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Introduzione

Di fondamentale importanza per il loro studio è la comprensione della distribuzione delle forze masticatorie
o esercitate da parafunzioni (digrignamento, bruxismo, serramento…), nonché la distribuzione dello smalto
nelle varie regioni dentali, affinché si possa meglio valutare l’adesione del materiale alla superficie dentaria
(poiché a differenza della dentina si presenta maggiormente mineralizzato, garantendo minore umidità e
migliore adesività), nonché gli effetti dell’incidenza della luce su smalto e dentina (la quale darà la
colorazione più scura al dente  canino dente con più dentina e perciò più scuro).

Le forze masticatorie, logicamente, avranno diversa distribuzione a seconda degli elementi dentari
analizzati e delle forze ivi applicate; ad esempio un impianto, essendo vincolato nell’osso alveolare, avrà
una scarsa capacità di dispersione delle stesse, a differenza di un dente naturale, il quale possiede
l’apparato sospensore del dente (perciò è utile evitare di installare ponti dentali misti, i quali scaricheranno,
principalmente, le forze sull’elemento dentario naturale).

Necessaria risulta essere il concetto di Biocompatibilità, in questo ambito, per non arrecare danno al
paziente e insorgenza di ulteriori problematiche (infiammazione cancerogenesi…).

I materiali, oggetti di studio, possono essere

Preventivi: sigillatura dei solchi dei primi e secondi molari, appena erotti).

Conservativi: utili per i restauri (otturazioni) in odontoiatria conservativa, ossia la disciplina che
mira al mantenimento dell’elemento dentario, previa escissione di materiale
necrotico e batteri, responsabili dell’evento carioso stesso, e successiva sostituzione
della zona amputata (dopo aver preparato la cavità) con materiali biocompatibili,
resistenti nel tempo e non infiltrati nel restauro.

Endodontici: a seguito di esame radiografico, con fine diagnostico, sondaggio e apertura canale,
possono essere utilizzati per otturare quest’ultimo (fino a livello dell’apice
radiologico, il quale verrà osservato negli rx di controllo); il più utilizzato è la
guttaperca.

Da impronta: di solito in silicone o alginato (preferibile per i costi ridotti e migliore rilevazione del
tessuti blandi, come la gengiva).

Protesici: possono essere utilizzati per protesi mobili, fisse o combinate.

Implantari: il più utilizzato, per la sua biocompatibilità, è il titanio, utilizzato per le protesi fisse.

Parodontali

Ortodontici

Perciò la disciplina dei materiali dentari studierà la materia (sostanza o insieme di sostanze che
costituiscono i corpi); i tipi di legami che possono instaurarsi in essa sono di tipo atomico (covalente e
dativo), elettrostatico (ionico, forze di Van der Waals olegami a idrogeno) e metallico.

Perciò risulta fondamentale la composizione chimica della materia e il rapporto e l’interazione esistenti tra
gli atomi che la costituiscono, definendone anche lo stato di aggregazione (solido, liquido o gassoso), in
base alla loro distanza e alla possibilità di movimento.
Materiali allo stato liquido vedono gli atomi legati insieme in una struttura disordinata che assume la forma
del recipiente, pur possedendo volume proprio; altra importante caratteristica fisica è la viscosità ossia
quella proprietà determinata da differenti forze intermolecolari e resistenza al movimento, all’interno dello
stesso liquido (importante per la bagnabilità delle superfici, la capacità di diffusione e la tensione
superficiale).

Materiali allo stato solido, invece, hanno forma e volumi propri, secondo una struttura microscopica
ordinata, definita con schemi geometrici caratteristici; classificati in base a struttura, legami chimici e
proprietà merceologiche (dipendenti dalle caratteristiche precedenti). Possono classificarsi in base alla
struttura in:

Solidi Cristallini: quando le particelle sono disposte in maniera regolare, tali da generare un
reticolo, nella quale la struttura elementare si ripete; sono anisotropi, ossia
possiedono una diversa resistenza meccanica nelle diverse direzioni,
all’applicazione di una forza vettoriale, e possono essere ideali (quando la loro
forma esterna corrisponde ad un solido geometrico) o reali (quando questa
corrispondenza non c’è).

Possono presentare dei difetti

a) Subatomici;
b) Di Punto (atomi di sostituzione, interstiziali, mancanti);
c) Di Linea;
d) Di piano (dislocazioni perfette e imperfette, soggette alle forze di taglio).

Solidi Amorfi: quando le particelle sono disposte in maniera del tutto disordinata, poiché le
particelle non si dispongono in modo tale da generare un reticolo, la cui struttura si
ripete; un esempio è l’ossidiana e sono tutti isotopi, ossia presentano le stesse
proprietà meccaniche, all’applicazione di forze vettoriali, a prescindere dalla
direzione di applicazione.

Solidi Ionici: scarsa conducibilità elettrica e termica.

Solidi Covalenti: punto di fusione alto, scarsa conducibilità termica ed elettrica, fragili.

Solidi Metallici: solidi ionici in cui vi è un reticolo compatto di ioni positivi, tenuti insieme da
elettroni liberi.

Solidi Molecolari: formati da molecole ben definite e legate con legami deboli.

Quasi tutti i materiali sono delle soluzioni, ossia un insieme di due o più componenti, separabili con un
cambiamento di stato; la quantità di soluto massima (in grammi o moli) che può disciogliersi in un solvente,
definisce una soluzione satura, la quale diviene sovrasatura aggiungendo altro soluto (la cui solubilità può
essere modificata cambiando pressione e temperatura).

