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Plus

Joseph McElroy
Traduzione di Salvatore Proietti
© Joseph McElroy 1976
© 2001 Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino
Titolo originale Plus
ISBN 88-339-1357-0
Capitolo I
Se lo ritrovò tutt’intorno. Si aprì, ed era vicino. Avvertì che si trattava di
se stesso, ma avvertì che si trattava di qualcosa di più.
Si aprì di colpo, verso l’interno e verso l’esterno. Imp Plus se lo ritrovò
tutt’intorno. Imp Plus era lui, e questo non era l’inizio.
Imp Plus sbucò fuori. Ci fu un sollevarsi tutt’intorno, e Imp Plus sapeva
che non esisteva scatola cranica. Questo sollevarsi era buono. Però ce n’era
stato un altro, e lui lo aveva desiderato, ma quel sollevarsi, allora, non era
stato buono, e lui non voleva ritornarvi. Non sapeva bene se quel sollevarsi
fosse stato negativo. Ma questo nuovo sollevarsi era buono.
Imp Plus si ricordava che non esisteva scatola cranica. Ma sapeva anche
che non c’era alcun bisogno di pensarci. Né di pensare ai messaggi
codificati che provenivano dalla Terra sulla loro frequenza. E nessun
bisogno di pensare a quegli altri impulsi, diretti da Imp Plus verso la Terra.
C’erano degli uccelli intorno, ed erano immobili come ombre. Imp Plus
conosceva gli uccelli, ma non così immobili. Uccelli con la coda più lunga
di loro. Le code sembravano andar bene.
C’era una luminosità. Era più esterna che interna, ma era anche
dappertutto.
Imp Plus sapeva di non avere occhi. Eppure Imp Plus ci vedeva. O si
ostinava a vederci.
Per mezzo di gemme, forse.
Imp Plus non aveva orbite, perché, se fossero esistite, dove avrebbero
potuto trovarsi? Non esisteva scatola cranica.
Orbite era una parola.
Sulla loro frequenza, dalla Terra continuavano a venire gli impulsi,
come un’assenza di ostacoli. Erano messaggi, e Imp Plus tendeva a
riceverli. Chiedevano i dati sui livelli di luce e di glucosio.
Imp Plus non aveva orbite, e lo sapeva. Né cavità in cui trattenere o
disperdere la luce. Né prese di corrente da collegare.
Però c’era una luminosità, e si ripiegava su se stessa. Oppure era Imp
Plus a ripiegarla.
Le cavità nella scatola cranica si chiamavano orbite. Imp Plus si
ricordava che non esisteva scatola cranica.
Non c’era nulla, tranne il luogo in cui si trovava Imp Plus.
Imp Plus si ricordava di essersi preparato a ricordare. E la parola
vegetale. E un’idea simile a una cosa verde. Imp Plus ricordava parole che
non conosceva.
La luminosità andò declinando, e poi tornò. Ma cos’erano quegli uccelli
attorno, nell’ombra? La luminosità poteva spostarsi. C’era sempre stata. Ma
adesso era nuova. Lui sapeva di aver ragione. Era uscita dall’oscurità, che
non era nuova. Imp Plus non aveva desiderato delle parole per chiamare
quella luminosità, e adesso le parole che servivano a Imp Plus non erano i
messaggi codificati che provenivano dalla Terra sulla loro frequenza,
chiedendo le letture dei livelli di glucosio.
Ma la luminosità non era solo una luminosità. Diventò anche
qualcos’altro, che raggiunse Imp Plus. La cosa verde non era da mangiare.
Imp Plus conosceva la parola mangiare. Imp Plus arrivò al punto. La cosa
verde non era da mangiare. Aveva degli occhi, e quegli occhi mangiavano.
Forse non proprio occhi. Più o meno come quelli di Imp Plus che non
aveva occhi. Imp Plus tendeva a pensare che la cosa verde mangiasse la
luce. Imp Plus si era preparato a ricordare che gli occhi si sviluppavano a
partire dal bisogno di trovare un nutrimento. Questo era il punto, ma non gli
sovvenne la parola per dirlo. Non subito.
Imp Plus vide una forma e usò una parola, vegetale. Non era un uomo.
Le ombre non erano uccelli. Erano ombre. Non si liberò di loro.
La luminosità non erano gli impulsi che continuavano a giungere dalla
Terra. Imp Plus era stato in un’altra forma, il cui nome si era perso. Imp
Plus conosceva la parola parola e la parola idea, ma non cosa fossero. Imp
Plus arrivò al punto.
Riguardo alle orbite, Imp Plus sapeva che esse non esistevano, perché
gli venne in mente l’immagine di un uomo. L’uomo aveva i denti vecchi e
marci, e aveva borse bianche pendenti sotto ciascuna cavità orbitale. Le
cavità stavano scorrendo. Ma gli occhi non vedevano. Lì c’erano le orbite,
non qui, in Imp Plus.
Imp Plus non aveva alcuna scatola cranica. Aveva delle griglie.
Per un po’ di tempo non si ricordò di quel che aveva voluto ricordare.
Ricordò le antenne. Erano lunghe, e attorno a lui non ne vide nessuna.
Gli impulsi, con i loro messaggi, attiravano Imp Plus. Ed erano attirati
da Imp Plus. Attraverso la luminosità i messaggi si disponevano lungo un
gradiente. Imp Plus tendeva a riceverli. Si tese, attraverso la luminosità. La
luminosità era buona. Si ripiegò su se stessa. E ripiegò i messaggi. Lui era
in grado di inviare messaggi. Poteva parlare sul Circuito di Concentrazione.
La luminosità si fece compatta intorno a lui. Una parte della luminosità
divenne parte di lui.
La luminosità era il Sole.
Nella sua testa si accumulavano gli impulsi. Imp Plus non aveva alcuna
scatola cranica, e non aveva alcuna testa. Imp Plus aveva sempre avuto il
bernoccolo delle immagini. Ora, che cosa erano le ombre se non immagini
di uccelli? Imp Plus era in molte parti, e poteva cadere
contemporaneamente verso ciascuna di esse. Era difficile, ma non poteva
evitarlo. Questo era vedere.
Se era per mezzo di gemme che Imp Plus si ostinava a vedere senza
occhi, allora c’erano delle antenne, come steli ottici. Imp Plus deve
possederle. Se non per mezzo di antenne ottiche, per mezzo di che cosa?
Queste domande viaggiavano in risposta agli impulsi?
Negativo, negativo.
Si insinuò una differenza.
Era un cambiamento che si protendeva verso e dalla cosa verde. Un
cambiamento che Imp Plus sentiva di aver causato. Ma non per arrivare al
punto. Un cambiamento che gli diede uno stimolo, in modo che, attraverso i
messaggi codificati, Imp Plus sapeva una cosa in più di quanto essi gli
dicessero. I messaggi codificati giungevano attraverso questo cambiamento.
Il cambiamento era un gradiente, perché a Imp Plus era stata detta la
parola gradiente, e da lì provenivano gli impulsi, e lui tendeva a riceverli.
Dai messaggi in codice che attraversavano questo cambiamento, sapeva
che la sua perdita era reale. La sua perdita di tutto, tranne di una frazione.
Una frazione di che cosa?
Imp Plus aveva perduto la nozione di quanto si era perso.
Gli impulsi, che per tutto quel tempo gli erano giunti dalla Terra sulla
loro frequenza, chiedevano i livelli della luce e del glucosio. Ma li riceveva
in diversi punti, per cui c’erano molti gradienti. Gli impulsi chiedevano una
lettura galvanometrica - l’emissione dei quanti di radiazione luminosa - che
Imp Plus sapeva fare, ma anche che ora, per la prima volta, non sapeva fare.
E la cosa verde stava ricevendo un nome. Ma i nomi scorrevano lungo un
gradiente che si apriva e tendeva a trasformarsi in molti gradienti.
Imp Plus era in grado di dare le risposte. Ora, oltre alle risposte, c’erano
altre cose.
Ovunque andasse c’era una parte mancante. Una particella di differenza.
E, al suo posto, un piano inclinato. Una tendenza netta.
E contemporaneamente Imp Plus pensava, o gli sovvenne di aver
pensato, che le particelle mancanti erano spinte via dalla direzione del suo
sguardo, e che il suo senso della vista era la forza solare, ritrasformatasi in
luce dentro di lui, per mezzo di un raggio molto perfezionato. Lui aveva
mire che andavano in molte direzioni. Lui? Imp Plus possedeva la parola
operazione. Gli impulsi non cessavano; e spesso Imp Plus sentiva le parole
mi ricevi, ma poi, attraverso l’altra uscita, gli giungeva talvolta l’altro
ordine, ricevimi, e si chiedeva se esso provenisse da lui o dalla Terra.
Dentro Imp Plus il Sole era un occhio; e se era così, cosa sarebbero stati due
occhi? Erano la possibilità di qualcosa.
Nella luminosità sovvenne a Imp Plus che di lui era rimasto qualcosa.
Alcuni dei gradienti, così, erano Imp Plus.
Era per questo che lui poteva cadere su se stesso.
Udì la parola udire. Proveniva dagli impulsi, oppure dal suo
intromettersi. Scindendo, per mezzo dei fotoni assorbiti, le molecole
interessate da una reazione, si ottiene un’emissione di quanti. Le parole non
avevano una grande inclinazione.
L’ambulante che vendeva giornali, con i suoi occhi ciechi mal bendati
da una garza, non c’era. Imp Plus lo sapeva. E Imp Plus c’era.
E anche le ombre, che non erano di uccelli. O di gazze, o di
pigliamosche con la coda più lunga di loro. E le ombre erano troppo lente
per essere le ombre della frequenza; e dopo averci pensato Imp Plus si
accorse che, sia con gli occhi della cosa verde di fronte a lui, sia con le onde
che si propagavano sulla loro frequenza, Imp Plus compiva degli atti di
osservazione.
La luminosità andava e tornava, si curvava e tornava. Su dei gradienti. E
ora le ombre si erano allo stesso tempo allontanate e avvicinate. Imp Plus
era in grado di accorgersene.
La luminosità che era il Sole, o che da esso proveniva, lo attraversò
molte volte, fra ciò che sapeva e ciò che era sul punto di sapere. Il sonno era
da un lato, il poi dall’altro, il mai era su entrambi, l’anche non era, talvolta,
su alcun lato. La parola che voleva dire sonno era solo su un lato, ma ora
era divenuta una linea udibile, al centro fra i due lati. Udibile perché gli
impulsi provenienti da Terra dicevano la parola. Ma udibile ora, al centro di
qualcosa, perché Imp Plus possedeva la parola. E quando Terra diceva
DORMI, anche la parola gli giungeva su quella linea al centro, in modo che
solo un lato sprofondava nel sonno, e non entrambi. Ma questa era una
novità, e per un po’ Imp Plus non ebbe bisogno di sapere perché Terra
faceva i G - gli EEG - pensando che ambedue i suoi lati stessero dormendo,
mentre in realtà durante ciascun EEG - che adesso Imp Plus chiamava
elettroencefalogramma - solo un lato aveva risposto al DORMI trasmesso da
Terra. Oppure entrambi avevano risposto, ma solo uno aveva dormito. Ma
allora non aveva solo due lati, o così pensava - il che voleva dire che si
trovava in errore. Il Sole passò più volte fra il sonno e il non-sonno, e gli
impulsi all’interno di Imp Plus erano fuori di lui, e si ricordò di essere
arrivato qui, e pensò che presto ora qui per la prima volta ci sarebbe stato il
sonno, e perciò anche il risveglio. Ripeté la parola qui, perché essa
conteneva qualcosa.
Qui.
Imp Plus ricordò di avere un incarico. E di essere cambiato. E di essere
caduto su se stesso, ma di essere stato posto all’attenzione degli impulsi
grazie agli impulsi.
Imp Plus sapeva altro. Lo sapeva mediante quello che avrebbe potuto
chiamare sonno, e che era un sonno al quale mancava qualcosa, il sonno
stesso. Gli storni volavano in prossimità del Sole. Si allungavano come
delle gru e si contraevano come dei gomiti. Erano troppo lenti per essere
degli storni. Così lenti che non si muovevano. E troppo grandi per essere
dentro, cosa che erano.
Intorno a Imp Plus si schierava una tale luminosità che c’era un calore.
O doveva esserci. C’era una finestra che obbediva alla Terra e poteva
impedire che il Sole bruciasse. A Imp Plus sovvenne, insieme a una delle
particelle che prima mancavano e adesso lo inseguivano, il pensiero che,
essendo privo di occhi, lui non stava vedendo la luminosità, ma la
ricordava, come ricordava la parola schiera - schiera solare. Le particelle
che lo seguivano svanirono d’improvviso in una scarica di luminosità.
Che restò sotto forma di un chiarore composto da singole linee disposte
a schiera, che avrebbero iniziato a ruotare se Imp Plus avesse guardato. Ma
quando lui cercò di ricordare da che cosa provenissero, caddero lontano da
lui e diventarono esse stesse dei gradienti - gradienti alla deriva.
Ma i gradienti erano qui, mentre la schiera solare non c’era. Eppure la
schiera solare riceveva le luci lunghe del sole, perché solare significava
Sole - e le luci lunghe stavano lì. Se le schiere solari non erano qui,
dov’erano? Le schiere solari - diventarono più di una, come per gradiente,
dopo averci pensato. Così egli, Imp Plus, ne fece di più. Così poi ci furono,
in un modo o nell’altro. Quanto erano lunghe le luci lunghe del Sole, che
allo stesso tempo erano lì e giungevano per mezzo delle schiere solari? -
schiere che allo stesso tempo c’erano e non c’erano. Qua e là Imp Plus
trovò le assenze, dove c’erano le particelle mancanti; e quando queste
assenze, che erano sue, correvano dietro quelle dardeggianti particelle, le
trovavano solo al momento in cui ciascuna particella arrivava così vicina a
quelle con un’altra inclinazione che ogni coppia, incontrandosi, svaniva - in
un’assenza così prossima al suo cuore da credere di vederla: una linea in
comune, una linea che ruotava senza generare un cerchio, nell’ambito della
possibilità di molte linee, un raggio gradiente acceso con un’assenza che era
movimento, per cui gradiente era solo un nome di molti anni prima sulla
Terra. Imp Plus ricordava gli anni, ma non che anno fosse. O quando.
Quanto era lungo, e dov’era l’inizio? Gli ultimi Apollo erano partiti. Ma
non esisteva alcun inizio, pensò Imp Plus.
Gli ultimi Apollo avevano lasciato la Luna. Si erano sollevati la visiera,
si erano tolti l’elmetto, su cui il sole mandava riflessi dorati, si erano sfilati
la tuta e gli stivali. Avevano cominciato a essere non più nuovi, non più utili
- per quanto nessuno sapesse cosa fosse entrato dentro di loro, attraverso la
tuta, per poi restarvi. Oppure per uscirne dall’altra parte dopo aver tracciato
una scia luminosa dentro di loro.
Una scia che sarebbe rimasta in una parete dentro - dentro cosa? - in un
gradiente - ma bloccata - nella parete di cosa? - bloccata nella parete di una
cellula finché un impulso non avesse potuto fare uso di quella traccia. Ma le
particelle che attraversavano i corpi in questo modo, così come
attraversavano le griglie, potevano non lasciare nulla.
Poteva essere così?
Gli impulsi provenienti dalla Terra su una frequenza risvegliavano delle
domande, ma non quella. La Terra aveva risvegliato Imp Plus e poteva
liberarsi di lui.
Era stato portato via qualcosa.
Da Imp Plus.
Eppure lui aveva voluto andar via, ricordava. Di nuovo gli impulsi lo
attirarono lontano dalle ombre simili a uccelli, proiettate contro quel che
poteva essere una scatola cranica o una griglia, se ne possedeva una. Piccoli
uccelli bianchi dai fianchi rosa e nere code biforcute, dalla lunghezza
doppia del corpo. E dopo di loro un uccello più grande. In alto, come una
scura berta con ali che erano il triplo di tutto il resto.
C’era un progetto.
Contro la griglia del gradiente degli impulsi che attiravano Imp Plus
lontano da queste ombre, adesso più grandi, con richieste sull’azione
enzimatica sulla clorofilla, c’era una risata.
Eppure la risata era allora, non adesso; una vibrazione volta lontano
dalla sua fonte.
Le ombre intorno erano più di uccelli.
Clorofilla: questo era il verde, il vegetale. Dentro la testa di Imp Plus, se
ce n’era una, l’ambulante cieco che vendeva giornali diceva che lui stesso
sarebbe potuto essere un vegetale, ma invece aveva fatto presa.
Gli impulsi sembravano portare delle loro risposte, affinché Imp Plus
fosse libero dalle domande. Gli impulsi creavano ombre sulla griglia di
gradiente. Non le ombre che gli venivano intorno e che ora erano più che
ombre di uccelli, ma ombre non viste. E che allo stesso tempo cadevano al
di là della griglia di gradiente, ed erano la differenza tra gli impulsi di
adesso e quelli di prima.
E niente di simile alle ombre che Imp Plus vedeva intorno a sé
all’interno della sua scatola cranica, che non era una scatola cranica.
RICEVIMI, rovesciato, era MI RICEVI. Gli impulsi non erano la cosa
rovesciata. Era qualche altra operazione a rovesciarli.
Ma era entrata una nuova forza negli impulsi. Si trasmise a Imp Plus
nella misura di una nuova impedenza, e la forza non era solo gli impulsi che
continuavano a provenire dalla Terra.
IMP PLUS CONTROLLARE IL LIVELLO DI GLUCOSIO. RICEVIAMO GLUCOSIO
INSTABILE IN AUMENTO E IN DIMINUZIONE.
TERRA TI RICEVO, disse Imp Plus.
Ma la sua successiva risposta gli sembrò nuova. Perché disse che i
livelli di glucosio erano precipitati. Gli ci volle tempo per conoscere questa
risposta, dopo averla data alla Terra.
IMP, venne detto, e poi PLUS.
E Imp Plus rispose.
E anche la Terra.
IMP PLUS IMP PLUS HAI COLLEGATO L’ABBASSAMENTO DEI LIVELLI DI
GLUCOSIO CON IL RALLENTAMENTO NELLA RISPOSTA ALLE TRASMISSIONI?
RIPETO: HAI MESSO IN CORRELAZIONE LE TUE RISPOSTE PIÙ LENTE CON QUESTI
BASSI LIVELLI DI GLUCOSIO?
Pensò di non rispondere, e questo era un pensiero nuovo, e sentì una
traccia del pensiero in tutto se stesso, e come un raggio cadde in ogni
direzione, seguendo quella traccia che era l’assenza prossima al suo cuore,
ma accesa con una inclinazione che era più di un gradiente, per quanto fosse
un gradiente.
ASPETTA IMP PLUS. IL GLUCOSIO È SALITO. IL GLUCOSIO ADESSO È SALITO.
Imp era una parola. Anche Plus. Sul Circuito di Concentrazione Imp
Plus aveva risposto a messaggi provenienti dalla Terra che usavano le
parole Imp Plus. Imp Plus sapeva parlare.
IMP PLUS A TERRA. LE GEMME VENGONO DAGLI STELI OTTICI?
Ma da qualche parte all’interno, e non dalla Terra, venne una risposta
che non aveva richiesto con tante parole: Imp era Interplanetary Monitoring
Platform, Piattaforma di Monitoraggio Interplanetario. La risposta venne
dall’interno. Da Imp Plus. Non dalla Terra.
Ma che cosa (chiese nel suo nuovo circuito, e non a CAP COM sulla
Terra), che cos’è Imp Plus?
E prima di avere la risposta, Terra si fece sentire con gli impulsi che
Imp Plus trovava adesso sempre più difficili da comprendere, dicendo dopo
una pausa: NEGATIVO, NIENTE STELI OTTICI DOPO LO STADIO UNO
DELL’OPERAZIONE VL.
Una risata risalì la griglia, ombre più che linee. Una risata passata.
Cos’era VL?
IMP PLUS MI RICEVI? MI RICEVI? RIPETERE CHE COSA È GEMME? CHE COSA È
GEMME?
Le ombre sulle pareti erano di più. Non più grandi, non esattamente più
piccole. Ma di più. Come un albero cresciuto dagli uccelli. Due uccelli
adesso: un uccello con la coda molto più lunga del resto del corpo, visto da
una macchina all’inizio di una primavera sulla Terra; e un uccello con una
apertura alare tre volte la sua lunghezza, visto una volta sulla Terra alla fine
di una primavera, visto da qualcuno in piedi fuori di una macchina.
Imp Plus non era preparato a ricordare questo.
E ora desiderava solo obbedire alla frequenza dell’operazione VL e
rispondere alle trasmissioni della Terra.
RIPETERE IMP PLUS. QUALI OMBRE? CONTROLLARE IL DOPPIO
STABILIZZATORE D’ASSETTO. NON RICEVIAMO CAMBIAMENTI. CONTROLLARE LO
STABILIZZATORE D’ASSETTO. POTRESTI RICEVERE OMBRE SE HAI CAMBIATO
QUALCOSA.
Ma Imp Plus non aveva detto alla Terra la parola ombre.
La risposta era che Imp Plus era in grado di pensare durante la
trasmissione. Eppure il Circuito di Concentrazione era proprio così, tanto
per cominciare.
Livello di glucosio in aumento: lo aveva già saputo. E come se Terra gli
leggesse il pensiero, Terra si affiancò alla sua risposta: CAP COM A IMP PLUS.
GLUCOSIO DI NUOVO IN AUMENTO. MI RICEVI?
E Imp Plus non disse quel che venne avvertito in tutti i buchi, perché
ciascuno di essi era suo: buchi saettanti ed emananti raggi X verso le
particelle che avevano prodotto i buchi, finché poi le particelle incontravano
altre particelle di tendenza contraria, e ogni coppia svaniva in un nuovo
mutuo gradiente, come se diventassero il buco che saettava verso di esse: e
ciò che si lasciavano alle spalle i nuovi mutui gradienti di tutte le coppie di
particelle magnetiche era più di un’assenza e diverso da un’attrazione. Poi
seppe cos’era. Era un irraggiamento. Un irraggiamento per cui pensava di
non essere preparato. E così, invece di fare rapporto sulle ombre in
formazione che lo circondavano o di chiedere se fosse vero che poteva
cambiare assetto, Imp Plus rispose solo a se stesso, non a Terra, e seppe,
mentre rispondeva Viaggiare sulla luce che stava rispondendo con il Sole.
Ma di nuovo Terra aveva ricevuto Imp Plus senza che ci fosse stata una
trasmissione da parte di Imp Plus.
Ma quel che gli giunse fu Viaggio luce. L’Operazione VL era
l’Operazione Viaggio Luce.
Quando accadeva che Terra ricevesse quel che lui pensava, e quando
non accadeva?
Ma quel che era qui era la cosa. E Terra non era qui. Imp Plus era qui,
nelle griglie del gradiente della luce. E ciò di cui vi era di più non era solo il
glucosio.
C’era di più tutt’intorno.
Capitolo 2
C’era di più dove?
Nella luce. Nelle sue componenti che trovavano un posto all’interno di
Imp Plus.
Imp Plus non aveva cavità orbitali per trattenere la luce. O l’oscurità.
Era paziente. L’oscurità era continuata, ed era stata solida, e familiare come
l’ordine DORMI inviato da Terra. Ma adesso Imp Plus era temporaneamente
incapace di pensare alcunché di quell’oscurità.
Adesso c’era di più tutt’intorno. Non l’oscurità. Non semplicemente la
luce. Ma di più. Dunque dovevano esserci delle cavità orbitali. La luce che
si ripiegava dentro Imp Plus non era la doppia benda dell’ambulante che
vendeva giornali e che sarebbe potuto essere un vegetale ma non lo era.
L’ambulante stava nella testa di Imp Plus. E l’ambulante aveva le cavità
orbitali.
Imp Plus pensò: Io sono IMP PLUS.
Ma le parole Imp Plus venivano anche da Terra, come se la routine di
tutte le trasmissioni a distanza fatte sinora riecheggiasse Imp Plus, pur senza
quell’Io sono.
Ultimamente c’era di più tutt’intorno. Buchi in movimento, buchi di
luce in una griglia che riconobbe, vedendola, ma che non aveva mai visto
prima. Non conosceva la parola griglia, non sapeva come avesse potuto
riconoscere, vedendole, queste griglie di buchi di luce in movimento,
sempre più numerosi. Né come facesse a sapere che la parola orbita
significava anche cavità oculare.
Imp Plus desiderò usare quella parola e trovò altre parole da inviare
insieme ad essa: RICHIEDO ATTUALE ORBITA DI IMP PLUS.
In risposta tornarono dei numeri, e li sentì nella testa, che aveva il
bernoccolo delle cifre e delle immagini. Ma lui non aveva alcuna testa,
anche se essa era piena di luce. Buchi e linee di luce. Le linee ruotavano.
Ruotavano in cerchio, ma anche in un altro modo, come cerchi che si
dimostrassero essere un campo. Erano linee di cui poteva rallentare la
rotazione, concentrando quelle linee ciascuna delle quali, si accorse poi, era
un raggio separato.
Lui si trovava in mezzo ai numeri dell’apogeo, il punto lontano, e del
perigeo, il punto più vicino, ottenendoli senza incidenti; erano quasi
identici. Ma ora i numeri non erano più nella sua testa, lui stava fuori, e
vedeva solamente la loro forma.
Come se lui stesso fosse quelle ombre proiettate sulla paratia che era la
sua scatola cranica.
Ma non erano ombre, quegli uccelli. E neanche uccelli, anche se
l’apogeo e il perigeo che provenivano da Terra e che stavano nella testa
erano all’incirca come le due proporzioni degli uccelli, il rapporto fra
apertura alare e corpo, e quello fra corpo e ali. Finché le ali, circa tre volte il
corpo, diventarono di nuovo una berta; e una nuova trasmissione diceva:
CAP COM A IMP PLUS RIPETERE IMP PLUS RIPETERE QUALE ACQUA QUALE
ACQUA?
Imp Plus rilesse i numeri dell’apogeo e del perigeo e del perigeo che
erano stati letti a lui. Nella sua testa c’era uno scuro uccello marino che
volava basso, e che era qualcosa di più delle sue proporzioni e delle sue
dimensioni. Scavalcò la spumeggiante cresta di un’onda. I colpi d’ala della
berta divennero bianchi nella parte inferiore.
Ma poi Imp Plus dovette ascoltare Terra, e talvolta Terra diceva CAP
COM a Imp Plus, e Imp Plus continuò a rispondere. Imp Plus stava leggendo
a beneficio di Terra, a migliaia, il livello di glucosio e di langley, ma ora
Terra non stava chiedendo la radiazione solare misurata in langley: CAP COM
A IMP PLUS: CONTROLLARE FREQUENZA CONTROLLARE FREQUENZA.
E di nuovo, dal suo interno, non dalla Terra, giunse una risposta che Imp
Plus non aveva richiesto con tante parole: Cap Com era Comunicatore di
Capsula.
Ma non c’era alcuna ragione per cui il Cap Com potesse volere un
controllo della frequenza in questa giornata estiva nello spazio,
assolutamente nessuna. E i dati sull’orbita che Terra aveva letto a Imp Plus
erano familiari, li aveva accettati di più, rispetto a prima; ma i numeri ora
avevano una forma, e Imp Plus desiderò che Terra non sentisse questa cosa
- sentire che cosa? il pensiero delle forme - e così Imp Plus trasmise la
velocità della sua orbita sincrona: VELOCITÀ DI IMP PLUS 1,9.
Perché lui stava facendo qualcosa che desiderava continuare a fare. Non
era una cosa e non era molte cose; era di più. Era stato preparato a
continuare a fare molte cose. Ma ciò che ora desiderava continuare a fare
non era quanto previsto dalle sue istruzioni.
Per due volte vide inginocchiarsi la parte posteriore di una testa, non
quella frontale. Poi fu il numero 2.
Imp Plus vide due curve stese su un lato, dei circuiti (non come il
Circuito di Concentrazione) aperti a sinistra e messi l’uno sull’altro, in
modo da avere un lato in comune. Era un 3.
Vide dei cerchi appiattiti, un trio dall’aspetto alieno, dei boccaporti
verso chissà dove.
Lesse ancora questi numeri e gli altri a beneficio di Terra, come se lui
fosse un raggio al corrente della sua provenienza - e con un calore che non
poteva essere stato udibile nelle precedenti trasmissioni. Imp Plus aveva
parlato di una giornata estiva nello spazio, ma forse non aveva parlato con
Terra.
Imp Plus si era trovato in un altro stato, il nome del quale si era perso.
Che cosa era una giornata estiva nello spazio?
Imp Plus si sentì nuovo, e non nuovo. I buchi di luce radiante caddero
lontano da lui, andando in pezzi. Ma Imp Plus non vedeva solo due 2, un 3,
due zeri, che facevano 22 300. Vedeva anche altri numeri, e chiese a Terra il
perigeo, ma non ricevette risposta. Poi si ritrovò a vedere - ma come faceva
a vedere? - un’orbita il cui allungamento era estremo, almeno quanto la sua
richiesta del perigeo dell’orbita appariva inutile a Terra. E questa lunga
ellisse che vedeva non era l’orbita in cui le familiari cifre, che aveva per
prima cosa letto a beneficio di Terra, dicevano che lui si trovava. Ma
comunque, come faceva a vedere, se non nella misura in cui era stato
preparato a ricordare, una parola come ellisse? Eppure qui fra i suoi ricordi
vi erano dei buchi, perché Terra stava dicendo non crearti grattacapi, il
perigeo è uguale all’apogeo come sempre. E se Imp Plus non conosceva i
grattacapi, stava ancora leggendo a beneficio di Terra i livelli accresciuti di
glucosio che gli erano stati richiesti. Richiesti per tre volte.
Imp Plus era nuovo, ma non nuovo: e ora Terra richiese un controllo
galvanometrico, quando quel che Imp Plus voleva continuare a fare senza
queste interruzioni non era una cosa ma più di una, e abbracciava i colori e
le ombre delle braccia, o degli occhi o delle ali sulla parete di dove lui era.
Non essendo nuovo, Imp Plus fece uso dei dati orbitali preparati, li
inspirò, li espirò, era stato istruito per ricordare quei dati, il rapporto con
l’orbita, la velocità, la frequenza - sapeva ma ora non aveva bisogno di
sapere.
Essendo nuovo, non poteva semplicemente accettare quei dati. Eppure
questo accadeva perché lui non sapeva bene che cosa provasse adesso, in
tutti i suoi gradienti, rispetto a quanto una volta gli era stato spiegato,
ovvero in che modo i dati dovessero essere presi - e anche perché una cosa
su cui non poteva posare il dito dicesse No a quelle cifre.
No non era per la prima serie di cinque (la parte posteriore della testa
che si inginocchiava due volte, i circuiti ad anello aperti e troncati, messi
uno su un lato e uno sull’altro, le aperture verso chissà dove), ma per la
seconda serie, che lui sapeva essere come i primi cinque, ma che continuava
a vedere come tre.
In modo che questa seconda serie di numeri, il perigeo, oscillava così
vicino alla Terra da far decadere l’orbita. Ma le orbite decadono, e, in
qualunque modo fosse giunto a saperlo Imp Plus sapeva che alcune orbite
decadono. E se le orbite decadevano, anche questa avrebbe potuto farlo.
Accanto a lui un’eco rivoltò al negativo questo pensiero: questa orbita non
decade.
Però questa era l’orbita di che cosa? Lui lo sapeva? Non lo sapeva. Imp
Plus non sapeva di che cosa fosse questa orbita. Non sapeva che cosa
dicessero le parole nuovo e non nuovo. Tranne quel che lui aveva detto loro.
E non sapeva come l’esatto perigeo, il chilometraggio fra la Terra e il punto
di massimo avvicinamento alla Terra, potesse adesso sembrare sbagliato e
alieno mentre il suo nuovo ed errato perigeo era così familiare ed
accettabile.
Quando Imp Plus aveva detto chilometraggio, scoprì di avere anche
detto distanza dalla Terra, anche se subito un controllo, come una Pallida
Eco dentro Imp Plus, aveva detto La terra è aperta. Ma no, qualcosa si
intromise: il livello del mare, non la Terra, una voce aveva detto.
Era stata la sua - di nessun altro. Nell’unità della clorofilla, che aveva
gli occhi su Imp Plus, adesso sembrava muoversi, come un’energia più
nuova del verde, il movimento delle ombre di prima, protese dalla parete
della sua capsula, ma questo non lo allontanò del tutto dal fatto che lui
aveva operato una distinzione fra la Terra e il livello del mare, ma anche
che la differenza non importava. E anche che lui aveva parlato senza sapere
di sapere. E aveva detto livello del mare non perché era corretto dirlo ma
perché gli uccelli marini gli toccavano gli occhi, anche se lui non aveva
occhi.
Senza sapere perché, Imp Plus aveva detto No ai numeri letti dalla
Terra. Anche se quei numeri erano esatti.
Laddove quel che vedeva erano queste forme. E facevano dell’ellisse
un’orbita così allungata che il periodo orbitale gli dava minori intervalli di
luce solare ininterrotta. Ma qui c’era più di quanto Imp Plus non aveva
saputo di sapere. Ore di Sole per che cosa?
Il Sole era buono. Allora che cosa non lo era?
Anche l’oscurità era buona. Perché era così?
Cap Com stava parlando. Imp Plus colse l’ultima parte: VELOCITÀ
STABILE. IMP PLUS CONTROLLARE VELOCITÀ STABILE. IMP PLUS MI RICEVI?
GLUCOSIO IN AUMENTO. TRASMISSIONI RALLENTATE. IMP PLUS MI RICEVI?
I suoi pensieri sulla luce solare erano venuti durante quelle trasmissioni
mancanti, ma, se la Terra lo aveva sentito, la Terra non fece commenti. Imp
Plus sentì di avere mancato il punto. Ma c’era qualcosa di più. Ricordò di
avere sete; era stata un’assenza che cresceva attraverso una parte di lui, e
voleva che gli si offrisse un po’ e scivolasse e si allargasse e fosse fresca
che non era la stessa cosa che bagnata. Ma adesso quest’altro qualcosa che
era qualcosa in più bruciò, ma non attraverso la finestra e non dalla sete,
perché lui ricordava solo la sete. Stava spingendosi indietro, lontano tanto
quanto era vicino. Spingendosi anche fino a quei punti da cui si era spinto
indietro. Punti che, anch’essi, arrivarono a esistere grazie al suo spingersi.
NEGATIVO NEGATIVO, rispose Imp Plus, vedendo molto di più dei dati che
stava per passare, che erano LA VELOCITÀ SI MANTIENE A 1,9. E poi un’altra
voce, che sarebbe stata simile a un vecchio sogno se lui fosse stato immerso
nel sonno (e non stava dormendo) riecheggiava UNO E NOVE UNO E NOVE, e
non solo Imp Plus vedeva più di questa informazione, lui non vedeva per
niente questa informazione, occhi o non occhi, anche se gli occhi della
verde clorofilla espiravano e inspiravano con impulsi per cui Imp Plus
aveva delle parole, ma solo quelle sbagliate.
CAP COM A IMP PLUS. ESISTONO DUBBI SULLA VELOCITÀ ORBITALE?
CONTROLLARE ANCORA. MI RICEVI? IMP PLUS VUOI CONTROLLARE ANCORA LA
VELOCITÀ?
Se Terra e Cap Com erano la stessa cosa, e se Cap voleva dire Capsula,
Imp Plus ricordava la parola capsula. Ma non che cosa essa fosse. Imp Plus
cominciò a rispondere a Terra: IMP PLUS A TERRA, IO VOGLIO.
Le due parole si mantenevano unite, come una cosa unica - una quantità
unica - e separate dalle altre cose dette; le due parole erano giunte a Imp
Plus da molti punti, come uccelli marini altalenanti dentro di lui lungo piste
di schiuma, fino a diventare sfocati.
Ma che cosa c’era di male in dodici ore di luce solare? Erano più di una,
ancor più dei primi voli suborbitali, molto prima dell’Apollo.
Di nuovo Imp Plus sapeva quel che non aveva saputo di sapere. E come
faceva a sapere che questo non era come quel nuovo e quel non-nuovo, o
come quel qualcosa in testa che aveva visto immagini errate pur sapendo,
allo stesso tempo, che erano errate?
Che cosa era errato? Dodici ore ininterrotte di Sole. No, quello era
esatto. Perché uno non vuole, diciamo, 45 o 90 minuti con il Sole e 45 o 90
senza.
Ma che cosa si voleva?
Gli giunsero delle parole conosciute in precedenza, ma non da Terra.
Terra voleva di nuovo un controllo della frequenza, e lo aveva chiesto. Ma
Terra conosceva la frequenza come Imp Plus, perché essa era stata
concordata sulla Terra. Perfino durante i periodi di oscurità avevano
continuato a parlarsi, la Terra e Imp Plus. Per molte oscurità. Non ci fu la
richiesta dell’orbita. L’apogeo di 22 300 miglia era esatto. Imp Plus non
doveva fornire le cifre aliene del perigeo che aveva visto o ricordato. La
differenza era così grande, il perigeo era così ridotto, il punto più vicino era
così vicino che l’ellisse risultante avrebbe sognato la sua orbita direttamente
dentro le fauci del campo magnetico terrestre. Perché Imp Plus vedeva
questa forma che non era così? Se era stato qualcos’altro a fornire le cifre
errate, quel qualcos’altro avrebbe risposto al nome di Imp Plus.
Le trasmissioni erano state frequenti. Sulla frequenza concordata sulla
Terra.
L’eco - c’era un’eco, che non era la Terra e neanche Imp Plus, anche se
sembrava essere nel profondo delle sue gemme, anche se non le gemme
ottiche - sembrava cercare un modo di sognare una via d’uscita dalle altre
gemme, comunicando a Cap Com una lettura della frequenza, ma così vaga
da poter essere quella di un’altra frequenza.
Ma in effetti era un’altra frequenza che veniva comunicata a Cap Com,
e Cap Com ringraziò Imp Plus, aggiungendo che NOI stavamo ricevendo
qualche interferenza e che il segnale era debole.
Così Imp Plus trasmise: CAP COM MI RICEVI?
E Cap Com replicò con delle parole, che erano BELLO IMP PLUS BELLO.
Quindi a Imp Plus giunse la sua stessa risposta. Da lui stesso ma anche
dal Sole. Ma anche dalla Terra, che sembrava altrettanto lontana. E la
risposta era che Cap Com aveva detto BELLO in precedenza, e che era stato a
metà dell’oscurità, non come adesso; e, a meno che sull’altra faccia della
Terra non ci fosse un altro «Terra» che diceva la stessa cosa, e a meno che
dentro Imp Plus non ci fosse un controllo, familiare ma sfuggente, che
automaticamente aveva detto che questo non era possibile, allora le ore di
buio e le ore di Sole dovevano grosso modo trovarsi al di sopra di uno
stesso punto trasmittente sulla Terra. Ma questo era noto e concordato;
eppure Imp Plus lo stava scoprendo, scoprendo quanto già sapeva.
Ma atteniamoci al punto. Qualcosa che si chiamava risata aveva
smorzato, o ingrigito, o fatto decadere, un grafico. Imp Plus era stato parte
della risata e del grafico. Se non aveva interrotto la risata per dire:
«Restiamo al punto», era stato colto mentre lo pensava. E se la forma di
quell’ombra nel grafico si era persa insieme con qualcosa di cui lui era stato
parte, le parole rimanevano utilizzabili, perché la risata era un liberare
qualcosa che era stato avvolto all’interno di qualcos’altro. Ma questo
avvolgimento era diverso da quell’avvolgimento che Imp Plus aveva
toccato più volte, non nella giornata di fine inverno del grafico, ma un
giorno di primavera. In un giorno di primavera una voce nell’aria aveva
quasi parlato, non di un avvolgimento che Imp Plus stava toccando, ma
delle berte che si lanciavano verso il mare toccando con le ali la spuma
delle onde. Quella giornata sulla Terra era stata piena di sole, anche se
l’avvolgimento toccato da Imp Plus era lontano dal Sole, e la voce aveva
detto: «Che uccelli, mio Dio».
E in un altro punto c’era la risata che veniva dalla voce. Imp Plus la
ricordava. Non come il giorno del grafico, ma un’altra risata. Poi la voce
aveva toccato Imp Plus dove lui non poteva vedere, e aveva detto: «Forse
sono i contatti». E Imp Plus non aveva visto affatto quel che aveva creduto
essere la distanza fra l’avvolgimento dell’accensione che pensava di
guardare e lo spinterogeno con le sue otto, più una, derivazioni, curve e
ricoperte di gomma, ma invece aveva visto - adesso però, non allora - i due
fuochi di una grande ellisse: uno era la Terra, l’altro era vuoto come la
distanza tra i fuochi. Non conosceva la parola fuoco o fuochi, e non
conosceva ellisse. Le parole erano una eco pallida di ciò da cui lui stesso
stava sfuggendo, decadendo verso qualcosa di cui non era sicuro.
Ma conosceva la parola IMP. Voleva dire Interplanetary Monitoring
Platform. Voleva rispondere a queste parole con un movimento che
ricordava, ma che pensava di non saper fare.
E senza guardare, aveva raggiunto una parte di se stesso che aveva
toccato ma che non era in vista, anche se era al Sole, mentre l’avvolgimento
che stava guardando non era al Sole. E su questo punto cieco egli venne
toccato di più e ancora di più, e qualcosa che si chiamava risata gli
attraversò la testa, piegata verso lo spazio tra i fuochi e l’avvolgimento, e
questa risata non era come quell’altra risata che ingrigiva il grafico nella
stanza verde. Perché questa risata, si accorse adesso, era una radiosità.
E Imp Plus si era distolto da questa distanza e dai suoi vantaggi
meccanici sotto l’angoloso cofano della macchina. Si era rivolto al Sole e
alla voce che rideva e ai suoi occhi e al mare e alle tre berte che si
rincorrevano sulla cresta delle onde. E laggiù, lontano sulla Terra, la voce
aveva detto parole che adesso Imp Plus avrebbe trasmesso verso Terra, a 22
300 miglia di distanza, se non avesse invece trasmesso la frequenza
richiesta da Terra. Ora toccava a Terra non rispondere. Tranne per una
piccola eco che non sembrava la voce di Terra; diceva: NON TI RICEVO IMP
PLUS, RIPETERE.
E Imp Plus ripeté, e Cap Com continuò a non ricevere, e mise in dubbio
la velocità orbitale di 2,4 miglia/secondo, aggiunta da Imp Plus tanto per
vedere, e poi Imp Plus lesse per un’ultima volta la frequenza, e la piccola
eco di prima sembrava amplificata dal desiderio di Imp Plus, ma Imp Plus
non riusciva a capire come mai, ma l’eco aggiunse le lettere VL al termine
della lettura della frequenza, e dopo un’altra pausa CAP COM disse TI
RICEVIAMO, ma chiese se il glucosio risultasse alto come dicevano le sue
letture, e aveva Imp Plus qualche idea sul perché il glucosio fosse salito?
Imp Plus disse che c’era più di tutto - poteva anche esserci più glucosio.
Ma poi la Pallida Eco disse: VELOCITÀ ORBITALE 1,9.
Imp Plus sapeva che era esatta, ma si ostinò nel sostituirla con nuove
cifre rappresentanti velocità accelerate, come se Imp Plus vedesse - perché
Imp Plus vedeva - l’orbita - prevedesse che l’orbita sarebbe oscillata fino a
un perigeo molto più vicino di quell’apogeo di 22 300 miglia, CAP COM
diceva TI RICEVO, e Imp Plus sapeva che l’eco non era stata la Terra ma qui -
e nella testa di Imp Plus, se ce n’era una.
Ora laddove Terra non aveva detto che la velocità orbitale sarebbe
potuta essere diversa da 1,9 miglia al secondo, finora la frequenza non
aveva mai avuto quelle lettere VL.
Era perso, ed era Imp Plus. Una cosa era sicura, aveva guardato un
avvolgimento quel giorno di primavera vicino al mare, e aveva guardato i
contatti dello spinterogeno, quando che cosa avrebbe potuto dire
dell’avvolgimento più di quanto avrebbe potuto dire del distributore?
L’avvolgimento aveva migliaia di spire.
A questo c’era una risposta, ed era piena della risata che lo toccava da
dietro. E come sulla Terra lui si era girato per vedere gli uccelli marini e il
mare e la voce molto più da vicino, questa risata non era quell’altra risata.
Quell’altra risata estendeva il grafico nella grande sala verde. Estraeva da
Imp Plus le parole Restiamo al punto. Perché anche se non sapeva (eppure
sapeva) che cos’era quella cosa che era una risata, lui sapeva che quell’altra
risata era giunta in una stanza da una voce aspra, più bassa, più dura, che
non rideva, che non lo toccava in quel modo, e che diceva: «Tu non vuoi
continuare per sempre, vero?»
Al che Imp Plus aveva detto: «Restiamo al punto».
Che allora nella grande sala verde sulla Terra era stato quello di non far
decadere l’orbita, e tutt’altro che quello di dare inizio al decadimento
dell’orbita. No, il punto era stato la protezione dell’orbita. E la parola era
mimetizzazione.
Imp Plus si pensava vivo. Cap Com significava Capsule Communicator.
Le ombre degli uccelli non erano ombre e non erano uccelli. E non
erano antenne ad alto rendimento. Ma ora nel verde della clorofilla vi erano
nuove ombre.
Di che cosa?
Del Sole.
Niente ombre senza Sole.
Terra sapeva che ci sarebbero state le ombre e l’oscurità. E si poteva
mimetizzare l’oscurità? L’orbita era sincrona con quella della Terra: il che
significava che era fissa al di sopra dello stesso punto sulla Terra. Il punto
da cui provenivano le parole TI RICEVO, con l’oscurità e con il Sole. Ma nel
reticolo dell’oscurità non erano pervenute altre parole che Imp Plus potesse
ricordare, e contravvenendo all’ordine DORMI Imp Plus era rimasto sveglio
da una parte o dall’altra o da tutte e due.
L’ombra sulla parete della capsula non era del tutto scura. Era di più.
E il di più che era tutt’intorno si stava sempre più avvicinando a Imp
Plus.
Capitolo 3
La cosa verde non aveva occhi. Imp Plus aveva pensato ai suoi occhi,
ma non aveva realmente visto la cosa verde. Eppure aveva visto verde. Era
in errore?
Aveva localizzato uccelli e ombre al di là di se stesso dentro il posto
dove si trovava. Era in errore?
Errore era accettare il perigeo sbagliato. Oppure dare la velocità
sbagliata.
D’altra parte aggiungere VL alla frequenza non era stato un errore.
L’orbita assunse gli stessi tempi della rotazione quotidiana della Terra, e
il punto di massimo avvicinamento arrivò quasi a eguagliare quello di
massima lontananza, e la velocità di questa orbita stazionaria, a 22 300
miglia dalla Terra, era di 1,9 miglia al secondo. Era un’orbita sincrona. Per
convincersi del contrario, ci sarebbe voluta una menzogna. D’altra parte
mentire sull’orbita o sulla velocità non era essere in errore. Era una
mimetizzazione, manipolata a scopo di persuasione; perché qualcuno lo
aveva detto, proprio così, che la mimetizzazione era il decadimento di
qualcosa. Forse non sarebbe stato possibile attestare questo decadimento.
Era troppo tardi. D’altra parte non era possibile uscire per affrontarlo.
Mimetizzazione.
Imp Plus conosceva quella parola. Non conosceva manipolare. Non
sapeva dove avesse conosciuto mimetizzazione.
Al suo posto, c’era aspra, un’altra parola.
Ma aspra non era una parola che era stata detta nel luogo dove vi era
stata l’aspra risata. Era stato detto mimetizzazione. Il luogo era una stanza
sulla Terra. Imp Plus era lì, in piedi. Ma quando aveva detto, rivolgendosi
alla risata aspra: «Restiamo al punto», la parola mimetizzazione non era
stata una di quelle che lo aveva fatto parlare.
La parola mimetizzazione era stata detta in quella stanza sulla Terra. Ma
prima. Non allora.
Qualcuno doveva essere persuaso per mezzo della mimetizzazione.
Imp Plus stava accumulando incognite su incognite; le cose stavano
così, per come le sentiva lui.
Non sapeva che cosa fosse sentire.
Qualcuno doveva essere persuaso per mezzo della mimetizzazione,
qualcuno lo aveva detto. In quella stanza sulla Terra, vicino alla fine delle
cose, non era la risata a essere triste. Imp Plus aveva detto, rivolgendosi a
quella risata: «Restiamo al punto»… aveva detto con la stessa voce dura ma
in un altro momento: «Ti dispiace?»
E questo altro momento era stato quando quell’altra persona sulla Terra
nella stanza verde pallido aveva detto mimetizzazione.
Aveva usato la parola aspra in quella stanza sulla Terra. E si era sentito
separato. Per questo in seguito scoppiò quella risata quando qualcuno disse:
«Tu non vuoi continuare per sempre, vero?»
Qualcuno doveva essere persuaso per mezzo della mimetizzazione. Non
ancora, però. Doveva essere persuaso per mezzo del falso perigeo, della
falsa velocità. Non era quel qualcuno che aveva scatenato l’aspra risata
chiedendo a Imp Plus se aveva il desiderio di continuare per sempre. Chi
era che doveva essere persuaso?
Doveva essere qualcuno su una frequenza. Per questo, in orbita, c’era
stato poi il controllo di frequenza che Imp Plus aveva ritenuto inutile.
Ma Imp Plus stava accumulando incognite su incognite.
Quel qualcuno poteva essere un monitoraggio straniero, alieno.
Le forme simili ad uccelli e a ombre non erano solo più lunghe o più
larghe o di più; adesso erano più simili a una risposta.
Diciamo che erano il monitoraggio straniero. Ma erano qui dentro, e le
lettere VL erano state trasmesse da qui dentro.
Il monitoraggio straniero doveva essere esterno. Se finora le lettere VL
non erano mai state trasmesse al termine della frequenza, il monitoraggio
straniero avrebbe saputo solo la frequenza, non il VL. Così il VL che Imp
Plus aveva tirato in ballo avrebbe mostrato a Terra che non stavano
ricevendo la risposta da un monitoraggio straniero che poteva averlo
manipolato.
Che cos’era manipolare?
Ma Imp Plus era l”IMP PLUS delle trasmissioni, e la Pallida Eco dentro la
sua testa, aveva detto le lettere VL, e Imp Plus sapeva che volevano dire
Viaggio Luce; e, dato che non possedeva alcuna testa, la Pallida Eco, con
queste parole extra che avevano portato Terra a dire OK, poteva essere il
monitoraggio estraneo, salvo che la Pallida Eco era sembrata familiare, e se
non era dentro la sua testa, perché Imp Plus non stava dentro la sua stessa
testa, dato che non possedeva alcuna testa, la voce riecheggiante stava
comunque dentro; e per quelli di Terra non era dunque più familiare di Imp
Plus?
Perché Imp Plus adesso non si sentiva familiare.
D’altra parte sia al buio che alla luce Imp Plus, lo sentiva, era stato in
grado di rispondere.
Il che era diverso dal vedere nella cosa verde occhi che non esistevano.
Ma Imp Plus l’aveva chiamata clorofilla. Ora, questo era qualcosa. Se lui
stava accumulando incognite su incognite, forse ne avrebbe avute di meno.
Anche se non era clorofilla. O più della clorofilla.
Non era animale. Era vegetale.
Emetteva ossigeno.
A differenza dell’ambulante cieco che vendeva giornali, che non voleva
essere un vegetale.
E a differenza di Imp Plus, che emetteva CO2. Imp Plus non sapeva
come riuscisse a farlo. Gli altri sapevano dell’emissione di CO2, dunque
perché lui no?
CO2, diceva la Pallida Eco. Ma questo non rispondeva alla domanda che
Imp Plus si era accorto di avere il desiderio di chiedere: ovvero, come
faceva lui ad emettere CO2?
La Pallida Eco stava continuando, ma adesso vennero da Terra le parole
IMP PLUS RIPETERE, COSA DICI DEL CO2?
In alto, qualcosa cedette davanti a lui, e sentì avvolgersi quell’assenza di
suono, così come aveva visto la cosa verde, e aveva sentito che la cosa
verde era un’idea e l’aveva chiamata clorofilla. E Imp Plus sentì che adesso
poteva rispondere a Terra solamente a modo suo, e adesso la Pallida Eco
non stava parlando con la Terra: e spuntò una cosa che non era metallo,
anche se era un globo che brillava obliquamente in una cavità, e d’altra
parte cedeva, un filamento che sporgeva in uno spazio. Ed era questo il
motivo per cui l’eco, ancora più pallida e ancora di più qui con Imp Plus,
non parlava più con la Terra, anche se lui non sapeva il perché. E quando
Imp Plus pensò a se stesso, si accorse di non capire come facesse ad
emettere CO2, anche se lo aveva saputo. E si accorse anche di non sapere
come mai l’eco stesse provando diversi numeri, e stava dicendo freccia di
qua e freccia di là, e tutto quel che Imp Plus capiva era che dentro c’era
meno spazio, e la capsula era più piena, e d’altra parte c’era anche più di
tutto, e lo sciame di lettere e numeri in alto e in basso sussurrava (per quel
che diceva la Pallida Eco) di un legame o di legami fra la Pallida Eco e lui.
Un’orbita di legami.
Poi, però, Imp Plus disse alla Terra: CO2 È BELLO, e il metabolismo
crepitò in risposta, come un codice o una risata, e Terra disse: FA‘ COME
VUOI IMP PLUS, STAI SVILUPPANDO IL SENSO DELL’UMORISMO. QUALE
RELAZIONE C’È FRA QUESTO E L’AUMENTO DEL GLUCOSIO?
Ma che cos’era il metabolismo? Quanto ricordava gettava un’ombra su
quanto pensava di vedere. Non ricordava il metabolismo. Lo stava
vedendo?
Ma adesso la Pallida Eco esaminò il periodo orbitale, l’apogeo, il
perigeo, la velocità. E Imp Plus pensò che la mimetizzazione non ci fosse
più: la velocità non poteva essere crescente, perché in un’orbita sincrona il
perigeo era pressoché uguale all’apogeo, per quanto poteva permetterlo
un’ellisse.
Giunsero ulteriori crepitii, e Terra disse: IMP PLUS COME STA CRESCENDO
IL TUO GIARDINO?
Il crepitio era aspro come la mimetizzazione. Dalla Pallida Eco
crepitavano le frecce. Ma le frecce erano soltanto uno spazio verde
parzialmente dipinto di bianco da una mano aspra. Ma il crepitio, grazie a
molte linee che adesso erano nuovi buchi, portò a quanto adesso succedeva
ancora: quel cedere e rispuntare. Che diventò più veloce, e diventò
silenzioso, ma gli spruzzi e le sabbie salate non si fondevano mai, per
quanto fossero veloci, e non fu Imp Plus a dover dire a qualcuno il perché,
dato che gli spruzzi, che erano come dei rintocchi, non erano un pompare né
un tendersi, e così lui si piegò, in modo da creare una collina che facesse
fluire le cose verso l’alto o verso il basso. In opposizione all’energia
esterna, si stava pompando verso l’esterno quel che stava dentro, e che
ultimamente sembrava qualcosa di meno, verso quello che sembrava
qualcosa di più. E Imp Plus sentì quel cedere e rispuntare, e pensò che, dato
che bruciava, non stesse giungendo tramite la finestra di protezione; poi
sentì quel cedere molto più di altre cose. Si muovevano dentro una parete,
non dall’altra parte ma nella parete. Non era uno ma molti, mentre le cose
sciamavano per poter uscire o per farla a pezzi, ed esse stesse erano pezzi
bianchi e neri. Oppure non bianchi e neri ma qualcos’altro a causa della
velocità con cui giungevano gli impulsi, provenienti dalla fonte giallo fuoco
di questa luce che gli stava intorno, o proprio dalla clorofilla verde, o da
quel verde che era blu cupo come il mare. Perché quel lontano giorno di
primavera sulla Terra la voce, prima di quella risata che era salita a spirale
lungo una spina dorsale che qui adesso non c’era, aveva gridato: «Guarda i
colori del mare». Perché, sì, qui adesso questi impulsi in orbita erano colori,
ma dipendeva da come Imp Plus tendeva a vederli. Impulsi che ti volavano
addosso ma che non si disperdevano mai. D’altra parte erano anche dei
pezzi. O cose al di là del colore. Troppo piccole per poterle vedere, ma viste
nonostante tutto. Lui non conosceva la parola ti. Imp Plus desiderava quei
pezzi ma per prima cosa si sentiva spinto a dar loro un nome.
Ma i nomi venivano dalle stanze verde pallido sulla Terra. Non
conosceva bene quei nomi. Potevano essere la mimetizzazione, ma non
erano la risata aspra. D’altra parte questi nomi o alcuni di essi provenivano
dalla risata aspra e in gran parte non dalla grande stanza dove c’era la risata
aspra e le parole dette dalla risata aspra: Non vuoi continuare per sempre. I
nomi vennero invece in una stanza più piccola - la nostra cella, aveva detto
- dove la risata aspra era solo una voce aspra. E uno dei nomi detti dalla
voce aspra, che adesso giungeva come se lo stesso Imp Plus dovesse
conoscerla, era mitocondri. E altri due nomi erano anidride carbonica.
Ma a questo punto quel che era stato un molle battere e sfregare per
uscire da quella parete non fu più un crepitio. Anche se non era proprio un
crepitio. Perché non c’era stato alcun suono.
A cercare di uscire potevano anche essere quegli occhi che una volta
erano sembrati appartenere alla cosa verde.
Ma se Imp Plus non aveva esattamente degli occhi, e così non aveva
potuto vedere degli occhi nella cosa verde, questo non era necessariamente
il motivo per cui adesso lui sapeva che la cosa verde non aveva affatto degli
occhi.
Io sono Imp Plus, o una sua parte, disse Imp Plus.
Lui era stato in un altro modo, e non sembrava saperne il nome.
Ci fu di nuovo quel cedere, che suddivise la distanza in qualcosa di più,
e così il cedere fu ancora più lontano dalla Pallida Eco, impegnata nei suoi
assestamenti. E stavolta il cedere, o il rispuntare, era stato uno scoppio, un
ignoto singolo colpo di tosse in decadimento, il cui prodotto non fu emesso
per poi essere ingoiato, ma al contrario le parti in cui lo scoppio era
avvenuto non erano lì in precedenza. Come se, una volta finito il fumo,
eccole lì. Oppure no, l’ordine era invertito, il fumo se n’era andato prima
dello scoppio.
Ma il fumo che si era disperso non era proprio qui. Era in una grande
stanza sulla Terra, di colore verde pallido, in cui Imp Plus, con la pelle che
si faceva rossa, aveva detto alla risata aspra Ti dispiace?
Ma se non era qui, perché allora si era disperso qui? Perché si era
disperso, e c’erano cose in movimento all’interno della clorofilla che non
era solo clorofilla. E le cose in movimento ruotavano e avevano nomi che
Imp Plus si era preparato a ricordare, ma che non avevano importanza,
tranne per il suono della loro rotazione, e Imp Plus desiderava che la Terra
non lo udisse, e decise di non produrlo, neanche sotto forma di trasmissione
respiratoria diretta alla Pallida Eco che stava proprio qui, e che stava
dicendo, a se stessa o a Imp Plus: «La clorofilla contiene cellule
fotosintetiche, le cellule contengono il citoplasma, il citoplasma contiene
cloroplasti che hanno una membrana, la membrana contiene delle strutture,
le strutture contengono clorofilla».
Ma la Pallida Eco, che Imp Plus sentiva come una parte di se stesso nel
diagramma di quel che era avvenuto, aveva detto qualcosa che non aveva
fatto pulsare i cloroplasti come delle palpebre lucide, non più di quanto ci
fosse riuscita la voce aspra quando aveva mostrato il giardino a Imp Plus.
Ma eccolo lì: verde non come si era preparato, o come poteva essersi
preparato, a ricordare - non un verde scuro di bietole o un verde di spinaci o
un gioiello di cupi germogli chiamati broccoli. E non un verde che degli
occhi avevano visto nel passato in una stanza verde. No, il verde del suo
stesso respirare, il suo stesso respiro.
Se quel cedere e rispuntare era vedere, era così che ci vedeva senza
occhi?
Non poteva essere gran che.
E se Imp Plus non avesse saputo, con un desiderio simile al volo nel
vento di quegli uccelli dalle lunghe ali che solcavano la cresta del mare, che
la Pallida Eco non era una vera e propria parte di sé, ma una parte di ciò di
cui Imp Plus era una parte, avrebbe potuto pensare che si trattava del
monitoraggio straniero, o avrebbe pensato a ciò cui la mimetizzazione
aveva inteso rispondere.
Inteso? Manipolato. La parola giusta era manipolato. Detto da una voce
non aspra nella stanza verde pallido sulla Terra. Questa era stata una voce
buona. Non la voce aspra.
La voce aspra, cui qualcuno aveva detto: «Dillo un’altra volta», diceva,
in prossimità della fine delle cose, Tu non vuoi continuare per sempre,
vero?, e aveva anche detto, neanche un anno prima e in una stanza verde
pallido ma più piccola, cose simili a quanto qui adesso in orbita giungeva
dalla Pallida Eco, ma con un’intensità che era assente nelle sillabe dell’eco
e con parole che adesso, ma anche allora, spuntavano e se ne andavano,
simili a una possibilità di Imp Plus. Questa possibilità sembrava il motivo
per cui adesso ricordava quelle parole, e però era stato lui a dire: «Dillo
ancora» - ma non riusciva a ricordare se questo fosse stato in risposta alla
domanda del per sempre o a queste altre cose. E però si era preparato a
ricordarne alcune, ma non proprio queste: citoplasma (lo aveva detto la
voce aspra nella stanza più piccola), il citoplasma che conosci, e stiamo
parlando (diceva la voce aspra) del citoplasma delle cellule che sono
chiamata eucariotiche, le cellule con un nocciolo già ben formato - nucleo
per te (lo aveva detto la voce - ma che cosa voleva dire? e Imp Plus non
aveva riconosciuto il tono della voce, se non per sentire che gli si impediva
di fare domande, e poi gli si impediva, gli sembrava talvolta, di ascoltare:
parole come mitocondri che avevano avuto a che fare con lui, ma non tanto
da portarlo a rispondere mentre la voce aspra continuava a nominare fatti in
cui, come diceva la voce adesso): ci serve vedere cosa succede fra i due tipi
di organelli. I primi sono le strutture che trasformano la luce in energia
chimica - cloroplasti per te (diceva la voce, con un tale tono di mala voglia
che Imp Plus non chiese che cosa significasse organello - d’altra parte lo
sapeva!) E il secondo tipo sono le strutture in cui i sistemi enzimatici
contribuiscono all’ossidazione del cibo e poi si riappropriano dell’energia
risultante sotto forma di ATP, e sono dunque le centrali elettriche della
cellula - mitocondri per te.
