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Norme Generali Edwin R
Norme Generali Edwin R
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È cosa assolutamente normale il fatto che tale libro risente dell’influsso del CVII: la
commissione incaricata della revisione aveva avuto il preciso compito di tenere in
considerazione tutti i documenti conciliari. Ci limitiamo ad alcuni esempi: si
confrontino il c.22 e il #19 della Christus Dominus (CD) e Gaudium te Spes #74; il c.87
ç1 con CD 8; c. 145 ç1 con PO 20.
Sono i principi approvati dal sinodo dei Vescovi del 1967 per la revisione del Codice.
Tali principi, in pratica, obbligavano i membri della Commissione incaricata della
revisione del Codex ad applicare i pronunciamenti del Concilio stesso.
Alcuni di tali pronunciamenti e principi si trovano, tra le righe, anche nel Libro I come
in tutto il CIC.
Nel primo principio si chiedeva che il nuovo Codice conservasse la sua indole giuridica,
con esigenza di precisione, terminologica e formale, che consentisse una applicazione
chiara e precisa, senza mai perdere di vista la prospettiva salvifica del diritto canonica
en la suprema lex dell’Ordinamento.
La natura giuridica risulta evidente nel Libro I, le norme danno il quadro globale, i
principi ermeneutici, le tipologie normative, le disposizioni procedurali che devono
trovare applicazione e riscontro nell’attività giuridica della Chiesa.
Nel principio terzo: si auspicava che dalla revisione del Codice emergesse chiaramente
la dimensione pastorale della Chiesa e quindi non si dovesse indulgere ad una eccessiva
rigidità rendendo più evidenti la giustizia, la carità, la temperanza, l’umanità e l’equità.
Esempi ne sono il c. 10 che per le leggi irritanti prevede che deve risultare inequivoca la
loro identità; il c. 18 prevede che le leggi penali siano sottoposte a interpretazione stretta
e il c. 19 vieta, in materia penale, l’analogia. Solo per citarne alcuni.
Nel principio quarto e quinto stabilivano che la facoltà di dispensa dalle leggi generali
che erano concesse ai vescovi in forma straordinaria potessero diventare ordinarie,
riservando alla S. Sede solo cause che esigevano un'eccezione. Tale principio ha trovato
accoglienza nel c. 87 che riconosce il diritto del vescovo di dispensare dalle leggi
disciplinari e universali non riservate alla Sede Apostolica.
Il principio sesto trova puntuale applicazione nel Libro I. Si chiedeva che diritti delle
persone fossero definiti e tutelati in modo idoneo. Il c. 57 con la limitazione legislativa
delle discrezionalità del Superiore è finalizzata proprio alla tutela dei diritti del fedele
nella Chiesa così da prevenire ogni forma di arbitrio nell’esercizio dell’autorità.
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Troviamo il CVII anche in altri canoni del Libro I: i cc. 1 e 11, ad esempio che fanno
propri i principi del Concilio di rispetto delle proprie tradizioni e riti; il rispetto dello
spirito ecumenico del c. 11 come anche del c. 96 sul concetto di persona
nell’Ordinamento.
Il CVII si coglie anche nelle disposizioni circa gli uffici ecclesiastici (cc.145-195), la
definizione di Ufficio è tratta da PO 20.
La distinzione tra Chiesa latina e Chiese orientali è di antica origine. Alcuni richiamo:
agli inizi della Chiesa assistiamo al sorgere delle Chiese particolari caratterizzate sia da
vincoli di unità nella fede, nei sacramenti, nella comunione gerarchica ma anche da
grande varietà tra loro in ragione del proprio rito inteso come patrimonio liturgico e
spirituale-teologico.
Una prima ripartizione avviene per motivi politici, operata per la divisione fatta da
Diocleziano, dell’Impero romano in occidentale e orientale, con due distinte capitale.
I due gruppi di chiese conobbero, nel corso del tempo, realtà differenti. Quelle orientali
si caratterizzarono subito per una grande varietà di centri che richiedevano pari dignità
le une tra le altre distribuite nell’Impero; esse mantennero, da sempre, la loro
autonomia. Quelle occidentali, invece, si polarizzarono intorno Roma uniformando
progressivamente il loro rito e patrimonio.
Esse non rimasero estranee alle vicende politiche: nel 1054 ricordiamo il grande scisma
d'oriente. Non tutte le chiese si separarono -ad esempio rimasero la Maronita - e in
seguito alcune delle separate vollero tornare in comunione con Roma (chiese Uniate o
unite). Esse però continuarono a conservare le loro tradizioni.
Alla luce di tale canone il CIC non è fonte di Diritto per le Chiese orientali. Tale
principio non è nuovo. In forma, seppur non così esplicita, era stato affermato già nel c.
1 del Codex.
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Nel rispetto di tali tradizioni si è ritenuto opportuno elaborare un corpus giuridico
differente che, dopo lunghi lavori, iniziati già nel 1929 per decisione di Pio XI vedranno
l’alba il 18 ottobre 1990 con la promulgazione da parte di Giovanni Paolo II del Codex
Canonum Ecclesiarum Orientalium abbreviato CCEO.
La Chiesa cattolica riconosce le chiese orientali tornate alla comunione come cattoliche
e riaspetta il loro patrimonio (Unitatis Redintegratio 17).
Chiese orientali: sono le Chiese riconosciute da Roma nelle varie epoche; il CVII le
chiama chiese particolari o riti.
Da queste cinque diverse tradizioni derivano le rispettive Chiese organizzate nei loro
modi propri ed in comunione con la Chiesa universale.
C. 2:
Sappiamo bene che il Codice non è l’unica fonte normativa per la vita della Chiesa,
anche se è la più importante tra le fonti. È impossibile, come avviene anche negli
ordinamenti civili, avere un unico testo normativo che possa disciplinare la vita intera di
una società che, per sua stessa natura, è in continua mutazione.
Tra le norme che non trovano collocazione del Codice abbiamo le norme liturgiche,
contenute nei relativi libri liturgici ed in altri documenti emanati dalle competenti
autorità della Chiesa.
La Liturgia è il culto pubblico della Chiesa; essa, mentre rende lode a Dio, santifica i
fedeli. L’attore principale è Cristo stesso.
La Liturgia si esprime attraverso delle azioni liturgiche, regolate dalla Chiesa stessa
proprio perché atto di culto. La regolamentazione ha lo scopo di assicurare sia validità
degli atti posti in essere, in modo particolare, nei Sacramenti sia la liceità e fruttuosità in
modo che l’azione liturgica raggiunga il suo fine che è la glorificazione di Dio e la
santificazione dei fedeli.
Le azioni liturgiche si esprimono attraverso i riti che sono regolati dai libri liturgici
appositi che prevedono come tali riti devono essere posti e vissuti.
L’insieme della normativa che riguarda i riti liturgici costituisce il diritto liturgico in
senso proprio e stretto. Esso ha come oggetto il rito stesso, gli elementi che lo
costituiscono.
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Il Codice, per sua natura, non si interessa del diritto liturgico in senso proprio e stretto: i
libri liturgici in vigore già prima del 1983 conservano intatta la loro validità. Tuttavia
qualora il Codice dovesse disporre su tali materia, è ovvio che essa prevale sul diritto
liturgico pre esistente. In tale prospettiva si comprende la revisione dei libri liturgici
operata dopo il 1983.
Oltre il diritto liturgico in senso stretto, che ha per oggetto i riti e la loro
regolamentazione esiste un insieme di norme che riguardano la liturgia in senso ampio,
in modo indiretto e mediato. Tali norme, più che avere como oggetto la liturgia in sé,
toccano ciò che attiene la liturgia in senso ampio: sono norme liturgiche in senso ampio
quelle che non si riferiscono direttamente ai riti ma si limitano piuttosto ad indicare i
loro elementi istituzionali, quali sono, ad esempio, quelli che determinano i requisiti che
devono verificarsi nelle persone, negli oggetti, nei luoghi interessati alla liturgia.
Le norme liturgiche in senso ampio sono oggetto del Codice: esso tratta norme
disciplinari circa la liturgia piuttosto che norme propriamente liturgiche.
Le fonti del diritto liturgico: sono indicate nel c. 838 che ha come sua fonte principale la
SC 22.
Il canone dopo aver affermato l’esclusiva competenza della Chiesa in materia liturgica,
stabilisce ciò che spetta alla Sede Apostolica, alle Conferenza Episcopale e ai singoli
Vescovi.
Per Santa Sede, si intende lo stesso Romano Pontifice o una dicastero della Curia
Romana. In materia liturgica è competente la congregazione per i Sacramenti ed il
Culto divino (PB 62).
Le fonti conoscitive del diritto liturgico sono i libri liturgici sia a livello universale che
particolare.
Il codice non definisce i riti che devono essere osservati nelle celebrazioni liturgiche.
Con i termine rito, qui, deve intendersi l’ordinamento sostanziale dell’azione liturgica.
Il canone afferma che il codice non definisce, il più delle volte, i riti, può però farlo. In
seguito di ciò:
Le leggi liturgiche vigenti prima del CIC permangono nel suo valore. Per leggi
liturgiche qui si intendono le norme che regolamentavano i riti prima del codice. Esse
continuano a godere della propria autonomia rispetto al CIC. Decadono solo se
risultano contrarie al CIC stesso.
Canone 3.
Anche le norme di carattere pattizio che la Santa Sede ha concordato prima del CIC non
vengono toccate. Esse conservano la loro autonomia ed il loro valore obbligante.
La prassi di stipulare convenzioni con altre Nazioni è tradizione antica per la Santa
Sede. Tali convenzioni possono avere i nomi più diversi: concordati, protocolli, accorti,
patti). La forma più ampia e solenne è data dal Concordato che costituisce un trattato di
diritto internazionale tra enti sovrano per regolare ambiti di interesse comune.
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Vale anche per la Santa Sede il principio di diritto pacta sunt servanda. È ovvio che tali
convenzioni non possono essere normate dal CIC essendo internazionale il loro
carattere.
Il CIC in tale canone si riferisce solo ai trattati stipulati dalla Santa Sede. Restano
esclusi quelli delle Conferenze Episcopali e dei singoli Vescovi: in tali ultimi due casi
se tali accordi violano il CIC essi non si considerano validi e devono essere considerati
abrogati.
Canone 4.
Il canone parla di diritti acquisiti e di privilegi. Si può verificare il caso in cui, sotto il
regime della precedente Legge gli effetti giuridici di atti compiuti sotto la vigenza di
precedenti leggi continuino a permanere nel tempo. La legge è la fonte del diritto e può
capitare che una legge nuova possa modificare le cose e le materie. Si può verificare
anche il caso in cui una legge nuova fa cessare la facoltà che quella antica riconosceva.
Il canone regola ta li diritti o facoltà che venivano riconosciuti dalla precedente legge e
consente di mantenerli. Diritto acquisito: si può parlare di essi solo quando in base ad un
preciso fatto o atto posto, la legge in vigore ha attribuito determinati effetti che sono
entrati nel patrimonio giuridico del soggetto. A meno che non siano espressamente
revocati dai canoni del presente codice.
Una volta acquistati non si perdono più. (se per laurerami occorrevano 20 esami, il fatto
che la nuova legge ne prescrive 30 non toglie il titolo a chi lo ha conseguito sotto la
vigenza della precedente normativa).
27 febbraio
Considerazioni Introduttive.
Quando parliamo delle fonti del diritto intendiamo riferirci alle fonti che producono il
diritto e che creano norme giuridiche.
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esecutiva sono subordinate a quella legislativa e devono operare sempre nell’osservanza
delle leggi.
Questo discorso conduce a delle riflessioni circa la differenza tra la suddivisione di
poteri - di stampo illuministico - che le moderne società hanno teorizzato e realizzato
per arginare l’arbitrio dei regnanti e, invece, la compagine ecclesiale.
Nel corpo mistico della Chiesa il fatto che l'autorità possa prevaricare sui singoli
battezzati costituisce una preoccupazione estranea, aliena dalla stessa natura della
Chiesa. Va altresì ricordato che lo scopo dell'ordinamento nella chiesa non è la
protezione dei diritti ma la realizzazione della communio e il raggiungimento della salus
animarum che nell’ordinamento è suprema lex.
Per questo motivo non si è mai posto come di primaria importanza tale distinzione.
La tradizione canonica non accetta la separazione dei poteri come avviene nello Stato:
tutta l'autorità conferita da Cristo deve essere esercitata in modo congiunto per il bene e
la salvezza delle anime.
I c. 7-95 trattano, pertanto, delle fonti del diritto escluse quelle della potestà giudiziaria
che vedrete del Liber VII.
1) Legge: posta dalla potestà legislativa e data per iscritto a una comunità per il suo
bene. (cfr. S Tommaso)
2) Consuetudine: si tratta di una legge non scritta con la caratteristica che trae origine
da un comportamento della comunità con l’intenzione di obbligarsi ad esso
implicitamente o esplicitamente approvato dal legislatore.
3) Legge in senso proprio e anche il decreto generale che viene emanato da un'autorità
priva del potere legislativo ma in forza di una delega, oppure emanata dal potere
legislativo ma senza le procedure previste dalla via ordinaria.
4) Decreto generale esecutivo e istruzioni: appartengono alla potestà esecutiva ma
hanno stretta relazione con le leggi di cui ne presuppongono l'esistenza e sono
appesi vincolate e subordinate.
5) Atti Amministrativi singolari: riguardano persone singole o singoli casi ed investono
il potere amministrativo nella chiesa. Tra essi ricordo I decreti e i precetti. I primi
hanno per oggetto una decisione, i secondi un comando.
6) I privilegi: appartengono al genere dei rescritti. Sono atti mediante i quali il
superiore con potestà legislativa, anche se con un atto di carattere amministrativo,
concede una situazione. Hanno la peculiarità ed il valore della legge.
7) La dispensa: ha natura di atto amministrativo singolare ed è concessa in forza della
potestà esecutiva. È una specie di rescritto in quanto presuppone una richiesta. La
dispensa ha valore normativo in quanto toglie l'obbligo dell'osservanza di una
norma.
8) Per quanto riguarda gli statuti ed i regolamenti siamo fuori degli atti amministrativi
singolari. La loro natura giuridica va esaminata alla luce della natura dello stesso
soggetto che emana tali norme; essi possono rientrare nel concetto di leggo oppure
avere il carattere di pattuizione tra privati.
Parliamo di fonti del diritto perché siamo di fronte un insieme di luoghi giuridici da cui
scaturiscono norme giuridiche oggettive per l'intera Chiesa, per il suo modificarsi e
attuarsi.
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Primo Gruppo.
Annovera gli istituti giuridici relativi alle fonti del diritto canonico di natura generale di
cui si occupano i primi tre titoli:
- le leggi,
- Le consuetudini,
- I decreti generali
- Istruzioni
LA LEGGE
Il codice non una offre definizione di legge. La canonistica tradizionale ha fatto sempre
riferimento al concetto di legge che troviamo in Santo Tommaso: la legge non è che un
comando della ragione ordinato al bene comune, promulgato da chi è incaricato di una
collettività (S. Th, I-II, q.90, a.4)
Secondo tale definizione la legge è una ordinatio, cioè un atto di volontà di colui che ha
la cura della comunità E che impone, per il bene della comunità stessa, di fare o non
fare qualcosa.
Il comando deve avere una intrinseca razionalità ed essere conforme alla ragione
umana.
Il comando ha poi la caratteristica della imperatività cioè è obbligatorio in quanto viene
promulgato dal chi ha l'autorità per condurre la comunità al suo fine.
A dire il vero in occasione di revisione del codice venne proposta una definizione di
leggi che però non appare nel testo promulgato dal papa. La definizione, nello schema
codicis del 1980, al c.7 diceva: Lex, norma scilicet generalis ad bonum commune alicui
communitati a competenti autoritate data, instituitur cum promulgatur.
Dal c. 29 possiamo però, indirettamente ricavare una definizione di legge. Siamo nel
contesto dei Decreti Generali e qui si afferma che essi sono propriamente leggi. Di tali
dei crediti viene data una definizione: dal legislatore competente vengono date
disposizioni comuni per una comunità capace di ricevere una legge.
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esige che la legge chiede comportamenti che l'uomo, per sua natura, non potrebbe
realizzare.
- Generalità
- Astrattezza
- Certezza
- Stabilità
- Esteriorità
Generalità:
La legge ha la funzione di regolare la vita di una comunità e dei suoi soggetti nel loro
rapporto interpersonale. Le legge non potrà mai riferirsi un singolo soggetto. La
comunità dei fedeli è la destinataria della legge. Non si tratta di una qualsiasi comunità:
è la comunità capace di ricevere le leggi. È tale una comunità che sia persona giuridica
pubblica nella chiesa e che sia parte delle sue struttura in modo che su essa possa
esercitarsi la funzione legislativa. Deve trattarsi di comunità pubblica e di un bene
pubblico da perseguire a nome della Chiesa.
La fattispecie può essere generale ed astratta quando si parla di quella contenuta nella
legge. Con tale termine si può però indicare anche un caso concreto che costituisce,
appunto, la fattispecie concreta.
Con la generalità e l'astrattezza si intende indicare che la legge deve essere in grado di
normare un numero illimitato di casi.
Certezza:
E la qualità che deriva dalla natura normativa della legge. Se la legge deve regolare i
rapporti della comunità essa non sarebbe normativa se non si presentasse certa in ciò
che vuole regolare è normare. Una legge incerta non può essere tale perché
interpretabile in vari modi e quindi non più legge univoca per tutti.
Stabilità:
Essa è inerente la stessa nozione di legge che, per sua natura, ha una certa nota di
perpetuità giuridica nel senso che, in genere, non ha limite di tempo. La Stabilitas
appartiene alla stessa categoria del bene comune in quanto una variazione troppo
frequente delle norme contribuisce ad una instabilità dei rapporti giuridici che diviene,
poi, nociva. Santo Tommaso stesso afferma che le leggi non devono mutare troppo
facilmente (S. Th., I-II, q.97, a.2)
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Esteriorità:
La legge regola i rapporti tra i membri di una comunità; non possono che essere I
rapporti esterni, rapporti che si pongono mediamente la corporeità e giungono nel
mondo esterno. Ciò non significa che il rapporto si limiti alla esteriorità o li si esaurisce.
Si vuole sottolineare che la legge norma quei rapporti che, pur avendo origine nel cuore
umano, sfociano poi comportamenti esterni. Ricordate la frase: non si processano le
intenzioni.
Possono presentarsi come consuetudine con forza di legge (can. 23-26) o come statuti
perché promulgati in forza di una autorità legislativa (can. 94, s3)
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Anche in ragione dell’Autore possono assumere svariate forme: si pensi alla pluralità di
atti di cui dispose il Romano Pontifice (costituzione apostoliche, motu proprio,
decisioni, dichiarazioni, etc.)
Can. 7: la legge si dice istituita quando viene all’esistenza come legge. Come tale,
esiste in forza di un atto del legislatore. Il codice coglie il momento promulgativo come
momento istitutivo della legge.
La promulgazione è l’atto pubblico tramite il quale chi ha la potestà legislativa intima
alla comunità una norma obbligante.
La promulgazione è l’atto più importante nel processo formativo della legge perché
istitutivo di essa. Non dobbiamo però dimenticare tutto l’iter che si deve compiere per
arrivare qui: consultazione della comunità e non arbitrio; la legge deve essere opus
sapientiae e per questo deve essere ascoltata la comunità. In tal senso anche
l’imperatività della legge acquisisce tutto un altro sapore.
Can. 8: la promulgazione è l’atto con cui si istituisce la legge. Non si tratta di una
semplice comunicazione informativa bensì della trasmissione di un comando che è
vincolante dal punto di vista giuridico. Di solito la legge non entra in vigore al momento
della promulgazione; ad essa segue la vocatio legis che dà alla comunità la possibilità di
conoscere circa l'esistenza della nuova legge. Il periodo varia a seconda della legge
universali ho particolare o in base a quanto in esse stesse stabilito. Il modo di
promulgare le leggi e il tempo di vacanza sono regolati dal can. 8
Le Leggi universali sono promulgate negli Acta Apostolicae Sedis. Il periodo di vacanza
è di tre mesi da computarsi a partire dalla data del fascicolo di pubblicazione. Possono
essere previste modalità diverse di pubblicazione, come ad esempio sull’Osservatore
Romano, si tratta però di casi particolari. Il periodo di tre mesi è norma generale. La
stessa legge può stabilire un tempo più breve come anche più lungo.
