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2 – Felicità e virtù: ARISTOTELE, EPICURO, STOICI Per gli antichi etica e felicità (eudaimonia) erano

strettamente legati, questo dimostra la distanza dalle idee contemporanee che pongono l'etica nella
dimensione dell'obbligo o dell'obbedienza. La loro visione faceva riferimento alla vita vista come un tutto,
ed è solo rispetto a questa visione che acquistavano senso le cose e le azioni particolari, quindi la domanda
sul come agire era solo un aspetto della domanda più generale sul come dovrebbe essere la vita. Infatti il
reale significato del termine eudamonia va oltre la semplice felicità ma si estende a coprire il bene supremo
dell'uomo, il fine ultimo della sua esistenza, cercato in sé e non in vista di altro. La visione Aristotelica della
vita come unità è condivisa anche da Epicurei e Stoici, così come l'identificazione del bene supremo
nell'eudaimonia e nella sua correlazione con la virtù, benché interpretata in modo differente. Per
Aristotele, infatti, la realizzazione di sé avviene con l'esercizio delle virtù etiche
(giustizia,coraggio,temperanza...) sotto il controllo della virtù dianoetica della saggezza pratica (phronesis).
Epicurei e stoici hanno una visione monistica in cui la virtù è identificata con la saggezza ed il punto di vista
morale: saggio è chi conduce una vita buona e sa distinguere il vero bene da quello relativo che può
trasformarsi in male. Ma tutti condividono l'idea che non si può essere felici se non si è virtuosi.
Esaminiamo più in dettaglio le differenze: Per Aristotele, però, non si tratta di una condizione sufficiente e
questo in ragione del fatto che solo la felicità è in sé compiuta e quindi è la sola che possa costituire il fine
ultimo. La virtù è incompiuta, perché deve accompagnarsi anche all'assenza di mali e sventure particolari,
ed alla presenza di beni esterni adeguati, durante l'intero arco di una vita. Non è quindi identificabile con la
felicità. Per Epicuro il piacere (hedone) è principio e fine del vivere felicemente. E' il principio in base al
quale operiamo qualsiasi scelta e quindi anche le nostre valutazioni sul bene. Esisto un piacere del corpo
(aponia) che rende liberi dal dolore ed un piacere dell'anima (ataraxia) che rende liberi dal turbamento, li
pone sullo stesso piano. Il piacere ha quindi una natura statica e sopraggiunge inevitabilmente in assenza di
dolore. Ma il legame con la virtù qui assume una rilevanza ancora più fondante rispetto al pensiero di
Aristotele. Senza la virtù, in particolare la saggezza (phronesis) non è possibile distinguere tra i piaceri
naturali e non naturali, necessari e non necessari. Qui si distanza da Aristotele che pone il primato della
sapienza (sophia) e del sapere filosofico; Epicuro rivendica il primato della saggezza e della vita pratica e le
considera condizioni sufficienti e necessarie al compimento della felicità, ma il punto di partenza è sempre
la felicità (piacere), non la virtù (questo li distingue da Aristotelici e Stoici). Se l'uomo è virtuoso può essere
felice ed imperturbabile anche in situazioni estremamente drammatiche e dolorose. E' da sfatare quindi
l'idea di un epicureismo che promuove il piacere materiale: Epicuro parla di autosufficienza ed autonomia
del soggetto, di ricercare la serenità rinunciando a ciò che è superfluo e coltivando l'amicizia. Il legame tra
felicità e virtù è sancito con maggior fermezza dagli Stoici, che pongono proprio nella virtù il fine ultimo che
l'uomo deve perseguire. La virtù è quella predisposizione alla coerenza morale che ci fa porre in secondo
piano l'interesse personale: quando si agisce immoralmente in vista di un interesse personale si è infelici.

La felicità si realizza solo nella virtù, perché basta a sé stessa, indipendentemente da tutto il resto. Il saggio,
quindi, vive sulla base di quel logos che governa l'intera realtà. E' imperturbabile rispetto a quegli aspetti
che gli stoici chiamano indifferenti (vita, morte, malattia, salute, bellezza, bruttezza, ricchezza...) ed alle
passioni (desiderio, paura, dolore, piacere) perché la virtù consente di viverli con distacco, e gli dona libertà
ed autonomia. La virtù non ammette adesioni intermedie, si esplica in ogni azione o in nessuna, chi ha una
virtù le ha tutte, chi agisce male in una condizione agisce male sempre.

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