Il termine Colloide identifica uno stato della materia, caratterizzato dalla presenza di particelle con
altissimo grado di suddivisione, benché dotate di carica elettrica ed energia di superficie, consta sempre di
due fasi una dispersa (soluto), la quale ha dimensione comprese tra 10 Å e 1000 Å, e una disperdente
(solvente), le quali in base alla loro affinità definiscono: Colloidali, Liofili e

Liofobi: definiti idrofobi se il solvente è l’acqua, caratterizzati da scarsa affinità interna tra le
particelle, instabilità, sono sistemi eterogeni di natura inorganica (separazione netta tra
fase dispersa solida e fase disperdente liquida);
Liofili: definiti idrofili se il solvente è l’acqua, omogenei e stabili per l’affinità tra i componenti e
altamente concentrati, possono essere molecolari o micellari (in questo caso formano
micelle, per la presenza di gruppi liofobi con masse insolubili) e determinare la formazione
di una struttura tridimensionale, che ingloba il solvente e determina la formazione di un gel.
Questi, se mantenuti in contenitori chiusi, vanno incontro a contrazione ed essudazione del
solvente (sineresia); possono presentarsi

Reversibili: hanno la possibilità di assumere le caratteristiche dei solidi elastici, se


privati del solvente, ma possono tornare allo stato di gel se
rientrano in contatto con esso;

Irreversibili: se privati del solvente sono incapaci di ritornare allo stato di gel;

Tixotropici: hanno la caratteristiche di liquefarsi, se agitati, e di gelificarsi a riposo.

Idrocolloidi: possono suddividersi in

Irreversibili: un esempio è l’alginato, non capaci di tornare allo stato precedente;

Reversibili: materiali solidi che riscaldati si liquefano, come i precedenti, sebbene si


differenzino per la loro capacità di tornare allo stato precedente

L’adesione è un fenomeno che definisce l’attacco di due corpi, costituiti da sostanze differenti, realizzatasi
mediante l’attrazione di atomi o molecole di corpi che vengono in contatto; la forza del loro legame
dipenderà dalla quantità di forza presente sul punto di contatto e sarà condizionata da temperatura
(espansione termica dimensionale) o da variazioni durante la reazione di presa. Sulle superfici ruvidi sarà
necessario l’utilizzo di uno strato adesivo intermedio, per far combaciare i due capi; può essere:

Spesso sono utilizzate entrambe perché, ad esempio, gli


Chimica: tra atomi e molecole  adesivi smalto – dentinali compositi hanno un legame con
calcio e fibre collagene, nonché con la superficie, la quale
Meccanica: ad incastri  viene resa il più ruvida possibile, in modo da poter aderire
saldamente.

L’adsorbimento è un meccanismo chimico – fisico che avviene sulla superficie di legame; può vedere

Interazione chimica: tra le molecole, con una grande forza di adesione;

Interazione chimico – fisica: grazie, ad esempio alle forze di Van der Waals,
con una minor forza d’adesione.

La Coesione è una forza d’attrazione che si crea tra particelle elementari di una stessa sostanza; è massima
nei solidi, minima nei liquidi e zero nei gas.

Quando si parla tensione di superficiale e coefficiente di bagnabilità bisogna sempre tener conto della
presenza, nelle molecole dell’acqua, di una forza attrattiva, che tende a farle legare, ed una repulsiva, che
tende ad allontanarle; queste forze aumentano maggiore è il contatto tra le molecole stesse.

All’interno della sostanza, ogni molecola è soggetta a forza di attrazione bilanciate, esercitate dalle altre
molecole, mentre, sulla superficie, ognuna sarà soggetta a forze non bilanciate che ne determineranno uno
stato maggiore d’energia. Per portare energia dall’interno all’esterno saranno richieste delle particelle
cariche, le quali compiranno un lavoro per aumentare l’area di superficie tra un liquido e un solido (il quale
viene definito tensione superficiale, misurata in Dyne/cm).

Questo deriva dalla necessità di bagnare un corpo, la quale viene misurata tramite la bagnabilità, ossia la
tendenza che un liquido ha di diffondersi su un solido.

Con angolo di contatto prossimo a 180°  sarà minima;

Con angolo di contatto prossimo a 0°  sarà massima

In particolar modo, più è basso l’angolo e più le forze coesive del liquido saranno superate dall’energia di
superficie del solido; sarò perciò modificata dall’energia di superficie, da ruvidità, impurità, tensione
superficiale, aumento della temperatura o da tensioattivi (per modificare l’energia di superficie).

La Capillarità è la proprietà dei liquidi di infiltrarsi in piccole cavità che, nella fattispecie, saranno
rappresentate dai tubuli dentinali, i quali in profondità possono essere anche molto estesi e ricchi di acqua,
rendendo perciò la superficie più difficile da bagnare da parte dell’adesivo, il quale dovrà avere
caratteristiche di bagnabilità migliori dell’acqua (rimuovendola o reagendo con essa).

La viscosità è un fenomeno dei fluidi dipendente da una forma di attrito interno, tra strati adiacenti, che si
oppone allo scorrimento.

Materiali utilizzati tutti i giorni, in odontoiatria, sono rappresentati dai Polimeri, ossia una sostanza da unità
fondamentali, dette monomeri, che si ripetono in un determinato modo per ottenere specifiche proprietà
chimico – fisiche; possiamo dividerli in

Oligomeri: composti contenenti unità ripetenti, con PM di 1500 Da e lunghezza delle catene
inferiore a 50 Å; non hanno proprietà polimeriche, sono solubili, possono essere
distillati e formare masse cristalline o amorfe.

Polimeri: classificabili in Bassi, Meso- e Alti Polimeri, in base al PM, numero di monomeri e
lunghezza di catena (Å); in base alle tipologie di monomeri che li formano, invece

Omopolimeri: catena polimerica costituita da un solo monomero;

Terpolimeri: catena polimerica costituita da tre differenti monomeri;

Copolimeri: catena polimerica costituita da due differenti monomeri,


a loro volta distinti in

Statici: dove la distribuzione dei due monomeri è casuale;


Alternati: dove la sequenza li vede alternati regolarmente;
A blocchi: dove i monomeri sono distinti in blocchi separati;
Ad innesto: dove un gruppo di monomeri formano la catena
principale e l’altro, invece, le catene laterali.

Spazialmente, invece, vedranno un’ulteriore classificazione in Lineari, Reticolari o


Ramificato.

