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CONSERVATORIO DI MUSICA “A.

BOITO” - PARMA

AFAM A.A. 2021/2022

CORSO DI ACUSTICA, MUSICA, MEDIA E


TECNOLOGIE

Docente Prof. Michele Ballarini

Dispense lezioni I & II

1
Introduzione pag.3
Lezione I
Prima delle registrazioni pag.4
Primi studi sulla natura del suono pag.6
I pionieri Leon Scott e Charles Cross pag.7
Il Phonograph di Thomas Alva Edison pag.8
Il disco di E.Berliner pag.9
Le prime registrazioni pag.10
Il periodo acustico pag.12
Lezione II
L’incisione elettrica pag.16
Il radiogrammofono pag.17
Tempi e limiti del disco a 78 giri pag.17
Il microsolco pag.18
La registrazione magnetica del suono pag.20
Nuove vie: Bebop e Rock and Roll
Il disco stereofonico pag.23
Le tecniche ottiche e il compact disc pag.23
Aspetti della registrazione pag.24
Il repertorio registrato pag.25
La multimedialità una finestra sul mondo pag.30
Rapporto tra l’esecutore e la registrazione pag.31

Bibliografia pag.32
Links utili pag.33

2
L’idea di questo corso, propostami parecchi anni or sono dai colleghi che stavano organizzando il
primo programma dei corsi AFAM sperimentali, mi sembrò utile e necessaria per un motivo molto
importante: nella mia ormai cinquantennale esperienza di ascolto, studio, catalogazione e
approfondimento della musica registrata, unita a una lunga militanza nella schiera degli esecutori,
mi è sempre capitato di imbattermi nella poca e superficiale conoscenza, a parte poche lodevoli
eccezioni, che gli studenti e i professionisti della musica hanno in generale riguardo al repertorio e
alle più importanti realizzazioni sia dal vivo che discografiche relative al medesimo.
I motivi sono molteplici, e vanno ricercati – a parte il costo a volte proibitivo dei cd e dei biglietti
dei concerti e degli spettacoli teatrali - nel debordante e sconfinato panorama proposto all’ascolto su
internet – si pensi a Spotify, I-Tunes e allo stesso Youtube – che attraverso I-pod e cellulari
costituisce certo un campo di scelta ampissimo e di fruibilità immediata ma proprio per questo
foriero di un pericoloso appiattimento della ricerca mirata e della successiva formazione di un
proprio gusto estetico legato ai repertori e agli interpreti.
Abituati a studiare presso scuole che puntano spesso sul rapporto univoco tra docente e allievo,
guardando con sospetto o addirittura eliminando tutti quegli stimoli provenienti da ascolti di musica
riprodotta, precludendo allo studente già maturo nuove e diverse esperienze con altre realtà
didattiche, si arriva inevitabilmente a soffrire dei limiti più sopra esposti. Ecco perché mi sembra
necessario fornire allo studente un punto di partenza costituito da una certa conoscenza della storia
della musica registrata, del rapporto che intercorre tra l’esecutore, il mezzo di registrazione, la
riproduzione e l’ascoltatore.
Analizzare questi rapporti alla luce dell’evoluzione del mezzo tecnico, rendersi conto di quelle
limitazioni spesso ingenti che in passato potevano influenzare la resa delle interpretazioni,
avvicinarsi con un certo distacco ad esse qualora si cercasse un confronto con le proprie idee
interpretative, ridimensiona in molti casi la presunta validità di certi urtext che anche l’esecuzione
registrata dallo stesso autore potrebbe rappresentare.
Altro aspetto molto importante – come già detto - sarà quello dell’esplorazione del repertorio,
soprattutto in situazioni nelle quali non si possa assistere a concerti dal vivo, in secondo luogo per
conoscere tanta musica che diversamente – nel caso di opere liriche o sinfoniche – non sarebbe
possibile ascoltare.
Questi presupposti potranno quindi guidare lo studente a intraprendere una propria ricerca, sia per
motivi di studio che per proprio diletto, ed è per questo che una conoscenza abbastanza
approfondita del mondo della musica riprodotta potrà suggerire scelte e percorsi personali che
possano guidare a quegli ascolti mirati di cui sopra e rivolti a determinati autori, esecutori, periodi
musicali, punti di partenza per allargare sempre di più la propria cultura di musicisti e per
intraprendere esplorazioni e realizzare scoperte spesso appassionanti.
Il nostro corso si propone questo, ed io sono sicuro che chi ha chiesto di frequentarlo è spinto anche
e soprattutto dalla stessa cosa – importantissima - che ha guidato il sottoscritto per tanti anni e che
ancor oggi è ben lungi dall’essersi esaurita: la curiosità.

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LEZIONE 1

Prima delle Registrazioni

Tra i grandi cambiamenti avvenuti nel mondo artistico del ventesimo secolo, quello che ha avuto le
maggiori ripercussioni sia per gli esecutori che per gli ascoltatori è stato lo sviluppo della
registrazione musicale.
Il primo fonografo costruito da T.A.Edison nel 1878 era stato pensato per molteplici usi – dittafono,
oggetto familiare per conservare le voci per i posteri, curiosità per le fiere, scopi didattici, ecc. – e
solo marginalmente per riprodurre la musica, dato il limite ristrettissimo entro il quale le onde
sonore potevano essere registrate e udite.
Solo con la migliorata qualità del supporto – registrazione elettrica nel 1925, LP nel 1950 e CD nel
1980 – e il conseguente sviluppo dell’industria discografica l’ascolto dei dischi è diventato così
diffuso ed economico da sostituirsi all’esecuzione dal vivo come principale fonte di musica per la
maggioranza degli ascoltatori.
Assieme alla tele-radiodiffusione la registrazione domina tutto il XX sec. e influenza tutti gli aspetti
della vita musicale. E’ impossibile non rendersi conto di come la crescente disponibilità di
registrazioni negli ultimi 100 anni abbia cambiato radicalmente il modo di accostarsi alla musica di
esecutori e pubblico. Se si venisse trasportati nella seconda metà dell’800, prima di questa
innovazione, ci si troverebbe in un mondo non molto familiare. Brahms e i suoi contemporanei non
potevano udire la musica se non in presenza di qualcuno che la eseguisse: una delle conseguenze
era che un appassionato doveva cercare i luoghi dove ascoltarla o suonare egli stesso uno strumento.
Il compositore italiano Ildebrando Pizzetti (1880–1968), in una lettera scritta in tarda età
stigmatizza assai bene quello che poteva provare un ascoltatore in quegli anni: < Sapeste, figlioli,
che cosa era per noi vecchi, quando avevamo l’età vostra, l’esecuzione lungamente attesa di un
concerto, o la rappresentazione di un’opera teatrale alla quale ci si era preparati con ripetute
diligenti letture, e magari con preventive appassionate discussioni! Non erano avvenimenti
frequentissimi, ma quanto più l’uno dall’altro distanti, tanto più essi lasciavano in noi
profondissime tracce, echi che noi avevamo il tempo di potere dentro di noi riascoltare,
arricchendo così il nostro spirito di conoscenze formative>.
Si cercava la musica con una tenacia che è molto rara al giorno d’oggi, e questo avveniva
soprattutto nei paesi anglofoni e mitteleuropei. Max Graf (1873-1958), musicologo e didatta
austriaco, descrive la cultura musicale viennese nella quale crebbe verso la fine dell’800: <
Diventavamo tutti musicisti senza sapere come e perché. Dovunque andassimo incontravamo
musica. Cantavamo e suonavamo. Ero studente delle scuole superiori, e ogni sera prendevo il mio
violino e andavo in altre case dove suonavo quartetti per archi assieme a sottufficiali dell’esercito,
insegnanti o uomini d’affari, anche se erano dilettanti. Alla domenica, suonavamo nelle chiese
accompagnando i cori nelle Messe di Mozart e di Haydn. Durante le gite cantavamo canzoni e
canoni e alla sera sostavamo davanti ai giardini dei ristoranti o nei parchi per ascoltare i concerti
delle bande musicali>.
Anche i più grandi compositori scrissero per coloro che suonavano da amatori e per proprio
divertimento. Haydn compose trii con pianoforte per uso domestico, così come Schumann – Album
per la gioventù – e Brahms pubblicò i propri Walzer in due edizioni, una delle quali semplificata
per gli esecutori meno agguerriti.
Il rapporto tra compositori e amatori si estese anche al ventesimo secolo: alcuni di essi, come
Kodaly e Bartok, si dedicarono all’educazione musicale. Stravinsky scrisse facili pezzi per
pianoforte, e per l’inaugurazione del Festival di Aldeburgh nel 1948, Benjamin Britten compose
Saint Nicolas, una cantata per strumentisti professionisti e cori scolastici che prevedeva un’attiva

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partecipazione del pubblico. Questa pratica è ormai definitivamente tramontata con l’avvento del
disco.
La possibilità di udire orchestre sinfoniche nel secolo XIX era invece molto rara, anche nei centri
più importanti: con l’eccezione dell’Orchestra di Meiningen diretta da Hans von Bulow 1, le
orchestre non intraprendevano ancora tourneés. Negli anni 80’ la Filarmonica di Vienna dava 8
concerti l’anno, la Filarmonica di Berlino 20, la Gewandhaus di Lipsia 22, ma molti posti erano
sempre tenuti dagli abbonati e l’unica possibilità per gli studenti era quella di ascoltare le prove
generali. L’America era invece un paese all’avanguardia: parecchie erano già le orchestre stabili
non dipendenti dalla lirica all’inizio del ‘900: New York, Boston, Chicago, Cincinnati e
Philadelphia.
In Italia, a parte l’opera lirica, le prime audizioni di musica da camera vennero effettuate a Firenze
nel 1861dalla neo-costituita Società del Quartetto e privatamente a Torino a partire dal 1854, presso
la famiglia Marchisio2 – Beethoven, Hummel e Spohr. I quartetti di Beethoven vennero introdotti
verso gli anni ’80, ma solo la giovanile opera 18. I primi concerti sinfonici popolari furono tenuti a
Torino nel 1872.
I concerti erano molto differenti da quelli odierni: il pubblico, sapendo che sarebbe passato
sicuramente molto tempo prima di riudire i pezzi in programma, chiedeva e otteneva spesso dei bis,
cosa molto rara oggi se non alla fine dell’esecuzione. Questo era molto comune anche nel mezzo di
sinfonie o di concerti: alle prime esecuzioni delle sinfonie di Brahms il terzo movimento dovette
sempre essere bissato prima di attaccare il finale. Anche quando non si richiedeva il bis era usanza
applaudire tra i singoli movimenti, e in caso contrario significava che si disapprovava o la musica o
gli interpreti. A volte l’entusiasmo portava ad applaudire anche durante l’esecuzione: Hans von
Bulow affermava che spesso il pubblico applaudiva dopo la cadenza introduttiva del concerto
Imperatore di Beethoven, e Brahms scrisse che durante una delle prime esecuzioni del suo concerto
per violino Joachim eseguì la cadenza del primo movimento così bene da suscitare un applauso
all’inizio della coda. Lo stesso Brahms non disapprovava tutto ciò, anche se oggi sarebbe
impensabile durante un concerto. Un simile comportamento lo tiene oggigiorno il pubblico dei
concerti jazz.
Gli esecutori si rendevano conto che per il pubblico l’esecuzione di un concerto era un’occasione
eccezionale e questo influenzava la loro esecuzione: soprattutto durante una prima esecuzione si
tendeva a esagerare tempi e colori per far meglio intendere al pubblico i particolari di un’opera.
Brahms stesso scrisse a Joachim, che doveva dirigere a Berlino la sua quarta sinfonia: < ho segnato
alcune modifiche a matita sulla partitura che ritengo utili, anche necessarie per la prima
esecuzione…queste esagerazioni sono necessarie solo dove un pezzo è sconosciuto. In questi casi
non posso fare altrimenti per ottenere anche approssimativamente quegli effetti di distensione o di
passione che desidero. Una volta che il lavoro è stato assimilato invece, penso che tutto ciò non sia
più necessario>. Concetti come questi sono inconcepibili per un musicista moderno, ma a quei
tempi la cosa importante era far capire assolutamente come era fatto il pezzo che si presentava.
Durante l’esecuzione potevano verificarsi molti errori, stonazioni o momenti di generale
confusione, ma era necessario illustrare e dar senso al pezzo mediante quella singola audizione e
non si trattava, come avviene oggi, di una perfetta lettura di una partitura già conosciuta e registrata.
Questo modo di eseguire, oggi non più in uso, può essere letto come necessità narrativa nei
confronti del pubblico, e si applicava particolarmente alla già citata abitudine di sottolineare i
momenti importanti di una composizione, ricorrendo all’uso di portamenti, rubato e cambi di
tempo.
I buoni esecutori di oggi hanno anche loro il modo di rendere chiara l’interpretazione di un pezzo,
ma in confronto al passato il loro modo di suonare tende in prevalenza a un metro più regolare e
1
Hans von Bulow (1830-1894), direttore d’orchestra tedesco https://www.rodoni.ch/busoni/cronologia/Note/notecrono8762.html
2
La famiglia Marchisio, della quale facevano parte le sorelle Barbara e Carlotta, cantanti di fama internazionale, e i
fratelli Antonino e Giuseppe Enrico, entrambi pianisti e didatti, organizzò a partire da tale data degli incontri domenicali
nei quali venivano eseguiti brani di musica strumentale nei quali figuravano come esecutori artisti locali e musicisti di
fama che si trovavano a Torino.

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meno caratterizzato nei singoli dettagli: esistono certamente molte ragioni che giustificano questa
evoluzione, ma una di esse è sicuramente dovuta al fatto che il pubblico odierno non ha più una sola
opportunità per ascoltare e capire un pezzo. Oggi chiunque può acquistare dopo il concerto un CD
della composizione appena ascoltata, ma cento anni fa il problema era “ora o mai più”, e questo si
rifletteva inevitabilmente sull’esecuzione.
Un altro aspetto derivato dal questa situazione era che errori e imprecisioni venivano tralasciati
molto più facilmente di quanto non accada oggi, dove la conoscenza del repertorio e l’abitudine di
ascoltare esecuzioni pressochè impeccabili tecnicamente rende il livello delle esecuzioni molto più
accurato che non in passato; le orchestre in Europa, si è detto, eseguivano pochi concerti all’anno e
con pochissime prove, e lo standard esecutivo non poteva non rjsentirne. In America invece, dove le
orchestre erano sovvenzionate da facoltosi privati, il tempo da dedicare alle prove era molto
maggiore e la qualità di questi complessi generalmente molto superiore.
E i solisti e i complessi cameristici? La difficoltà di provare adeguatamente concerti sinfonici e
opere era è e sarà sempre un problema per raggiungere un buon livello esecutivo. Un complesso
ristretto come un trio o un quartetto non ha invece problemi di questo tipo, e ancor meno un solista;
si potrebbe quindi pensare che nulla sia cambiato nel corso di cento anni, e che i magnifici
strumentisti e complessi di oggi siano simili a quelli dell’inizio del secolo scorso. Le testimonianze
dell’epoca – e più tardi alcune registrazioni - contraddicono questa opinione, rivelando esecuzioni
molto diverse da quelle odierne per stile, insieme ed espressione. Il quartetto Joachim, uno dei
complessi più ammirati del XIX secolo, avrebbe sicuramente suscitato qualche perplessità presso un
moderno ascoltatore: le critiche del tempo parlano della straordinaria natura libera e spontanea di
Joachim assecondato dai suoi colleghi, il che lascia supporre un complesso nel quale gli altri tre
strumentisti eseguivano la propria parte seguendo e cercando di indovinare quello che il grande
violinista avrebbe suonato in seguito.