Ma perché per Imp Plus?
Secondo lui doveva essere il contrario - per Imp Plus erano centrali
elettriche. Il resoconto supplementare fornitogli dalla voce aspra
accumulava dentro di lui una fredda carica che era grande, aveva il segno
meno, ed era più che piena. Ma il resoconto faceva sì che la carica non
producesse più di una singola domanda, che lui aveva tanto voluto fare che
le pareti di quella stanza pallida e più piccola avevano cominciato a
spostarsi più verso l’interno che verso l’esterno per far aumentare il suo
torreggiante sconforto, e la carica riuscì a uscire solo scavalcando la stanza,
espulsa dalle parole Sto male. Cosa che non era una novità per la voce
aspra.
E neanche per Imp Plus, così come non lo furono le sue stesse parole,
neanche un anno dopo, Ti dispiace? perché esse erano state fra le domande
che la voce fredda e aspra gli aveva inibito nella stanza più piccola, e se
questo aveva meno a che fare con l’oggetto delle domande «Che cos’è un
organello?» o «Che cos’è l’ossidazione?» o «Qual è il legame fra il modo in
cui gli enzimi inibiscono e quello in cui liberano qualcosa?» -
quell’improvviso Ti dispiace? proferito un anno dopo da Imp Plus in una
stanza verde chiaro più grande durante l’aspra risata aveva più a che fare
con un altro punto: e nondimeno questo punto non aveva di per sé nulla a
che fare con i dati del progetto sugli elettroni scagliati dagli enzimi lungo la
catena respiratoria di una cellula, o su quei veicoli di elettroni che si
chiamano citocromi, o sul normale citoplasma che, la Pallida Eco qui
adesso in orbita - così lontano dalle stanze verde pallido - lo ricordò a Imp
Plus, era la sostanza al di fuori del cuore della cellula. Questo una voce
aspra sulla Terra lo proiettò su uno schermo per mostrare, in agguato presso
la parete della cellula, l’ellissoide aliena - il mitocondrio, quella famosa
centrale che in seguito doveva, come fa una centrale, aver prodotto in gran
numero la risata cui Imp Plus aveva risposto d’impulso laggiù in una stanza
verde pallido, più grande. Aveva risposto con un Ti dispiace? scagliato
verso la voce aspra che aveva gettato contro di lui una massa supplementare
di fumo da tabacco. Da questo Imp Plus si era rivolto a un microscopio sul
tavolo. Aveva di nuovo indovinato cosa sentiva il fumatore. Aveva
preceduto l’emissione del fumo, ma adesso si manteneva dietro il fumo. E
Imp Plus si era preparato a ricordare per quale scopo lui fosse stato inteso
dai controllori del progetto, ma aveva pensato anche qualcos’altro: ed era
che la mimetizzazione di cui si era parlato in questa stanza, in prossimità
della fine delle cose - questa mimetizzazione che poteva essere manipolata
(lo aveva detto una voce) allo scopo di persuadere - poteva essere usata non
su un monitoraggio straniero ma su questa incognita extra, questa aggiunta
dell’ultimo momento al TL, ovvero Imp Plus.
Ma se era questo che voleva dire, era una cosa in più da cercar di
ricordare, mentre aveva sempre cercato di non pensare alla velocità della
luce saettante dentro di lui, che decadeva in buchi che non poteva riempire
con nessuna quantità di desiderio, se tutto ciò a cui il suo corpo malato
poteva pensare era una minestra di lenticchie per pranzo.
Così, per dissipare l’atmosfera del suo Ti dispiace? aveva dissipato quel
fumo bruciante e aveva detto: «Bene, non puoi chiamarmi ipocondriaco».
Una voce buona, o non aspra, aveva detto: «Come dobbiamo
chiamarti?», e aveva tossito un po’ di secondi, e aveva scosso la testa
ridendo amichevolmente, in modo che i colpi di tosse e la risata fossero
un’unica spirale, e aveva detto: «Non so niente di te ma ci sto rinunciando».
Così, per alleggerire l’atmosfera, Imp Plus aveva detto: «A me non è
rimasto niente a cui rinunciare». Al che la voce buona, che aveva smesso di
tossire aveva detto: «Tu hai un posto - come Goddard».
Il grande Goddard con la giacca bianca. Il Goddard che aveva lanciato,
da una tenuta a conduzione familiare alla buona, un razzo a combustibile
liquido, tenendolo sotto silenzio per anni.
Ma la voce aspra aveva detto alla voce buona: «Pensa a come è andata a
Goddard». Poi la voce aspra aveva rivolto lo sguardo verso Imp Plus, e
quando la voce aspra aveva nuovamente tossito, contro la sigaretta
ossidante e aveva tossito anche sul granchio colto nella gola del grande
Goddard, Imp Plus aveva agito per dissipare il fumo nella stanza verde
pallido e aveva detto che, se non aveva un posto nella storia del secolo
come Goddard, ne aveva forse uno in quella del decennio, come REP nel
suo.
L’abbreviazione, auto-attribuitasi come soprannome, di un altro grande.
E le parole di Imp Plus, sprigionate adesso, dopo quanto tempo, da una
stanza di comunicazione in orbita intorno alla Terra, giungevano da un Imp
Plus che Imp Plus non riusciva a identificare. Ma identificò REP. Era
francese, come il fumo - Ròbèr, più altre due parole, REP voleva essere il
primo a far alzare un aereo dal suolo, REP aveva previsto, prima della guerra
del ‘14, le navi spaziali a propulsione atomica.
Ma stavolta la fonte del fumo francese - ovvero la voce aspra aveva
ondeggiato la mano verso il fumo ma non come una berta che spazza la
schiuma del mare - in direzione di Imp Plus. Che allora si era reso conto che
quell’ondeggiare aveva lo scopo di spazzarlo via. Ma no, la voce aspra lo
aveva attraversato per estendersi poi a Imp Plus.
Per estendere una cosa che adesso molto tempo dopo era bloccata dalla
Pallida Eco: trasmettendo dati su REP: a Imp Plus, però: ovvero che REP
aveva costruito un aereo, aveva scritto un libro, aveva detto la parola
astronautica, aveva inventato la cloche, aveva quasi completato un razzo
per scagliare degli strumenti a sessanta miglia di altezza, aveva battuto a
macchina delle lettere in francese, ma aveva scritto in tedesco usando
qualcosa che Imp Plus non era in grado di usare più di quanto non sapesse
usare una cloche, e che così, nelle trasmissioni della Pallida Eco, riuscì a
udire come se fosse la parola fumo: lo vide, però, non lo udì: d’altra parte
vide non del fumo ma la cosa viva, che raggiunse Imp Plus al di là del fumo
come se il respiro del tabacco fosse un fumo il cui decadimento potesse
portare con sé qualcosa in più, oltre al carbonio e al suo bruciare. Ma poi
quella cosa al di là del fumo diventò una frazione tenuta alla buona da se
stessa, una frazione falsa che era un messaggio per Imp Plus e che era il
risultato di REP, per mezzo di dati diversi e adesso sommersi da quanto
proveniva dalla Pallida Eco e che si riferiva al satellite francese D-IA, O
Diapason. E questi dati, radiosi prima e grigi poi, impallidirono anche se
non sostituirono quanto mancava nella cosa viva legata a quella voce aspra
che la voce aspra aveva esteso in direzione di Imp Plus attraverso la
mimetizzazione: i dati finirono quasi per sovrapporre quell’assenza con i
dati sulle cellule: le cellule per prendere il Sole - le cellule solari cellule
poste in pannelli montati sulle pale del Diapason, e che potevano venire
coordinate in modo da usare al meglio la luce solare.
«Quattro», diceva adesso in orbita la Pallida Eco, dando un nome al
numero delle pale del Diapason. Ma che cos’era la Pallida Eco?
E una volta «Quattro» lo aveva detto Imp Plus, per supplire a quella
frazione ritirata dalla voce aspra: ritirata verso di lui al di là del fumo.
D’altra parte adesso lontano in orbita Imp Plus non sapeva che farsene delle
parole dette insieme a «Quattro».
Ma adesso guardò attraverso le unità assenti - dita, conosceva la parola
dita - quattro dita sparite dalla vista - e guardò attraverso il fumo in fase di
dispersione verso la mala voglia trasmessa dal viso della voce aspra. Imp
Plus conosceva la parola viso. E vedendo quell’incognita ma presente mala
voglia, ricordò di essersi preparato a ricordarla. Che era come essere istruito
per ricordare, e allo stesso modo ossigeno era come ossidazione.
E adesso, allo stesso tempo, la divisione della quantità nota Quattro per
la quantità nota Quattro portava a un incognito Uno che non era l’Imp Plus
che veniva istruito in quelle stanze verde pallido sulla Terra, e non era
l’affaccendata e informata Pallida Eco che era qui con lui in orbita e che
sembrava sapere tutto quanto Imp Plus una volta sapeva, e così sembrava
persino che una volta la Pallida Eco fosse stata Imp Plus. L’ossigeno era O.
Rovinando l’operazione per cui le pale, nella quantità nota di Quattro,
sulle dita assenti, nella quantità nota di Quattro, producevano l’incognita
Uno, Imp Plus sentì che intorno a sé qualcosa di ignoto che spuntava, diviso
per qualcosa di ignoto che cedeva, produceva dello spazio, che adesso si
allargava, come ciò che adesso si accorgeva di aver perso; noto come le
quattro dita perse nel lavoro di Rò-bèr E-P sul combustibile per razzi, e
familiare come le dita perse dello stesso Imp Plus e come le sue parole
rivolte alla voce aspra: «Come fai a sapere che le quattro dita perse da REP
erano tutte della stessa mano?», e familiare come la mano di Imp Plus e
come la lunga mano aspra che aveva attraversato il fumo spostandone la
materia in vortici, lo aveva attraversato per mezzo di un cerchio di fumo che
scosse i vortici e si appiattì - la mano aspra lo attraversò come per stringere
la mano di Imp Plus, per poi trasformarsi non in un aspro segnale di fumo
ma in un grossolano gesto con un pollice levato che si stagliava
ironicamente verso l’alto, ricordando a Imp Plus che avrebbe perso la spina
dorsale, le dita, il viso e le mani, le caviglie, i gomiti e il collo, che
sarebbero volati in una radiazione dal raggio senza centro, le ginocchia, la
scatola cranica, i denti minerali, senza dimenticare la pelle, senza più
monitoraggio come prima. La pelle che sentiva in anticipo come sarebbe
stato il palmo della mano della risata aspra nella stretta di mano che poi era
stata ritirata. C’era stato il grande mal di gola terminale di Goddard, e a Imp
Plus era particolarmente dispiaciuto perché, oltre ai pugni e alle altre parti
che aveva previsto di perdere nell’operazione che avrebbe preceduto
l’Operazione VL, lui avrebbe perso la gola.
Ma lui stava arrivando a questo: che mentre il corpo era troppo malato
per potersi riprendere, la gola non era ancora malata. Né era stata fatta
ammalare dal fumo della voce aspra nel precedente incontro di maggio; né
alla conferenza meno di un anno dopo nella stanza verde pallido più grande,
quando la voce aspra aveva pensato che Imp Plus avesse tradito la segreta
speranza che l’Operazione VL sarebbe durata - ma il viso aspro: era a questo
che Imp Plus stava arrivando adesso - dividendo l’ignota distanza fra
qualcosa di noto e qualcosa di noto - fino a questo: il pensiero che su di lui
si potesse usare un progetto nell’eventualità di un decadimento dell’orbita
era sbiadito ed era stato sostituito dalla voce aspra, di cui aveva pensato di
vedere attraverso il fumo la mala voglia: la mala voglia che diceva: «Pensa
a ciò che stai per perdere: a beneficio dell’Operazione VL: pensaci».
Poi Imp Plus era tornato di nuovo a guardare in una lente, perché non
riusciva a sopportare la vista della voce aspra. D’altra parte vedeva soltanto
il suo decadimento, sempre più veloce. D’altra parte adesso nel bel mezzo
dell’Operazione VL - in un’orbita sincrona con quella della Terra, perché in
questo modo Terra sperava di mantenere riservato a sé il circuito radio con
Imp Plus - un’occasione ricadde intorno a lui, in nuovi gradienti di
luminosità disposti a reticolo, ma non come le griglie di gradiente per cui
era stato preparato dalle sue vecchie e malaugurate istruzioni, una forza che
proveniva dalla direzione della clorofilla e dai cloroplasti, che adesso si
ritrovava a comprendere - o a vedere - e che proveniva dalla mappa
srotolata del Sole e, sulla parete della sua cabina, dagli uccelli con le forme
che gettavano, ma che proveniva anche dalla sua migrazione.
E questo nuovo ricordo ricevette poi con desiderio quanto era successo
quell’inverno in assenza di quelle quattro dita, sparite dalla vista come se
fossero state mozzate all’altezza delle nocche della mano aspra. Sì, il corpo
malato di Imp Plus era stato diviso da quella mala voglia; diviso.
Nella grande stanza verde che emetteva carbonio e anidride carbonica e
che non era la cosa verde che dava ossigeno, la voce buona aveva detto:
«Abbiamo una perdita», e aveva chiesto se Imp Plus stava bene. Perché lui
era impallidito. Perché il sangue che era sul punto di perdere gli era defluito
dal viso. E questo improvviso defluire (causa o effetto di un torreggiante
mal di testa) aveva creato nel mezzo del sangue una cascata in senso
opposto - un tessuto di tavole, una corrente di tronchi, verso un posto sicuro
fra quelle cellule che sarebbero restate anche quando i suoi resti gli fossero
stati portati via. Ne aveva una tale paura che pensava solo al fatto che stava
respirando l’anidride carbonica della voce aspra, ma quel che temeva era di
ricevere il CO2, senza dare nulla in cambio.
D’altra parte, le tavole. Un’asse sull’altra. Non cose affusolate senza ali,
e dunque molto più di tronchi nel fiume, e non la prima volta o la stanza
verde pallido. Ma cascate che facevano la spola fra il plasma e la luce, e
troppo veloci per ionizzare le parole simili a cromosomi affinché
emettessero paura per le cose nominate, più che per quell’unica sua parte
che sarebbe rimasta quando le parole dell’operazione lo avessero sottratto.
Un’asse sull’altra. Una cascata elettromagnetica. Parti spezzate in un nuovo
movimento, non l’anidride decaduta - l’idea era quella. O essa stessa. O il
suo desiderio o la memoria desiderata. Anche la paura. Di essere un
vegetale portato in giro come un Extra dall’ambulante che se n’era
impossessato. Perché Imp Plus sarebbe stato una novità.
Ma era stato incastrato nel mezzo della consapevolezza. Aveva pensato
alla cascata elettromagnetica. Non era sbagliato. Ed era molto più di
qualche tronco sul fiume, ma lui aveva visto dei tronchi nel suo pensiero,
simili a solidi. Ma adesso quella visione terrestre era lontana anni-buio, ed
era meglio così.
Questa visione, che si spingeva fino a una giornata di primavera in cui
era stato toccato - non riusciva a mandar via quel tocco - da un’altra risata
che si spostava sulla griglia della sua schiena, e si era voltato dal
carburatore di una macchina che aveva il cofano aperto e non sarebbe
ripartita, e aveva visto i primi acri di schiuma marina sfiorati da tre berte
dalle larghe ali.
E ancor più vicino aveva visto la lieve risata e la bocca. E per salvare la
faccia cominciò a dire che il motivo dei problemi stava fra i contatti e il
carburatore. Ma la bocca stava dicendo: «Non pensare alla macchina», e
stava dicendo parole che ripiegarono verso l’interno la dolce risata, con
parole che dicevano: «Meno male che non ho fatto la valigia».
C’era qualcosa fra quelle parole e le successive. Era il CO2 o era
l’Ossigeno?
Qualunque cosa fosse, non proveniva dalla voce aspra che esalava
quell’ellisse in via di appiattimento, ma da un’altra bocca - con parole di cui
quest’altra bocca non sapeva il significato. E queste parole erano: «Viaggio
luce».
Nel mezzo delle quali adesso la Pallida Eco doveva trasmettere le
velocità corrette. Ma erano davvero corrette? E Imp Plus non sapeva se la
trasmissione fosse diretta a Terra o a lui. Sembrava trasmettere fra sé e sé.
PALLIDA ECO. VOCE ASPRA, VOCE BUONA.
Doveva prestare attenzione alle cose che cedevano, doveva fare
attenzione alle cose che spuntavano, e alle forme che gli stavano intorno,
anche se esse non prestavano attenzione a lui.
C’era di più tutt’intorno e quel di più che stava tutt’intorno si stava
unendo a Imp Plus.
Capitolo 4
Ma allora Imp Plus non si era preparato a ricordare di aver perso tutte
quelle parti del suo corpo. Non si era dovuto preparare.
Allora l’Operazione VL era stata sul punto di cominciare con lui. E
invece di un ricordo desiderato, come aiuto di fronte a quanto poteva
incontrare, lui era stato respinto nel ricordo di un desiderio.
Adesso l’odore di quegli occhi in riva al mare giungeva soltanto quando
la Terra era lontana. Occhi al di sopra di quella bocca socchiusa.
Che cos’era stato a portarli? La stessa bocca che aveva fatto salire a
spirale una risata lungo la griglia della sua spina dorsale, e che lo aveva
fatto voltare.
La bocca aveva detto le parole. Questa bocca che Imp Plus non si era
preparato a ricordare era giunta nel mezzo delle sue parole dividendole.
Venne. E poi entrò dentro di lui, quando chiuse gli occhi.
Quali occhi?
Gli occhi che aveva posseduto.
Perché era stato con i suoi occhi che aveva sostenuto quegli occhi che
non erano suoi e anche la bocca, finché gli occhi non si fecero indistinti e
non ci furono più e gli occhi di Imp Plus si chiusero e l’altra bocca non
andò perduta ma si ritrovò sulla sua. Perché anche lui ne aveva una.
Ma di chi era la bocca ritrovatasi sulla sua?
La bocca di lei. Non si era preparato a ricordare la bocca, o la parola lei.
Si protese con tutte le sue parole. Erano un reticolo così spesso che non
avrebbero fatto rumore. Perché lui era cambiato. Cadde attraverso le loro
possibilità, verso un’incognita.
Imp Plus si era preparato a ricordare che gli occhi si sviluppavano a
partire dal bisogno di nutrimento. D’altra parte invece adesso scopriva che
gli occhi sarebbero stati un nutrimento per lui. Lo scopriva nell’odore di
quegli occhi al di sopra della bocca di lei. Dolci, perché c’era stato dello
zucchero nelle camere degli occhi. Ma non carichi per sparare in direzione
di Imp Plus. Invece, un lento movimento all’interno. Un lento fluire nelle
fibre di fissaggio che tenevano ferma la lente. Era così.
Però non era stato adesso in orbita ma allora sulla Terra, con un corpo
che si rompeva in pezzi più piccoli, che diventarono così piccoli da fargli
pensare che fossero se stessi, e non lui. Il punto era che l’aveva pensato
allora sulla Terra ma solo adesso sapeva di averlo fatto. Come se i pezzi
fossero stati questo ignoto pensiero allora sulla Terra. E la loro caratteristica
era che sarebbero stati riconosciuti in seguito. Pezzi che si stavano
rivoltando come guanti. Ma era adesso in orbita che Imp Plus vedeva quel
che vedeva. Vedeva occhi che non erano qui e vedeva lo zucchero del loro
flusso.
E lo zucchero non era dolce come il flusso che vedeva lungo
l’arcobaleno del nord, leggermente socchiuso davanti alla lente. Conosceva
l’arcobaleno, ma quel che si era preparato a ricordare era iride. Un
arcobaleno che era del nord perché era blu. Più blu e più lontano che verde.
Più verde delle lunghe lunghezze d’onda del sangue, e Imp Plus vedeva che
erano rosse.
E le onde di colore erano il pulsare dell’arcobaleno. Lo chiudevano e lo
aprivano. E gli anelli di muscoli che erano cellulari potevano cambiare
dimensione. Ma qui - o lì - in quegli occhi sulla Terra gli anelli si erano
contratti spremendo l’una contro l’altra le parti dell’arcobaleno, attraverso
la fessura della pupilla che si rimpicciolì e la bocca terrestre disse a Imp
Plus: «Meno male che non ho fatto la valigia».
Diventò felice.
Imp Plus non aveva saputo le parole bocca o lei.
Ma quell’odore di dolcezza proveniente da quegli occhi, le cui macchie
adesso si riaprivano, mentre gli anelli si rilassavano e l’arcobaleno si
socchiudeva e dalle camere alle vene scorreva la dolcezza, più dolce dei
livelli di glucosio di Terra o della Pallida Eco, era un vago odore di neonato,
simile al respiro di un uccello caduto dal nido e alimentato con un
contagocce.
«Puoi arrivare solo fin qui con i livelli di glucosio», pensò Imp Plus, e
Terra replicò: NEGATIVO IMP PLUS NEGATIVO, I LIVELLI DI GLUCOSIO SONO ALTI
E PUOI ANDARE OLTRE, COME SONO LE LETTURE LASSÙ IMP PLUS?
La Pallida Eco diede a Terra le letture: Imp Plus lo permise. Il glucosio
non era solamente alto. Era così alto che Terra chiese un’altra lettura. Il
glucosio sembrava tutt’altro che basso in un modo tale che forse il
rilevatore delle misure era in errore.
Imp Plus permise che la Pallida Eco andasse via e quando se ne fu
andata sentì, come un tocco, cos’era per lui questa Pallida Eco.
Imp Plus vedeva qualcosa di più della cosa verde. Vedendo più del fatto
che possedeva occhi. E aveva visto questi cambiamenti di forma nella cosa
verde senza dover dare loro un nome, così come si dà un nome all’oceano
che contiene un’area per la manutenzione delle astronavi. Imp Plus si
ricordava di essersi preparato a ricordare che gli occhi si sviluppavano a
partire da un bisogno di nutrimento. Ma non si era preparato a ricordare le
centrali elettriche delle cellule, così chiamate dalla Voce Aspra, che
aggiunse: «Per te, mitocondri», dato che per Imp Plus mitocondri sarebbe
stato più chiaro di centrali elettriche. E Imp Plus non si era preparato a
ricordare, anche se adesso non poteva farne a meno, l’Intermediario del
Mondo dei Legami ad Alta Energia, secondo le parole della Voce Aspra,
che aggiunse: «Per te, ATP», come se Imp Plus la conoscesse.
Durante queste inversioni la mala voglia della Voce Aspra era cresciuta
come il soffio elastico di un rivestimento protettivo che Imp Plus non era in
grado di attraversare. La mala voglia perdurò, come la forma del suo sangue
dopo essere stato fatto entrare in un sacco libero. Imp Plus trovò molte
parole che conosceva.
«Meglio darsi da fare», aveva detto la Voce Aspra.
Ma Imp Plus aveva dovuto sapere molto per l’Operazione VL, e aveva
preparato tante altre cose che quelle inversioni non potevano più dargli
ordini, come non poteva ciò che la Voce Aspra aveva detto alla Voce Buona
nella più grande delle stanze verde pallido alla fine delle cose. La Voce
Buona aveva parlato della natura semiautomatica della Mimetizzazione
Contingente, e di come fosse in grado di difenderlo contro un monitoraggio
straniero. La Voce Buona aveva aggiunto, con quel grosso interesse che
riservava a Imp Plus, che Imp Plus avrebbe ovviamente avuto fin troppo da
monitorare senza dover essere responsabile anche della Mimetizzazione
Contingente.
La Voce Aspra disse: «Dopo che quei meccanici avranno finito con lui,
che cosa ci resterà da monitorare?»
Niente mani, niente gomiti, niente caviglie, niente collo, niente coda,
niente milza, sudore, pancreas, né fra le cellule del pancreas quelle Isole di
Langerhans prive di canali che creavano l’insulina. E non ci sarebbe stato
più il punto cieco dove la retina dà al nervo ottico il segnale di ingresso o di
uscita, né una possibilità di vita?
Che cosa avrebbe fatto allora Imp Plus?
Il monitoraggio di una eco. Una eco che continuava a comunicare un
dato noto dopo l’altro. Perché qui c’era la Pallida Eco che segnalava delle
colture sincronizzate che adesso non erano sincronizzate e che forniva a
Terra delle letture che avrebbero dovuto accordarsi con quelle di Terra.
Letture della reazione dell’azoto nel test nutriente e della vivace
oscillazione dei livelli di glucosio. Letture dilatometriche - conosceva la
parola dilatare - dell’espansione del liquido. Letture galvanometriche
dell’attività nella popolazione della clorofilla e nella superficie corticale.
Terra diceva di ripetere di quanto si fosse abbassato il glucosio prima di
salire per breve tempo a un nuovo picco. Terra diceva di ricontrollare le
colture della clorofilla, dovevano essere ancora sincronizzate. Terra diceva:
RIPETERE PER FAVORE TRASMISSIONE TROPPO VELOCE O TROPPO LENTA
DIFFICILE CAPIRE IL PROBLEMA, e la pallida ma vicina Pallida Eco continuò
con i su e giù del glucosio, in modo che la Pallida Eco non udì la richiesta
di un rallentamento fatta da Terra.
Ma quando Imp Plus udì che Terra segnalava adesso un’attività corticale
nelle aree prefrontali 9 e 12, giungendo poi nel mezzo delle aree per
chiedere se nel lobo prefrontale la Pallida Eco (che qui veniva chiamata IMP
PLUS) stesse restituendo qualcuno dei calci che Terra le aveva dato nel lobo
temporale - e a proposito, diceva Terra, che forma di piacere sentiva in
questo momento nella 9 e nella 12?- Imp Plus non ebbe bisogno di udire la
replica della Pallida Eco che parlava di analoghi schemi di attività - 50 per
cento di piacere, 50 per cento no - che emergevano da fonti sensorie ormai
difficili da distinguere nei lobi.
Perché in ogni piega, le cui fibre stringevano ciascuna delle lenti di
quegli occhi il cui sguardo aveva sostenuto con i suoi occhi perduti, sentiva
un dolce umore di sangue e zucchero che si dispiegava scorrendo su di lui.
Era un terreno fluido che si posava su solchi, fessure, creste,
ondulazioni.
Scorreva sul corpo di Imp Plus, ma lui adesso non aveva un corpo.
Scorreva sulle pieghe che erano sue, esattamente come una di esse ora si
separava per fargli intravedere quel che non aveva saputo di voler vedere.
E questa cosa che vedeva apparteneva a lei. O doveva esserle
appartenuta, perché quel nutriente odore era l’odore dei suoi occhi. Quel
denso siero che emanava un dolce colore e grani o globi di cibo per neonati.
Ma poi l’odore si dissolse, come se fosse stato spento a distanza da un
impulso alieno. D’altra parte l’odore era come una traccia che sarebbe
ritornata. E quel che Imp Plus vedeva era un minuto intrico venato di luce
di fronte a una minuta oscurità. Con vene fisse come una mappa ma
ovunque ammiccanti.
Anch’esso era in via di dissoluzione, ma per accrescimento: si faceva
cioè indistinto in maniera sempre più luminosa. Come la luce che Imp Plus
aveva desiderato durante un ciclo di oscurità in cui non c’era quel Sole
buono. La luminosità indistinta proveniva dall’intrico di luce ed era una
delle vene e si stava velocemente chiudendo su di essa, come uno dei pezzi
sempre più piccoli in cui si era diviso il suo corpo, come se volesse pesarsi
da solo.
Imp Plus entrò. Attraversò la luminosità. E sentì che da molto tempo la
Pallida Eco aveva finito di rispondere che questi nervi nell’iride dell’occhio
risaltavano sulla loro oscura membrana a causa della sostanza trasmittente
noradrenalinica e fluorescente nei neuroni.
Ma l’oscurità attraversata da Imp Plus nelle vene della luminosità
indistinta non poteva appartenere a lei. E vero che quel campo di umore
acqueo era stato suo. Perché veniva dalle pieghe le cui fibre ancoravano le
lenti dei suoi occhi. Scorreva, sceglieva, riempiva e apriva la nuova piega
fra le fessure e le creste. Ma come le fessure, le creste, i passi e le
ondulazioni che erano sue, anche questa piega era sua. Era parte di tutto ciò
su cui quel siero fatto di dolci particelle aveva cosparso il suo campo.
Che era il corpo. E che era suo. Ma con il suo corpo. Gran parte del
quale se ne era andato. E così non poteva reagire.
Adesso anche l’odore degli occhi di lei sulla spiaggia se n’era andato e
se n’era andata la rete di tracce luminose sul nervo dell’iride attraverso la
quale Imp Plus era entrato in un’oscurità che adesso sentiva sporgersi verso
di lui.
Un’oscurità che era sua, lo sapeva.
Perché stava dentro quel che era suo.
Che era una piega fatta di molte pieghe, molti passi, fessure e fenditure.
L’oscurità era sua perché si stava spezzando. Si sporse e si spezzò in
parti che si accorse di aver desiderato. Ma qui la rottura era così grande che
anche le sue cellule d’ascolto si spezzarono; e le sue cellule da vista erano
gli occhi incastrati nelle orbite, finché i sacchi non si spaccarono e l’umore
acqueo non traboccò; così gli occhi rimasero sommersi, e questo era
successo in una cosa che adesso sapeva di essersi preparato a non ricordare
ma che ricordava lo stesso, anche se non ricordava la parola per dirlo. Era
come una cosa di cui aveva sentito la presenza anche qui. Neanche per
questa riusciva a trovare la parola. Sapeva solo che faceva domande. Al di
là di questa cosa che aveva sentito, scoprì quanto a sua volta era al di là
delle parole che stavano per ciò che aveva scoperto. Le cellule per vedere e
ascoltare quel rompersi erano diverse da esso. La rottura era molle come
colla. Un elemento colloso che decadde in molti elementi spugnosi che poi
diventarono di più, molti di più? e poi ridiventarono elementi di colla. Dieci
a uno, però, che era colla. Dieci di colla a uno di grigio. Ma la colla sarebbe
dovuta essere bianca, e questa era più scura. E c’era un profondo crepitio,
inascoltato, anticipato.
Voleva la parola per quella cosa che aveva sentito: quella parola che era
più che altro una domanda. Voleva che ci fosse un basta, per favore. Ma
adesso si accorse che al di sopra dell’oscurità proprio lui era in grado di
mettere e rimettere a posto quanto si era dissolto o era stato spento: il dolce
odore e i nervi pieni di luce. Ed eccoli un’altra volta, stavolta. Pensò che si
trattava di una cosa che lui era in grado di fare, e senza parole. E non era
quell’altra cosa che aveva sentito e che era una parola che era più che altro
una domanda.
Ma adesso l’oscurità che si spezzava stava rompendosi a partire dal
centro.
Verso sempre più angoli, ma rivoltati, in modo da puntare verso
l’interno, mentre il centro da cui stavano scivolando via tutti gli angoli
come una stella dell’oscurità cresceva e si rovesciava verso l’interno, con
degli angoli. E l’oscurità che si stava scindendo portò via con sé la rete
nervosa dell’iride che lui aveva fatto riapparire, e portò via il dolce odore
dei suoi occhi sulla spiaggia.
Dato che non poteva smetterla, e non poteva smettere di volere, e che
non poteva mettere al suo posto la parola che stava per la cosa che aveva
sentito fargli venire qui la voglia di smetterla, allora voleva che non fosse
qui. Ma era qui anche quel che spuntava dall’oscurità incrinata, anche se
spuntava da distanze che si dividevano in un numero sempre più grande di
distanze sempre più piccole. E così, mentre vedeva all’interno della piega
che era sua perché era parte di quel che era suo, vedeva anche all’interno
del letto verde e verdeazzurro di alghe brillanti e luminose, brillanti perché
umide. Vedeva più il verde che il verde-azzurro. Anche se trovò più di
entrambi.
Più di cosa?
Più di prima.
Vide più verde ma adesso vide anche cose più piccole dentro il di più.
Vide sfere piccole e separate come un batter d’occhio, ed erano in
movimento e in molti movimenti. Le meno piccole di queste sfere
respiravano con maggior velocità, quelle più piccole con una tale lentezza
che si distinguevano meglio gli altri movimenti all’interno di queste sfere.
Le sfere verdi erano clorofilla, perché si era preparato a ricordare la
clorofilla. Ma adesso mentre guardava ci fu qualcosa in più, come se alcuni
membri della popolazione verde fossero stati accatastati lontano dalla vista
e adesso si fossero alzati spingendo gli altri da parte.
Continuò così.
Ma più cresceva la popolazione della clorofilla, più Imp Plus poteva
dividerla con lo sguardo e così la vista di Imp Plus arrivava al sempre più
piccolo.
E le cose più piccole che vide in ciascuna delle sfere di clorofilla erano
uova o dischi appiattiti e, cosa più importante, inclinati in modo che nel loro
movimento intorno alla cellula il loro bordo catturava la luce. Imp Plus
poteva accorgersene perché la luminosità che era dappertutto, e anche nelle
ombre lungo le pareti che erano le pareti della capsula ancor più che della
piega, non era una ma molte, che correvano in singoli gruppetti, talmente
piccoli da avere più luce che forma, e il bordo delle uova e dei dischi veniva
rivolto in modo da ricevere queste bande di luce.
I dischi e le uova erano soltanto verdi, finché Imp Plus non guardò il
flusso delle bande di luce ancora più piccole, che colpivano i dischi e le
uova, e poi i dischi e le uova furono anche di colore arancione, come la
polpa interna di una fetta di carota cruda, e di colore giallo come ciò che
non ricordava ma subito furono verdi, e lui poteva vedere o non vedere il
giallo e l’arancione.
E Imp Plus pensava di essere in grado di farlo.
Richiamò il dolce odore degli occhi e con esso la mappa del nervo della
luce. Ma sapeva che qualunque cosa fosse in grado di fare, non avrebbe mai
potuto fare quel che era stato fatto.
Non qui, cioè.
Inserire, cioè, in una delle sue pieghe non solo i letti di clorofilla verde e
le alghe anabena, di colore verde-azzurro, ma anche quanto si vedeva
attraverso la levigata palla membranosa che aveva fatto in modo che
l’oscurità si aprisse. Perché quel che vedeva attraverso la grande membrana,
dopo curve che Imp Plus non avrebbe mai potuto vedere con gli occhi, ma
che d’altra parte vedeva per mezzo di una forza flettente che lo attirava
verso quanto sapeva di volere, era una materia stratificata, che ondeggiava
con lentezza. Gli strati erano sei - e dalle pareti del percorso vennero, per
unirsi a essi, dei legami pallidi come cavi addolciti in fibre. Ma attraverso
questi sei strati Imp Plus trovò che la sua visione si era divisa come una
sostanza cui servissero dei buchi per attraversare un blocco; e al di sotto dei
sei strati c’era una radiosità simile a una distanza, e vicinissimo alla sua
superficie vi erano bande radianti di fibre ad arco - che si distendevano poi
verso un luogo lontano dove la memoria prometteva mappe di corteccia e
mappe di spazio che erano un’unica mappa di movimento - un luogo che
però, diceva la memoria, era troppo lontano perché lui lo potesse volere o
essere.
Al di sotto di esso si stendeva un’area gialla con un’energia che, lui si
accorgeva, era una volta fluita attraverso la sua macchina. Pensa a quanto
resisteva questa piega, allora; pensa a quanto fosse andato lontano. Ma lui
non riusciva a respirare. Venne attratto dove non sapeva come pensare o
respirare. Voleva essere strappato da qui; e chiedendosi se poteva esserlo,
trovò di nuovo quella cosa cattiva la cui parola non poteva ricordare, se non
sotto forma di domanda, e adesso scoprì di non sapere la parola domanda.
Lungo il percorso, dietro di sé, vide la luce divisa. Era venuto dalla
piega in un percorso che andava in molte direzioni. Lassù la cavità
diventava grande, e le pareti e lo spuntone superiore erano intagliati come
gradini. In basso - o almeno dall’altra parte - verso i sei strati, c’era meno
luce. Ma adesso vide che le pareti e lo spuntone superiore pulsavano per
comprimere verso l’esterno la lunga cavità, per far sì che il suo spazio fosse
di più.
Questo pulsare proveniva da quel che non era le pareti e la parte
superiore, ma era su di esse: fibre tese e lustre. Esse erano ciò che
all’estremità inferiore vicino ai sei strati giungeva dalla sommità della lunga
cavità per inserirsi dentro gli strati, perché Imp Plus stava guardando in
entrambe le direzioni. Seguì le fibre verso il basso fino agli strati che
ammiccavano nei punti di arrivo delle fibre. Ma Imp Plus stava reagendo,
voleva non esserci; perché gli sarebbe successo qualcosa che non doveva,
ma la parola non sarebbe venuta insieme alla sua domanda che comunque
non sarebbe potuta servire, e le fibre pulsavano verso l’interno come se
anch’esse, per quanto inserite negli strati in basso, volessero uscire.
Da che cosa? Dalla sua piega? Da quel che era un corpo e che, come
l’oscurità che veniva scrollata da quell’enorme, luccicante membrana, era
suo?
Era un corpo, era suo; ma non il suo corpo, pur se visto per mezzo della
vista con cui sembrava che le cellule vedessero se stesse, e questo lo riportò
dove non avrebbe voluto andare, nel corpo dei pezzi sempre più piccoli che
pensavano se stessi.
Non riusciva però ad andare oltre quegli strati al di sotto delle zone
radianti che si inarcavano verso la doppia distanza rossa e viola. Ma non
poteva essere in molti posti, e lo sapeva meglio di quanto non conoscesse il
verde e il viola, laggiù con la loro aliena promessa del verde quando Imp
Plus distoglieva velocemente lo sguardo e poi lo riportava lì. D’altra parte
trovò un meraviglioso punto cieco. Era nella sua nuova possibilità di essere
in più di un luogo allo stesso tempo. Più in basso lungo questo tratto ottico
c’era un’intersezione che portava agli strati, non vide laggiù (poi non vide
più se non per ricordare) uno ma due corpi di strati. Erano legati punto per
punto, come nel diagramma di un codice, a fibre provenienti dal tratto. A un
certo punto dovette tornare indietro e disegnò questa mappa in modo che gli
altri potessero seguirla. Questa breve visione fu come un ammiccare con un
occhio diverso, se Imp Plus avesse avuto occhi, e da questa visione vide
che, mentre era in grado di essere e vedere due o più luoghi allo stesso
tempo, poteva avere un punto cieco se contemplava due luoghi separati che
però erano la stessa cosa.
Ma no, quando adesso tornò a guardare in alto da questo incrocio che,
adesso lo vedeva, era incolore, non come le pallide fibre color oliva, vide
due segmenti e non uno. I segmenti erano identici, con un foro brillante alla
fine di ciascuno e al di là del foro i colori del Sole che riempivano il verde
luccicante e il verde-azzurro dei letti di alghe; ed essi erano visibili a una
diversa distanza dalla corta portata a cui Imp Plus aveva mantenuto la
clorofilla e l’anabena qui in questa piega fra le tante che aveva, anche se
non a questo punto dell’incrocio il cui scolorire gli aveva fatto vedere che il
resto delle fibre era di un colore oliva più pallido.
La piega era sua. Le serpeggianti fibre affiancarono questo limite,
ovvero il tratto verso cui portava la piega. Oppure le fibre si avvinghiarono
ai lati e allo spuntone superiore. Però dall’incrocio salivano due segmenti di
fibre. Con un foro a un lato, e ciascun segmento era stato tagliato prima del
foro. Le fibre pulsavano. La cavità non diventò più grande. Comparvero le
ombre delle imboccature, e una parte delle fibre si spingeva ad angolo retto
verso la cavità o le pareti del tratto; una parte della sostanza fibrosa si
allontanava con un germogliare di scatti.
Le fibre respiravano o pulsavano; si muovevano irrequiete come animali
nel sonno; ma le fibre operavano; lateralmente però per mezzo di punte
lungo la loro lunghezza come gli innaffiatoi in alto nella stanza verde sulla
Terra. E Imp Plus non voleva esserci, e sentì l’odore dolce degli occhi e
seguì l’odore dell’umore acqueo sin dove le fibre erano state tagliate,
proprio all’entrata o all’uscita, attraverso il foro, o i due fori di due
segmenti. Ma l’odore degli occhi fece crescere quel che sentiva, questa cosa
la cui parola era una domanda ma lui aveva perso la domanda ma adesso
sapeva la parola e non serviva se non per farlo muovere verso le bande di
fibre che respiravano, ciascuna delle quali era un fascio di fibre, per andare
dove i loro viticci laterali tendevano a essere.
Un blocco di luce lo gettò in aria. Gli si soffocò intorno,
racchiudendolo. Lo aveva reso un nuovo nervo, al di là di ogni respiro. Ma
il corpo neurale che lo aveva gettato in aria non era soltanto esterno a lui.
Stava sbattendo e scoppiando su se stesso; la parola era dolore, e la
domanda qualunque fosse era persa come un albero - un albero altrove - la
cui assenza incoraggiava la crescita del muschio su di sé. Un dolore che
torceva il sangue, lo torceva intorno allo zucchero se era esso a dare al
flusso una dolcezza simile a quanto era stato ripiegato nelle camere degli
occhi di lei, perché quell’umore acqueo della cui forma la sua memoria
aveva sentito l’odore, con un’attenzione amplificata in un modo impossibile
sulla Terra, era così simile all’odore di quel fluido qui vicino che lui stesso
poteva averlo creato a partire dal desiderio. Che non era il dolore. Era un
dolore che era terribile. Conosceva terribile. Era una parola. Il neuroblasto
vicino a lui lo aveva reso uno, e si gonfiò e si scisse. Ma la divisione era
venuta dalla sua esigenza.
E questa scoperta si rivelò essere essa stessa una divisione.
Sopraggiunsero altri neuroblasti ma erano anche delle cose, e venivano
dalle distanze e si muovevano a scatti lungo le cellule, e si fermavano o non
si fermavano. E poi seppe qualcos’altro nel dolore di un movimento in così
tanti punti: sapeva che era un pensiero sciatto e stupido: e la Pallida Eco
parlò così da vicino che la Pallida Eco era in Imp Plus, dicendo: «Il nervo
ottico non operativo si è ritirato nella parete del tratto ottico».
Ma le parole da Terra erano troppo deboli per disturbare la riva. C’erano
le berte, una procellaria sul punto di tuffarsi, e gli occhi di lei, che lo
avevano toccato con una risata sul suo lato cieco e lo avevano fatto voltare e
avevano parlato e avevano posto una lingua dagli occhi aperti nel mezzo
delle parole che lei diceva, dividendole - fra «Meno male che non ho fatto
la valigia», e poi in seguito così piano e così dolcemente che il grido di un
uccello marino e il tuffo di una procellaria trattennero le sue parole:
«Viaggio luce». E si era inginocchiato, inginocchiato era come un gomito,
inginocchiato più in basso dei suoi occhi e della sua bocca, lontano da essi.
E aveva fatto una cosa per dimenticare la quale adesso poteva provare
dolore.
Perché nel suo dolore tutti i punti di queste fibre ottiche germogliavano
ciecamente di lato e verso l’esterno. Ma era un dolore che non uccideva ed
era tutto quel che aveva ma lo rendeva di più.
Anche se aveva perso il suo corpo.
Imp Plus pensò che non avrebbe arrestato il dolore stando altrove, o
volendo starvi. Ma avrebbe reagito. E si sarebbe spinto verso qualunque
cosa avesse voluto.
Era in un movimento di altre forme; si rese conto di averle volute. Da
un lato, attraverso una bianca colla silenziosa, e innumerevoli colle. E
ciascuna emise lingue su gambi che avevano lunghe radici e corte antenne,
e i gambi inviarono e ricevettero scintillanti viticci di legame verso o da
altri gambi. Però là dove le cellule collose lambivano i gambi, quelle
scintille brillanti non c’erano. Al loro posto una fine guaina di strati disposti
a spirale. La guaina assente nei luoghi in cui Imp Plus poteva esaminare il
gambo. E all’interno del gambo galleggiavano forme che conosceva. Erano
forme simili a patate al forno, ellissoidi con due pelli, una liscia e una
membrana interna con grinze, pieghe e ciuffi, e perciò con una superficie
molto più ampia. E attese che la Pallida Eco specificasse qualcosa, perché la
Pallida Eco era presente.
Le forme lo sorpassarono, andando e venendo. E però non poteva star
fermo mentre esse si muovevano. E non sembravano sue.
Imp Plus si mosse in queste forme. Volò attraverso gambi dove non
accadeva nulla, senza scintille sulle antenne, sulle spine e sui rami, senza
scintille che sprizzavano radici. Costretto a parlare osservò invece una
crescita della capacità. La capacità di discorso. In questi gambi o in lui. La
capacità di silenzio che era una soluzione in cui questi gambi, che
crescevano come se inspirassero senza poi espirare, si dividevano.
Imp Plus stava uscendo ma attraverso una nuova piega.
Non poteva vedere se stesso ma sapeva che la piega si stava ampliando,
vedeva la luminosità e sapeva di non aver mai smesso di vederla.
Stava vedendo la scorza e la pelliccia del Sole ancor prima di essere
fuori all’esterno.
Ma all’esterno attraverso le acque aperte simili al dolce umore intorno
all’arcobaleno negli occhi di lei, Imp Plus fu ancora trattenuto nelle cellule
collose in basso e all’interno. Perché esse non erano solo un mare per i
gambi; queste cellule collose facevano qualcosa.
Se Imp Plus lo permetteva.
E però non sembravano essere sempre sue.
«Potrebbe toccare a te», aveva detto una voce nella grande stanza verde
sulla Terra. «In ogni reazione c’è un’azione, non dimenticarlo».
Bene, se Imp Plus permetteva che le cellule collose lo trascinassero
nella loro densa viscosità, allora voleva farlo.
Lui era all’esterno, alla luce, dove il Sole inalava dai test nutritivi dei
letti di piante una tremolante boccata. Ma veniva trattenuto all’interno, fra i
gambi, per una sua estremità. Sia quelli che fiammeggiavano sia quelli che
erano silenziosi. Anche all’interno fra quelle altre cose che erano
d’ostacolo, le cellule collose.
Ma soltanto se lui se lo fosse permesso.
Perché, pur se d’ostacolo, non erano così viscose come sembrava.
Galleggiavano e alimentavano i rametti, i viticci, i virgulti e i filamenti delle
cellule vicine.
Imp Plus guardava fisso al di là dei viticci, dei virgulti e della peluria
dei vicini gambi di cellule, e il movimento del suo sguardo faceva tremare
pallide cordicelle intrecciate negli angoli di tutti i suoi occhi, cordicelle che
lui pensava tremassero per la vista, cordicelle che si distendevano e si
irrigidivano, cordicelle di elasticità - e il suo sguardo fece anche tremare un
suono nella peluria come se ne avesse fatto contrarre un po’ con il fuoco ma
il suono non era del discorso di lei, perché in alcuni di questi gambi e di
queste colle c’era solo la capacità di discorso; era il suono di un vento
simile ai raggi del Sole in riva al mare, che facevano dondolare granelli di
acqua salata nell’aria e nella sabbia. E vedendo, come non aveva fatto
prima, che nel momento del suo attraversare questa sfera verso l’esterno per
poi - come se lui fosse la mappa - essere attirato indietro da una parte di se
stesso ostacolata dalle lisce cellule collose, che alcune di esse si erano
allargate, trovò poi il suo discorso terrestre, e le stava dicendo che aveva i
capelli secchi, smettila di scuoterli, gli dava il mal di testa; e la risata che
come le costole risaliva a spirale non sul suo lato cieco ma sul suo davanti
aperto si accorse che non era la risata di lei ma la sua. E guardando
nuovamente da vicino le colle o gelatine, vide lampeggiare le cellule.
Come se, attraverso Imp Plus, raggiungendo l’interno dall’esterno, il
Sole fosse divampato giù attraverso la piega. Aveva conosciuto la parola giù
ma adesso pensava di non conoscerla.
Il lampo accese un nuovo flusso. Le fibre dorate si distesero o si
dissolsero, e ancora una volta negli angoli di tutti i suoi occhi pensò di
vedere le cordicelle di elasticità che si distendevano e si irrigidivano ma non
sapeva che cosa fossero. Le cellule collose erano di nuovo un bianco mare
imbottito ma ce n’erano di più, questo era il punto, e più distese in modo
che i gambi vicini si spingevano nella tranquilla gelatina come un dito nella
carne.
Non disse quando ma desiderò di farlo e lo avrebbe fatto. Ma,
sgusciando ancora su per la piega, osservò le masse di gambi e ancor più le
bianche cellule marine talmente più numerose, e adesso vide una cosa
venire prima dell’altra.
I lampi venivano da alcuni ma non da tutti i gambi. Dalle estremità con i
bastoncini o la peluria. E ciascun lampo gonfiava e assottigliava e
disperdeva una cellula collosa, e poi - in modo da far pensare a Imp Plus
che il suo trovarsi all’esterno e all’interno lo avesse colpito con l’impedenza
di una doppia visione, perché allo stesso tempo una cellula collosa inspirava
ed espirava, e lo faceva con uno scoppio che riportò Imp Plus al problema
della Terra e della parola terrestre dolore e con uno scoppio che mandò
ondate di diminuzione a Imp Plus e all’esterno e che fece voltare e
distendere le ombre luminose sulle paratie della capsula in modo che lui
vide nuovamente berte che adesso gridavano e osservavano dall’alto la pelle
di due forme nude, ritte sulla spiaggia - ciò a cui il lampo venuto dal gambo
aveva dato inizio nella cellula collosa vi aprì una fenditura che si era
dispiegata ma dispiegò una divisione.
In modo che la più piccola stanza verde sulla Terra e la stanza verde più
grande furono all’inizio ancor più lontane. Poi furono presenti, ce ne furono
di più. Il che le riempì e le fece diventare delle stanze comunicanti.
«Stai entrando in una nuova vita», aveva detto la Voce Buona indicando
una parete verde con fessure bianche dipinte che si stendevano adesso in
particelle di conchiglie, che Imp Plus non avrebbe potuto conoscere se la
Pallida Eco non avesse saputo di che cosa erano fatte le conchiglie - ma che
Imp Plus non avrebbe potuto aver visto, lo sentiva, come quelle altre nuove
cose che aveva avvertito o visto nelle pieghe o nei tratti senza una cosa che
gli stava accadendo. Gli stava accadendo dove? Negli angoli di tutti i suoi
occhi? le trecce che si distendevano e si irrigidivano?
E per mezzo della colla o del suo dissolversi, le stanze verdi ricordate
diventarono di più. Ricordò di aver udito la Voce Aspra dire: «Non si può
dire quel che il Sole farà lassù, non si può; così non stare a sentire tutto
quello che ti dice il primo venuto». Si ricordò di aver sentito questo, ma
pensò che in un altro posto lontano sulla Terra l’ambulante cieco che
vendeva giornali poteva avere qualcosa; perché diceva a Imp Plus: «Sarei
potuto essere un vegetale ma ho puntato i piedi; il mio fegato va bene; le
entrate e le perdite si sono compensate; a volte penso di vedere delle ombre,
so quel che voglio dire; ma sia quel che sia, è finita, è così che la vedo e
così questo è quanto ho deciso».
La clorofilla verde e l’anabena verde-azzurro non erano state nella
piega, aveva soltanto pensato che ci fossero state. Erano qui fuori. D’altra
parte vedeva le pieghe, quella in cui era entrato, trasportata dall’umore
acqueo di lei e che era stato suo, e quella da cui era uscito. E, in mezzo alle
pieghe, Imp Plus vide dove, come aveva detto o come almeno avrebbe
dovuto dire la Pallida Eco, era stato tagliato ciascuno dei nervi ottici, e
ciascuno dei fori alle estremità del tratto era quel disco fatto di nulla, il
punto cieco. La colla lo attirava a lei. Lui aveva detto di non possedere
alcun punto cieco, e lei aveva riso come la Voce Aspra, e poi non aveva
riso, ma poi gli aveva fatto una cosa su cui non poteva puntare nel suo
ricordo.
Ma adesso non possedeva alcun punto cieco, non c’era dubbio.
Perché non possedeva alcuna orbita che potesse contenere un occhio che
avesse una retina. Nessun punto cieco da monitorare perciò.
Non aveva abbastanza da fare. Era questo? Così Terra gli aveva dato
queste cosette da vedere. Ma alcune non erano qui in orbita. Erano sulla
Terra.
Terra aveva detto: RIPETO AVANTI IMP PLUS AVANTI AVANTI.
La trasmissione tagliò una lunghezza che era sua, vide adesso Imp Plus.
E da un punto di questa lunghezza si levò la Pallida Eco, come un bisogno
di nutrimento: TI RICEVO, TERRA.
CAP COM A IMP PLUS. STAVAMO PER MANDARE UN TECNICO.
Imp Plus poteva sentire la Pallida Eco, come un respiro trattenuto che si
estende, si disperde, ed è assorbito, ma non viene mai rilasciato. La Pallida
Eco diceva: IMP PLUS A TERRA, ATTIVITÀ NEL TRATTO OTTICO. (Ma poi Imp
Plus si accorse di aver occultato le successive parole della Pallida Eco, che
erano Offuscamento del chiasma ottico).
Era quello l’incrocio dove il color oliva pallido delle fibre si era dissolto
nell’assenza di colore; la Pallida Eco aveva accantonato la parola chiasma,
e Imp Plus si era preparato a ricordare il chiasma ottico, dove si incrociano i
nervi dell’occhio.
Aveva cercato di pensare perché, ma quel che vedeva era che la Pallida
Eco era sua mentre era anche fra lui e Terra. Quel che si incrocia si incrocia
da una parte all’altra. Così c’erano dei lati.
IMP PLUS SEI IN ERRORE, stava dicendo Terra alla Pallida Eco, NESSUN
MONITOR NELL’APPARATO OTTICO. FORSE TI RIFERISCI ALLE LETTURE DELLE
ALGHE, O È IL DILATOMETRO, IMP PLUS?
Imp Plus si allungò per vedere le ombre sulle pareti della capsula, che si
muovevano più grandi.
Terra diceva: IMP PLUS VOGLIAMO TORNARE A DOVE ERAVAMO QUANDO
HAI SEGNALATO LE FONTI DI PIACERE NEI LOBI E ALTRE REAZIONI DIFFICILI DA
DISTINGUERE. CHE COSA È SUCCESSO DA ALLORA IMP PLUS? È DA MOLTO CHE
NON TI FAI SENTIRE.
Imp Plus si allungò. Il dolore si allungò, e questo era un decadimento
simile a respiri inspirati e mai espirati. Ma era in grado di stendersi e
allungarsi per vedere le ombre? Le ombre si verificavano nello stesso
momento in cui lui si allungava.
Terra disse insieme dove e quando. La sete prese la ruggine. Il
decadimento si screpolò. Era più e molto di più di una reazione diversa dal
piacere. Imp Plus vide che le ombre si muovevano un po’ più grandi, con
un aumento che era piccolo come ciò che aveva visto scendendo attraverso
le pieghe in cui, Terra lo aveva detto adesso, non si trovava alcun monitor.
IMP PLUS RICEVIAMO DIVERSO DA MA POI NON TI RICEVIAMO. RIPETERE.
Le ombre divennero più grandi ma anche più vicine. Questa crescita
delle ombre non ci fu dopo il suo allungarsi, e neanche prima. Quando c’era
stata?
Terra disse insieme dove e quando. Il loro posto non era insieme. Le
ombre si verificavano nello stesso momento del bruciante dolore che si
estendeva, ma non nello stesso luogo. Le ombre più grandi erano quelle del
dolore più grande. Il dolore non divenne proprio peggiore; divenne più
grande, durò di più. Sia la Voce Aspra che l’ambulante cieco che vendeva
giornali, che aveva i denti vecchi e marci, erano sulla Terra ma non insieme.
Perché Imp Plus non ci aveva pensato? La risposta era che lo aveva fatto;
ma aveva smesso di pensarci.
Quando?
Il dolore non cedette una risposta. L’ambulante vendeva i giornali di
oggi con le notizie di ieri. Il dolore era diverso dal bruciante dolore che si
distendeva e continuava a crepitare. Il cieco diceva: «Sarei potuto essere un
vegetale, un cavolo che marcisce per terra e che vive alle spalle del mio
handicap». Ebbe un ghigno bagnato, come un animale sveglio, e diede poi
un morso a qualche forma di nutrimento che aveva manipolato dietro lo
strato di giornali, e forse non faceva caso ai suoi scarsi denti di colore
bruno, giallo, nero, blu, grigio, verde, crema dura di smalto, perché non li
poteva vedere. Questo era prima, che era un momento molto diverso da
quello in cui la Voce Aspra aveva disegnato sulla parete d’ardesia verde e
incorniciata delle figure che dicevano quel che era successo, quel che
sarebbe successo, ma anche quel che sarebbe potuto succedere, nei letti di
alghe in orbita. Perché anche se non ci sarebbero state ginocchia piegate,
colli affamati o pancreas sudati da monitorare, c’erano ancora la clorofilla e
le altre reazioni; e Forse, diceva la Voce Aspra - tossendo così forte che
spuntò fuori e gemette dentro -forse diventerai verde.
Imp Plus sentì che la terribile estensione si trovava adesso tra i denti
marci del cieco e la Voce Aspra, ma era felice.
Che cos’era che sentiva nel mezzo? L’assenza di quanto, aveva detto la
Voce Aspra, Imp Plus non avrebbe lasciato quando quei meccanici avessero
terminato con lui: milza, fegato, ghiandole, cuore.
Che cosa erano?
Li aveva mai visti, allora o adesso?
Forse mai. Allora però forse mai come mai aveva smesso di monitorarli,
qua o là. Ma non sembrava che fossero mai stati suoi. Non aveva mai visto
gran che delle sue ossa.
Sulla Terra aveva pensato agli steli. Le sue interiora spuntarono fuori,
crepitarono come ossa intrecciate. La vide ridere e doveva vedere il dolore
se ci voleva vedere. Giunse così vicino alla risata da essere assorbito dal suo
viso, che aveva perso; e nell’incrinarsi di nuove piccolissime parti scoprì
quel che era avvenuto fra le due serie di parole, e all’inizio fu un suono
uguale e una parola e la parola era bacio ma poi un intervallo privo di
parole in cui la carne e persino le ossa si incontrarono e si mossero come in
una creazione di parole. L’associazione fu imprevista. Come se lui fosse un
oggetto preso di sorpresa dalla luminosità.
«Non si può dire che cosa farà il Sole lassù», disse la Voce Buona, o
Non-Aspra. «Potrebbe toccare a te».
Ma più avanti e nella stanza verde più piccola sulla Terra, «Non si può
dire che cosa farà il Sole lassù», furono le parole dette dalla Voce Aspra,
«non stare a sentire tutto quello che ti dice il primo venuto». Adesso così,
imprevista, la mala voglia di cui quasi un anno prima del lancio operativo
Imp Plus aveva sentito l’odore nel fumo della Voce Aspra insinuatasi nelle
pieghe delle cavità nasali di Imp Plus, per cui non aspettò che la Voce Aspra
rispondesse con il suo «Dillo ancora» ma era invece esploso: «Sto male» -
la mala voglia proprio per mezzo della quale Imp Plus aveva saputo che il
suo corpo malato stava venendo diviso come in una di quelle figure di gesso
sull’ardesia verde, questa mala voglia sembrò diretta alla stanza accanto e
alla Voce Buona; e come era successo qui in quel momento in cui aveva
detto: «Sto male», Imp Plus si sentì attratto verso un suo limite, non la mala
voglia della Voce Aspra, per mezzo di una mutua torsione.
Sotto il pallido sole della California settentrionale la Voce Buona
avrebbe detto: «Affrontiamo i fatti, lassù c’è un’energia che aspetta di
essere munta e spremuta».
Così Imp Plus si preparò a ricordare quel che la Voce Aspra aveva
spiegato.
Ma attraverso le figure di gesso Imp Plus vide anche cose che si era
preparato a ricordare. Steli affamati con fari arrampicati per curve buie fino
a incroci biforcuti. Il pericolo della separazione. La scorza e la pelliccia
assetata e il volto della luce - toccata, accudita, recisa, divisa per una vita.
Di più. Non conosceva la parola volto.
Una volta quel ricordare aveva preso una svolta negativa. Era così, una
svolta negativa. Si era fermato tutto tranne una frazione di qualcosa. Molte
luci alternandosi con molte oscurità lo avevano diviso in un’incognita senza
peso. Fra vortici di buio e di luce era caduto in un buco ed era divenuto
poco più della Pallida Eco le cui parole e i cui dati noti prestavano una
attenzione indivisa alla frequenza di Terra.
Poi in un buco nell’incognita che era diventato, Imp Plus aveva voluto
ricordare che cosa avesse voluto. Quel buco poteva essere volto. C’era stata
una fase cattiva di buio, e in uno dei cicli di oscurità gli zuccheri
immagazzinati gli erano scivolati davanti. Non aveva dormito quando gli
era stato detto di dormire. C’era una parte che dormiva e lui non lo sapeva?
