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Ludovico Ariosto
La pazzia di Orlando

L’amore di Orlando per la sfuggente principessa del Catai, la bellissima Angelica,


sembra ormai appartenere al passato, quand’ecco che la passione ritorna, inattesa e
incontrollabile. Dopo un duello vittorioso, Orlando passa casualmente per un bosco,
dove nota che gli alberi portano incise alcune scritte che testimoniano l’amore di
Angelica e Medoro. Egli, tuttavia, non crede ai suoi occhi, finché non incontra un
contadino del posto che gli racconta di aver ospitato due innamorati, Angelica e
Medoro. Orlando non fa trasparire il dolore e accetta di passare la notte ospite del
contadino. Ma la disperazione è troppo grande e, senza aspettare l’indomani, salta in
sella al suo cavallo e fugge, urlando in preda alla follia, per diversi giorni e notti.

Metro: ottava rima. Rime: ABABABCC

129
Pel bosco errò tutta la notte il conte;
e allo spuntar de la diurna fiamma
lo tornò il suo destin sopra la fonte
dove Medoro isculse1 l’epigramma.
5 Veder l’ingiuria sua scritta nel monte
l’accese sì, ch’in lui non restò dramma
che non fosse odio, rabbia, ira e furore;
né più indugiò, che trasse il brando2 fuore.

130
Tagliò lo scritto e ’l sasso, e sin al cielo
10 a volo alzar fe’ le minute schegge.
Infelice quell’antro, ed ogni stelo
in cui Medoro e Angelica si legge!
Così restar3 quel dì, ch’ombra né gielo
a pastor mai non daran più, né a gregge:
15 e quella fonte, già sì chiara e pura,
da cotanta ira fu poco sicura;

1. isculse: scolpì.
2. brando: spada.
3. restar: finirono.
131
che rami e ceppi e tronchi e sassi e zolle
non cessò di gittar ne le bell’onde,
fin che da sommo ad imo4 sì turbolle
20 che non furo mai più chiare né monde.
E stanco al fin, e al fin di sudor molle,
poi che la lena vinta5 non risponde
allo sdegno, al grave odio, all’ardente ira,
cade sul prato, e verso il ciel sospira.

132
25 Afflitto e stanco al fin cade ne l’erba,
e ficca gli occhi al cielo, e non fa motto.
Senza cibo e dormir così si serba,
che ’l sole esce tre volte e torna sotto.
Di crescer non cessò la pena acerba,
30 che fuor del senno al fin l’ebbe condotto.
Il quarto dì, da gran furor commosso,
e maglie e piastre6 si stracciò di dosso.

133
Qui riman l’elmo, e là riman lo scudo,
lontan gli arnesi, e più lontan l’usbergo7:
35 l’arme sue tutte, in somma vi concludo,
avean pel bosco differente albergo.
E poi si squarciò i panni, e mostrò ignudo
l’ispido ventre e tutto ’l petto e ’l tergo8;
e cominciò la gran follia, sì orrenda,
40 che de la più non sarà mai ch’intenda.

Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, Canto XXIII, vv. 129-133, Rusconi

Parafrasi:

129
Il conte vagò nel bosco tutta la notte e al sorgere del nuovo giorno, il destino lo riportò dove
Medoro aveva scolpito l’epigramma. Vedere inciso nella roccia l’affronto lo accese a tal
punto che non provò altro che odio, rabbia, ira e furore e non aspettò oltre a sguainare la
spada.

4. imo: profondo.
5. lena vinta: mancanza di fiato.
6. maglie e piastre: dell’armatura.
7. usbergo: corazza.
8. tergo: schiena.
130
Tagliò la scritta e la pietra con una forza tale che le schegge fini si alzarono in volo fino al
cielo. Infelice quella rientranza ed ogni albero su cui si leggono i nomi di Angelica e
Medoro! Così, quel giorno, gli alberi restarono a terra, cosicché non faranno mai più ombra
né daranno sollievo né al pastore né al gregge: e quella fonte, fino ad allora così limpida e
pura, non fu protetta da un’ira tanto grande,

131
da non far smettere a Orlando di gettare in acqua rami, ceppi, tronchi, sassi e zolle di terra,
fino a che, dalla superficie al fondo, non la turbò così tanto da non permetterle più di tornare
pulita. Infine, stanco e spossato dal sudore, dal momento che il respiro affannato non
sosteneva più lo sdegno, l’odio profondo e l’ira che ardeva, cade a terra sul prato e sospira
guardando il cielo.

132
Triste e stanco cade infine a terra, fissa con gli occhi il cielo e sta in silenzio. Resta lì, senza
mangiare né dormire, per tre giorni e tre notti. Non smise di crescere il dolore lancinante che
lo aveva fatto impazzire. Il quarto giorno, colpito da una follia improvvisa, si stracciò di
dosso l’armatura.

133
Da una parte resta l’elmo, dall’altra lo scudo, lontano le armi, ancor di più la corazza; per
concludere, tutte le sue armi trovavano posto in vari luoghi del bosco. Poi si squarciò le
vesti e mostrava nudi il villoso petto e la schiena; allora cominciò la follia acuta, così tanto
che nessuno può comprendere quanto fosse spaventosa.

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