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CARCINOMA ORALE

Il carcinoma squamo-cellulare della cavità orale ed orofaringea (OP-SCC) vede una duplice patogenesi:
indotta o meno da HPV; nella sua insorgenza, chiaramente, entrambi i tipi di eziologia possono essere
responsabili, con sovrapposizione di molteplici fattori di rischio (tabacco, alcool, consumo ridotto di frutta e
verdura…).

L’insorgenza del cancro HPV-correlato ha assunto, negli ultimi anni, un ruolo piuttosto rilevante a livello
epidemiologico, tanto da definire la sua diffusione “pandemica”, non solo per quanto concerne il distretto
genitale, ma persino per quanto riguarda il distretto testa-collo.

Secondo il WHO Classification of Head and Neck Tumors (4^ ed.) le caratteristiche che differenziano i due
diversi tipi di patogenesi vedono:

Diversa età d’insorgenza: 50 – 56 anni HPV POSITIVO

60 – 70 anni HPV NEGATIVO

Fattori di rischio: sebbene possano essere talora sovrapposti

Abitudini sessuali  HPV POSITIVI

Alcol e fumo  HPV NEGATIVI

Distribuzione Metastatica:

HPV POSITIVI  Presentano frequentemente metastasi cistiche piuttosto precoci, tant’è


che può presentarsi clinicamente prima come metastasi che come tumore
primitivo del cavo oro – faringeo;

HPV NEGATIVI  Le metastasi si presentano generalmente di tipo solido, discriminandole,


perciò, dalle precedente già all’esame ecografico.

Origine Istologica:

HPV POSITIVI  Originano dall’epitelio reticolare delle cripte tonsillari, il quale permette
l’interazione tra linfociti B e T, tramite il ricircolo di questi ultimi che
possono presentare l’antigene;

HPV NEGATIVI  Epitelio superficiale oro – faringeo.

Displasia:

HPV POSITIVI  rara HPV NEGATIVI  presente


Morfologia:

HPV POSITIVI  Comunemente non cheratinizzato;

HPV NEGATIVI  Comunemente cheratinizzato.

Grading:

HPV POSITIVI  Non applicabile HPV NEGATIVI  Applicabile

Sopravvivenza a 3 anni: prognosi assolutamente non sovrapponibile

HPV POSITIVI  82% HPV NEGATIVI  57%

P16 Immunostaining: HPV POSITIVI  [+]

HPV NEGATIVI  [-]

Per poter determinare l’appartenenza ad uno o all’altro dei sottogruppi descritti sono necessari test
standardizzati per individuare o meno la presenza del virus HPV; il gold standard secondo il WHO
Classification of Head and Neck Tumors prevede:

1. HPV può essere individuato con metodi molecolari eseguiti sia singolarmente che in combinazione
(ibridazione con sonde in situ e amplificazione con PCR);
2. Test indiretto che va a ricercare p16, marcatore immunoistochimico maggiormente espresso nel
citoplasma e nucleo di cellule infettate da HPV (può sostituire il precedente test e può essere
effettuato su campione citologico o biopsia);
3. La possibile perdita di espressione di p16 dovrebbe essere correlata, specie in pazienti con
tradizionali fattori di rischio, a carcinoma HPV – negativo;
4. Test positivi per l’HPV, in metastasi linfonodali latero – cervicali. devono indirizzare verso un
carcinoma primitivo dell’orofaringe HPV – positivo;
5. Laddove p16 o HPV testing non siano disponibili, in presenza di un carcinoma SCC non
cheratinizzante basaloide, è possibile effettuare diagnosi di carcinoma “HPV ignoto” (non testato).

