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Verso le 4 del mattino seguente, arrivarono altri uomini che, con fare gentile,
chiesero aiuto per seppellire i morti nella grande fossa scavata durante la
costruzione della nuova sala della parrocchia. Un buco enorme dove finirono
vivi e morti perchè, ingenuamente, la gente credendo alle buone maniere,
non riconobbe i terribili Interahamwe, autori del precedente massacro
notturno.
Quello che leggi è successo esattamente in quel posto, puoi alzare gli occhi e
immaginarti tutta la scena, nei più minimi e scabrosi dettagli. Puoi vedere i
numerosi camion che si muovevano nel cortile della fabbrica quel primo
pomeriggio dell’11 Luglio 1995. Camion pieni di anziani, uomini, donne e
bambini.
Invece per anni molta gente rimase indisturbata nella sua casa, seguitando a
fare quello che aveva fatto sempre.
Quando ormai ciascuno pensava che in fondo se l'era cavata con poco e non
ci sarebbero stati sconvolgimenti di sorta, né case distrutte, né fughe o
persecuzioni, di colpo esplosero bombe e mine dovunque e le case
crollarono, e le strade furono piene di rovine, di soldati e di profughi.
E non c'era più uno che potesse far finta di niente, chiudere gli occhi e
tapparsi le orecchie e cacciare la testa sotto al guanciale, non c'era. In Italia
fu così la guerra."
8a Lettura – poesia “San Martino del Carso”, di Giuseppe Ungaretti
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato
9a Lettura – estratto da “Epopea spicciola”, di Giovanni Verga
“…Soldati e poi soldati che si vedono passare dal buco della chiave, per più di
un’ora, a piedi, a cavallo, con certi cannoni di qua a là. Povera la città che se li
vede capitare addosso!
Intanto, se Dio vuole, di qui se ne vanno, a poco a poco; ché quando pareva
fossero passati tutti, ne giungevano altri ancora, a frotte, alla spicciolata,
zoppi, sfiniti, strascinandosi dietro il fucile e le gambe, con certe facce nere e
arse.
E a un tratto ecco che si mettono a bussare in mala maniera dalle Proscimo,
alla mia porta, qua e là alle poche case lungo la strada, volendo da bere, coi
sassi, coi fucili, e minacciano di sfondare ogni cosa.
Al vedere che lo fanno davvero, dove non rispondono subito, aprono le
Proscimo, apro io pure, e ci mettiamo alla fune del pozzo.
Acqua all’uno, acqua all’altri; ne vengono sempre! Bisognava vedere come vi
si buttavano, colla faccia, con le mani, coi berretti, e spinte, e busse, una
ressa indiavolata.
Delle facce, Dio ne scampi, che avevano gli occhi come brace. E alcuni si
facevano cadere giù in fascio col fucile dove c’era un po’ d’ombria.
Altri si cacciavano nelle case e mettevano le mani dappertutto. -Ah le mani! –
Questo poi! - Sì e no. – Tira e molla. – Si cercava di persuaderli con le buone
e colle cattive: -Caporale! – Che fate? – Siamo poveri campagnoli ! – Noi altri
non c’entriamo con la guerra.
– A chi dite! Come parlare al muro. E a capire ciò che dicevano loro, peggio,
con quel linguaggio di bestie che hanno. Andate a far sentire ragione alle
bestie!
La Proscimo che ci si era provata con uno che le sembrava più faccia da
cristiano, un ragazzo addirittura, biondo come l’oro, fine e bianco di pelle che
sembrava una donna, cercava di addomesticarlo narrandogli guai e miserie.
– Sono una povera vedova – con due orfani sulle spalle! – Ci avrete la mamma
anche vossignoria, laggiù al vostro paese!…
– Sissignora che quello invece le adocchia la figliuola, e tirava a farsi
intendere colle mani, giacché colla lingua non si capivano né lei, né lui.
L’uno peggio dell’altro, in una parola. Gente venuta da casa del diavolo ad
ammazzare e farsi ammazzare per un tozzo di pane.
Dopo che ebbero bevuta l’acqua, vollero bere il vino. E dopo vollero il pane, e
dopo volevano anche la ragazza. Ah, le donne, poi! Qui non si usa! Pazienza
la roba, e tutto il resto. Ma anche le donne adesso? Proprio sotto il mostaccio?
Allora era meglio pigliare lo schioppo anche noi, e come finiva, finiva. Vero
ch’erano in tanti, e facevano tonnina del villaggio intero.
La Nunzia, però – una ragazza onesta – quel discorso sotto gli occhi della
madre e dei vicini, per giunta…
- Urli, graffi, morsi, si difendeva come una leonessa. E la vecchia! Avete visto
una chioccia, che è una chioccia, se la toccano nei pulcini?
Insomma, sul più bello salta in mezzo anche il ragazzo dei Minola, che stava
abbeverando quei porci lui pure – con quel bel costrutto. – Salta in mezzo e si
mette a dare botte da orbi con un pezzo di legno che trovò lì nel cortile - o
che gli premesse la ragazza, vicini come erano, oppure che gli sia andato il
sangue agli occhi finalmente, dopo tante soperchierie.
Botte da orbi, a chi piglia piglia. Ma chi ne pigliò peggio fummo noi poveri
diavoli del paese.
Le case arse, i poderi distrutti, il ragazzo Minola con una baionettata nella
pancia, la mamma Proscimo ridotta povera e pazza, e Nunzia con un figliolo
che non sa di chi sia, adesso.
10a Lettura - Poesia “Dopo la pioggia”, di Gianni Rodari