Sei sulla pagina 1di 1

L’Ultimo Uomo Bianco Alessandro Nannini 548785

Una mattina Anders, un uomo bianco, si svegliò scoprendo di essere diventato indiscutibilmente scuro. Iniziò
a realizzarlo a poco a poco, poi tutto d’un tratto, all’inizio come una sensazione che la luce mattutina stesse
facendo qualcosa di strano al suo avanbraccio, mentre lo allungava per prendere il telefono, poi,
all’improvviso, come una certezza momentanea che nel letto con lui ci fosse qualcun altro, di sesso maschile,
più scuro, ma ciò, per quanto terrificante fosse, era sicuramente impossibile e si sentì rassicurato dal fatto che
l’altro si muovesse non appena lui si muoveva, non era infatti una persona, una persona diversa, ma solo lui,
Anders, travolto da un onda di sollievo poiché, se si era immaginato che qualcun altro fosse lì, allora era
ovvio che anche l’ipotesi di aver cambiato colore fosse un inganno, un’illusione ottica o un artificio mentale,
nato nell’assonnato tratto a metà tra il sonno e la veglia, tranne per il fatto che ora teneva il telefono in mano,
aveva attivato la fotocamera frontale e vedeva che la faccia che lo guardava a sua volta non era affatto la sua.
Anders si precipitò fuori dal letto e si mise a correre verso il bagno ma, calmandosi, si sforzò di rallentare il
passo, di diventare più cosciente, ponderato, non sapendo bene se lo facesse per affermare il controllo sulla
situazione, per imporre la realtà tramite la mera forza mentale o perché correre lo avrebbe spaventato ancora
di più, rendendolo per sempre una preda in fuga.
Il bagno era trasandato ma piacevolmente familiare, le crepe sulle piastrelle, lo sporco sull’intonaco, la serie
di schizzi secchi di dentifricio sull’esterno del lavandino. L’interno del mobiletto dei medicinali era visibile,
lo sportello storto, Anders alzò la mano e agitò sul posto il suo riflesso davanti ai suoi occhi. Non gli parve
quello di un Anders.
Era sopraffatto dall’emozione, non tanto dallo shock o dalla tristezza, sebbene anch’esse fossero presenti,
quanto dalla rabbia provata per quella faccia che rimpiazzava la sua, o meglio, più che rabbia, un’ira omicida
ed inaspettata. Voleva uccidere l’uomo di colore che lo aveva affrontato qui in casa sua, estinguere la vita
che permeava questo corpo altrui, rimanere l’unico in piedi, com’era prima, così schiantò le nocche del
pugno contro quella faccia, crepandola leggermente e rendendo l’intero mobilio, sportello, vetro e tutto
quanto, storto, come un affresco dopo che è passato un terremoto.
Anders era in piedi, il dolore alla mano ammutolito dall’intensità del momento, e si sentì tremare, una
vibrazione così lieve da essere a malapena percepita, ma poi più forte, come un pericoloso vento invernale,
come il gelo all’aperto, senza riparo, e ciò lo riportò a letto, sotto le sue lenzuola, dove stette per un bel po’
mentre, nascosto, sperava che questo giorno appena iniziato, pietà, pietà, non iniziasse.

Potrebbero piacerti anche