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1
A prima vista sembrerebbe difficile individuarvi addirittura un qualsiasi
spazio per la musica, a parte le prove della cantata di Paisiello nel
secondo atto. 1
1
J. BUDDEN, Puccini, Roma, Carocci 2008, p 200
2
poiché in questa Tosca vedo l’opera che ci vuole per me, non di
proporzioni eccessive né come spettacolo decorativo né tale da dar
luogo alla solita sovrabbondanza musicale. A giorni sarò a milano per
mettermi subito alla correzione edgariana, anzi ho qui con me Carignani
che mette in ordine la riduzione del 3° atto.
Accetti i più cordiali saluti da Fontana, Carignani e le signore
femmine.
Rispetti alla signora Giuditta e alla signorina e al Tito.
(Puccini a Giulio Ricordi – Milano, 7 maggio 1889)
2
M. GIRARDI, Tosca: Roma tra fede e potere, in M. GIRARDI, Giacomo Puccini. L’arte
internazionale di un musicista italiano, Venezia, Marsilio, 2000, p 151.
3
infatti recati nell’ottobre dello stesso anno da Sardou stesso, per
discutere con lui i termini della riduzione del dramma.3
Tuttavia, come si apprende tramite le lettere di Illica all’editore
Ricordi4, Franchetti non sembrava particolarmente entusiasta di avere
tra le mani un libretto simile: confrontando la struttura dell’adattamento
di Illica alle altre opere musicate da Franchetti stesso, ci si accorge
come le divergenze tra i due non potessero che risultare incolmabili.
In ogni caso, alla fine fu proprio lo stesso Franchetti ad abbandonare il
progetto, facendo sì che l’onere di musicare Tosca tornasse proprio
nelle mani di Puccini.
Una volta che l’accordo per la cessione del lavoro nelle mani di
Giacomo Puccini fu raggiunto, ad Illica venne affiancato ufficialmente
Giacosa, così che questi correggesse e rendesse più poetica la stesura di
Illica, che era decisamente abile nel descrivere delle situazioni
drammatiche ma meno elegante nella scelta delle formule versuali più
adatte.
3
Secondo le fonti biografiche di prima mano, lo stesso Verdi era presente a
quell’incontro tra Sardou, Franchetti ed Illica, poiché si trovava a Parigi in
concomitanza con la prima di Otello all’Opéra. Il compositore bussetano pare che
abbia dichiarato il suo entusiasmo per il soggetto, fornendo suggerimenti su come
migliorare l’ottimo adattamento di Illica. Ciò che aveva infiammato l’animo di
Verdi era l’ampio monologo di addio alla vita e all’arte che il librettista aveva scritto
poco prima della fucilazione.
4
Cfr A. FRACCAROLI, La vita di Giacomo Puccini, Milano, Ricordi, 1925, pp 107-
108; G. MONALDI, Giacomo Puccini e la sua opera, Roma, Selecta, 1925, pp 41-43.
Secondo Fraccaroli Illica si assunse l’impegno di convincere ad abbandonare l’idea
di quell’opera, natuarlmanete senza dirgli che Puccini voleva riprenderla.
L’iniziativa gli riuscì più facile di quanto pensasse. Franchetti cominciava ad avere
dei dubbi sulla musicabilità di Tosca. Illica si adoperò a rafforzare questa idea di
abbandono e un bel giorno Franchetti rinunciò a Tosca definitivamente. Il giorno
dopo, Puccini firmava il contratto che lo impegnava a musicarla. In realtà la rinuncia
avvenne soprattutto per divergenze fra Illica e Franchetti, e fu ratificata nel maggio
del 1895.
4
Curiosamente, consultando il fac-simile della copia di lavoro del
libretto5, ci si rende conto come, nel processo di stesura del testo
teatrale, siano intervenuti non solo i due librettisti designati, ma anche
Puccini e lo stesso Giulio Ricordi.
Inoltre, non ultimo, anche Sardou avrebbe partecipato, tramite alcune
consulenze e, soprattutto, approvando o rigettando le modifiche o i tagli
alla sua fonte originale.
Il primo problema con il quale Illica si trovò a fare i conti era la
pressoché totale incompatibilità del testo originale alla versificazione e
alla messa in musica, tanto da dire che «il dramma originale si impone
troppo ed invade il libretto.»
La lamentela principale era la catena senza fine di scene a due che, nella
fonte di Sardou, si susseguono senza soluzione di continuità durante
l’arco del primo atto; da un punto di vista strettamente organizzativo,
soprattutto secondo quelli che erano stati i dettami dell’opera
romantica, risultava difficile pensare ad una sequenza di situazioni
drammatiche canonica. In più, nessuna delle scene menzionate si
adattava alla possibilità di un momento solistico, un’aria e vera e
propria, che avrebbe comportato la necessità di una sezione di versi
lirici.
Pertanto, il primo passa nel lavoro del librettista fu quello di asciugare
la vicenda da tutti i riferimenti storici, tutte le varie digressioni, tutto il
didascalismo, ossia ripensando alla base l’intero dramma.