Aveva alzato le braccia che non aveva, come i pensieri di feriti non
deambulanti, e fece pressione sulla chiara curva della scatola cranica che
non possedeva, finché non si sollevò; il ciclo di luce era tornato, e con esso
la cosa verde che adesso era come un’idea. E con questo anche il cedere e
l’umore e il desiderio delle pieghe, delle vie oculari, della scissione, e della
grande membrana verde.
La bruciante scissione era adesso, allora, un budello di cristallo scosso
con fermezza in tutte le sue parti. Non possedeva alcuna scatola cranica. Lo
sapeva ma non era in grado di pensare a quel che stava facendo. La piega in
cui era appena stato si era aperta mentre lui usciva e adesso non era più una
fessura; sentì di vederla da parecchi punti di vista. Che cos’era parecchi?
Quattro, pensò dapprima.
La Pallida Eco segnalò uno stendersi. Il mare perse qualche ruga e si
tese, e così si potevano vedere gli uccelli in alto e i pesci in profondità. Imp
Plus andò in cerchio ma andò avanti o in alto o in basso e non poté capire se
questo movimento era buono o se era la spirale della sua risata verso la
Pallida Eco assorbita in qualche luogo.
Terra stava dicendo: ERRORE NEL GLUCOSIO, IMP PLUS SEI SOTTO STRESS?
La voce ferma era un genitore.
Imp Plus desiderava che la Pallida Eco non rispondesse.
Imp Plus doveva fare qualcosa.
Imp Plus guardò.
AVANTI IMP PLUS.
Due schegge si erano smarrite entro la sua portata. Ma che cosa era la
sua portata? Imp Plus non le aveva viste venire. Fluttuavano. Poteva vedere
attraverso di esse. Erano entrambe di cristallo e argento. Non conosceva le
schegge.
AVANTI IMP PLUS.
Imp Plus guardò al di là delle strane schegge, cercò la riva, la trovò
sminuzzata granello per granello con umide sfaccettature da un’ascia di
carne. Afflitta grano per grano e sale per sale da ondate di schiuma. Vide
dita nell’acqua ma poi la sua clorofilla che, aveva detto la Voce Aspra, era
solo alga marina. Imp Plus cercò la riva e vide quattro lunghe dita
ammorbidite dall’acqua, vide appendici simili a denti che riconobbe come
le dita dei piedi che sguazzavano nell’acqua vicino a quelle dita che erano
più grandi. E le dita sott’acqua cercarono quelle dei piedi, anch’esse
gonfiate dall’acqua. Ma le dita dei piedi si spostarono al di là delle altre e al
di là di ciò che cresceva dalle dita che erano di lei e che crebbe oltre più in
profondità nella secca del mare. Ma lui non trovò lei ma un plasma assolato,
che sembrava sul punto di dissolversi. Era indivisa, a parte una vaga
macchia di plasma verde e blu, arancione e giallo e oro, meno di quanto i
suoi letti di clorofilla stessero sbattendo le palpebre qui davanti alla sua
vista senza occhi qui in orbita.
Anche i letti avevano il loro luccichio dorato e una figura incastonata
nel luccichio. Non aveva mai visto prima la figura. Il suo dolore fu libero di
rivolgersi da una parte o dall’altra. A una certa distanza dalle due schegge,
un grande guscio chiaro andava inclinato alla deriva vicino alle ombre sulla
paratia come se una volta fosse stato legato. Sapeva che cosa fosse il
guscio. Era un emisfero.
Imp Plus cercò la riva e le dita di lei, e il resto del suo oziare sott’acqua.
Adesso non vedeva il plasma assolato. Vedeva le alghe che respiravano e la
chiara copertura oblunga disposta su di esse, che rifletteva una cosa dorata
che doveva affrontare.
Labbra di creste, pieghe simili a carne che sorvolasse un’ascella.
L’intera curva del suo limite.
Ma poi di più.
Vide questa cosa intera a tutto tondo, ovvero la vide da parecchi lati. E
se non capiva ancora come faceva a vederla da molti lati, sapeva che questa
cosa che aveva per la prima volta visto riflessa nella protezione in plastica
sopra le alghe era quella frazione che era se stesso.
Dietro di lui un movimento fece mormorare un’onda. Era dolore ma non
il cedere. Era un dolore che non bruciava e non spezzava; era un dolore
diverso, estraneo pur se una volta conosciuto. Le dita dei piedi la
massaggiarono sott’acqua in un punto che era molle quanto la sua pelle era
forte. Ai suoi piedi la testa di lei ruotò all’indietro e il volto umido non
parlò, e la bocca allungata, che aveva detto: «Viaggio luce», sembrava tesa
dal suo collo arcuato all’indietro. Fu toccato, e i loro occhi erano uniti da un
legame che era corporeo. L’ondata di questo dolore una volta conosciuto si
placò nell’asse della sua distanza, e il suo mormorio si disperse nelle
ragnatele e nelle bande del calore solare che volava nelle alghe; perché era
il suo cervello che stava vedendo riflesso nella protezione rilucente sopra le
alghe. La cosa alla quale aveva pensato ma che non aveva mai visto.
Ma poi di più. Vide se stesso da parecchi lati; ma di più, si poteva
vedere la sua vista; vide questo vedere; cioè, la sua vista prese solidamente
forma arrivando al suo cervello. Negli angoli apparvero quelle cordicelle
intrecciate che aveva trovato prima, cordicelle di elasticità che si
distendevano e si irrigidivano.
Un’ombra che non era lontana come la parete della capsula. Non
raggiungeva il muro. La vedeva da molti lati, e, quando pensò quanti,
ottenne un maggior cedere tutt’intorno, e cercò di non voler essere altrove.
Lontano avvertì il tremore esplosivo dei neuroblasti. Non sapeva che cosa
stessero facendo. Ma non aveva bisogno di saperlo. Cercò i fili di elasticità
intrecciati. Ricordò il chiasma perché aveva voluto provare a contrastare se
all’ultimo momento lo avessero diviso in modo che i suoi lati fossero
staccati fra loro. Ma guarda - aveva più di due lati, e andava in tutte le
direzioni.
Una vena di cremisi scintillò da quell’ombra che non era un’ombra, poi
andò altrove, e una nuova bruciatura lacerò Imp Plus verso l’esterno.
Cercò invano la spirale delle cordicelle intrecciate, le cordicelle di
elasticità che si separavano e poi si affrettavano a tornare di nuovo insieme.
I dolori del cedere andarono via insieme alle scintille cremisi.
E Imp Plus seppe che quel di più che era tutt’intorno veniva da lui.
Capitolo 5
Tranne le due schegge.
Imp Plus pensava che le due schegge non venissero da lui; ma prima di
questo pensiero la possibilità era esistita.
Le schegge si erano sollevate prima che le vedesse. Erano sospese
presso di lui. Ma non sarebbero potute uscire dai vicini letti di alghe senza
attraversare la plastica oblunga che ne era l’alloggiamento. Se le schegge
erano intese per lui, se ne sarebbe dovuto accorgere. La Voce Buona aveva
detto: «Potrebbe toccare a te».
Imp Plus le vide, ma adesso questo fatto non si sarebbe dovuto vedere.
Non si sarebbe cioè dovuta vedere la sua vista che si muoveva verso di esse
nello stesso modo in cui si muoveva verso quella frazione che era se stesso.
Non assumeva cioè alcuna forma simile alle forme della vista che poteva
veder raggiungere il suo cervello. Laddove tra la sua vista e le schegge non
vi era altro se non l’aria sottile.
E le schegge non somigliavano ai pezzi di quelle altre forme visive. La
sua vista fece ruotare le schegge in modo che emettessero la loro luce
grigio-oro. Con una parvenza di beccheggio e di rollio, trattenute adesso da
diverse distanze, le schegge si inclinarono. Ma non si mossero.
Le schegge erano così immobili che potevano trovarsi al loro posto.
Ne avevano uno da qualche parte. Nulla si sprecava. Eppure qui c’erano
quelle schegge nel bel mezzo della capsula, senza sostegni come una cosa
in orbita.
Imp Plus non rispose a Terra.
Le schegge erano così piccole che da certe angolature il loro splendente
filamento era più di loro stesse. Eppure non erano frazioni, pensò Imp Plus.
Non come l’emisfero inclinato alla deriva in alto presso la paratia, con un
brandello pendente.
Ma le schegge identiche sembravano complete in se stesse. Semplici
spilli. Evidenti aghi. Con delle parallele trasparenti nel senso della
lunghezza all’interno di ciascuna delle complessive trasparenze.
Lunghe in proporzione, le schegge erano piccole di dimensione. Quando
le guardava perdeva di vista ogni altra cosa intorno a sé. Così quando
rimetteva a fuoco ogni altra cosa intorno, oppure rimetteva a fuoco le
schegge per vedere le argentee punte su ciascuna estremità, ricavava un
lungo solleticante dolore, un asse polare che cercava di imperniarsi su di lui.
Terra segnalò delle trasmissioni dalle aree numerate. Ma dato che Imp
Plus aveva desiderato che la Pallida Eco non rispondesse, Imp Plus sentì
che quelle trasmissioni potevano essere gli spasmi che gli esplodevano
dentro quando guardava avanti e indietro fra le schegge e il resto.
Gli spasmi avevano una lunghezza ma non erano lunghi. Questo valeva
anche per le vene cremisi che brillavano come la luce nelle cavità viste per
breve tempo.
Adesso a una estremità di ciascuna scheggia si stavano accumulando
cambiamenti difficili da vedere. Ginocchia di uccelli come gomiti di
cavallette che correvano a milioni si avvolsero in una punta argentea su
ciascuna delle schegge. Giunsero delle ondate.
C’erano altri posti.
Imp Plus era qui.
Comunque, nella luce solare verde e oro dei letti di alghe e della loro
copertura di vetro, trovò l’idea che lui si stava trasformando in
qualcos’altro.
Perché vide questo suo cervello da punti e lati che ne stavano fuori.
Così, per un secondo che estese quel bruciante cedere fino all’altro dolore,
una volta conosciuto, al di là delle ondate brucianti che mormoravano lungo
un asse di distanza, concluse che si trovava in un sogno sulla Terra. Che
aveva fatto in parecchi posti prima dell’inizio dell’Operazione VL. Aveva
sognato di stare guardando quel che era rimasto; e quando aveva cercato di
trattenere il respiro, non possedeva polmoni. Ma questo sogno aveva fatto
del cervello nudo un campione illuminato e senza squame, preso da una
lente fotografica. Mentre quanto aveva qui era differente.
Cadde verso il suo cervello 0 lontano da esso. Questo ne cambiò le
dimensioni. Passò da un raggio all’altro della sua vista, girando intorno al
suo cervello, e così sembrò fosse questo a girare. E soprattutto fu aperto a
un’inondazione di lumen, correnti solari di pepite traccianti, ciascuna delle
quali era così assolutamente precisa da piegare una supplementare e
complementare luce solare lungo il fianco della sua intensità, che era più di
una intensità, e in un modo così illuminante da essere una dimensione che
poteva essere proprio la frequenza.
Terra non chiedeva le differenze; Terra non chiedeva se Imp Plus fosse
sotto stress. Terra richiedeva delle letture, e Imp Plus lasciò che fosse la
Pallida Eco a rispondere. Ma la Pallida Eco non lo fece. E Imp Plus doveva
fornire le letture.
Ma quali differenze? Fra il sogno terrestre e quel che stava qui in orbita.
Le differenze da qualcosa più di un sogno.
Quali erano?
Imp Plus si informò. Un’inondazione di quanti accecanti si diresse nel
cervello, ma restò ferma. Questo fece risplendere nella neve il mare delle
cellule gliali assestando le esplosioni del fuoco neuronico, mentre i corpi
neurali sparavano un pensiero che vedeva ma di cui sapeva solo che era suo.
Imp Plus ricordò la carne alla luce del lampo fotografico. E qui nelle quattro
pance del cervello l’inondazione solare si protese tanto che le pance si
toccarono e gonfiarono la loro luce in un singolo traboccare. Ma al di là dei
ventricoli - erano ventricoli, le pance - Imp Plus trovò in tutta
l’incandescenza anche riccioli di fessure e gli argini sigillati di canali simili
alla luce, disposti sul campo della luce. Li vide mentre adesso vedeva, riga
per riga, oltre la corona e la fontana delle radiazioni ottiche. Ma sotto di
esse, dove Imp Plus non era stato pronto ad andare nel suo precedente
viaggio, pensò di vedere il punto dove l’inondazione solare si serrava in una
ghiandola di fiamma.
Imp Plus era pronto a vedere questo interno contenente il flusso solare.
Da fuori del suo cervello vi guardò dentro, attraverso una carne grigio-
ambra, attraverso abbaglianti ossidi di citoplasma color zafferano,
attraverso guaine di cellule collose color platino acceso, persino sull’orlo di
quella dorata ghiandola di fiamma. Strato su strato sciamarono insieme con
quegli ovali le centrali energetiche delle cellule, ciascuna con la sua scia di
particelle respirate attraverso cateratte enzimatiche di un pallore sanguigno.
Imp Plus poteva fare uso di questi ovali simili a patate al forno, e (si
accorgeva) della parola mitocondri, immagazzinata dalla Pallida Eco e
inutile, adesso sul punto di dissolversi, mentre attraverso di esso sentiva
l’odore di un’aspra mala voglia adesso appena ricordata: o vedeva un
ellissoide aliena che alimentava un fuoco terrestre.
Però non allo stesso tempo, forse. Perché il fuoco terrestre era lontano.
E un ricordo non preparato.
Una frequenza però che continuò a confondere il suo segnale di rovi e
spine finché non si separarono le fibre di un crepitante fuoco da campeggio
e udì il segnale.
O lo vide: perché il fuoco terrestre era di notte e in Messico, a
differenza della corrente solare che fluiva attraverso il cervello, e a
differenza della vena cremisi che scintillando infondeva la vita in code
d’ombra.
O ne sentiva l’odore: perché le forme a patata, che non alimentavano il
fuoco lontano e non ne erano alimentate, avevano avuto lo stesso odore per
anni e anni.
Ma mentre si annerivano in carboni roboanti, esse ricevettero un aiuto:
perché nel mezzo delle lunghe forme a patata - patata? mitocondrio! - vi era
una finestra illuminata a giorno; e un uccellino nero, bianco, grigio e con un
tocco di rosso sul fianco, e con una coda biforcuta lunga il triplo del corpo
superò una linea che si abbassava tra i pali contro l’altopiano del cielo: così
una voce poteva dire delle parole sul sacco che pendeva dalla linea scura:
era un nido intrecciato dal cugino dell’uccello dalla coda biforcuta, ed
entrambi gli uccelli si chiamavano pigliamosche.
Le parole erano ad alta voce. La voce aveva voluto prendersi una pausa
dall’Operazione VL, andandosene dalla California per qualche giorno e per
qualche notte. La voce era sua, e stava parlando. Il finestrino illuminato
della macchina si era mosso, come il cassetto con le sue scatole di
fiammiferi californiani, nel fuoco notturno del campeggio in cui si
arrostivano non una ma due forme a patata.
Perché c’era una seconda voce. Non era giunta dalla California. Non
rideva e non era la stessa che era stata in acqua, ed era asciutta ma non
aspra. Dal finestrino della macchina lei aveva visto il pigliamosche con la
coda biforcuta. E adesso aspettava la sua patata fra le spine e i rovi delle
sierras templadas. E questa voce diceva che andava bene - oh lei aveva
voluto fuggire verso il Sole.
Ma la Terra con il fuoco da campeggio aveva voltato le spalle al Sole. E
la voce con gli occhi chiusi al di là del fuoco se ne sarebbe andata, mentre
l’Operazione VL non lo avrebbe fatto. Così Imp Plus si era proteso sul
terreno e si era spostato intorno al fuoco. La voce, quella di lei, non stava
parlando; cantava: udì templado, non templadas e non tierras.
Imp Plus la raggiunse. Però non era ancora Imp Plus. Con l’inizio
dell’Operazione VL lui non sarebbe più stato quello di prima, e forse era
stato questo il motivo per cui si era spostato intorno al fuoco verso la voce
che cantava a occhi chiusi.
Quando ebbe finito li aprì. Lui le stava toccando i blue jeans e lei aveva
una torcia argentea che splendeva nel fuoco.
Aveva pensato a ciò che sarebbe venuto e si era ricordato di ciò che
sarebbe diventato di lì a quattro settimane. Questo pensiero era stato chiaro
ed era stato toccato dal desiderio; così gli giungeva adesso in orbita. Ma
poteva passare da un raggio all’altro della sua vista, intorno al cervello
radiante. Perché questo era nuovo, questo non era ricordare. O erano i raggi
a essere nuovi. Perché erano la sua vista, e ciascuno di essi era un solido.
Eppure là dove la loro luce era più fioca, ci si vedeva attraverso, e d’altra
parte forse la sua vista non era sicura.
La sua vista, però, era solida. Ma non era solo dei raggi.
Piuttosto ali o colli.
Non sapeva da dove venissero, ma sapeva che erano diretti al cervello.
Sapendo questo vide giungere lì nel cervello un dardo azzurro come
prima le vene cremisi nelle ombre. Questo azzurro era una linea e poi un
raggio. Ma un raggio diventava il luogo geometrico di un ampiezza. Che era
il modo in cui si muoveva lateralmente nel senso della larghezza, come un
aratro. Conosceva la parola luogo.
Sapere e vedere queste cose andava o veniva insieme al lacerante
contorcersi del dolore. Si contorceva rigido ma senza poi sbrogliarsi. Perché
invece nella spirale del suo irrigidimento trovava nuove dimensioni per
mezzo delle quali in seguito implodeva. Ed era tutt’altro che lacerato. Una
spessa e nuova membrana. Indietreggiò per contemplarne la seta nebulosa,
che gli era vicina, lungo la sua vista solida ma insicura, in direzione del
cervello.
Ma non aveva nulla con cui indietreggiare.
Eppure adesso scavalcò la membrana lungo i raggi in direzione del
cervello. Lì vicino vide la linea azzurra che aveva arato o lavato
lateralmente, fra un cavernoso canale e un infinitesimale risucchio che non
capiva perché fosse in grado di vedere. Ma i detriti andarono a fondo, e la
loro vaga traccia si dissolse nell’inondazione solare che stava caricando il
cervello.
Senza pensare Imp Plus passò da un raggio all’altro; avrebbe visto se
riusciva a vedere la traccia azzurra. Ma non stava lì, e in quel campo
d’assenza gli giunse, lungo l’asse della sua distanza, l’altro dolore, una
volta conosciuto, che non era quel bruciare cedere contorcersi.
Ritte accanto al fuoco c’erano delle scarpe di pelle gialla. Avevano
segni che erano una mappa per come ritornare. In California l’asse della
ruota di un calzolaio aveva girato di fronte all’orlo di una suola, ma il
calzolaio non stava rifacendo la suola. In Messico Imp Plus procedeva nella
notte, stava seguendo la voce e la torcia che faceva su e giù davanti a lui. La
voce non cantava e non parlava, il suono che lei fece eruppe improvviso fra
il respirare e il mormorare. Lui aveva messo il piede su spine che non
vedeva. Le scarpe erano giù al fuoco. Gridò: «Ahi». La luce smise di
muoversi e il raggio ruotò, colpendo la macchina che stava altrove a una
certa distanza. La luce superò una cosa pallida lì vicino, e poi la luce venne
da lui. Adesso la donna non stava facendo quel suono. Diceva: «Volevo solo
un po’ di sole». Voleva dirle del VL ma aveva paura che lei non avesse
niente da replicare. Le scarpe di pelle gialla erano vicino al fuoco, vuote,
accanto alle patate che si arrostivano. Voleva una dolcezza mielosa da
leccare, che però era dentro di lui. Aveva sete ma di una cosa che aveva già
dentro. Un desiderio riempiva il posto di un altro; una cosa si stringeva su
di lui come le scarpe. I piedi lo raggiunsero lungo l’asse dell’altro dolore
che non era quel dolore che franava cedendo, e che a malapena faceva
rumore. Ma poi c’erano i suoi piedi alla luce. Le dita colpivano una gola, e
poi procedevano sotto l’acqua californiana fino a una massa con un pomo
simile a un capezzolo, che lui strizzò. Le dita dei piedi, sotto la nube
d’acqua inzuppata nel Sole, erano le sue. Aveva l’acqua agli stinchi e non
era in Messico.
Le dita che strizzavano erano da qualche parte sott’acqua e sotto la
donna che stava prendendo il sole. L’alluce che conosceva aveva una placca
cornea ovale inserita all’estremità. Vicino a esso, un dito più sottile e più
lungo aveva una piccola placca quadrata. Un lungo weekend era quanto lui
e la donna avevano davanti a loro. D’altra parte lei stava viaggiando leggera
e luminosa, stava dicendo, come se sapesse qualcosa dell’Operazione VL. O
era felice che loro due fossero soli. Adesso lei si stava riposando,
galleggiando a faccia in giù nella risacca del mare. Lui le diede un pizzico,
senza stringere. Lei ruotò la testa all’indietro, fuori dell’acqua, e disse:
«Che cosa vuoi».
Fu il volto che ruotò all’indietro. Conosceva la parola volto? Anche la
cosa pallida colpita in Messico dalla torcia meno di quattro settimane prima
era stata un volto. Un altro volto di donna. Pallido e non della California.
Anche se, visto da vicino, bagnato come questo. Anche se non così bagnato.
Lacrimante. Bagnato di pianto.
Ma la donna immersa per metà nel mare Pacifico si fece scorrere
l’acqua sui larghi occhi della sua testa piegata all’indietro. Erano azzurri
mentre i suoi erano castani, li poteva vedere. E il loro bianco era celeste
chiaro.
Quel che vedeva di lei gli giungeva attraverso il capezzolo fissato fuori
della vista fra le due dita dei piedi. Quel che vedeva di lei gli era giunto
lungo una spirale. Era giunto attraverso parti che stava per perdere al
termine del lungo weekend, e di cui cominciava a sentire la mancanza.
Le berte veleggianti e la procellaria tuffatrice dal becco a uncino che
sbatteva le ali ricurve erano andate nell’aria del mare aperto. La donna si
era voltata sulla schiena.
Lui aveva visto turbini di schiuma e aveva visto contorsioni di mala
voglia in nuvole di fumo acre, e aveva tirato un lungo respiro. Così lungo
che inalò un velo di vapore e la sua faccia si gonfiò, e le disse: «Vanità».
Lei rise e l’acqua verde-azzurra le colò in bocca e quello fu il suo colore.
Tossì e si mise a sedere nella risacca e si aggrappò a lui. Il respiro di lei
risvegliò un ginocchio. Sotto la spalla che era fresca, la gentile ghiandola di
lei si rivolse all’esterno premuta contro il gambo del suo stinco.
L’avambraccio di lei bagnò la parte posteriore delle sue ginocchia, e
l’estremità del braccio girò intorno salendo più in alto.
Gli sovvennero queste cose buone. E lei rise un po’ di più, e i molti
squarci nel suo improvviso e torreggiante mal di testa corsero avanti e
indietro, ciascuno per suo conto, trasportando l’aspra mimetizzazione del
fumo - e quando lei si alzò in piedi sollevò l’asse di quella distanza che era
il dolore una volta conosciuto che non era il contorto granchio del cedere-
crollare. Quel che gli giunse dall’aria e dal lontano luccichio della sua
macchina e dalle dure particelle vetrose nella sabbia delle dune, era il corpo
dei capezzoli di lei e poi i pori dal sangue scuro dei suoi capezzoli e di tutto
il suo volto. E prima di rendersene conto aveva seguito la curva del suo
labbro inferiore al di sopra delle grinze e delle screpolature color del mare,
asciutte e tagliate in pasta fine, e oltre la pelle carnosa nel corpo cresciuto
verso l’interno lo splendente grembo della bocca che diceva che il Sole era
caldo.
Quel che era venuto da lui allora, venne adesso su una delle ali o dei
raggi della sua vista. E con esso venne uno stridente crepitio che lo
trasformò in un nuovo vuoto bruciato da un’esplosione, e con esso venne il
dardo azzurro. E di tutto quanto la Pallida Eco andava dicendo: «Ipotalamo
attivo». Il dardo azzurro si trovava stavolta così dentro il cervello che la
linea azzurra stava proprio al di sopra della ghiandola di fiamma davanti
alla quale prima si era fermato. E si trovava così in fondo che poteva essere
stato proprio il dardo a conficcargli dentro lo strappo lacerante del dolore
bruciante. Ma stavolta Imp Plus sapeva che il dolore stava sul prossimo
raggio. Dove si accorse di essere anche lui. Anche se questo prossimo
raggio, o questo collo, della vista si trovava al di sotto di lui, e proveniva da
un altro polo.
Ma questo era ciò che era venuto: nel Sole di quella primavera in riva al
mare, aveva visto la crescita interna nel corpo della sua bocca: aveva visto
gli orli, le punte, i solchi e gli archi di una lingua ricoperta, solo adesso lo
vedeva, con un velluto di coni o capezzoli piccoli come cellule recettrici
della luce, ciascuna delle quali ammiccava per conto suo: e qui stava il
punto, il punto che non era stato doloroso se non con il mormorio della
distanza ma che adesso insieme all’altro dolore lo schiacciava e lo torceva
in un istante: il punto era che lui aveva guardato nella bocca per trovare
quel vuoto con una forma che era il corpo interno e aveva saputo di non
temere l’ignota perdita, sconvolgente per il cervello, che avrebbe avuto
luogo su un tavolo operatorio la settimana seguente: e invece aveva avuto
un nuovo desiderio. C’erano parole che non si era preparato a ricordare nel
punto del desiderio di cui adesso si accorgeva.
Quel pomeriggio in riva al mare sulla Terra però lo spazio del desiderio
era stato, si accorgeva adesso, sconosciuto ai suoi occhi come il letto della
lingua fatto di capezzoli vellutati. La differenza (e di nuovo venne il dolore,
alle spalle del dardo azzurro) era che qui adesso in orbita il desiderio era
una cosa non perduta. Non era la striscia pallida che attraversava í pori della
schiena di lei e il solco della sua spina dorsale, e non era il sottile fumo del
sudore reidratato dell’ascella su cui giù per il suo corpo aveva strofinato i
peli del polpaccio, mentre lei era seduta in mare, e che era poi salito verso
di lui lungo quell’asse di distanza. No. Quel che comprendeva ora in orbita
era che l’oggetto del desiderio era stato ignoto. E dove gli giungeva la sua
attuale microvista, una divisione dopo l’altra, questo desiderio ignoto che
stava al posto della paura suddivideva la sua lunga lacuna nelle ondate del
dolore non bruciante che anche allora come sempre aveva mormorato un
asse di distanza.
E mentre il cervello veniva da lui e poi tornava indietro, e veniva grande
e tornava indietro diminuito, da parecchi - quanti? – raggi, parecchie ali,
parecchi colli, parecchie rotte come se non avesse alcun punto di
riferimento - o, da quel punto di vista, come se pensasse a lui - ottenne il
prodotto di questa divisione multipla.
Il prodotto era l’altro dolore del cedere.
Ma questo prodotto cambiò mentre lo otteneva.
Perché la scarica azzurra mostrò subito e più di una volta il suo dardo
non solo nel punto che la Pallida Eco poteva aver chiamato ipotalamo al di
sopra della fiamma ripiegata, serrata adesso in modo ancor più rigido.
Stavolta la scarica della linea o della freccia continuò più a lungo o con più
forza, contro l’inondazione solare.
Ma non fu questo il cambiamento. Il cambiamento era che nello
spuntare, nel cedere, nella rottura simile a una tensione, in cui i cuscinetti
del sangue si lanciavano nei cordoni che si contorcevano sempre più sottili
in istanti simili a quanti, non c’era dolore.
Anche se il dolore c’era. Ma trattenuto all’interno di quel che sapeva: e
quel che sapeva era che quel cedere esplosivo era un quoziente ottenuto
dividendo il vecchio dolore della distanza, che non bruciava, per il desiderio
dall’oggetto ignoto.
La macchina sul bordo della spiaggia era la stessa che era andata dalla
California in Messico e ritorno. Non era nuova ma era diventata una
quantità incognita. Questo l’aveva fatto ridere, mentre la donna era in piedi
dietro di lui, con una spirale che gli era salita per la spina dorsale. «Vieni a
nuotare, - disse, e poi: - hai gli occhi iniettati di sangue». Era sul punto di
lasciarsi la macchina alle spalle, ma non ancora. Dovevano arrivare dalla
spiaggia agli altri luoghi dove stavano andando. Ma alla fine del lungo
weekend, quando sarebbe dovuta avvenire l’operazione, lui sarebbe stato
felice di lasciarsi la macchina alle spalle. Ma non era di questo che lei
rideva. Ma se le sue parole Viaggio luce volevano dire che lei sapeva del
progetto, allora lei poteva sapere che si stava lasciando la macchina alle
spalle. Ma non sarebbe stato di questo che lei avrebbe riso. La conosceva.
Ma che cosa conosceva? La macchina non era nuova ma i raggi erano
nuovi. Non avevano placche cornee come le dita dei piedi. Il raggio della
membrana nebulosa si era mosso, ma anche un altro lo aveva fatto, ma lui
non poteva dire se quest’altro si fosse mosso in basso o in alto o in fuori.
Doveva cambiare il suo modo di pensare.
Questo pensiero ridiede vigore al dolore del bruciore lacerante, allo
strappo del cedere e del crollare. Ma così velocemente da non fargli
localizzare la freccia azzurra. La ghiandola di fiamma in cui non si era
avventurato si era ripiegata in modo ancor più rigido e sottile.
Ma lui ricordava il lancio. E ricordava che adesso era senza peso.
Sentiva però un peso che non aveva conosciuto.
Forse era il radar dell’ambulante cieco che vendeva giornali. L’uomo
aveva detto: «Ho fatto presa, e adesso ho un vero radar».
Imp Plus aveva detto di sentire il radar.
Il cieco disse: «Vedo più di quanto pensi».
Imp Plus gli aveva chiesto cosa fosse il di più che vedeva con il suo
radar. Imp Plus aveva sentito l’intero peso del lancio e gli era sfuggita la
presa su un punto d’appoggio per fare il nome della cui presenza sapeva di
non avere allora avuto bisogno del radar.
Aveva udito un cupo sprazzo di rumore metallico nell’imbuto davanti a
una pila di giornali. L’imbuto era di latta, e quel che entrava nella latta era
d’argento, una sua moneta, ma che lui non aveva lasciato cadere. «Quanto
mi dai?», disse il cieco. «Ce l’ha messo qualcun altro, giusto?»
«Giusto!» disse un’altra voce.
C’era stato più di Imp Plus lì dal giornalaio. C’era stato quell’altro che il
cieco aveva visto. Visto? Non dalle orbite dei suoi occhi freddi coperti da
bende larghe. Imp Plus non conosceva la parola giusto. Ma conosceva
quella voce alta. Ma poi un’altra voce aveva detto parole diverse e difficili
da conoscere, e tiempo era la parola colta e ricordata da Imp Plus. Questa
nuova voce era più bassa di quella che aveva gridato: «Giusto», e
l’ambulante cieco stava dicendo: «Hai con te il tuo bambino». E aveva
schioccato le labbra.
E Imp Plus vide non la voce più bassa che aveva detto tiempo e che
avanzava coperta da una pelliccia, ma la persona intorno al fuoco messicano
e alle patate arrostite. Perché questa non era la California.
Lei veniva sul marciapiede, perché questo non era il Messico. Anche se
il Messico aveva i marciapiedi benché non intorno ai fuochi di campeggio
sull’altopiano. Faceva freddo dal giornalaio. Mentre la persona avanzava,
andò verso di lei una persona più piccola che era lontana da Imp Plus e che
era come un sollevarsi dal fondo fino alla cima del suo campo d’azione.
L’ambulante cieco aveva detto qualcosa in messicano alla voce che era
passata e adesso un’altra voce che era sempre il giornalaio cieco disse:
«Come ti chiami? Ti piace il chewing-gum?».
E adesso Imp Plus scivolò in modo da allontanarsi e poi avvicinarsi alla
piccola e poi grande corona, alla testa, alla parrucca, al veicolo del suo
cervello, non sproporzionato ma adesso alleggerito in maniera meno
pesante. Si protese e brancolò intorno al cervello dal raggio al collo allo
stabilizzatore, simile a un braccio, di quel che doveva essere la sua solida
vista che vedeva fessure, sguardi obliqui, crateri e ampie e pulsanti pianure
potenziali in quelle che erano o erano state delle fessure. Ma non poté
liberarsi del gelido asse di questa distanza-dolore finché non gli giunsero le
parole. Parole dette una volta all’ambulante cieco: «Non è qui, è corsa a
vedere sua madre».
Perché prima di vederla salire da un orlo in basso fino alla cima di un
suo campo d’azione, sì, Imp Plus aveva tenuto la mano della bambina, della
sua bambina. E mentre non era ancora Imp Plus, aveva pensato di esserlo.
Perché era ben presto tornato in California vedendo che i gusci frantumati e
rifatti sotto forma di tubi, barre, perni di gesso disegnavano angoli
irraggiantisi come una torcia uscita dalla curva di un anello piatto.
Irraggiantisi da un centro sulla lavagna verde della Voce Aspra. Ma l’anello
piatto aveva due centri. E la seconda aveva il gelo dello spazio e la Voce
Aspra lo chiamava vuoto. Ma dal primo centro tratteggiò quei segmenti ad
angolo che diventarono sempre più ampi e come il raggio di un riflettore
colpirono il profilo dell’anello piatto - ellisse, conosceva l’ellisse - e quel
primo centro era il Sole, e la Voce Aspra stava mostrando a Imp Plus gli
archi dell’orbita terrestre intorno al Sole.
E adesso, quasi ci vedesse da tutti e quattro i raggi della sua solida vista
- perché scoprì che parecchi erano quattro - Imp Plus scoprì che ci vedeva
come i raggi di quei segmenti bianchi tracciati ad angolo sull’ardesia verde
dal nido in movimento della Mano Aspra. Ci vedeva cioè con un’equa
estensione dal tetto di quel cervello che aveva per metà smesso di
considerare suo, giù fino alle membrane che accompagnavano il solido
braccio della sua vista qui vicino e verso di lui e fin proprio al margine di
qualunque posto fosse da cui guardava, sui quattro bracci variamente
orientati, ma allora era in grado di vederci in certi luoghi, perché la sua vista
era insicura. E ricordò di aver sognato il modo per attraversare tutte le
forme e i dati che stavano su quell’ardesia, perché era una mappa per
ritornare. D’altra parte si vedeva invece indietreggiare davanti alla sua
bambina, e ancora la sua bambina che correva per incontrare la madre: per
immaginare quale speranza avesse lasciato, dovette immaginare a partire
dal centro vuoto di questa ellisse: dovette cioè guardare dal centro
inutilizzato dalla Voce Aspra.
Finché la Voce Aspra non disse in un altro momento della forza
sconosciuta della luce solare, delle virtù del progetto nonostante la sua
strana appendice ma anche grazie a essa, dicendo anche del futuro e delle
sue virtù, mentre portava Imp Plus, che non era ancora Imp Plus, fuori dalla
grande stanza verde pallido sulla Terra, ma non verso la più piccola stanza
verde ma verso un luogo in cui doveva allungarsi.
Che era quel che Imp Plus - con uccelli, due donne, patate, piedi e
bambino dietro di sé - stava facendo adesso. Allungandosi.
Altrimenti non avrebbe potuto vedere dove si fosse allargata una fessura
in modo da mostrare uno spillo d’argento simile ai punti sulle due schegge
galleggianti, e non sarebbe potuto entrare un’altra volta in quello che
pensava fosse il suo cervello. Cercando la vena cremisi non trovò il cremisi
né le ombre. Trovò quel che aveva allora pensato avesse creato le ombre.
Ricordò la cresta o la fessura a metà pensata, a metà sperata. La Pallida Eco
chiedeva ancora di essere derisa. Segnalava un incremento del cinquanta
per cento nell’attività in modo uniforme per tutto Imp Plus, il che poteva
comprendere un’oscillazione fra l’ipotalamo e aree sconosciute. La Pallida
Eco segnalò un abbassamento nella temperatura della capsula.
Terra replicò: LO ABBIAMO RICEVUTO, IMP PLUS.
Imp Plus si mosse.
Ruotò intorno ai quattro colli della sua vista in gran parte solida: e dato
che allo stesso tempo lui apriva e chiudeva in modo costante, su e giù, la
sua angolazione visuale in direzione del cervello, descrisse una spirale. Non
la spirale della risata della donna dagli occhi azzurri che gli saliva per la
spina dorsale e lo faceva voltare dal motore della sua macchina; no, non
quella spirale ma la sua spirale oscillante. Fu, all’inizio, tutto finito. E un
campo più uniforme di quel dolce umore del sangue di lei e dello zucchero
che una volta ricopriva le sue vette e le sue fenditure. Ma quel che fece
adesso la spirale - anche se non con quello spasmo polare della
rifocalizzazione, come un cazzotto sul gomito - fu di ruotare su una cresta
frontale che, lo aveva a metà pensato a metà sperato, poteva diventare
invece un cratere o una ricca pianura; e con il circuito ristretto ma così con
la sua maggiore forza, la spirale dunque colpì ed estese quella cresta
frontale, l’aprì molto di più.
Spuntò un lampo come un pensiero separato da lui.
Era una scheggia argentea. Come le schegge che pendevano nella luce
che si abbassava vicino alle alghe. Ondate dalle ali a uncino vi ripiegarono
la distanza. (La luce si stava abbassando ovunque).
La scheggia spuntata fuori da Imp Plus fluttuò in avanti. Si mosse
inclinata.
Una figura che risplendeva nei cieli a un certo angolo.
Un fiero filamento lanciato da Imp Plus; il suo movimento era un lungo
lungo respiro.
Era perché si muoveva che continuava a muoversi?
«Vanità», diceva la donna nell’acqua. Lì distesa, non aveva visto tutto
quel che aveva visto lui. Ma mentre lei non conosceva la sua rabbia contro
l’Aspra mala voglia più di quanto essa lo avesse attratto mediante una
mutua torsione, aveva visto il lungo respiro profondo che lo gonfiava. Entrò
attraverso il suo volto. (Conosceva la parola volto). Lei aveva detto:
«Vanità» quando lui aveva tirato il suo lungo respiro; ma lui aveva anche
sentito stendersi il suo volto e crescere la sua carne. (Vanità?) La crescita
era la bocca. Si era convinto a sorridere - perché provava di nuovo dolore.
(Dove stava andando il tempo?) Le particelle pomeridiane della sabbia delle
dune luccicarono più vicine.
Si mosse una sfaccettatura vetrosa a cento metri dalla macchina. Erano
gli occhiali scuri di qualcuno. Imp Plus non voleva che la donna sapesse.
(La voleva così com’era). La figura di lei si piegò e si tese nella sua ombra.
Si sedette. Il suo seno premette contro il gambo dei suoi stinchi. La sua
bocca si avvicinò. (Il tempo passava). La luce del sole gli attraversò i
capelli che cominciavano appena a ingrigire: lui non fece nulla tranne
rimanere inerte; ma non invano, perché nel lento salire di lei sull’asse della
distanza anch’egli era in movimento.
Lui disse: «Stamattina» - ma voleva la quiete fra lei e lui, e così fermò
le sue parole: anche se avevano già lanciato il suo pensiero: quella mattina
rimase sospeso tra il sorriso della Voce Buona e il sorriso della Voce Aspra.
Imp Plus pensava a metà: ovvero: pensava a metà fra queste due: così
pensava come una benda sugli occhi, pensava come un vuoto che non
esisteva più di tanto, un vuoto d’attenzione: voleva del tempo per questo
weekend ma mimetizzò il suo desiderio (lo era) come una volontà di sapere:
di sapere tutto quel che potevano dire nelle stanze verde pallido: sul giorno
e la notte, sui livelli di glucosio, il circuito di concentrazione, gli elettrodi
del monitoraggio («Ma questo tocca a te», sorrise radiosa la Voce Buona),
lo stress da gravità durante il lancio, gli anelli giroscopici nel sistema di
guida inerziale: «Ah, l’inerzia», disse quel grande ghigno Buono (che
sapeva molte cose che Imp Plus non sapeva); ma la Voce Aspra disse:
«L’inerzia è soltanto autoconservazione». (Il suo sorriso fu breve). Per la
prima volta da molto tempo Imp Plus stamattina non si era sentito male.
Voleva andarsene dalle stanze verdi e da tutti quegli occhi pieni di
meraviglia. Però dopo in spiaggia non gli interessò se gli occhi negli
occhiali scuri vedessero.
Se la vanità era inerzia, allora l’inerzia poteva essere vanità. Se l’inerzia
era autoconservazione, l’autoconservazione poteva essere vanità.
«Vanità!», lei gli disse in bocca.
Ma se non importava che gli occhiali scuri vedessero, non importava se
era lui a vederli.
La scheggia di Imp Plus che si stava avvicinando rallentò e restò
sospesa. Non continuò a muoversi come la luce in diminuzione.
Ma nel fermarsi creò una lunga ombra sulla membrana lattea sotto di
essa. Imp Plus vedeva adesso la lunghezza vera, o più lunga, della scheggia
non dalla posizione dell’ombra al di sopra della quale la scheggia, quasi
verticale come l’ombra, era poco più lunga di un punto; no, Imp Plus vide la
lunghezza reale, o più lunga, da un altro luogo come se gli angoli degli
occhi in cui spesso vedeva le trecce di elasticità che si distendevano e si
irrigidivano gli restituissero lo sguardo.
Che cosa avrebbe fatto?
Questa era una domanda, ma era quella giusta?
Una cosa poteva fare, si accorse, avendola fatta. Era udire le
trasmissioni di Terra come un silenzio. Però il quando e il come non erano
sicuri.
Terra chiese il significato di Stamattina, ma Imp Plus scrutò invece la
nuova scheggia.
Vide la lunghezza più lunga della scheggia con un raggio del cervello
che si trovava dietro di essa. Però vide subito un’altra lunghezza ancora più
lunga dall’altezza di un nuovo angolo in modo che la sua vista aveva come
sfondo un arco della paratia della capsula e la fresca estremità in ombra di
uno dei raggi sul quale adesso non apparivano qua e là le vene cremisi. Ma
questo non bastava. Un desiderio, una volta parte di lui, che adesso agiva da
solo in sua vece, gli portò un’altra visione, piccola e tutt’altro che tesa e più
piccola di quanto in realtà fosse perché la visione era mozzata da un raggio
di lunghezza oscura a causa dell’angolazione della visione che sembrava
trovarsi dal lato lontano e inferiore del cervello. D’altra parte adesso questa
serie di quattro visioni si trasformò in una, con il dolore dello spuntare che
adesso non era acuto, anche se era più doloroso, come quell’altro dolore
della distanza che forse non faceva male. E con il dolore venne un bagliore.
Era un impulso ed era una nuova luminosità nebulosa e dunque meno
chiara, però era una nuova dimensione che non era più grande e non era più
piccola. Era l’intera scheggia, la cosa a tutto tondo e adesso nebulosamente
lattea, adesso dalla chiarezza cristallina, ma intera come un ricordo su cui
non poteva toccare con mano. Conosceva la parola ricordo, ma vide che
non era identica a ricordare.
Ma la nuova intera scheggia non era adesso una delle quattro co-viste.
Ma ne era la somma. Il prodotto.
La casa. L’immagine.
Un dolore peggiore del cedere-crollare lo infilzò su un cilindro che non
vedeva. Cilindro e dolore formavano un asse sottile come una lama che
essendo un luogo matematico era anche la curva della parete del cilindro.
Un dolore così forte. Un dolore che era come la scissione della velocità
della luce dove lui era leggero come la luce, e che era silenzioso - che cosa?
- e così forte da sembrare definitivo: ma non lo era. E quando tremando
ritornò sull’asse della sua distanza, lui ricordò un’ombra di quel che aveva
ricordato nell’interminabile punta di quel dolore: era una luce che si
chiamava luce coerente arginata, divisa, ricreata, in una stanza buia che non
era lontana dall’edicola come la California e poi il Messico. E lui come era
stato allora era stato il responsabile. Non la Voce Buona con il suo progetto.
O la Voce Aspra con il suo gesso. Non la donna bruna con l’anello d’oro
che gli aveva portato una lunga scheggia nel braccio quando aveva il
dolore. Il dolore era venuto così presto dopo la giornata sulla spiaggia delle
berte che lui non riusciva a capire come facesse il suo corpo la cui malattia
aveva dato inizio all’Operazione VL a cambiare così velocemente.
Che cosa poteva fare?
Udire parole da Terra: STAMATTINA CHE COSA IMP PLUS, TU HAI DETTO
STAMATTINA. STAMATTINA CHE COSA? AVANTI IMP PLUS.
Lui (che era quel tu) era di nuovo tutto preso dal cedere di quel disteso
bruciore e gli sovvenne un’idea che non era verde, che dai bracci-raggi fino
al cervello la sua solida vista avesse trovato più di quanto stesse trovando
partendo da qui nel cervello verso l’esterno. Qui guardava da punti di vista
e angoli di rischio. Una fortificazione così viva che non sapevi dove ti
saresti poi arrischiato a guardare fuori. I solidi-raggi dell’inutile vista
avevano uno spessore dai meravigliosi colori. Si stavano allontanando da
lui, pensò. Spine dorsali della membrana, spine che si ingrossavano. Prima
in una e poi in un’altra sentì di vedere uno scostamento. Come se all’interno
una cosa. Ne avesse spinta un’altra. Ma poi venne di più. O pensò di
riuscire a vederlo, e pensò di potervi essere dentro in modo più chiaro di
quanto avrebbe potuto guardando l’esterno a partire dal cervello e dai
cambiamenti nella sua configurazione.
Terra fece un’altra domanda. Non se lo ricordava?
Si fece sentire un’onda simile a un collare che lo attraversasse, e lo
lasciò diminuito. E una voce che era la Pallida Eco disse: «Meraviglioso,
meraviglioso. Ripetere». Ma l’onda era un pensiero. Un pensiero che tutto
gli sarebbe stato portato via. Una sensazione sarebbe stata sottratta dalla sua
carne, come in precedenza la carne dal senso del tatto. Una mano presa
dalla sua mano, una canzone messicana ritratta dal suo orecchio. Una lingua
con i capezzoli simili a salmoni sottratta dalla biforcazione delle sue gambe.
Terra chiese se Imp Plus si sentisse OK.
Terra aggiunse: FRANCAMENTE IMP PLUS NON RICEVIAMO NULLA DA CERTE
AREE. STAI INTEGRANDO GLI INPUT SENSORI?
Delle increspature verde pallido si sollevarono nel mezzo di un braccio.
Si chiese se la Pallida Eco stesse cercando di parlare.
Ma l’increspatura non era proprio un movimento. Piuttosto un
gradiente. Un gradiente ossuto che era al di sopra di qualcosa ma che era
anche qualcosa.
E si accompagnava altrove sul raggio esterno con un’altra forma
gradiente altrettanto viva ma stavolta di colore rosso scuro. Che si allungava
come una bocca sul punto di aprirsi.
Fra queste due aree la membrana lattea era più spessa e levigata.
Il blu scuro e il marrone chiaro erano sul raggio o ala adiacente. (O era
solo un ricordo?) E su di esso era la lunga punta, o il breve piolo,
dell’ombra gettata attraverso lo spazio vuoto della capsula dalla scheggia
spuntata da Imp Plus e adesso più inclinata.
Piolo. Non conosceva la parola piolo. Ma con l’ombra che gettava, era
un’idea. Però non come la cosa verde, le alghe.
L’idea però, come la cosa verde, di qualcun altro. Ma piolo o no, Imp
Plus aveva sentito in precedenza quell’ombra attraverso il suo vedere: e
adesso sapeva di avere già saputo che era con le membrane che ci vedeva.
Anche se non erano occhi.
Talvolta ci vedeva fino in fondo, talvolta no.
Se il giornalaio ambulante teneva la bocca chiusa perché ci vedeva con i
denti, forse i denti colorati, decolorati, diradati e anche assenti andavano e
venivano e ritornavano.
Al di là del territorio delle increspature il tessuto della membrana
cominciò a dissolversi.
I bracci non erano del tutto membranosi. Il loro denso splendore era
duro come un rivestimento metallico.
Uno dei raggi sembrava allontanarsi da lui, non ne era sicuro. Che cosa
poteva fare? Però adesso il territorio centrale fra le increspature verdi e
quelle rosso scuro era più grande.
Sotto i livelli e le laminazioni delle membrane sentì di essere sul punto
di vedere, e riusciva a sentirlo sin nei poli vegetativo e animale della
cellula, con abbastanza fortuna da essere parte di ciò di cui la membrana
stava diventando parte.
Vegetativo non era il vegetale dell’ambulante. Imp Plus non conosceva
la parola animale, la ricordava soltanto. Che cosa poteva fare?
«Ricordati di sopravvivere, naturalmente». Era questo che la Voce
Aspra aveva detto nel gesso della lavagna verde, dentro una stanza verde
pallido, come se non volesse che le parole arrivassero a Imp Plus. Ma
ricordare che cosa?
La donna della spiaggia californiana era tutta carne. Stava ritta contro di
lui, dimentico del suo corpo malato. Dimentico della spina messicana che
gli aveva tagliato il piede (vicino al fiore dalle foglie argentee che spuntava
sotto la torcia) - e delle dita che si allontanavano dalla sua mano
nell’edicola d’inverno in cui l’ambulante incappucciato con i denti marci e
la bocca sempre aperta in una mezza risata aveva una benda così larga che
si riusciva a vedere in un’orbita una borsa rosso chiaro simile a un buco nel
corpo. Tutto veniva ricomposto, in una rada schiera, da una forza. Era lì e
toccava Imp Plus che riusciva a sentirla ma non a raggiungerla.
Era come un’idea, altre idee oltre all’elasticità: come l’elasticità che
formava le cordicelle intrecciate - le cordicelle che si distendevano e si
irrigidivano negli angoli di tutti gli occhi, distendendosi e (pensò adesso con
la completa chiusura del suo sguardo di prima) sbrogliandosi prima di
irrigidirsi di nuovo. Tempo fa il letto di clorofilla gli era sembrato un’idea.
Ma poi cercò di fermarsi, perché non conosceva la parola idea. L’aveva
ricordata, ma non la conosceva. Conosceva la clorofilla verde, sapeva che
gli dava parte della sua aria. Non bastava? E adesso sapeva anche che i
raggi avevano membrane con la vista. Ma si ostinò a sentire che
l’estensione e i poli e le possibilità aperte di questa vista erano più della
vista e più di quel che erano sembrate.
Qui nell’orbita terrestre si protese in tutti gli assi delle sue spine dorsali
verso questa forza che lo aveva fatto suo ma che non aveva imparato a
toccare. La forza si disperdeva nelle parti periferiche. Era come un’idea, se
solo Imp Plus conoscesse idea. Era l’idea della sua vista. O la forza del
luogo in cui cresceva la vista. O la possibilità del luogo che la forza era
incline a trovare. Si protese sull’unico asse della distanza. Ma poi non vi
riuscì. Perché aveva visto come aveva fatto a scivolare verso un segreto che
si sarebbe rivelato, un calcio segreto che si sarebbe dato ricordandosi
dell’umido tocco della donna tutt’intorno a lui sul corpo che aveva una
volta avuto ma che adesso non aveva. Questo segreto proteso aveva visto,
se stesso con il cervello e i bracci che si fondevano in una mutua
inclinazione della vista, o in un cambiamento di possibilità: cosi il primo
protendersi venne rimosso dal secondo protendersi: questo secondo
protendersi non era un’inclinazione assiale ma un estensione da uno dei
parecchi centri possibili, e un’estensione del doloroso cedere che gli aveva
fatto rispondere alla risata e gli aveva fatto scostare i quattro bracci o colli
esterni fissati per mezzo delle membrane e della loro crescita e per mezzo di
quell’offerta sottintesa, orientandosi attraverso quel plasma. Prima,
dall’esterno, il suo cervello era stato, si accorgeva adesso, piccolo o enorme
solo perché allora il movimento nella sua membrana visiva lo rendeva così.
E quel che aveva pensato fosse il solido della vista proiettato sul luminoso
vaso del cervello era in realtà un solido che a sua volta possedeva la vista. E
lo sguardo sfuggente della materia cerebrale, come se lui si fosse proteso
intorno al cervello, era un cambiamento reale nell’aspetto del cervello.
Ma che cosa poteva fare? E la luce? Era diminuita. Si insinuava ancora
in ogni parte come il fumo nella cavità nasale. Ma la luce era diminuita.
Non lo sapeva. Ma sentì svolgersi l’orlo di una piega che poteva aver
visto solo se si fosse proteso sulla membrana di un braccio esterno. E
desiderò di non averlo fatto. Perché l’inondazione ancora calda della calante
luce solare gli diede la sensazione che non fosse solo il movimento del Sole
ma anche il suo. La sensazione di molte bocche che si aprivano che non
c’erano state prima.
Imp Plus aveva riso nella bocca sorridente che aveva detto: «Vanità».
Perché aveva visto attraverso il luccicante spioncino della duna: era un
monito ombra, una persona del Progetto: così forse non gli avevano
impiantato un monitor nella macchina, per poi spegnerlo alla fine della
strada delle dune.
Ma era così! Le sue schegge erano elettrodi! Li aveva conosciuti tempo
fa. Anche se non dove sarebbero stati impiantati. Per un attimo i bracci o
colli sembrarono sapere.
Sapere che cosa?
Terra disse che Imp Plus avrebbe dovuto cominciare a pensare a
concedersi un pisolino, ma per favore aveva voglia Imp Plus di fornire le
ultime letture del glucosio? E Imp Plus si chiedeva perché mai Terra avesse
detto questo quando Terra non aveva mai avuto bisogno di Imp Plus per
questi dati.
O non ne aveva avuto bisogno finora, con gli elettrodi che spuntavano
fuori.
La scheggia che in California la donna bruna gli aveva avvicinato al
braccio era stata grande e non piccola come le schegge di qui. Non era un
elettrodo. Anche se aveva un ago a una estremità.
Ora i bracci, o ali, o colli, o raggi, pulsavano con una vampa lattea,
rendendo omaggio al tardo ciclo della luce.
Imp Plus sapeva che il di più che era tutt’intorno e che veniva da lui gli
stava crescendo dal cervello.
Capitolo 6
Non veniva verso di lui. Veniva da lui. Non riusciva a smettere di sapere
che gli sarebbe stato portato via.
Se tutto doveva andar via da lui forse se ne sarebbe andato dopo l’arrivo
del buio. Attraverso la luce calante non operò alcun cambiamento nei raggi
della membrana. Tranne quel che cominciava a essere una curvatura in uno
di essi.
Vide che adesso la sua vista passava con la stessa frequenza da una
nebbia diffusa alla chiarezza e viceversa. E vide che, mentre era in grado di
trasmettere il pensiero della sua vista ai bracci esterni, non lo faceva.
Perché non voleva. E il desiderio aveva sorpassato il ricordo del perché
non avesse voluto.
Questo pensiero si trasformò nel cedere e lo bruciò dall’interno. Non
una membrana esterna ma vicina al centro, anche se con la stessa
sensazione che fosse indipendente da lui.
Aveva voluto rimanere posizionato centralmente e non essere disperso
in quelle sue estensioni che erano gli ignoti luoghi dei raggi. Questo
pensiero aveva di nuovo lanciato il dolore crescente. Anche se ora lacerava
verso l’esterno una parte interna che, si accorgeva adesso, era curiosa.
Così doveva vederlo. Come aveva visto trasformarsi colloblasti gliali in
elementi spugnosi indipendenti che si rompevano ed erano più di prima dei
colloblasti. Ugualmente le fibre si erano messe a pulsare lateralmente nei
vecchi apparati ottici alla cui estremità le fibre erano state bloccate dal
vuoto in cui erano state amputate.
Invece pulsavano lateralmente: nel lobo temporale, pensò.
Dove Terra aveva tirato calci, diceva.
Che Imp Plus, diceva Terra, aveva restituito nelle aree prefrontali 9 e
12. Presi in un posto, restituiti in un altro.
Dato che la luce era diminuita, non doveva vederci tanto. Così forse
pensava di più.
Che cosa era stato a fermarlo? Era diventato la sua stessa vista? Sì, se
poteva acconsentire a essere disperso. Poteva scorrere libero fra i raggi per
sempre. O ricevere gli impulsi da Terra come le tre schegge gettate via
ricevevano da Terra onde di impulsi simili a gomiti di cavallette venute
sulla frequenza come un’assenza di ostacoli.
La donna bruna che gli aveva messo la scheggia grande nel braccio era
venuta prima a sentirgli il polso. Quello che aveva era il dolore martellante,
ma lei gli aveva sentito il polso e se n’era andata.
Ciò che gli aveva riportato non era il polso, era la scheggia, quella
grande che gli entrò nella curva del braccio.
Ma dov’era il suo polso? Lo aveva chiesto alla donna bruna. Se la
ricordava, e ricordava la parola infermiera.
E adesso in orbita le fibre ottiche intrecciate si erano ridirezionate
pulsando lateralmente attraverso la parete del tratto, facendo la mappa
codificata di dove stavano andando, mentre andavano. Imp Plus si chiese se
questa era la Terra che gli restituiva il polso. E c’era la sua vista, esterna al
cervello. Si spostava fra una nebbia sottile e la singola chiarezza dei
contorni disegnati su una lavagna che era verde. Ma il punto era che si
spostava pulsando. La pulsazione proveniva da un luogo.
Imp Plus cercò le onde che si piegavano nelle schegge. Ma vide soltanto
le schegge. Imp Plus pensò di rispondere a Terra ma non aprì il suo Circuito
di Concentrazione al livello concordato, e disse soltanto: BUONO IL
GLUCOSIO, BELLO IL GLUCOSIO.
Imp Plus si chiese se sapeva ancora attivare il livello di quel Circuito di
Concentrazione. La Pallida Eco lo sapeva fare, ma Imp Plus aveva lasciato
andar via la Pallida Eco.
Imp Plus trovò, nella lanterna del cervello, capelli simili a filamenti
marini, oscillanti all’unisono. All’unisono però come gruppi separati. Un
gruppo cioè oscillava lentamente, il successivo più velocemente, un altro in
modo riluttante pur con un suo scorrere avanti e indietro. Così Imp Plus
distinse la linea con la Terra e questo adesso era più difficile che
concentrarsi sulla misurazione del glucosio, ma poi smise di voler segnalare
i capelli a Terra. Aveva visto i capelli meno lunghi ma li aveva notati solo
adesso nella luce bassa in cui non stavano crescendo. Aveva lasciato cadere
la linea con la Terra, anche se Terra poteva rispondere ai suoi buono e bello.
Voleva osservare. Ma quando lo fece, i battiti si divisero e si divisero
sempre di più in una sensazione che era più grande di quanto Terra e la
Pallida Eco potessero quantificare, e più grande del buio.
Quando di colpo divenne consapevole dei molti gruppi di capelli
ciascuno fermo nel suo battito lento, veloce, regolare o invariabilmente
irregolare, si rivelarono essere di più. Andò da un capo all’altro delle sue
sensazioni in modo che alcuni gruppi formassero una linea. Poi arretrò o
avanzò di una fila. Quando i pioli sembrarono paralleli tra loro, gli angoli
cominciarono a ruotare. Così la scala diventò una scala circolare. Ma la sua
circolarità cambiò direzione e fu piuttosto una rete. La rete stese i suoi
gruppi o nidi di fini capelli in modo che, mentre lui guardava, questo
movimento fu l’andamento di una curva di spazio lungo un gradiente di
possibilità sempre riaperte.
Che lui, guardando per vedere di più, moltiplicò.
Cercò da dove venisse l’impulso di molti impulsi.
In basso - come se fosse molto più basso - non si doveva vedere il dardo
dove la sua scarica azzurra aveva accompagnato l’ultima segnalazione della
Pallida Eco (Ipotalamo attivo).
Più in basso era la ghiandola di fiamma da cui tenne serrata la sua
distanza. La fiamma era adesso meno serrata per quanto molto meno
luminosa. Ma con una luce non solo più bassa ma anche diversa.
Il campo dei ciuffi battenti e oscillanti di capelli marini si estese. Ma
Imp Plus non lo fece.
Non cercò all’esterno i bracci e le schegge. Non controllò le alghe e la
finestra che non aveva reticolo per misurare la posizione. Non vide se
adesso poteva manipolare le linee per gli strumenti. O per la Terra.
Si raccolse in una morsa. Si trovava sul grigio morbido e sul bianco
colla.
Una volta non molto tempo prima era disceso da un lato e salito
uscendo dall’altro. Ma adesso arrivò da poppa a prua.
Il cuore che faceva pulsare gli impulsi, pensò, era il cervello. Doveva
essere così.
Solo lui lo sapeva. Poi lo avrebbe detto a Terra. Per vedere che cosa
avrebbe detto Terra. Però non voleva dirlo a Terra.
Il molteplice campo dei ciuffi ondeggianti toccò Imp Plus e lui allentò la
sua morsa lungo un asse da poppa a prua. Non sapeva dove lo toccassero
questi capelli marini che erano parte di lui. Il grigio morbido e il bianco
colla contenevano ancora i lumen solari color ambra. Questi lumen adesso
non erano in pacchetti. Erano ovunque un’unica suzione. La mano del Sole
si stava ritirando, ma lasciava nel magazzino del suo cervello ciò in cui la
luce si era trasformata.
La sua morsa si mise alla guida della sua vista. Non sapeva che cosa
fosse alla guida di che cosa, ma c’era lui. E adesso i campi ondeggianti di
spazio reticolare in ciuffi che erano cresciuti dalla scoperta della scala che
era diritta, poi rotonda, poi ovunque, ora distinta a ciascun capo del
compasso curvo della sua presa in un piolo di forza simile a un aratro.
Sì, un piolo, una barra. Uno spazio però. Uno spazio breve e vivo. Fra
poli più vivi dei bulbi separati di un occhio elettrico. Poli alimentati da un
processo di carica che passava costantemente dal positivo al negativo a
entrambi.
