiriti vitali) e si fa un po’
di coraggio (gli rinfranca un poco); quindi cavalca (il dosso
indi al suo Brigliadoro il dosso preme, preme) il suo Brigliadoro, mentre il sole sta ormai cedendo il
dando già il sole alla sorella loco. suo posto alla sorella [: la luna] [: si sta facendo notte].
Non molto va, che da le vie supreme 5-8 Non va molto avanti, che vede uscire il fumo del fuoco
[acceso] dalle aperture messe sulla cima dei tetti (le vie supre-
dei tetti uscir vede il vapor del fuoco, me dei tetti) [: i camini], sente abbaiare dei cani, muggire le
sente cani abbiar, muggiare armento:10 greggi (muggiare armento); arriva alla fattoria (villa), e pren-
viene alla villa, e piglia alloggiamento. de una stanza [dove riposarsi] (alloggiamento).
116
Languido smonta, e lascia Brigliadoro 116 1-4 Scende da cavallo (smonta) senza forze (Langui-
a un discreto garzon che n’abbia cura; do), e affida Brigliadoro a un garzone abile (discreto) che ab
bia cura di lui; un altro (altri) [garzone] gli toglie le armi, un al
altri il disarma, altri gli sproni d’oro tro gli toglie gli speroni d’oro, un altro va a pulire (forbir) l’ar
gli leva, altri a forbir va l’armatura. matura.
Era questa la casa ove Medoro 5-6 Era questa la casa nella quale Medoro si riposò ferito, e
ebbe una sorte fortunatissima (alta avventura) [: essere ama-
giacque ferito, e v’ebbe alta avventura. to da Angelica].
Corcarsi Orlando e non cenar domanda, 7-8 Orlando chiede di andare a letto (Corcarsi = ‘Coricarsi’)
di dolor sazio e non d’altra vivanda. senza cenare, pieno di dolore e non di altra vivanda.
117
Quanto più cerca ritrovar quïete, 117 1-4 Tanto più cerca di ritrovare la tranquillità, tanto più
tanto ritrova più travaglio e pena; ritrova l’angoscia (travaglio) e il dolore, [tanto] che vede pie-
na ogni parete, ogni porta e ogni finestra delle scritte odiate
che de l’odiato scritto ogni parete, [: i nomi incisi sulle pareti da Angelica].
ogni uscio, ogni finestra vede piena. 5-8 Ne vorrebbe chiedere [informazioni]: poi tiene la bocca
Chieder ne vuol: poi tien le labra chete; chiusa (le labra chete); poiché teme che (che teme non) di-
venti (si far) troppo evidente (serena) e troppo chiaro quello
che teme non si far troppo serena, (la cosa) che egli cerca di nascondersi (di nebbia… offuscar)
troppo chiara la cosa che di nebbia perché gli debba fare meno male (men nuocer debbia).
cerca offuscar, perché men nuocer debbia.
118
Poco gli giova usar fraude a se stesso; 118 1-2 Gli serve a poco ingannare (usar fraude a) se stesso;
che senza domandarne, è chi ne parla. perché, [anche] senza che lui faccia domande (senza doman-
darne), c’è chi ne parla.
Il pastor che lo vede così oppresso 3-8 Il pastore che lo vede così oppresso dalla sua tristezza
da sua tristizia, e che voria levarla, (tristizia), che vorrebbe alleviarla (voria levarla), gli incomin-
l’istoria nota a sé, che dicea spesso ciò a narrare senza riguardo (rispetto) la storia di quei due
amanti da lui ben conosciuta (nota a sé), che raccontava spes-
di quei duo amanti a chi volea ascoltarla, so a chi la voleva ascoltare, dato che per molti fu piacevole (di-
ch’a molti dilettevole fu a udire, lettevole) da udire:
gl’incominciò senza rispetto a dire:
119
come esso a’ prieghi d’Angelica bella 119 [raccontò] come lui stesso (esso) [: il pastore] per le pre-
portato avea Medoro alla sua villa, ghiere della bella Angelica aveva portato nella propria fattoria
(villa) Medoro, che era ferito gravemente; e che lei curò la fe-
ch’era ferito gravemente; e ch’ella rita e la guarì in pochi giorni; ma Amore la ferì nel cuore con
curò la piaga, e in pochi dì guarilla; una [ferita] più grande di quella [di Medoro]; e da una piccola
ma che nel cor d’una maggior di quella (poca) scintilla [: l’innamoramento] la fece bruciare (l’accese)
[di] un fuoco [: la passione amorosa] così grande (tanto) e così
lei ferì Amor: e di poca scintilla ardente (sì cocente), che [lei] ne era tutta infiammata e non
l’accese tanto e sì cocente fuoco, trovava pace (loco).
che n’ardea tutta, e non trovava loco:
10 sente cani...armento: il verso è costruito su un chiasmo (prima soggetto e verbo, poi verbo e soggetto).
788
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
120
e sanza aver rispetto ch’ella fusse 120 e senza preoccuparsi (aver rispetto) [del
figlia del maggior re ch’abbia il Levante,11 fatto] che lei era figlia del più grande re che ci sia
in Oriente (ch’abbia il Levante), vinta da un
da troppo amor constretta si condusse amore troppo grande giunse (si condusse) a spo-
a farsi moglie d’un povero fante.12 sare (a farsi moglie) un povero fante. Il racconto
All’ultimo l’istoria si ridusse, arrivò (si ridusse) alla fine (All’ultimo): [così] che
il pastore fece portare lì davanti (inante) il gioiel-
che ’l pastor fe’ portar la gemma13 inante, lo (la gemma) che Angelica gli aveva dato
ch’alla sua dipartenza, per mercede quand’era partita (alla sua dipartenza) come ri-
del buono albergo, Angelica gli diede. compensa (per mercede) dell’affettuosa ospitali-
tà (del buono albergo).
121
Questa conclusïon fu la secure 121 Questa conclusione fu la scure che gli troncò
la testa dal collo con un colpo [solo] [: questo fu il
che ’l capo a un colpo gli levò dal collo,
colpo di grazia], dopo che quel carnefice di Amore
poi che d’innumerabil battiture (il manigoldo Amor) si considerò sazio (satollo)
si vide il manigoldo Amor satollo. per [avergli inflitto] infinite percosse (innumerabil
Celar si studia Orlando il duolo; e pure battiture). Orlando cerca (si studia) di nascondere
il dolore, ma (e pure) esso [: il dolore] lo sovrasta
quel gli fa forza, e male asconder pòllo: (gli fa forza), ed egli riesce (pòllo = ‘lo può’) a na-
per lacrime e suspir da bocca e d’occhi sconderlo male: alla fine, che lo voglia o no, è inevi-
convien, voglia o non voglia, al fin che scocchi. tabile (convien) che [il dolore] esca fuori (scocchi)
dalla bocca e dagli occhi con i sospiri e le lacrime.
122
Poi ch’allargare il freno al dolor puote 122 Dopo che (Poi ch’<e>) può dare libero sfogo
(che resta solo e senza altrui rispetto), (allargare il freno = ‘non frenare più’) al dolore,
giacché rimane solo e non [si deve dare] pensiero
giù dagli occhi rigando per le gote degli altri (senza altrui rispetto), sparge un fiu-
sparge un fiume di lacrime sul petto: me di lacrime [che], rigando le guance (rigando
sospira e geme, e va con spesse ruote per le gote) dagli occhi, [arriva] sul petto; sospira
e piange, e va girandosi spesso (con spesse ruote)
di qua di là tutto cercando il letto: esplorando (cercando) qua e là tutto il letto [: per
e più duro ch’un sasso, e più pungente angoscia]: e lo sente più duro di un sasso, e più
che se fosse d’urtica, se lo sente. pungente dell’ortica (urtica).
123
In tanto aspro travaglio gli soccorre 123 In un tormento così doloroso (In tanto aspro
che nel medesmo letto in che giaceva, travaglio) gli viene in mente (soccorre) che, nello
stesso letto in cui (in che) stava [lui], doveva essere
l’ingrata donna venutasi a porre venuta spesso a mettersi (a porre) la donna ingrata
col suo drudo più volte esser doveva. [: Angelica] con il suo amante (drudo). Adesso ha
Non altrimenti or quella piuma abborre, orrore (abborre) di quel letto (piuma) in modo
non diverso e se ne alza con rapidità (prestezza)
né con minor prestezza se ne leva, non minore dal contadino (villan) [che si alzi] da
che de l’erba il villan che s’era messo un prato (de l’erba), dove si era messo per dormire
per chiuder gli occhi, e vegga il serpe appresso. (chiuder gli occhi) e [dove] abbia visto (vegga) [lì]
vicino (appresso) un serpente.
124
Quel letto, quella casa, quel pastore 124 Quel letto, quella casa, quel pastore subito
immantinente in tant’odio gli casca, (immantinente) gli vengono in un odio così
grande, [tanto] che senza aspettare [che sorga] la
che senza aspettar luna, o che l’albóre luna o che nasca l’alba che precede (va dinanzi) il
che va dinanzi al nuovo giorno nasca, nuovo giorno, [Orlando] riprende le armi e il ca-
piglia l’arme e il destriero, et esce fuore vallo, ed esce fuori in mezzo al bosco dove i rami
[lo rendono] più buio (alla più oscura frasca): e
per mezzo il bosco alla più oscura frasca:
quando poi gli sembra (gli è aviso) di essere solo,
e quando poi gli è aviso d’esser solo, sfoga liberamente il suo dolore (apre le porte al
con gridi et urli apre le porte al duolo. duolo) con grida e urli.
11 figlia del maggior re...Levante: Angelica è 12 fante: i fanti erano i soldati a piedi, quindi 13 gemma: è il braccialetto che la princi-
figlia di Galafrone, gran Can del Catai, cioè il grado più basso nell’esercito. pessa ha regalato al pastore.
imperatore della Cina.
789
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
125
Di pianger mai, mai di gridar non resta; 125 1-2 Non smette (non resta) mai di piange-
né la notte né ’l dì si dà mai pace. re, [né] mai di gridare; non si dà mai pace né la
notte, né il giorno.
Fugge cittadi e borghi, e alla foresta 3-4 Evita (Fugge) città e paesi (borghi), e si ripo-
sul terren duro al discoperto giace. sa (giace) sul terreno duro della foresta allo sco-
Di sé si maraviglia, ch’abbia in testa perto (al discoperto) [: sulla terra nuda].
5-8 Si meraviglia di se stesso, di come abbia nella
una fontana d’acqua sì vivace, testa una fonte di acqua così abbondante (vivace)
e come sospirar possa mai tanto; [: sono gli occhi, che non smettono mai di piange-
e spesso dice a sé così nel pianto: re], e come possa sempre sospirare così tanto; e
spesso dice così tra sé e sé, piangendo:
126
– Queste non son più lacrime, che fuore 126 – Queste, che verso (stillo) fuori dagli occhi
stillo dagli occhi con sì larga vena. con tanta abbondanza (con sì larga vena), non so-
no più lacrime. Le lacrime non furono abbastanza
Non suppliron le lacrime al dolore: (Non suppliron) per il dolore: finirono (finîr),
finîr, ch’a mezzo era il dolore a pena. quando (ch’<e>) il dolore era appena a metà.
Dal fuoco spinto ora il vitale umore14 Adesso, spinto dal fuoco [: dalla passione], il liqui-
do (umore) vitale esce attraverso quella via che
fugge per quella via ch’agli occhi mena; porta (mena) agli occhi; ed è questo che si versa, e
et è quel che si versa, e trarrà insieme che porterà insieme alla morte (ore estreme) sia
e ’l dolore e la vita all’ore estreme. (e) il dolore, sia la vita.
127
Questi ch’indizio fan del mio tormento, 127 Questi, che rivelano il mio tormento, non so-
sospir non sono, né i sospir son tali. no sospiri, né i sospiri sono come questi (tali). Quel-
li [: i sospiri] ogni tanto (talora) si fermano (han
Quelli han triegua talora; io mai non sento triegua); io non sento mai che il mio petto esali la
che ’l petto mio men la sua pena esali. sua sofferenza meno [di prima]. Amore, che mi
Amor che m’arde il cor, fa questo vento, brucia il cuore, produce questo vento [: quello dei
sospiri], mentre sbatte (dibatte) le sue ali intorno al
mentre dibatte intorno al fuoco l’ali. fuoco [per ravvivarlo]. Amore, con che prodigio rie-
Amor, con che miracolo lo fai, sci a (fai, che) mantenerlo (il tenghi) [: il cuore] nel
che ’n fuoco il tenghi, e nol consumi mai? fuoco e non lo (nol) [fai] mai consumare?
128
Non son, non sono io quel che paio in viso: 128 1-4 Non sono, non sono io quello che sem-
quel ch’era Orlando è morto et è sotterra;15 bro (paio) nel viso: [l’individuo] che era Orlando è
ormai morto ed è sottoterra; l’ha ucciso la sua
la sua donna ingratissima l’ha ucciso: donna molto ingrata: tal punto (sì) gli è stata osti-
sì, mancando di fé, gli ha fatto guerra. le (gli ha fatto guerra), non mantenendo (man-
Io son lo spirto suo da lui diviso, cando) la fedeltà (fé = ‘fede’) [: tradendolo].
5-8 Io sono il suo spirito separato (diviso) da lui
ch’in questo inferno tormentandosi erra, [: dal corpo di Orlando], [spirito] che vaga (erra)
acciò con l’ombra sia, che sola avanza, in questo inferno tormentandosi, perché (acciò)
esempio a chi in Amor pone speranza. – con il suo fantasma (ombra), che rimane (avan-
za) [come] unica (sola) [cosa], sia di ammoni-
mento a chi ripone speranze nell’amore.
129
Pel bosco errò tutta la notte il conte; 129 1-4 Il conte [: Orlando] vagò (errò) tutta la
e allo spuntar della dïurna fiamma notte per il bosco; e allo spuntare della luce del
giorno (della dïurna fiamma), il suo destino lo
lo tornò il suo destin sopra la fonte fece tornare (tornò) sopra la fontana dove Medo-
dove Medoro insculse l’epigramma.16 ro scolpì (insculse) l’epigramma.
14 vitale umore: secondo la medicina antica, versate lui: egli non sta piangendo, ma per- estraneo a se stesso.
la salute e la vita risiedevano in certi “umori”, dendo quegli umori senza i quali non è possi- 16 l’epigramma: l’epigramma, cioè un
o liquidi vitali. Orlando crede che questi bile vivere. breve componimento d’occasione in versi, è
abbiano preso il posto delle lacrime, visto che 15 quel ch’era...sotterra: Orlando parla di sé quello delle ottave 108-109.
non è possibile averne tante quante ne ha in terza persona: la follia lo sta rendendo
790
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
Veder l’ingiuria sua scritta nel monte 5-8 Vedere il suo disonore (l’ingiuria sua) inciso nel
l’accese sì, ch’in lui non restò dramma monte, lo fece così infiammare che in lui non rimase
neppure un grammo (dramma = ‘piccola unità di mi-
che non fosse odio, rabbia, ira e furore; sura’) che non fosse odio, rabbia, ira e furore; e non in-
né più indugiò, che trasse il brando fuore. dugiò più, ma sguainò (trasse… fuore; dal fodero) la
spada (il brando).
130
Tagliò lo scritto e ’l sasso, e sin al cielo 130 Spezzò (Tagliò) il sasso con quanto vi era scritto
a volo alzar fe’ le minute schegge. (lo scritto e ’l sasso), e fece alzare a volo le piccole
schegge fino al cielo. Povera grotta (Infelice quell’an-
Infelice quell’antro, et ogni stelo tro) e [povero] ogni tronco (stelo) sul quale si leggono
in cui Medoro e Angelica si legge! [i nomi di] Angelica e Medoro. Quel giorno restarono
Così restâr quel dì, ch’ombra né gielo (restâr)[ridotti] in modo tale, che non avrebbero of-
ferto mai più ombra o frescura (gielo) a pastori e a
a pastor mai non daran più, né a gregge: greggi; e quella fonte, un tempo (già) tanto limpida e
e quella fonte, già si chiara e pura, pura, fu poco al sicuro da una simile ira [: anch’essa fu
da cotanta ira fu poco sicura; deturpata];
131
che rami e ceppi e tronchi e sassi e zolle 131 perché [Orlando] non smise di gettare nelle bel-
non cessò di gittar ne le bell’onde, le acque (onde) rami e ceppi e tronchi e sassi e zolle
[di terra], finché non le ebbe così intorbidate (turbol-
fin che da sommo ad imo sì turbolle, le) da cima a fondo (da sommo ad imo), che non furo-
che non furo mai più chiare né monde. no mai più chiare e pulite (monde). E alla fine, stanco,
E stanco al fin, e al fin di sudor molle, bagnato di sudore, cade sul prato, e sospira verso il cie-
lo [: a pancia in aria], visto che la sua forza (lena), inde-
poi che la lena vinta non risponde bolita (vinta), non era pari (non risponde) allo sde-
allo sdegno, al grave odio, all’ardente ira, gno, all’odio terribile (grave), all’ira ardente [: il suo
cade sul prato, e verso il ciel sospira. odio non si era esaurito con quelle devastazioni, le sue
energie fisiche sì].
132
Afflitto e stanco al fin cade ne l’erba, 132 1-2 Addolorato e stanco cade alla fine sull’erba,
e ficca gli occhi al cielo, e non fa motto. e guarda verso il cielo, e non dice una parola (e non fa
motto).
Senza cibo e dormir così si serba, 3-4 Rimane (si serba) così [: sdraiato sull’erba] senza
che ’l sole esce tre volte e torna sotto. cibo e senza dormire, mentre il sole sorge (esce) e tra-
Di crescer non cessò la pena acerba, monta (torna sotto) tre volte [: per tre giorni].
5-6 La terribile (acerba) sofferenza, che alla fine l’a-
che fuor del senno al fin l’ebbe condotto. veva fatto diventare pazzo (fuor del senno… l’ebbe
Il quarto dì, da gran furor commosso, condotto), non cessò di aumentare (Di crescer).
e maglie e piastre si stracciò di dosso. 7-8 Il quarto giorno, colpito da una grande follia (da
gran furor commosso), si stracciò di dosso le maglie e
le piastre [: le parti dell’armatura].
133
Qui riman l’elmo, e là riman lo scudo, 133 1-4 Qui rimane l’elmo, là rimane lo scudo, [più]
lontan gli arnesi, e più lontan l’usbergo: lontano [sono] le altre parti dell’armatura (arnesi), e
[ancora] più lontano la corazza (usbergo): tutte le sue
l’arme sue tutte, in somma vi concludo, armi, così vi concludo, avevano posti diversi in [tutto]
avean pel bosco differente albergo. il bosco [: erano ciascuna in un luogo differente].
E poi si squarciò i panni, e mostrò ignudo 5-8 E poi si stracciò (si squarciò) i vestiti, e fece vede-
re l’addome villoso (ispido ventre), e tutto il petto, e
l’ispido ventre e tutto ’l petto e ’l tergo; il dorso (tergo), e cominciò così la gran follia, così
e cominciò la gran follia, sì orrenda, brutta, che non ci sarà mai chi sentirà (ch’intenda)
che de la più non sarà mai ch’intenda. [parlare] di una maggiore (più) [di quella di Orlando].
134
In tanta rabbia, in tanto furor venne, 134 1-4 Arrivò a una così grande (tanta) rabbia e a un
così grande (tanto) furore che rimase offuscato in tutta
che rimase offuscato in ogni senso.
la sua intelligenza (senso). Non gli venne in mente (sov-
Di tor la spada in man non gli sovvenne; venne) di prendere (tor = ‘togliere’) in mano la spada;
che fatte avria mirabil cose, penso. che, penso, avrebbe fatto cose stupefacenti (mirabil).
791
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Ma né quella, né scure, né bipenne 5-8 Ma per la sua forza immensa non c’era biso-
era bisogno al suo vigore immenso. gno né di quella, né di una scure, né di un’ascia a
due lame (bipenne). Qui compì davvero (fe’ ben)
Quivi fe’ ben de le sue prove eccelse, tra le sue imprese più grandi (de le sue prove ec-
ch’un alto pino al primo crollo svelse; celse); giacché sradicò (svelse) un pino al primo
scossone (crollo);
135
e svelse dopo il primo altri parecchi, 135 1-4 e sradicò dopo il primo molti altri [albe-
come fosser finocchi, ebuli o aneti:17 ri] (altri parecchi), come se fossero finocchi, ebu-
li o aneti [: cioè come pianticelle deboli]: e fece la
e fe’ il simil di querce e d’olmi vecchi, stessa cosa (fe’ il simil) con le querce, con vecchi
di faggi e d’orni e d’illici e d’abeti. olmi, con faggi, con gli ornelli, con le elci (illici),
Quel ch’un ucellator che s’apparecchi con gli abeti.
5-8 [Orlando] faceva con i cerri e con altri alberi
il campo mondo, fa, per por le reti, secolari quello che [fa] con i giunchi, le stoppie e
dei giunchi e de le stoppie e de l’urtiche, le ortiche un cacciatore di uccelli (ucellator) che
facea de cerri e d’altre piante antiche. si prepara (che s’apparecchi) il campo [rendendo-
lo] pulito (mondo) per metterci le reti.
136
I pastor che sentito hanno il fracasso, 136 1-4 I pastori che hanno sentito il gran ru-
lasciando il gregge sparso alla foresta, more, lasciando il gregge sparso [a pascolare]
nella foresta, chi di qua, chi di là, correndo (a gran
chi di qua, chi di là, tutti a gran passo passo), giungono a vedere che cosa sia [che pro-
vi vengono a veder che cosa è questa. duce il rumore].
Ma son giunto a quel segno il qual s’io passo 5-8 Ma sono arrivato a quel limite (segno) che,
oltrepassato il quale (il qual s’io passo), la mia
vi potria la mia istoria esser molesta: storia potrebbe diventarvi fastidiosa (esser mole-
et io la vo’ più tosto diferire, sta); e io voglio (vo’) rimandarla, piuttosto che in-
che v’abbia per lunghezza a fastidire. fastidirvi (fastidire) con [la sua] lunghezza.
XXIV, 1
Chi mette il piè su l’amorosa pania,18 XXIV 1 Chi mette il piede sulla pania [: trappola
cerchi ritrarlo, e non v’inveschi l’ale; per uccelli] tesa da Amore (amorosa) cerchi di to-
glierlo e non si lasci invischiare (non v’inveschi) le
che non è in somma amor, se non insania, ali; perché, alla fin fine (in somma), l’amore non è
a giudizio de’ savi universale: che follia (insania), secondo il comune e concorde
e se ben come Orlando ognun non smania, giudizio dei saggi: e sebbene non tutti facciano i
pazzi (non smania) come Orlando, [tuttavia cia-
suo furor mostra a qualch’altro segnale. scuno] mostra la propria follia (furor) con qualche
E quale è di pazzia segno più espresso altro sintomo (segnale). E quale sintomo di pazzia
che, per altri voler, perder se stesso? è più esplicito (espresso) che perdere se stessi
perché si vuole (per… voler) [qualchedun] altro?
2
Varii gli effetti son, ma la pazzia 2 1-5 Gli effetti sono diversi (Varii) ma la pazzia
è tutt’una però, che li fa uscire. che li causa (li fa uscire) è una sola (tutt’una). È
(Gli è) come un grande bosco, in cui è inevitabile
Gli è come una gran selva,19 ove la via (conviene a forza), per chi vi entra, sbagliare
conviene a forza, a chi vi va, fallire: strada (la via… fallire): chi [va] su, chi [va] giù, chi
chi su, chi giù, chi qua, chi là travia. là, chi fa uscire dalla strada giusta (travia).
6-8 Per concludere insomma, io vi voglio dire:
Per concludere in somma, io vi vo’ dire: per chi persiste nell’amore (in amor s’invecchia),
a chi in amor s’invecchia, oltr’ogni pena, ci vogliono (si convengono), oltre a tutte le pene
si convengono i ceppi e la catena.20 [date dall’amore], i ceppi e le catene.
17 ebuli o aneti: gli ebuli sono una specie di Orlando viene presentata sì come un caso emblema del cammino dei protagonisti del
sambuchi; gli aneti somigliano ai finocchi. estremo, ma in cui tutti si possono ricono- poema, che nelle selve si inseguono e si
18 l’amorosa pania: la metafora della trappola scere: la ragione è fragile di fronte alle passioni. sfuggono.
per uccelli a proposito dell’amore di Orlando è 19 come una gran selva: la similitudine è 20 i ceppi e la catena: strumenti usati per
già comparsa in XXIII, 105. La pazzia di già presente in Orazio, ma Ariosto ne fa un immobilizzare i pazzi furiosi.
792
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
3
Ben mi si potria dir: – Frate, tu vai 3 1-2 Mi si potrebbe dire a ragione: – Amico
l’altrui mostrando, e non vedi il tuo fallo. – (Frate = ‘Fratello’), tu stai mostrando l’errore (fal-
lo) di un altro (altrui) e non vedi il tuo».
Io vi rispondo che comprendo assai, 3-8 Io vi rispondo che capisco abbastanza (assai)
or che di mente ho lucido intervallo; adesso che ho un intervallo di lucidità mentale
et ho gran cura (e spero farlo ormai) (di mente… ho lucido intervallo); e ho una gran-
de intenzione (cura) di riposarmi e di lasciare tut-
di riposarmi e d’uscir fuor di ballo: to questo (uscir fuor di ballo), [: l’amore], e spero
ma tosto far, come vorrei, nol posso;21 ormai di farlo: ma non lo posso fare [tanto] presto
che ’l male è penetrato infin all’osso. (tosto) quanto vorrei, poiché il male mi è pene-
trato fin dentro le ossa [: mi ha preso tutto].
4
Signor, ne l’altro canto io vi dicea 4 Signore [: il cardinale Ippolito], nell’altro canto
che ’l forsennato e furïoso Orlando io vi raccontavo che Orlando pazzo furioso (for-
sennato e furïoso) si era tolte (trattesi… avea) le
trattesi l’arme e sparse al campo avea, armi e [le aveva] disseminate (sparse) per il cam-
squarciati i panni, via gittato il brando, po, si era strappati (squarciati) gli abiti e aveva
svelte le piante, e risonar facea gettato via la spada, [aveva] sradicato (svelte, da
“svellere”) gli alberi e faceva risuonare le grotte (i
i cavi sassi e l’alte selve; quando cavi sassi = ‘le rocce vuote’) e i boschi profondi
alcun’ pastori al suon trasse in quel lato (l’alte selve) [con il fracasso che faceva]; quando
lor stella, o qualche lor grave peccato.22 la loro [cattiva] stella o qualche loro grave peccato
condusse (trasse) alcuni pastori in quel luogo [ri-
chiamati] dal rumore (al suon).
5
Viste del pazzo l’incredibil prove 5 1-4 Dopo aver visto (Viste… poi) più da vicino
poi più d’appresso e la possanza estrema, (d’appresso) le incredibili imprese del pazzo e la sua
grandissima forza (possanza), si girano per fuggire,
si voltan per fuggir, ma non sanno ove, ma non sanno dove, così come accade per un improv-
sì come avviene in subitana tema. viso spavento (in subitana tema; tema = ‘timore’)
Il pazzo dietro lor ratto si muove: [: quando si è presi all’improvviso dal panico].
5-8 Il pazzo [: Orlando] si muove rapido (ratto)
uno ne piglia, e del capo lo scema dietro di loro: uno lo acchiappa e lo priva (lo sce-
con la facilità che torria alcuno ma) della testa, con la [stessa] facilità con cui
da l’arbor pome, o vago fior dal pruno. (che) un altro staccherebbe (torria = ‘togliereb-
be’) un frutto (pome) dall’albero o un bel (vago)
fiore dal ramo (pruno).
6
Per una gamba il grave tronco prese, 6 Prese per una gamba il pesante corpo (grave
tronco) e lo usò come una mazza addosso agli
e quello usò per mazza adosso al resto:
altri (al resto): [ne] stese in terra, addormentati,
in terra un paio addormentato stese, un paio [di uomini] che forse si risveglieranno (fia
ch’al novissimo dì forse fia desto.23 desto) il giorno del giudizio (novissimo dì = ‘ulti-
Gli altri sgombraro subito il paese, mo giorno’). Gli altri, che furono veloci (ebbono…
presto = ‘ebbero veloci’) di gambe e di intelligen-
ch’ebbono il piede e il buono aviso presto. za (buono aviso), sgomberarono subito il paese.
Non saria stato il pazzo al seguir lento, Il pazzo non sarebbe stato lento nell’inseguirli, se
se non ch’era già volto al loro armento. non [fosse stato] che si era già scagliato (volto)
contro il loro gregge (armento).
7
Gli agricultori, accorti agli altru’ esempli,24 7 1-4 I contadini, ammaestrati dall’esempio degli
lascian nei campi aratri e marre e falci: altri (accorti agli altru’ esempli) [: da quanto era
capitato ai pastori], lasciano nei campi aratri, zappe
chi monta su le case e chi sui templi (marre) e falci: chi sale (monta) sulle case, chi sui
(poi che non son sicuri olmi né salci),25 templi (che poi non sono [neanche] olmi o salici),
21 ma tosto far...nol posso: Ariosto riprende sta per capitare ai pastori, Ariosto fa due ipo- nel novissimo dì risorgeranno anche i morti.
il tema del proemio del poema ( T6, p. 741, tesi: o è loro sfavorevole il destino (la stella 24 esempli: significa ‘casi esemplari, che
ottava 2, 5-8), ma insistendovi maggior- che condiziona la vita di un uomo, secondo sono di ammonimento’.
mente. l’astrologia) o Dio li vuole punire di qualcosa. 25 (poi che...salci): infatti Orlando li sradica
22 lor stella...grave peccato: visto quello che 23 novissimo dì...desto: i vv. 3-4 sono ironici: con un colpo solo (XXIII, ott. 135).
793
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
onde l’orrenda furia si contempli, 5-8 da dove (onde) [: dalle case e dai templi] os-
ch’a pugni, ad urti, a morsi, a graffi, a calci, servare (si contempli) [lo spettacolo del]l’orribi-
le follia, che squarcia, fracassa e fa a pezzi (strug-
cavalli e buoi rompe, fraccassa e strugge: ge) cavalli e buoi, con pugni, urti, morsi, graffi,
e ben è corridor chi da lui fugge. calci, ed è davvero (ben) esperto nella corsa (cor-
ridor) chi [riesce a] sfuggirgli.
8
Già potreste sentir come ribombe 8 Ormai potreste sentire come rimbomba, nelle
l’alto rumor ne le propinque ville fattorie vicine (ne le propinque ville), il gran
(l’alto) rumore della urla e dei corni, [prodotto
d’urli, e di corni, rusticane trombe,26 da] trombe campagnole (rusticane), e il suono
e più spesso che d’altro, il suon di squille; delle campane (squille), più frequente(spesso)
e con spuntoni27 et archi e spiedi e frombe degli altri; [potreste] vederne scendere (sdruc-
ciolarne = ‘scivolarne’) dalle montagne mille, [ar
veder dai monti sdrucciolarne mille, mati] con spuntoni e archi e spiedi e fionde
et altritanti andar da basso ad alto, (frombe), e altrettanti salire dal basso[: delle val-
per fare al pazzo un villanesco assalto.28 li] verso l’alto, per fare al pazzo un assalto da con-
tadini (villanesco).