In questo senso, il primo grande cambiamento fu quello di ridurre
drasticamente il numero dei personaggi coinvolti nella vicenda,
ripensando e caratterizzando nuovamente sia le singole psicologie, sia
i rapporti che si creano tra gli stessi personaggi; così, delle varie figure
secondarie che popolano il primo atto, l’unico superstite è il Sagrestano,
che viene privato del suo nome, diventando semplicemente il
5
G. BIAGI RAVENNI (A cura di), Copia di lavoro del libretto di Tosca, CENTRO STUDI
GIACOMO PUCCINI, TESTI E DOCUMENTI, Firenze, Leo S. Olschki, 2009
5
Sagrestano, quasi venendo degradato ad una sorta di maschera, di
carattere comico, simile alla vecchia commedia dell’arte.
Inoltre, come già accennato in precedenza, il libretto ha come peculiare
caratteristica quella di essere scritte interamente in versi sciolti; nella
concezione ottocentesca dell’opera, della quale Tosca è comunque
figlia, queste sezioni erano destinate alla cìnesi, all’azione e allo
sviluppo drammatico.
Non è un caso, infatti, che Tosca sia principalmente un’opera d’azione,
incalzante e continua, all’interno della quale l’amore, il contenuto quasi
esclusivo delle sezioni statiche in versi lirici, ossia le arie, è una
manifestazione fugace ed effimera, destinata ad un epilogo tragico.
6
J. BUDDEN, Puccini, Roma, Carocci 2008, p 216
7
Le ragioni di questo cambio di ambientazione non sono ben chiare, né sono chiaramente esplicitate
in alcuno dei carteggi tra Puccini e Sardou, o nella corrispondenza con Illica e Giacosa, o l’editore
Ricordi. Volendo azzardare un’ipotesi, probabilmente la scelta del cambio è dovuta alla volontà di
evitare che un’azione come quella che viene descritta nell’opera di Puccini fosse ambientata
all’interno di una chiesa gesuita, o forse per mantenere una sorta di unità di tempo e di spazio: infatti,
i tre luoghi ove l’azione si svolge sono circoscritti in un’area piuttosto vicina, e gli spostamenti
dall’uno all’altro, soprattutto per quel che riguarda Palazzo Farnese e Castel Sant’Angelo,
forniscono una sorta di ulteriore verosimiglianza alle azioni descritte.
6
Appare evidente come, fin dalle prime frasi del libretto, messe in risalto
da una composizione musicale che è sempre al servizio dell’azione, più
che la storia, è la dinamica di potere, completamente diversa da quella
di Sardou, a occupare il cardine centrale dell’intera narrazione.
Tosca è un’opera che parla del Potere e dei meccanismi che da esso
sono originati e che lo presuppongono, che è un vero e proprio
personaggio, un sostrato musicale e d’azione che contribuisce a
sviluppare suspence e a funestare la storia d’amore tra i due
protagonisti.8
Il Sagrestano è il secondo personaggio ad entrare in scena: non è
caratterizzato psicologicamente, né dalla stesura librettistica, né dalla
musica, che è un semplice motivo, estremamente tonale ed orecchiabile,
semplice, quasi ovvio, che lo accompagnerà per tutto il resto dell’atto.
Al suono della campana dell’Angelus9, il Sagrestano si inginocchia: è
così che lo trova Mario Cavaradossi, quando entra in chiesa, per
continuare il dipinto che ha iniziato già da tempo.
Il suo arioso, scritto in versi sciolti, di fatto sembra richiamare alle
vecchie forme chiuse dell’aria ottocentesca ma, grazie anche ai continui
borbottii del Sagrestano, che strizzano l’occhio ai vecchi pertichini
delle arie di sortita, si configura di fatto come un vero pezzio d’azione,
con conseguenti modifiche alla normale struttura ternaria.
Recondita armonia
di bellezze diverse!... È bruna Floria,
l’ardente amante mia,
e te, nobile fior, cinge la gloria
dell’ampie chiome bionde
Tu azzurro hai l’occhio e Tosca ha l’occhio nero!
8
L’amore, nella produzione Pucciniana, spesso viene rappresentato come effimera circostanza
mortale, che conduce ad un esito infausto e catastrofico, il più delle volte: è osservabile in Manon
Lescaut, dove i temi musicali sembrano perseguitare inesorabilmente i due protagonisti, in Bohème,
nella quale Mimì è malata già prima di entrare in scena, e anche nella futura Madama Butterfly,
dove l’asimmetria culturale diventa un vero e proprio abisso incolmabile, che porta la giovane geisha
al suicidio.
9
Queste quattordici battute di fa ripetuti sopra armonie sempre diverse, in una sorta di corda di recita
che verrà anche replicata dai due personaggi in scena, sembra ricordare la veglia di mezzanotte del
Falstaff di Verdi.
7
L’arte nel suo mistero
Le diverse bellezze insiem confonde:
ma nel ritrar costei
il mio solo pensier, Tosca tu sei!10
Come si evince dal fac-simile del primo libretto pubblicato, prima della
prima rappresentazione, il testo è in settenari ed endecasillabi sciolti;
non ci sono lasse isometriche, il testo non è rientrato, segno evidente
della volontà dei librettisti di mantenere una sorta di continuità
nell’azione scenica, che fa di questa riflessione un cardine, più che un
approfondimento psicologico o un mero abbandono sentimentale, come
era stato nelle romanze o nelle arie del melodramma romantico.
