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GIACOMO LEOPARDI

1798 - 1837
La nascita
• 1789 a Recanati, il primo dei cinque figli di
Adelaide Antici, donna intraprendente, bigotta,
severa e Monaldo Leopardi, uomo di lettere
• Un bambino precoce: traduce, scrive testi poetici
in italiano e latino, una tragedia: Entro dipinta
gabbia, 1972.
• Tra le pareti di casa Leopardi trascorse "sette anni
di studio matto e disperatissimo" per
impossessarsi di un più ampio universo
Il GIOVANE GIACOMO
La malattia
• Diede a Leopardi molto precocemente la
consapevolezza del modo in cui la natura
condiziona l'essere umano
• L'esperienza della deformità non rimase un
lamento individuale, ma divenne per lui
strumento conoscitivo: vi scorge nell'uomo
moderno una decadenza fisica e spirituale
rispetto alla condizione degli antichi
PALAZZO LEOAPRDI A RECANATI
Lo studio
• Studia filologia nella biblioteca del padre
• Impara il greco, la letteratura dei classici e la
loro filosofia
• 1815: Saggio sopra gli errori popolari degli
antichi – la dialettica tra ragione e fantasia
(negli antichi c'è una perduta facoltà di
fantasticare, immaginare, illudersi, raffigurare
intorno a sé un mondo bello e ameno)
Dall'erudizione al BELLO. 1816
• Traduce il I libro dell'Odissea e il II dell'Eneide
• Compone Inno a Nettuno, una lirica: Le
Rimembranze e la cantica in terzine:
L'appressamento della morte
• Lettera ai signori compilatori della 'Biblioteca
italiana'
• 1817: Elegia I – Il primo amore nato dalla passione
per Gertrude Cassi Lazzari
• Inizia Lo Zibaldone di pensieri (fino al 1832)
• Inizia la corrispondenza con Pietro Giordani che
sarà la sua guida nel mondo delle lettere moderne
1818
• Discorso di un Italiano intorno alla poesia
romantica in difesa della poesia classica
• Pubblica a Roma All'Italia e Sopra il
Monumento di Dante
• 1819: grave malattia agli occhi che gli
impedisce di leggere e scrivere
• Medita il passaggio dal bello al vero/dalla
letteratura alla filosofia, dall'"antico" al
"moderno"
Dal bello al vero
• Il presente, regno della ragione, non lascia spazio alle
illusioni, ai fantasmi, alla fantasia creatrice di poesia
lirica
• Tenta di fuggire da Recanati ma è scoperto
• 1820 inizia le Operette Morali "certe prosette
satiriche" (pubblicate nel 1827 a Milano): attraverso
personaggi storici (T. Tasso, C. Colombo) o fantastici (la
Moda, la Terra, la Luna, la Natura) sono analizzati
spietatamente i processi sui quali si fonda il comune
senso del vivere, la verità viene a galla rivelando che la
vita è un deserto pieno di dolore e la natura
indifferente al destino delle sue creature.
Le Operette
• 1824-1832 (prima edizione 1827): segnano un
ritorno alla filosofia
• In questi testi combatte errori e pregiudizi Non
ebbero grande fortuna perché non
presentavano idee in concordanza con quelle
risorgimentali veicolate nell'epoca, anzi,
opposte
• Sono il periodo di passaggio tra le due stagioni
poetiche leopardiane
Il pessimismo
• 1820 – la filosofia di Leopardi comincia ad andare
su un versante negativistico
• Si avvicina ai filosofi sensisti e illuministi: Diderot,
Montesquieu – si allontana dalla fede cristiana,
critica l'ascetismo cristiano, si colloca su posizioni
di ateismo
• Pessimismo storico: l’infelicità frutto del progresso
e della ragione
• Pessimismo cosmico: la natura è causa
dell’infelicità, che è connaturata all’uomo: la
natura matrigna
L'abbandono di Recanati
• 1822 – va a Roma da zii, la capitale lo delude e anche
gli intellettuali romani. Non riesce ad ottenere un
incarico presso la Santa Sede
• 1825 va a Milano dove l'editore Stella gli commissiona
un'edizione completa di Cicerone che non si farà
• 1825 a Bologna dove rimane per un anno e traduce il
Manuale di Epitteto e scrive un commento alle Rime di
Petrarca per Stella
• 1827 esce La Crestomazia italiana (raccolta di luoghi
letterari insigni)
• Il contratto con Stella lo rende indipendente dalla
famiglia
A Firenze
• Conosce il gruppo dell' "Antologia Vieusseux" –
cultura progressista e liberale
• Fu invitato a collaborare all'Antologia, Leopardi
rifiutò perché si sentiva lontano dall'ottimismo e
dalla fiducia dei membri del gruppo
• Il suo atteggiamento freddo e distaccato gli portò
anche inimicizia e antipatia
• Insofferenza per le utopie liberali opposte alle sue
idee: Palinodia al marchese Gino Capponi
Palinodia - riscrittura
• palinodìa s. f. [dal gr. παλινῳδία, comp. di πάλιν «di
nuovo» e ᾠδή «canto»; lat. tardo palinodĭa].
– 1. Composizione poetica in cui viene ritrattato, modificato,
smentito, quanto era stato affermato in una composizione
precedente (il nome deriva dal titolo dell’ode Palinodia, in
cui il poeta greco Stesicoro scagionava Elena da ogni colpa,
mentre in un’opera precedente, l’Elena, l’aveva considerata
responsabile della guerra di Troia; secondo la leggenda,
dopo aver scritto la Palinodia, Stesicoro riebbe la vista, che
aveva perduto per l’ira di Elena, offesa per le accuse
ricevute). 2. Per estens., scritto o discorso nel quale si
ritrattano opinioni già professate, illustrando i motivi del
cambiamento: scrivere, pronunciare una p.; e con tono
ironico: cantare la palinodia.
I grandi idilli
• 1828 è a Pisa: scrive Il Risorgimento e A Silvia, poi
a Firenze e di nuovo a Recanati – emozioni e
ricordi: Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta,
Il sabato del villaggio, Canto notturno di un
pastore errante dell'Asia
• 1830 di nuovo a Firenze conosce Fanny Targioni
Tozzetti, oggetto di passione incorrisposta e
ispiratrice di poesie: Consalvo, Il pensiero
dominante, Amore e morte, A se stesso, Aspasia
FANNY TARGIONI TOZZETTI (1805-1889)
Silvia ...