9
Qual venir suol nel salso lito l’onda 9 Come (Qual) è solita arrivare (venir suol) sulla
mossa da l’austro ch’a principio scherza, spiaggia marina (nel salso lito = ‘nel lido salato’)
l’onda alzata (mossa) dall’austro [: vento del Sud]
che maggior de la prima è la seconda, che da principio soffia lieve (scherza), in modo
e con più forza poi segue la terza; che la seconda [onda] è maggiore della prima, e la
et ogni volta più l’umore abonda, terza segue poi con più forza; e ogni volta l’acqua
(umore = ‘liquido’) è sempre di più (più… abonda)
e ne l’arena più stende la sferza: e si abbatte (stende la sferza = ‘fa schioccare la fru
tal contra Orlando l’empia turba cresce, sta’) sulla sabbia (ne l’arena) con maggiore violen
che giù da balze scende e di valli esce. za (più): così (tal), [andando] contro Orlando, au
menta (cresce) la folla spietata (empia turba),
che scende giù dai dirupi (balze) e esce dalle valli.
10
Fece morir diece persone e diece, 10 1-4 Uccise numerose (diece… e diece) per
che senza ordine alcun gli andaro in mano: sone, che senza nessun ordine gli andarono (an-
daro) sotto mano: e questo diede una chiara di
e questo chiaro esperimento fece, mostrazione (esperimento) che era più sicuro
ch’era assai più sicur starne lontano. stargli lontano.
Trar sangue da quel corpo a nessun lece,29 5-8 A nessuno è possibile (lece) far uscire (Trar)
del sangue da quel corpo, poiché il ferro [: l’arma]
che lo fere e percuote il ferro invano. lo ferisce (fere) e percuote senza risultato (inva-
Al conte il re del ciel tal grazia diede, no). Dio (il re del ciel) aveva concesso al conte
per porlo a guardia di sua santa fede. [Orlando] questa grazia [: l’invulnerabilità] per
metterlo a guardia della santa fede [cristiana].
11
Era a periglio di morire Orlando, 11 1-4 Orlando avrebbe corso il pericolo (Era a
se fosse di morir stato capace. periglio = ‘Era in pericolo’) di morire, se ne fosse
stato capace [: se non fosse stato invulnerabile].
Potea imparar ch’era a gittare il brando, Avrebbe potuto imparare che cosa vuole dire
e poi voler senz’arme essere audace. (ch’era a) buttar via la spada (il brando) e poi voler
La turba già s’andava ritirando, fare il coraggioso (essere audace) senza le armi.
5-6 La moltitudine (turba) [di uomini] si stava
vedendo ogni suo colpo uscir fallace. già ritirando, dato che vedeva rivelarsi inutile
Orlando, poi che più nessun l’attende, (uscir fallace) ogni suo colpo.
verso un borgo di case il camin prende. 7-8 Orlando, vedendo che più nessuno fa atten-
zione a lui (l’attende), si incammina verso un vil-
laggio di case.
794
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
12
Dentro non vi trovò piccol né grande; 12 1-2 Al villaggio non vi trovò proprio nessuno
che ’l borgo ognun per tema avea lasciato. (piccol né grande); che il paese ognuno aveva ab-
bandonato per paura (tema).
V’erano in copia povere vivande, 3-4 C’erano in abbondanza (copia) alimenti po-
convenïenti a un pastorale stato. veri, quali si addicono alla vita dei pastori.
Senza il pane discerner da le giande, 5-8 Senza distinguere il pane [: cibo per gli uomi-
ni] dalle ghiande [: cibo per i maiali], spinto (cac-
dal digiuno e da l’impeto cacciato, ciato) dal digiuno e dalla foga, lasciò andare giù di
le mani e il dente lasciò andar di botto colpo [: si avventò con] le mani e i denti su quello
in quel che trovò prima, o crudo o cotto. che per primo gli capitava (trovò), crudo o cotto
[che fosse].
13
E quindi errando per tutto il paese, 13 1-4 E quindi andò vagando (errando) per
tutto il paese, dando la caccia agli uomini e alle
dava la caccia e agli uomini e alle fere;
belve (fere), scorrazzando (scorrendo) per i bo-
e scorrendo pei boschi, talor prese schi, talvolta catturò i caprioli snelli e le agili dai-
i capri isnelli e le damme leggiere. ne [: cioè animali velocissimi]
Spesso con orsi e con cingiai contese, 5-8 Spesso si batté (contese) con orsi e con cin-
ghiali (cingiai), e li stese in terra [morti] (li pose a
e con man nude li pose a giacere: giacere) a mani nude [: senza armi], più volte, con
e di lor carne con tutta la spoglia una fame da belva (con fiera voglia), si riempì il
più volte il ventre empì con fiera voglia. ventre della loro carne, con tutta la pelliccia (spo-
glia) [addosso].
L. Ariosto, Orlando furioso, cit.
ANALISI L’ironia stempera la drammaticità Sia la prima parte (canto XXIII) sia la seconda (canto
XXIV) hanno in sé forti elementi di drammaticità: una nel dolore di Orlando, l’altra nello scon-
volgimento dei paesani che lo combattono. Ma in entrambe l’ironia smorza i toni. Hanno
valore ironico i paragoni che, come di consueto, abbassano la statura epica dell’eroe: la simi-
litudine del vaso dal collo troppo stretto (XXIII, 113), l’immagine del letto che sembra a Orlando
pieno di ortiche (XXIII, 122), o del cacciatore d’uccelli che sgombra il campo dalle erbacce per
stendere le sue reti (XXIII, 135). Orlando, coraggioso paladino, appare ora come una bestia
irsuta, e, anziché combattere con altri cavalieri, si scontra con i villani. L’accostamento all’u-
mile mondo dei pastori, descritto con un vocabolario basso ed espressivo (per esempio XXIV,
8), stempera la drammaticità del racconto.
Funzione ironica hanno pure gli interventi in cui il narratore fa riferimento alla propria vicenda
amorosa (XXIII, 112, 3-4 e XXIV, 3). Accostato all’esperienza del narratore, l’episodio di
Orlando diviene spunto di riflessione sul comportamento dell’uomo, sui suoi errori e sulle
sue follie.
795
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
Uno stile duplice Le due parti del brano hanno una diversa caratterizzazione stilistica. La
prima parte (canto XXIII) si rifà ai modelli di Petrarca e Boccaccio, ricchi di richiami colti e
aulici, in cui si trovano diversi esempi di linguaggio prezioso che rispecchia sentimenti e
stati d’animo. La seconda parte (canto XXIV) si avvicina a certi episodi del Morgante di Pulci,
in cui sono presenti elementi realistici, spesso espressi con un vocabolario basso e
comune.
INTERPRETAZIONE La rinuncia all’identità cavalleresca e cortese Il gesto pieno di furore con il quale
E COMMENTO Orlando si strappa di dosso l’armatura è il segno di rinuncia alla propria identità. Total-
mente dominato dalla follia amorosa, egli non può più assolvere ai ruoli di amante cortese
e di guerriero valoroso. Orlando, che aveva sempre idealizzato Angelica, è ora costretto a
vedere la realtà dei fatti: una realtà inaccettabile, che gli fa perdere il senno. Non c’è più
spazio per i valori cavallereschi: invece di prodigare la sua forza per nobili fini, l’eroe la
spreca distruggendo cose comuni (alberi, sassi), abbassandosi a far la guerra ai villani o,
addirittura, alle bestie.
L’equilibrio della letteratura contro la follia Questo episodio dà il titolo all’intero poema e
ne costituisce una chiave di lettura: la riflessione sul carattere illusorio delle speranze umane
culmina nella follia di Orlando. In assenza di un sistema di valori stabili e certi, forze oscure e
sconosciute sconvolgono l’interiorità dell’uomo. Ma Ariosto non cede alla crisi storica che
pure rivela, e vede nella letteratura uno strumento di equilibrio e di dominio di sé. Il distacco
ironico e incredulo serve appunto a contenere le forze irrazionali, a stimolare la riflessione,
sostenendo così il carattere educativo della letteratura.
796
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
TEMI DI CITTADINANZA
Pablo Picasso,
Il bacio, 1969.
Parigi, Musée Picasso.
AMORE
E FOLLIA
Amore e pazzia: Orlando, protagonista del poema di Ariosto, diventa furioso, cioè “folle”, a causa dell’a-
un legame more, dolorosamente non corrisposto, della bella Angelica. La tradizione filosofica e
radicato nella letteraria occidentale ha presentato spesso il legame tra il sentimento d’amore e la fol-
tradizione lia. Per esempio, Platone scrive nel Fedro: «Quanto alla divina follia ne abbiamo distinto
culturale quattro forme, a ciascuna delle quali è preposta una divinità: Apollo per la follia profeti-
ca, Dioniso per la follia iniziatica, le Muse per la follia poetica, mentre la quarta, la più
eccelsa, è sotto l’influsso di Afrodite e di Amore».
È soprattutto la gelosia a scatenare reazioni rabbiose e violente, legate alla parte più
arcaica del nostro cervello, quella che ci rende “parenti” degli animali. Anche in Orlando
irrompono gli istinti elementari dell’animalità: aggressività innanzitutto, ma anche fame,
stanchezza e sonno.
Brunella Gasperini
La “malattia” d”amore
L’amore è una malattia? C’è un legame tra amore e follia? Nel seguente articolo
la psicologa Brunella Gasperini cerca di rispondere a queste domande, facendo
riferimento alle neuroscienze e alla psicologia.
Si dice che l’amore rende pazzi, fa perdere la testa. E in un certo senso è così. L’innamora-
mento è una delle circostanze della vita in cui perdiamo stabilità, smarriamo anche un po’
noi stessi per interessarci follemente ad un altro. Che alla fine “ci possiede”, prende residen-
za nella nostra testa, nella nostra vita e non riusciamo più a sfrattare. Innamorati diventia-
mo un po’ fissati, ossessionati, euforici, incantati, ansiosi. Esprimendo tratti che ricordano
da vicino quelli di alcuni disturbi mentali.
Ma l’amore in sé non è una malattia. Non compare nei manuali psichiatrici diagnostici.
Piuttosto è la sofferenza che smuove che viene portata spesso nello studio dello psicologo.
Diventa tuttavia l’ambito privilegiato di molti disturbi. Perché in questo sentimento met-
tiamo tanto di noi, le parti più intime, le nostre fragilità, fratture, esigenze. Senza renderce-
ne conto, attraverso questo sentimento evochiamo le prime relazioni affettive. E il terreno
dell’attaccamento è sempre scivoloso, denso di imprevisti e complicazioni.
Le moderne neuroscienze ci spiegano che serotonina, ossitocina e dopamina, i neuro-
trasmettitori rilasciati nel cervello, sono in grado di spiegare i sentimenti. Ci dimostrano ad
797
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
esempio che l’innamoramento, quella particolare fase che porta ad avere l’idea fissa dell’al-
TEMI DI CITTADINANZA
tro, ha molto del disturbo ossessivo-compulsivo1 anche dal punto di vista biochimico: negli
innamorati e negli ossessivi si riducono in modo simile i livelli di serotonina.
Quando siamo corrisposti però aumenta la dopamina che ci rende euforici. Crescono
noradrenalina e feniletilamina2 determinando un particolare cocktail chimico capace di in-
durre uno stato di eccitazione, iperattività, ebbrezza simili a quello provocato da una dose di
anfetamine e anche da una certa quantità di cioccolata. Implicati nell’attaccamento e nel
piacere sopraggiungono in un secondo momento anche ossitocina e oppioidi endogeni.3
Non sconvolgono, infondono senso di calma, tenerezza e intimità, permettono di stabilire
il legame ma inducono dipendenza.
[…]
Si dice che l’amore confini con la follia. Ma la follia positiva, quella che stimola le parti
creative di noi, lontano dalla piattezza delle solite abitudini mentali nel modo di pensare se
stessi. È un sentimento che ci fa perdere la testa, il controllo, le inibizioni. E meno male. Per
farci trovare un po’ di libertà, sciogliere parti di noi altrimenti inaccessibili. Però non è mai
l’amore in sé a condurre a condizioni estreme di squilibrio psichico e di violenza, nonostan-
te i fatti di cronaca che spesso raccontano questo.
Anche nella gelosia possiamo intravedere aspetti che ricordano da vicino alcuni disturbi
mentali. Depressione, ad esempio, quando ci sentiamo sempre inadeguati al partner, para-
noia se siamo sospettosi e diffidenti, ossessione quando dubitiamo costantemente il tradi
mento, ansia da separazione se temiamo l’abbandono. Nessuno può dirci come e quanto è
giusto essere gelosi. Tuttavia può diventare pericolosa e disturbante, convogliare numerosi
disturbi, nascondere possesso, controllo, aggressività.
1 disturbo ossessivo-compul-
sivo: è un disturbo psichiatrico L’amore non è sempre una bella esperienza, senza dubbio. Però è una delle più potenti
in cui ricorrono pensieri ossessi sensazioni della vita che ci fa sentire intensamente vivi. Un antidoto per la depressione.
vi che il malato cerca di scacciare
Una spinta emotiva di grande portata che parla molto di noi e non può essere controllata,
attraverso atti ripetitivi (detti
“compulsioni”). ridotta e spiegata sulla base di valori chimici, molecole e cellule perché, fortunatamente,
2 noradrenalina e feniletilamina: siamo ben più complessi. E nemmeno può essere “guarita” se non è indirizzata, non funzio
sono due neurotrasmettitori.
na, non si esprime, non si allinea con quello che viene considerato “normale”. Emozioni,
3 oppioidi endogeni: sostanze
simili alla morfina presenti nel mente e sentimenti sono questioni dell’anima e non biologiche. E abbiamo bisogno, più
cervello di tutti gli esseri umani. spesso di quel che pensiamo, di perderne il controllo.
B. Gasperini, Amore folle: quando l’innamoramento ricorda la malattia mentale, in «D la Repubblica», 26 marzo 2015.
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Riassumi il testo in non più di tre righe, mettendo in evidenza le sue articolazioni.
2. Secondo le neuroscienze, quali sono gli aspetti dell’amore che possono essere spiegati con la funzione dei
neurotrasmettitori?
3. In che senso la Gasperini parla di «follia positiva» in riferimento all’amore?
4. Esiste una gelosia “giusta”? Perché nel sentimento amoroso la gelosia può diventare pericolosa e disturbante?
5. La Gasperini afferma che «l’amore non è sempre una bella esperienza». Cosa, malgrado tutto, lo rende un’e-
sperienza importante, vitale, per la crescita dell’individuo?
PRODUZIONE
La Gasperini sostiene che «non è mai l’amore in sé a condurre a condizioni di equilibri psichico e violenza».
Sei d’accordo? Alla luce delle tue personali esperienze e da ciò che hai avuto occasione di leggere in margi-
ne ai purtroppo frequenti episodi di violenza perpetrati in nome dell’amore, elabora un testo argomentativo
nel quale sviluppi le tue opinioni sulle motivazioni che trasformano un presunto amore in un odio talmente
grande da concretizzarsi nell’uccisione violenta della persona amata. Organizza tesi e argomenti in un di-
scorso coerente e coeso.
798
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
70 PARAFRASI
Tutta la sfera varcano del fuoco,1 70 1-2 [Astolfo e san Giovanni evangelista, su un car-
et indi vanno al regno de la luna. ro guidato da quattro cavalli] attraversano tutta la sfera
del fuoco, e di qui (indi) arrivano al regno della luna.
Veggon per la più parte esser quel loco 3-8 Vedono (Veggon) che quel luogo è, per la maggior
come un acciar che non ha macchia alcuna; parte, simile a un [pezzo di] acciaio (acciar) che non ha
e lo trovano uguale, o minor poco nessuna macchia, e lo trovano uguale o poco più picco-
lo (minor poco) di [tutto] ciò è contenuto (si raguna =
di ciò ch’in questo globo si raguna, ‘si raduna’) su questo [nostro] globo [: del globo terre-
in questo ultimo globo2 de la terra, stre nel suo complesso], su questo globo terrestre,
mettendo il mar che la circonda e serra. posto al fondo (ultimo) [dell’universo], compreso
(mettendo) il mare che lo circonda e racchiude (serra).
71
Quivi ebbe Astolfo doppia maraviglia: 71 Qui Astolfo ebbe una meraviglia duplice [: si stupì
che quel paese appresso era sì grande, per due volte]: perché da vicino (appresso) era tanto
grande quel paese il quale, per noi che lo guardiamo
il quale a un picciol tondo rassimiglia3 dalla nostra parte (da queste bande) [: dalla terra], as-
a noi che lo miriam da queste bande; somiglia a un piccolo tondo; [e si stupì] perché doveva
e ch’aguzzar conviengli ambe le ciglia, (conviengli) aguzzare bene la vista (ambe le ciglia),
se voleva distinguere (discerner) da lì (indi) la terra-
s’indi la terra e ’l mar ch’intorno spande ferma e il mare che si spande intorno [ad essa]; giac-
discerner vuol; che non avendo luce, ché, non avendo luce [propria], la loro immagine arri-
l’imagin lor poco alta si conduce. va poco in alto (poco alta si conduce).
72
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne 72 Lassù [ci sono] altri fiumi, altri laghi, altre cam-
sono là su, che non son qui tra noi; pagne, diversi da [quelli che] sono qui tra noi [: nella
terra]; altre pianure, altre valli, altre montagne, han-
altri piani, altre valli, altre montagne, no le città, i loro (suoi) castelli, con case delle quali
c’han le cittadi, hanno i castelli suoi, (de le quai) mai più grandi (magne) vide il paladino
con case de le quai mai le più magne [: Astolfo] né prima né dopo: e ci sono grandi selve
isolate (solitarie), dove le ninfe cacciano sempre
non vide il paladin prima né poi: (ognor) le belve.
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.
799
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
73
Non stette il duca a ricercare il tutto; 73 1-2 Astolfo (il duca) non si mise a esplorare
che là non era asceso a quello effetto. (ricercare) tutto, perché non era salito lassù a
quello scopo (non era asceso a quello effetto).
Da l’apostolo santo fu condutto 3-8 Fu portato da san Giovanni (l’apostolo san-
in un vallon fra due montagne istretto, to) in una valle chiusa tra due montagne, dove era
ove mirabilmente era ridutto miracolosamente raccolto (ridutto) tutto quello
che si perde a causa o della nostra colpa (diffetto),
ciò che si perde o per nostro diffetto, o del tempo o della Fortuna: ciò che si perde qui
o per colpa di tempo o di Fortuna: [: sulla terra], là [: sulla luna] si raduna (si raguna).
ciò che si perde qui, là si raguna.
74
Non pur di regni o di ricchezze parlo, 74 1-4 Non parlo solamente (pur) di regni o di
in che la ruota instabile lavora;4 ricchezze, sulle quali (in che) agisce (lavora) la
ruota instabile [della Fortuna], ma voglio parlare
ma di quel ch’in poter di tor, di darlo anche (intender… ancora) di quello che non è nel
non ha Fortuna, intender voglio ancora. potere della sorte (in poter… non ha Fortuna = ‘la
Molta fama è là su, che, come tarlo, sorte non ha in suo potere di’) togliere (tor) o dare.
5-8 Lassù c’è molta fama, che quaggiù il tempo,
il tempo al lungo andar qua giù divora; con il suo lento procedere (al lungo andar), con-
là su infiniti prieghi e voti stanno, suma come un tarlo; lassù stanno infinite pre-
che da noi peccatori a Dio si fanno. ghiere e suppliche (prieghi e voti), che sono ri-
volte (si fanno) da noi peccatori a Dio.
75
Le lacrime e i sospiri degli amanti, 75 Le lacrime e i sospiri degli amanti, il tempo
l’inutil tempo che si perde a giuoco, inutile che si perde giocando, la nullafacenza in-
terminabile (l’ozio lungo) degli uomini ignoran-
e l’ozio lungo d’uomini ignoranti, ti, gli inutili (vani) progetti (disegni) che non
vani disegni che non han mai loco, giungono mai a compimento (non han mai loco),
i vani desidèri sono tanti, i desideri inutili sono tanti, [tanto] che ingombra-
no la maggior parte di quel luogo: qualunque cosa
che la più parte ingombran di quel loco: mai (ciò che… mai) perdesti quaggiù [: sulla ter-
ciò che in somma qua giù perdesti mai, ra], potrai ritrovarla salendo lassù [: sulla luna].
là su salendo ritrovar potrai.
76
Passando il paladin per quelle biche, 76 1-2 Il paladino [: Astolfo], passando tra quei
or di questo or di quel chiede alla guida. mucchi (biche) chiedeva alla guida, ora [che cosa
fosse] questo, ora [che cosa fosse] quello.
Vide un monte di tumide vesiche, 3-8 Vede una montagna di sacche gonfie (tumi-
che dentro parea aver tumulti e grida; de vesiche), che sembrava contenessero som-
e seppe ch’eran le corone antiche mosse (tumulti) e grida; e seppe che erano i regni
(corone) antichi degli Assiri e della Lidia (de la
e degli Assirii e de la terra lida, terra lida), e dei Persiani, e dei Greci, che un tem-
e de’ Persi e de’ Greci, che già furo po furono (già furo) famosi (incliti), e ora il loro
incliti, et or n’è quasi il nome oscuro. nome è quasi dimenticato (oscuro).
77
Ami d’oro e d’argento appresso vede 77 1-4 Vede vicino una massa di ami d’oro e
d’argento, che erano quei regali che si fanno ai re,
in una massa, ch’erano quei doni
ai principi avari, ai protettori (patroni) con la spe-
che si fan con speranza di mercede ranza di [ricevere] ricompensa (di mercede).
ai re, agli avari principi, ai patroni. 5-6 Vede lacci nascosti tra delle ghirlande (in ghir-
Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede, lande ascosi lacci); e chiede [che cosa essi siano], e
sente [come risposta] che sono tutte adulazioni.
et ode che son tutte adulazioni. 7-8 I versi che si fanno in lode dei signori hanno
Di cicale scoppiate imagine hanno le sembianze di cicale scoppiate [: il poeta di corte
versi ch’in laude dei signor si fanno. è paragonato a una cicala scoppiata per aver esa-
gerato nel canto, cioè nelle adulazioni].
4 Non pur di regni...lavora: sono i beni materiali, che la sorte dà e toglie (cfr. Dante, Inferno VII, 67-99).
800
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
78
Di nodi d’oro e di gemmati ceppi 78 1-2 Vede che gli amori perseguiti a torto o senza
vede c’han forma i mal seguiti amori. esito (mal seguiti) hanno la forma di catene ricoperte
di gemme (gemmati ceppi).
V’eran d’aquile artigli; e che fur, seppi,5 3-4 C’erano artigli di aquile; e seppi che erano (e che
l’autorità ch’ai suoi dànno i signori. fur, seppi), la possibilità di comandare (l’autorità)
I mantici ch’intorno han pieni i greppi, che danno i signori ai loro [uomini] (ai suoi).
5-8 I mantici che hanno riempito i declivi (greppi)
sono i fumi dei principi e i favori [del vallone lì] intorno sono i favori dei principi, labili
che danno un tempo ai ganimedi suoi, come il fumo (i fumi… e i favori), che [essi] danno ai
che se ne van col fior degli anni poi. loro protetti (ganimedi) un tempo e che poi vengono
meno (se ne van) con [il venir meno del]la giovinezza
79 (fior degli anni) [dei protetti].
80
Di versate minestre una gran massa 80 1-2 Vede una gran massa di minestre rovesciate
vede e domanda al suo dottor ch’importe. (versate) e chiede al suo maestro (dottor) che cosa si
gnifichi (ch’importe).
– L’elemosina è (dice) che si lassa 3-4 [san Giovanni] dice: – È l’elemosina che alcuni la
alcun, che fatta sia dopo la morte. –6 sciano [detto nel testamento] che sia fatta dopo la [lo
Di varii fiori ad un gran monte passa, ro] morte.
5-6 Passa [vicino] a un gran monte [composto] da fio
ch’ebbe già buono odore, or putia forte. ri di diverso tipo, che prima aveva un buon odore, poi
Questo era il dono7 (se però dir lece) puzzava (putia) molto.
che Constantino al buon Silvestro fece. 7-8 Questo era il dono, se però è giusto dire [così]
[: cioè dono] (se però dir lece), che Costantino fece al
81 buon Silvestro.
Vide gran copia di panie con visco, 81 1-2 Vide una grande abbondanza (copia) di trap-
pole per uccelli, con materia appiccicosa (panie con
ch’erano, o donne, le bellezze vostre.
visco).
Lungo sarà, se tutte in verso ordisco 3-8 Sarebbe lungo se descrivessi (ordisco) nei [miei]
le cose che gli fur quivi dimostre; versi [tutte] le cose che gli furono mostrate (dimo-
che dopo mille e mille io non finisco, stre) qui, che non finirei [neanche] dopo mille e mille
[versi], dato che ci sono tutte le cose che ci capitano
e vi son tutte l’occurrenzie nostre: (l’occurrenzie nostre): solo la pazzia c’è in giusta mi-
sol la pazzia non v’è poca né assai; sura (non v’è poca né assai); [dato] che sta quaggiù
che sta qua giù, né se ne parte mai. [: sulla terra] e mai se ne va (se ne parte).
82
Quivi ad alcuni giorni e fatti sui, 82 1-6 Qui rivolse l’attenzione (si converse) a cer-
ch’egli già avea perduti, si converse; ti suoi giorni e fatti che aveva perduti un tempo
(già); e se non ci fosse stato con lui chi gli spiegasse
che se non era interprete con lui, (interprete: san Giovanni), non avrebbe riconosciu-
non discernea le forme lor diverse. to (non discernea) le loro varie forme. Poi giunse
Poi giunse a quel che par sì averlo a nui, [dove c’era] ciò che a noi sembra di avere [sempre],
tanto che (sì… che) non si sono mai fatte (fêrse = ‘si
che mai per esso a Dio voti non fêrse; fecero’) preghiere (voti) a Dio per averne (per esso);
5 e che fur, seppi: Ariosto l’ha scoperto dalla non viene data perché gli eredi tengono per Chiesa. Alla buona intenzione dell’imperatore
propria fonte, quel Turpino da cui, come in loro stessi quei danari. seguono conseguenze dannose, dal momento
tutta la tradizione cavalleresca, dice di deri- 7 dono: il poeta allude alla donazione di Costan- che la donazione ha causato la corruzione della
vare il suo racconto. tino (280-337) a papa Silvestro I (al buon Silve- Chiesa. Il documento della donazione di Costan-
6 L’elemosina...dopo la morte: l’elemosina stro), che dette origine al potere temporale della tino si rivelò poi, fra l’altro, un falso.
801
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
io dico il senno: e n’era quivi un monte, 7-8 io intendo (dico) il senno: e qui ce n’era una montagna,
solo assai più che l’altre cose conte. [che] da sola [era] molto più grande che tutte le altre cose di
cui ho raccontato (conte = ‘raccontate’).
83
Era come un liquor suttile e molle, 83 1-4 Era come un liquido poco denso e fluido (liquor sut-
atto a esalar, se non si tien ben chiuso; tile e molle), che evapora facilmente (atto a esalar), se non si
tiene rinchiuso bene, e si vedeva raccolto in diverse ampolle,
e si vedea raccolto in varie ampolle, una più capiente (capace), una meno, destinate a quello scopo
qual più, qual men capace, atte a quell’uso. (atte a quell’uso) [: contenere il senno].
Quella è maggior di tutte, in che del folle 5-8 La più grande di tutte era quella in cui (in che) era stato
travasato il grande senno del folle signore di Anglante [: Or-
signor d’Anglante era il gran senno infuso; lando]; e fu riconosciuta tra le altre (da l’altre conosciuta),
e fu da l’altre conosciuta, quando poiché (quando) aveva scritto di fuori: “Senno di Orlando”.
avea scritto di fuor: Senno d’Orlando.
84
E così tutte l’altre avean scritto anco 84 1-2 E così anche (anco) tutte le altre [ampolle] avevano
il nome di color di chi fu il senno. scritto il nome [degli uomini] dei quali (di chi) contenevano il
senno.
Del suo gran parte vide il duca franco; 3-8 Il coraggioso (franco) duca [: Astolfo] vide gran parte del
ma molto più maravigliar lo fenno proprio [senno]; ma lo fecero (fenno) meravigliare ben di più
molti ch’egli credea che dramma manco molti, che egli credeva che non dovessero averne in meno
(manco… averne) [neppure] una dramma [: piccola quantità],
non dovessero averne, e quivi dénno e qui rivelarono apertamente (dénno chiara notizia; denno =
chiara notizia che ne tenean poco; ‘diedero’) che ne avevano poco; poiché là ce n’era una gran
che molta quantità n’era in quel loco. quantità [: Astolfo si stupisce di persone che credeva avessero
un gran senno, e che invece ne hanno poco: esso infatti sta per
85 la maggior parte sulla luna].
Altri in amar lo perde, altri in onori, 85 1-6 Chi (Altri) lo perde amando (in amar), chi nell’onore,
altri in cercar, scorrendo il mar, richezze; chi cercando (in cercar) ricchezze, attraversando [in lungo e
in largo] (scorrendo) il mare; chi nelle speranze [riposte] nei
altri ne le speranze de’ signori, [propri] signori, chi dietro alle sciocchezze della magia (magi-
altri dietro alle magiche sciocchezze; che sciocchezze); chi nelle pietre preziose, chi nelle opere
altri in gemme, altri in opre di pittori, (opre) dei pittori, e chi in altre [cose] che apprezzi (aprezze)
più di ogni altra cosa.
et altri in altro che più d’altro aprezze. 7-8 Ce n’era raccolto molto [: senno] di filosofi (sofisti) e di
Di sofisti e d’astrologhi raccolto, astrologi, e anche di poeti.
e di poeti ancor ve n’era molto.
86
Astolfo tolse il suo; che gliel concesse 86 1-2 Astolfo prese (tolse) il proprio, poiché glielo aveva
lo scrittor de l’oscura Apocalisse.8 concesso lo scrittore della difficile (oscura) Apocalisse [: san
Giovanni].
L’ampolla in ch’era al naso sol si messe, 3-8 Si portò semplicemente (sol) al naso l’ampolla in cui (in
e par che quello al luogo suo ne gisse:9 ch’<e>) era [il suo senno], e sembra che esso se ne andò (ne
e che Turpin da indi in qua confesse gisse = ‘se ne andasse’) al suo posto [: il cervello]; e [sembra]
che Turpino riconosca (confesse) che Astolfo, da allora in poi
ch’Astolfo lungo tempo saggio visse; (da indi in qua), visse saggiamente per lungo tempo; ma dopo
ma ch’uno error che fece poi, fu quello10 che aver fatto un errore [: si innamorò], fu [proprio] quello che
ch’un’altra volta gli levò il cervello. gli tolse il senno (il cervello) un’altra volta.
87
La più capace e piena ampolla, ov’era 87 1-4 Astolfo prende (tolle) l’ampolla più capiente (capa-
il senno che solea far savio il conte, ce) , dove era il senno che aveva reso saggio (solea far savio) il
conte [: Orlando]; e non è così leggera, come aveva pensato,
Astolfo tolle; e non è sì leggiera, [vedendola] mentre stava (essendo) nel mucchio (a monte)
come stimò, con l’altre essendo a monte. con le altre.