Primi studi sulla natura del suono

Il primo scienziato ad occuparsi dello studio della natura del suono fu Thomas Young (1773 –
1829), che ne stese la teoria completa all’inizio dell’Ottocento. Egli intuì che il suono non è altro
che una perturbazione che si trasmette attraverso l’aria o altri mezzi, dalla fonte della perturbazione
stessa all’ascoltatore. Non essendo però qualcosa di materiale, il suono è costituito solo da impulsi
di energia, e un parallelo esauriente per capirne la natura può essere fatto con le onde che si
producono per la caduta di un sasso in uno stagno.
Partendo da questi presupposti, Young definì periodo il tempo necessario a un’onda per superare un
punto dello spazio, e frequenza il numero delle onde che compiono questo tragitto in una
determinata unità di tempo. Successivamente giunse a unire la frequenza minore o maggiore alla
minore o maggiore altezza del suono (o più acuto o più grave), la minore o maggiore potenza
(volume) all’ampiezza delle onde e la forma di queste onde al timbro, per distinguere strumenti
diversi o voci di diversi individui.
Fin qui la teoria scientifica, ma Young era per l’appunto uno scienziato e mirava alla dimostrazione
di una teoria senza pensare necessariamente ad una sua realizzazione pratica; per questo ci voleva
qualcuno che possedesse estro e genialità per costruire un apparecchio capace di riprodurre
materialmente suoni e voci3.

3
Il concetto relativo al preservare e a riprodurre successivamente eventi sonori era ancora non considerato in tempi precedenti al
secolo XIX - vedi nota 4 a pag. 8 – tesi suffragata dal fatto che prima della comparsa del fonografo esistevano solo gli strumenti
musicali meccanici i quali permettevano di sostituire l’azione dell’esecutore con un congegno in grado di riprodurre automaticamente
un brano musicale per usi pratici – cerimonie e riti religiosi – e quindi come supporto operante nel tempo presente. A parte il
Tamburo Meccanico e il Cannone Musicale brevettati da Leonardo, già dal XIV secolo troviamo il carillon meccanico dove si
impiega il Cilindro Fonotattico – o rullo dentato rotante - il quale servirà alla realizzazione di tutti gli automatismi fino all’800.
Questo cilindro consiste in un rullo di legno o di metallo, sulla cui superficie sono infissi chiodi o denti che, nel corso di un regolare
movimento rotatorio, agiscono sulla meccanica dello strumento (leve collegate a percussori, valvole relative a canne d’organo,
lamelle metalliche), riproducendo automaticamente il brano musicale programmato.

6
I pionieri
Il Phonoautograph di Edouard Leon Scott
Il Phonographe di Charles Cross

Nel 1857 Léon Scott, tipografo francese, ideò e realizzò un apparecchio che poteva riprodurre
graficamente le vibrazioni generate dalle onde sonore; questo apparecchio, denominato
Phonoautograph, era a forma di tronco di cono con una membrana di pergamena applicata
all’estremità minore. A questa membrana era applicata a sua volta una setola che toccava un
cilindro rivestito di nerofumo che riceveva e “scriveva” le vibrazioni generate dalle onde sonore.
Per evitare che le tracce si sovrapponessero Scott riuscì a far spostare assialmente il cilindro durante
la scrittura, metodo questo che verrà ripreso da tutti i futuri costruttori di fonografi (Edison, ecc.).
I”graffiti sonori” di Scott
confermavano pienamente la
teoria di Young, evidenziando
il moto delle onde sonore ma
anche l’ampiezza, la frequenza
e, analizzando la forma dei
segnali, riuscendo a dare
anche una certa idea delle
differenze timbriche;
trattandosi però di una
scrittura a carattere bi-
dimensionale il
Phonoautograph rimase un
apparecchio per lo studio
scientifico delle onde sonore,
o tuttalpiù un mezzo che
appagava la curiosità di coloro
che desideravano vedere il
grafico della propria voce4. Un
altro pioniere fu un
connazionale di Scott, Charles
Cross, già esperto in una
nuova tecnica: la
fotoincisione. L’idea del
Phonographe di Cross era
veramente rivoluzionaria e si
basava, partendo dallo stesso
principio di Scott, su un
procedimento che si rivelerà – come vedremo più avanti – fondamentale per lo sviluppo della
registrazione: al posto di un cilindro l’apparecchio avrebbe dovuto montare un disco di vetro
affumicato su di un lato, mentre la setola avrebbe inciso radialmente sul nerofumo la traccia sonora
in forma di spirale piana. La traccia ottenuta sul vetro, che riproduceva le oscillazioni della
membrana, sarebbe risultata ovviamente trasparente e poteva essere copiata fotograficamente su un
supporto metallico per fotoincisione; da qui la possibile trasformazione – con l’aiuto di un acido –
in solco tridimensionale. Sostituendo il disco di vetro con quello metallico e posizionando la setola
all’inizio del solco si avrebbe avuta la lettura della traccia sonora incisa e attraverso la vibrazione
della membrana la riproduzione dell’onda sonora originale. Abbiamo usato il condizionale perché il

4
Gli scienziati del Lawrence Berkeley National Laboratory (USA) hanno recentemente convertito in suono reale alcune tracce
scritte da Scott nel 1860. https://www.youtube.com/watch?v=q7Gi6j4w3DY

7
Phonographe di Cross malauguratamente non vide mai la luce, sembra per mancanza di fondi per la
sua realizzazione; Cross si limitò a depositarne il progetto – per tutelare la propria scoperta – presso
l’Académie des Sciences di Parigi che registrò lo scritto il 30 aprile 1877.

Il Phonograph di T.A. Edison


Il Graphophone di Bell e Taintner

Non erano passati 7 mesi dal 30 di aprile che Thomas Alva Edison, inventore e imprenditore
americano, realizzò il Phonograph. L’apparecchio – depositato il 24 dicembre e brevettato il
successivo 19 febbraio 1878 come "Edison Speaking Phonograph" - era costituito da un asse
filettato mosso da una manovella che sosteneva un rullo di ottone di 10 centimetri di diametro e 30
di lunghezza. Sulla superficie cilindrica del rullo
era tracciato un solco a spirale sul quale veniva
steso un foglio sottile di stagnola (tin foil) che era
sfiorato dalla punta connessa ad una membrana
vibrante. La punta, nel suo movimento laterale,
incideva più o meno profondamente il foglio di
stagnola che cedeva avendo sotto di se il vuoto del
solco praticato sul cilindro di ottone. La membrana
impiegata per la registrazione era molto più dura di
quella necessaria per la riproduzione, che si
trovava sul lato opposto del cilindro con la propria
punta. https://youtu.be/uAXhclPS3AE
L’apparecchio permetteva l’inserimento dell’una o
dell’altra membrana, così da servire come
registratore e come riproduttore; la sostanziale
differenza con il Phonoautograph di Scott era una
traccia tridimensionale che poteva perciò essere
riletta permettendo di riprodurre l’onda sonora che
era stata incisa sulla lamina di stagnola. Il
fonografo si diffuse come macchina a pagamento –
a gettone – nelle fiere o nei pubblici locali, poiché
Edison pensava di trarne maggior guadagno, e per
alcuni anni rimase una curiosità e un divertimento. Il passo successivo venne rappresentato dal
Graphophone, brevettato nel 1885 da Chichester A.Bell e Sumner Tainter, un apparecchio che
incideva su un foglio di cartone ricoperto da una miscela di cera e paraffina al posto della stagnola:
il diverso materiale consentiva una certa riduzione del rumore di fondo (fruscio) e nel contempo,
grazie alla pressione più modesta e alla conseguente minor larghezza del solco, assicurava una
maggior durata della riproduzione, che arrivava a oltre due minuti. T.A.Edison dal canto suo aveva
migliorato il fonografo ribattezzandolo perfect phonograph, aggiungendovi un motore elettrico
alimentato a pile che regolarizzava la primitiva rotazione a manovella, adottando anche lui la cera
come materiale di incisione e riducendo il passo del solco per portare la durata anch’essa a due
minuti. Nel 1888 però si arrivò ad una svolta che rimarrà fondamentale nella storia della
riproduzione sonora: la nascita del disco5.
Nella foto - T.A.Edison fotografato nell’aprile del 1878 durante la presentazione del Phonograph al Presidente degli Stati Uniti.
Il disco di Emil Berliner
5
Un aspetto che può sfuggire facilmente e che può essere oggetto di riflessione è il perché il fonografo sia apparso solo in tempi così
recenti; il tornio rotante, la cera o materiale simile sulla quale incidere con lo stilo e una superficie atta a far risuonare questa traccia
erano mezzi già disponibili nel Rinascimento se non addirittura presso i Greci e i Romani. Come afferma Walter Murch, celebre
tecnico del suono, “Ciò che precludeva a queste età passate una scoperta simile era una sorta di apatia mentale e di licenza poetica
secondo cui il suono doveva essere impossibile da catturare per definizione. In un’ottica perfettamente poetica, la bellezza della
musica e la voce umana erano considerate il simbolo supremo dell’evanescenza. Di conseguenza, l’idea di poterle intrappolare con
un qualsiasi mezzo fisico non venne in mente a nessuno prima della metà del diciannovesimo secolo”.

8
Verso la metà degli anni ’80 Emil Berliner, impiegato nel campo della nascente telefonia, aprì un
proprio laboratorio a Washington e iniziò alcuni esperimenti registrando su un disco di vetro
coperto da un sottile strato di nerofumo, che una setola collegata alla membrana vibrante rimuoveva
lasciando una traccia trasparente. E’da notare che la setola era piegata di 90 gradi rispetto al piano
della membrana, in modo che le vibrazioni non venivano smorzate asimmetricamente come
avveniva incidendo in profondità nella cera. La riproduzione era così più fedele, anche se non
escludeva risonanze nocive a determinate frequenze.
La macchina di Berliner, alla quale era stato dato il nome di gramophone, lasciava come traccia una
semplice scrittura sul nero-fumo e il disco non poteva essere direttamente impiegato per la
riproduzione; fu proprio questa caratteristica che si dimostrò decisiva per il successo del supporto in
questione.
La duplicazione della stessa
registrazione era necessaria per
produrre il numero di copie
necessarie a una capillare
distribuzione, e in questo caso
non erano state trovate
soluzioni adeguate per quanto
riguardava i cilindri di Edison
o di Bell-Tainter; per avere più
copie su cilindro era necessario
suonare più volte lo stesso
brano usando
contemporaneamente più
apparecchi di incisione, che
dovendo stare a poca distanza
dal cantante o dallo
strumentista non potevano
superare un certo numero. Il
disco era invece perfettamente
piano e poteva essere usato
come matrice per produrre un
numero molto maggiore di
copie. Berliner ottenne il brevetto del suo gramophone nel novembre del 1887, e poco dopo sostituì
al disco di vetro uno di zinco coperto da un sottile strato di cera che veniva incisa dalla punta
vibrante, mettendo a nudo il metallo. In seguito da questo disco di zinco ottenne un “negativo” dal
quale tentò di ricavare per pressione delle copie”positive”e dopo vari tentativi scoprì che la sostanza
più adatta per la copia era la gommalacca. I dischi così creati, di 7 pollici di diametro, duravano
circa due minuti e vennero messi in commercio verso il 1893 – 94.
Questa innovazione subì poi altri miglioramenti verso il 1897 quando Elridge J.Johnson,
collaboratore di Berliner, usò solo un pane di cera come superficie per l’incisione. Questo primo
supporto era successivamente cosparso di grafite e immerso in una soluzione acquosa di un sale di
rame che per via elettrolitica produceva un “negativo” del solco su una lastra anch’essa di rame,
formando così una matrice molto più robusta per lo stampaggio sulla gommalacca.
https://youtu.be/hfmLj_PKkyU
Questo sarà il procedimento adottato dall’industria fonografica fino ai nostri giorni, e che fu
decisivo per orientare la nascente industria verso il disco piuttosto che verso il cilindro.
L’introduzione della tromba di diffusione – collegata alla punta per evitare un aumento del peso su
di essa – permise l’ascolto collettivo, anche se solo nel ristretto ambito di una stanza. Nacque così
quella forma a calice di fiore che diverrà una caratteristica del grammofono.

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Edison non volle però riconoscere l’uso del disco, e giustificò la sua tesi con solide ragioni
tecniche: rispetto al disco il cilindro conserva la stessa velocità lineare di registrazione e
riproduzione dall’inizio alla fine del brano registrato, mentre nel disco la velocità si riduce man
mano che la punta si sposta verso il centro a causa dell’andamento a spirale del solco; questo porta
ad una variazione di qualità che, migliore all’inizio, diventa minore alla fine, quando le alte
frequenze non sono più registrabili a meno di non ricorrere a grandi velocità di rotazione. Ma il
vantaggio della duplicazione semplice ed economica farà prevalere il disco, nonostante le
inoppugnabili motivazioni di Edison. Questi continuerà comunque – unitamente a Bell e Tainter - a
battersi in favore del cilindro, migliorandone la durezza per prolungarne la sopravvivenza e la
durata di riproduzione. Nel 1889 vennero realizzati dei cilindri a grande resistenza meccanica
chiamati Indistructible Cylinder record.
Il cilindro Amberol costituito da una miscela di celluloide e prodotti fenolici, fu introdotto dalla
società di Edison nel 1908; aveva un solco dalla misura ridottissima che permetteva di raddoppiare
la durata delle esecuzioni. Ma il cilindro era ormai destinato a finire ed anche Edison fu costretto ad
accettare di produrre (1913) ciò che il mercato domandava: il disco.

