4/le parole
do era primavera e il vento si cai
Giustizia
In molti nella stessa
cella? Se lo meritano.
Il criminale,
nuovo nemico comune
che unisce
la società Usa
di Vincenzo accattati*
Con recente decisione, la Corte suprema degli
Stati Uniti ha tolto le amministrazioni da im-
barazzo poiché ha stabilito che la coattiva
convivenza di più detenuti in una stessa cella
non è cosa da giudicare contraria all'ottavo
emendamento della Costituzione che proibisce
le pene crudeli ed arbitrarie. Per valutare la
portata innovativa di questa, sentenza occorre
ricordare che nel Maryland e nell'Oregon la
convivenza forzosa di più detenuti in una stes-
sa cella, era stata proibita, -n applicazione del
principio, che si era andato via via facendo
strada negli Stati Uniti, secondo cui ogni de-
tenuto ha diritto ad avere una cella (one man,
one celi}.
La sentenza della Corte suprema rappresenta
quindi una inversione di tendenza che serve a
dare legittimità alle pratiche correnti di so-
vraffollamento carcerarlo. D'altronde, i dete-
miti aumentano sempre più negli Stati Uniti;
la detersione cresce In durata; cresce in dura-
ta la carcerazione preventiva; le prigioni sono
stracolrne; sono molti, in America, ad attri-
buire la causa della crisi della giustizia (che an-
che negli Stati Uniti esiste), o, almeno, una
delle principali cause, alla mancanza di celle
Pfer rinchiudere tutti i possibili detenuti.
Come provvedere? La Corte suprema ha rite-
nuto di dare i! suo salomonico verdetto; se il
trattamento duro che si riceve in prigione non
è arbitrario (ma necessitato dalla situazione
obiettiva), se non è crudele (tenuto conto che
la pena i per sua natura afllttiva e che 1 dete-.
nutl non possono certo pretendere dì trovare
in prigione vita comoda), l'ottavo emendamen-
to della Costituzione non può ritenersi violato.
I diritti dell'uomo, non solo in America, sono
fabbricati con materiale elastico: si adattano
aS casi ed alle situazioni. Nell'America di Rea-
gan, poi, questo vale non solo con riferimento
alle prigioni...
Ciò> che va sottolineato, a questo punto, è che
la criminalità, negli Stati Uniti, è attualmente
in grande sviluppo, I crimini divengono sem-
pre più crudeli, violenti e assurdi. Quale la
causa della rinascente barbarie?
Violent crirne in America: dopo l'attentato a
Roriald Reagan i periodici degli Stati Uniti
hanno ripreso ad analizzare con cura il feno-
meno della originalità: xm omicidio ogni 24
minuti, ogni 7 minuti una donna violentata,
ogni 10 secondi una casa svaligiata. I sociologi
si interrogano (e sono molti in America), gli
anr,ropologi si interrogano, i giuristi si Interro-
gano; si interrogano anche i giudici, i funzio-
nar! (11 polizia.
Perché gli Stati uniti stanno diventando il re-
gno del terrore? Ecco altri sintetici dati. Nel
1970 i crimini violenti (violenze, omicidi, furti,
scassinameli ti) sono stati in America 363,5
ogal 100.00C abitanti, nel 1972 sono passati a
400, nel 1874 a 450, nel 1979 hanno raggiunto
quota 535,5. La violenza Investe principalmen-
te le aree urbane, ma è presente anche nelle
aree periferiche. New York, com'è noto, è una
grande capitale della violenza: 1.814 omicidi
nel 1980. Grandi capitali del crimine sono an-
che San Franclsco, Boston, Baltimora, Wa-
shington, Los Angeles, Dallas.
«Tutti siamo praticamente degli ostaggi, oggi,
nei nostro sedicente, civile,illuminato paese»,
ha dichiarato Warren Burger. presidente della
Corte suprema. ..La paura del crimine — è
scritto in un approfondito studio sulla crimi-
nalità In Usa — sta lentamente paralizzando
la società americana.». I benestanti si sentono
ormai come accerchiati (coloro che vendono
armi e perfezionati «sistemi di sicurezza» fan-
. no peraltro ottimi affari), vivono proprio
come ostaggi, cercano di costituire «gruppi di
vicinato» per difendersi dal «crimine»: il nuovo
nemico comune capace di cementare, in qual-
che modo, la società. Ma, evidentemente, si
tratta di un cemento fondato sulla paura; uno
strano cemento all'interno di una società «li-
be'a f ricca». La 'gente ha paura di uscire di
casa, quando esce adotta strane e svariate
precauzioni cerca dì portar.» con sé una picco-
la soramsj giacché, se un rapinatore re-
ste deluso, può anche ferire od uccidere. «Ab-
biamo consentitocene le cose degenerassero a
tal punto — ha affermato li capo della polizia
rii Huston. B. K. fonti?on — da essere oggi co-
stretti a vivere rinsensM come animali...» —
Non solo i detenuti, in Usa, avvertono oggi il
senso della reclusione.
Qua'? le cause dell'enorme incremento della
criminalità 0 Abitualmente vengono addotte
eorne eause (le cause economico-sociali rara-
mente vengono prese in considerazione) l'ec-
cesso di garantismo dei giudici (anche negli
Usa si dice1, la polizia arresta, 1 giudici scarce-
rano), ia inefficienza della polizia (anche negli
Stati uniti molto alta è la percentuale dei pro-
tassi che rimangono contro ignoti) e, appun-
to, la mancarmi di spazio adeguato nelle pri-
ajioni. Come dire che, con la sua sentenza, la
Corte suprema ha dato un contributo «positi-
70» per risolvere, In America, il problema della
crescente criminalità,..
in via d! grande espansione, negli Stati Uniti
(come del resto, In tutti gli altri paesi capita-
listici) è la delinquenza minorile: più del 57
per cento delle persone arrestate per crimini'
violenti hanno, in America, un'età inferiore ai
25 anni (è lecito concludere che «il modo di
vita americano» non offre ai giovani molte
^opportunità»?). Naturalmente, nelle cacert, la
discriminazione razziale che esiste nella so-
cietà si esprìme in modo vistoso. Basti, in pro-
posito, un sok) dato: oggi i negri, negli Stati
uniti, rappresentano 11 12 per cento della po-
polazione, ma rappresentano il 48 per cento
della popolazione carceraria.-
Durante la lezione di fisica.
Fantasmi del ", un racconto inedito di
Durante la lezione di fisica, quando era pri-
mavera e 11 vento si calmava e tutti la smette-
vamo finalmente di digrignare i denti, Allam-
panato Martinez, che era il professore più
benvoluto di tutta là scuola, gettava il gesso
sulla scrivania sconquassata e diceva «Ora visi-
teremo la materia». Noi alunni già sapevamo
cosa intendesse dire e 1 primi applausi e gli ev-
viva giungevano dagli ultimi banchi, quelli de-
gli anziani che ripetevano l'anno per la terza
volta e erano oramai in età da servizio milita-
re.