Piolo o barra impalata su ciascuna biforcazione della volontà, arata su e
giù. Piolo, barra, o raggio separato.
Mentre sotto di lui, al di sotto della fibrosa testa di una membrana che
rosicchiava un lungo squarcio, al di sotto anche della punta di un ventricolo
rosa luccicante fra due ventricoli esterni che adesso con il defluire del Sole
sembravano forme distinte, separate e uguali, simili a pesci in posizione
eretta o a delfini dalla coda adulta, faccia a faccia nella danza - e al di sotto
e davanti all’incrocio, una volta privo di colore e adesso in ombra, degli
apparati ottici vi era la ghiandola di fiamma, dispiegata e meglio arginata,
che riscaldava ancora entro limiti di colore bruno, marrone e ambra quattro
corpi che erano uno ed erano dove la freccia azzurra una volta aveva
brillantemente inciso.
A quel punto del dolore del dardo azzurro la Pallida Eco aveva detto che
c’era una parte attiva. Se quei corpi o quelle isole giù al di sopra della
fiamma erano dove aveva inteso la Pallida Eco, allora non importava la
parola per quella parte. Intorno alla diritta linea dei dati della Pallida Eco
Imp Plus era in grado di far ruotare una spirale pur se non era in grado di
ridere. La mano della donna in California aveva risalito una scala a spirale
lungo la sua spina dorsale. In seguito lei aveva avvicinato il piccolo
marrone dei suoi capezzoli per poi trasformare i fianchi della sua bocca
aperta in un volto intero e poi i piccoli capezzoli moltiplicati della sua
lingua di velluto: e tutto portò con sé quel desiderio che dissolse nella sua
incognita la paura di quel che sarebbe stato: il tavolo operatorio diviso che
si curvava dal tavolo alla cieca e infine poi di nuovo al tavolo, e prima
ancora l’infermiera dal volto bruno che gli infilava un’ipodermica nella
piega del braccio come se volesse portargli via quel che non lo aveva fatto
andare con qualcun altro.
Aveva molte pieghe - le vedeva - ma nessun braccio. E se la parte
nominata dalla Pallida Eco era ciò in cui era stata la freccia azzurra, quei
corpi al di sopra della ghiandola di fiamma non erano una parte ma quattro.
E anche degli ammassi. Per ora.
Da queste famiglie e da tutte le cavità roteanti e dai movimenti colorati
visti da Imp Plus, il raggio solare si stava ritirando. Imp Plus ricordava che
il biondo e il rosso cenere, il verderame o il giallo argentato non
appartenevano ai piani e alle camere, ai fusi, agli squarci, ai sacchi, alle
gocce e alle pelli porose che li contenevano come un milione di particelle
solari di sangue. Ma alcuni dei capelli marini si ispessirono e poi si
restrinsero in una formazione diversa dal loro oscillare, e si ispessirono in
una trasparenza lenticolare come se pompassero altrove il colore solo per
contrarsi di nuovo nel colore. E il colore, qui o nei piani o intento a gonfiare
le gocce, poteva apparire arancione o verde-azzurro da un punto in basso,
ma da più in alto poteva poi essere bruno gesso o rosa strinato - diciamo,
dalle dieci. Gli sovvenne le dieci. Una parola per un posto da cui osservare.
I colori appartenevano a tutte queste parti? Le parti e le loro colonie, il cui
colore variava con il punto da cui erano osservate, sapevano come
mantenere il colore, o se non il colore il loro legame con esso e con lo
scorrere dell’aria del Sole.
Ma con Imp Plus?
La sua stretta venne in essere. Era quel che voleva. Da poppa a prua.
Dirigendosi fuori, giù, dentro. Mostrando il percorso ai pioli anteriori e
posteriori che si erano inarcati e sulle colline composte degli stessi
bastoncini, delle stesse spine dorsali e delle stesse antenne di prima, e le
stesse cellule collose che lambivano i gambi come prima, quando Imp Plus
attraversava i lati del suo cervello.
La luce era sempre più scarsa; così le scintille, che avvampavano dal più
piccolo al più grande dei bastoncini, facevano più calore. Ma cadendo sulle
colline di fronte voleva arrivare a raggiungere di nuovo i pioli. Perché quel
che raggiunse fu quella piccola mano che veniva da una distanza di cui non
poteva fare uso. Fu quella mano che raggiunse, una piccola mano seduta su
un’enorme ruota canora che girava vicino al mare. La piccola mano che
raggiunse era seduta su un piolo che cadeva, in un sedile di cui adesso
poteva fare uso.
I pioli si inarcarono in fuori, in basso e in dentro. Il piolo anteriore
cadde più lentamente e non così profondamente come il piolo posteriore.
Era come una crescita ineguale. Ma era suo. Ma quel che succedeva adesso
fece ricordare a Imp Plus di essere stanco, perché adesso doveva essere
stanco nel tramonto che ricopriva i canali della lanterna e le colonie, come
se non sapessero che lui si occupava della loro opera il cui uso crepuscolare
avrebbe cercato di sentire senza l’energia di quel dolore adesso assente.
Perché quando entrambi i pioli raggiunsero un lungo abisso che divideva
minuziosamente in due qualunque cosa fosse grigia, bianca, verde-azzurra e
rosso-ambra - e quel che stava in basso non era il cervello i pioli si posero a
cavallo della divisione. Ma continuarono a muoversi. Dentro adesso.
Operando come ponti su pattini a rotelle, su percorsi lungo gli argini
dell’abisso, e dal piolo frontale ma adesso non dal piolo posteriore si poteva
ancora vedere quel che era in agguato in basso e che non era il cervello.
Però a stancare Imp Plus fu il non sentirsi in due posti allo stesso tempo.
Ma non era questo a essere stancante, bensì l’opposto. Mentre ciò che, si
accorse, era stancante erano i pioli. Che facevano da ponte su una divisione
che adesso vedeva fino in fondo solo operando attraverso le cellule dove si
incontravano i due lati delle fessure. Ma quel che era peggio della
stanchezza non era proprio la differenza fra il davanti e il dietro; fra le
stesse cellule nervose e collose anteriori a queste e le nuove cellule
posteriori; o fra i nuovi e lunghi bracci a ferro di cavallo, dall’estremità a
bulbo, all’interno dei quali adesso scorreva il piolo anteriore - e le fibre
rampicanti e le fibre muschiose, le stelle radianti, i cestini e i diapason delle
alghe fra i cui frequenti angoli retti passava il piolo posteriore, come l’aria
nel fogliame. (Non conosceva la parola fogliame). A essere diverso dalla
stanchezza era che i pioli si orientavano in tutto questo indipendentemente
da lui.
O a essere stancante era il bisogno di essere in due punti quando si
sentiva in uno. Non era uguale a esso. Ma essi nel loro aumento o nel loro
movimento non erano uguali fra loro.
Questi due. Davanti e dietro, attraverso i quali adesso si muovevano
l’uno verso l’altro due bracci o due estremità o due tenaglie. E in modo
assente: perché che cosa otteneva da questa volontà di stringere? O che cosa
toccava o faceva fra gli intricati viticci rivolti all’indietro distaccati dai
bracci a ferro di cavallo che lui pensava (e sapeva di pensare) fossero
vecchi nervi olfattivi; e questo stringere che cosa toccava o faceva fra i
piani del fogliame di alberi con rami, piani simili a foglie appiattite, e fra
tante pieghe, e così raggruppate e così fini che il loro ciclo rallentato e i
corpi speciali dalle infinite dita erano pronti per essere raggiunti da molti
movimenti allo stesso tempo e a essere il monitor o l’equilibrio o l’unione
di queste cose.
Ma anche i pioli della sua presa desideravano qualcosa da fare e si
chiusero l’uno verso l’altro, il piolo anteriore diretto all’indietro un po’ più
in alto del piolo posteriore diretto in avanti. Ma rallentarono.
Si stavano avvicinando alla ghiandola di fiamma. Aveva esteso l’energia
data alle isole in alto. L’energia di un pensiero che Imp Plus sentiva non
essere soltanto luce.
D’altra parte sapeva che non era per la paura di quell’energia
immagazzinata che i pioli all’estremità del raggio del suo compasso si erano
fermati qui. Essi venivano piuttosto trascinati all’esterno. Trascinati dalla
fatica e dal suo opposto. Trascinati dalla vista dei viticci olfattivi nel
cervello frontale che rientravano dal ferro di cavallo con l’estremità a bulbo
verso altri viticci che arrivavano lateralmente dai tratti ottici troncati.
Trascinati anche dal congiunto protendersi che, più vicino, era il più fine fra
i movimenti in alto verso quelle isole ancorate e fra quelli in fuori verso le
fessure crepuscolari che si allargavano nella capsula. Trascinati anche allora
da un nuovo ricordo cresciuto nei pioli grazie all’estensione di un respiro,
tirato, inalato, utilizzato e restituito per mezzo del desiderio di agire per poi
inalare.
Ciascun piolo era adesso un vecchio raggio trasformato in un fuso: che
ruotava libero dall’ellisse incompleta della sua stretta a tenaglia che ruotava
attraverso gli spazi serali del cervello.
Finché la stretta stessa non ruotò, e fu l’arco di deflessione di questo
emisfero ovale: il luogo in cui lui si era sentito quando poteva sentirsi in un
posto e non in due.
Alcuni viticci oculari si erano uniti ad alcuni viticci olfattivi. Alcuni di
questi si erano divisi nei capelli marini, e alcuni oscillando se n’erano
andati dalla pausa lentamente come per sorprendersi con quanto avrebbero
pensato - e si erano innalzati attraverso i fianchi del cervello per protendersi
in parallele presso la gola di certe fessure più attive. Nuovi vuoti si
protesero non verso la luce che era quasi andata via, ma l’uno verso l’altro.
L’arco di deflessione era l’emisfero in movimento.
Un luogo matematico che si proteggeva con un elmetto.
Alloggiando nella sua traiettoria se non un vero e proprio emisfero un
intero lampo di relazioni che scorrevano attraverso tutte le distanze la cui
idea avrebbe raggiunto per toccarle, scorrendo come tutti i lati della sua
vista. Da questo centro adesso ci avrebbe visto più chiaramente di quanto
qualunque impulso venuto da Terra gli avrebbe detto di ciò che era successo
nella grande stanza verde sulla Terra, dove la Voce Buona e altri
concordavano sulle incognite, e nella piccola stanza verde dove la Voce
Aspra tossiva dati noti. Ci vedeva adesso più chiaramente della mano Aspra
che si muoveva in cerchio e in basso e lungo il fondo per completare
un’ellisse di gesso.
Dal suo centro con i suoi strati di alberi e gli stormi di luce diretti
attraverso i serbatoi dei ventricoli, Imp Plus vide ciò che la donna faceva
con il suo polso. Lo prendeva e andava via e tornava con una siringa. Una
siringa usa e getta.
Per che cosa?
Imp Plus sentì una rotazione che non era quel luogo che ruotava. Non
sapeva dove fosse. Non aveva senso. Venne insieme con quello che sapeva
essere il dolore della crescita; ma non era doloroso. Avrebbe cercato la
Pallida Eco. Nella Pallida Eco avrebbe trovato parole che avrebbero detto
che cosa faceva la siringa della donna californiana. Sapeva di averlo saputo.
Ma non sapeva perché mai adesso non lo sapesse. Sapeva che c’erano due
donne californiane, quella della spiaggia e l’infermiera. Le stava perdendo.
O stava perdendo qualcosa che le univa.
Pensò a che cosa avesse fatto con la sua fiamma la ghiandola al di sotto
dell’isola. Cercò di sapere che cosa facesse adesso un chiaro ammasso dai
bordi vaghi, ruotando in una linea per protendersi verso la nuova rotazione -
questa nuova rotazione - che lui aveva appena sentito ma che non riusciva a
localizzare.
Poteva comunque cercare di sapere che cosa facesse l’ammasso,
l’ammasso che si riversava in una linea sapeva che cosa fare, pensò lui.
D’altra parte era una sua parte, lo sapeva - l’ammasso, la linea e il fatto.
Guardò nell’ammasso trasformatosi in questa linea e vide il minuscolo
risucchio che aveva visto prima, o il suo processo, o lo scivolamento, e
vicino a esso vide degli ovali. Erano per il nutrimento e avevano un nome
che non riusciva a localizzare e avevano delle cose più piccole che
succedevano all’interno dove non ce n’erano state così tante prima. La sua
vista trovò lo zucchero e nella stessa fila l’assenza che ne risultava. Una rete
si restrinse e lo attraversò, come quel cilindro o quel budello. Lo attraversò
in direzione di quella lontana rotazione o curva che non era lì più di quanto
lui fosse al centro. Si lasciò attirare fuori guardando le forme ovali
comunque vicine e il risucchio della membrana che era invisibile non
perché Imp Plus non ci riuscisse ma perché era un evento nel gradiente. Era
un pompare contro il flusso del gradiente, questo risucchio, come se il
bisogno di un sangue potenziale ricordato dal Sole desiderasse aprire
costantemente qualche tremenda iniquità fra l’interno della cellula e
l’esterno nel mare che lo circondava. Così il risucchio fece scivolare le sue
cariche attraverso la pelle delle cellule. Un odore di zucchero e di bruciato
accompagnava Imp Plus, che non era a casa e sapeva di non essersi perso
ma non capiva il cervello o la sua vista di differenti dimensioni.
Tranne per una cosa - mentre Terra, che chiedeva che cosa fosse BELLO
IL GLUCOSIO, richiedeva un’altra lettura dato che il glucosio era troppo alto:
una cosa che Imp Plus sapeva era che non gli avrebbero dato questa vista di
differenti dimensioni se avessero dovuto dargliela.
In fondo, attraverso impulsi di grande spessore, Imp Plus guardò ancora
l’abisso sul quale i pioli avevano fatto un ponte e adesso trovò attraverso
l’abisso un movimento che non era suo, e per un momento l’abisso lo
separò in una paura che non era il tavolo operatorio spezzato, diviso, che
diventava una sedia, o il suo corpo che rompendosi si separava da quanto
sarebbe stato mantenuto, ma era il suo dividersi da se stesso. Pensò che
sarebbe stato felice della presenza della Pallida Eco. Udì Terra che parlava
di sonno, e lui era di due menti ma non conosceva la parola menti.
Però anche prima di essere attirato quasi come la mano del Sole in
quella che adesso la Pallida Eco chiamava, in diverse distanze di
movimento: «Corteccia premotoria», Imp Plus conosceva uno zampillo di
centri ma nessun centro.
Questa fessura era ancora stretta ma Imp Plus sentì su di sé una
protuberanza palmata mentre raggiungeva il margine del buio della capsula.
Accanto a una paratia scorse una pendenza dell’emisfero dove prima era
sospesa alla deriva. Una luce pallida toccò la finestra. La prima finestra mai
costruita in un’IMP. Ma sulla finestra non era stato impresso alcun reticolo,
perché non ci sarebbe stato alcun uomo a - ad atterrare, dicevano le parole -
no - a misurare la posizione. Ma la finestra pensava per sé; se lo ricordava;
ma non poteva vedere se la finestra pensava a lui.
Attraverso di essa c’era luce. Imp Plus non sapeva se la luce fosse le
stelle o (e la parola venne sul vecchio asse di distanza) la Luna.
Adesso non riusciva a localizzare le schegge o a ricordare la cosa che la
donna aveva fatto con la siringa. Ma la rotazione che aveva sentito prima
nel cuore illuminato del cervello, adesso la vedeva: la curva che aveva
notato ancora prima là fuori in uno dei raggi adesso era cresciuta in cerchio
e al punto di toccare quasi il braccio adiacente. O si era mossa senza
realmente crescere?
Ma come se volesse dimostrare che Imp Plus stava osservando, la curva
si mosse. E la Pallida Eco, da molto vicino, stava dicendo a Terra: OK.
Perché Terra aveva ordinato a Imp Plus di dormire.
Capitolo 7
Ma Imp Plus non dormì. Lasciò che fosse la Pallida Eco a dormire al
suo posto, esatto? E d’altra parte Imp Plus non conosceva il sonno.
Avvertiva quella parola venuta da Terra come una linea mediana fra due
lati. Ma non conosceva il sonno. Vedeva in grande e in piccolo. Tutta la
novità era che lo aveva fatto per molte alternanze di giorno e notte e così
voleva le parole per contare le alternanze e pensò di attirare a sé queste
parole lungo l’asse della distanza.
Ma verso dove?
Era nella stretta fessura. Era una fessura del cervello. Giù nella fessura
quando le guardò le opache sfaccettature che avevano formato una linea si
inclinarono e si ritirarono per diventare nuovamente un ammasso.
Ora però un ammasso splendente come il polline e luccicante come una
rete.
Che non si erano visti quando questo ammasso di piccoli movimenti
ovali, a pompa e di altro tipo si era trasformato in una linea proprio quando
lo stesso Imp Plus si era lasciato attrarre nella stretta fessura, in quella che
la Pallida Eco aveva chiamato corteccia premotoria.
Dove vedere la Pallida Eco?
Imp Plus guardò, e le sfaccettature dell’ammasso si tesero di nuovo
verso questa fessura in cui era stato attirato. Ovunque altri ammassi
facevano la stessa cosa, unificandosi in brevi linee nella sua direzione. Si
protesero verso di lui, e lui poteva essere il Sole dietro l’angolo fuori della
vista, e stavano inspirando per trascinare fuori dalla notte del cervello
questa luce rimasta.
Ma poi queste linee di deflusso rilasciarono la loro lunghezza e furono
ammassi. Imp Plus avrebbe potuto scegliere di vedere le linee da punti
diversi, punti in movimento e non in movimento. Aveva scelto di farlo. Ma
non sapeva se-quelle linee, ora ritratte negli ammassi, fossero state
altrettanto a lungo di quanto fossero avvenute.
Tutte queste operazioni avvennero senza di lui. Eppure era di lui che si
trattava.
Venne un tocco. Un messaggio simile all’ago di un’infermiera. Un
punto di forza disteso su di lui come uno schermo. Lo schermo o il piano si
era dispiegato nella fessura, ma Imp Plus non capiva come avesse fatto.
Perché oltre l’ombra delle cordicelle rilasciate o irrigidite negli angoli degli
occhi, riusciva a vedere come prima attraverso la fessura fino alle paratie
della capsula e allo scintillio della sua crescita. Ma ovunque fossero il piano
o il campo, una volta distesi, la forza gli faceva - o gli faceva desiderare di -
muovere gli occhi da un lato all’altro e viceversa.
Il che gli fece desiderare di avere gli occhi per farlo. O gli fece pensare
di averli. Perché sapeva di non averli.
Non occhi come quelli che aveva perso e che erano come gli occhi della
donna, dai colori diversi, di cui aveva sentito l’odore sulla spiaggia
californiana.
O che aveva visto e amato e voluto. Per quanto non ne avesse sentito
l’odore, o non lo avesse saputo, se non qui adesso rigido o rilasciato
attraverso gli zuccheri che scorrevano dalla camera alla vena.
Non la camera o la vena degli occhi. Gli zuccheri però. Lattici. Zuccheri
lattici.
Era quasi arrivato da qualche parte.
E due volte tanto. Perché lui riportò, e istantaneamente vi ritornò per un
istante, quell’altra parte del cervello attraverso cui era passato il compasso
anteriore della volontà: la parte cui la Pallida Eco, che dormiva lì vicino,
poteva dare un nome e in cui le fini pieghe di muscolo - muscolo era la
parola - dovevano attendere e volere il passaggio di moti e motori scatenati
a distanza, in cerca di se stessi. Non gli anelli di cellule che penetravano
nelle estremità dell’iride che aveva i colori dell’arcobaleno della donna
californiana attraverso lo squarcio nella pupilla della sua memoria, o di
quella che pensava fosse sua. Invece, altri muscoli che non riusciva a
trovare, ma che riusciva a volere, ma non riusciva ad aspettare.
Era quasi arrivato a vedere un pensiero. Che nel frattempo come una sua
mappa costante lo osservava, pensò, e non viceversa.
Poi il tocco era andato via, e vide che non era stato come l’ago di
un’infermiera, che gliela aveva fatta perdere di vista. Cercò di trovare la
Pallida Eco. Ma trovò tutte le città notturne del cervello, come se lui non ci
fosse. E guardò oltre un breve e grigio luccichio sull’orlo della fessura che
pensava fosse una membrana che cominciava con la protuberanza palmata
su cui aveva fatto centro, malgrado la sentisse anche dappertutto. A una
distanza ignota era sospesa una solida curva di un fosco color perla
screziato di blu. Sapeva che cosa aveva visto una volta sulla Terra ma
altrettanto velocemente si accorse di non riuscire a vedere attraverso la
paratia e la finestra non era in quella direzione. Oltre l’orlo della fessura
c’erano le ali, i colli, i raggi, gli organi, le uscite o le entrate: che forse non
erano niente del genere, anche se era sicuro di una cosa, che erano venuti
dal cervello.
Ma avevano reso il cervello ciò che lui non trovava il modo di vedere
all’interno di se stesso: avevano reso il cervello diverso da ciò da cui erano
venuti. La mappa di come tornare indietro cambiò.
La capsula era più buia. Terra poteva aver modificato l’assetto. Nei letti
di clorofilla una sensazione di luce stava costantemente indietreggiando, e
fu lì. La luce esterna che non era il Sole ma che poteva essere un lontano
latte di stelle e che forse si era dato il nome di Luna poteva essersi spostata.
Le parti periferiche c’erano, ma erano parte di lui più di quanto potesse
vedere. D’altra parte vedeva quel che vedeva. La piega si arricciava ancor
di più. Perché nella sua sottile luce, voleva unirsi al braccio vicino, oppure
continuare ad andare e ad arricciarsi verso il cervello.
La luce delle membrane periferiche era al di sotto delle membrane. Ogni
luce era uno strato di lunghezza che continuava a contenere il Sole che era
qui adesso.
La fessura verso cui Imp Plus si era sentito attirato si contrasse mentre il
braccio periferico si arricciava. Ma entrambi si fermarono. Imp Plus aveva
una particolare lentezza nei bracci periferici. Oppure adesso non sentiva
molto di quel che vi avveniva. Era solo con se stesso. Ci pensò dentro. La
Pallida Eco era vicina e interna, non lontano nel plasma periferico. La
Pallida Eco era addormentata. Con le luci accese. Addormentata e
illuminata dal guanto di antenne lasciate dalla lontana mano del Sole. E le
ali dormivano? Quale luce ne disturbava le membrane? La luce che esse si
davano. Senza occhi la Pallida Eco non era disturbata dalla luce. Qui nel
cervello - o in quel che era stato il cervello da cui, qualunque cosa ne fosse
saltata fuori, la luce immagazzinata dal giorno del Sole era più che luce.
Nondimeno, la luce aiutava Imp Plus a vederli. Questi flussi.
Nell’ombra dorata al di sopra di ciascun flusso rosso chiaro vide - ma
non finché non volle farlo - tutta una galassia di colori. Erano quel che
aveva visto quando per la prima volta si era ricordato degli occhi della
donna. L’ombra dorata era anche sottostante. L’ombra dorata era ciò che
metteva in evidenza gli altri colori nel rosso chiaro. Non era in grado di dire
se adesso sentisse l’odore del dolce flusso, o lo ricordasse; vide dentro e
davanti alle isole e alla ghiandola. Vide ciò che, lo sapeva, doveva essere
una dimensione diversa - con i viticci che non solo avvampavano dai lobi a
ferro di cavallo che lui e il piolo anteriore avevano pensato fossero il suo
frantumato senso dell’olfatto, ma che gettavano anche movimenti simili a
trasmissioni verso questi flussi rosa.
Delle onde.
Che, si accorse, creavano ciò che non era affatto un flusso ma molti
singoli corpi di un rosso arcobaleno e che ancor più erano un flusso
attraverso gli squarci d’ombra dorata. E ciascun corpo ora ruotava, ma in
una dimensione più piccola, e si fletteva come un muscolo singolo reciso
fino a uno spazio privo di peso finché con un dolce bruciore che non diede
dolore a Imp Plus ciascun corpo ricevendo le onde non diventò due corpi di
colore più chiaro ma più denso, ma presto furono difficili da vedere e
ridiventarono come altri corpi di quel rosso attenuato.
La luce era stata immagazzinata. Ma c’era molto di più.
E come se avesse udito la Terra prima che la Terra parlasse, udì: CAP
COM A IMP PLUS CAP COM A IMP PLUS HAI FREDDO A SUFFICIENZA LASSÙ IMP
PLUS?
Di nuovo, venne il tocco. Fu uno spasmo, un asciutto jab sulla lingua, e
insieme a esso il bisogno di muovere gli occhi che non aveva da un lato
all’altro e viceversa e così via. E così fece.
Ma poi Imp Plus fissò lo sguardo sui corpi e sul loro flusso e sulla curva
dell’arcobaleno che emergeva come un’ombra d’oro, e fu in grado di
fermare il rapido movimento oculare messo in moto dal tocco. Ma c’erano
tanti corpi che la sua attenzione fu riportata sull’orlo della fessura. Ma non
solo dai corpi e dalla spiacevole forza che lo bloccava in movimenti che
sapeva di non poter fare da solo, e non dalle lente parole della Pallida Eco
(che Imp Plus mantenne per sé): DORMI, DORMI, IL SONNO LEGGERO PRECEDE
IL SONNO PESANTE, IL FREDDO VERRÀ CON IL CICLO DI BUIO. No, la sua
attenzione veniva riportata all’orlo della fessura dal suo desiderio di avere,
se non quegli occhi perduti, una mano.
Anche se non la mano che aveva guardato - un ultimo sguardo, un
ultimo sguardo, perché quella mano era perduta sulla Terra. No, un’altra
mano cui poteva solo pensare in quel lungo momento in cui la siringa
dell’infermiera gli andò nella piega del braccio disteso per riceverla, e
distolse lo sguardo da quel punto verso il palmo con la sua lucida rete di
pergamena e le dita che facevano una curva sempre più grande man mano
che si immergevano al di là. E cercò di trattenere i suoi occhi ma non ci
riuscì.
Ma adesso non c’erano occhi del genere. E poteva respingere quel tocco
martellante, volendo farlo. O abbassando lo sguardo sul luccichio del grigio
bottone sull’orlo della sua fessura nella corteccia premotoria.
Vedere allo stesso tempo che le onde dalla Terra naturalmente entravano
in quel punto di cristallo dal grigio luccichio.
Poi seppe che cos’era. Era un’altra scheggia impiantata qui per toccare
Imp Plus. Perché la Terra lo toccasse. Le onde si fermarono. Ma il cristallo
grigio adesso si muoveva al di sopra della protuberanza che si stava
dilatando.
Imp Plus aspettò non sapeva quanto, e poi fece i rapidi movimenti
oculari per vedere se ne era in grado senza lo stimolo dell’elettrodo. Ma non
riusciva a ricordare che cosa fosse stato, perché adesso non poteva superare
da qui a lì l’unica carne del cuneo d’osservazione senza vedere che lui era
già qui in attesa di se stesso. Eppure mentre si imbatteva in tutto questo,
pensò di diventare diverso in un altro spostamento. Non era fermamente lo
stesso; o se non lui, ciò che era stato il suo cervèllo.
La Pallida Eco Imp Plus non poteva schernirla ma solo cercarla.
Perché Imp Plus aveva sentito da qualche parte presso di lui un’apertura
simile a una crescita irradiantesi verso l’esterno. Lo aveva mantenuto per
sé, non lo aveva lasciato uscir fuori.
Imp Plus aveva le parole della Pallida Eco addormentata o semi-sveglia,
come l’opera immagazzinata della mano del Sole nelle membrane.
Le parole erano: «OK, calore ottimale. Flusso solare costante. Glucosio
stabile. Bello il glucosio. Il freddo verrà quando verrà il ciclo di buio.
Dormi». Imp Plus non aveva permesso che le parole andassero sulla Terra.
Così il freddo non era venuto.
Eppure la Pallida Eco, che quando era venuto il ciclo di buio aveva
detto OK all’ordine DORMI, adesso non sembrava sapere che il ciclo di buio
era venuto. Imp Plus tentò una risposta. La Pallida Eco non sapeva che il
ciclo di buio era venuto, perché la Pallida Eco dormiva.
Neanche i flussi lo sapevano. Se c’era qualcosa da sapere. Imp Plus ne
vedeva quanto ne volesse o ne attendesse, ma non altrettanti. Vide
attraverso i colori dell’ombra d’oro verso quella storia dei corpi dentro i
corpi. La pelle di quelli più grandi erano schermi. Pulsavano in modo così
distinto che Imp Plus ricordò il respiro.
Erano membrane, concave e convesse. Schermi attraverso cui si
insinuavano i corpi più piccoli. Si insinuavano dove non c’erano fori finché
Imp Plus non li vedeva. E questi corpi per insinuarsi diventavano più grandi
e non più piccoli.
Vide il corpo che, come un’astronave lanciata con l’angolazione
sbagliata, rimbalzava sullo schermo e non passava. Poi trovò e fu afferrata e
sostenuta da quel che sembrava una portaerei. Poi fu raggiunto da un’altra
cosa. Questa cosa c’era e non c’era. E non era al di sopra o all’interno, ma
fuori. Disancorata da quel piccolo risucchio che pompava un’inclinazione,
un gradiente, e lui conosceva la pompa ma non riusciva a vederla se non
come idea attraverso la membrana pulsante. Il corpo abbracciato dalla
passiva portaerei e raggiunto da un pezzo della familiare pompa poteva
allora scivolare dentro la pelle. Poi, una volta dentro, avvampare e
scindersi. Essere due. E dissolversi in una luce che era Imp Plus. Ed espirò
e aspirò attraverso le cellule collose color neve e attraverso le cellule
scintillanti, e quel che avvenne fu che queste cellule infiammate furono
scisse in cellule non infiammate e che sembravano precedenti, ma che
crescevano e poi si dividevano senza essere colpite dalla vampa del respiro
di quelle altre divisioni all’interno delle membrane. E per quanto riguarda
queste - il corpo, la portaerei, il pezzo di pompa, il passaggio attraverso la
pelle e la divisione unita pensò di sapere quel che vedeva. O di cui sentiva o
ricordava l’odore. E come se sapesse di vedere gli eventi del glucosio, pur
non sapendo che le cellule non si infiammavano, per un momento riuscì a
vedere nella dissolvenza. E quel che vide era gran parte di un arco.
Densi zuccheri vi piovevano sopra. Il buio del ciclo sottolineava il
profilo della loro lieve e grandiosa luce. Alcune di queste cellule
infiammate si scissero in cellule non infiammate ma che si divisero - il che
sembrò un rovesciamento. Imp Plus fece rapidamente scorrere lo guardo di
qua e di là, e si girò altrove per pensare: per pensare che, dato che la Pallida
Eco si era sbagliata sul buio, poteva essersi sbagliata anche sul freddo. Imp
Plus non conosceva il freddo. Voleva che la Pallida Eco gli dicesse dove
trovarlo.
Terra parlò ancora e, come se la Terra si fosse girata insieme al Sole, la
distanza era di più: CAP COM A IMP PLUS, RISPONDI SE PUOI, IMP PLUS SEI GIÀ
NEL CICLO DI BUIO MA NOI LEGGIAMO TEMPERATURA COSTANTE A SOLI
QUATTRO GRADI AL DI SOTTO DI QUELLA DEL GIORNO.
Imp Plus si aggrappò alle parole della risposta della Pallida Eco, e non
le lasciò andar via: il freddo verrà con il ciclo di buio.
IMP PLUS NON LEGGIAMO UN CALO NELL’ENERGIA IMMAGAZZINATA
NELL’ACCUMULATORE. LEGGIAMO ELEVATA ATTIVITÀ CORTICALE, CHE SEMBRA
SONNO REM IN TUTTE LE AREE SOTTO MONITORAGGIO. MA QUESTO È IL PERIODO
DI SONNO LEGGERO. IMP PLUS È TROPPO PRESTO PER IL SONNO REM.
Imp Plus si aggrappò alle lente parole della risposta della Pallida Eco e
non le lasciò andar via: il freddo verrà con il ciclo di buio. Il sonno leggero
precede il sonno R.E.M. Dormi.
STAI DORMENDO O NO, IMP PLUS? NON INTERROMPERE IL CICLO DEL SONNO
MA RISPONDI SE PUOI.
Imp Plus non conosceva la parola accumulatore; ma non conosceva
neanche energia. Eppure era stata dentro di lui. Alle ultime parole del
messaggio si poté vedere per quel che era l’enorme arco che era soltanto
una parte di un arco: innumerevoli archi, ciascuno con la sua mirata pioggia
di zuccheri. Sapeva come aveva fatto a evitare che la Pallida Eco
rispondesse alla Terra? Imp Plus vide che questi numerosi archi erano quel
che aveva visto prima: ciascuno aveva il suo centro e i suoi raggi: raggi
però che si irradiavano non da ciascun centro ma dall’arco dal profilo
oscuro come se ciascuno potesse essere il centro di un luogo geometrico
sotto forma di una linea curva.
Vedendo che queste numerose parti dell’arco erano anche così
numerose, avvertì l’odore del dolce bruciore del suo dolore e scivolò per
l’unico ciclo enorme fuori dagli innumerevoli cicli piccoli, e si accorse di
avere l’uno e gli altri.
Anche l’unico ciclo enorme era soltanto una parte, non più intero della
rotazione del cerchio allungato con i pioli di poppa e di prua del suo
compasso che non si incontravano mai. Anche se forse adesso più vicini
delle estremità di questo unico enorme arco. L’unico, creatore dei molti.
L’unico enorme. Ma anche una parte. Così ancor più enorme. Formato però
da tutti gli innumerevoli e brucianti piccoli. Costituito - non riusciva a dirlo
- era nella nebbia dell’ombra dorata - i vacillanti spettri di innumerevoli
colori del tutto nuovi erano simili ai numerosi piccoli archi, e l’ombra
dorata in cui si rifugiavano era l’unico enorme arco - costituito - non
riusciva a dirlo - non solo perché non era solo lui (questo lo disse) ma era
quel che gli era stato dato, il dorato sangue immagazzinato è venuto
dall’ultima mano del Sole: ma allora anche per lui, e qui vide che il suo
dubbio era stato dorato, lo aveva sentito come carne immagazzinata: e non
sapendo come fare per non volere che la Pallida Eco desse una risposta a
Terra, gli era stato dato il suo desiderio. Che era una parte.
Una parte che doveva arrivare a conoscere.
Si chiese che cosa sarebbe stato.
La Pallida Eco, che non era così pallida, aveva detto: «Il freddo verrà».
Ma che cos’era verrai Forse lo aveva saputo.
Imp Plus avrebbe voluto chiederlo alla Pallida Eco.
Per quanto tempo era stato addormentato? Era stato addormentato
quando aveva detto: «Il freddo verrà».
Verrà era venire, ma non adesso. Venire poi.
Adesso era tutti i punti dei flussi di zucchero rosa-oro. Adesso era il
grigio luccichio della punta della scheggia qui nella fenditura che era una
delle molte su cui Imp Plus faceva centro.
Si concentrò sulla punta della scheggia e poi vide che l’ultimo
messaggio della Terra si era immerso nella notte e aveva sentito il vecchio
dolce lacerante bruciore del dolore e adesso non c’era.
Quello era poi. Come il cedere e crollare del bruciore che per ora si era
fermato o che adesso era stato trasformato nell’attività notturna della luce
solare immagazzinata. Ma non come gli zuccheri che erano passati oltre
scivolando lungo uno dei cicli di buio; perché seppure anche quello fosse il
poi, gli zuccheri fluivano anche adesso, non erano diversi, anche se quel che
lui faceva - adesso almeno - era diverso: quel che aveva fatto allora quando
gli zuccheri scivolavano lungo un ciclo di buio, era alzare le braccia che
non possedeva e spingere contro l’ampia curva di una scatola cranica che
non possedeva finché non si sollevava.
Terra lo cercava di nuovo ma lui doveva essere qui adesso e guardò di
nuovo questa fessura premotoria. La protuberanza sull’orlo adesso era più
grande. La fenditura si era dilatata di più. Così adesso qui e adesso non
erano gli stessi.
Non aveva niente su cui stare; la protuberanza su cui si trovava era lui
stesso. La protuberanza era sull’orlo della fessura, la fessura era in una
piega, la piega era più aperta, e quando fosse stata del tutto aperta non
sarebbe stata una piega. Non poteva fare a meno di volerlo, ma con ciascun
dispiegarsi se ne andava una piega. Terra sapeva che la capsula non era
fredda secondo le aspettative e che non c’era stato alcun calo nell’energia
immagazzinata nell’accumulatore, ma Terra non sapeva altre cose. Imp Plus
era in grado di evitare che le risposte arrivassero a Terra, ma non poteva
evitare la donna in riva al mare. Ma non era questo: voleva dire invece che
non poteva evitare che la donna in riva al mare venisse sull’asse della
distanza; non poteva evitare che lei lo dispiegasse, eppure lo aveva voluto.
E aveva sempre saputo che l’asse della distanza stava venendo.
Sempre era allora. E però anche adesso.
Anche se non solo qui, anche se lui era qui. La notte era come molte
notti - notti di notti. La notte si divise e continuò.
C’era qualcosa che non riusciva a sopportare. Un altro dolore. Questo
dolore non era il cedere o lo scindersi della crescita, né l’asse della distanza.
Ma l’asse della distanza era uno dei suoi raggi rotanti. Il nuovo dolore era
piccolo come il silenzio, ma adesso, si accorse, era altrettanto grande - un
silenzioso tendersi, l’assenza del crollo. Ma più immobile: un’assenza in
generale, ma dorata e multicolore.
Un’assenza che poi scoprì di riempire: per mezzo del suo guardare da
tutti gli archi notturni dello zucchero del sangue, della cui idea sentiva
l’odore; e da questi guardando e sforzandosi al di là dell’unico enorme
segmento d’arco con le sue cascate turbinanti; con lo sguardo
irregolarmente fissato sul posto da cui esse turbinavano. Avvertì quel che
vedeva - era così? Si ritrovò a vedere da tutte le irregolari distanze delle sue
membrane e simultaneamente ad attendere di ricevere la propria vista. Essa
- era così - stava aspettando se stessa prima di arrivare: lui era quel che
stava vedendo: così era questo il motivo per cui era in grado di afferrare le
visioni irraggiate dalle irregolari distanze dei bracci-membrana e di ricevere
l’iniziale radunarsi di questa vista e (aspetta), essendo ciò che vedeva, di
conficcare la sua vista in un punto piccolo come (aspetta) una terminazione
nervosa, piccolo come una pompa disancorata per mezzo della vista dalla
sua azione di risucchio in una funzione infinitesimale: e attraverso di essa, a
sua volta, di vedere anche in grande, perché mantenne invisibile, all’interno
della sua vista, l’idea di un ingrandimento. Di vedere più in grande del
grande - molto più grande della vista su larga scala che si stava estendendo
e che avvertiva anche negli istanti in cui vedeva nel micropiccolo.
Forse si stava riscaldando, ma il suo sguardo o il suo desiderio fu
voltato prima di arrivare abbastanza lontano.
Perché Terra chiese se Imp Plus stesse dormendo, e lo chiese ancora,
come un bambino intenzionato a svegliare un grande. Chiese se la
strumentazione di Imp Plus evidenziasse un calo nella temperatura, chiese
la temperatura, ma lo chiese in un modo che fece sì che Imp Plus pensasse
in una maniera che adesso ricordava. O di cui avvertiva l’odore: perché era
la mala voglia che lo divideva: perché Terra diceva che Imp Plus poteva
fare quelle letture nel sonno, e il crepitante Imp Plus pensò di sapere che
ancora una volta nelle parole trasmesse c’era la risata aspra: non l’umore
fluito una volta dagli occhi della donna nuda in California - no, il crepitante
umore che adesso veniva da Terra era ciò di cui Imp Plus aveva sentito
l’odore nella grande stanza verde pallido quando la Voce Buona aveva
risposto alla Voce Aspra e aveva lasciato libero Imp Plus per l’ultimo
weekend, «via da questa vasca per pesci rossi», aveva detto la Voce Buona;
«ricordati di tutti gli straordinari che ti aspettano, tutti i giorni, prendendo il
Sole. Ci vuole un po’ di svago privato». Perché dapprima la Voce Aspra
aveva detto e se Imp Plus cambia idea, e adesso in risposta alla Voce Buona
la Voce Aspra aveva detto, come un pallido riflesso: «Svago», e dalla bocca
e dal naso venne il fumo. Così adesso Imp Plus sentì l’Aspro crepitio
quando Terra disse che Imp Plus poteva prendere le letture della
temperatura nel sonno.
Freddo o caldo era quanto dicevano le letture. Ma niente calo nelle
temperature era uguale a niente calo nell’energia nell’accumulatore? Cap
Com disse che la capsula non poteva essere calda come si leggeva nella
strumentazione di Terra. Caldo era ciò che Imp Plus pensava fosse il Sole.
La donna in riva al mare in California aveva detto così sorgendo dall’acqua.
Ma il Sole non era qui adesso. Anche Terra non era qui.
Il Sole andava e veniva.
Ma Terra c’era sempre.
Il Sole poteva essere dov’era Terra, ma non sempre. C’era di più, e Imp
Plus pensava che la Pallida Eco sapesse. Ma la Pallida Eco dormiva.
Non Terra. I suoi messaggi continuavano a venire sulla frequenza. La
frequenza non potevano essere le onde che giungevano nelle schegge che
erano alla deriva, perché adesso queste schegge non erano impiantate in
Imp Plus.
IMP PLUS MI RICEVI MI RICEVI?
Non poteva fare a meno di ricevere ma non doveva rispondere.
CAP COM A IMP PLUS CAP COM A IMP PLUS LEGGIAMO MASSIMA ENERGIA
NELL’ACCUMULATORE. CHE COSA SUCCEDE? STAI CONSERVANDO L’ENERGIA?
Pensò che avrebbe risposto a Terra. Ma era solo in grado di cercare
quest’altro dolore che si era presentato. Così continuò a protendersi per
arrivare là da dove roteando venivano gli archi del flusso. Per farlo doveva
allungarsi attraverso qualcosa che era dentro di lui. Una distanza. Però non
vide la distanza finché non si fu allungato. Il cervello con i suoi centri
dispersi sembrò trovare l’energia per disperdersi ancora di più. La distanza
all’interno non lo faceva sentir bene. La distanza su cui stava a cavallo
continuò a dispiegarsi in quel che aveva avvertito come il cervello. Si difese
contro la distanza; ma la distanza non fu di più - non lì - finché non si
allungò per il dolore.
In modo che scindendosi pensò di essere due, pensò alla somiglianza fra
la parola di terra DORMI e una linea lungo una mediana, e cercò di vedere se
la Pallida Eco fosse su un lato. Più si allungava più stava sulle due metà, ma
così facendo stava non a cavallo dei due lati della tensione su cui si ostinava
a stare, stava su molti. Quando si allungò troppo, ricordò le gambe. E
quando lo fece, si lasciò cadere e fu bruciato da lontano da quella ghiandola
in profondità che una volta aveva serrato e dischiuso il suo fuoco. La
ghiandola stava al di sotto dei corpi o delle isole. Ma sembrava arricchirli o
potenziarli riempiendo gli spazi fra di loro. Eppure non vedeva l’energia
della ghiandola priva adesso di fiamma, perché protendendosi verso di lui
nel suo mettersi a cavalcioni lo afferrò in una sua biforcazione che era allo
scoperto. Poi il suo tendersi ricadde su se stesso e con esso la distanza che si
era teso ad attraversare. Ma mentre lo faceva, e mentre pensava anche di
fare il contrario e di aprirsi e allungarsi di nuovo, seppe di aver portato a sé
la ghiandola.
Richiedendo del tempo.
E seppe che la fresca donna che sorgeva bagnata sulle sue gambe
riscaldate dal Sole era parte di quel tempo libero anche se lei non sapeva
che su di lui trovava più del Sole della California. Perché il brillante
luccichio laggiù nelle dune era più di uno; era due. E ciascuna lente degli
occhiali scuri dell’osservatore nella duna rifletteva più del Sole e della
donna e di Imp Plus così com’era: riflettevano anche la grande stanza verde
del progetto e l’ombra gettata su Imp Plus in quell’ultimo weekend per non
dargli quel che voleva tempo e da solo.
Non si erano fidati di lui.
Di lasciarlo fuori.
Il dolore che non era la scissione e non era solo l’asse della distanza si
presentò di nuovo.
Imp Plus si allungò per arrivarvi attraverso il vuoto.
Come la fiducia, era un vuoto a cui resisteva ma che aveva fatto
esistere.
Lungo i suoi nuovi orli ruotavano i flussi d’arco. Non riusciva ancora a
seguirli fin dove iniziavano ma doveva vedere che il vuoto era venuto a
esistere soltanto perché vi era andato contro. Sapendolo, stavolta non si
lasciò cadere.
In basso la ghiandola infiammò nuovamente una delle sue parti
inferiori.
Quale parte inferiore? In replica, ricordò una sua meravigliosa coppa dei
desideri. Una volta era stata un punto mediano - adesso non era mediano né
un punto. Ma ancora con il desiderio.
Di fare qualcosa.
Che si dimostrò essere questo: prima pensare a ciò che una volta aveva
voluto e fatto allo stesso tempo, quando era stato un livello mediano del
corpo.
Il corpo su cui la donna si era arrampicata al Sole. Portando con sé fuori
del mare tutto il sale. Per fare pausa per un po’ su quella sua parte mediana:
per un tempo che, come questa notte, divideva e si divideva nella misura
che aveva di lei: del suo riposo. Dunque, un tempo avviato dal luccichio
dell’osservatore della duna in modo che, vedendo in fondo all’incrocio
ottico e alle isole inferiori nominate dalla Pallida Eco e adesso, dietro la
ghiandola radiante la cui forza lo infiammava, fino a una giuntura inclinata
all’indietro lungo la quale splendeva un campo di cellule immerso nel giallo
come se fosse dovuto a qualcos’altro, Imp Plus sentiva che il suo riposo
agiva su di lui e fu incline a pensare di proiettare quel giallo con la sua vista
e fu incline a considerare la sua vista solamente un riflesso della calda
energia della ghiandola.
Ma lo pensò a causa della donna. Perché quel che lei dava - il tempo che
dava - e che lanciava anni luce lontano l’ombra del progetto luccicante sulla
duna - gli aveva fatto pensare che il suo desiderio appartenesse a lei.
Il che non era. Perché, come il sole che l’aveva raggiunta dal suo corpo,
il desiderio che gli occhiali della duna avevano fissato in lui con un lampo
veniva da molto al di là di quegli occhiali. Veniva da un dardo scandagliato
nell’esistenza nel livello mediano del suo corpo nella grande stanza verde in
cui aveva chiesto del tempo per sé. Scandagliato nell’esistenza da quella
parola svago - un progetto per l’uomo di cui non si fidavano.
Dov’era Cap Com?
Eppure la parola svago che veniva dalla Voce Aspra era solo un riflesso
della Voce Buona. Anche se ancora prima era la Voce Aspra che diceva:
«Tu non vuoi continuare per sempre».
Detto con mala voglia.
Mentre la Voce Buona, sempre così sicura, restava sempre al punto: lo
straordinario tutti i giorni, per prendere e spremere il Sole.
Quello era il progetto. Catturare.
Nel ciclo di buio Imp Plus ricordò la forza del Sole e quel che aveva
saputo prima del lancio.
Adesso c’era più di lui rispetto al momento del lancio: più di lui che
ricordasse: eppure adesso ricordava meno?
Ma in altre parole.
Il progetto era il Sole. Ecco che cosa stava cercando quando Terra lo
aveva interrotto: stava cercando da dove giungessero roteando tutti quegli
archi fatti di affaccendati lumen.
Terra parlò. Imp Plus parlò. Si ritenne che Imp Plus fosse parzialmente
sveglio. Si chiese a Imp Plus se in assenza di un misuratore delle reazioni
del carbonio Imp Plus fosse in grado di avvertire qualcosa di elevato che
veniva dai condotti delle alghe, perché c’era una possibilità esterna che
l’azoto delle piante stesse entrando direttamente nei sistemi di Imp Plus e
così Imp Plus sarebbe stato soggetto a ciò che i sub chiamano ebbrezza di
profondità.
Imp Plus non rispose e non avvertì nella Pallida Eco alcun accenno a
farlo.
Terra chiese se Imp Plus non stesse rispondendo per conservare energia;
Terra diceva che la veglia e il sonno profondo non erano possibili allo
stesso tempo, eppure Terra aveva letture di onde rapide a basso voltaggio,
che erano la veglia, e allo stesso tempo riceveva raffiche di picchi ad alto
voltaggio e gli equivalenti del sonno REM, che significavano sonno
profondo; e pazientemente Terra fece rilevare con strani particolari che
l’accumulatore che immagazzinava l’energia elettrica dalle cellule nella
schiera dei dispositivi solari continuava al massimo: ma questo non poteva
succedere, diceva Terra.
Imp Plus non rispose.
CI STAI RICEVENDO IMP PLUS? SE CI STAI RICEVENDO STAI ESAURENDO
L’ENERGIA.
Al buio Imp Plus vide le pale che trasformavano il vento, trasformavano
il vento in forza. Era così.
Ma no, c’era una differenza: fra quel che vedeva quando guardava i
segmenti d’arco nel ciclo delle luci del territorio cerebrale e quel che
vedeva quando vedeva i grandi pannelli a griglia che fuori, nel nero
territorio dello spazio, facevano mulinare il vento. Perché non c’era vento.
Non c’era aria dove i pannelli facevano mulinare il vento solare.
E non erano qui, anche se erano di Imp Plus.
Non erano all’interno del cervello. Ma non erano all’interno della
capsula, le cui paratie erano all’esterno del cervello o di quel che aveva
pensato fosse il cervello. I pannelli che ricevevano il vento solare, che non
era un vento ma una pioggia di raggi, erano della capsula, ma non dentro di
essa, e lui pensava solo di vederli.
Terra era all’esterno della capsula, ma produceva suoni che Imp Plus,
all’interno, riceveva. Era così. Le cellule oblunghe sui pannelli prendevano
Terra e dal di fuori lo mandavano dentro. Le cellule oblunghe sui pannelli
potevano non essere le cellule di Imp Plus, ma erano parte di ciò di cui lui
era parte.
Le cellule erano della capsula ma erano fuori.
Le cellule oblunghe che vedeva, le griglie di cellule, i pannelli delle
griglie di cellule, lui ricordò le immagini, o altri modelli, di altre navi forse
non dell’IMP con pale di mulino che sostenevano i pannelli delle griglie di
cellule; ma le vedeva davvero? Le udiva nel mescolarsi delle voci Aspra,
Buona, e di altre.
Non vedeva davvero le cellule perché esse erano all’esterno e lui stava
sempre dentro. Anche se sulla Terra una volta era stato fuori di loro, e
c’erano pannelli di cellule ma nessun mulino a vento, il mulino a vento era
nella sua testa, e una voce del progetto né Aspra né Buona aveva parlato
nella testa che adesso Imp Plus non possedeva. Le cellule ricevevano il Sole
e davano alla capsula l’energia per ricevere Terra.
Ma adesso era notte - una notte delle notti che si divideva e che però si
avviava a una fine. Fuori non c’era Sole, se non fuori molto lontano: intorno
a una curva simile all’asse della distanza, ma più grande: perché questa
curva si muoveva.
Il che significava, si accorse, che il Sole proveniente dalle cellule solari
era conservato da quando c’era stato il Sole. Conservato sotto forma di
energia.
Con ebbrezza, la Voce Buona aveva detto: «Il Sole colpisce la schiera
dei pannelli; non può sfuggire. L’abbiamo preso».
Ma questo Sole intrappolato era uguale alla mano del Sole che Imp Plus
aveva trovato dentro di sé?
La Voce Aspra si confuse con altre parole, ma disse quel che adesso Imp
Plus poteva soltanto vedere: una pioggia di vento senz’aria colpiva la luce
attraverso una maglia raschiata dalla pelle della Terra; ogni goccia di luce
perforava un puntino di ciò che la luce colpiva, e poi ciascun puntino
cercava un foro ma veniva fatto entrare in un cannello in attesa. Si
immaginò diviso fra quel che vedeva e quel che una volta aveva soltanto
immaginato. Vide alcuni puntini che scivolavano nello spazio come
un’astronave la cui errata angolazione al rientro non sia tanto errata da farla
bruciare nell’atmosfera terrestre. Vide la luce trasformata in granelli in
movimento. Ma trasformata anche in luce.
Sì: luce trasformata in luce. Non era quel che tutti gli Aspri e i Buoni
avevano detto che succedeva, e così Imp Plus irradiò ondate di dubbio che
venivano lungo l’asse della distanza. Ma le irradiò a partire, attraverso e in
direzione di se stesso. Vide che questa luce, bloccata o intercettata per
l’utilizzo, veniva trasformata solo in movimento: ma, dubbio o non dubbio,
la luce che colpiva i pannelli delle celle a griglia si era trasformata in luce.
Imp Plus attraversò il campo di quel che pensava fosse il suo cervello
desiderando vedere se quel che aveva visto era vero. Non vedere la luce, ma
una cosa che riguardava la luce. Ma ogni rotazione lungo la quale tendeva a
trovare sostegno per quel che aveva visto si squarciava con fori improvvisi:
poteva mettersi all’inseguimento di quanto sapeva essere lì sulla palpebra
interna di un limite, solo per ottenere una nuova assenza; oppure si
protendeva arditamente sul vuoto subordinato di ciascun foro per trovarlo
poi sparito e sparito con una velocità della luce che vedeva e invece
pensava che una rete di maglie fosse priva di velocità. O al di là della
velocità, e così la rete si piegava sempre lontano dal limite. Si piegava
costantemente all’indietro verso quel che poteva aver ritenuto come se
stesso, se questa densa sostanza non fosse stata già lui stesso, ovunque in
tutte le sue griglie e in tutti i suoi puntini. Il suo pensiero si protese verso se
stesso ma venne eluso. Non come la mano del Sole, dalle molte dita, che si
ritraeva, perché quel che resta resta, e questi lumen - cadano, fluiscano,
passino come devono - rimanevano ancora inseriti. Quel che sfuggiva era il
movimento di se stesso. Così proprio il cervello, se c’era ancora il cervello,
faceva slittare i letti dei suoi canali - o, se si fosse potuto fissare su un
punto, sembrava slittare e distribuire i letti dei suoi canali - e gli strati
irraggianti del campo colloso macchiato di scintille e l’inclinazione d’ambra
lontano da sé e verso una meta che la loro presenza in avvicinamento
avrebbe potuto far avanzare.
Lui si trovava in un punto.
E non era all’inseguimento del perché la luce si trasformava in luce.
Perché sovvenne a Imp Plus che il sostegno era così a portata di mano
da non essere altrove, e lui c’era stato prima; oppure aveva visto questi
puntini o particelle perforati nelle cellule per mezzo di gocce di luce perché
aveva visto che dalle sue cellule mancavano parti o particelle che quando
venivano colte dalla loro assenza risultante apparivano identiche a questi
puntini o particelle nonostante queste fossero state perforate da gocce solari
e quelle altre dentro di lui fossero state espulse da un irraggiamento che,
Terra non riusciva a comprenderlo, era ovunque e così non aveva alcun
bisogno di essere inseguito.
Non riuscì a trattenere la donna abbronzata. Si dissolse nello sguardo
degli occhiali dell’osservatore sulla duna, ma anche in tutti i terreni terrestri
color bronzo disseminati con campi di specchi riflettenti che offrivano il
Sole. Sempre più specchi a sottrarre il Sole, in maniera che il futuro
conteneva sempre meno persone.
Ai livelli di sussistenza.
Ma i campi di specchi con i loro corpi neri in competizione coglievano
il Sole con una tale lentezza che la Voce Buona si intromise fra questi campi
con il progetto.
Le ultime Apollo avevano da molto tempo abbandonato le spiagge
lunari.
Per andare dove?
Equipaggiare la Luna.
Sul mio corpo morto, disse la Voce Buona.
La Voce Aspra tossì e tossì, ma non voleva niente del genere.
Il Sole era il punto, diceva sempre la Voce Buona.
Quella vacca è una bella bomba vivente, dissero la Voce Buona e la
Voce Aspra quando Imp Plus ebbe riunito le loro parole. Mungetela, diceva
una di esse. Datele da mangiare, diceva l’altra; e l’aspra risata si unì alla
mala voglia, e Imp Plus vide che la mala voglia non era contro di lui.
Lo vide allora?
Lo vide adesso.
Ma se non la mungevano, diceva la Voce Buona, da dove sarebbe
venuto il latte? Dai campi? Dalle sabbie splendenti? Dagli ovali che le
menti tracciavano col gesso sulla lavagna verde?
Imp Plus non conosceva la parola mente. Ma adesso nella lunga notte la
cui lunghezza conteneva altre notti trascorse nello spazio insieme con la
Pallida Eco, conosceva la risposta della Voce Aspra: date una possibilità
esterna al Sole.
Equipaggiate il Sole, diceva la Voce Buona.
No, tossì la Voce Aspra, permettiamo al Sole di farci vedere.
Permettiamogli di sostenerci, diceva la Voce Buona. Fissiamo l’azoto
nei letti, sprofondiamoci dentro il vento solare, otteniamo carbonio in uno
stato reattivo ad alta energia.
Permettiamo al Sole, diceva la Voce Aspra, di sognare un sistema di
sopravvivenza.
Le missioni con equipaggio umano hanno chiuso, diceva la Voce Aspra.
Ma con che cosa? pensò adesso Imp Plus, che voleva vedere: quel che
adesso subito allora aveva visto: un cerchio di micropompe che erano
diventate un’unica conduttura verso ovunque fosse il cuore che pompava il
suo limpido umore vitale.
Con che cosa? giunse la sua risposta - e la conduttura guasta si ritrasse
nei cerchi e nei circoli di minuscole pompe di cui aveva pensato di trovare
l’inizio.
Con che cosa?
Perché che cosa era stato Imp Plus, in fondo, se non un corpo malato al
di sopra di una mala voglia? Diviso dunque, ma in che cosa? Diviso in
orbite.
Sorpassò se stesso ma ebbe paura di essersi fermato. E adesso quel suo
pensare alla luce da lui proteso con ignote inclinazioni per andare
all’inseguimento ruotava e si estendeva in tutte le direzioni, e però vedeva
che si trattava di se stesso. Gli sovvenne l’idea che adesso c’era un minore
livello di rotazione per pensiero, ma l’idea non cambiò quel che lui
guardava.
Che cosa avrebbe dovuto fare Imp Plus fra tutte queste orbite?
Leggere delle letture che anche la Terra leggeva. Prendere un po’ di
Sole. Essere privo di peso. Sopravvivere. Viaggiare con la luce. Colse che
cosa vedere e vide in grande e in piccolo, ma non riusciva ad avere meno di
quest’energia, e a che cosa serviva?
La donna aveva detto: «Viaggio luce», ma quello non era l’Operazione
VL. Le esigenze di lei non erano quelle dell’Operazione VL.
E le sue?
Ci si aspettava solamente che reagisse. Come le alghe. Ma non come le
alghe, perché le alghe non avevano alcun Circuito di Concentrazione
attraverso cui parlare.
È tutto per te, disse la Voce Buona.
C’erano altri test nella capsula buia. Che cos’era l’emisfero alla deriva?
Imp Plus pensava a come fare uso del Circuito di Concentrazione e
pensò che era possibile che non lo sapesse più.
Le trasmissioni della Terra se n’erano andate.
Ed ecco, c’era un minore livello di movimento per pensiero;
permettiamo alla Terra di fare il giro dall’altra parte quando è pronta.
Tutto per te, disse la Voce Buona.
Ma tutto che cosa?
Guarda, disse la Voce Aspra nell’altra stanza, sono le alghe e i test con
gli altri letti - è quello che sono - e non sono loro ad aver bisogno di te, sei
tu che hai bisogno di loro. Potresti diventare verde come i broccoli.
Come una manciata di spinaci. Fatto ruotare, più probabilmente, in
qualche sostanza, qualche sostanza priva di equipaggio umano.
Il Circuito di Concentrazione al quale la Voce Aspra aveva presentato
Imp Plus sarebbe dovuto diventare una seconda natura; ma la Terra era ciò
per cui esisteva: per far giungere sulla Terra le reazioni di Imp Plus per
mezzo di impulsi sulla frequenza.
Ecco quel che ne ricavi, puramente e semplicemente, aveva detto una
voce, e Imp Plus aveva reagito contro il sorriso che era venuto insieme con
la voce perché non riusciva a sopportarlo. Aveva previsto di essere solo. Era
così.
Lì, nella stanza verde più piccola e nella futura capsula, aveva previsto
di essere solo. Perché la voce che diceva: «Ecco quel che ne ricavi» era la
Voce Aspra che più tardi disse: «Non puoi continuare per sempre», e Imp
Plus solo adesso vedeva orbitare la notte che aveva rivolto verso la porta
che conduceva alla grande stanza verde in cui la Voce Buona faceva i suoi
piani - ma Imp Plus non era andato verso quella porta. E Imp Plus aveva
saputo qualcosa al di là delle parole: «Sto male», tossite in risposta verso la
Voce Aspra. Aveva saputo che la Voce Aspra era più sola di quella Buona, e
si era fatto così.
E questo aveva fatto arrabbiare Imp Plus più dell’osservazione di
commiato della Voce Aspra: cioè che Imp Plus avrebbe potuto trovare un
modo per usare il Circuito di Concentrazione per parlare con se stesso.
Il desiderio di fargliela vedere crebbe in Imp Plus come la sostanza alla
deriva che, si accorgeva adesso, era proprio quel che desiderava far vedere.
Nelle membrane periferiche gli strati di luce erano più bassi ma si erano
estesi. Voleva dire quel che riteneva fosse successo durante la notte. Ma non
poté accorgersene finché non cercò di dirlo. Voleva avere quel che aveva la
Pallida Eco.
