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MITOLOGIA NORRENA: INTRODUZIONE.

Le Valchirie, il saggio Odino, il possente Thor e l’enigmatico Loki, prima di diventare icone
palestrate di alcuni film, sono i protagonisti di un mondo straordinario, da cui hanno attinto a
piene mani artisti di ogni epoca: da Wagner a Quorthon, da Robert E. Howard a Tolkien.
Questi eroi si muovono all’interno di una cosmologia di straordinaria complessità sorretta da
Yggdrasil, il frassino del mondo il cui tronco attraversa tutti i nove mondi esistenti, simbolo
sempreverde dell’eterno scorrere della vita attraverso vari livelli dell’esistenza, possente
metafora vegetale che unisce il cielo e la terra in un destino ineluttabile. Come direbbe
Socrate, tanto per scomodare personaggi di un certo livello, io so di non saperne granché. Ho
chiesto quindi aiuto a Francesco, che in passato si era occupato del post sul petrolio. Questa è
la prima puntata della sua risposta, una breve digressione riguardo la cornice pagana e le
caratteristiche del popolo dei vichinghi, necessaria per capire al meglio la nascita dei miti e
delle leggende del Nord.

Prima di iniziare è utile sottolineare che, diversamente dall’Ebraismo, dal Cristianesimo e


dall’Islam, la mitologia norrena non è una religione rivelata: queste storie non ci sono state
trasmesse direttamente da una entità superiore, ma sono il frutto della mano dell’uomo.
Cosa abbastanza curiosa, queste storie e testimonianze non provengono da scrittori pagani, ma da
monaci cristiani che riuscirono a strapparle dall’oblio. Questi miti, che compongono la religione
tradizionale dei popoli scandinavi prima della loro cristianizzazione, erano infatti trasmessi
oralmente: incidere rune su pietra, legno o metallo, come avveniva tra i vichinghi, difficilmente si
conciliava con racconti lunghi e dettagliati come quelli degli eroi pagani. Bisognerà aspettare infatti
l’arrivo del Cristianesimo, che insieme alle croci diffuse anche l’arte di scrivere a penna. Esisteva
tuttavia una compatta tradizione di leggende e racconti che veniva trasmessa di generazione in
generazione dai bardi, che recitavano a memoria lunghi poemi e avventure riguardanti gli dèi.
Il testo fondamentale per la comprensione della mitologia norrena è l’Edda, scritto dall’islandese
Snorri Sturluson intorno al 1220. Uomo dotato di molti talenti, Snorri attinge con molta attenzione
dalle fonti pagane, riuscendo a preservare il patrimonio religioso del suo popolo e a non alterarlo
con la morale cristiana: Snorri descrive infatti le gesta delle divinità nordiche rifiutando l’immagine
malvagia e demoniaca con cui apparivano nelle descrizioni di alcuni predicatori cristiani. Anzi,
suggerisce perfino che Thor potesse essere un nipote di Priamo, il mitico ultimo re di Troia,
collegando così il Nord con il vecchio mondo greco.
Per spiegare la natura della mitologia norrena occorre necessariamente analizzare in breve la storia
del paganesimo nell’Europa nord-occidentale.
Durante l’Impero Romano, le varie tribù barbare (soprattutto germaniche) vivevano ai confini
dell’Impero, che, nonostante l’ovvia influenza esercitata su di esse, non riuscì a intaccarne
sensibilmente il linguaggio e le credenze. Quando l’Impero iniziò a crollare, tra il quarto e il sesto
secolo dopo Cristo, le varie tribù iniziarono a conquistare le terre non più sotto il controllo
dell’esercito romano.
I vecchi regni furono smembrati e, con il passare degli anni, si assistette alla formazione di grandi
potenze, come l’Inghilterra Anglosassone e la Francia Merovingia.
Il Cristianesimo si diffuse velocemente come sangue su un tovagliolo, dal centro verso l’esterno, e
la maggior parte dei popoli europei rinnegò i vecchi dèi in favore della religione del Libro.
Il popolo norvegese fu convertito tra il decimo e undicesimo secolo dopo Cristo da due Re, Olaf
Tryggvason e Olaf il Santo. Il loro dominio fu caratterizzato da cruente persecuzioni contro i
pagani: i loro templi vennero bruciati, i loro idoli distrutti, i seguaci perseguitati e uccisi. Alcuni di
questi riuscirono a mettersi in salvo scappando in Islanda, un regno senza re e senza persecuzioni,
ma quel fuoco pagano, dopo un’ultima scintilla vitale, si spense pochi anni dopo.
Anche la Danimarca cedette ai missionari, diventando in breve un pilastro della Chiesa.
Gli Svedesi riuscirono per un momento a conservare le loro tradizioni, ma nel 1164 il potere
ecclesiastico riuscì a penetrare e a conquistare perfino Uppsala, il maggiore centro pagano svedese,
la città che nell’immaginario collettivo costituiva la leggendaria roccaforte di Odino e Freyr.
Prima della diffusione abbastanza capillare del Cristianesimo, tuttavia, il Nord venerò i suoi Dèi per
più di mille anni e, al tramonto del paganesimo scandinavo, i Vichinghi provenienti dalla Norvegia
e dalla Svezia erano il terrore e il flagello d’Europa. In questo lungo lasso di tempo il paganesimo
ebbe modo di plasmarsi e scomporsi in diverse forme e riti, in quanto non esisteva né una fede
universale, né testi sacri scritti. Il pantheon scandinavo era infatti influenzato dal paganesimo del
Mediterraneo, dell’Est Europa e dalla stessa Chiesa cristiana; i fedeli vivevano una religiosità molto
personale e variegata, con forti differenze in base ai luoghi e ai tempi dove questa era vissuta.
Con pantheon nordico si intende quindi un insieme abbastanza omogeneo di culture che, da un
periodo databile intorno al terzo millennio prima di Cristo fino all’affermarsi del Cristianesimo,
hanno conservato molti tratti comuni, in un vasto territorio che comprende l’Europa Settentrionale, i
Balcani, la Germania e la Scandinavia.
E’ interessante notare, infatti, che alcune caratteristiche comuni tra le religioni prima del Libro si
riflettono ancora nella nostra vita di tutti i giorni. Tyr il monco, nume tutelare della giusta vittoria in
battaglia per i vichinghi, all’epoca della formazione dei nomi della settimana nordica divenne il Dio
della guerra, identificato dai Romani con il loro Marte: l’inglese “Tuesday” non è altro che
l’equivalente nordico di Martedì, il giorno consacrato al bellicoso Dio Marte. Giovedì, in inglese
“Thursday” e in norvegese “Torsdag”, deriva dal Dio delle tempeste Thor: la grande diffusione del
suo culto ha portato a tradurre il nome del giorno a lui dedicato come Dies Jovis, attribuendogli così
la stessa importanza del nostro Giove. E che dire di Venerdì, in inglese “Friday” e in norvegese
“Fredag”, che rimanda alla Dèa della fertilità Frigg, così simile alla “nostra” Venere?
Per cercare di capire la mitologia norrena occorre descrivere brevemente i vichinghi, le cui storie di
saccheggi in Francia, Germania, Spagna e Inghilterra riempivano i Cristiani di terrore. I cronisti
ecclesiastici dell’epoca, spaventati dalla violenza e dal furore degli uomini del Nord, arrivarono a
dipingerli come lo strumento con cui Dio puniva gli uomini, adirato per i loro peccati.
L’immagine che sia ha nell’immaginario collettivo dei “diavoli del Nord” è dovuta però non
solamente agli spargimenti di sangue che caratterizzavano le loro incursioni, ma anche all’elevata
frequenza con cui avvenivano tali scorrerie. I Vichinghi razziavano molto più frequentemente di
altre popolazioni, ma non per “semplice” sete di sangue: vivendo prevalentemente sulle isole e le
coste scandinave non avevano molti modi per espandere i loro territori, poveri di risorse e di cibo,
per far fronte alla crescita demografica. La razzia quindi aveva un duplice scopo: insediarsi in
territori più favorevoli e ottenere risorse altrimenti difficili da reperire in Scandinavia. Inizialmente i
Vichinghi ritornavano ai loro insediamenti dopo i saccheggi, ma successivamente iniziarono a
fondare ricchi avamposti commerciali nelle aree dove le scorrerie avvenivano con maggiore
frequenza, come l’Inghilterra e l’Irlanda. Ad esempio, nel nono secolo i vichinghi norvegesi si
insediarono stabilmente in Irlanda, dove fondarono l’attuale Dublino, che da semplice insediamento
divenne in breve tempo una città grande e prospera. Il loro dominio in questa zona tuttavia durò
pochi anni, poiché vennero cacciati da un’alleanza costituita da Irlandesi e Danesi. Questi ultimi,
diversamente dai fratelli svedesi e norvegesi, avevano già iniziato a organizzarsi in un regno vero e
proprio per fare fronte compatto contro l’Impero Carolingio, che iniziava a diventare un nemico
pericoloso.
La Francia, l’Inghilterra, la Germania, i paesi Baltici e la Spagna ebbero quindi semplicemente la
sfortuna di essere i territori più vicini ai vichinghi, diventandone in breve il bersaglio preferito.
Ironicamente, questa predilezione rimane ancora viva ai giorni nostri, come dimostrano le numerose
orde di anziani norvegesi che si stabiliscono in Spagna per godersi la pensione.
Tuttavia i vichinghi non possono essere etichettati semplicemente come barbari sanguinari.
Riuscivano indubbiamente a essere brutali (così dovevano certamente apparire agli abitanti delle
città che avevano la sventura di subire le loro incursioni), ma in realtà, per quanto forgiata in un
contesto ostile, la cultura vichinga è molto meno rozza di quanto si pensi. I loro leader erano spesso
uomini di cultura e buon senso: amavano l’arte e le storie di eroi e veneravano le loro grandi navi
lunghe e le loro spade, sia per la loro bellezza che per la loro utilità in battaglia. Erano anche grandi
commercianti, con un acuto spirito di organizzazione: molti di loro costruirono grandi reti
commerciali ed erano ritenuti saggi e validi membri delle comunità con cui commerciavano.
Avevano coraggio e, nonostante lo spiccato carattere individualista, erano fedeli ai loro capi: si
opponevano a ogni tentativo di limitare la propria libertà, ma erano al tempo stesso capaci di grande
disciplina. Un uomo, non importa se amico o nemico, che fosse pronto a morire per ciò che riteneva
importante era tenuto in grande considerazione, ed era ancora più ammirato se moriva sul campo di
battaglia con un sorriso sulle labbra e le mani lorde del sangue dei nemici.
Questi comportamenti si riflettono nei motivi ricorrenti della mitologia nordica, dove è frequente la
minaccia delle forze del Male in un contesto dove regna, inevitabilmente, la guerra. La figura
dell’eroe nordico è quindi quella di un grande guerriero, capace di sopportare imprese formidabili
ma incapace di sfuggire alla morte. Per i vichinghi nulla è eterno, e quando il destino degli Dèi sarà
compiuto arriverà la fine di tutte le cose. Gli Dèi nordici, infatti, contrariamente a quelli greci e
romani, non sono immortali. Secondo la mitologia norrena, alla fine dei tempi vi sarà una grande
battaglia (Ragnarok) in cui la maggior parte degli dei morirà e il mondo verrà distrutto, per poi
risorgere dalle sue ceneri.
MITOLOGIA NORRENA, PARTE PRIMA: LA CREAZIONE.

