Sei sulla pagina 1di 1

Ho visitato la mostra ”Scarti” abitandone le ultime ore dell’ultimo giorno, gustando il passaggio dalla luce

del pomeriggio di fine ottobre alla luce del tramonto che, dopo essersi fusa per un po’ con le luci artificiali,
si è elegantemente ritirata.

La discarica del Comune di Crispiano, che ospitava la mostra, era diventata una casa, con le sue camere
piene di vita materiale e di sogni, di sudore e di stupore, di necessità e di spirito. E, come in una casa,
sentivo di attraversare provvisori equilibri di un luogo sospeso, espresso dal mondo che lo circondava ma al
quale opponeva resistenza, assumendo pian piano la felice immoralità di un’incrinatura nella totalità che
premeva da ogni parte.

E gli “scarti” erano nella continua scoperta delle opere di Franco Farina, che testimoniano una percezione
graffiante delle cose, un contatto stridente che percorre il mondo degli oggetti, trasformandoli in immagini
di ciò che è scabro, forme di una sensazione che non trova la felice continuità della carezza, forme nelle
quali la superficie delle cose si mette a vibrare, a stridere lievemente.

Ammirando le opere immaginavo le mani, gli attrezzi, la complicità e la ritrosia dei materiali, il suono delle
forbici, del martello, della pistola sparapunti: l’arte è un raddoppiamento di vita, ma nel senso che emula le
sorprese che eccitano la coscienza, impedendole di assopirsi.

Le parole che le opere di Franco Farina ispirano fanno tutt’uno con l’immediatezza del “fare”: progettare,
cercare, modellare, assemblare (provare e riprovare), fissare… fanno tutt’uno con i materiali comuni,
quotidiani utilizzati: legno, latta, alluminio, vernici…

Considero la sua arte “generativa”: la “lettura” dei suoi lavori, oltre l’esperienza estetica dello sguardo, fa
nascere il desiderio di mettere in moto il pensiero, il corpo, le mani, per coprire l’universo con i nostri
disegni vissuti, non esatti, ma intonati al nostro spazio interiore. Come una porta socchiusa che basta
spingere delicatamente, i cui cardini sono oliati. “Le porte che si aprono sulla campagna sembrano dare una
libertà alle spalle del mondo” (R. G. de La Serna).

Le opere di “Scarti” testimoniano l’attività di un’immaginazione che, nella sua freschezza, costruisce oggetti
strani con materiali familiari. Con un dettaglio poetico, essa si colloca (e ci colloca, secondo me) davanti a
un mondo nuovo. Allora il dettaglio comincia ad avere il sopravvento sul panorama. Risolvendo i piccoli
problemi ci insegna a risolverne di grandi.

Potrebbero piacerti anche