Per quanto riguarderà invece la classificazione in base alla temperatura essi saranno:
Termoplastici: tendono ad ammorbidirsi, quando portati a temperatura,
per poi ritornare alla forma solida (e viceversa reversibilmente);
Termoindurenti: a differenza dei precedenti non sono nuovamente riprocessabili.
A seconda della loro natura possono essere

Naturali
Sintetici: si dividono, a loro volta in Plastici, Fibrosi o Elastomeri.

La reazione di polimerizzazione può essere di due tipologie

Radicalica: avviene senza produzione di residui di reazione ed è tipiche delle resine acriliche
(composite); resta quella preferibile perché risultano materiali molto più precisi per
impronte, restauri…

Per Condensazione: nella quale il legame con i monomeri avviene con produzione di residui di
reazione (acqua e alcoli), tipica dei poliuretani e delle resine epossidiche.

Avviene fondamentalmente in tre stadi

1. NUCLEAZIONE: Tutti e due i processi necessitano di un agente che attivi la reazione,


rilasciando radicali liberi; l’agente attivante può essere chimico (ammina
terziaria) o fisico. Gli attivatori di quest’ultima categoria possono dar vita ad
una termopolimerizzazione (calore/pressione) o ad una
fotopolimerizzazione (energia radiante); proprio quest’ultima è la più
utilizzata negli studi odontoiatrici.

L’azione dell’attivatore stimola l’iniziatore, il quale agisce sul monomero,


attivandolo e cominciando il processo;

2. ACCRESCIMENTO: espansione tridimensionale del polimero;

3. TERMINAZIONE: può essere dovuta all’esaurimento di monomeri disponibili, alla


formazione di una struttura tridimensionale finale oppure, dal momento
che l’ossigeno non favorisce il processo, terminarlo attraverso l’applicazione
di glicerina sullo strato più esterno per polimerizzare anch’esso (pochi μm).
Proprietà dei Materiali
Il termine proprietà indica la singola qualità di natura fisica, chimica, meccanica e biologica di ogni
materiale e permette di scegliere tramite l’individuazione, la valutazione e il confronto i materiali da
utilizzare; la valutazione della qualità (combinazione delle varie proprietà) deve essere standardizzata, per
controllo e ripetibilità dei risultati ed è effettuata da OMS, FDI, ISO, ADA. Esse si distinguono in:

Proprietà Fisiche
Tutti i contatti dentali volontari e involontari effettuati nell’arco di una giornata (circa 2000)
esercitano una pressione di 30 – 80 kg/cm 2; la pressione esercitata non è nient’altro che una Forza,
definita da 3 caratteristiche

1. Punto di Applicazione;
2. Intensità;
3. Verso.

È importante perché se il corpo, che subisce la forza, rimane fermo ne causa la deformazione o
l’usura; logicamente vi sarà una proprietà che vi si opporrà e prenderà il nome di Sforzo (σ) o
resistenza, ossia quella forza che agirà in intensità uguale e contraria, a quella applicata, su un’area
più o meno espansa (per questo motivo la sua unità di misura sarà in N/mm3, sebbene venga
utilizzato nel SI il Pa o comunemente il MPa) definita come la capacità di un corpo di sopportare
stress e sollecitazioni senza subire deformazione (dipenderà perciò dalla coesione molecolare e
dalla struttura stessa dei legami intermolecolari).

La resistenza alle varie applicazioni cambia in base alla forza applicata, la quale può essere

Semplice: applicazione di una coppia di forze che agiscono in direzioni opposte; sono
rappresentate da

Trazione  avviene quando un corpo è soggetto a due complessi di forze,


le quali hanno verso opposta e giacciono sulla stessa retta;

Compressione  avviene quando le due forze giacciono sulla stessa


retta e hanno verso opposto;

Flessione  avviene quando la forza determina un piegamento del provino;

Taglio  le forze, le quali direzioni sono parallele, determinano lo


scorrimento di due sezioni del corpo

Torsione.  avviene quando due forze, opposte in verso, determinano un


avvolgimento ad elica del corpo

Composta: somma di due o più stress semplici.


A Fatica: applicazione contemporanea o consecutiva di uno o più stress semplici; divisi in

Carico Assiale  trazione e compressione consecutive;

Flessione Rotante  flessione e torsione contemporanee;

Flessione Invertita  flessioni opposte consecutive;

Torsione a fatica  torsione e torsione opposta consecutive.

In base al tempo di applicazione riconosciamo forze

Statiche: vengono applicate in modo costante o variano


molto lentamente nel tempo;

Dinamiche: vengono applicate in tempi molto brevi, in modo


istantaneo o ciclico.

Quando una forza è maggiore della resistenza del corpo, essa vince i legami di coesione molecolare
di quest’ultimo e si ha la Deformazione (ε), ossia una modificazione della sua forma (reversibile o
meno) fino ad arrivare alla frattura; per essere più rigorosi è definita come la variazione di
lunghezza, per unità di lunghezza del corpo, quando soggetto a deformazione.

Quando si applica una forza statica con velocità uniforme e velocità crescente si può avere

Deformazione Elastica: reversibile, in cui il corpo ritorna alla forma originale;

Deformazione Anelastica: irreversibile, in cui il corpo non ritorna alla forma originale;

Frattura: l’intensità o la ripetizione degli stessi nel tempo superano


la capacità del corpo di deformarsi.
Curva Sforzo – Deformazione

Si utilizza un grafico cartesiano che avrà in ascissa l’entità della deformazione e in ordinata l’entità
dello sforzo che ha provocato tale deformazione; ogni forza presa in esame, possiede un Carico al
limite di proporzionalità (p), ossia il valore massimo della sollecitazione di un materiale fino al
quale le deformazioni si mantengono sensibilmente  proporzionali agli sforzi da cui sono prodotte
(seguono, cioè, la legge di Hooke); pe descrivere, invece, il comportamento elastico del materiale,
ossia la capacità di ritornare alla lunghezza di partenza, si utilizza il Carico al limite di elasticità,
ossia la sollecitazione massima che garantisce la deformazione elastica del corpo (zona elastica).
La deformazione elastica al superamento del punto di Snervamento diverrà anelastica e il corpo si
allungherà fino al Carico massimo di rottura, al di là del quale il corpo subirà strizione
(restringimento della sua sezione trasversale) sino al punto di rottura.
Chiaramente, se il corpo subirà una piccola deformazione, all’aumentare dello sforzo, esso sarà di
un materiale più fragile; al contrario, se all’aumentare dello sforzo aumenta la deformazione, esso
sarà di un materiale duttile, il quale subirà dapprima deformazione elastica e poi anelastica.