L’aspetto primordiale dell’universo, secondo le credenze nordiche, è rappresentato da un enorme,


sconfinato abisso, il Ginnungagap: un nulla caotico, oscuro e senza forma, dominato da potenti ed
incontrollabili energie che si agitano in una primordiale voragine dei tempi. L’affascinante e
desolante vuoto che precedette la creazione dell’universo è inteso però non come una mancanza di
sostanza, ma piuttosto come una mancanza di forma discernibile.
Come si legge nell’Edda: “all’inizio dei tempi non c’era la terra, né in alto si vedeva il cielo, non
c’erano il mare e le spiagge, non v’erano piante, né erba, né altre creature viventi. Dovunque si
spalancava il Ginnungagap”.
A Nord del Ginnungagap si trova la regione dei ghiacci eterni, dominata dal gelo e dalla nebbia,
chiamata Nifleheim, la “casa della nebbia”. Qui è presente un luogo chiamato Hvergelmir, uno
smisurato pozzo le cui acque, ribollendo e agitandosi in temperature altissime, danno origine agli
undici fiumi primordiali, detti Elivagar. Questi precipitano nel Ginnungagap, creando smisurate
onde ghiacciate che, infrangendosi, ricoprono di una densa spuma gelata tutto il Ginnungagap.
A Sud invece si trova invece il Muspellsheim, la terra del fuoco, una regione dominata dal calore e
da fiamme altissime dove il fuoco regna incontrastato.
É questo lo scenario, dominato dalla presenza di due poli opposti ma tra loro complementari, in cui
si svolgono gli eventi che porteranno alla nascita dell’universo e degli Dèi nordici.
Dagli estremi del caos, dalla gelida regione del Nifleheim e dall’infuocata regione del
Muspellsheim, infatti, lava e ghiaccio si riversano e scontrano continuamente nel vuoto
Ginnungagap, formando particelle di gelo fuso cariche di vita. Dalla fusione di questi opposti
nascono due gigantesche creature: Ymir, un gigante androgino che poteva ricoprire tutta la terra,
animato da un fuoco potentissimo, e la mucca Adhumula, che lo nutriva.
Nonostante la mole, Ymir era solamente un neonato, le cui occupazioni principali erano mangiare e
dormire. Così, mentre dormiva, cominciò a sudare copiosamente: il sudore proveniente dal suo
braccio sinistro generò due giganti, un maschio e una femmina, mentre il sudore delle sue gambe
generò Thrudhgelmir, un gigante a sei teste, che generò poi Belgermir.
La sudorazione del gigante, a causa della sua temperatura corporea altissima, non conosceva soste,
e ogni goccia conteneva il germe della vita di un gigante. Nacquero così i primi membri della
famiglia dei giganti del gelo, esseri mostruosi e malvagi chiamati Jotun.
Il tempo passava e, mentre il gigante bambino dormiva, la mucca Adhumula traeva il necessario
nutrimento per sé stessa leccando le cime delle montagne ghiacciate presenti a Nifleheim, fino a
quando una forma umana apparve nel ghiaccio e prese vita. Questa forma, androgina come Ymir,
era Buri, il primo degli Dèi. Era bellissimo e forte, ma solo. Egli allora creò un figlio, chiamato Bor,
che si unì poi con la gigantessa Bestla, figlia di uno dei giganti generati da Ymir.
LA CREAZIONE DEL MONDO E DEL REGNO DEGLI UOMINI