Stavamo già riponendo libri e carpette, quan-
do Allampanato Martfnez alzava le mani chie-
dendo silenzio affinchè non ci udissero il di-
rettore e il vigilante. In realtà il direttore —
un tipo giovanile, beri vestito e che sapeva ben
spendere i sorrisi e il rigore — stava in guar-
dia, ma tollerava la scappatella perché temeva
un eventuale sganciamento da parte dei mi-
glior! giocatori di calcio nel gran finale inter-
scuole di novembre. SI sapeva che ogni anno
per le finali del campionato scolastico della
Patagorììa si giocava tutta la tredicesima a fa-
vore dei «suoi, ragazzi. Con la primavera fiori-
va così anche il suo carattere gioviale e tolle-
rante; si diradava la disciplina, i. compiti scrit-
ti diventavano meno imperativi e noi che già
sapevamo di far parte integrante della squa-
dra ci sentivamo in diritto di dimenticare la
matematica e la chimica per allenarci nel
campetto vicino. Quell'anno nostra rivale era
la temibile Scuola nazionale di Comoderò Rì-
vadavia e ci attendeva l'avventura di uri lungo
viaggio attraverso la Patagonia.
Uscivamo, quindi, camminando piano, quasi
strascicando i piedi, per non suscitare l'invi-
dia dei ragazzi del primo anno che facevano
matematica in un'aula prossima all'uscio e
con la porta semiaperta perché già non spira-
va il vento dell'ovest e il silenzio calmava i
nervi come una manciata di aspirine.
Allora, più di venti anni fa, le strade di Neu-
quén non erano asfaltate e un vecchio camion
innaffiatoio passava parecchie volte al giorno
per calmare la polvere. Quando il vento tace-
va, come quel pomeriggio, la città bassa e gri-
gia sembrava riempirsi di rumori che ignora-
vamo. Ognuno dì noi li sentiva diversi: per al-
cuni era come se uno squadrone di elefanti
minacciasse la vallata dal muro di cespugli ol-
tre il quale c'erano solo scarafaggi e serpenti;
altri credevano udire i motori dell'aereo nero
che riportava in patria Perón.
Allampanato Martinez andava Innanzi, con 11
mozzicone in bocca e la faccia pallida da tu-
bercolotico che sfida gli effetti del sole. Credo
che fosse tanto povero quanto noi: indossava
sempre lo stesso abito b!eu lucido che stirava
collocandolo sotto il materasso della pensione
e si metteva una qualsiasl cravatta, corta, alla
quale non rifaceva mai 11 nodo. Lo si riteneva
dedito al gioco e alle donne: per questo lo ave-
vano trasferito da una rispettabile scuola mi-
sta a! nostro remoto istituto di soli uomini
dove unicamente si giungeva per castigo o per
avventura.
Eravamo più di venti in classe, ma a frequen-
tare non venivano che dodici o quattordici,
cioè gli alunni migliori, i più seri e ben vestiti
e quelli che avevano il libretto scolastico zeppo
di note in rosso e venti ammonizioni (con ven-
ticinque era l'espulsione), perché tra questi al-
tri si trovavano i ragazzi da cui dipendeva la
sorte della tredicesima del signor direttore e il
prestigio della scuola nelle cinque provlncie
della Patagonia.
Non era facile tener dietro a Allampanato
Martinez con le sue gambe che parevano
trampoli. Scalava il pendio e faceva fronte
alla via numero ventidue che separava i buoni
cittadini di Neuquén dai cattivi. Al sole i suoi
capelli lunghi da bohemien fuori moda dava-
no riflessi rossi e tutti noi capivamo che a lui
di fisica importava quanto a noi. Eppure nes-
suno mai ebbe il coraggio di dargli del tu, per-
sine nei momenti più drammatici di una par-
tita di biliardo gli si porgeva 11 gesso con un
«signore» che non suonò mal a burla.
II silenzio e i libri. Intervista con Soriano, scrittore argentino nell'esilio
di Maurizio Matseuzzi
In Triste, solitario y final, il tuo primo libro e
quello che ti ha dato fama mondiale, tu hai
costruito l'intreccio fra due uomini — il gior-
nalista argentino Osvaldo Soriano e il detecti-
ve americano Philiph Marlowe — che si incon-
trano a Los Angeles. davanti a'ia tomba di
Stan Laurei e cercano di ricostruire la tragica
sorte di Stantio e Ollio imbottendosi nel mon-
do e negli eroi di Hollywood, John Wayne,
Charlie Chap'in, Dick Van Dike. Qualcuno ha
scritto di quel romanzo: «Thriller, commedia,
cinema muto, fumettismo, ironia, le luci di
Hollywood, amore per i personaggi che hanno
riempito l'adolescenza di mezzo mondo, pietà
per i vinti, odio per un sistema che ha ridotto
non solo Stanlio e Ollio a miseria ed oblio».
Poi hai scritto altri due libri, l'ultimo uscito
non più tardi di due mesi fa in italiano.
Che rapporto c'è fra i tre romanzi?
Con 11 mio secondo libro, Mai più pene né
oblio, torno per la prima volta in Argentina e
a un momento molto preciso: il 1974. Si tratta
di una fase particolare che vide la divisione in
due ali del peronismo. Il libro parla dello
scontro fra l'ala di destra e fascista, e quella .
di sinistra che si può difficilmente definire
marxista ma semmai populista. L'operazione
che ho fatto è stata quella di ridurre in satira
questa storia, che si svolge in un piccolo paese
di 600 abitanti dove tutti si conoscono e sanno
vita morte e miracoli uno dell'altro e dove
l'assurdo è più flagrante, più evidente. Il li-
bro, che è molto breve, l'ho scritto nel '74. Fi-
nisce con una strage fra la destra e la sinistra
e tutti al grido di «Perón o muerte!». Ma con
la destra che va a chiamare l'esercito.
Quartieri d^inverno si svolge nello stesso paese
ma cinque anni dopo. Il nome del paese è Co-
lonia Vela e esiste davvero, anche se non ha
nulla a che vedere con 1 due libri. L'ho scelto
solo perché è un paese tipico della provincia
di Buenos Aires: sporco, piatto, senza nessuna
attratti 1 a, caratteristlco della Pampa. Cinque
anni più tardi l'esercito è già arrivato e quella
vuole essere la mia immagine dell'Argentina
di oggi. Voglio dire che ormai tutto è in ordi-
Certamente la fisica non ha debiti con lui, ma
noi sì gli dobbiamo parte della nostra adole-
scenza felice. La Patagonia non era la sua ter-
ra ed era evidente che disprezzava ogni granel-
lo di sabbia che era costretto a respirare o che
gli si infilava nelle scarpe; le si era però rasse-
gnato come gli uomini soli si rassegnano alle
notti interminabili.