Macroscopicamente, esso si presenta, spesso, come ulcera neoplastica, nodulo o sottoforma esofitica –
vegetante; in particolar modo, le ultime due potranno essere tipiche del labbro, mentre quelle della lingua
saranno tipicamente ulcerati, con localizzazione sul bordo – ventre.
Infezione da HPV

Lo IARC lo ha inserito ha tutti gli effetti come un agente cancerogenico, in grado di dare carcinoma in
diversi distretti corporei:

Cervice Uterina: incidenza al di sopra del 98% (non esiste praticamente un


carcinoma in situ che sia HPV – non correlato); è individuabile tramite
esame citologico (PAP test), che individua l’atipia cellulare, assieme alla
ricerca del DNA virabile, la quale può avvenire con svariati metodi (si
possono, ad esempio, usare delle sonde per HPV – DNA, che si ibridano con
le cellule cancerogene, le quali vengono fissate poi con del colorante per la
visualizzazione del carcinoma in situ al microscopio ottico, dimostrando,
così, l’eziologia stessa della lesione).
La lesione riscontrata può essere HSIL (High grade squamous intraepithelial
lesion) o LSIL (Low grade squamous intraepithelial lesion); nel primo caso la
lesione può evolvere nel 30% dei casi in carcinoma invasivo, nell’arco di 10
anni.

Vulva: HPV – positivo nel 68%, per i carcinomi invasivi, e nel 97%, per i carcinoma in situ;

Vagina: positivo nel 75% dei casi;

Ano: nel 91% dei casi HPV – positivo, molto diffuso nei maschi omosessuali;

Pene: positivo per il 60% dei casi circa;

Orofaringe: positivo nel 70% dei casi circa.

Quest’ultimo ha delle caratteristiche peculiari:

1. origina da un’area linfoepiteliale;


2. in genere non ha una storia documentata di una lesione precancerosa, poiché ha un’evoluzione
piuttosto rapida;
3. talvolta può presentarsi, a differenza della cervice uterina, non integrato ma episomico; secondo
uno studio di Hanna Mellen (2002), questa casistica avrebbe una migliore prognosi e maggiore
responsività a radio – chemioterapia.

Il virus, per stabilizzarsi nel microambiente prescelto, deve bypassare i sistemi immunologici per poter
persistere nel tempo; nell’orofaringe, questo avviene spesso nelle cripte tonsillari (epitelio reticolare, il
quale consente il traffic immunologico), laddove, nel caso in cui il sistema immunitario non elimini il
patogeno, può integrarsi avviando la cancerogenesi.

Per poter visualizzare i campioni istologici con carcinoma tonsillare è possibile effettuare un immuno -
test con anticorpi monoclonali diretti verso PDL – 1 (il quale lega PD, recettore per la morte cellulare
programmata, espresso dalle cellule immunitarie, le quali vanno incontro ad apoptosi); questo test può
anche dare un suggerimento terapeutico, poiché sarà possibile utilizzare anticorpi monoclonali (anti PD
– 1 o anti PDL – 1), per consentire una riattivazione immunologica nei confronti del tumore.
Gli oncogeni restrittivi per carcinomi HPV – positivi sono, sicuramente, le proteine virali E6 ed E7; la
prima inattiva p53, favorendone la degradazione, la seconda, invece, lega Rb e permette l’avanzamento
del ciclo cellulare (una sua downregolazione incrementa i livelli di p16, marker surrogato per HPV).

Il paradigma per poter distinguere i tumori HPV – positivi dai negativi prevede:

a) HPV +  p53 wild type ed espressione delle oncoproteine E6 ed E7;


b) HPV -  P53 mutata (cancerogenesi chimica da tabacco);
c) HPV +  P53 mutata nei soggetti fumatori con infezione da HPV.

Dal punto di vista istologico, per l’HPV+ si avrà un’assenza di cheratinizzazione, poiché il carcinoma SC
di presenta come un carcinoma basaloide non cheratinizzante, poiché E6 interferisce con la
differenziazione in senso cheratinocitico; per l’HPV-, invece, si ha un carcinoma SC cheratinizzante.