Da questa unione nacquero tre figli: Odino, Vili e Vè, esseri fortissimi dotati di grande intelligenza,
ma bramosi di potere.
Essi ingaggiarono una furiosa lotta con Ymir, che venne ucciso con un violento colpo alla testa. Il
sangue che  ne fuoriuscì causò un diluvio che uccise tutti i giganti, tranne Belgermir, che insieme
alla moglie riuscì a salvarsi aggrappandosi ad un tronco cavo.
Dal corpo di Ymir i tre fratelli crearono il mondo degli uomini: il gigante morto precipitò
nell’abisso del Ginnungagap, ma dalla sua carcassavennero fuori strisciando dei vermi, a cui Odino
ed i suoi fratelli infusero l’intelligenza e la coscienza. I vermi divennero quindi nani, creature dagli
strani nomi che andarono a vivere nelle viscere della Terra e che, grazie alle loro abilità di artigiani,
produssero poi i grandi tesori degli Dèi.
I fratelli presero poi il cranio di Ymir e ne fecero la volta celeste, dopodiché ordinarono a
quattro nani di sostenerla: Austri, Vestri, Nordhi e Sudhri, i cui nomi indicavano i quattro punti
cardinali.
I frammenti infuocati provenienti da Muspellsheim continuavano intanto a precipitare nei meandri
oscuri del grande abisso e da allora, come fari, proiettano la loro luce sulla terra: sono gli astri, il
sole e la luna.
Lo scheletro fu utilizzato per modellare le catene montuose della crosta terrestre e il sangue fu poi
usato per riempire le cavità della terra, creando mari e laghi.
I capelli, invece, servirono per creare le foreste.
Il cervello fu ridotto in piccoli frammenti, che furono lanciati contro la volta celeste diventando le
nuvole. Successivamente, la Terra fu sollevata dagli abissi marini e alle sue estremità i tre fratelli
crearono il territorio poi destinato ai giganti, lo Jotunheim.
Il regno degli uomini venne creato e poi subito protetto e separato dal territorio dei giganti da una
enorme muraglia, creata utilizzando le sopracciglia di Ymir, e fu poi chiamato “Midhgard”, il regno
di mezzo.
Gli Dèi figli di Bor crearono poi gli uomini utilizzando due alberi che erano stati trasportati dalla
corrente su una spiaggia: li intagliarono e modellarono, fino a crearne un uomo e una donna,
dopodiché Odino infuse loro l’anima e la vita, Vili l’intelligenza e Vè i sensi. L’uomo fu chiamato
Askr, “frassino”, mentre la donna si chiamò Embla, “olmo o vite”, ed andarono ad abitare nel
Midhgard: da loro si originò la razza umana.
Un giorno, uno di questi primi abitanti dell’universo, Mundilfari, ebbe due splendidi figli, un
maschio e una femmina. Egli diede loro due nomi che riflettessero la loro bellezza: chiamò quindi
la bambina Sol, “sole”, e il maschio Mani, “luna”. Gli Dèi però non sopportarono che un comune
mortale, guidato dall’orgoglio, si appropriasse dei nomi delle loro creazioni. Presero quindi
entrambi e li posarono nel cielo: Sol fu posta a guidare il carro che trasporta il sole, mentre il
fratello Mani fu posto alla guida del carro che trasporta la luna, determinandone il sorgere o il
calare. Ogni giorno l’imponente carro guidato dalla bellissima Sol si muove da est verso ovest ed è
inseguito dal lupo Skoll, il “traditore”, mentre Mani è inseguito dal lupo “Hati”, “odio”o
“nemico”. Ogni mese, si dice, Hati riesce a mordere la luna staccandone un pezzo, ma la luna ogni
volta riesce ad allontanarsi e a ricrescere.
Si racconta poi di un gigante, uno dei primi che si stabilirono nello Jotunheim, che ebbe una figlia,
Nat, “notte”, spaventosa ma bellissima, con la pelle e i capelli color pece. Nat ebbe a sua volta un
figlio, Dagr, “giorno”, dal colorito candido e luminoso, con i capelli color del sole. Gli Dèi vollero
festeggiare tanta bellezza e regalarono a Nat due cavalli, così veloci che potevano compiere un giro
intero della Terra in dodici ore, e un bellissimo carro. Nat ogni giorno compie un giro intorno alla
Terra con il suo cavallo, che alla fine della cavalcata lascia pendere dei sottili fili di bava che,
adagiandosi sull’erba, formano la rugiada mattutina; non appena Nat ritorna, Dagr sale sull’altro
cavallo e cavalca per dodici ore. La criniera del cavallo di Dagr, composta da filamenti sottilissimi
color dell’oro, rimanda sulla Terra la luce solare, illuminando e riscaldando tutto il creato.

MITOLOGIA NORRENA, PARTE SECONDA: I NOVE MONDI.

Yggdrasil, chiamato anche “frassino del mondo”, è il più grande e bello tra gli alberi. La sua chioma
supera il più alto dei cieli, tanto che è impossibile scorgerne la fine, e il suo tronco è collegato alla
casa degli uomini, la Terra di Mezzo, per mezzo di Bifrost, il ponte dell’arcobaleno.
Yggdrasil è il simbolo sempreverde del bene e del male e dell’eterno scorrere della vita, possente
metafora vegetale che unisce il cielo e la terra in un destino ineluttabile. Si erge al centro
dell’Universo sorreggendo i nove mondi del cosmo spirituale norreno, patrie dei variesseri nati dal
sacrificio di Ymir:
 Asgardh, il mondo degli Dèi Asi;
 Vanaheim, il mondo degli Dèi Vani;
 Alfheim, il mondo degli elfi;
 Midhgard, il mondo degli uomini, connesso ad Asgardh tramite Bifrost, il ponte
dell’arcobaleno;
 Jotunheim, il mondo dei giganti (chiamato anche Utgard);
 Nifleheim, il mondo primordiale di ghiaccio;
 Svartalfheim, il mondo dei nani;
 Muspellsheim, il mondo primordiale del fuoco;
 Hel, il mondo dei morti e della loro sovrana Hel da cui prende il nome.
Yggdrasil è sorretto da tre enormi radici, da ognuna delle quali sgorga una fonte.
La prima radice è ad Asgardh, dimora degli Dèi. Qui si trova anche la fonte di Udhr, luogo degli
incontri degli Dèi, dove vivono le Nornir, le tre divinità che stabiliscono il destino degli Dèi e degli
uomini, i cui nomi simbolizzano le varie fasi del tempo: passato, presente e futuro. Esse trascorrono
le giornate intagliando rune su tavolette di legno e, come le Parche della mitologia greca, tessendo
la trama della vita di uomini e Dèi. Sono loro a innaffiare Yggdrasil con l’acqua della sorgente
miracolosa per mantenerlo in vita.
La seconda radice scende nello Jotunheim, la terra dei giganti, e vicino ad essa si trova la fonte di
Mimir, che conferisce a coloro che ne bevono l’acqua grande conoscenza e saggezza. L’accesso alla
fonte è però proibito dal suo saggio custode, il Dio Mimir. Egli concesse a Odino di abbeverarsi alla
fonte della sapienza, ma a caro prezzo: il padre degli Dèi dovette infatti sacrificare un suo occhio,
lasciato come pegno.
La terza radice attraversa il Nifleheim, il mondo primordiale di ghiaccio, e il regno dei morti, per
raggiungere infine il pozzo Hvergelmir. Qui la radice è perennemente tormentata da serpenti,
incarnazioni striscianti delle forze del male, che mordono e avvelenano le ramificazioni del
frassino.
Oltre agli abitanti dei Nove Mondi l’albero offre riparo a molti esseri, che lo proteggono, che ne
traggono vita, o che lo minacciano.
Sulla sommità si trova un’aquila gigantesca, depositaria di antichissimi segreti, il cui battito di ali
origina i venti che spazzavano il mondo degli uomini. L’Aquila sorveglia costantemente l’orizzonte,
per avvisare gli Dèi del sopraggiungere dei loro nemici. Tra i rami vivono poi quattro cervi, che ne
mangiano i germogli fino a danneggiare la corteccia. Tra le sue radici si annida infine il serpente
Nidhogg, in perenne combattimento con l’Aquila. Messaggero delle schermaglie tra i due animali è
lo scoiattolo Ratatoskr, che corre su e giù lungo il tronco del frassino riferendo gli insulti che si
scambiano tra loro: la lotta tra l’aquila e il serpente rappresenta l’eterno combattimento tra luce e
tenebre, tra saggezza e ignoranza.
A causa di tutte queste creature che vivono tra le sue radici e rami, Yggdrasil seccherebbe e
marcirebbe, se le Nornir non versassero ogni giorno acqua dalla sorgente di Urdhr sul tronco e sui
rami dell’albero.
Sulla cima di Yggdrasil riposa inoltre Víðópnir, il gallo cui canto annuncerà il Ragnarok, la fine del
mondo. Quando ciò avverrà, Yggdrasil annuncerà con il suo tremolio, fonte di spaventosi
cataclismi, che la fine dei tempi è arrivata.
È utile sottolineare che, nella mitologia norrena, la divisione tra caos e cosmo è spesso vista come
una contrapposizione tra Innangard, ciò che è ordinato, civile e rispettoso della legge, e lo Utangard,
ciò che è selvaggio e senza regole.
Midhgard, il regno di mezzo, mondo della civiltà umana, e Asgardh, regno degli Dèi Asi, sono due
mondi innangard: entrambi devono costantemente difendersi dagli attacchi dei giganti, i residenti
senza legge di Jotunheim/Utgard. Questo è un esempio di come l’universo spirituale norreno sia al
centro di un mondo fisico, piuttosto che fuori di esso. Inoltre, con l’eccezione di Midhgard, tutti i
mondi sono invisibili, anche se possono mostrarsi e identificarsi in particolari aspetti del mondo
visibile: ad esempio, lo Jotunheim/Utgard si può sovrapporre di significato con le terre selvagge,
Hel con la tomba e Asgardh con il cielo.
Ma lo utangard non è completamente distruttivo e negativo. Odino ha per madre un gigante, ed è
quindi per metà gigante lui stesso. Inoltre, nonostante sia il capo degli Dèi, egli ha diverse
caratteristiche estremamente utangard: cerca i giganti per acquisire la saggezza che custodiscono
gelosamente, ha la reputazione di essere a volte un imbroglione e, a volte, è più preoccupato per il
proprio sviluppo personale e per il proprio potere che per il benessere delle persone a lui vicine. Più
in generale, il rapporto tra Dèi e giganti è spesso ambivalente: anche Thor, famoso per la devozione
con cui difende Asgardh e Midhgard dai giganti, ha nelle sue vene una parte di sangue gigante.
Non sorprende quindi che a volte uomini e donne si avventurassero deliberatamente nell’utangard:
il processo di iniziazione delle tribù a volte prevedeva infatti di dover trascorrere del tempo da soli
nelle terre selvagge, rischiando la vita affrontando situazioni pericolose per essere accettate
nell’innangard.
LA CREAZIONE DI ASGARDH

