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Storia della Russia

Contemporanea
Da Alessandro II a Putin

I. Alessandro II e l’abolizione del servaggio

La vittoria di Pietro il Grande sugli svedesi nella Grande guerra del nord 1, conclusasi con il trattato di
Nystadt del 1721, segnò una svolta nella storia dell’Europa moderna: l’Impero dei Romanov si affermò
come potenza egemone nell’area del baltico.

Figura 1: Territori annessi post-1721 Figura 2: Ex aree svedesi poi russe

Inaspettato fu il colpo subito nella guerra di Crimea (1853-1855), quando un contenzioso aperto con
l’impero ottomano per la gestione (cattolica o ortodossa) di alcuni santuari in Terra Santa sfociò in una
guerra, nella quale la Russia fronteggiò una coalizione europea composta da Turchia 2, Inghilterra, Francia,
Piemonte, con l’appoggio diplomatico dell’Impero Asburgico. L’impero zarista fu sconfitto e costretto dal
trattato di Parigi (1856) a ridurre la propria presenza militare del Mar Nero, in Bessarabia (ovvero tra
l’odierna Romania e l’Ucraina) e delle isole di Aaland (nel golfo di Botnia, tra Finlandia e Svezia). Nel
frattempo Nicola I era morto (1855) e gli era succeduto Alessandro II. L’umiliazione subita nel confronto con
l’Occidente aveva posto con urgenza il problema dell’ammodernamento dell’Impero russo. La sconfitta fu
causata per forti mancanze materiali: armi, equipaggiamento, mezzi di trasporto e risorse economiche.
Dopo aver siglato la pace, il nuovo zar manifestò l’intenzione di abolire la servitù della gleba 3. Lo zar fece
ricorso per convincere i nobili, all’abolizione della servitù della gleba, all’argomento che sarebbe stato
meglio emancipare i servi «dall’alto», piuttosto che attendere la liberazione «dal basso». Il processo doveva
prevedere un punto di mediazione che salvaguardasse gli interessi della nobiltà. Un ruolo rivelante per la
preparazione di questa riforma fu quello dei burocrati illuminati, cancellieri a Pietroburgo, che introdussero
strumenti quantitativi (dati e notizie) per elaborare concrete ipotesi di riforma. Nel gennaio del 1858 fu
sospesa la censura, facendo così aumentare il numero di riviste e pubblicazioni, anche straniere. L’apertura
all’Occidente veniva manifestata anche dai permessi concessi per uscire dall’impero. Lo zar costituì all’inizio
del 1857 il Comitato segreto (poi Comitato centrale) per discutere della questione contadina, che aveva
prevalentemente un orientamento conservatore. Alla proposta di emancipare i contadini senza terra,
avanzata dalla nobiltà baltica, Alessandro II rispose con il Rescritto di Nazimov (che respinse di privare i
cittadini della terra, sempre mantenendo la proprietà privata da parte dei nobili). Dopo l’approvazione del

1
A seguito della medesima la Svezia dovette cedere all'Impero russo le province della Livonia, dell'Estonia, dell'Ingria
e della Carelia. Inoltre la Svezia lasciò alla Russia la città di Riga.
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Il nome Turchia viene usato, generalmente, con il movimento dei giovani turchi dell’inizio del XX secolo per il
rispristino della costituzione del 1876.
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In Russia la servitù della gleba cominciò ad affermarsi nel 1601, quando lo zar Boris Godunov limitò la libertà di
movimento dei contadini.

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consiglio di stato nel 19 febbraio del 1861, Alessandro II firmò il Manifesto di Emancipazione4. Le linee guida
dell’emancipazioni furono: i nobili, riconosciuti giuridicamente come proprietari, erano tenuti a garantire
agli ex-servi l’uso perpetuo della casa e una parte delle terre arabili in cambio di un indennizzo. Cioè i
contadini dovevano pagare per la loro libertà. Ovviamente, la nobiltà, essendo in posizione di superiorità,
impone le proprie condizioni per questa emancipazione. Questo significa che la nobiltà si accaparra le terre
più fertili e decide la quantità di indennizzo da pagare. Inoltre veniva negato, talvolta, ai contadini
l’accesso a fiumi e boschi. Si è calcolato che i contadini ottennero il 20% in meno delle terre
precedentemente coltivate, una percentuale che, nella zona fertile delle «terre nere 5», arrivò al 40%. Più
favorevoli furono le condizioni stabilite dallo Stato per l’emancipazione dei servi della famiglia imperiale
(1863) e soprattutto per i contadini di Stato (che lavorano le terre del demanio pubblico). Se i contadini, per
la loro emancipazione, non fossero stati in grado di pagare il loro indennizzo, quest’ultimo veniva anticipato
dallo Stato che pagavo il loro indennizzo, a favore della nobiltà, con i buoni del Tesoro. Il costo di questo
anticipo era un pagamento protratto per 49 anni ad un interesse del 6%. Furono le comunità di villaggio
(volost’), e non i singoli individui, a essere considerate responsabili per l’ammortamento dei debiti. L’istituto
della responsabilità collettiva impedì che i contadini più forti economicamente potessero trasformarsi in
proprietari terrieri indipendenti. Questa riforma per dimensioni e per impatto è notevole. Infatti furono più
di 50 milioni i servi divenuti liberi 6. Nonostante questa emancipazione il contadiname russo rimaneva privo
di molti diritti civili, come la libertà di trasferirsi, di comprare e vendere, etc., ed era soggetto a tribunali
separati (istituiti a livello di volost’), che amministravano la giustizia secondo il diritto consuetudinario.