Le prime registrazioni
Cilindri e primi dischi

Sembrerà strano ma tra le


finalità del fonografo elencate
da Edison la musica era solo
una tra le tante; si pensava alla
dettatura di lettere, alla
conservazione della voce di
importanti personaggi o al
divertimento nelle fiere,
potendo registrare e subito
dopo ascoltare la propria voce.
In effetti la qualità della
riproduzione era veramente
scarsa, disturbata da fruscii e
crepitii che ne offuscavano la
chiarezza, oltre al fatto che la
durata di un cilindro non
superava i due minuti, tutti
fattori questi che limitavano
pesantemente le possibilità di
registrare musica. Esistono perciò poche registrazioni di musica classica effettuate nel XIX secolo.
La più antica testimonianza pervenutaci è un frammento dell’oratorio Israel in Egypt di Haendel
registrato al Crystal Palace di Londra nel giugno del 1888 ed eseguito da un complesso corale e
orchestrale di più di 3000 esecutori https://youtu.be/-qDwz3JdD1c ; esiste anche una registrazione
di J.Brahms che suona una parte della sua Danza Ungherese in sol minore, che fu probabilmente
effettuata a Vienna nel novembre del 1889. La qualità originale di questo cilindro non è conosciuta,
perché la registrazione giunta fino a noi è il risultato di un riversamento su disco a 78 giri realizzata
molti anni dopo; in entrambi i casi – soprattutto in Brahms - si tratta di documenti dalla qualità
sonora mediocrissima e si può capire molto poco tra i numerosi fruscii e rumori di fondo.
https://youtu.be/BZXL3I7GPCY
I primi cilindri furono messi in vendita in America dal 1890 e il loro costo era molto elevato poiché,
come si è già detto, la duplicazione di una matrice non era ancora possibile. I primi dischi di Emile
Berliner comparvero sul mercato nel 1893, e la loro possibile duplicazione tramite stampaggio

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rivelò la maggiore competitività del nuovo supporto, che alla lunga avrebbe completamente
rimpiazzato il cilindro – vedi fotografia in ultima pagina - .
Che cosa si poteva ascoltare su questi primi cilindri e dischi? C’erano filastrocche, gags comiche,
frammenti di discorsi di importanti uomini politici, re e imperatori, marce, polche e valzer, inni
nazionali, arrangiamenti di arie d’opera e canzoni popolari e pezzi per cornetta o clarinetto con
pianoforte. Nel 1898 il catalogo di cilindri Columbia includeva un solo artista classico, il baritono
francese Bernard Bégué, attivo come comprimario all’Opera di Parigi e al Metropolitan di New
York. Sui cilindri della Edison Company erano incise decine di arrangiamenti dell’Alleluia e del
Largo di Haendel, della marcia del Tannhauser e della marcia dell’Incoronazione dal Profeta di
Meyerbeer. I più popolari dischi di Berliner nell’ultima decade del XIX secolo includevano molti
arrangiamenti di canzoni e estratti da opere – Miserere dal Trovatore e Intermezzo della Cavalleria
Rusticana6.
Nella prima decade del ‘900 la Gramophone Company di Londra realizzò alcune incisioni non
complete – selezioni – di opere italiane – Aida, Trovatore ed Ernani – eseguite dai complessi del
Teatro alla Scala, ma soprattutto moltissimi arrangiamenti bandistici di pezzi sinfonici: Ouvertures
di Rossini, Auber e dall’Egmont di Beethoven, il Valse Triste di Sibelius, la Danza Norvegese di
Grieg e la Marcia Ungherese di Berlioz. A dispetto di innumerevoli registrazioni di pezzi per banjo,
cornetta, cornamusa, ocarine ecc., figurano pochi violinisti – Jan Kubelik (Bazzini, Ridda dei
folletti), Joachim (Bach e Brahms) https://www.youtube.com/watch?v=Fw998QWfcJs
Sarasate (musiche proprie, Bach e Chopin), e Kreisler (Ciaikovsky e Bach) – pianisti – Wladimir
de Pachmann ( Raff e Mendelssohn), Backhaus ( Haendel, Liszt e Rachmaninov), Raoul Pugno
(Weber,Chopin e Haendel https://www.youtube.com/watch?v=826aV8sQxiI ) e violoncellisti –
Casals (Popper, Schumann, Chopin, ecc.).
Le dieci arie che Enrico Caruso incise a Milano in un pomeriggio dell’aprile 1902 per la
Gramophone & Typewriter Company e che includevano Questa o quella dal Rigoletto, Celeste
Aida, Una furtiva lagrima dall’Elisir d’Amore, e E lucean le stelle dalla recentissima Tosca di
Puccini (1900) https://www.youtube.com/watch?v=7sAwcgskCEU ,segnarono un avvenimento di
capitale importanza nella storia della discografia. Il cantante aveva 28 anni, aveva debuttato nel
1894 e nel 1902 si esibì per la prima volta alla Scala conseguendo un vero e proprio trionfo. Il
successo di questi dischi7 indusse anche altri cantanti ad affidare la propria voce al nuovo supporto:
alcuni cantanti del Covent Garden di Londra vennero messi sotto contratto dalla stessa
Gramophone, fra di essi il baritono Antonio Scotti e la soprano francese Emma Calvè. Incise
dischi anche il baritono inglese Charles Santley, nato nel 1834 e allievo di Manuel Garcia, uno
dei maggiori insegnanti di canto di tutti i tempi il cui padre – anch’egli Manuel – fu il creatore di
parecchi ruoli rossiniani, il basso Fjodor Chaliapin – considerato con Caruso e la Callas uno dei
maggiori cantanti del ventesimo secolo – e la soprano australiana Nellie Melba.
La prima registrazione di brani sinfonici venne realizzata dalla Pathè nel 1906; il francese Edouard
Colonne (1838-1910) a capo dell’Orchestra des Concerts Colonne registrò un’antologia di pezzi
tratti dal repertorio di allora, che accanto ad autori come Wagner, Schubert e Saint-Saens includeva
musiche ormai dimenticate di Widor e Godard.
I cataloghi discografici erano quindi pieni di brevi estratti operistici, pezzi strumentali tratti dal
repertorio classico più comune, pezzi da salotto e canzoni spesso di gusto molto discutibile. Perché
accadeva tutto questo? Dopotutto si viveva in un periodo estremamente fecondo, nel quale vennero
realizzate alcune delle opere più importanti nella storia della musica occidentale.
Gli anni precedenti la prima Guerra Mondiale videro le prime esecuzioni di parecchie sinfonie di
Mahler – dalla quarta alla nona – e del Das Lied von der Erde, dei Gurre-Lieder e del Pierrot
Lunaire di Schoenberg, della Passacaglia e dei 6 Pezzi di Webern, dei 3 balletti di Stravinsky –
Uccello di Fuoco, Petruskha e Sacre – e di Pelleas et Melisande e La mer di Debussy. Per parecchi
6
Risalgono al 1902 anche alcune registrazioni di Alessandro Moreschi, l’ultimo dei castrati (1858-1922)
https://www.youtube.com/watch?v=HbV6PGAWaIU
7
Questi dischi, del diametro di 10 pollici, potevano raggiungere la durata di 4 minuti e divennero presto molto più
popolari del disco di Berliner, che non superava i 2-3 minuti di durata.

11
musicisti l’invenzione della registrazione costituì un avvenimento eccezionale: Ciaikovsky la
considerava <la più sorprendente, meravigliosa e interessante di tutte le invenzioni del
diciannovesimo secolo> e Anton Rubinstein salutò Edison come <il”salvatore”di tutti gli
esecutori>. Gabriel Fauré pensava che un’esecuzione <registrata dallo stesso compositore…
eliminerà ogni tipo di discussione…..costituirà una guida incontestabile per le future generazioni>.
Debussy nel 1904 pensava che questa nuova tecnica avrebbe assicurato alla musica <una completa
immortalità>. Il problema della mancanza di autori contemporanei dai primi cataloghi era dovuto in
parte al rapporto tra l’industria discografica e il mondo economico, fatto che si manterrà per tutta la
storia della discografia: le registrazioni costavano molto e per la sopravvivenza delle case
discografiche era necessario creare un mercato che mantenesse un sicuro standard di vendite.
Un’aria di Verdi o un Valzer di Strauss assicuravano un buon numero di copie vendute, ma non
c’era un interesse popolare per Stravinsky o Schoenberg.
Molto più congeniale alle esigenze di mercato del tempo doveva dimostrarsi invece il Jazz, genere
contrassegnato da quelle dinamiche ritmiche e marcatamente coloristiche più adatte alle limitazioni
tecniche imposte dall’allora metodo si registrazione: la Original Dixieland Jass Band fu il primo
complesso a entrare in sala d’incisione, registrando nel 1917 il singolo Livery Stable Blues, brano che
conseguì immediatamente un grandissimo successo commerciale dando così l’avvio ad una
diffusione sempre più estesa di questo nuovo genere musicale e contribuendo così al suo immenso
successo nei decenni a venire8. https://www.youtube.com/watch?v=5WojNaU4-kI

Il periodo acustico

Le prime registrazioni in studio – aspetti e particolarità

Molti altri motivi che impedivano la registrazione di un repertorio più vasto venivano dalla tecnica
di incisione, ancora estremamente arretrata rispetto agli standard odierni.
I primi studi di registrazione erano diversissimi da quelli che esistono oggi, dove un esecutore si
trova in un ambiente che ricrea quello dell’esecuzione nella sala da concerto: prima del 1925, anno
nel quale venne introdotta la registrazione elettrica, la musica era registrata acusticamente, cioè
dirigendo la fonte sonora verso una grossa campana o padiglione che raccoglieva le onde sonore e
le trasmetteva attraverso una membrana alla punta, la quale a sua volta le incideva sullo strato di
cera steso su un disco o su un cilindro. Il metodo era esclusivamente meccanico, e per assicurare
una migliore ricezione delle onde sonore tutti gli esecutori dovevano essere pigiati in uno spazio
molto ristretto e il più vicino possibile al padiglione che raccoglieva il suono. L’orecchio umano
può udire i suoni compresi tra le 16 e le 20.000 frequenze al secondo, mentre la registrazione
acustica era limitata allo spazio tra le 168 e le 2000 frequenze: ciò significa che non era in grado di
riprodurre i suoni più bassi del mi2 e quelli più acuti del do6, in pratica neanche quattro ottave. Era
possibile udire qualche cosa anche al di fuori di questi limiti, ma i suoni risultanti erano molto
distorti e mancanti di qualsiasi timbro. Le migliori registrazioni effettuate in questo periodo sono
quelle dei cantanti: le voci operistiche dell’inizio del secolo scorso erano captate dalle
apparecchiature con risultati effettivamente buoni – e si possono ancora sentire bene nei
riversamenti su CD – ma gli strumenti che accompagnavano, fossero un’orchestra o un pianoforte,
dovevano affrontare difficoltà ben maggiori. Durante le prime sedute di registrazione il pianoforte
era montato su una piattaforma che raggiungeva l’altezza del padiglione verso il quale il cantante
8
L’Original Dixieland Jass Band era un gruppo americano formatosi nel 1916 a New Orleans del quale facevano parte
anche due italo-americani, Nick La Rocca e Tony Sbarbaro. http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/quando-il-jazz-si-
chiamava-jass/. Oltre a ciò sarà di incalcolabile portata artistica l’attività di registrazione su fonografo, catalogazione e
studio effettuata da Bela Bartok del patrimonio orale dei popoli dell’area balcanica, turca e nordafricana. Patrimonio
che verrà poi dialetticamente rivissuto e reso in maniera unica nelle sue composizioni.
https://www.youtube.com/watch?v=MhCoDIiWtzw https://www.youtube.com/watch?v=MbbRTCaLOcw

12
dirigeva la voce, in modo che assieme ad essa almeno una parte dell’accompagnamento fosse incisa
sul supporto.
Negli studi acustici le orchestre erano drasticamente ridotte a un massimo di trenta esecutori per
poter essere contenute in un ambiente così ristretto. Nelle registrazioni di arie d’opera, come per i
pianisti, all’orchestra spettava una posizione più arretrata rispetto al solista. Per compensare questa
distanza gli strumenti ad arco – più penalizzati di quelli a fiato – venivano spesso adattati con
bizzarre modifiche dai risultati tremendi in una sala da concerto – e che purtroppo si sentono anche
nei dischi – ma almeno il suono veniva registrato. La modifica più diffusa era quella del Violino
Stroh, un violino le cui quattro corde erano tese su una membrana risonante alla quale era applicata
una cornetta di diffusione. Un articolo pubblicato su Gramophone nel 1928 ricorda la composizione
di un’orchestra impiegata nel periodo acustico, ed elenca gli strumenti ad arco come di seguito: 4
primi violini, 2 secondi violini Stroh, 1 o 2 viole Stroh più 1 clarinetto, 1 cello più 1 fagotto, 1
contrabbasso più 1 basso-tuba. Si noti come tutte le parti vengono rafforzate, a parte i violini e le
viole Stroh, da strumenti a fiato; soprattutto la tuba in ripieno del contrabbasso contribuisce a
rendere molto “bandistiche” tante registrazioni, realizzando un triste contrasto tra la chiarezza della
voce e il suono piatto e opaco dall’accompagnamento orchestrale. Il repertorio sinfonico era quello
più pesantemente limitato, sia per l’impossibilità di accrescere l’organico oltre la trentina di
esecutori – e molte composizioni dovevano essere trascritte o adattate - che per la ristrettissima
gamma sonora registrabile; partiture come il Poema dell’Estasi di Skrjabin, Il Castello di Barbablù
di Bartok , il Pierrot Lunaire di Schoenberg e il Prelude a l’apres-midi d’un faune di Debussy
presentavano grossi problemi per poter essere registrate, le prime per l’organico troppo esteso e
variegato, le seconde per l’estrema raffinatezza e diversità dei colori strumentali 9. A ciò si aggiunge
che la durata massima della facciata di un disco fino all’avvento del Long Playing raggiungeva i 4
minuti abbondanti, e questo era un altro grosso limite perché obbligava l’esecutore a fermarsi
continuamente, influendo molto negativamente sulla sua concentrazione.
In definitiva, le registrazioni acustiche devono essere accettate per quello che sono: una parziale
testimonianza di quello che un artista avrebbe reso nella sala da concerto realizzata con i cospicui
limiti della tecnica di registrazione di quei tempi, anche se possono tuttavia esistere alcune
differenze riscontrabili nonostante questi limiti.
E’ il caso della già citata antologia di brevi brani eseguita dall’Orchestre des Concerts Colonne di
Parigi diretta da Edouard Colonne: le orchestre parigine erano parecchie, e portavano il nome di chi
le dirigeva e ne organizzava le relative stagioni concertistiche, oltre alla suddetta Orchestre Colonne
esistevano quelle dei Concerti Lamoureux, Straram e Pasdeloup.
Questa intensa attività concertistica portava però a un superlavoro per gli orchestrali, i quali
arrivavano a farsi sostituire spesso per far fronte ai vari impegni che accettavano per guadagnare di
più, per cui poteva accadere che chi suonava come prima parte in una prova poteva essere sostituito
al concerto da un collega di una delle altre orchestre.
Questa pratica era corrente per cui il livello delle esecuzioni era spesso non ottimale: la
registrazione del Preludio del terzo atto del Lohengrin di Wagner può confermare questa
approssimazione poiché al di là della povera qualità tecnica dell’incisione si ha l’impressione di
un’esecuzione spesso trasandata e realizzata con un minimo di prove.
https://www.youtube.com/watch?v=ukLsLWgkOjc
Ben altra impressione invece rivela l’incisione risalente al 1913 del primo movimento della Quinta
sinfonia di Beethoven ad opera dei Berliner Philharmoniker diretti da Arthur Nikish 10, loro direttore
9
Nonostante i limiti imposti dalla tecnica acustica il direttore tedesco Oskar Fried (1871-1941) registrò nel 1924, a capo
dell’Orchestra dell’Opera di Stato di Berlino, le prime incisioni assolute di due composizioni dal vastissimo organico, la Seconda
Sinfonia di Gustav Mahler https://www.youtube.com/watch?v=uxZssmIwHxc e la Alpensinfonie di Richard Strauss
https://www.youtube.com/watch?v=5vYurWPwCd0 . Anche se il livello di tali registrazioni risulta eccezionale rispetto agli standard
dell’era acustica, riuscendo a rendere le sonorità orchestrali – e corali, nel caso di Mahler – abbastanza credibili in termini di
spaziosità e nitidezza timbrica, il confronto con le successive realizzazioni del periodo elettrico risulterà troppo evidente.
10
Arthur Nikish (1855-1922) è considerato uno dei primi grandi direttori dell’epoca moderna, interprete votato
allo studio severo delle partiture e dotato di grandi doti comunicative, contò parecchi estimatori tra cui Stokowski,
Boult, Toscanini e Reiner. Nel 1884 diresse la prima esecuzione della Settima sinfonia di Bruckner.

13
stabile dal 1895 al 1922: un lavoro di scavo e di maturazione che emerge in maniera nettissima,
facendo risaltare nonostante la tecnica acustica l’equilibrio tra le varie sezioni dell’orchestra e
riuscendo anche a definire con una certa chiarezza il timbro strumentale, aspetto questo di
difficilissima resa nel procedimento acustico. https://www.youtube.com/watch?v=uF-QfVl-Ze0

Registrazione del periodo acustico. Si noti il cantante vicino alla tromba d’incisione, mentre dietro
al suonatore di basso-tuba tre violinisti imbracciano il Violino Stroh.