La centralità che qui assume il suo sentimento d’amore che lo lega a
Tosca, espresso in una forma che, in pochi versi, mette in relazione
reciproca l’amore sacro e l’amor profano (le diverse bellezze), è
fondamentale anche ai fini dell’azione successiva, visto che la stasi
nella trama viene rotta a causa della gelosia di Floria, che fa precipitare
l’intera vicenda inesorabilmente verso l’epilogo tragico.
Il Sacrestano si prepara a uscire, non senza aver gettato uno sguardo
avido verso il cesto che contiene il pranzo per Cavaradossi, fedele al
vizio che lo accomuna all’Eusebio di Sardou; è a questo punto che si
inserisce l’incontro con Angelotti, completamente asciugato da un
punto di vista librettistico, rispetto alla sua controparte originale.
Niente digressioni, niente racconti sulla sua relazione con Lady
Hamilton, nessun chiarimento circa la relazione tra Mario e Floria, ma
solo poche frasi, su un’orchestrazione incalzante, che riprende il tema
iniziale, interrotte dalla voce fuori scena di Tosca, che chiama a gran
voce il suo amante.
Finalmente la protagonista viene fatta entrare, e lo fa «con una specie
di violenza, allontanando bruscamente Mario che vuole abbracciarla e
guardando sospettosa intorno a sé», come si legge dal libretto; il
10
V. SARDOU, L. ILLICA, G. GIACOSA, Tosca, Roma, Ricordi, 1899 (Roma – Teatro Costanzi,
stagione 1899-1900, Fac-Simile)
8
carattere della primadonna viene delineato già dalle prime battute,
ponendo l’accento su quello che costituisce il suo tallone d’Achille, il
punto debole che fa precipitare tutta la vicenda ad un epilogo
catastrofico.
11
J. BUDDEN, Puccini, Roma, Carocci 2008, p 220
12
Puccini è particolarmente abile nel rappresentare le sottigliezze psicologiche dei personaggi; la
musica esprime spesso i sentimenti e i pensieri dei personaggi, anche al di fuori da ciò che essi
esprimono nel libretto tramite i versi.
9
da ciò che Tosca ha appena pronunciato13, potrebbe essere individuata
nella volontà di far esprimere la primadonna con un linguaggio che, in
una prospettiva meta-teatrale, ella conosce bene.
Si rivolge a lui, evocando un’immagine arcade e bucolica della loro
casetta, immersa nel verde, nido della loro corrispondenza d’amorosi
sensi: il messaggio è chiaro ed è l’eros il sentimento prevalente, che fa
impennare la vocalità iniziale, leggera e frivola, verso una assai più
ampia, distesa e passionale, che culmina con l’esclamazione di Mario,
a mo’ di suggello della loro intesa amorosa.
Il raccordo che segue mette in luce, ancora di più, la gelosia della donna
e la sua scarsa attitudine alla razionalità, soprattutto quando è turbata:
Tosca non riesce a concepire che Mario possa dipingere un’altra donna,
che possa trarre ispirazione da un’altra figura che non sia lei,
dimostrando quanto lei esiga di essere il centro totale del suo mondo.
Anche in questo caso, sono sufficienti poche frasi, che Puccini
abilmente accompagna con la melodia del tema di Angelotti, a
dimostrazione della buona fede di Mario e dell’irragionevolezza della
scenata che la donna ha appena terminato.
13
Le parole che Tosca rivolge a Mario sono le stesse parole che un’attrice dice a un collega per
rimproverarlo di un’interpretazione scadente; la Tosca di Puccini, diversamente dal passaggio del
dramma, è una donna di teatro con grande esperienza. Cfr. J. BUDDEN, Puccini, Roma, Carocci
2008.
10
protagonista rimane puramente monocorde: non ci meraviglia
che Sardou stesso sia arrivato a preferirla.14
14
Ivi p.222
11
schiera eccitata di chierici, accoliti e coristi; sommo giubilo, egli è
portatore di una buona notizia, ossia della presunta sconfitta di
Napoleone a Marengo.
Il giubilo raggiunge il suo apice tra scoppi di risa e di grida, ma viene
improvvisamente represso dall’ingresso di Scarpia, che finalmente
risponde alla sua chiamata in scena, che viene ribadita a più riprese fin
dai primi accordi dell’opera.
Il colpo di scena è costruito secondo un modello che, nei momenti di
maggiore importanza nel corso dell’opera, si ripeterà in maniera
analoga, ossia viene collocato all’apice del climax che inizia a
sobbollire già da prima.
15
Ivi p.225
12
Il duetto Tosca-Scarpia che segue è un chiaro e classico esempio di un
duetto di seduzione, da non intendersi solo nell’ottica di una relazione
amorosa, bensì come un rapporto di potere.
Quando ritorna in chiesa, la primadonna è angosciata, insicura e tesa, e
ha bisogno di un conforto ulteriore: è lì che va a colpire Scarpia,
insinuando in maniera sottile il dubbio nella donna.