5 marzo
LE LEGGI ECCLESIASTICHE
Can. 8
Si colgono così tre momenti nel processo attraverso il quale una legge viene alla nascita:
la fase istitutiva con la quale la legge nasce e viene posta in essere; la fase promulgativa
con la quale la legge è data come norma obbligante, la pubblicazione con la quale viene
portata a conoscenza della comunità.
È ovvio que questi tre momenti sono contestuali nel processo di formazione della legge
canonica ma è sempre utile dare uno sguardo più analitico per una maggiore
consapevolezza.
Can. 9
Si stabilisce il principio dell’irretroattività delle leggi. Tale principio ha grande valore
per la vita ecclesiale: è garanzia di sicurezza nei rapporti interpersonali e giuridici. Non
esclude tuttavia, che in alcuni casi il legislatore possa ravvisare la possibilità di
estendere gli effetti della legge nuova al passato: ciò dovrà essere fatto nominatamente,
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afferma il can. 9, indicando di volta in volta quando la legge si applica al passato. In
questi casi non vengono eliminati i diritti acquisiti (can. 4) bensì viene regolata in modo
nuovo la modalità di esercizio dei diritti o e delle facoltà acquisite...esempi di eccezioni
alla irretroattività:
Interpretazione dichiarativa, can. 16, S2. È il caso della interpretazione che riguarda
una legge passata. L’interpretazione dichiarativa di una legge non dubbia non crea
diritto né modifica gli effetti delle leggi. Il contenuto della dichiarazione ha però
carattere retroattivo.
Can. 1313, S1: il caso di applicazione della legge più favorevole in materia penale. Caso
di retroattività.
Can. 10
Anche nella Chiesa ci si è posti il problema degli atti compiuti contra legem ossia di
come valutare dal punto di vista giuridico gli atti posti in difformità a prescrizioni di
legge concernenti la capacità del soggetto, la sostanza, la forma o altro requisiti richiesti
dalla legge stessa.
Il can. 10 afferma che il Legislatore può fissare determinati requisiti e condizioni che
dovranno essere rispettati, pena la nullità dell’atto stesso.
Tale scopo si raggiunge con le leggi irritanti o inabilitanti. Sono irritanti o inabilitanti
quelle leggi che stabiliscono la nullità dell’atto posto in difformità con la disposizione
legislativa o l’inabilità della persona a porre un determinato atto.
La violazione delle leggi irritanti e inabilitanti rende nullo l’atto posto. È di facile
comprensione la differenza: nel caso di leggi irritanti queste concernono l’atto
dichiarandone la sua nullità se posto in dissonanza con certi requisiti.
L’assenza di tali requisiti o dell’abilità della persona renderà nullo l’atto solo se ciò è
espressamente affermato dalla legge. In assenza di tale statuizione l’atto rimane valido
anche se illecito.
Viene adottata la regola generale che dispone la validità dell’atto contra legem salvo
espressa previsione normativa. È una esigenza di fermezza del diritto.
Can. 11
Il canone determina i soggetti passivi delle leggi ecclesiastiche e, dal testo, si evincono
tre criteri di assoggettazione:
1. Criterio ecclesiologico
2. Criterio psicologico
3. Criterio cronologico
1. Criterio ecclesiologico.
Il primo criterio afferma che sono soggetti alle leggi ecclesiastiche coloro che sono stati
battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti. Con l’espressione vel in eadem recepti
ci si riferisce a coloro che sono stati battezzati in confessioni cristiane acattoliche e
successivamente sono entrati a far parte della compagine ecclesiale secondo i tre vincoli
di appartenenza dati dal can. 205: il vincolo della professione della fede, dei sacramenti
e del governo ecclesiastico.
2. Criterio Psicologico
Tale criterio afferma che, chi non ha un sufficiente uso di ragione è escluso
dall’osservanza delle leggi ecclesiastiche. Questo perché lo stato psicologico di un
soggetto può non permettere di poter sentire come obbligante una legge o può anche
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essere in condizioni di non osservarla. Il canone non dice che la mancanza dell’uso di
ragione toglie l’obbligo dell’osservanza ma dice che non si è sudditi della legge. Non si
tratta di dispensa ma di esenzione.
Tale contesto porta alla nostra considerazione il caso degli intervalli lucidi e stati di
demenza transitoria. Come considerarli? Il legislatore ha voluto considerare come
prevalenti gli stati di non uso di ragione e quindi di non assoggettare mai tali soggetti,
anche se transitoriamente sarebbero capaci in relazione all’intervallo di lucidità.
3. Criterio cronologico
Tale criterio afferma, in via generale, che si è tenuti ad osservare le leggi ecclesiastiche
se si sono compiuti i sette anni di età. Si tratta di una condizioni cumulativa a quella
dell’uso di ragione. Le due condizioni devono essere presenti in modo simultaneo: per
essere sottomessi alle leggi ecclesiastiche non basterà aver compiuto i sette anni ma sarà
altresì necessario aver l’uso della ragione.
Cann. 12-13
Le leggi sono sempre di natura personale perché raggiungono la persona e ad essa si
rivolgono. Tuttavia l’uomo esiste nello spazio e nel tempo. La sua attività può
estendersi oltre l’ambito diocesano, nazionale: come dovrà comportarsi in simili
situazioni?
Il principio di personalità delle leggi consiste nel prendere come punto di partenza una
determinata qualità della persona: il fatto di possedere o no tale qualità rende la persona
assoggettabile o meno a tale legge. Siccome tale qualità è portata dalla persona con sé,
si dirà che tali leggi adhaeret ossibus, obbligando la persona ovunque ella va.
Il principio di territorialità rende sudditi di una legge per effetto del domicilio o quasi-
domicilio in un determinato territorio. Il territorio è un fatto a cui il Legislatore ha
annesso determinati effetti giuridici, primo fra tutti la sudditanza ad una legge.
Si è pertanto sottoposti alla legge in quanto si è nel territorio; fuori del territorio non si è
più sudditi di dalle legge.
Can.12 SS 1-2.
Le leggi universali obbligano in tutta la Chiesa tutti coloro per i quali sono date.
Appunto perché universali sono per tutta la Chiesa. Ma non tutte le leggi universali -
come già accennato- sono per tutti i fedeli. Di fatto possono riguardare solo alcune
categorie, in tal caso si parla di leggi speciali. Per il fatto che possono riguardare solo un
settore del popolo di Dio tali leggi non cessano di essere universali né diventano per
questo personali.
s3. Le leggi particolari territoriali sono quelle date per un determinato territorio. Ad esse
si è assoggettati in forza del domicilio o quasi-domicilio. Essendo territoriali si è tenuti
all’osservanza se di fatto si vive in quel territorio.
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Can 13.
Intende offrire alcuni ulteriori criteri per una corretta applicazione dei suddetti principi.
Si distinguono così i forestieri (peregrini) dai girovaghi (vaghi).
Il forestiero è colui che si trova fuori sede non sono obbligati alle leggi del loro
territorio fintantoché sono assenti, con ovviamente l’eccezione che la trasgressione
possa recare danno alla comunità a cui si appartiene, anche se compiuta fuori territorio.
I forestieri, in linea generale, sono tenuti alle leggi del territorio in cui si trovano.
I girovaghi sono tenuti sia alle leggi universali che a quelle particolari vigenti nel
territorio in cui si trovano. Non avendo né domicilio né quasi domicilio, diventerebbero
altrimenti senza legge, almeno quelle particolari e ciò costituirebbe un vuoto legislativo.
Can 14.
Una delle caratteristiche fondamentali delle leggi e l'alloro certezza. Il Legislatore,
dovendo normare i comportamenti della comunità, non può non volere leggi chiare e
certe. Tuttavia, essendo leggi generali e astratte, si possono verificare nei fatti delle
situazioni nuove ed impreviste che non rientrano nella formulazione generale della
legge. A volte la stessa formulazione della legge può essere non tanto accurata e
presentare aspetti oscuri per cui la loro comprensione non è chiara e certa. Può capitare,
così, che la legge risulti dubbia.
Dubbio di diritto: si ha quando il dubbio riguarda l'esistenza stessa della norma (per
esse. Se è entrata in vigore o no, la sua estensione, se sia cessata o meno) o sulla sua
portata di significato. Si dice di diritto perché il dubbio riguarda la norma stessa come
forza giuridica vincolante il comportamento. Il dubbio può riguardare la norma nella sua
totalità oppure soltanto un suo aspetto.
Dubbio Positivo: quando si hanno motivi oggettivi reali per dubitare del fatto o della
norma che regola il fatto.
Dubbio Probabile: I motivi che fanno sorgere il dubbio debbono essere di una validità
tali che pur non raggiungendo la certezza morale, sono di un grado di probabilità per cui
l’opinione opposta, pur essendo probabile, non ha rilievo di certezza e non prevale sul
dubbio.
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Le leggi dubbie di diritto non urgono, non sono obbliganti. È come se non esistessero e
si applica il noto principio lex dubbia lex nulla. Il principio riguarda anche le leggi
irritanti e inabilitanti. In riferimento a tali leggi se il dubbio riguarda l’aspetto irritante o
inabilitante e non il contenuto percettivo o proibente, allora tali leggi urgono non sotto il
primo aspetto bensì soltanto nel loro contenuto normativo.
Nel dubbio le leggi urgono ma tale dubbio si può ricorrere all’Ordinamento per Ottenere
la dispensa.
Can 15.
Dal dubbio si distinguono l’ignoranza e l’errore.
L’ignoranza è la semplice assenza di conoscenza della legge, mentre l’errore è un
giudizio falso sulla legge.
Anche se sono esperienze diverse esse hanno la medesima radice: nascono dalla non
conoscenza esatta della legge.
L’ignoranza o l’errore non sono considerate cose ovvie dal Legislatore visto l’obbligo di
tutti i battezzati di conoscere le leggi che normano la vita ecclesiale. Tuttavia non sono
rari i casi in cui la legge è ignorata o conosciuta male e anche tale ipotesi è prevista dal
Legislatore.
La legislazione tiene due livelli di considerazione e stabilisce norme diverse a seconda
che si tratti di leggi irritanti o inabilitanti o altre tipologie di norme.
L’ignoranza legis è definita come una carenza di scienza che riguarda l’esistenza, la
natura, l’estensione, la portata o la comprensione della legge per cui non si è in grado di
intendere che la propria condotta con i suoi effetti sono contrato alla legge. L’ignoranza
può essere parziale della legge, nel secondo caso se ne ha una conoscenza parziale; pur
essendo tale conoscenza sufficientemente precisa non si è però in grado di comprendere
che il proprio comportamento viola la legge.
Il soggetto è in grado di valutare gli effetti mescenti dalla propria condotta ma non è in
grado di valutare il carattere antigiuridico e quindi tali effetti vengono erroneamente
considerati conformi alla legge.
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Si ha ignoranza invincibile e vincibile. La prima (invincibile) non è imputabile alla
volontà del soggetto; la seconda (vincibile) è frutto di colpa o negligenza, malizia o
premeditazione, in tale caso l’ignoranza è imputabile al soggetto.
In sintesi affermiamo che l’ignoranza vincibile dipende dalla volontà del soggetto che
non ha voluti informarsi o non ha fatto quanto poteva e doveva, mentre l’ignoranza
invincibile è indipendente dalla volontà del soggetto ed è sempre voluta, direttamente o
indirettamente, e quindi colpevole, in quanto é voluta la causa dell’ignoranza.
Esso dispone che l’ignoranza e l’errore circa le leggi irritanti e inabilitanti non
impediscono l'effetto delle medesime, a meno che non sia stabilito espressamente altro
(S1). Data la particolare natura di tale leggi si esige la massima certezza nella loro
applicazione. Tale cosa sarebbe impossibile se la loro efficacia dipendesse dalla
conoscenza dei sudditi.
Se l’ignoranza verte invece su altre leggi o su altri fatti l’atto posto, sia pure per
ignoranza, ha la sua efficacia in quanto la legge non lo rende nullo.
Il S2. Offre dei criteri di presunzione. La presunzione consiste in una presa di posizione
della legge che stabilisce un criterio di verità come punto di riferimento che rimane
valido finché non sia provato il contrario.
Due sono le ipotesi circa la presunzione: l’ignoranza o l’errore circa un fatto personale
o un fatto notorio di altri non si presumono. La ragione è evidente. Il Codice dà per
assodata la conoscenza dei fatti che riguardano la nostra vita e dei fatti notori della vita
altrui. Attenzione però all’espressione: non è detto che si presume la conoscenza ma che
15
non si presume l’ignoranza o l’errore. È aperto ad esaminare gli elementi così come si
presentano.
La presunzione di ignoranza è invece stabilita per un caso solo: un fatto non notorio di
altri. Tale presunzione è iuris tantum e ammette la prova contraria. L’onus probandi
cade su chi vuole dimostrare il contrario. Esse: impedimenti matrimoniali, agli ordini
sacri.
Can. 16-18
Una delle legge esigenze fondamentali dell’ordinamento è quella della retta e giusta
interpretazione della legge. Essa costituisca una delle attività più importanti che il
canonista è chiamato a fare.
Le regole fondamentali per l’interpretazione delle leggi sono date dai cann. 16-18 e
sono il risultato di una lunga tradizione dottrinale in materia. In molti casi non si
pongono particolari problemi interpretativi perché il testo è chiaro e certo; può darsi
tuttavia il caso in cui si verificano delle incertezze.
Ciò premesso entriamo nello specifico del can. 16 che riguarda l’interpretazione
autentica.
16
Can. 16
L’interpretazione autentica si impone con lo stesso valore della legge. Essa può essere
data solo dal Legislatore o da chi ne abbia la potestà in virtù di una concessione.
Quando si parla di Legislatore non si fa riferimento al soggetto bensì all’Ufficio che ha
competenza sulla Legge. Può essere infatti anche il successore.
Trattandosi di potestà legislativa, dobbiamo richiamarci per attimo al can. 135 s.2 che
stabilisce come la potestà legislativa non può essere delegata se non è disposto
esplicitamente altro dal diritto. Ciò vale per la autorità inferiori alla Sede Apostolica per
la quale, invece, è stato istituto il Pontificio consiglio per i testi legislativi. La sua
competenza non è limitata all’interpretazione del codice ma di tutta la normativa della
Chiesa.
L’interpretazione autentica può essere fatta in una triplice maniera: a modo di legge, a
modo di sentenza giudiziale, a modo di atto amministrativo. Si noti l’espressione a
modo di.
Con essa si vuole indicare che propriamente non è una legge, né una sentenza, né un
atto amministrativo. Si intende invece affermare che l'interpretazione è contenuta in un
atto che è emanato come una legge, sentenza o atto amministrativo.
Can. 17.
Viene anzitutto offerto un criterio unico: le leggi ecclesiastiche sono da intendersi
secondo il significato proprio delle parole, considerato nel testo e nel contesto. Gli altri
criteri sono sussidiari e vengono in aiuto quando il primario non è sufficiente. La
dizione del can. 17 non lascia dubbi: …che se rimanessero dubbie e oscure, si deve
ricorrere…
Criterio primario: è il senso proprio delle parole. Viene perciò escluso il senso
metaforico e traslato. Tuttavia il senso proprio suo essere molteplice a seconda che si
intenda quello etimologico, usuale, tradizionale o giuridico. Non necessariamente il
senso proprio indica un senso univoco. È ovvio che il primo senso è quello giuridico.
Rimane però aperta la possibilità anche per gli altri sensi propri.
17
Il senso si cerca poi nel testo e contesto, cioè nel testo della legge stessa intesa però nel
contesto delle altre leggi ed in relazione alla semantica codiciale: il Codice può essere
visto come una legge unitaria.
Si ricorda che i criteri sussidiari sono utilizzabili solo quando il criterio primario Nan
rende la legge chiara e certa. Il significato della legge, infatti, va desunto dal testo e
dal contesto della stessa.
Can. 18
Interpretazione stretta: in alcuni casi il Legislatore chiede una interpretazione stretta
della legge. Sono tre casi:
i) Le Leggi Penali: con l’interpretazione stretta della legge penale la sua portata è
limitata e sono minori le possibilità di incorrervi. Di per sé l'interpretazione stretta
non coincide con la più benevola.
j) Più difficile determinare la portata delle altre due ipotesi: di fatto ogni legge
restringe il libero esercizio dei diritti. Possiamo dire che vi sono leggi che
autorizzano o riconoscono uno spazio di libero esercizio dei diritti. Tali diritti
possono avere delle restrizioni e le leggi che impongono tali restrizioni sono
sottoposte ad interpretazione stretta.
k) Quando al terzo caso, l’eccezione alla legge esse sono le leggi speciali che
derogano a quelle generali. In tal caso la legge generale già prevede la possibilità di
una restrizione. L’eccezione è da ritenere in senso stretto.
Can. 19
Il Legislatore, per quanto attento, non potrà mai normare tutte le fattispecie che la vita
concreta di una comunità e il correre dei tempi possono costituire. Si può verificare,
quindi, un vuoto legislativo o lacune dell’ordinamento per cui si impone la necessità di
integrare i comandi legali. Le lacune legislative sono inevitabili per i motivi detti. Il
Legislatore offre i criteri per simili casi nel can. 19, sono criteri suppletivi:
l) Le leggi date in casi simili si tratta di tener presente una legge che norma un caso
simile. Si parla di analogia legis. La questione si complica quando mancano anche
leggi per i casi simili. Si dovrà ricorrere alla
m) Analogia Iuris: è il riferimento ai principi generali del diritto come la rationalitas, il
bene delle anime, la dignità del cristiano in forza del battessimo, la collegialità
episcopale, solo per indicarne alcuni. Sono come degli orientamenti che stanno alla
base di diritto l’ordinamento canonico, tali principi vanno applicati con equità.
n) La giurisprudenza, rotale in modo particolare.
o) Il modo di sentire comune dei dottori e della tradizione canonica.
Cann. 20-21
18
L’abrogazione si verifica quando la legge viene cancellata in toto, la deroga quando
invece modifica na parte. Il can. 20 prevede 3 modi di abrogazione e deroga:
p) Menzione espressa: in questo caso l’abrogazione o la deroga sono espressamente
poste nella legge posteriore, anche se può dirlo in modo implicito (ricordiamo il
termine espressamente non significa solo esplicito anche implicito).
q) È direttamente contraria: si ha tale caso quando l’osservanza della norma posteriore
è esclude quella della norma anteriore. Si tratta di incompatibilità di norme che può
vertere su tutta la legge (abrogazione) o su parte (deroga).
r) Riordinamento integrale della materia: si riprende in mano tutta la materia e quindi
si ha una nuova legislazione. La precedente si considera abrogata o derogata.
Il can 20, nella seconda parte, stabilisce un criterio suppletivo: la legge universale non
deroga al diritto particolare a meno che non sia disposto espressamente. Questo per
motivi già visti: il legislatore universale non può avere in mente e conoscere tutte le
situazioni della Chiesa, rimanda perciò ai legislatori particolari il dovere di normarli.
El can. 21 ci fa capire il principio secondo il quale , nel caso di successione di leggi net
tempo, l’abrogazione della precedente non si presume affatto ma deve essere indicata.
Questo perché non necessariamente le leggi che normano la stessa materia vertono sui
medesimi ambiti. Si potrebbe trattare di un ampliamento do estensione della disciplina
già vigente.
Can. 22: la Chiesa è autonoma nel proprio campo ed è libera da ogni legislazione
esterna per quanto riguarda la sua vita interna. Tuttavia nel tempo la Chiesa ha sempre
mostrato interesse per le leggi civili: i fedeli sono anche contemporaneamente cittadini
di uno Stato. Non di rado la Chiesa ha accolto e coglie le norme che ritiene valide anche
per il suo ordinamento. Tale fenomeno si chiama canonizzazione: con tale processo una
legge che appartiene ad un altro ordinamento viene fatta propria dalla Chiesa che le dà
valore facendola divenire anche sua legge. Spesso ciò accade nella normativa sui beni
temporali (Lib. V)
Abbiamo due limiti: le leggi statali non devono essere contrarie al diritto divino o a
disposizioni del diritto canonico. Dalla armonisia ione si differenzia il semplice
richiamo all'osservanza delle leggi statali
Cann. 23-28:
Il tema della consuetudine è stato sempre oggetto di vivace discussione e interesse da
parte della dottrina. La consuetudine si definisce quale norma oggettiva non scritta
introdotta dalla prassi della comunità. La consuetudine deriva dal diritto romano, per lo
più consuetudinario. È solo nel 1234 che Gregorio IX, nella Decretale Quun tanto, dà
ufficialmente spazio alla consuetudine nell'ordinamento della Chiesa, considerandola a
pieno titolo come fonte del diritto a condizione, però, che sia ragionevole e
legittimamente prescritta.