Tenacità

È possibile identificare un materiale anche dal tipo di frattura che essi possono subire; difatti essa
può essere:

Frattura Fragile: avviene senza deformazione plastiche, legata alla presenza di


micronicchie che si propagano velocemente;

Frattura Duttile: si verifica dopo apprezzabili deformazioni plastiche, si propaga


lentamente ed è, solitamente, preceduta da strizione.

Il modulo di elasticità è detto modulo di Young (E), il quale definisce l’elasticità e rappresenta la
rigidità del materiale, all’interno dell’intervallo elastico.

Per quanto riguarda il dente, esso sarà di 18 MPa per la dentina e 40 – 80 GPa per lo smalto (in
quanto ha una componente minerale che lo rende molto più rigido della dentina); questi dati sono
importanti, poiché, devono essere il raggiunti il più possibile in caso di restauri dentari, utilizzando,
così il materiale più adeguato (un composito, ad esempio, emula molto bene la dentina,
avvicinando il suo modulo elastico), che devono essere anche congrui agli altri elementi dentari, per
evitare di danneggiare questi ultimi.

L’attitudine di un materiale ad essere deformato in modo plastico viene definita da due proprietà

Duttilità: rappresenta la sua attitudine ad essere ridotto in fili,


quando sottoposto a trazione;

Malleabilità: rappresenta la sua attitudine ad essere martellato e


arrotolato in fogli sottili, senza che vi sia rottura.

I test che misurano le caratteristiche meccaniche dei materiali possono essere vari, come il test di
trazione, il quale misura la deformazione (allungamento) del materiale, quando sottoposto a sforzo
di trazione, fino al punto di rottura.

Il test di Compressione rappresenterà il suo esatto opposto, poiché si misura l’accorciamento del
materiale, quando sottoposto a sforzo di compressione; la resistenza a quest’ultima è importante,
nelle fasi di masticazione, e misura la resistenza del materiale alle forze che tendono ad accorciarlo.
La forza applicata è gradualmente crescente e distribuita uniformemente sulla superficie del corpo,
posto tra le piastre di compressione; la sua lunghezza non deve essere maggiore di un 1/5 della
lunghezza, poiché tenderà alla flessione (test solido a carico di punta). Talvolta, il test non è diretto
verso l’asse longitudinale ma trasversale (test di tensione diametrale) e rappresenta, al contempo,
un test di trazione e compressione.

Il test di Taglio tende a recidere la sezione del campione; i carichi applicati subito prima del punto
di sezione, e quelli subito dopo, tendono a far scorrere in direzione opposta le sue parti
(scivolamento dei piani), lungo la sezione stessa

Il test di Flessione utilizza con asse rettilineo e sezione costante sottoposto ad una coppia di forze
sul medesimo piano, ma con versi opposti; il suo asse si disporrà secondo una linea curva (è raro
che un materiale venga sottoposto a flessione semplice, mentre è più frequente che sia sottoposto,
al contempo, a taglio e flessione).

Il test di Torsione in cui il corpo è sollecitato da una coppia di forze, poste alle estremità, con
momenti e intensità uguali, ma verso opposto; è utilizzato per testare resistenza, deformabilità e
rigidità di un materiale.

Il test a Fatica sottopone un materiale a sollecitazione ciclica, anche se con carichi ai quali
resisterebbe indefinitamente se fossero applicati in maniera statica (nella fatica la rottura si
sviluppa da piccole cricche, che si propagano attraverso i grani del materiale).

Le prove di Fatica applicano al campione cicli di sollecitazioni in cui siano stabili sollecitazione
massima, minima e numero di cicli al secondo (frequenza). I cicli possono essere
La resistenza a Fatica è lo sforzo al quale un materiale si rompe dopo applicazione ripetuta o ciclica
di un carico; dipenderà, perciò, sia dalla grandezza del carico che dal numero di cicli (un esempio è
rappresentato dai ganci delle protesi mobili che nel momento che viene messa deve essere
allargata, andando incontro ciclicamente ad una deformazione).

l’intaglio è una discontinuità geometrica sulla superficie di un corpo provoca una distribuzione non
uniformi delle forze all’interno del corpo stesso e possono essere esogeni (fori, incisioni, incavi…) o
endogeni (cricche, porosità…).

La reazione elastica alla percussione non è mai usata in ambito dentale, nel quale si predilige la
resistenza alla penetrazione, la quale rappresenta la resistenza alla deformazione elastica (in
particolar modo la resistenza di un materiale alla penetrazione da parte di un corpo duro di forma
determinata  Forza/unità di area d’identazione/penetrazione). La durezza si misura mediante
prove statiche, che si basano sulle impronte lasciate sulla superficie del saggio da un penetratore.

Esistono diverse prove che si differenziano proprio per il tipo di penetratore utilizzato, per il carico,
nonché per il metodo di rilevamento dell’impronta; il test di Brinell è usato, in odontoiatria, per i
metalli e le leghe e, in particolar modo, si serve di un penetratore sferico (acciaio o carburo di
tungsteno) di 1.6 mm, con l’applicazione di 123 N per 30 s (più è piccola l’impronta lasciata  più è
elevato il valore  più il materiale è rigido).

Il test di Knoop utilizza un penetratore di forma piramidale retta, con base rombica e rapporto tra
le diagonali di 7:1; la sua unità di misura è il kg/mm 2 e può essere utilizzato per materiali in cui la
durezza varia, a seconda delle zone interessate.

Il test di Vickers forma di piramide, con una base quadrata e un angolo di 136 gradi tra le facce
opposte così, in base alla lunghezza delle diagonali, è possibile stabilire di quanto l’identatore sia
penetrato.

Il test di Rockwell utilizza, invece, un cono come penetratore.