Mentre da un punto di vista librettistico, il dialogo è imperniato sui versi
fratti, ossia su una conversazione distribuita tra due interlocutori, con i
tempi di attesa tra una frase e l’altra che sono molto ravvicinati, da un
punto di vista musicale, Tosca canta delle frasi musicali che vengono
cantate e agganciate da Scarpia, che, facendosene garante, se ne
appropria, per ottenere un proprio obiettivo.
Da un punto di vista pratico, è Scarpia inizialmente ad adattarsi a
termini del dialogo, iniziando le sue frasi musicali con la stessa nota che
chiude la precedente, cantata da Tosca; questo continua per un po’,
finché non è il più forte a diventare il conduttore della melodia, a riprova
del successo della strategia seduttiva.
E questo è precisamente ciò che avviene: comincia con le lusinghe, poi
passa all’argomento delle donne sfrontate che vengono in chiesa e volge
esplicitamente lo sguardo verso il ritratto della Maddalena, suscitando
una reazione quasi violenta, per poi continuare con il suo infido
ostinato.
Ha suscitato l’effetto sperato: è bastato un ventaglio per far crollare la
donna, che, affranta se ne va.
13
saldamente diatonico, liscio per andato e profilo. Per tutto il
tempo Scarpia prefigura con cupidigia la prospettiva di una
duplice vittoria, la cattura di Angelotti e il possesso di Tosca. Il
movimento raggiunge il suo climax con la frase dell’inno «Te
æternum Patrem omnis terra veneratur» cantata all’unisono che,
finendo sul si bemolle, permette a Scarpia di togliersi la maschera
con il suo motivo tutta forza nella tonalità originale.
Estesa su novantaquattro battute lente, rafforzata da organo,
campane e periodici colpi di cannone, questa è assolutamente la
più efficace oscillazione armonica creata da Puccini, e non
troverà uguali fino al finale del primo atto di Turandot.16
16
Ivi p.226
17
Il susseguirsi di due monologhi dello stesso personaggio, intervallati dalla chiusura d’atto,
crearono non poche perplessità ed obiezioni tra Illica, Giacosa e lo stesso Ricordi. Tuttavia, questa
apparente errore rispetto alle convenienze teatrali di fatto crea una sorta di continuità tra atti, che
Puccini metterà ancora di più in evidenza con l’utilizzo di una stessa formula di accordi,
identificata con il tema di Scarpia.
14
le relazioni amorose, considerandole solo come miseria, e mettendo in
chiaro quale sia la sua inclinazione.
Non ama, bensì brama, insegue, caccia e, dopo aver agguantato la preda
ed essersene cibato, la getta via, pronto ad inseguirne un’altra.18
18
La figura di Scarpia è, per molti versi, molto simile a Don Giovanni: entrambe sono alla ricerca
della varietà umana. Non importa chi siano le persone cui si rivolgono, l’importante è che siano
sempre diverse.
19
Ivi p.227
15
disegno ternario, in una struttura tonale di la minore, do maggiore ed
infine la minore, in uno stile falso rinascimento con qualche punto di
imitazione, è il suo inserimento a destare sgomento e a rievocare
l’atmosfera del finale d’atto precedente.
Proprio come era accaduto per il Te Deum, Puccini accosta due
situazioni, una di natura religiosa e l’altra di natura quasi violenta;
questa volta però, anziché confonderle insieme, le separa, da un punto
di vista spaziale, e le mette in relazione reciproca da un impianto
bitonale. Così, interrogatorio e invocazione procedono di pari passo, in
un analogo crescendo, culminando in un’acme comune; la sonorità è
così invadente, che è lo stesso Scarpia a ordinare che la finestra venga
chiusa, per incalzare ulteriormente l’interrogatorio di Mario.
Simbolicamente è decisamente suggestiva la descrizione che viene
fornita dell’intera situazione drammatica: su uno sfondo di religiosità,
devozione e fede, prende forza la rappresentazione del potere, come
esercizio esclusivo della violenza e, al centro tra le due, si colloca la
figura di Scarpia.
La lunga scena a due che segue è di fatto il cardine su cui l’intero atto
secondo si fonda: al suo interno, i personaggi secondari sembrano
gravitare, come satelliti in moto, attorno allo scontro tra Tosca e
Scarpia, con il Barone che sapientemente utilizza le armi della
persuasione e della violenza psicologica per raggiungere il suo scopo.
Il dialogo mette subito in luce il divario tra la condizione psicologica
dei due personaggi: il poliziotto è serafico e conciliante e si esprime in
modo tranquillo, mite, quasi cantilenante, espresso da un tempo in 6/8,
che rievoca il primo incontro tra i due in Chiesa.
Tosca, dal canto suo, è evidentemente sgomenta e terrorizzata, per
quanto cerchi di celare come possa il suo turbamento; il libretto riporta
come didascalie, alle battute della donna, «siede con calma studiate» o
«con simulata indifferenza».
Questa calma apparente dura assai poco, perché è lo stesso Scarpia a
rivelare alla donna ciò che sta accadendo dentro la stanza.
16
Da qui in avanti c’è una tortura doppia, per il pittore, le cui sofferenze
si odono nell’accompagnamento orchestrali, e per Tosca, la cui linea
melodica è costellata di salti terrificanti, che cercano proprio una
mimesi con il linguaggio parlato.