Dal punto di vista dell’apoptosi, l’HPV+ ci caratterizza per cellule con abbondante apoptosi (presenza di
corpi apoptotici), poiché non si ha una modifica irreversibile di p53 e molte terapie inducono, per
l’appunto, questa via; l’HPV-, invece, si ha una generale inibizione della via apoptotica, fornita da
proteine quali Survivin (indicatore prognostico negativo, individuabile tramite il legame di anticorpi
monoclonali, il quale potrebbe avere una relazione diretta o indiretta con HPV, ma è riscontrabile molto
più negli HPV-).

La trasmissione prevalente del virus HPV fondamentalmente può essere di due tipi: sessuale (80%) e
verticale (20%). È interessante notare che, tra il periodo d’infezione e l’insorgenza della malattia, vi è un
periodo di latenza anche molto lungo; questo si deve alla risposta immunitaria che, nei soggetti
immunocompetenti, vede l’eliminazione delle cellule, trasformate dal virus, da parte delle cellule NK e
dei linfociti THc, che ritarda l’insorgenza del carcinoma (il quale si può presentare in età senile, per la
riduzione della capacità immunologica del soggetto o per sopravvento dell’evoluzione cancerogena sul
sistema immunitario stesso).

L’incidenza del tumore del distretto testa – collo HPV – correlato, dagli anni ’70 ad oggi, risulta in
aumento, soprattutto nel genere maschile, in giovane età (20 – 44 anni), in correlazione alle abitudini
sessuali (elevato numero di partner sessuali, ad esempio) tanto da definirla una vera e propria
“epidemia da carcinoma HPV - correlato”.

L’incidenza, tuttavia, varia moltissimo a seconda delle aree geografiche e risulta impossibile fare delle
generalizzazioni; in alcuni paesi è possibile avere l’incremento (o il decremento) di questo tipo di
carcinoma, che può essere accompagnato dall’incremento (o dal decremento) della forma classica del
carcinoma del distretto testa – collo.

Il nostro paese, in particolare, sebbene risulti a bassa incidenza per carcinoma HPV – correlato,
presenta un’eterogeneità regionale; la Sardegna, per esempio, ha visto la presenza nel 60% dei casi di
HPV – DNA, nei casi di carcinomi squamo – cellulari (di cui il 50% circa da HPV – 16). È pur vero che
bisogna considerare anche il metodo utilizzato (nella fattispecie PCR); difatti, metodi più specifici
(quindi meno sensibili), come l’ibridazione in situ (per dimostrare la reale integrazione virale) danno
un’incidenza sicuramente più bassa.
Inoltre, bisogna considerare l’associazione o meno del cancro dell’orofaringe con quelli del cavo orale,
poiché quest’ultimo vede un’incidenza minore del precedente (questa suddivisione ha come limite tra
le due regioni il [V] linguale).

Essendo un tumore rapidamente evolutivo, la diagnosi può avvenire già allo stadio metastatico; se
diagnostico in tempo, tuttavia, risulta un tumore molto responsivo alla radioterapia, dal momento che
non si deve ad una mutazione in geni proapoptotici, quali p53 (mutato invece nel carcinoma HPV – non
correlato), ma alla progressione del ciclo cellulare da parte di E6 ed E7, perciò, la cellula cancerogena è
in grado di andare incontro ad apoptosi, determinando la regressione della malattia e riducendo la
mortalità (tanto che l’aumento dell’incidenza di questo tipi di cancro ha determinato, almeno in parte,
anche il miglioramento della sopravvivenza dei pazienti in trattamento con radioterapia), sebbene si è
registrato un aumento della mortalità nel sesso femminile.

Le sue manifestazione clinica, nel distretto testa – collo, può vedere coinvolti l’orofaringe, estendendosi
in modo progressivo al cavo orale (base della lingua) e, soprattutto, tonsilla palatina.

Considerando diversi fattori di rischio, vi può essere l’associazione di parte di essi con l’infezione,
aumentando in questo modo la possibilità d’insorgenza del carcinoma (l’associazione con l’alcol è tra la
più importante, visto l’abuso di alcol nella fascia d’incidenza considerata).