Scendendo la china, dall'altro lato della stra-
da si vedevano sparse le prime case quadrate e
il caffè con i biliardi e le carte del Turco Saul
Asim. Questi era striano - libanese, ma nel
mio paese tutti gli arabi non solo sono turchi,
ma pronti ad accettare la definizione. A quel-
l'ora le strade della periferia erano deserte e
solo i camion carichi di mele passavano la-
sciandosi dietro un polverone che poi restava
a mezz'aria finché una brezza leggera non lo
allontanava dal cammino e il sole poteva tor-
nare a cuocere i canali e gli alberi di spiniglio.
Nel bar del Turco Asim Allampanato Martinez
beveva un unico bicchiere di Gin e ci faceva
vuotare le tasche. Come sempre lo zoppo Ma-
tùs aveva la quantità esatta per pagarsi il ri-
torno ih omnibus a Centenarlo che distava
quaranta chilometri dalla barriera di pruni.
Quasi tutti abitavamo lontano da Neuquén e
attraversavamo il fiume con l'omnibus o in bi-
cicletta o clandestini in qualche camion; quelli
che mancavano a lezione, e che il giorno dopo
si sarebbero dichiarati malati, restavano a pe-
scare vicino al ponte perché non era ancora
tempo di spogliarsi e gettarsi in acqua.
ne, quasi non ci sono giovani. E lì le forze ar-
mate decidono di organizzare per la prima vol-
ta una festa, il villaggio merita una festa dopo
aver tanto patito a causa dei marxisti... I pro-
tagonisti della festa — il libro dura 48 ore in
tutto — sono solo due personaggi: un vecchio
pugile con un certo nome ma già sul viale del
tramonto (ha 34 anni) e un cantante di tanghi
entrambi invitati e assunti dalle forze armate
perché vengano uno a tirare di boxe e uno a
cantare tanghi».
Come finisce la festa/
Per non farla molto lunga, la festa finisce
male perché al cantante di tanghi — «la voce
d'oro di Buenos Aires» — sarà proibito di can-
tare. Infatti il suo curriculum capita per le
mani dei militari che si rendono conto di es-
sersi sbagliati, di avere contrattato un sovver-
sivo che una volta aveva firmato un appello
per qualcosa.
Immediatamente gli dicono che non può più
cantare e che anzi sarebbe meglio che lascias-
se subito il paese visto che 11 clima è quello
proprio di un'occupazione. Però di Tony Ro-
cha, il pugile, hanno bisogno perché è un in:
genuo, non sa niente di politica, dei giornali
legge solo le notizie sportive e vede In tutto
quel che gli capita una campagna per demora-
lizzarlo prima di salire sul ring. L'idolo locale
con cui deve battersi è un giovanotto prepara-
to dai militari, che sa che vincerà perché è
forte e più giovane, mentre Rocha con 1 suoi
34 anni, i suoi 160 match e una sola caduta,
pensa che è molto difficile per un ragazzetto
battere un veterano.
È stato per me di grande piacere raccontare il
finale del match, round per round visto dal di
fuori dal cantante di tanghi che invece di an-
darsene chiede al pugile di nominarlo suo ma-
nager, cosi1 non lo possono toccare. E racconto
il match. La gente sta con l'Idolo locale, evi-
dentemente: non dobbiamo prenderci in giro,
anche durante i campionati mondiali di cal-
cio, nel '78, questo fatto era evidente. Qualcu-
no dice che sor" npssimlsta ma perché fare
dell'ottimismo gratuito?
sabato 11 luglio 1981 / manifesto
II primo venerdì del mese mettevamo insieme
quanto avevamo guadagnato con artiflzi, truc-
chi o lavori precarl. Allampanato Martinez
raccoglieva i biglietti e persine qualche mone-
ta, vi aggiungeva il suo — che non era molto
— e andava a parlamentare con Grossa Zule-
ma, la nostra vergine protettrlce. La Zulema
era dolce e saggia, tollerante e comprensiva e
amava il suo mestiere come mai lo amò donna
a me nota. Ignorava l'egoismo e le piccole mi-
serie che gli esseri umani giudicano virtù. Il
suo unico orgoglio era una ghiacciaia elettri-
ca, la sola esistente in tutta quella maledetta
costa del fiume, che aveva fatto venire in un
vagone merci da Buenos Aires. Non che se ne
vantasse o che ne facesse oggetto di meschina
avarizia, ma nessuno poteva aprirla In sua as-
senza e senza il suo permesso.
In una notte sonnolenta e che a tutti noi sug-
gerì l'Idea di una pioggia imminente, la Zule-
ma aprì la ghiacciala dinanzi al miei occhi e a
quelli del Negro Orellana. Oltre a una botti-
glia contenente una bibita rinfrescante e a un
petto di pollo, c'erano una lunga collana di
perle false, un orologio da donna, varia pac-
cottiglia di stagnola e un blocchetto di lettere
tenute insieme da un nastro rosa. Erano fan-
tasmi del passato e Grossa Zulema voleva con-
servarli freschi e Inalterati come un dolce di
cioccolato.
In un'altra notte io ero triste, un po' ubriaco
e impotente, lei mi passò la mano sulla testa,
mi accarezzò le palpebre e non mi disse tutte
Che cosa hai voluto dire con questa storia?
10 credo che le forze armate hanno fatto un
tale lavaggio del cervello che oggi se non si
può dire che la1 gente sta con le forze armate,
certo si può dire che sta con un certo simbolo
che le forze armate hanno imposto. È un po-
polo ridotto al silenzio, alla autocensura, alla
paura dopo una sconfitta immensa, catastro-
fica che ha prodotto tanti morti, che ha fatto
sparire una generazione intera di intellettuali,
di lavoratori, di dirigenti sindacali, La repres-
sione ha inciso a fondo e la gente ne è uscita
terrorizzata. Non è un'accusa alla gente, que-
sta, rilevo solo una conseguenza precisa del
fascismo: ridurre al silenzio e imporre simboli
— il patriottismo, lo sciovinismo — che si ri-
flettono nella figura del pugile. Tutto ciò det-
to con humour, anche se ci sono molti milita-
ri cui questo non piacerà. Senza humour sia-
mo perduti.
