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Giuseppe Antonio Borgese

Il superuomo mancato e il “cupio dissolvi”


Opera: Rubè, parte II, capitolo IV
Punti chiave: La pedagogia superomistica
Un intellettuale in crisi

I l brano seguente è parte di una lettera che il prota-


gonista del romanzo scrive a Eugenia, sua futura
moglie, dal Cadore, dove è stato mandato in prima
nel corpo degli alpini. Filippo Rubè vi compie un
lucido e spietato esame di coscienza, mettendo in
discussione l’educazione ricevuta e portando allo
linea a combattere la Grande guerra, sottotenente scoperto la profonda crisi di valori che lo ha investito.

Mi accorgo senza dolore di essere un uomo mancato; come se si trattasse di un altro. Cosa
mi metto a fare se ritorno dalla guerra, se scendo dalla montagna al piano? Tu lo vedi già
l’avvocato Filippo Rubè che torna allo studio dell’on. Taramanna (ex-tenente decorato del
genio telegrafisti), e poi mette studio per suo conto e «si porta1» deputato a Calinni2, e la
5 signora Rubè col suo giorno di ricevimento? Io no, non li vedo. Capisco che non ho forze
bastanti per le mie ambizioni, eppure non posso soffocare le ambizioni. La guerra non ci
sarebbe, se tutti, uomini e popoli, avessero saputo stare al loro posto. Io poi appartengo a
quella infelicissima borghesia intellettuale e provinciale, storta3 dall’educazione del tutto
o nulla, viziata dal gusto delle ascensioni definitive donde si contemplano i panorami.
10 Abbiamo le mani senza calli e coi tendini fiacchi; non sappiamo stringere né una vanga né
una spada; e sappiamo stringere solamente il vuoto. Sapessi come invidio i miei soldati,
che sanno tenere la baionetta come la piccozza o la falce, e rompono la carne battezzata4
come rompevano il ghiaccio o la terra! Quando gli va bene se la cavano con un po’ di
sudore. Io finora non ho ucciso nessuno, e con tutto il mio interventismo ci tengo. Mi
15 pare d’esser un mangiatore di bistecche che ha orrore del mestiere di macellaio.
Più ci rifletto, più mi persuado che questa non è lettera da affidare alla posta. Troverò
qualcuno che la porti in giù.

1. si porta: si candida. in provincia di Palermo, dove era nato 4. rompono la carne battezzata: squar-
2. Calinni: trasfigurazione letteraria di Borgese. tano i cristiani, ovvero uccidono all’arma
Polizzi Generosa, il paese delle Madonie, 3. storta: traviata, rovinata. bianca i nemici.

L’Opera: rubè un uomo che finisce per sposare una donna che non ama.
Uscito nel 1921 presso Treves, il più importante editore ita- Il suo è insomma un destino mancato, la storia di un
liano del tempo, Rubè può essere letto come una radicale fallimento. La formazione “eroica” ricevuta da ragazzo
confutazione del mito dannunziano del superuomo, si trasforma nella causa prima della sua insoddisfazione
la cui inconsistenza viene emblematicamente dimostrata e del suo completo disadattamento. Questa inettitudine
attraverso la parabola tragica del protagonista. Il giovane all’azione, questa incapacità di dominare con un atto di
Filippo Rubè è stato educato, infatti, a ideali superomistici, volontà e un disegno strategico il proprio destino, sarà
i personaggi di cui ha nutrito i suoi sogni di grandezza fatale a Filippo. Egli incarna la figura dell’intellettuale
sono gli eroi di Plutarco, Napoleone, Stendhal, Nietzsche, déraciné, che non sa più trovare una ragione di vita; non
D’Annunzio. Suo padre gli aveva insegnato ad aspirare al riesce a credere in nessuno dei valori costituiti: lontano
massimo, istillandogli l’alternativa «o tutto o niente». Si dalla fede, privo di sentimento patriottico e di legami
profetizzava di lui che sarebbe diventato un avvocato di affettivi, deluso dalla giustizia, dalla scienza, dalla politica.
grido, che avrebbe fatto una brillante carriera politica, che Di qui prende corpo un desiderio di annichilimento che
avrebbe incontrato la donna fatale. Invece Rubè si ritrova finirà per gettarlo sotto gli zoccoli di un cavallo, durante
a essere un avvocatuccio senz’arte né parte, un candidato una manifestazione di piazza a Bologna. La morte sarà
che non si presenta neanche alle elezioni del dopoguerra, dunque per lui l’unico sbocco.


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L’autore Professore universitario, insegnò per alcuni anni, a Roma e
Giuseppe Antonio Borgese nacque in provincia di Palermo, a Milano, letteratura tedesca, per passare in seguito sulla
nel 1882. Si iscrisse alla facoltà di lettere presso l’Istituto di cattedra di estetica. Dal primo dopoguerra si cimentò con
studi superiori di Firenze, laureandosi nel 1903 con una la creazione letteraria, scrivendo romanzi (Rubè, 1921;
tesi sulla Storia della critica romantica in Italia, che piac- I vivi e i morti, 1923; Tempesta nel nulla, 1931), novelle
que a Benedetto Croce e fu pubblicata, due anni dopo, (La città sconosciuta, 1924; Le belle, 1927; Il sole non è
nella collana della sua rivista. Fu tra i protagonisti della tramontato, 1929; Il pellegrino appassionato, 1933) e
cultura militante fiorentina d’inizio secolo, collabo- drammi (L’Arciduca, 1924; Lazzaro, 1926).
rando al “Leonardo” e al “Regno” e fondando “Hermes” Fu tra i pochissimi cattedratici che si rifiutarono, nel 1931,
(1904-1906), nel segno di una celebrazione classicistica di prestare giuramento di fedeltà al regime fascista, pren-
delle virtù eroiche e dell’ideale apollineo. La sua firma dendo la via dell’esilio. Trapiantatosi negli Stati Uniti,
comparve con frequenza regolare anche sui principali insegnò letteratura italiana in California e a Chicago. Nel
quotidiani nazionali, prima sul “Mattino”, poi sulla 1937 diede alle stampe, in lingua inglese, un pamphlet
“Stampa”, infine sul “Corriere della Sera”, dove Borgese contro la dittatura mussoliniana, intitolato Goliath, the
trattò di opere e questioni letterarie, estetiche, storiche e March of Fascism. Tornò in Italia nel 1946 e fu reintegrato
politiche. Allo scoppio della prima guerra mondiale fu un nella cattedra di estetica dell’università di Milano. Morì
acceso interventista. nel 1952.