Teresa Fattorini,
figlia del cocchiere
di casa Leopardi,
morta a 20 anni

La sua casa vista


dalla biblioteca
del Palazzo Leopardi
Verso gli ultimi anni
• Incontra di nuovo l'amico Antonio Ranieri che gli
sarà vicino fino alla morte
• 1831: scrive i Paralipomeni della
Batracomiomachia dove i patrioti, truppe papaline
e austriaci sono trasformati in topi, rane e granchi
• 1831 vede la luce la prima edizione dei Canti
• Va a Napoli per curare la salute e firma con
l'editore Starita un contratto per tutte le sue
opere: esce subito una nuova edizione dei Canti
Antonio Ranieri
Paralipomeni – cose tralasciate
• paralipòmeni s. m. pl. [dal lat. tardo paralipomĕna, adattam.
del gr. παραλειπόμενα, neutro pl. del part. pres. passivo
di παραλείπω «tralasciare»]. – 1. Propr., cose tralasciate, cose
omesse. La parola, usata assai raram. come nome comune, è il
titolo attribuito, nella versione greca dei Settanta, a due libri
dell’Antico Testamento (le Cronache del testo ebraico),
probabilmente perché integrano o comunque confermano fatti
e vicende narrati nei precedenti libri di Samuele e dei Re,
relativi allo stesso periodo della monarchia israelitica. 2. Per
estens., opera o scritto che sia, o si immagini che sia, la
continuazione, il completamento di altre opere o scritti; quasi
esclusivam. come titolo: per es., i Paralipomeni della
Batracomiomachia (v.) di G. Leopardi.
STATUA DI GIACOMO LEOAPRDI
A RECANATI
Temi
• Il pessimismo
• La natura benigna vs. la natura matrigna vs.
natura indifferente
• L’infelicità, il dolore e il piacere
• La memoria
• La morte – la morte dei giovani
• Il passar del tempo
• L’infinito
La poesia e la poetica
• Rifiuta la modernizzazione della poesia attraverso
l'importazione di modelli stranieri
• L'antichità è l'età poetica per eccellenza, forse
preclusa per sempre all'uomo moderno – c'è tra
loro e noi una distanza incolmabile – è per questo
che la poesia di Leopardi è talmente diversa da
quella di Foscolo e di Monti
• Solo la fanciullezza ci avvicina a quello stato
poetico degli antichi: sterminata fantasia,
ignoranza, felicità, immaginazione, la natura
partecipe della vita umana, mai indifferente
Poesia d'immaginazione e poesia
sentimentale