20
R. ALONGE - Puccini: la stanza della tortura e/è la stanza dello stupro, in Scene Perturbanti e
rimosse. Interno ed esterno della rappresentazione teatrale, Roma, La Nuova Italia Scientifica 1996
p. 111
17
Osservare la donna prostrata ai suoi piedi o udire le grida di dolore di
Mario rendono Scarpia compiaciuto, anche da un punto di vista fisico.
21
Ivi pp. 112-113
18
ritratto del sadismo dell’ufficiale di polizia si arricchisce di quelle
nuances che afferiscono alla sfera della violenza e dell’eros.
È la duplice tortura infatti ad eccitare Scarpia: una, ai danni di Tosca,
l’altra, ai danni di Mario, sono accomunate entrambe da un disegno
scenico e prossemico decisamente efficace, che sembra ruotare intorno
alla figura del canapé, il divano presente nella stanza.
È infatti lì che viene fatta accomodare la donna, dopo essere entrata, ed
è sempre lì sopra che Mario viene deposto dopo essere svenuto.
22
Ivi p.118
23
L’irrazionale era già entrato nella drammaturgia operistica ottocentesca. Nel romanticismo, le
scene di follia delle eroine, soprattutto quelle donizettiane, suscitavano un grande interesse nel
pubblico coevo. Tuttavia, il momento in cui questa prendeva il sopravvento rendeva il tutto
fortemente esteriorizzato, vale a dire che non c’era la possibilità di ritorno da uno stato di follia.
Lucia, eponima dell’opera Lucia di Lammermoor, fa intuire la possibilità di essere già non del tutto
equilibrata fin dal suo ingresso nell’opera, tuttavia nel momento in cui la follia prende il
sopravvento, non ha alcuna possibilità di ritorno alla realtà, con una conseguente irreversibile
alterazione dei sensi.
Molto spesso la follia prelude al finale tragico: le eroine impazziscono negli attimi di poco
precedenti alla propria morte o a causa di essa sono spinte sull’orlo del baratro.
In realtà, ciò che difetta considerevolmente e che qui è invece puntualmente sondato ed indagato è
proprio l’inconscio, inteso in maniera freudiana, ossia quella zona in ombra della propria psiche,
19
La tattica della tortura psicologica è così efficace che la donna confessa
immediatamente il nascondiglio del fuggitivo. Mario è portato dentro
la stanza, privo di sensi, madido di sudore e coperto da macchie di
sangue; Puccini fa risuonare il tema del pozzo e subito dopo, mentre la
donna tenta di far rinvenire il suo amato, una piccola oasi di sollievo,
decisamente effimera, viene rappresentata dall’ingresso di uno dei temi
che erano stati proposti durante il duetto d’amore (Qual occhio al
mondo…), prima che l’uomo apprenda del tradimento della donna
amata ed abbia uno scoppio di ira, maledicendola per aver confessato
tutto.
che Puccini sottolinea puntualmente tramite l’utilizzo sapientissimo della tecnica motivica e della
condotta tematica, che a volte erompe e spinge i protagonisti ad azioni irrazionali, senza
comprometterne permanentemente la tenuta psichica.
24
J. BUDDEN, Puccini, Roma, Carocci 2008, p. 232
20
peggio deve ancora arrivare: un terzetto alla maniera di un
vecchio concertato, in cui Tosca implora pietà, Cavaradossi
esulta e Scarpia minaccia. Qui la melodia è effettivamente nuova,
ma non è di Puccini. Ancora una volta l’ha presa da un lavoro del
fratello Michele, e il risultato è evidente: una toppa di ovvietà
tecnica in una partitura che è invece molto personale, che non
convince neppure da un punto di vista psicologico. Cavaradossi
non è uomo da dimenticare l’amico tradito in un accesso di
entusiasmo per la causa che lui rappresenta. Le opere di Puccini
sono basate sulle relazioni reciproche tra gli individui, inoltre
l’idealismo può essere stato terreno per Verdi, non lo era
certamente per lui.25
25
Ivi p.233
21
La melodia ribadisce ostinatamente la voluttuosa discesa degli accordi,
un’effusione climatica ascendente, che si scontra però con la repulsione
della donna, ribadita dal tema della sofferenza.
Lo scontro tra i due viene interrotto da un suono di tamburi militari in
lontananza, proprio come era avvenuto durante la cantata in cui,
raggiunto l’acme, lo strepitìo crescente viene interrotto bruscamente da
un fattore esterno, come le finestre che si chiudono o il tamburo che
annuncia la marcia al supplizio per l’imminente esecuzione di
Cavaradossi.
A questo punto si collega la sezione del celebre arioso della
protagonista Vissi d’arte.
Innanzitutto, questa parte venne aggiunta solo in seguito da Puccini che
non gradiva il suo inserimento in questo momento, perché il momento
musicale sembra fermare l’azione in modo irreale.
La sezione è interamente costruita in versi sciolti, come è osservabile
dalla stesura del primo libretto; da un punto di vista musicale, la poca
simpatia di Puccini per questa scelta è ravvisabile dal fatto che, come
era accaduto per il terzetto precedente, non introduce alcun materiale
tematico o melodico nuovo, ma si limita a riprodurre interamente, quasi
a mo’ di reminiscenza, citazioni di altri momenti uditi in precedenza.