Per i materiali molto elastici, invece, si utilizza il test di Shore, il quale impiega diversi penetratori.

L’attrito è importante per quanto concerne la deformazione dei materiali (soprattutto nei soggetti
con bruxismo), soprattutto se essi abrasivi (per questo motivo è necessario sempre lucidarli); esso
può portare all’usura dello stesso, ossia la rimozione progressivo di una sostanza, risultante dal
dislocamento e dalla rimozione di materiali causata dall’azione meccanica su due o più corpi.
Prevenzione della malattia cariosa
I materiali maggiormente utilizzati, in ambito preventivo, possono essere rappresentati da

Fluoro
è un metalloide, primo membro del gruppo degli alogeni, si trova come composto fluorurato, come
composto naturale (fluorite, cluorite e fluorapatite) e come sostanza di scarto di varie industrie.
L’anione F- è fisiologicamente il più attivo degli ioni elementari e possono, perciò, attivare o inibire
diversi processi enzimatici (che ne spiegano la tossicità, in dosi elevate); la sua azione biochimica,
difatti, consiste sia nella sottrazione d’idrogeno a vari composti, compresa l’acqua, a formare HF e la
facilità d’interazione con altri alogeni, con lipidi, proteine e glucidi. Viene assorbito attraverso le
mucose digestiva e respiratoria, distribuendosi poi nell’organismo, tramite il plasma, e venendo poi
escreto tramite feci, urine, sudore, saliva e latte; le sue fonti naturali sono rappresentate dall’acqua
potabile, il tè, il caffè, pesci...
La somministrazione, chiaramente, non può essere indiscriminata e avviene nei pazienti pediatrici a
rischio di lesione cariose (nonché dipende dalla provenienza dello stesso, poiché, essendo l’acqua
potabile fonte naturale di fluoro, potrebbe già assumerne dosi sufficienti).
È possibile sia presente nell’aria delle aree industriali chimiche, del vetro, dell’acciaio ecc. e in alcuni
medicinali, come gli antibiotici; l’86% del fluoro totale si depositerà nei tessuti calcificati (500 – 5000
ppm), secondo l’ordine decrescente: cemento  osso  dentina  smalto

L’incorporazione avviene ne reticolo cristallino dei tessuti calcificati, probabilmente in punti


specifici della superficie dei cristalli di idrossiapatite (F -  OH-), rendendo, così, la fluorapatite più
resistente (ovviamente va somministrato quando il dente non è in formazione e non è ancora erotto);
per i tessuti dentali, in particolare, le fasi della ritenzione dei fluoruri sono rappresentate da

Periodo di formazione del dente: la fissazione avviene su tutta la sua struttura;

Periodo di mineralizzazione: la fissazione avviene in maniera elettiva su tutta la


struttura reticolare;

Periodo di mineralizzazione concluso: la fissazione si limita agli strati marginali di smalto e dentina.

Nella dentina vi è una concentrazione doppia o tripla rispetto allo smalto, per la sua vicinanza
anatomica con la polpa, che consente, così, un maggiore apporto ematico; il cemento ha la
concentrazioni maggiori probabilmente per la sua scarsa propensione a rimaneggiamenti di tipo
strutturale.

I meccanismi carioprotettivi del fluoro possono dividersi in

Pre – Eruttivi: favorisce una migliore formazione di idrossiapatite, con


inserzione dello ione fluoro al suo interno; necessità di somministrazione
sistemica (compresse);

Post – Eruttivi: favorisce la formazione della fluoridrossiapatite, per scambio ionico


diretto o mediato; necessita della somministrazione topica
(gel, vernici, collutori...).

Ha anche azione antibatterica, concentrandosi nel citoplasma batterico e intervenendo nella loro
biochimica, inibendo la glicolisi anaerobia, quando il pH si abbassa al di sotto del valore di 5; interviene,
inoltre, sulla membrana plasmatica, diminuendo l’assorbimento di glucosio.

L’assunzione sistemica attraverso l’acqua potabile sarebbe ottimale, ma risulta difficile da realizzare; la
somministrazione, invece, vede l’assunzione di 0.05 mg per kg corporeo ed è sempre dipendente dalla
concentrazione delle acque che si bevono. I dosaggi consigliati prevedono

0 – 2 anni  0.25 mg;

2 – 4 anni  0.50 mg:

4 – 12 anni  1 mg.

L’assunzione topica, di uso più frequente, utilizza soluzioni contenenti fluoruro di sodio, fluoruro di
stagno, derivati aminici del fluoro, le quali possono essere poste a contatto con lo smalto per mezzo di
pennellature, collutori o per mezzo di ionoforesi.

Pennellature: dopo aver rimosso le patine dentali e asciugato i denti si spennella da 3 a 6 minuti per
applicazione, con cadenza quindicinale, mensile, bimestrale, semestrale, annuale…

Ionoforesi: utilizza deboli correnti elettriche per il trasporto ionico del fluoro dalle soluzioni allo
smalto (poiché le cariche opposte si attraggono, le cariche negative si depositano
sulla superficie positiva); le applicazioni durano da 1 a 5 minuti e vanno ripetute
quattro volte all’anno.

Gel e Paste Adesive: hanno la caratteristica di permanere a lungo, dopo applicazione, a livello della
superficie dentale, grazie alla loro adesività, permettendo un apporto
costante e continuo di fluoro sullo smalto.

Vernici: aderiscono tenacemente sullo smalto, permettendo un apporto di fluoro continuato per
circa 12 ore; dopo aver lavato e asciugato i denti si esegue l’applicazione, a seguito della
quale bisogna rimanere digiuni per almeno 2 ore.

Paste dentifricie: a basso contenuto (500 ppm), raccomandata dai 3 ai 6 anni (3 volte a l giorno)
dopo i 6 anni ad alto contenuto (1000 ppm).

Collutori: contenenti NaF in concentrazione dallo 0.05% allo 0.2% rappresenta una metodica di
prevenzione domiciliare molto diffusa, la quale ha dimostrato di poter ridurre
l’insorgenza di carie del 30 – 40%.