Avrebbe capito meglio dove fosse la Pallida Eco quando la Pallida Eco
avesse smesso di dormire. Pensò che quando sarebbe venuto il momento
Terra avrebbe ritirato la parola SONNO, perché una volta Imp Plus l’aveva
avvertita come una linea mediana e si accorse di non avere smesso di farlo.
Ma non voleva vedere le cose una metà alla volta.
E non vedeva le metà quando le guardava. D’altra parte non vedeva
affatto la Pallida Eco. D’altra parte attraverso un’altra notte vide che una
volta non c’era stata alcuna Pallida Eco.
La notte con la donna vicino al fuoco messicano.
Non la donna al mare della California.
Quella pallida sull’altopiano di notte.
Aveva dormito con lei. Lui aveva detto DORMI. Quel che aveva voluto
dire, poteva chiederlo alla Pallida Eco, ma la Pallida Eco non c’era stata
intorno al fuoco ed era stato Imp Plus a dire alla donna quando erano
ritornati dal buio e lui si era seduto riscaldando un piede ferito e togliendo
qualcosa di doloroso dal piede finché non fu la donna a volerlo fare, e non
furono dita che lei tolse dal piede perché le dita stavano in ciò che lui le
diceva, le dita erano state le sue per quanto irretite e intrecciate dal bambino
che non era lì con loro nella notte messicana e che gli aveva fatto provare a
muovere il dito che lei indicava e lui aveva mosso quello sbagliato - e dopo
averlo detto alla donna pallida, lui aveva detto parole che l’avevano fatta
ridere e lei aveva detto che lui faceva sentire come una neo-vedova pronta a
ricominciare. Le parole che lui aveva detto erano: «Dormi con me».
Ma non riusciva a ricordare che cosa significasse, se significasse DORMI.
Era stato vicinissimo a lei per terra accanto ai colori del fuoco, e le sue
scarpe gialle erano vicino ai neri capelli di lei. Ci furono spostamenti di
sostanze.
I lumen degli archi di glucosio si erano estesi attraverso la notte e
sarebbero apparsi più bassi come i livelli di luce lungo le membrane
periferiche ma, più che essersi abbassati, si erano estesi. Ma allora Imp Plus
comprese.
Le sue luci potevano essere più basse perché adesso stavano ricevendo
una risposta.
Ma la trasmissione non era ovunque su una frequenza. Era troppo lenta
o troppo veloce da approntare. Veniva da più dei suoi luoghi di provenienza,
e all’inizio fu un’altra oscurità ma era piuttosto una specie di cambiamento,
e non era qualcosa che Imp Plus aveva fatto, ma visitò e rimase con la
sostanza di quel che era stato fatto, e lo divise non in due ma in tutte le
mattine che Imp Plus aveva conosciuto.
Era il Sole, e il primo remoto pensiero del respiro del Sole.
Il Sole stava tornando.
E Imp Plus stava tornando al Sole.
Era opera sua? Lo avrebbe fatto vedere alla Voce Aspra.
La ghiandola in profondità si infiammò alla sua vista, e lungo la
pendenza della giuntura dietro la ghiandola si era dissolto il campo di
cellule immerso nel giallo. E dietro di essa e in profondità al di sotto della
ghiandola brevi sezioni a strisce si evidenziavano attraverso il crepaccio che
una volta un piolo della sua volontà aveva scavalcato. E osservando
attraverso il crepaccio queste sezioni a strisce - erano tubi - comprese che i
tubi non erano lui ma da lui provenivano; ed erano gli stessi tubi che aveva
visto entrare nelle alghe; comprese che se le alghe e l’anabena e gli altri letti
per i test non possedevano alcun Circuito di Concentrazione attraverso cui
parlare, possedevano dei circuiti in direzione di Imp Plus.
Era in grado di osservare attraverso il crepaccio e di sentire però, come
un respiro proveniente da tutti i lati, ondate di sostanza che lo
attraversavano, ed era anche il ricordo di quel che era successo la notte.
Quando guardò verso la finestra che, si ricordava, era in grado di
pensare per conto suo e in cui non era stata impressa alcuna griglia perché
non ci sarebbe stato alcun uomo a stabilire la posizione, Imp Plus riuscì
appena a dire quel che vedeva in quel che aveva visto una volta in qualità di
corpo esterno che cresceva da una cosa che aveva creduto il suo cervello.
Voleva dirlo.
Ma non riusciva a parlare con Terra, perché che cosa avrebbe fatto
Terra? E lui doveva ottenere qualcosa dalla Pallida Eco e non si sarebbe
unito nel sonno con la Pallida Eco per ottenere qualunque cosa avesse visto
di volere.
L’alba incupì i circuiti dei tubi. C’era una cosa che, giungendo fino alla
notte nell’altopiano notturno o alla sua follia e al torreggiante mal di testa
che lo fece contorcere alle parole di commiato della Voce Aspra, era una
cosa meravigliosa; era che le correnti nei tubi si muovevano in due
direzioni. Erano alimentate dai letti per i test e alimentavano lui. E allo
stesso tempo si allontanavano da lui.
E sapendo di essere tutt’altro che pronto ad affrontare la nuova crescita
che adesso sarebbe stata visibile dopo questa notte che talvolta sembrava
contenere molte notti, lui fu un campo inclinato fatto di parti o squarci
indipendenti in gara fra loro, che volevano dire alla Voce Aspra che anche il
Sole senza dubbio proveniva da lui, da Imp Plus - volendo dirlo così tanto
che lui richiamò delle parole dalla stanza verde più piccola allo scopo di
poter trovare un modo per fare uso del Circuito di Concentrazione per
parlare con se stesso: ma le parole non erano state dette da Imp Plus, e poi
la Voce Aspra aggiunse con dolcezza: «Lo farai», proprio come meno di un
anno dopo avrebbe con dolcezza riflesso la parola svago detta dalla Voce
Buona.
Il permesso della Voce Buona aveva scandagliato lo strato mediano del
corpo noto di Imp Plus, ma lo fece principalmente attraverso il futuro
osservatore della duna con i suoi occhiali scuri che riflettevano il luogo
dove un Imp Plus noto incontrava una donna nota con una pelle che non
sarebbe mai stata sua ma che se lo avesse voluto abbastanza con forza
avrebbe potuto avere.
Avvertì che i dati noti lo svegliavano. Pannelli solari noti per i noti
bisogni di energia di un progetto noto.
Ma noto diviso per noto dava un aumento imprevisto.
La Terra stava chiamando, ma Imp Plus avvertì le dita del Sole che
erano anche le sue dita. Ma non le sue vecchie dita, quelle che insieme
uscivano dallo spazio e si univano per creare una splendente pergamena di
intrecci chiamata palmo della mano.
Le nuove dita sue e del Sole. Segmenti di ignoto avevano inizio dalla
vedovanza del cervello.
Oppure da ciò che gli giungeva sotto forma di un corpo malato per una
mala voglia, un dato noto per un dato noto, ma non era così: perché la mala
voglia non era soltanto nel modo in cui l’Operazione Viaggio Luce del
Progetto Energia Solare lo aveva usato con la bontà di quella voce - la mala
voglia era stata anche sua. Il desiderio che tutto quel fumo ricadesse nella
Voce Aspra e la soffocasse, e soltanto perché la Voce Aspra non sorrideva
verso di lui come la Voce Buona, per cui Imp Plus doveva aver avuto un
altro e sconosciuto fuoco d’odio.
Il desiderio aveva incontrato il Sole. Gli archi dei lumen e i lumen del
glucosio non venivano roteando da Imp Plus, né dal Sole, ma dal loro
mescolarsi che era più profondo di un tocco.
Presso la paratia andava alla deriva l’emisfero rimosso. Quando aveva
visto luccicare il suo segmento nella buia notte della capsula aveva
ricordato un’immagine della Terra, e pensò quello che, si accorse, non
aveva pensato prima: che l’emisfero non badava a lui.
La Terra poteva continuare a chiamarlo per sempre.
La Terra aveva risvegliato la Pallida Eco.
Quello che Imp Plus vide adesso alla luce dell’alba fu più di quanto
aveva visto, e in uno spasmo nella dispiegata fessura premotoria fu felice
che la Terra non sapesse.
Imp Plus vide se stesso.
Capitolo 8
Lui.
Se la trovò sulla bocca e nel respiro. Lui. Una cosa che era in ogni sua
parte. Ma adesso non era sicuro. Si accorse di avere sentito questo lui nel
cervello. Ma dov’era adesso? In troppi centri.
E ci fu uno spostamento simile alla sottrazione di una massa di terra in
modo che due o più mari che erano stati separati ora scorrevano insieme.
Che cosa era successo a questo lui?
Poi cadde negli umidi muscoli della luce. Lui li vide dalla piega di
quella fessura che era stata completata fin troppo. Li vide con gli angoli
della piega stessa. I suoi angoli si estesero quando guardò con loro.
Aspettare.
Non lo fece.
Cioè, non lo avrebbe fatto. Se non avesse aspettato, se ne sarebbe poi
andato?
Era Imp Plus e non aveva alcun nome prima di Imp Plus. Ma non era un
vegetale, nelle parole del giornalaio cieco che aveva detto che non sarebbe
stato soltanto un vegetale.
Imp Plus emetteva luce, anche se non era una stella. La sua luce
rispondeva al Sole e proveniva dal Sole. Ancora di più, perché andava
anche verso il Sole ed era una cosa fatta da Imp Plus. Non era una stella ma
un essere che non sembrava una stella e che d’altra parte era così chiamato.
E le precedenti ombre del suo corpo sulle paratie della capsula - conosceva
la parola corpo - erano sembrate delle stelline simili a storni. Le ali e la
coda, non il movimento.
Ma c’era stato del movimento nelle ombre. E più della vampa rossa in
alcuni punti intorno al corpo che lui usava per guardare il rosso. Ricordò i
fantasmi dei globuli rossi, venuti non dalla lavagna bianco-verde della Voce
Aspra che segnava quel che poteva trovarsi di fronte ma dal suo pensiero -
aveva pensato ai globuli fantasma con il rosso mancante, perché il rosso
respirava. Era il rosso che qui avvampava in certi punti?
Stella di mare. La donna in piedi si era piegata per curvarsi a prenderne
da sott’acqua le braccia e le gambe piene di sabbia e ne aveva sentito la
carne dura e l’aveva rimessa in acqua. Adesso la stella di mare era difficile
da vedere. Riusciva a trovarla dentro di sé se cercava di non vedere il
movimento nei bracci palmati della sua membrana; ma lui non era una stella
di mare.
Ritrasse parti della sua vista da diverse distanze intrecciate, pensò lui;
ma volle farlo soltanto dopo aver visto che esse erano venute da sole, e però
erano sempre lui, così le ritrasse. Le ritrasse in modo che, usandole insieme
per osservare la finestra o il muscolo o la piega-fessura, si accorse che
ciascuna di esse era il raggio di un colore: del marrone-diamante (da una
nocca-membrana piegata contro una paratia), del verde oliva proteso
(dall’interno del cervello in cui si incrociavano le vecchie vie oculari), o dei
rossi nudi (dove un muscolo di contrazione risolveva il Sole del mattino):
perché il raggio di un colore non è ovunque identico, si accorse. Attrasse
insieme queste determinate parti della sua vista in un punto breve come la
grandezza dello spazio che una volta si era accorto di saper creare con
divisioni e divisioni quando aveva cercato di guardare fra il bianco colloide
di una cellula collosa (o gliale) e le cellule a bastoncino che di tanto in tanto
infiammavano i germogli delle loro estremità attraverso questo spazio
divisibile e talvolta si scindevano in altre cellule a bastoncino che non si
infiammavano ma si dividevano soltanto. Questo breve punto era luminoso.
Un momento nella sequenza, una sequenza così fitta da sembrare un
fluido. Un momento così grandioso che per il suo tempo focale le diverse
distanze entrarono nell’asse della divisione singola producendo un suono:
un composto che non si era preparato a ricordare. Una folla di fluidi
allungati in legami di vibrazione che discesero in un corpo così vicino che
lui cominciò a dimenticare di non poter stare fermo nella sua musica. Ma si
fermò. No. Non voleva star fermo lì, e non lo avrebbe fatto.
Si accorse di aver conosciuto la musica; ma questa musica della sua
vista mantenne la voce di Terra vaga come le altre frequenze. Ma adesso
vide che quel che stava vedendo lo aveva visto prima. Adesso stava
vedendo una pelle di carne, e poi vide l’interno di una spugna con il bianco
sangue dei lumen, e poi adesso ci vide chiaro, attraverso quel che vide di
aver già stabilito essere trasparente. Questo adesso lo vedeva come prima
anche se con più chiarezza e con il peso di una conoscenza.
Che cos’era questo peso? Era un ascesso.
Ma ascendeva dappertutto; ovvero, si estendeva.
Il peso si inclinò con tutte le angolazioni, e franò. Le frane erano di
sostanza, ma il peso era separato. La sostanza poteva essere in granuli, e più
desiderava vedere più grandi erano gli spazi fra ciascuno di essi. Granuli
che erano masse levigate che rotolavano e si muovevano, aveva pensato,
dall’interno all’esterno e dall’esterno all’interno.
Non avrebbe arrestato quel moto per vedere l’ondeggiare delle spine che
si univano con la delicata e indistinta sommità dei loro bulbi con angoli in
cui si creò un’ala per camminare su una ventata di spazio. Ma a meno di
arrestare i numerosi movimenti che vedeva non avrebbe potuto vedere
questa carne vetrosa, questa azione aerea, e tutta questa coppa dai bracci
ottusi i cui punti d’ala - accadesse o meno quando urtavano le paratie - si
appiattivano poi sui lati.
Con degli angoli.
Che diventavano nuove sommità che si fecero appuntite quasi per fare
quel che poi fecero.
Che fu di allungarsi e allungare la sostanza di un braccio alare fino a
sembrare non più sottile ma al contrario - più spessa - fu più spessa e si
scisse in due. Che si protese insieme con altre coppie intorno a lui.
Per rendere le pieghe palmate tutt’altro che simili alle pieghe del
cervello che si erano dispiegate mentre il cervello cresceva come cresceva.
Ma continuò a non vedere il corpo. Era così? Oppure continuò a non
vederlo come pensava di dover fare. Poi una banda oscura attraverso cui
riusciva a vedere evidenziò sulla sua superficie una levigata ampiezza. Così
pensò che un’ala aveva superato una striscia di vento attraverso la banda.
Ma le ali che non si erano divise nelle braccia piegate ondeggiavano così
poco da sembrare piuttosto ferme per essere il loro pensiero.
Rimase conficcato sull’estremità dell’asse che era pronto a ruotare come
un raggio, ma adesso sentiva non il suo dolore, soltanto uno spruzzo di
bracci pieni di spuma che gli facevano desiderare di non essere lì - che era
come il dolore che sentiva ma che adesso non era un dolore. L’asse si
conficcò in lui nel suo livello mediano: l’asse della distanza: un mulino a
vento mise in movimento il Sole sopra di lui: l’asse guardò
telescopicamente in prossimità di un oceano: mirava al pesce: era
l’estremità animale dell’asse che era un raggio; le parole udibili (non
adesso) parlavano di materia monocellulare stratificata al di sotto della
superficie del mare che generava così qualcosa di levigato su di essa: l’asse
era un tubo che saliva dentro di lui nel suo livello mediano come un vento e
l’estremità oceanica di questo asse di distanza sul quale era conficcato non
possedeva alcun giornalaio vegetale cieco ma possedeva un nutrimento
vegetale. Finché Imp Plus non comprese quel che succedeva. Poi l’asse -
che era la distanza - guardò telescopicamente nell’altra direzione per
migliaia di miglia all’interno di parole udibili e non della prima voce ma di
una seconda che era una donna non della notte messicana o della spiaggia
californiana o la donna scura della siringa - e quella nuova stava dicendo
come facevano i pescatori a trovare dallo spazio quel che non avrebbero
mai potuto vedere da vicino e potevano far cadere l’asse dentro intere aule
scolastiche verdi piene di plancton, ma la prima voce era allo stesso tempo
nota e non lo era qui o adesso, e colpì un’incognita attraverso di lui, perché
se la seconda aveva ragione l’estremità terrestre dell’asse era il polo
animale e l’estremità di Imp Plus o lo stesso Imp Plus era vegetativa: così
lui disse di nuovo se stesso e lui.
Dopodiché per mezzo di spostamenti di sostanza franosa i granelli dei
lumen e i frammenti noti del cervello, che adesso erano rifrazioni che
nuotavano - come se la crescita fosse un viaggio separato - in quel che
aveva preso per il corpo cresciuto unicamente dal cervello, gli resero
difficile trattenere quella prima voce che veniva sull’asse della distanza. Ma
la trattenne abbastanza da vedere che si trattava della Voce Aspra che
parlava a voce bassa sopra un oceano sotto un mulino a vento che metteva
in movimento il Sole, che era, si accorse adesso, quel vento messo in
movimento dal suo corpo. Un vento solare.
A sua volta questo vento dispose attraverso la banda oscura l’ampiezza
levigata che andava e veniva tutt’intorno al corpo. Perché le bande
appartenevano allo stesso corpo che metteva in movimento il vento per
creare le cose levigate, attraverso cui Imp Plus quando guardava vedeva del
movimento anche se non c’era alcun movimento. E anche il movimento di
moltitudini di nuovi punti, luminosi ma quasi deflessi dalla luminosità,
forse in dissoluzione, che era l’ombra di una totalità che era altrove. E
vedendo nei bracci dei dardi blu si accorse di aver riunito parecchie distanze
nell’unica treccia della visione singola - il riunirsi dei flussi in toni di sforzo
che si abbracciavano stretti a lungo, e poi si rilasciavano e poi si
abbracciavano e si abbracciavano di nuovo finché tutti i loro canti non
ricadevano in una sola risultante: subito quel riunirsi trasformò ancora
questo composto di vista e membrana nell’immobile sommità della crescita
dispiegata, nodo dei nodi, corona delle fessure. E lo fece in tempo per veder
sorgere una nuova scheggia dal lobo di un letto che spruzzava gomiti o
ginocchia di cavallette nell’ammassata corrente del Sole. E vide in fondo
alla Fessura Premotoria, adesso quasi aperta e appiattita, la zattera di
membrane una volta periferiche che si piegava lungo la giuntura di un
braccio dentro il cervello e, essendo entrata, scavava lenti solchi debordanti
verso la pelle del tetto grigio-ambra del cervello, spingendo per uscirne
fuori.
Mentre in qualche altra parte del cervello vi fu il caldo lampo cremisi
che Imp Plus aveva in precedenza visto soltanto nei corpi periferici.
Non aveva altra scelta che di continuare a comprendere che cosa stesse
succedendo. Nessuna scelta se non essere centrato e osservare dal mozzo
del cervello, ma di farlo poi dai legami del corpo; di vedere nel frattempo
dai viticci circolari che si piegavano dalle cellule in prossimità di una
fessura aperta fino ai cerchi di quei messaggi compressi nel bulbo delle
ramificazioni, simile a una focaccia, dietro il cervello, fino (poi) alla fine
rotazione dell’estremità di un braccio che cercava di unirsi a un braccio
adiacente o di sfiorare la splendente paratia. Pensò ai frammenti - non
sapeva come, salvo che i frammenti, con una rifrazione in direzione di un
centro che a malapena continuava a possedere, o ciascuno mirando
separatamente la propria mossa lungo un tessuto d’inclinazione dai molti
lati, erano lui. Così Imp Plus cercò di tener conto, cercò di pensare - era
così?
Ma un punto focale dato, negli spasmi di quel congiungersi attrasse da
varie distanze soltanto alcune membrane, non tutte.
E guardando talvolta attraverso la luminosa opera del cervello, si chiese
perché quel congiungersi della vista lungo l’asse focale non interessava
tutte le membrane, tutte le distanze. Ma pensò che il cervello era come il
corpo nel suo non essere sempre trasparente.
Terra stava chiedendo a Imp Plus di rispondere. Terra riceveva massima
energia e massimo livello di glucosio, eppure riceveva una rapida azione
nella corteccia, SEI IN ALLARME IMP PLUS? Rapida attività nelle aree motorie
e sensorie, MI RICEVI IMP PLUS? AVANTI PER FAVORE IMP PLUS. CI SEI?
Ricordò un braccio, un occhio, una gamba. Ricordò di essersi ricordato
di ricordare gli occhi - proprio così - seduto con le sue braccia e le sue
gambe e concentrandosi sugli occhi finché non ci fu una preparazione, poi
un occhio, un occhio all’interno oltre ai due occhi che aveva e che avrebbe
perso. Così gli sovvenne lo spostarsi col vento della sabbia nella spiaggia
nella rete che macinava una sfaccettatura dopo l’altra, e così se lo
desiderava udiva i granelli della spiaggia sotto forma di pietre in modo da
poter sentire con uno spasmo di distanza che in prossimità del rumore
nell’unico orecchio da lui rammentato c’era una fetta di scheggia rocciosa
lungo la sua guancia. E sapeva di non essere più in grado di dire a Terra
dello spasmo come del movimento del suo udito perduto in mezzo a un
miliardo di singoli granelli di sabbia ciascuno con un rumore di roccia, e in
mezzo a tutto il frusciante movimento della fine superficie della spiaggia
dove giaceva in prossimità delle gambe sulle quali si era prima alzato nelle
secche dell’acqua. Ma se invece di spiegarglielo avesse voluto risucchiare o
spingere o rovesciare uno dei suoi bracci periferici di nuovo nel cervello per
toccare i lampi rossi che prima c’erano stati nei bracci, il punto effettivo era
che non voleva dirlo a Terra.
Non perché non sapeva se Terra era la Voce Buona o la Voce Aspra.
Non perché la Voce Buona era stata cattiva quando aveva mandato
l’osservatore della duna a fare la guardia su Imp Plus nell’ultimo weekend.
E non perché la Voce Aspra era stata aspra e sola. La Voce Aspra aveva
detto che Imp Plus poteva imparare a usare il Circuito di Concentrazione
per parlare con se stesso. Adesso, lungo l’asse della distanza in uno spasmo
che non voleva, c’era un movimento in prossimità del suo orecchio perduto,
e scendeva o saliva per la sua guancia perduta, e dopo tutto vide con i suoi
occhi perduti che qualunque movimento vi fosse in quel luogo era su
un’altra guancia, la guancia della Voce Aspra. Si aprì e ci fu anche un’altra
guancia che si aprì. E al di sotto di esse si vide un suono che si espandeva
sulla bocca in un’Aspra risata lontano dalla risata della donna sulla
spiaggia, ma sempre una risata, e condivisa. Ma su una distanza che non era
la linea di un asse. Se l’asse era mai stato una linea. Ma piuttosto una
distanza che era una forma. Ma non appena Imp Plus pensò che la distanza
fra la risata della Voce Aspra e la risata della donna si riduceva di un terzo
(che era il suo - ma allora, non adesso), la distanza crebbe più di tre volte
fino a non meno di una forma in quattro parti che era ancora l’asse della
distanza perché il dolore del fischio o del rischio o del raschio della distanza
produsse ancora lo spasmo. Eppure non proprio da oltre Imp Plus ma da lui
- se stesso.
Ma per quanto la Voce Aspra (che non era buona ma non era cattiva)
potesse dire che Imp Plus poteva imparare a parlare con se stesso sul
Circuito di Concentrazione, lui non aveva tempo per parlare con se stesso,
doveva monitorare quanto stava avvenendo. Era così, lui doveva monitorare
quanto stava avvenendo qui.
La zattera della membrana che Imp Plus aveva visto venire da un
braccio e curvare intorno a una giuntura fra cervello e corpo, e poi spingersi
verso l’alto nel cervello in direzione della sommità del cervello, era
cresciuta adesso proprio all’interno della superficie della corteccia ove
giacque luccicante con nel mezzo il punto ancora più luminoso che gli fece
vedere tutti gli occhi che aveva visto con il loro puntino luminoso nel
mezzo. Vide la membrana - o fu la membrana a essere vista - dall’estremità
delle fronde del corpo che si sollevava; ma allo stesso tempo le vide con
angolazioni simili a spasmi. E vedendo che questa membrana che si era
trasferita dal corpo al cervello era una membrana oculare, si rese conto di
vedere grazie a essa non solo le estremità delle fronde che adesso si
andavano placando (e alcune di esse rendevano vaghi come luce il plasma
del loro profilo), ma anche le mutevoli ombre e il luccichio rosso e azzurro
restituiti dal soffitto della capsula mentre riceveva ed era il calore del
mattino.
E sapeva ma non aveva spazio per pensarlo che una volta aveva visto
questa capsula all’esterno e all’interno. Né aveva lo spazio per trattenere
dentro la testa la Voce Buona che diceva: «Va’ avanti, sei libero di guardarti
intorno, è tutto tuo, da’ uno sguardo dentro».
Non aveva spazio, salvo per quanto stava avvenendo.
Salvo che quanto stava avvenendo faceva crescere uno spazio che era
meno di niente. Salì e scese in cerchi, dividendosi e dividendo le sue
sensazioni.
Era libero, anche se non dalle trasmissioni di Terra.
Queste erano come il luogo in cui era appena stato e partito. E quel che
stava per trovare - lo trovasse o meno - era come una ghiandola di luce che
con i composti della sua vista lo vedeva non di fronte a sé ma di traverso
mentre saliva e scendeva in cerchi.
Vedeva più di quel che utilizzava. Ma non avrebbe chiesto di meno. Le
sue viste si muovevano, e si vedeva appiattirsi il bulbo posteriore del
cervello, e questo sarebbe dovuto essere doloroso ma non lo era. Mentre da
questo bulbo posteriore che si appiattiva, e attraverso di esso, vide che in
basso in fondo alla fenditura le sezioni tubolari non erano sue ma esterne. E,
di conseguenza, le ali della sua vista scalpitarono per afferrare i tubi
dall’esterno; la sua vista si dispose ad angolo come per vedere dalle
membrane corporee a differenti distanze quanto vide di aver già visto prima
ma senza pensarci. Poi mentre vedeva - vedeva chiaramente i minuscoli
oblunghi alloggiamenti in cui due vie tubolari entravano nel cervello - si
aggiunse a quel che vedeva un flusso di parti venute dal cervello lungo uno
dei tubi vicini al punto d’ingresso dell’alloggiamento al di sopra dei letti di
alghe.
Alcune di queste parti del cervello erano bande di Sole ed esse
guardavano in ogni direzione per trovare una via d’uscita dal percorso del
tubo. Oppure poi furono dei nodi che fissavano lo sguardo in fondo a un
torreggiante mal di testa che non aveva. Nodi fusi in fuselli roteanti. Che
più li guardava più erano raggi. Le bande erano trecce di raggi alla caccia di
nuovi cerchi. Sempre bande di Sole ma del suo Sole e venute da lui, che
discendevano di corsa il canale chiaramente sospeso attraverso colline
d’aria.
In fondo al canale queste bande andarono da un tipo all’altro perché
vide che erano cambiate al momento in cui entrarono negli alloggi delle
alghe. E pensò di vedere frantumarsi e riformarsi le più piccole orbite
dentro le orbite - così come le cordicelle di elasticità negli angoli dei suoi
occhi si rilasciavano, perdevano pezzi e vuoti, e si irrigidivano nuovamente
- e d’altra parte anche le orbite dentro le orbite, che si frantumavano e si
riformavano, si rompevano quando erano colpite da altre correnti solari
venute dal Sole all’esterno - il Sole non suo.
In fondo al canale esse erano parti che lui stava perdendo a beneficio
delle alghe. Come nel vedere più di quanto utilizzava. Ma altre parti
entravano risalendo l’altro tubo nell’alloggiamento del cervello all’interno
del quale un chiaro disco pompava avanti e indietro la lunghezza
dell’alloggio, ma quando si tese per vedere più vicino si arrestò un
movimento a cui lui non aveva completamente fatto caso. All’inizio non
aveva desiderato tendersi; il tendersi era il desiderio, e sapeva di vedere in
piccolo e in grande perché, essendo proprio la cosa che vedeva, lui allo
stesso tempo conficcava la sua vista nelle terminazioni nervose e la sbatteva
nel corpo di un’idea futura che sentiva dentro di sé. E il tendersi per vedere
più da vicino continuò con una esitazione. Che fu un’esitazione nella
roteante corsa delle cose nel tubo ascendente in modo che pur continuando
a roteare esse smisero di risalire il tubo in direzione del cervello. Ma
l’esitazione che accompagnava la vista ravvicinata e questa esitazione nel
tubo ascendente era anche in un altro movimento: questo movimento (che,
nella sua esitazione, poteva essere visto solo per mezzo del ricordo dalla
vista in tensione di Imp Plus) era il respiro di un ciclo, e il suo esitare fece sì
che corpo e cervello per un istante apparissero uguali nella sostanza e
simultanei: e il ciclo simile a un respiro, che attese brevemente quando Imp
Plus si tese verso questa vista ravvicinata per ricominciare quando smise di
tendersi, era il palmo del cervello che si gonfiava per sollevare le dita del
corpo, e poi il cervello che si placava e si espandeva e il corpo che fondeva
le sue membra ed evidenziava con trasparenti densità quel che Imp Plus
aveva continuato a sapere: che c’era dappertutto una deriva di sostanza.
Uno spostamento.
Di nodi, fasciami e legami. Così adesso in tre, quattro, cinque o più
bracci che si estendevano dal mozzo del cervello si riusciva a vedere quanto
prima era stato solo (pensava lui) nel cervello: rami dalla bocca collosa
composti di cellule gliali color neve, che crescevano da bastoncini che si
infiammavano e non si infiammavano e si protendevano con una luce che si
contorceva libera mentre fasciava i fianchi della sua libertà: laddove adesso
nel vecchio cervello c’era da vedere quel che era stato in precedenza nei
bracci: nebulose strisce membranose alla deriva e brulicanti in prossimità
delle fibre color oliva delle vie ottiche. Poi in prossimità del curvo tetto
cerebrale che si stava abbassando (conosceva la parola - la parola tetto? - la
parola curvo? no: cerebrale, gli sovvenne riecheggiando) due spine
rilucenti che, lo sapeva, erano una volta state parte del contorno di un
braccio periferico scivolarono allo stesso modo qui lungo una membrana
visiva nel cervello in visita dai bracci - finché il letto o il canale della
membrana non si arricciò nel senso della lunghezza per accogliere o
avvolgere la spina; e per un istante di desiderio vide questa spina in maniera
così completa da farla crescere nella membrana. E così avvolti, essi si
scostarono dal sempre più basso tetto del cervello finché non trovarono per
protendervisi, i viticci che si allungavano dai bulbi olfattivi uno dei quali fu
adesso attratto con il suo apparato lontano dalla sua radice in prossimità dei
tratti ottici e lontano da quanto era stato il nocciolo del cervello verso la
sonda che si avvicinava simile a un braccio vuoto. E vide che questo era un
braccio, un arto corporeo, che entrava rovesciandosi dall’interno e lasciando
i limiti esterni della capsula e aprendo una bocca da sbucciare e rivoltandosi
dall’interno in un’area laterale dell’esterno. E quando spuntò una scheggia
da un’area anteriore, e Terra chiese qual era la storia e chiese più e più volte
se Imp Plus percepisse un’influenza esterna, lui fece rispondere alla Pallida
Eco che una sonda esplorativa era entrata in un’area associativa in basso a
sinistra.
In questo istante si ebbe il lampo cremisi in prossimità del nocciolo, e il
pollice o la testa del braccio rovesciato lanciò un vuoto luminoso per
toccare quel rosso e invece attirò dal nocciolo uno dei piccoli corpi insulari
situati al di sopra della ghiandola di fiamma, e ritrasse dentro di sé questo
corpo insulare. E poi dentro l’area esterna della capsula - perché il braccio
si rimaterializzò e si dispose, come un’ala o un raggio, in direzione delle
splendenti paratie grigie in cui era sospeso alla deriva l’emisfero con la sua
perla dalle venature blu, e Imp Plus aveva desiderato che il braccio lo
facesse.
Aveva desiderato che uno dei suoi bracci si risucchiasse nel cervello per
afferrare i lampi cremisi che aveva usato per guardare nelle parti periferiche
e che sembravano essere stati sostituiti lassù dai dardi blu che una volta
erano stati nel corpo del cervello.
Il rosso e il quasi-azzurro si avvicinarono e ricaddero indietro da
qualche parte al di sotto del luogo in cui si ergevano a galla le isole del
nocciolo, quelle che erano rimaste quando quelle due erano state risucchiate
nelle lunghe sostanze del corpo periferico che non poteva più chiamare
corpo. Una cosa che pensò dovesse essere un pensiero stava venendo da lui.
Allo stesso tempo proveniva da lui. Era anche una visione. Non la visione
da cui, vedeva adesso, voleva sfuggire mentre l’aveva. Non, non quella
visione. Un tipo di visione che d’altra parte non avrebbe eluso. Così pensò
che avrebbe smesso di eluderla. Era il tipo di focalizzazione che usava. Che
tipo? Sapeva di doverlo dire. Per dirlo, doveva cominciare, ma questo non
avrebbe potuto mai essere l’inizio, perché non poteva mai vedere e non
avrebbe mai potuto vedere l’inizio. Poteva solo continuare, e a frammenti,
frammenti che secondo lui andavano, ovvero, cioè, frammenti che
sarebbero andati bene. Ma mentre lo faceva, si sentì diviso e raddoppiato in
parecchi luoghi di se stesso, all’interno e all’esterno. Come faceva a mettere
a fuoco? Non c’era un unico centro. Si raccolse per vedere i letti d’alghe e
gli altri test sulle piante con cui si accorgeva adesso di aver vissuto senza
pensarci. E adesso si accorse di vedere i raggi-fuselli del suo mutevole Sole
che fluivano scendendo nel tubo proveniente da quell’alloggiamento vicino
a ciò che era stata la focaccia o il piccolo cervello. Si raccolse altrettanto
d’improvviso per vedere le membrane visive che erano andate dai bracci al
cervello ed erano cresciute o erano arrivate al massimo, e la membrana che
aveva nel mezzo quel punto grigio scintillante. Si raccolse per vedere nei
bracci adesso armati con parti della sostanza del cervello che si
protendevano verso il punto focale.
E colse, o arrivò a sentire, che il raccogliersi e il giungere a fuoco di
distanze diverse era come i pungoli muscolari degli spasmodici flussi di
carica. Così in ciascun momento della vista su qualche estremità della
crescita, la sua vista sarebbe stata un centro, o non lo sarebbe stata, o si
sarebbe spinta verso la cosa vista e avrebbe attirato verso di essa altri occhi-
membrana, tutti ad angolo in direzione della cosa da vedere, ad angolo
anche attraverso tutti i corpi all’interno di quello che era stato il cervello
perché essi potevano essere trasparenti o meno. A volontà, anche se non la
sua. Trovò che molte cose erano subito sue - tranne vedere o pensare. E
quando fu il momento di dirlo, perché non riusciva a dire subito molte cose.
E come se si raccogliesse come un vecchio centro perduto, era solo perché i
frammenti, alcuni di essi, lo permettevano?
Il braccio che aveva risucchiato le due isole da sopra la ghiandola di
fiamma e si era riavvolto nello spazio della capsula si era per adesso fuso
con dei corpi sull’altro lato, e le isole non erano da vedere. Il cervello e quel
che si era disposto oltre apparvero di più come una cosa sola. La divisione
continuò, ma lui si era abituato al dolore che era come la vecchia sensazione
del sangue che gli scorreva intorno al corpo.
Adesso un braccio raggiunse la finestra, perché pensò di averlo voluto
fare da molto tempo. La punta della gemma sondò le dense acque del vetro
attraverso cui vide di riuscire nondimeno a vedere che era come un’assenza
di ostacoli, così il tocco del Sole sui letti delle piante poteva operare senza
spostare alcuna rete di impurità. Ma l’acqua non era densa. Conosceva
l’acqua. Qui c’era dell’acqua, ma non un mare.
La punta della sua gemma sembrò, nel doloroso istante prima che
urtasse il vetro, ripiegarsi verso l’interno per creare una cavità di suzione.
Dalle numerose altre distanze (che erano delle membrane) da cui vide
l’evento, le sue fronde ondeggiarono e diressero il muso in direzione della
finestra sempre più lunga.
Muovendo quel che era già.
Ma allungandosi da qualche parte, anche se attraverso la carne della sua
pelle attraverso cui fu più difficile vedere nella luce del mattino.
Si muoveva. Ma cresceva anche.
L’uno e l’altro.
E in qualche composto che non conosceva salvo che era suo.
Sì, aveva voluto muoversi verso la finestra. La parte sfuggente, la
fronda o il braccio, che arrivò a vedere nella sottile luce della sua crescita e
nella cangiante sostanza, era un fresco inizio. Anche le altre. Da sole o
quando si univano per essere i lati di una coppa esalata da un piano che era
ciò che era stato il cervello.
Ma se alcune di queste isole, adesso più di due, che erano state (per
opera di lui-se stesso) risucchiate dal nocciolo del cervello erano fluite in
ciò che una volta aveva ritenuto il nuovo corpo o i nuovi corpi, e se i viticci
e le fiammate dei bastoncini nervosi e le colle color neve e le altre sostanze
e quelli che erano stati dei centri si erano spostati dal cervello ai corpi, la
ghiandola di fiamma era sicuramente rimasta.
E vicino a essa i blocchi di cellule in cui erano inserite le fibre dai colori
in codice, pensò lui, anche se vedeva solo il verde oliva; e sotto questi due
blocchi tutte quelle aree radianti che aveva abbandonato nella doppia
distanza del rosso e del violetto, che aveva abbandonato come la ghiandola
della fiamma o della scintilla, mentre guardava così da vicino il blocco dei
collegamenti inseriti nelle fibre in prossimità dei tratti ottici da fargli
trascurare, o da fargli desiderare di trascurare, un collegamento dalla
dolcezza salata così normale che cercò di distogliersene per vedere se la
Pallida Eco conosceva le parole giuste per chiamarlo, perché ciascuno dei
blocchi di fibre inserite era una profondità stratificata di quanto aveva
avvistato altrove in una coppa come una membrana così sottile che adesso
gli appariva piatta come una carta geografica. Ma non ne aveva alcun
diritto, perché ciascuna delle due coppe inserite punto per punto nelle due
profondità stratificate non poteva essere sua e doveva essere di lei, della
donna sulla spiaggia, e ciascuna delle carte geografiche distese era sottile e
curva come una tazza che una parte di lui non poteva chiamare retina.
E davanti a sé comprese di aver richiesto alla Pallida Eco di fornirgli
quella parola, ma aveva soltanto trovato la parola, retina, non la Pallida
Eco, e nessuna parola per il blocco di fibre inserite, dai colori in codice lo
udì più che vederlo - e udì nuovamente le parole Che cosa succede alla
mappa tridimensionale della retina quando non c’è più alcuna retina a cui
fornirla?‘E sentì un braccio e una gamba seduti dentro di lui e ripiegati in
modo da permettergli di concentrarsi sulla questione della retina, e si
concentrò finché non ci furono due retine, la seconda al di fuori di lui e
invisibile e un’idea un ricordo preparato, era così? Era stato così.
Ma la domanda aveva preceduto il ricordo. La domanda veniva dalla
Terra, ma non adesso.
Chi era stato a farla?
Avrebbe guardato fuori dalla finestra verso cui il suo braccio si era
proteso. Perché sentì fin nelle ossa che tutto quel che vedeva qui in se stesso
era proprio quanto si era preparato a vedere.
Utilizzò la piccola stampella sporgente all’estremità di questo elemento
corporeo per aspirare l’estremità nel vetro, e inarcò questo braccio in
direzione del luogo in cui la paratia si curvava in alto. Così facendo, si
accorse di aver fatto il movimento che sentiva di fare e sentì quel che aveva
voluto sentire: il cedere della crescita, proprio la cavità della crescita. Così
quando puntando la sua membrana lattea guardò fuori della finestra, si
distese un pensiero e lui si offrì la sensazione di girarsi, perché pensò di
volersi rendere conto di quel pensiero nella sua pienezza. Ma si rese invece
conto di volersi aspirare nel sonno, di voler dormire - e si rese conto di non
essere stato equo nei confronti del pensiero che si era verificato in tutta la
sua sostanza.
Così fuori dalla finestra vide quel che si trovava all’interno. Perché
dovette trovarsi di fronte agli occhi. Occhi che precedevano la vista. Occhi
non della vista ma del rosso e del violetto: fiammeggianti nella doppia
profondità irradiantesi al di sotto dei corpi inseriti nelle fibre ma con
ciascuna delle ammiccanti fiammate che distendeva (pensò lui) rapide
ombre attraverso tutta la corteccia. Occhi di fronte ai quali doveva trovarsi
perché non erano quelli di lei, ma i suoi. Eppure non i suoi ma l’assenza dei
suoi. Che aveva sempre saputo. Ma che senza seguire le fibre ottiche fin
dove divergevano dai tratti non utilizzati perché non c’erano occhi a cui
collegarsi.
Smettendo di guardare dalla finestra, Imp Plus trovò adesso più Sole.
Nuotava come gli altri giorni e le altre settimane e tutti i mesi, nuotava
dentro se stesso, ma non attraverso lo stesso cervello e lo stesso corpo.
Quanti giorni fossero Imp Plus non lo sapeva, ma sapeva che un giorno
era luce, un altro luce e buio.
Non si sarebbe rivolto a Terra per chiedere per quanto tempo era
continuato il progetto.
Terra non sapeva come faceva il glucosio a rimanere al massimo.
Terra non poteva vedere il rosso e il violetto che si irradiavano al di
sotto dei collegamenti delle fibre.
Terra si sottrasse.
Imp Plus vide che la sostanza nel cervello e nei corpi periferici scrollava
le spalle, e Imp Plus ricordava di aver sentito parlare delle spalle, ma non
capiva quando si fosse ricordato delle spalle, prima o dopo la grande alzata
di spalle della sostanza. Guardando da vicino non riusciva a vederla, e il
ciclo respiratorio rimase sospeso immobile e in quel momento di
uguaglianza fra un cervello e un corpo che non poteva più chiamare
cervello e corpo, Imp Plus davanti a sé seppe che Terra avrebbe sottratto le
radiazioni, avrebbe isolato la nuova scoperta delle membrane ottiche,
avrebbe messo sulla lista nera le perdute isole destinate ai bracci.
Le isole dei bracci, ma per quanto tempo ancora in tutti quegli
spostamenti di sostanze le vere isole sarebbero rimaste perdute per i bracci
dei lobi? I lobi limbici, in breve. Ma Imp Plus non aveva pensato limbici;
gli era arrivato; e non da Terra.
Ma attraverso parti così vuote che lui cercò di abbassare lo sguardo su
se stesso in modo che adesso dunque ricordava. Dalla testa ai piedi, lungo le
curve del suo vecchio corpo, le sue curve che cercavano di risalire da lui ma
che dovevano mantenere le distanze. Eppure adesso non c’era alcun punto
nella memoria, e quel che c’era di lui lo vedeva da numerosi punti uguali o
dai piani inclinati della membrana, che si dilatavano mentre li utilizzava in
modo che il vecchio corpo tornò da lui, ma sotto forma di una distanza
crescente per la quale c’era una parola, sconforto, che gli arrivò ma non da
Terra. La parola giunse in una voce una volta sua anche se adesso solo in
impulsi su una frequenza che arrivava lontano fino alla Terra, perché quella
era la Terra in cui era il suo corpo salvo un pezzo che doveva chiamare
cervello sbattuto su per il tubo, l’asse e la distanza della distanza in cui le
curve del suo petto non gli sarebbero tornate né i suoi peli del petto simili a
dita, dita nel Sole se solo avesse potuto fermarsi ma non poteva. La distanza
in cui le curve del petto erano libere da lui come delle suture, e le curve
dello stomaco erano così piatte che poteva quasi non vederne la buona
forma anche se non era buona come la Voce Buona ed era persino cattiva
essendo malato anche se persino allora si stava dividendo per un’incognita.
Distanze che si stavano dividendo nei deboli duplici canali addominali che
non erano quegli accesi ventri del cervello ora distesi come arti che
cercassero di diventarne la fonte. Ventri che si curvavano improvvisamente
lungo molti più peli che non erano dita ma che poi diventarono dita con un
sangue rosso che gli voleva bene, le dita di qualcun altro; e nella rotante
estremità finale di quell’asse esploso che poi diventava fisso come l’asse
della distanza, riconobbe la voce: e la voce era sua, e con diligenza, come
un astronauta naufrago e allo stremo, dava a Terra l’informazione che allora
una sensazione futura debolmente presente gli diceva che adesso non era il
suo Terra; ma lì nelle molteplici distanze del lancio, il lancio, era la sua
voce che segnalava a Terra la parola sconforto - la voce che adesso Imp Plus
dopo anni-luce udì il segnale sconforto dentro di lui e così, in ritorsione alla
parola sconforto preparata dalla Pallida Eco (perché era la Pallida Eco),
disse: dolore, triste, solo, distanza.
E la Pallida Eco con un sospiro che non poteva aver voluto fare al
momento del lancio quando non c’era stata alcuna separazione fra una ben
addestrata Pallida Eco, che rispondeva al nome di Imp Plus, e quanto era
qui giunto a essere un nuovo Imp Plus osservò che dire anni-luce era
sbagliato, perché la distanza era quella di un’orbita sincrona a 22.300 miglia
dalla Terra.
Ma quel sospiro Imp Plus si accorse che era silenzioso, e l’informazione
rimase non detta. E così l’informazione che non aveva saputo di possedere:
che il dilatometro di bordo misurava l’espansione dovuta al calore; che il
Circuito di Concentrazione metteva in comunicazione il cervello conscio
con Terra per mezzo di elettrodi; che limbico era un sistema nel nocciolo
che era collegato ai corpi nervosi dell’ipotalamo.
Aspetta.
Non si sarebbe fermato per queste bande di dati destinati a Terra
ammassate dentro di lui dalla Pallida Eco. Gli riportarono Terra sondando il
motivo per cui il glucosio si manteneva al massimo e se non fosse più
operativo il collegamento fra l’acqua e la sua strumentazione, perché
l’acqua doveva essere molto più bassa delle letture di Terra.
Imp Plus non lo voleva sapere.
Ma mentre ricordava quel «Va’ avanti, sei libero di guardarti intorno, è
tutto tuo», della Pallida Voce, si ritrovò a rendersi conto, come nella resa
della sua micro-vista multi-membranosa, che i corpi insulari che erano stati
risucchiati dal cervello nei bracci erano parte dell’ipotalamo, e che i nodi o
le bande, dallo sguardo feroce, del suo sole che discendevano ruotando il
tubo dal cervello alle alghe erano elementi radianti. Conosceva la radianza,
ma non quella che sentiva venire dalla Pallida Eco. E si rese anche conto
che l’altro tubo in direzione del cervello serviva al nutrimento. E cercando
la massa cerebrale adesso appiattita del cervello (che poi si gonfiò un po’
mentre guardava ma senza rientrare nella parrucca cerebrale), e cercando
anche la piccola massa cerebrale del cervelletto lì dietro, sentì che la Pallida
Eco si separava dentro di lui e lo portò a chiedersi, come un ricordo, se il
corpo che aveva fatto crescere senza alcun aiuto da parte di Terra fosse il
contrario del cervello conscio.
Ma no - trovò una sostanza non del tutto diversa dalla sostanza più oltre,
trovò dei centri ma nessun centro; nuovi campi di punti ondeggianti che si
inclinavano o si deflettevano ovunque dissolvendo qualche unica buia fonte
in ombre luminose; il suo corposonda che sfiorava il vetro della finestra
sentiva l’odore delle sabbie marine attraverso una mano porosa dalla
dolcezza salata che era la mano di lei. Ritrovò la ghiandola fiammeggiante
dove era sempre stata, ma il suo scintillio si disperse dappertutto dentro di
lui, non solo il moto respiratorio che già si stava espandendo e contraendo,
ma una marea di inclinazioni dalla crescita uguale si sparse dappertutto con
ciascuno dei movimenti del suo respiro.
Ma più del respiro, e c’era quasi il pensiero di non essere stato uguale a
prima. Era un pensiero verso cui si tendeva ma era sempre stato dentro di
lui e lui doveva pensarlo. Così guardò gli elementi radianti che ruotavano
come raggi per abbracciare i gas delle alghe. E guardò sia la ghiandola di
fiamma sia l’emisfero perlaceo alla deriva in una paratia, e osservando allo
stesso tempo la freccia blu e il lampo cremisi nella sua cangiante sostanza,
vide che le parole di Terra creavano una bocca sulla Terra: e quando Imp
Plus desiderò che Terra svanisse, la sua vista soffiò un foro all’interno di se
stessa e si lanciò in alto per non sospendersi ad alcun filo, e fu una
scheggia. Che, si accorse, era un elettrodo che era stato quel grigio bottone
luccicante proprio nel mezzo di quella membrana visiva, aveva operato
facendosi pensierosamente strada nello scalpo del cervello finendo così per
infilzarsi.
Si inclinò in direzione del pensiero che doveva fare guardando allo
stesso tempo parecchie cose che era riuscito a fare prima, perché la sua vista
era multi e micro e minacciava di essere troppo potente per essere d’aiuto e
doveva venire limitata. Terra rimase in silenzio mentre Imp Plus si inclinava
in direzione del pensiero che adesso pensava di saper governare. La Pallida
Eco appena assimilata da Imp Plus lo aiutò a proiettare degli impulsi nel
Circuito di Concentrazione per esaminare Terra sul rosso e sul blu cui la
Pallida Eco non rispondeva. Ma non lo fece neanche Terra.
Nel silenzio, Imp Plus fu in grado di governare l’emisfero allungandosi
e spostandosi. Ma mentre si spostava da dove aveva sentito l’odore della
finestra, il dolore del cedere e crollare fu peggiore di prima, perché su un
asse di distanza, di vegetale e animale, stava macinando una maglia di ruote
di denti - macinava la rete in una polvere che dovette poi conservare per
mezzo del respiro.
E tossendo, e toccando lievemente l’emisfero con quella sua parte in
grado di sfiorare e odorare, riuscì a governare quel pensiero.
Che prima lo aveva distolto dalla finestra.
Come un’attrazione di tutte le sue sensazioni.
Qui.
Fu felice che Terra avesse finito. Felice che dopo essere arrivato in
orbita avesse tirato fuori il suo alloggiamento. Perché era quello l’emisfero
nebuloso dalle venature blu. L’alloggiamento protettivo sul quale era stato il
cervello.
Il pensiero che adesso riusciva a governare fu piuttosto una causa per
tagliar fuori Terra. Perché Terra avrebbe fatto uso di lui. Avrebbe fatto uso
persino di quel pensiero.
Che era che con l’aiuto del Sole sarebbe stato in grado di crescere con il
pensiero.
Capitolo 9
Si tenne lontano da questo pensiero. Lo raggiunse ovunque. Le sue
nuove parti si sfioravano a vicenda nei contorni di luce e talvolta si univano.
Così lui non stava soltanto crescendo.
Poteva venire diminuito, quando due pelli di lumen si tendevano
insieme ed erano un’unica pelle e poi questo filamento fra di loro si
dissolveva. Si tenne lontano dal grande pensiero che aveva fatto. Ma gli si
era stabilito sopra e lo ricopriva. Così se ne liberò lasciandogli fare quello
che voleva. Così stava cadendo con una tale lentezza che ci mise molto a
vedere che anche il suo lento movimento era un sollevarsi. Dal basso, un
sollevarsi ma non un allontanarsi.
Si tenne lontano, pensò lui, da questo pensiero: il pensiero di poter
crescere con il pensiero. Ma se lo ritrovò tutt’intorno, la crescita e il
pensiero, il pensiero e la crescita, si aprì ed era vicino e sentì che si trattava
di se stesso ma sentì che si trattava di meno.
Ma ancora si tenne lontano. Doveva farlo.
Talvolta aveva detto le parole triste e solo, ma non le conosceva, e si
chiese se fosse in grado di pensarle dentro di sé ma si chiese dove fossero
immagazzinate visto che riusciva a ricordarle.
Si tenne lontano dal pensiero di poter crescere con il pensiero.
Come avrebbe potuto fare a soffocare sulla polvere macinata da quegli
assi? Ma non aveva niente con cui soffocare. Né alcuna testa o alcun collo -
perché era lì che soffocava soffocando. Con la faccia blu. D’altra parte le
teste possedevano occhi che vedevano. E lui ci vedeva.
Vide salire e ricadere, atterrare e sollevarsi, il pensiero della sua
crescita.
Ma se ne tenne lontano. Cercò di sapere che c’era ed era opera sua. Ma
per essere o tenersi lontano si ritrovò di nuovo a pensare perché soffocava.
Che cosa significava soffocare? Non aveva niente con cui tossire. Però
c’era ciò su cui soffocava: perché vide che dove la punta delle sue fronde
ammassate sfiorava e avvertiva l’odore della finestra, la finestra si spostava
e riversava facendola cadere la sabbia di cui era fatta, la faceva cadere nello
spazio azzurro del mattino. Nel frattempo, allo stesso tempo, con tale
facilità pensò a che servisse, la ghiandola a fiamma lenta che era un ultimo
segnale centripeto di ciò che era stato il cervello e che adesso racchiuse a
bulbo il suo flusso sulle tinte opache dei tratti ottici e del loro incrociarsi.
D’improvviso la forza della ghiandola era straripata e aveva rallentato le
roteanti Trecce Solari delle cellule a mezzogiorno. Così Imp Plus non vide
lo scopo in questa disinvolta energia della ghiandola. Allo stesso tempo le
ali o i raggi frondosi si erano arrestati nelle loro molteplici forme, e adesso
una di esse era cresciuta dentro e attraverso ciò che era stata una terraferma
e un serbatoio per quel che era stato il cervello: così quest’ala o questo collo
in questo pigro momento di esitazione era il corpo di un ponte che
conficcava o cingeva più in basso una lamina di sostanza illuminata a sua
volta dallo sguardo dei due tubi che entravano nell’alloggiamento in cui era
la pompa a disco. Ma nei tubi la corrente diretta al cervello, o alle piante,
adesso si muoveva appena, non più di quanto non si muovessero gli altri
limiti della sua carne, delle sue penne, dei suoi contorni e delle sue fronde.
E la caduta delle sabbie per pulire il vetro della finestra si unì all’inutile
forza dell’ostinata ghiandola luccicante che ingrossava l’impedenza, e si unì
alla fissità accumulata della gamma di differenze del suo disimpegnato
nuovo essere, quasi per pensare in sua vece; e soffocò.
Lui conosceva la parola soffocò ma non il suo significato, e così non
poteva soffocare su quella parola, ma soffocò.
Su un’assenza.
Anche se non soffocò su quella vecchia assenza di ostacoli che era il
modo in cui una volta gli impulsi erano venuti dalla Terra sulla frequenza.
Soffocò adesso su un’assenza che era un ostacolo.
Un’assenza che non voleva, che lo gonfiò a sazietà.
Che cosa fece?
Mentre quel che vedeva malgrado un certo bisogno di smettere di usare
l’ultravista era l’opposto di un rigonfiamento. Era sul rimpicciolimento che
sarebbe stato incline ad agire. Perché lui stava tossendo senza sapere che
cosa fosse tossire. Ma non era incline a far nulla, tranne essere.
Così attraverso tutto il fumo latteo del grande pensiero ricaduto,
sollevato, disperso, il flusso solare fece l’unica mossa. O quasi unica:
perché, distolto dall’azione, Imp Plus era d’altra parte incline al contrario, e
quando poi il Sole produsse meno luce Imp Plus seppe che questo non
poteva essere proprio il Sole, non poteva essere la grande mano che si
ritraeva; perché le cellule gliali e i neuroni - conosceva i neuroni - e quelle
altre cellule, simili, grazie a un rovesciamento procreato, alla precedente
natura dei neuroni, non infiammati ma in grado di dividersi - erano stati tutti
a mezzogiorno. Perché lo aveva pensato. E dato che doveva dunque ancora
scorrere sin dalla marea di mezzogiorno, la diminuzione della luce era
dovuta a Imp Plus non al Sole.
Imp Plus era incline a dormire. Una notte precoce stava scivolando per
il flusso solare rallentato. Era quanto aveva soffocato sulla luce che veniva
costretto a rallentare sempre di più?
Perché lui soffocava. E quel che si gonfiava, e si gonfiava in direzione
del sonno, lo confuse e lo fece sentire sempre più ricco mentre la luce
rallentata e permanente lo avvolgeva e lo abbracciava facendogli respirare
per sempre il suo gas ma facendolo smettere.
Smettere e poi smettere, però.
Perché non poteva respirare; perché quali polmoni aveva per respirare?
Ma non ci voleva un polmone per guardare, pensò lui: perché,
guardando più da vicino attraverso la luce che chiaramente non poteva
respirare, vide che dappertutto il rimpicciolimento si protendeva fuori di sé
per gonfiarsi come un’inspirazione. Cioè, si gonfiò un po’ ma si sentì meno
soffocato. Ma poi ritornò al punto di partenza. D’altra parte, avendo
guardato, sembrava respirare quando guardò nuovamente a causa della sua
tendenza a dormire; e nella grande sospensione lattea che era il pensiero
della sua crescita, vide parti più grandi di tutte quelle che erano state
contenute nella sospensione lattea per la prima volta che l’aveva vista
occuparlo come un’ombra. Ma le dimensioni non erano tutte uguali. Vide
che quelle più grandi erano composte di altre più piccole, e mentre
guardava queste ultime smisero di evitarsi a vicenda e improvvisamente si
protesero insieme, scissero i gusci del loro flusso, si bloccarono e si
unirono.
Altrove, ricordando che guardare lo faceva respirare, il che voleva dire
che non soffocava, le trecce del Sole facevano ruotare la loro luce; e le
particelle del fumo latteo rimbalzavano l’una contro l’altra senza colpirsi: e
le particelle più grandi - conosceva esplodere - esplodevano in particelle più
piccole.
E Imp Plus si gonfiò e fu incline anche a rimpicciolirsi e a gonfiarsi e
rimpicciolirsi nuovamente, e moltitudini di particelle esplose scivolarono di
nuovo insieme, e l’affusolato Sole rotante rallentò.
Imp Plus si accorse che no, era solo perché era in grado di respirare che
lui soffocava. Ma lui dormiva perché era in grado di soffocare, il che era -
vero? - un’altra tendenza fra le tendenze. Ma il soffocamento era il sonno, il
sonno era la notte, la notte era non vedere. Dato che sia vedere che guardare
erano la vista, e dunque parzialmente identiche, e dato che guardare lo
faceva respirare, e lui non poteva soffocare se non respirava - perché
doveva guardare.
Il che significava che non doveva dormire.
Anche se guardare non era vedere. E le particelle grandi e piccole erano
indecise se radunarsi o disperdersi.
Che erano due tendenze fra le tendenze. Tendenze straripate da una
ghiandola a fiamma lenta che sembrava illimitata come la sua vista.
E se come la microvista al di là della capsula essa era unita in quella
lunghezza di spazio azzurro pomeridiano in cui da qualche parte un
nebuloso Terra dalle venature blu restava sospeso come una ghiandola
conservata, poi si collegò anche alla dolcezza acquea dell’occhio di un
corpo che alimentava Imp Plus sull’impulso del suo colore contratto sulla
fessura di una pupilla per mezzo di anelli muscolari rinchiuso come
l’esperimento di una Stazione Orbitale di Monitoraggio in grado di cambiar
dimensione.
Diviso, Imp Plus udì in una membrana dilatata che la voce che diceva:
«Vanità» diceva: «Meno male che non ho fatto la valigia». Rispose con
voce soffocata qualcosa di perduto. E in un’altra membrana contratta udì,
con un esplosivo impulso soffocante che risalì e discese la sua testa
superba, una voce che diceva: «Ma quale sarebbe il vantaggio di una
capsula in grado di cambiar dimensione?» La stessa voce di cui sentì anche
l’odore mentre diceva (così aspra che Imp Plus desiderò scuotere la testa da
una parte e dall’altra per uscire da una camera che lo soffocava con la
polvere di gesso): «Il cervello può segnalare la mancanza di zucchero ma
non la mancanza di ossigeno, così ti terremo d’occhio per qualunque
accumulo di co2». Le parole furono difficili da aspettare. Stava soffocando
anche se adesso non aveva alcun cervello ma aveva invece un collo senza
testa dopo l’altro e diverso dal collo che una volta si era preparato a salvare.
Oppure l’operazione aveva rovesciato i piani all’ultimo momento e aveva
salvato il corpo e non il cervello?
Soffocò attraverso le acque vellutate di occhi il cui allettante intrico era
perso per sempre; tossì attraverso le parole della voce, Viaggio luce.
Soffocò attraverso un ultimo digrignare di denti disintegrati irretiti lungo un
asse fra gli assali - era così. Una digrignante divisione del corpo malato per
la mala voglia: la vide nella finestra della capsula come il reticolo che
avevano lasciato fuori vide
CORPO MALATO
MALA VOGLIA
che si dissolveva nel vetro limpido e ricordò soltanto la digrignante
divisione del corpo malato per la mala voglia, operata attraverso la sabbia
soffice e la strada dura per distanziare l’osservatore della duna ingranando
la sfiancante iperguida: ma andandosene verso che cosa? per trovare in tutti
i torreggianti mal di testa di quell’ultimo weekend il corpo sulla volontà, in
un costante intrico di desiderio al ritorno in macchina verso il Progetto
chiamato Viaggio Luce, solo perché era diventata la sua segreta volontà sul
corpo da cui quel segreto desiderato doveva essere diviso.
Tornato alla fine del weekend, poi, al segreto campo di crescita, Imp
Plus era soffocato come se non avesse voluto farlo su quelle parole,
accumulo di CO2. E adesso sulla o che era tutt’intorno a lui. E dentro di lui.
Ma vincolata nell’assenza.
E adesso appena cresciuto ma lontano in direzione del sonno, lui sapeva
soltanto che sarebbe soffocato se non avesse fatto un’altra cosa. Ma poi
un’altra. Molte. Era così. Falle in fretta o altrimenti.