19
La consuetudine è stata discussa in dottrina perché non sarebbe fonte certa e stabile del
diritto ma provocherebbe una realtà fluttuante e indecisa. (Cfr. Wernz) mentre altri la
vedono necessaria solo in caso di insufficienza della legge (Cfr. Michiels).
Cann. 23-28
La tradizione canonistica, pur non riconoscendo la volontà popolare quale fonte del
diritto e della legge, ha dato grande rilievo al fenomeno consuetudinario. Vi è chi vede
nella consuetudine la possibilità di inculturazione giuridica del messaggio evangelico e
di adattamento della legge universale alle varie realtà particolari. Laddove ciò avvenisse
solo attraverso interventi legislativi si avrebbe il rischio di una lentezza pericolosa e
dannosa per la comunità stessa.
Parte della dottrina sostiene che tale fondamento sia rinvenibile nel sensus fidei
fidelium, nella capacità da parte del Popolo di Dio di cogliere la verità di fede. Il popolo
di Dio sarebbe abilitato dallo Spirito Santo non solo a cogliere l verità teologica ma
anche la concretizzazione pratica di quanto intuito.
Tale proposta seppur pregevole, ha dei limiti: non possiamo trasporre nella
consuetudine tutto il contenuto teologico del sensus fidelium che è una realtà propria
della Chiesa universale con un contenuto immutabile, mentre la consuetudine si muove
su un piano contingente e muta con le circostanze. Resta però il fatto che il battezzato
può cogliere la verità di fede che potrà sentire come ragionevole e giuridicamente
vincolante.
S. Tommaso: il fedele attraverso il suo comportamento ripetuto nel tempo può
individuare enucleare ed esprimere principi giuridici vincolanti che arrivano a creare
nuovo diritto modificando il precedente.
Can 23.
Tale canone afferma che la consuetudine si struttura per la compresenza di una causa
materiale, rinvenibile nel comportamento della comunità e di una causa formale,
rinvenibile nell'intervento del Legislatore.
La consuetudine acquista forza di legge per un concorso di volontà dei fedeli che si
esprime attraverso un certo comportamento e l'intervento autoritativo del Legislatore
che si esprime attraverso l'approvazione. La tradizione della Chiesa ha sempre distinto
un'approvazione specifica da un'approvazione legale o generica. Quella specifica si
verifica allorché il legislatore, venuto a conoscenza di un certo uso, lo fa proprio,
approvandolo come vera legge anche prima del decorso del tempo stabilito.
Can. 24
20
Tra i requisiti previsti per approvazione legale si fa menzione della conformità al diritto
divino e della razionalità.
Il primo requisito è evidente nella sua enunciazione e nella sua necessità. Nessuna legge
umana può essere contraria al diritto divino inteso quale nucleo irreformabile della
rivelazione in tema di fede e costumi (pensiamo a consuetudini che introducono la
simonia o l'usura).
Can. 24
Cosa vuol dire che tale consuetudine deve essere razionale? Si intende che essa deve
essere congruente al bene comune, ovvero che tale consuetudine potrà ricevere
approvazione legale quando rappresenta un vero incremento al conseguimento di
un'utilità sociale e del bene dei fedeli.
Si richiede che tale consuetudine sia osservabile non può presentarsi ultra vires
comandando qualcosa di impossibile. Ciò costituirebbe una norma assolutamente
irragionevole e non avrebbe alcun carattere di cogenza.
Es: la consuetudine che toglie libertà al vescovo di scegliersi i collaboratori nella visita
pastorale è riprovata, la scelta di due amministratori diocesani, parroci... è riprovata.
L'introduzione di nuovi impedimenti matrimoniali per consuetudine è riprovata ... ecc.
Can. 25
Continua l'elencazione dei criteri per cui la consuetudine può diventare legge. Afferma:
nessuna consuetudine ottiene forma di legge se non sarà stata osservata da una
comunità capace almeno di ricevere una legge, con l’intenzione di introdurre un diritto.
Come individuare tale comunità? Si deve trattare di una comunità a capo della quale vi
sia chi detiene la potestà legislativa: deve trattarsi di una vera comunità per la quale sia
configurabile la promulgazione di una legge, comunità che per sua natura deve avere
21
norme giuridiche. Si richiede una realtà stabile, istituzionalizzata comporta in modo
omogeneo in rapporto allo scopo che si prefigge, identificabile a prescindere dalle
persone che la compongono.
Can 26.
Tale canone si riferisce alla approvazione legale. Si stabilisce che la consuetudine riceve
approvazione generica o legale quando osservata dalla comunità almeno per 30 anni
consecutivi.
Tale tempo è richiesto perché possa manifestarsi con certezza l'intenzione da parte della
comunità di introdurre un nuovo diritto vincolandosi ad esso. I trent'anni devono
trascorrere senza interruzione da parte delle comunità che non deve interrompere l'uso
in corso mediante atti contrari alla consuetudine che sta sorgendo.
Il tempo va computato dal momento in cui la maggior parte della comunità osserva tale
comportamento che è già divento stabile. Se il decorrere del tempo viene interrotto esso
può riprendere dal momento in cui la comunità si riappropria di tale uso.
Can. 27
Tale canone è di forte tradizione romanistica. Nel diritto romano la legge nasceva dalla
consuetudine ed è quindi normale che essa presentasse una grande forza interpretativa
nei confronti della legge.
Tale canone per essere rettamente inteso va interpretato nel senso che laddove la
comunità tende a tenere una certa condotta in conformità ad un disposto legislativo, tale
comportamento è particolarmente utile per interpretare la legge stessa ed evincerne il
suo significato adeguato.
Can 28.
Tale canone determina la revoca della consuetudine disponendo che, fermo restando il
can. 5, la consuetudine contro e fuori la legge è revocata per mezzo di consuetudine o
legge contraria; se però non si fa espressa menzione la legge non revoca la consuetudini
centenarie o immemorabili, né la legge universale revoca quella particolare.
22
Cann. 29-30
Tale canone offre la definizione dei Decreti Generali e la loro regolamentazione. Si
afferma che essi sono disposizioni comuni per una comunità capace di ricevere una
legge. Il can. 30 specificherà subito che può emanarli sono chi detiene la potestà
legislativa; esso hanno tutte le caratteristiche delle leggi, se si esclude l'aspetto formale.
Can. 30
Prevede la possibilità della delega con tali parole: “a meno che in casi particolari a
norma del diritto ciò non gli sia stato espressamente concesso dal Legislatore
competente, e adempiute le condizioni stabilite nell’atto della concessione”.
Le conferenze Episcopali hanno il potere, con quorum stabiliti, di emanare tali Decreti
in determinate materie prevista dal codice e anche in altri ambiti, ottenuto il mandato
della Sede Apostolica.
Cann. 31-33
Dai decreti generali si distinguono i decreti generali esecutivi. Essi sono veri e propri
atti della potestà esecutiva. La legge si presenta sempre, nella sua formulazione, come
generale ed astratta e non può che essere così. Gli Ordinamenti, in virtù di tali
caratteristiche delle leggi, hanno sempre avuto la necessità di emanare atti propri del
potere esecutivo che avessero come scopo quello di dettagliare la legge, di chiarirla e
individuare le modalità di applicazione e le procedure stabilite.
Tali decreti determinano i modi da osservarsi nell'applicare le leggi. Essi hanno come
presupposto l'esistenza delle leggi e non hanno vita autonoma. Sono emanati da colui
che detiene la potestà esecutiva (Romano Pontefice, Curia Romana, Vescovi, Superiori
Religiosi, Vicari Generali, Episcopali). Anche se non sono leggi per essi si stabilisce la
promulgazione, la vacanza secondo il can 8. Non si applicano ad essi le altre norme
relative alle Leggi.
Can. 32
I decreti generali esecutivi obbligano coloro che sono tenuti alle Leggi. Tali decreti non
possono derogare alle leggi e se sono ad esse contrari sono nulli. Se la legge viene
abrogata anche loro perdono il loro valore, non avendo vita autonoma dalla legge a cui
fanno riferimento.
23
Tali decreti non cessano, invece, con il venir meno del Superiore che li ha emanati.
Possono essere revocati pur rimanendo in vigore la legge a cui fanno riferimento. Le
Conferenze Episcopali possono anche emanare Decreti Generali esecutivi ed Istruzioni.
Can. 34
Le Istruzioni rendono chiare le disposizioni di legge e sviluppano i procedimenti per la
loro applicazione. Esse non intendono. come i decreti generali, creare un diritto
oggettivo nuovo ma solo rendere chiare le disposizioni che esistono e precisare le
procedure applicative. Esse non riguardano la comunità ma coloro che devono applicare
il diritto.
Cann. 35-93
Il campo dove la potestà amministrativa occupa uno spazio notevole e quello degli atti
amministrativi singolari. In essi vi sono compresi i decreti, i precetti, i rescritti, i
privilegi, le dispense. Un vasto settore dove si manifesta l'aspetto pastorale dell’autorità
ecclesiastica.
In tali interventi singolari la rigidità della norma, generale ed astratta, viene messa al
servizio delle esigenze dei singoli e degli specifici casi. Con gli atti amministrativi
singolari le leggi vengono applicate ai casi particolari. Con essi l'autorità interviene nel
caso concreto anche verso la sua sensibilità che implica il buon governo, la sensibilità
pastorale e culturale, la conoscenza degli strumenti a disposizione. Sicuramente nella
funzione amministrativa è chiamato in campo l'aspetto umano che non va sottovalutato.
Si parla di discrezionalità dell'autorità nell'esercizio della potestà esecutiva: tale
discrezionalità non va mai confusa con l'arbitrio.
Can. 35.
I diversi atti amministrativi singolari hanno ciascuno un significato e delle
caratteristiche peculiari che esigono una regolamentazione propria. Hanno però degli
elementi in comune che sono normati da medesime norme che vanno dal can. 35 al can.
47.
Trattandosi di atto amministrativo esso può essere emanato nell'ambito della propria
competenza, sia rispetto alle persone che al territorio ma soprattutto rispetto alla legge.
Can. 36.
24
Anche per gli Atti Amministrativi singolari sono vigenti i cann. 17-18 circa
l'interpretazione della legge; vi sono però aspetti propri che tengono in considerazione
la particolare natura dell'atto amministrativo.
Il criterio fondamentale per cogliere il senso del testo è il senso proprio delle parole.
Non si parla di testo e contesto perché l'atto amministrativo si esamina nella sua
singolarità e non ha un contesto come un codice o altro. Viene aggiunto invece come
criterio interpretativo l’uso comune di parlare con tale espressione va intesto in primis il
senso giuridico dei termini ma anche quello non tecnico. Tale criterio è primario.
Se questo non dovesse bastare abbiamo il criterio sussidiario. A seconda dei casi
l'interpretazione può essere stretta o larga.
Va notato che il criterio sussidiario si potrà utilizzare solo quando il primario non
dirime la questione sul senso autentico del testo dell'atto amministrativo.
Va sempre ricordato che qualora fossero problemi interpretativi nonostante il criterio
primario e secondario si può ricorrere al all’autorità perché tale senso sia chiarito in
modo definitivo.
Can. 37
Gli atti amministrativi vanno posti, generalmente, in forma scritta. Essi sono dati per il
foro esterno e la forma scritta è il modo per provare la loro esistenza. A norma però del
can. 10 la forma scritta non è in via generale per la validità a meno che non sia
espressamente previsto da altre prescrizioni (es. Can. 54).
Can. 38
Tale canone evidenzia i limiti dell'atto amministrativo. Il legislatore stabilisce che l'atto
amministrativo è privo di effetto: nella misura in cui lede un diritto acquisito. Essi sono
salvaguardati dal can. 4.
Essa è fonte di legge mano che l'autorità competente abbia posto clausola derogatoria: si
suppone che tale autorità competente sia la stessa che detiene la potestà legislativa
concedendo essa la deroga al caso singolo. Tale deroga deve essere espressamente
introdotta nel testo dell'atto.
25
Can. 39
Il canone fa riferimento alle condizioni che il superiore può inserire nell'atto
amministrativo singolare. Non si tratta ne di “elementi costitutivi ne di forma
essenziale”.
Emanando l'atto il superiore pone delle condizioni che devono essere adempiute. In
taluni casi le condizioni sono di tale importanze che il superiore subordina la validità
stessa dell'atto amministrativo al verificarsi o meno di determinate condizioni. Tali
condizioni sono introdotte dalle particelle
Ovviamente il superiore non è vincolato all'uso di tali particelle per stabilire che le
condizioni sono poste per la validità. Può dirlo, ad esempio, in modo esplicito. Rimane
fermo il principio del can. 10: laddove la nullità non risulti expresse l'atto dovrà essere
sempre considerato valido.
Cann. 40-45
Esecuzione degli atti amministrativi singolari.
In non pochi casi si ha anche la forma commissoria: qui il superiore, per esempio per
lontananza, non sempre conosce bene le situazioni. In tali casi l'autorità affida l'incarico
ad un'altra persona di emanare l'atto amministrativo, verificate le condizioni. Abbiamo
la forma commissoria. L'atto non è emesso dall'autorità competente ma da quella che
riceve l'incarico.
Can. 40
L'esecutore non esegue validamente un atto amministrativo di qualsiasi genere se prima
non ha ricevuto la relativa lettera e ne ha verificato l'autenticità e integrità. Si tratta di
atti della pubblica amministrazione e quindi hanno le loro formalità. Altri modi di
trasmissione sono possibili ma solo in via eccezionale e purché siano stabiliti
dall'autorità competente nell'atto di emanare il documento.
Can. 41
Obbligo di esecuzione. L'esecutore in certi casi può e in altri deve rifiutare o sospendere
l'esecuzione.
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w) Quando l'atto appaia in modo manifesto che è nullo o per latra grave causa non può
essere sostenuto oppureò che le condizioni apposte non sono state adempiute.
x) Deve interrompere se l'esecuzione è inopportuna a motivo delle circostanze di
persona o di luogo, come per esempio se una concessione può destare scandalo o
non essere compresa.
y) Nel caso di rifiuto o di sospensione si deve ricorre all'autorità che ha emesso il
decreto. Essa può modificare, revocare o confermare l'atto
Can. 42
Ove si stabilisce un rapporto non meramente esecutivo ma commissorio l'esecutore deve
procedere a norma del mandato ricevuto dalla competente autorità.
La validità dell'esecuzione viene compromessa soltanto la dove si tratti di condizioni
essenziali apposte nella lettera o che si tratti di procedura sostanziale.
Cann. 43-44
Il codice prevede anche la possibilità di un sostituto nell'esecuzione. Si prevedono dei
limiti:
Can. 48
Trattiamo in questo caso del Decreto Singolare che va distinto da quello Generale di cui
già abbiamo parlato. Il decreto singolare è un atto amministrativo con il quale l'autorità
intende provvedere ad un caso particolare; l'oggetto è piuttosto ampio perché può
trattarsi sia di una decisione che di una provvisione. Si ha una decisione quando si pone
fine ad una controversia, si irroga o si dichiara una pena; la provvisione non si intende
solo in riferimento all'Ufficio Ecclesiastico ma qualsiasi altro provvedimento che non
sia una decisione (facoltà, etc. Viene posto un limite: si tratta di decisioni che non su
alcuna domanda, saremmo altrimenti nel campo dei rescritti.
Can. 49
Il precetto è sempre un atto amministrativo singolare. Cambia rispetto al decreto,
l'oggetto: con esso viene imposto ad una persona o ad un gruppo di persone determinato
che si faccia o si ometta qualcosa. Si tratta pertanto di una imposizione, di un ordine
dato.
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Non sembra esserci una particolare distinzione tra precetto e decreto; il precetto è una
forma d decreto.
Nel diritto penale il decreto si differenzia notevolmente dal precetto precetto costituisce
la pena, il decreto la irroga o la dichiara. Ricordiamo, ma lo vedrete nel corso di diritto
penale come anche con me in Processo penale canonico, che per decreto non possono
imporsi pene espiatorie perpetue, fatti salvi i casi del m.p. SST.
L'ascolto delle persone è determinato con l'inciso "per quanto possibile' il che rende
improbabile un esito positivo in caso di ricorso per tale motivo.
All obbedienza di tale norma va comunque subordinata la legittimità degli atti
amministrativi.
Can. 51
Richiede che le motivazioni del decreto sia espresse per iscritto. Ciò per evitare un puro
arbitrio nelle decisioni dell'autorità. Da tali motivazioni si può partire per un eventuale
ricorso.
Can. 52.
I decreti toccano le persone in quanto tali: hanno carattere personale e obbligano solo le
persone per le quali sono stati dati e per le relative materie. Le persone ne sono soggette
anche fuori del loro territorio. Il decreto e il precetto stabiliscono un rapporto personale
tra superiore suddito, anche al di fuori del territorio di giurisdizione.
Can. 53.
Prende in considerazione il caso in cui siano presenti più decreti; è il caso di più decreti
per la stessa materia che sembrano non essere concordi. Se si tratta di contrarietà tra
decreto generale e particolare prevale il particolare. Se si tratta di due decreti particolari
il posteriore prevale sul precedente. Tale norma non vale per il decreto o rescritto in
generale ma solo per la parte che non è conciliabile e per cui risultano contrari. Se i
decreti provengono da soggetti diversi prevale quello dell’autorità gerarchicamente
superiore.
Can. 54
Tenendo sempre a mente la distinzione tra decreto grazioso e commissorio, in tale
canone si stabilisce il principio che ove non si tratti di una pura esecuzione ma
l'applicazione del decreto si affida all'esecutore, il decreto ha effetto dal momento
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dell'esecuzione; altrimenti il decreto è efficace nel momento in cui viene legittimamente
notificato alla persona interessata.
Cann. 55-56.
Vi possono essere delle ragioni gravissime per cui non risulta opportuno consegnare il
decreto scritto nelle mani della persona interessata che, ad esempio, potrebbe divulgarlo,
portarlo sul web, creare non comprensione nelle comunità. In tali casi e per causa
gravissima si può effettuare l'intimazione straordinaria del decreto. In tal caso è
sufficiente che il decreto venga letto all'interessato davanti al solo notaio oppure davanti
a due testimoni, redigere il verbale e farlo sottoscrivere a tutti i presenti.
Altra forma straordinaria è quella presunta, stabilita dal can. 56: se si verifica che il
destinatario non si presenti a ricevere il documento o si rifiuta di sottoscriverlo senza
giusta causa, in tal caso il decreto si ritiene intimato ugualmente salvo la possibilità di
provare il contrario. E necessario che egli sia stato chiamato con documento scritto e se
la mancata comparizione è per giusta causa (malattia) non si ha presunzione di
intimazione.
Can. 57
Si tratta di un nuovo canone che vuole provocare la pubblica amministrazione a non
dilazionare le decisioni e le risposte. Si prevedono due distinte ipotesi: vi sono dei casi
in cui la legge prevede l'obbligo di emettere il decreto a favore del fedele e dei casi nei
quali il fedele può chiedere un decreto all'autorità. In caso di richiesta da parte del
fedele il superiore deve emettere decreto entro tre mesi dalla richiesta. Il tempo stabilito
non è ad finiendam ma ad urgendam obbligationem il che significa che l'obbligo rimane
anche se trascorsi i tre mesi. Se entro tre mesi non si ha riposta, tale silenzio si interpreta
negativamente: si presume risposta negativa, si parla di silenzio-diniego.