Asgardh è il nome con cui viene indicato il regno dei Dèi, una città costruita dalle divinità stesse.
Gli Dèi crearono dapprima una enorme officina, vi posero poi una fornace e forgiarono un martello,
un paio di tenaglie e un incudine, i prototipi degli utensili usati dall’uomo.
Con questi strumenti costruirono al centro di Asgardh una maestosa dimora, la più grande di tutta la
cittadella divina: Gladsheim, la “dimora della gioia”. Al suo interno costruirono un enorme salone
sorretto da colonne d’oro e vi posero tredici troni, uno per ciascuno degli Dei. Per le Dèe venne
innalzato un altro palazzo, chiamato Vingolf.
Il signore di Asgardh e di tutti gli Dèi è Odino e ha come sposa Frigg, con la quale genera vari figli.
Tuttavia, ad Asgardh ogni divinità possiede terre e dimore che ne rispecchiano le caratteristiche. Ad
esempio, Odino risiede a Valaskyalf, “scoglio degli uccisi”, che richiama la macabra attività del
Dio, patrono dei morti in battaglia.
Thor, il più forte tra gli Dèi, dotato di una forza squisitamente umana, è il signore di Thrudvangar,
“sentieri della potenza”, dove sorge il palazzo Bliskirnir, “lo splendente”, che con le sue 540 sale è
il più grande di Asgardh.
Ai confini di Asgardh, nei pressi del Bifrost, il ponte dell’arcobaleno che collega la cittadella divina
al mondo dei mortali, si erge la residenza di Heimdall, il guardiano che ha il compito di vigilare sui
possedimenti divini.

GLI DEI: ASI E VANI

La mitologia norrena ha una caratteristica molto interessante: il suo pantheon prevede la coesistenza
di due diverse stirpi divine, gli Asi e i Vani.
Gli Asi (Æsir), gli Dèi e Dèe che vivono ad Asgardh, simboleggiano un pantheon stratificato legato
alla sovranità, alla sapienza e alla guerra: sono divinità guerriere, e Odino è il loro leader.
Il loro potere fu conteso dai Vani (Vanir), rappresentanti la fecondità e la fertilità. I Vani sono più
antichi, vivono in una terra chiamata Vanaheim e sono grandi esperti di stregoneria e pratiche
magiche, come la divinazione.
Il culto degli Asi, portato da invasori indoeuropei, subentrò progressivamente a quello dei Vani. In
seguito i due culti si fusero, e alcune divinità dei Vani furono assimilate dagli Asi.
Entrambi le stirpi presentano delle caratteristiche prettamente umane: oltre ad essere valorosi,
possiedono molte debolezze, possono essere spesso gelosi e vendicativi, e possono morire e
invecchiare. Gli Dèi norreni sono infatti soggetti all’invecchiamento, e solo mangiando i frutti
magici della Dea Idun, sposa del Dio Bragi, possono mantenersi giovani.
Un giorno arrivò ad Asgardh una seducente donna, Gullveig, una strega esperta nel seminare
discordia tra gli Dèi: ben presto corruppe con cupidigia e corruzione gli animi delle Dèe, i pilastri
della moralità e dell’onore. Venne quindi deciso di condannare a morte la strega.Gullveig faceva
però parte degli Dèi Vani, che ne chiesero l’immediata restituzione. Odino sapeva che non ascoltare
questo monito avrebbe portato alla guerra, ma il comportamento della strega andava punito. Gli Dèi
eressero una pira funebre, vi legarono la strega e le dettero fuoco, ma soltanto dopo tre tentativi le
fiamme consumarono il suo corpo.
Il rogo diede ai Vani il pretesto per attaccare gli Asi. Entrambe le fazioni combattevano
furiosamente, ma le sorti della guerra rimanevano in costante equilibrio, testimoniando il reciproco
valore. Un giorno però, usando la forza delle loro arti magiche, i Vani riuscirono a distruggere le
possenti mura di Asgardh. Stanchi di una guerra fratricida che aveva portato a questa rovina, le due
famiglie stipularono allora un trattato di pace e si scambiarono degli ostaggi. Gli Asi mandarono
Mimir e Hoenir tra i Vani, che consegnarono Njordhr e suo figlio Freyr. Per suggellare il loro patto,
i rappresentanti degli Asi e dei Vani si fecero poi portare un otre e vi sputarono dentro, sigillando
con la loro saliva divina la pace appena stipulata. Dall’otre nacque Kvasir, la creatura più saggia
dell’universo, testimonianza vivente dei divini accordi.
La tregua fu subito messa a dura prova dai Vani: questi chiedevano spesso consigli al saggio
Hoenir, che tuttavia accettava di rispondere solamente se poteva consultarsi con Mimir. Un giorno,
stufi di dover sempre attendere che i due Asi si consultassero tra loro prima di parlare, i Vani
decapitarono Mimir. Odino, colmo di disprezzo e di dolore, andò nel regno dei Vani, si fece
consegnare la testa del Dio e, ritornato ad Asgardh, la cosparse di erbe magiche, interrompendo il
processo di decomposizione e preservandone la saggezza. Da allora, nei momenti di necessità,
Odino conversa spesso con la testa di Mimir, chiedendole consigli sulla condotta da tenere.
Una storia molto interessante riguarda la ricostruzione del muro intorno ad Asgardh. Dopo che i
Vani erano riusciti a rompere le difese della cittadella, gli Dèi erano preoccupati che qualcuno
avesse potuto assediare e conquistare la loro dimora. Un giorno, un gigante si presento agli Dèi Asi
e si offrì di costruire in breve tempo una roccaforte di pietra intorno alla cittadella, così robusta da
resistere agli attacchi di qualunque essere. In cambio, avrebbe ricevuto il sole e la luna e avrebbe
sposato Freya.
Gli Dèi giudicarono l’offerta molto allettante, ma la ricompensa richiesta era eccessiva.
Comunicarono quindi al gigante nuove condizioni: egli avrebbe dovuto ultimare la costruzione in
metà del tempo stabilito, senza l’aiuto di nessuno. Il gigante accettò, a patto che gli fosse almeno
permesso di farsi aiutare dal suo cavallo. Gli Dèi, rassicurati da Loki, accettarono. Non potevano
sapere che il cavallo era un instancabile lavoratore: a tre giorni dalla scadenza dell’accordo, la
costruzione della fortezza era quasi terminata.
Gli Dèi minacciarono Loki di morte, a meno che non avesse trovato un modo per far perdere al
gigante il diritto al suo compenso. Loki allora si trasformò in una giumenta e attrasse il cavallo
lontano dalle mura. Il gigante capì che da solo non avrebbe completato la roccaforte in tempo e,
preso dall’ira, attaccò gli Dèi. Thor reagì e lo uccise con un colpo di martello e, poco tempo dopo,
Loki tornò ad Asgardh, partorendo un velocissimo puledro grigio a otto zampe: fu chiamato
Sleipnir, e divenne il destriero di Odino.
MITOLOGIA NORRENA, PARTE TERZA: GLI DÈI

Riguardo gli Dèi che vivono ad Asgardh, Snorri elenca 12 figure maschili, escludendo Odino e
Loki: Thor, Balder, Njord e Frey (nonostante facessero parte della stirpe dei Vani), Tyr, Bragi,
Heimdall, Hoder, Vidar, Ale, Ullr, Forseti.
Descriviamo brevemente qualcuno dei più importanti.