In compenso, sono pronto a farmi ammazzare. Per chi? Per cosa? Le Dolomiti5 mi dànno
certe volte l’impressione di un mondo sterile e deforme che vuole essere rifatto e fertilizzato.
20 Le voragini delle valli attraggono l’acqua, e c’è una voragine più profonda, invisibile, che
domanda sangue, qualche cosa di sconosciuto che vuol esser placato. Quando si pensa
così, la guerra diventa un modo come un altro di morire, né più né meno. Siamo senza
domani, sentiamo il pericolo come il peso che trascina l’acqua in giù, come il sonno che
tira le palpebre. Ti assicuro che questo modo di pensare può essere dolcissimo.

G.A. Borgese, Rubè, introduzione di L. De Maria, Arnoldo Mondadori, Milano 1974.

5. Dolomiti: gruppi montuosi delle Alpi inviato col suo reggimento, fa parte dell’a- duramente, in particolare, sulle Tofane e
orientali. Il Cadore (in provincia di Belluno, rea dolomitica. Durante il primo conflitto sul Monte Piana.
nell’alto Veneto), dove Filippo Rubè è stato mondiale fu teatro di guerra. Si combatté

in primo piano
analisi del testo La lettura psicologica

La coscienza della crisi In vena di bilanci e di esami di tante. In questa profonda divaricazione tra le ambizioni
coscienza, Filippo Rubè imputa la sua crisi esistenziale coltivate e le qualità effettive Borgese diagnostica, per
alla morale superomistica ricevuta da piccolo. L’edu- bocca del suo disincantato protagonista, la crisi storica
cazione del tutto o nulla ha alimentato solo delle di una infelicissima borghesia intellettuale e provin-
ambizioni velleitarie, delle aspirazioni impossibili ciale nutrita di miti e di retorica, tanto inetta quanto
da realizzare. Quando il sogno eroico delle ascensioni presuntuosa, in tutto simile al paradossale mangiatore
definitive, cioè dei destini trionfali, non poggia su una di bistecche che ha orrore del mestiere di macellaio. Per
tempra realmente forte ed esercitata alle difficoltà della questo Filippo conclude, parlando di sé e di quelli come
vita pratica (Abbiamo le mani senza calli e coi tendi- lui, che sono senza domani, condannati a non avere
ni fiacchi), non approda a nulla. Il sottotenente Rubè un posto nel mondo, un ruolo definito.
invidia, per questo, i suoi soldati, che sanno tenere
la baionetta come la piccozza o la falce, mentre lui è Oscuro desiderio di morte Il fallimento delle aspirazioni
capace di stringere solamente il vuoto delle sue fantasie superomistiche si rovescia, perciò, nella psicologia narcisi-
inconsistenti. stica dell’eroe mancato, in depressione e oscuro desiderio
Vittima di questa educazione sbagliata, Filippo si rende di morte. Filippo dichiara a Eugenia di essere pronto a
conto di essere un uomo mancato. Il fatto è che non sa farsi ammazzare; ma non in nome di un qualche ideale
percorrere la carriera trionfale vagheggiata a suo tempo, patriottico o sociale: si sente, in realtà, attratto da una
né sa calarsi nella parte che la sorte sembrava avergli voragine sconosciuta, che domanda sangue, come una
riservato, non possedendo l’energia e la determinazione sorta di terribile Moloch che pretende sacrifici umani per
necessarie a coronare un progetto di vita tanto impor- essere placato. E accarezza questo possibile epilogo senza

G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta


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alcun raccapriccio, anzi con una certa voluttà: Ti assicu- dera solo lasciarsi condurre dall’esterno. Così è andato
ro che questo modo di pensare può essere dolcissimo. incontro alla guerra, considerandola «una esenzione per
Così, siamo messi davanti a un vero e proprio, ancorché ordine superiore dall’obbligo di prendere decisioni nella
sfuggente e irrazionale, cupio dissolvi. vita quotidiana». Rubè si affida totalmente al caso, è
un “personaggio in balìa”. Vale forse la pena, a questo
Il personaggio in balìa Rubè delega le proprie responsa- proposito, di ricordare quel che scrisse Machiavelli nel
bilità e le proprie decisioni ad altri o al destino; nel caso Principe a proposito della fortuna: «La Fortuna dimostra
specifico alle operazioni di guerra stabilite dai comandi la sua potenza, dove non è ordinata virtù a resisterle, e
militari, come domani al macchinista del treno o a un quivi volta i suoi impeti, dove la sa che non son fatti gli
«viaggiatore sconosciuto», che lo consegnerà nelle mani argini e i ripari a tenerla». Borgese nel Rubè ci prospetta
della morte. Questo abbandonarsi alla volontà altrui è le tragiche conseguenze dell’inerzia della volontà, la
tutto il contrario rispetto all’ideale eroico e superomistico fatale catastrofe cui va incontro chi si è consegnato in
di affermarsi come arbitro del proprio destino. Rubè desi- balìa degli eventi.


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