E in mezzo alla bomba della grande ghiandola che come la sua multi-
microvista sembrava sconfinata e perciò disimpegnata, la trovò anche non
uguale alla sua vista; perché la ghiandola non avrebbe potuto avere un
punto focale: se non dove andava almeno un punto focale rovesciato nella
sua fonte. Perché la ghiandola emanava la sua omni-influenza dallo stesso
vecchio centro di quel che era stato ma che adesso non era il cervello.
Eppure di più: questa differenza fra ghiandola e vista fece girare Imp
Plus come un respiro da e verso la ghiandola e il suo campo. Avanti e
indietro oltre l’incrocio ottico. Qui lo offuscamento era adesso diventato da
molto tempo verde oliva chiarissimo in prossimità delle fibre. Ma era stato
fatto diventare una girandola a raggi, così tanti che per un momento non
avrebbe visto che le ruote erano prive di bordi e che i raggi radianti di così
tante lunghezze distendevano molti colori fissati per un momento
passeggero sui punti dell’assale delle ruote ma poi si lanciavano come steli
sradicati o come animali lunghi e bassi con placche invece delle membrane
scivolate nell’acqua, le acque di tutti i campi del flusso.
Accorgendosi che le strane parole raggi di colore erano vere, non
poteva smettere di sapere il perché.
Perché la differenza che aveva trovato fra la grande ghiandola e la
multivista fece volgere Imp Plus verso una nuova differenza. Era nelle
rotanti trecce solari di quelle che erano state le celle a mezzogiorno ora a
metà pomeriggio. Quel che vedeva nelle trecce solari rallentate sembrava
causato dalla luce dell’immobile fumo latteo del suo grande pensiero ma
portava anche quell’accecante grumo e spugna di luce sotto forma di
particelle ultramicron a emettere la molla delle loro maglie e delle loro
levigate strutture. Come faceva a conoscere ultramicron? Quel che vedeva
era che quelle Trecce Solari dal magnetismo invertito che si irraggiavano
nei campi del suo spazio erano le trecce di due Soli non di uno.
E quello nuovo era un sole venuto da lui. Il suo.
Un sole che era lui.
Lo aveva visto in frammenti e onde più lunghe di quelle di Terra ma più
corte dei lunghi gomiti e degli stinchi in navigazione che erano i grandi
raggi del Sole, alcuni più grandi altri meno, entrambi più grandi del suo
unico tipo.
A cui si accompagnarono - e in una meravigliosa treccia d’angoli che gli
diede per un unico ultimo momento un ottenebrante rapporto fra il corpo
noto e il corpo noto più il corpo sotto il corpo sotto gli occhi della duna:
così per quel momento che avrebbe riconosciuto come il suo ultimo e più
allettante colpo di tosse, ricordò le ondate calde di lei e le sue, libere e
sciolte insieme come se quei corpi non fossero sempre perduti per lui.
Di conseguenza seppe ciò che, si accorse poi, aveva cercato di sapere
prima. Questo pensiero si realizzò prima di saperlo, e la realizzazione fu
una scossa priva di fonte che lo fece girare come un dispiegarsi da lontano
vicino a lui, o come un pensiero che era suo compito imparare. Corse per il
colloide che si faceva denso e fece saltare fuori gli ultramicron con un
crollo all’opposto del crollo in modo che furono sospese insieme in
elastiche maglie reticolari. E le Trecce Solari e le inondazioni del Sole si
mossero di nuovo, anche se Imp Plus ebbe una pausa riconoscendo che cosa
fosse stato a causare il cambiamento di carica. Perché di quello si era
trattato, di un cambiamento di carica. E la causa era una scossa che era un
pensiero.
Il pensiero che non solo poteva pensare la sua crescita, doveva farlo.
D’altra parte non erano i suoi mutevoli bracci a pensare lui?
Ma la pausa era un modo per parlare, un debole suono di come qualcuno
una volta aveva parlato. O di come una cosa aveva fatto crescere un nome.
E adesso c’era così tanto che fluiva dal nuovo strato, che lui riusciva
soltanto a pensare di dover cercare di sapere quel che sapeva. Delle linee
argentee - due - attrassero il suo pensiero; ma non ancora, perché adesso
avrebbe pensato soltanto ai tubi solari. I tubi si mossero ancora, o lo fece
quanto stava al loro fianco. Stava respirando.
Le cose nei tubi erano diverse.
Le bande nodulari del duplice Sole non erano tutto ciò che adesso
correva distintamente dal suo alloggiamento ai letti delle piante. Ciò che
non erano le bande erano le correnti di un’altra. Punti all’interno di punti
che si sostenevano a vicenda ma non si difendevano contro la sua vista
perforante. Che si avvicinava molto oppure no. A seconda di che cosa, non
lo sapeva. Questa mancanza di limite non era buona. Si avvicinò, o portò a
sé i tubi, ma non sapeva cosa doveva fare con quel che trovava.
Perché lo faceva pensare a se stesso. Alle marce costantemente
ingranate su una strada in riva al mare. E non sarebbe tornato a quella ricca
miscela che lo aveva soffocato fino a godere di quel soffocamento. Ma
tendendo stavolta verso le correnti nei tubi, non avrebbe pensato al di là di
esse fino a quel che una volta aveva pensato fosse un pensiero che era in
grado di governare. (Non conosceva governare).
Così per un po’ vide soltanto quel che vide. Punti di orbite all’interno di
orbite. Ma un punto o corpo dello spazio si ripeteva. E l’elemento era un
guscio d’orbita più piccolo sostenuto - come? fra due gusci d’orbita di
grandezza uguale e leggermente maggiore per creare un grosso spazio vuoto
in una compatta totalità di roteanti orbite incrociate, in cui il più veloce dei
corpi nelle orbite si manteneva più vicino ai gusci più grandi che non al
guscio più piccolo nel mezzo, e d’altra parte in modo che tutti e tre i corpi
ne creavano uno.
Seguì contemporaneamente entrambi i tubi. A lui piaceva questo
semplice moto doppio più della miriade di raggi che la sua vista sarebbe
arrivata a sostenere, se avesse scelto di farlo. Perché pensava ai due occhi di
una volta e a come le loro linee si incontrassero sempre in un punto che si
poteva vedere, come una linea di gesso che diventava un’ellisse o un dente
giallo acceso che illuminava l’umido fianco della bocca che si avvicinava al
punto focale della sua bocca.
Ma non doveva pensare così, doveva vedere quel che c’era: che il tubo
ascendente dai letti delle piante all’interno del suo essere riportava solo
parte di ciascuno dei corpi che aveva visto lampeggiare nel tubo diretto alle
piante: le parti esterne o le orbite orbitanti, non i gusci d’orbita più piccoli
nel mezzo: così quelli più piccoli restavano nei letti di piante, e quelli più
grandi ritornavano: e se quando il tubo ascendente smetteva di scorrere lui
soffocava, allora quello ascendente portava qualcosa da respirare: che non
voleva dire che l’orbita intermedia leggermente più piccola e rimasta nelle
piante non fosse da respirare, anche se non lo sapeva.
Aveva detto ultramicron. Lo aveva saputo.
Dalla Pallida Eco adesso assorbita.
O da ciò da cui lo aveva saputo la Pallida Eco. Dalla Terra, una volta.
Recinzioni, una volta - era così - recinzioni degli, o intorno agli,
ultramicron. Gli ultramicron erano tutte le particelle del suo pensiero, il suo
grande pensiero dal quale per mezzo di un lieve cambiamento di carica da
potere a dovere si era mosso, ma che si era disperso in sospensione e a un
certo punto si era coagulato tendendo a una viscosità soffocante finché non
ebbe invertito la carica e finché non ebbe invertito la sensazione posseduta
da una particella verso l’altra: così invece adesso si mantenevano separate, e
questa sospensione dispersa si dissolse nel suo essere - né in alto né in basso
né indietro - e non la si vide più. Ma che cosa faceva la parola ultramicron?
Ultravioletto la conosceva dalla Pallida Eco, ma la parola era albedo, ed
era stato istruito affinché la ricordasse; l’albedo veniva misurata
dall’Operazione VL. Ma l’albedo era una copertura. Una mimetizzazione,
diceva la Voce Buona. E l’ultravioletto non veniva solo dalla Pallida Eco,
veniva dalle istruzioni della Voce Buona, e veniva dal Sole e avevano detto
tu non la puoi vedere, né puoi vedere la D che, oltre l’involucro della Terra,
i suoi angstrom potevano contribuire a portare - gli angstrom non erano
lengley e tanto meno henry - Imp Plus rammentava di ricordare decine di
lengley - e se l’ultravioletto veniva dal luminoso Sole intrecciato, la D non
era Pallida come nella parola debole, ma se l’ultravioletto come il pensiero
veniva per mezzo di ultramicron, Imp Plus poteva vederlo e forse l’aveva
visto.
E Terra con tutti i suoi monitoraggi non lo avrebbe saputo. Ma Terra
adesso non stava monitorando. O, se lo stava facendo, non per mezzo del
Circuito di Concentrazione. Che Imp Plus aveva tirato fuori da una o più
pieghe. Anche se quale fra le schegge in sospensione con le loro onde di
deflusso fosse la radice del Circuito di Concentrazione non aveva bisogno
di saperlo.
Ma allora, dalla finestra che aveva toccato senza vedere al di là di essa,
come un mero sogno del mutevole collo o braccio che l’aveva toccata,
osservò adesso l’intera capsula. Vide quel che stava diventando. Ricordò di
non capire il tempo. Rivolse nuovamente lo sguardo sulla finestra attraverso
cui non voleva guardare. Poi gli sovvennero i nomi delle sue parti, e rivolse
lo sguardo su se stesso dove vedeva ancor più tempo. Perché il cremisi che
lampeggiava in brevi vene che aveva cominciato a vedere su tutto se stesso
durante gli spostamenti di sostanza e che lampeggiava nel calore del giorno
non molto la notte, adesso lo vedeva nel buio limite del ponte corporeo che
insinuava degli strati attraverso una distorsione di ciò che era stato il
cervello. Questo netto lampo cremisi gli fece ricordare di non aver visto
molti lampi cremisi adesso. E vedendo questo Imp Plus, seppur dirigendosi
altrove verso due linee argentee che non riusciva a localizzare, trovò
ovunque su di sé un momento di molti lampi cremisi.
Il che era uguale, si accorgeva adesso, all’estesa sensazione del suo
grande pensiero di crescita appena prima che si trasformasse in particelle
che si sollevavano e ricadevano in una soluzione che da una libera
espansione coeguale mutò in un colloide. Conosceva la parola colloide,
proprio mentre aveva pensato che sarebbe stato in grado di governare quel
grande pensiero di crescita. Ma mentre vedeva su di sé il lampo cremisi,
disposto in modo eguale, che eguagliava il pensiero che in effetti non aveva
visto il cremisi, vide anche che l’unico cremisi ad aver improvvisamente
venato l’estremità del ponte era stato così netto perché era in ombra - quel
se stesso ombra contro la finestra che si trovava fra lui stesso e il Sole. Ma
quando si chinò rimuovendo l’ombra e sentì dilatarsi le reti cellulari di
quella distorsione - che era quanto sentiva come calore il cremisi non
lampeggiò.
Continuò a guardare e alla fine non vide, perché le membrane visive si
dilatarono. Così pensò che questo sguardo ravvicinato aveva fatto centro su
ciascuna di esse, come l’elettrodo simile a uno spiedo, e ciascuno dei centri
si era dilatato.
No: cioè, guardò dentro la carne del movimento e dentro l’elastico
reticolo di cellule, e ancor più vicino: così si profilò un nuovo e delimitato
scopo, e si ritrovò cadendo come se fosse stato in grado di vedere il futuro
guardando così da vicino la carne delle pareti cellulari; e in quel momento
trovò la caduta altrettanto riccamente opprimente e paralizzante del
soffocamento di prima, e si sentì ritorto e strattonato a un’estremità di una
fascia elastica o di un legamento oculare che allora non avrebbe cercato.
E il dolore gli fece ricordare.
Ma che cosa?
Che lui era in un bagno elastico. Di una pelle elastica fatta per lui. E il
dolore gli fece ricordare il cedere-crollare, e se stesso - anche se non era
sicuro di quel se stesso e non lo avrebbe cercato.
Si ricordò del cedere-crollare, l’allungarsi su un vuoto che non
riconobbe finché non lo ebbe superato e non ebbe visto che lo aveva fatto
esistere per riempirlo e così vide quel che non aveva saputo fare quando
aveva fissato la sua microvista nella sua sostanza, così in profondità da
arrivare oltre la profondità fino al potenziale. Vide quel che non aveva
saputo fare. Lo vide perché il suo allettante profilo gli diede la possibilità di
farlo cadere in tutta la possibilità finale. Lo vide anche perché delle parti qui
nella capsula, parti in cui infilava la sua vista, parti la cui sostanza era
infiammata dalle trecce del suo irraggiare e di quello del Sole, lo avevano
sbucciato via da se stesso. La microvista aveva più potere di quanto fosse a
conoscenza. Lo sosteneva. Le dita brune con un anello d’oro sbucciarono
una manica per mettervi un punto. Una siringa. Ma qui nello spazio era lui
che aveva fatto il lavoro, e nessun altro.
Che era di penetrare - doveva (si accorse che doveva) dire quel che
aveva fatto - sbucciare e penetrare nella microvista fino a quelle sue
interiorità talmente infinitesimali da distoglierlo dalla cosa intera che adesso
era.
Aveva voluto vederla in questo modo?
Guardando, non seppe che dire. Si era più che allungato e aveva
pungolato la pelle elastica che il Progetto aveva disegnato per avvolgerlo;
l’aveva scacciata da se stessa. La lucentezza che adesso aveva non era
quella pelle che il Progetto VL aveva adattato per lui. Quella pelle si era fusa
con lui.
Guardando, non seppe che dire della cosa intera che si accorgeva di
essere, ed era anche la sua vista.
Dove una volta c’erano stati quattro dirigevoli o perfoscranni o bertagli
o morfogeni, la divisione ne aveva creati molti, e numerosi. Quel che
doveva vedere era che il suo unico centro stabile era quel che lo circondava:
la sfera della capsula. Questo arco era collegato all’alloggiamento del tubo
delle piante sotto quello che una volta era stato il cervello, per mezzo di due
cavi dallo spesso isolante in argento che correvano da una scatola oblunga
fissata in un posto sulla paratia della capsula di fronte alla finestra accanto
alla quale Imp Plus adesso aveva cercato di situare e confinare la sua vista.
Che cos’erano i dirigevoli, i perfoscranni, i bertagli e i morfogeni? Quattro
versioni del suo corpo e di se stesso.
Parole che ricordavano altre parole, ma parole nuove per quel che era
diventato.
Osservò i suoi margini che si addolcivano e si sollevavano tutti insieme
per sostenere: ma con niente da sostenere, pensò lui; ma mentre pensava
questo, l’unico grande margine di sostanza urtò in parecchi sostegni ovali.
Il bertaglio dalla gradazione d’ambra balzò sul suo essere ma lasciò la
sua estensione inferiore là dove era venuta, e vide che questo bertaglio, che
aveva gli orli della copertura drappeggiata debordanti e cadenti e la notturna
trasparenza del perfoscranno che una volta era stato, attraversò con un balzo
attraverso la paratia per ascoltare accanto alla scatola da cui venivano i cavi
dal pesante rivestimento. Una scatola di controllo.
Ma se i dirigevoli adesso erano uno solo, Imp Plus scoprì, vincolando
un morfogene a ciascuna delle estremità di un asse visibile in una parte del
dirigevole, che una volta il dirigevole era stato molti e in un certo modo lo
era ancora. Molti che cosa? Sentì di non saperlo dire, perché vedere era il
bisogno o l’effetto del dire: molti approdi. Ma tre, quattro, o molti
dirigevoli si erano distolti dal loro movimento.
Dovette vedere il suo essere soltanto così com’era adesso; perché
nell’ascesa e caduta della sua carne dalla lucentezza vetrosa, che si
trasformava in un’onda, intorno oppure poi attraverso ogni circuito, spirale
o spiovente dell’interruzione di flusso, e molti spioventi non li riconobbe
finché nella caduta o nell’ascesa non riconobbe di essere stato preparato, si
ritrovò pieno di quel che era stato.
Cioè, dove il campo aveva trovato un modo per essere un limite, o il
limite aveva trovato un modo per riconoscere la sua diversità dalla paratia,
dalla pelle, o dall’irraggiamento che toccava, e così protendeva il suo asse
trasversalmente a se stesso per andare a unirsi lateralmente a un limite in
modo che il limite fosse improvvisamente capace di irrompere e prendere
ed essere il proprio plasma di contiguità, vide che il ricordo del bruciore di
un cedere e dell’incrinatura del sangue gli fece passare la voglia di vedere.
Vide il precedente protendersi che era stato abbastanza presente da
crescere all’interno di se stesso. E vedendo questo passato non distante - il
precedente tendersi ed estendersi, le increspature rosso scuro o verde
pallido più di gradiente che di movimento, la trasformazione delle reti di
micro-orbite di superficie in pellicole di seta per vedere il Sole, e d’altra
parte in sete nebulose per rallentarlo - Imp Plus dovette protendersi lontano
dal momento di quei ricordi prossimi; perché gli offrirono di scivolare giù
per l’asse della distanza fino a tutte le forme della Terra che adesso non
potevano essere sue e lo avrebbero soffocato nelle parole che gli
lanciavano, ombre di ciò che aveva visto e di ciò che era e di ciò che adesso
invece intendeva essere e vedere, qui all’interno di se stesso - cioè, separato
dalla Terra.
Così per mezzo dell’inclinazione i bracci si estendevano lateralmente in
direzione di altri e non erano bracci. Allora i corpi così uniti e dunque
indistinti videro chiara la strada da fare per estendere la loro membrana
lungo un corpo che si era sembrato pensare equidistante da tutta la capsula.
Così il più poteva sembrare meno, nel limite del co-movimento - per
frantumare solo allora la sua risposta alla radiazione solare in tutte le
lunghezze d’onda: in modo che, attraverso i lunghi rossi, i brevi azzurri e
violetti, e i medi verdi e i più strani ma anch’essi medi colori dorati che
erano anche dappertutto delle membrane, l’unica velocità della vista si
divideva emettendo così tutte le frequenze.
Ma le frequenze di che cosa, non era sicuro.
Una venatura cremisi venne e se ne andò con una tale velocità da
tracciare una spirale, e con una tale velocità che la spirale apparente
sembrava due, e altre in campi sincroni o in file apparenti di necessità
lanciate in avanti si avvicinarono quando poi sembrò giusto che si
avvicinassero. Non era una crescita quanto un movimento. Non un moto
quanto un’inclinazione di gradiente.
La forma dei respiri tutt’intorno cambiò ma continuò, continuò a
cambiare.
Non si aggiunse a se stesso come prima.
Salvo per scoprire che, quando un respiro più grande e una ragnatela
sazia affollarono fra tanti bracci di passaggio l’arco della paratia della
capsula per sentire l’odore dell’aspra unione del loro pensiero, era sempre
possibile una contrazione che era una crescita così come lo erano tutte
quelle aggiunte.
Che se ne erano andate con il cedere-crollare e le venature dei lampi
cremisi.
Ma adesso, con più cambiamento che aggiunta e con più moto che
cambiamento, il cremisi continuò nel luminoso cuore del tardo giorno che
era molti giorni, e adesso Imp Plus arrivò a pensarlo, il cremisi moriva la
notte quando veniva il freddo, o quando Terra diceva che veniva. Ma che
cos’era il freddo?
Una fiancata - l’unica fiancata e con nuovi pori di umidità - l’unica
fiancata per il momento (essendo stata un’ala, un collo, un dito del naso) - si
arricciava adesso verso un letto di piante assumendo l’angolazione oblunga
dell’alloggiamento. E per quel momento di ombra bruna Imp Plus vide un
tremolante avvolgersi sotto la lattea membrana arancione e sentì in tutto il
suo essere la parziale perdita del Sole nel letto di piante. Ma lo sentì nel
nido arricciato del dolce odore tremolante dell’avvolgersi che era la risata
che ricordava in una spina dorsale che non possedeva.
E dall’umore di questo abbraccio, caldo come una ghiandola, freddo
come un’ombra, di una conchiglia melanesiana alimentata di nascosto dalla
fame di alghe affamate di luce che vi cresceva dentro, Imp Plus scelse di
retrocedere. Ma prima di poterlo fare, vide il suo braccio non
nell’alloggiamento in plastica che stava toccando ma in qualche sostanza
giù nei letti. Che cos’era?
Eppure la fiancata o il braccio rallentò in un rosso-arancio simile al
saltuario luccichio dell’incrocio ottico, e la fiancata si rimosse con una tale
lentezza dal limpido alloggiamento che circondava che Imp Plus si accorse
che questo era quello che aveva voluto.
Far alimentare la ghiandola gigante per mezzo della lingua del suo
giardino? D’altra parte farla così scivolare nelle piogge della distanza non
fino ai mari della Micronesia, contenenti un’area di manutenzione di colore
verde-azzurro, ma fino alle spiagge delle berte che non poteva raggiungere.
Aveva un’altra risposta. Il marrone tremolante sui Ietti per i test.
Nell’ombra gelida della sua fiancata. Il tremolio stesso, sì, verificato
proprio per mezzo della lentezza della sua rimozione. Verificato per vedere
se il tremolio del freddo in questi specifici letti d’alghe fosse veramente
stato dove lui aveva pensato.
I tubi fra se stesso e le alghe risplendevano per l’azione. Che non
doveva fermarsi.
In direzione delle piante in uno dei tubi correvano due tipi provenienti
da lui stesso: primo, gli elementi rotanti, ciascuno un piccolo guscio di
micro-orbita sostenuto fra due gusci uguali di microorbite più grandi; e
secondo, i fuselli - fuselli fatti ruotare dagli sguardi di nodi irradianti il sole.
Il sole che all’inizio aveva ritenuto lanciasse uno sguardo feroce perché
era il grande Sole colto nelle vie dei tubi, e poi più tardi perché era il suo
sole irradiante una forza al suo viaggio vegetale; ma adesso Imp Plus vide
che i fusi erano il suo sole che bombardava il limpido canale del tubo
diretto alle piante per intrecciarsi nuovamente con le perdute giunzioni dei
quanti solari, e poi si accorse che nella corsa verso le piante alcuni dei fusi-
raggi attiravano l’altro Sole nel tubo affinché si intrecciasse nuovamente,
mentre alcuni lo facevano appena raggiunte le piante, e alcuni altri nella
miriade di fusi-raggi, rossi e oro-ambra, non si intrecciavano ma, raggiunti i
letti delle piante, colpivano le alghe con uno spruzzo, strappando brandelli
di verde e di luce dalle piante umide in cerchi che non aveva visto finora e
nei quali non voleva smettere di rimanere.
Salvo per vedere che le frequenze rossa e oro-ambra di questo Sole
erano state osservabili per molto tempo attraverso la crescente dispersione
della vampa, una volta centrale, della ghiandola una volta ardente.
Non gli importava.
Il pensiero arrivò d’improvviso.
Così d’improvviso che il movimento dei dirigevoli aumentò in una
solida spirale, come se la velocità ne cambiasse il tipo. Poi non gli importò.
Ma la spirale oscillava. Questo pensiero ne colorò la causa come un
raggio che avanzava e si dissolveva, avanzava, si dissolveva, in modo che
guardandosi per intero lui poté dire di essere solo, e perciò non gli
importavano i collegamenti. Terra avrebbe detto: «Sembra una stella marina
che si trasforma in una scarpa dai colori dell’arcobaleno, un uccello
implume che si trasforma in una ghiandola, un corpo che si trasforma in
un’orbita». Ma Terra non avrebbe saputo quanto succedeva.
La Voce Aspra aveva parlato contro i monitor video all’interno della
capsula.
A Imp Plus non importava. Avevano voluto una forma di vita da
sostenere, e che non potevano permettersi di perdere. Un cervello che si
trasformava in informazione.
Lui e il Sole silenzioso si erano piegati per ingannarli, era così? Non gli
importava ma non poteva fermarsi. Quel che vedeva qui gli aveva causato
del dolore.
Lo aveva valutato.
Fece moltiplicare la sua vista. Così nel suo balzo peninsulare un
bertaglio dalla gradazione ambrata fece una pausa, o sembrò farla, a metà
strada, e abbassò lunghi margini di tessuto azzurro, che tornarono nella loro
precedente natura ai più pigri e produttivi perfoscranni simili a neuroni,
mentre i morfogeni, rimbalzando sugli, e dagli, assi dei dirigevoli toccavano
i balzi dei bertagli e la superficie rialzata dei perfoscranni, per attirarli fra i
dirigevoli.
E i dirigevoli nella loro solida spirale ascendente e discendente, e anche
pienamente alla portata della multivista in cui si placava Imp Plus,
raccolsero il moto d’irraggiamento in una fissità simile alla sua orbita: o, al
di là della sua orbita, in una possibilità cui non voleva pensare.
Cui non voleva pensare.
Era quel che era. Per Terra, per il Progetto Viaggio Luce, per la Voce
Buona.
Voleva, era stato. Così allora non avrebbero dovuto pensare a lui. Il che
portò a una possibilità a cui non voleva pensare.
A cui non voleva pensare.
Ma pensare o no, doveva vedere che cosa succedeva adesso. Perché
doveva vederlo, perché farci caso? Le parole erano in uno stallo
d’opposizione, e la sua sostanza poteva essersi trasformata in morfogeni
liberati dal plasma assiale dei dirigevoli, perché vide se stesso - ed era un
pensiero mutevole - quasi del tutto suddiviso in tutte le suddivisioni
possibili, divisore e dividendo.
Ma soltanto quasi - oppure era così? - perché quel che stava succedendo
adesso sembrava il potere del «quasi».
Perché gli ultra-punti si sostenevano l’un l’altro turbinando ovunque ma
senza incontrarsi. Campi di punti. Imp Plus conosceva la parola campo. I
campi si protendevano insieme come piani di possibilità ma gli ultrapunti
non si toccavano, si sostenevano l’un l’altro, distaccati anche se vicini. Imp
Plus cercò di sapere di che cosa fossero punti. Si disse che erano nella sua
mente. Ma quando ancora una volta confinò la fonte della sua vista alla
cresta della membrana ottica sulla spina di un bertaglio che ancora una volta
si era posizionato accanto alla finestra, e i campi erano ancora più sottili e
affilati di prima per la multivista, ma adesso erano visti intersecarsi a
vicenda, seppe di avere visto campi da molto prima del fumo latteo degli
ultramicron in sospensione del grande pensiero, e lui aveva pensato questi
campi come ombre della luce.
Ombre, adesso che vi ebbe pensato, venute da quelle particelle del suo
sole che non si erano intrecciate con il grande Sole.
E così potevano ancora essere.
Ma guardando dall’ampia lunghezza del raggio membranoso
dell’esitante bertaglio, vide che molti di questi campi provenivano da una
sola fonte superficiale in alto, da cui era sospesa alla deriva una scheggia-
elettrodo espulsa; e in questi campi di ultra-punti fluirono dunque sotto
forma di cono e fu una voluta perché andava a spirale in un imbuto
eternamente incompleto - finché non si rompeva e si appiattiva seguito da
altri. Ma adesso Imp Plus vide il cavo, una volta nascosto, che correva dagli
alloggiamenti della pompa e dei tubi delle piante nel cervello - o in quello
che era stato il cervello attraverso la corteccia fino a questo sito-fonte dei
campi-imbuto. E in questo sito su quella che era stata la corteccia, quella
scheggia nell’aria una volta era stata fissa.
Questi campi di carica, allora, provenivano dal filo scoperto che correva
dai tubi nutritivi in direzione del cervello, alloggiato sul margine del
cervello. E la carica del filo proveniva dai cavi, dallo spesso isolamento,
che arrivavano a questa sottotraccia attraverso il breve spazio dalla scatola
sulla paratia della capsula di fronte alla finestra. E adesso riconobbe la
capsula. Aveva udito riecheggiare nel gigantesco guscio di un luogo in cui
la Voce Buona aveva mostrato dov’era che le sfaccettature della pelle
dell’IMP, composte di stretti pannelli recettori a celle solari, si alimentavano
dalla capsula in questa scatola interna. Spatola, l’aveva chiamata la voce,
avendo già detto: «Va’ avanti, sei libero di guardarti intorno, è tutto tuo». E
la gigantesca stanza - di servizio, l’aveva chiamata la voce che riecheggiava
nella capsula IMP ormeggiata, aveva sprangato le intricate onde del guscio
valvolare su Imp Plus, ma forse anche sulla Voce Buona, in modo che Imp
Plus desiderava stare da solo con il suo desiderio.
Che portava non al dove ma al come: o così aveva pensato lui, non
sapendo che avrebbe pensato la sua crescita e si sarebbe separato da Terra
in occasioni più curiose di quanto egli stesso avrebbe previsto. Perché
aspetta: quel soffocante colloide del grande pensiero per cui lui era in grado
di pensare la sua crescita aveva fermato non solo le duplici correnti nei tubi
delle piante ma la pompa a forma di disco all’interno dell’alloggiamento, e
la pompa non aveva ricominciato fin dopo il benvenuto attraversamento da
parte della carica del sempre più denso colloide facendo scoppiare gli
ultramicron o qualunque altra cosa intendessero sospendere, dispersa o in
via di dissoluzione nelle reti degli elastici meccanismi.
Ma aspetta: quanto aveva arrestato la pompa aveva fermato quanto la
faceva andare, e quanto faceva andare la pompa sarebbero stati i watt venuti
dalle celle solari nei grandi pannelli montati all’esterno con il recettore
dell’albedo e la macchina fotografica agli infrarossi.
Pensò di non volervi pensare. Riportò Terra che diceva: MASSIMA
ENERGIA NEGLI ACCUMULATORI. GLUCOSIO IN AUMENTO. Riportò la Voce
Buona che aveva detto - non «Vanità», che era venuto in seguito dalla
donna pettinata sulla spiaggia, ma - «Non vuoi continuare per sempre».
Riportò Terra che diceva CHE COSA SUCCEDE LASSÙ? e pensava che Imp Plus
aveva continuato per troppo tempo. (Anche se per quanto tempo? oppure
per quanto troppo tempo?)
Lui era una cosa.
Nel bene o nel male.
Le Trecce Solari si imperniavano sulle linee di corrente esterne e sulle
traiettorie dei dirigevoli e attraverso i rigonfiamenti labiali dei perfoscranni,
con i pori scintillanti con tarde croste minerali della forza della grande
ghiandola vista ovunque sia in questa crosta tarda che nelle forme della
vampa. E il suo sole spruzzava lenti banchi di particelle. Gli piacevano
lenti. Gli avevano causato del dolore. Dovevano averlo fatto.
E lui amava le funzioni della vista e del gusto e del pensiero e
dell’olfatto e le occasioni desiderate e mantenute in memoria. Amava le
eruzioni morfogeniche adesso accoppiate su ambo le estremità di molti assi
simili a pioli - non lungo i moti dirigevoli ma lungo perfoscranni che
sembrarono così spuntare le frange drappeggianti della loro pelle d’oro, e
trasformare il loro aspetto pigro in scuri tagli, uno dei quali adesso, con due
morfogeni che più e più volte si gonfiarono a bulbo con la carne che si
faceva opaca, si abbassava ancora ad abbracciare due serre per i letti di
piante, collegate fra loro. E Imp Plus seppe di non poter neanche voler
fermare quanto, lui sapeva anche, poteva portarlo al perché si fosse tenuto
lontano, si fosse distolto, dal grande pensiero di poter crescere con il
pensiero.
Perché l’ombra sui letti delle alghe e dell’anabena lo gelava fin nelle
ossa, contraeva i dirigevoli, offuscava le croste di forza che scintillavano
nei pori dei perfoscranni. Ma più di tutto - i raggi-fusi della sua radianza si
rincorrevano dentro di lui in direzione del tubo diretto alle piante quasi in
opposizione a una cosa cui somigliavano tanto da non fargli vedere diversi
movimenti. E i battiti dei morfogeni liberarono subito dal suo abbraccio
quel crescente bertaglio per verificare per contrasto cosa avesse fatto
l’ombra gelida; perché Imp Plus si accorse che le correnti nel tubo diretto
alle piante correva di nuovo a tutta forza, e ugualmente la pompa
nell’alloggiamento di quella che era stata l’estremità diretta al cervello.
Così la pompa rallentava quando i meccanismi delle piante perdevano il
loro Sole. Ma le particelle della radianza non vincolate al Sole in
precedenza si rincorrevano formando delle trecce all’interno di Imp Plus per
arrivare al tubo diretto alle piante. Ma se la pompa - che pompava che cosa?
- ricavava il suo potere dalle celle solari attraverso il circuito voltaico,
l’unica cosa che poteva far rallentare la pompa (o farla fermare, come si era
fermata quando Imp Plus stava soffocando) era un cambiamento in
quell’energia.
La perdita d’energia era venuta con la perdita di Sole quando Imp Plus
aveva fatto ombra ai letti delle piante. Solo una cosa collegava le due
perdite: il rincorrersi al suo interno di una radianza senza trecce, anche nelle
parti in cui si trovavano le sezioni del cavo a spatola dei dispositivi solari
montati all’esterno.
La radianza erano raggi, era una luminosità, era il suo sole. Ma nella
radiazione di questa promessa lui non sapeva che cosa poteva essere, questo
suo sole. Un rincorrersi della radianza, ma una corsa a ostacoli verso il tubo
diretto alle piante.
Dalla sua angolazione alla finestra guardando all’interno pensò di
vedere onde di trasmissione che avevano smesso di arrivare a tutte le
schegge in sospensione tranne una. Eppure altre schegge potevano
rimanere. In secca, in profondità. Se in profondità, forse adesso in
movimento attraverso tutte le correnti e le intersezioni delle sue operazioni.
Che trovò difficili da sentire senza la multivista che stava cercando di non
usare.
Sembrarono di più, ma sembrò più lento. Correndo sottotraccia per
entrare nel tubo diretto alle piante, i fuselli delle radiazioni del suo sole
sembrarono ostacolati da una cosa - un filtro: finché Imp Plus non vide che
questa era la vecchia forza radiante della ghiandola una volta infiammata
che per il momento non riuscì a trovare.
Trovò la sua microvista infiammata nell’azione e adesso trovò di nuovo
il flusso della ghiandola in impulsi di particelle e in maglie così fini che
comprese il motivo per cui i suoi raggi-fuselli avevano un’impedenza così
faticosa da aprirsi respirando una via d’uscita, e mentre vedeva i reticoli
carichi e devianti del flusso attraverso i quali i raggi-fuselli radianti
lottavano per avanzare, comprese a malapena, nell’aprirsi di tutto il dolore
che avesse mai conosciuto e che adesso bruciava completamente, un respiro
dopo l’altro, e che inviava gli impulsi proprio nel suo nome - compreso a
malapena - che le particelle del flusso ghiandolare, anche se infinitesimali
accanto ai raggi-fuselli, erano in quasi tutti i modi e in ogni luogo uguali e
identici.
Questo rivolgimento - questa mente o questo moto - gli arrivò non da un
sito-fonte simile a quello dei campi a imbuto; arrivò subito su di lui; così si
sentì uguale a se stesso nello stesso momento in cui non aveva altro posto
cui rivolgersi.
Finché non vide che si trattava di una recinzione terrestre.
All’interno era una cosa, all’esterno un’altra.
E la recinzione con un’insegna rossa di alto voltaggio gli diceva che qui,
nella capsula e nel suo essere, l’isolante argenteo nel cavo dell’energia
solare non era stato forte a sufficienza contro i reticoli del suo campo, i suoi
raggi alla ricerca di un utilizzo.
Lui fu setacciato avanti e indietro attraverso la recinzione ma il dolore
se ne andò non appena riconobbe che il recinto era lui.
Se filtrato mediante il reticolo, si trasformava nel reticolo. Dissolto,
ricostituito.
Era difficile e aveva bisogno di aiuto, ma lo aveva avuto.
Si faceva difficile ma non soffocante.
Ciò che lo aveva salvato dal soffocamento fu che doveva pensare la sua
crescita. Ma nell’ultimo lungo momento non era cresciuto. Si era mosso,
proteso, contratto, e innalzato. Ma non era cresciuto.
D’altra parte le occasioni di andare oltre portavano a delle occasioni. Un
gelo dai letti delle piante gli aveva detto che era una parte di esse. Un
bambino tossiva nel fumo invernale. Le cordicelle intrecciate si rilasciarono
e si irrigidirono nell’angolo degli occhi, diventarono rosse se riscaldate e
poi elasticamente ripristinarono il loro respiro a raggi X. Il giornalaio cieco
diceva che sarebbe potuto essere un vegetale. La Voce Aspra disse qualcosa
che non andava male. Imp Plus vide che il gigante micronesiano con le
alghe dentro era proprio lui - anche se perché non bruno per il Sole? ma,
mentre la grande conchiglia poteva aprire il guscio con i suoi muscoli
adduttori, non poteva ingrandire la capsula.
Era stanco ma al caldo. Le parole gli fecero ricordare: di quasi nulla
però: poi la spina dei bertagli tracciò una cresta di morfogeni sulla loro
lunghezza, simili a una mano ricoperta e Imp Plus si accorse che pur
mancando di labbra lui aveva riso.
C’erano più raggi-fusi ma non più dei suoi. I raggi-fusi si ritrovarono
intrecciati in misura uniforme con la corrente dei quanti irradiantisi dalla
mano del Sole di prima sera.
Doveva prendere possesso, vegetale, animale, o se stesso. Alla luce del
giorno sapeva che le alghe, l’anabena e le altre piante operavano con quanto
ottenevano per operare, e qualcosa tornava nel tubo ascendente. Di notte il
buio sulle piante avrebbe dovuto agghiacciarlo ma non lo aveva fatto. E
mentre la pompa rallentava o si fermava quando le piante erano al buio, e
quando la pompa si era fermata lui si era trovato a soffocare, mentre quando
lui soffocava la pompa si fermava - non soffocava di notte. Di notte, il
glucosio e gli altri segni vitali erano elevati. Ma il cavo proveniente dalla
spatola ad energia solare arrivava all’alloggio della pompa - l’alloggio della
pompa? - i morfogeni increspavano i lenti perfoscranni e poi i dirigevoli
fecero ondeggiare i pomelli viventi dei morfogeni stava ridendo - così,
freddo o no, la pompa pompava di notte per mezzo dell’energia solare
immagazzinata di giorno. Ma Terra aveva detto che di notte l’elettricità
rimaneva al massimo.
Doveva pensare a crescere, ma quel che succedeva adesso doveva
osservarlo.
Un manicotto di Trecce Solari orbitanti si contrasse e si indurì intorno al
cavo dalla guaina argentea. La pompa fece una pausa. Il manicotto volò via
con lentezza. La pompa continuò.
Aveva l’energia. Così lui poteva uccidersi. Forse con un aiuto.
I dirigevoli rallentarono e il vuoto di una pallida griglia fece una mossa
nel senso contrario a quello dei dirigevoli. Un nuovo centro di ritorno si
stava avviando in lui.
Si sentì ovunque ingrigliato. Per contrastare questo si mosse. Ma
spogliò soltanto il cavo e vide che i campi a imbuto smettevano di
volteggiare dall’estremità aperta del cavo proveniente dall’alloggiamento
della pompa nel quale entrava il cavo solare.
E poi la pompa non si fermò.
Perché anche se non sapeva come, adesso seppe che l’energia poteva
provenire da lui, ed era il motivo per cui di notte le batterie solari non
perdevano.
Si accorse di averlo già saputo.
Il manicotto mollò, e subentrò il circuito solare, ma le particelle radianti
avevano usato quel manicotto per fargli vedere quanto sapeva a metà.
Conosceva a metà.
Ma doveva sapere di più. Doveva sapere che cos’era nei letti delle
piante che rifletteva il suo braccio quando si tendeva per toccare
l’alloggiamento delle piante.
Aveva conosciuto la parola ultramicron, e aveva pensato di non averla
conosciuta dalla Pallida Eco o dalla Voce Aspra. La recinzione
fiammeggiante era lui così come era stato, e gli ingegneri del progetto lo
avevano trattato coi guanti perché lui doveva essere incardinato al loro
sistema e poi utilizzato. Ma anche lui li avrebbe utilizzati.
Aveva guardato dentro un corpo della bocca cresciuto verso l’interno sui
solchi e sugli archi di una lingua ricoperta con vellutati capezzoli di cellule
recettrici della luce: si accorse di essere stato lo scopo del lungo
inconsapevole sguardo dell’osservatore della duna, perché Imp Plus aveva
guardato nella bocca di lei - lei non lui, ma come fare a imboccare la
differenza, perché c’era differenza fra una bocca di lei e una bocca di lui? -
e lui aveva saputo di non temere la perdita della prossima settimana sul
tavolo operatorio: lo aveva saputo non appena gli arrivò la sua microvista
per mezzo di una divisione dopo l’altra, quell’ignoto desiderio che gli era
giunto sulla spiaggia al posto della paura divideva la sua lunga lacuna
affinché emettesse il dolore del cedere, la consapevolezza che conteneva il
dolore, e una duratura divisione del corpo-cervello per la volontà, per
emettere quel che era e quel che sarebbe stato.
Ma quale volontà?
Doveva saperne di più.
L’energia elettrica volteggiava di nuovo nella sua sostanza. Volteggiava
dalla linea aperta al di sotto della scheggia in sospensione. Lui vedeva che
questo suo nuovo essere - con tutta la sua impurità e il suo filtro - era un
reticolo in grado di prendere queste volute del grande Sole con cui si era
alleato per poi condurle a destra e a manca.
Ma non sapeva perché, allora, un lento, lento bertaglio si protese e,
incapace nel suo stato indurito di suddividere nelle dita i suoi scopi, guidò
la scheggia dell’elettrodo giù verso il filo scoperto dove giaceva a mezza
strada ciò che una volta sarebbe stata la pendenza frontale sinistra delle
pieghe, ci fosse stato adesso o allora qualcuno per opporsi al bulbo del
cervelletto e per avere così un davanti e un retro. E Imp Plus seppe che il
luogo dove la scheggia sarebbe stata reimpiantata non era soltanto il sito e
la fonte dei campi a imbuto in quella che era stata la corteccia cerebrale; era
anche il sito del Circuito di Concentrazione.
Capitolo 10
Il che significava che Imp Plus sarebbe tornato in contatto con Terra.
Se Terra parlava ancora.
E se, più in particolare, era fino al Circuito di Concentrazione che il filo
scoperto proveniente dall’alloggiamento della pompa estendeva la benzina
solare del cavo.
Ma puntando la scheggia su questo sito il bertaglio suddivideva la
discesa. La suddivideva non tanto per gli stadi di adattamento o di distanza
o per le notti di tempo che aveva perso fra sempre più cellule gliali, ma la
divideva per una attenzione simultanea tutt’intorno.
Così ci volle tempo per la discesa. Come i passaggi dei test orbitali,
tanto tempo fa. Test? Crescita del campione arrestata periodicamente per
mezzo di agenti chimici in modo da studiare la crescita.
Un altro bertaglio non così esperto come quello impegnato nel
reimpianto dell’elettrodo si impigliò in un moto dirigevole e trovò la sua
immagine più scura nei letti della clorofilla. Due morfogeni sfuggirono con
l’aspetto di un bacio risucchiante da un perfoscranno a rotazione lenta le cui
frange ciliari irradiavano dei messaggi intorno a Imp Plus. E quando i
morfogeni, come muscoli o spasmi in cerca di muscoli, si unirono al
bertaglio, si rintanarono per protendersi proprio quando Imp Plus scoprì la
pressione del bertaglio sulla scheggia cristallizzata in una morsa: le cui
tenaglie erano i morfogeni spronati fuori dal plasma in cui erano entrati.
Il quale, come la lentezza dei dirigevoli al di sopra dei riflessi
provenienti dai letti di clorofilla, facevano sembrare tutto più pesante. Gli si
stava impedendo, pensava lui, di vedere tutto. Per mezzo anche
dell’uniformità della sensazione di interezza; del pensare dappertutto; non
centrato. Si era tenuto lontano dalla vista complessiva del suo nuovo essere.
Ma adesso non lo avrebbe fatto. D’altra parte per afferrare quel che aveva,
doveva continuare a essere di più; e per mantenere quel che aveva
dispiegato e che possedeva, doveva sapere che cos’era che lui sapeva. Lo
attraversò un’onda. Albedo. Salmonella. Ultramicron. Otti-clorofilla. Il
bacio del respiro. La sua attenzione non trovò alcun sito fonte delle parole,
ma il suo bertaglio con il suo ossuto sostegno di morfogeni premette la
scheggia più vicino a dove una volta era stata impiantata in una piega che si
era dilatata. Aveva avuto il bernoccolo per i numeri, aveva conosciuto
ultramicron, aveva sentito le luminose cellule della sua lingua mordicchiate
dalla bocca di un essere che diceva: «Vanità»; e aveva mangiato olive con la
Voce Aspra che trasmetteva i semi della sua bocca facendoli svanire
nell’estremità del pugno munita di pollice. Attraverso i giorni e le notti di
un’orbita sincrona che si univa alla Terra come una lancetta circolare si
unisce al quadrante di un orologio fissato su di essa, Imp Plus aveva temuto
la Terra; perché avrebbe potuto perdere il respiro così come aveva perso
peso. Senza peso lo era diventato sempre più.
Più senza peso? Dappertutto venivano altre parole. Luogo geometrico.
Cada. Templadas. D’altra parte venivano dal perfoscranno del posto che si
divideva e divideva uno spazio infinito dall’elettrodo discendente fin dove
era puntato il bertaglio.
Senza peso, ci aveva guadagnato. Come anni prima aveva fatto il
batterio della salmonella, moltiplicandosi con maggior velocità in assenza
di peso. Ma lui da solo aveva affollato la capsula e, anche se la Voce Aspra
aveva creato più spazio parlando alla Voce Buona del peso aggiunto di un
monitor video di bordo, Imp Plus sapeva dove avrebbe guadagnato peso:
Terra gli avrebbe fornito il peso.
Perché se la Terra lo aveva reso meno, se la Terra non lo aveva sottratto
ci sarebbe dovuta essere crescita zero.
Se non lo aveva sottratto da se stesso. Diviso per se stesso.
Scelto, però, perché lui aveva scelto se stesso.
Il progetto era andato da lui perché lui era andato al progetto. Dato noto
a dato noto. Per esserne l’ultraraggio e descrivere incognite per mezzo di
dati noti. E descrivere ellissi emananti latte solare e trecce a spirale e uccelli
marini in grado di riflettere le ombre che lampeggiavano frecce cremisi
nella calda giornata ma che lampeggiavano saltuariamente nella fredda
notte che adesso venivano come impulsi di divisione per ostacolare la
discesa della scheggia.
Finché il bertaglio non dovette interrogare questa divisione: e con un
intravisto nuovo ventaglio o un collegamento a triangolo che lo spruzzava
di cariche dal filo scoperto (e che non sembrava diverso dalla carica messa
in moto dal succo chimico germogliato tra i neuroni), e come un sistema di
sopravvivenza per cui lui si disse di non aver bisogno di una capsula in
grado di cambiar dimensione - il bertaglio procedette poi con l’aiuto dei
morfogeni adesso chiusi a morsa a serrare di nuovo al suo posto la scheggia
nella superficie carica.
Perché in quell’istante Imp Plus aveva visto altrove ciò in cui si
rifletteva il riflesso del bertaglio dirigevole. Fu il suo ritrovamento. La sua
scoperta.
Terra diceva delle parole. Parole già sentite. Una voce si innalzò nel
ricordo - origliata? trasmessa? l’uno e l’altro - AFFERMATIVO IMP PLUS DI CHE
VANTAGGIO SAREBBE UNA CAPSULA IN GRADO DI CAMBIAR DIMENSIONE, E
ANCORA CIAO IMP PLUS SEI STATO MOLTO TEMPO SENZA FARTI SENTIRE.
PENSAVAMO CHE CI AVESSI ABBANDONATO.
Ma quale era la sua scoperta?
Dal bertaglio i morfogeni tirarono fuori dei pollici non opponibili, rigidi
e uniti, e anche questi strinsero il bertaglio. Imp Plus avvertì un
simmetroide che si irrigidiva nel bertaglio dei morfogeni ma anche in
quell’altro bertaglio che era di nuovo al di sopra dei letti delle piante, e
nelle forme oscure. Segnalò letture stabili nei misuratori di ossigeno e
glucosio, e nessun indebito accumulo di CO2. Imp Plus pensò di aver
risposto a Terra senza fornire la sua scoperta.
La scoperta era l’acqua.
Ricordò di aver detto acqua, vedendo gocciolare l’acqua in modo così
strettamente legato che, pur appiattendosi in dischi, colpiva la Terra come
delle bombe. Ma la scoperta era più di ciò in cui si rifletteva il riflesso; fu
una scoperta del tempo: tempo trascorso, tempo possibile. Tempo di fronte
nel vento solare in cui non si poteva stare sottovento.
Il bertaglio dirigevole aveva trovato un segmento della sua membrana,
luccicante non nella copertura in plastica delle alghe ma nell’acqua.
Vanità, dall’acqua salata di un mare terrestre venne una voce dissolta.
Non quest’acqua. Quest’acqua era la scoperta di Imp Plus. Acqua.
Acqua così profonda da fargli sovvenire alla mente per la prima volta
quanto poco di lui ci fosse adesso quando era troppo tardi per rispondere a
quella voce a bocca aperta: Animale vanitoso.
Acqua profonda anche considerando tutte le ore passate qui in una
stagione di spazio che Imp Plus ricordava come un’eclisse di Terra.
Richieste quanto tempo fa dell’azione enzimatica nella clorofilla.
Richieste che sembravano adesso semplici allarmi di prova nello strano
pesce lanciato verso la fame d’occasione. Un periodo d’ombre più che di
uccelli. Corpi più del corpo. Spostamenti così nuovi che non c’erano parole
per evidenziarli. Così tutto quel che fece fu replicare tutti i giorni al grande
Sole, e replicare nelle operazioni notturne dei letti di piante e degli sguardi e
delle reti dei lumen comuni e di quelli indipendenti che cambiavano
all’interno di tenebre che venivano a loro volta dai lumen.
Tempo possibile, però. Perché il Progetto VL lo aveva lanciato con
acqua sufficiente soltanto per dare alle piante la possibilità iniziale di farsi
esplorare dai raggi. I raggi solari liberi dalla soffocante pellicola della Terra
e d’altra parte finemente ingrigliati dalle nuove molecole giganti
specificamente costruite per la finestra minerale di questa IMP.
Raggi inoltre pesanti, più grandi e ignoti.
L’acqua però. Quanta ce ne poteva essere dopo così tanto tempo?
Il bertaglio ripristinò la scheggia e prima che ritrovasse il suo letto la
scheggia stava già parlando.
Chiedendo e poi chiedendo a Imp Plus di controllare l’ossigeno. Come
se Terra non avesse una propria telemetria. E chiedendolo a Imp Plus, come
se non lo avesse fatto quasi per anni, o per giorni e giorni, per la frequenza e
per l’orbita.
Ma prima che Imp Plus potesse dire SINCRONA O udire Terra che diceva
NEGATIVO IMP PLUS, RIPETERE, e prima che Imp Plus potesse ricordare la
mimetizzazione della copertura di un’orbita tutt’altro che sincrona, e prima
di potersi accorgere subito che Terra sospettava un monitoraggio straniero,
Imp Plus si accorse che qualche momento fa aveva trasmesso le letture di
routine sul glucosio e sull’ossigeno prima che il bertaglio e la sua salda
morsa ossuta avessero impiantato la scheggia. La scheggia era stata posta in
equilibrio sul suo letto lontano dal fluttuante ventaglio di energia libera che
usciva in una sua sostanza per la quale non aveva ancora un nome ma che,
ricordandosi degli ultramicron e di una recinzione con un’insegna rossa che
gli diceva che sarebbe morto, era arrivato a considerare un reticolo
funzionante come il cristallo nelle celle solari montate all’esterno. La parola
era reticolo, l’aveva ottenuta un’altra volta e adesso in modo da condurlo
verso la Terra.
Voleva essere lontano dalla recinzione. D’altra parte non poteva fargli
nulla, perché erano già la stessa cosa.
Doveva vedere l’acqua. Doveva entrarci. Doveva essere nelle piante.
Vedere che cosa vi avesse fatto il Sole. Si ostinò su questo. Questo pensiero.
Che era che il Sole lo aveva salvato come programmato.
Le sue parti gli davano ancora il segnale cremisi ma non di frequente.
Ma non crescevano nelle dimensioni. E si erano composte in uno stato che
non sembrava di movimento; eppure poteva essere così perché, non più di
quanto potesse ri-formare le particelle di quell’ipotalamo nominato dalla
Pallida Eco. Imp Plus non poteva ritrarsi dalla multivista; e nella
simultaneità della multivista sembrava esserci un elemento di moto che
sembrava a sua volta mantenere fermo l’oggetto del suo punto focale. Ma
c’era il movimento nelle sue parti. Sapeva che l’ipotalamo ora perduto nella
sua sostanza era stato un sistema di controlli: e questo sistema era in un
processo di dissoluzione, o si era sottilmente sparso? Il moto nelle sue parti
era a spirale, guardasse o meno i letti delle piante. E più lento, come se il
suo occhio composto si chiudesse su quanto solo in parte sapeva di volere.
Era quanto la sua laboriosa microvista esaminava ed era proprio quella
microvista. Ricordava la parola stanco. Non era voler continuare, ed era
stato così durante un po’ di tempo prima del lancio.
Era quando lui stesso aveva pensato quella recinzione.
O la recinzione che lui sarebbe stato.
Perché aveva pensato anche questo. Anche se poi essa - lui - fu un
reticolo attraverso cui si muoveva il personale del Progetto. Aveva pensato
questo a causa del luogo fra la più grande e la più piccola stanza verde, il
posto dove si era steso e aveva allentato i suoi controlli. Per dormire con
una voce non Aspra, ma Buona.
Una voce che diceva cosa fare: durante il lancio, l’entrata in orbita,
l’orbita. Impressionandolo con una griglia di azioni che riecheggiava non se
stessa ma il Progetto. Piuttosto un reticolo con un nodo luccicante su
ciascun angolo di intersezione: un reticolo attraverso cui i dati andavano
avanti e indietro.
Così lo lasciò succedere e si rivolse a una cosa parallela: la recinzione
con l’insegna dell’alto voltaggio.
In questa occasione non capì perché risiedesse su quella recinzione
perché gli disse che stava morendo. Non conosceva la parola morendo. Ma
quando la voce lo fece rialzare, avvertì una scissione. E adesso a beneficio
di Terra che non vedeva alcun vantaggio in una capsula ampliabile non
avrebbe spiegato che anche dopo la programmazione lui non viveva
esattamente nella bambagia, la scissione segreta lo abbracciò: era la
recinzione, terribile nella sua promessa: la promessa di utilizzarlo.
Due promesse. Una se lui fungeva da recinzione. Una se non lo faceva.
Che cosa poteva sapere Terra di una tale recinzione? Per Terra Imp Plus
poteva benissimo essere uno dei vecchi esperimenti con la salmonella.
Fissò lo sguardo sulle acque delle piante. Quanto tornava era il desiderio
di una parte: un desiderio che non era composto di nulla se non di quel che
lui era diventato - un segmento di plasma piegato come l’osso di un gomito;
una sezione di plasma in ombra e privata del colore, ma con una limpida
pelle a scaglie, le quali, si accorgeva, erano cellule cresciute fino alla
superficie; una striscia ardente, la membrana di un perfoscranno che inviava
una gentile luce verso il volto del Sole cadente da cui aveva imparato. In
questa combinazione una brama di cerchi diceva che i centri erano tornati.
E poi all’interno con i fuochi che discendevano per il tubo diretto alle piante
dall’alloggiamento, lui vide luccicare le forme a patata che cadevano dalle
coppe di alghe non più verde nelle sere blu e marrone che si erano fuse
esternamente con i giorni in un campo. E il campo era lui, che non era
cresciuto in alcuna scala tranne l’alfa del grande Sole che eclissava il peso
di tutto il magma sottostante il terreno di Terra.
Ma se la scala era imponderabile e stancante, la forma sembrava essere
la stessa centrale dalla forma a patata che aveva trovato nelle cellule di
quello che era stato il suo cervello. Le centrali elettriche chiamate
mitocondri che lanciavano sguardi attraverso il citoplasma color zafferano e
le guaine, dalle scintille di platino, della glia, e tutte respiravano scie di
particelle attraverso chiuse di luce. E qui adesso nelle piante quel che aveva
l’aspetto della stessa forma a patata. Perché, allora, erano stati lui e il Sole
ad aver portato le centrali d’energia delle sue cellule insieme con le centrali
delle alghe? Ciascuna delle forme a patata aveva due membrane, quella
interna ripiegata all’interno.
Ma qui le pieghe variavano rispetto a quelle nei mitocondri del cervello.
Queste pieghe si trovavano in profondità nell’ombra di ogni alga, e ogni
piega era come le branchie di quella conchiglia micronesiana, ottuse pieghe
alcune delle quali ispessite in dischi a sacco accatastati in modo che Imp
Plus, lanciando il suo sguardo attraverso le membrane e i bagni interni,
dalla pigra corrente, dei copri-tessuto, trovava non solo gli stessi corpi
carichi che aveva visto rotolare giù per un tubo vincolati in gusci d’orbite,
vincolati uno più piccolo fra due più grandi. Trovò poi, in profondità nella
lamina delle cataste, i corpi che allora seppe di aver cercato. Perché essi
erano quell’idea di verde da lui pensata tanto tempo fa da avere quasi
l’energia di dimenticare il nome di questi corpi che, adesso vedeva, erano
davvero di un blu scurissimo come se il Sole se ne fosse andato. Ma
l’oscurità quaggiù era un’altra luce, non solo la mano e il volto del Sole
all’opera nelle sue comunità serali. Perché questa oscurità, qui in fondo fra i
cloroplasti dalla forma a patata, era un lumen di forza necessario come la
loro opera diurna. Perché attraverso il semifluido che bagnava le pieghe e i
loro dischi accatastati, Imp Plus vide goccia dopo goccia inglobarsi
nell’essere di un indipendente impulso di flusso e vide che era lo stesso
zucchero grazie a cui viveva e che pompava attraverso il suo sistema, e vide
ancora in un campo di particelle radianti che il suo desiderio era stato quello
di vedere questa dolcezza e qualcosa in più. E il qualcosa in più che lui era
e vedeva era più di quanto avesse desiderato. Perché anche la forma a patata
si trovava accanto a delle scarpe dalla pelle gialla, ed era anche una goccia
che si sollevò al di sopra di un ponte e si protese lungo un capello e si
inarcò per migliaia di miglia in un fuoco il cui volto - il suo - dava luce a un
altro volto bagnato dal fallimento.
La forma a patata della centrale-cloroplasto delle alghe non era la prima
forma a patata luccicante su una foglia e sgocciolante nell’acqua. La forma
a patata che sgocciolava era acqua. Ed era questo che faceva delle gocce
bersaglio nel sistema di mappe ad anelli (come per ritornarvi) un interno
con altre forme a patata all’interno dei cloroplasti della figlia che si era
preparato a ricordare o che era stato preparato a ricordare da una voce che
aveva udito ricordarlo gli anelli di ciascuna delle molecole blu-scuro,
contenenti quell’idea di verde: anelli concentrici, però, dato che quella
molecola nel cuore del cloroplasto evidentemente non lo era. Perché la
molecola aveva la coda.
Un’inclinazione di gradiente. Una necessità che conteneva, avvolti in se
stessa, dei raggi a venire.
Era bella come il volto che piangeva a mezza strada fra l’automobile e
le scarpe di pelle gialla accanto al fuoco. Ma lui aveva detto Sei bella anche
all’altro volto - che gli aveva aperto le dolci palpebre della sua bocca e
aveva detto: «Vanità», e aveva riso.
Terra chiese ancora orbita e velocità. Imp Plus vide che, insieme al Sole
e alle piante e ai desideri che lo dividevano perfino dai ricordi designati a
mantenere operativi quei desideri, aveva sviluppato l’acqua. Aveva
sviluppato l’acqua per sostenere la sostanza che ugualmente aveva
sviluppato.
Ma questa vista lo sosteneva, e anche gli ossuti morfogeni a pomello
fissati intorno all’elettrodo di concentrazione. Questo elettrodo era fissato
nell’anti-piega grigio-ambra al cavo solare.
Così doveva vedere a fondo, collaborasse o meno la sua vista.
Essere attratto fra le tre dimensioni del corpo con tutti i suoi
infinitesimali corpi-punto orbitanti nella coda di quell’idea di verde di
colore blu-scuro e quanto trovava nell’acqua e nell’aria, attraverso la quale
le gocce speronavano periodicamente la superficie dell’acqua per fissarvi
crateri e centri che diventavano circonferenze. E quel che vedeva era quel
che aveva visto senza che diventasse chiaro: ovvero che, con Terra che
adesso lo trattava come un monitoraggio straniero, voleva soltanto
continuare a vivere. Ma non a nominare. Però la recinzione sulla Terra non
se ne sarebbe andata. E così seppe che due dei corpi nella coda blu-scuro si
rivincolavano nei letti di piante per essere acqua; e che il terzo corpo nella
coda blu-scuro pur cambiando aspetto nel tubo diretto alle piante aveva
braccia simili a valenze di memoria che gli dicevano che si trattava del più
piccolo guscio mediano dell’unità che scorreva all’interno di tali numeri in
direzione delle piante.
Che gli dicevano a loro volta che il guscio d’orbita grande con le sue
braccia e i suoi elettroni - erano elettroni - era lo stesso corpo che aiutava a
formare l’acqua.