Odino è il padre degli Dèi, capace di ogni impresa. Re di tutti gli Asi, dotato di una grande forza e
bellezza, è capace di essere terribile in guerra quanto gentile con i suoi amici.
Ha la caratteristica di parlare in versi e di cambiare sempre aspetto: a questo e alle sue imprese si
devono i suoi numerosissimi appellativi.

Figlio di Bor, domina sugli altri Dèi e sul mondo grazie alla sua straordinaria sapienza e
conoscenza: è sempre informato su tutto quello che accade nel mondo grazie a due corvi, Huginn e
Munnin, “spirito” e “memoria”, che ogni giorno raggiungono le più remote regioni della Terra e
riferiscono al loro padrone tutto ciò che hanno visto e sentito. Odino viene inoltre affiancato dai lupi
Geri e Freki, che simbolizzano la furia battagliera.
Ottenne parte della sua conoscenza bevendo dalla fonte della conoscenza del Dio Mimir: dovette
sacrificare un occhio, ma ciò gli permise di acquisire la capacità di scorgere l’essenza delle cose
dietro le apparenze. L’amore per la conoscenza e il desiderio di comprendere i più reconditi misteri
dell’universo lo spinsero a sottoporsi ad un altro rituale: si ferì con la propria lancia e si impiccò a
un ramo di Yggdrasil, dove rimase per nove giorni. In questo modo divenne anche maestro nell’uso
delle rune magiche, le iscrizioni depositarie della conoscenza dell’universo capaci di realizzare
qualsiasi scopo mortale, sia esso benefico o malefico.
Odino era determinato a possedere l’arte della poesia, racchiusa in una pozione magica custodita
sottoterra da un gigante: si offrì prima a lui come schiavo e poi sedusse sua figlia, da cui ottenne
infine la pozione.
Bramoso di potere, si macchiò dell’orrendo crimine di fratricidio, uccidendo i suoi due fratelli e
divenendo il signore assoluto di Asgardh.
Sua sposa è Frigg, Dea della fecondità e della fertilità, con la quale generò tutti gli altri Dèi tranne
Thor, primogenito nato da un suo lungo flirt con Jordh, la “madre terra”. Lo accomuna al Dio greco
Zeus la fama di tombeur de femmes, con scappatelle divine e terrene. Odino è chiamato anche
“padre degli uccisi”: dopo ogni battaglia le sue emissarie femminili, le Valchirie, montano cavalli
alati e discendono sui campi di battaglia per prelevare i corpi dei valorosi che meritano l’ingresso
nel Valhalla, il paradiso dei prodi.
Nonostante le sue arti magiche e la sua sapienza, anche il padre degli Dèi morirà durante il
Ragnarok, la fine del mondo, inghiottito dalle enormi fauci del lupo Fenrir, creatura figlia di Loki.
Loki è una figura centrale nello sviluppo di molti miti norreni: scaltro Dio dell’astuzia e del caos,
ingegnoso maestro di inganni, abile nel doppio eloquio, più che una figura divina è la
personificazione dell’astuzia fraudolenta e della sottile arte del raggiro.
Figura solitaria tra gli esseri che popolano la spiritualità norrena, Loki è un personaggio ambiguo
per diversi motivi: il suo nome è legato al fuoco, un elemento collegato sia alla civilizzazione che
alla distruzione; anche se incluso tra gli Dèi Asi, è imparentato con i giganti, simboli del caos;
sebbene venga definito più di una volta la “vergogna degli Asi”, un ingannatore col desiderio di
distruggere subdolamente l’ordine costituito, in alcuni miti è il fedele compagno di Odino e Thor,
che spesso vengono salvati proprio dalla sua astuzia.
Loki non è quindi indicato come un Dio malvagio in senso assoluto: egli aiuta alternativamente Dèi
e giganti a seconda di quale linea di azione sia più piacevole e vantaggiosa per lui in quel momento.
Conosce e abbraccia il principio del male, infettando Asgardh con le sue bugie, ma difende e
preserva il principio del bene per mantenere l’equilibrio degli opposti fino alla fine dei tempi: la sua
presenza è allora fondamentale, perché rappresenta quel male che deve necessariamente
contrapporsi al bene.
Loki possiede tratti fisici di una bellezza eccezionale, che ispirano nello stesso tempo ammirazione
e paura, segno dell’ambiguità che lo caratterizza. È figlio dei giganti Farbauti, “Attacco Crudele”, e
Laufey, “isola frondosa”, ma stringe un patto di alleanza con Odino, facendo leva sulle radici di
sangue gigante del Padre degli Dèi, venendo incluso tra gli Dèi Asi.
Essere dai confini sessuali incerti, è famoso per aver partorito una progenie di esseri spietati,
malvagi strumenti il cui unico fine è distruzione e morte; tuttavia ha anche generato Sleipnir, il
fidato e velocissimo cavallo di Odino.
È il padre di Angrbodha, la gigantessa meretrice che per i suoi crimini fu condannata al rogo.
Quando il suo corpo fu ridotto in cenere, Loki, estasiato dallo spettacolo di morte a cui aveva
assistito, prese il cuore della figlia, misteriosamente sopravvissuto alle fiamme, e lo divorò. Il cuore
malvagio frutto del suo stesso sangue fecondò il padre, che tempo dopo diede alla luce tre creature
mostruose: un lupo, un grande serpente e una fanciulla. Tutti e tre vennero cresciuti nello Jotunheim
finché Odino scoprì l’inganno. Presagendo la loro pericolosità, il padre degli Dèi ordinò che fossero
portati al suo cospetto, affinché potesse decidere come neutralizzarli: la progenie di Loki si
dimostrerà infatti malvagia quanto, se non più, del padre.
Il lupo diventerà il mastodontico Fenrir. Inizialmente gli Dèi lo tennero con loro, ma il feroce
animale cresceva sempre più, sia in dimensioni che in ferocia ed intelligenza, tanto che solo il Dio
Tyr, noto per il suo coraggio, osava dargli da mangiare. Alla fine divenne un pericolo troppo grande
e gli Dèi decisero di incatenarlo: Fenrir rimarrà prigioniero fino al giorno del Ragnarok, quando si
libererà e si vendicherà divorando Odino.
Il serpente venne invece esiliato negli abissi oceanici, dove crebbe a dismisura: le sue spire
divennero così lunghe e potenti da poter stringere la Terra in una morsa indissolubile. Sorgerà dalle
acque durante il Ragnarok corrompendo il mondo intero con il suo veleno, poi affronterà Thor, da
cui sarà ucciso. Il Dio del Tuono morirà però poco dopo, ucciso dal suo veleno.
La fanciulla, la cui venuta al mondo coincise con la prima volta che la malattia colpì l’umanità,
divenne per gli uomini il simbolo della disperazione e del dolore: il suo nome è Hel. Orribile a
vedersi, perennemente in bilico tra vita e morte, tra rinascita e putrefazione, ha lo sguardo sempre
rivolto verso il basso, ad indicare la terra, depositaria di cadaveri. Hel venne esiliata nelle viscere
più profonde della Terra e gli Dèi ne fecero l’orripilante signora degli inferi; tuttavia lei ne fu
soddisfatta e diede a Odino, come ringraziamento, i corvi Huginn e Muninn. Odino le conferì quindi
l’autorità di gestire le pene ed i tormenti da destinare a tutti coloro che il Valhalla non avesse
accolto: Hel divenne così regina dei morti senza onore, per malattia, incidente o vecchiaia, dei
traditori, dei vili e dei criminali.
Loki incorre in una tremenda punizione per aver causato, tra le altre misfatte, la morte del Dio
Balder: venne condotto in una grotta del Nifleheim e gli Dèi trasformarono uno dei suoi figli in un
lupo famelico, che venne poi spinto a divorare un altro dei suoi figli. Con le budella del figlio
sbranato fu poi forgiata una corda, usata per legare Loki a tre pietre appuntite. Un serpente, sospeso
sopra la sua testa, faceva perennemente gocciolare veleno sul suo volto e lo avrebbe bruciato di
continuo se Sigyn, sua devota moglie, non avesse raccolto le velenose gocce in un bacile. Tuttavia,
quando il bacile è pieno e lei deve allontanarsi per vuotarlo, il devastante veleno brucia il viso di
Loki, facendolo urlare e agitare: i suoi sussulti sono così violenti da causare i terremoti.
Loki rimarrà in questo stato fino al giorno del Ragnarok, quando si libererà e si schiererà al fianco
dei giganti tra le schiere del male: combatterà infine contro il guardiano dell’arcobaleno, Heimdall,
in uno scontro che li vedrà morire entrambi.