Can. 58
Il decreto cessa con la revoca fatta dall'autorità competente o con la cessazione della
legge per la quale il decreto fu emesso Il precetto singolare cessa una volta che sia
venuta meno la potestà di chi lo ha emesso: questo però solo nel caso in cui il precetto
non fu imposto senza legittimo documento. Se il precetto fu imposto con legittimo
documento esso permane anche con il venir meno dell'autorità che lo ha emesso: tale
precetto può cessare solo per revoca o cessazione della legge, rientrando nella norma
generale sui decreti.
Can. 59
Il Rescritto rientra nella più ampia categoria dell'atto amministrativo singolare. La
specificità è che essi presuppongono una domanda, una richiesta anche se il rescritto, a
volte, può produrre effetto verso coloro che non lo hanno richiesto.
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Il rescritto ha come contenuto un privilegio, una dispensa o una grazia. Esso comprende
più fasi: la richiesta, la valutazione di essa e la risposta.
Possiamo avere rescritti secundum legem dove si concede qualcosa previsto dal diritto
Rescritti praeter legem dove si concedono indulgenze e titoli onorifici. Rescritti contra
legem quando vengono elargiti dispense o privilegi.
Cann. 60-62
Il rescritto può essere ottenuto da chiunque, anche se non in piena comunione con la
Chiesa. Un'eventuale proibizione deve essere pressa. Il rescritto può essere ottenuto per
sé e per altri senza il loro assenso e fatte salve le clausole contrarie. Il rescritto vale dalla
data che esso porta ed ha effetto dal momento in cui è firmata la lettera, se non vi un
esecutore, oppure dall'inizio dell'esecuzione.
Cann. 63 e 66.
Il Rescritto è in se qualcosa di anomalo ed occorrono ragioni per legittimarlo che
devono essere espresse nella richiesta. Tali ragioni sono motive o principali e impulsive
o secondarie a seconda del caso in cui esse vengono considerate come sufficienti per
una risposta positiva o invece possono solo concorrere a sostenere la ragionevolezza di
una richiesta, ma di per se sono insufficienti. Le motive sono ragioni valide e sufficienti;
le impulsive sono valide ma insufficienti. Più cause impulsive a volte sono considerate
sufficienti.
Quali siano queste cause va dedotto dal superiore. Il richiedente potrebbe presentare
della cause motive che non corrispondono a verità: si ha in caso potrebbe tacere cose
che devono essere espresse nella richiesta; si ha la subreptio. Un rescritto viziato da
obreptio o ha subreptio è nullo.
Cann. 63 e 66.
Il can. 66 affronta la questione degli errori nel rescritto. Tale canone dispone che
qualora si tratti di errori riguardanti l'identità della persona che ha emesso il rescritto o
del destinatario, del suo domicilio il rescritto è ugualmente valido purchè comunque non
ci sia nessun errore circa la persona o il contenuto del rescritto Fa eccezione il caso in
cui l'errore sia frutto di orrezione: in tal caso il rescritto è nullo
Cann. 64 e 65
Si tratta della negazione di una richiesta e dei principi che si devono avere presenti per
salvare l'unità del Governo nella Chiesa. Come criteri base: l'autorità inferiore o di
stesso livello non può mutare la precedente decisione; l'autorità superiore si ma previa
interrogazione a quella precedente che ha dato risposta negativa. L'applicazione
concreta la danno i canoni in oggetto.
Se si tratta di Santa Sede si dovrà distinguere tra Romano Pontefice e Dicasteri. Il Papa
è sempre libero. I Dicasteri non possono dare una riposta positiva ad una richiesta che,
già, da altro dicastero è stata negata se non con il consenso del Dicastero negante.
30
Quando si tratta di risposta negativa dell'Ordinario, se si fa riferimento ad un altro
ordinario, sempre che ne sia competente, nella richiesta si deve fare menzione della
negazione ricevuta, si avrà altrimenti surrezione e il rescritto sarà nullo. Una grazia
negata dal vicario generale o episcopale non può essere validamente concessa da altro
vicario. Tali grazie possono essere concesse dal Vescovo se ci fu menzione del diniego.
Can. 67
Rescritti molteplici e contrari. In caso di contrarietà del particolare sul generale prevale
il particolare. La volontà si considera maggiormente determinata per il particolare che
nel generale. Nel caso di rescritti successivi, ugualmente generali o particolari, prevale
quello anteriore nel tempo a meno che il successivo non facci espressa menzione del
precedente. Tale regola si basa sul fatto che l'autorità non voglia revocare con il
successivo rescritto ciò che è stato concesso con il primo. Si presume che l'autorità non
si penta di ciò che ha concesso creando, con tale rescritto, diritti e situazioni giuridiche.
Si tratta di una regola che dà stabilità alle decisioni prese.
Cann. 68 69.
Il caso ipotizzato è quello del rescritto ottenuto dalla Santa Sede e che essere presentato
all'Ordinario del richiedente. L'obbligo di presentare il rescritto non c'è a meno che non
sia detto nella stessa lettera oppure si tratti di cose pubbliche o si rende necessario
comprovare le condizioni. Non è in questione le validità bensì si tratta di esigenza di
pubblicità del rescritto di fronte alla comunità perché non sorga disorientamento o
scandalo. Ad es: il caso di un matrimonio rato et non consumato. In ogni caso i tre modi
indicati dal canone sono tassativi.
Il can. 69 prevende che se non è disposto altrimenti nel testo del rescritto esso può
essere esibito all'esecutore a discrezione dell'interessato a meno che non ci sia dolo o
frode. Vediamo un attimo la questione...
Can. 70.
Se l'autorità competente non concede il ma incarica un'altra persona a farlo, il rescritto
viene concesso in forma commissoria. In tal caso la concessione è lasciata al prudente
apprezzamento dell'esecutore. Si tratta di una facoltà delegata.
Can. 71.
Di per se non esiste l'obbligo di servirsi del rescritto concesso soltanto a proprio favore.
Tale obbligo però può sorgere da altra fonte: ad esempio il matrimonio super rato.
Can. 72.
I rescritti scadono o spirano una volta scaduto il termine o esaurito il numero dei casi
per i quali venne concessa la grazia. Il rescritti della Santa Sede possono essere
prorogati solo da Essa. Il can. 72 concede tale facoltà anche al Vescovo diocesano ma a
delle condizioni: una volta sola, per non oltre tre mesi e solo per giusta causa. La
proroga va fatta dopo la spirazione dei rescritti e non ha forza retroattiva.
Can. 73
Viene enunciato un principio valido solo per i rescritti. Nessun rescritto è revocato da
una legge contraria a meno che la legge stessa lo stabilisca. Si suppone infatti che la
legge, generale ed astratta, non prevalga sul diritto particolare per i motivi ormai più
volte illustrati. Can. 74 la grazia concessa dal rescritto può riguardare solo il foro
interno o esterno. Nel primo caso il rescritto si esaurisce nel foro interno: qualora però
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riguardi quello esterno il rescritto deve essere provato. Il can. 74 impone l'onere della
prova in foro esterno ogni qualvolta ciò sia legittimamente richiesto L'oggetto del
canone riguarda in modo particolare i rescritti del Papa o della Santa Sede. Per la prova
è sufficiente la testimonianza di testimoni qualificati, qualora non ci fosse il documento
ma sia rescritto orale. Tali testimoni sono i prefetti ed i segretari dei Dicasteri La grazia
concessa oralmente non è efficace se non può essere provata.
10 aprile
Can. 76:
Dall'analisi del canone emergono diversi elementi che configurano la natura del
privilegio. Si tratta di una grazia concessa in favore sia di persone fisiche che giuridiche,
pubbliche c private. Privilegio può essere contra o praeter ius nel senso che l'autorità
può concedere grazie contrarie al diritto o anche al di là del diritto stesso Tale grazia è
concessa con un atto particolare non ha le caratteristiche della generalità e universalità.
Il privilegio non è una legge e non ne ha i caratteri
32
Ciò che va dimostrato è il possesso o l’uso. Tale presunzione ammette la prova contraria
e, pertanto, può essere demolita ma solo se, nonostante il possesso centenario, di fatto
non c’è stato nessun titolo all'origine. La prova contraria pertanto e contro il titolo e
non contro il possesso o uso.
Can 77:
Per l'interpretazione dei privilegi, essendo un atto amministrativo, si applicano le norme
relative a tali atti singolari. Va aggiunto però qualcosa di specifico: ci si deve servire di
una interpretazione tale che i destinatari di un privilegio consegui o, davvero, una
grazia. Il legislatore intende salvare il privilegio, non solo formalmente ma anche nel
suo contenuto.
Can 78
Il privilegio e, in qualche modo, perpetuo. Abbiamo detto che si tratta di una
presunzione che prevede la prova contraria. Il legislatore stesso, al can 78, offre criteri
por individuare la durata di alcuni tipi di privilegi: distingue tra privilegio personale
locale, reale.
Cann. 79 84:
Il privilegio cessa per intervento dell'autorità competente che lo revoca Tale revoca
dovrà seguire quanto disposto dal can. 47 circa la revoca degli atti amministrativi
singolari. La revoca può venite o dall'autorità che lo ha concesso o da una superiore.
Il privilegio non cessa in virtù di una legge contraria a meno che la legge non revochi i
privilegi con contenuto ad essa contrari. Vi sono tuttavia dei modi attraverso cui il
privilegio può cessare:
Per rinuncia: il privilegio cessa con la rinuncia del titolare accettata dall’autorità
competente. Non è sufficiente la rinuncia ma necessaria l'accettazione, ciò perché che il
privilegio non è dato per un bene particolare ma per il bene comune e quindi la rinuncia
deve essere accettata da chi ha il discernimento del bene comune. Se il rinunciatario è
persona fisica, questa può rinunciare solo se il privilegio è dato in suo favore; se è
persona giuridica. La rinuncia andrà presa dagli organi collegiali secondo e modalità
stabilite dagli statui. In nessun caso può essere fatta se è di pregiudizio per la Chiesa.
Cann. 79.84:
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Cessazione per non uso o per uso contrario: il can. 82, in tal caso, chiede la verifica se
il privilegio è oneroso per altri o no. Se non è oneroso ad altri non cessa e, in ogni
modo, è sempre necessaria l'accettazione dell’autorità competente; se è oneroso ad altri,
come l'esenzione dai tributi o l'imposizione di tributi, esso si perde nella misura in cui si
verifichino le condizioni prescrittive o acquisitive previste dai cann. 197-199.
Per decorso del tempo o per esaurimento dei casi per i quali fu concesso.
Per privilegio divenuto illecito o nocivo: tale giudizio spetta alla autorità competente
l'intervento non è per revocare il privilegio ma per attribuirne il carattere di illiceità o
nocività; tale giudizio ha efficacia dichiarativa. In tal caso cessa la causa finale per cui il
privilegio c costituito. La legge non dice nulla in caso di privilegio divenuto inutile.
Per abuso: l'abuso può essere di vari tipi. Il can. 84 stabilisce che chi abusa del
privilegio non ne viene privato automaticamente ma dovrà prima essere ammonito
dall'autorità. Dopo di questo si può revocare.
Oggetto della dispensa è la legge. Il nuovo Codice, considerando la dispensa come atto
amministrativo, ne concede la facoltà ai titolari della potestà amministrativa. Rimane
sempre il can 90 S1 che considera la possibilità dell’invalidità della dispensa senza
giusta causa.
Can. 85: La dispensa viene definita come l'esonero dall'osservanza di una legge
puramente ecclesiastica in un caso particolare. La dispensa, quindi, non tocca le leggi
divine dalle quali non è possibile dispensare. Vedremo che vi sono anche limiti dalla
possibilità di dispensare da leggi puramente ecclesiastiche.
In virtù della dispensa la legge non urge perché il superiore competente ne ha tolto, per
il caso singolo, la sua obbligatorietà; non si tratta di abrogazione della legge ma di
esonero in un caso particolare. Si tratta, abbiamo detto, di un caso singolare, tale
termine va inteso sia come singolarità dell'individuo; del gruppo a cui si può rivolgere.
Ripetiamo: la dispensa può essere concessa da coloro che godono di potestà esecutiva.
Can. 86:
Limiti: un primo limite sta nell'ovvia di dispensare dalle leggi divine: solo il Suo
Autore potrebbe diminuirne la cogenza.
Vi è poi impossibilità di concedere la dispensa dalle leggi che descrivono gli elementi
essenziali di un istituto giuridico: il can. 86 afferma, infatti, che non sono suscettibili di
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dispensa le leggi in quanto definiscono quelle cose, che sono essenzialmente costitutive
degli istituti o degli atti giuridici. Non possono essere dispensate leggi che determinano
gli elementi essenziali di tali istituti; esempio: non posso dispensare dai voti per entrare
in un Istituto religioso di vita consacrate; non posso dispensare dal requisito della Sacra
Ordinazione per conferire la nomina di parroco o per avere lo status clericale; non posso
dispensare dal prestare il consenso matrimoniale per costituire un valido matrimonio.
La dispensa non può mai intaccare la struttura giuridica dell'atto. Notiamo che la
normativa vigente non esplicita gli elementi costitutivi degli istituti giuridici: è compito
della dottrina individuarli. Essi sono solo implicitamente delineati dalla legge
Cann. 87-88:
Il vescovo diocesano può dispensare validamente... dalle leggi disciplinari sia universali
sia particolari date dalla suprema autorità della Chiesa per il suo territorio o per i suoi
sudditi. Si tratta della dispensa da leggi date dalla Santa Sede e che hanno valore nelle
Chiese particolari.
Il vescovo può dispensare, come vedremo, dalle leggi disciplinari ma non può
dispensare dalle leggi penali e processuali in quanto i beni in gioco sono molto alti e una
rilassatezza in tali ambiti porterebbe alla possibilità di gravissime violazioni dei diritti
umani oppure potrebbero crearsi gravi disordini all'interno del corpo ecclesiale.
Il can. 87 S 1 avverte che non possono dispensarsi le materie riservate alla competenza
della Sede Apostolica. Con l'attuale Codice troviamo un può sparse nei vari libri, le
norme riservate alla Sede Apostolica e quindi non dispensabili da autorità inferiori.
Il can. 87 S 1 afferma che il Vescovo può dispensare da leggi disciplinari. Che senso e
portata ha tale affermazione? In gran parte della dottrina legge disciplinare si intende la
legge ecclesiastica e molti Autori non si pongono il problema di definire il contenuto di
tale locuzione. Il can. 17 che abbiamo studiato dice di ricorrere ai luoghi paralleli
quando dei significati rimangono oscuri. Dall'insieme del Codice -non stiamo qui
adesso a fare l'elenco analitico- risulta che il temine disciplina è utilizzato in contesti
precisi e non come sinonimo di ecclesiastico.
8:58 am
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16 aprile
Can 101:
Nel nuovo codice non sembra che il luogo di origine ha grande importanza per le
conseguenze giuridiche all'interno della Chiesa. Tuttavia il S1 stabilisce che il luogo di
origine del figlio va determinato in base al domicilio o quasi domicilio dei genitori; per
un girovago, il S 2 precisa che è semplicemente il luogo della nascita o ritrovamento.
Cann. 102-107: domicilio e quasi domicilio: vanno distinti quelli legali, imposti dalla
legge, da quelli che sono frutto della libera scelta del soggetto. Il primo è determinato
dalla legge indipendentemente dalla volontà del soggetto: i canoni affrontano poi
l'acquisto e la perdita del domicilio e quasi domicilio.
Cann. 102-107:
Quasi domicilio: l'acquisizione o la perdita del quasi-domicilio avvengono
analogamente al domicilio. Unica diversità è il tempo richiesto per la permanenza
intenzionale o di fatto. La dimora nel territorio deve essere congiunta con l'intenzione di
rimanervi almeno tre mesi oppure deve essere protratta effettivamente per tre mesi (can.
102, S I cann. 103-105 fanno riferimento al domicilio c quasi domicilio legali. Essi
riguardano le persone che non sono libere di determinarsi in tale requisito perché magari
sono membri di istituti religiosi, minorenni, etc. Can. 103: va precisato che il domicilio
c quasi domicilio legale sono dati dalla legge non ai membri di tutti gli istituti di vita
consacrata ma solo ai membri di istituti religiosi. I membri degli istituti secolari vedono
il luogo normato dal can. 102. Le SVA sono invece equiparata agli istituti religiosi in
quanto i membri vivono in comunità case che sono decise superiori. Per tali membri
quindi, religiosi e appartenenti ad SVA, il domicilio e quasi domicilio sono determinati
dalla legge, in particolare:
Can. 103:
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Il domicilio è quello del luogo della casa in cui sono ascritti. Notiamo che non e
necessariamente il luogo della casa dove dimorano ma dove sono ascritti. La perdita del
domicilio avviene con l'ascrizione ad altra casa.
Can. 104: i coniugi. Il principio generale è che i coniugi hanno in comune il domicilio
o quasi domicilio. Tale principio deriva dagli obblighi matrimoniali. ammessa anche la
possibilità che prevede per ciascuno domicilio o quasi domicilio diversi. Una giusta
causa giustificherà tale scelta.
Can. 107:
Il domicilio e quasi domicilio sono importanti perché in base ad essi una persona
diventa membro di una parrocchia e di una diocesi; in altri termini acquista un parroco
ed un ordinario Siccome molteplici possono essere i domicili e quasi domicili,
molteplici possono essere i parroci e gli ordinari. Il parroco e ordinario del luogo è
quello in cui il girovago si trova.
La normativa del domicilio e quasi domicilio è basata sul principio della territorialità;
tuttavia sono previsti altri criteri per l'acquisizione di un parroco o di un ordinario e
sono i criteri della personalità: il fatto di avere particolari requisiti personali (ese.
ordinariato militari) fa appartenere ad una realtà piuttosto che un'altra.
Can. 108:
Altra circostanza che determina la capacita giuridica della e persona data dalla
parentela. Essa è un rapporto vincolante tra le persona che deriva o dalla natura (parenti)
o dalla legge (Adozione). Il primo vincolo si chiama consanguineità, il secondo affinità
e adozione.
37
Can. 108: computo per linee e gradi.
Per computare la consa si devono tenere presenti lo stipire, la linea, il grado.
Linea: è la serie delle persone che discendono dallo stesso stipite. Abbiamo, secondo il
canone, linea reatta, linea obliqua o collaterale.
Retta: è la serie di persone che discendono l'una dall'altra in modo successivo: padre,
figlio, nipote. Essa può essere considerata sia in via ascendente che discendente.
Can. 108:
Tra il padre e il figlio ci sarà un primo grado (figlio padre: 2 persone. Abbiamo detto
che si toglie il capostipite quindi rimane 1 persona ergo I grado)
Fratello e sorella: Per vedere si va al capostipite: quindi padre, fratello, sorella. Tre
persone. Si toglie il capostipite quindi 2 persone. Consanguineità in linea collaterale di
II grado.
Zio c nipote: Vediamo il capostipite: Nonno, padre, zio, nipote. Quattro persone:
consanguineità collaterale di IIIº grado.
Can. 109. Gli EFETTI GIURIDICI che consanguineità e affinità producono sono
molteplici nella vita della persona fisica. Solo per citarne alcuni che vedrete, poi, nel
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corso della licenza. Sottomissione del minorenne ai genitori. Acquisizione del domicilio
da parte del figlio. Doveri dei genitori nei confronti dei figli Impedimenti matrimoniali
Impedimenti nel poter conferire uffici ecclesiastici (non può essere affidato ad un
consanguineo del vescovo fino al IV grado) (can. 478, 1298) Nel processo cfr. can.
1548; 1448: 1449)
Per analogia l'adozione fa sorgere diritti c obblighi dei genitori nei confronti dei figli.
L'ordinamento canonico prende in considerazione l'adozione in relazione alla vita
familiare considerandola come impedimento al matrimonio.
Can. 111: rito: ricordate i canoni preliminari e il concetto di rito nel diritto canonico. Il
canone determina le condizioni per appartenere al rito latino.
Il can. 111 S 1 distingue la chiesa latina dalle altre e ne determina criteri di
appartenenza:
cc) Ricezione del battesimo: quando i genitori sono entrambi di rito latino l'ascrizione
del figlio è al rito latino.
dd) Quando i genitori appartengono a riti diversi si presuppone un comune accordo
circa l'ascrizione del figlio ad un rito scelto dai genitori. Se mance il comune
accordo il canone ascrive il figlio alla chiesa rituale cui è ascritto il padre. Lacuna:
non si considera il caso nel quale non sia battezzato.
ee) Scelta fatta dal minorenne al compimento del 14° anno di età che ancora deve
ricevere il battesimo. Sarà ascritto al rito da lui richiesto presentando domanda a chi
deve amministrare il battesimo.