Biopsia
Il termine deriva dal greco Bios (vita) e opsis (forma); prima della sua nascita, nell’800, l’anatomia
patologica era solo descrittiva, perciò, comportò un notevole passo in avanti per la diagnosi, così, tra il
1800 e il 1860, si ebbero le prime descrizioni di aspetti microscopici di tumori ed altri tipi di lesioni;
successivamente, tra il 1860 e il 1880, si cominciarono ad effettuare le prime inclusioni in paraffina. Il
1887 rappresenta l’anno di stop dell’utilizzo della biopsia, per errori nella diagnosi, che dimostrano
come sia una tecnica complicata da eseguire e perciò soggetta ad essi (per questi motivi la diagnosi, tra
1890 e 1930, la diagnosi venne effettuata solo su reperti chirurgici); a partire dagli anni ’30 comincia a
farsi strada con tecniche più moderna, con biopsie per ago o piccoli frammenti, fino ad arrivare ai giorni
nostri.

Il suo utilizzo, chiaramente, è standardizzato ed evidence based; dal punto di vista del chirurgico, è più
utile usare una lama a freddo, mentre per quanto riguarda il campione da analizzare, è preferibile
un’analisi istologica, piuttosto che citologica, poiché nel complesso garantiscono una migliore
accuratezza della biopsia e poiché, chiaramente, esso fornisce una specificità e sensibilità maggiore
(rispetto al citologico, il quale può essere utilizzato come screening in ambito infettivologico e
oncologico orale, sebbene per quest’ultimo non rappresenti un gold standard).

La tecnica, ad ogni modo, non è scevra da errori, in particolar modo in fase preanalitica, ossia durante
la fase di fissazione (over – fissazione o sotto – fissazione), perché questa avviene nello studio
odontoiatrico, da parte del clinico e non dell’anatomopatologo; il fissativo più utilizzato in istopatologia
è rappresentato dalla formalina al 10%, mentre quello più utilizzato per la citologia è rappresentato
dall’etanolo al 70% (devono essere usati immediatamente, fatta eccezione per test di biologia
molecolare a fresco, concordato con il laboratorio istopatologico, usando i buffer adatti alla metodica).
Per l’immunofluorescenza (utilizzata per le malattie bollose del cavo orale) è possibile congelare il
campione oppure utilizzare la soluzione di Michael (in un’analisi doppia, dove la prima vedrà
un’inclusione in formalina); per questa motivazione è importante, per il clinico, poter riconoscere la
clinica della patologia per effettuare una corretta diagnosi e indirizzare, così, il metodo
dell’approfondimento diagnostico, per confermare o confutare il sospetto clinico.

Per questo motivo, il materiale deve essere accompagnato da dettagli che includono l’identificazione
del paziente, dati clinici, segni clinici e il sospetto diagnostico per cui si richiede l’approfondimento
diagnostico e l ‘orientamento del campione (Tridimensionale  fondamentale per effettuare il taglio,
dopo inclusione in formalina, permette la corretta sezione e successiva visualizzazione del preparato,
nonché per il taglio perpendicolare alla superficie epiteliale, per valutare i vari strati e l’eventuale
presenza d’invasione; Stereoscopico  utile successivamente per il clinico, laddove sia necessario
allargare il margine chirurgico, dopo aver ricevuto l’esito).

Perciò sono necessarie una serie di concetti critici a monte, tra i quali ricordiamo:

Scelta del tipo di biopsia: citologica o istologica (in quest’ultimo caso biopsia
incisionale o escissionale); anche in questo caso, sarà il sospetto clinico
ad orientare la scelta (ad esempio, per una candida meglio l’approccio
citologico, mentre per un carcinoma in situ quello bioptico).

Scelta del bisturi: rientra nella serie di errori preanalitici, assieme alla stessa incisione/escissione,
per preservare l’integrità del tessuto da analizzare anche in vista di 

Metodi Speciali: quali metodi immunoistochimici che possono suddividersi in tre gruppi, ossia,
diagnostico, prognostico e predittivo (con quest’ultimo che viene utilizzato per
l’indirizzamento terapeutico).