L. Ariosto, Orlando furioso, cit.
8 oscura Apocalisse: l’Apocalisse è detta 9 al naso...ne gisse: gli antichi credevano innamoramento di Astolfo, che egli stesso
oscura perché le sue profezie sono di difficile che le fosse nasali portassero al cervello. narra nei Cinque canti.
decifrazione. 10 uno error...fu quello: Ariosto allude a un
802
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
Il primo obiettivo da conseguire per la comprensione del significato letterale di un testo poetico è la rea-
lizzazione, scritta o anche solo mentale, di una parafrasi. In questo caso abbiamo già fornito la parafrasi
integrale delle ottave.
A partire dalla parafrasi, riepiloga il contenuto del testo in un breve riassunto. Dal riassunto emerge-
ranno anche i temi essenziali rappresentati dall’autore: nella fase di interpretazione e approfondimen-
to essi saranno ripresi per una riflessione più esauriente.
ANALISI
L’analisi del testo si concentra sugli aspetti della metrica e della lingua e dello stile. Dopo aver indicato
la struttura metrica e le rime, si valutano gli aspetti linguistici e stilistici considerando il lessico (collo-
quiale o letterario) e la sintassi (periodi brevi o lunghi, struttura paratattica o ipotattica). L’individuazione
delle figure retoriche completa la ricognizione delle scelte stilistiche.
Nel caso di questo testo l’elemento delle “forme” che risulta decisivo è la struttura a catalogo, che
organizza l’elenco degli oggetti radunati nel vallone lunare. Si tratta di una scelta stilistica precisa e
funzionale: l’elencazione corrisponde a uno sguardo curioso ma distaccato, che passa in rassegna le
cose una dopo l’altra senza gerarchie interne. La rappresentazione degli oggetti smarriti dagli uomini
sulla terra è così realizzata conservando un perfetto equilibrio, evitando sia un approfondimento tragico
e desolato sia una logica caricaturale.
Completa queste osservazioni con un riscontro puntuale nel testo:
quali ottave presentano la struttura a catalogo?
riporta un elenco numerato degli oggetti che si trovano nel vallone lunare.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
Interpretare significa attribuire significato e valore agli elementi emersi durante le fasi 1 e 2, metten-
doli in rapporto e creando collegamenti. L’interpretazione comprende la contestualizzazione del testo,
considerato in rapporto all’opera dell’autore, alla tradizione letteraria precedente o coeva, al quadro
storico-culturale. Può inoltre essere proposta un’attualizzazione, in cui si stabilisce un confronto con il
nostro tempo rispetto alle soluzioni formali o ai temi riscontrati.
L’episodio di Astolfo sulla luna riepiloga un tema che attraversa tutto il Furioso. Inoltre, questo testo è
esemplare per cogliere il rapporto di Ariosto con la cultura del proprio tempo, fra rispecchiamento e ori-
ginalità. Il viaggio lunare del paladino fa emergere un topos caro alla cultura medievale: quello della vani-
tas (‘vanità’, nel senso di ‘inutilità e vuotezza’) e dell’“ubi sunt?” (‘dove sono?’), che porta ad interrogarsi
sul destino dei personaggi un tempo famosi, dei regni antichi, delle imprese del passato. Il topos ha in
origine un valore religioso (vuol spingere il cristiano a considerare i beni celesti e non quelli terreni); ma
Ariosto lo usa in chiave completamente laica. L’autore si scontra anche con la cultura contemporanea:
la fama, che costituisce uno dei più alti valori per la civiltà umanistico-rinascimentale, finisce nel muc-
chio con le vane occupazioni degli uomini. Se il Furioso è il frutto più ampio del Rinascimento, lo è anche
per la capacità di rappresentare criticamente i limiti e la relatività dei suoi valori.
Questo può essere efficacemente collegato con altri brani del Furioso. Infatti, l’esperienza lunare di
Astolfo tratta un tema – quello della vanità dei desideri degli uomini e della loro inutile corsa dietro le
illusioni – che resta nascosto nelle molteplici avventure romanzesche. Possiamo perfino dire che l’episo-
dio della luna racchiude in forma sintetica il senso generale del poema, che mostra la follia degli uomini
impegnati nell’inseguire mete vane. Approfondisci questa osservazione facendo riferimento ai testi letti.
803
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
12 Attualità di Ariosto
Ariosto e il fantasy Sono molte le ragioni dell’attualità dell’Orlando furioso, un classico letto e amato sin dalla sua
prima apparizione. Possiamo leggere questo libro come un precursore del racconto fantasy,
per la compresenza di avventura e di senso del meraviglioso, di magia e di creature irreali qua-
li mostri marini e cavalli alati. Il signore degli anelli di Tolkien e, oggi, la saga di Harry Potter e al-
cune serie televisive come Il trono di spade hanno molti elementi in comune con l’Orlando fu-
rioso, che è forse il primo racconto capace di rielaborare in una prospettiva moderna una mate-
ria da sempre presente nella letteratura occidentale, mescolando toni epici e giocosi con un rit-
mo incalzante e rapidissimo. È sempre esistito un bisogno diffuso di narrazioni di questo tipo,
capaci di dare sfogo alla fantasia e al bisogno di evasione dal mondo reale in cui viviamo
verso un mondo irreale dove tutto è possibile.
La modernità Ma l’attualità di Ariosto va ben oltre questo primo e superficiale aspetto. Oggi, anche grazie
dell’ironia all’interpretazione che del Furioso ha dato la critica romantica nell’Ottocento, siamo in grado
di Ariosto
di apprezzare soprattutto la straordinaria ironia di quest’opera, una caratteristica non sempre
apprezzata dai contemporanei di Ariosto e anzi spesso condannata, nel Cinquecento, in nome
della fedeltà ai principi classicistici. Come abbiamo visto, l’ironia riguarda vari aspetti del poe-
ma, ma soprattutto il rapporto tra l’autore e il proprio racconto: essa ha cioè il compito di sve-
lare la dimensione di finzione propria della storia che viene raccontata e di rompere quindi
il meccanismo dell’identificazione ingenua. Il lettore ideale di Ariosto è dunque un lettore
consapevole e maturo, capace cioè di evitare l’immedesimazione passiva nei personaggi della
storia, di andare oltre il senso letterale del testo e di mettere in dubbio ogni valore assoluto.
Concetto Pozzati,
Atelier Ariosto,
1974.
804
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
Se ci si persuaderà che la vera materia del Furioso non è costituita dalle antiche istituzioni
cavalleresche ormai scadute nella coscienza cinquecentesca, ma propriamente da quella mo-
derna concezione della vita e dell’uomo che in ogni pagina del poema è presente e liberamen-
te celebrata (e non in antitesi con la vecchia, ma in se stessa, disinteressatamente, tanto pe-
5 rentoria è ormai la sua forza autonoma), apparirà chiaro che l’Ariosto non è affatto
indifferente alla propria materia, ma partecipa ad essa con tutto il suo impegno. Anzi, è egli
stesso che la suscita, la foggia e la definisce, trasformando così il poema cavalleresco in ro-
manzo contemporaneo, nel romanzo cioè delle passioni e delle aspirazioni degli uomini del
suo tempo. E se tutto questo è avvenuto senza visibile spargimento di sangue, ma nella forma
10 più semplice e naturale, il grande merito è da ricercare in quella condizione di straordinaria
saggezza che l’Ariosto aveva saputo attingere attraverso un’attiva esperienza della vita. Quel-
la saggezza consisteva in un’apertura serena e cordiale verso il mondo, fondata sulla cono-
scenza dell’uomo, della sua varia e anche contraddittoria natura, e sull’accettazione della
realtà in tutti i suoi aspetti. Proprio questa apertura verso il mondo, che caratterizza l’atteg-
15 giamento fondamentale dello spirito ariostesco, induceva il poeta a rivolgersi con interesse
egualmente vivo a ogni manifestazione umana, a ogni sentimento, senza tuttavia risolversi
in nessuno di essi in particolare. Questa virtù, veramente eccezionale nell’Ariosto, di conce-
dersi sinceramente ogni volta alla verità di un affetto, di una passione, e quindi di riprendersi
al momento giusto per rivolgersi ad altro affetto, ad altra passione, spiega la particolare natu-
20 ra della narrativa ariostesca fondata essenzialmente sulla fluidità dinamica dell’azione, e
quindi sulla velocità dei trapassi e sui mutamenti improvvisi di situazione. A un’arte siffatta
sembra ozioso rimproverare l’assenza di personaggi di forte rilievo e di complessa psicologia,
così come di un sentimento dominante. Non è difficile infatti rispondere che l’Ariosto non
mirava a figure autonome, alla creazione di caratteri veri e propri, né in senso obbiettivamen
25 te realistico né come riflesso lirico e intimista della propria autobiografia. Egli intendeva piut
tosto creare delle figure che, di volta in volta, riflettessero soltanto un aspetto tipico della
natura umana e non già che ne esaurissero l’infinita varietà. [...]
Alla varietà dei personaggi corrisponde poi un altrettanto ricca pluralità di motivi, di cui
nessuno preminente. Neppure l’amore, che tuttavia costituisce il tema più frequente del
30 poema. Prima di tutto perché l’amore nel Furioso si manifesta in modi diversi e talvolta addi
rittura contrastanti (da quelli puri e patetici a quelli sensuali e voluttuosi, da quelli eroici a
quelli semplicemente puntigliosi, da quelli tragici a quelli comici e realistici), sì che nessuno
saprebbe dire quali dei tanti “amori” ariosteschi può essere legittimamente considerato mo
tivo fondamentale dell’opera; in secondo luogo perché accanto all’amore ci sono, nel poema,
35 molti altri sentimenti espressi con altrettanta intensità e sincera adesione da parte del poeta:
i temi dell’amicizia, della fedeltà, della devozione, della gentilezza, della cortesia, dello spirito
d’avventura. E accanto ai temi per così dire “virtuosi” non mancano i temi opposti, non meno
schietti dei primi: quelli dell’infedeltà, dell’inganno, del tradimento, della superbia, della vio
805
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
lenza, della crudeltà. Non basta. Come la vita dei personaggi, anche quella dei sentimenti è,
40 nell’opera ariostesca, una vita così strettamente correlata che i vari temi dell’opera s’intrec-
ciano tra loro condizionandosi a vicenda e richiamandosi l’uno con l’altro per affinità o per
contrasto. [...]
A un’arte che spaziava così largamente e che mirava a una così complessa rappresentazio
ne della vita, molti pericoli sovrastavano. Primo fra tutti quello di approdare a una meccanica
45 giustapposizione di figure e di temi, a una mera somma di risultati episodici, non a un organi
smo perfettamente fuso. E invece ogni pericolo di anarchia compositiva appare evitato, e l’o
pera ariostesca si presenta a noi come un esempio mirabile di unità e di armonia compositiva.
La ragione è che l’Ariosto non si rivolgeva alla varietà della natura per il semplice gusto istin
tivo del romanzesco avventuroso, ma per cogliervi le leggi profonde che la regolano e la gover
50 nano. [...]
L’unità del Furioso è dovuta, dunque, all’opera di sapiente armonizzazione che l’Ariosto ha
saputo compiere per ridurre a cordiale e naturale convivenza i molteplici temi, anche contra
stanti, di cui il poema è contesto. Un’opera che solo lo scrittore, in quanto uomo dell’arte, può
realizzare interpretando e rappresentando la vita degli uomini della natura (i personaggi uni
55 voci della finzione poetica), soggetti agli impulsi esterni e spesso anche vittime di essi.
Lo scrittore, infatti, è ormai fuori della vita intricata degli impulsi. È colui che, per averli co
nosciuti tutti nella loro essenza e nelle loro contraddizioni, può controllarli interamente e quin
di raffigurarne con lucido coordinamento, cioè in unità, l’assidua complicazione. Questa condi
zione di eccezionale libertà conferisce all’Ariosto quella sua rara virtù di sereno e obiettivo
55 distacco, quell’autentica saggezza che è stata erroneamente giudicata come indifferenza o su-
perficialità sentimentale.
L. Caretti, Ariosto e Tasso, Einaudi, Torino 1970.
TRACCIA L’Orlando furioso si caratterizza per la varietà dei temi; tuttavia l’armonia è garantita dall’opera di sapiente
armonizzazione dell’autore.
806
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
L’EVOLUZIONE DEL GENERE CAVALLERESCO
Il Quattrocento è il secolo della narrativa cavalleresca. Epica e romanzo, cantari del Trecento
materia di Francia e materia di Bretagna si fondono, perdendo le carat-
teristiche originarie più forti. Già nel Trecento questi due filoni erano sta-
ti ripresi nei cantari, componimenti in ottave che venivano recitati nelle
i poemi cavallereschi
piazze davanti a un vasto pubblico. Nella seconda metà del Quattrocen- del Quattrocento
to Luigi Pulci e Matteo Maria Boiardo riprendono questa tradizione popo-
lare rilanciando il genere cavalleresco per il pubblico raffinato delle corti.
Morgante Orlando
di Pulci innamorato
di Boiardo
IL MORGANTE DI PULCI
Il Morgante di Luigi Pulci (1432-1484) comprende, nell’edizione defini- Morgante (1483) di Luigi Pulci
tiva del 1483, ventotto cantari. La prima parte fa la parodia di un poe-
ma cavalleresco preesistente, l’Orlando, farcendolo di trovate buffone-
sche e linguistiche. La seconda parte non rinuncia allo stile comico, che
adatta però a situazioni drammatiche. È la poetica popolare del carne- • poetica del carnevalesco
valesco, che celebra il corpo e la dismisura contestando la censura del- • celebra il corpo e la dismisura
la cultura alta. • parodia
• stile comico
807
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
ARIOSTO: LA VITA
Il poema cavalleresco più famoso del periodo è l’Orlando furioso di Ario-
1474 nasce a Reggio Emilia
sto. Ludovico Ariosto nasce a Reggio Emilia l’8 settembre 1474. Com-
piuti gli studi umanistici, si stabilisce a Ferrara. La morte del padre, nel studi umanistici
1500, interrompe la felice stagione di ozi letterari: Ludovico deve ora
provvedere alla numerosa famiglia. Nel 1503 viene assunto al servizio a servizio del cardinale
del cardinale Ippolito d’Este, per conto del quale svolgerà un’intensa at- 1503-1517 Ippolito d’Este
tività politico-amministrativa. Nel 1517 si verifica una nuova svolta nella a servizio del duca
vita di Ludovico: il rifiuto di seguire il cardinale Ippolito in Ungheria deter- 1518-1521 Alfonso d’Este
mina la rottura fra i due. Il poeta deve così cercarsi un nuova sistemazio-
ne: nell’aprile del 1518 entra a servizio presso il duca Alfonso d’Este, fra- commissario ducale
1522-1525 in Garfagnana
tello d’Ippolito. Anche il nuovo incarico costringe Ariosto a frequenti viag-
gi e gli impone di accettare lo sgradito incarico di commissario ducale in
Garfagnana (1522-1525). Gli anni successivi al rientro a Ferrara e fin 1533 muore a Ferrara
alla morte (1533) sono segnati da una relativa tranquillità.
LE SATIRE E L’EPISTOLARIO
Le sette Satire, scritte tra il 1517 e il 1525 in terzine dantesche, costi- Satire (1517-1525)
tuiscono, dopo l’Orlando furioso, l’opera di Ariosto più apprezzata. Esse
traggono spunto da eventi autobiografici e da dati reali e rispondono per
lo più a un bisogno di difendersi o di affermare il proprio punto di vista. Il traggono metro: ironia
modello letterario remoto è Orazio, ma l’apertura a una pluralità di sti- spunto terzina
li indica un diretto influsso dantesco. Collegato a situazioni concrete è da eventi dantesca
autobiografici modelli:
anche l’epistolario, che non offre un ritratto idealizzato ma realistico di Orazio e
momenti importanti della vita di Ariosto. Dante
epistolario
808
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
VERIFICHE
1 Le origini del poema cavalleresco
Quali cicli epici medievali sono all’origine del poema cavalleresco?
809
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
VERIFICHE
3 Pulci e Boiardo
Completa i seguenti testi scegliendo di volta in volta l’alternativa corretta tra quelle proposte.
a. Il fiorentino/L’emiliano Luigi Pulci viene introdotto alla corte dei Medici/degli Estensi intorno al 1461. Pulci è noto
per il suo gusto macabro e cupo/irriverente e giocoso. L’opera più celebre di Pulci e il Morgante/l’Orlando. Il poema
completo uscì a stampa nel 1483/1500.
b. L’Orlando innamorato/furioso di Matteo Maria Boiardo segna una svolta nel poema d’avventura/cavalleresco, tra-
sformando i cantari/canti popolari in un genere destinato alla corte. Il poeta svolse la maggior parte della sua atti-
vità letteraria a Firenze/Ferrara, presso la corte della famiglia degli Estensi/dei Medici.
4 Poeta cortigiano
Ariosto era un poeta cortigiano. Presso quale corte visse? Scegli la risposta giusta.
a. presso gli Estensi a Ferrara
b. presso gli Estensi a Mantova
c. presso i Gonzaga a Ferrara
d. presso i Medici a Firenze
5 Due spartiacque
Possiamo individuare due fatti che determinarono una svolta nella vita di Ariosto. Che cosa avviene, infatti, nel 1500
e nel 1517?
a. 1500: trasferimento a Roma; 1517: abbandono della corte di Ippolito d’Este
b. 1500: morte del padre; 1517: ambasceria a Roma
c. 1500: morte del padre; 1517: abbandono della corte di Ippolito d’Este
d. 1500: commissario ducale in Garfagnana; 1517: abbandono della corte di Ippolito d’Este
810
CAPITOLO 6 Il poema cavalleresco e Ariosto GENERE
10 L’intellettuale e la corte
Nelle Satire Ariosto si interroga sulla posizione dell’intellettuale cortigiano. Confronta i versi seguenti, tratti dalla
Satira III, con quanto emerge nella Satira I ( T4, in particolare i vv. 115-123, p. 725): quale opinione esprime il
poeta? Ti sembra che Ariosto rispetti realmente il proposito espresso nel v. 42 della Satira III?
1 mi tolgo: mi distinguo.
2 a servitù rivolgo: considero servitù.
3 fanello: come i nominati usignolo e cardellino, anche il fanello è un tipo di uccellino.
4 onor di sprone o di capello: dignità cavalleresca o ecclesiastica.
11 Incontri fortuiti
Le diverse vicende del Furioso si intrecciano continuamente; ma gli incontri tra i personaggi appaiono sempre
fortuiti, improvvisi e imprevisti.
a. elenca tutti gli incontri che avvengono per caso nei testi che hai letto.
b. rifletti su quale valore ha nel Furioso la sorte o fortuna.
13 La trattazione sintetica
Nella Satira I Ariosto traccia un quadro preciso della vita di corte. Anche il Cortegiano di Castiglione si presenta
come «un ritratto di pittura della corte di Urbino». Gli scenari che vengono delineati sono però decisamente diver-
si: confronta le immagini della corte presenti in Ariosto e in Castiglione ( Capitolo 3, T2, p. 587) e motivane le
differenze in una trattazione sintetica.
811
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento
VERIFICHE
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA C
RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO
SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ
812
Pieter Bruegel il Vecchio, Banchetto nuziale, 1566-1569. Vienna, Kunsthistorisches Museum.
TEMI
CAPITOLO 7
Il corpo e il cibo
nella letteratura rinascimentale PERSONALIZZA
IL TUO LIBRO
La nudità come Il corpo umano, studiato prima sui modelli antichi e poi dal vero con Leonardo, diventa il mo-
simbolo di dello di armoniche proporzioni e di rapporti ideali, come mostra il disegno leonardesco del
perfezione
cosiddetto “Uomo vitruviano”. Non a caso il corpo nudo, insieme al paesaggio, è la novità che
caratterizza l’arte figurativa del Quattrocento. Come nell’età classica, il corpo viene di nuovo
rappresentato senza alcun senso di colpa e di peccato, anche nell’arte sacra: in questo modo si
realizza l’esaltazione della vita terrena e dell’individuo capace di creare personalmente il
proprio destino.
Idealizzazione La rivalutazione umanistica del corpo si sviluppa in due direzioni diverse. Da una parte la bellez-
estetica e za delle forme è concepita come il riflesso della perfezione morale dell’uomo; dall’altra, il corpo
conoscenza
scientifica umano diventa anche oggetto di osservazione naturalistica e di conoscenza scientifica. I di-
segni anatomici di Leonardo, per esempio, presentano una visione nuova del corpo umano, che
813
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
viene scomposto nei suoi muscoli e nei suoi organi, di cui lo scienziato studia forme e funzioni
con precisione clinica ancora oggi apprezzabile ( Capitolo 2). È attraverso la percezione corpo-
rea, i sensi e soprattutto l’occhio, che si spalanca all’anima la vista e il godimento del mondo.
La paura della Le guerre e le epidemie, che durante il XIV e il XV secolo colpiscono con violenza la popolazione
morte europea, rendono ancora più difficile che in passato il distacco dalla vita terrena. Se infatti il cor-
po e i sensi vengono ora considerati beni preziosi, la possibilità concreta di morire tra sofferenze
DIGIT atroci acuisce il dolore di dovervi rinunciare. L’amore per il corpo diventa così penosa consapevo-
TESTI
Giannozzo lezza della sua necessaria decomposizione. Non è un caso che in quest’epoca si diffondano moti-
Manetti, La vi artistici e letterari già annunciati nell’autunno del Medioevo: la rappresentazione fisica della
rivoluzione del
corpo umano morte, del cadavere in disfacimento, e soprattutto il trionfo della morte e la danza macabra.
Nella poesia del francese François Villon, per esempio ( Capitolo 1), l’attaccamento alla
vita terrena viene espresso attraverso il sentimento angoscioso della morte e dello strazio
dei corpi. La paura della morte non aveva ossessionato l’uomo medievale, dominato piuttosto
dalla paura del diavolo e dell’inferno. Ora invece questo terrore, generato proprio dall’attacca-
mento alla vita, si esprime nella rappresentazione degli effetti materiali e corporei della morte,
nell’immagine del cadavere e dello scheletro.
Il trionfo del Al corpo idealizzato, specchio della perfezione morale, si affianca dunque una visione mate-
grottesco rialistica del corpo, che esalta l’aspetto biologico e il ruolo degli istinti. Questa concezio-
ne trova spazio sia nell’immaginario letterario, con il Morgante di Pulci ( Capitolo 6), il Bal-
dus di Folengo e il Gargantua e Pantagruele di Rabelais, sia nell’arte figurativa, con pittori
come i fiamminghi Hieronymus Bosch (1450-1516) o Pieter Bruegel il Vecchio (1525 ca.-1569).
L’arte e la letteratura mettono in scena il corpo grottesco, l’irregolarità, la dismisura, la deforma-
zione, la realtà fisica e biologica, spesso collegata al tema del cibo. Ne emerge un’immagine
dell’uomo fortemente trasgressiva rispetto ai modelli umanistici di armonia e sereno equilibrio.
FACCIAMO IL PUNTO
In che modo il corpo viene rivalutato in età umanistica? Come questa rivalutazione si coniuga col cristianesimo?
Quali conseguenze ha la visione materialistica del corpo nelle opere letterarie e figurative?
814
CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
Un gigante che Morgante è un individuo enorme che non si sazia mai: il gigante rappresenta la forza smisura-
rispecchia la ta, l’animalità, la voracità insaziabile ed è il simbolo degli istinti materiali più umili. Questo
società del tempo
personaggio non è solo il prodotto di una fantasia letteraria, ma rimanda a una realtà sociale che
assume vaste proporzioni tra il Trecento e il Quattrocento. Margutte appartiene al mondo de-
gli avventurieri e dei vagabondi e rispecchia una parte della società del tempo in perpetuo mo-
vimento: venditori ambulanti, chierici vaganti, cantastorie, indovini, giocatori, mendicanti, ser-
vi fuggiaschi, malfattori e, soprattutto, ladri. Un universo popolato di individui di provenienza di-
versa, ma accomunati dalla “cultura della taverna”, dove era di casa da secoli la parodia del sacro:
«ma soprattutto nel buon vino ho fede / e credo che sia salvo chi gli crede». La “cultura della ta-
verna”, legata al tema della fame e dell’ossessione per il cibo, dà vita anche a un altro mito popo-
lare: l’utopia del paese di Cuccagna, il paese ideale, simbolo dell’abbondanza e della felicità
materiale. Già presente in Boccaccio nella novella di Calandrino, nel Quattrocento il paese di
Cuccagna diventa sempre più spesso oggetto di rappresentazione pittorica e letteraria. È il sogno
di masse affamate che sfogano nel delirio del cibo la loro fame secolare. È per questo che la fa-
me, il cibo, l’ingoiare, il divorare, il bere sono temi così ricorrenti nel Morgante. Ecco allora che la
professione di fede di Margutte assume la valenza di una dissacrazione del credo cristiano, che
esalta una nuova Trinità: la torta, il tortello e il fegatello ( T1, p. 816).
L’irregolarità della L’ottica smisurata e fuori dal comune del gigante sottolinea il rovesciamento delle norme e
lingua del dell’ordine tradizionale anche a livello linguistico. Irregolarità e dismisura caratterizzano lo
Morgante
stile del Morgante: il gusto della sovrabbondanza e dell’esagerazione, la violazione della
lingua codificata, il ricorso a forme gergali e popolari esplodono nell’elencazione dei cibi,
dei vizi, delle specialità culinarie, in metafore corporee che esaltano il piacere fisico, soprat-
tutto della gola. Morgante e Margutte diventano così una comica contestazione sia del model-
lo di virtù cristiane, sia di buona parte della cultura rinascimentale, che considerava l’uomo un
ideale equilibrio tra corpo e mente.
FACCIAMO IL PUNTO
Perché la “cultura della taverna” può essere considerata una parodia del sacro?
Cosa rappresenta l’utopia del paese di Cuccagna?
815
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
112 PARAFRASI
Giunto Morgante un dì in su ’n un crocicchio, 112 1-4 Morgante, arrivato un giorno presso
uscito d’una valle in un gran bosco, (in su ’n) un crocevia (crocicchio), uscito da una
(d’una) valle in un grande bosco, vide venire da
vide venir di lungi, per ispicchio, lontano (di lungi) di traverso (per ispicchio) un
un uom che in volto parea tutto fosco. uomo che in viso sembrava tutto scuro (fosco).
Détte del capo del battaglio1 un picchio 5-8 Diede (Détte) un colpo (un picchio) in terra
con la testa del batacchio (battaglio), e disse: «Co-
in terra, e disse: «Costui non conosco»; stui [: l’uomo] non conosco»; e si mise (posesi) a
e posesi a sedere in su ’n un sasso, sedere su un (in su ’n un) sasso, fino a che costui
tanto che questo capitòe al passo. arrivò (capitòe) al crocevia (passo = ‘passaggio’).
113
Morgante guata le sue membra tutte 113 1-4 Morgante fissa (guata) tutte le sue
più e più volte dal capo alle piante, membra dalla testa ai piedi (dal capo alle piante)
più e più volte, le quali [membra] (che) gli sem-
che gli pareano strane, orride e brutte: bravano strane, orride e brutte, e dice: – Dimmi il
– Dimmi il tuo nome – dicea – vïandante. – tuo nome, [o] viaggiatore.
Colui rispose: – Il mio nome è Margutte; 5-8 Lui rispose: – Il mio nome è Margutte, e desi-
derai anche (anco) io di essere un gigante, ma poi
ed ebbi voglia anco io d’esser gigante, me ne pentì quando fui arrivato alla metà (al
poi mi pentì quando al mezzo fu’ giunto: mezzo fu’ giunto): vedi appunto che sono [alto]
vedi che sette braccia sono2 appunto. – sette braccia [: circa quattro metri].
114
Disse Morgante: – Tu sia il ben venuto: 114 1-5 Morgante disse: - Sii benvenuto: ecco
ecco ch’io arò pure un fiaschetto3 allato, che io avrò (arò) al mio fianco (allato) anche (pu-
re) un fiaschetto, visto che ormai da due giorni
che da due giorni in qua non ho beuto; non bevo (ho beuto = ‘ho bevuto’); e se ti accom-
e se con meco sarai accompagnato, pagnerai a me (con meco = ‘con me’), io ti tratterò
io ti farò a camin quel che è dovuto. come si deve (ti farò… quel che è dovuto) [: ti
tratterò bene] durante il viaggio (a camin).
Dimmi più oltre: io non t’ho domandato 6-8 Raccontami ancora (più oltre): io non ti ho
se se’ cristiano o se se’ saracino, domandato se sei cristiano o se sei saraceno, se
o se tu credi in Cristo o in Apollino.4 – credi in Cristo o in Apollo (Apollino).
Metrica: ottave. 4 Apollino: propriamente Apollo. Nei poemi era adorato dagli islamici insieme a Macone
cavallereschi si dice erroneamente che il dio (Maometto) e Trivigante.
1 battaglio: è il ferro che fa suonare la cam-
pana percuotendola: è l’arma di Morgante. LA LINGUA NEL TEMPO
2 sette braccia sono: i giganti veri e propri,
Margutte / margutto Il nome «Margutte» (ottava 113, 5) del coprotagonista del poema, mezzo gi-
infatti, erano alti il doppio, cioè otto metri circa.
gante, rimanda a margutto, parola di origine araba che indicava il “fantoccio”, cioè quella figura del
3 fiaschetto: è un nome ironico dato a Mar-
saraceno o “saracino” che nelle giostre medievali costituiva il bersaglio del cavaliere. La parola si-
gutte per la sua statura, almeno paragonata a
gnificava anche ‘sciocco, balordo’ e anche ‘spaventapasseri’.
quella di Morgante.
816
CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
115
Rispose allor Margutte: – A dirtel tosto, 115 Rispose allora Margutte: – Per dirtelo subito
io non credo più al nero ch’a l’azzurro, [: senza giri di parole] (A dirtel tosto), non credo a una
cosa più che a un’altra [: non sono né cristiano né mu-
ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto; sulmano], ma [credo] nel cappone, o lesso, oppure (o
e credo alcuna volta anco nel burro, vuogli = ‘o vuoi’) arrosto; e credo qualche (alcuna)
nella cervogia, e quando io n’ho, nel mosto, volta anche [cotto nel] burro, nella birra (cervogia), e
quando ce l’ho, nel mosto [di vino], e [credo] nel [vi-
e molto più nell’aspro che il mangurro;5 no] aspro molto più (che) [di quanto vi creda] il man-
ma sopra tutto nel buon vino ho fede, gurro; ma soprattutto ho fede nel buon vino, e che ab-
e credo che sia salvo chi gli crede; bia la salvezza eterna (che sia salvo) chi ci crede;
116 116 1-5 e credo nella torta e nel tortello, l’una (l’u-
e credo nella torta e nel tortello: no: anche se maschile, si riferisce a torta) è la madre e
l’uno è la madre e l’altro è il suo figliuolo; l’altro è suo figlio; e il vero Dio padre (paternostro) è il
fegatello [: pezzo insaccato di fegato di maiale], e pos-
e ‘l vero paternostro è il fegatello, sono essere tre, due e solo uno, e, almeno quello [: il
e posson esser tre, due ed un solo,6 fegatello], deriva [certamente] dal fegato.
e diriva dal fegato almen quello.7 6-8 E siccome io vorrei bere [il mosto] con un ghiac-
ciolo [: recipiente in cui si teneva il ghiaccio], se Mao-
E perch’io vorrei ber con un ghiacciuolo, metto (Macometto) proibisce (vieta) [di berlo] e rim-
se Macometto il mosto vieta e biasima, provera (biasima) [chi lo fa], io credo che egli sia un
credo che sia il sogno o la fantasima; sogno o un’allucinazione (fantasima);
117
ed Apollin debbe essere il farnetico, 117 1-2 e Apollo deve essere un pazzo (farnetico) e
e Trivigante forse la tregenda.8 Trivigante, forse, la tregenda.