1976-1981, cinque anni di regime militare , 15,
20, 30 mila desaparecidos (a seconda delle di-
verse stime). Fra essi intellettuali, poeti,
scrittori come Rodolfo Walsh o Haroldo Con-
ti. Altri in esilio come Julio Cortazar, Juan
Gelman, come te. Altri chiusi nel silenzio.
Ma, anche, altri — a parte la eccezione del so-
lito Borges — che hanno ripreso a parlare e a
scrivere, che si sono convertiti o avvicinati,
come Ernesto Sàbato. Qual è la situazione in-
terna oggi in Argentina, sotto questo punto di
vista?
Fra gli scrittori argentini ci sono tutte le sfu-
mature. Ci sono quelli che sono rimasti dentro
11 paese — e sono molti — conservando la loro
dignità. Spesso si tende a estremizzare dicen-
do che chi sta In Argentina è compllce del re-
gime. Questo è assurdo: 28 milioni di persone
non possono tutte abbandonare il loro paese
lasciandolo al militari. È lo stesso meccani-
smo per cui ci sono quelli che dicono che tutti
coloro che se ne sono andati — noialtri — or-
mai non siamo più argentini, siamo stranieri.
È quel che i militari cercano di far credere a
quanti sono restati, sono i discorsi sulla cam-
pagna anti-argentina. Quel che io sto facendo
quelle stupide parole che, avevano pronte le al-
tre donne del quartiere. Mi'fece sedere sul
margine del letto che era grande come una pi-
sta da ballo, appoggiò la testa sulla mia spalla
affinchè non potessimo guardarci in viso e mi
raccontò qualcosa della sua vita che ci fece
piangere mentre gli altri clienti aspettavano
nell'ingresso. Appresi quella notte che si chia-
mava Geneviève, che era francese di Marseli-
le, francese davvero e non come le altre che
strascicano la erre per darsi delle arie. Cercò
le lettere nella ghiacciaia: le buste sbiadite re-
cavano scritte di color viola tracciate con
mano maschia e imperativa. Un particolare
banale aggiungeva alla distanza una velata
condanna: non contento di scrivere «Neuquén,
Argentine» l'autore aveva aggiunto inutilmen-
te «Patagonie, Amerlque du Sud». Le buste
portavano dunque con sé un sospetto di selva
e di deserto, di fine del mondo civile. Gene-
viève si era celata a Buenos Aires dietro le ve-
sti di Zulema e vi aveva trascorso anni gloriosi
mentre in Europa ci si scannava. Il contributo
allo sforzo bellico del compatrioti fu da parte
sua fermo e deciso: fino alla liberazione di Pa-
rigi nessun uomo di nazionalità tedesca potè
distendersi tra le sue lenzuola.
Decadimento e rughe l'avevano poi portata in
Patagonia e dentro di sé sapeva che patria e
gioventù ormai erano ugualmente lontane. Di-
stribuì le lettere come fossero carte e in esse
fosse segnato il destino, quello di lei, che inva-
no sognava di tornare a vedere il Mediterra-
qui adesso — parlando con te — è parte della
campagna antl-argentina: ecdo là il signor So-
riano che va a dire le sue menzogne a Roma.
Si può star certi che qualsiasl mia critica con-
tro qualche intellettuale fermatosi in Argenti-
na sarà riprodotta e ingrandita per creare ul-
teriori divisioni. Per questo credo che occorra
essere molto cauti. Molti di noi che siamo an-
dati in esilio, continuiamo a pensare al nostro
paese e troviamo difficile adattarci a vivere
dove ci troviamo ora, vorremmo ritornare. CI
sono altri, Invece, che dall'esilio spargono ca-
tastrofismo esattamente come ci sono alcuni
— pochi — che sono rimasti in Argentina, si
sono riavvicinati al regime militare, si sono
convertiti, ne hanno tratto profitto.
Che intendi per catastrofismo?
I morti sono un fatto, 1 desaparecidos anche,
pur se non saranno morti fino al giorno in cui
non ci abbiano provato che lo sono e ci dica-
no chi è stato ad ammazzarli. Fino ad allora
non sono morti. Voglio dire che i miei amici
scomparsi mi devono dire chi li ha presi, come
e dove sono. Questo è chiaro, ma di lì a rin-
correre giorno dopo giorno università, mee-
ting, comizi e cose del (tenere per strapparsi le
vesti di fronte a tutti nei quattro angoli del
moneto, ne corre. Questo è catastrofismo. E la
catastrofe vera è già venuta e la gente ne ha
sofferto più di noi, laggiù. Per me la mia ca-
tastrofe è aver perduto il mio paese, ma sono
sincero: vivo a Parigi e non devo avere paura cne
la polizia venga a prendermi, passo per Roma
e non devo stare attento che l'auto che mi si
ferma vicino mi porti via. È un bel sollievo
mentre là hanno vissuto in questo modo per
cinque anni. Quindi certi silenzi della gente
che sta ancora dentro 11 paese vanno capiti,
perché in mezzo al fascismo non può fare al-
tro. Ci sono silenzi di complicità con il regime
militare e ci sono silenzi — quando uno è diri-
gente sindacale o scrittore senza gran nome —
comprensibilissimi perché in gioco c'è la vita.
Più gravi sono silenzi come' quello di Ernesto
Sàbato, rappresentativo di gente molto impor-
tante che in fin del conti avrebbe potuto par-
lare. Adesso dice di aver sempre detto: «che
manifesto / sabato 11 luglio 1981
neo, e il mio, che mi avrebbe condotto nella
sua Francia natale. Non parlò dell'uomo che
lasciò nel porto di Marsiglia: quando la corri-
spondenza finì, Impacchettò 11 passato e lo
mise in conserva nella ghiacciaia, così come
altre donne lo consegnano all'amara smorfia
delle labbra.
Tuttavia quel pomeriggio di primavera che ar-
rivammo con Allampanato Martinez ancora
non avevamo guardato dentro la ghiacciaia,
né avevamo pianto insieme. La Zulema era
tonda e opulenta e sarebbe certo piaciuta a
Federico Fellini; al suo fianco Allampanato
Martfnez sembrava una scopa abbandonata
accanto a un'autobotte. Stettero a parlare per
un po' senza toccare il danaro e senza alzare
la voce. All'altro lato della strada noi aspetta-
vamo ansiosi come se Allampanato stesse per
calciare un rigore: allora a uno scatto, a una
risata comprensiva di Grossa Zulema comin-
ciammo ad abbracciarci come se Allampanato
avesse segnato il gol.
Ci giocavamo a sorte i turni, tirando in aria
due monete alla volta, un sistema complicato
almeno quanto l'impresa. Se qualcuno recla-
mava una priorità in virtù del danaro sborsa-
to, Allampanato sì Impegnava a fargli spiega-
re la fusione di non ricordo più quale elemen-
to e l'egoista si calmava. Poi al cadere della
sera, con la parlantina a briglia sciolta, emo-
zionati, andavano a giocare al biliardo del
Turco: avevamo una fame feroce e neanche
una moneta per comperarci un panino.