Dispositivi a rilascio controllato: device sperimentali costituiti da polimeri sintetici, al cui interno vi è
una matrice di fluoro che viene rilasciata gradualmente; vengono
posizionati all’interno di contenitori che aderiscono alla superficie
dentale.
Per quanto riguarda la tossicologia del fluoro, esso in dose di 5 mg per kg corporeo determina
ipocalcemia, inibizioni enzimatiche, interferenza nella respirazione cellulare ed effetti corrosivi locali
(soprattutto nello stomaco dove forma acido fluoridrico); oltre 3 -10 gr determinano la morte.

Alcuni effetti tossici possono riscontrarsi nelle fluorosi dentali, per assunzione eccessiva nel periodo di
sviluppo della dentizione (o tetracicline); sembra si tratti di una displasia o distrofia dello smalto
(diminuiscono la resistenza e l’adesività dello smalto, in contraddizione a ciò che si è detto finora),
conseguente all’assunzione cronica di fluoro che si manifesta con macchie opache, pigmentazioni gialle
o brune, screziature sino ai “denti neri” (i più colpiti premolari, secondi molari, incisivi sup. e canini).

Ciò si deve agli effetti sugli ameloblasti che in

Fase Secrezione: avranno diminuita produzione di matrice, variazione della composizione di


matrice, variazioni dei meccanismi di trasporto ionico;

Fase di Maturazione: avranno diminuita rimozione di proteine e acqua.

Test di Screening
Determinazione del potere
tampone della saliva: Test che prevede la masticazione di pellet di paraffina, per la
produzione di saliva, la quale la sia fa riversare nel contenitore
apposito, per essere poi saggiata tramite cartina tornasole,
confrontandola con una scala graduata.

Individuazione di
Streptococchi/Lactobacilli: Dal momento che essi posseggono un’attività acidogena più
spiccata, vengono individuati a seguito di raccolta di campione
salivare, come nel caso precedente, e ne viene posta una parte in
terreno di coltura, posta in incubatore e viene effettuata poi la
conta batterica.

Dentifricio
Sostanza di consistenza pastosa, gelificata o fluida che ha lo scopo di completare la detersione delle
superfici dentali; devono contenere, necessariamente, fluoro, sotto forma di sale solubile e il suo
tenore deve essere sufficientemente elevato (500 – 1000 ppm); esso deve avere potere lucidante e
levigante senza danneggiare la superficie dello smalto e, per questo motivo, non deve avere un
grado di abrasività RDA (Relative Dentin Abrasivity) superiore a 200.
Possono contenere umettanti, lubrificanti, leganti, addensanti, astringenti….

Umettanti: mantengono il dentifricio nella sua consistenza di pasta/gel;

Astringenti: proteggono le superfici mucose, proteggendole con una pellicola (utilizzati per
lo più nei soggetti predisposti alla parodontopatia);

Abrasivi: coadiuvano, assieme allo spazzolamento, la rimozione della placca, le macchie


sulla superficie dello smalto, contrastando l’adesione batterica;
Detergenti: utilizzati come agenti schiumogeni.

Collutorio
Rappresenta un valido presidio nella terapia di tutte le patologie a carico dei tessuti duri e molli e
nel mantenimento della salute orale; il suo impiego può spaziare dalla prevenzione e profilassi di
carie e parodontopatie al trattamento post – operatorio di chirurgia orale. Ne esistono

Antisettici: per il controllo della placca, contenenti fluoro (fluoruro di sodio), con
concentrazioni dallo 0.05% allo 0.2% (1.25% per remineralizzazioni
importanti); la clorexidina, base forte, tra i più importanti, attiva sia
contro gram+ che gram-, permanendo sulle superfici orali per
diverse ore (può causare pigmentazione e alterazione dei sapori).

Antinfiammatori: possono coadiuvare la terapia chirurgica, controllano l’infiammazione,


possono contenere molecole come ibuprofene, nimesulide oppure
antimicotici, come il miconazolo, o antivirali, come il metisoprinolo.

Rivelatori di Placca
Presidi in grado di visualizzare la posizione, l’estensione e anche l’età della placca batterica (spesso
a livello del colletto dentale), in base alle specie batteriche più rappresentate; i prodotti proncipali
sono rappresentati da eritrosina, indigotina, lattoflavina, clorofilla, carotinoidi, antociani e xantofille
(ognuna delle quali assume una colorazione caratteristica), disponibili in soluzione liquida ed anche
in compresse masticabili.

Spazzolino
Svolge un ruolo importante nella rimozione dei residui alimentari e la sua efficacia è fortemente
dipendente dalla tecnica, dalle capacità operative di chi lo usa, nonché dalle sue caratteristiche
merceologiche (ergonomia, facilità di decontaminazione, resistenza all’umidità, proprietà
meccaniche e costo); il manico presenza una lunghezza di 13 cm – 18 cm, è prodotto in polimeri
termoplastici ed è fondamentale la sua sagomatura. Il collo unisce questo alla testa che è la
componente a presentare le maggiori differenze, a livello commerciale, come la lunghezza di 9 – 12
mm in larghezza e 18 – 33 in lunghezza, per numero e disposizione diversi delle setole (di nylon 66
o 612, con setole con sezioni di 0.15 – 0.35 mm, in base alla rigidità, devono essere arrotondate,
non devono trattenere l’umidità e devono essere detergibili; perciò non vanno scelte le setole
naturali, le quali sono acuminate e possiedono un canale midollare che, esposto, viene colonizzato
dai batteri).
Tutto questo è importante perché uno scorretto spazzolamento può creare abrasioni nello smalto,
nella dentina, talvolta anche nella polpa, facendo diventare il dente necrotico oppure danneggiarlo
lievemente, predisponendolo, però, alla malattia cariose (clinicamente si differenziano perché, nel
primo caso, l’abrasione ha margini netti, a differenza della carie, nel secondo caso, che ha margini
irregolari; il restauro in questi casi vede, chiaramente, lo smalto come punto d’attacco ideale, a
differenza di dentina, che nella fattispecie sarà di reazione e vedrà l’occlusione dei tubuli dentinali,
e del cemento che ha un’adesività molto scarsa).