3-4 La fede è come il solletico [: c’è chi la sente, e chi
La fede è fatta come fa il solletico: no], credo che tu mi capisca con la tua intelligenza
per discrezion mi credo che tu intenda. (per discrezion) [: con l’intelligenza che ci vuole per
Or tu potresti dir ch’io fussi eretico: capire l’allusione del verso precedente].
5-8 Adesso potresti dire che io sono (ch’io fussi) ereti-
acciò che invan parola non ci spenda, co: perché tu non spenda inutilmente [le tue parole], ve-
vedrai che la mia schiatta non traligna drai che la mia stirpe (schiatta) non degenera (traligna)
e ch’io non son terren da porvi vigna.9 [: vedrai che siamo così di famiglia] e che io non sono ter-
reno sul quale si possa impiantare (da porvi = ‘[tale] da
metterci’) una vigna [: è impossibile convertirmi].
118
Questa fede è come l’uom se l’arreca. 118 1-4 La fede, di cui stiamo parlando, è come uno
Vuoi tu veder che fede sia la mia?, (l’uom: indefinito) se la porta [dalla nascita] (se l’arre-
ca) [: rimane sempre la stessa]. Vuoi vedere che tipo di
che nato son d’una monaca greca fede sia la mia? [Dato] che sono nato da una monaca
e d’un papasso in Bursia, là in Turchia. greca e da un sacerdote musulmano (papasso), in
E nel principio sonar la ribeca10 Bùrsia, [una città] là in Turchia.
5-8 E all’inizio mi piaceva (mi dilettai) suonare la ri-
mi dilettai, perch’avea fantasia
becca, perché avevo voglia di (avea fantasia) cantare
cantar di Troia e d’Ettore e d’Achille, [le imprese] di Troia, di Ettore e di Achille, non sola-
non una volta già, ma mille e mille. mente (già) una volta, ma mille e mille.
119
Poi che m’increbbe il sonar la chitarra,11 119 1-2 Dopo che (Poi che) mi stancai (m’increb-
io cominciai a portar l’arco e ’l turcasso. be) di suonare il mio strumento (chitarra), cominciai
a portare l’arco e la faretra (’l turcasso).
5 nell’aspro che il mangurro: c’è un gioco di 7 diriva...almen quello: Pulci ironizza sulle 9 vigna: la metafora della vigna è tratta dai
parole: il mangurro è una moneta turca di complicate discussioni teologiche intorno Vangeli.
rame; l’aspro una moneta turca d’argento, alla Trinità. 10 ribeca: è uno strumento medievale ad
ma anche il vino aspro. 8 tregenda: detta anche “sabba”, è la riu- arco.
6 posson esser tre...un solo: Margutte nione di streghe e diavoli; qui la parola è 11 chitarra: indica qui uno strumento a
scherza sulla Trinità, avendo parlato di introdotta per un gioco fonico con Trivi- corda in genere, come la ribeca.
madre, figliuolo e paternostro. gante.
817
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
Un dì ch’io fe’ nella moschea poi sciarra, 3-8 Poi, un giorno che suscitai una rissa (fe’… sciarra) nella
moschea, dove io uccisi il mio vecchio padre (papasso), mi mi-
e ch’io v’uccisi il mio vecchio papasso,
si al fianco (allato) questa scimitarra, e cominciai ad andarme-
mi posi allato questa scimitarra ne a spasso per il mondo; e portai (ne menai) con me (con me-
e cominciai pel mondo andare a spasso; co) come compagni [di viaggio] (per compagni) tutti i peccati
e per compagni ne menai con meco sia dei turchi, sia dei greci;
120
anzi quanti ne son giù nello inferno: 120 1-4 anzi tutti quelli che sono (quanti ne son) laggiù
nell’inferno: di [peccati] capitali (de’ mortali), io ne ho set-
io n’ho settanta e sette de’ mortali,
tantasette, che non mi lasciano mai stare né d’estate, né d’in-
che non mi lascian mai la state o ’l verno; verno (la state o ’l verno); pensa poi a quanti ne ho di [peccati]
pensa quanti io n’ho poi de’ venïali!13 veniali (de’ venïali)!
Non credo, se durassi il mondo etterno, 5-8 Non credo che, se il mondo durasse in eterno, si potreb-
bero commettere tanti mali quanti ne ho commessi solo io
si potessi commetter tanti mali nella (alla) mia vita, e ho [in mente] tutto l’elenco (ogni parti-
quanti ho commessi io solo alla mia vita; ta) [dei miei peccati] in ordine alfabetico (per alfabeto).
ed ho per alfabeto ogni partita.
121
Non ti rincresca l’ascoltarmi un poco: 121 1-2 Non ti dispiaccia (rincresca) di ascoltarmi un po’: tu
tu udirai per ordine la trama. sentirai il catalogo [dei miei peccati] (la trama) in ordine.
3-8 Finché (Mentre ch’<e>) ho denaro, mentre sto giocando
Mentre ch’io ho danar, s’io sono a giuoco, [d’azzardo] (s’io sono a giuoco), rispondo come un amico a
rispondo come amico a chiunque chiama;14 chiunque chiama [a stare al gioco]; sempre e comunque (d’o-
e giuoco d’ogni tempo e in ogni loco, gni tempo e in ogni loco) fino a che (tanto che) non mi sono
giocato (io m’ho giucato) completamente (al tutto) sia i
tanto che al tutto e la roba e la fama [miei] beni (la roba) sia il [mio] buon nome (la fama), e persi-
io m’ho giucato, e’ pel già della barba: no (già) i peli della barba: guarda se questo, come prima cosa
guarda se questo pel primo ti garba. (pel primo), ti piace (garba).
122
Non domandar quel ch’io so far d’un dado, 122 1-4 Non domandare cosa so fare io con i dadi (d’un da-
o fiamma o traversin, testa o gattuccia, do), o fiamma o traversino, testa o gattuccia e lo spuntone, e
ragiona per analogia (va’ per parentado = ‘vai per parentela’):
e lo spuntone,15 e va’ per parentado, [: quello che so fare ai dadi, lo puoi capire pensando a quello
ché tutti siàn d’un pelo e d’una buccia. che so fare con le carte], perché siamo (siàn) tutti fatti allo
E forse al camuffar ne incaco o bado stesso modo (d’un pelo e d’una buccia).
5-7 E forse me ne infischio (incaco) o esito (bado) a barare
o non so far la berta o la bertuccia, (camuffar), o non so ingannare (far la berta) o fare il finto
o in furba o in calca o in bestrica mi lodo? tonto (o [far] la bertuccia) o esagero nel lodarmi (mi lodo) tra
Io so di questo ogni malizia e frodo. i furbi (in furba), nella calca o in una truffa (in bestrica)? [: la
domanda è retorica, e ricca di termini gergali]
8 In questo [campo] [: il gioco] io conosco ogni trucco (mali-
123 zia) e inganno (frodo).
La gola ne vien poi drieto a questa arte. 123 La gola segue (ne vien… drieto; drieto = ‘dietro’) poi
Qui si conviene aver gran discrezione, questa arte [: quella di barare]. Qui bisogna (si conviene) ave-
re grande intelligenza (discrezione), conoscere con precisio-
saper tutti i segreti, a quante carte, ne (a quante carte = ‘a che pagina [di un immaginario libro]’)
del fagian, della starna e del cappone, tutti i segreti del fagiano, della starna e del cappone, [e sapere]
di tutte le vivande a parte a parte per bene (a parte a parte) di tutti i cibi dove si trovi il boccone
[più] tenero (morvido = ‘morbido’); e non sbaglierei (fallirei)
dove si truovi morvido il boccone;
di una parola su questo argomento (di ciò), [cioè su] come si
e non ti fallirei di ciò parola debba mangiar bene (tener… unta la gola).
come tener si debba unta la gola.
12 tutti i peccati...greco: i turchi avevano contare quelli veniali, cioè quelli che non mini tecnici in uso ancora oggi.
fama di violenti; i greci di ingannatori. sono puniti con la dannazione eterna. 15 fiamma...spuntone: termini gergali che si
13 settanta e sette...de’ venïali: Margutte 14 rispondo...chiama: nelle partite a carte, riferiscono al gioco dei dadi, ma il cui signifi-
qui aumenta a dismisura i peccati capitali, “chiamare” vuol dire invitare qualcuno a cato preciso è per noi oscuro.
che sono solo sette, e non riesce neanche a stare al gioco, cioè a “rispondere”. Sono ter-
818
CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
124
S’io ti dicessi in che modo io pillotto, 124 Se io ti dicessi come ungo [l’arrosto] (pillotto) [mentre
o tu vedessi com’io fo col braccio, questo gira sullo spiedo], o tu vedessi come faccio io con il
braccio [per ungere l’arrosto], tu mi diresti certo che sono
tu mi diresti certo ch’io sia ghiotto; ghiotto; quante cure (parte) richieda (aver vuole) un migliac-
o quante parte aver vuole un migliaccio,16 cio, che deve (vuole) essere ben cotto, ma non bruciato, ma
che non vuole essere arso, ma ben cotto, non molto caldo, e neppure [freddo come] ghiaccio (non anco
di ghiaccio), anzi, in una [temperatura] intermedia (anzi in
non molto caldo e non anco di ghiaccio, quel mezzo) [: tiepido], e unto ma non grasso – ti pare che io
anzi in quel mezzo, ed unto ma non grasso lo sappia (pàrti ch’i’ ’l sappi?) [: non ti sembra che io me ne in-
(pàrti ch’i’ ’l sappi?), e non troppo alto o basso. tenda?] – e [a fuoco] non troppo alto né troppo basso.
125
Del fegatello non ti dico niente: 125 Del fegatello non ti dico niente [in confronto a tutto
vuol cinque parte, fa’ ch’a la man tenga: quello che si potrebbe dire]: richiede (vuol) cinque accorgi-
menti (parte), fa’ in modo di tenerne [il conto] sulle dita (a la
vuole esser tondo, nota sanamente, man): deve (vuole) essere, nota con attenzione (sanamente),
acciò che ‘l fuoco equal per tutto venga, tondo, affinché (acciò che) il fuoco arrivi [in modo] uguale
e perché non ne caggia, tieni a mente, dappertutto [: la cottura sia uniforme] e perché, ricordati (tie-
ni a mente), non ne coli via (caggia = ‘cada’) la goccia [di quel
la gocciola che morvido il mantenga: grasso] che lo mantiene morbido: dunque, dividiamo la prima
dunque in due parte dividiàn la prima, [regola] in due regole (parte), perché (ché) bisogna (si vuol)
ché l’una e l’altra si vuol farne stima. badare (farne stima) all’una e all’altra.
126
Piccolo sia, questo è proverbio antico, 126 [Che il fegatello] sia piccolo, questo è un detto (prover-
e fa’ che non sia povero di panni, bio) antico, poco coperto di rete (povero di panni) [: l’intesti-
no del maiale avvolto sul fegato], poiché (però che) questo
però che questo importa ch’io ti dico; che io ti dico è importante (importa); non molto cotto, bada a
non molto cotto, guarda non t’inganni! non sbagliarti (guarda non t’inganni)! Perché così cotto al
ché così verdemezzo, come un fico sangue (verdemezzo), sembra che ti si sciolga (si strugga) [in
bocca] come un fico quando lo mordi (l’assanni = ‘l’azzanni’);
par che si strugga quando tu l’assanni; fa’ [in modo] che sia caldo; e puoi spargerci sopra il sale (sonar
fa’ che sia caldo; e puoi sonar le nacchere,17 le nacchere), e poi le spezie, la scorza d’arancia (melarance) e
poi spezie e melarance e l’altre zacchere. altre cosucce (zacchere).
16 migliaccio: è fatto con sangue di maiale cotto. 17 puoi sonar le nacchere: la metafora del sonar le nacchere è usata
perché ricorda il gesto delle dita nello spargere il sale.
ANALISI L’eccesso lessicale e gastronomico Uno dei tratti stilistici caratteristici dell’opera di Pulci
è la sovrabbondanza lessicale, la tecnica dell’elenco di vocaboli. Non si tratta di un puro gioco
linguistico: qui essa coincide con il gusto di elencare i cibi. L’assaporamento della parola in
819
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
ottava contenuto
115 elenco di cibi («cappone», «burro», «cervogia», «mosto», «vino»)
122 un elenco, in termini tecnici, di mosse al gioco dei dadi («fiamma», «traversin»,
«testa», «gattuccia», «spuntone»)
124 e 125 elenchi di modi di cuocere cibi diversi, fra i quali soprattutto il fegatello
Il gusto del termine preciso (tecnico addirittura) si unisce a quello del cumulo di parole, con
una tendenza all’eccesso che, di nuovo, è nelle cose (Margutte è un goloso che non cesse-
rebbe mai di mangiare) ma anche nelle parole: Pulci non cesserebbe mai di aggiungere nuovi
vocaboli, senza preoccuparsi della misura.
INTERPRETAZIONE Il mondo alla rovescia Il “credo” gastronomico di Margutte rovescia quello cristiano. La
E COMMENTO torta, il tortello e il fegatello costituiscono (ottava 116) una sorta di nuova Trinità, che sostitui-
sce quella cristiana, ma anche quella musulmana (formata da «Apollino», «Macometto» e «Trivi-
gante»). In realtà, le varie religioni sono tutte equivalenti: rappresentano astrazioni e conven-
zioni ideali a cui Margutte (e con Margutte, per qualche verso, anche Pulci) contrappone una
“religione” concreta che risponde alle esigenze del corpo, fondate sui bisogni immediati. Alla
base della logica che è presente sia nei canti dei clerici vagantes medievali, sia nella poesia
comica e giocosa (da Cecco Angiolieri al Burchiello), c’è la tecnica del rovesciamento, che
oppone ai valori spirituali del mondo ufficiale quelli bassi e corporali del ventre e del sesso. È
un procedimento che dal Medioevo passa all’età rinascimentale, a Pulci e, in Francia, al grande
Rabelais.
3. Individua gli aspetti più originali e fuori dal comu- tecniche espressive:
ne dell’autoritratto di Margutte. In che modo culmina
questo ritratto di ribelle? INTERPRETAZIONE E COMMENTO
4. Rintraccia nell’ottava 112 tutti i complementi di 7. Il tema gastronomico assume una funzione di con-
luogo, specificando a quale tipologia appartengono. trapposizione al tema religioso, su cui Margutte riflet-
te nelle ottave 116-118, ponendo sullo stesso piano
5. Lingua e lessico Al v. 8 dell’ottava 112 Pulci tutte le fedi. Quale unica realtà riconosce Margutte?
usa il termine «passo»: con quale significato? Con Può essere questa messa in relazione con la visione
l’aiuto del dizionario, rintraccia i diversi significati di umanistica della dignità dell’uomo?
questa parola.
820
CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
TEMI DI CITTADINANZA
821
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA B IMPARARE AD ARGOMENTARE
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Riassumi il contenuto informativo del testo in non più di tre righe.
2. Oltre alla diminuzione delle risorse, quale altro fenomeno rende problematica un’alimentazione sufficiente
per tutti?
3. Perché la dieta vegetariana contribuisce a risparmiare il cosiddetto “oro blu”?
4. Quali caratteristiche deve avere una dieta perché sia sostenibile per l’ambiente?
PRODUZIONE
“Lo spreco alimentare è uno scandaloso paradosso del nostro tempo”: questa affermazione sottolinea l’as-
surdità di un fenomeno tipico degli ultimi decenni. Sono le cattive abitudini della vita quotidiana dei consu-
matori a determinare questo spreco? Oppure è da considerare un’inevitabile conseguenza di un sistema
economico consolidato che comunque, nel complesso, risulta vantaggioso per tutti?
Fai riferimento alle tue conoscenze e alla tua esperienza e redigi un testo argomentativo in cui indaghi le
cause di questo fenomeno.
822
CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
Teofilo Folengo
La vita: tra il Teofilo Folengo nasce a Mantova nel 1491. Diventato frate benedettino, trascorre alcuni anni
convento e la vita in un convento di Padova, dove entra in contatto con la lingua maccheronica. Nel 1517 compo-
politica
ne la prima redazione delle Maccheronee (quella definitiva uscirà postuma nel 1552), opera
composta in latino maccheronico ( Informazioni, Maccaronea, maccheroni, maccheronico),
che comprende il poema cavalleresco Baldus. Nel 1525 Folengo esce dall’ordine dei monaci
benedettini e si trasferisce a Venezia, dove lavora al servizio di Camillo Orsini, capitano della
Repubblica. Scrive in volgare il poema cavalleresco Orlandino, che racconta la storia dei genito-
ri di Orlando e l’infanzia del paladino. Nel 1534, dopo un periodo di penitenza, Folengo è riam-
messo nell’ordine dei benedettini e vive in diversi conventi, anche nell’Italia meridionale.
Muore a Bassano del Grappa nel 1544.
Il Baldus: una Il Baldus è un poema cavalleresco che, attraverso la mescolanza di latino e volgare, crea un ef-
parodia del poema fetto comico e trasgressivo. La fusione dell’epico e del burlesco mira a costituire un antimo-
cavalleresco
dello rispetto al contemporaneo e classico Orlando furioso ariostesco. Nel Baldus interagiscono
ZIONI
INFORMA
Maccaronea, maccheroni, maccheronico
Il termine “maccaronea”, da cui l’ag- che proviene dai maccheroni, una pie- scritta in latino maccheronico è proprio
gettivo “maccheronico”, deriva da tanza rozza simile agli gnocchi, fatta il Baldus di Folengo.
“maccherone”, che ha il significato di con un miscuglio di farina, formaggio Oggi l’aggettivo “maccheronico” defi-
‘cibo grossolano, piatto rustico’, che e burro. nisce, per estensione, ciò che è scritto
a sua volta proviene dal greco maka- Il latino maccheronico è una lingua ar- o parlato in una forma storpiata, alte-
ria, un piatto a base di brodo e di orzo, tificiale, una mescolanza di latino e di rata, scorretta o sgrammaticata (per
o da “macco”, cioè una polenta di fave italiano, usata nelle maccheronee, com- esempio “una lettera in inglese mac-
sminuzzate e quindi poco pregiata. Lo ponimenti in versi di carattere burlesco cheronico”). Con “maccheroni” ci si ri-
stesso Folengo, nelle sue Macchero- o satirico diffusi in ambito studentesco ferisce invece non più agli gnocchi, ma
nee (in cui è compreso il Baldus) de- nella Padova della seconda metà del a un tipo di pasta di grano duro a forma
finisce l’arte maccheronica come arte Quattrocento. L’opera più importante tubolare, internamente vuota.
823
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
ZIONI
INFORMA
Il cibo nelle arti figurative
Nel dipinto di Bruegel vengono rappre- “Chi ha rovesciato la polenta non riesce ziana che tiene in mano un uovo sotto
sentati una serie di detti popolari lega- a raccoglierla tutta”, e cioè che non si alla capanna ricorda il proverbio: “Af-
ti al cibo e alle abitudini alimentari può porre rimedio quando il danno è ferra l’uovo di gallina lasciandosi scap-
dell’epoca. A sinistra, le focacce sul tet- già fatto. Alle pagnotte di pane appog- pare quello dell’oca”, peccando cioè di
to rimandano al proverbio: “Il tetto è ri- giate sul grande tavolo sempre in bas- avidità (accanto è rappresentato anche
vestito di focacce”, per indicare un luo- so a destra, che l’uomo al centro della un uovo provvisto di piedi, ovviamente
go in cui regna l’abbondanza e lo spre- tavola cerca di afferrare, va invece il di oca).
co. Nell’angolo in basso a destra c’è compito di ricordare l’espressione po- La cucina grassa di Heyden, comple-
invece una donna piegata a raccoglie- polare: “Non riesce ad andare da una mentare alla tavola La cucina magra,
re della polenta che si è rovesciata a pagnotta all’altra”, riferita al fatto che è ricca di cibi come un paese di Cucca-
terra. In questo caso si allude al detto: non gli bastano mai i soldi. Infine, l’an- gna, in cui si abbuffano panciuti per-
sonaggi di ogni età. L’immagine in pri-
mo piano della prosperosa madre che
allatta con un bicchiere di vino in mano
sottolinea il simbolo positivo del cibo
come principio generatore di vita.
824
CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
DIGIT comicamente una cultura popolare, ispirata alla corporalità e alla materialità del mondo conta-
APPROFONDIMENTI
Cesare Segre, dino, e una cultura umanistica fondata soprattutto sulla conoscenza di Virgilio (il Baldus, come
L’espressionismo l’Eneide, è scritto in esametri, i versi della poesia epica). L’universo basso e stravolto dei contadi-
del Baldus: il
“cannibalismo” ni è accostato all’eroismo e alle situazioni eccezionali dell’epica classica, di continuo evocata.
letterario di
Folengo L’autore usa lo pseudonimo di Merlin Cocai: il nome deriva dal leggendario mago Merlino e
conferma l’immagine di poeta come indovino bizzarro che Folengo voleva dare di sé; mentre
“Cocai” sembra derivato da una parola veneziana che significa ‘sciocco’.
Le due parti L’opera si divide in due parti: la prima parte occupa undici libri e racconta l’infanzia e la gio-
dell’opera vinezza del protagonista Baldo (un personaggio costruito sull’esempio del Margutte di Pul-
ci). Baldo trascorre le giornate in compagnia di Fracasso (che ricorda a sua volta un altro perso-
naggio di Pulci, cioè Morgante) e di Falchetto, mezzo uomo e mezzo cane. La seconda parte
del poema, che occupa altri quattordici libri, racconta i viaggi di Baldo tra incantesimi, ma-
ghi e demoni fino alla “casa della fantasia”, sede dei cantori e dei poeti che raccontano
bugie. Qui Merlin Cocai decide di fermarsi, abbandonando i personaggi e interrompendo così
la narrazione prima che Baldo abbia concluso la sua lotta contro le potenze infernali.
Il paese di Il Baldus si apre con una descrizione del paese di Cuccagna. In questo modo, Folengo rove-
Cuccagna e le scia il paesaggio arcadico, tradizionale sede delle Muse: niente più boschetti, limpide acque,
Muse grasse di
Folengo fresche ombre, ma un luogo costituito solamente di delizie culinarie. Lo recingono immense
montagne di «formaggio tenero, stagionato e stagionatello». Vi scorrono «fiumi di brodo» che
formano un «lago di zuppa»: ai bordi, una costa di «fresco e tenero burro». Da zattere e barche di
torta si pescano gnocchi, frittelle e salsicce. In questo paesaggio compaiono le Muse folenghia-
ne, che non sono più le divinità eteree della poesia greca, ma cuoche grasse e panciute. Il poe-
ta stesso non si ciba dell’ambrosia divina, ma di gnocchi in «otto catini di polenta». La poesia, af-
ferma Merlin Cocai, non nasce dal cuore, ma «dalle budella della mia pancia» ( T2, p. 826). La
metafora del cibo e del paese di Cuccagna serve a Folengo per rovesciare i valori e il linguaggio
cavallereschi: gli eroi epici vengono degradati a ridicoli ghiottoni.
FACCIAMO IL PUNTO
Che valori simboleggia il paese di Cuccagna?
Quali sono i temi del Baldus di Folengo?
Baldo
il gigante Cingar
il gigante Fracasso
Personaggi Falchetto, metà uomo e metà cane
Zambello, figlio di un contadino
Tognazzo, podestà del villaggio
Merlin Cocai
825
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
Mi è venuta la fantasia – matta più che mai – di cantare con le grasse Camene1 la storia di Baldo.
La sua fama altisonante, il suo nome gagliardo ammira tremando la terra, e il baratro d’inferno
per la paura si caca addosso. Ma prima bisogna invocare l’aiuto vostro, o Muse che effondete con
larghezza l’arte maccheronica. Potrà mai la mia gondola2 superare gli scogli del mare, se il vostro
5 aiuto non l’avrà raccomandata? No, i carmi non mi dettino Melpomene, né quella minchiona di
Talia, né Febo3 che gratta la sua chitarrina; ché, se penso alle budella della mia pancia, non si ad-
dicono alla mia piva4 le ciance di Parnaso. Ma soltanto le Muse pancifiche, le dotte sorelle, Gosa,
Comina, Striazza, Mafelina, Togna, Pedrala,5 vengano a imboccare di gnocchi il loro poeta, e mi
rechino un cinque o un otto catini di polenta.
10 Queste son quelle grasse mie dee, queste le ninfe sbrodolone il cui albergo, regione e ter-
ritorio stan racchiusi in un remoto cantone del mondo6 che la caravella degli spagnoli non
ancora ha raggiunto.7 Si leva in tal luogo una grande montagna che giunge fino alle scarpe
della Luna,8 e, se qualcuno la paragona allo smisurato Olimpo,9 dirà pure l’Olimpo una col-
linetta piuttosto ma non un monte. Qui non ci sono i corni del Caucaso,10 non le giogaie
15 del Marocco,11 non l’Etna che sputa i suoi bruciori di zolfo; qui non si cavano, come nella
montagna di Bergamo,12 le rotonde pietre che vedi pirlare nel mulino a macinare la biada;
alpi13 di formaggio invece noi abbiamo attraversato laggiù, di formaggio tenero, stagionato
e stagionatello. Credetemelo, ve lo giuro, per quanti tesori la terra nasconde, una bugia non
potrei mai dirvela: scorrono colaggiù profondi fiumi di brodo che formano un lago di zuppa
20 e un pelago di guazzetto.14 E qui, fatti di pasta di torta, si vedono passare e ripassare mille
zattere, barche, brigantini leggeri, da cui le Muse gettano di continuo lacci e reti cucite con
budella di maiale e con busecche di vitello, e pescano gnocchi, frittole e gialle tomacelle.15
Metrica dell’originale: esametri. gna, simbolo della poesia pastorale. La montagna è perciò altissima.
5 Gosa...Pedrala: si tratta di nomi propri, che 9 Olimpo: è il monte della mitologia greca in
1 Camene: divinità romane identificate con in alcuni casi evocano cognomi diffusi ancora cima al quale dimorano gli dèi.
le Muse greche ( Informazioni, Maccaro- oggi nel bresciano (per esempio Pedrali, Maf- 10 i corni del Caucaso: le cime del Caucaso, il
nea, maccheroni, maccheronico, p. 823). folini), e in altri casi caratteristiche fisiche o sistema montuoso che si snoda tra il Mar
2 gondola: la scelta di questa imbarcazione culturali del bresciano, terra un tempo di Nero e il Mar Caspio.
da parte di Folengo riduce la solennità del gozzuti (Gosa) e di processi alle streghe 11 le giogaie del Marocco: le catene mon-
viaggio della mente, unendo all’atto di mode- (Striazza); essi suonano perciò familiari al tuose del Marocco, nel Nord Africa.
stia l’inevitabile comicità prodotta dalla con- poeta. Folengo definisce le cinque sorelle 12 Bergamo: una città della Lombardia, le
notazione realistica e regionale della gondola dotte per antifrasi. cui cave (presso la località di Sarnico) forni-
(la gondola è infatti un’imbarcazione caratte- 6 in un remoto cantone del mondo: è il paese vano pregiate pietre da mulino.
ristica della laguna di Venezia, città in cui il della Cuccagna o del Bengodi tipico della tra- 13 alpi: si intende genericamente ‘monta-
poeta visse dal 1525 al 1530). dizione popolare e in particolare descritto da gne’.
3 Melpomene...Talia...Febo: sono rispettiva- Boccaccio nella novella di Calandrino. 14 un pelago di guazzetto: un mare di sugo; il
mente, nella mitologia classica, la musa della 7 la caravella degli spagnoli non ancora ha guazzetto è un sugo piuttosto abbondante
tragedia, la musa della commedia e il dio della raggiunto: è un’allusione alle navigazioni di in cui si fa cuocere il pesce o la carne.
poesia. Si noti la degradazione parodica di Colombo e alle scoperte geografiche: nes- 15 gialle tomacelle: le tomacelle sono una
Apollo, tradizionalmente rappresentato a suno è ancora riuscito, né riuscirà, a scoprire specie di salsicciotti di frattaglie tritate e spe-
suonare la cetra e qui abbassato a grattare le e conquistare il paese dell’evasione fanta- ziate con zafferano (da cui deriva il colore
corde di una chitarrina. stica. giallo), chiuse in una reticella di maiale per
4 piva: è uno strumento simile alla zampo- 8 alle scarpe della Luna: ai piedi della Luna. essere fritte.
826
CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
Descrizione del
Paese di Chucagna,
dove chi manco
lavora più
guadagna, incisione
di Remondini di
Bassano del 1760
circa.
Ma son dolori quando quel lago va in tempesta, e con le onde turbate bagna i soffitti del
cielo. Non tempeste di tal fatta, o lago di Garda, tu meni quando strepitano i venti intorno
25 alle case di Catullo.16
Qui le costiere sono di fresco e tenero burro, e cento pentole mandano il fumo sino alle
nubi, cento pentole, piene di tortelli, di gnocchi e di tagliatelle.17 Le ninfe abitano sulla cima
dell’alto monte, e tritano continuamente formaggio sulle grattuge forate. Altre si dan da fare
a formar teneri gnocchi che rotolano già alla rinfusa nel formaggio grattugiato e dal ciuffo
30 del monte van sempre giù ruzzolando sino a farsi grossi come panciute botti.18 O quanto fa
d’uopo spalancare le ganasce ancorché larghe, se d’un tal gnocco19 vuoi pascere la ventraia!20
Altre tagliano a strisce la fogliata21 e tu le vedi riempire cinquanta lavezzi22 di tagliatelle e di
grasse lasagne. Nel frattempo altre, mentre la padella brontola per il troppo fuoco, tirati da
parte i tizzoni, vi soffiano sopra, se per il molto fuoco il brodo salta fuori dalla pignatta. Per
35 farla breve, ognuna di esse si dà da fare a cuocere la propria minestra; ond’è che mille camini
vedi fumare, e mille pentole borbottano appese alla catena.
È qui che ho pescato, primo fra tutti, l’arte maccheronesca, qui Mafelina mi ha fatto pan-
cifico poeta.
T. Folengo, Opere, a cura di C. Cordié, in Folengo, Aretino, Doni, Opere, Ricciardi, Milano-Napoli 1977;
la traduzione, del curatore, è qui riportata con piccole modifiche.
16 case di Catullo: il poeta latino Catullo (I un’analogia con la caduta delle slavine. ricorda anche che l’ispirazione poetica
secolo a.C.) possedeva una villa a Sirmione, 19 O quanto...gnocco: l’esclamazione vuole giunge al poeta attraverso un nutrimento
sul lago di Garda. essere di tono epico, ma la visione grottesca e non intellettuale, ma materiale e grossolano.
17 tortelli...tagliatelle: si tratta di piatti bassa della bocca spalancata in attesa dello 21 fogliata: è la pasta tirata con il mattarello,
ancora in uso in Veneto e nel mantovano. gnocco rotolato dal monte gli conferisce un fino a diventare una sfoglia.