Localizzazione dell’area
da sottoporre a biopsia: altra scelta che rientra negli eventuali errori preanalitici, da parte del
chirurgo che opera l’incisione/escissione (la quale dovrebbe ricadere sulla
lesione più grave per non allungare le tempistiche diagnostiche).

Cancerizzazione di campo: connessa con il punto precedente, vede la necessità di campionamenti


multipli, per le aree più rappresentative, che possono vedere
coinvolte aree apparentemente sane, aree con probabile displasia o
carcinoma invasivo (di solito a seguito dell’utilizzo di blu di metilene
sulla mucosa, a cui precedono e seguono sciacqui con soluzione di
acido acetico); questo concetto è esplicabile in maniera “classica”
attraverso la cancerogenesi chimica (la quale colpisce più aree del
tratto aereo – digestivo) oppure in maniera “alternativa” laddove la
diffusione è spesso latero – laterale, prima di divenire verticale,
attraverso l’espansione clonale di una singola cellula traformata.
Margini: laterali, superficiali e profondi; in quest’ultimo caso bisogna valutare la possibilità di
un’escissione più profonda, laddove si teme un processo già invasivo o micro –
invasivo.

Orientamento
Stereoscopico: sia dal punto di vista anatomopatologico che chirurgico (per quello che si è detto).

Tempistiche: possono essere preoperatorie, postoperatorie o intraoperatorie, quest’ultime sono


estemporanee all’operazione chirurgiche e vengono richieste al fine di chiarire la
diagnosi di malattia, laddove essa non sia stata effettuata, o di porre nuovi quesiti
diagnostici, emersi durante il corso dell’operazione (ad esempio, la determinazione
di un istotipo aggressivo, il quale comporta l’escissione dei linfonodi regionali);
vengono effettuate per mezzo dell’utilizzato del criostato, congelando il campione a
fresco e allestendo rapidamente un’ematossilina – eosina, verificando la presenza o
meno di neoplasia). Riconosciamo, inoltre delle biopsie di follow – up, le quali
possono essere di lesioni precancerose o di restaging.

Chirurgo: può essere rappresentato dal professionista generalista o specializzato in vari campi ed
operare in vari ambiti, cui quello ambulatoriale, ospedaliero (in centri clinici o di
ricerca).

Per quanto riguarda la diagnosi clinica, possiamo far riferimento alla linee – guida, per quanto concerne
il tipo di biopsia da effettuare e il tipo di struttura e di operatore devono eseguire l’operazione, in
particolar modo

Lesioni Bollose: eseguire una doppia una istologica e fissata e l’altra a fresco (l’altro esempio è dato
dalle intraoperatorie) in campo oscuro; va effettuata nelle aree non affette, molto
vicine alla bolla o all’erosione, in ambiente prettamente ospedaliero (da parte di
specialista anche non odontoiatrico).

Ulcerazioni croniche/
carcinoma squamoso: preferibile usare una biopsia incisionale, identificando i margini dell’ulcera, il
fronte d’infiltrazione e il tessuto sano limitrofo, evitando le zone di necrosi
centrale; è inoltre consigliato rivolgersi urgentemente ad una struttura
ospedaliero (per accelerare il processo è possibile effettuarlo anche in
ambulatorio per fare diagnosi e permettere al paziente d’entrare in lista
d’attesa per potersi sottoporre ad intervento chirurgico).

Leucoplachia/
Eritroplachia: bisogna considerare aree multiple, soprattutto in lesioni miste che possono
presentare, già, aree neoplasiche non ancora invasive; può essere effettuata sia in
ospedale che ambulatorio.