Can. 2: ascrizione ad altro rito. L'ascrizione ad una Chiesa, oltre che per il battesimo,
può avvenire per passaggio. E normata dal can. 112. Ci sono tre casi in ci i battezzati di
rito latino possono passare ad altre chiese rituali. Il cambiamento di rito deve essere
annotato nel registro dei battesimi.
ff) Licenza della Sede Apostolica. Chi desidera cambiare rito per cause diverse da
quelle connesse al matrimonio deve chiedere e ottenere la licenza alla Sede
Apostolica. Il passaggio comporta un cambio disciplinare, liturgico e dottrinale. La
licenza è necessaria ad validitatem ed concessa con rescritto in forma commissoria
per cui si ha effetto dopo l'esecuzione.
gg) Matrimonio. Il coniuge, all'atto del matrimonio, può dichiarare di voler passare ad
altra chiesa rituale alla quale appartiene il coniuge. Il canone non determina a quale
autorità si deve presentare tale richiesta.
hh) Età dei figli. Prima dei 14 anni i figli seguono il rito dei genitori. Compiuti i l4 anni
possono tornare al rito che desiderano.
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Cann 113-123:
Il secondo tipo di soggetto di diritti e di doveri è dato dalla persona giuridica trattata ai
canoni sopra citati.
Il can. 113, S 1 afferma, in relazione alla Chiesa Cattolica e alla Sede Apostolica, la
qualifica di persone morali Tale espressione è stata riservata a tali enti c tale espressione
fa dedurre che la persona morale non è una persona giuridica sotto tutti gli aspetti.
Il codice, nel mettere in risalto, la personaltà morale della Chiesa Cattolica e della Sede
Apostolica pone in evidenza che esse non sono state erette da volontà umana. La
Chiesa, pertanto, non dipende da alcun ente: essa gode di personalità per il fatto che
esiste, por diritto nativo e per sua stessa natura.
È critica la qualifica di persona morale alla Sede Apostolica. Si può solo riferire alla
persona del Romano Pontefice e alla potestà ad Egli attribuita dallo stesso diritto divino.
Da tali canoni emerge che: le persone giuridiche sono considerate in parallelo con
quelle fisiche. L'origine di tali persone è solamente un atto giuridico e si estingue
unicamente per mezzo di un altro atto giuridico. I modi di estinzione di tali persone
evidenzia che la loro natura giuridica non dipende dalla volontà delle singole persone
fisiche ma da una disposizione del diritto o dall'autorità competente. In pratica: la loro
esistenza dipende chi ha competenza giuridica e potestà di giurisdizione. Da questo
punto di vista il nostro ordinamento non riconosce la capacità di erigere persone
giuridiche ai laici che hanno solo capaciti di porre in essere delle associazioni.
Le persone giuridiche nascono nella Chiesa solo con il conferimento della parte della
rispettiva Autorità (can. 114, S 3). L'atto di personalità da riconoscimento, di
costituzione è una autentica creazione che realizza la nascita della persona giuridica.
17 aprile
Can 114 e ali: secondo questi canoni la persona giuridica si potrebbe definire come un
ente giuridico formalmente (decreto) costituito o dal diritto o dalla autorità, come
soggetto di diritti e di doveri, con un fine ecclesiale che trascende i singoli e
indipendente dalle persone che la compongono.
La persona giuridica a differenza di quella fisica, per esistere ha bisogno di essere
costituita dall'autorità competente. a persona giuridica riceve la sua esistenza in un
duplice modo: dallo stesso diritto, cioè dal Codice, o dalla autorità competente.
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Essa gode di soggettività giuridica pertanto come soggetto di diritti e di doveri si
equipara alla persona fisica. I loro diritti e doveri sono determinati dalla loro stessa
natura.
Le persone giuridiche si distinguono in territoriali e personali.
Can 114 e ali: a persona giuridica ha un proprio fine che trascende quello delle singole
persone che la compongono e costituiscono.
Tale fine coincide con la sua missione, con il suo dono nella Chiesa.
Questo è diverso a seconda della natura della persona giuridica. persona giuridica deve
essere costituita ed eretta. La costituzione della persona giuridica implica due elementi:
a) elemento materiale;
b) elemento formale.
aaa) l'unità: l'insieme deve possedere una unità intenzionale costituendo cosi una unica
ed indivisibile unità di intenti e volontà. L'unità è una caratteristica fondamentale perché
trascende i singoli intenti. Senza unità non ha senso la personalità giuridica.
aaaa) Il fine da conseguire che è la ragione di essere della persona giuridica. fine deve
avere la caratteristica dell'Eclesialità (deve corrispondere con la missione della Chiesa).
La partecipazione alla missione della Chiesa varia a seconda della natura della persona
giuridica.
Utilità: essa è valutata dalla autorità in considerazione dei tempi e dei luoghi. Generalità
il fine della persona giuridica deve trascendere quello dei singoli
Can 114 e alii: b) nell'elemento formale: si tratta dell'erezione canonica con decreto al
quale però sono richiesti degli atti previ.
Per la liceità: prima di procedere l'autorità deve verificare i fini ed i mezzi per
conseguirlo.
Per la validità:
A) consenso o parere di un collegio o di persone singole. Pensate ai pareri del consiglio
presbiterale per erigere una parrocchia.
Al consenso del vescovo diocesano per erigere nella sua diocesi una associazione.
B) approvazione degli statuti. Essa deve essere previa alla erezione della persona
giuridica.
L'approvazione degli statuti non concede nulla ma è obbligatoria. Non si può erigere, ex
can. 117, senza prima aver approvato gli statuti. L'approvazione e l’erezione sono due
atti giuridici diversi con effetti differenti.
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L'importanza degli statuti sta nel fatto che determinato il funzionamento interno
dell'insieme e i mezzi di attuazione.
In forza del primo elemento tutti i membri concorrono o partecipano nel prendere le
decisioni e rutti ne hanno il diritto perché costituiscono una sola persona giuridica. La
partecipazione è determinata dal diritto o dagli statuti.
a) Collegio tra uguali. In questo caso tutti partecipano con lo stesso voto.
b) Collegio tra non uguali. In tali persone tutti i membri hanno diritto a concorrere
perché costituiscono un collegio ma non tutti hanno uguale diritto
La più importante di tali persone è il Collegio dei Vescovi dove vige un diritto
disuguale tra il Sommo Pontefice e gli altri vescovi. Altro esempio è la conferenza
episcopale dove non tutti hanno gli stessi diritti.
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Can 115-116: non collegiali. Le corporazioni non collegiali sono quelle dove non tutti i
membri concorrono a prendere le decisioni. La determinazione dell'attività della persona
giuridica è competenza d alcuni a norma del diritto e degli statuti. Esempio sono le
diocesi, le parrocchie, seminari, istituti religiosi.
Can 115-116:
MISSIONE o MUNUs PROPRIUM. Missione significa l'incarico peculiare che
l'autorità affida (anche l'affidamento è retto da norme proprie). Con tale affidamento la
persona giuridica pubblica agisce in nome della Chiesa e con carattere pubblico e non in
nome della persona giuridica e non in nome della persona giuridica. Sono attività della
Chiesa affidate alla Persona giuridica. Pensate alle Chiese particolari, alle parrocchie,
agli IVC: partecipano per natura alla missione della Chiesa.
Le altre persone pubbliche ricevono l'incarico mediante decreto della Santa Sede, dei
vescovi diocesani, delle Conferenze episcopali.
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BENE PUBBLICO: le persone giuridiche pubbliche devono adempire la loro missione
per il bene pubblico della Chiesa. Tali persone sono costituite per il bene pubblico della
Chiesa o della comunità ecclesiale ma non per il bene o interessi privati. Il bene
pubblico di cui tratta il can.116, S.1 è l'edificazione della Chiesa come anche il fine
proprio che la persona, por natura, deve perseguire.
Missione: con il decreto di erezione di persona giuridica privata essa ottiene anche una
missione propria, il fine stabilito dai propri statuti che deve essere adempiuto per il bene
dalla Chiesa.
Can 116: PERSONE GIURIDICHE PRIVATE: esse sono soggette alla vigilanza da
parte della autorità ecclesiastica al fine di evitare che introducano abusi nella disciplina
ecclesiastica e di vita della Chiesa. Di qui il diritto-dovere dell'ordinario di visitarle e
verificare il loro operato.
I beni appartengono alla persona giuridica privata c non alle persone fisiche che la
compongono.
Le persone giuridiche private sono di carattere territoriale. Esse hanno i limiti della
Chiesa particolare alle dipendenze dell'Ordinario del luogo.
Bene comune e bene pubblico: anche tali persone giuridiche devono perseguire il bene
comune, il bene pubblico della Chiesa. Anche esse, seppur in termini di rappresentanza
non hanno lo stesso valore delle persone giuridiche pubbliche, sono in un certo qual
modo di carattere pubblico per il perseguimento del bene pubblico della Chiesa.
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agiscano secondo le loro competenze riconosciute dal diritto universale, particolare e
dagli statuti. Se oltrepassano la competenza, gli atti giuridici non possono essere
imputati alla persona giuridica ma a quella del rappresentante perché, in tal caso, non
ha agito come rappresentate della persona tante giuridica.
Il diritto particolare, sia quello delle Conferenze Episcopali, dei concili plenari e
provinciali che quello del Vescovo diocesano stabilisce le competenze del rettore del
seminario.
Gli statuti stabiliscono il modo di governo dei titolari. Tali rappresentanti, alle volte,
sono tenuti a valersi dell'opera o collaborazione di un collegio o consiglio. Ne
parleremo più avanti.
Can 119: LE NORME CIRCA GLI ATT COLLEGIALI: le disposizioni del can.
119 devono essere osservate qualora il diritto proprio non disponga niente in materia,
ciò vuol dire che le materie che il diritto proprio o gli statuti non hanno regolato, sono
soggette a norme comuni, perché la lacuna o il silenzio del diritto proprio non vuol dire
che tali materie siano in un vuoto legislativo.
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riguarda il modo l’autorità deve osservare quello stabilito dal diritto proprio (lettere
circolari, bollettini, etc)
Can 119: LE NORME CIRCA GLI ATTI COLLEGIALI: il secondo requisito riguarda
la presenza dei convocati. Sccondo la norma vigente è necessaria l'assistenza della
maggior parte di quelli che devono essere convocati per costituire un collegio elettorale,
a meno che il diritto proprio non disponga altrimenti.
Per maggior parte si intende più della metà. Ad esempio, la maggior parte di un collegio
di 12 elettori è di 7; di un collegio di 61 membri è 31. Se la maggior parte non è
presente non è possibile procedere all'elezione e se si realizza essa è priva di valore. Da
qui si desume che convocazione e costituzione del collegio sono due atti giuridici
differenti.
Il can. 119, 1° parla di presenti (praesentes): sono quelli che sono fisicamente presenti
presenti alla riunione in un luogo unico: essi sono sia quelli che possono esprimere voto
sia quelli che non hanno diritto di voto.
Secondo le norme comuni è esclusa qualsiasi altra forma di emettere voto, sia per lettera
che per procura. Es: l'assemblea plenaria della Conferenza Episcopale, dei capitoli
generali. provinciali, etc.
Quando gli elettori non si riuniscono in un unico luogo il diritto può prevedere la
possibilità di voto por lettera o procuratore.
Can 119: LE NORME CIRCA GLI ATTI COLLEGIALI: in questo caso, anche se in
luoghi fisici differenti, si costituisce un unico collegio elettorale.
Costituito il collegio, il successivo momento è l'emissione del voto che atto collegiale di
tutti i presenti che ne hanno facoltà. Si tratta di un atto giuridico al quale ciascuno
concorre con la propria individualità e l'atto collegiale è dato dalla somma di tutti anche
se ciascuno conserva la propria libertà; il can. 119 infatti non richiede l'unanimità bensì
una maggioranza. Ciò presuppone che gli elettod manifestino la propria volontà in
modo indipendente dagli altri, in un'azione Comune.
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Per maggior parte si intende pii della metà Ad esempio, maggior parte di un collegio di
12 elettori è la Sé la maggior parte non è di 7; di un collegio di 61 membri è 31.
presente non è possibile procedere all'elezione e se si realizza essa è priva di valore. Da
qui si desume che convocazione e costituzione del collegio sono due atti giuridici
differenti.
Il can. 119, 1° parla di presenti (praesentes) sono quelli che sono fisicamente presenti
alla riunione in un luogo unico: essi sono sia quelli che possono es voto sia quelli che
non hanno diritto di voto.
Secondo le norme comuni è esclusa qualsiasi altra forma di emettere voto, sia per lettera
che per procura. Es: l'assemblea plenaria della Conferenza Episcopale, d capitoli
generali, provinciali, etc. Quando gli elettori non si riuniscono in un unico luogo il
diritto può prevedere la possibilità di voto per lettera o procuratore.
Can. 119: LE NORME CIRCA GLI ATTI COLLEGIALI: in questo caso, anche se
in luoghi fisici differenti, si costituisce un unico collegio elettorale.
Costituito il collegio, il successivo momento è l'emissione del voto che atto collegiale di
tutti i presenti che ne hanno facoltà. Si tratta di un atto giuridico al quale ciascuno
concorre con la propria individualità e l'atto collegiale è dato dalla somma di tutti anche
se ciascuno conserva la propria libertà: il can. 119 infatti non richiede l'unanimità bensì
una maggioranza. Ciò presuppone che gli elettori manifestino la propria volontà in
modo indipendente dagli altri, in un'azione Comune.
Con il sistema della scheda l'elettore può anche astenersi. Riguardo l'astensione vi è una
grande novità rispetto la legislazione precedente...
In passato essa era vista come una rinuncia al voto, una non partecipazione. La nuova
legislazione, invece, considera l'astensione come una partecipazione all'atto collegiale,
perché la presenza dell'elettore deve essere tenuta in conto per il calcolo della
maggioranza richiesta. L'astensione può essere cosi considerata come un diritto, nel
caso in cui non si è totalmente favorevoli all'elezione; un obbligo quando, per esempio,
si è a conoscenza di qualche inidoneità del candidato. La legge speciale per l'elezione
del Romano Pontefice non prevede l'astensione: tanti presenti, tanti votanti.
Il can. 119, 1o esige la maggioranza assoluta dei voti dei presenti. La maggioranza
numerica si computa sul numero dei presenti, non sul numero dei votanti; cio significa
che anche coloro che non votano o si astengono determinano il numero su cui calcolare
la maggioranza.
Esempio: in un collegio elettorale di 300 persone dove i voti emessi sono 200 la
maggioranza assoluta di 1 voti e non 101. Per essere eletti si dovranno raggiungere 151
voti. Tale principio si segue nei primi due scrutini.
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I candidati della terza votazione sono coloro che hanno ottenuto più voti nella seconda
votazione. casi in cui ci sia parità tra più candidati essa si risolve in favore dei due più
anziani di età. Tale norma non considera ne la data di ordinazione ne quella di eventuale
professione perpetua. Gli elettori potranno scegliere solo tra due candidati. Il canone
non recita nulla riguardo alla possibilità per i candidati di votare.
Dopo il terzo scrutinio, se rimane la parità si ritenga eletto colui che è pin anziano. In
merito non si dice nulla se sia necessaria la maggioranza assoluta o relativa. Anche qui
la dottrina si divide tra coloro che richiedono quella assoluta e invece quelli che
sostengono la maggioranza relativa. Secondo il Martin il testo riconosce implicitamente
la necessità della maggioranza relativa ossia chi dei due consegue più voti rispetto
all'altro. Al terzo scrutinio è eletto chi ha conseguito voti in modo assoluto o relativo.
Nei casi in cui la convocazione è fatta per altre questioni dall'elezione si procede con
due scrutini e non con tre Qualora nei due non si raggiunga la maggioranza bisognerà
procedere con un'altra convocazione. E richiesta la maggioranza assoluta dei suffragi
per dirimere la questione.
Il n° 3 del can. 119 na cosa che riguarda tutti come singoli: su essa tutti la devono
approvare. Tale norma, molto discussa, non riguarda diritti ed obblighi della persona
giuridica bensì delle fisiche che la costituiscono. Gli atti posti su questi diritti personali
non sono atti del collegio ma atti della somma dei singoli.
Can 119: LE NORME: CIRCA GLI ATTI COLLEGIALI: qualora tutte le persone che
costituiscono un collegio periscono e rimane una sola persona, il can. 120, S 2 dispone
la sopravvivenza della persona giuridica e attribuisce all'unico superstite l'esercizio dei
diritti e dei doveri inerenti la persona giuridica che continua nella sua sopravvivenza.
Si norma il caso in cui delle persone giuridiche si fondono costituendone una nuova. Si
viene a costituire, cosi, un nuovo soggetto giuridico e l'estinzione dei precedenti che si
fondono insieme.
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di un Istituto, ad esempio); dalla divisione nasce una persona giuridica uguale (la
divisione di un parrocchia troppo estesa).
Questione importante, in tali casi, è quella degli oneri. La destinazione dei beni riguarda
l'autorità competente Essa può procedere o personalmente o tramite persona delegata a
questo, un esecutore. La divisione dei beni deve essere secondo il giusto, l'onesto, l'equo
e il buono. Ciò comporta una conoscenza dei valori del bene e l'accantonamento di
principi di superficialità in merito.
Principi che guidano la destinazione dei beni: si deve anzitutto osservare la volontà dei
donatori e degli offerenti, i diritti acquisiti e gli statuti applicativi.
Per i beni divisibili: si esige la proporzionalità, l'equità e la giustizia.
Per i beni indivisibili: devono esser usati in comune con la dovuta proporzione.
È il caso che considera la divisione: dalla parte divisa nasce una nuova persona giuridica
pubblica. In tal caso bisognerà costituire una nuova persona giuridica pubblica
osservando tutte le norme previste per l'erezione delle persone giuridiche pubbliche. Il
can. considera due ipotesi: dalla divisione nasce una persona giuridica subordinata (a
prima divisione in provincie di un Istituto, ad esempio); dalla divisione nasce una
persona giuridica uguale (a divisione di un parrocchia troppo estesa).
Questione importante, in tali casi, è quella degli oneri. La destinazione dei beni riguarda
l'autorità competente. Essa può procedere o personalmente o tramite persona delegata a
questo, un esecutore. La divisione dei beni deve essere secondo il giusto, l'onesto, l'equo
e il buono. Ciò comporta una approfondita conoscenza dei valori del bene e
l'accantonamento di principi di superficialità in merito.
Principi che guidano la destinazione dei beni: si deve anzitutto osservare la volontà dei
donatori e degli offerenti, i diritti acquisiti e gli statuti applicativi.
Can. 120, S1: LA DURATA DELLA PERSONA GIURIDICA: il can stabilisce diversi
principi. Il primo è quello della perpetuità. La persona giuridica è perpetua. Il soggetto
dei diritti e dei doveri è la persona giuridica e non le persone fisiche che la
compongono. Essa trascende i suoi componenti. La costituzione, una volta avvenuta,
non ha limite di tempo. Tuttavia le persone giuridiche non sono eterne possono avere
una fine.
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Si estingue per inattività centenaria.
In pratica: l'estinzione della fondazione richiede non solo il fatto materiale della
cessazione dell'attività per mancanza di beni, di materiali o altro ma è necessario anche
il giudizio dell'autorità competente. Se manca questo non si può parlare di fondazione
estinta.
LA POTESTÀ DI GOVERNO
Cann 129-144: il Codice non offre nessuna definizione di potestà di governo che è
chiamata anche potestà di giurisdizione. In riferimento a tali espressioni l'attuale
codificazione preferisce il termine potestà di governo. Tale espressione coincide
maggiormente con quelle che ritroviamo nei documenti conciliari dove si distingue, in
particolare in LG, il munus docendi, sanctificandi et regendi. Il termine "potestà di
giurisdizione' potrebbe creare confusione con la potestà giudiziale quando invece è più
costituisce tutt'altra cosa. In tal senso l'espressione "potestà di governo” confacente e in
essa troviamo l'esercizio delle tre funzioni: legislativa, esecutiva e giudiziale.