Links utili:

Antonio Verderi Storia della registrazione

1 - https://www.youtube.com/watch?v=x9eMO5IA8QI

2 - https://www.youtube.com/watch?v=rBrt9q_y0dk

3 - https://www.youtube.com/watch?v=aTHb33NyqpA

4 - https://www.youtube.com/watch?v=ghEdFgPMZtI

14
La registrazione di un brano davanti ad una decina di fonografi. Se si pensa che solo trecento
copie potevano in questo caso essere ottenute dopo trenta esecuzioni ci si rende conto di quanto
fosse faticoso e poco pratico l’impiego del fonografo rispetto al supporto stampabile del disco.

Lezione II
15
L’incisione elettrica

Con la sempre maggiore diffusione dei microfoni telefonici si cominciò a pensare di sfruttare
l’elettricità per fornire l’energia di incisione; inoltre dopo il 1920 la radio aveva cominciato a
diffondersi e di conseguenza era molto aumentato il numero di persone che ascoltavano musica
senza bisogno di acquistare dischi. Nacque così l’esigenza di migliorare la qualità del disco
eliminando i limiti che lo avevano afflitto fino ad allora. Questa innovazione rivoluzionaria si
chiamò “incisione elettrica”.
Già nel 1919 l’americana Bell Telephone aveva cominciato alcuni esperimenti, ma fu solo nel 1924
che si arrivò all’effettiva realizzazione della nuova tecnica ad opera di una sussidiaria della Bell, la
Western Electric.
Per passare dall’incisione acustica – che come abbiamo detto era dovuta alla sola pressione
esercitata dalle onde sonore sulla membrana oscillante – a quella elettrica, bisognava usare un
trasduttore, un apparecchio in grado di trasformare l’energia elettrica proveniente dal microfono,
per mezzo di un amplificatore a valvole, in energia meccanica per far oscillare la punta da incisione.
Usando gli amplificatori a tubi elettronici, impiegati già nella radio, si poteva creare una catena
microfono-amplificatore-trasduttore per ottenere una incisione di ottima qualità. Questo livello
poteva essere raggiunto perché l’incisione elettrica rivoluzionava totalmente il modo di registrare: la
sorgente sonora non doveva più trovarsi vicina al supporto d’incisione, e si poteva impiegare ad
esempio un unico microfono posto a distanza da una grande orchestra, per registrare tutti gli
strumenti. Non esisteva più il problema delle frequenze limitate perché gli amplificatori potevano
essere regolati entro limiti molto ampi; un sussurro a quindici metri di distanza veniva riprodotto, e
si poteva registrare persino la risonanza di una sala da concerto – cose assolutamente impossibili
con l’incisione acustica.

Due istantanee scattate nella stessa sala di registrazione, la


prima ancora nel periodo acustico, la seconda in quello elettrico.

Un esempio lampante tra le due tecniche di registrazione ci è fornito dal confronto tra due
esecuzioni dell’Ouverture Coriolano di Beethoven: la prima del 1922 (acustica) e la seconda del
1927 (elettrica)

https://youtu.be/-v6Lo6XMiIg Beethoven Ouverture Coriolano NYPO Mengelberg 1922

https://youtu.be/a1C4fAIszh8 idem OrchOpStBerlino Klemperer 1927

16
Il radio-grammofono

Con l’avvento dell’incisione elettrica fu molto facile percorrere il cammino inverso per ottenere la
riproduzione elettrica: al posto della membrana la puntina metteva in moto un trasduttore che,
lavorando all’inverso del trasduttore d’incisione, trasformava le oscillazioni meccaniche del solco in
variazioni elettriche: queste, amplificate, venivano inviate all’altoparlante che le ritrasformava in
vibrazioni sonore.
Gli apparecchi radiofonici erano già dotati di un amplificatore e di un altoparlante, e si pensò di
utilizzarli aggiungendovi la possibilità di riprodurre le registrazioni su disco: nacque così il radio-
grammofono, un apparecchio che aggiungeva alla radio il giradischi. Si aveva un vantaggio
economico e la qualità della riproduzione era notevolmente migliorata.
Il primo radio-grammofono fu posto in vendita dalla Brunswick nel 1925. Grammofono elettrico,
giradischi con pick-up, amplificatore e altoparlante erano tutti racchiusi, insieme alla radio, in un
unico mobile compatto.
Sarà utile a questo punto rilevare il fatto che la radio si dimostrerà di capitale importanza per la
conoscenza e la diffusione di repertori più vasti e variegati: la possibilità di ascoltare in presa diretta
anche a grande distanza le prime esecuzioni di lavori contemporanei non potrà non allargare le
conoscenze di autori che il mercato discografico non poteva ancora proporre come sicura fonte di
vendita, come già affermato in precedenza. A parte le limitazioni tecniche imposte dai dischi a 78
giri – che vedremo più avanti – compositori contemporanei come Schoenberg, Stravinskji, Ravel e
Bartok cominceranno ad incontrare l’interesse del pubblico proprio grazie alle trasmissioni
radiofoniche.

Tempi e limiti del disco a 78 giri.

Abbiamo visto come con l’avvento della registrazione elettrica fosse possibile registrare
compiutamente la fonte sonora. Nei 25 anni seguenti – tanti fino all’avvento dell’LP – ci sarebbero
stati ulteriori miglioramenti nella tecnica di registrazione, ma fin dalle prime incisioni elettriche
qualsiasi strumento o voce o orchestra risultava molto fedele alla fonte sonora originale. Non era
ancora l’Alta Fedeltà, ma il passo in avanti era stato enorme.
Il vero problema rimasto era la durata estremamente ridotta del disco a 78 giri 1, utilizzato come
supporto sia per l’incisione che per la riproduzione. Fino alla comparsa del disco a 33 giri qualsiasi
pezzo di una certa lunghezza doveva essere registrato e ascoltato a piccole sezioni; un disco a 78
giri del diametro di 30 cm aveva un tempo limite di quasi 5 minuti e se il pezzo da incidere
superava questa durata era necessario spezzarlo in due o più facciate, accorciarlo operando tagli o
eseguirlo ad un tempo più veloce.
Da ciò si evince che la tensione espressiva di un’interpretazione ne usciva assai compromessa. Tra
una facciata e l’altra tutto si fermava, e se quello che era stato registrato non soddisfaceva – si tenga
presente che le matrici di cera non potevano essere riascoltate senza subire un danno irreparabile –
si era costretti a ripetere il frammento fino a quando il risultato non appariva buono prima di passare
alla sezione successiva; ne conseguiva che spesso le sezioni scelte da assemblare nella registrazione
finale erano state incise ad ore se non a giorni di distanza. Oggi è possibile ascoltare queste
esecuzioni riversate su CD e tutto potrà sembrare suonato con una certa soluzione di continuità ma
la realtà era completamente diversa. Alcune registrazioni venivano effettuate alternando due
macchine, come avvenne nel 1939 registrando dal vivo la Nona sinfonia di Mahler con Bruno
Walter e i Wiener Philharmoniker, https://youtu.be/04MzUhPwgyw ma erano casi isolati e molto
dispendiosi. Non bisogna dimenticare che anche allora l’industria discografica tendeva a trarre
sempre maggiori profitti anche a discapito delle condizioni nelle quali si potevano trovare gli

1
La velocità di rotazione del disco fu standardizzata nel 1918 in 78 giri al minuto; in precedenza ogni casa produttrice
sceglieva la velocità che riteneva più conveniente segnalandola sull’etichetta del disco. Il grammofono era in grado di
variare la rotazione da 30 a 100 giri al minuto mediante un peso ad altezza variabile frenato da regolatori meccanici.

17
esecutori, e che tagli alle partiture o tempi molto affrettati venivano accettati molto spesso come
soluzioni adatte a risparmiare una o più facciate della registrazione.
Testimonianze di questi metodi tornano alla luce dopo anni: esiste una registrazione del Settimino
di Ravel diretta dall’autore, youtube.com/watch?v=ZnVqK-S9JnM realizzata ancora con tecnica
acustica nel 1923, dove i tempi – in particolare l’Allegro - risultano molto veloci soprattutto presso
un ascoltatore odierno11; la durata complessiva del pezzo è di nove minuti e mezzo, meno di tante
altre registrazioni effettuate in seguito su dischi LP e l’impressione generale che se ne ricava è la
tendenza a tirar via e ad affrettare continuamente il tempo.
Un esempio diverso è dato dalla registrazione del Trio op.70 n.1 di Beethoven effettuata nel 1931
dal Trio Italiano, composto dal violinista Alberto Poltronieri, dal violoncellista Arturo Bonucci e
dal pianista Alfredo Casella; la composizione è incisa su quattro facciate, la prima per il primo
movimento – 4’29’’- la seconda e la terza per l’Adagio – in totale 8’04’’- e l’ultima per il Presto
conclusivo – 4’17’’. Il Trio Italiano era uno dei complessi cameristici più importanti negli anni ’20
e ’30 del secolo scorso e il livello di questa esecuzione è sicuramente di prim’ordine: tuttavia
permane per tutto il pezzo una tendenza a tenere dei tempi piuttosto veloci – anche nel secondo
movimento, nonostante le due facciate disponibili – mentre nel presto si notano addirittura alcuni
tagli che diminuiscono di ben 58 battute le 411 previste dalla partitura. Questi tagli, operati a regola
d’arte sugli stessi punti dell’esposizione e della ripresa in modo da non turbare più di tanto
l’equilibrio formale e da passare inosservati presso qualsiasi ascoltatore che non conosca
perfettamente la composizione, hanno la loro giustificazione solo nel caso si voglia raggiungere
senza troppa fatica il tempo succitato di 4’e17’’, racchiudendo così il movimento in un’unica
facciata – https://www.youtube.com/watch?v=zB7gfKSfg14 .
Bruno Walter diresse nel 1946 una registrazione in studio della quarta sinfonia di Mahler. Il
biografo mahleriano Henry-Louis de la Grange descrive il tempo di Walter nel movimento finale
come sorprendentemente rapido e rivela che <La solista, Desi Halban, mi confidò che il Maestro
stava seguendo le indicazioni del direttore della registrazione il quale aveva ben presente la durata
esatta da inserire in due facciate a 78 giri>. https://youtu.be/gPL3Fdav2Ak
Questo problema sarà poi risolto dall’utilizzo del registratore a nastro – o magnetofono – che
sostituirà il precedente supporto dal 1950 in poi, con l’avvento del Long Playing; l’uso del nastro
permetterà di registrare lunghe porzioni senza interrompersi, tagliare e inserire frammenti di altre
riprese e modificare la resa sonora (acustica della sala, riverbero, ecc.).
Come reagiva l’ascoltatore a tutti questi limiti? Si doveva anzitutto avere molta pazienza,
soprattutto in presenza di registrazioni di opere lunghe come sinfonie, sonate o concerti, mentre il
pezzo breve, virtuosistico o aria d’opera veniva accolto con maggior favore; non si dimentichi però
il gran desiderio di ascoltare musica, che faceva sopportare meglio tutte queste difficoltà. Un
esempio geniale che descrive meravigliosamente la gioia e la passione di un ascoltatore di fronte ad
un grammofono è una parte del settimo capitolo del romanzo La montagna incantata di Thomas
Mann intitolata Profusione di armonie, dove anche le caratteristiche di questo nuovo apparecchio,
unitamente allo stupore per la musica che vi si può ascoltare costituiscono materia per una pagina di
assoluto valore letterario.

Il microsolco

L’incisione acustica richiedeva un solco particolarmente largo per riprodurre il volume del suono
registrato: più grandi erano gli spostamenti laterali impressi dalla traccia allo stilo, maggiore era
l’ampiezza della modulazione, maggiore l’energia comunicata alla membrana e quindi maggiore il
volume emesso. Nell’incisione elettrica il volume poteva essere regolato con l’amplificatore e non
era necessario mantenere tanto spazio tra le tracce come nei 78 giri. Riducendo tale spazio si
sarebbe potuto aumentare la durata della riproduzione di ogni disco; ciò era reso possibile anche per
11
Da notare l’uso di portamenti nelle frasi cantabili sostenute dagli strumenti ad arco, pratica allora ampiamente diffusa
nella prassi esecutiva.

18
la migliorata qualità del supporto d’incisione, passato dal pane di cera a un disco di alluminio
ricoperto da un sottile strato di nitrato di cellulosa. Questo nuovo supporto, chiamato ”lacca”, è in
uso ancor oggi. Inoltre ci fu il miglioramento del materiale con il quale era stampato il disco,
utilizzando delle mescole di acetato e cloruro di polivinile. Infine si ottennero notevoli vantaggi per
la migliorata qualità del segnale proveniente dalla catena microfono-amplificatore-trasduttore.
Dopo alcuni tentativi di realizzare ciò che era teoricamente ormai possibile, la RCA presentò nel
1931 il primo microgroove- o Long Playing - a 33 e 1/3 giri al minuto, seguita dalla Bell, con lo
stesso standard. Ma la diffusione sul mercato dovrà attendere ancora anni per far assorbire al
mercato le copie di 78 giri giacenti in magazzino. Finalmente nel giugno 1948 la Columbia CBS
presentò il suo microsolco, inaugurando l’epoca dell’alta fedeltà: il disco aveva il diametro di 30
cm, la velocità di rotazione di 33 e 1/3 giri al minuto e il solco della larghezza di 0,064 mm. Poco
dopo, nel febbraio del 1949 la RCA metteva sul mercato un disco a 45 giri del diametro di 17,5 cm,
con un grande foro centrale – 1 e ½ pollici – per assicurare una più sicura centratura. Ci furono
alcune avvisaglie di guerra dei brevetti, ma la cosa si risolse in quanto i 45 giri, di durata più breve,
furono destinati alla musica leggera e alle canzoni, mentre il 33 giri, che durava fino a 30’ per
facciata sembrò più adatto alla musica lirica, cameristica e sinfonica, evitando le fastidiose
interruzioni dei vecchi 78 giri. Questi ultimi ebbero ancora vita breve, tanto che nel 1950
scomparirono dai cataloghi.
La storia fin qui narrata deve però tener da conto di alcuni contesti nei quali la diffusione dei nuovi
supporti veniva effettuata in condizioni sociali ed economiche molto diverse: è il caso dei paesi del
blocco orientale nei quali il secondo dopoguerra fu contrassegnato da una latente difficoltà nel
produrre e nel reperire dischi e apparecchi riproduttori, causata dalla mancanza dell’economia di
mercato che limitava fortemente la produzione di questi beni di consumo12.
L’evoluzione del microsolco non si ferma qui, perché il passo successivo sarà la stereofonia. Ma di
questo si tratterà più avanti, dopo aver analizzato, come mezzo intermedio importante, la
registrazione su supporto magnetico.