Quando ricordo quegli anni passati nella pro-
vincia di Neuquén, in Patagonia e si risveglia-
no in me le Immagini di Allampanato Mar-
tfnez e di Grossa Zulema, immagino che l'in-
terlocutore epistolare di Marsiglia nello scrive-
re le lettere temeva che il cuore della sua Ge-
neviève potesse Indurirsi In quell'ostile deser-
to. No: è giunto il momento di far sapere a
quell'uomo, se ancora vive, la verità, che vale-
va ia pena aspettarla, magari aspettarla inva-
no. In quel paesaggio In cui eravamo stranieri,
cioè Innocenti, tutto era irrealtà, né c'erano
gli elefanti a circondare la vallata, né l'aereo
nero di Perón giunse mai a destinazione. I
meli e le viti fiorivano, ma le illusioni, come
gli orologi da quattro sòldi che cingevamo ai
nostri polsi, diventavano pigri e lottavano per
farsi strada tra la sabbia che volava dal deser-
to.
Per civetteria i figli dei coloni stranieri dette-
ro alla regione un nome indio: il Comahue.
Molti si sono arricchiti e, mi dicono, il quar-
tiere della Zulema è stato sospinto verso la
zona dei mondezzai per lasciar posto ai villini
dei militari; la nostra scuola si è convertita in
un moderno istituto di studi medi con un edi-
ficio nuovo. Perché a Neuquén c'è il petrolio,
molto petrolio e anche una centrale Idroelet-
trica e caserme di militari e mele da esporta.-
zionl. Quando ci andai per l'ultima volta, po-
chi anni fa, i miei amici di allora mi avevano
già sepolto: era corsa una"n"òliz"fa:che mi dava
con la testa mozza in un incidènte stradale. È
risultato strano vedere i volti della gente tur-
barsi oinanzi un'apparizione dell'oltretomba,
ma alia fine, quando facemmo il riconto delle
vite e delle morti, delle grandi imprese e delle
vigliaccherie, del sogni realizzati e dei matri-
moni fatti e disfatti, chiesi di Allampanato
Martinez. «Anche Allampanato è morto» rispo-
se qualcuno, «se ne andò a sud, a Santa Cruz e
se lo portò via una polmonite, povero Allam-
panato». E la Zulema era ormai un ricordo da
nominare sottovoce. Molti si erano costruiti
un palazzo tutto per loro che li riparava dalla
povertà e Grossa Zulema l'avevano sepolta
sotto le fondamenta. Uomini e donne di Neu-
quén si erano inventati una metropoli e non
volevano più essere Patagonia, mentre noi che
eravamo andati via venivamo già dati per
morti: cosa poteva importare loro ora di quel
primo venerdì del mese, quando era primave-
ra, il vènto si calmava e smettevamo final-
mente di digrignare i denti?
(Traduzione di Giuseppe Grilli)
orrore». Che orrore che cosa? La guerriglia?
L'esercito? Tutto? I desaparecidos? Che orro-
re un torturatore morto? Questa ambiguità
nella quale oggi cerca di muoversi per vedere
sé riesce ad arrivare al Nobel...
E Borges che dice: «gli scomparsi devono ri-
comparire!» Lo dice oggi che lo scrive anche il cose, si toccano molti altri punti della realtà
giornale La prensa. Dirlo adesso non è più un
merito. Perez Esquivel lo diceva molto prima
di lui e quando non era nessuno, per questo lo
hanno preso e torturato senza che nessuno lo
ascoltasse e nessun giornale pubblicasse nien-
te,
II caso di Sàbato è quello più esemplare di un
intellettuale che si ritrae pieno di dolore e di listi duri» (quelli che dicono: «la sovversione
orrore. Dolore e orrore che si possono provare
da qualsìasi parte del mondo, (nel Salvador,
ad esempio) ma lì sono state ammazzate deci-
ne di migliala di persone e bisogna essere mol- zare prima i sovversivi, poi i compiici, poi
to precisi. Chi avrebbe potuto toccare Sàbato
in Argentina? Se lo avessero fatto sarebbe
scoppiato un casino internazionale. Questi
casi di ambiguità sono i più dolorosi. Di più
che quello di un Borges. Borges è sempre sta- i1 operai avessero una coscienza di classe più svi-
to un uomo di destra, è coerente con- se stes-
so, e ora che per una questione che lui defini- errori suicidi della guerriglia, del pessimo
sce morale dice: «quel che è successo è stato
terribile», va bene così, è molto buono che lo
dica.
Quinai non ti è dispiaciuto, come intellettuale, oggi») sotto il diretto controllo («come in nes-
che l'anno scorso il Nobel della letteratura
non sia andato a Borges, che son secoli che lo
aspetta. Meglio quello per la pace al cameade
Perez Esquivel?
La mia reazione è stata di grande soddisfazio-
ne perché una volta tanto il Nobel non è an-
dato, che so, a un Kissinger. Il Nobel è servito stra sotto pieno controllo delle forze armate.
perché Perez Esquivel divenisse intoccabile e
potesse andare avanti. Il premio a Borges nel-
la misura in cui tutti sappiamo che il Nobel.è
anche una scelta politica, sarebbe stato 11 pre- che non si ferma».
mio alla giunta, senza dubbio alcuno. Anche
nel caso del Nobel a Sabato, del resto, sarebbe In questo senso sono molto pessimista, fino a
stato un premio alla giunta.
Io credo che Borges non lo prenderà mai, non
dico che non lo meriterebbe e lo lo ammiro
profondamente dal punto di vista letterario,
Un pugile stanco,
un cantante di tango,
i militari. L'Argentina
di Soriano
di Mabel Itzkovitch
Un pugile e un cantante di tanghi arrivano in
una piccola città della provincia argentina
dove regna l'ordine dei militari e i soldati
hanno la mitragliatrice facile. Non sono eroi.
Il pugile è al tramonto della carriera e il can-
tante di tanghi cerca, senza molta fortuna, la
fama.
Entrambi diverranno vittime di qualche ma-
linteso e a partire di li si faranno protagonisti
di una storia di sopravvivenza in una città as-
sediata, dove le incursioni notturne e la vio-
lenza imprevista si incrociano con l'indifferen-
za.
Quartieri di inverno, l'ultimo libro dell'argen-
tino Osvaldo Soriano pubblicato in Italia da
Einaudi, è una storia scritta da chi, fuori dal
paese, segue con dolore e con rabbia il dram-
ma argentino, un mondo su cui pesano 30 mila
desaparecidos, dove la dittatura militare ha
imposto dal 1976 il silenzio a sindacati, parti-
ti politici e opposizione.