Thor, primogenito di Odino e Jordh, Dea della Terra, è il Dio del tuono e delle tempeste, il
difensore di Asgardh costantemente impegnato a combattere giganti e a compiere imprese
straordinarie. Queste caratteristiche di forzuto protettore degli Dèi contro esseri mostruosi gli fecero
assumere le sembianze di Ercole nell’interpretazione di Tacito.
Thor è un guerriero formidabile, il più forte degli Asi, e ha tre tesori: dei guanti di ferro, una cintura
che raddoppia il suo potere, e il martello Mjolnir, che ha il potere di tornare indietro dopo essere
stato lanciato.
Il volto perennemente corrucciato del Dio è incorniciato da una lunga barba rosso cupo e dalla
lunga chioma rossiccia, e i suoi occhi hanno lo stesso colore della brace ardente. Il tuono è il rumore
che preannuncia la sua venuta, provocato delle ruote del suo carro trainato da due caproni,
Tanngnjostr e Tanngrisnir. Una volta, spinto dalla fame, li uccise per cibarsene, ma li fece tornare in
vita semplicemente appoggiando il suo martello sulle loro pelli.
I contadini lo venerano in quanto sposo di Sif, Dèa della fertilità; inoltre il suo martello è il simbolo
del fulmine che precede le piogge, vitali per i raccolti. Thor vive con la sposa nel più grande
palazzo di Asgardh, ma ha numerose relazioni con donne umane e gigantesse.
Durante il Ragnarok combatterà contro il serpente del mondo, una delle creature figlie di Loki:
riuscirà ad ucciderlo ma morirà poco dopo a causa delle ferite subite.

Tyr, figlio di Odino e di Frigg, è il Dio della sapienza, della guerra e del diritto. In origine era il
Dio più importante e potente, ruolo assunto poi nell’epoca norrena da Odino.
È il Dio a cui si rivolgono i guerrieri prima della battaglia, il nume tutelare di una giusta vittoria a
cui chiedere protezione. Non è però il Dio di uno scontro esasperato e brutale, quanto il protettore
della guerra intesa come ultima soluzione. È quindi anche Dio del diritto e della giustizia, vista non
come conciliazione delle parti, ma come scontro armato. Come in un tribunale, infatti, i duellanti
seguono un codice e si impegnano a riconoscere l’esito della disputa: il vincitore è dalla parte della
ragione, e Tyr scrive con il sangue dello sconfitto la sentenza.
Come Odino, Tyr perde una parte del suo corpo, la mano destra. Fenrir, lupo figlio del Dio Loki,
era diventato un pericolo troppo grande per gli Dèi, che decisero di incatenarlo. Tuttavia, tale era la
forza e l’astuzia di Fenrir che per ben due volte riuscì a liberarsi dalle catene che lo imprigionavano.
Odino decise quindi, avvalendosi delle arti magiche dei nani artigiani, di farsi preparare un laccio
magico, all’apparenza fragile ma capace di imprigionare anche l’essere più forte, e sfidò Fenrir a
liberarsene. Il lupo, astuto come suo padre, accettò la sfida, a condizione che uno degli Dèi mettesse
una mano tra le sue fauci mentre veniva incatenato. Tyr non esitò, ma quando i tentativi di liberarsi
di Fenrir fallirono egli perse la sua mano, tagliata dagli affilatissimi denti del lupo. Il sacrificio di
Tyr permise però agli Dèi di incatenare Fenrir a una roccia e di porre tra le sue mandibole una
spada, per torturarlo mentre cercava di liberarsi.
Alla fine dei tempi Tyr, già vittima di un lupo, sarà ucciso da Garmr, il cane guardiano degli inferi.

Balder è il Dio più bello e più puro di cuore, il figlio prediletto di Odino e Frigg, amato e
rispettato da ogni creatura vivente. Il suo cuore non è mai stato intaccato dalle bassezze e dalle
cattiverie che, talvolta, trovano posto tra gli altri Dèi: nei suoi gesti e nelle sue parole non si
percepisce mai né l’arroganza né l’autocompiacimento, ma solamente una sconfinata modestia. A
causa dell’invidia degli altri Dèi i suoi consigli, maturati sempre con serenità e conoscenza, non
vengono mai ascoltati.
Sua madre Frigg sapeva che egli era destinato a una morte precoce e percorse tutto l’universo
cercando di trovare un modo per non farlo ghermire dalla morte. Radunò quindi tutte le piante, gli
animali e gli elementi del creato, imponendo loro un giuramento universale: mai nulla e nessuno
avrebbe arrecato del male a Balder. Entusiasti alla notizia della sua invulnerabilità, gli Dèi per
festeggiare iniziano a lanciargli qualunque oggetto, sicuri che nulla potesse più nuocergli. Loki, da
sempre invidioso del buon Balder, si tramutò in donna mortale e parlò con Frigg, riuscendo con
l’inganno a scoprire il punto debole del giuramento: il vischio non aveva giurato.
Loki raccolse quindi una pianta di vischio e si avvicinò a Hodr, il fratello cieco di Balder, che si era
tenuto in disparte. Affermando di volerlo aiutare affinché partecipasse al gioco, gli consegnò la
pianta di vischio, ora simile a una freccia, e lo aiutò a mirare: la pianta fu scagliata quindi verso
Balder, trapassandolo e uccidendolo.
Da questa storia si comprende che Balder rappresenta l’incarnazione della pura innocenza, tradita
dalla malvagità altrui, una proiezione mitica del pessimismo che caratterizza la visione del mondo
nella cultura nordica.
Gli Dèi chiesero alla regina degli inferi di restituirgli la vita del Dio, ma ella pose una condizione:
tutti gli esseri della terra, vivi o morti, avrebbero dovuto piangere, dimostrando effettivamente il
dolore universale per la sua morte. Solo Loki, assumendo vigliaccamente le sembianze di una
vecchia megera, non pianse, condannando Balder a restare nel regno dei morti. Uno degli
appellativi con cui è più conosciuto Balder, che meglio riassume la tragicità di tutta la sua esistenza,
è proprio “Dio delle lacrime”.

Heimdall è il custode di Asgardh e Bifrost, il ponte arcobaleno che collega il cielo e la terra,
Asgardh con Midhgard, che gli uomini possono ammirare solamente dopo le tempeste.
Egli vigila instancabile e, come Odino, ha ricevuto un grande potere privandosi di una parte del suo
corpo: ha tagliato e seppellito una delle sue orecchie sotto Yggdrasil, ricevendo in cambio una vista
e un udito finissimi, capaci di avvertire ogni minaccia nell’universo.
È il possessore del corno magico Gjallarhorn, con cui può chiamare e avvertire gli Dèi in caso di
attacco. Durante il Crepuscolo dagli Dei questo corno risuonerà, grave e penetrante, in tutti i 9
mondi, chiamando allo scontro finale le forze del bene contro quelle del male. Heimdall assisterà al
crollo di Bifrost, frantumato dai distruttori dell’universo, e combatterà contro Loki. Riuscirà ad
ucciderlo e suonerà ancora il suo corno per un’ultima, breve volta, prima di morire per le ferite
riportate con l’immagine della fine dell’universo impressa negli occhi.

MITOLOGIA NORRENA, PARTE QUARTA: VALHALLA E HEL.