La registrazione magnetica del suono

12
Il compositore György Ligeti descrive così le difficoltà che si incontravano nel secondo dopoguerra in Ungheria per
ascoltare musica riprodotta: “Nel dopoguerra non c’erano più dischi in giro. Durante l’assedio di Budapest, i dischi a
78 giri erano andati distrutti come i vetri delle finestre. Nelle case ne erano rimasti pochi. I giradischi a 33 giri
apparvero sul mercato nero solo nel 1955. Venivano dalla Germania ed erano carissimi. Un giradischi semplice
costava l’equivalente di tre o quattro mesi di stipendio, e all’inizio non si potevano acquistare dischi. Più tardi sorsero
case discografiche sovietiche e ungheresi, ma non prima del 1956. A partire dall’inverno 1955-56, conoscendo
qualcuno all’estero era possibile farsi spedire dischi per posta, ma si pagava un’imposta doganale più alta del prezzo
del disco. Grazie ai dischi ricevuti dall’estero, nell’estate del 1956 conobbi i quartetti per archi di Schoenberg. I primi
dischi a 33 giri arrivarono in Ungheria prima ancora dei giradischi tedeschi. Era infatti possibile acquistare sul
mercato nero dischi americani prodotti dall’esercito deli Stati Uniti per i propri soldati. Erano di plastica rossa e
trasparenti. Su uno di questi dischi ascoltai per esempio la Sinfonia in tre movimenti e la Sinfonia in do di Stravinskij.
Allora avevo uno pseudo giradischi in cui infilavo una spina d’acacia che faceva da puntina. Era un vecchio
grammofono a 78 giri rallentato a 33 con delle cinghie. C’era gente che faceva questi lavori in cambio di qualche
soldo. Il grammofono funzionava a elettricità, ma a quel tempo non c’erano amplificatori né altoparlanti, né cuffie. E
così ascoltavo Stravinskij a volume bassissimo con una spina d’acacia. Questa tecnica proveniva dai rulli di cera di
Bartók, che venivano suonati anche con spine d’acacia o con aghi di legno molto sottili. Con quel Grammofono, nel
1954-55 ascoltai anche le due sinfonie di Stravinskij. Da Lei Sogna a colori? Ed. Alet, 2004

19
T.A.Edison aveva già pensato nel 1885 alla
possibilità di registrare dei suoni modificando lo
stato magnetico di un supporto metallico; chi però
realizzò la prima macchina per la registrazione
magnetica fu il danese Wlademar Poulsen, che
costruì nel 1898 un apparecchio che usava come
supporto un filo di acciaio. A seguito di ulteriori
miglioramenti Poulsen arrivò a registrare e a
cancellare quanto precedentemente inciso sullo
stesso filo metallico, facendo passare nel magnete
una corrente continua. Dal filo si passò al nastro,
inizialmente di carta coperta da ossido di ferro, poi
da acetato di cellulosa, e il nuovo sistema fu
acquistato dalla fabbrica tedesca AEG che nel 1935
costruì il primo apparecchio che prese il nome di
magnetophone.
La grande e rivoluzionaria novità della
registrazione a nastro era che si potevano registrare
lunghi brani senza interruzione, e che il nastro
poteva essere fermato in ogni momento per poi
essere riavviato premendo un tasto; era anche
possibile eliminare dei passaggi non
particolarmente riusciti sostituendoli con Magnetophon AEG in uso alla Wehrmacht
porzioni tratte da altre registrazioni.
Nei due decenni successivi la qualità di riproduzione del magnetofono migliorò talmente da arrivare
a superare quella del disco, con apparati assai più robusti e maneggevoli; a questo si aggiungevano
due indiscutibili vantaggi: l’immediata riproducibilità e la possibilità di utilizzare più volte lo stesso
nastro, cancellandone i segnali e riregistrandolo.
La diffusione di questo supporto ebbe però modalità diverse a seconda delle varie condizioni
economiche e politiche; i tedeschi, come si è visto, svilupparono questa tecnica con risultati tali da
lasciare esterrefatte le forze di occupazione alleate alla fine dell’ultima guerra, e una straordinaria
testimonianza di questo livello ci è data dalla registrazione sperimentale in stereo dell’ultimo
movimento dell’ottava sinfonia di A.Bruckner effettuata nel 1944 dall’Orchestra della Staatsoper di
Berlino diretta da Herbert von Karajan. https://youtu.be/CIbZs2W0mnQ
Nel 1963 la Philips mise in commercio la prima “musicassetta”, oggi popolarissima, bidirezionale
in quanto conteneva due tracce da esplorare secondo due direzioni opposte. La RCA scelse uno
standard differente, con un nastro più largo e una cassetta end – less (senza fine), che poteva ruotare
con continuità senza arresto. L’intesa della Philips con la giapponese Sony, nell’adottare la
musicassetta, rese universale quest’ultimo supporto, che successivamente diventò stereofonico.
La stereofonia infatti non era un problema per il nastro magnetico: le tracce erano molto sottili, per
cui in un unico nastro potevano trovare posto 4 tracce, due per direzione, che contenevano i segnali
destro e sinistro. Con il nastro in poliestere, anch’esso molto sottile, fu poi possibile arrivare a una
durata complessiva, sui due lati, di 120 minuti.

Nuove vie: Bebop e Rock and Roll.

Nel 1947 accadono due avvenimenti di capitale importanza nella storia della registrazione.
Thelonius Monk, pianista jazz che assieme a Dizzy Gillespie e Charlie Parker può essere
considerato come il fondatore del bebop13 verrà messo sotto contratto dalla casa discografica Blue
13
Il bebop nacque nei primi anni ’40 in opposizione allo swing, stile proposto con grande successo popolare da Band
costituite da musicisti bianchi – come Glenn Miller e Benny Goodman – in un periodo di guerra che necessitava di

20
Note e il 21 di novembre inciderà quattro brani tra cui Round Midnight
https://youtu.be/XCcDZD2aUPQ
Il 1° ottobre ha inizio la stagione annuale del varietà radiofonico Philco Radio Times, un
programma di varietà diffuso dalla reta americana ABC che in quella data vedeva come
protagonista Bing Crosby, Peggy Lee e Gary Cooper; questa serie, andata in onda dal 1946 al 1949,
era costituita da canzoni, gags e altre amenità condensate in una mezz’ora di durata ed era stata, nel
1946, diffusa in diretta come tutte le trasmissioni via radio; la puntata del suindicato programma del
1° ottobre rappresenta però una data importante perché in quel giorno avvenne la prima
trasmissione in differita di un evento radiofonico: ciò era stato possibile mediante l’uso di un
Ampex tape recorder14, un registratore a nastro che permetteva di registrare il programma nei giorni
se non nelle settimane precedenti intervenendo sulle esecuzioni musicali, tagliando gli eventuali
tempi morti e conferendo più scorrevolezza e tempismo ai dialoghi parlati.
https://youtu.be/3IZ0LBJYSyc
Risulta da ciò con chiarezza il come da quel momento fosse possibile, tramite l’uso del nastro
magnetico, intervenire in molteplici modi sulla realizzazione delle registrazioni, fatto assolutamente
impossibile se correlato all’assoluta irripetibilità impressa dallo stilo sulla matrice di cera. Dalla fine
degli anni ’40 l’avvento dei dischi Long Playing stampati da un nastro magnetico realizzato in
precedenza avrebbe perciò consentito agli esecutori e ai tecnici un’ampissima libertà di azione.
Alla luce dello sterminato panorama che si aprì con il mercato dei nuovi supporti e delle loro
potenzialità si può a un dipresso tracciare una divisione tra la musica classica e gli altri generi, i
quali conoscono una stagione di incredibile crescita e sviluppo: al di là delle registrazioni di
repertori classici, che vedono molteplici interpreti impegnati sugli stessi titoli e che possono
interessare in parte agli appassionati di High Fidelity dal lato delle ulteriori innovazioni come la
stereofonia, sono generi come il jazz e il rock’n’roll che permettono agli esecutori una libertà di
manipolazione del suono che non potrà non stimolare in modo esponenziale la loro creatività15.
Nel 1951, presso il Sun Studio di Sam Phillips a Memphis, luogo che doveva poi essere
universalmente conosciuto in quanto Elvis Presley vi registrò i suoi primi dischi alcuni anni dopo,
Jackie Brenston, cantante e sassofonista, incise con i Delta Cats Rocket’88, una registrazione
pionieristica nel vero senso del termine che può forse essere definita come l’esordio del
Rock’n’Roll. https://youtu.be/Gbfnh1oVTk0
Un famoso aneddoto narra come la band arrivò in sala di registrazione con l’amplificatore del
chitarrista rotto in quanto era caduto fuori dall’auto durante una sosta durante il tragitto per
cambiare un pneumatico forato. Il suono che proveniva dall’amplificatore rotto era perciò distorto
ma a Phillips piacque e si decise di continuare la registrazione: era così nata la prima idea del
distorsore.
In queste situazioni pionieristiche, a parte la veridicità dell’aneddoto, era la registrazione dal vivo
che poteva portare spesso ad esiti simili, una registrazione dove il microfono del cantante
raccoglieva anche il suono degli altri componenti; il famoso effetto slap-back, che in studi più
attrezzati di famose e importanti case discografiche poteva essere ottenuto mediante l’impiego di
una camera d’eco, al Sun Studio veniva realizzato impiegando due macchine, la prima che

musiche di facile ascolto. I musicisti neri scelgono invece di esprimersi in uno stile più libero e vario, rifuggendo da
ogni tentazione musicalmente scontata o semplicemente ballabile. Un jazz basato sull’improvvisazione e contrassegnato
da un raffinata ricercatezza armonica e da una ritmica nervosa e sciolta al tempo stesso.
14
L’Ampex derivava dal magnetofono tedesco AEG, che il tecnico americano Jack Mullin aveva scoperto e studiato a
fondo durante la sua permanenza in Europa alcuni anni prima in qualità di tecnico radiofonico nell’esercito statunitense.
Furono lo stesso Mullin e Bing Crosby a convincere l’ABC della comodità e delle potenzialità fino ad allora
impensabili della registrazione su nastro a fini radiofonici.
15
Un altro ambito nel quale la manipolazione del suono troverà terreno fertile è quello della musica d’avanguardia dei
compositori post-dodecafonici: Karlheinz Stockhausen alla Radio di Colonia nel 1951, Luciano Berio e Bruno Maderna
allo Studio di Fonologia della RAI di Milano nel 1955 saranno i pionieri dello studio e della realizzazione di
composizioni tramite tecniche elettroniche, aprendo la strada ad altre pratiche in questa direzione, come la musica
concreta, la musica elettronica, la tape music e la computer music. https://youtu.be/Oe4v9KybOmk

21
registrava direttamente sul nastro e la seconda che riceveva il segnale e lo rimandava alla prima
realizzando così un lieve ritardo.
Lo stesso Elvis Presley, inizialmente messo sotto contratto dal Sun Studio, si trovò a incidere in un
ambiente dall’acustica totalmente asettica nella quale era necessario ricorrere alla manipolazione
del segnale – creazione dell’eco – fatto questo che si avverte chiaramente in Blue Moon of
Kentucky, lato B del suo primo disco singolo That’s Alright Mama. https://youtu.be/EoiykIruNio
Un altro aspetto molto importante legato alla ri-creazione del suono in studio, oltre a operare
sostanziali mutazioni sulle sue caratteristiche principali sarà la sovrapposizione simultanea di più
tracce; la tecnologia multitraccia andava in pieno contrasto con l’esigenza di pulizia e di “bel
suono” propria degli appassionati di Hi-Fi e si rivelerà invece come una tecnica ideale per la musica
rock, pop e Jazz.
Testimonianza importantissima di questo nuovo modo di registrare è quella rappresentata dai
Beatles, i quali realizzarono la maggior parte delle loro registrazioni nel famoso studio della EMI ad
Abbey Road a Londra.
La EMI – o His Master’s Voice – era negli anni ’60 una casa molto tradizionalista per quello che
riguardava la tecnica di registrazione, soprattutto nei confronti di un ambito così variegato e
mutevole come quello della musica Rock o di generi simili, e per questo motivo i macchinari
presenti a quell’epoca nello studio di Abbey Road non erano all’avanguardia; le registrazioni di
musica leggera effettuate nello studio fino ai primi anni ’60 erano monofoniche per cui si
riducevano alla semplice incisione di quello che veniva suonato.
Fu solo con l’acquisizione di registratori prima a doppia e poi a quadrupla traccia che fu possibile
impiegare attrezzature più consone alla messa a punto di quelle registrazioni che il complesso di
Liverpool aveva intenzione di realizzare16.
A Hard Day’s Night, registrata nel 1964, è la prima canzone dei Beatles nella quale venne effettuato
il pieno sfruttamento delle quattro tracce 17: Sulla traccia n.1 vennero registrati il basso e le
percussioni, sulla numero 2 la voce di John Lennon, sulla 3 la seconda voce di Lennon e il
raddoppio di Paul McCartney e sulla 4 il pianoforte e la chitarra dal suono molto secco che si
ascolta alla fine; il tutto venne poi missato su una traccia unica di un altro registratore multitraccia
ottenendo così la versione mono, https://youtu.be/PdBHwbX21Ls mentre per la versione stereo il
missaggio riversò la registrazione su due tracce. https://youtu.be/83qI1WvNoW8
I Beatles erano molto interessati alle ricerche sulla manipolazione del suono e sperimentarono varie
tecniche poi in parte utilizzate per le loro registrazioni, come nel caso di Tomorrow Never Knows.
https://youtu.be/YtmukKLZQUw
Questa registrazione vide per la prima volta l’uso del tape-loop, una tecnica sperimentata da Paul
McCartney che prevedeva la re-incisione sullo stesso nastro di varie tracce sonore dopo aver
rimosso nell’apparecchio la testina di cancellazione: da qui la possibilità di usare il materiale
ottenuto riproducendolo a diverse velocità, in senso normale o contrario; una tecnica casuale che
però avrebbe aperto la strada alle future tecniche di riproduzione ciclica di frammenti musicali, in
seguito universalmente usate18.
Un caso particolarmente elaborato fu quello relativo all’incisione di Penny Lane: le quattro tracce di
una prima macchina vennero impiegate per sovrapporre le parti strumentali e il missaggio ottenuto
venne riversato su una traccia singola di un altro apparecchio occupando le altre tre con le due parti
vocali e con un’altra aggiunta strumentale. Il tutto vene poi riunito in un’altra traccia unica e

16
E’ qui il caso di rilevare che i Beatles come la maggior parte dei gruppi rok’n’roll preferivano registrare quattro tracce
in mono per graduale sovrapposizione; l’effetto stereo costituiva motivo d’interesse più per gli audiofili e si rivelava
buono per il mercato della musica classica. La tecnica della sovrapposizione comportava di fatto una gran precisione da
parte dei musicisti in quanto un errore registrato su due tracce già incise comportava l’annullamento della sessione e
costringeva il complesso a rifare tutto da capo.
17
Nell’analisi delle canzoni dei Beatles ci si atterrà chiaramente solo alle versioni originali e non a quelle
successivamente rimasterizzate.
18
I Beatles furono anche il primo complesso rock a pubblicare un album a 33 giri nel 1967 – Sergent Pepper’s Lonely
Hearts Club Band – dando quindi la possibilità di ascoltare una serie più nutrita di canzoni.