Filo Interdentale
Sostituisce lo spazzolino nelle aree interprossimali dei denti, al di sotto dei punti di contatto dei
denti; costituito da una serie di filamenti attorcigliati, di sezione compresa tra 30 – 40 μm, che
compongono un filamento di 0.3 – 0.7 mm. Solitamente di nylon 66 o politetrafluoroetilene (PTFE)
e può essere avvolto da cera, che contribuisce a tenere uniti i filamenti.

Scovolino
Sono costituiti da setole di nylon disposte circolarmente su un unico filamento di 10 – 12 mm
metallico che lo blocca, con sezione cilindrica, tronco – conica e spessore di 2 – 3.5 mm; utile per la
rimozione di placca interprossimali e detersione di tali spazi (anche qui sono possibili abrasioni e
carie interprossimali, da errato utilizzo).

Sigillanti
Rappresentano il cardine della prevenzione e sono una risorsa merceologica in grado di migliorare
l’efficacia dell’igiene orale, in aree della superficie dentale dove condizioni anatomiche sfavorevoli
(le quali permettono l’accumulo di placca e di residui di cibo); queste ultime sono rappresentate
solchi e fessure di molari e premolari, margini cervicali di tutti gli elementi dentari ed i forami ciechi
delle superfici linguali di incisivi, canini, molari inferiori (tra cuspidi mesio- e disto – vestibolare) e
molari superiori (tra le cuspidi palatali)  soprattutto nei soggetti esposti (età e cariorecettività).
Questo è importante perché le carie, nei soggetti di età dai 5 a 17 anni, si manifestano per più
dell’80% dei casi sullo smalto delle superfici masticatorie, ed il 75% dei soggetti a cui vengono
applicati si mantiene sano, a distanza di 15 anni.

I solchi e le fessure si devono


all’avvicinamento delle
cuspidi, nel processo di formazione delle stesse; difatti, più questi nodi dello smalto saranno
distanti e più le fessure saranno profonde (mentre i solchi derivano dalla convergenza di più linee di
sviluppo).
In base al tempo di fusione delle cuspidi potranno determinare fessure delle forme raffigurate
dell’immagine; gli ultimi due tipi sicuramente saranno i più complicati da detergere correttamente.
È possibile, talvolta, avere sulla superficie occlusale di uno stesso dente, allo stesso tempo, solchi e
fessure di morfologia differente.
Ognuno di essi determina l’andamento dei solchi sulla superficie occlusale.

Per la procedura, il dente viene isolato con la diga è sottoposto ad abrasione (glicina, pomice...), per
eliminarne le pellicole glicoproteiche ed aumentarne l’adesione, eseguire una leggera
ameloplastica del solco, senza formare cavità, con una fresa dal calibro molto ridotto (si può aprire
cavità laddove vi è in corso una demineralizzazione dello smalto, eseguendo in tal caso una
Preventive Resine Restoration); si lascia, poi, agire acido ortofosforico al 37% per 30 secondi,
dopodiché viene lavato e si applica il sigillante e si eseguono dei controlli occlusali.
Materiali Intermedi per la Protezione
Pulpodentinale

Cominciamo col dire che, qualsiasi tipo sia il restauro da effettuare, è buon costume lasciare il dente vitale;
prima ciò non era possibile a causa anche dei materiali, come l’oroceramica, i quali necessitavano di uno
spessore notevole per non essere evidenti (ciò comprende l’interposizione dell’opaco, oltre a materiale più
esterno) e dare al dente un aspetto estetico accettabile.

Al giorno d’oggi invece, con introduzione di silicati, zirconio ecc. si è ridotto lo spessore degli stessi,
permettendo di mantenere la vitalità dell’elemento dentario, ossia di mantenere la sua componente più
interna, costituita dalla polpa dentaria; quest’ultima è costituita di tessuto connettivo lasso di tipo fibroso,
ricco in collagene, fibroblasti, macrofagi, sostanza intercellulare e contenente vasi linfatici e sanguigni e
fibre nervose (con gli odontoblasti a delimitare esternamente la camera pulpare). Riconosciamo

Polpa Coronale: posta nella camera pulpare, nella parte coronale del dente, comprende i cornetti
pulpari, diretti verso le creste incisali e le cuspidi; viene asportata nel caso di terapia
canalare (può essere, tuttavia, mantenuta con il cosiddetto incappucciamento) e
avrà un’estensione variabile a seconda dell’età (quasi immediatamente sotto allo
smalto, con un’estensione dentinale esigua, mentre nell’anziano può quasi
completamente scomparire, per l’apposizione di dentina di reazione).

Polpa Radicolare: posta nei canali radicolari; può essere mantenuta, in caso di terapia endodontica,
e vengono utilizzati diversi materiali per questo scopo.
La polpa, chiaramente, può andare incontro a degenerazione per stimoli di diverso tipo, tra cui possiamo
citare, sicuramente quelli di tipo traumatico, tra cui vanno incluse anche le parafunzioni, le quali si
configurano come stimoli continuativi nel tempo.

Anche la morfologia della dentina sarà differente, a seconda del terzo dentale considerato, avrà una
densità in tubuli crescente verso la dentina; quest’ultima si presenterà, verso la corona, costituita per il 12%
da dentina intertubulare, per il 66% d dentina peritubulare, con la restante parte d’acqua (fluido dentinale,
che contiene componenti per il nutrimento dentinale), mentre, verso la polpa, avremo il 96% di dentina
intertubulare, il 3% di dentina peritubulare e l’1% solamente di acqua.

Dentina Peritubulare: addensata attorno ai tubuli dentinali, forma la cosiddetta


guaina di Neumann ed è più calcificata;

Dentina Intertubulare: forma la dentina attorno ai tubuli dentinali, separandoli


ed è meno calcificata.

Per quanto riguarda l’eziopatogenesi della sensibilità dentinale, la teoria più accreditata è quella
idrodinamica di Brännström, secondo cui la sintomatologia algica è da ricondurre al movimento del fluido,
all’interno dei tubuli dentinali, per gradiente osmotico (assunzioni di zuccheri o acidi) verso l’esterno o per
contrazione, dovuta al freddo.

