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Le cause del conflitto risalgono allo scoppio, nel marzo 1971, della violenta
guerra di liberazione bengalese: da sempre un'area discriminata e trascurata dal
governo centrale pakistano, la regione del Pakistan orientale (l'odierno
Bangladesh) vide nascere un forte movimento nazionalista e autonomista incarnato
dalla cosiddetta "Lega Awami", la cui repressione da parte delle forze militari
pakistane innescò la spirale di un sanguinoso conflitto civile. Il governo indiano
del primo ministro Indira Gandhi decise quindi di intervenire nel conflitto sia per
far cessare l'esodo dei profughi bengalesi, che destabilizzava le regioni orientali
dell'India, sia per vibrare un duro colpo agli eterni nemici pakistani sfruttando
la situazione. Inizialmente gli indiani si limitarono a fornire armi e basi sicure
ai guerriglieri bengalesi del Mukti Bahini, ma in seguito iniziarono ad ammassare
truppe ai confini in vista di un intervento diretto nella regione; i preparativi
militari indiani non sfuggirono all'attenzione dell'alto comando pakistano, che
decise di sferrare un attacco preventivo facendo precipitare la situazione verso un
conflitto a tutto campo.
Benché durata in definitiva solo due settimane, la guerra vide un'intensa attività
bellica da parte dei due contendenti. Sul fronte occidentale, lungo quello che è
l'attuale confine tra India e Pakistan, le due parti si affrontarono in una serie
di scontri su una gran varietà di teatri, dalle montagne del Kashmir alle paludi
del Rann di Kutch passando per le foreste del Punjab e i deserti del Rajasthan, con
alterne vicende e senza che uno dei contendenti riuscisse a imporsi sull'altro; a
est, invece, la schiacciante superiorità numerica delle forze indo-bengalesi segnò
il destino della guarnigione pakistana del Pakistan orientale, attaccata da tutti i
lati e infine travolta. La presa di Dacca il 16 dicembre e la resa delle forze
pakistane a est segnarono la fine del conflitto, ufficialmente terminato il 17
dicembre con la stipula di un cessate il fuoco.