22
collocato assieme alla prima sulla prima macchina come traccia due, e il lavoro proseguì
registrando sulle tracce rimanenti un altro accompagnamento strumentale e il canto scat.
Procedendo così si arrivò a dividere in due tracce tutto quello che era già stato registrato,
aggiungendo l’accompagnamento degli strumenti a fiato, per poi riconvertire il tutto in un’unica
traccia mono pronta alla pubblicazione. https://youtu.be/S-rB0pHI9fU

Il disco stereofonico

Alan D.Blumlein fu il primo che, nel lontano 1931, si dedicò a studi approfonditi sulla stereofonia
applicando all’incisore due segnali paralleli, uno verticale e l’altro laterale e sarà questo sistema che
verrà adottato nel 1958, all’epoca del lancio sul mercato dei primi dischi stereofonici.
La tecnica di registrazione e di stampaggio è ormai molto avanzata rispetto ai primi decenni del
‘900: la registrazione viene effettuata in studi particolari dove l’acustica può variare a seconda delle
varie esigenze impiegando pannelli mobili, e successivamente intervenendo sulla traccia registrata
con sistemi elettronici atti a creare un diverso tempo di riverberazione. Il nastro magnetico
rappresenta ormai il tramite indispensabile tra il microfono e l’incisione perchè consente - oltre alla
lunga durata - di mixare varie tracce tra di loro, sovrapporre diverse voci o strumenti e dosare i
volumi, eliminando o attenuando quanto non gradito. L’incisione avviene su lacca alla
nitrocellulosa, mediante dispositivi di registrazione ormai molto sofisticati, e dotati di un congegno
elettronico che prevede l’arrivo dei toni ”forti” e “fortissimi” del suono, in modo da provvedere ad
aumentare il passo della spirale per far posto alla maggiore ampiezza di oscillazione della traccia.
Ottenuta la lacca, si passa alla formazione del master in metallo tramite elettrodeposizione – lo
stesso metodo già impiegato di Johnson alla fine dell’Ottocento – e successivamente, sempre per
elettrodeposizione, si otterranno uno o più stampi in metallo (mold), e successivamente tanti
stamper con il solco in rilievo che saranno finalmente usati nelle presse. Fino al 1950 lo stampaggio
era eseguito manualmente, mentre successivamente si passò a macchine completamente robotizzate
che, una volta caricate con gli stampi, provvedono automaticamente a tutte le operazioni già
descritte.

Le tecniche ottiche e il compact disc

Verso la fine degli anni settanta i tecnici della Philips stavano studiando una nuova tecnica di
riproduzione del suono: si trattava di trasformare la fonte elettrica da una modulazione continua
delle frequenze – o sistema analogico – in numeri – digitale. Dopo alcuni anni di ricerche la casa
olandese si accordò con la Sony giapponese per uno stesso standard di produzione e finalmente nel
1982 le due multinazionali presentavano un piccolo disco di 12 centimetri di diametro e della durata
di circa 80’ dalla qualità sonora eccezionale; l’incisione era effettuata su una lamina di alluminio
iridescente protetta da uno strato di plastica: era nato il compact disc.
La tecnica di registrazione – riproduzione del nuovo supporto è completamente diversa da quella
degli LP, che utilizzano solchi incisi meccanicamente, o delle variazioni magnetiche proprie dei
registratori a nastro. I cd utilizzano le memorie ottiche, segnali che vengono impressi e letti
utilizzando la luce; si tratta in effetti di piccole cavità posizionate su una superficie riflettente.
Queste cavità sono la base elementare per formare un segnale che può rappresentare solo un
positivo o un negativo, in sostanza 0 o 1: un segnale molto semplice, ma appunto per questo ben
manipolabile. Il lettore sarà in grado di trasformare elettronicamente queste informazioni in suoni –
o con un procedimento più complesso in immagini. Oltre a ciò il campo stereo di 40 decibel dell’era
analogica diventa di 90 nel digitale, e qualsiasi rumore o imperfezione sonora può essere eliminato
agendo numericamente sulle frequenze.

23
Il CD viene creato mediante stampaggio da una matrice costituita da un disco di vetro che viene
coperto da uno strato di resina fotosensibile sul quale è incisa la traccia creata dal laser; i segnali
incisi sono piccole cavità la cui lunghezza determina il segnale che rimarrà registrato: l’inizio o la
fine corrispondono a 1 mentre la superficie, impressa o integra corrisponde a 0.
L’insieme dei segnali incisi si sviluppa a spirale partendo dal centro del disco – contrariamente al
vinile – dove viene registrato anche l’indice, e la velocità di lettura varia dall’inizio – 500 giri al
minuto – alla fine – 200 giri – in modo da rimanere costante all’aumento del diametro.
Il vantaggio principale del CD è la sua estrema comodità e praticità, oltre a una ottima resistenza a
un eventuale utilizzo non proprio ortodosso; il raggio laser ha un diametro variabile durante la
lettura: attraversa la superficie esterna con un raggio di un millimetro di diametro che scende a un
micron quando raggiunge la superficie riflettente. Un granello di polvere o una traccia sulla
superficie raggiungono raramente le dimensioni di un millimetro e non impediscono così il
passaggio della luce. Oltre a ciò la lettura avviene senza alcun contatto per la superficie incisa e non
si ha alcuna usura dovuta a ripetuti ascolti.
La tecnica numerica elimina quasi completamente il rumore di fondo e assicura un’ampissima
dinamica, così che la qualità di ascolto del CD è di gran lunga superiore a quella del disco in vinile.
Alcuni musicofili però dissentono da questa opinione, ritenendo che malgrado questi pregi il suono
del cd sia diverso e in qualche modo meno gradevole di quello del disco nero. Ma questo è un
argomento troppo personale che difficilmente può essere contestato.

Aspetti della registrazione

La registrazione musicale si può a un dipresso suddividere in due principali categorie: registrazione


dal vivo e registrazione in studio. La prima dovrebbe costituire un “arco” interpretativo completo, la
fedele testimonianza di una particolare esecuzione effettuata in sede concertistica o lirica, ma
talvolta non accade così; generalmente le “live recordng” indicate sulle copertine dei dischi sono il
risultato di due o più takes prese da diverse repliche dello stesso concerto, o missaggi tra la prova
generale e la successiva esecuzione pubblica.
La registrazione in studio è invece una testimonianza sonora “organizzata”, che vede al lavoro un
team con compiti molto specifici: l’interprete – direttore d’orchestra, solista o complesso
cameristico – il direttore di registrazione – un musicista che oltre ad una preparazione artistica di
prim’ordine deve esercitare il controllo su tutti i risultati di resa musicale – e il tecnico del suono –
esperto di tutte le tecniche e i metodi necessari a raggiungere tutto quanto è richiesto dai primi due
personaggi – livelli del volume generale, equilibrio tra le varie sezioni del complesso, lavoro sul
suono e montaggio del master.
Il metodo di lavoro viene poi scelto a seconda del tempo disponibile, della natura dell’interprete e
delle idee del direttore della registrazione: alcuni interpreti preferiscono registrare lunghe sezioni e
poi intervenire per correggere le eventuali imperfezioni, altri – di solito la minoranza – scelgono di
procedere per piccole sezioni, metodo pericoloso per l’unità e la continuità del risultato. Un
esempio lampante ci è dato dalla meravigliosa registrazione della Quarta sinfonia di Schumann
realizzata nel 1953 da Wilhelm Furtwängler sul podio dei Filarmonici di Berlino: a seguito di una
interruzione del tecnico del suono avvenuta dopo poche battute dall’inizio, il direttore e l’orchestra
si concentrarono riprendendo da capo ed eseguendo praticamente tutta la sinfonia fino alla fine,
dando vita ad una delle più entusiasmanti interpretazioni della storia del disco – in questo caso una
vera e propria live recording. https://youtu.be/9lLDf0uulkI Un caso diametralmente opposto è
rappresentato invece dal pianista canadese Glenn Gould, che decise di lasciare la carriera
concertistica per concentrarsi esclusivamente sulle registrazioni in studio, considerando l’incisione
discografica come il mezzo più idoneo a tradurre fedelmente il proprio pensiero musicale;
emblematica ci pare la registrazione di una sua trascrizione pianistica del preludio del primo atto dei
Maestri Cantori di Norimberga di Wagner, dove diverse linee tematiche registrate separatamente
vengono sovrapposte dando origine a un effetto assolutamente affascinante.

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https://youtu.be/9wpwL0EWSa0 . A parte queste rare situazioni, la registrazione in studio – per i
motivi di frazionamento già indicati – tende a un risultato più controllato, e per questo più freddo e
asettico, come si può sentire da un confronto tra due registrazioni effettuate dagli stessi interpreti in
studio e durante un concerto: nel 1961 Karel Ancerl e la Filarmonica Ceca registrarono in studio la
Sinfonia “Dal Nuovo mondo” di A. Dvorak: ascoltando il terzo movimento – Scherzo – si resta
colpiti dall’ottima quadratura ritmica che permette agli interpreti una giusta continuità del discorso
musicale; ascoltando invece una registrazione dal vivo dello stesso brano e con gli stessi interpreti
effettuata durante un concerto tenuto al Festival di Ascona nel 1958 si notano alcune variazioni nel
tempo – l’inizio più veloce che gradualmente rallenta fino a raggiungere il tempo dell’esecuzione in
studio – tali però da conferire a questa interpretazione una tensione espressiva affatto diversa e
molto più coinvolgente. Questo però non sarebbe stato possibile nella registrazione in studio: le
variazioni del tempo avrebbero sicuramente indotto il team a registrare nuovamente quei passaggi.

Il repertorio registrato

Il concetto di repertorio può essere inteso come quel corpus più o meno vasto di composizioni
riconosciute come indispensabili per la crescita e la maturazione di ogni strumentista, cantante,
complesso vocale o strumentale, e nel contempo di valore musicale tanto profondo e duraturo da
oltrepassare intere epoche, gusti, mode e snobismi. E’ chiaro però che questa affermazione necessita
di un’analisi più approfondita e indirizzata verso una prospettiva storica.
Viviamo un’epoca dove il repertorio di musica classica è in grandissima parte costituito da
compositori del passato, e l’apprezzamento del pubblico va quasi esclusivamente ad autori
scomparsi da almeno mezzo secolo.
Più ci si addentra in questo passato però, più questo scollamento temporale tende a diminuire; fino
al 18° secolo veniva eseguita ed eventualmente apprezzata la musica composta nel presente, ed era
sempre viva l’esigenza di ascoltare nuove composizioni. Gli autori vissuti in precedenza erano
tenuti spesso in grande considerazione per il loro genio compositivo, se si pensa alla venerazione
che Beethoven nutriva per Bach e soprattutto per Haendel, ma presso chi ascoltava o eseguiva
questo concetto di recupero quasi non esisteva. Solo nel 1829 Mendelssohn riproporrà l’ascolto
della Passione secondo Matteo di Bach, dando così inizio ad una riscoperta e successiva
rivalutazione della produzione del Cantor di Lipsia.
Questi recuperi non influirono però in maniera sostanziale sulla richiesta di musiche nuove, se si
considera l’enorme mole di composizioni realizzate in ambito lirico, sinfonico e cameristico durante
tutto il secolo XIX e l’inizio del XX 19; se si getta uno sguardo ai cartelloni dei teatri italiani di fine
800 ci si renderà conto di come anche un autore noto come Verdi fosse presente quasi
esclusivamente con l’ultima parte della sua produzione, e quando Toscanini all’inizio del secolo
scorso proporrà il Trovatore alla Scala fortissime saranno le resistenze di critica e pubblico verso
un’opera giovanile di un compositore ancora immaturo.
Solo i grandi rivolgimenti in atto da Wagner in poi – dal cromatismo all’espressionismo e alla
disgregazione tonale che porterà alla dodecafonia – accelereranno questo processo di recupero delle
opere del passato20.
Le grandi battaglie tra verdiani e wagneriani in Italia, la contrapposizione tra Brahms e Wagner nei
paesi di lingua germanica, tutti questi fermenti danno la prova della vitalità riferita a quei repertori

19
Nel solo ‘800 vennero rappresentate in Italia alcune migliaia di opere liriche e basta leggere gli scritti critici di
Schumann e le sue recensioni di nuove musiche cameristiche per rendersi conto dell’abbondanza delle produzione
musicale in quel secolo.
20
Non è questa la sede per un’analisi dei rapporti tra il linguaggio delle avanguardie e l’ascoltatore di allora, basterà
comunque rilevare che autori come quelli della seconda scuola di Vienna siano stati lungamente e volutamente relegati
in una sorta di turris eburnea da appassionati ma spesso fanatici sostenitori, nella convinzione che il pubblico non fosse
preparato alla comprensione di questa produzione. A questo si aggiunge che il livello esecutivo di queste musiche era
spesso molto mediocre, fatto questo che comprometteva inevitabilmente la chiarezza e l’intelligibilità dell’eventuale
proposta.

25
oggi ancor vivi ma confinati in una sorta di museo che visitiamo e apprezziamo. Se oggi amiamo e
ascoltiamo tutte queste opere del passato non dobbiamo scordarci che un tempo chi ascoltava – oltre
al valore diverso di una singola esecuzione, come già detto – viveva in prima persona ciò che un
compositore proponeva, e questo suscitava reazioni diversissime che andavano dal giubilo alla
condanna quando poi non si rimaneva sconvolti per la rivelazione di ciò che era nuovo e mai udito.
Nel secolo scorso questa partecipazione si trasferì gradualmente verso altre forme musicali più
recenti, come il Jazz, il musical, la musica leggera e i più recenti pop, rock ecc. fino ad arrivare
all’introduzione e alla contaminazione di musiche provenienti da culture extraeuropee, spesso di
straordinaria forza espressiva21.
Per quanto riguarda la vastità e la qualità del repertorio registrato in più di cento anni dall’avvento
del primo fonografo si rileva innanzitutto un aspetto che risulta costante per tutto il periodo, si tratta
cioè del rapporto tra la produzione e la richiesta del mercato che porta sempre a registrare il
repertorio più appetibile al grande pubblico unito alla scelta di artisti che con la loro notorietà
contribuiscono a suscitare più interesse nell’acquirente. A volte, come vedremo più avanti, si
verificano anche situazioni nelle quali un artista famoso riesce a imporre composizioni più desuete
ma non per questo di valore inferiore, o case discografiche minori che attraverso una notevole
riduzione del prezzo riescono a imporre artisti non noti – ma quasi sempre di valore – nel repertorio
più conosciuto.
Un altro importantissimo aspetto è quello legato all’avanzamento della tecnica di registrazione. Con
le limitazioni imposte dalla tecnica acustica e dalla breve durata dei primi cilindri e dischi, il
repertorio era limitato a brevi brani di bravura nei quali l’interprete sfoggiava le sue migliori
qualità, soprattutto quelle virtuosistiche, e questo poteva essere realizzato solo scegliendo un
repertorio il più possibile vicino a questa esigenza. Oltre a ciò la limitazione delle frequenze
registrabili e il ristretto numero di esecutori limitava drasticamente la possibilità di registrare grandi
opere sinfonico – corali (vedi lez. 1).
Nonostante queste prime difficoltà una certa parte di grande repertorio è comunque stata sempre
presente nei cataloghi discografici. Bisogna però far notare che l’affermazione di un grande
compositore e la sua conseguente posizione nel grande repertorio non avvengono immediatamente e
in certe epoche musicisti che oggi sono universalmente considerati un tempo erano meno noti di
alcuni loro contemporanei il cui nome oggi è scivolato nell’oblio. Nei primi anni del secolo scorso
T.A.Edison – la cui competenza musicale non era assolutamente di prim’ordine - derideva gli
amanti della musica di Debussy definendoli una ristrettissima cerchia di estimatori di un musicista
autore di complicate e strampalate composizioni: a quel tempo molti appassionati sarebbero stati del
suo stesso parere, ma cosa direbbe oggi Edison se cercasse delle registrazioni di Debussy?
Troverebbe una decina di edizioni di Pelleas et Melisande e della serie completa dell’integrale
pianistica, oltre 60 versioni di La Mer e del Prelude a l’apres-midi d’un faune; questo è solo un
esempio che però ci aiuta a considerare quanto la diffusione della musica riprodotta abbia
contribuito a innalzare e ad allargare i gusti del pubblico.
Quando si passò dalla tecnica acustica a quella elettrica, anche se permaneva il problema della
durata del disco, il repertorio cominciò ad espandersi notevolmente: il “Gramophone shop
encyclopedy of recorded music” edito in America nel 1936 elenca tra le altre le seguenti
composizioni disponibili su disco: Mozart – 10 concerti per pianoforte, le sinfonie 34, 35, 36, 38,
39, 40 e 41, le Nozze di Figaro, Così fan tutte, e selezioni dal Ratto dal serraglio, Idomeneo, Don
Giovanni e Flauto Magico – Haydn – 10 quartetti per archi, e le sinfonie 45, 88, 92, 94, 95, 97, 100,
103 e 104 – Bach – i 6 Concerti Brandeburghesi, la Passione secondo Matteo, estratti dalla Passione
secondo Giovanni e alcuni estratti da composizioni per organo – Beethoven – le nove sinfonie, le 32
sonate per pianoforte in via di completamento e alcuni quartetti per archi – Haendel – Il Messia
completo – Purcell – Dido and Aeneas. Oltre a queste composizioni di repertorio se ne
aggiungevano altre meno note ma di eguale valore, come le Chansons di Dufay e Ockeghem, le
21
Le ultime composizioni “classiche” che abbiano incontrato universale riconoscimento tra i pubblici di tutto il mondo
sono la Turandot di Puccini (1926) e Pierino e il lupo di Prokofiev (1938).