18 rotolano...botti: gli gnocchi rotolano a tono piuttosto burlesco e satirico. 22 lavezzi: si tratta di pentole o tegami.
valle dalla cima del monte mescolandosi al 20 ventraia: grosso addome. Rimanda al ven-
formaggio e diventando via via più grossi: c’è tre grasso delle Muse maccheroniche; ma
827
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
INTERPRETAZIONE Il tema gastronomico e la poetica di Folengo Le grasse Camene qui invocate non sono che
E COMMENTO il rovescio comico delle Muse. Queste creature non vivono sul monte del Parnaso, ma nel paese
di Bengodi; non hanno nomi resi famosi dal mito, ma quelli rustici delle donne contadine; non
sono dedite ad alte attività rivolte a nobilitare la vita umana ma cuociono maccheroni e polenta
per sostenere il loro panciuto poeta e aiutarlo a intonare il suo canto. L’elemento comico è inol-
tre collegato al tema dell’eccesso, soprattutto gastronomico. Nel paese di Bengodi tutto è gigan-
tesco: vi si levano alpi di formaggio e vi scorrono fiumi di brodo, mentre in laghi di zuppe e in mari
di guazzetto galleggiano imbarcazioni fatte di pasta di torta. Il paesaggio, insomma, non è misu-
rato e idillico, con ruscelli, alberi e greggi, come nella tradizione classica e nella sua ripresa uma-
nistica, ma smisurato e ricco di liquidi corporali e grossolani legati al motivo del cibo.
828
CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
Gargantua e Il Gargantua e Pantagruele fu pubblicato in quattro libri, fra il 1532 e il 1552 (nel 1564 uscì
Pantagruele anche il Libro quinto, che però non è tutto opera di Rabelais). È difficile dare un’idea della strut-
tura di questa vasta opera, perché manca una trama vera e propria. La storia è costituita da
una serie di episodi che, anche quando sono unificati da un personaggio o da un tema, con-
tengono digressioni e ramificazioni di vario genere. Tuttavia, è possibile rintracciare nei pri-
mi due libri un’impostazione simile, articolata secondo lo schema del romanzo di formazio-
ne. Di fronte al Gargantua e Pantagruele il lettore resta smarrito perché i rapidi mutamenti del
punto di vista lo costringono a guardare il mondo da una prospettiva diversa da quella usuale.
L’ottica smisurata e anomala del gigante protagonista altera le normali proporzioni, sfi-
dando ogni interpretazione conformistica della realtà. Irregolarità e dismisura caratterizza-
no anche lo stile dell’opera. La lingua di Rabelais è una lingua concreta, visiva, che unisce la
parola all’immagine. Ma questa concretezza non porta alla rappresentazione realistica, bensì
alla deformazione fantastica e paradossale. Spesso si accumulano sulla pagina frasi assurde,
accostate l’una accanto all’altra in modo caotico. Rabelais fa un uso libero del linguaggio, me-
scolando i registri e i toni più diversi, anche se privilegia lo stile comico.
La nascita di Il Libro primo (in realtà pubblicato per secondo nel 1534) narra la strana nascita del gigante
Gargantua Gargantua, principe ereditario della terra di Utopia, che la madre partorisce da un orecchio.
Egli passa l’infanzia nel «bere, mangiare e dormire, mangiare, dormire e bere», finché viene
DIGIT
istruito da un teologo secondo i vecchi metodi medievali. Il padre però si accorge che il figlio
TESTI non ne trae giovamento; allora lo affida a Panocrate, che lo educa a un sano sviluppo del corpo
François Rabelais,
L’infanzia e della mente secondo i princìpi della formazione umanistica. Conoscerà poi frate Fracassatut-
di Gargantua to, che lo aiuterà a difendere il proprio paese da attacchi nemici.
La nascita di Nel Libro secondo (pubblicato per primo nel 1532) si narrano la nascita di Pantagruele, l’in-
Pantagruele fanzia e il viaggio a Parigi, dove il gigante riceve un’educazione moderna. A Parigi Pantagruele
incontra Panurge, un chierico vagante che parla tredici lingue, malizioso, truffaldino e bevito-
re, e d’ora in poi compagno fedele del gigante. Insieme sconfiggeranno i Dipsodi che hanno in-
vaso la terra di Utopia.
Le avventure di Nel Libro terzo (1545) si raccontano le avventure di Pantagruele e Panurge. Quest’ultimo
Pantagruele e del vuole sposarsi, ma ha paura di trovare una moglie infedele e non sa decidersi. Per avere consi-
chierico Panurge
glio va a trovare vari personaggi: una sibilla, un vecchio poeta, un astrologo, un teologo, un me-
dico filosofo, un giudice, un pazzo. Ma nessun responso è soddisfacente; anche perché Panta-
gruele e Panurge interpretano sempre in modo divergente le ambigue risposte che vengono da-
te loro. I due decidono quindi di andare a consultare l’oracolo della Divina Bottiglia: si tratta
della parodia di un tema classico, quello dell’eroe che cerca nelle parole enigmatiche della di-
vinità le risposte ai propri interrogativi (ma qui l’oracolo è una bottiglia di vino…).
829
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
La ricerca della Il Libro quarto (1552) descrive le peregrinazioni alla ricerca della Divina Bottiglia nei pae-
Divina Bottiglia si più strani, dall’isola dei Papafichi (i protestanti) a quella dei Papimani (i cattolici), dove si cri-
ticano la Curia romana e la pratica delle indulgenze, all’isola di Procurazione, dove vivono i
Mangiaprocessi (qui vi è una satira contro la magistratura). Varie avventure movimentano il
viaggio, come quella in cui Pantagruele visita il paese dei Gastrolatri (‘adoratori del ventre’). In
questo episodio viene inserita la più lunga enumerazione di piatti e bevande della lettera-
tura mondiale ( T3, p. 832). Il tema del cibo, presentato attraverso l’inesauribile elencazione
gastronomica, rimanda ai riti popolari della festa di carnevale, festa dell’abbondanza e dello
spreco e insieme prefigurazione del sogno del paese di Cuccagna.
Il ritrovamento Nel Libro quinto (uscito postumo nel 1564 e non tutto opera di Rabelais) continua il raccon-
della Divina to del viaggio favoloso di Pantagruele e di Panurge: dall’Isola Sonante (con allusione a Roma,
Bottiglia
città delle campane, e con nuovi attacchi alla Curia papale), dopo varie tappe, i due arrivano al
paese con l’oracolo della Divina Bottiglia. Ecco qual è il responso della sacerdotessa Bacbuc:
«Trink» (‘Bevi’). Il vino è l’unico rimedio contro le incertezze e il dubbio. Il senso simbolico
che questa enigmatica conclusione sembra suggerire è l’invito rivolto all’uomo a bere a tutte
le fonti del sapere per dominare la realtà, invece di attendere la soluzione dagli oracoli.
Un’opera La complessità e la voluta ambiguità del Gargantua e Pantagruele ne rendono problematica l’in-
polisemica terpretazione. La critica, in passato, ha sottolineato il significato serio del testo; poi l’attenzio-
ne si è spostata sull’aspetto comico. Senza dubbio, attraverso il riso, Rabelais trasmette un mes-
saggio: la fiducia nella civiltà umanistica e nella bontà della natura umana si traduce in una
visione della vita creativa e gioiosa. L’autore prende inoltre posizione sui temi più scottanti
del tempo: l’educazione, la politica, la religione. Tuttavia la sua opera è polisemica, si presta
cioè a diverse interpretazioni. In essa si confrontano diversi discorsi sul mondo: non c’è un
significato sicuro e definitivo; tutto è sempre rimesso in discussione.
Il tema del corpo in Nel Gargantua e Pantagruele il corpo è rappresentato sotto tutti gli aspetti: nella struttura
Rabelais anatomica, nel funzionamento fisiologico (mangiare, bere, fare l’amore, defecare), nella nasci-
ta e nella morte. Rabelais, oltre che colto frate, era infatti anche medico, e aggiunge all’imma-
gine umanista del corpo – bello, elegante, riflesso della perfezione interiore – un’altra imma-
gine, caratterizzata da una realistica, biologica materialità: l’immagine del corpo grotte-
sco, deforme, gigantesco, scandaloso, che si oppone all’estetica classica e rinascimentale
del bello per attingere alla tradizione comica e popolare. L’immagine grottesca del corpo po-
ne l’accento sugli orifizi e sulle protuberanze: bocca spalancata, occhi spalancati, denti spor-
genti, organi genitali, grosso ventre, naso. Il corpo è coinvolto in atti come l’accoppiamento,
la gravidanza, la nascita, il mangiare, il bere, il defecare. La sconcertante nascita di Gargantua
dall’alto (da un orecchio) anziché dal basso offre fin dalle prime pagine del romanzo un esem-
pio in cui confluiscono aspetti e funzioni del corpo grottesco (il ventre, il mangiare, il genera-
re, il capovolgimento) e in cui la precisione dell’analisi anatomica e fisiologica si fonde con la
deformazione comico-fantastica.
L’importanza del Il corpo assume dunque un ruolo decisivo nella formazione dell’uomo nuovo. L’infanzia di
corpo Gargantua è vissuta all’insegna della fisicità e della libera espressione degli istinti, anche ses-
nell’educazione
umanista suali. Nei capitoli sull’educazione di Gargantua, Rabelais non solo attribuisce grande importan-
za agli esercizi fisici, ma include la dimensione corporea anche durante le attività intellettua-
li: mentre mangia, Gargantua discute; mentre viene massaggiato e preparato, continua ad
ascoltare le lezioni. Il corpo viene educato secondo il modello umanista, in modo che cre-
sca energico, elegante, forte e agile, in funzione di un ideale di vita attiva: l’uomo è addestra-
to alla piena espressione delle sue tensioni vitali e insieme è educato a scaricare gli impulsi ag-
gressivi nelle attività sportive e nelle arti cavalleresche.
830
CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
La gioia di vivere e La dimensione gigantesca e frenetica delle attività fisiche di Gargantua ha effetti comici, ma è
la dimensione anche celebrazione del piacere fisico e della gioia di vivere. Nei frequenti banchetti descrit-
carnevalesca
ti nell’opera, in cui si nota il gusto per l’accumulo di particolari già presente in Pulci e in Folen-
go, il mangiare e il bere sono le manifestazioni più importanti della vita corporale. In que-
sto modo, Rabelais si ricollega alla tradizione giocosa della festa popolare e al carnevale.
È stato il critico russo Michail Bachtin a sottolineare l’importanza della tematica del corpo in
Rabelais collegandola allo spirito carnevalesco. Durante il carnevale i divieti sociali cadono,
all’insegna di un’assoluta libertà dei comportamenti, dei gesti e delle parole. Si propone una
specie di mondo alla rovescia in cui i principi ufficiali e gli ideali più alti risultano ribaltati e de-
risi. Esaltare il corporeo come fa Rabelais, mettere in alto il basso, significa attuare quel rove-
sciamento di valori che trova la sua massima espressione nel carnevale.
FACCIAMO IL PUNTO
Come è suddivisa l’opera di Rabelais Gargantua e Pantagruele?
Quale rappresentazione del corpo fornisce Rabelais?
Gargantua
Pantagruele
Personaggi Panocrate
Panurge
Frate Fracassatutto
831
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
Stando a guardare i musi e i gesti di tali poltroni magnigoli1 Gastrolatri,2 come intonti-
ti dallo stupore, sentimmo un potente suono di campanaccio, al quale tutti si ordinaro-
no come in battaglia, ciascuno secondo il suo ufficio, grado e anzianità. E così avanzarono
verso Messere Gaster, seguendo un grasso giovane e potente ventruto, il quale su un lungo
5 bastone ben dorato, portava una statua di legno, mal sbozzata e grossolanamente dipinta,
come la descrivono Plauto, Giovenale e Pomponio Festo. A Lione, di carnevale, lo chiamano
Mangiacrostini: quelli la chiamavano Manduca.3 Era un’effigie4 mostruosa, ridicola, orribile
e spaventosa ai bambini, con gli occhi più grandi del ventre e la testa più grossa di tutto il
resto del corpo, con ampie, larghe e spaventose mascelle, ben fornite di denti, tanto di sopra
10 come di sotto; le quali, col meccanismo di una cordicella nascosta nell’interno del bastone
dorato, si facevano l’un contro l’altra sbatacchiare terribilmente, come si fa a Metz col dra-
gone di San Clemente.
Avvicinandosi i Gastrolatri, vidi che erano seguiti da un gran numero di grossi valletti ca-
richi di ceste, panieri, gran cartocci, vasi, borse e marmitte. E così, sotto la guida di Manduca,
15 cantando non so quali ditirambi, crepalocomi, epenoni,5 offrirono al loro dio, aprendo le lor
corbe6 e marmitte:
Ippocrate bianco, con rosticcini secchi e friabili,
Pan bianco,
Pan di semola,
20 Panetti al burro,
Pan cittadino,
Carne ai ferri di sei qualità,
Arrosti di capra,
Strisciole di vitello arrosto fredde, senapizzate di polvere di zenzero,
25 Gnocchi di carne,
Rigaglie,
Fricassea, nove qualità,
Pasticcio di fegato al piatto,
Zuppe grasse di prima,
30 Zuppe di lepre,
Zuppe lionesi,
Cavoli cappucci alla midolla di bue,
Carne al ragù,
Guazzetti,
35 e beveraggio perpetuo frammezzo, cominciando col buono
832
CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
VERSO L’ESAME
TIPOLOGIA A ANALISI GUIDATA
COMPRENSIONE
Un immenso banchetto
L’episodio descrive il sacrificio culinario fatto dai Gastrolati a Messere Gaster. In realtà si tratta di un
immenso banchetto offerto al giovane che ha inventato, per il proprio popolo, l’agricoltura, la scienza,
le armi e ha costruito città e fortezze. Insomma, Messere Gaster è l’inventore del progresso tecnico
dell’umanità.
Che cosa tiene in mano il «giovane e potente ventruto»?
833
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
ANALISI
L’invenzione linguistica di Rabelais
Rabelais fa un uso estremamente libero del linguaggio, mescola i registri e le lingue più diverse lascian-
do spazio anche a parole di sua invenzione. In questo brano si nota il parallelismo che c’è tra il tema
dell’eccesso gastronomico, cioè del mangiare a crepapelle fino a calmare una fame “secolare”, e le
forme della scrittura.
Indica almeno tre parole inventate presenti in questo brano.
Quale tecnica espressiva è legata al tema dell’eccesso gastronomico? Individuala nel testo.
INTERPRETAZIONE E COMMENTO
Un banchetto per la comunità
Il mito dell’abbondanza legato all’immagine del banchetto non deve essere confuso con l’immagine dell’a-
vidità. Questo episodio serve sì a condannare la negatività di chi sacrifica tutto al ventre, ma rappresenta
anche l’importanza che questi ha per la società. Come ha sottolineato Bachtin, «non è il ventre biologico
di una creatura animale, ma l’incarnazione dei bisogni materiali di una collettività umana organizzata» (M.
Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare).
Quale rito popolare viene menzionato nel brano?
Una parodia della L’intero spazio della quotidianità, e dunque anche quello dei bisogni corporali, del cibo e del
bellezza femminile sesso, è rappresentato comicamente nella poesia di Berni, che compone elogi paradossali delle
834
CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
FACCIAMO IL PUNTO
Quali sono i temi principali trattati nelle Rime di Berni?
In che modo l’autore compie una parodia della bellezza femminile?
PARAFRASI
Chiome d’argento fino, irte e attorte 1-4 Capelli (Chiome) canuti (d’argento fino), ispidi (irte) e
senz’arte intorno ad un bel1 viso d’oro; spettinati (attorte senz’arte) intorno a un bel viso giallo (d’o-
ro); fronte rugosa (crespa), dove (u’) guardando (mirando) io
fronte crespa,2 u’3 mirando io mi scoloro, impallidisco (mi scoloro) [: per il ribrezzo], dove [sia] Amore
dove spunta i suoi strali Amor e Morte; [che] Morte spuntano le loro frecce (i suoi strali) [: sono en-
trambi impotenti];
5 occhi di perle vaghi, luci torte 5-8 occhi graziosi (vaghi) di lacrime e cispe (di perle), occhi
da ogni obietto diseguale a loro; (luci) distorti (torte) [: che distolgono lo sguardo] da ogni og-
getto (obietto) che non siano loro stessi (diseguale a loro)
ciglie di neve, e quelle, ond’io m’accoro, [: strabici]; ciglia (ciglie) canute (di neve), e quelle dita e
dita e man dolcemente4 grosse e corte; [quelle] mani (man) dolcemente grosse e corte, per cui (ond’)
io soffro (m’accoro);
labra di latte, bocca ampia celeste;5 9-14 labbra (labra) pallide (di latte), bocca larga (ampia) [e]
10 denti d’ebeno rari e pellegrini; livida (celeste); denti neri come l’ebano (d’ebeno), radi (rari)
e poco saldi (pellegrini); voce (armonia) incredibile (inaudi-
inaudita ineffabile armonia; ta) e indicibile (ineffabile); modi (costumi) sdegnosi (alteri)
e fieri (gravi): a voi, platonici (divini) cultori dell’amore corte-
costumi alteri e gravi: a voi, divini se (servi d’Amor) [: tra questi, il Bembo], dichiaro (palese fo)
che sono (son) queste le bellezze della mia donna.
servi d’Amor, palese fo che queste
son le bellezze della donna mia.
Metrica: sonetto con schema ABBA, ABBA; 3 u’: dal latino ubi = ‘dove’. aggettivi evidentemente dispregiativi.
CDE, DCE. 4 occhi di perle...dolcemente: la parodia 5 celeste: il sarcasmo dell’aggettivo sta nel
1 bel: aggettivo utilizzato in senso voluta- riguarda tutto il sistema delle metafore pe- fatto che il termine ha più di un significato:
mente ironico. trarchesche; è da notare inoltre l’effetto iro- celeste significa sia ‘ceruleo’ (qui, ‘livido’),
2 crespa: increspata dalle rughe. nico dell’avverbio dolcemente, affiancato a che ‘proprio di una dea’.
835
PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
ANALISI Il rovesciamento antifrastico dei canoni di bellezza femminile La strategia poetica dell’au-
tore consiste nell’usare i termini tipici della lode d’amore in senso antifrastico, cioè inten-
dendo esattamente l’esatto contrario di ciò che essi apparentemente significano. Per esem-
pio, l’oro e l’argento sono spesso evocati dai poeti d’amore per sottolineare il carattere raro
delle qualità fisiche della donna. Bembo inizia infatti il suo sonetto con «Crin d’oro». Parallela-
mente Berni usa l’immagine dell’argento («Chiome d’argento»), ma la qualità da positiva
diventa negativa: le chiome della donna sono canute. Subito dopo, con il «bel viso d’oro»,
Berni recupera da Bembo il riferimento a questo prezioso metallo, ma per indicare un viso
giallo. Insomma Berni, con una mossa sola, realizza un doppio movimento: da un lato elenca
qualità tradizionalmente positive volgendole al negativo, dall’altro usa le parole di Bembo spo-
standole dalla loro consueta area semantica (qui dai capelli al volto) e così cambiandone il
senso. Nello stesso modo al v. 3 l’aggettivo «crespa» è ripreso dal v. 1 di Bembo, ma invece
d’essere attribuito al «Crin» è riferito alla fronte, cosicché diventa un elemento negativo (la
fronte è rugosa). E ancora: al v. 5 si parla di «occhi di perle», mentre Bembo aveva usato la
metafora delle perle, naturalmente, per i denti: applicata agli occhi comporta invece il senso
di occhi cisposi. Lo stesso si può dire per «ciglie di neve» (Bembo impiega la parola «neve» per
indicare il candore del volto).
L’uso equivoco della poesia petrarchesca Un altro accorgimento è quello di usare le stesse
espressioni della poesia petrarchesca, ma in modo equivoco, così, cioè, da poter loro asse-
gnare anche una valenza diversa. Per esempio, «u’ mirando io mi scoloro» significa in ogni caso
‘io guardandole il viso impallidisco’, ma si può impallidire tanto per l’ammirazione e l’amore
quanto per il ribrezzo o il disgusto (e, in Berni, il significato è appunto quest’ultimo). La stessa
cosa si può dire per il v. 4: la superiorità rispetto all’amore e alla morte – che sono personifi-
cati, secondo la tradizione petrarchesca –, può essere indizio della divinità della donna, ma
anche di una bruttezza tale da scoraggiare amore e morte dall’avvicinarsi.
INTERPRETAZIONE Oltre la parodia: la creazione di un mondo «stravolto» Secondo il critico Bàrberi Squarotti,
E COMMENTO il carattere fondamentale della poesia di Berni «è il netto distacco dai canoni cinquecenteschi
del decoro e della convenienza». Lo studioso afferma infatti che Berni non solo attua una paro-
dia del lessico e dei temi del petrarchismo attuato da Bembo, ma anche «una fondamentale
disposizione al capovolgimento dei significati, alla confusione delle situazioni verbali, alle
estreme tensioni delle parole come mezzi per stabilire un mondo stravolto, difforme, defor-
mato».
836
CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
IN SINTESI DIGIT
ASCOLTO
IL CORPO: DALL’ORRORE MEDIEVALE ALLA PERFEZIONE UMANISTICA
L’Umanesimo elabora una visione della bellezza basata sull’armonia clas- Medioevo
sica tra anima e corpo. Il corpo, mortificato nel Medioevo dalla spiritualiz-
zazione, viene riscattato in una concezione positiva della vita che rivalu-
ta il piacere dei sensi. La visione umanistica del corpo è tuttavia duplice: corpo moritificato e impuro
domina la concezione ideale della bellezza corporea come specchio della
perfezione morale dell’uomo, ma si afferma contemporaneamente anche
un’immagine naturalistica del corpo, oggetto di osservazione e di cono- Umanesimo
scenza scientifica, come testimoniato dai disegni anatomici di Leonardo.
valorizzazione del corpo
Berni e la lode
della bruttezza
L’OSSESSIONE PER IL CIBO E IL GUSTO DELL’ECCESSO
La visione materialistica del corpo trova spazio nella letteratura del tem-
po con il Morgante di Pulci, il Baldus di Folengo e il Gargantua e Pantagrue- visione materialistica del corpo
le di Rabelais. Il Morgante è un poema cavalleresco di Luigi Pulci (1432-
1484), uscito nel 1483. Si tratta di una reinterpretazione delle versioni Morgante (1483) Baldus (1552)
popolari della storia di Orlando, arricchite da trovate linguistiche origina- di Pulci di Folengo
li e da episodi grotteschi, soprattutto quelli che hanno come protagoni-
sti i giganti Morgante e Margutte, ossessionati dal cibo e insaziabili divo- protagonisti i parodia del poema
ratori di ogni tipo di alimento. Il Baldus è un poema cavalleresco di Teofi- giganti Morgante cavalleresco
lo Folengo (1491-1544) composto nel 1517 (ma in redazione definitiva nel e Margutte scritta in latino
1552). L’opera, che si apre nel paese di Cuccagna, luogo fantastico dove maccheronico
tutto si può mangiare, è scritta in latino maccheronico, cioè un miscuglio
di italiano e latino che crea effetti comici. Gargantua e Pantagruele è un ro- Gargantua e Pantagruele
manzo di François Rabelais (1494-1553), pubblicato in quattro libri, dal (1532-1552) di Rabelais
1532 a 1552. La struttura dell’opera è caotica, piena di digressioni. Rabe-
lais racconta le avventure dei giganti Gargantua e Pantagruele usando un
linguaggio in cui combina registri e toni diversi. La dimensione corporea e avventure dimensione
il tema gastronomico vi hanno grande spazio. dei giganti corporea
Gargantua e e tema
Pantagruele gastronomico
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PARTE SECONDA Umanesimo e Rinascimento<
VERIFICHE
1 Il corpo nell’Umanesimo
Nell’età umanistica si sviluppa una nuova visione del corpo. Quale?
3 Morgante e Margutte
I protagonisti dell’opera più famosa di Pulci sono due giganti, Morgante e Margutte. Quali caratteristiche fisiche
hanno? Quali sono i comportamenti che li contraddistinguono?
6 Il Gargantua e Pantagruele
Gargantua e Pantagruele è il grande capolavoro di prosa moderna scritto dal francese François Rabelais. È un’opera ampia,
con una trama ricca di divagazioni che si sviluppa in quattro libri (uscì anche il Libro quinto, che però non è tutto opera di
Rabelais). Completa sul quaderno uno schema come quello proposto per avere un quadro complessivo dell’opera.
7 Corpo e cibo
Il tema del corpo è strettamente connesso con quello del cibo, sia nell’opera di Pulci sia in quella di Folengo che in
quella di Rabelais. In un breve commento spiega:
a. come è caratterizzata l’immagine grottesca del corpo e in che cosa si differenzia da quella umanistica;
b. come viene trattato il tema gastronomico nel Morgante, nel Baldus e nel Gargantua e Pantagruele;
c. quale significato assume l’esaltazione del corpo nel Gargantua e Pantagruele.
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CAPITOLO 7 Il corpo e il cibo nella letteratura rinascimentale TEMI
VERSO L’ESAME
IL COLLOQUIO
INGLESE
Adesso cimentati con un’esposizione circostanziata degli argomenti in elenco. Stai attento a curare le con-
nessioni da un argomento all’altro in modo da evitare la frammentarietà del discorso. Prevedi anche una
conclusione in cui tiri le somme del percorso illustrato.
839
GLOSSARIO
841
GLOSSARIO
apòdosi nel periodo ipotetico, è la pro- e commedia). Si chiama atto unico la una replicazione di forma uguale alla
posizione principale da cui dipende rappresentazione drammatica costitu- volta o alla ripresa. Tra i diversi tipi di b.
logicamente una subordinata condizio- ita da un solo a. ricordiamo: a) la ballata mezzana, con
nale (detta protasi). P. es.: “se oggi non àulico (dal lat. “aula” = corte, reggia) ripresa di tre versi endecasillabi (op-
piove, uscirò a fare quattro passi”. agg. riferito a parola o stile alto, lega- pure due endecasillabi più uno o due
apòlogo (dal gr. “apòlogos” = racconto) to a una tradizione illustre. A. deve settenari), usata tre volte dal Petrarca
narrazione di tipo allegorico con espli- essere, per Dante, il volgare modello nel Canzoniere (LV, LIX, CCCXXIV); b)
citi fini pedagogici, morali o filosofici. (De vulgari eloquentia). Aulicismo, di la ballata minore, con ripresa di tre
conseguenza, si definisce il termine versi (p. es. «In un boschetto trova’ pa-
apòstrofe figura retorica che consiste sturella» di Cavalcanti).
nel rivolgere bruscamente il discorso letterario di tradizione colta, spesso un
a un destinatario reale o immaginario latinismo o un arcaismo. biografìa genere storiografico di origi-
(presente o assente), in tono sdegnato autobiografia genere letterario in ne classica in cui è narrata la vita di un
o commosso. Può essere associato con prosa in cui autore, narratore e perso- personaggio illustre. Nel Medioevo il
la personificazione. P. es.: «Ahi Pisa, naggio principale sono la stessa perso- genere è ripreso da Petrarca nel De viris
vituperio de le genti/ del bel paese là na. Nell’a., diversamente da generi a illustribus. Cfr. anche agiografia.
dove ‘l sì suona,/ poi che i vicini a te essa affini come la memorialistica, il bisìllabo verso di due sillabe, assai raro
punir son lenti,/ muovasi la Capraia e racconto (di tipo retrospettivo, a dif- nella metrica italiana.
la Gorgona,/ e faccian siepe ad Arno in ferenza del diario) ricopre tendenzial-
bucòlico (o pastorale), genere il g.b. ha
su la foce,/ sì ch’elli annieghi in te ogne mente l’intera vita dell’individuo, pri-
come modello le Bucoliche di Virgilio
persona» (DANTE). vilegiandone lo sviluppo della perso-
e l’idillio greco ed è ambientato nel
nalità rispetto agli avvenimenti esterni
àrea semàntica (o campo semantico) mondo felice e idealizzato dei pasto-
che possono entrare a far parte della
insieme strutturato di parole che fan- ri (l’Arcadia, simbolo della poesia). In
narrazione.
no riferimento a una data area con- Italia il genere viene coltivato soprat-
cettuale, la cui unitarietà è accettata autògrafo in filologia è l’orginale, scrit- tutto nel Quattrocento, tanto in poesia
intuitivamente dai parlanti di una to di proprio pugno dall’autore. P. es., (cfr. ègloga) quanto nel romanzo e,
lingua. P. es., l’insieme dei termini di l’unico a. pervenutoci del Decameron successivamente, anche come forma
colore (“rosso”, “nero”, “blu”) o quello di Boccaccio è il codice Hamilton 90 drammatica. Gli ultimi esempi di g.b.
delle parole relative alla sfera dei senti- (o B), conservato a Berlino. Di Dante si hanno ai primi del Settecento con gli
menti (“amore”, “amicizia”, “affetto”, non si conserva nessun a., mentre del arcadi.
ecc.) formano due distinte a.s. Canzoniere di Petrarca abbiamo una a.