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La potestà di governo è definita come la pubblica pot ordinata al altri; la pubblica
potestà ecclesiastica è definita da Maroto come la pubblica potestà del legittimo
Superiore, concessa da Gesù Cristo o dalla Chiesa, per mezzo della missione canonica,
per governare i battezzati in ordine alla salvezza eterna.
Si tratta, in primis, di potestà pubblica e non privata (come potrebbe essere quella dei
genitori sui figli e si applica per il bene degli altri. E' la potestà che comprende le tre sue
funzioni in ordine al fine supremo che è la salvezza delle anime.
Esempio: il can. 966, S 1 afferma che per la valida assoluzione dei peccati si richiede
che il ministro, oltre alla potestà d'ordine, abbia la facoltà di esercitarla sui fedeli. Dal
testo si evince che tale ministro deve avere la potestà di governo sui quali amministra la
potestà d'ordine e tale potestà di governo non la si riceve con il sacramento dell'ordine
ma per mezzo di un ufficio o di una delega. Perciò tale potestà di governo si perde con
la perdita di ufficio o della delega mentre la potestà d'ordine rimane.
Cann 129-1. 4: il can. 129 afferma l'origine divina della potestà di governo stabilirà
anche l'assoluta necessità di essa nella vita della Chiesa. I'origine della potestà di
governo è ravvisabile nel mandato che Gesù Cristo dà agli Apostoli di evangelizzare il
mondo: «Andate dunque ed insegnate a tutti popoli, battezzandoli nel nome del Padre e
del Figlio e dello Spirito Santo insegnando loro ad osservare le cose che io ho
comandato» (Mt 28 19-20).
Da qui deriva la natura missionaria della Chiesa che ha come compito fondamentale e
fondante quello della evangelizzazione Paolo VI nella EN riprenderà tale concetto
quando affermerà che la Chiesa nasce da un annuncio e si fonda su di un annuncio. La
Chiesa è per sua natura missionaria.
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Cristo e a servizio di tale si fonda la po di governo in vista dell'insegnamento e della
santificazione del popolo di Dio.
Tale potestà, una volta ricevuta, deve essere esercitata in comunione gerarchica con
Pietro, il primo tra tutti.
Per quanto riguarda la modalità di ricezione di tale potestà i testi codiciali menzionano
due modi differenti a seconda che si tratta della potestà dei Vescovi e quella dei fedeli in
relazione al sacramento del Battesimo. Il can. 375 afferma che i Vescovi sono i
successori degli Apostoli e sono costituiti astori con la consacrazione episcopale
affinché siano anch'essi maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto e ministri del
governo. Essi con il sacramento d ricevono la potestas sacra con la funzione di
santificare, insegnare e governare. Il CVII in tal senso afferma che i Vescovi con il
sacramento dell'ordine ricevono i tre doni (tria munera) di insegnare, santificare c
governare ma non la potestà corrispondente.
In tal senso, con la sola consacrazione, il Vescovo non riceve la potestà di governo
annessa all'ufficio. In tal senso si dirige LG, 23 dove si pone la differenza tra vescovo
consacrato c vescovo diocesano:
i singoli Vescovi, che sono preposti a Chiese parti esercitano il loro pastorale governo
sopra la porzione del popolo di Dio loro affidata, non sopra le altra Chiese ne sopra la
Chiesa universale Ma, in Collegio non Apostoli sono tenuti ad avere per tutta la Chiesa
una sollecitudine che, sebbene non sia esercitata con atti di giurisdizione, sommamente
contribuisce al bene della Chiesa.
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Cann 129-144: TRASMISSIONE DELLA POTESTÀ DI GOVERNO. Il Codice
non usa l'espressione sacra potestas. Con tale espressione si fa riferimento alla tre
funzioni di insegnare, santificare e governare, che sono trasmesse con il sacramento c
che solo in modo improprio possono essere definite come potestà perché ad esse
mancano gli elementi propri della potestà e, d'altra parte, tutti i fedeli partecipano al
triplice ufficio sopra menzionato mediante il battesimo. Come ricorda la Nota
Esplicativa, 2, Previa, la potestà di governo implica l'avere dei sudditi, consiste
nell'assegnazione dei sudditi.
Il can. 381, S 1 afferma che al Vescovo diocesano, in virtù dell'Ufficio ricevuto compete
nella diocesi tutta la potestà ordinaria, propria cd immediata, che è pastorale. Tale
potestà si svolge nella triplice richiesta per l'esercizio di tale uffici funzione legislativa,
esecutiva e giudiziale.
È chiaro che con l'ordinazione episcopale non si ricevono dei sudditi. Essere suddito,
come vedremo, è condizione essenziale perché l'atto giuridico sia valido.
Ci sono vescovi c sacerdoti senza potestà, pensiamo agli emeriti come ci sono coloro
che senza sacramento hanno invece potestà: pensiamo ai prefetti e amministratori
apostolici stabilmente costituiti: non sono vescovi ma hanno potestà di governo.
Il codice distingue bene la potestà di governo dalla potestà d'ordine e si afferma, can.
129, S 1 che l'ordine sacro rende abile la persona ad avere la potestà di governo.
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Ci sono nella Chiesa Uffici ecclesiastici di natura non gerarchica che non richiedono
necessariamente il sacramento dell'ordine. Per questi esempi vi rimando al Libro III
dove si parla del munus docendi... Lo vedrete anche nel II in riferimento ai diritti e
doveri dei fedeli.
I chierici: in virtù dell'ordine sacro i chierici sono soggetti abili a detenere la potestà di
governo, a norma delle disposizioni del diritto. I chierici sono coloro che hanno il
sacramento in uno dei suoi gradi: diaconato, presbiterato, episcopato.
La potestà di governo ha come radice, in tal caso, quella d'ordine (nel senso prima
indicato). Titolare di tale potestà, avendo come radice quella di ordine, è la persona
fisica e non quella giuridica.
In ragione all'origine i gradi della potestà di governo possono essere di diritto divino
ecclesiastico.
Di diritto ecclesiastico: sono tutti gli altri uffici a cui viene conferita potestà
ecclesiastica dalla Chiesa.
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Cooperare alla potestà, come abbiamo detto, significa possederla. Ciò vale anche per i
laici che svolgono particolari uffici ecclesiastici in Istituti Religiosi, gli uffici di giudice
laico e di uditore, per fare solo degli esempi.
Alcuni uffici laicali: applicazione di quanto stiamo dicendo è, per esempio, il can. 228
che riconosce come i laici sono giuridicamente abili a essere assunti in quegli uffici
ecclesiastici che possono assumere in conformità con le disposizioni del diritto.
Applicazione ampia di tali principi si ha, senza dubbio, nei territori di missione. I laici
possono ricevere l'ufficio missionario in senso giuridico e ciò comporta la facoltà di
predicare anche in una Chiesa od oratorio, di amministrare i sacramenti che non
prevedono il sacerdozio ministeriale, il battesimo ad esempio.
In merito all'ultimo esempio, sappiamo che possono essere nominati dei giudici laici. La
differenza con il giudice chierico sta nel fatto che il giudice laico non può fare il giudice
unico ne essere presidente del collegio giudicante.
La potestà del giudice laico è la medesima del chierico: ordinaria vicaria. Egli e titolare
di una potestà ordinaria vicaria che esercita solo all'interno del collegio, a nome del
Vescovo.
La prima questione riguarda la persona che può esercitare tale funzione. Il can.
Distingue tra legislatore supremo e legislatori inferiori. Tale distinzione c fondamento di
una limitazione, la non delegabilità da parte dei legislatori inferiori.
Altra questione riguarda il contenuto della legge particolare emanata dal legislatore
inferiore.
Il legislatore inferiore non può dare validamente una legge contraria ad una norma
superiore. Non può permettere ciò che è negato dalla norma superiore c non può negare
ciò che e concesso dalla norma superiore.
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Cann 135-136: FUNZIONI ED ESERCIZIO DELLA POTESTA DI GovERNO. Il
codice ha stabilito anche gli ambiti di competenza della legislazione inferiore Cfr can.
445 sulla materia del concilio particolare (incremento della fede, custodia dei costumi,
difendere la disciplina ecclesiastica); il can. 455 determina le competenze della
conferenza episcopale.
La potestà legislativa del vescovo diocesano è limitata all'ambito del suo ufficio.
Altra questione è appunto la modalità di esercizio: deve avvenire a norma del diritto:
tale potestà , come abbiamo detto, per i legislatori inferiori non è delegabile.
A norma del diritto: i legislatori inferiori sono tenuti all'osservanza dei canoni sulle
leggi (7-22). Tale obbligo riguarda solo gli inferiori e non per il Legislatore Supremo.
Non delegabile, tale potestà deve essere esercitata dal titolare personalmente. Il
legislatore supremo può delegarla, quello inferiore no.
Tale canone distingue espressamente la sentenza che è l'atto tipico della potestà
giudiziale dagli atti preparatori di un decreto o di una sentenza. Tale distinzione
consente di arrivare ad una nozione della potestà giudiziale: «la potestà giudiziale e la
potestà necessaria, non delegabile della quale gode il giudice in ragione del suo ufficio,
o della delega del Romano Pontefice, per giudicare le controversie circa i diritti delle
persone fisiche o giuridiche violati, dichiarare i fatti giuridici c applicare o dichiarare
una pena»
POTESTÀ ESECUTIVA: essa è trattata dal S 4 del can. 135. Non si parla delle persone
che ne sono titolari e non se ne offre una nozione. Ci si occupa direttamente
dell'esercizio di tale facoltà.
Titolari di tale potestà: il canone tratta di una autorità non specificata che esercita la
potestà sui sudditi e su di un determinato territorio con atti amministrativi singolari e
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generali. Abbiamo già visto la specificità di tali atti. Ci sono canoni che attribuiscono
tale potestà esecutiva ovviamente al Vescovo diocesano, al vicario generale, episcopale,
ai superiori maggiori degli Istituti di Vita Consacrata e delle SVA di diritto pontificio.
Essi detengono potestà esecutiva in forza dell'ufficio. zio seguono il criterio personale,
territoriale c reale.
Ambito: gli ambiti di Cosi la potesti esecutiva si esercita sui propri sudditi pur stando
fuori del territorio oppure sui sudditi benché assenti dal territorio, (domicilio o quasi
domicilio Verso i foresti cri presenti sul territorio.
Can. 130 FUNZIONI ED ESERCIZIO DELLA POTESTÀ DI GOVERNO. La potestà
esecutiva è una potestà diversa da quella legislativa e giudiziale. La potestà esecutiva è
la funzione di applicare la legge ai casi concreti. Si tratta di una funzione
complementare ed esecutiva, appunto, della potestà legislativa e da questa, ovviamente,
dipende.
La potestà di governo, ex can. 130 di per se viene esercitata nel foro esterno e, come
eccezione, anche nel foro interno. Attenzione: non si tratta di due tipologie della potestà
esecutiva ma della medesima potestà che viene esercitata sia nel foro esterno che in
quello inter Foro esterno: tutto ciò che riguarda l'ambito sociale e visibile della vita
della Chiesa; ciò che è conosciuto. Foro interno: tutto ciò che riguarda l'intimo
dell'uomo; ciò che non è conosciuto da altri. Il foro esterno è l'ambito principale di
esercizio della potestà esecutiva. Su tale ambito abbiamo fatto tanti esempi ma
soprattutto pensate agli atti amministrativi singolari
Sacramentale: nel sacramento della penitenza l'assoluzione è un atto che discende dalla
potestà di governo: il confessore, come vedrete, può dispensare dagli impedimenti
occulti sia durante la confessione che fuori di essa. Il confessore può rimettere in foro
interno sacramentale alcune censure latae sententiae.
Per ciò che riguarda gli effetti giuridici il can. 130 considera solo quelli annessi alla
potestà di governo esercitata nel foro interno. Tale potestà ha effetti solo nel foro
interno e non produce effetti nel foro esterno Gli effetti riguardano solamente la Persona
in causa. Non si estende ad altre persone e non viene conosciuto da altre.
Si può avere l'eccezione stabilita dal diritto per la quale la potestà esercitata in foro
interno ha effetti anche su quello esterno. Un caso è dato dal can. 1082 che riguarda la
dispensa da impedimento matrimoniale occulto rilasciata dalla Penitenzieria Apostolica.
Essa va annotata nel libro e conservata in Curia, archivio segreto.
La potestà ordinaria. Can. 131: il can. 131, composto da due paragrafi, stabilisce il
modo di ottenere la potestà ordinaria e dichiara la sua divisione.
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S 1: nozione e acquisizione: dalla formulazione del canone si evince che la potestà sia
acquisisce con l'ufficio a cui è annessa. In tal senso si specifica che la potestà ordinaria
non esiste in senso autonomo o separato ma sempre connessa ad un ufficio. Pertanto chi
riceve tale ufficio, con esso, riceve anche la potestà ad esso annessa.
La potestà ordinaria. Can. 143: per quanto riguarda l'estinzione essa di perde con la
perdita dell'ufficio a cui è annessa. Ciò è conseguenza del fatto che la potestà ordinaria è
annessa ad un ufficio e non indipendente da esso La perdita dell'ufficio comporta la
perdita della relativa potestà. Circa i modi di perdere l'ufficio lo vedremo più avanti.
LA POTESTÀ DELEGATA
La potestà delegata: Facciamo ora riferimento alla potestà delegata di governo, non la
d'ordine che proviene da un sigillo sacramentale. Il can. 131, S1 definisce la potestà
delegata quella concessa alla persona, non mediante l'ufficio. Si tratta di una
concessione diretta di tale potestà a quella determinata persone che, al di fuori di tale
delega, non possiede nessun titolo per detenere tale potestà. Il canone precisa che la
potestà delegata è una concessione.
La potestà delegata dipende dal delegante, per questo non si presume e deve essere
provata. Il can. 131, S 3 ricorda che a chi asserisce di essere delegato incombe l'onere di
provare la delega. Tale prova è data da un documento scritto.
La potestà delegata: chi e munito di potestà delegata può affidare suo esercizio a da
altri. Si chiama, questa, potestà suddelegata.
La potestà delegata può essere singolare o generale. Quella singolare è per un atto
singolo immettere un parroco, assistere ad un matrimonio). Generale per un insieme di
casi.
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La potestà delegata può essere concessa in ragione dell'ufficio come anche per qualità
personali.
La concessione dovrebbe avere la finalità di risolvere casi difficili, urgenti c non previsti
dal Codice. Le facoltà abituali non costituiscono una decentralizzazione di potere.
Le facoltà abituali sono una categoria della potestà di governo e non debbono essere
assolutamente confuse con un privilegio concesso; potremmo definire le facoltà abituali
come: potestà di governo concessa dal diritto o dall'autorità competente secondo le
norme canoniche a persone fisiche in ragione dell'ufficio o per altra motivazione al fine
di risolvere casi di necessità urgenti non previsti dal diritto e sono rette dalle
disposizioni sulla potestà delegata e anche ordinaria».
I DELEGATI.
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Sono coloro che ricevono la potesti delegata Vediamo, allora, chi può ricevere tale
potestà ed entro quali limiti.
La delega può essere fatta a persona fisica e giuridica. Se la persona è fisica allora
l'esercizio di tale potestà non pone particolari problemi: compete alla persona delegata o
alla suddelegata. Se la delega e concessa ad una persona giuridica, come ad esempio una
conferenza episcopale, l'esercizio di tale potestà sarà secondo le norme e gli statuti delle
persone giuridiche.
Il codice prevede la delega della potestà a più delegati. Ci sono tre possibilità: in solido,
collegialmente, successivamente.
Delegati Collegialmente. Si tratta della seconda possibilità, quella della delega fatta a
parecchi delegati collegialmente per trattare un affare. In tal caso la potestà appartiene a
tutti ma non in modo indipendente. In tale situazione per procedere ci si dovrà attenere
alle norme sugli atti collegiali stabilite dal can. 119 e tutto quanto abbiamo già visto
circa la legittima convocazione, la presenza della maggior parte e le relative
maggioranze in caso di elezioni o di trattazione di altre questioni.
Delegati Successivamente: si tratta della delega data a più persone in modo successivo.
La competenza è di chi per primo ha ricevuto la delega. Se il delegato primo non
compie l'affare allora spetta al secondo e cosi via. Se il primo assolve la delega, agli
altri cessa con l'adempimento da parte del primo.
La cessazione di tale potestà avviene anche per revoca della delega da parte del
delegante, per perdita dell'autorità da parte del delegante. Qui però dobbiamo fare una
precisazione: in casi normali la perdita della potestà da parte del delegante non fa
cessare la potestà delegata. Ciò è stabilito dal can. 142, S 1. Tuttavia il delegante può
condizionare, con apposite clausole, la delega alla perdita della sua potestà. In questo
caso la delega dipende totalmente dalla volontà del delegante.
La potestà cessa anche per rinuncia da parte del delegato e, anche questo va previsto,
per morte del delegato. Tale aspetto riguarda, come vedremo, anche i modi con cui
perdere gli uffici ecclesiastici.
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LA SUPPLENZA DELLA POTESTÀ ESECUTIVA E DELLE FACOLTÀ. Gli atti
giuridici per essere validi devono essere posti da persone che hanno la potestà, l'abilità
giuridica, la capacità di porli in essere. Se mance la potestà o si agisce fuori della
competenza l'atto è invalido; tuttavia, il can. 144 prevede delle condizioni in cui
potrebbe mancare la potestà esecutiva prevedendo che chi pone l'atto sia sprovvisto
della relativa facoltà e prevede la supplenza di tale potestà affinché l'atto sia valido.
Ricordiamo che si tratta della potestà di governo e non della potestà di ordine e, inoltre,
sottolineiamo che la supplenza di potestà riguarda la sola esecutiva e non quella
legislativa o giudiziale.
Nelle condizioni previste dal can. 144 la mancanza di potestà di governo è supplita dalla
Chiesa. Supplire significa integrare la mancanza di qualcosa o porre rimedio a tale
mancanza. La finalità della supplenza è quella di garantire che l'atto sia valido e quindi
la stabilità dei rapporti giuridici tra le persone nella comunità ecclesiale.
La supplenza di potestà non deve essere intesa come sanazione di un atto invalido ma
come la concessione della potestà necessaria perché l’atto sia valido.
Tale supplenza è valida dal momento in cui ricorrono le condizioni del can. 144.
Le condizioni sono l'errore comune ed il dubbio, non altre. Le condizioni che prevedono
tale supplenza hanno una origine doppia: dal soggetto passivo della potesta stessa o dal
soggetto attivo.
Vediamo le condizioni previste dal can. 144 perché si possa attivare la supplenza nella
potestà di governo.
Errore comune di fatto o di diritto: l'errore, come già abbiamo visto, è un giudizio falso
su una cosa o persona. Nel caso del 144 l’errore è il giudizio falso della comunità, di
molte persone sulla competenza del ministro sacro di porre un atto giuridico. Si dice
errore comune quello che riguarda la comunità o comunque molte persone. L'errore può
essere di fatto quando la causa dell'errore è un fatto su cui erra tutta la comunità o molti.
In pratica, basandosi su fatti e circostanze, si pensa che la persona abbia la facoltà di
operare. L'errore di diritto non significa invece errore sulla legge, come abbiamo visto
in altri casi. Si tratta dell'errore in cui, date le circostanze, la comunità potrebbe cadere.
Si tratta di un errore virtuale che non si produce.
Pertanto l'errore di diritto si dice errore virtuale in quanto nessuno vi cade. Nell’errore
di diritto la circostanza potrebbe indurre in errore la comunità; non significa ciò la
comunità è tratta in errore ma che potrebbe essere indotta ad un errore circa la potestà di
quella determinata persona.
61
si hanno delle ragioni a suo fondamento. Probabile: i motivi del dubbio inducono a
pensare ad una probabilità che esso si verifichi.
L'oggetto del dubbio può essere un fatto oppure il diritto il dubbio sul fatto verte sul
fatto mentre quello di diritto sull'esistenza della legge nel caso concreto.
c) Stabilità. È una condizione essenziale dell’ufficio: che sia costituito in modo stabile,
il che non significa che il titolare dell'ufficio rimanga in perpetuo ma l'ufficio, in senso
oggettivo, deve essere costituito in maniera stabile, tale stabilità trac origine dalla natura
giuridica dell'ufficio stesso.