Lichen Planus: biopsia incisionale di area rappresentativa, in particolar modo della mucosa geniena
per il lichen reticolare e l’area gengivale per l’erosivo – bolloso, e in tal caso
anche ai margini, dove saranno visibili neutrofili al posto del tipo infiltrato
linfocitico – monocitario.
Lesione granulomatose: necessario una biopsia incisionale profonda, la quale deve permettere
l’esame a fresco, eventualmente anche microbiologico, come micobatteri
turbecolari ecc…

Mucocele: viene effettuata biopsia escissionale dal professionista odontoiatrico,


anche in ambulatorio; dovuta alla formazione di una ciste, per ostruzione o danno
al dotto escretore di una ghiandola salivare minore (se la saliva stravasa porta ad
infiammazione della mucosa circostante, per infiltrato istiocitario, il quale fagocita
la saliva), la quale verrà escissa assieme al mucocele.
Polipi
Fibroepiteliali: sottoposti anch’essi a biopsia escissionale, da parte dell’odontoiatra generalista.

Tumori Ghiandole
Salivari Minori: patologie aggressive quanto più piccola è la ghiandola salivare minore; viene
eseguita la biopsia incisionale, a livello palatale (andando in profondità
perché quasi a ridosso sul periostio), mentre la biopsia escissionale, per le
labbra.

Tumori Ghiandole
Salivari Maggiori: Non è possibile effettuare una biopsia a cielo aperto, perché può ledere i nervi
facciali, nonché la disseminazione neoplastica iatrogena; per questo ci si
serve dell’agopsia (FNAC/FNBC).

Prima di eseguire una biopsia sulle mucose bisogna considerare

1. Il motivo per cui si effettua la biopsia, che deve essere effettuata per confermare il sospetto
diagnostico (il quale non deve essere solamente clinico) o per escludere la malignità della
lesione (nel caso dei disturbi potenzialmente maligni), la quale deve essere effettuata sui
margini per evidenziare i limiti della lesione e il fatto che derivino da un epitelio sano;
2. Le informazioni necessarie per l’anatomopatologo come il tipo di biopsia
incisionale/escissionale (per definire o meno i margini), dati e segni clinici e orientamento del
campione (in modo tale da poter, eventualmente, dare informazioni al chirurgo su dove
effettuare la nuova escissione, se necessaria);
3. Se è necessario un campione a fresco, come per le lesioni bollose (per immunofluorescenza
diretta), dal momento che oggigiorno sono sempre più necessarie indagini di tipo molecolare.

Come abbiamo già accennato, esistono diversi tipi di biopsia, in particolar modo può essere

Incisionale: è asportata solo una parte della lesione, con fine strettamente diagnostico, ed
utilizzata, in genere, per lesioni grandi o dei tessuti molli e lesioni cancerose, per
stadiare la neoplasia (può estendersi fino a 5mm, 1cm o oltre i 1 cm) e
programmare l’intervento chirurgico; una variante è rappresentata dalla punch
biopsy, la quale preleva campione di forma circolare, anziché ellittica, il cui
diametro può variare da 2 a 6 mm (quest’ultimo è il diametro consigliato per il
prelievo mucoso orale); le aree da selezionare vengono individuate ancora col blu di
toluidina, che individua le cellule con attività proliferativa maggiore (è possibile
utilizzare anche soluzione di lugol, che al contrario, riscontra le aree più colpite di
colore più chiaro).