26
Lagrime d’amante al sepolcro dell’amata di Monteverdi, la prima sinfonia e Façade di William
Walton.
Negli anni venti apparve anche la National Gramophonic Society, fondata con il proposito di
cercare di convincere le case discografiche ad essere più ”avventurose” nella scelta dei repertori da
registrare, e che esisteva anche un pubblico interessato a un tipo di musica ancora non molto
conosciuta, specialmente quella cameristica. Le prime registrazioni ad essere pubblicate
comprendevano il Quartetto di Debussy, il sestetto op.18 e i quintetti per clarinetto e archi di
Mozart e Brahms, il sestetto Verklärte Nacht di Schoenberg https://youtu.be/PVlyWYRW6qY.
Queste iniziative furono possibili anche per la piena disponibilità degli esecutori, che accettarono di
registrare per compensi spesso irrisori.
Con l’avvento del Long Playing alla fine degli anni quaranta si presentò un duplice motivo per
reincidere il repertorio già registrato: il primo legato alla nuova natura del supporto, che permetteva
di registrare fino a 25 minuti per facciata senza interruzione – si noterà in seguito come ad ogni
innovazione o cambiamento (Stereofonia, Quadrifonia, Digitale, Cd, ecc.) si ripresenteranno le
medesime condizioni per registrare nuovamente il grande repertorio – il secondo per la maggiore
facilità connessa alla realizzazione delle registrazioni – con l’introduzione del registratore a nastro –
e alla fabbricazione dei dischi.
Verso la metà degli anni 50’ la situazione del mercato discografico era quindi costituita da alcune
grandi etichette – RCA, CBS, DECCA, PHILIPS, HIS MASTER’S VOICE – che registravano
prevalentemente il grande repertorio con interpreti di grosso calibro e molto conosciuti: Toscanini e
Rubinstein per la RCA, Mitropoulos e Ormandy per la CBS, Ansermet per la DECCA, I Musici per
la PHILIPS, Karajan e la Callas per la HMV.
In questo periodo acquisisce molta importanza anche la figura del record producer; agli albori della
discografia, Fred Gaisberg (1873-1951) era – anche se non ancora un vero record producer - un
espertissimo talent scout che viaggiava tra l’Europa e l’America per mettere sotto contratto i
migliori artisti, che lui riconosceva anche e soprattutto in virtù della sua eccezionale competenza
musicale; compì inoltre escursioni lunghe e rischiose in paesi esotici per registrare musiche di altre
tradizioni. Più vicini a noi Walter Legge (1905-1978) e John Culshaw (1924-1980), rispettivamente
in forza alla HMV e alla DECCA durante il periodo di maggior crescita del mercato del Long
Playing; entrambi realizzarono incisioni di importanza assolutamente storica, dove la scelta degli
interpreti che essi ritenevano ideali per un determinato repertorio si associava alla cura maniacale
della presa sonora unita ad una conoscenza molto approfondita della partitura.
L’allargamento delle possibilità nel mercato portò alla nascita di molte piccole case che
proponevano repertori più desueti con interpreti spesso non di primo piano. Tra di esse – quasi tutte
destinate però a una vita piuttosto effimera - si possono ricordare la Westminster, la Urania, la Vox,
la Concert Hall, la SPA, la Remington, la Mercury, la Haydn Society, ecc..
Una gran parte di queste case era americana ma registrava quasi esclusivamente nell’Europa centro-
orientale a causa dei costi di produzione molto ridotti. Oltre a molte pubblicazioni provenienti da
registrazioni effettuate con il Magnetophon dalle emittenti radiofoniche tedesche in tempo di guerra
e che erano state successivamente sequestrate e trasferite all’estero dalle forze alleate 22, le incisioni
venivano effettuate da orchestre come la Radio di Berlino Est, la Radio di Lipsia, la Filarmonica di
Dresda ma soprattutto le Orchestre viennesi, le quali a volte comparivano con uno pseudonimo –
Vienna Orchestra, Vienna Konzertverein Orchestra, ecc. – per motivi legati all’esistenza di contratti
che erano già stati stipulati con altre etichette.
Vienna era a quei tempi un luogo ideale per incidere dischi: esistevano moltissimi eccellenti
strumentisti che a causa della difficile situazione economica del secondo dopoguerra avevano
bisogno di lavorare e il cambio con il dollaro era estremamente favorevole per le società americane.
22
Parecchie registrazioni effettuate da Furtwängler e da altri interpreti che erano rimasti in Germania durante la guerra furono
sequestrate a Berlino dall’esercito sovietico e portate nell’URSS, dove rimasero inaccessibili per decenni. Solo qualche emissione
venne realizzata dalla Melodiya, la casa di stato sovietica fino a quando, sulla scia della perestrojka alla fine degli anni ottanta, queste
registrazioni – di ottima qualità sonora poiché effettuate con i magnetofoni AEG - vennero restituite alla Germania unificata e
pubblicate in varie occasioni dalla DG e da altre etichette.

27
Il direttore Hermann Scherchen, sotto contratto dalla Westminster con i Wiener Symphoniker,
descrive così l’orario di una giornata di prove nel 1950: l’orchestra provava con lui dalle 8 alle 11,
dalle 11,15 alle 12,15 e dalle 13,15 alle 15,15, poi dalle 15,30 alle 18,30 con Clemens Krauss per
una tourneé in Yugoslavia e dalle 20 alle 23 con Karajan.
In queste condizioni si realizzarono però parecchie splendide registrazioni: il già citato Hermann
Scherchen e Charles F. Adler, direttore naturalizzato americano e responsabile artistico della SPA,
effettuarono a Vienna le prime registrazioni di alcune sinfonie mahleriane, opere la cui registrazione
era finalmente possibile senza troppe difficoltà data la loro lunghezza e l’organico spesso molto
allargato. Scherchen registrò per la Westminster la prima, la seconda, la quinta, la prima edizione
della settima e l’adagio della decima, mentre Adler firmò le prime incisioni assolute della terza e
della sesta; la terza in particolare è ritenuta una delle migliori incisioni mahleriane in assoluto.
https://youtu.be/T7FTrPRVoCk?list=OLAK5uy_kKR17IUeLhMA95dbVizr6CmCFfBS50CVk
Di pari passo le grandi case cominciarono l’incisione di opere liriche complete, spesso in
collaborazione con alcuni famosi teatri – si ricordano alcune incisioni effettuate per la HMV da
parte del Teatro alla Scala, tra le quali primeggia una bellissima Tosca interpretata da Maria Callas,
Giuseppe di Stefano e Tito Gobbi con l’incandescente direzione di Victor de Sabata
https://youtu.be/rkMx0CLWeRQ – o effettuate in studio come il Tristan und Isolde diretto da
Furwangler nel 1952 https://youtu.be/gGAKgoclJ6A Entrambe le opere furono registrate sotto la
supervisione di Walter Legge.
Con l’avvento della stereofonia si allargò ancor di più il campo delle possibilità tecniche, tanto da
spingere la DECCA, nella persona del già citato John Culshaw, a iniziare la prima incisione
integrale in studio della Tetralogia di Wagner sotto la direzione di Georg Solti.
https://youtu.be/QWJleLQtjYA?list=PLJs566RE2LzV7zcVzTMHDQxD87tOzF9BS Questa
registrazione, una delle maggiori imprese di tutta la storia della discografia, permise l’ascolto
“completo” della sterminata partitura dal punto di vista prettamente musicale, rivelando dettagli,
tessiture vocali e strumentali fino allora inaudite, perché spesso tralasciate o non focalizzate nelle
esecuzioni effettuate in sede teatrale.
Un altro incentivo per aumentare le vendite dei dischi fu quello degli acquisti a richiesta tramite
spedizione postale: la rivista americana Selezione dal Reader’s Digest proponeva eleganti album
dedicati a svariati generi musicali; in Italia vennero messe in commercio le Nove Sinfonie di
Beethoven dirette da René Leibowitz, un cofanetto con tre opere verdiane dirette da Toscanini -
Aida, La Traviata e Un Ballo in maschera – , un’Antologia di musica classico-leggera che riuniva i
migliori brani tratti da questo repertorio ed eseguite da svariati interpreti, e molte altre.
Anche le integrali cominciarono ad interessare un pubblico sempre più vasto: nel 1971 ne vennero
iniziate due tra le più importanti, l’incisione completa di tutte le sinfonie di Haydn eseguite dalla
Philharmonia Hungarica diretta da Antal Dorati per la DECCA e le serie completa delle Cantate di
Bach suddivisa tra Gustav Leonhardt e Nikolaus Harnoncourt per la Telefunken.
In questo periodo cominciano ad apparire sul mercato le prime registrazioni di musica barocca
eseguita con strumenti originali; questo appellativo, come vedremo nelle prossime lezioni usato in
modo superficialmente inappropriato, definiva una scelta affatto nuova dei criteri esecutivi, con
strumenti la cui fattura e montatura – corde di budello, ecc. – risaliva al periodo barocco, e
rivoluzionava l’approccio interpretativo volgendo particolare attenzione allo studio dei trattati e
delle fonti storiche della stessa epoca. Si assiste così ad un ulteriore scollamento che può essere
rapportato a quanto già detto a proposito del repertorio esecutivo: se fino ad ora la musica antica
veniva adattata allo stile dell’epoca nella quale veniva riproposta ora comincia il recupero delle
tradizioni esecutive passate.
Verso la fine degli anni 70’ il mercato cominciò a dare segni di stagnazione. La quadrifonia si era
rivelata un fuoco di paglia, molte case minori erano già fallite da anni e le maggiori avevano già
inciso più volte tutto il grande repertorio con molti artisti di rilievo. L’introduzione del Compact
Disc alcuni anni dopo riaccese tutto l’interesse per registrare nuovamente il repertorio, e in pochi
anni si verificò la seguente situazione: da un lato le grandi case cominciarono ad affiancare la

28
pubblicazione di nuove interpretazioni con riedizioni di registrazioni già apparse in LP, dall’altro si
verificò nuovamente la nascita di molte piccole case indipendenti che pubblicavano edizioni di
interesse storico, di repertori sconosciuti o poco noti e di diversi generi come la musica del periodo
barocco – che cominciava a suscitare sempre più interesse per via delle esecuzioni con strumenti
originali – o la musica contemporanea. Questa situazione si è mantenuta fino ad oggi, con il
risultato che dopo circa 25 anni il mercato discografico si trova in una condizione simile se non
peggiore di quella che esisteva all’avvento del CD.
Le grandi case danno fondo ormai alle ultime risorse, ripescando molte vecchissime incisioni
pubblicate oltre 50 anni fa – da notare che talvolta si riscoprono veri e propri tesori – o registrando
nuovamente composizioni del grande repertorio affidate ad interpreti che suscitano l’interesse di un
certo pubblico – ahimè molto vasto – più per motivi extramusicali (suggestione o bombardamento
dei media) che per valori puramente artistici. Tra le case cosiddette minori invece, alcune stanno
crescendo in modo sorprendente in quanto perseguono strategie di vendita affatto nuove. E’ il caso
della NAXOS, partita con due serie ben distinte: una, la MARCO POLO, era dedicata al repertorio
mai registrato su disco, e l’altra – la NAXOS appunto – offriva il grande repertorio a prezzi
decisamente inferiori con uno standard esecutivo di tutto rispetto. Successive tappe hanno portato la
NAXOS ad essere oggi una delle migliori e diffuse case discografiche, con una scelta vastissima
sempre a basso prezzo che va dal genere sinfonico a quello cameristico, dal grande repertorio a
quello meno frequentato, dalla musica antica alla contemporanea e dalla lirica alle edizioni di
interesse storico. Altra casa emergente è la Brilliant Classics, specializzata nella pubblicazioni di
integrali realizzate in proprio ma per la maggior parte provenienti da registrazioni di case
discografiche fallite o i cui diritti sono acquistabili a basso costo; ne consegue che il prezzo per il
pubblico è molto conveniente.
Altro aspetto importante dell’ultima stagione del CD, nella linea della ripubblicazione degli archivi
delle case discografiche, è la tendenza a proporre sempre più le edizioni integrali, una scelta
editoriale questa che ha comunque sempre suscitato un certo interesse negli acquirenti di ogni
periodo storico; queste pubblicazioni sono dedicate a tutte le registrazioni di un dato interprete o
alla produzione di un determinato autore, in alcuni volumi o anche in un unico cofanetto che può
raggiungere a volte dimensioni ragguardevoli – si pensi all’integrale bachiana pubblicata dalla
Brilliant in 115 cd. Di sicuro interesse – dopo la scadenza dei relativi diritti – le antologie che vari
enti teatrali o complessi sinfonici stanno pubblicando in grande quantità, assieme a intere collane di
cd singoli immesi sul mercato da etichette che operano una scelta estremamente ampia dagli archivi
sterminati delle emittenti radiofoniche più importanti23.
Un problema importante che si pone quando si ripubblicano vecchie registrazioni è quello della loro
resa sonora in relazione allo stato di conservazione dei supporti - dischi a 78 e 33 giri, nastri – e dei
miglioramenti avvenuti nelle tecniche di registrazione e di stampaggio nel corso degli anni
successivi. L’avvento della stereofonia nella seconda metà degli anni ‘50, la cui qualità sonora più
spaziosa e definita si avvicina molto alla sensazione di essere in una sala da concerto, spinse le case
discografiche – come già detto - a reincidere tutto il grande repertorio, facendo uscire dalla
distribuzione le precedenti incisioni realizzate con la tecnica monofonica; tra queste ultime
registrazioni esistevano però molti dischi registrati da grandi interpreti da poco scomparsi, per cui si
pensò di intervenire sul suono originale per renderlo più vicino ai nuovi standard raggiunti e per non
far calare l’interesse di gran parte degli acquirenti. A tal fine vennero scelte alcune registrazioni di

23
Si possono citare la ICA Classics, caso singolare di agenzia artistica che pubblica una propria collana di CD dedicati
ai grandi artisti del passato – serie Legacy - con esecuzioni provenienti dagli archivi della BBC di Londra, della WDR
di Colonia e dalla Boston Symphony Orchestra, e una seconda serie – Live – nella quale si esibiscono gli artisti che
tutt’ora fanno parte dell’agenzia stessa. Altra casa di grande interesse è la tedesca Orfeo, che nella collana storica Orfeo
d’or pubblica grandi interpretazioni tratte dagli archivi della ORF austriaca e della Bayerische Rundfunk: di gran pregio
molte registrazioni dal vivo prevenienti dal Festival di Salisburgo e dalle Wiener Festwochen. Un fatto da non
sottovalutare è anche l’unicità assoluta di certe interpretazioni congiunte effettuate da artisti i quali, per motivi di
contratti discografici in esclusiva stipulati con case differenti, non avrebbero avuto altrimenti l’opportunità di registrare
assieme.