• Quella antica immaginativa, risultata da uno


stato di grazia in cui si ignora il male e il dolore
• La poesia sentimentale, propria di questo
"secolo", è piuttosto una filosofia,
un'eloquenza, viene dalla cognizione
dell'uomo e delle cose, dal vero, laddove la
poesia primitiva si ispira al falso
Pessimismo storico e cosmico
• L'uomo moderno è confinato in una condizione
negativa; 1821-22: abbandona l'idillio, scrive
canzoni in cui va alla radice del male della
condizione umana – poi abbandona la poesia per
la prosa
• Leopardi comprende che i suoi mali e la sua
infelicità non sono proprie solo della sua storia
individuale, né alla sua condizione di "moderno"
ma sono tratti tipici, da sempre, dell'uomo
Il pessimismo cosmico
• Vastità e assolutezza delle verità negative che
coinvolgono l'uomo e la natura da sempre e
necessariamente
• La natura rivela il suo volto terribile (Dialogo
della Natura e di un Islandese)
• L'unica consolazione è la morte (Il Dialogo di
Tristano e di un amico)
La memoria/il ricordo e l'ultimo
Leopardi
• Nei grandi idilli (pisano-recanatesi)
• Il tema del ricordo è centrale in A Silvia e in Le
ricordanze – le illusioni sono rivissute attraverso il
ricordo
• L'ultimo Leopardi è eroico e satirico
• Solitaria contrapposizione alle idee dominanti
nella Firenze dell'epoca (Paralipomeni…,
Palonodia…): è una poesia che desidera
proclamare la verità del proprio pensiero e intesa
ad affermare l'esemplarità della propria poesia
della "denuncia"
L'eredità
• Leopardi condivide con i suoi simili il peso della
condizione e delle contraddizioni umane
• La voce più ricca e complessa della sua epoca
• Fu assente nel suo tempo; anacronismo: estraneità alla
sua epoca e anche al neoclassicismo; rifiuta i repertori
mitologici – dopo di lui l'antichità rimase lontana dalla
modernità
• La sua fama crebbe dopo l'unità d'Italia e la sua poesia,
in linea con quella di Petrarca, viene collocata tra le più
alte della lirica italiana
• Ebbe la capacità di parlare alle generazioni successive
L'infinito (1819)
• Composto nel 1819 e pubblicato nel 1825
• Il primo degli ‘idilli’ è anche la più famosa
poesia leopardiana, in cui l’ispirazione lirica e
contemplativa di un’anima solitaria e
malinconica, nella comparazione che unisce gli
opposti - “io quello / infinito silenzio a questa
voce” - attinge d’improvviso al sublime e
all’eterno.
L’Infinito
• Il suo naufragar in quello che Dante chiamava “lo gran
mar dell’essere” potrebbe anche ricordare il destino
finale dell’Ulisse dantesco; ma qui, al culmine di tutto
un profondo pensiero, con semplicità estrema, è
definito dolce.
• Quest’altra sintesi-ossimoro di due vocaboli attraversa
come una spada tutta la lirica italiana; fino a tornare,
quasi ipnoticamente, negli anni di guerra 1940-45, nei
versi di Il tempo è muto di Ungaretti: “Che nel mistero
delle proprie onde / Ogni terrena voce fa naufragio”.
(Treccani)
• Endecasillabi sciolti
Esemplificate in l'Infinito una delle
seguenti figure retoriche
• Enjambement
• Iperbole
• Ossimoro
• Polisindeto
• Anastrofe:
Altro esempio di anastrofe: Allor che all'opre
femminili intenta / sedevi, assai contenta (A
Silvia)
La sera del dì di festa (1820)
• idillio composto a Recanati tra il 1819-1821 fu
pubblicata sul “Nuovo Ricoglitore” nel 1825
• La sofferta esperienza autobiografica visibile in
questo poema, atteggiamento doloroso e ribelle
verso la propria infelicità che si sviluppa dopo il
1819
• il notturno lunare – immagine della natura antica
onnipossente; la donna entra nel sistema della
natura ed è contenta, tranquilla; condivide con la
natura l’indifferenza e il riposo del sonno.
Giacomo Leopardi di La sera del dì di festa e
Ugo Foscolo di Le ultime lettere...
“Io contemplo la campagna: guarda che notte serena e pacifica! Ecco
la luna che sorge dietro la montagna. O luna! amica luna! Mandi ora tu
forse sulla faccia di Teresa un patetico raggio simile a quello che tu
diffondi nell’anima mia? Ti ho sempre salutata mentre apparivi a
consolare la muta solitudine della terra... Bell’alba!... È pur gran
tempo... Ch’io non ti vedo, o mattino, così rilucente! – ma gli occhi miei
erano sempre nel pianto... Splendi su splendi, o Natura, e riconforta le
cure de’ mortali... Tu non risplenderai più per me. Ho già sentita tutta la
tua bellezza, e t’ho adorata, e mi sono alimentato della tua gioia... E
finché io ti vedeva bella e benefica, tu mi dicevi con una voce divina:
vivi. – Ma, nella mia disperazione ti ho poi veduta con le mani grondanti
di sangue.”
Le ultime lettere di Jacopo Ortis
La sera del dì di festa, 1820, vv. 1-18