Escissionale: è asportata tutta la lesione, con una rima di tessuto normale (con funzione diagnostica
e terapeutica) ed utilizzata per lesioni di piccola entità, lesioni cutanee (carcinomi
baso – cellulari o squamo - cellulari), lesioni benigne o intermedie; si deve, perciò,
avere un’idea chiara dei margini profondi e laterali (assicurandosi di rimuovere la
totalità della lesione, in base al tipo considerato, mantenendo un ampio margine, di
almeno 0.5 – 1 mm); chiaramente, a seguito dell’operazione, è fondamentale la
gestione del follow – up, il quale può essere gestito, a seconda dei casi, dallo stesso
clinico o da un clinico oncologico… Nel caso la lesione sia infiltrata, come può
avvenire nel SCC, bisogna attuare anche un’escissione in profondità, la quale varia
dal tipo di lesione e può essere determinata con metodiche ad alta risoluzione,
come la RMN o TAC ad alta risoluzione con mezzo di contrasto (altrimenti si corre il
rischio di terminare sul margine profondo o all’interno della stessa neoplasia,
scatenando una reazione infiammatoria, con guarigione tissutale (formazione di
cicatrice, che scatenano una serie di stimolazioni mitotiche, favorendo la
progressione della malattia. Di fondamentale importanza, è anche la chinatura dei
margini per verificare se la lesione si presenta su epitelio sano e la distanza tra
margine chirurgico e l’eventuale presenza di infiltrazione, a livello micrometrico. È
preferibile per patologie benigne, piuttosto che maligne e nell’effettuarla bisogna
essere accorti nel porre la lama perpendicolare rispetto alla superficie, evitando
margini cuneiformi, i quali possono lasciare in situ parte della lesione.

Esempi clinici possono essere rappresentati da

Cheiliti attiniche lichenoidi: molto frequenti nel territorio pugliese per esposizione
professionale (agricoltori e pescatori), caratterizzata
da danno p53 mediato NON HPV – correlato di tipo
intramucosale, con estensione latero – laterale di
campo; per questo motivo, sarà necessario
asportare l’intera area (vermiglio, generalmente
inferiore).

Carcinoma del Bordo del Vermiglio: in genere SCC verrucoso, il quale non dà in
genere metastasi e, perciò, con un adeguato
intervento chirurgico può portare alla
completa remissione della malattia; nella
fattispecie i margini da effettuare possono
vedere un intervento a V o W o una losanga
cutanea (senza mantenere margini
micrometrici, al cui posto si preferisce un
intervento incisionale). Nel primo caso può
vedere una non completa escissione del
margine profondo, rispetto alla metodica di
Bernard (o a W, utilizzata per carcinomi
cutanei, preservano la mucosa orale).

Neoplasia mucosa superficiale: indicato quando si crede non vi sia profondità


d’invasione notevole o per papillomi (i quali devono
comunque avere un margine più ampio in
profondità, nel caso la lesione sia maligna).

Neoplasia mista esofitica/endofitica: valutare il grado d’infiltrazione anche di


lesione apparentemente superficiali,
tenendo sempre un ampio margine, anche
nel caso delle incisionali, ed affidarsi, per
una diagnosi oggettiva, alla TAC e RMN ad
alta definizione con contrasto.

Lesioni Estese: in particolar modo le OPMD (lesioni potenzialmente maligne).

Chiaramente è importante preservare le strutture anatomiche, come nel caso del


frenulo linguale, per evitare un’ipermobilità linguale o le caruncole linguali o dotti
minori delle ghiandole salivarie minori, ostruiti eventualmente con i punti i sutura;
alcuni errori possono essere dovuti dall’utilizzo di laser o elettrobisturi, nel primo
caso per una mancanza di lettura del terzo basale (fondamentale per un’eventuale
diagnosi di displasia o carcinoma ), mentre nel secondo per utilizzo di voltaggio
elevato, il quale può determinare elettrocoagulazione, rendendo il reperto
illeggibile e comportando anche problematiche di tipo legale.

Per Ago: riguarda soprattutto le ghiandole salivarie maggiori.

Endoscopica: utilizzata nel distretto testa collo per la cavità naso – sinusale.