Il fine spirituale può essere immediato o mediato. Fine immediato è quello che si addice
a tutti gli uffici che implicano la piena e diretta cura delle anime. Fine mediato è quello
che perseguono gli uffici che contribuiscono al raggiungimento del fine immediato, es.
ufficio di Curia.
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GLI UFFICI ECCLESIASTICI
Dal diritto: si dice che l'ufficio è definito dal diritto quando il complesso dei suoi diritti
ed obblighi è stabilito dalla legge. Per diritto intendiamo quello divino, positivo,
universale e particolare.
Sempre il 146 afferma che l'ufficio ecclesiastico non può essere validamente ottenuto
senza provvisione canonica.
63
Il can. 148 pone un principio generale che riguarda l'autorità che può conferire gli uffici.
Il criterio è che l'autorità che erige, modifica o sopprime un ufficio è la medesima che lo
conferisce. Un'autorità inferiore non e competente nel concedere un ufficio che può
essere provvisto dall'autorità superiore Secondo il criterio del canone ci sono uffici
maggiori la cui competenza è della Sede Apostolica, al Romano Pontefice: erezione di
chiese particolari, la proposizione dei Vescovi, invio di Legati Pontifici, etc.
Altri sono di competenza del vescovo diocesano: erezione della parrocchia, nomina del
parroco, uffici di curia.
Lo stesso criterio si applica agli IVC SVA clericali di diritto pontificio, i loro superiori
hanno competenza sui loro sudditi e sugli uffici da conferire secondo le disposizioni del
diritto proprio.
L'Eccezione prevista dal can. 155. (Se limita alla sola provvisione del ufficio)
I1 Codice prevede dei casi in cui, per delle condizioni impedienti, chi deve provvedere
all'ufficio è impossibilitato a farlo o è negligente nel farlo. In tal caso si ha la forma
straordinaria di provvisione che prende il nome di devoluzione o supplenza o delega a
iure.
Il supplente o delegato non acquista potestà sulla persona designata e la potestà del
supplente si esaurisce nel porre l'atto di supplenza. La persona designata non cambia
nella sua condizione di essere sottoposta all'autorità che doveva provvedere al
conferimento.
Il can. 149, mantenendosi nella generalità, stabilisce le condizioni generali del soggetto
che è chiamato a ricevere un ufficio ecclesiastico.
La prima condizione richiesta è che il candidato sia nella comunione con la Chiesa.
Come sappiamo dal can. 96 la comunione ecclesiale richiede i vincoli della fede, dei
sacramenti e del governo ecclesiastico. Se ne manca uno non abbiamo piena comunione
ecclesiastica. La ragione giuridica di tale condizione è scontata: non si può affidare un
incarico da svolgere a nome della Chiesa se non si è in perfetta comunione con Essa.
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Oltre ai battezzati che lo dichiarano, non sono in piena comunione gli scismatici, gli
eretici, gli apostati.
L'altra condizione posta viene definita in modo generale come idoneità del candidato.
Per idoneità, ex can. 149, 1 significa essere dotato delle qualità richieste dall'ufficio per
diritto universale e particolare. Le qualità richiesta, o can. 241. 1 sono quelle umani
naturali ossia la salute fisica e psichica, le qualità morali intellettuali e spirituali.
Vediamole più analiticamente....
Qualità fisiche. La prima qualità è l'eta Il canone non specifica tale argomento ma dal
combinato disposto con altri canoni emerge il requisito dell'età per l'assunzione di
determinati uffici nella Chiesa: 35 anni per l'episcopato; 30 anni per nominato vicario
generale o episcopale, vicario giudiziale; 16 anni per il essere padrino nel battesimo....
Qualità morali. L'onestà dei costumi can, 521, 2. È richiesta prudenza, saggezza e altre
virtù umane; l'essere degni di fiducia, integra reputazione e fama, onesta condotta.
Qualità intellettuali: tutti i chierici devono prestare il tempo opportuno allo studio e
all'aggiornamento. Al parroco è richiesta sana dottrina. Formazioni più specifiche sono
richieste per altri uffici, il dottorato in particolari materia (vescovi, vicari, etc).
Qualità spirituali. I candidati a particolari uffici devono avere fede eminente e salda,
buoni costumi, pietà e zelo per le anime, ex can. 378, 1, 1 (per i candidati all'episcopato.
Il vescovo diocesano è tenuto ad offrire esempio di santità nella carità, nell'umiltà e
semplicità di vita, can. 387. il candidato a parroco deve essere dotato di zelo per le
anime e di ogni altra virtù richiesta per esercitare la cura pastorale.
Per gli uffici gerarchici è richiesto come requisito il sacerdozio. Can. 150. In genere,
l'essere chierico è necessario per gli uffici il cui esercizio richiede la potestà d’ordine o
quella di governo ecclesiastico.
Il can. 149, S 2 mette indirettamente in risalto il caso di provvisione valida c di
provvisione invalida.
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... Capo ufficio, nulla osta della Segreteria di Stato. Per la provvisione di un ufficio
diocesano sarà il vescovo a fare opportuno discernimento secondo i criteri anche della
compartecipazione.
Altra causa di invalidità è la provvisione fatta per simonia can. 149, 3. si tratta del caso
in cui l'autorità vende il titolo al candidato che lo compra. Tale provvisione è invalida
anche se perpetrata da una terza persona senza che l'interessato sappia nulla. Cio che
rende invalida la provvisione è appunto al simonia.
Il Legislatore pone, por determinati uffici, altre condizioni, il rispetto di alcune di queste
è ad validitatem. Tali condizioni si riferiscono al carattere dell'ufficio, alla sua
compatibilità con altri uffici, il tempo entro cui provvedere l'ufficio, la sua durata, la
condizione di vacanza.
Il codice distingue tra gli uffici che prevedono la diretta cura di anime e quelli che
invece non la prevedono.
Per gli uffici con diretta cura di anime si deve provvedere senza differire a meno che ci
sia grave causa. Can. 151.Tale canone non impone un tempo entro cui agire, come
avveniva in passato (sei mesi ma sottolinea che la provvisione di tali uffici è urgente e
solo una causa grave giustifica il differimento. Tale norma riguarda maggiormente la
modalità del libero conferimento perché in altri casi è il Codice che stabilisce i limiti per
presentare i candidati a parroco, quando sia possibile, si stabiliscono 3 mesi per la prima
volta e 1 mese per la seconda. Il Collegio dei Consultori, in sede vacante, ha 8 giorni per
eleggere l'amministratore diocesano, se non lo fa come abbiamo già visto perde il diritto
di elezione.
Per gli altri uffici esiste il principio generale per il quale l'autorità deve provvedere entro
tre mesi (can. 57, 165).
Il Codice stabilisce anche la possibilità della incompatibilità fra due o più uffici e chiede
che non vengano conferiti alla medesima persona uffici incompatibili. Per
incompatibilità deve intendersi l'impossibilità per la persona di adempiere gli obblighi
inerenti tali uffici.
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Le cause di incompatibilità sono tante: residenza, per cui si richiede la medesima
residenza e presenza in più luoghi contemporaneamente; ampiezza dell'ufficio per cui la
persona non riesce a dedicarsi ad altro per limiti oggettivi di tempo e di possibilità
umane: motivi di non convenienza per cui bene che la stessa persona non abbia più
uffici concomitanti. Secondo la dottrina abbiamo una incompatibilità legale assoluta ed
è stabilita dal diritto: es: amministratore ed economo: vicario generale e penitenziere;
superiore maggiore ed economo generale o provinciale, promotore di giustizia e
difensore del vincolo.
Il can. 153 si occupa del tempo' in relazione allo spazio entro cui si deve provvedere ma
anche in relazione alla durata dell'ufficio conferito.
Il can. 153 stabilisce il tempo entro ci provvedere e prende in considerazione la
situazione dell'ufficio vacante e quella della non vacanza. Si applica sempre quanto
detto rima in relazione al can. 57 e ai tre mesi da rispettare nel libero conferimento.
La vacanza dell'ufficio è retta dai cann. 153-154. attenti bene: la vacanza dell'ufficio,
eccetto il caso del romano pontefice, è condizione indispensabile per poter conferire un
ufficio ecclesiastico. L'ufficio vacante quando non ha titolare. La vacanza si produce per
diverse forme:
- Per morte,
- Per rinuncia,
- Per trasferimento,
- Per privazione.
Il codice considera diverse possibilità di vacanza di ufficio.
Si può avere una vacanza piena, ossia di diritto e di fatto ma anche una vacanza non
piena ossia di diritto ma non di fatto.
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DURATA. Nel codice esistono degli uffici che sono conferibili a tempo determinato ed
altri a tempo indeterminato. La differenza di tali possibilità non risiede nella natura
dell'ufficio ma da quanto deciso dal legislatore.
Tempo indeterminato: si tratta di quegli uffici che richiedono la massima stabilità del
titolare: vescovo diocesano, parroco, cappellano. E chiaro che si tratta di una perpetuità
relativa perché si può sempre rinunciare, essere trasferiti, etc., ciò a dimostrazione del
fatto che nessuno è proprietario dell’ufficio assegnatoli. Il Codice, anche in questi casi,
limiti il possesso dell'ufficio alla condizione dell'età: 75 anni per vescovi e parroci, ad
esempio.
Tempo determinato: sono gli uffici conferiti per un tempo determinato. Tale limite può
essere definito dal diritto universale ma anche dall'autorità che conferisce l'ufficio Es:
economo, CdAE, consultori, vengono nominati ad quinquennium.
In altri casi è l'autorità che stabilisce il tempo di permanenza nell'ufficio nella biglietto
di nomina. I vicari generali, episcopali, devono vedere determinato il loro ufficio nel
tempo e non a tempo indeterminato o ad nutum.
FORMALITÀ DA OSSERVARE.
Oltre a tutti i requisiti di cui abbiamo parlato, il conferimento va effettuato nel rispetto
di formalità che lo stesso codice richiede, a tutela sia dell'ufficio che del titolare di esso.
Si tratta di formalità che deve rispettare l'autorità che conferisce l'ufficio. In taluni casi il
Vescovo necessita del parere di altre persone (consiglio presbiterale, collegio dei
consultori). A seconda della necessità stabilita dal diritto sarà vincolante il consenso
quando richiesto mentre non vincolante il parere quando richiesto (per nominare
economo è richiesto il parere dei consultori e del CdAE per nominar come cancelliere o
giudice è necessario il consenso del rispettivo un religioso superiore maggiore).
Ricordo Sulla forma scritta degli atti amministrativi singolari abbiamo già discusso.
solo che la provvisione di un ufficio si richiede la forma scritta che è elemento
costitutivo, anche ai fini della prova della titolarità dell'ufficio stesso. Se manca la forma
scritta l'atto amministrativo è nullo ex can. 124 sugli atti giuridici.
In questa forma di provvisione, il designato non può vantare come invece accade nella
elezione o nella postulazione alcun diritto sull'ufficio ecclesiastico.
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Il can. Citato parla di Uffici all'intero della propria Chiesa particolare, ossia nella
giurisdizione del vescovo diocesano. Si tratta pertanto degli uffici diocesani. Tale
canone pertanto non si riferisce ad altre chiese ne tantomeno alla Curia Romana come
nemmeno alla Conferenza Episcopale Il Vescovo diocesano non può conferire uffici al
di fuori della propria chiesa particolare. Chi conferisce gli uffici?
Il can. 157 nega al Vicario Generale o episcopale la potestà di conferire gli uffici per
virtù del loro ufficio di ordinari del luogo, a meno che il Vescovo diocesano abbia
concesso apposita delega.
Nonostante quanto detto il Codice attribuisce agli ordinari del luogo nel conferimento di
qualche ufficio: nominare e istituire il cappellano, il confessore della monache, ad
esempio.
Nomina dell'economo: deve sentire il parere del collegio dei consultori e del CdAE.
Nomina dei canonici: deve sentire il parere del capitolo Stabilire la destinazione delle
offerte: sentire il consiglio presbiterale Per conferire un ufficio ad un religioso deve
sentire il superiore suo proprio.
I legati pontifici possono nominare pro prefetti e pro vicari apostolici quando la sede sia
vacante.
Il can. 158 parla della presentazione ed essa è la designazione del candidato chc non dà
nessun diritto all'ufficio da parte del candidato stesso. Secondo tale canone il diritto di
presentazione può essere di una persona fisica come anche di un collegio o di un
gruppo.
Qualora si dovesse trattare di persona fisica la persona con tale diritto deve essere
determinata dalla legislazione; si verifica nelle leggi di fondazione, qualora non fosse
detto nulla si va al diritto particolare e, qualora ancora nulla, al diritto universale (stesso
criterio per le elezioni che abbiamo già esaminato).
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Il can. 377, S 4 riconosce al vescovo diocesano il diritto di proporre tre candidati por
l'ufficio di vescovo ausiliare, la Santa Sede potrebbe però attribuirne un altro. sul di
presentazione non si dice nulla nel canone Le leggi particolari o di modo fondazione
possono prevedere contenuti particolari quali indagini, informative…
La presentazione fatta dal collegio o dal gruppo deve essere effettuata seguendo le
norme sulle clezioni stabilite dal can. 158, S 2. La designazione del candidato è un atto
collegiale che comporta una elezione canonica secondo il disposto del can. 119.
Per quanto riguarda il soggetto passivo, il candidato: il can. 159 csige la disponibilità
del candidato e il 160 parla del numero dei candidati come anche della impossibilità di
presentare se stesso. Il 161 richiede l'idoneità.
Idoneità: è una condizione generica per le quali si richiedono elementi in tutti i candidati
agli uffici ecclesiastici come anche una condizione specifica che per particolari uffici
sono previste; la perizia in particolari materie, etc. Per certi uffici si richiede il
presbiterato, per altril'età, solo per citarne alcuni.
Il can. 159 indica l'impossibilità di presentare qualcuno contro la propria volontà. Il can.
159 stabilisce il modo ed il tempo per ottenere la disponibilità e verificarla. Il canone
esige la disponibilità c l'accettazione previa da parte del candidato per cre presentato; il
can. 161 stabilisce la possibilità di rinunciare all'istituzione. L'autorita, prima di portare
avanti la presentazione, ad ottenere il consenso del candidato, ad ere presentato perche
si farebbe una provvisione nulla.
Il consenso alla presentazione (e non alla provvisione) si ritiene implicito trascorsi gli
otto giorni da quando gli è richiesto il suo parere. Se in tale tempo il candidato rifiuta
non può essere presentato, si d procedere ad una nuova individuazione.
Il can. 160 dispone che si possono presentare anche più candidati in una unica soluzione
o anche successivamentc canone ricorda e richiede la legittimità della presentazione
anche se non offre alcuna determinazione.
Ultimo requisito per la valida presentazione è il rispetto del tempo stabilito. tempo varia
a seconda che si tratti di prima o seconda presentazione.
La prima deve essere fatta entro tre mesi dalla vacanza dell'ufficio.
La seconda entro un mese dalla rinuncia del candidato alla prima presentazione.
Trascorso il tempo si perde il diritto di presentazione stabilito dal can. 162. Si perde
altresi la possibilità di presentazione se si presenta una persona non idonea per due
volte.
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Prima di procedere al conferimento l'autorita deve verificare, da solo o tramite
opportune consultazioni, l'idoneità del candidato all'ufficio. Se consta non idoneo non
può istituirlo, se consta idoneo deve istituirlo.
Can. 163, si tratta, come abbiamo detto, di un atto giuridico diverso dalla presentazione.
L'istituzione spetta all'autorità; essa si individua in relazione all'ufficio che si deve
provvedere.
Si tratta in questi canoni della elezione canonica ll diritto che si osserva in tale elezione
è quello stabilito dagli Statuti, il diritto proprio o particolare e, se non vi sono
disposizioni in tali ambiti, si osservano le normc stabilite dal codice, can. 165 e
seguenti.
La prima condizione, ex can. l'ufficio sia in caso contrario il procedimento sarà nullo
per lo stesso fatto della non vacanza.
Il tempo entro il qualc è necessario procedere alla elezionc puo cssere stabilito dal
diritto particolare, proprio o universale. Per esempio la costituzione apostolica universi
domini gregis prevede il tempo di 15 giorni, massimo 20, per l'elezione del sommo
pontefice. Il diritto universale prevede 8 giorni per l'amministratore diocesano.
Qualora manchi il diritto proprio o particolare il codice stabilisce una norma generale
che prevede un termine di tre mesi entro il quale bisogna procedere alla elezione. I tre
mesi iniziano a decorrere dal tempo in cui è notificata ufficialmente la vacanza
dell'ufficio.
Si concede un mese per la seconda elezione qualora la prima vedesse un rifiuto da parte
dell'eletto.
Decorsi tali termini il collegio perde il diritto di elezione a meno che il decorso inutile
non sia imputabile al collegio. In tali situazioni il collegio non perde il diritto di
eleggere nuovamente (166. S 2).
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Can. 166: la convocazione degli elettori. La convocazione è quell'atto tramite il quale
l'autorità competente convoca gli elettori per procedere all'elezione. È necessaria la
convocazione tramite la quale gli elettori sono riuniti in un unico luogo nel medesimo
orario per poter procedere. La convocazione precede l'elezione ed è necessaria per la
validità dell'elezione.
Hanno diritto di essere convocati tutti gli appartenenti al collegio elettorale. Devono
essere convocati tutti e solo questi. Il 166, SS 2-3 parlano del difetto di convocazione.
Gli effetti giuridici della non convocazione di qualcuno sono diversi a seconda del
numero dei trascurati, sia in buona che in mala fede. Se il numero dei trascurati è
superiore al terzo l'elezione è invalida.
La convocazione deve essere fatta in modo legittimo, cioè conforme alle norme. Può
essere personale o generale.
Il can. 167 s 1 distingue tra il diritto di voto e l'esercizio di tale diritto. Il can. 165
stabilisce che tutti coloro che fanno parte del collegio devono essere convocati. Di
conseguenza il diritto di voto è in relazione all'appartenenza al suddetto collegio. Il can.
171 determina in modo espresso coloro che non possono dare il voto e impliciter coloro
che lo possono dare.
Gli elettori hanno sempre il diritto di voto ma non sempre la possibilità di esercitarlo.
Oltre al diritto è pertanto necessaria la facoltà di dare il voto. Ci si riferisce al diritto
particolare che può concedere la possibilita di voto tramite lettera o per procuratore o
altre determinazioni più specifiche.
In mancanza di tali disposizioni il can. 167 stabilisce che si deve essere presenti nel
luogo della votazione oppure, eccezione, trovarsi nella casa dove avviene l'elezione ma
impediti per malattia.
In tal caso l'eccezione consiste nell'ammettere validamente chi non si trova presente nel
luogo della votazione; tale eccezione si può applicaro verificate tre condizioni trovarsi
nella stessa casa, impediti da malferma salute, la richiesta del voto scritto deve essere
fatta dagli scrutatori.
La prima condizione necessaria e che siano presenti gli elettori il giorno stabilito per
l'elezione. In linea generale esclusa la possibilità di dare il voto tramite lettera o per
procuratore. Questo perché il voto deve essere espresso il giorno della elezione e non
prima inoltre il numero delle schede deve essere uguale al numero degli elettori
presenti.
Anche se uno avesse più titoli per dare il voto non potrebbe farlo, una testa un voto.
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Se nulla dispone il diritto particolare circa la presenza degli elettori allora si fa
riferimento al can.119 che chiede la presenza della maggior parte degli elettori.
Altra causa di validità o invalidità è la convocazione o meno di una parte degli aventi
diritto. L'elezione è invalida se più della terza parte degli elettori fosse stata trascurata.
Perché sia invalida è necessaria la mancanza di più di un terzo e che tale mancanza sia
dovuta alla non convocazione.
Il collegio elettorale deve esprimersi in modo libero. Un collegio coartato o sotto timore
non procede ad una elezione valida. Per quanto riguarda la maggioranza richiesta
sappiamo già dal can.119 che essa è assoluta nelle prime due convocazioni e relativa
nella terza. In caso di parità nel terzo scrutinio è eletto il più anziano di età.
Per principio tali elezioni sono valida a meno che la maggioranza sia determinata da un
voto espresso da persona inabile in tale caso ex can 5 2 l'elezione è 171 invalida.