La discesa su triadi in rivolto di fatto rimanda all’ostinato del cantabile
di Scarpia, con la tonalità che viene confermata, solo nel modo minore,
e viene seguita dalla riproposizione integrale del pizzicato di ingresso
di Tosca; seppur non pienamente convinto dell’utilità di questa sezione,
nei fatti Vissi d’arte costituisce un momento più che plausibile
nell’economia dell’opera, spezzando un crescendo che sarebbe stato
difficilmente gestibile sia musicalmente che interpretativamente, e
fornendo uno scorcio di approfondimento psicologico che confermi il
carattere della donna fin qui rappresentato.
22
mentre il tempo si ferma, tutto il suo passato: una vita dedicata
all’arte, all’amore e alla pratica religiosa.26
26
Ibidem
23
l’anfibologia è dunque richiesta dalla contemporaneità che è
destinata a vincere la diffidenza di Tosca.27
27
G. PADUANO, La scenica scienza di Tosca in Il giro di Vite, La Nuova Italia, Scandicci 1992 pp
213-214
28
J. BUDDEN, Puccini, Roma, Carocci 2008. p.235
24
L’orchestra esplode in un fortissimo, connotato da sonorità graffianti e
sforzate degli ottoni e dei legni, in un procedimento che diventerà tipico
del cinema futuro.
Durante la pantomima che segue, identica a quella del dramma,
predomina il tema della lama, con colori più attenuati.
Tosca si pulisce le mandi dal sangue, prende il salvacondotto dalle dita
serrate del morto ed esclama il suo famosissimo verso conclusivo “E
avanti a lui tremava tutta Roma!”.
La sua formazione religiosa però prende il sopravvento e la pietà
cattolica ed il senso di colpa per il peccato mortale che ha appena
commesso fanno sì che la donna torni vicino al cadavere e disponga un
crocifisso e delle candele.29
La melodia trionfale che apre l’ultimo atto è ciò che rimane del
cosiddetto inno latino, che tanto aveva entusiasmato lo stesso Verdi, al
punto tale di fargli prendere in considerazione la possibilità di musicare
il soggetto.
Quello che segue è un quadro musicale dell’alba sulla campagna
romana; per molti versi, c’è una certa parentela con l’apertura del terzo
atto della Bohème, la cosiddetta Barriera d’Enfer, dimostrando e
confermando ancora una volta la grande abilità del compositore di
connotare in maniera precisa, tramite la pittura sonora, delle
ambientazioni ben delineate.
Il canto del pastorello non era presente nella prima edizione del libretto;
è un’invenzione vera e propria, esattamente come per il lampionaio di
Manon Lescaut, e non ha altra funzione se non quella di descrivere ed
evocare un ambiente che funga da contraltare a ciò che sta per accadere,
preannunciato dalla comparsa del tema di Scarpia, in maniera
sporadica, nascosto tra gli scampanellii delle pecore al pascolo.
29
Pare che sia stato lo stesso Puccini a insistere affinché fosse inserita nell’opera, avendo visto la
Bernhardt interpretare questa scena ed essendone rimasto particolarmente colpito.
25
Nel frattempo sul palcoscenico ha luogo una pantomima che attira
l’attenzione, con il carceriere che fa i preparativi per ricevere l’ultimo
prigioniero. Quando alla fine arriva Cavaradossi scortato da un
picchetto, il commento musicale è un’esposizione dell’aria più celebre
dell’opera, «E lucevan le stelle». Un’anticipazione completa così vicina
all’aria vera e propria è insolita per Puccini e sicuramente deve avere
uno scopo drammatico. Dalla sua prima apparizione sulla piattaforma,
Cavaradossi è sotto l’ala della morte – una condizione che per Puccini
non prefigura gloria postuma, ma solo oscurità e annullamento.
30
Nel dramma di Sardou, l’ateo e volterriano Cavaradossi viene delineato calmo, impavido, a
sangue freddo: egli dorme prima della sua fucilazione, e quando Spoletta lo sveglia, annunciando
un visitatore, pensa dapprima a un sacerdote, il cui conforto spiritale rifiuta sgarbatamente.
26
Il tema centrale dell’opera è la dimostrazione della fragilità e
della finitezza dei sentimenti. La loro intensità viene solo
evocata, per essere subito svelata come precaria e illusoria, vuoi
come espressione dell’inconscio sulla base dell’esperienza di
impulsi istintivi ambivalenti, vuoi nel confronto con la morte
intesa come condizione definitiva. 31
31
S. DÖHRING, Il realismo musicale nella «Tosca», in Tosca, a cura di V. BERNARDONI,
Bologna, Il Mulino, 1996 p. 77
27
tentato stupro, l’idea dell’omicidio ed il compimento dell’atto sono
espressi in un racconto climax che culmina con un arpeggio su due
ottave.
Il Mario di Puccini reagisce, a differenza da quello di Sardou, in modo
più profondo e sentimentale, in linea con ciò che, durante tutta l’opera
è stato delineato; le bacia le mani, la conforta, le dice esattamente ciò
che la donna ha bisogno di sentirsi ripetere.