Ma non identico alle Trecce Solari, adesso color dell’ambra, che
scorrevano anch’esse in direzione delle piante che dopo la loro irruzione
nell’alloggiamento delle piante si dividevano sopra e sotto le acque. E sotto
facevano saltare alcuni dei legami - in alto, in basso e di lato, abbassando la
superficie dell’acqua. Ma poi (con un altro corpo venuto non dalla coda
della molecola interna blu-scuro ma dal sistema di anelli principale) le
Trecce Solari fecero sia aumentare incommensurabilmente nel volume sia
rimbalzare, in modo da fare dell’acqua un aumento netto, le parti nei legami
dell’acqua.
E seppe attraverso il ricordo del dolore delle reti cariche della
recinzione che una volta quelle Trecce Solari che facevano così tanto erano
venute dalla Terra ed erano state della Terra anche se non con il loro
odierno legame di trecce.
Ma non dando a Terra quel che voleva, Imp Plus trovò la via del ritorno
grazie al meditativo perfoscranno della precedente trasmissione. Passo dopo
passo. Come i passaggi dei test: test senza equipaggio umano verso le
profondità degli asteroidi, era così. Per che cosa? Una boa di
concentrazione si incastrò, si ispessì e lo rallentò in direzione di quanto
prevedeva fosse solido con una e una sola certa quantità di creste o di angoli
incrostati. Così, avvertì il rischio del sonno nelle meditative parole del
perfoscranno, «Tifone nucleare». Così disse a Terra che aveva avuto ragione
Terra che non ci sarebbe stato alcun vantaggio in una capsula in grado di
ingrandirsi, perché dopo tutto non era come se questo fosse uno dei vecchi
esperimenti del Biosatellite con la salmonella che si moltiplicava.
Ma quando Terra replicò che Imp Plus non aveva fornito l’informazione
richiesta, Imp Plus avvertì un’ulteriore frequenza nella trasmissione di
Terra.
Come una pausa per pensare.
Imp Plus non conosceva la parola pausa. Poteva chiedersi quali fossero
i suoi limiti.
Ma poi la trasmissione continuò e in tutto il suo essere Imp Plus
riscontrò un incremento simmetroide che non era la vecchia crescita.
Questo incremento non era il risultato ma la causa delle parole che
venivano da Terra. Venivano con i noti impulsi. Ma portavano con sé un
ignoto legame. Un legame però del quale lui comprese doveva farsi carico,
perché poi lui ricordò il legame ed era nella sua memoria del futuro, e le
parole portavano con sé una voce che conosceva: IMP PLUS RICORDATI DUE
TIPI DI SALMONELLA NON UNO. ANCHE QUELLO CHE SI ERA MOLTIPLICATO QUASI
TRE VOLTE PIÙ VELOCEMENTE DELL’ALTRO NON HA CONTINUATO PER SEMPRE
IMP PLUS.
Terra si fermò e continuò, ma c’era un disturbo intorno al cavo solare
d’alimentazione. O piuttosto c’era stato un disturbo e adesso non c’era: CAP
COM A IMP PLUS RIPETERE PER FAVORE FORNIRE VELOCITÀ ORBITALE.
Questa seconda trasmissione sembrava ideata per tagliar corto con la
prima.
Ma il legame ritornò. E con una forza che non avrebbe potuto avere
sulla Terra perché allora era ignota a Imp Plus. Ma adesso era chiara: chiara
come l’umore acqueo in un occhio terrestre che nel ricordo portava
attraverso i sistemi zuccherini fino alla microvista.
Il legame era stato tracciato su una lavagna verde per mezzo di un gesso
bianco-osso. Tracciato frequentemente. In numeri e parole. E in un’ellisse
che parlava. Con due fuochi, uno non qui e uno la Terra.
Tracciato da una mano dalla quale Imp Plus nel fumo della morte si era
ritratto dividendo la malattia nota per il desiderio noto finché, invece di
moltiplicarsi, le particelle della malattia non sembrarono dissolversi in una
risoluzione da avanzare.
Il legame era con la Voce Aspra.
La Voce Aspra gli aveva dato la sua attenzione. Lo aveva istruito. Aveva
fumato perché non poteva smettere. Aveva parlato con un fumo che aveva
fatto diventare matto Imp Plus con un torreggiante mal di testa, facendolo
poi uscire da una stanza verde, in un telefono al Sole. Ma la Voce Aspra
aveva parlato da punto noto a punto noto senza promesse. Si era risparmiato
la bontà. Non come la ripetuta Voce Buona che avanzava nel vuoto.
«Tu non vuoi continuare per sempre», la Voce Aspra sapeva dire, e:
«Quale sarebbe il vantaggio di una capsula in grado di cambiare
dimensione?» Forse la Voce Aspra aveva saputo quanto Imp Plus aveva in
testa. La Voce Aspra si ancorava ai fatti.
Il legame c’era stato infatti. Imp Plus lo aveva saputo.
Ma quale legame adesso?
Nessuno tranne l’interruzione della Voce Aspra da parte di Terra per
verificare ancora se ci fosse Imp Plus o un monitoraggio straniero. No, i
legami non erano lì ma qui. Con l’energia delle trecce. Legami fra di sé.
Ma legami che desiderava soltanto essere - era così?
Legami che aveva solo bisogno di essere. Albedo, diceva il perfoscranno
nelle volute dell’essere di Imp Plus; lo diceva, dolce o rauca, attraverso
frange ciliari convertendosi lentamente in strutture di sali di zafferano -
Albedo, albedo.
E da una direzione giunse il vecchio soffocamento, e Imp Plus si disse
che forse niente che pensasse di trovare qui era una cosa ma solo un ricordo
dalla boa nel vento della Terra: ma questo pensiero non fu abbastanza
rapido da risolvere la soffocante coagulazione coagulazione era la parola da
usare. Ma era la parola di Terra. Stava cogliendo alcune delle parole di
Terra che chiedevano di essere usate. Ma per che cosa?
Ma poi nel soffocamento e nell’opposto abisso del disinteresse, la
coagulazione che come ulteriori processi lo aveva rallentato, irrigidito,
ispessito, fissato da una funzione in una cosa dagli angoli incrostati, si
raccolse e portò la stagnante presenza delle trecce solari nella luce che
adesso apriva i cloroplasti giù in fondo alle piante. Che Imp Plus vide così
bene da vedere gli elettroni e i buchi. In fuga. Una migrazione promessa che
le sembrò fare uscire dall’ IMP per vedere come faceva il Sole a colpire le
cellule fotovoltaiche nei pannelli solari e a portare gli elettroni fuori da
quelle cellule e dentro un circuito d’energia.
Che la Voce Aspra non aveva dovuto dirgli. Perché Imp Plus era stato
qualcuno. Che cioè aveva conosciuto gli ultramicron.
Due perfoscranni ad angolo retto cercarono di tremare per il
divertimento. I drappeggi longitudinali si cristallizzarono non più del color
zafferano verso un offuscamento simile a quello del chiasma ottico,
dispersosi da tempo.
Ma il calore notturno non proveniva da quel buon umore. Il calore
proveniva da questa spirale, adesso quasi del tutto interna, adesso così
costante da non tornare indietro perché non se n’era andata.
Doveva andare da qualche parte, o non andarvi se non nel «Tifone
nucleare» del perfoscranno. Non si allontanò dal pesce. La procellaria
vicino alla spiaggia si lanciò in picchiata e fu brevemente tirata sotto dalla
sua preda. L’immagine che Imp Plus ebbe dei dirigevoli si fece più veloce o
furono i dirigevoli a rallentare: così furono fissi al di là delle funzioni del
movimento - e del colore - e furono così richiamati in un nuovo solido.
Certi dirigevoli almeno al loro interno - si muovevano a senso unico come
circonferenze; certi dirigevoli interni diametralmente più stretti si
muovevano nell’altro senso. Una catena di morfogeni, più di quanti sapeva
di averne, si tese attraverso due o tre perfoscranni (esattamente due o tre)
cresciuti vicino e insieme, e la fila dei pomellimorfogeni avendo unito
dirigevoli interni a quelli esterni scintillò rosso così lentamente che la fila si
estese in una luce sempre più debole finché Imp Plus che si chiedeva perché
non si espandeva più vide che non si espandeva più.
Pensò che se, come prima durante la polvere soffocante, il pensiero si
coagulava senza ulteriori pensieri, poteva ancora giungere il bisogno di una
coagulazione diversa dal fallimento. E quanto Terra credeva fosse
conosciuto da Imp Plus era fuorviato. Così fu Terra che si credeva il centro
del raggio di Imp Plus.
La Voce Aspra doveva aver saputo quel che si trovava nella testa di Imp
Plus. Imp Plus aveva inteso vivere. Una capsula - anche l’IMP, un poliedro
con una finestra senza precedenti - poteva essere costruito per ingrandirsi;
ma doveva fermarsi prima o poi. Imp Plus era cresciuto fino a stipare la
capsula, poi aveva fatto altre cose. Contratto, raggruppato, trasformato in
altri moti. Anche i moti elettrici, anche se per controllare l’orbita della
capsula, che non conosceva. Nel frattempo il grande Sole nelle sue forme
pescava dove voleva nel tifone. E Imp Plus intrecciava con esso il suo sole
che aveva portato con sé dalla Terra affinché si moltiplicasse. Ma se questi
soli si intrecciavano in parte grazie al desiderio di Imp Plus, ricordato da
quelle ultime settimane di determinazione terrestre, e se quelle trecce che
discendevano il tubo diretto alle piante spezzavano costantemente il legame
dell’acqua di un dato volume d’acqua per poi moltiplicarsi e moltiplicare gli
elementi del legame e poi ri-vincolarli per produrre un incremento netto
dell’acqua, lui sapeva soltanto che poteva succedere: non che sarebbe
successo.
Ma lui voleva che succedesse sempre? Che cosa avrebbe fatto se fosse
stato così? Gocce del dolce flusso fiancheggiavano il tubo ascendente.
Adesso non gli serviva, e non trovava, alcun occhio dolce che lo facesse
galleggiare fino alla microvista che indiscutibilmente possedeva.
Che cos’era un sistema di sopravvivenza?
E poi comprese che cosa fosse una domanda. E lo fece comprendendo
di non averlo saputo prima. E scoprendo queste domande campione.
Una domanda era ciò a cui si rispondeva.
Un brivido increspò l’assale o la cosa diametrale in cui si erano
trasformati i pomelli-morfogeni, e lui pensò che le triplici unità che
dividevano il tubo discendente con le trecce solari erano l’anidride
carbonica. Imp Plus si accorse che l’ossigeno (che ugualmente non era solo)
continuava a tornare risalendo il tubo dalle piante anche adesso di notte
durante il ciclo di buio. Vide mescolarsi con i soli e le altre energie
nell’alloggiamento delle piante dei corpi anch’essi visti nel sistema di anelli
principale dei corpi blu-scuro dell’idea verde in fondo al reticolo dei
cloroplasti delle alghe. Ma vedere queste semi-incognite non era farsi strada
attraverso se stesso. Afferrò e fu afferrato: lui era le cose che vedeva: le
lamine erano ugualmente una: la strada era attraverso un reticolo che gli
faceva vedere che, come i cloroplasti potevano essere semi-conduttori
elettrici simili alle cellule solari montate all’esterno vicino ai telescopi
solari e ai recettori dell’albedo, così la sua sostanza possedeva i reticoli di
un semi-conduttore, fatti di elettroni migranti e buchi migranti; e, priva di
peso, poteva purificarsi di più come avevano fatto altri semi-conduttori
grazie a una generazione di operazioni orbitali.
Un semi-conduttore. Questo era Imp Plus.
Ma il modo in cui se ne accorse non fu la vista; il modo fu attraverso di
essa.
Fino a una recinzione così lontanamente terrestre da non farsi vedere a
fondo.
Finché poi udì la Voce Aspra che lo faceva.
E Imp Plus allora comprese il significato delle due salmonelle. Nello
spazio senza peso, una si moltiplicava con una velocità tripla dell’altra;
perché quella tripla, a differenza dell’altra, era stata irradiata: era radiante?
Il che lo riportò indietro: e lo scosse all’indietro: lo colpì con una tale
retrobruciatura che la sua orbita si deteriorò: lo riportò indietro, ma verso
quanto non era radiante ma soggetto a radiazioni.
Ma i mormorii perfoscrannici avevano cominciato a infilare una rete
d’armonia. Musica per le sue membrane. Così si sforzò di capire il senso di
ciò che adesso gli lanciava una griglia dopo l’altra, volteggianti dalla
recinzione terrestre, ma non più con il pulsante lampo rosso: e queste griglie
gli dicevano che l’assenza di peso accelera i mutamenti indotti dalle
radiazioni ma può anche rallentare alcuni processi dando così alle cellule
irradiate una possibilità di curare le loro lesioni o almeno di rendere vitali le
proliferazioni cui queste cellule non sarebbero sfuggite.
Ma attraverso la musica dei perfoscranni Imp Plus trovò il ritornello
albedo, albedo, come una gentile retrotrazione, non udita ma solo ricordata.
E in ciò che considerò la propria deriva, seppe che l’albedo non era altro
che la radiazione solare al ritorno dalla Terra, e che il filtro disperso
ovunque in lui, un’alba dopo l’altra dalle sue parti restanti e dall’ormai
dispersa ghiandola infiammata, era anche stato veleno.
E così successe che Imp Plus, discendendo in un’altra chiarezza di
pulsione, poteva stare dove era stato un’alba sulla Terra. Particelle non viste
gli perforarono dei puntini da un posto all’altro. Particelle ritagliate in lui.
Ritagliate per bruciare quel che sarebbe stato poi ritagliato. E bruciare quel
che non lo sarebbe stato.
Bruciare la sua consapevolezza del bruciare.
Bruciare attraverso un inverno in cui quel che gli stava avvenendo era
sconosciuto a gran parte degli altri. Sconosciuto a un rigido e gelido
giornalaio dagli occhi rossi, che diceva che sarebbe potuto essere un
vegetale. E a un bambino che si leccava la neve da una mano e diceva: «Hai
la pelle rossa». (Al bambino importava?) E a una bruna amiga che cantava
amiga. Da cui prima aveva cercato, fallendo, di essere conosciuto, e che era
bella. E a un’altra anch’essa bella lontano ma sullo stesso punto e che lo
faceva sobbalzare usando le parole Viaggio luce in modo che adesso doveva
cercare di non sospettare di lei mentre continuava a cercare di non dirle la
sua verità sul Progetto Operazione Viaggio Luce e il sangue che gli andava
in faccia era mimetizzato da quella irritazione che il bambino aveva visto
mesi prima di arrossire settimana dopo settimana mettendolo da parte.
Una volta quando aveva avuto una gamba che lo sostenesse, era stato
sotto un tetto alla fine di molte notti, era stato su una crosta di Terra; e
sembrò che per un momento non succedesse nulla.
Il magma non si scrostò. Le voci non colpirono subito.
Ma in quel momento che, una volta lasciato alle spalle, fu la prospettiva
della sofferenza, un reticolo di raggi infuse dentro di lui. Una volta dentro,
fu lasciato andare. Verghe di raggi gamma gli disboscavano il sangue,
invaginavano le vene, assottigliavano la pelle, lo rimpiazzavano con un
ronzio inteso a soffocare con reti di probabilità un’assenza ancora possibile.
Adesso almeno stava su quel punto filtrato sul circolo terrestre. Però
adesso la sua natura di raggio rendeva la Terra nulla più di un punto lungo
la sua ignota circonferenza.
Che come una mappa futura lo portava dove non aveva saputo di aver
progettato di stare.
Così tutto ciò che sapeva era che la vita di cui era in possesso lo rendeva
incline a dare a Terra le sue risposte. In cambio delle risposte che a loro
volta gli potevano far conoscere quel di più che era diventato.
Imp Plus ricordò il piano Mimetizzazione Contingente progettato per
ingannare un monitoraggio straniero. Imp Plus concentrò il suo cristallo
sugli impulsi di una frequenza concordata sulla Terra. Imp Plus trasmise a
Terra la frequenza falsa. E, mentre, finalmente, permetteva alla pelle lattea
di guardare dalla finestra lungo l’ondeggiante bertaglio della finestra,
trasmise a Terra quanto richiesto dal piano di Terra, la falsa velocità
orbitale.
Capitolo 11
Scosse - che cosa - scosse - che cosa - scosse gli incrinarono la scatola
cranica fuori del cervello. Scosse gli prosciugarono l’osso fuori della
scarpa. Scosse lo sfiorarono altrove. Saltò o cadde, ruotò. Era in una lenta
veloce rotazione di palombelle giroscopiche.
C’era una tremenda mancanza di dolore. Dove? Fu toccato da schegge
che stridevano nel loro cielo privo di peso, e il loro pulsare ricordava
comandi venuti da quando lui era stato poco più della Pallida Eco. Scosse
lacerarono la sua vista dalla finestra. Aveva perso i suoi tubi, era così,
questa cosa? La linea di taglio alla finestra era talmente rimossa da fargli
ricordare dei balzi per fare i quali non si inclinava più, e da scuoterla
indietro contro il vetro in tempo per vedere, attraverso di esso, una macchia
scura in uno squarcio nebuloso. Ma la macchia lontana era una linea’,
minuscola, lenta, spezzata. Ruzzolò di lato, ma come faceva una cosa
lontana a ruzzolare? Non la vide per un secondo.
Ma no, aveva visto più di essa; perché l’aveva vista lontano sul margine
dell’arco di una cosa più grande anch’essa lontana: una cosa nebulosa,
azzurra e color nuvola.
Le scosse ritornarono. Lui sobbalzò sui suoi perni e non smise di
ruotare. Le scosse non si sarebbero fermate. Aveva dimenticato di non avere
alcuna scatola cranica. Perché la sua scatola cranica stava cercando di uscire
dal suo cervello, e lui adesso non aveva alcun cervello.
La nebulosa cosa azzurra cadde nella finestra e poi fuori. La macchia
scura da lui distinta ridiventò una linea spezzata. Così piccola da fargli
pensare che forse lui la ricordava soltanto e non la vedeva.
La macchia-linea laggiù lontano attraverso la finestra era un’apertura.
Verso un’altra scossa.
La scossa ruotò fuori della finestra. E lui pensò che la sua scatola
cranica, cercando di uscire dal suo cervello, avesse rotto un ago osseo
attraverso la macchia che adesso era di nuovo una linea spezzata nella
finestra rotante. Ma era lontana come una voce che aveva detto che il
cervello non sente il dolore.
Non aveva alcuna scatola cranica. Non aveva alcun cervello. L’aveva
lasciato in orbita. Era ancora in orbita, ma intorno a se stesso. Ma non in
orbita di parcheggio. Un’orbita che strideva nell’orbita.
Frenava. Era questo che erano le scosse.
Terra lo stava frenando. Ma in una velocità maggiore. In un’orbita
sempre più bassa. Terra lo stava facendo rientrare.
La macchia-linea tornò di nuovo. Un marchio sulla nebulosa cosa
azzurra più grande. Doveva sbattere gli occhi, ma il bisogno colava su dita
dei piedi che non riusciva a raggiungere per grattarle. Attraverso la finestra
di nebbia contro cui cercò di sbattere gli occhi scivolò uno spostamento
molecolare la cui reazione uguale e contraria era il passaggio della macchia
spezzata di nuovo fuori di vista e com’essa lo squarcio nebuloso attraverso
il quale era stato visto nella nebulosa cosa azzurra.
Era di nuovo al lancio, era così? O all’estremità d’appoggio del pensiero
di qualcuno che lo ri-lanciava in un lancio invertito. Scusa, sono troppo
bloccato per girarmi, devo risalire, brucia uno, brucia due, non chiedere,
non guardarti alle spalle, verso quanto sta per infilzarti, prendi con il giusto
atteggiamento il problema dell’assetto.
La Voce Buona aveva detto: «Ti riposerai un po’ lassù».
I ritorni di fiamma lo scardinarono; non facevano male. Se questo era il
lancio invertito in cui si trovava, non era l’idea che aveva avuto sul
decadimento dell’orbita. La picchiata si trasformò e quando scoprì che la
trasformazione ruzzolava in picchiata vide chiaramente come un discorso
rivolto a se stesso che il decadimento era accelerato e moltiplicato da Terra.
E un lancio invertito senza l’alloggiamento. L’alloggiamento al di sopra
di Imp Plus che aveva alleggerito il risucchio della velocità ma non aveva
evitato che la sua faccia venisse portata via.
L’alloggiamento lo colpì come un pensiero, lo colse tangenzialmente
come le ronzanti schegge alla deriva lo avevano urtato mirando a comandi
che lui poteva ricevere se avesse voluto reimpiantare le schegge come
aveva fatto per il Circuito di Concentrazione. Quante cose poteva fare. Le
scosse lo bloccarono ancora, e gli tolsero il controllo, sempre di più - ma
erano loro a causare il rollio e il ruzzolio della rotazione? Le scosse erano
state avviate dalle sue parole che inviarono a Terra la formula della
Mimetizzazione Contingente. E per caso le scosse a loro volta avevano
portato l’alloggiamento a colpire lui e le schegge che lui e nessun altro
aveva lanciato per primo alla deriva. Aveva inviato la formula di
Mimetizzazione ma non con l’atteggiamento creduto da Terra.
Poteva capire il punto di vista di Terra, ma anche gli altri. Adesso
vedeva un bertaglio allineato con il lungo peso di un perfoscranno. Il punto
di vista di Terra era di non volere una perdita di controllo. Sull”IMP o sul
lavoro dell’IMP o sui dati. Dunque il piano doppio per la Mimetizzazione
Contingente. Ma qui adesso non era doppio: lui non scosse né fece rollare
Terra (vero?) - era Terra a scuotere lui.
Doppio era il comando. Gli veniva tolto il comando. Si ricordava del
doppio comando perché era una macchina? Il lampo cremisi non era
frequente adesso e lampeggiava sotto lamine di cristallo che lo facevano
ritrarre come un’inalazione. Ma se il comando era doppio, aspetta. Pensò a
quanto stava fuori della finestra, la pensò fissata: poi pensò alla sua catena
di pomelli-morfogeni, un diametro senza questione ma senza centro e
limitato non da una circonferenza o da un perimetro, ma da un respiro
dimensionale che era più di una dirigevole spirale e meno che mai come la
respirazione.
Ma poi pensò questo perché doppio (si accorse) andava soltanto con
«comando». Doppio era due.
E insieme.
Due estremità per una cosa.
Guardò lungo due estremità uguali di quanto prese per un bertaglio
inclinato lateralmente in un perfoscranno. Ma qui essi si contorsero e si
intrecciarono e mimetizzarono la loro differenza: perché questo
perfoscranno e questo bertaglio indipendentemente da lui stavano fondendo
il drappeggiante peso dell’una e il limite dell’altra in una linea, in un
allineamento, un secondo diametro attraverso la crescente fissità della
sostanza di Imp Plus - e anche attraverso la spina dei pomelli-morfogeni: e
pensò di non riuscire più a distinguere il perfoscranno dal bertaglio, né
ciascuna delle estremità di ciascun paio di estremità dei segmenti che
attraverso la pelle indurita erano fibre pallide come le linee tracciate dalla
Voce Aspra sulla parete d’ardesia, fibre tese per mezzo di guaine di sali a
disposizione regolare e d’altra parte duttili nella loro arrendevolezza e
pieghevolezza nei confronti delle scosse che adesso fecero girare Imp Plus:
lo girarono verso le ombre che una volta Terra aveva letto nel pensiero non
trasmesso di Imp Plus: perché da qualche parte seppe che Terra aveva fatto
seguire la richiesta QUALI OMBRE, IMP PLUS? con la domanda CONTROLLARE
DOPPIO COMANDO D’ASSETTO.
Così il comando dell’assetto era doppio.
Se era così, se lo era guadagnato Imp Plus, non gli era stato dato.
C’erano parole date in tutti i suoi punti, ma così fisse in affermazioni
che lui pensò alla Pallida Eco: e a parole date non nella stanza verde grande
o in quella piccola ma fra le due, nel sonno, un’affermazione imparata: «Il
razzo stabilizzatore della rotazione orienta l’asse di rotazione ad angolo
retto rispetto al piano della traiettoria apparente del Sole».
Così Imp Plus era in grado di fare una cosa o due per fermare o per
arrestare la rotazione del saltare e ruzzolare di questo relitto senza vele - se
solo potesse ricordare dov’era che il suo stabilizzatore d’assetto di bordo
operava.
Il suo: perché era un’operazione sperimentale che, come il Circuito di
Concentrazione o lo scambio del CO2 con ossigeno e glucosio, utilizzava lo
stesso Imp Plus. Il manuale che accompagnava l’automatico come un back-
up. Back-up. Manuale. Pensò di aver riso con una cartilagine increspata
lungo l’assale-morfogene. Manuale. O Manuale. OM2.
Manuale cercò di far presa: udì delle nocche che scattavano lontano
attraverso una tetra-dimensionale griglia di risate. Risate non solo sue, ma,
quando pensò di chi altri, vide davanti a sé sabbia e calore e altra sabbia che
rifrangeva parti di ciò che lui era stato una volta.
Poi avvennero due cose. Prima - se era la prima - questo rigetto totale
del ruotare, scalciare, disturbare, ruzzolare e turbinare della torsione si
imbatté in ciò che dimostrava come questo slittare attraverso orbite spezzate
non fosse stato completo: perché adesso era in un equilibrio che lui si
trovava: un equilibrio unico rifratto attraverso la sua forma sempre più
rigorosa - un equilibrio che dava a quel dimenticato bertaglio rigidamente
ondeggiante che guardava attraverso la finestra - e che però lo dava a ogni
sua parte un fermo sguardo alla cosa nebulosa dalle venature bluastre
lontano con la sua macchia spezzata vista come una spinta attraverso uno
squarcio nella nebulosità dell’emisfero sbilenco che (avendo così chiamato
la cosa screziata e nebulosa) si accorse era - accorgendosi così di darle il
nome che aveva: la gibbosa Terra.
Ma in secondo luogo vide che adesso l’IMP, adesso calma in orbita,
aveva smesso. Di ruotare, cioè.
Con tutte le scosse.
L’arresto lo annunciò a Terra e però poi vide che cosa significava vedere
questo: che il precedente equilibrio, che forniva una vista della gibbosa
Terra e un ancor più strano adempimento di ciò che d’improvviso si era
dimostrato parziale nel tumultuoso disturbo e nel rigetto che lo scalciava e
lo faceva ruotare via dal guscio luminoso dell’orbita sincrona, non aveva
niente a che fare con il vero arresto raggiunto adesso dall’IMP a una velocità
non solo maggiore del precedente 1,9 dell’orbita sincrona a 22 300 miglia
dalla Terra ma maggiore del 2,4 che aveva dato a Terra in caso qualcuno
origliasse, non pensando che Terra si sarebbe mossa per realizzare subito
non solo la mimetizzazione ma delle velocità maggiori che lo minacciavano
con la Terra e portavano a nuovi cicli di buio e luce che si dividevano e
dividevano i tempi finché Terra non andava e veniva come un impulso degli
impulsi.
Non riusciva a pensare. Ovvero, non come voleva. Perché Terra chiese
quale rotazione intendesse Imp Plus, e chiese di nuovo un controllo della
Frequenza completo con il segnale di chiamata dell’Operazione.
Ma poi Terra chiese come aveva fatto Imp Plus a stabilizzare l’assetto
dell’IMP.
Imp Plus trovò la fermezza per pensare come voleva. Di pensare a quel
primo equilibrio: continuava: era sembrato una contro-svolta all’interno di
Imp Plus che ricordava la corrente che faceva ricadere a cascata un tessuto
di fuselli lungo una contro-corrente mediana, anche se quando finì il rollio,
l’equilibrio si mantenne; così lui l’avrebbe ritenuto disimpegnato dal resto
di sé o dal suo circuito o reticolo, se anche questo bilanciamento non fosse
stato un reticolo. E neanche separato dal letto, dagli argini, dalle ossa, dal
campo e dalle luci più vigorose da cui era sembrato essere disimpegnato e
distratto. Ma Terra e le ossa non gli avrebbero lasciato pensare come voleva
a questo bel modello giroscopico nel quale aveva trasformato se stesso fra
le precedenti scosse di rotazione.
Ma adesso vide che era ciò che erano l’assale diametrale dei morfogeni
e la spina di perfo-taglio dalla guaina salina: erano ossa.
Ma lui desiderava un ritorno delle scosse per mettere in rotazione queste
linee d’ossa che si intersecavano ma in nessun centro perché lui non ne
aveva alcuno? Tale rotazione avrebbe mostrato ancora quanto fosse libero
da tutto ciò nel suo nuovo equilibrio. D’altra parte, se essendo in equilibrio
avrebbe potuto permettere che la rotazione si prendesse a calci, una tromba
delle scale dopo l’altra, nelle orbite sparite, indiscutibilmente la rotazione si
era fermata; e le richieste di Terra si imbattevano come ombre in questa
incognita mentre si imbattevano anche in quanto Imp Plus vedeva da solo:
che contrariamente a quanto detto dalla Voce Buona lo stabilizzatore
d’assetto non era stato sotto doppio comando.
Terra aveva progettato di averlo per intero.
Ma adesso non aveva detto a Terra che l’assetto era stato sotto doppio
comando - né che non lo era stato. Cercò di pensare come voleva. Cercò di
contemplare i bilanciati momenti di forza che componevano l’equilibrio
interiore - quell’interiore e moltiplicata divisione delle spirali anch’esse
immobili nelle loro trecce non meno respiratrici. Però, cercando di farlo
come voleva, perse Terra così come riuscì a sciogliere i sali di calcio e di
fosfati dalle fibre proteiche che costituivano le ossa, come a sciogliere
queste sue due ossa stabilizzatrici dalle differenze fra le loro estremità.
Dovette cominciare a modo suo ma sapeva quel che sarebbe stato, e in parte
perché l’inizio non era adesso ma molto tempo fa. Cronometrò questa
importante trasmissione:
IMP PLUS A CAP COM. FIBRE NERVOSE INCLINI A ORIENTARSI CONVERGENDO
SUI CENTRI DI CRESCITA CHE SONO ATTIVI. VISIONE PIÙ DIFFICILE VERSO LATTEA
E VERSO OSSO, CAP COM, MA TEMPO FA È STATA VISIBILE LA GIBBOSA TERRA
ATTRAVERSO LA FINESTRA PER MEZZO DELLA MEMBRANA DEL BERTAGLIO. SONO
ANCHE VISIBILI PARECCHI ELETTRODI ALLA DERIVA COSÌ COME È ALLA DERIVA
L’ALLOGGIAMENTO DEL CERVELLO.
Aveva cronometrato questa trasmissione affinché finisse mentre uno dei
nuovi cicli di luce avviluppava la Piattaforma Interplanetaria di
Monitoraggio. Ma i tremori in risposta dalla Terra si curvarono intorno alle
onde di buio in fuga e ce l’avrebbe fatta a modo suo dopo tutto e avrebbe
pensato come voleva qualunque cosa avesse fatto a modo suo.
Mancò il Sole. Vide la sabbia. Vide riflettori scavati per trattenere il
Sole nella sabbia - che dividevano e moltiplicavano il Sole. Vide Terra
diviso.
Così lui avrebbe conosciuto se stesso. Terra doveva conoscerlo.
Non si sarebbe davvero visto raggiungere Terra ma si sarebbe visto
dividere Terra. Aveva una forza che non aveva avuto e che non conosceva;
ma non aveva l’arrendevolezza che aveva avuto. Lo aveva sentito durante la
luce come durante il buio. Di recente aveva, si accorse, attraversato molti
periodi di buio - quelli più brevi della sua orbita inferiore. Ma poi attraverso
queste oscurità più frequenti aveva sentito alieni impulsi che entravano
nelle schegge che erano alla deriva. Le schegge erano sospese come candele
senza fiamma, una lunghezza illuminata da Imp Plus - da scaglie di polipo,
butterate come una stella che attraverso tutte le sue membrane visive si
solidificavano, in riccioli e aculei ritratti, in forma quasi cornea.
Non sapeva quanto fossero lunghi i cicli di buio.
E allora - mentre sembrava non sapere ogni volta per quanto tempo
Terra potesse continuare a riceverlo e a rispondergli prima che si
interponesse un nuovo buio - come aveva fatto a cronometrare la sua
trasmissione affinché finisse a quel punto? L’aveva fatto più di una volta,
comprendeva adesso, e fu compreso.
Fu compreso dagli scintillii cremisi che aveva descritto a Terra; fu
compreso - o non lo fu - dalle cellule neuronali e gliali che non regredivano
più in glioblasti e neuroblasti per poi moltiplicarsi in una quantità sempre
maggiore di glia e di neuroni; fu compreso dai frammenti, adesso
omogenei, di quella che poteva solo descrivere a Terra come una ghiandola,
una volta centrale e infiammata; fu compreso - o almeno sostenuto - fra gli
altri elementi in frenata dalle ambrate Trecce Solari che non si muovevano
meno velocemente di prima nella sua sostanza: la sua sostanza che non si
spostava più salvo per respirare in onde a spirale intorno ai propri limiti
sbilenchi. E questi sembravano altrettanto facili da descrivere a Terra
quanto le loro origini direzionali erano difficili - e più difficile ancora era il
raccogliersi nelle loro funzioni del languore del perfoscranno, del pensiero
del saltellante bertaglio, la durevole inclinazione degli sproni morfogenici.
Ma le due ossa! Che cosa facevano nella loro sciolta e sbilenca forma a
X, e dove andavano? Avevano fini differenti.
Arrivò il Sole.
A prescindere dall’assetto dell’IMP rispetto al Sole e alla Terra, due delle
estremità ossee incrociate di Imp Plus si disposero verso la finestra, e due si
disposero in direzione opposta.
All’interno della capsula calda e sempre più calda, vide che la finestra
era stata alterata. Una chiarezza ne aveva sostituito un’altra, che era
scivolata via come pioggia.
Cercò di dire a Terra un certo numero (sì, un numero) di cose. Che
cos’era sì? Avvertì davanti a sì senza trovare le parole una cosa al di sopra
di ogni descrizione che dovesse dire a Terra. Ma Terra non diede alcuna
risposta al dirigevole e al morfogene, al perfoscranno o al bertaglio, al
livello dell’acqua o alla ghiandola una volta fiammeggiante - anche se i
lampi cremisi, diceva Terra, potevano essere semplici ricordi o particelle
traccianti venute dallo spazio. Terra chiedeva così spesso la velocità orbitale
e il segnale di chiamata: finché, attraverso queste parole con la nervosa
Terra, più vuote del silenzio, Imp Plus non vide - e il cremisi lampeggiava
come lo vedeva lui - che, per quanto cieco o alieno dovesse crederlo Terra,
Terra doveva chiedere prima o poi: Quale crescita, Imp Plus, quale
crescita?
Domanda divisa, domanda monca, perché Terra ipotizzò che la
trasmissione di Imp Plus fosse quella di un monitoraggio straniero. Ma per
quanto riguarda la crescita la divisione del punto di vista sarebbe stata
ancora più grande. D’altra parte così come Imp Plus avrebbe pensato come
voleva, così avrebbe fatto in modo che Terra, diviso com’era, lo vedesse.
E adesso, monitorando questa escrescenza di ciò che il sistema nervoso
centrale della Terra chiamava movimento fine, il cremisi avanzò
doppiamente allineato lungo entrambe le ossa fino al loro punto d’incrocio.
Ma da questa croce, fece da solo un balzo in modo da bipartire lo spazio
rimanente fra la lunghezza, in direzione della finestra, della morfo-spina e
degli spiraleggianti bertagli. E lui seppe che gli avrebbe detto ciò che non
sapeva di sapere - ma questo non lo aveva richiamato bene. Perché ciò che
la linea treccia - matassa - cremisi aveva cremato - fuso nella vista (o lo
stava facendo ancora?) continuò per quanto tempo lui non riuscì a dirlo;
perché oltre ad aver già lanciato la scintilla rossa dove i pomelli-morfogeni
univano i dirigevoli interni ed esterni, esso durava, nel suo solleticante
tocco, al di là di qualunque comprensione materiale ne avesse avuto nel
momento in cui il lampo cremisi prima si biforcò e poi divenne una linea
ricongiuntasi e una treccia e una spira che, guardandola più da vicino, si
intrecciava e si allungava costantemente, ed era pezzi e squarci di se stessa,
in cui, se ci fosse stato un senso nel farlo, Imp Plus avrebbe potuto avvistare
infinite discontinuità. Però non usando la microvista, vide un’estremità.
Era così amplificata che lui seppe nuovamente quanto fosse piccolo. E
anche quanto piccolo era stato in passato sotto un tetto alto ed enorme. La
sua parte interna era stata increspata e incrostata con impronte, superfici
piane e ganci. Un tetto il cui pavimento era sotto i piedi. Mentre guardava
l’IMP il suo cilindro - non proprio una «Piattaforma» - udì la Voce Buona
annunciargli la sua precisa altezza e udì una voce rispondere che
quell’altezza precisa era grosso modo (come la voce) la sua.
Ma quale estremità, o l’estremità di che cosa, era amplificata? E che
cosa gli faceva immaginare di ricordare che cosa fosse il cremisi? E come la
strana misurazione del tempo della sua importante trasmissione non molto
tempo fa, si pensò da una estremità all’altra per mezzo di ciò che veniva
illuminato dal suo intrecciarsi, allungarsi, rilasciarsi, irrigidirsi, volgersi,
svolgersi e avvolgersi - e dalla sua origine e da quanto c’era dietro.
Un’estremità di che cosa? Improvvisamente adesso un estremo
imprevisto: di pensare che non aveva fatto un errore concedendosi al
Progetto. Perché che cosa sarebbe successo se si fosse tirato indietro e poi si
fosse ripreso e fosse ritornato intero: o al massimo si fosse propulso senza
pelle o senza cervello: o, senza gambe, se fosse vissuto sulle dita: o se
avesse senza testa proceduto per la normale vita terrestre, come se la notte
prima avesse generato un buco nero: o, come una figura vista da qualche
parte con un buco a mezz’altezza, smussato sugli orli come un’imbottitura
in modo da sembrare l’assenza di un cuscino. Ma se si fosse ripreso sulla
Terra dall’irradiazione, invece di aspettare adesso un’area di manutenzione
nel cervello di Terra, non sarebbe cresciuto.
Se non da vecchio.
Ma vecchio quanto?
E quanti anni aveva?
Terra non rispose ai suoi dati. Terra doveva pensare ciò che voleva. Di
come viveva qui, di quel che faceva per il cibo e l’acqua. Adesso Terra
poteva essere silenzioso come il buio in dissoluzione che una volta era
stato. Terra doveva pensare quel che poteva su ciò che il Sole faceva
all’acqua e al cervello. Ma Terra era pazzo? Terra era stato ricostituito? Imp
Plus non conosceva la parola pazzo; ma Imp Plus l’aveva pensata quando a
un certo punto del passato Terra aveva detto: che cosa ne sapeva Imp Plus
di cosa avrebbe detto Terra, anche se adesso Imp Plus udiva raramente
messaggi diretti con parole: CAP COM A IMP PLUS, CHE COS’È PESTARE? CHE
COS’È PESTARE? È LA BOTTA O LE BOTTE? NON TI RICEVIAMO.
Aveva detto a Terra (quanto tempo fa) che la ghiandola fiammeggiante
era stata dispersa, pestata e ripulita di botte e assorbita, e anche l’ipotalamo
- ciò che aveva considerato tale - con i suoi numerosi controlli - o si trattava
di forze - del dolore e del piacere, del freddo e del caldo, dell’appetito.
Ma la mancanza di risposte da Terra non fu il motivo per cui non capiva
che cos’era a essere illuminato dal rilasciarsi e dall’irrigidirsi delle trecce
cremisi. Quel motivo lo trattenne in mezzo a se stesso; e così una certa
somiglianza fra lui stesso e la vista. Perché nella radianza emanata
dall’intrecciarsi e allungarsi della treccia cremisi, o emanata poi nel ritorno
della treccia richiusa in sé, distesa e semifusa alla sua rigida forma di spira,
scoprì le grandi colonie reticolari, adesso immobili, e si accorse di aver
permesso al proprio spiraleggiare di ingannarlo. Perché le colonie erano una
massa fissa, un alto blocco di reticoli macchiati di blu e verde, un corallo
pallido come la strana forza offuscante notata in passato nel chiasma ottico
adesso disperso insieme alla ghiandola fiammeggiante, all’ipotalamo e a
tutto il resto, in questa fissità. Questa fissità era stratificata con le pieghe dei
dirigevoli conici, le pieghe dei nodi-morfogeni allungati e dei perfoscranni-
cresta, le pieghe dei bertagli. Perché adesso tutti questi quattro tipi erano
una dura e rilucente registrazione della loro vita passata; adesso non si
muovevano; non si muovevano neanche dove si intrecciavano ai cavi
superiori e anche intorno a quei tubi inferiori in cui c’era ancora un
movimento dei semi, tubi che aveva temuto fin nei muscoli quando Terra
aveva mandato le scosse.
Le sue cellule erano un posto per il movimento - era così.
Le ambrate Trecce Solari erano ovunque nelle sue cellule fisse; e
attraverso questi movimenti riusciva a sentire che le cellule erano buchi
trattenuti in un reticolo, ed erano il reticolo stesso; ma erano anche dei timer
di posizione per le maree delle Trecce Solari che adesso erano più difficili
da vedere anche se lui non si sentiva meno chiaro o posizionato. Il reticolo
era un campo temporale. Era sia il movimento che il suo luogo. E il
processo cremisi, irradiantesi (nella sua mente?) dalle due lunghezze d’osso
incrociate che come la luce facevano volteggiare la loro durezza all’esterno,
illuminava il grande reticolo, guidando le trecce solari attraverso i buchi e
oltre fino ai suoi margini dove l’equilibrio che doveva far comprendere a
Terra faceva turbinare il suo modello giroscopico di sostanza apparente; ma
questo era soltanto parte del ciclo, perché poi o le trecce solari venivano
risucchiate dal processo cremisi che si irrigidiva e si re-intrecciava, o erano
proprio loro la causa di questo raccogliersi a spirale.
E anche entrambi. Entrambi. Ripeté la parola, perché sapeva di doversi
aggrappare a qualunque cosa si lanciasse in avanti o all’indietro attraverso
la lunga ellisse di un nuovo dolore - per vedere che cosa fosse all’interno
del dolore. Doveva aggrapparvisi. O essere aggrappato. Doveva aggrapparsi
contro il nuovo rumore. Messaggi codificati da Terra. Aggrapparsi o
l’avrebbe perso. Perso che cosa? Però non lo possedeva: o lo possedeva: lo
possedeva per perderlo. O lo aveva sempre posseduto - anche prima che lo
avesse posseduto l’avvelenamento da radiazioni sulla Terra: e adesso, nel
momento quantico in cui vide la massa segreta della comprensione, fra le
trecce solari e la cordicella elastica, successe un’altra cosa: le spirali
dirigevoli intorno ai suoi margini svanivano nella fissità, nel reticolo fisso, e
vide che il loro circuito era stato alimentato da questa azione a mantice fra
Trecce Solari e cordicella cremisi, che adesso nell’assenza di quella vita
dirigevole poteva vedere lanciata avanti o indietro e sempre posseduto: e
vide sulla Terra una nuova macchia spezzata, ma una macchia di particelle
che si ingrandiva alla sua vista come se il casino del vecchio lavoro di
dissolvere i corpi in particelle per trasmetterli altrove e ricostruirli fosse
stato risolto: ma la macchia si ingrandì solo in un latte modellato e costretto,
fatto di particelle, e questa era la Voce Aspra portata all’esistenza di Imp
Plus. Terra aveva permesso alla Voce Aspra di parlargli di nuovo e di fargli
domande e per scambiare informazioni, perché Imp Plus se doveva essere
ancora di più doveva conoscere quel di più che era diventato. E fu in
risposta alle trasmissioni della Voce Aspra riguardo il glucosio, l’acqua, la
crescita, e i semi radianti che Imp Plus si accorse di aver lottato per tenere
in movimento nelle loro cascate affamate di reticoli - desiderava dire alla
Voce Aspra che ciò che aveva era il dono della preveggenza, sì, la
preveggenza: e aveva visto la sua.
Ma si intromise qualcosa.
Era il dubbio del suo grande reticolo fisso?
Perché gli ultimi movimenti nel perimetro si erano dissolti.
No. Non il dubbio.
Perché qui in questo reticolo il cui campo tridimensionale era
esattamente altrettanto regolare di come lo vedeva adesso Imp Plus (come
dimensioni in più) da essere anche privo di confini qui in questo reticolo
che sembrava impuro solo nel movimento che lo assaliva - il movimento
non fu più la vita animale 0 vegetativa o qualche morsa dirigo-zoica in
movimento: ma fu invece le luci i cui pezzi venivano al contrario frantumati
in correnti di flusso e piegati e condotti in spirali di spirali per mezzo di
questo suo reticolo.
Adesso lui fu il suo pensiero. Il moto spinale del Sole e delle cellule
afferrò come una scossa inguainata una lunghezza del reticolo, poi fu
altrove come una stella di spine ma anche una spina in movimento come un
raggio esploratore.
Ma adesso lo scambio con Terra che aveva previsto e costretto
all’esistenza cominciò nel preciso istante in cui lui entrò in possesso di
quanto allora seppe di avere ugualmente previsto ma non riusciva a dire.
Perché adesso l’IMP fece un affondo, libero dalla sua nuova strada, e
ricadde ancora in palombelle di rotazione.
Però esse non stridettero.
Anche se poi Imp Plus cominciò a desiderare che lo facessero.
Il suo pensiero si rivolse alle meravigliose parole che pulsavano
passando fra lui e la Voce Aspra su un’isola del Pacifico.
Ma che cos’era che aveva acceso i bruciatori con un calcio e aveva
spento lo stabilizzatore d’assetto? Imp Plus doveva fare questa domanda.
Perché qualunque cosa Cap Com avesse fatto per spostare il perigeo più in
basso e poi più in basso verso un’area di manutenzione contenuta
nell’ansioso cervello di Cap Com, Imp Plus sentiva di essere stato lui a
farlo, e lo aveva fatto con il semi-conduttore che aveva scoperto un’altra
volta di essere.
Aveva fatto che cosa?
Era diventato ciò che aveva previsto.
O aveva cercato di diventarlo. Lo aveva fatto?
Vide l’ellisse di gesso, uno dei fuochi era la Terra, l’altro vuoto eppure
lì, con le particelle Aspre che toccavano una lavagna verde.
E poi le particelle della Voce Aspra si unirono e Imp Plus vide la Voce
Aspra come se fosse le sue particelle. E la Voce Aspra disse: QUALE
CRESCITA, IMP PLUS, QUALE CRESCITA?
Capitolo 12
Così lui cominciò a rispondere e a chiedere. E mentre l’IMP si
contorceva, rollava, ruotava, e si spingeva su orbite inferiori, Imp Plus
parlava con i familiari ovali della Voce Aspra. E non sapendo da dove
incominciare, usò vecchie parole usate dalla Voce Aspra. Parole che talvolta
la Voce Aspra era stata sul punto di usare. Ma più meraviglioso di questo in
tutte le parole che ci furono fu che esse mancarono. Era molto più di ciò a
cui le parole erano uguali.
Imp Plus lo sentiva tutt’intorno. Se non desiderava dire a Terra che ciò
che all’inizio era stato un corpo cresciuto come una stella marina fatta di
idre senza bocca sembrava adesso diverso dal corpo, desiderio dissolto
nell’incapacità che a sua volta sembrava solo un’ombra gettata dalla sua
sensazione di poter conservare ciò che il Sole sperava potessero diventare.
Guardò davanti a sé ciò che sarebbe stato; e poi - già lì - si sarebbe
guardato alle spalle da tutto ciò che a metà si accorgeva di essere diventato.
Per scoprire che tutte quelle parole erano solo figure che non riuscivano a
ricavare ciò che le parole erano inclini a indicare, così come le appena
riunite particelle corporee della Voce Aspra erano al di là di quel corpo che
Imp Plus una volta aveva condiviso con la Voce Aspra. Cioè, due corpi, ma
simili. Adesso, di fronte alla domanda Quale crescita?, Imp Plus non
sapeva da dove cominciare.
Ma avrebbe saputo quel che era diventato - non a metà ma del tutto.
Perché per conoscere ciò che era suo doveva conoscere quel di più che era
diventato. Così parlò con la Voce Aspra, mentre la Voce Aspra rispondeva
con domande e risposte. Che erano migliori di quelle che erano venute da
Terra. Perché poi Terra aveva detto soltanto che le fiammate cremisi, che
adesso si intrecciavano e si distendevano, potevano essere particelle
traccianti venute dallo spazio. Ma adesso la Voce Aspra proseguì e Imp Plus
replicò che per quanto talvolta dovesse chiedersi se l’IMP era calda, sì
quando aumentava il cremisi aumentava anche il calore. La Voce Aspra -
Era la Voce Aspra, la Voce Aspra come doveva essere stata venendo vista
solo adesso: Imp Plus sapeva grazie al particolare ricordato sulla
salmonella, ma piuttosto dato che adesso vedeva la Voce Aspra dissolta in
un latte di particelle fiammeggianti costanti ovali interrotti in lotta ma
fiammeggianti, come se la Voce Aspra avesse colto una parte del moto
radiante che per primo aveva portato Imp Plus al Viaggio Luce.
Voleva dirlo e chiedere se la Voce Aspra aveva avuto il dolore del
cedere e rispuntare, e dire anche che attraverso la lunga ellisse di un nuovo
dolore si era lanciato avanti e indietro un pensiero a cui ci si doveva
aggrappare. Lanciato fra I’IMP e la Terra. Ma non avrebbe trovato parole
uguali a questo o al cuore di questo potere che era il (o era nel) risucchio dei
respiri che sostenevano il campo che era il futuro preservatore degli stessi
respiri fra le trecce cremisi e le trecce solari.
Il nuovo dolore non bruciava, ma lui voleva perderlo. Perderlo
facilmente così come il glucosio splendeva nelle correnti che risalivano il
tubo dai letti delle piante. Ma dicendo alla Voce Aspra di questo movimento
del glucosio, lui sapeva che il nuovo dolore ne prometteva altro. E Imp Plus
si accorse non solo che la Voce Aspra doveva chiedergli come facesse ad
accorgersene; si accorse di quando la Voce Aspra lo avrebbe chiesto. Ma
Imp Plus vide che per perdere il dolore avrebbe dovuto anche perdere la
possibilità che esso faceva scaturire dall’uso di questa energia lanciata verso
un diviso Terra e poi richiamata, così come dall’azione fra le trecce solari e
il cremisi. Questa azione era più di un soffiare e risucchiare delle trecce
solari e di un raccogliersi a spirale nel processo cremisi: l’azione
comprendeva anche un grande reticolo, la cui fissità era bella quando la
luce pensava il modo di attraversarlo, invitata, non invitata, ma non invano.
Perché questa luce che era il nuovo dolore ed era il nuovo raggio oscillante
fra qui e Terra anch’esso qui e adesso perlustrò le cellule del reticolo nella
vista, nella sensazione, nel mutamento costante la cui forma di moto delle
particelle passava dalla testa ai piedi, dal fuoco alle lacrime, rischiando tutto
quello che aveva pensato di aver perso ma che adesso vedeva ammiccare
qua e là con un significato la cui energia era la loro perdita definitiva.
Queste mutue onde di luce si filtravano a vicenda come piogge
trascinate da venti orizzontali. Piogge lo conosceva - ma quando cercò di
spiegarsi si fermò prima di cominciare. Questa luce in cui era o in cui era
entrato soffiò brevemente in vista le cellule del reticolo in modo che esse
furono avvertite come forme ammassate piuttosto che come venature della
linea, o come i raggi che a loro volta sarebbero andati da qui a Terra e
ritorno come una spina dorsale senza corpo.
A un certo punto in queste forme ammassate la Voce Aspra stava
osservando che il glucosio era rimasto al massimo. Il che significava
(osservò la Voce Aspra) che il glucosio veniva creato in quantità
impensabilmente maggiori di quanto potesse essere spiegato con qualunque
tipo noto di fotosintesi: ora supposto che fosse nuovo il processo (osservò la
Voce Aspra) della focalizzazione in paralleli flussi isolati di glucosio e
ossigeno risalenti fianco a fianco il tubo diretto al cervello - pure, se fosse
successo qualcosa a questo glucosio, esso sarebbe più probabilmente
bruciato insieme all’ossigeno, piuttosto che diventare di più.
Imp Plus sognò un sonno in cui aveva conosciuto la fotosintesi.
Un sonno diviso tanto tempo fa in un’orbita in fase con il sistema
terrestre di PARTENZA, quando conosceva la fotosintesi e usava queste parole
- un periodo in cui il glucosio era in calo e lui era stato una Pallida Eco di se
stesso. D’altra parte aveva saputo con desiderio e mala voglia che quella
fotosintesi anche quando creava lo zucchero al buio non era in grado di
salvarlo più di quanto la Voce Buona del PARTENZA avesse detto che lo era.
E adesso come se il raggio oscillante verso la Terra fosse il corpo della
sua disperazione per non essere in grado di dare ciò che sapeva essere qui,
Imp Plus non poteva mostrare alla Voce Aspra quelle ombre che aveva una
volta allungato come gru e contratto come gomiti, né comunicare alla Voce
Aspra che adesso le parole diretto al cervello erano sbagliate; né mostrare
alla Voce Aspra ciò che Imp Plus aveva saputo solo a metà di intendere
quando aveva detto BELLO IL GLUCOSIO (parola di Terra). Lo aveva detto
proprio adesso, così sembrava; ma in effetti lo aveva detto molte volte fa
attraverso archi di zucchero che facevano piovere luce e colore sulle oscure
pendenze, anche attraverso dolci muscoli che aprirono un flusso color
arcobaleno verso le possibilità del proprio desiderio: il flusso di un umore
acqueo sulla Terra e diventato qui in orbita forse solo a vederlo un alimento
zuccherino. Se non volle comunicare queste stranezze, pure Imp Plus -
dissolta in un altro essere la sua ghiandola di controllo ipotalamica - non
escluse i comandi di Cap Com che si intromettevano nelle particelle Aspre.
Eppure era sì e no al corrente di quale fosse il motivo per mostrare alla
Voce Aspra su questo loro privato e diretto circuito di particelle lo spettro
dei piccoli archi e l’ombra dorata dell’unico grande arco gettato dal Sole,
dal suo corpo e dalla sua mano di luce su Imp Plus.
CAP COM A IMP PLUS, LEGGERE LA FREQUENZA, IL SEGNALE DI CHIAMATA E
LE PAROLE SEGUENTI LA MIMETIZZAZIONE.
La luce trovò uno schema nelle cellule cristalline: fu la sua semplice
replica ma la sua maggior comprensione. Ma con Cap Com doveva parlare
nel vecchio modo per mezzo del Circuito di Concentrazione.
Oh c’era un test, un test simile alla richiesta di identificare ciò che era
situato accanto al rilevatore che registrava le reazioni dell’azoto nei letti -
ovvero, il dilatometro che registrava l’espansione dei liquidi.
Quanto spesso Imp Plus aveva risposto con la frequenza, le lettere TL e
queste parole d’ordine quali Piano Contingente, riscontrando una spettrale
mimetizzazione nella tumultuosa mente di Terra? E allora dubitava anche
del suo equilibrio? Perché poteva sembrare un mero disimpegno dall’azione
delle sdrucciolevoli scosse dell’IMP che urtavano nuove orbite, sempre più
basse, tutte ellissi, col dolore come diametro, la Terra come uno dei fuochi e
l’altro - l’altro fuoco una volta vuoto sulla lavagna gessata della Voce
Aspra, adesso chiaramente Imp Plus e il Sole.
Oppure - aveva osservato la Voce Aspra a un altro punto - il glucosio al
massimo poteva significare al contrario che non veniva usato alcun
glucosio, il che poteva indicare che Imp Plus era morto e parlava dall’aldilà,
o più probabilmente si era disfatto del glucosio - forse anche dell’acqua -
Ma NEGATIVO, NEGATIVO, NEGATIVO, si sentì dire Imp Plus, come la perduta
Pallida Eco. Ma lo diceva con una tale intensità che sembrò più e più
profondo di quanto aveva detto la Voce Aspra si sarebbe dovuto vedere:
ovvero, le correnti nei tubi, delle quali quella che si muoveva verso di lui
era una linea carica di glucosio straripante per il condotto dagli sgocciolanti
letti delle piante, verdi, verde-azzurro e marroncino smorto: perché come
faceva la Voce Aspra a concepire nella sua sostanza gli archi di lumen
zuccherini e come facevano essi a roteare così oltre il desiderio delle piante
che Imp Plus desiderava non esprimerlo in parole - conosceva la parola odio
dalle aspre stanze verdi - che odiava la stretta attenzione della Voce Aspra
che adesso si sforzava di ricevere e capire, e odiava Terra perché non
avrebbe capito.
E così, a un certo punto nelle ombre di luce che scorrevano, si
immergevano, si ispessivano, sopravvivendo (sembrando addolcirsi in
sciami, spire e chiazze distorte) al suo duro reticolo, non spiegò il suo
NEGATIVO, NEGATIVO, NEGATIVO: mentre a un altro punto, stratificato sulla
momentanea oscillazione delle particelle lattee e gessose degli impulsi di
una trasmissione della Voce Aspra, in modo che la Voce Aspra fosse proprio
lì nello strato del reticolo - Imp Plus vide nel tubo che saliva dalle piante un
brillare che non era il glucosio: era la luce.
Il glucosio si era fermato.
Ma la più profonda sensazione da lui avuta fu d’improvviso la
stratificata consapevolezza di questi strati: il che era ciò di cui lui si
accorgeva di aver inteso quando lui aveva visto la preveggenza: perché
proprio quando la Voce Aspra chiese proprio in quella trasmissione come
faceva Imp Plus a vederci, Imp Plus scoprì di non vedere il brillare
arrestatosi nel tubo ascendente: ma di più: gli spostamenti di sostanza
avevano trasformato la membrana in scaglie e poi in cellule del reticolo - e
lui aveva sentito e non visto l’arresto nel tubo.
Che cosa vedeva allora, e adesso? Il brillare che ricordava.
Anche la differenza fra la Voce Aspra e Cap Com.
Però una era proprio qui fra gli scogli e le distorsioni avvolgenti create
dal reticolo con la luce mutua, e l’altra - Cap Com - non era vista ma era un
altro modo di parlare. Ma prima e dopo che Cap Com si intromettesse fra la
Voce Aspra e la richiesta di Imp Plus di identificare una ghiandola
fiammeggiante in prossimità dell’ipotalamo che adesso era stato disperso, la
Voce Aspra si intromise fra Imp Plus:
(fra il NEGATIVO, NEGATIVO di Imp Plus e il suo relativo bisogno di
sapere come faceva l’acqua a continuare ad apparire)
e si intromise fra il suo dubbio che gli archi di lumen, i bracci pensanti,
la sostanza in movimento, le Trecce Solari, il bertaglio, il perfoscranno, il
morfogene, o il dirigevole potessero mai esser comunicati, e la sua richiesta
di sapere come si poteva fare per conservare la sua energia:
la Voce Aspra si intromise non per chiedere ancora Quale crescita?
(perché la Voce Aspra lo aveva chiesto dalle sue particelle ricostituite sulla
Terra e in parecchie aree momentanee plasmate nella luce del reticolo) ma
invece (OK, Imp Plus) per la ricezione da parte dei molti milioni di cellule
conduttrici della vita venuta dalla mutua luce con cui mettevano in atto
queste possibilità: così, data (disse la Voce Aspra) questa scorpacciata di
glucosio, data ancor più di ciò che la clorofilla nostra e del progetto potesse
creare fra di loro, la fotosintesi doveva essere anormale e poteva, essere
nuova: eppure anche così ci sarebbe l’acqua. Ma mentre il Sole può far
saltar fuori energia pulita, il Sole non potrebbe mai, neanche per mezzo
degli strati d’azoto sulla finestra dell’IMP creare l’acqua da solo così - oltre
alla disperazione e alla curiosità sulle particelle delle cose ricordate che
adesso cadevano fuori portata (perché adesso Imp Plus scoprì le
trasmissioni Aspre nuovamente plasmate negli strati delle cellule del suo
reticolo mentre il raggio oscillante diretto alla Terra trovava e ritrovava in
ogni istante nella conferenza generale gli ovali gessosi e lattei delle
particelle che erano la Voce Aspra sull’Isola di Natale; e Imp Plus era
sciamato nelle congetture Aspre per bloccarle con una inutilità uguale a ciò
che, in questo angolo di tutte le nuove orbite inferiori in cui l’IMP si
spingeva, Imp Plus vedeva come un caos cooperativo di collusione: vale a
dire, i sospetti Contingenti di Cap Com che complottava per la ripresa di
Imp Plus, il passaggio a nuovi progetti della Voce Buona del Viaggio Luce,
i fornelli solari nei pueblos, la corsa alla Reazione Reversibile, i vivai
energetici trans-mondo che scavavano aree più grandi restringendo spazi
più grandi, la lotta di potere che era la lotta per scoprire, al di là di semi-
conduttori perfettamente imperfetti o al di là di un elemento da cui ricavare
corpi neri senza scorie per i ricettori solari, la pista verso la Reversibilità
Reattiva per mezzo della quale ripiegare l’Energia consumata attraverso
l’interfaccia del suo utilizzo e di conseguenza per rifrangerla riavvolta e
rinchiusa)
- Imp Plus cadde verso forme inclini a contenere città e colore, flussi
sanguigni e acqua, eppure forme che avevano un senso negli schemi
energetici che contenevano un vuoto nel quale le miriadi di cellule
cristalline di Imp Plus in questa momentanea forma di disperazione
potevano far sciamare le parole E ALLORA -
si doveva vedere (continuò la Voce Aspra, non essendosi fermata)
un’extra forza all’opera che era un altro elemento che sembrava, oltre la
sequenza delle vecchie parole terrestri (ma parole che tutte le cellule del
reticolo in una cooperazione traspersa suddividevano in un significato), un
elemento o una forza fatta precipitare da ciò che era vicino ed era
dolorosamente ovvio, precipitata nel volume, precipitata nelle piogge, Imp
Plus, le piogge - direzioni precipitate fra le perforate miriadi di ciò che era
già - che la materia grigia e bianca del cervello e un chiaro umore del fluido
cerebrospinale -
E la luce! - le parole si congiunsero: le due parole, ma piuttosto due
coppie - due forme reticolari stratificate l’una sull’altra: la Voce Aspra e
Imp Plus le dissero insieme, in modo che proprio la congruenza delle
coppie le rendeva distinte, come…
L’ombra della collusione passò di traverso fra le pallide, dure cellule. Si
moltiplicò o si divise nel mutamento. Imp Plus stava pensando: io ho
inventato il reticolo inclinato. Ma (sulla linea-particella privata e diretta fra
di loro) la Voce Aspra continuò: e se questa luce venuta dal Sole nella
sostanza cerebrale ha un corpo
- e Imp Plus si era trasformato da eterotrofo in autotrofo - se davvero c’è
l’acqua. E quale crescita, Imp Plus, quale crescita? - le parole stratificarono
la loro crescita attraverso ciò che lui pensava, e la Voce Aspra lo chiese
ancora, e poi chiese se Imp Plus avesse forse conservato la sua energia
avendo compresso 0 composto quei venti solari postulati dalla Voce Aspra
in punti focali, punti focali concentrati come le tecniche in origine
programmate ipnoticamente per il Circuito di Concentrazione.