Soriano, nato a Mar de la Piata vive ora a Pa-
rigi. Ha 38 anni, ha lavorato a Buenos Aires
nel giornalismo — è stato redattore sportivo,
politico e culturale — e ha pubblicato nel 1973
il suo primo libro Triste solitario y flnal, tra-
dotto in 10 lingue, che gli ha dato una noto-
rietà mondiale, e successivamente Mai più
pene né oblio.
Soriano è uno scrittore che si rifa a uno stile
picaresco da cui trae l'umore, la ironia, l'ap-
parente ingenuità, e a quello cinematografico
da cui provengono il ritmo e il privilegio del-
l'azione rispetto al discorso. Come in Triste
solitario y final dove la satira non cade mai
nel patetico e il dialogo apparentemente bana-
le va disegnando le caratteristiche di ciascuno
dei suoi personaggi.
In Mai più pene né oblio Soriano ha immagi-
nato per la sua storia un centro rurale degli
Anni 70, quando il processo politico argentino
trasformò la lotta fra le opposte fazioni all'in-
terno del peronismo in una guerra cieca, cui fece
seguito la sparizione degli s'cd'rifitti.
In Quartieri d'inverno, suo ultimo libro, l'a-
zione si sviluppa ancora in una città di provin-
cia (la stessa), una cronaca in cui va crescen-
do la violenza quotidiana e dove lo stile è, al
contrario, quasi ascetico; con un humour sot-
tile attraverso cui descrive personaggi deboli o
sentimentali e l'apparato magniloquente della
dittatura.
In questo modo sfila davanti al lettore, sia in
Mai più pene né oblio sia in Quartieri d'inver-
no, un mondo piatto e crudele nel quale domi-
nano gli arroganti, i servili e gli indifferenti,
trattando storie che, come ha scritto un criti-
co, non sono meno complete di tante inchieste
giornalistiche sull'Argentina né meno dram-
matiche di una denuncia di Amnesty Interna-
tional.
ma non credo che lo prenderà. Almeno spero
che non lo prenderà fino a quando la giunta è al
potere. E poi, in un altro momento, che lo
prenda pure che se lo merita, ma non adesso.
Con Osvaldo Soriano si parla anche di altre
argentina di oggi. Del cambio del generale Vi-
dela col generale Viola (lui non ci vede diffe-
renze); dei militari perennemente divisi nelle
solite due frazioni, «i liberali» (che «cercano di
fare un po' di populismo» e di trovare la stra-
da per ridare il potere a un gran partito civile
di centrodestra, «alla brasiliana») e i «naziona-
non è ancora finita» e si riconoscono nel pro-
gramma enunciato un giorno da un generale
di Buenos Aires al New York Times: «ammaz-
quelli che li hanno aiutati, poi gli indifferen-
ti»); del peronismo (in cui continuano a iden-
tificarsi i settori operai, «a me che mi conside-
ro marxista può non piacere, io vorrei che gli
luppata, ma le cose non stanno così»); degli
Partito comunista argentino («uno dei più rea-
zionari di tutti», che arriva al punto di offrire
il suo appoggio critico alla giunta); della si-
tuazione economica («una catastrofe totale,
sun altro paese del mondo») del complesso mili-
tare.
Ne esce un quadro cupo. Un senso di sconfor-
to. «La situazione appare tale che la storia di
sempre non potrà non ripetersi: i militari fra
un po' si lasceranno dietro un governo civile
peronista- conservatore, qualcosa di centrode-
Due o tre anni di delusioni, colpo di stato mi-
litare, nuovo discorso sulla riorganizzazione
nazionale. La storia si ripete come una ruota
È la disperazione, allora?
quando verrà 11 momento in cui qualcosa pos-
sa cambiare davvero.
Ma quando?
Poesia
II dialetto riscattato
visita la fossa
del reale e intanto
disegna l'utopia.
Due libri di Franco Loi
di massimo raffaeli
Quell'oggetto difficile da maneggiare (e ancor ' Scrive Loi nella postfazione a L'Angel, molto
più difficile da definire, fino all'arcano) che I utile ad esplicitarne le fasi genetiche ed elabo-
passa sotto la rubrica di poesia dialettale sem-
bra ora ritrovare intatte tutte le sue plurlvo-
che risorse; oggi dopo decenni di pesanti ipo-
teche campanilistiche e dopo la fase della ver-
gogna dei dialetti, purtroppo accreditata da
un malinteso esercizio critico, quando il dia-
letto era usato dai poeti come con rimorso, o
con pudore Intristito. Tanto più che in un de-
cennio poetico centrifugo e ricco di soluzioni
linguistiche e stilistiche come quello trascor-
so, alcune delle non molte conferme (valori
inverati, percorsi che definiscono una voce au-
tonoma) provengono giusto dai cosiddetti dia-
lettali, il cui disegno complessivo, magari col
rinforzo d'una pronuncia Ispida e affabile in-
sieme, mostra una gamma di registri tonali
sviluppati estensivamente. Vengono subito i
nomi, certo esclusivi, di Tonino Guerra, del-
l'anconetano Scataglini, fino ad Albino Pierre
che addirittura ritrova l'antico tursitano con
, passione più da necrofilo che da archeologo;
fino al milanese d'adozione Franco Loi del
quale escono in contemporanea due volumi:
L'aria (Einaudi) una raccolta di liriche edite
in parte, ed il poemetto trilingue L'Angel (las- classicissima base dell'endecasillabo. La diret-
se scritte nelle lingue di Milano, Genova e Co-
lorno, lingue sue e prima paterne e^materne)
stampato nelle preziose edizioni S. Marco del
Giustiniani di Genova, con una introduzione
di Franco Brevinl.
Ci si trova di fronte a testi di struttura molto
differenziata, e se il primo compatta in brevi
scatti epigrafici una materia occasionale (se-
condo l'etimo del termine: la giovinezza so-
gnata e poi fatta a pezzi, restituita per icone
chiuse, di luce intermittente) la misura del se- re, ritagliandosi uno spazio stretto e privile-
condo invece, versata sui temi che Loi Insegue
da sempre quali ossessioni, è quella della nar-
razione in versi.
Al riguardo, è capitato a Fortini, parlando di
Loi una volta, di situarlo dentro l'assortita
tradizione, da ultimo di suggestioni anarchi-
che, degli estensori della Vita Nera: la vita
vissuta e scritta dal versante basso, dai toni
foschi e bituminosi, in cui l'elemento patetico
(una continua fitta dolorante) è il portato na-
turale d'un'umanità spogliata, e stuprata.