(il Vat. lat. 3196) e un codice, il Vat. lat.
burlesco, gènere genere poetico nato
asìndeto figura retorica consistente 3195, solo in parte a. ma redatto sot-
in Toscana a partire dalla seconda metà
nella soppressione delle congiunzioni del XIII sec. con alcuni precedenti nel-
to la sorveglianza dell’autore e perciò
coordinanti (p. es.: “e”, “o”, “ma”) all’in- la poesia goliardica latina medievale.
considerabile a tutti gli effetti come un
terno della frase. L’uso reiterato di que- Appartiene alla corrente della poe-
originale.
ste congiunzioni dà luogo invece al po- sia giocosa rappresentata da Rustico
lisindeto. Un es. di a. è «Fresco ombroso avanguàrdia categoria storiografica
Filippi, Forese Donati, Cecco Angiolieri
fiorito e verde colle» (PETRARCA). moderna: in senso proprio si può parla-
e Folgòre da San Gimignano. La forma
re di a. solo a partire dall’Ottocento. Il
assimilazione fenomeno linguistico tipica del g.b. è la parodia, inizialmen-
concetto di a. (strettamente collegato
che si ha quando un suono (vocalico o te spesso esercitata nei confronti dello
a quello di sperimentalismo) fa rife-
consonantico) si adatta (diventa simi- stilnovismo: alla idealizzazione stilno-
rimento a un gruppo di scrittori la cui
le) al suono che lo precede o lo segue vista della donna, i poeti giocosi con-
poetica e attività creativa si situa con-
nel corpo della parola. Nel caso dell’i- trappongono una concezione sensuale
sapevolmente in una posizione di rot-
tal. “fatto”, dal lat. “factum”, si parla e carnale dell’amore.
tura nei confronti della tradizione.
di a. consonantica regressiva, tipica del
toscano. Nel romanesco “monno”, dal
B C
lat. “mundum”, l’a. consonantica si
calligramma componimento poeti-
dice invece progressiva e si ritrova solo ballata (o canzone da ballo) forma stro-
co in cui la disposizione tipografica
nei dialetti centro-meridionali. fica elaborata nel Duecento, originaria-
dei versi raffigura un oggetto (di soli-
assonanza identità delle sole vocali mente con accompagnamento musica-
to l’argomento stesso della poesia). Il
della parte finale di due parole, a co- le e destinata alla danza. La struttura
termine deriva da Calligrammes, titolo
minciare dalla vocale tonica. P. es.: della b. prevede una ripresa (o ritor-
di una raccolta poetica di Guillaume
sole: ponte. nello) e una (o più) stanze, ognuna
Apollinaire (1880-1918), ma la tradi-
delle quali si divide in almeno due pie-
àtona, sìllaba sillaba non accentata zione della poesia figurata risale all’an-
di e una volta (che ha schema identico
(contrario di tonica). Nella parola “sil- tichità.
alla ripresa). Il primo verso della volta
laba”, p. es., “la” e “ba” sono atone. campo semàntico cfr. area semàntica
rima con l’ultimo verso del secondo
atto ciascuna delle suddivisioni prin- piede, e l’ultimo con l’ultimo verso cànone per c. letterario o estetico si
cipali di un’opera teatrale (v. tragedia della ripresa. La b. si può chiudere con intende l’insieme degli autori e delle
842
GLOSSARIO
opere che, in una data epoca, si ritiene con versi più brevi dell’endecasìllabo), ascendente (per il c. discendente cfr. an-
debbano obbligatoriamente far parte del madrigale e della ballata (soprat- ticlimax). P. es.: «e videmi e conobbemi
delle letture di una persona colta. Il c. tutto nel Quattrocento). Un es. di c. e chiamava» (DANTE). Per analogia il
offre in concreto, agli scrittori, modelli è «Meravigliosamente» di Giacomo da concetto di c. può essere esteso anche
stilistici e regole di genere da seguire Lentini. alla metrica e al ritmo.
e rispettare. capìtolo forma metrica composta da còdice in filologia è il libro antico
cantare genere popolare trecentesco terzine di endecasìllabi a rima inca- manoscritto. Dal lat. “codex” = tronco
in ottave, di argomento avventuro- tenata e conclusa da un verso isolato d’albero, perché in passato si scriveva
so, epico o cavalleresco, cantato nelle (ABA BCB CDC ... YZY Z). Sono c. i can- su tavolette di legno cerate; per meto-
piazze dai giullari. Il c. è spesso ano- ti della Commedia di Dante e i Trionfi nimia il termine è passato a designare
nimo (p. es. Fiorio e Biancifiore), ma del Petrarca. il nuovo materiale scrittorio, che è ini-
compongono cantari anche Boccaccio catàcresi metafora istituzionalizzata zialmente pelle di animale e poi carta.
e Pulci. ed entrata nell’uso comune: p. es. “il còmico, stile nella teoria degli stili
canterina che si riferisce ai cantari. collo della bottiglia”. medievali, lo s.c. o medio (contrapposto
càntica l’insieme dei canti, rispet- al tragico) privilegia un registro me-
catarsi nella Poetica di Aristotele desi-
tivamente, di Inferno, Purgatorio e dio-basso, contenuti quotidiani e ter-
gna la purificazione delle passioni degli
Paradiso, ovvero ognuna delle tre parti reni e metri come il sonetto. È rivolto
spettatori a opera della tragedia.
in cui è divisa la Commedia di Dante. a un pubblico vasto che comprende,
cesura è la pausa di intonazione (coin- oltre alle élites nobiliari e alto-borghesi,
canti carnascialeschi genere poeti- cidente con un limite di parola) che anche i ceti intermedi e gli artigiani. È
co-musicale con struttura metrica divide il verso; nell’endecasillabo, in- anche lo stile usato da Dante in molte
affine a quella della ballata, di conte- dividua due emistichi. parti della Commedia.
nuto licenzioso e osceno ma a volte
chanson de geste locuzione francese commèdia genere teatrale nato
anche satirico e politico. I c.c. veniva-
che indica un genere epico in versi (di in Grecia intorno al VI sec. a.C.
no eseguiti a Firenze (tra il XV e il XVI
solito décasyllabes) in rima o asso- Strutturalmente, al contrario della tra-
sec.) nel periodo di carnevale. I trionfi
nanza, nato in Francia nel XII sec. e dif- gedia, è caratterizzato dalla presenza
si distinguono dagli altri c.c. perché
fuso nelle piazze dai giullari. Celebra le di un inizio triste (o da una situazione
destinati a essere cantati in cortei di
imprese (le “gesta”) di un eroe nelle incerta per il protagonista) e di finale
maschere ispirate a personaggi mito-
guerre nazionali. Un es. è la Chanson lieto. Lo stile adottato è quello comi-
logici: l’esempio più famoso di trionfo
de Roland. co. Dante definisce il proprio poema
è la Canzona di Bacco (detta anche
Trionfo di Bacco e Arianna) di Lorenzo chiasmo figura retorica consistente «comedìa» proprio perché vi domine-
de’ Medici. nel disporre in modo incrociato, rom- rebbe lo stile comico o medio.
pendo il normale parallelismo sintat- comparazione a) figura retorica con-
canzone forma metrica derivata dalla
tico, i membri corrispondenti di due sistente in un paragone tra due termi-
canso, in origine con accompagna-
sintagmi o di due proposizioni. P. es.: ni (“la mia camera è grande quanto la
mento musicale. La c. classica (o antica
«Siena mi fé, disfecemi Maremma» tua”) b) similitudine più articolata
o petrarchesca) è formata da un numero
(DANTE). espressa mediante forme correlati-
variabile di stanze (in genere tra cin-
que e sette) uguali tra loro per nume- chiave (o concatenàtio) nella stanza è ve del tipo “come...così”, “quale...
ro di versi, per disposizione dei tipi di la rima che unisce il primo verso della tale”. P. es.: «E come quei che con lena
verso (che sono, a partire da Petrarca, sirma con l’ultimo della fronte. affannata/ uscito fuor del pelago a la
solo endecasìllabi e settenari) e per riva/ si volge a l’acqua perigliosa e gua-
classicismo nella storia letteraria il
schema di rime. Le stanze sono forma- ta,/ così l’animo mio, c’ancor fuggiva,/
termine ha due significati: a) il culto
te dalla fronte (che può essere divisa o si volse a retro a rimirar lo passo/ che
di alcuni autori greci e latini in fun-
meno in piedi) e dalla sirma, collegate non lasciò già mai persona viva» (DAN-
zione normativa e prescrittiva (come
tra loro dalla chiave. La canzone con- TE).
nell’Umanesimo e nel Rinascimento o
clude di solito con un congedo. Dal nel Neoclassicismo settecentesco); b) concatenazione cfr. chiave
Seicento in poi si ha anche la c. libera l’imitazione di scrittori diversi ritenuti congedo (o commiato; in prov. tornada)
(o leopardiana) in cui le stanze sono di esemplari in un dato periodo e rispon- strofa che di solito chiude la canzo-
lunghezza irregolare ed endecasillabi denti a determinate caratteristiche ne. Riproduce in genere la forma della
e settenari si alternano secondo uno estetiche come equilibrio, chiarezza, sirma o della parte finale della stanza,
schema libero e privo di rime obbliga- linearità ecc. ma può anche avere uno schema pro-
torie. climax (o gradàtio) figura retorica che prio.
canzone da ballo cfr. ballata può designare un’anadiplosi conti- consonanza identità delle sole conso-
canzonetta genere poetico-musicale nuata oppure, nell’accezione moderna, nanti della parte finale di due parole,
spesso di argomento amoroso e tono una progressione crescente e gradua- dopo la vocale tonica. P. es.: seme:ra-
popolare. Metricamente, può assume- le di parole o sintagmi con generale mo. Cfr. anche assonanza.
re varie forme, tra cui quelle della can- effetto di amplificazione. Si parla in contrasto genere poetico di vario me-
zone (ma con struttura semplificata e questo caso più precisamente di c. tro e contenuto (amoroso, politico o
843
GLOSSARIO
storico) ma sempre strutturato in for- è la persona a cui è inviato il messag- dièresi nella lettura metrica è il fe-
ma di dialogo. Famoso è il Contrasto di gio. L’emittente invia unmessaggio al d. nomeno opposto alla sinèresi. Si ha
Cielo d’Alcamo. in riferimento a un contesto (o referen- all’interno di parola e consiste nella
coro nella tragedia greca era la parte te), servendosi di un contatto, cioè di pronuncia separata di due vocali conse-
declamata da un gruppo di attori-dan- un canale fisico. La comunicazione è cutive che normalmente formerebbero
zatori (coreuti) che esprimevano il possibile solo se emittente e destina- un dittongo. P. es.: «faceva tutto rider
punto di vista della collettività. Nella tario condividono (in tutto o in parte) l’orïente» (DANTE).
tragedia moderna (p. es. in quella man- lo stesso codice, cioè lo stesso insieme disgiuntiva, coordinazione (o disgiun-
zoniana) e nel dramma musicale, il c. è di convenzioni linguistiche, culturali, zione) tipo di coordinazione ottenuta
invece un brano lirico in cui l’autore ecc. tramite congiunzioni disgiuntive come
esprime il proprio personale stato d’a- deverbale neoformazione derivata da “o”, “oppure”, “ovvero”, che stabilisco-
nimo nei confronti degli eventi narrati. un verbo. P. es. “operazione” da “ope- no un rapporto di esclusione reciproca
crònaca genere medievale basato rare”. tra due proposizioni. P. es.: “non so se è
sull’esposizione cronologica dei fatti diacronìa/sincronìa in linguistica, il uscito oppure è ancora dentro”.
storici, riguardanti una città o un’area termine d. indica l’evoluzione cronolo- dìstico coppia di versi, di solito a rima
geografica limitata. Importanti sono le gica di una lingua. Alla linguistica dia- baciata. Il d. elegiaco nella metrica lati-
c. di Dino Compagni e Giovanni Villani. crònica si oppone quella sincrònica, che na, è invece la coppia esametro+pen-
studia il funzionamento di una lingua tametro, usata soprattutto nell’ele-
in una fase particolare del suo sviluppo. gia. P. es.: «Dívitiás aliús fulvó sibi
D cóngerat áuro / ét teneát cultí iúgera
dialefe fenomeno metrico per cui,
deaggettivale detto di nome o verbo all’interno del verso, la vocale di una múlta solí» [Un altro ammassi per sé
che deriva da un aggettivo. P. es. “bel- parola e quella iniziale della parola suc- ricchezze di fulvo oro e si tenga molti
lezza” e “abbellire”, da “bello”. cessiva vengono pronunciate separa- iugeri di terreno coltivato] (TIBULLO).
decasìllabo verso di dieci sillabe (se tamente (cioè con uno iato) e devono dittologìa sinonìmica contiguità di due
l’uscita è piana) con accenti di 3a, 6a e essere considerate come parti di due vocaboli aventi lo stesso significato. P.
9a nella forma canonica (dal Settecento differenti sillabe. La d. è assai diffusa es.: «ché per mezzo lo cor me lanciò un
in poi, p. es. in Manzoni). È usato ra- nel Duecento e in Dante, ma cade in dardo/ che d’altre ‘n parte lo taglia e di-
ramente nella poesia antica, talvolta disuso con Petrarca (che in genere pre- vide» (GUINIZZELLI).
come variante anisosillàbica del no- ferisce la sinalefe). P. es. «O anima cor- dittongo unione, all’interno di parola,
venàrio e dell’endecasìllabo (p. es. in tese mantoana» (DANTE). di due vocali contigue in una sola silla-
Jacopone). diàlogo cme genere umanistico, il d. è ba. P. es. tuòno (d. ascendente), mài (d.
décasyllabe verso francese e proven- per lo più scritto in latino sul modello discendente).
zale di dieci piedi. È il metro di molti ciceroniano (anche se non mancano domanda retòrica domanda che ha in
generi lirici, come il planh provenzale d. in volgare). La sua struttura esprime se stessa la propria risposta (essendo,
e la ballade in lingua d’oïl, e ha costitu- una nuova concezione della verità inte- in realtà, un’asserzione che non am-
ito il modello dell’endecasillabo italia- sa come processo al quale comparteci- mette repliche). P. es.: “Non è forse
no. Un es. da Villon: «Je n’ay plus soif, pano voci e opinioni diverse. I temi del vero che la scuola è maestra di vita?”.
tairie est la fontaine» [Non ho più sete, d. spaziano dalla filosofia e dalle arti
asciutta è la fontana]. sino all’economia domestica e all’edu- E
cazione dei figli (p. es. nei Libri della
dedicatàrio neologismo coniato sul ègloga (o ècloga) genere poetico, mo-
famiglia di L.B. Alberti).
modello di destinatario. È la perso- dellato sulle Bucoliche di Virgilio (le cui
na a cui è dedicato un testo letterario didascàlica (o didàttica), poesia gene-
singole parti erano chiamate eclogae,
(una poesia, una tragedia, ecc.) e il cui re letterario medievale praticato an-
cioè ‘estratti’), appartenente al più va-
nome figura a volte all’inizio del com- che in Grecia, in forma di poemetto o
sto genere pastorale. Le forme metri-
ponimento. capitolo, a carattere enciclopedico (e
che principali dell’e. in italiano sono la
in molti casi allegòrico) e con intenti
dedicatòria lettera di dedica con cui terza rima e l’endecasillabo sciolto.
educativi. Sono es. di p.d. il Tesoretto di
l’autore invia il proprio testo a un dedi- elegìa genere poetico di origine gre-
Brunetto Latini e il Fiore attribuito a
catario, spesso allo scopo di assicurar- co-latina in distici elegiaci caratteriz-
Dante.
sene la protezione. zato da toni nostalgici e malinconici e
diegèsi termine aristotelico (gr. “diég-
denominale parola derivata da un di contenuto amoroso.
esis” = racconto) con cui la moderna
nome preesistente. P. es. “terremota- elegìaco, stile nella teoria degli stili
narratologia designa la narrazione
re” e “terremotato” (da “terremoto”). medievale è lo «stile degli sfoghi dolo-
come fenomeno distinto dalla mime-
dentali, consonanti nel sistema foneti- si. Ha carattere diegetico, p. es., l’epi- rosi» (DANTE) e richiede l’utilizzo del
co italiano, p. es., la [t] (sorda) e la [d] ca, dove il narratore generalmente de- volgare umile. Corrisponde al genus
(sonora). scrive fatti e situazioni anziché rappre- humilis della retorica antica.
destinatàrio nel modello comunica- sentarli in forma diretta (ripetendo p. ellissi figura retorica per cui si sottin-
tivo della semiotica di R. Jakobson es. gesti e discorsi dei vari personaggi). tendono uno o più elementi della frase
844
GLOSSARIO
che il contesto permette di ricostru- oppure mediante congiunzioni coordi- nità e del mondo. Per il Cristianesimo
ire facilmente. P. es., nell’espressio- nanti. P. es. «Benedetto sia ’l giorno, e ’l a questa concezione è associata l’atte-
ne dantesca «Questo io a lui; ed elli a mese, et l’anno,/ et la stagione, e ’l tempo, sa messianica del Cristo nuovamente
me» è sottinteso per due volte il verbo et l’ora, e ’l punto,/ e ’l bel paese, e ’l loco risorto e del Giudizio finale a opera di
“dire”. ov’io fui giunto/ da’ duo begli occhi che Dio.
emistìchio metà di un verso diviso dal- legato m’ànno» (PETRARCA). esergo citazione anteposta al testo
la cesura in due versi di misura minore. epìgrafe in senso moderno, iscrizione vero e proprio (v. epigrafe).
endecasìllabo verso composto da 11 in lingua latina o in latino letterario e espressionismo in senso storico, ten-
sillabe (nella forma a uscita piana), aulico a carattere funebre o commemo- denza artistica e letteraria sorta in
con accento principale sulla 10a. Deriva rativo. È chiamata e. anche la citazione Germania agli inizi del Novecento. Per
dal décasyllabe francese e provenzale da un autore posta all’inizio di un testo estensione, si dicono di tipo espres-
ed è il verso più importante della tra- (in questa accezione, è sinonimo di sionistico quelle forme di rappresen-
dizione italiana. L’e. canonico è di due esergo). tazione antinaturalistica che tendono
tipi: a maiore (p. es. «Nel mezzo del epigramma genere poetico di origine all’esasperazione dei contrasti (croma-
cammín | di nostra víta»: DANTE) con greca, inizialmente impiegato nelle tici, sonori, lessicali) e in genere a una
accenti di 6a e 10a; a minore («Per me si iscrizioni funebri o votive e caratteriz- marcata deformazione linguistica. In
vá | ne la città dolénte»: DANTE) se l’ac- zato dall’estrema brevità. Con il poeta questo senso l’e. è una categoria stili-
cento è di 4a oltre che di 10a. Quando è latino Marziale (I sec. d.C.) l’e. si codi- stica ed è possibile parlare, p. es., di “e.
possibile dividere il verso in un sette- fica come genere satirico, arguto e ta- dantesco”.
nario seguito da un quinario, si parla gliente. estètica disciplina filosofica che ha
di cesùra a maiore; di cesùra a minore epìstola genere letterario di origine come oggetto la bellezza nella natura
quando, viceversa, è possibile dividerlo classica, sia in prosa che in versi. L’e. e nell’arte. Il primo a usare il termi-
in un quinario seguito da un settena- medievale in latino, praticata anche da ne con questo significato è stato A.G.
rio. Gli altri accenti sono liberi. Prima Dante e Petrarca, è rigidamente codifi- Baumgarten, nel Settecento. È con-
della codificazione operata da Dante e cata secondo le regole dell’ars dictan- nesso etimologicamente con il gr. “áis-
soprattutto da Petrarca, però, anche le di. thesis” = sensazione.
forme non canoniche erano ammesse, epìtesi aggiunta non giustificata eti- etimologìa il termine designa sia la di-
entro una certa misura, in poesia. Si mologicamente di una vocale o di un sciplina che studia la derivazione di una
parla di endecasillabo sciolto nel caso nesso cons.+voc. alla fine della paro- parola da un’altra più antica (e, spesso,
di composizioni in e. senza rime rego- la. Molto frequente è l’e. di “-e” in mo- appartenente a un’altra lingua), sia il
lari. nosillabi tonici (p. es. «udìe» per “udì” suo oggetto (l’ètimo, dal gr. “étymon”
endìadi figura retorica consisten- in Dante) e di “-ne”, in certe parlate = vero [significato]). L’etimologia di
te nella sostituzione di una singola centro-meridionali ma anche, a scopi “parola”, a es., è il lat. “parabola(m)”
espressione composta da due membri metrici ed eufonici, in poesia. P. es.: «si (a sua volta dal gr. “parabolé” = parago-
con due espressioni separate dalla con- pòne» [si può] in rima con «persone» e ne) cioè la ‘parola’ per antonomàsia,
giunz. (di solito due nomi). P. es.: «O «ragione» (DANTE). quella evangelica. Le e. medievali sono
eletti di Dio, li cui soffriri/ e giustizia epìteto agg. o sost. riferiti ad altro sost. invece, molto spesso, delle paretimo-
e speranza [= ‘speranza di giustizia’] fa del quale dichiarano qualità generali logie.
men duri,/ drizzate noi verso gli alti sa- per lo più ininfluenti rispetto al con- eufemismo attenuazione (per scrupo-
liri» (DANTE). testo immediato della frase. L’e. (detto lo morale, sociale o culturale) di un’e-
ènfasi procedimento retorico consi- anche e. esornativo, cioè ‘ornamenta- spressione troppo cruda o realistica
stente nel porre in rilievo una o più le’) può ricorrere più volte nello stesso mediante la sua sostituzione con un
parole mediante il tono della voce o testo e in questo caso serve per iden- sinonimo o con una perifrasi (spesso
un gesto, oppure, nello scritto, con il tificare e qualificare immediatamente una litote). P. es.: “passare a miglior
punto esclamativo, il corsivo ecc., per (con una formula stereotipa) un dato vita” per ‘morire’.
evidenziare un’accezione particolare o personaggio (è un procedimento tipi- eufonìa accostamento gradevole di
un significato metaforico. P. es.: “lui sì co dell’èpica). P. es.: «l’astuto Ulisse» suoni. In particolare sono dette conso-
che è un uomo!”. (OMERO). nanti eufoniche quelle che si aggiungo-
enjambement in poesia si ha e. (termi- esàmetro verso greco-latino di sei pie- no alla congiunzione “e” o ad alcune
ne fr. che può essere tradotto con ‘ac- di proprio dell’èpica e della poesia di- preposizioni per evitare l’incontro con
cavallamento’) quando la fine di verso dascalica. Unito al pentàmetro forma la vocale iniziale della parola successiva
separa un nesso sintattico forte, p. es. il dìstico elegìaco. Un es. di e. latino (soprattutto quando le due vocali sono
del tipo agg.+sost.: «ad immortale / seco- (con l’indicazione degli accenti per la uguali). P. es.: “fu costretto ad arren-
lo andò, e fu sensibilmente» (DANTE). lettura metrica) è: «Árma virúmque dersi”. Nell’it. ant. la cons. eufonica si
enumerazione (o elenco) procedimen- canó | Troiaé qui prímus ab óris» (VIR- può avere anche dopo “che”: «E, come
to retorico comune a vari generi del GILIO). que’ ched allegrezza mena,/ gridò»:
discorso consistente nell’elencazione escatologìa parte della teologia che ha A. PUCCI). Le vocali eufoniche si ag-
di parole o sintagmi per via asindetica per oggetto il destino ultimo dell’uma- giungono invece per evitare l’incontro
845
GLOSSARIO
di due consonanti; p. es.: “in Ispagna” figura nella concezione cristiana me- è anche la più piccola unità distintiva
(cfr. pròstesi). dievale un fatto storico è f. di un altro della lingua. Questo significa che: a) un
exemplum (lat. = esempio) breve nar- (successivo e più importante) quando f. non è ulteriormente scomponibile
razione inserita nelle agiografie, nel- lo preannuncia, quando cioè può es- in unità minori b) in una parola, sosti-
le prediche o nella poesia didascalica sere interpretato (spesso secondo un tuendo un f. con un altro, si ha anche
allo scopo di fornire un modello di procedimento di tipo allegorico) come cambiamento di significato (p. es.: la
comportamento e un esempio morale la prefigurazione di un evento che è parola “dare” è formata da quattro f.,/
a un destinatario di ceto e cultura me- destinato ad adempiersi nel futuro. La d/,/a/,/r/,/e/; sostituendo /d/con/m/,
dio-bassa. Nella sua forma originaria liberazione del popolo ebraico, p. es., si ha “mare”, con mutamento seman-
l’e. risponde ad alcuni requisiti parti- è f. della Redenzione. Il filologo tede- tico).
colari: deve essere tratto da una fonte sco E. Auerbach ha messo in luce l’im- fonètica/fonologìa la fonetica è la scien-
autorevole; deve avere estensione breve; portanza della “concezione figurale” za che studia i suoni del linguaggio da
deve essere presentato come veridico; il nella Commedia dantesca. un punto di vista fisico e sperimentale
suo significato deve essere inequivoca- figura etimològica (o gioco etimològ- (i foni, segnalati dalle parentesi quadre:
bile; deve essere piacevole. ico) ripetizione di una stessa radice [a], [b] ecc.). La fonologia, invece, stu-
èxplicit conclusione; e. è abbreviazio- etimològica (più o meno scientifica- dia i suoni di una lingua in relazione
ne di “explicitum est” (lat. = è stato mente accertata) in parole vicine con alla loro funzione nella comunicazione
srotolato), che nei papiri indicava che il effetto di sottolineatura semantica. P. linguistica (i fonemi, tra barre oblique:
rotolo era stato svolto sino alla fine. In es.: «sfiorata Fiore» [sfiorita Firenze] /a/,/b/ ecc.).
filologia, indica le parole finali di un te- (GUITTONE D’AREZZO). fonosimbolismo procedimento com-
sto. Cfr. incipit. filologìa nella sua accezione più ri- positivo (soprattutto poetico) che
stretta (quella di critica testuale), è la consiste nel produrre, attraverso una
F disciplina che si occupa di ricostruire successione di suoni, un significato ag-
il testo così come doveva essere sta- giuntivo rispetto a quello comunicato
fàbula (lat. = favola) nella terminologia
to licenziato dall’autore. La f. studia dal testo. P. es.: «graffia li spirti ed isco-
dei formalisti russi, la f. è l’insieme dei
soprattutto i codici (ma anche i testi ia ed isquatra» (DANTE, Inf., VI, 18): il
fatti che costituiscono la narrazione
a stampa) e la loro tradizione mano- senso generale di ‘cosa tagliente, affila-
considerati secondo l’ordine cronologi-
scritta. Il risultato finale del lavoro del ta’ è suggerito dalle fricative ([f ]), dalle
co, che il lettore può ricostruire a poste-
filologo è in genere l’edizione critica sibilanti ([s]) e dalle vibranti ([r]). Tra
riori, p. es. tenendo conto di flashbacks,
di un testo. Otto e Novecento il f. si distanzia
agnizioni, ecc. La nozione di f. è com-
dall’onomatopea (cui è spesso assimi-
plementare a quella di intreccio: la di- focalizzazione in narratologia indica la
labile) e dal mimetismo e viene inteso
stinzione è utile per descrivere forme prospettiva o il punto di vista dal quale
dai poeti (p. es. da Pascoli) sempre più
narrative complesse (come il romanzo il narratore considera i fatti narrati e i
spesso come una forma di suggestione
moderno), dove esiste una notevole personaggi. Se il narratore è in grado di
sonora di tipo astratto e musicale.
sfasatura tra lo svolgersi logico-tem- vedere fin dentro l’animo dei personag-
porale degli eventi e l’ordine in cui essi gi (i loro sentimenti, le loro sensazioni, fonte in senso storico-letterario, un
compaiono nel testo. ecc.), allora si parla di racconto a foca- testo o un documento che sta all’o-
lizzazione zero (o senza focalizzazio- rigine di un’opera letteraria o di una
facèzia genere letterario umanistico,
ne): per es., I promessi sposi di Manzoni sua parte. Una delle f. della Commedia
per lo più in prosa, modellato su esem-
(cfr. anche narratore onnisciente). Se di Dante, p. es., è l’Eneide di Virgilio.
pi greci e latini. Consiste in un motto
il narratore riporta e conosce solo quel- Il rapporto tra l’opera e una sua f. è un
di spirito salace o in una battuta che ri-
lo che sa il personaggio (e nulla di più), caso particolare di intertestualità.
vela l’intelligenza di chi la enuncia. Le
f. possono essere in latino (Poggio allora si parla di focalizzazione interna fronte è la prima parte della stanza
Bracciolini, Liber facetiarum) o in vol- (che può essere fissa se orientata su di della canzone. Per analogia, anche la
gare (Poliziano, Detti piacevoli), anche un solo personaggio; variabile se si spo- prima parte (le due quartine) del so-
a carattere popolaresco (Motti e facezie sta di volta in volta su un personaggio netto.
del Piovano Arlotto). Il genere conti- diverso, per es. in Con gli occhi chiusi di
nuerà ad avere fortuna fino al Seicento. Tozzi; multipla, nel caso per es. del ro- G
farsa genere teatrale a carattere co- manzo epistolare a più mani). Se il nar-
gènere letteràrio insieme di opere che
mico e popolaresco nato nel Medioevo ratore sa meno dei personaggi, non ha
condividono determinati elementi
come intermezzo da recitarsi duran- la facoltà di vedere dentro di essi e può
espressivi (stile, lessico, metrica, ecc.)
te le sacre rappresentazioni. I temi solo descriverne il comportamento,
e di contenuto (temi, motivi, ideologia),
trattati sono il vino, l’amore carnale, si parla infine di focalizzazione esterna
aventi una funzione e un destinatario
i piaceri della vita. In Francia la farce (spesso usata nel romanzo giallo, per-
particolari. Le regole compositive di
è già largamente diffusa nel sec. XIII, ché il lettore non scopra subito chi è il
un g.l. si trovano spesso codificate nei
mentre i primi esempi di f. lettera- colpevole).
trattati di poetica, ma possono anche
ria in Italia si hanno solo nel XVI sec. fonema è il suono linguistico consi- essere ricostruite a posteriori dagli sto-
(Ruzzante, Sannazaro). derato nel suo aspetto funzionale ed rici della letteratura.