VALHALLA
Il pensiero di ogni guerriero, un attimo prima di indossare le armi e prepararsi allo scontro, era
dedicato al mitico paradiso destinato ai guerrieri morti gloriosamente in battaglia. Ottenere
l’immortalità sconfiggendo la morte grazie al proprio coraggio è il fulcro su cui ruota la concezione
del Valhalla, la “dimora degli uccisi”.
Una volta guadato a nuoto il fiume Thund e varcata l’entrata, sorvegliata da un lupo famelico e da
un’aquila, i meritevoli trapassati ammiravano cosa li aspettava dopo una gloriosa morte: una sala
con 540 porte, con i muri costituiti dalle lance dei guerrieri più valorosi, il tetto ricoperto di scudi
d’oro su cui erano raffigurate scene di guerra, panche ricoperte di armature e arredi interni realizzati
dalle vesti dei combattenti.
Rappresentato nelle opere d’arte più svariate, il Valhalla riassume ed esemplifica molte culture
venatorie, tanto che alcuni studiosi ritengono che il Colosseo romano sia stato il referente storico al
quale si sono ispirati i nordici nell’immaginare il luogo che ospita gli einheriar, i valorosi morti in
battaglia.
Questo “paradiso” tuttavia non rappresenta solamente una ricompensa fine a se stessa: coloro ai
quali Odino concede l’accesso al Valhalla sono guerrieri formidabili, radunati allo scopo di
accrescere i ranghi del suo esercito per prepararsi alla suprema ed ultima battaglia che avrà luogo
alla fine dei tempi, quando saranno chiamati a combattere contro i giganti e gli oscuri abitanti di
Muspellsheim. Il Valhalla è infatti un luogo di lotta e battaglia perpetua, creato per migliorare senza
sosta le abilità dei guerrieri: dopo ogni combattimento le ferite si rimarginano, le membra si
ricompongono e i campioni riemergono completamente guariti, pronti per banchettare con carne di
cinghiale e bere idromele tutti insieme prima di impugnare nuovamente le armi per un altro giro di
combattimenti.
Altri personaggi fondamentali del Valhalla sono le Valchirie, coloro che scelgono gli uccisi:
immortali semidée femminili armate di scudo e di lancia, cavalcano nell’aria durante le battaglie per
raccogliere gli spiriti degli eroi meritevoli di superare le porte del Valhalla, dove offrivano loro
corni pieni di idromele prima di condurli al cospetto di Odino. L’immagine che abbiamo oggi delle
valchirie le vede cavalcare cavalli alati, ma nell’inglese antico “valkyrie horse” era un sinonimo di
lupo: quindi, piuttosto che cavalli alati, le loro cavalcature erano feroci branchi di lupi.

HEL
Coloro che dopo la morte non erano reputati meritevoli di godere degli allenamenti e dell’idromele
servito nel Valhalla, che si erano macchiati di gravi colpe, o che erano morti di malattia o in modo
inglorioso, sono destinati al mondo senza gioia posto alla base dei nove mondi, nelle orribili
profondità sotterranee dominate da Hel. La regina del regno dei morti, come suo padre Loki, è una
figura duplice, con il viso metà cadaverico e metà normale. Abita in un tetro palazzole cui porte
sono opposte alla direzione del sole, privo di qualsiasi conforto, in cui il nome di ogni oggetto è
simbolo di sventura: ad esempio, il suo piatto si chiama “fame”, il suo coltello “carestia”, il suo
letto “giaciglio di morte”.
Hel è dunque il regno più basso dei nove mondi: una landa dimenticata, oscura e gelata, avvolta in
una nebbia impenetrabile, perennemente sferzata dal vento e battuta dalle piogge.
La sua entrata è una grotta oscura e profonda, vigilata da Garmr, un enorme cane mostruoso:
nessuno può sfuggire a lui e alla morte che rappresenta, come testimonia il sangue rappreso sul
petto e sul muso del diabolico animale.
Una pericolosa strada tutta in discesa conduce all’oltretomba: lungo il cammino i morti devono
ascoltare i macabri rumori del fiume sotterraneo Gyoll fino ad incontrare una gigantessa su un
ponte, da cui vengono poi esaminati. Questa misura di sicurezza serve ad impedire l’accesso ai vivi,
incauti curiosi venuti a spiare i misteri dell’aldilà.
Dopo questo ponte si trova la porta d’accesso a Hel, simbolo dell’entrata nel mondo dei morti da cui
non ci può essere ritorno.
La porta è presidiata da un gallo che sveglierà con il suo canto agghiacciante le schiere di morti e i
signori di Hel, chiamandoli a raccolta per l’estrema battaglia che li vedrà contrapposti alle divinità e
agli ospiti del Valhalla alla fine dei tempi.
Hel è suddiviso in vari ambienti, ognuno con una punizione e un tormento diverso. A Naigrindr,
notte e giorno, i condannati sono colpiti da un mostruoso gigante e vengono obbligati da orribili
creature di sesso femminile a bere urina di capra, con in mente l’immagine del dolce idromele
servito dalle bellissime Valchirie nel Valhalla che li tormenta e gli fa rimpiangere le loro scelte
sbagliate.
Nella spiaggia dei morti, invece, il luogo dei supplizi destinati agli spergiuri, gli assassini e gli
adulteri, i condannati vengono continuamente divorati e tormentati da un dragone e da moltissimi
serpenti velenosi. Per raggiungere tale spiaggia i morti devono guadare a nuoto un fiume nei cui
flutti si agitano coltelli e spade affilatissime.
Su questa spiaggia lavora a pieno regime un grottesco cantiere navale dove, immersi nel fetore di
sangue ed escrementi, delle creature mostruose hanno il compito di strappare le unghie delle loro
vittime. Le unghie sono infatti il materiale con cui viene costruita senza sosta la nave Naglfar, che
trasporterà gli infernali signori e figli di Hel verso la guerra contro i signori del Valhalla. Ancora
oggi nei paesi scandinavi è diffusa l’abitudine di tagliare le unghie ai defunti prima della sepoltura,
come a voler rallentare la procedura di costruzione della nave Naglfar.
Hel è anche il luogo dove, su un’isola al centro di un lago sotterraneo, è stato esiliato e incatenato il
lupo Fenrir, principale nemico di Odino.
MITOLOGIA NORRENA, CONCLUSIONE: IL RAGNAROK