Materiali da sottofondo e cementi sono definiti intermedi, ossia quelle sostanze destinate a costituire un
cuscinetto isolante tra dentina cruentata e sovrastante otturazione, si dividono in

Isolanti di Protezione: destinati a proteggere l’integrità dell’organo pulpodentinale, comprendono


lacche o vernici (varnishers), rivestimenti o foderature (liners), sottofondi o
basamenti o fondini cavitari (bases);

Cementanti: la cui funzione è quella di leganti destinati a permettere, per attrito, la ritenzione di
protesi, intarsi e bande ortodontiche.

Gli obiettivi da ottenere per un buon sottofondo cavitario sono

I. Biocompatibilità;
II. Batteriostaticità;
III. Attenuamento della reattività pulpodentinale: dovuta a carie e alla preparazione;
IV. Fornire una base solida: la quale sopporti la pressione di condensazione, per i materiali plastici
metallici e permetta il disegno ottimale della cavità, in caso di intarsio;
V. Impedire l’insorgenza di alterazioni pulpodentinali: per stimoli fisici, chimici e batterici;
VI. Compatibilità con il materiale da otturazione posto a contatto
VII. Radiopacità: per capire il limite tra polpa e rastauro;
VIII. Potere isolante, chimico ed elettrico;
IX. Indurimento rapido: per procedere all’otturazione con altro materiale (ed evitare di far tornare il
paziente);
X. Bassa solubilità;
XI. Capacità riminarilizzanti.
Nono esiste un materiale con tutte queste caratteristiche, chiaramente, è possibile operare con quello più
adatto alle esigenze.

Lacche o Vernici
Tra le più celebri citiamo la Copilite (Getz), formata da nitrato di cellulosa; si tratta di soluzioni gomme
o resine naturali in un solvente organico che, una volta applicate sulla dentina, formano un film che
ostruisce il tubulo dentinale, formando una membrana semipermeabile di 2 – 5 μm di spessore.

Applicate in cavità con pennellini monouso due volte (la seconda dopo 2-3), per strati omogenei.

Tra gli svariati difetti che le caratterizzano ne citiamo alcuni:

1. Non isolano termicamente, pur offrendo un certo grado di isolamento elettrico;


2. Non possiedono proprietà antibatteriche o antiflogistiche, neanche con l’aggiunta di altre
sostanze medicamentose;
3. Interferiscono con il processo di polimerizzazione dei compositi, venendo anche alterate dal
monomero;
4. Non possono essere poste vicino alla polpa, in cavità con residuo di dentina inferiore a 1.5 mm,
poiché la rapida evaporazione del solvente può indurre insulto termico da raffreddamento
(oltre a potersi dimostrare tossico);
5. Non devono interessare il sigillo marginale
Foderanti o Rivestimenti (liners)
Definiti vernici composte, si tratta di sospensioni di idrossido di calcio e di ossido di zinco, in
associazione a polvere di resina o cellulosica (proprietà batteriostatiche), in un veicolo liquido, volatile
che rappresenta il solvente.

I limiti di questi materiali sono rappresentati da

a. scarso isolamento termico, a causa del limitato spessore apponibile;


b. se interessano il sigillo marginale dell’otturazione, la solubilità dell’idrossido di calcio, e di altri
componenti, comporta la dissoluzione a contatto con l’ambiente orale;
c. diventano radiopachi, con l’aggiunta di ali di bario, potenzialmente lesivi per la polpa;
d. non vanno utilizzati come primo strato in cavità profonde.

Le finalità del loro utilizzo vedono un loro impiego come

Al di sotto dei compositi (poiché non vi è cellulosa o altri materiali che possono interferire con la
polimerizzazione) e dei cementi, per otturazione temporanea, svolgendo decisa azione antiacida,
antibatterica e antiflogistica;

In associazione con altri materiali intermedi, nelle cavità profonde e medie.

Sottofondi o Basi o Fondini Cavitari (bases)


In genere, sono cementi dentari, le cui caratteristiche fisico – chimiche li rendono idonei a sostituire la
dentina rimossa (moduli elastici quasi sovrapponibili), nella preparazione della cavità; sono
rappresentati, perciò, da tutti quei materiali che si possono utilizzare nella cavità, dove residua uno
spessore dentinale molto sottile. I principali sono rappresentati da

Composti a base idrossido di calcio  a differenza degli altri non può essere utilizzato come
cementanti; l’idrossido di calcio (o calce spenta) deriva
dall’idratazione dell’ossido di calcio e può presentarsi in polvere (se
l’acqua è legata in proporzione stechiometrica), semiliquida (se
l’acqua è in eccesso) o sospensione (se aggiunta in largo eccesso), i
composti in commercio sono disponibili come

Paste acquose non indurenti: l’idrossido di calcio è l’unico componente, in presenza di


acqua distillata o in soluzione fisiologica; le finalità d’uso
sono l’incappucciamento diretto e indiretto della polpa (non
è presente o è presente, rispettivamente, uno strato di
dentina e, nel primo caso promuove anche la cicatrizzazione
pulpare, cauterizzando il tessuto a contatto con l’idrossido e
favorendo il ripristino della funzione dentinogenica),
protezione pulpo – dentinale, come primo strato di
sottofondo nelle cavità profonde e medicazioni canalari
intermedie di denti necrotici.

Cementi indurenti: vanno applicati al di sopra dell’acqua di calce, utilizzata per la


cauterizzazione della polpa (e per la protezione dalla condensazione e
contrazione del materiale, che la traumatizzerebbe ulteriormente), durante
l’incappucciamento diretto; vengono applicati sulla dentina, formando un
colletto attorno l’applicazione precedente, in modo da permettere adesività
ed evitare gli effetti deleteri della contrazione.

cementi a base di ossido di zinco, zinco – eugenolo e modificati (acido 2- etossibenzoico o resine),
cementi al fosfato di zinco, cementi policarbossilici e cementi vetro – ionomerici (ASPA).

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