846
GLOSSARIO
glossa nota esplicativa, in senso gene- ìncipit (lat. = inizio) le parole iniziali ipàllage figura retorica che consiste
rico. Nella prassi interpretativa medie- del testo. Cfr. èxplicit. nel riferire un aggettivo non al sostan-
vale, annotazione a margine o in inter- inno genere poetico a carattere religio- tivo cui semanticamente è legato ma a
linea del copista, di un lettore o dello so. Nel Medioevo l’i. cristiano in strofe un altro sostantivo vicino. P. es.: «io ve-
stesso autore a testi biblici, letterari e metriche e ritmiche destinate al canto dea di là da Gade il varco/folle d’Ulisse»
giuridici. celebra Dio e i santi. Dal Settecento, il (DANTE).
grottesco in senso generale è sinoni- termine passa a designare anche com- ipèrbato figura retorica di tipo sintat-
mo di ‘bizzarro’ e ‘deforme’ e, perciò, ponimenti a carattere profano (politi- tico per cui gli elementi della frase che
‘ridicolo’. In accezione più tecnica, de- co, sociale, patriottico). Cfr. ode. normalmente sarebbero uniti in un
signa una forma teatrale nata in Italia intermezzo scena a carattere giocoso, sintagma sono invece separati. P. es.:
negli anni Dieci del Novecento, carat- accompagnata da musica e danze, che «che l’anima col corpo morta fanno»
terizzata da situazioni paradossali ed tra Cinquecento e Seicento veniva (DANTE).
enigmatiche in cui sono denunciate, rappresentata durante gli intervalli di ipèrbole figura retorica che consiste
con sarcasmo e ironia, l’assurdità della un’opera seria o di una commedia per nell’esagerare la portata di quanto si
condizione umana e le contraddizioni svagare gli spettatori. Nel Settecento, dice amplificando o riducendo in modo
della società. benché finalizzato a riempire l’inter- eccessivo il significato dei termini im-
vallo tra un atto e l’altro dell’opera se- piegati per rappresentare una data
I ria, l’i. divenne un genere autonomo, cosa. Due es. dal parlato: “Mi piace da
ovvero un’opera comica breve a due morire”, “è questione di un secondo”.
iato si ha i. quando due vocali contigue sole voci (soprano e basso), con accom-
non formano un dittongo ma vengono
ipèrmetro si dice di un verso che ec-
pagnamento di archi e clavicembalo. cede di una o più sillabe la sua misura
pronunciate separatamente. P. es.: “e L’i. costituisce le origini dell’opera buf- regolare. P. es.: «en questo loco lassato»
allora”, “maestro”, “riesame”. fa italiana e francese. Nell’Ottocento il (JACOPONE) è un settenario i. (la sil-
icàstico nella stilistica letteraria, l’agg. termine i. indica anche brevi pezzi pia- laba eccedente è la prima: “en”).
i. è impiegato per qualificare un modo nistici in forma libera.
ipòmetro verso che ha una o più sillabe
di rappresentazione della realtà per interrogazione retòrica cfr. domanda in meno rispetto alla sua misura rego-
mezzo di immagini particolarmente retorica lare. P. es.: «Vale, vale, vale» (JACOPO-
forti, evidenti e incisive. Il termine de-
intertestualità è il rapporto che un NE) è un settenario i. perché manca
riva da gr. “eikàzein” = rappresentare.
testo letterario stabilisce con un altro della prima sillaba.
idìllio (gr. “eidyllion” = piccola imma- testo anteriore. La nozione di i. (intro- ipotassi (o subordinazione) costruzio-
gine) genere poetico greco dal conte- dotta nella teoria letteraria solo negli ne tipica della lingua scritta caratteriz-
nuto prevalentemente pastorale. Il suo anni Settanta) comprende una serie di zata dalla successione di proposizioni
equivalente latino è l’egloga. fenomeni noti da sempre (citazione, subordinate disposte in modo gerar-
idiomatismo particolarità di una deter- reminiscenza, allusione, rapporto con chico. L’i. è il costrutto della comples-
minata lingua o dialetto. Una locuzio- le fonti) ma li riordina in chiave dialo- sità concettuale e dell’argomentazione
ne idiomatica (o “frase fatta”) è un’e- gica: l’i., cioè, instaura un dialogo, un logica; esprime di solito una presa di
spressione che non può essere tradotta confronto che fa uscire il testo dal suo posizione esplicita e dichiara un pun-
letteralmente in un’altra lingua (p. es.: isolamento e lo immette in un discorso to di vista preciso. Si contrappone alla
“avere un diavolo per capello”). a più voci. Si dice i. interna quella che paratassi.
immaginàrio l’insieme degli archetipi, riguarda i riferimenti di un autore a
ironìa figura retorica che consiste nel
dei simboli, dei desideri e delle paure un’altra propria opera o fra parti diver-
mascherare il proprio discorso dicen-
che formano l’inconscio collettivo di se della stessa.
do l’opposto di ciò che si pensa (anti-
una società (o dell’umanità in genere), intreccio nel linguaggio dei formalisti frasi) oppure servendosi di una litote
in relazione a un dato periodo stori- russi è l’insieme degli eventi narrati o di una reticenza o di una citazione
co. Oggetto privilegiato dell’antropolo- secondo l’ordine in cui sono presentati distorta dal discorso altrui, a scopo de-
gia culturale, la nozione di i. ha anche nell’opera, a prescindere dai loro rap- risorio e talvolta sarcastico. P. es.: «A
a che fare con la letteratura, che può porti causali e temporali. Cfr. fabula. voi che siete ora in Fiorenza dico,/ che
essere considerata come una formaliz- invèntio cfr. retorica ciò ch’è divenuto, par, v’adagia,/ e poi
zazione delle spinte disordinate prove- inversione cfr. anàstrofe che li Alamanni in casa avete,/ servi-
nienti dalla sfera dell’i. invettiva in latino tardo oratio invecti- te i bene, e faitevo mostrare/ le spade
impressionismo in senso storico, mo- va è chiamato il discorso aggressivo lor, con che v’han fesso i visi,/ padri e
vimento pittorico nato in Francia nel- e violento con cui ci si rivolge a qual- figliuoli aucisi» (GUITTONE D’AREZ-
la seconda metà dell’Ottocento. Per cuno per denunciarne il pensiero o la ZO).
estensione, anche in letteratura, qual- condotta morale. È un procedimento iterazione (o ripetizione) procedimen-
siasi procedimento che tende a cogliere frequente anche nella Commedia dan- to formale riscontrabile in varie figure
impressioni e stati d’animo soggettivi tesca (cfr. apostrofe). Nell’antichità, retoriche (come l’anadiplosi, l’anafo-
nella loro immediatezza, mediante ra- l’i. era un genere oratorio vero e pro- ra, l’epanalessi, ecc.) e nel linguaggio
pide annotazioni e brevi squarci lirici. prio, spesso anonimo. poetico in genere (p. es. nella rima).
847
GLOSSARIO
uno strumento a corde. In generale il tere serio che comico (p. es. l’opera buf-
K
termine designa una particolare mo- fa settecentesca). Il m. nasce sul finire
koinè (gr. “koinè diàlektos” = lingua dalità enunciativa (l’uso della prima del XVI sec. a Firenze dagli intermedii
comune) in senso tecnico, dialetto pers. sing.) e una particolare tonalità [intermezzi] musicali rappresentati
condiviso da un territorio relativamen- affettiva (l’espressione soggettiva dei tra un atto e l’altro del dramma vero e
te ampio; il dialetto di k. è un dialetto sentimenti del poeta). Come genere proprio (che era recitato e non canta-
fortemente contaminato dalla lingua in particolare, nelle lett. romanze, e in to) per alleggerirne la tensione. Il pri-
nazionale e in cui sono ridotti al mi- primo luogo con i provenzali la l. si defi- mo m. è la Dafne di J. Peri su testo di
nimo gli idiotismi. In senso esteso, k. nisce per alcune caratteristiche costan- O. Rinuccini (1598). Nell’Ottocento,
può significare ‘comunità linguistica e ti come l’adozione di certe forme me- in Italia, il genere raggiunge la sua
culturale’, e anche ‘linguaggio comune triche (canzone, ballata, ecc.) e temi massima fioritura con Rossini, Bellini,
o dominante’. specifici (l’amor cortese, l’idealizzazio- Donizetti e Verdi.
ne della donna) peculiari, oltre che per memorialìstica genere letterario in
L una suddivisione in diversi sottogeneri prosa di tipo autobiografico. Differisce
(canso, sirventese, planh, joc partit, dalla autobiografia in senso stret-
làuda (pl. laudi o laude) genere poeti- alba, ecc.). Nella letteratura italiana il to per la mancanza di un’attenzione
co-musicale duecentesco in latino e poi modello del genere l. è per almeno tre esclusiva alla storia della personalità
in volgare, a carattere religioso. È una secoli (dal XIV al XVI) il Canzoniere di di chi scrive e per una maggiore impor-
preghiera cantata in diversi momenti Petrarca e le sue caratteristiche sono il tanza concessa agli eventi esterni.
della giornata ma al di fuori della messa monolinguismo, l’autoreferenzialità,
vera e propria. Il primo es. di l. in vol- l’assenza di narratività, ecc. metàfora figura retorica che consiste
gare sono le Laudes creaturarum di san nella sostituzione di una parola (o di
litote figura consistente, nella sua for- un’espressione) con un’altra il cui signi-
Francesco. Il metro della l., inizialmen-
ma più semplice, nell’esprimere un
te vario, diventa quello della ballata ficato presenta una somiglianza (più o
concetto negando il suo contrario. P. es.
con Guittone e Jacopone. A partire dal meno evidente) con il significato della
“non sto male” per ‘sto bene’. L’effetto
Trecento si ha anche la l. drammatica prima. Può essere considerata come
della l. può essere quello di attenuare la
(cioè dialogata) in ottava rima o in po- una similitudine abbreviata e priva
forza di un’espressione che, enunciata
limetro (verso caratteristico della poe- dell’avverbio di paragone (“come”). La
in modo diretto, risulterebbe offensiva
sia teatrale), destinata alla recitazione m. è usata tanto nel linguaggio quoti-
per qualcuno (cfr. eufemismo) oppure
sul sagrato della chiesa. diano (p. es. sotto forma di catàcresi)
presuntuosa. In altri casi può colorarsi
laudàrio raccolta di laudi delle varie quanto in quello poetico. Nel secondo
di ironia più o meno benevola, come
confraternite religiose (in particola- caso, in particolare, è possibile avere sia
nella frase “non è un genio” per ‘è uno
re quella dei laudesi). L’esemplare più metafore altamente codificate (come
stupido’.
antico è il Laudario cortonese (ca. 1270- «capelli d’oro» per ‘capelli biondi come
locutore in linguistica, è il soggetto l’oro’) il cui riconoscimento è ormai
80). In alcuni casi, oltre al testo, sono
che parla e produce enunciati. meccanico, sia m. d’invenzione, nelle
conservate anche le musiche.
locuzione in linguistica, unità lessicale quali la distanza tra espressione lette-
Leitmotiv (ted. = motivo ricorrente) rale ed espressione figurata è tale da
costituita da almeno due parole.
in musica, è il motivo conduttore, cioè
rendere più difficile e più stimolante il
il tema (ovvero la melodia) ricorren-
ritrovamento delle somiglianze. P. es.:
te associato a un personaggio o a una M in Dante «fonte ond’ogne ver deriva» è
particolare situazione emotiva. Per
madrigale genere poetico-musicale m. per ‘Dio’.
estensione, tema o argomento a cui si
polifonico del Trecento, a carattere li- metàtesi fenomeno linguistico per
fa costante riferimento in un’opera let-
rico e di argomento per lo più amoro- cui due suoni interni ad una parola si
teraria.
so. Come forma strettamente metrica, scambiano di posto senza mutare il si-
lessema la minima unità linguistica il m. antico (o trecentesco) è formato da gnificato della parola stessa. In antico
con significato autonomo. endecasillabi (p. es. Petrarca, Canz. italiano si ha spesso con le semivocali
lezione in filologia si chiama l. la for- LII) o endecasillabi e settenari divisi (p. es.: “aira” per ‘aria’) e con [r] pre-
ma in cui sono attestati una parola o un in terzine (da due a cinque), più uno o ceduta da consonante (“drento” per
passo particolare del testo in un codice due distici conclusivi (o, più raramen- ‘dentro’).
o in una stampa. P. es. nella Commedia, te, un verso isolato). Lo schema delle
per Purg. VI, 111 accanto alla l. «com’è
metonìmia (o metonimìa) figura reto-
rime è variabile. Il m. cinquecentesco ha
rica consistente nella sostituzione di
oscura» alcuni codici danno «com’è si- forma ancora più libera e, in genere,
una parola con un’altra che appartiene
cura» e «come si cura». non supera i 12 versi.
a un campo concettuale vicino e inter-
lìquide, consonanti in italiano sono la mèdio (o mezzano), stile cfr. comico, dipendente. In particolare: la causa per
[r] e la [l], secondo una denominazione stile l’effetto: «Ora sento ’l coltello [la ferita] /
tradizionale dei grammatici antichi. melodramma genere teatrale in musi- che fo profitizzato» (JACOPONE); l’ef-
lìrica in Grecia, la l. è la poesia cantata ca nel quale i personaggi si esprimono fetto per la causa: “guadagnarsi da vive-
con l’accompagnamento della “lira”, mediante il canto. Può avere sia carat- re col sudore della fronte” (= con fatica);
848
GLOSSARIO
l’astratto per il concreto: «quello amor gi, o interno a esso, cioè nascosto in
O
paterno» = ‘quel padre amoroso’ (DAN- una narrazione guidata dai personag-
TE); il contenente per il contenuto: “bere gi: nel primo caso si parla di narrato- ode componimento poetico in sti-
un bicchiere”(= bere il liquido conte- re onnisciente, cioè di un n. che come le elevato, diffuso a partire dal
nuto nel bicchiere), l’autore per l’opera: un burattinaio guida dall’alto l’azione Cinquecento. Simile alla canzone nel-
“un Picasso”(= un quadro di Picasso); il conoscendone perfettamente lo svi- la struttura strofica, l’o. si distingue in
materiale per l’oggetto: in poesia, “il fer- luppo (è il caso dei Promessi sposi di canzone-ode (con stanze ridotte rispet-
ro”(= la spada). A. Manzoni); nel secondo si parla di to alla canzone petrarchesca), canzone
mètrica quantitativa la metrica classica impersonalità della narrazione, cioè pindarica (a imitazione della triparti-
(greca e latina) si basa, diversamente di una narrazione in cui il n. subisce zione di Pindaro – V sec. a. C. – in stro-
da quella italiana e romanza, sull’op- gli eventi dell’azione come i perso- fe, antistrofe ed epodo) e ode-canzonet-
posizione tra sillabe lunghe e brevi. naggi, poiché ne sa quanto loro e a ta (destinata spesso alla musica).
L’unione di due o più sillabe forma il volte meno di loro (è il caso p. es. dei omofonìa identità fonica tra parole di
piede. Malavoglia di G. Verga). significato diverso. P. es.: «o cameretta
mezzano (o medio), stile cfr. comico, neologismo parola creata in tempi che già fosti un porto / [...] / fonte se’
stile recenti o inserita in una lingua mu- or di lagrime nocturne, / che ’l dì celate
tuandola da un’altra dall’insieme dei per vergogna porto» (PETRARCA).
mimèsi (gr. “mímesis” = imitazione)
parlanti o da un singolo scrittore. Il n. omotelèuto identità fonica della ter-
termine opposto e complementare a
può rispondere a esigenze tecniche, minazione di parole soprattutto se ri-
diegesi. Si ha m. quando l’autore rap-
scientifiche, espressive, ecc. ma anche correnti nei luoghi ritmicamente signi-
presenta i discorsi di un personaggio
mirare a effetti dissacranti nei con- ficativi di un testo. Nell’o., a differenza
riproducendoli in modo diretto, a volte
fronti di una tradizione letteraria che della rima (che ne è un tipo), l’identità
anche secondo caratteristiche stilisti-
si vuole trasgredire già a livello lingui- fonica prescinde dalla vocale tonica.
che peculiari. È un procedimento spes-
stico. Dante è autore di molti n. (p. es.:
so usato da Dante nella Commedia ed è onomatopèa imitazione acustica di un
“dislagare”, “indiarsi”, ecc.).
proprio dei generi teatrali. oggetto o di un’azione attraverso il si-
nominale forma stilistica (o sintattica) gnificante (p. es.: “cin-cin” = ‘brindisi’,
monolinguismo unità di tono, lessico
in cui i nomi (sostantivi, aggettivi, ecc.) dal rumore che fanno i calici nell’in-
e registro linguistico in un’opera o in
prevalgono sui verbi o questi sono del contrarsi in segno di augurio).
un autore. Si contrappone spesso il m.
tutto assenti; essa si basa spesso sull’e-
(o unilinguismo) di Petrarca al plurilin- orazione genere letterario diffusosi
numerazione, ovvero sul raggruppa-
guismo di Dante. nel XV sec., che, nella forma del trat-
mento di parole o sintagmi coordinati
monostilismo nozione affine a quella tatello filosofico, etico o letterario è
tramite asindeto o polisindeto.
di monolinguismo, con un riferimen- finalizzato all’affermazione di una tesi
to più marcato alla uniformità, in un’o-
novella componimento narrativo per e alla persuasione della sua correttez-
lo più in prosa (esiste anche la n. in ver- za. Una famosa o. quattrocentesca è
pera o in un autore, di stili e generi
si), di tono realistico ma a carattere av- quella Sulla dignità dell’uomo di Pico
letterari.
venturoso o fantastico, spesso con in- della Mirandola.
tenti morali o didascalici. Mescolando
N ossìmoro accostamento di due termi-
elementi storico-realistici a spunti
ni di significato opposto che sembrano
narràtio (lat. = narrazione; espo- favolosi o leggendari, la n. anticipa il
escludersi a vicenda. P. es.: «vera mor-
sizione) nella retorica la n. indica romanzo moderno. La novellistica è sia
tal Dea» o «cara nemica» (PETRARCA).
quella parte dell’orazione, successiva il genere letterario della n. o lo studio
sistematico di tale genere, sia l’insieme ossìtono sinonimo meno comune di
all’exordium, in cui venivano espo-
di n. relative a un determinato ambito tronco.
sti all’uditorio i fatti, con un racconto
accurato e obiettivo che poteva sia se- letterario. ottava rima strofa composta da otto
guire l’ordine naturale in cui si erano novella in versi tra i principali generi endecasillabi disposti secondo lo
svolti, sia partire da un punto ritenuto narrativi del Romanticismo italiano schema ABABABCC (nel caso dell’o. to-
particolarmente importante. (vi si dedicarono tra gli altri Grossi, scana; l’o. siciliana segue invece lo sche-
Tommaseo, Giusti, Padula, Cantù e ma ABABABAB), in uso nella poesia
narratore voce narrante del racconto,
Prati), la n. può avere un metro abba- discorsiva (epica narrativa, religiosa). È
non necessariamente identificabile
stanza libero, ma spesso assume lo detta anche semplicemente ottava.
con la persona biograficamente intesa
che ha scritto il testo (autore-scrit- schema dell’ottava. Il Medioevo (culla ottonàrio verso di otto sillabe metriche
tore). In quanto finzione letteraria, del passato della Nazione) fa spesso da con accento principale sulla settima. P.
il n. può essere assente dal racconto sfondo a vicende d’amore contrastato o es.: «o Signor, per cortesìa» (JACOPO-
(p. es. Omero) o presente come per- tradito. NE DA TODI).
sonaggio della vicenda (p. es. Dante novenàrio verso di nove sillabe metri- ottosìllabo verso francese e proven-
nella Commedia). Può d’altra parte che con accento principale sull’otta- zale (“octosyllabe”) composto da otto
essere esterno al racconto, e perciò in va. P. es.: «le parolette mie novèlle/ che sillabe, con accento principale sull’ul-
grado di giudicare eventi e personag- di fiori fatto han ballàta» (DANTE). tima. Usato sia nella poesia lirica che
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GLOSSARIO
in quella didattico-narrativa, l’o. viene paretimologìa etimologia arbitraria, peripezìa nell’intreccio della tragedia
ripreso nella metrica italiana antica dal ovvero basata non su fondamenti stori- greca, l’improvviso cambiamento di
novenario. ci o scientifici, ma su analogie di suono una situazione nel suo contrario. Più in
o significato con una parola di uso più generale, con il termine p. si designano
P frequente (è detta anche etimologia le vicende avventurose vissute dai pro-
popolare). P. es.: la località «Sanluzzo» tagonisti di una narrazione.
palatale letteralmente, ‘che riguar- in luogo di “Saluzzo” in una novella di personificazione allegòrica (o proso-
da il palato’. In fonetica, si dicono Boccaccio. popèa) introduzione nella narrazione
consonanti p. quelle articolate tra il parodìa imitazione intenzionale di di cose inanimate o astratte (p. es. la
palato duro e il dorso della lingua (e qualcosa (un personaggio, un testo, patria, la gloria, ecc.), o anche di anima-
che, a seconda del luogo di fonazio- uno stile, ecc.) in forma ironica, per li o persone morte, come se fossero ani-
ne – anteriore, mediano o posteriore evidenziare la distanza critica dal mo- mate o vive. P. es.: la p. di Firenze nella
del palato – si dividono in prepalatali, dello e attuarne il rovesciamento. Un canzone «Ahi lasso, or è stagion de doler
mediopalatali e postpalatali: casa, gat- esempio di p. di un exemplum medie- tanto» di GUITTONE D’AREZZO.
to; circo, giallo; stagno, agli; sciare) e vale è la novella boccaccesca Nastagio
vocali p. quelle articolate nella parte piana parola accentata sulla penultima
degli Onesti. sillaba (p. es.: “casàle”, “ritòrno”). Un
anteriore della cavità orale (la e e la
i). Per palatalizzazione si intende il
paronomàsia (o adnominatio) accosta- verso si dice p. quando termina con una
mento di due parole che hanno un suo- parola accentata sulla penultima silla-
processo tramite il quale un suono di-
no simile. P. es.: «e son un ghiaccio/ [...] ba, e così un testo poetico composto da
venta palatale (p. es. la c di ‘Cicerone’
e giaccio in terra» (PETRARCA). tali versi.
rispetto alla pronuncia ‘Kikerone’ del
lat. repubblicano). pastiche (fr. = pasticcio; imitazione piede unità di misura della metri-
letteraria, rielaborazione di modelli ca quantitativa greco-latina. I p. più
panegìrico discorso solenne ed enfati-
diversi) giustapposizione di parole ap- importanti sono il giambo, il trocheo,
co pronunciato davanti a un vasto udi-
partenenti a registri o codici diversi, l’anapesto, il dattilo e lo spondeo. Nella
torio, durante una cerimonia ufficiale,
perlopiù a fini stranianti e ironico-pa- metrica italiana indica ciascuna delle
al fine di celebrare persone o istituzio-
rodistici. due parti nelle quali può essere strut-
ni. In epoca classica il p. si teneva in
onore di personaggi illustri, mentre in pastorale in letteratura è un genere turata la fronte della canzone.
epoca medievale e moderna per lo più (prevalentemente in versi) che si ispira plazèr (provenz. = piacere) componi-
in onore di santi. alla vita idealizzata dei pastori, traendo mento in versi in cui si elencano le cose
spesso spunto da una vicenda d’amore della vita (o i fatti o le persone) che più
paradosso controsenso; affermazione tra un pastore e una pastorella. Vivo
apparentemente assurda che contrad- danno diletto. Ne è un esempio italia-
già nel mondo classico greco e latino no il sonetto di Dante «Guido, i’ vorrei
dice la logica o il buon senso comune
(p. es. con Teocrito e Virgilio), il genere che tu e Lapo ed io».
sorprendendo il lettore (o l’ascoltato-
p. viene ripreso in Italia intorno al XV
re). P. es.: «Vergine pura, d’ogni parte pleonasmo espressione sovrabbon-
sec. e, attraverso un ampio sviluppo in
intera,/ del tuo parto gentil figliuola et dante; consiste nell’uso di una o più
Europa tra XVI e XVII sec. (soprattutto
madre» (PETRARCA). parole grammaticalmente o concet-
nella forma del dramma p., ma anche
paràfrasi esposizione dettagliata del tualmente superflue alla comprensio-
in quella parodistica della farsa rusti-
contenuto di un testo, soprattutto po- ne dell’enunciato. P. es.: «con meco»
cale), culmina – e si estingue – nella po-
etico, utilizzando parole diverse e una (PETRARCA), dove «meco» significa
esia settecentesca dell’Arcadia.
forma più semplice rispetto all’origina- ‘con me’ (dal lat. “mecum”).
pastorella genere letterario medieva-
le, al fine di renderne più comprensibi- le, di derivazione franco-provenzale, in
plurilinguismo mescolanza di lingua e
le il significato. dialetto, di lingue diverse o di differen-
forma di contrasto amoroso: il dialogo,
parallelismo procedimento stilistico ti registri linguistici (tecnico, gergale,
fatto di vivaci botte e risposte, si svolge
in cui alcuni elementi del discorso (da letterario, ecc.) a fini sperimentali o
durante un incontro campestre tra un
fonetici a sintattici) vengono disposti parodistici.
cavaliere (identificabile in genere con
parallelamente all’interno di una frase il poeta) e una pastorella cui questi fa pluristilismo mescolanza in uno stesso
o di un periodo (cfr. p. es. anafora, po- profferte galanti. P. es.: «In un boschetto testo di registri stilistici diversi.
lisindeto). truva’ pasturella» di CAVALCANTI. poema composizione narrativa in
paratassi rapporto di coordinazione perìfrasi giro di parole con cui si espri- versi, di ampia estensione e di stile
tra proposizioni principali e seconda- me indirettamente un concetto, o si elevato, generalmente divisa in canti
rie, che vengono poste l’una accanto descrive una persona o un oggetto, al o libri. A seconda dell’argomento, il p.
all’altra, all’interno del periodo, senza fine di evitare espressioni volgari o do- si divide nei seguenti generi: p. alle-
una relazione di subordinazione. P. es.: lorose, termini troppo tecnici ecc., o gorico-didattico, che vuole imparti-
«Orlando sente che il suo tempo è fini- anche al fine di attenuare l’espressione re precetti morali e religiosi (p. es.: la
to./ Sta sopra un poggio scosceso, verso o renderla più solenne. P. es.: «l’amor Commedia di Dante); p. didascalico,
Spagna;/ con una mano s’è battuto il che move il sole e l’altre stelle» (DAN- che vuole divulgare, secondo le regole
petto» (dalla Chanson de Roland). TE), cioè Dio. dell’enciclopedismo, teorie filosofiche,
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GLOSSARIO
scientifiche o estetiche (p. es.: il Roman polìptoto figura sintattica per cui una esposti gli antefatti dell’azione e se ne
de la Rose di G. de Lorris e J. de Meung, parola, in genere la prima di una frase, illustrano le linee fondamentali.
il Tesoretto di B. Latini o il Fiore attri- viene ripetuta a breve distanza cam- prosa scrittura che procede diritta, uti-
buito a Dante); p. cavalleresco, che biando funzione (ovvero caso, genere, lizzando cioè l’“a capo” per ragioni non
tratta le gesta eroiche e amorose dei numero, ecc.). P. es.: «e alcuna volta gli metriche (come nel caso della scrittura
cavalieri, alternando toni epici e non era paruto migliore il mangiare che non in versi) ma concettuali. Legata all’ora-
di rado burleschi (il p.c., nato in Francia pareva a lui che dovesse parere a chi di- toria latina, la p. medievale ne ricalca
in epoca medievale, conosce tre cicli giuna per divozione» (BOCCACCIO). l’andamento ritmico, ovvero la strut-
diversi: quello carolingio, a carattere polisenso come agg.: che ha o assu- tura cadenzata (vedi clàusola), attra-
epico – Chanson de Roland –; quello me significati diversi e che è quindi verso il cursus (prosa ritmica); l’an-
bretone, a carattere romanzesco e amo- suscettibile di interpretazioni diffe- damento ritmico della p. è dato anche
roso – Roman de Brut, di Wace, Lais di renti; come sost.: caratteristica del dal far rimare tra loro le parole finali di
Maria di Francia, ecc. –; e quello classi- linguaggio poetico in cui una parola due o più frasi (prosa rimata). Quando
co, in cui vengono rielaborate leggende o un’espressione possono assumere la scrittura in p. si concentra piuttosto
classiche adattandole ai gusti corte- molteplici significati a seconda del sulla qualità stilistica che sugli aspetti
si e cavallereschi – Roman de Thèbes, contesto (a differenza del linguaggio concettuali e narrativi, si parla di prosa
Roman de Troie, ecc. –. Una originale scientifico in cui a ogni termine cor- d’arte.
ripresa del p.c. si ha nel Rinascimento risponde un unico significato). P. es.: prosìmetro componimento in cui si
italiano con l’Orlando innamorato di il verbo “salutare” significa in Dante alternano versi e prosa (p. es.: la Vita
Boiardo, il Morgante di Pulci, l’Orlan- sia ‘dare il saluto’ che ‘trasmettere la nuova di Dante).
do furioso di Ariosto e la Gerusalemme salvezza’. Parlando di un testo lette-
liberata di Tasso; p. eroicomico, che è prosopopèa cfr. personificazione al-
rario, s’intende per polisemìa la pro-
una parodia del p. cavalleresco, del qua- legorica
prietà di un significante di avere più
le riprende alcuni topoi (eroi, valori significati, non solo propri ma anche pròtasi parte introduttiva di un poe-
cavallereschi, ecc.) degradandoli, oltre metaforici. ma in cui viene dichiarato l’argomento.
che nell’uso di un linguaggio basso, at- pseudònimo nome non corrisponden-
traverso il loro inserimento in un con- polisìllabo parola composta da più sil-
labe, generalmente da quattro o più. te a quello reale, usato per non rivelare
testo comico e grottesco. Cfr., p. es., La la vera identità.
secchia rapita di A. Tassoni. polisìndeto ripetizione frequente della
congiunzione copulativa e, a fini espres- purismo tendenza linguistica (e lette-
poemetto componimento in versi si- raria) in cui si vogliono normativamen-
mile al poema, per contenuto e tono, sivi, tra le parole che formano una serie
o tra varie proposizioni che formano un te preservare i caratteri tradizionali di
ma più breve. P. es.: il p. l’Intelligenza una lingua, rifiutando – in nome della
attribuito a Dante. periodo. P. es.: «e videmi e conobbemi e
chiamava» (DANTE). purezza – la contaminazione di fore-
poesia pastorale cfr. egloga stierismi, neologismi, ecc.
preterizione figura retorica per la qua-
poètica complesso delle idee di un ar- le fingendo di tacere una cosa la si dice,
tista, di una tendenza o di una scuola attribuendole in questo modo maggio- Q
intorno al fare artistico; le forme, i re rilievo. P. es.: «Cesare taccio che per
modi, le finalità tenuti esplicitamente quadrisìllabo verso di quattro sillabe
ogni piaggia/ fece l’erbe sanguigne/ di
o implicitamente presenti come mo- metriche con accento principale sulla
lor vene» (PETRARCA).
dello. La prima teorizzazione intorno terza; è detto anche quaternario. Per
al concetto di p. risale all’omonimo proèmio parte introduttiva di un’opera q. s’intende tuttavia anche una parola
trattato del filosofo greco Aristotele (IV e, in particolare, del poema (soprat- formata da quattro sillabe.
sec. a. C.) e giunge fino al Medioevo, at- tutto epico); si divide in due parti: la
quartina strofa di quattro versi, rima-
traverso la mediazione dell’Ars poetica pròtasi e l’invocazione, in cui il poeta
ti per lo più secondo gli schemi ABBA,
del poeta latino Orazio (I sec. a. C.), sof- si rivolge agli dèi (in età classica) o ai
ABAB, AABB o AAAA (q. monorima); la
fermandosi essenzialmente sulle ca- santi (in età medievale) per ottenere le
q. può essere sia costituita da quattro
ratteristiche retoriche dell’opera. Solo forze necessarie a scrivere il poema. A
versi omogenei all’interno di una stro-
a partire dal XVIII sec., all’impostazio- volte il p. comprende anche la dedica
fa più ampia, sia costituire un’unità
ne retorica della p. si è affiancata, fino a al mecenate dell’opera o comunque al
all’interno di uno schema metrico più
sostituirla, quella estetica. suo destinatario.
complesso (p. es. il sonetto).
polifonìa in campo musicale è l’unio- prolessi anticipazione nella proprosi-
quantità cfr. metrica quantitativa
ne di più voci o strumenti che svol- zione principale dell’enunciato di una
secondaria (p. es.: “di questo ti prego, quasi rima cfr. rima
gono contemporaneamente, su base
contrappuntistica, il proprio disegno di fare silenzio”). In narratologia la p. quaternàrio cfr. quadrisìllabo
melodico. In narratologia è la pluralità è l’evocazione di un evento futuro ri-
quinàrio verso di cinque sillabe metri-
delle voci, cioè la molteplicità dei punti spetto al momento della narrazione.
che con accento principale sulla quar-
di vista dei personaggi, assunta dal nar- pròlogo scena iniziale di un’opera, sia ta. P. es.: «– in quel cespùglio –» (SAC-
ratore in molti romanzi moderni. epica che teatrale, nella quale vengono CHETTI).