L’allestimento dei preparati vede alcuni passaggi tecnici


P I. Fissazione: processo che mira a conservare, quanto più possibile, la forma, la morfologia,
R nonché la localizzazione dei costituenti cellulari;
O
II. Disidratazione: allontanamento dell’acqua, per mezzo di utilizzo di alcol;
C
E III. Chiarificazione: si intende l’allontanamento del mezzo idratante, ad opera di un mezzo detto
S chiarificante, in genere xilolo;
S IV. Impregnazione: penetrazione nel campione di un mezzo (paraffina, resine ipossidiche e/o
A
acriliche) che, solidificandosi, ne consente ;
M
E V. Taglio: al microtomo in sezioni sottili, in genere di 3 μm;
N VI. Colorazione: vanno dall’ematossilina – eosina, a metodi immunoistochimici ad
T immunofluorescenza….
O

Ognuna di queste fasi va inficiare sulla conservazione di alcune molecole, quali gli acidi
nucleici e le proteine, necessarie per test molecolari, oppure sulla diagnosi stessa.

Alcune patologie, invece, non richiedono biopsia come le stomatiti aftose o la glossopatia rombica
mediana.

L’incisione o l’escissione vanno, ovviamente, preceduta da anestesia, la quale non deve essere
effettuata sulla lesione, né tantomeno sull’area circostante che deve essere prelevata, ma ai quattro
angoli laterali all’area che non deve essere bioptizzata, poiché la presenza fisica dell’anestetico provoca
edema e non permette di riconoscere la sede del prelievo; in alcuni casi è preferibile collocare un sito di
sutura per distinguere l’area bioptica e guidare anche la sede da anestetizzare.

Vi sono anche test citologici, i quali possono vedere l’utilizzo di metodiche di prelievo differenti
(spatola, curette…), che possono essere utilizzati come screening di neoplasia (lo striscio su vetrino
viene fissato in alcool); è possibile anche individuare la presenza degli acidi nucleici di agenti infettivi,
anche integrati, tramite swab test su fluido biologico, per accertare o escludere un’eventuale infezione,
il quale può vedere un approccio diretto, tramite HPV DNA quantitativo (quanto maggiore il viral load
tanto più probabile è l’integrazione col DNA) oppure indiretto, tramite un HPV mRNA (codificante, ad
esempio, per E6 ed E7), il quale può dimostrare l’integrazione virale (ad esempio di HPV – 16), assieme
alla metodologia dell’ibridazione in situ.

Due esempi sono rappresentati dalla cervice uterina, laddove c’è un’associazione tra HPV e lesioni
preneoplastiche e neoplastiche, e il cavo orale, laddove questa associazione è minore; nel secondo
caso, individuare l’infezione non è necessariamente indice di lesione come, al contrario, non
individuarla non esclude la possibilità di un tessuto displasico, dovuto ad un processo di cancerizzazione
di campo (tralasciando che questo genere di test viene effettuato, generalmente, su lesioni
preneoplastiche). È possibile, quindi, adottare tre approcci citologico, molecolare o entrambi.

Per quanto concerne il cavo orale, per i motivi sopra descritti, è sconveniente l’utilizzo dell’approccio
citologico e si suggerisce di utilizzare quello istologico, poiché il SCC (il quale può presentarsi
verrucoso), possiede un grado variabile di cheratinizzazione superficiale che non evidenzia l’atipia
(cellule basaloidi) degli strati intermedi e basale, dando falsi negativi; perciò, l’approccio istologico, in
associazione ai test molecolari, permette, così, di inquadrare anche il tipo di iter terapeutico più
congruo, il quale sarà indirizzato verso la radio- e la chemioterapia per i carcinomi HPV+, con successiva
operazione chirurgica, oppure verso l’approccio prettamente chirurgico, lasciando margini ampi margini
(almeno 0.5 – 1 cm), per i carcinomi HPV-.

Anche la profondità d’invasione, la stadiazione TNM possono influire sul tipo da metodica da utilizzare.

Gli errori più frequenti sono rappresentati dall’utilizzo dell’elettrobisturi dall’errato pinzamento del
campione, provocandone la frammentazione e la mancanza d’integrità strutturale, l’errato punto
nell’effettuare l’anestesia, il volume di fissativo da utilizzare (in rapporto 10:1 col volume di campione),
la contaminazione con elementi estranei e, soprattutto, l’insufficienza di larghezza e profondità del
campione.

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