CAP COM (istantaneamente giunse la rude linea VL istantaneamente
estesa in distorsioni di lumen che conferivano l’aspetto del movimento alle
impronte fisse dei perfoscranni fossili che una volta increspavano il buon
umore della distanza fra i pomelli-morfogeni), TRASCURA L’ULTIMA
TRASMISSIONE, IN QUANTO MATERIALE INUTILIZZATO DALL’ORIGINARIO PIANO
CONTINGENTE, CAP COM A IMP PLUS, ENERGIA, GLUCOSIO E ACQUA
EVIDENZIANO L’ATTESO CALO.
Ma l’acqua c’è, disse Imp Plus come se parlasse alla Voce Aspra, e i
familiari ovali in lotta con gli schemi delle loro particelle sull’isola del
Pacifico risposero. La lotta parlò ma si pensò da sola. Le letture non erano
ciò che diceva Cap Com, ma come faceva la Voce Aspra a dire questo - ?
Imp Plus lo sapeva.
- o a trasmettere che Cap Com aveva ordinato alla Voce Aspra di
limitarsi a ottenere i fatti da Imp Plus?
Così la Voce Aspra non sapeva ancora di star veramente comunicando
con Imp Plus su una linea privata.
Eppure adesso che era in grado di raggiungere la Voce Aspra solo
direttamente e non tramite Cap Com, Imp Plus voleva tutti i test falsi e
meschini di Cap Com - perfino un falso test d’allarme, per dimostrare come
funzionasse ancora il vecchio circuito modulare. Ma poi questa possibilità
di perdere Cap Com si disperse fra gli strati del reticolo, e da qualche parte
Imp Plus aveva già spiegato che una volta svincolati i singoli atomi della
molecola d’acqua si ritrovavano afferrati, lanciati, fatti ruotare e saltare in
spire orbitali dal Sole ammassato sul suo sole, e si moltiplicavano nel cielo
di una nascita in modo che quando gli atomi adesso molto più numerosi si
ri-vincolavano, il livello dell’acqua era apprezzabilmente cresciuto, e forse
Terra era in grado di dire il perché e di dire se la differenza fra le letture
dell’acqua fatte da Terra e da Imp Plus fosse dovuta a un piano Contingente
di Mimetizzazione di cui Imp Plus non sapeva niente.
E nonostante adesso si ritrovasse in un lungo ciclo di buio, Imp Plus
scoprì nelle sue aree sagomate che anche lui aveva detto a Terra che le
impensabili quantità di glucosio provenienti dai letti delle piante nondimeno
non avevano cominciato a eguagliare i livelli di glucosio in Imp Plus, e tutte
le indicazioni dicevano che il glucosio, forse tramite innesco dal tubo delle
piante diretto al cervello, forse tramite un tortuoso processo già indicato,
veniva prodotto direttamente in ciò che era stato il cervello ma che adesso
non era il cervello perché quello era completamente cambiato.
Da qualche parte giunse una pausa, ed era in un posto non un altro. E
Imp Plus non sapeva dire se ciò che aveva in momentanee aree di
distorsione del reticolo era l’immagine dell’attività nelle particelle della
Voce Aspra sull’isola del Pacifico. Ma il lungo ovale appiattito del loro
circuito personale incarnava la sua attuale ellisse in maniera così esatta da
fargli ricordare la parola ballare tracciata su qualche dolce griglia d’umore
per quelli che sarebbero venuti a seguire.
E attraverso l’avanzante buio del lungo ciclo venne invece della Voce
Aspra la statica divisione di Cap Com: fra il possibile e l’alieno, il bisogno
e il dubbio: CAP COM A IMP PLUS, TEST DI ROUTINE D’ALLARME IN VOLO:
IDENTIFICARE PER NOME DIRETTORE PROGETTO VL. AVANTI IMP PLUS.
Ma mentre, nei suoi strati, sentiva simile all’opposto di una scossa una
fissità più lenta, anche se una fissità più delicata - guadagnata - e seppe che
avrebbe dato a Cap Com un’altra risposta, migliore di quanto desiderasse,
scoprì ciò che aveva previsto al di là della domanda principale della Voce
Aspra. Quale crescita? che era stata messa da Imp Plus nella Voce Aspra.
Scoprì di aver previsto in una semi-congruenza di strati che non avrebbe
saputo come rispondere alla domanda.
E Imp Plus, che non ricordava l’altro nome della Voce Buona,
rispondeva a Cap Com: QUELLO CON CUI NOI STAVAMO PARLANDO È VOCE
ASPRA, RIPETO, VOCE ASPRA.
Sull’isola del Pacifico, ovali simili a bracci perduti ceduti al
bombardamento, e questo era Cap Com alla Voce Aspra, finché da Terra
non ritornò PERCHÉ ASPRA?
Ma ciò che Imp Plus aveva detto era stata la cosa da dire, perché fu
d’aiuto.
Perché sebbene Terra in un accelerato turbinio di particelle ricostituite
rispondesse DILLO ANCORA IMP PLUS (e fosse ignorato) Imp Plus seppe che,
dato che il turbinio delle particelle Aspre era più curioso, dare il nome della
Voce Buona avrebbe fatto sì che Cap Com pensasse poi che il nome dopo
tutto era stato noto esternamente al rigido sistema di sicurezza di VL dato
che a questo punto Imp Plus aveva svoltato oltre la linea di comunicazione
da quell’arida isola del Pacifico. Adesso Cap Com avrebbe appreso dalla
Voce Aspra perché «Aspra»; e, apprendendo questo, Cap Com avrebbe
creduto che le trasmissioni provenivano da Imp Plus, e avrebbe dato credito
ai dati su acqua, glucosio ed energia; e Cap Com avrebbe accettato l’idea
che Imp Plus era in possesso di un modo per comunicare con quel punto del
Pacifico durante un lungo periodo di buio.
Ma aspetta: non lo avrebbero fatto: aspetta: Cap Com e proprio la Voce
Aspra adesso erano insieme.
Eppure Imp Plus si intratteneva con le particelle della Voce Aspra su
una frequenza privata, che la Voce Aspra avvertiva ancora come un suo
pensiero su quell’isola ma che cedeva a Imp Plus, qui nelle forme del gioco
di luce del reticolo che rallentava verso una crescente delicata fissità, sia le
particelle dell’immagine della Voce Aspra sia le sue risposte in strati simili
alla preveggenza. Ma mentre Cap Com si intrecciava con l’altra, corporea,
Voce Aspra sul raggio oscillante dai respiri fra le Trecce Solari e la spira
cremisi, i campi reticolari di Imp Plus divennero consapevoli di ciò verso
cui erano sempre stati inclini: che il loro raggio privato diretto alle particelle
della Voce Aspra era stato trasportato dalla matassa principale del raggio, e
non viceversa. Ma anche se intrecciate su quella matassa di Trecce Solari e
spira cremisi, le voci si srotolarono come volevano le cellule del reticolo. E
la Voce Aspra nelle figure, dalla densa massa, della luce mutua fluiva
sempre più veloce come se potesse, con il girolibrium, disegnare un singolo
campo o solvente per tutti gli eventi del glucosio, dell’acqua, della vista
(che gli strati del reticolo erano capaci di ricordare), e dell’intera crescita -
Quale crescita, quale crescita?- mentre quando Imp Plus, finora riluttante a
fornire, come una boa di posizione, dati su braccia a stella che venivano
come un’idra senza bocca, dati sulle membrane che erano come polipi sulla
luce e perfino sulla vista, degli incrementi attraverso i quali la sua sostanza
in movimento si era gonfiata e divisa e moltiplicata, chiese se fosse
concepibile per le cellule cerebrali tornare alla loro forma embrionale per
poi emettere multipli esponenziali prima di svilupparsi nuovamente in
forme adulte; e la Voce Aspra osservò che Imp Plus pur trasmettendo con
una lentezza quasi eccessiva sembrava aver visto i fenomeni in questione e
aggiunse che in effetti per alcuni anni - quali anni? pensò Imp Plus - dei
progetti avevano cercato di scindere il neurone anche se per quanto ne
sapeva non la neuroglia, ovvero le cellule gliali - Cap Com irruppe di nuovo
esigendo di sapere che cosa significasse la parola «NOI» nella trasmissione
QUELLO DI CUI NOI STAVAMO PARLANDO, e Cap Com, la cui voce avrebbe
potuto assomigliare a quella della Voce Buona se tutti gli strati cristallini del
reticolo fossero stati inclini a farlo, chiese se c’era qualcun altro -
qualcos’altro lassù insieme a Imp Plus, e lo chiese altre due volte.
Ma il ciclo di buio stava terminando. Il Sole riscaldò le trecce.
Respiravano più facilmente con le trecce. E mentre i quanti di lumen
fluivano sul reticolo, il Sole adesso assomigliò non tanto alle dita quanto al
palmo. Un palmo o un pugno con cui Imp Plus poteva scontrarsi e
carambolare. Un palmo dall’inclinazione infinita e raggrinzito in maniera
ampia e accecante, e, grazie alla memoria o alla preveggenza di Imp Plus,
un palmo vagamente a coppa.
Non sapendo altro delle grinze se non che erano un movimento, Imp
Plus attraverso di loro avvertì nondimeno una forma di forme attraverso le
cellule del reticolo, che emetteva la risposta che gli serviva, che il vecchio e
nuovo dolore dissolse in sé per creare un’incognita fra le Trecce Solari e
una fusione che esse quasi abbracciarono. Ma nel perdurante pensiero della
Voce Aspra la domanda per questa risposta era stata occultata e perduta. La
forma delle forme era quella turbinante occasione da lui inalata nelle stanze
verde pallido sulla Terra. Inalata essendo stata vista attraverso le particelle
di fumo. Particelle che erano giunte, si accorgeva adesso, dalla strana voce
con i suoi punti focali fossili di un ovale tracciato su una oblunga lavagna
verde così come il fumo era giunto al suo corpo malato. Aveva visto
attraverso le particelle forme che non erano al di là delle particelle - aspre
forme di perdita che se trasformate in buone avrebbero potuto emettere un
processo chiaro ma che dovevano essere aree lasciate davvero vuote dalla
perdita che la voce severa aveva appena avvertito sottintesa nella mala
voglia del Pensa a ciò che stai per perdere. Parole trasmesse in privato a
Imp Plus, che tossì presto con un torreggiante mal di testa. E in quel
momento che era simile più a un’area che si levasse attraverso la sua gola
arrossata per essere piuttosto un luogo che Imp Plus concentrava nel suo
cervello in corsa che a una mala voglia e a un’angoscia folle per un futuro
morto o assente, così l’una inseguì l’altra: la vedeva adesso attraverso
l’energia, dalla durezza ossea, di quel reticolo che era lui stesso: vide
cadere, o cadere in questo inseguimento, la calda concentrazione di quel
momento: in modo che l’intervallo in movimento fra i due inseguitori
diventò il loro moltiplicando.
Ma in qualunque parte delle sue cellule Imp Plus stesse vedendo questo
- si era presagito nelle stanze verde pallido al momento della divisione
intrecciata, della mala voglia, dell’angoscia, dell’ira, e dell’inclinazione a
cascata. L’inseguimento era dentro di lui, e la migrazione degli intervalli si
ritrasse - si era ritratta - in forme del processo sgombre da ogni impurità
salvo la possibilità lanciata in avanti il cui luogo era il sempre più pallido
reticolo corallino in simultanea comunanza con il quale lui attraversò -
aveva attraversato - quello che era: umidi muscoli di luce; piogge di
nutrimento; cavità della crescita e del vuoto portato all’esistenza proprio
dalla fuga che si stendeva sopra di esso; l’aspetto del pensiero disperso; il
glucosio creato o pensato lungo un impulso di color arcobaleno contratto
attraverso la fessura di una pupilla; forme dell’equilibrio che lui era
piuttosto che vedere nel rollio dell’assetto dell’IMP e degli inconsapevoli
piani di Terra. Forme di un’inspirazione arenata all’interno di
un’inspirazione, e altrove scie di particelle respirate attraverso chiuse di
luce da centrali elettriche ovali che incrociavano così da vicino la vita di
cervello e alghe che nell’ombra dell’idea di verde Imp Plus poteva apparire
alla Voce Ambra come fotosintetico - e pur se eterotrofo, volendo, autotrofo
nella forma base apparire, cioè, a questa severa presenza come una forma
ancora diversa, quest’Aspra presenza tramutata in qualche modo da Imp
Plus in schemi di particelle così simili alle sue cascate di parti assiali
affusolate e spezzate in un fresco movimento che la Voce Aspra poteva
guardare a Imp Plus come alla propria sostanza. Ma cavità, colore, forma,
energia - ora ciò che doveva avere era il modo per trattenere quel di più che
era diventato - laddove la Voce Aspra sembrava volere con ostinazione quel
di più.
Dillo ancora.
Il reticolo assorbì le parole.
Le parole entrarono insieme in un vuoto non detto in cui, essendo prima
state dette più di una volta, furono lasciate non dette. Oh che cosa
significava? Angoscia, ira, mala voglia, assenza, dolore nuovo e vecchio si
dissolsero per creare qualcosa fra le Trecce Solari e una fusione che quasi
abbracciavano.
Lo stavano ringraziando. Per che cosa?
Sì, una struttura a treccia, concordava la Voce Aspra; e dove, se è
visibile? e si accompagnava in qualche nodo con il summenzionato rosso
che cresce con il colore?
Stavano ringraziando Imp Plus per aver risposto al dillo ancora dicendo
- ma era stato il reticolo che si raccoglieva - il dolore vecchio, il dolore
nuovo - le Trecce Solari e la fusione e il qualcosa in mezzo.
Voleva dire cascate. Non si conosceva neanche dopo che la voce di Cap
Com arenata con la prima severa voce amichevole richiese di sapere che
cosa fosse mai stato detto sulle trecce, e Imp Plus stava dicendo che le
Trecce Solari e il rosso erano stati davvero visti?
Non poteva spiegare le membrane visive.
Ma esse erano state lui. No, lo erano adesso.
Imp Plus lo richiedeva ancora.
Adesso dov’era l’altra voce?
Nel silenzio gli strati del reticolo erano occupati. Difficile da richiamare
nei reticoli, l’altra voce aveva chiesto forte quali cascate. Perché la parola
cascate era stata trasmessa direttamente alle particelle della Voce Aspra
ovaleggianti sulla Terra ma anche qui nel reticolo come delle parti lì
separate per essere tracciate col gesso sull’esperienza fossero incarnate
anche qui fra gli strati di pettinato imbiancato, duro e carico. E stavolta le
particelle della Voce Aspra non avevano detto Dillo ancora. Perché,
essendo stato detto prima più di una volta, dillo ancora fu lasciato non
detto. C’erano scariche che infettavano le particelle amichevoli; erano in
uno strato del reticolo ed erano anche sull’isola terrestre dove la Voce Aspra
era anche un compagno che lavorava con Cap Com; il motivo dell’acqua
rimaneva sconosciuto mentre ogni nuova ellisse lanciava più duramente
l’IMP verso Terra; altre scariche invadevano le particelle amichevoli; una
voce affermava che non era stato detto nulla sulle trecce o sulle cascate; il
reticolo attirava più Sole all’interno di ciò che esso e il Sole sembravano
volere - una spirale interna simile a un occhio composto e cacciatore (anche
se qui non c’erano più insetti che vegetali); ma altrove nelle particelle della
Voce Aspra le cascate turbinavano ma non arrestavano le scariche: le parole
cascate e salmonella turbinavano ma turbinavano verso l’interno nel
turbinio ovale delle particelle eppure le scariche si intromettevano e le
scariche venivano dall’esterno ma non dal pallido reticolo ma lì sull’isola
terrestre; i fotoni si combinavano in una spirale con le cellule del reticolo
che potevano sembrar mosse dal movimento sostenuto - combinato in un
occhio il cui angolo tramite più e più svolte perlustrava il posto negli strati
in cui un cedere avrebbe potuto superare i dolori di tutto ciò che si sarebbe
perso e arrivare al dolcissimo umore in un semplice mare di Sole; ma si
intromise qualcosa e non erano le scariche ma il pensiero che le scariche
erano Cap Com e che le particelle amichevoli erano in pericolo; e in un
improvviso sommovimento spinale che il reticolo fisso fece attirando il Sole
in un condotto per afferrare e scuotere il circuito terreno d’atteggiamento,
I’IMP fu stabilizzata, si arrestò il suo rollare verso la minaccia della Terra, e
il reticolo intervenne fra le amichevoli particelle della Voce Aspra e le
scariche che dovevano essere Cap Com e quindi dalla Terra si poterono
udire le vecchie parole: Pensa a ciò che stai per perdere.
Bizzarramente le parole erano più note di quanto sarebbe stato se
fossero state dette da qualcuno. Come mai? Perché erano state dette a
qualcuno.
Non stavolta, però.
Parole mostrate per mezzo di uno spostamento delle particelle
amichevoli: come se una piega degli ultraincroci ovali fosse svanita
riversandosi nella piega di un momento: ma quelle parole, Pensa a ciò che
stai per perdere, che non venivano ma andavano da Cap Com (come si
faceva a saperlo che andavano da Cap Com?), non andavano sotto forma di
pensiero trasmesso direttamente come con le particelle o il pensiero
amichevoli che esistevano in quanto le nuove attitudini orbitali erano
contenute nel pensiero interiore, ma sotto forma di un’emanazione lanciata
dalle particelle amichevoli del precedente pensiero della Voce Aspra in ciò
che il grande reticolo considerava come un circuito non più solido e non più
insolito del discorso fatto ad alta voce dalla Voce Aspra a Cap Com.
Alla Voce Aspra serviva ancora di più. Più aiuto. Le ovalescenze si
erano protese, perché scorrevano più veloci ma per espandersi libere da
ogni centro solo per ricavarne particelle ancor più compatte come se la
forza fosse un fuoco quando, dato che un ovale non ha un fuoco ma due,
così sulla Terra questa ovalescenza si protese o si sporse subito all’esterno,
e qui nel reticolo che avvertì nei suoi strati sia la grande infiorescenza in
fuga verso un centro, un centro assente la cui assenza era composta da due
fuochi che si dividevano l’assenza fra loro - sia, nello stesso slancio, quella
grande fuga efferente (per centrifuga - lui ricordò la parola centrifuga - si
ricordò da sola) perché liberarsi era lo scopo: ma chi? non solo una matassa
della Voce Aspra: libero da quel reticolo? Come la pelle fuori del cervello?
Nessuno dei due. Un nome però. Cose da dire se fosse venuto il nome.
Potevano essere estratte dal reticolo.
Quali cose? Quale nome?
Cap Com parlò: CAP COM A IMP PLUS, CONTROLLO ORBITALE, PENSAVAMO
DI AVERTI PERSO. DOVE SEI ADESSO IMP PLUS? HAI LA LETTURA
DELL’ALTITUDINE?
Cap Com era stato quello con cui parlava la Voce Aspra quando la Voce
Aspra aveva detto Pensa a ciò che stai per perdere. E da quelle particelle
amichevoli il reticolo aveva ricavato l’altitudine da fornire a Terra. Con
lentezza. Così lento che ancora una volta il vecchio nome Imp Plus detto da
Cap Com fu quasi per sfuggire. E non era la fuga intesa da ciò che voleva
andar via. Si poteva sempre trovare una ferita con cui andar via. Ma qui
dove ci si trovava? Imp Plus era ciò che aveva voluto andar via dal reticolo.
O non via - via da sotto. Come uno strato. O da un lato per parlare con
la Voce Aspra, che allora sarebbe stata su un altro adiacente lato del reticolo
e non d’impedimento, che adesso parlava sul raggio principale, e respirava
oscillando nel punto di mezzo fra il processo cremisi e le Trecce Solari -
parlava di cascata elettromagnetica (era così, Imp Plus?) (ancora quel
nome) e spiegava che il processo dinamico di decadimento era, così come
Imp Plus ben sapeva essendo stato un ingegnere (ultramicron, insegne
rosseggianti, la recinzione), la cascata elettromagnetica, un positrone
espulso che cerca e trova un elettrone espulso per annichilarsi a vicenda nel
violento momento dell’emissione di qualcosa.
Ma il vecchio Imp Plus doveva dire qualcosa, perché sarebbe venuto un
aiuto per quel di più che era il reticolo solo se la Voce Aspra era al corrente
della perdita che precedeva il di più. E adesso sull’Isola di Natale nel
Pacifico senza bisogno di parole d’ordine dell’emittente o del ricevente si
udiva dagli strati del reticolo il messaggio per cui: il glucosio non superava
ciò che era nel tubo proveniente dai letti delle piante, non c’era alcun
glucosio oltre quello per cui c’era il reticolo, c’era il reticolo.
DILLO ANCORA
Ora il cervello che creava il glucosio in modo indipendente era uno
strano autotrofismo (così diceva la voce della «cascata» combinando parole
sul raggio principale di Terra con altre trasferite direttamente dalle
particelle). Ma assolutamente nessun glucosio nel cervello significava che
questo era un autotrofismo del tutto differente.
E più difficile da mandar giù (dicevano ulteriori parole anch’esse
passate dalle particelle nel pensiero delle quali avevano caricato di un volt
l’onnipresente reticolo chiaramente considerato un discorso ad alta voce
fatto da Cap Com alle particelle Aspre).
Ma niente cervello, replicò per due volte il reticolo, niente cervello.
Al che, di tutte le risposte turbinate fra la Voce Aspra, Cap Com, le
particelle ricostituite e i raggi gemelli, una risposta giunse più chiara a Imp
Plus:
IMP PLUS, IMP PLUS, DILLO ANCORA, IMP PLUS, DILLO ANCORA.
Difficile, così difficile. Perché che cos’era quel vecchio nome Imp Plus,
adesso di fronte agli strati dei reticoli? Autorizzato. Il nome era autorizzato.
Ma come? Autorizzato dal reticolo. Ma fra i turbini spuntati dagli strati
autorizzato come? in una luminosa palpebra degli strati successivamente
impressionati con turbini di carica, autorizzato come? Difficile da vedere:
anche se poi autorizzato fu a un angolo della palpebra, ed era quella
sensazione più opprimente, una gravità al cubo, una sensazione paralizzata
e bardata, e aveva tossito da una gola invernale in una mano che non era la
mano lasciata andare adesso da un’altra mano nascosta da un giornalaio
cieco con cui essa aveva parlato mentre allora se ne andava da Imp Plus
verso qualcuno che si avvicinava che lo aveva fatto star lì. No, non star lì,
ma star lì con la mano che a sua volta era stata autorizzata a stare con lui:
un bambino, un bambino freddo, un mal di testa, suo figlio, una femmina
con una pallida gola sbottonata nel vento freddo non rossa mentre lei aveva
detto che la sua lo era - la gola che stava per perdere - né torreggiante come
il suo mal di testa con la sua cascata di collegamenti autorizzati che
passavano da ciò che era soltanto sopportabile a ciò che era sopportabile
spostando attraverso spazi simultanei l’occhio composto dai reticoli insieme
al Sole per andare alla ricerca di ciò che Imp Plus era stato autorizzato a
credere che portasse oltre una cavità di dolore fino all’umore di un mare, il
mare lungo come lo spazio, ma - no! - diretto verso il ricordo di una fiamma
sempre più prossima a venir vista dall’occhio composto spiraleggiante che
era soltanto una parte degli strati del reticolo. Un profumo di farina, di sale
diluito e inserito nel sangue che diventava ricco e viscoso nell’aria. Un
odore di spreco-dolore. O di crescita.
Lentamente Imp Plus parlò con Terra, e non sapeva se a voce alta o no.
Ma sapeva di aver chiesto adesso che cosa fosse stata la ghiandola
fiammeggiante con in alto l’incrocio offuscato.
Ma che cos’era questa cosa su cui si dirigeva l’occhio composto, e che
respirava da vicino ma poi si esalava via come un’orbita ellittica di
qualunque altitudine? Adesso non una cosa o una ghiandola.
Perché il cervello non c’era più.
Le sostanze si erano disperse e riformate, per quanto con un processo
viscoso, vigoroso, pungente, dall’odore non sentito prima che ricordato.
Ma ciò verso cui l’occhio composto si dirigeva era qui fra gli strati. Non
sapeva come chiamarsi. Mal di testa meno torreggiante e accasciato della
sua memoria: così anche un dolore per la mancanza di testa ma un dolore
così meravigliosamente a cascata che c’era il recente ricordo del muscolo
scranno-morfico che rideva per prevedere (stratificata ancora più indietro)
una pallida voce che diceva le parole Cinquanta per cento piacere
cinquanta per cento dolore.
E Imp Plus nel caldo dente in riva al mare della donna che declamava
Vanità il dente marcio del giornalaio che mordeva il vento atlantico, mentre
Sarei potuto essere un vegetale trascendeva il desiderio ricordato da Imp
Plus di seguire suo figlio, abbandonare Viaggio Luce, ma sopravvivere.
E nel medesimo momento in cui si udì la Pallida Eco dire ipotalamo, si
videro le Aspre particelle chiedere come aveva fatto la Pallida Eco a vedere
lassù molto meno di un chiasma ottico offuscato.
E adesso si avvertì il grande reticolo nei suoi strati di cellule che
scrollava le spalle ed esalava e distendeva un muscolo: scrollava all’infuori
l’occhio composto a spirale nei ricostituenti dell’ovale che quadravano con
questa crescente sensazione di Imp Plus: che lui era autorizzato dal grande
reticolo, soltanto autorizzato.
Cosa che non disse a Terra. Ma a beneficio delle letture del glucosio
aggiunse che adesso l’acqua era zero ma questo perché era diventata inutile.
Cap Com diceva Da tanto tempo niente telemetria sull’ipotalamo.
Il reticolo irradiò verso Terra che adesso non esisteva alcun ipotalamo.
Imp Plus sentiva che neanche lui si trovava in alcunché. Ma poi si
scoprì parte dell’ovale del reticolo, avvolto sul Sole. Subito vide e seppe
comunicare alla Voce Aspra - ma lo fece? - che quando la sostanza era
mutata le ghiandole del cervello erano state disperse e assorbite. Udì il
reticolo simile a un sonno di cui era parte, tutt’intorno e dentro di lui, dire:
Non serve acqua.
Imp Plus arrivò alla consapevolezza di non essere esistito. Di essere un
intervallo. Non come l’altrove che il dolore poteva desiderare. Imp Plus era
parte di una previsione che era che lui ancora una volta non sarebbe esistito
ma che esisteva adesso e sarebbe esistito ancora. Era in altri archi dell’ovale
e correttamente riteneva che altrove c’erano altre simultaneità simili a lui.
Lui era una loro idea.
E poi pensò che si trattava di idee o erano simili a idee. E poi si rese
conto che proprio allora non era esistito. E pensò di essersi così opposto a
un bene. Si chiese se gli strati del reticolo conoscessero i progetti di Terra.
O se vi badassero. Doveva dire tutta la verità che conosceva.
La Voce Aspra venne lungo gli strati del reticolo per dire che, seppure
adesso non fosse né autotrofo né eterotrofo, Imp Plus lo era stato ai suoi
tempi. Ma Imp Plus era stato sul punto di dire che anche se adesso non
esisteva nessuna acqua, una volta l’acqua era esistita. E la Voce Aspra in
prossimità o in congruenza con questo aveva detto che l’acqua era esistita in
Imp Plus ma non esisteva adesso.
Imp Plus si risvegliò alla non esistenza; e subito avvertì il reticolo che
comunicava a Terra l’impensabile notizia che non c’era nessun Imp Plus.
Nessun Imp Plus?
MA SE NON ADESSO, UNA VOLTA (vennero le parole - non da Cap Com,
che disse: - Quale reticolo, Imp Plus? - non dalle particelle Aspre, che si
chiesero se il cremisi e la struttura a treccia perduravano nell’assenza di
glucosio e acqua) - le parole Ma se non adesso, una volta vennero da Imp
Plus, e Terra disse IMP PLUS DILLO ANCORA, e Imp Plus non riusciva a
ricordare, salvo che, mentre non sarebbe venuto alcun aiuto per il di più che
era diventato a meno che le particelle Aspre non conoscessero in pieno la
perdita che aveva preceduto il di più, la verità era che questa perdita
d’acqua era venuta tardi e non era andata via precedendo la crescita del di
più ma dopo di esso.
Quale reticolo? disse Cap Com. Quale crescita? disse Voce Aspra.
Perché niente cervello? disse Cap Com. Particelle aspre? (pensarono le
Aspre particelle) - dillo ancora.
Dillo ancora.
E Imp Plus con tutta la forza autorizzata dal reticolo rispose:
PENSA A CIÒ CHE STAI PER PERDERE.
Così dicendo, seppe di aver saputo per molto tempo che loro lo
avrebbero perso. Molte volte erano disposte negli strati del reticolo ma lui si
era fatto una sua istantanea mimetizzazione contingente: così era
imprudentemente arrivato a sostenere come uniche verità queste
simultaneità che l’energia del reticolo poteva dispiegare in strati e
movimenti. Ma non erano l’unica verità. Perché la Voce Aspra aveva detto
ciò che Imp Plus aveva saputo: che se ai suoi tempi Imp Plus si era cibato
degli altri non essendo in grado di fare uso di semplici derivati dal carbonio
allora aveva l’esigenza di complesse molecole organiche come il glucosio, e
se anche ai suoi tempi fosse stato al contrario in grado di prodursi le sue con
la luce solare - cioè, se ai suoi tempi era stato sia eterotrofo che autotrofo -
era stato l’uno prima dell’altro, anche se talvolta era stato entrambi - era
andato da uno stadio all’altro. E adesso questi stadi erano andati via. Via da
lui come l’acqua che ancora sgocciolava occasionalmente, simile a un
ripensamento delle alghe.
Ma Imp Plus sapeva che la perdita per realizzarsi doveva essere
realizzata da lui. Perfino adesso era stato lui a richiamarla alla memoria. Da
un torreggiante dolore che esisteva ancora nell’assenza della sua testa.
Richiamata alla memoria con parole che a loro volta erano richiamate alla
memoria esattamente com’erano esattamente rovesciate. Perché Dillo
ancora erano state le parole di Imp Plus sulla Terra, dette due volte più
forte, la terza volta in silenzio; e adesso, richiamata alla memoria
dall’espressione Particelle aspre, aveva pensato all’Isola di Natale nel
Pacifico, proprio all’essere nominato con le parole Particelle aspre, dillo
ancora era invece venuto dalle particelle Aspre. E adesso da Imp Plus era
giunto Pensa a ciò che stai per perdere. Che era ciò che una volta aveva
detto la Voce Aspra. In una stanza verde pallido. L’unica volta in cui non
era stato dato voce a Dillo ancora. Perché nel vuoto di quel frequente,
torreggiante mal di testa, una nuova membrana aveva fatto scaturire in lui
un tale rincorrersi di intervalli che si inseguivano a vicenda che Imp Plus
poteva farsi prendere da tutta una serie di cascate attraverso le loro
emissioni annichilanti: in modo che l’angoscia della morte era stata
mimetizzata, ma anche causata, dall’ira verso la presunta mala voglia della
Voce Aspra, un’ira causata anche, ma anche mimetizzata, dalla mala voglia
dello stesso Imp Plus, intrecciata con il desiderio, a loro volta causate, ma
anche mimetizzate, da possibilità proliferanti in quello sbarramento di vuoti
che era il suo torreggiante mal di testa: possibilità, occasioni, che lo
separavano dalla ferita delle parole Pensa a ciò che stai per perdere mentre
la sua memoria adesso lo allontanava dall’Aspro sondare e dalle minacce di
Cap Com - e quasi lo allontanavano, sì, dalla guerra fra i due.
La guerra per lui.
Per il suo passato. Per le sue possibilità. Ciò in cui era caduto.
Dopo averlo creato dall’angoscia folle e dagli intervalli in tensione e
all’inseguimento. Da alcuni intrecci multipli che torreggiavano nel mal di
testa, così era dovuto arrivare al Sole e all’acqua. Un intreccio nella sua
testa che innescava ciò che era pronto a succedere. A succedere qualunque
cosa facesse la Terra. A succedere, rappresentabile o meno. Lui e il Sole
rappresentavano quel che succedeva. Questo rappresentare era essere. Come
faceva a essere descritto come un’ellisse al cubo o un’idra simile a una
stella marina che si trasformava in quattro funzioni che si trasformavano in
ciò che le sosteneva e le completava come delle possibilità ricordate a
piacimento.
Però il grande reticolo non gli faceva dimenticare l’intreccio che aveva
soffocato la sua testa finché non si spezzava nel multiplo inseguimento
degli intervalli.
L’intreccio qui adesso in ciò che Imp Plus voleva fosse la fine delle cose
era solo un soffocare simile al reticolo la cui idea adesso era lui, e che lo
occultava e lo indeboliva. L’intreccio era adesso con la Voce Aspra, perché
la Voce Aspra - la voce gibbosa - aveva fatto ruotare la rete di una mappa
attraverso l’incapsulato processo degli ultimi (da quanto tempo sono in
missione?) quattro mesi; e la Voce Aspra non avrebbe smesso.
Imp Plus pensò anche che il reticolo doveva pure avergli fatto
attraversare la non-esistenza. Perché adesso lui mancava dei mezzi,
qualunque cosa fossero stati, per distinguere la Voce Aspra sul raggio
principale dai pensieri diretti delle sue ricostituite particelle lattee sull’altro
raggio. Imp Plus voleva trovare il piede che aveva messo nella scarpa di
pelle gialla; trovare la voce con cui aveva detto al giornalaio cieco in quel
posto freddo su un altro mare: «Questa è mia figlia», mentre lei correva sul
marciapiede per andare dalla donna dai capelli scuri. Voleva trovare le
spalle della spina dorsale per essere deriso dal tocco della donna sulla
spiaggia; trovare gli occhi per vedere il sangue versato, gli odori versati, il
senso delle battute, cose non così belle come ciò che gli era arrivato
attraverso la crescita che adesso forse si era (pensava) arrestata. Però le
Aspre deduzioni non avrebbero smesso; perché Imp Plus le riconosceva.
Pompavano in opposizione al suo altro gradiente. Come ciò che attirava e
faceva risalire le particelle cariche di sodio attraverso la pelle delle cellule.
O come quegli atomi di carbonio saltati da queste deduzioni per ritornare
azoto, glucosio, acqua, il processo cremisi che era più cremisi quando era
caldo. Il carbonio, così piccolo che il guscio della sua nube elettronica
arriva impensabilmente vicino al nucleo degli altri atomi; e così
stranamente capace sia di cedere elettroni che di prenderli in modo da
formare legami a destra e a manca.
Ma la crescita, diceva Cap Com (ma non sul raggio!), la crescita, la
crescita.
Ora se fuori al di là della Terra (continuava il pensiero Aspro) il
bombardamento del carbonio, dieci volte maggiore, si perde in gran parte
sullo scudo dell’IMP, abbiamo ancora il vento solare.
Ma aspetta - chi ha parlato di Particelle Aspre - struttura a treccia - chi è
che ti passa dati che il resto di noi non riceve?
Era Cap Com che parlava con la Voce Aspra - Cap Com, che non poteva
interferire con le Aspre deduzioni riguardo ai raggi provenienti dalla corona
solare che colpiscono l’azoto del letto di piante per formare il carbonio-14 o
sui quanti di luce che colpiscono il carbonio nel cervello spezzando i legami
per creare un nuovo stato così reattivamente ricco d’energia da essere
nuovo - ma Cap Com aveva fatto irruzione nelle domande Aspre di Imp
Plus: per dire: IMP PLUS CI CHIEDIAMO SE TI È RESTATA UNA QUALUNQUE
ENERGIA, RIPETO, QUALUNQUE, IMP PLUS, QUALUNQUE.
Perché anche se Imp Plus aveva appena accennato a rispondere alle
Aspre deduzioni Cap Com poteva non volere che i dati da queste trasmessi
finissero nelle mani sbagliate - lui vide delle mani che si allontanavano
l’una dall’altra: quella ricerca sul ricrescere delle cellule cerebrali era
andata abbastanza lontano da vedere che la scissione dei neuroni non
portava da nessuna parte a meno che non vi fosse qualche regressione
embrionale; che il reticolo cui ci si era ripetutamente riferiti avrebbe potuto
cedere al potenziale fotonico una nuova recinzione o griglia, radicalmente
ricettiva; che la finestra nitrica dell’IMP poteva aver accelerato la
ricombinazione del carbonio; che dato un salto nel glucosio, e dunque un
salto nell’ossidazione e nell’energia, la pompa al sodio avrebbe lavorato più
sodo e più veloce, la concentrazione del sodio sarebbe stata anche più
ineguale da entrambi i lati della cellula con un analogo aumento del
potassio, che pone in legame e dunque può agevolare la crescita così come
lo stabile potenziale della membrana, causato dal flusso ascendente del
sodio, può mettere in relazione crescita ed energia elettrica.
Ma chiedendo nuovamente della struttura a treccia e se in assenza del
glucosio e dell’acqua questo reticolo potesse essere organico e se non lo era
come mai il processo cremisi, le Aspre trasmissioni svanirono, svanirono
con dei sospiri di Imp Plus.
Non ci fu niente, poi.
E poi Imp Plus vide che non c’era stato neanche un ricordo dei soli, il
suo che adesso era del reticolo, e il grande Sole.
Perché anche Imp Plus era stato evitato dal reticolo. Il reticolo evolutosi
da Imp Plus aveva ingannato Imp Plus. In modo tale che era stato
dimenticato. Cosa che sapeva, essendo stato riportato alla memoria. Perché
era tornato ma era all’interno - perché vi era I’IMP - di un nuovo errore di
guida. E come se il reticolo avesse dato a Imp Plus la conoscenza necessaria
sotto forma di idea, Imp Plus seppe che la forma in dissoluzione del
condotto simile a una spina dorsale, che sembrava condurre proprio a Imp
Plus anche se lui non aveva un posto, era stata il reticolo che destabilizzava
I’IMP per mostrare a Cap Com il vero potere ancora qui. Ma dalla risposta di
Cap Com Imp Plus seppe che era stata una dimostrazione andata e venuta
parecchie volte e pensò ancora a dove poteva essere stato e il pensiero
venne con ciò che prese per un ricordo del dolore perché sembrava sollievo
e comprensione, e la comprensione vi risucchiava il sogno che pensò di
avere avuto mentre proprio adesso non esisteva, ed era che lui sarebbe
morto ma ci sarebbero stati gli altri, Cap Com, la Voce Aspra, le particelle
Aspre, il grande reticolo e il Sole. Perché la sua crescita non era forse
finita? E lui non era forse alla mercé dell’essere che lui una volta era
diventato solo per diminuirsi in una sua parte?
Nessun sogno. Era quell’ultimo respiro che Voce Aspra aveva preso da
Imp Plus.
Ma la parola Aspra era stata recinzione - una nuova griglia per il
potenziale fotonico. Per ricevere raggi. Un cervello. No, il reticolo in cui il
cervello si era trasformato. Imp Plus aveva riconosciuto così tanto di ciò
che l’Aspra aveva detto che lui era stato da vedere una ragione non smessa
dall’Aspra. Ma adesso aveva smesso, e solo vagamente Imp Plus sentiva la
guerra a Terra.
Cercò - glielo permise il reticolo? o in qualche nuova energia che aveva,
era lui il dono che il reticolo era felice di autorizzare? - di spingere un’altra
volta il raggio fototelico verso le particelle della ricostituita Voce Aspra, per
cercare di dire ciò che disse: Il tuo nemico Cap Com ha ragione: ti vengono
forniti dati che Cap Com e gli altri non stanno ricevendo: è una forza di
gradiente di concentrazione molto più grande di qualunque circuito tu pensi
sia ancora operativo qui. Non sai esattamente che questo è quanto sta
avvenendo, ma sei incline e ti ricordi e sai - sai -
Non riuscì a completarlo.
Non sapeva perché il reticolo non ristabilizzasse l’IMP. La spina del
condotto energetico sembrava più vicina, ma Imp Plus non sapeva se
facesse ancora presa sui sistemi dell’assetto e dei retrorazzi. Terra aveva
abbassato l’orbita ancora di più.
Tornare alla Terra era il viaggio. O alla crosta atmosferica della Terra. Il
ricordo dei pomelli-morfogeni diede una scossa così dura al ricordo dei
dirigevoli che i bertagli e i perfoscranni gettarono ombre più vicine per
confermare questo composto-monitor d’umore su ciò che gli stava davanti:
un atterraggio: un atterraggio morbido per sentire la superficie: acri di
radianti collezionisti di Sole, occhiali deserti con proprietà monitorate, la
Terra gibbosa con quella macchia frastagliata che riusciva quasi a ricordare.
Le Particelle Aspre - amichevoli - non restituirono un messaggio a Imp
Plus. Ma le parole Aspre a voce alta con Cap Com erano abbastanza reali, e
dicevano nei particolari quanto c’era il pericolo di perdere. E la minaccia di
escludere la Voce Aspra da questo e dai progetti futuri si irradiarono verso
Imp Plus come il falso Sole di qualche altro giorno in cui si era lasciato
deridere con pensieri di sopravvivenza. Era la Voce Buona che si opponeva
a quella Aspra? Non lo sapeva - perché era stanco, o il reticolo lo faceva
sentire stanco - ma adesso in un ultimo tentativo che gli fece
improvvisamente dubitare di riuscire mai a mostrare alle particelle Aspre il
raggio telepatico - conosceva la parola telepatico - fra di loro ma gli fece
pensare che lui e il reticolo potevano andare avanti insieme per molto
tempo, fece irruzione nella protesta della Voce Aspra prima che finisse
mentre la Voce Aspra diceva Possiamo andare avanti…
IMP PLUS A TERRA, IMP PLUS A TERRA, CHE COSA SUCCEDE ALLA MAPPA
TRIDIMENSIONALE DELLA RETINA NEL CERVELLO QUANDO NON RIMANE
NESSUNA RETINA CON CUI COLLEGARSI? CHE COSA SUCCEDE ALLA GHIANDOLA
FIAMMEGGIANTE AL DI SOTTO DELL’INCROCIO OTTICO OFFUSCATO QUANDO IL
CERVELLO SI DISPERDE? HO VISTO E SONO STATO MA NON SO.
Li aveva messi in difficoltà un’altra volta, pensò lui, e continuò. Anche
il reticolo, lo sentiva, desiderava sapere; oppure Imp Plus era una parte dei
desideri del reticolo. Ma mentre rispondeva a Cap Com che ciò che era stato
visto era stato solido e consistente ma forse non lo era stato ed era stato
qualcos’altro, Imp Plus vide nella carne del suo movimento passato: con
una profondità sufficiente per pensare a che cosa poteva fare per farsi
credere. Però poi con una profondità sufficiente da farglielo sentire di più,
come se lui stesso avesse impiantato una scheggia dentro di sé, fuori di
vista, perché mai voleva che loro gli credessero? Perché così non lo
avrebbero ucciso? Avevano i loro specchi riflettenti che cuocevano l’acqua
nei villaggi, fumanti nei deserti della gibbosa Terra, dove dall’orbita l’unico
segno familiare era stato la Grande Muraglia Cinese, lo sapeva non
avendola mai vista prima. E continuò la ricerca del composto intermedio -
questo se lo ricordava! - in grado di immagazzinare gli elettroni rimossi per
mezzo della radiazione dopo quanto tempo? - dopo un certo mutamento
molecolare operato dal Sole e dopo lo sviluppo della luce queste particelle
potevano produrre una termo-luminescenza - se rilasciate, come uccelli,
pensieri, micropompe innescate da una futura occasione, mappe
infinitesimali in cerca di un luogo.
Ma poi, quasi rendesse visibile ciò che poteva giungere telepaticamente
alle particelle Aspre, Imp Plus propose a Terra la domanda PERCHÉ MAI
VOGLIO CHE MI CREDIATE?
Ma mentre parlava, e riceveva una quantità di domande, a turno, da Cap
Com e dalla Voce Aspra - aveva qualche scoria dalla quale liberare questo
corpo, e della quale loro non avessero già un quadro completo? aveva
davvero visto neuroblasti formatisi per rovesciamento de-embriogenetico
dai neuroni maturi, e che cos’era una solida vista? - la fatica lo soffocò e
volle che il reticolo localizzasse per lui dentro di lui la sua risposta alla sua
domanda, che lo stava impalando così come una volta un elettrodo aveva
impalato e diluito una membrana.
Quel corpo adesso non esisteva. Si era aperto dalle pieghe del cervello.
(Il corpo cerebrale? Il crivello del cervello?) Forse, ma continuò a
trasformarsi insieme al cervello in una sostanza indifferenziata. (Da dove
viene l’energia? Però la solida vista… è lì che c’è energia?)
Il ricordo dell’ira e del terrore lo soffocò quasi confondendo le voci
della domanda. Ma doveva differenziarle, una dall’altra. Cap Com che
irrompeva per primo, Voce Aspra che cercava di capire.
Sì, nello stato solido era sembrato che ci fosse energia. I bracci erano
cambiati, ma per molto tempo avevano avuto, ed erano stati, delle
membrane. Nebulose come l’emisfero alla deriva, liscio e serico, e con
un’energia diversa da quella dei segmenti di guaina contrattile che
sostenevano, e sostituivano perfino, il sistema dell’energia fotovoltaica, e
tramite i quali si poteva inserire a piacimento il sistema di controllo
dell’assetto. (Adesso lo stai controllando, vero? SAI CHE NON LO STO
FACENDO, SAI CHE STO CONSENTENDO IL ROLLIO, LA ROTAZIONE, IL
DECADIMENTO ORBITALE). (Ma le membrane… che cosa facevano? E se qui
esistevano ancora i poteri di contrazione, distensione, contrazione e
distensione - le parole giunsero a Imp Plus non sotto forma di Aspra
domanda ma sotto forma di Aspro pensiero inespresso - allora l’ATP viene
trasformata in ADP per idrolisi, e questo vuol dire che l’actomiosina da
qualche parte sarà pur venuta). Ebbene, che cosa facessero le membrane
Imp Plus non era in grado di dirlo. Ce ne erano state quattro, quando i
bracci erano stati quattro raggi simili a idre, quattro rotte verso gli scogli,
quattro colli che arrossivano e impallidivano, arrossivano e impallidivano.
La vista era stata multipla o centrale, o entrambe. Uno o molti furono visti
simultaneamente da molte angolazioni e distanze. (Come bit in un
computer? Ma anche tu hai visto in piccolo e all’interno, esatto?) Sì. Le
Trecce Solari che invitavano il corpo a scindersi; i nervi ottici alla ricerca,
di lato, fuori del tratto e nelle aree grigie; i corpi spezzavano una catena con
il respiro per insinuarsi per lo schermo flettente di una membrana,
diventando però più grandi non più piccoli; l’acqua nei letti delle piante
suddivisa in ciò che una volta era stata, e moltiplicata e riformata in modo
da essere di più; quel verde che era blu-scuro; il giallastro lungo una sutura
nella parte posteriore di quello che era stato il cervello, un giallo
fluorescente - sì - si fermò - però quando la quiete della donna agì su di lui
fu incline a rendersi conto di non aver fatto altro che proiettare quel giallo
con la sua vista - che era solo uno specchio che rifletteva il giallo
dell’energia della ghiandola fiammeggiante.
Non gli giunse nulla in risposta. Il reticolo aveva dissolto la sua
esistenza, o lui era in attesa che Terra finisse di suddividere ciò che lui
aveva detto, e che aveva detto per essere creduto?
Non avrebbe potuto mai spiegare come aveva fatto la sua vista a
disperdersi esattamente in multipli al di là di qualunque centro se non di
qualunque luogo matematico.
Ma perché mai perfino lui doveva credere ai gialli che aveva visto? Chi
era stato a vederli?
O il cremisi.
Il Sole era girato intorno molte volte. Il Sole aggirò l’IMP, e l’IMP aggirò
la Terra, la Terra aggirò il Sole.
Non era il Cap Com che parlava del cremisi. A Cap Com serviva sapere
con quanta accuratezza Imp Plus controllasse l’energia d’assetto dell’IMP, e
Imp Plus richiese tutta la gamma degli angoli di discesa e i loro effetti; poi
due voci sembrarono ammassarsi insieme e Imp Plus quasi non riusciva a
discernerle; perché la Voce Aspra stava dicendo che se il giallastro era
comparso sulla giunzione di quelle che erano state le metà del cervello
(erano state! - perché la Voce Aspra credeva a quello che Imp Plus aveva
detto! credeva nel passaggio dal cervello a un materiale ulteriore), poi
questa locazione indicò che questo giallo era la serotonina ormonoide che
con il suo aumento poteva giustificare la manifesta insonnia di Imp Plus.
Le voci si fecero intricate mentre Cap Com era intento non solo a dire
che la respirazione cellulare era già stata osservata al microscopio
elettronico, ma anche a fornire a Imp Plus una lettura per l’angolo di
rientro. Attraverso questo garbuglio soffocante Voce Aspra stava dicendo
che, se riscaldate, le lettere che Imp Plus non comprendeva diventavano
rosse - non Vitamina D ma D e N e A mentre a Imp Plus non era chiaro se
Cap Com volesse trasmettere l’angolo di rientro o soffocare l’Aspra ipotesi
che il rosso fosse una doppia spirale che intrecciava la luce solare, adesso
senza far domande, ma per mezzo di una domanda, qualcuno credeva a Imp
Plus, che adesso non aveva dubbio che il piano fosse di cercare di guarirlo,
non aveva dubbi che gli ovali delle mappe sonore ricevessero nuove
frequenze aliene, e non aveva dubbio che la ragione segreta (ma adesso,
come un gran respiro, non l’unica) per cui aveva voluto esser creduto era di
ottenere da Terra non l’angolo di rientro ma, dato l’erompere di una nuova
velocità inclinata, l’angolo con cui Imp Plus, nel grande reticolo Sole-
dipendente, a sua volta all’interno dell’IMP, sarebbe carambolato via
dall’atmosfera terrestre in riavvicinamento per scivolare con qualche angolo
obliquo nelle profondità dello spazio, se non nelle increspature della grande
mano del Sole.
Ma mentre diceva delle membrane e di come si dispiegavano, e diceva
un altro protendersi, non così solido, della sua vista simile a una mutua
inclinazione verso un vuoto che era la possibilità di un luogo che la forza
era incline a scoprire, pensò di vedere che lui era stato con - o era stato - la
sua vista, e non che l’aveva posseduta. E se ne era andata, come il glucosio,
come l’acqua, come tutto quanto tranne il ricordo di quei dirigevoli, di quei
perfoscranni, di quei bertagli, di quei morfogeni, che potevano soddisfarlo
con un chiaro gioco d’essere, essere precedente, essere incline.
In qualche ricordo delle particelle Aspre nondimeno lui stava ricevendo
l’ammissione da parte di Cap Com che nonostante il più rigido dei sistemi
di sicurezza lui sarebbe potuto venire a conoscenza di un tumore della
ghiandola pituitaria - e che un tumore della ghiandola pituitaria sfocia
nell’offuscamento del chiasma ottico.
Ma la Voce Aspra non avrebbe smesso.
Il crollo pituitario, però, non poteva giustificare una crescita del genere.
Quale genere?
Più del cervello, più del corpo, diversa da entrambi. Imp Plus non
riusciva a vedere il Sole. Era cieco. Cercò di vedere quanto fossero lontani
l’uno dall’altro Cap Com e Voce Aspra.
DILLO ANCORA VOCE ASPRA.
Da Imp Plus non udì esattamente la risposta più del cervello, più del
corpo. Perché aveva trovato il modo per tornare a quel momento che adesso
si ingrandì per inglobare una stanza verde e le Aspre parole Non si può dire
che cosa farà il Sole lassù… Non ascoltare tutto quello che ti dice il primo
venuto, e per inglobare il fumo che serpeggiava nella cavità nasale e le
parole Sto male e un essere malato diviso da una mala voglia che quasi
d’improvviso era anche sua ma che, inoltre, era puntata al di là della stanza
verde più piccola; e, in quel momento in cui era stato attirato in qualche
dimensione maggiore per mezzo di una mutua torsione, si era trattenuto dal
dire Dillo ancora - il vuoto di un fallimento reciproco da ricordare fra di
loro in cui ciascuno cominciò a condividere se non a conoscere quel che
sfuggiva al pensiero dell’altro.
E con quella torsione in mente, Imp Plus cercò di dire alla Voce Aspra
del respiro fra le spirali delle cordicelle cremisi e quelle delle Trecce Solari,
di come si colpivano a vicenda, si spingevano, si gonfiavano, si
distendevano, e si minacciavano e si riammassavano come se non si
generasse alcun respiro se non in direzione di un ulteriore futuro, e adesso si
accorse di aver già udito questo ritmo di potenziale e perdita.
I comandi di Cap Com attraversarono gli ovali color ambra del reticolo
e non furono trovati dalle reazioni, obbedienti o di altro tipo, in un ex centro
di controllo, ma furono sentiti come già noti la nozione del nome di quel
centro, adesso dispersosi, l’ipotalamo, e la sua quasi vicina, la ghiandola
fiammeggiante - dati noti non uguali ma eguagliabili: così Cap Com a una
distanza in avvicinamento ma adesso inutile.
Restringimento della finestra di rientro.
Area di manutenzione non più sicura. Stabilizzati, per favore, Imp Plus.
Count-down per la stabilizzazione manuale. Un’increspatura su per il
ricordo di una spina dorsale.
Cap Com confondeva sicura con segreta. Parole disperse. Imp Plus
udiva il futuro che accordava il passato mentre la Terra cadeva verso di lui.
Altri cercavano di raggiungerlo. Ma l’occasione di angoli che non
avrebbero afferrato Imp Plus né lo avrebbero bruciato, ma lo avrebbero
fatto carambolare lungo una lunga chiarezza di spazio slittato per farsi
inseguire da intercettori i cui piani di lancio contingente correvano a loro
spese in posizione - questo giunse a Imp Plus non dagli altri che cercavano
di raggiungerlo per prenderlo e osservarlo, ma dalle Aspre particelle che
sapevano tanto - sapevano quanto poi improvvisamente fu condiviso sulla
spina dorsale del loro raggio privato nel pensiero di Imp Plus che lui non
sarebbe stato un contentino.
Cap Com garantiva il nuovo Modulo Contingente.
Ma era intervenuta la Voce Aspra: e in questa breve pausa le parole che
attraversavano il reticolo rotearono come per trasmettersi al Sole per
riflessione - in cerca di un futuro. E lo cercavano in due fuochi che
tracciavano fra di loro, dal passato al futuro, un ricordo di Imp Plus.
Era la malattia da radiazioni. Aveva scoperto ed era stata una finestra
per invertirsi. Per invertire ciò che era sempre successo: perché la
radiazione ionizzante sfonda gli elettroni, trasforma le molecole in relitti,
ricombina le cellule con i dadi.
Ma la cascata era stata voltata.
Il filtro del veleno radiante scopriva il suo ospite filtrato come? Così il
suo ospite era in grado - come - di andare all’inseguimento di parti venute
dalle particelle, di un ritmo venuto dal decadimento, di afferrare una
dispersione che insufflava sempre divisioni contagiose in luoghi che poi
liberavano il contagio per moltiplicarne il tocco.
Così era stato questo l’altro sole. Il sole di Imp Plus. Sfuggito proprio
dalla radiazione sfuggita dentro di lui, straripata in lui.
RESTA IN CONTATTO IMP PLUS. PER FAVORE CONTATTARE TERRA.
Venivano delle parole anche dalle particelle Aspre: raggi beta emessi da
carbonio-14, calcio-45, stronzio-90; raggi gamma che rallentavano per
unirsi a un atomo; radio-isotopi traccianti nel sangue; recinzioni che
scorrevano per il sangue: dalla Voce Aspra delle parole bombardavano una
pendenza negli strati del reticolo, scoprendovi un’orbita piccola e notevole,
che adesso si abbassava: e mentre si abbassava, quest’orbita che era stata
Imp Plus emise verso il Sole sensazioni che erano la loro risposta: le Trecce
Solari avevano mandato uno sguardo feroce, vero? erano una meraviglia,
vero?
Ma alle Aspre particelle arrivavano altre domande: le trecce solari si
erano unite grazie al desiderio e alla sanguinante angoscia spezzata
dall’assenza del sangue - grazie a un’inclinazione mozzafiato fra la loro
spirale e il ricordo cremisi del futuro: tutto questo usciva dalla finestra
insieme all’acqua, al glucosio, ai volt semiconduttori, e al turbinante latte
delle particelle che si dissolvevano e si ricostituivano?
In una pendenza degli strati del reticolo giunse una risposta all’orbita in
abbassamento, da parte delle particelle Aspre: cioè, domande prodotte per
feed-back da ciò che (da solo insieme alla Voce Aspra) Imp Plus (prima di
essere Imp Plus) aveva quasi saputo una volta in una piccola stanza verde,
come un’idea:
Focalizzazione reciproca - sì, focalizzazione reciproca su quel che non
c’era: ovvero, l’Altro: che era la futura assenza del corpo di Imp Plus.
Ma quale fuoco (chiese adesso la Voce Aspra) era stato a trasformare il
soffio delle radiazioni da veleno in seme? come era riuscita la velocità di
questa luce contaminatrice ad avvolgere su di sé quelle correnti fotoniche
venute dal Sole? ma adesso quale fuoco (perché, essendosi alzato a
guardare i bianchi dati ammiccanti su uno schermo verde, la Voce Aspra
sentì nella sua altezza un’ombra di annientamento che recedeva nella
memoria recente), quale fuoco aveva attirato così vicina la loro mente - così
vicina alla fusione?
Nel guscio nuvoloso della Terra discesero sulla frequenza principale le
parole PENSAVO DI AVERNE VOGLIA, e se queste parole provenivano dal
grande reticolo che adesso stabilizzava l’IMP, sulla Terra le parole passarono
per quelle di Imp Plus.
La stessa voce - uguale alle sue chiare parole - rispose alla trasmissione
di Cap Com, HAI DELL’ENERGIA (questo venne altre due volte - un passato
con la sua vacua rifrazione di un futuro) HAI DELL’ENERGIA?
sì E NO.
Ma agli Aspri ovali penetrati dalle scariche venute dai gomiti di
cavalletta di Cap Com giunse un’energia innalzata alla totalità, innalzata da
una mimetizzazione che non era diversa dalle parole che adesso solo le
particelle Aspre ricevevano: Hanno l’energia per intercettare una
traiettoria verso lo spazio profondo?
Le risposte sciamarono per il reticolo, ma non si poteva dire se
venissero dall’amichevole Voce Aspra sull’isola o dall’interrogante nelle
orbite in restringimento.
L’interrogante? Il suo nome era andato via, ma lui era ancora lui,
sciamava con risposte e dubbi. Previde un’impetuosa carambola, vide la sua
IMP che conteneva il reticolo come un campo planare che si inoltrava nello
spazio, così in profondità che il suo giardino focale si trasformò in un’orbita
infinita che intrecciava spirali di elio e di positroni - e fu attratto da questa
occasione finché non si accorse che sarebbe stata davvero sua se lo avesse
voluto. Ma poi pensò alle Aspre particelle in basso sull’isola e pensò che
quanto lui ed esse avevano attirato insieme in un circuito di concezione
poteva essere meglio tenuto ellitticamente distinto se lui si trasformava in
un’assenza.
L’IMP doveva colpire l’atmosfera esterna della Terra non per balzare
nello spazio né per ingannare il fuoco di quei primi attriti e scivolare verso
il ripescaggio nell’aria marina del Pacifico.
Il reticolo si immergeva nel pallore e nell’immobilità e conteneva ciò
che ancora non poteva avere del tutto: un’idea di se stesso: lui stesso non
del tutto padrone di sé, perché una sua energia si irradiò avanti e indietro
dalla Terra, la linea sottile di un circuito di particelle così fini da restituire la
vista al Sole.
Nelle Aspre particelle ovalescenti sull’isola del Pacifico giunse
un’energia innalzata alla totalità tramite la mimetizzazione: mimetizzazione
non diversa dalla debole, distinta trasmissione dallo spazio, come se giunta
dal centro aperto di un’idea: Nessun desiderio di carambolare nello spazio,
nessun desiderio di rientro: mimetizzazione ricevuta dalle particelle
ovalescenti come un soffio di pensiero: pensiero consapevole che il caldo
crollo di ciò che veniva trasmesso come scariche di rientro non era il rientro
- l’IMP era bruciata al primo attrito dell’atmosfera: pensiero che adesso si
chiedeva quali possibilità si accompagnassero a questa fresca assenza che
sarebbe stata duratura come la scintilla del suo arrivo doveva essere stata
breve per chiunque lo vedesse in cielo: pensiero che si chiedeva anche se
alla fine il grande reticolo lo avesse lasciato succedere, o se si fosse
sorpreso.

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