Ora la tesi si conferma ineccepibile solo se nel borazione teorica sono in grado di abolire ogni
contempo si ribadisce la straordinaria forza
comunicativa (proprio nella versione tecnica,
che ne danno i linguisti) della poesia di Loi,
laddove 1 testi sono tenuti Insieme da un mo-
vimento doppio, che li innerva: da un lato, al-
lora, una tensione memoriale (la giovinezza,
Corsivo
La possanza
di quel romanzo
di biancamaria fra botta
Goffredo Fofi si è già occupato sulle pagine di
questo giornale dell 'ultimo romanzo di Volpo-
ni, II lanciatore di giavellotto. Permettetemi
comunque di tornarci sopra per un attimo,
dal momento che, dopo l'esperienza eccentri-
ca, un po' laterale de II pianeta irritabile, Vol-
poni torna, con questo romanzo, a graffiare, e
dolorosamente, sulla realtà, la sua lingua a
••tendersi» nell'espressione e, intatta, come se
Roland Barthes non avesse mai profetizzato
nella società senza padri la fine del racconto,
la sua voglia di «narrare» una storia significa-
tiva. E poi, in un'epoca come questa in cui le
folle si assiepano incantate davanti alla «divi-
na» virilità dei bronzi di Riace, il vigoroso la-
voro a sbalzo dello stile di Volponi, massivo e
plastico come l'opera esimia del vasaio Da-
miano Possanza, capostipite della mitologica
generazione che agisce in questo romanzo, ha
tutte le caratteristiche per lasciare il segno su
una lettrice come me. Perché io appunto ri-
tengo che questo avvincente romanzo non po-
teva non uscire che dalla penna di un uomo.
Romanzo maschilista, dunque? Non credo. E
vediamo perché.
La vicenda, lirica e sanguigna come una no-
vella rusticana del Trecento, si svolge, come è
ormai noto, a Fossombrone, durante il fasci-
smo. È questo di Volponi un fascismo molto
archetipico, poco storico: nel senso che di esso
c'è l'odore di chiuso, il sapore acre, il tanfo
greve e sensuale, ma, per fortuna, non ce n 'è
né il colore, né l'ovvia stampa d'epoca, né il
folclore, insomma nessuna delle stucchevolez-
ze, delle lungaggini, del falso pompeiano del
romanzo storico oggi di moda.
In una trama mólto poco credibile, come ha
scritto Guglielmi, ma in un « tempo « narrativo
perfettamente risolto si colloca la cruda ini-
ziazione di Damìn che, del nonno, sia pure in
sedicesimo, è chiamato a rinnovare nome,
prestanza sessuale, abilità d'artigiano, voca-
zione anarchica. Ma Damìn piantato insieme
al aetto di un fico sultano, viene meno al
compito, manca gli impietosi capitoli della
legge patrilineare che lo vorrebbero ridurre a
una sigla, un bel fregio da pitturare sui vasi di
famiglia. Manca, come già prima di lui era
mancato il padre, intrappolato nei lacci ai
un'epoca buia, anonima, stagnante. E Damìn
impegna tutta la sua adolescenza a compensa-
re questa perdita, a sostituirsi, oscillando fra
gli opposti modelli del comandante Marcacci,
le parole/5
infelice ma coma di futuro e speranza), dal- Del resto è il centro prooulsore della grande
l'altro l'insofferenza della realtà presente (che
è luogo d'una mortificante mediazione, cioè
resa, non - adempimento) veicolata da invetti-
ve asperrime-.
irreale, che qui è subito il sociale, assume così
poesia dialettale: risolvere e presentare come
naturale (o nativo) quel che è stato codificato
nell'ambito culturale. Per questo, a chi glielo
chiedesse, Lo! risponderebbe (ma l'ha già
scritto) di pensare sempre In italiano. Quindi,
le dimensioni del lebtatosario, o comunque
d'un sito recluso e afoso, appena sublimato
dalla tenerezza piccata del ricordo; foppa di
omm (fossa d'uomini) ha potuto scrivere. E
l'angelo, che sta per il diverso, per l'elemento
pure se direttamente apparentata alla secola-
re tradizione lombarda, la sua lingua non ha
quasi nulla dello squisito ardore filologico di
Dello Tessa, anzi insiste sulle valenze plasti-
che, di libera Invenzione neologistica. Quel ri-
che sconvolge la banalità quotidiana, è lì ad
additare la risorsa estrema dell'utopia, risvol-
sentimento misto a pallore, capace di sarca-
smo forte e meglio di patente Ironia, lo con-
to combaclante del reale, così come esso si da: nette semmai al maestri vociarli (In particola-
e se l'utopia, per negarsi alla mediazione che re ali'intransigenza etica d'un Jahler).
la dissolve, dura del suo stesso alimentarsi Proprio oggi (e oltre il patema verbale che ne
(procedendo, come Inesausta tensione verso
una meta solo allusa) allora chi ia esperisce
riscatta la procurata angustia topografica) re-
clama una lettura fraterna.
pretende quella che i greci definivano meta-
noia, il qui-e-ora della mutazione radicale; an- Franco Lei, L'Angel, ed. S. Marco dei Giusti-
niani, pp. 113, lire 7000.
che a prezzo della sconfitta, o dello squarta-
mento fisico in atto, data la qualità dei tempi. Franco Loi, L'aria, ed. Elnaudl, pp. 103, lire
5000
rative: «L'angelo è straniero sulla terra. La
sua patria è di nuovo, ancora, il regno dei de-
li, la terra d'utopia...» (p, 83). L'uomo segna-
to, e non vinto, è ancora capace di provare
Notizia su Franco Loi
vergogna di sé e del mondo: anche perché que- Franco Loi è nato a Genova nel 1930 da padre
st'angelo affabulatore dice io, ambiguamente
sardo e madre emiliana, ma è cresciuto a Mila-
autobiografico. E tutto il poemetto è costitui- no dove la famiglia si è trasferita nel '37. Dal-
to da una serie di cartoni da romanzo dove si
narra la crisi di nervi (sì, quasi una decadente l'Immediato dopoguerra fino al '54 ha lavora-
to alio Scalo Merci di Milano Smistamento
cris de nerfs, Incompresa prima che censura-
come contabile; in seguito è passato alla sezio-
ta) d'un adolescente nella Milano dell'imme- ne pubblicità della Rinascente e nel '60 all'uf-
diato dopoguerra, continuamente spezzata e
ficio stampa della Mondadorl. Iscritto al Pel
ricomposta da flussi mnemonici in cui emer- dal '45 ne è uscito nel '62 proseguendo l'atti-
gono 1 soggiorni infantili di Genova e Colorno.
vità, politica nell'area della sinistra non uffi-
quali archetipi linguistici dei padre e della ciale. Occupandosi anche di teatro, ha comin-
madre, non a caso trasmessi nella pagina da
ciato a scrivere in dialetto Intorno al '65 ed ha
una patina volutamente Improbabile, abrasa e finora pubblicato le raccolte: / cart (1973);
costruita col solo sforzo della memoria.