LA FINE DEI TEMPI…

Nell’escatologia scandinava il Ragnarok è l’evento che segna la fine dei tempi: gli Dèi si
scontreranno con i giganti, in una battaglia in cui entrambi moriranno e il cielo e la terra bruceranno
dopo la guerrafinale tra bene e male. Non vi è nulla che gli Dèi possano fare per impedirlo. Il
Ragnarok è anche il mezzo con cui l’universo, ormai purificato, potrà iniziare un nuovo ciclo
cosmico. Si tratta quindi di una fine ciclica del mondo, a cui seguirà una nuova creazione, a sua
volta seguita da un altro Ragnarok, e così via, per tutta l’eternità. In altre parole, la creazione e la
distruzione sono come punti alle estremità opposte di un cerchio, dove non si può raggiungerne uno
senza incontrare l’altro.
Il primo segnale che preannuncia il Ragnarok è la morte di Balder: ucciso da Loki e costretto a
rimanere nel regno dei morti, obbliga gli Dèi a fronteggiare il fatto di non poter sfuggire al loro
destino. Nonostante il loro carattere divino, sono infatti soggetti allo stesso fato degli esseri umani:
anche loro devono morire. Questa consapevolezza non porta però alla rassegnazione: anche se
le loro azioni sono vane contro il destino che li attende, Odino e gli altri Dèi raduneranno comunque
i più abili guerrieri per la battaglia finale contro i giganti.
Il secondo segnale è la fine della civiltà e dell’ordine nel regno degli uomini: essi hanno dimenticato
le loro tradizioni, ignorato i legami di parentela provocando guerre fratricide e si sono abbandonati
a un profondo nichilismo. La depravazione è rimasto l’unico ideale del genere umano.
Verrà poi un inverno terribile, che non cederà il posto all’estate per tre anni: piogge torrenziali,
venti e nevicate spaventose tormenteranno il globo terrestre, ricoprendolo di una densa ed
impenetrabile coltre di gelo.
Il terzo e ultimo segnale è la scomparsa del Sole e la Luna: i lupi Skoll e Hati, che dall’inizio dei
tempi inseguono Sol e Mati, riusciranno a raggiungerli e li divoreranno, privando il mondo della
luce e facendo precipitare la Terra in una tenebra eterna. Contemporaneamente, tutte le stelle
bruceranno e cadranno dal firmamento, facendo vagare i naviganti nell’immensità degli oceani in
cui ogni luce è ormai scomparsa.
La guerra quindi inizierà.
Tre galli annunceranno l’inizio del Ragnarok: uno avviserà i giganti nello Jotunheim, un altro i
morti di Hel, e il gallo Víðópnir, dalla cima di Yggdrasil, avvertirà gli Dèi. Il grande albero, che
contiene i Nove Mondi nei suoi rami e radici, tremerà, scuotendo l’universo con dei terribili
terremoti che squarceranno la Terra e distruggeranno intere montagne.
A quel punto tutte le catene si spezzeranno: Loki e suo figlio Fenrir, il grande lupo, si libereranno
dalla lunga prigionia e vagheranno per il mondo seminando morte e distruzione. Anche il serpente
del mondo, figlio di Loki, finora confinato nelle profondità oceaniche, riemergerà dalle acque,
provocando maremoti, inondando valli, sommergendo città e affogando migliaia di uomini inermi.
La nave infernale Naglfar, il vascello costruito con le unghie dei condannati nel regno degli inferi,
lascerà poi la spiaggia dei morti per trasportare l’esercito del male.
Fenrir avanzerà a fauci spalancate: è diventato così enorme e malvagio che la sua mandibola
superiore toccherà il cielo e quella inferiore poggierà sulla terra, distruggendo tutto ciò che incontra.
Suo fratello, il serpente del mondo, prenderà infine posto al suo fianco, diffondendo tanto veleno da
avvelenare tutta la Terra.
Guidati da Surt, il gigante che spazza la Terra con la sua enorme spada infuocata, i sinistri abitanti
di Muspellsheim avanzeranno da Sud, lasciando dietro di loro un inferno di fiamme, e
raggiungeranno Bifrost, il ponte arcobaleno che conduce ad Asgardh, che crollerà sotto il loro peso.
Preparandosi allo scontro finale, i signori del terrore raggiungeranno allora la piana di Vigrid, dove
incontreranno i loro alleati naturali: Loki, sfuggito alla sua prigionia, insieme ai suoi mostruosi figli
e a tutti coloro che erano stati esiliati e imprigionati negli oscuri recessi di Hel. Tutto il male
dell’universo si radunerà in quel luogo.
Contemporaneamente Heimdall, guardiano di Asgardh e custode di Bifrost, chiamerà a raccolta gli
Dèi suonando senza sosta il suo corno: è un segnale che gli Dèi conoscono bene, l’avviso che la
guerra è iniziata e che il loro destino li sta chiamando.
Odino, cupo in volto ma con il fuoco negli occhi, indosserà il suo elmo e, impugnando la sua
terribile lancia, chiamerà a raccolta i suoi campioni, gli indomiti guerrieri del Valhalla, la cui fedeltà
e coraggio non sono stati intaccati neanche dalla morte. L’esercito appena radunato, una immensa
distesa di spade e armature, saluterà il padre degli Dèi, che avanzerà insieme a tutti i suoi figli verso
il campo di battaglia che il destino ha stabilito per loro. Non c’è paura nei loro sguardi: sanno che
questa è la guerra che porrà fine a tutte le battaglie, in cui tutti gli eroi del pantheon norreno
combatteranno fianco a fianco contro i giganti e tutte le creature del male presenti nell’universo. Il
loro unico desiderio è battersi valorosamente, fino alla fine.
Odino non ha dubbi: punta subito il nemico più terribile, il famelico Fenrir, che lo attende
minaccioso mostrandogli le enormi fauci spalancate, un inferno di denti affilati. Il mostro avrà però
la meglio sul padre degli Dèi, che verrà imprigionato tra le sue mandibole e divorato. Vidar, uno dei
figli di Odino, accecato dalla rabbia, affronterà la belva e, premendo un piede sulla mascella
inferiore e afferrando poi la mascella superiore, frantumerà la testa del lupo, squarciandolo e
vendicando suo padre.
Thor, facendosi strada con i colpi micidiali del suo martello tra le schiere dei giganti, affronterà il
suo nemico di sempre, il serpente del mondo, così grande da cingere tra le sue spire il globo
terrestre. La forza del Dio è incredibile, e dopo un lungo combattimento riuscirà a fracassare la testa
dell’odiato serpente, che svanirà nelle profondità del mare dal quale era comparso. Tuttavia,
indebolito dal veleno malefico, dopo aver impugnato il martello e fatto nove passi, il Dio del tuono
crollerà al suolo, privo di vita.
Stessa sorte toccherà a Tyr, impegnato in una lotta impari contro l’orrendo mastino posto a guardia
di Hel; allo stremo delle forze, riuscirà a colpirlo a morte prima di spirare.
L’ultimo duello sarà tra Heimdall e Loki, che si uccideranno a vicenda. Prima di morire Heimdall
riuscirà però a suonare il suo corno per l’ultima volta, accasciandosi sull’infuocato campo di
battaglia con l’immagine della fine dell’universo impressa negli occhi. Il guardiano dell’arcobaleno
sarà l’ultimo guerriero a chiudere per sempre gli occhi quel giorno.
Molti Dèi soccomberanno e Surt, ormai padrone incontrastato del campo, brucerà la Terra e farà
precipitare i nove mondi in un inferno di fiamme, trasformando l’intero l’universo in una enorme
sfera incandescente e purificandolo da tutto il male commesso quel giorno.
Infine, nel rovesciamento finale del processo originale della creazione, la Terra, ormai devastata
dalla guerra più distruttiva mai avvenuta nella storia dell’universo, sprofonderà nel mare bollente,
scomparendo lentamente sotto le onde: improvvisamente, rimarrà solo il buio e il silenzio perfetto
del vuoto prima della creazione.
Il Ginnungagap tornerà a regnare ancora una volta.

…E UN NUOVO INIZIO

ll bene e il male si sono scontrati e insieme hanno trovato la morte. Non vi sono vincitori nel
Ragnarok, il fuoco ha il ruolo purificatore necessario per permettere la rinascita. Affinché un nuovo
mondo possa nascere, infatti, quello vecchio deve prima essere distrutto.
Quando la maggior parte degli Dèi e dei giganti saranno morti, è dunque predeterminato che un
nuovo mondo rinascerà dalle sue ceneri: una nuova, sconfinata Terra emergerà dall’acqua, bella e
verde, le aquile voleranno di nuovo e il grano tornerà a maturare in campi che non sono mai stati
coltivati prima.
Prima della battaglia di Ragnarok, un uomo e una donna troveranno rifugio nel sacro albero di
Yggdrasil e, quando tutto sarà finito, usciranno a vedere il nuovo mondo. I due si ciberanno
solamente di gocce di rugiada mattutina e popoleranno di nuovo la Terra con una numerosa
progenie, diventando i creatori di una nuova stirpe umana.
Alcuni Dèi sopravvivranno: Vidar, il figlio di Odino che uccise Fenrir vendicando il padre, suo
fratello Vali, i due figli di Thor, Modi e Magni, che erediteranno il martello del padre, Balder e suo
fratello cieco Hodr, che torneranno dal regno dei morti.
Con la rinascita del mondo dopo il Ragnarok, l’età d’oro degli Dèi norreni ritornerà.
I superstiti si recheranno a Idavoll, la pianura lucente su cui sorgeva precedentemente Asgardh, e
tutti insieme costruiranno lì le loro nuove e splendide dimore. Balder ritroverà, tra l’erba dei nuovi
prati, anche le pedine degli scacchi degli Dèi ormai scomparsi.
I nobili guerrieri che avevano combattuto a fianco degli Dèi durante il Ragnarok, morti per il bene
dell’umanità, continueranno a vivere nella gioia delle sale di Gimle, la nuova dimora celeste, dove
avrebbero bevuto dell’ottimo idromele.
Invece, a Nastrond, la «riva dei cadaveri», i malvagi soggiorneranno in un’immensa costruzione,
priva di qualsiasi bellezza, le cui pareti saranno formate da serpenti che riverseranno il loro veleno
nel fiume che scorre attraverso la sala.
Per finire, anche se il lupo Skoll aveva privato il mondo della luce poiché era riuscito a divorare
Sol, la bellissima bambina posta a guidare il carro del sole, quest’ultima prima di morire aveva
partorito una splendida figlia, che percorrerà nel cielo la stessa via di sua madre, riportando così
finalmente la luce e il calore nel nuovo mondo.

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