29
Toscanini che si dimostravano più adatte, vista la palette più ampia di colore orchestrale, per essere
riprocessate elettronicamente in stereo24. Questa operazione conobbe comunque un successo assai
modesto, La versione in pseudo-stereo dimostra solo una minima ampiezza della registrazione ma
in ragione di un suono più secco e duro, mentre la versione mono, pur con i limiti imposti dalla
fonte di un solo microfono, ha una sonorità più piena e timbricamente più variegata e definita. Altri
problemi sarebbero poi insorti in seguito, a fronte di registrazioni risalenti ai primi decenni del
secolo scorso, sia elettriche che acustiche: a causa del fruscio di fondo presente su dischi e rulli il
restauro tramite la tecnica digitale riesce ad eliminare totalmente questi rumori di sottofondo ma
con il pericolo di influire pesantemente sulla qualità del suono, rendendolo spesso aspro e stridente
e di conseguenza di valore musicale quasi nullo; questo accade spesso in pubblicazioni che offrono
famose interpretazioni storiche giocando sull’inesperienza dell’acquirente, mentre alcune etichette
come la Andante, la Pearl o la già citata Naxos Historical propongono una serie molto nutrita delle
stesse interpretazioni restaurate con pieno rispetto della dinamica originale da tecnici del suono
specializzati come Ward Marston o Marc Obert-Thorn.

La multimedialità: una finestra sul mondo.

La multimedialità odierna ci dà la possibilità di ascoltare quello che si vuole dove si vuole e quando
si vuole, avendo sempre a disposizione un numero enorme di registrazioni, ma si tratta a nostro
parere di una comodità forse eccessiva, come vedremo, e che può far dimenticare molto facilmente
quello che in questi termini era di fatto non così realizzabile in passato.
Più ci si addentra nel passato e più il concetto della reperibilità immediata tende a diminuire in
ragione di due fattori: 1) la ricerca sempre più subordinata all’acquisizione concreta di oggetti
necessari alla riproduzione – CD, Musicassette ed LP – reperibili in ambiti a distanza come edicole
e negozi, i quali erano essi stessi dipendenti da società di distribuzione che rendevano disponibili
solo quei titoli dei cataloghi discografici ritenuti più ottimali a incrementare le vendite, escludendo
di conseguenza quelle pubblicazioni non meno valide ma di più limitato interesse generale 25. 2) La
diffusione di eventi musicali da parte della radio e della televisione e trasmessi a orari definiti,
precludendo così del tutto la continua disponibilità per l’ascolto che contraddistingue la
multimedialità odierna.
Se questo accadeva nella seconda metà del secolo scorso, le condizioni di reperibilità si restringono
ancor di più con il disco a 78 giri degli anni ’30-40’ in quanto la brevità del supporto rendeva più
difficile e macchinoso l’ascolto di un brano che non fosse di risicata lunghezza. La radio rimaneva
l’unica fonte di diffusione a distanza la quale, come già detto, contribuiva in modo sostanziale alla
diffusione in presa diretta di un repertorio abbastanza variegato. Emerge perciò con chiarezza il
fatto che prima della radio – dalla commercializzazione del disco di fine ‘800 ai primi anni ’20 – la
possibilità di ascoltare musica si avvicina sempre più all’era pre-fonografo, quando l’esecuzione dal
vivo rappresentava l’unica fonte possibile.
Alla luce di quanto appena detto si potrebbe allora affermare che l’odierna disponibilità immediata
di internet costituisca la condizione ideale per ascoltare al meglio ciò che si desidera: questo è
chiaramente possibile ma a condizione di trovare quelle linee guida che siano in grado di formare
un proprio gusto personale attraverso una conoscenza dei repertori di diversi periodi e stili.
Può a prima vista sembrare strano ma è proprio la disponibilità assoluta di internet a frenare e a
inibire tutto questo; la ricerca immediata in ogni direzione può generare spesso un salto velocissimo
24
Le registrazioni sottoposte al trattamento “Enhanced Stereo” furono i Quadri di un’esposizione di Musorgskji-Ravel,
la Sinfonia n.9 “Dal Nuovo Mondo” di Dvorak e i poemi sinfonici Fontane e Pini di Roma di Respighi. La successiva
rimasterizzazione operata in seguito durante l’era del digitale – Toscanini Edition della RCA – migliorò comunque di
molto la resa sonora senza intervenire sulla diffusione monofonica.
25
Fino alla fine del secolo scorso era possibile trovare alcuni negozi che importavano direttamente cd e lp dalle catene
di distribuzione all’estero, consentendo così di reperire titoli che non erano distribuiti in Italia. Questi negozi
cominciarono poi a chiudere gradualmente quando, tramite internet, divenne possibile reperire qualsiasi titolo su siti
specializzati e facendolo poi arrivare per posta.

30
tra un brano e l’altro, aspetto da ascriversi maggiormente alla minima durata di canzoni e brani di
generi non classici ma che nel nostro caso si realizza con la breve audizione di molteplici versioni
di un brano che si sta studiando – pratica questa che ci sentiamo di consigliare limitatamente come
confronto dopo un lavoro personale di maturazione condotto solo sul segno scritto - o che si vuole
scegliere per l’ascolto tra decine di esecuzioni disponibili; tutto questo alla lunga rischia di influire
negativamente sull’ascolto di brani più lunghi e articolati come sinfonie e sonate 26. Chi scrive si
ricorda quando la sua prima conoscenza del repertorio era legata a un fascicolo della collana I
Grandi Musicisti edita dalla Fratelli Fabbri che ogni settimana era acquistabile in edicola a prezzo
accessibile per tutti: il fascicolo conteneva un disco dedicato a un compositore e corredato da una
decina di pagine con testi e iconografia. A seconda dell’importanza dell’autore le uscite a lui
dedicate potevano succedersi per un certo periodo, per cui in nove settimane si potevano conoscere
le sinfonie di Beethoven con un lasso di tempo tra l’una e l’altra abbastanza lungo per ascoltare
bene ognuna di esse e per farsi un’idea ben precisa del contesto storico nel quale Beethoven viveva
e operava. Questa esplorazione lenta e continua permetteva anche di ritornare su musiche già
ascoltate con una certa frequenza, in modo da poter approfondire e “far proprio” il linguaggio di un
determinato autore e tutto questo, si badi, considerando inconsciamente solo l’esecuzione e non
l’interpretazione come unico mezzo per conoscere l’essenza stessa del brano. Dopo questa iniziale
esperienza, già studente di conservatorio mi incontravo in casa di qualcuno dei miei compagni di
studio per ascoltare i dischi che ognuno di noi portava, per cui le scoperte del singolo venivano fatte
conoscere a tutti generando appassionate discussioni che costituivano terreno fertile per esplorare
altri lavori dello stesso autore o altri repertori a lui affini; questo portava di conseguenza alla ricerca
di altri dischi nei negozi e all’eventuale attesa di quello che, non reperibile al momento, doveva
essere ordinato al distributore.
Risulta chiaro quindi che – diversamente da oggi - il tempo per ascoltare, leggere e condividere non
poteva non sviluppare un proprio gusto personale e una conoscenza del repertorio lenta ma
consapevole, prerogative a nostro parere indispensabili per poter scegliere, discernere e ascoltare
compiutamente un brano musicale nella sua interezza27.

Rapporto tra l’esecutore e la registrazione.

I motivi che dovrebbero guidare un esecutore nella realizzazione di una registrazione dovrebbero
essere sempre di carattere artistico; troppe volte capita invece di ascoltare incisioni dove manca
totalmente quella partecipazione o tensione espressiva proprie di ogni interpretazione convincente,
al di là dei gusti personali di chi ascolta. Spesso chi registra abusa delle enormi possibilità tecniche
permesse dalla tecnica digitale, le quali arrivano a servire da correttivo a un livello tecnico mediocre
o inadeguato, confezionando prodotti utili a creare un’immagine distorta dell’esecutore stesso. Ne
consegue che il risultato musicale non potrà che essere inutile o negativo presso un ascoltatore
competente, ma quei motivi di sfruttamento di un’immagine costruita dai media e il relativo
guadagno serviranno ad annullare qualsiasi motivazione di carattere puramente artistico.
Si assiste perciò ad affermazioni di personaggi la cui immagine totalmente costruita invade un
genere che solo alcuni anni fa sarebbe stato impossibile da raggiungere. I motivi si trovano nel
sempre più accentuato protagonismo dell’esecutore, che usa il repertorio solo per affermare di più la
propria immagine e che i media appoggiano per motivi di pubblicità e di guadagno, e nella tendenza
ad offrire al pubblico solo quello che conosce, eliminando quasi totalmente quello spazio che le
26
Necessaria a nostro avviso, come saggio relativo allo stato musicale odierno, la lettura del breve ma interessante
Analfabeti sonori – musica e presente di Carlo Boccadoro, ed. Einaudi, 2019.
27
A questo proposito si possono consigliare alcune pubblicazioni estremamente utili, la Guida all’ascolto della musica
sinonica di G.Manzoni ed.Feltrinelli e Gli immortali – come comporre una discoteca di musica classica di G.Pestelli
ed.Einaudi. di interesse più generale, ma finalizzato all’approfondimento della propria cultura musicale generale, due
volumi di Alex Ross editi da Bompiani: Senti questo – indagine trasversale e affascinante della storia della musica
senza limiti di genere e preconcetti, e Il resto è rumore – ascoltando il XX secolo – dedicato alla musica del secolo
scorso e ai suoi legami con i grandi rivolgimenti artistici e sociali che lo hanno contrassegnato in profondo.

31
stesse case discografiche, teatri e sale da concerto riservano all’esecuzione di opere meno note ma
utili al suo arricchimento artistico e culturale.
Prendendo invece in esame le registrazioni dei grandi interpreti si potrebbe cominciare col definire
la differenza tra un disco registrato in studio ed uno realizzato in presa diretta durante un concerto;
l’incisione in studio è stata voluta, studiata e realizzata pensando di affidare al pubblico e al futuro
una testimonianza il più precisa possibile delle idee musicali che si hanno su un dato repertorio in
quel determinato periodo della propria vita artistica, espresse mediante il talento, l’espressività e la
comunicativa che si possiedono; l’incisione dal vivo è invece un momento ben preciso della vita di
un artista, un vero e proprio fotogramma che viene fissato per sempre e che nonostante eventuali
imprecisioni può sempre fornire momenti di ascolto veramente emozionanti. Basterà ricordare che è
poi la coscienza dell’esecutore che lo indurrà ad accettare la messa in commercio di una qualsiasi
sua incisione, sia dal vivo che in studio28.

BIBLIOGRAFIA D’ESAME PER IL PRIMO ANNO.


Dispense a cura del docente
Enciclopedia della musica – EINAUDI: ”Il Novecento” Vol.I - da pag. 767 a pag. 833

Anche molto importanti le seguenti pubblicazioni:


R.Diem Tigani – Custodi del suono: un secolo e mezza di registrazione sonora – Zecchini ed. 2012
Si tratta di un saggio molto elaborato relativo alla storia della registrazione con particolare riferimento al repertorio
della musica classica; essendo un libro rivolto al grande pubblico non vi sono sviluppati quegli aspetti importanti per gli
addetti ai lavori come l’analisi approfondita dei vari rapporti tra l’esecutore e la registrazione, per cui può essere
considerato solo come un ottimo aiuto dal punto di vista puramente informativo.
G.Milner – Alla ricerca del suono perfetto, una storia della musica registrata – Il Saggiatore, Milano, 2016
Libro molto bello, costituisce un’analisi avvincente e affascinante attraverso le più importanti tappe della storia della
musica registrata di ogni genere; l’autore riesce nell’arduo compito di illustrare quanto le conquiste tecniche abbiano
influito o siano state un mezzo ideale per permettere ai più grandi artisti del secolo scorso di realizzare le loro
registrazioni.

F.Fabbri – L’ascolto tabù – Il Saggiatore, Milano 2017


Un saggio fondamentale dedicato alla fenomenologia della popular music.
Non è musica leggera – Jaka Book, Milano, 2020
Un’indagine a tutto campo sulla musica del ‘900.

LETTURE FACOLTATIVE:
AAVV - Il Suono riprodotto Storia,tecnica e cultura di una rivoluzione del’900-Quaderni ladimus 2007 EDT Torino
E.Assante – F.Ballanti: La musica registrata – Dino Audino ed. 2004

Béla Bartók – Musica meccanizzata, in Scritti sulla musica popolare, App.II


Universale Bollati Boringhieri 153, Torino 1977 rist. 2001
Davide Bertotti – Fonografia, o cara, in Il direttore d'orchestra da Wagner a Furtwängler – L’Epos, 2005
Timothy Day - A century of Recorded Music – Yale University Press, 2000
Evan Eisenberg – L’angelo con il fonografo, musica, dischi e cultura da Aristotele a Zappa Instar libri, Torino, 1997
Fred Gaisberg – La Musica e il Disco – Fratelli Bocca, 1949
Roland Gelatt – The Faboulos Phonograph – COLLIER BOOKS, 1977
Anita Pesce - La sirena nel solco : origini della riproduzione sonora. – Napoli - Guida, 2005.
Robert Philip – Performing Music in the Age of Recording - Yale University Press, 2004
Thomas Mann – Profusione di armonie da La montagna incantata, cap.VII ed.Corbaccio 2009 pgg. 599-616
T.W.Adorno – Long Play e altri volteggi della puntina – Castelvecchi ed. (collana Etcetera) 2012

LINKS:
http://tinfoil.com/edison.htm sito dedicato ad Edison con sezione audio (libero download) cylinder of th month

http://shellackophile.blogspot.com/ - https://paulmichaelvonganski.wordpress.com/
28
Purtroppo molte pubblicazioni non autorizzate invadono il mercato proponendo interpretazioni di grandi esecutori non autorizzate
da essi, e questo a solo ed esclusivo scopo di lucro; quasi sempre si tratta di incisioni dalla pessima qualità tecnica e dall’esito
artistico a volte non all’altezza della vera statura dell’interprete.

32
http://elbaulcoleccionista.blogspot.it/ http://pristineclassics.blogspot.com/

Blog dai quali è possibile ascoltare e scaricare registrazioni gratuitamente delle quali sono scaduti i diritti di
esecuzione; l’accurata masterizzazione del materiale consente un ascolto di ottima qualità.

http://yayosalvaclasicos2.blogspot.it/ https://manfredwanders.blogspot.com/ http://oserdamusica.blogspot.com/

Blog dai quali è possibile scaricare gratuitamente CD – Attenzione: si tratta spesso di pubblicazioni ancora in
vendita per cui il diritto d’autore non è sempre rispettato; è spesso presente infatti una scritta che invita ad
acquistare il CD in questione su Amazon o siti simili.

Prestare anche attenzione al download che può essere effettuato su applicazioni come 1drv.ms, Mega, Mediafire,
ecc. le quali possono a volte far scaricare virus o trojan.

https://www.youtube.com/watch?v=2zL53iEHf_0
vecchio documentario del 1942 sulla produzione dei 78 giri - in inglese

https://www.youtube.com/watch?v=xvYXkRIz9OE
vecchio documentario del 1956 sulla produzione del Long playing - in inglese

https://youtu.be/lzRvSWPZQYk breve documentario sulla differenza tra analogico e digitale;


interessante la spiegazione fisica dei due processi, opinabile il raffronto tra le due tecniche – de
gustibus non disputandum est – come tutte le scelte personali in campo artistico.

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