Tramite la contrapposizione dell’arioso, in cui predomina uno scavo
interiore, con una forte accentuazione emotiva, al grande duetto che
segue, in cui invece è l’esteriorità a tirare le fila del discorso musicale,
gli autori (perché questo effetto viene ottenuto sia tramite la stesura del
libretto, sia tramite la conduzione musicale) sviluppano una sorta di
tensione verso il finale tragico: lo spettatore avverte fin dal principio
l’esito infausto che viene preparato, ma la risoluzione di questa attesa
viene rimandata indefinitamente, finché non si arriva al preannunciato
colpo di scena, che però è tale solo per i personaggi, perché per il
pubblico era ben chiaro come la vicenda si sarebbe svolta.
Mario viene così coinvolto nell’illusione di Tosa, sebbene egli stesso
non voglia interromperla più per tutela nei confronti dell’amata, che non
perché sia genuinamente convinto di riuscire a salvarsi.
Il duetto infatti sconfessa già dal principio questa possibilità, così che il
dislivello tra la rappresentazione della speranza di Tosca e la
drammaturgia musicale produce un vortice di tensione che genera
suspence, a causa dell’immediatezza dell’immedesimazione.32
Il ruolo della musica, in questo senso, non è solo a supporto della
concezione drammaturgica, ma funge da completamento, spesso
andando a descrivere situazioni che contraddicono apertamente ciò che
il testo esprime.
32
Tutto ciò è reso possibile dalla contrazione di due avvenimenti separati nel dramma di Sardou in
un unico quadro. Inoltre, la fucilazione è rappresentata in scena, sotto gli occhi dello spettatore e
del personaggio di tosca, così che il pubblico sia quasi obbligato all’identificazione con l’eroina,
poiché, seppur virtualmente, condividono lo stesso ruolo.
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Non è possibile un’analisi corretta della scena se non si determina
in che misura l’onniscienza violenta e immortale di Scarpia entra
a far parte del quadro tematico. In altre parole: ciò che è sorpresa,
con radicale carattere di novità, per Tosca, lo è altrettanto per lo
spettatore?
Nei riguardi del lieto fine atteso c’è sempre una sospensione, una
diffidenza, un allarme che certamente si comunica attraverso
l’eloquenza motivica del linguaggio musicale, ma ha solide
fondamenta nella gestione del libretto. In esso, i rapporti tra
finzione di secondo e finzione di terzo grado sono organizzati da
un uso scaltrito e singolare dell’ironia tragica.33
33
G. PADUANO, La scenica scienza di Tosca in Il giro di Vite, La Nuova Italia, Scandicci 1992 pp
213
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«Ma Iddio Santo e Buonissimo!... cos’è il vero centro luminoso di quest’atto?... Il duetto Tosca-
Cavaradissi. Cosa ho trovato?... un duetto frammentario, a piccole linee che impiccioliscono i
personaggi; ho trovato uno de’ più bei squarci di poesia lirica, quello delle mani, sottolineato
semplicemente da una melodi, pure frammentaria e modesta, e per colmo, un pezzo talis et qualis
dell’Edgar!!... Stupendo se per la sua essenza vien cantato da una contadina tirolese!!... ma fuori
di posto in bocca ad una Tosca, ad un Cavaradossi. Infine, ciò che doveva essere una specie
d’Inno, latino o no, ma inno d’amore, ridotto a poche battute! Così, il cuore del pezzo è formato
con tre squarci, che si susseguono, ma interrotti, e quindi privi di efficacia!! Ma davvero, dov’è
quel Puccini dalla nobile, calda, vigorosa ispirazione?... Ma che?... la fantasia di lui, in un
momento fra i più terribili del dramma, ha dovuto ricorrere ad un’altra opera?... Che si dirà di
questo mezo d’escire da una difficile posizione?...» Lettera Ricordi a Puccini 10 ottobre 1899.
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soprattutto circa la scelta di Puccini di utilizzare un precedente
frammento melodico già impiegato nell’Edgar, riveduto e ampliato.
La melodia del tenore è distesa, quella del soprano è molto più
rapsodica, con salti verso l’acuto e uno sviluppo della linea decisamente
frammentato e spezzettato.
Il messaggio è ben chiaro: tra i due protagonisti, è Tosca quella che sta
tentando di convincersi di più, avvertendo il fondo della paura alla base
dei suoi pensieri, mentre il suo amante è ben più rassegnato, oramai,
verso la fine che lo attende.
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Ritorna ancora una volta il breve raccordo che aveva introdotto la
sezione del sonetto, che questa volta però funge da chiosa finale, prima
della marcia; questa di due elementi motivici contrastanti, uno di natura
cerimoniale e l’altro di natura emotiva.
La fisionomia è quella di una marcia distorta in modo grottesco, con tre
sezioni, che scandiscono l’ingresso del plotone, l’esecuzione e l’uscita,
differenziate da sonorità orchestrali ben recise: l’unione di tutto ciò crea
una sorta di danza cerimoniale, che sorregge l’avvenimento centrale
come una sorta di rituale.
Il punto culminante di questa dialettica tra apparenza e realtà è il
momento in cui l’ironia tragica viene prepotentemente a galla, con
Tosca che esclama “Ecco un artista!”