Modalità di elezione: può essere fatta in modo esplicito per alzata di mano o per
scrutinio segreto, per acclamazione, per compromesso.
Scrutinio: il can. Stabilisce come prima cosa la designazione degli scrutatori e del
notaio. La designazione va fatta dal collegio e non dagli interessati e deve farsi le
canone dispone che si tratti di almeno due scrutatori, possono designare in un numero
maggiore di due Gli scrutatori devono essere membri del collegio elettorale. In linea
generale sono esclusi gli estranei il diritto particolare potrebbe stabilire altro.
L'elezione inizia con la votazione e l'emissione del voto da parte degli elettori. Si puo
votare in diversi modi, per parola o altri segni, stabiliti dal diritto particolare. La forma
comune stabilita dal canone è quella della scrittura.
Si passa ad esaminare se il numero delle schede è pari a quello degli elettori. L'elezione
invalida se il numero delle schede è maggiore; se è minore è valida perche ci potrebbe
essere stata qualche rinuncia al voto.
Verificati tali fatti si procede alla proclamazione dei voti. Se nella votazione non emerge
l'eletto si procede con la nuova votazione con il relativo scrutinio.
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L'elezione può essere fatta per compromesso excan. 174 Tale modalità elettiva è esclusa
da Giovanni Paolo II per l'elezione del Romano Pontefice. In cosa consiste?
Se il diritto non dispone altro e se si ha l'unanimità degli elettori circa questa modalità di
clezione si puo effettuare l'elezione scegliendo delle person dctte compromissari ai quali
viene demandata la facoltà di emettere voto e di procedere alla clezione Essa è possibile
se non è vietata dagli statuti, se non è prescritta un'altra forma obbligatoria dal diritto
proprio.
Nel compromesso gli elettori, in modo unanime, trasmettono il diritto di voto ad altre
sia del gruppo sia estranei perché agisca o agiscano in nome tutti secondo le facoltà
concesse.
Non si richiede una particolare causa per tale modalità. Si pensa che debba esserci vista
la particolariti di tale modalità elettiva.
Vi sono delle condizioni che vanno rispettate sia da parte di chi designa sia da parte di
chi è designato.
La designazione dei compromissari deve essere fatta dal gruppo in maniera mediata o
immediata. Mediata quando la scelta è affidata ad una persona e non al gruppo:
immediata quando c il gruppo che sceglie.
Il compromissario/ i deve essere idoneo. Può anche non essere membro del collegio. Se
il collegio è composto da chierici, il compromissario deve essere ordinato.
L'elezione fatta dai compromissari ha la stessa efficacia di quella fatta dagli elettori. La
cessazione del compromesso è normata dal can. 175:
L'elezione valida per avere i suoi effetti giuridici deve essere accettata dall'eletto.
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Secondo passo: l'eletto deve notificare entro otto giorni dalla notifica l'accettazione o
meno. Trascorso tale tempo il silenzio è inteso come rinuncia e l'elezione non ha valore.
Nel caso di presentazione, se ricordate, il silenzio è considerato come accettazione
tacita. (159)
La non accettazione comporta la necessità di una nuova elezione e l'eletto perde i diritto
proveniente dall clezione. L'accettazione successiva al rifiuto non ha valore perche
ilrifiuto ha già resa inefficace l'elezione che non ha più valore Se si ha accettazione
allora bisogna vedere se si tratta di elezione costitutiva o di elezione che necessita di
conferma da parte dell'autorita
In tutti gli altri casi l'elezione necessita di conferma. Pertanto l'eletto con la semplice
accettazione non acquisisce l'ufficio ma uno ius ad rem ossia il diritto ad ottenerlo da
parte dell'autorità. Una volta accettata l'elezione, l'eletto personalmente o altro in sua
vece, entro otto giorni, chiede all'autorita la conferma e cosi la provvisione dell'ufficio.
La conferma deve essere data per iscritto (179 S3). La forma scritta è per la validità
della provvisione che richiede la possibilità della prova in foro esterno.
Intimata la conferma, se il diritto particolare o gli statuti non prevedono altro, l'eletto
ottiene l'ufficio ed è immesso in esso.
Se l'eletto è idoneo e non viene confermato, dopo tre mesi di silenzio, pu ricorrere al
superiore gerarchico.
POSTULAZIONE (180-183)
Anche nella postulazione si devono osservare le norme delle elezioni. Per quanto
riguarda le differenze: nella postulazione, la persona presentata ha un impedimento
canonico per l'ufficio. Mentre l'elezione porta al diritto dell'eletto all'ufficio, la
postulazione una grazia che viene concessa.
Gli elementi della postulazione (can. 180). Essa, come forma eccezionale di
conferimento, può essere fatta a determinate condizioni stabilite dal codice stesso.
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l'elezione. L’impedimento deve essere dispensabile e quindi di diritto ecclesiastico. La
facoltà di postulare spetta agli elettori, esclusi gli estranei al collegio. Se la facoltà di
postulare non è espressa nel compromesso, i compromissari non possono postulare
all'autorità.
Nella postulazione sono richicsti, per il suo valore, i due almeno terzi dei voti (can. 181.
S10. Non è richiesta ne maggioranza assoluta ne relativa ma solo il minimo dei due terzi
dei presenti che, come sappiamo, devono essere la maggior parte del collegio elettorale.
Non si può dare voto per lettera o procuratore.
Per quanto riguarda la formula si può avere la postulazione senza elezione, in questo
caso nella scheda gli elettori scriveranno partulo N.N.
Si può avere anche il caso di postulazione cd elczione insieme quando magari non si è
sicuri della presenza o meno di impedimenti sulla persona del candidato La formula sarà
eleggo o portulo N.N. L'atto successivo è la trasmissione della postulazione all'autorità
competente ed è regolamentato dal can. 182.
Qualora il presidente non trasmetta la postulazione entro gli otto giorni la postulazione,
per lo stesso fatto è nulla. Il tempo è quindi un elemento costitutivo della postulazione.
Tuttavia se il collegio prova che il ritardo è per causa di forza maggiore allora il collegio
non perde il diritto di trasmissione. Nel caso di legittimo impedimento il decorso del
tempo inizia con il finire dell'impedimento.
Il can. 183 determina gli effetti della postulazione. Se essa non viene confermata
dall'autorità competente, il diritto di eleggere torna al collegio. L'autorità non è
obbligata ad ammettere la postulazione che sempre una grazia La non risposta entro tre
mesi si intende come accettazione.
La perdita dell'ufficio è l'atto mediante il quale il titolare perde l'ufficio che diviene
vacante. Le cause di perdita dell'ufficio sono stabilite dal can. 184: sono cause naturali a
morte) esse sono indipendenti dalla volontà del titolare dell'ufficio: la cessazione del
superiore che concesse l'ufficio, la scadenza del tempo.
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Abbiamo poi cause volontarie come la rinuncia.
Vi sono poi cause giuridiche come decisioni del Superiore e abbiamo il trasferimento, la
rimozione e la privazione.
Ricordiamo che, come per la provvisione, la perdita dell'ufficio avviene per atto
giuridico posto dall'autorità competente pertanto non saranno le cause (naturali o altro)
a determinarne la cessazione ma sempre un atto della competente autorità.
Morte: l'ufficio ecclesiastico si perde con il decesso del titolare. Esso non può essere
trasmesso agli eredi. In altri casi come di malattia fisica o mentale necessaria pero la
rinuncia.
Cessazione del superiore: il canone stabilisce espressamente che salvo che il diritto
non disponga altrimenti il titolare dell'ufficio non perde l'ufficio con il venir meno del
superiore concedente. In certi casi però il diritto menziona espressamente che il venire
meno del Superiore produce la vacanza di certi uffici come gli uffici vicari per i vicari
generali ed episcopali. Anche qui la vacanza degli uffici si produce dal momento in cui
sono emessi gli Atti pontifici sulla vacanza della sede (can. 417).
Per taluni uffici, con il nuovo superiore, si esige la conferma o meno che in pratica
costituisce una nuova provvisione (vicari giudiziali, segretari dei dicasteri).
Scadenza del tempo: lo scadere del tempo per il quale l'ufficio fu concesso non
produce automaticamente la perdita dell'ufficio perche al tempo non sono riconosciuti
effetti giuridici; è sempre necessario un atto dell'autorita con il quale si priva l'ufficio
del suo titolare.
Il can. 18, s 3 e il can. 186 parlano della notificazione e della perdita dell'ufficio
ecclesiastico.
La perdita può essere sospesa' in caso di ricorso gerarchico: mentre è sospesa non si puo
fare nulla.
Il can. 185 parla del titolo di emerito che è una istituzione nuova del Codice equiparata
ad un titolo onorifico, il titolo di emerito può essere concesso quando si cessa l'ufficio
per raggiunti limiti di età o per rinuncia accettata. Il titolo, come sempre, non si ottiene
con la rinuncia all'ufficio ma con un conferimento da parte della autorità competente.
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Eccezione: il vescovo, can. 402, S 1, che rinuncia e la cui rinuncia viene accettata
mantiene il titolo di vescovo emerito della sua diocesi a meno che la Sede Apostolica
non disponga altrimenti.
altra causa di perdita dell'ufficio è la rinuncia. Essa è data dalle dimissioni che viene
considerata come una libera domanda, da parte del titolare dell'ufficio, di cessare in tale
titolarità. Come abbiamo già detto, la semplice petizione non produce effetti giuridici in
quanto sara l'accettazione da parte della autorità a produrli.
La rinuncia può essere assoluta o condizionata. Nel primo caso il titolare rinuncia in
modo puro e semplice e in senso assoluto senza porre condizioni ne parti. Nel secondo
caso alla rinuncia è annessa qualche condizione (can. 1743).
I canoni stabiliscono dei requisiti per porre l'atto giuridico della rinuncia.
Persona abile i cann. 187-188 mettono in chiaro le condizioni personali necessarie per
porre in essere validamente un atto di rinuncia.
Il primo requisito è che la persona sia abile, capace di intendere e volere, libera. La
libertà e condizione essenziale: in caso di rinuncia fatta per dolo o errore sostanziale la
rinuncia è invalida quando riguarda elementi costitutivi dell’atto giuridico. Se il dolo ed
errore sono accidentali allora la rinuncia produce effetti.
Il secondo requisito per la rinuncia è la manifestazione della volontà, can. 189 S 2 Tale
manifestazione prende il nome di presentazione e si esprime a parole o per iscritto. Il
can. 187 esige una causa per la rinuncia all'ufficio: la causa deve essere giusta e
costituisce il motivo per la rinuncia che poi va sempre accettata. Il giudizio sulla causa
spetta all'autorità per accettare o meno la rinuncia.
Per quanto riguarda le formalità che devono essere rispettate, il can. 189, S 1 chiede una
forma per la presentazione. È necessario anzitutto che la rinuncia venga presentata
all'autorità competente, in modo scritto oppure orale davanti a due testimoni.
Eccezione è la rinuncia del Romano Pontefice che per essere valida deve esser posta in
modo libero e debitamente manifestata.
Il codice stabilisce dei casi in cui non è necessaria l'accettazione della rinuncia: il caso
del Romano Pontefice, il caso dell'amministratore diocesano.
Nei casi in cui non necessaria l'accettazione, l'effetto giuridico della rinuncia è
immediato e l'efficacia proviene dal diritto. L'ufficio pertanto diviene vacante.
La rinuncia non può essere revocata e tale rinuncia deve essere notificata a coloro che
devono provvedere.
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La seconda ipotesi è quella che prevede l'accettazione da parte dell'autorita. Tale
accettazione è soggetta ad alcune condizioni:
Tempo: il can. 189,53 prevede i tre mesi per l'accettazione della rinuncia. Quando
l'autorità non da risposta entro tre mesi la rinuncia perde il suo valore.
Finche non ha prodotto il suo effetto giuridico la rinuncia può essere revocata dal
titolare. L'efficacia della rinuncia inizia con gli atti dell'autorità che intima o notifica.
Altro modo con cui si perde l'ufficio è il trasferimento. Di questo si occupano i due
canoni citati.
Si parla di causa giusta; qualora non dovesse esserci la giusta causa il trasferimento e
sempre valido.
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Forma scritta: il trasferimento, S 3, va intimato per iscritto tramite la notifica del
decreto singolare.
Effetti giuridici: can. 191: il trasferimento comporta a la vacanza del primo ufficio con
il possesso del secondo ufficio ottenuto. Non è sufficiente l'intimazione fatta per iscritto
perché il trasferimento sia efficace.
La remunerazione del primo ufficio, can. 191, si perde con il possesso del secondo.
a) Per decreto. In generale il titolare non può essere rimosso se non per causa grave;
potrebbe essere causa grave l'inadempienza degli obblighi dell'ufficio...
Oltre all'esistenza di giusta causa si dovrà osservare la procedura prevista che vuole la
raccolta di prove, l'ascolto degli interessati, l'applicazione del can. 50 e la motivazione
posta nel decreto.
b) Dal diritto: si è rimossi per cause stabilite dal diritto stesso. Perdita dello stato
clericale. Abbandono pubblico e notorio della fede cattolica e comunione con la Chiesa.
Attentato al matrimonio da parte di un chierico.
Il can. 195 chiede all'autorità che rimuove anche la cura e il sostentamento economico
del rimosso. L'espressione del canone di provvedere economicamente per un congruo
periodo di tempo' significa che tale tempo sarà determinato. La durata del sostentamento
è lasciata al giudizio della autorità.
80
dell'ufficio si ha la possibilità dell'appello al tribunale competente. L'appello produce
effetti sospensivi, pertanto la pena della privazione, durante l'appello è sospesa.
Materia adatta: la prima condizione è che l'oggetto del possesso sia prescrittibile, cioè
soggetto a prescrizione. Il principio generale è che ogni materia sia prescrittibile; il can.
199 determinerà le materie imprescrittibili.
Titolo: è la ragione per cui si acquista un diritto I titoli della prescrizione sono tanti:
l'acquisto, la donazione, i lasciti, la dote, etc.
Buona fede: la buona fede è coscienza di non fare il male al legittimo possessore. La
buona fede integra il titolo ma non si sostituisce ad esso. La buona fede è richiesta per
tutto il decorso del tempo della prescrizione
la buona fede si prova o si deduce dalle circostanze nelle quali si realizza il possesso. La
buona fede è richiesta solo per la prescrizione acquisitiva. Questo concetto, per ovvi
motivi, non si applica alla prescrizione estintiva. Possesso: per essere alla base della
prescrizione deve avere i seguenti requisiti: Giuridico: consiste nel possedere la cosa a
nome proprio e con l'animo di titolarità Continuato e senza interruzione: deve esserci
anche la buona fede per tutto il tempo e non solo all'inizio del possesso. Giusto, ossia
non viziato. Esempi di vizio sono la violenza, la clandestinità... Tempo: il tempo
richiesto per la prescrizione è quello stabilito dalle singole leggi. Anche qui come nel
caso degli uffici ecclesiastici ribadiamo il fatto che non è solo il tempo ed il suo decorso
a determinare la prescrizione. Si tratta della concomitanza della presenza di tutte le
condizioni che abbiamo visto a determinare l'effetto giuridico della prescrizione Non
solo il decorso del tempo Far coincidere il del tempo con la prescrizione non è proprio
corretto
I diritti e gli obblighi di legge divina naturale o positiva (primato del romano pontefice,
obblighi del battesimo, etc).
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I diritti che si possono ottenere solo per privilegio apostolico: si tratta di facoltà di
dispensa concesse dalla Santa Sede, le conferenze pontificie, la facoltà di concedere
indulgenze...
I diritti e gli obblighi che riguardano la vita spirituale dei fedeli annuncio del vangelo,
diritto di avere tutti gli aiuti spirituali, di scegliere il proprio confessore.
Elemosine o oneri delle Messe: si deve sempre rispettare la volontà dei donatori. Con il
passare del tempo non viene meno l'obbligo di destinare le offerte secondo le intenzioni
e di rispettare gli oneri.
Mediante gli atti giuridici si modifica il patrimonio giuridico del destinatario e quindi i
suoi rapporti all'interno della comunità ecclesiale.
Gli atti giuridici si distinguono dai fatti giuridici: questi sono degli eventi che non
dipendono dalla volontà dell'uomo ma che producono effetti giuridici (si pensi alla
nascita e alla morte). La distinzione tra fatti ed atti giuridici risiede, fondamentalmente
nella presenza della volontarietà negli atti giuridici e nell'assenza di volontà nei fatti
giuridici. Con gli atti giuridici è la volontà della persona a volere determinati effetti; la
cosa non è la medesima coi fatti giuridici dove, invece, non entra la volontarietà.
Il can. 124 stabilisce che per la validità l'atto giuridico deve essere posto da persona
abile e che in esso ci sia cio che costituisce l'atto stesso come pure le formalita ed i
requisiti posti dalla legge per la validità. Sono dunque tre le condizioni imposte per la
validità dell'atto giuridico: abilità della porsona; presenza degli elementi essenziali
formalità richieste dal diritto.
Abilità della persona: affinché l'atto sia valido è necessario che si posto da una persona
capace di voler produrre effetti giuridici. Il can. 124 parla di atto posto persona abile.
È richiesto innanzitutto che il soggetto sia in possesso della capacità di agire senza la
quale la persona sarebbe radicalmente inabile all'atto in quanto priva dell'attitudine di
compiere manifestazioni idonee a modificare la propria situazione giuridica. Sappiamo
che il legislatore fa dipendere il possesso di tale facoltà oltre che dal battesimo anche da
altri fattori quali l'età, l'uso di ragione.
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Presupposta la capacità di agire generale è necessaria anche quella particolare o
specifica: è il caso del vicario generale che pone un atto di governo per il quale si
richiede mandato speciale.
La validità dell'atto giuridico dipende dalla presenza di tutti gli elementi che lo
costituiscono senza i quali l'atto è inesistente. Sono la volontà dell'autore, la causa e il
contenuto dell'atto. Un atto giuridico senza un suo clement costitutivo irragionevole e
quindi invalido.
La validità dipende altresì dal rispetto delle formalità prescritte dal diritto come anche
dalle modalità con le quali l'atto viene posto in essere. Non si tratta di requisiti che
devono essere presenti nell'autore ma sono elementi procedurali formali esterni all'atto.
Per trasferire un parroco il vescovo deve seguire una particolare procedura che
manifesta una sua ragionevolezza.
Per assicurare una adeguata certezza giuridica il can. 124 introduce la presunzione di
validità per l'atto che risulti rispettoso degli elementi esterni.
Timore grave: si distingue dalla violenza fisica e si qualifica come "violenza morale".
Nel timore grave è presente la coazione, la pressione psicologica o una minaccia sulla
persona che diminuiscono nella persona la capacità della sua libertà e volontà.
A differenza della violenza esterna assoluta con il timore grave la volontà della persona
non è totalmente annichilita la tra l'agre c il minacciato. motivo, l'atto posto sotto timore
grave è valido codice prevede pero la possibilità di rescinderlo quando: il timore deve
avere un carattere di gravita tale da aver avuto influsso rilevante sulla libertà della
Persona: il timore essere esterno o interno, deve esser incusso ingiustamente.
In tali casi il soggetto potra fornire al giudice laprova per ottenere l'annullabilità dell'atto
posto
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Dolo: il dolo sappiamo cosa è. Una serie di raggiri, artifizi posti con il fine di ingannare
una persona per indurla a compiere un determinato atto giuridico che senza
quell'inganno non avrebbe posto in essere.
Il can. 125 giunge per il dolo alle medesime conclusioni del timore grave: l'atto è valido
salvo espresse previsioni codiciali di nullità, in tali casi il dolo rende invalido l'atto:
rinuncia dell'ufficio; amissione al noviziato; voto religioso; matrimonio stesso…
Ignoranza ed errore. Anch'essi rientrano nei vizi che limitano il pieno esercizio della
libertà. Anche questi non rendono invalido l'atto giuridico a meno che sia il legislatore
a prevederlo espressamente. La norma dichiara valido l'atto ma si potrà richiedere
l'annullamento da parte del giudice Dobbiamo però distinguere: quando ignoranza ed
errore riguardano elementi essenziali dell'atto, esso è invalido (es: consenso
matrimoniale, errore di persona); valido negli altri casi, ossia quando ricadono su
elementi non essenziali.
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