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GLOSSARIO
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GLOSSARIO
cadia di Sannazzaro il proprio modello vizi umani), sociale (come nei canti può costituire un emistichio). P. es.:
(e nell’Ameto di Boccaccio un impor- dei goliardi) e politico (oltre che anti- «per una ghirlandetta ch’io vidi, mi
tante precedente) e che si diffonderà monastica o misogina). In età umani- farà/ sospirare ogni fiore» (DANTE).
soprattutto nel XVI sec. Uno svilup- stica e rinascimentale, la s. ha invece significato/significante un segno lin-
po eccezionale il r. ha poi a partire dal interessi prevalentemente letterari guistico (p. es. la parola “pane”) è costi-
Settecento, soprattutto in Inghilterra (come le Satire di L. Ariosto). Per satira tuito dall’associazione di un significato
e in Francia, al punto da diventare il menippea si intende un testo composto e di un significante, ovvero di un ele-
genere caratteristico della moderni- di prosa e versi, di argomento filosofico mento concettuale (il significato, cioè
tà; per r. picaresco s’intende un genere e morale, inventato dal filosofo greco il concetto di “pane”) e uno formale,
narrativo diffusosi in Spagna a partire Menippo di Gadara (IV-III sec. a. C.) fonico e grafico (il significante, cioè
dalla seconda metà del Cinquecento e diffuso anche nella latinità del I l’insieme dei fonemi e dei segni grafici
(con il romanzo, di anonimo, Lazarillo sec. d. C. (Seneca e Petronio). che formano la parola “pane”).
de Tormes), avente per oggetto le av- scémpia si dice di una consonante sillogismo argomentazione logica de-
venture spesso comiche e crude di per- semplice, cioè non doppia. finita per la prima volta dal filosofo gre-
sonaggi popolareschi perlopiù astuti e co Aristotele (IV sec. a. C.) nei seguenti
imbroglioni (dallo spagnolo “picaro”
scenario l’insieme delle strutture che
delimitano e raffigurano il luogo in cui elementi: A) presentazione (di ciò che si
= furfante). Uno sviluppo eccezionale deve dimostrare), B1) premessa maggio-
si svolge un’azione teatrale (fondali,
il r. ha poi a partire dal Settecento, so- re e B2) premessa minore (rispetto a ciò
quinte ecc.).
prattutto in Inghilterra e in Francia, al che si deve dimostrare), C) conclusione
punto da diventare il genere caratteri- sdrùcciola parola accentata sulla
(che deve essere uguale alla presenta-
stico della modernità. terz’ultima sillaba (p. es.: “màrtire”,
zione). P. es.: A) = “I greci sono morta-
rubrica nei codici manoscritti indica i “càmera”). Un verso si dice s. quando
li”; se “tutti gli uomini sono mortali”
titoli, i sommari o le lettere iniziali (per termina con una parola accentata sulla
(B1) e “i greci sono uomini” (B2), ne
lo più scritti in rosso); nei libri divisi in penultima sillaba e così un testo poeti-
consegue che “i greci sono mortali”
capitoli, come p. es. il Decameron, la r. co composto da tali versi.
(C). Per sillogistico si intende un ra-
indica in sintesi il contenuto dei singoli semiòtica scienza dei segni volta allo gionamento basato sul s., ma anche un
capitoli cui è premessa. studio di quei sistemi (linguistici, ge- discorso sottile e complesso.
rusticale agg. che designa un tipo di stuali, simbolici, ecc.) che costituisco- sìmbolo attribuzione immediata e in-
poesia che riguarda gli aspetti e i carat- no un codice convenzionale di comuni- tuitiva di un significato a un’immagi-
teri della campagna. cazione. È detta anche semiologia. ne; il s. stabilisce tra universale e par-
senàrio verso di sei sillabe metriche ticolare (l’uno colto nell’altro) un rap-
S con accento principale sulla quinta. porto necessario e organico, istantaneo
senhal (provenz. = segno; leggi segnàl) e alogico, implicando perciò la sogget-
saga genere in versi e in prosa delle
nome fittizio o riferimento cifrato die- tività individuale ed esistenziale piut-
letterature nordiche antiche, svilup-
tro il quale il trovatore celava la perso- tosto che, come avviene nell’allegoria,
patosi in Islanda tra XII e XIV sec. e
na (e soprattutto la donna) cui era ri- quella di una razionalità collettiva.
diffuso anche nell’ambiente culturale
germanico, che narra in un’ottica leg- volta la poesia. Tale mascheratura, resa similitùdine rapporto di somiglianza
gendaria le vicende di un popolo o di necessaria dall’etica cortese del segre- tra persone o cose diverse, introdotto
importanti famiglie locali (clan) i cui to, viene ripresa anche dalla successi- da come, da altri avverbi di paragone
protagonisti incarnano i valori più alti va poesia italiana: p. es. il s. «Fioretta» (“tale”, “simile a”, ecc.) o da forme ana-
di una data società (la Saga degli abitan- nella ballata di Dante «Per una ghir- loghe (“sembra”, “pare”, ecc.). P. es.:
ti di Eyr, la Saga dei Nibelunghi, ecc.). landetta» e, in Petrarca, i s. «l’aura»(= “un uomo forte come un leone”).
l’aria) o «lauro»(= alloro) in riferimento sinalefe fusione all’interno di un ver-
sarcasmo ironia amara e caustica,
all’amata Laura. so, per ragioni metriche, tra la vocale fi-
spesso ispirata da risentimento e ag-
gressività. sestina strofa di sei endecasillabi ri- nale di una parola e quella iniziale della
mati secondo lo schema ABABCC, det- successiva, per cui nella lettura viene
sàtira composizione poetica derivata
ta anche sesta rima. S. è detta pure un eliminata la prima delle due vocali. È
dalla lat. “satura” (= composizione pie-
tipo di canzone costituita da sei s. più detta anche elisione metrica. P. es.: «voi
na, mista di vari elementi), che, con un
una terzina, nelle quali non si ha però ch’ascoltate in rime sparse il suono»
tono a metà tra il comico e il serio, rap-
lo schema di rime proprio della s. ma (PETRARCA).
presenta a fini moraleggianti o critici, e
con modi ora benevoli ora ironicamen- sei parole-rima che si ripetono in tutte sìncope caduta di uno o più fonemi
te polemici o violentemente aggressi- le strofe nel seguente modo: ABCDEF all’interno di una parola con conse-
vi, personaggi e ambienti della realtà FAEBDC CFDABE ECBFAD DEACFB guente fusione di due sillabe in una (p.
sociale, denunciandone debolezze, BDFECA (p. es.: la s. «Al poco giorno e al es.: “vienmi” = “vienimi”).
vizi, ecc. Nel Medioevo, in particolare, gran cerchio d’ombra» di DANTE). sincronìa/diacronìa cfr. diacronia/sin-
la s. ha carattere soprattutto morale, settenàrio verso di sette sillabe metri- cronia
prediligendo il discorso allegorico (gli che con accento principale sulla sesta sinèddoche come la metonimia e la
animali come simbolo delle virtù e dei (spesso alternato all’endecasillabo, ne metafora, riguarda uno spostamento
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GLOSSARIO
di significato da un termine a un altro quattro strofe, due quartine e due ter- stilìstica (crìtica) studio storico-cri-
posti in rapporto di contiguità. La s. zine. La disposizione delle rime segue tico dell’opera di un autore attraverso
consiste nell’estendere o nel restringe- per lo più lo schema lentiniano ABAB l’analisi dello stile, alla luce di una vi-
re il significato di una parola, e si ottie- ABAB CDE CDE (o CDC DCD) e quel- sione sostanzialmente linguistica del
ne indicando la parte per il tutto (p. es.: lo stilnovistico ABBA ABBA CDC CDC. prodotto letterario.
“il mare è pieno di vele” = il mare è pie- Per s. caudato si intende un s. al quale stilizzazione termine proprio delle
no di barche a vela) o il tutto per la parte è stata aggiunta una coda di tre versi arti figurative che indica la rappresen-
(p. es.: “non ci è mai mancato il pane” (un settenario – che rima con l’ulti- tazione p. es. di una figura secondo uno
= abbiamo sempre avuto da mangiare), mo verso della seconda terzina – e due schema essenziale di linee e colori; per
il sing. per il plur. (p. es.: “lo spagnolo endecasillabi in rima baciata), o anche estensione, la s. è anche la riduzione,
è più passionale dell’inglese” = gli spa- solo un distico di endecasillabi in rima alleggerita e affinata nella forma, di un
gnoli sono più passionali degli inglesi) baciata. personaggio o di un ambiente.
o il plur. per il sing. (p. es.: “occuparsi Spannung (ted. = tensione) in narrato- strofa (o strofe) unità metrica della po-
dei figli” = occuparsi del proprio figlio), logia, il momento culminante di una esia costituita da uno schema fisso per
la materia di cui è fatto un oggetto per narrazione. numero e misura dei versi e per dispo-
l’oggetto stesso (p. es.: “legno” = barca).
sperimentalismo atteggiamento lette- sizione delle rime (vedi anche stanza
sinèresi contrazione, all’interno di rario ed artistico volto alla costante ri- e cobla). Da Leopardi in poi (XIX sec.)
una parola, di due sillabe in una (p. es.: cerca e sperimentazione, a fini espres- tale schema diventa libero e la s. diven-
«quand’era in parte altr’uom da quel sivi, di stili e tecniche nuove. ta, più in generale, un gruppo di versi
ch’i’ sono», PETRARCA); nella lettura evidenziato come tale anche da sempli-
stanza le strofe di una canzone o un
metrica si oppone alla dieresi. ci segni grafici (lo spazio tipografico).
componimento poetico di un’unica
sinestesìa forma particolare di me- strofa. strutturalismo indirizzo specifico della
tafora in cui si associano, nella stessa linguistica che individua nella lingua,
stile espressione propria e caratteristi-
espressione, voci che si riferiscono ad attraverso le analisi di F. de Saussure
ca di ciascun autore, e anche l’insieme
àmbiti sensoriali diversi (tatto, gusto, (1857-1913), un sistema in cui ogni
degli aspetti formali di un’opera. In ac-
vista, olfatto, udito; p. es.: “dolce ru- elemento acquista valore e significato
cezione più ampia, il termine s. indica
more” – rapporto gusto/udito –; “bel in relazione agli altri componenti del
gli elementi formali e culturali propri
sapore” – rapporto vista/gusto, ecc.). sistema. In senso più ampio, lo s. è una
di un movimento letterario (il Dolce stil
sinizesi contrazione vocalica. Cfr. novo), di una scuola (la Scuola siciliana) teoria critico-filosofica, sviluppatasi in
sinèresi. o di un’epoca (stile rinascimentale). Francia a partire dagli anni Sessanta del
sinònimo parole diverse nel signifi- stilema costruzione formale che ricor- Novecento e applicata a molte discipli-
cante ma aventi lo stesso significato rendo nel linguaggio di un autore ne ne (dall’antropologia all’economia,
(p. es.: “busto” “tronco” “torace” “tor- diventa un tratto distintivo (p. es.: «Ed all’estetica, alla psicoanalisi), che stu-
so”). La sinonimìa è pertanto l’identi- ecco...», espressione usata da Dante dia le varie strutture (antropologiche,
tà di significato tra due o più parole o nella Commedia per indicare improv- economiche, ecc.) analizzando le inte-
espressioni, a prescindere dal contesto visi sviluppi della narrazione); modulo razioni tra le parti che le compongono.
in cui esse vengono utilizzate (p. es.: caratteristico, non necessariamente sublimazione idealizzazione; in psi-
“quella donna ha un bel viso”; “essere linguistico, di specifici generi (lettera- coanalisi, è un meccanismo secondo
triste in volto”). ri, musicali, pittorici, ecc.), di poetiche il quale le pulsioni aggressive e gli im-
sintagma gruppo di due o più elementi ecc. pulsi primitivi legati alla sfera della
linguistici (articolo, pronome, aggetti- stili (teoria degli) elaborazione teo- sessualità si trasformano in contenuti
vo, verbo, sostantivo, ecc.) che forma rica in base alla quale a ogni argomen- socialmente accettabili (p. es. le crea-
in una frase un’unità minima dotata di to corrisponde uno stile appropriato: zioni artistiche).
significato (p. es.: “di corsa”, “mal di te- quello umile (per temi banali e reali-
sta”, “andare a scuola”, ecc.). stici), quello medio (per temi pastorali T
sirma nella canzone indica la secon- e agresti) e quello sublime (per temi
da parte di ciascuna stanza (la prima tautologìa proposizione in cui il sogg. e
filosofici, amorosi ed eroici). Questa
è la fronte), normalmente indivisa il predicato sono identici nella sostan-
rigorosa tripartizione, nata in età clas-
da Petrarca in poi (s. indivisa); fino a za ma espressi in termini formalmente
sica con le formulazioni di Cicerone e
Dante la s. poteva invece essere strut- diversi; definizione che asserisce ciò
di Orazio, subisce in epoca medievale e
turata in due volte. Nella ballata è si- che invece dovrebbe spiegare (p. es.: “il
in ambito cristiano un rimescolamento
nonimo di volta e nel sonetto di sesti- triangolo ha tre angoli”).
dettato dalla necessità di rappresentare
na o terzina. È detta anche coda. artisticamente tutta la realtà in quanto tecnicismo vocabolo (o locuzione) di
sonetto forma poetica molto antica essa ha dignità in tutti le sue compo- uso tecnico, ovvero specifico di un de-
probabilmente inventata da Jacopo nenti: così Dante – che pure distingue terminato ambito.
da Lentini (1210-60) nell’àmbito del- tra stile comico, elegiaco e tragico – dà tempo del racconto è il tempo seguito
la Scuola siciliana. Il s. è composto vita nella Commedia a una grande me- dalla scrittura, che non ricalca neces-
da quattordici endecasillabi divisi in scolanza degli stili tradizionali. sariamente con precisione l’ordine
854
GLOSSARIO
cronologico della narrazione (tempo prende solo apografi copiati a mano XIV sec. e il XVI, avente il proprio fine
della storia) ma procede o lentamente, (cioè non a stampa). culturale nel recupero filologico dei
dilungandosi nella rappresentazione tragèdia genere teatrale nato nella classici latini e greci e nell’affermazio-
di episodi o nella descrizione di perso- Grecia classica avente per argomento ne dei valori terreni dell’individuo.
naggi e paesaggi, o velocemente, rias- grandi problematiche interiori dell’uo- unità aristotèliche si tratta delle unità
sumendo in poco spazio giorni e addi- mo, espresse con uno stile elevato e di luogo, di tempo, d’azione che, nella
rittura anni (cfr. riassunto). con ricchezza di pathos. A carattere ini- descrizione di Aristotele, caratteriz-
tenzone disputa poetica; il termine, de- zialmente religioso, con la rappresen- zavano la tragedia classica greca. Esse
rivato dal provenz. tenso, indica un di- tazione di un’umanità idealizzata, la furono interpretate come norma rigo-
battito tra poeti in cui, con vivaci botta t. si è poi sviluppata in senso realistico rosa da alcuni teorici cinquecenteschi
e risposta, un poeta propone il tema (la fino ad affrontare – in epoca moderna – e messe in pratica da molti scrittori
proposta, in genere d’argomento amo- i drammi della società borghese. Nelle teatrali. Le u. a. implicano che l’azio-
roso, morale, o letterario) e gli altri (ma poetiche medievali e in Dante, il ter- ne teatrale si svolga in un unico luogo,
anche uno solo) rispondono secondo le mine t. si contrappone a commedia e nell’arco di ventiquattr’ore, senza diva-
proprie convinzioni, utilizzando per lo indica un componimento in stile alto e gazioni dalla trama principale.
più lo stesso schema metrico e di rime d’argomento elevato. uscita di verso parte finale del verso,
della proposta (risposta a rime obbliga- tràgico nelle poetiche medievali si con riferimento in genere all’ultima
te o per le rime). P. es.: la T. fra Dante e intende per stile o genere t. quello di parola.
Forese. Cfr. anche contrasto. tono elevato e sublime avente per mo-
ternàrio cfr. trisillabo dello l’Eneide del poeta latino Virgilio
terzina strofa composta di tre versi (I sec. a. C.); la sua applicazione nel si- V
(vedi anche sonetto). La t. incatenata stema dei generi è da riferirsi, secondo variante in filologia indica ogni diver-
(o dantesca), formata da tre endecasìll- Dante, alla canzone. sa lezione, ovvero ogni diversa solu-
abi legati da rime secondo lo schema traslato come agg., vale ‘trasferito, zione espressiva tramandata dai vari
ABA BCB CDC ecc., è diventata uno dei spostato’; il sost. indica invece uno spo- testimoni rispetto all’originale, gene-
modelli della poesia italiana, soprattut- stamento di tipo metaforico. rata da errori di trascrizione dei copisti,
to didascalica e allegorica. da loro eventuali fraintendimenti, da
trionfi cfr. canti carnascialeschi
tipo personaggio del quale viene mes- ipotesi diverse di ricostruzione del te-
so in particolare risalto un singolo attri- trisìllabo parola composta di tre silla- sto in caso di luoghi lacunosi, ecc. Per
buto caratteriale, rendendolo una sorta be; verso di tre sillabe metriche con ac- variante d’autore si intende una v.
di stereotipo, di maschera fissa (p. es.: cento principale sulla seconda. dovuta all’autore stesso, cioè una sua
lo snob, il geloso, il burbero, ecc.). Per trobàr termine provenzale che signifi- correzione o un ripensamento, e pre-
tipizzazione s’intende quindi la ridu- ca ‘comporre versi’. Cfr. anche trova- sente in fogli, appunti o altro lasciati
zione delle caratteristiche individuali tore. dall’autore: il Canzoniere petrarchesco
di un personaggio a una fondamentale, tronca parola accentata sull’ultima è p. es. ricchissimo di v. d’a., a causa del-
così da farne un t. sillaba in quanto troncata dell’ultima le continue revisioni del testo da parte
tònico dotato di accento. Le vocali o le sillaba nel passaggio dal lat. all’ital.: dell’autore.
sillabe su cui cade l’accento all’interno “virtùtem” = “virtù”, “pietàtem” = velare si definiscono v. quei fonemi
di una parola (o di un verso) sono per- “pietà”). Un verso si dice t. quando ter- (consonanti e vocali) che si articolano
ciò dette tòniche. mina con una parola accentata sull’ulti- con il dorso della lingua ravvicinato al
topos (plur. “tòpoi”; gr. = luogo) termi- ma sillaba e così un testo poetico com- velo palatino (cioè alla volta del palato
ne che indica genericamente un luogo posto da tali versi. che termina con l’ugola): p. es. le con-
comune, ovvero un motivo (un’im- troncamento cfr. apocope sonanti /k/ (casa, chiesa, questo), /g/
magine, un concetto, un sentimento) (gatto, ghisa) ed /n/ (davanti a /k/ e /g/:
trovatore il termine deriva dal prov.
ripreso con una certa frequenza dagli banco, vengo), e le vocali /ò/, /ó/ e /u/.
trobar e designa i poeti-musici proven-
scrittori al punto da diventare una zali o quei poeti che, benché non pro- verso lìbero verso che rompe i tra-
enunciazione convenzionale (p. es.: venzali, presero questi a modello (p. dizionali schemi metrici aprendo la
le ninfe che si lavano a una fonte, la es. il t. italiano Sordello da Goito). Per struttura chiusa della strofa e varian-
purificazione dell’anima attraverso la poesia trovatòrica o trobadòrica si in- do liberamente il numero delle silla-
discesa agli inferi, l’amore per la donna tende quindi la poesia d’argomento per be. Teorizzato e usato inizialmente dai
lontana, la corrispondenza tra amore e lo più amoroso tipica dei provenzali o simbolisti francesi nel XIX sec., il v. l. è
primavera ecc.). Nella retorica, i t. era- delle scuole italiane che la presero a usato in Italia a partire dagli scapiglia-
no degli argomenti prestabiliti utili alla modello. ti e dalla metrica barbara di Carducci:
comprensione e all’efficacia persuasiva presente poi in tutta la poesia del
di un discorso. Novecento (soprattutto sperimenta-
tradizione in filologia indica l’insieme
U le), esso ha il suo più lucido teorico in
dei testimoni esistenti di un certo te- Umanésimo movimento intellettuale G. P. Lucini (1867-1914) e la sua siste-
sto. La t. manoscritta è quella che com- sviluppatosi tra la seconda metà del matica utilizzazione nei futuristi.
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GLOSSARIO
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INDICE DEI NOMI
l’indice fa riferimento esclusivamente alla trattazione storico-letteraria
Adorno, Theodor 696 Brunelleschi, Filippo 497 Erasmo da Rotterdam 576, 596-597
Adriano VI, papa 834 Bruni, Leonardo 656 Este, Alfonso I d’ 719, 720
Agostino Aurelio (sant’Agostino) 158, Este, Ercole I d’ 711
297 Calderón de la Barca, Pedro 731 Este, Ippolito d’ 718, 720, 724
Agricola, Giorgio 569 Cangrande della Scala 156, 216 Este, Isabella d’ 718, 734
Alberti, Leon Battista 494, 497 Cappellano, Andrea 15 Euclide 569
Alessandro VI Borgia, papa 512 Capponi, Neri di Gino 656
Alighieri, Dante 8, 29, 32, 63, 93, 153- Caprara, Antonia 710 Federico II di Svevia 80
292, 294, 297, 298, 369, 374, 378-379, Carlo di Valois 128, 156, 210 Ferdinando II d’Aragona (detto il
462, 505, 507, 576, 578 Carlo il Calvo 11 Cattolico) 682
Alighiero di Bellincione 154 Carlo Magno 3, 5, 11 Ficino, Marsilio 480, 513, 704, 706
Andrea del Verrocchio 557 Carlo Martello 20 Filippo IV, il Bello 6
Angiolieri, Cecco 110-111, 183 Carlo V d’Asburgo 477, 595, 682, 695 Folengo, Teofilo 495, 814, 823-825,
Apollonio di Perge 569 Carlo VIII di Francia 477, 488, 489, 829, 831, 834
Archimede 569 618, 711 Folgòre da San Gimignano 111
Aretino, Pietro 489, 495, 576, 595, Castiglione, Baldassar 488, 489, 494, Francesco d’Assisi 33, 63, 65, 66-68
834 576, 578, 584-586, 595, 610, 675 Francesco da Carrara 296
Ariosto, Alessandro 724 Caterina d’Aragona 597 Francesco I di Valois 557, 595, 682
Ariosto, Ludovico 38, 494, 701, 710, Caterina da Siena (Caterina Francesco Maria, duca della
712, 718-812 Benincasa) 63 Rovere 584
Ariosto, Niccolò 718 Cavalcanti, Guido 93, 94, 95, 111, 154, Franco, Veronica 531
Ariosto, Virginio 719 183 Freud, Sigmund 609, 676
Aristotele 16, 18, 21, 218, 494, 549, 575 Chaucer, Geoffrey 369, 462, 464
Arrigo VII, imperatore 128, 156, 210, Chiara di Assisi 67 Galilei, Galileo 18, 555, 558, 569
216 Chrétien de Troyes 50-51, 702 Gama, Vasco da 568
Augusto, Caio Giulio Cesare Cicerone, Marco Tullio 303, 374, 386, Giacomino Pugliese 81
Ottaviano 494 Giacomo da Lentini 80-83, 93
Averroè (Ibn Rushd) 549, 550 Cielo d’Alcamo 81, 110 Giberti, Giovan Matteo 595
Avicenna (Ibn Sina) 549, 550 Cino da Pistoia 93, 95 Giotto 33
Clemente VII, papa (Giulio de’ Giulio II, papa 499, 529, 719
Bachtin, Michail Michajlovič 831 Medici) 607, 682, 695 Gonzaga, Elisabetta 584
Bembo, Pietro 494, 495, 529, 576-579, Cola di Rienzo (Nicola di Lorenzo, Gregorio VII, papa 5
595, 610, 675, 718, 720, 722, 723, 732, detto) 296 Guglielmo IX d’Aquitania 41
739, 835 Collaltino di Collalto 530 Guicciardini, Francesco 495, 610,
Benedetto XI, papa 74 Colombo, Cristoforo 472, 475, 568 681-700
Benucci, Alessandra 719 Colonna, Giovanni 294 Guido delle Colonne 81
Bernardone, Pietro 66 Colonna, Vittoria 529, 530 Guidobaldo di Montefeltro 584
Bernart de Ventadorn 41 Compagni, Dino 128 Guido Novello da Polenta 156
Berni, Francesco 531, 834-835 Contessa di Dia 41 Guinizzelli, Guido 93-94
Boccaccino di Chelino 370 Copernico, Niccolò (Nikolaj Guittone d’Arezzo 87, 88, 93
Boccaccio, Giovanni 8, 20, 21, 25, 27, Kopernik) 18, 569 Gutenberg, Johann 489
296, 303, 369-469, 478, 495, 505, Croce, Benedetto 512, 721
578, 579, 616, 665, 702, 813, 815 Huzinga, Johan 24
Boezio, Anicio Manlio Severino 158 Dal Pozzo Toscanelli, Paolo 568
Boiardo, Matteo Maria 38, 701, 703, Della Casa, Giovanni 529-530, 576, Innocenzo III, papa 6, 67
710-712, 722, 732, 734, 739 586 Isabella di Morra 531
Bonifacio VIII, papa 6, 74, 128, 154, De Silva, Michele 585
156, 210 Dionigi Aeropagita 32 Jacopone da Todi 63, 74-75
Bonvesin da la Riva 128 Di Tarsia, Galeazzo 529, 530
Borgia, Cesare (il Valentino) 607 Donatello (Donato de’ Bardi, Keplero (Johannes Kepler) 18
Bosch, Hieronymus 814 detto) 497
Botticelli (Sandro Filipepi, detto) 436, Donati, Forese 183 Lapo, Gianni 93
498 Donati, Gemma 154 Le Goff, Jacques 33
Bracciolini, Poggio 656 Leonardo da Vinci 555, 556-558, 570
Bramante, Donato 499 Enrico VIII Tudor 597, 598, 682 Leone X, papa (Giovanni de’
Bruegel, Pietro il Vecchio 814 Enzo, Re di Sardegna 80 Medici) 682
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INDICE DEI NOMI
Livio, Tito 606, 655 Omero 153 Roberto d’Angiò 196, 371, 372, 374
Ludovico da Bagno 724 Onorio III, papa 67 Rudel, Jaufré 41
Ludovico il Germanico 11 Orazio Flacco, Quinto 724 Rustichello da Pisa 127, 136
Luigi XII 607 Orsini, Camillo 823 Rustico Filippi 110
Lutero, Martin 472, 476 Ruzante (pseud. di Angelo Beolco) 495
Paolo III, papa 695
Machiavelli, Niccolò 488, 489, 494, Paolo Uccello (Paolo di Dono, Salviati, Maria 682
576, 586, 605-680, 681, 682, 683, detto) 497 Sanseverino, Roberto 704
731 Petracco dall’Incisa 294, 297 Savonarola, Girolamo 486, 512, 607,
Magellano, Ferdinando 568 Petrarca, Francesco 8, 25, 27, 63, 293- 706
Manfredi, re di Sicilia 80 368, 369, 372, 373, 374, 478, 495, Seneca 734
Manuzio, Aldo 576 505, 507, 512, 529, 530, 576, 577, 578, Sforza, Ludovico (il Moro) 557
March, Ausiàs 505, 507 579, 712, 719, 722, 739, 835 Shakespeare, William 153, 731
Martin da Canal 128 Petrarca, Gherardo 296, 493 Soderini, Pier 607
Marx, Karl 609, 676 Pico della Mirandola, Giovanni Stampa, Gaspara 529, 530
Masaccio (Tommaso di ser Giovanni di Francesco 480, 494, 554, 575, 710 Stefano Protonotaro 81
Mone Cassai) 497 Piero della Francesca 497, 498
Massimiliano I d’Asburgo 607 Pilato, Leonzio 374 Tacito, Publio Cornelio 374
Matraini, Chiara 531 Platone 32, 158, 480 Tartaglia, Niccolò 569
Medici, Alessandro de’ 682 Plauto, Tito Maccio 374, 665, 731 Terenzio Afro, Publio 374, 731
Medici, Cosimo de’ 480, 682 Plotino 32, 480 Tolkien, John R.R. 804
Medici, Giuliano de’ 513 Poliziano, Angelo (Angelo Ambrogini, Tolomeo, Claudio 18, 218, 569
Medici, Giulio de’ 595, 656 detto) 498, 512, 513, 706 Tommaso d’Aquino 16, 18, 158, 549
Medici, Lorenzino de’ 682 Polo, Marco 127, 136-137 Tommaso de’ Cavalieri 529
Medici, Lorenzo de’ (detto il Portinari, Beatrice (Bice) 154 Tornabuoni, Lucrezia 704
Magnifico) 477, 486, 498, 512-513, Portinari, Folco 154 Trissino, Giangiorgio 578, 610, 675
607, 618, 675, 683, 704 Pulci, Luigi 512, 513, 531, 701, 703,
Medici, Lorenzo di Piero de’ 513, 614, 704-706, 710, 712, 814, 815, 823, 825, Urbano V, papa 372
618 829, 831, 834
Michelangelo Buonarroti 499, 500, Vesalio, Andrea 570
529, 530, 813 Quintiliano, Marco Fabio 386 Vecellio, Tiziano 595
Molière 731 Vespucci, Amerigo 568
Montaigne, Michel Eyquem de 683 Rabelais, François 814, 823, 829-831, Vettori, Francesco 610, 614
Montalvo, García Rodríguez de 732 834 Villani, Giovanni 128-129, 656
Moro, Tommaso 576, 596, 597-598 Racine, Jean 731 Villon, François 505-507, 814
Raffaello Sanzio 499, 500 Virgilio Marone, Publio 153, 297, 303,
Nietzsche, Friedrich 609, 676, 696 Raimbaut d’Aurenga 41 576, 734, 825
Rinaldo d’Aquino 81 Visconti, Giovanni 296
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INDICE DEGLI AUTORI ANTOLOGIZZATI
nell’indice sono anche inserite (in corsivo) le opere anonime o di dubbia attribuzione
Alighieri, Dante 164, 165, 168, 174, Contessa di Dia 47 March, Ausiàs 510
176, 181, 184, 196, 190, 196, 200, Copernico, Niccolò (Nikolaj Medici, Lorenzo de’ 514
205, 211, 216, 223, 230, 237, 243, 251, Kopernik) 570 Michelangelo Buonarroti 536
256, 265, 271, 280
Angiolieri, Cecco 115, 117 Della Casa, Giovanni 538 Novellino 146
Ariosto, Ludovico 725, 728, 741, 746,
758, 766, 772, 784, 799 Erasmo da Rotterdam 598 Petrarca, Francesco 304, 308, 312,
319, 323, 325, 327, 332, 334, 343,
Bembo, Pietro 534, 579 Folengo, Teofilo 826 348, 350, 352, 354, 356, 358
Bernart de Ventadorn 45 Francesco d’Assisi 69 Pico della Mirandola, Giovanni
Berni, Francesco 835 Francesco 483
Boccaccio, Giovanni 387, 390, 396, Giacomo da Lentini 84, 86 Placito capuano 12
402, 418, 421, 426, 431, 440, 447, Guicciardini, Francesco 687, 691 Poliziano (Angelo Ambrogini, detto il)
451, 458 Guinizzelli, Guido 96, 102 520, 525
Boiardo, Matteo Maria 713, 715 Guittone d’Arezzo 89 Polo, Marco 138, 141
Bonvesin de la Riva 129 Pulci, Luigi 706, 816
Bracciolini, Poggio 481 Indovinello veronese 12
Rabelais, François 832
Cappellano, Andrea 15 Jacopone da Todi 75 Romanzo di Tristano e Isotta (Il) 53
Carmina Burana 119 Ronsard, Pierre de 533
Castiglione, Baldassar 587 Le mille e una notte 22 Rudel, Jaufré 42
Cavalcanti, Guido 104, 105, 107 Leonardo da Vinci 558, 560, 562
Chanson de Roland 39 Libro della natura degli animali 551 Sepúlveda, Juan Ginés de 490
Chaucer, Geoffrey 465 Stampa, Gaspara 540, 542
Chrétien de Troyes 57 Machiavelli, Niccolò 611, 619, 622,
Cielo d’Alcamo 112 626, 631, 638, 645, 651, 657, 661, Villani, Giovanni 131
Compagni, Dino 134 666, 671 Villon, François 508
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Note
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