• Autografo
conservato nella Biblioteca
Nazionale
«Vittorio Emanuele III»
di Napoli.
Fonte: Giacomo Leopardi,
Canti, vol. 2,
edizione fotografica
degli autografi,
a cura di Emilio Peruzzi,
BUR, Milano 1998.
La sera del dì di festa
• L’isolamento, la solitudine, l’esclusione dal bene della
natura e della donna amata;
• Seguire le immagini sonore – che cosa richiamano? I
ritmi della natura, la tranquillità che è solo nella
lontananza, di solito i suoni sviano il pensiero del
poeta non lo assecondano
• il paesaggio vago iniziale si scioglie in una meditazione
sul passar del tempo che vanifica ogni tentativo umano
• Il dolore personale si allarga a contenere il dolore del
genere umano.
• Domanda: La disperazione iniziale si placa o accresce?
La sera del dì di festa
• Idillio di quarantasei endecasillabi sciolti
• "balcone" – finestra
• "posa la luna" induce ma non impone l’idea di
riposo
• "antica natura" che è oggi come fu nei tempi
remoti
• Il grido dell’ubi sunt ricorda certe esperienze
preromantiche
• Osservare gli enjambements
A Silvia (1828)
• canzone libera di sei strofe di endecasillabi e settenari,
con rime alternate e baciate e strofe di diversa misura
• fu composta a Pisa (fa parte dei grandi idilli) nel 1828
dopo Le Ricordanze; ambedue sono “versi all’antica,
con quel mio cuore di una volta”
• Silvia è il nome della protagonista dell’Aminta di Tasso.
Qui sembra incarnare Teresa Fattorini, la figlia del
cocchiere di casa Leopardi, morta di tisi nel 1818. Il
nome ha anche risonanze autobiografiche, nella
giovinezza aveva pensato di scrivere un romanzo
autobiografico di Silvio Sarno
A Silvia
• Leopardi pensava che una donna sui 16-18 anni ha un
non so che di divino nel viso, nei moti, fiore
freschissimo e purissimo di gioventù, speranza vergine,
l’ignoranza del male – l’immagine di simile bellezza
eleva l’anima. Se si pensa anche ai dolori e alle
sofferenze future si è ancora più commossi.
• La donna qui è l’immagine ideale di tutte le giovinezze
• Domanda: Osservate come descrive Leopardi la
donna. Quali sono le caratteristiche di lei? Qual è il
sentimento che domina? Quali sono i temi grandi della
poesia? Qual è la visione sulla natura?
La Ginestra, 1836
• canzone libera pubblicata dopo la morte del poeta nel 1845
di sette strofe con rime e rime al mezzo pubblicata postuma
• la filosofia leopardiana non è misantropica ma esclude la
misantropia (mancanza di fiducia, sprezzo, odio per gli
uomini)
• testamento spirituale che riprende la polemica
antiottimistica e antireligiosa: egli non nega più l’idea di
progresso ma cerca di costruirne una basata sul
pessimismo: l’identificare la natura come nemico comune
può avvicinare gli uomini per combattere la sua malvagia. In
questo modo possono cessare le ingiustizie e le
sopraffazioni della società
La Ginestra
• la filosofia leopardiana si apre ad una generosa utopia basata sulla
solidarietà fraterna fra gli uomini basata sulla comprensione del
vero.
• quadro gigantesco del vulcano minacciante, le distese infeconde di
lava
• la nullità della terra nei confronti della grandezza dell’universo
• pietà verso le sofferenze umane, il potere consolatorio del
profumo di ginestra.

Domande:
1. tradurre dall’inizio a “All’amante natura”.
2. Osservate il modo in cui Leopardi descrive il Vesuvio. Che cosa
rispecchia l’autore nell’immagine dei pendii deserti? Qual è il ruolo
della ginestra in simile spazio?
La Ginestra

• 1836 – fugge Napoli


dove imperversava il
colera e va vicino al
Vesuvio
• 1837: muore a soli 39
anni
Zibaldone, 2 gennaio 1829

“La mia filosofia, non solo non è conducente alla


misantropia, come può parere a chi la guarda solo
superficialmente, e come molti l’accusano; ma di sua natura
esclude la misantropia, di sua natura tende a sanare, a
spegnere quel mal umore, quell’odio, .... che tanti e tanti....
portano.... A’ loro simili, ... a causa del male che ricevono dagli
altri uomini. La mia filosofia fa rea d’ogni cosa la natura, e
discolpando gli uomini totalmente, rivolge l’odio, o se non
altro il lamento, a principio più alto, all’origine vera de’ mali
de’ viventi.”
Il Vesuvio
La Ginestra

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