Per il finale, inizialmente, si pensava ad uno sviluppo nella tradizione
del primo Ottocento, con la possibilità di introdurre una scena di follia,
soluzione che sembrò piacere moltissimo anche a Sardou stesso;
Puccini invece optò per un finale breve, rapido, così da prolungare
quello stato di choc che deriva dalla risoluzione della tensione di
suspence; la musica funge da sfondo sonoro e da propulsore, con un
crescendo orchestrale che rappresenta l’avvicinarsi della folla a Tosca.
Le didascalie prescrivono che Tosca riesca a sfuggire ai suoi persecutori
per un attimo e, vedendo il parapetto, decida di saltare giù solo come
ultima via d’uscita.
In punto di morte, è Scarpia che Tosca invoca, prima che parta la ripresa
a piena orchestra del lamento di Cavaradossi: nonostante le critiche
mosse da una certa fetta degli studiosi Pucciniani, è perfettamente
plausibile che sia proprio questa la scelta di Puccini per sottolineare
ancora di più, tramite il suo tema riassuntivo, il binomio inscindibile tra
amore e morte, tema cardine dell’opera. È la disperazione totale di
fronte ad una morte senza trasfigurazione.
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approfondimento che si trovano in Manon Lescaut e nella
Bohème. Il termine caleidoscopico è particolarmente adatto al
denso insieme di motivi. Allo stesso tempo, eventi sensazionali
richiedono più che un’usuale presenza di musica “di effetti”:
tratti isolati di brutalità, strappi tonali, cascate orchestrali sopra
armonie dissonanti che a volte forzano la coerenza musicale e
nello stesso tempo non consentono mai che la tensione si allenti.
Eppure entro un andamento inesorabile trovano posto alcune più
deliziose ispirazioni liriche di Puccini: «Recondita armonia»,
«Vissi d’arte», «E lucevan le stelle», ognuna perfettamente
coerente con il personaggio e con la situazione.35
35
J. BUDDEN, Puccini, Roma, Carocci 2008. p.240
32
La parte di Mario Cavaradossi era invece affidata a Emilio De Marchi,
nonostante in un primo momento pare che fosse lo stesso Caruso ad
aver domandato di poter essere lui, ma, su insistenza di Ricordì, Puccini
preferì affidarsi ad un tenore più esperto e affidabile.
La voce di De Marchi è sopravvissuta in un frammento di registrazione
audio in una delle recite di Tosca, nel 1903 al Metropolitan; la vocalità
si prestava bene ad un repertorio del belcanto romantico, che
comprendeva i ruoli di Alfredo, Edgardo, Duca di Mantova, Enzo (La
Gioconda) Riccardo (Un ballo in Maschera); scrivono di lui:
36
Gazzetta musicale di Milano, LV [1900], p. 135
37
In appendice al lavoro, saranno collocati tutti i bozzetti utilizzati, insieme alle foto di scena dei
primi interpreti e alle foto dell’allestimento del 2015.
33
Nel “Popolo Romano” Alessandro Parisotti fa un’analisi minuziosa
dell’opera, dove attraverso riconoscimenti considerevoli traspare una
certa delusa freddezza.
«Il fatto d’aver dinanzi una tela di così forti colori è senz’altro la
causa prima per la quale rimane arduo non lasciarsi prender la
mano dal dramma. Tosca è una lotta a ferri corti fra le situazioni
eminentemente passionali e i colori della tavolozza melodica.
Non sempre la vittoria rimane alla tavolozza.»
34
I critici, mentre rendevano omaggio all’originalità di Puccini,
avanzarono riserve sull’opera nel suo complesso. Soprattutto, proprio
come Giacosa, trovarono che il soggetto non fosse adatto ad essere
musicato.
Eppure, come spesso è accaduto durante la storia del Melodramma,
Tosca divenne rapidamente una delle opere più eseguite al mondo,
entrando a pieno titolo e fin da subito nel repertorio dei grandi teatri,
arrivando, oggi, a contendersi il primato di opera più rappresentata al
mondo, con la Traviata di Giuseppe Verdi; non è da considerarsi come
il capolavoro assoluto del compositore lucchese, ma è indubbio come,
fin dal principio, Tosca sia stata la meno soggetta a ripensamenti, tagli,
aggiunte o riformulazioni di intere scene, come è invece accaduto con
Madama Butterfly.
Nel dettaglio, gli unici tagli che furono operati includono:
35
alcun modo possibile affermare che questa versione sia quella più
autentica, suffragata dall’autorità del compositore o che il compositore
avrebbe preferito.38
Si può perciò affermare che, in linea di massima, la versione che
continuiamo a vedere a teatro nei nuovi allestimenti e nelle repliche di
quest’opera sia quella che il 14 Gennaio del 1900 andava in scena al
Teatro Costanzi, inaugurando un nuovo secolo, sia da un punto di vista
cronologico, sia per quel che riguarda un nuovo modo di pensare,
concepire, comporre e rappresentare l’opera lirica.
38
Cfr R. PARKER, “As a stranger give it welcome”: la prima Tosca, in P.d.s Teatro alla Scala,
Milano, stagione 2019-20
La Scala ha inaugurato la stagione 2019-20 proprio con Tosca, su una versione che portasse in
scena tutto ciò che Puccini stesso aveva tagliato, ma con un allestimento nuovo.
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