Poesie d'amore (1974); Stròlegh (1975); Teater'
Dentro al romanzo in versi, le opzioni metri-
(1978). Del suo lavoro, di Iniziatica difficoltà
che e in senso largo sintattlche confermano linguistica, si sono occupati lettori prestigiosi
quel doppio movimento cui prima si accenna-
quali Isella, Fortini e Mengaldo. Vive e lavora
va: in questo modo, alle sequenze narrative si
a Milano.
accorpano quelle dove prevale l'intento logico
- raziocinante (di nettezza aforistica) sulla,
ta decisione del senso viene poi gestita verso
un utilizzo che si direbbe educativo, nell'im-
patto d'una bruciante autopedagogia: l'io poe- Ancona» Anche
tajnte, lasciato solo nel mondo ostile (di cui
soffre, mentre va rammemorandolo) conosce in diaile"
l'inferno contemporaneo, e paga per tutti
Ha scritto, a proposito, il Mengaldo: «E ne
esce un dialetto che possiamo definire al qua-
poesia
drato, nel senso che non viene legittimato, se
condo l'operazione tipica del poeta vernacola-
Con «EI vive ci'orno», serata dedicata al poeta
anconetano Franco Scataglini (lui si definisce poe-
giato di una realtà umile • appartata, ma si ta «re&l.lenziale» ) si conclude il ciclo La parola della
pone come linguaggio della totalità, che fago-
poesia, che si svolto dal 30 maggio a oggi
cita con vorace prensilità tutto ciò che si
muove nei suoi dintorni» (1978). Loi non usa presso la sfede della Galleria del Falconiere, in
Ancona.
lo strumento dialettale in maniera ontologica,
cioè facendone una specie di primum padre- La rassegna, curata dalla stessa Galleria del
Falconiere, ha presentato Beverino Cesar! (30
ternale da ascoltare ancora nei ritmi del san-
gue, o anche la maschera facciale dietro cui maggio), Paole Lanaro (6 giugno), Francesco
Scarabicclii (13 giugno), Guido Garufl (20 giu-
nascondersi per mimare una seconda volta il
vissuto; piuttosto ne persegue un duttile uso gno), Remo Pagnanelli (27 giugno), Massimo
Raffaeli (4 luglio). Ogni sera alle 21,30. Ogni
strumentale, quando gli stessi elementi di ela-
lettura preceduta da una presentazione critica
e seguita da una discussione. «Non è certo una
intervallo fra referente e destinatario: que-
trasgressione, per chi sì occupa dello spazio
st'arma micidiale produce continui effetti di
ravvicinamento, per cui i singoli dati testuali dell'immagine —scrivono gli organizzatori—
proporre una serie di incontri al centro del
giungono al lettore senza schermo apparente,
lasciando volta a volta uaa spina nella carne quali sta ìa poesia, o meglio, la parola della
poesia-
viva.
brusco ma vigoroso conquistatore della madre
co nella determinazione" del vecchio Possanza,
e della Libia e il ciabattino Occhialini, sfron-
tato e spregiudicato grillo parlante che al pu-
umiliarne l'antica possanza, non a caso com-
partecipe della trasgressione della Norma ma-
gnale d-'argento di Marcacci contrappone l'al- terna che. alla fine del romanzo, si fa con lui
trettanto «penetrante» arma delle parole, della ottima artefice di vasi?
libertà, del libero amore.
Invano il ciabattino sarà tradito, esiliato dallo
Ma Damìn è un Pinocchio più nevrotico e ac- sguardo; invano il lanciatore si farà cerami-
cigliato e vive l'età adulta, l'imposta virilità sta, delicato artista, più che vasaio, vaso lui
come una minaccia, un attentato alla beatitu- stesso, di caccio fra vasi di ferro. Alla fine a
dine autosufficiente dell'erotismo infantile. È
Damìn, dopo essersi vendicato della vita reci-
quindi di uno scudo che vorrebbe armarsi, dendo ìi fragile stelo di Vitina con una ver-
contro le possibili «penetrazioni» della realtà.
ghiana roncola, si getterà, come Aiace, non,
E invece la natura, lo stato, la famiglia, il suo •sulla punta detta spada, ma sull'unica spor-
atletico fisico gli mettono fra le mani un gia- genza della roccia nel fiume.
vellotto con cui fendere il temuto ventre di
A officiare le esequie di questo romanzo di
donna, la nuda terra della madrepatria. E alta pedagogia non può quindi alla fine non
compiici nell'assegnargli questa meta, il fasci-
sta e l'antifascista si confondono, si sovrap-
intervenire Occhialini che riprende .«il passo
verso la calcina bianca di quel pozzo lontano
pongono: nella vigoria sessuale, del lancio
Marcacci mostra al suo occhio stupito e na-
senza paura e senza più voltarsi».
Volponi adegua stile e struttura con una di-
scosto che sì può sedurre una madre e far-
ne una puttana; nel gettito ideale del pensiero sinvoltura, ammirevole: usa, senza pensarci su
il ciabattino invece cancella la barra divisoria molto, la prosa che gli serve, mai decorativa e
fra la madre e la puttana, dimostrandogli che pleonastica, con il piglio energico e teso del
anche una donna può godere. Ed è di fron- bravo vasaio. Costruisce così capitoli brevi,
te alla potenza fallica, all'azione, siano esse densi, aggettanti, agglutinati intorno ai tipici
paterne o materne che Damìn prende a fuggi- espedienti della favola educativa: la terza per-
re. Ha gettato sul mondo lo sguardo protervo sona, l'"aor'stQ" della trama, le didascalie
di Edipo e il mondo si vendica, accingendosi a epico-avventurose che titolano i paragrafi, le
trasparenti allegorie dei nomi dei personaggi
possederlo.
Del resto come potrebbe Damìn, dall'occhio fanno dulia Testa di bronzo raffigurata sulla co-
copertina, non un semplice reperto archeolo-
così vigile da rifiutare perfino gli «occhialini»
gico, ma un mito di parlante attualità.
dell'ideologia, adeguarsi al fallo «turgido e eie-
Dopo Bar Sport e La tribù di Moro Seduto
un altro pirotecnico tiro al bersaglio
di Stefano Benn
Con un risultato paradossale:
per una volta, i noiosi protagonisti
della vita pubblica italiana
riescono ad essere, loro malgrado, divertenti
MONDA