II. Le altre riforme

Istruzione:
Nel 1863 mediante l’Ustav (Ustaf) ovvero il Regolamento che riconosceva al corpo docente l’autonomia di
gestire l’università, aumentava i finanziamenti, ribadiva il libero accesso agli studi universitari di tutti gli
strati sociali e incoraggiati gli studiosi che intendevano trascorrere periodi di formazione all’estero (questo
già permesso a partire dal 1858 con l’abolizione parziale della censura).

Amministrazione rurale:
Il primo gennaio 1864 fu varata la riforma dell’amministrazione rurale, resa urgente sia dalla necessità di
adeguare il funzionamento del governo locale alla nuova realtà post-servile (abolendo elementi della
giurisdizione signorile), sia dal bisogno di istituire un controllo sul territorio più capillare (qui fanno capolino
i metodi quantitativi della burocrazia illuminata degli anni Quaranta). Vennero introdotti in 33 (poi in 34)
province (erano escluse le regioni periferiche dell’impero) gli zemstva7 (ziemstva) distrettuali e provinciali.
Questi erano assemblee locali elette da tre curie: proprietari terrieri (nobili o contadini), comunità di
villaggio (volost’), popolazione urbana. Il legislatore introduceva così una novità negli ordinamenti russi:
organismi elettivi e collegiali, la cui prassi di autogoverno si contrapponeva alla burocrazia centralizzata,
organizzati secondo il principio di intercetualità. Nonostante questa novità, permanevano elementi di
continuità con il passato: la nobiltà proprietaria esercitava la propria egemonia anche su queste istituzioni.
Inoltre, per timore che gli zemstva potessero causare un decentramento del potere, la burocrazia centrale
fece in modo che questo tipo di governatorato locale venisse equiparato ad associazioni private, quindi
affiancavano e non sostituivano la burocrazia locale. Questa impostazione comportò a molti conflitti e
dualismi, quindi contraddizioni all’intero del Rossijskaja imperija8 (Rassiskaja impierie). Le competenze
attribuite agli zemstva erano circoscritte alla «polizia del benessere»: manutenzione di strade, prevenzione
di incendi, promozione delle attività economiche, consulenze tecniche e agronomiche, istruzione
elementare e sanità. In questi ultimi due campi i risultati furono notevoli se si tiene conto del budget
limitato e delle limitazioni che provenivano dalla burocrazia centrale (1867 gli fu impedito di imporre le
4
L’emancipazione è avvenuta circa 50 anni dopo rispetto al resto d’Europa.
5
Un černozëm (ciérnosiòm) sono presenti in Ucraina, in Russia meridionale e nella Siberia sud-occidentale (quindi al di
là dei monti urali al nord del Kazakistan).
6
Questi costituivano il 90% della popolazione.
7
In russo, maschile: Земство.
8
In russo: Российская империя.

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tasse per finanziarsi e nel 1879 al governatore provinciale furono attribuiti potere di supervisione, per
controllare la loro attività).
Giustizia:
La riorganizzazione del sistema giudiziario (1864) fu la più organica tra le riforme. Fino a questo momento
non esistevano giurie, avvocati e i giudici emettevano le loro sentenze a porte chiuse. Gli statuti di
novembre trasformarono il rapporto dei cittadini e dell’opinione pubblica con la legge, ponendo le basi per
l’affermazione dello Stato di diritto in Russia. Per i reati minori furono istituiti i giudici di pace, eletti dalle
assemblee distrettuali di zemstvo. I processi divennero pubblici, furono introdotti per i reati gravi le giurie,
si affermò la figura dell’avvocato e fu dato inizio allo sviluppo della professione forense.

Stampa:
I nuovi regolamenti temporanei sulla censura e sulla stampa furono promulgati nel 1865, ma non
mantennero le promesse del 1858 di abolizione totale di questa: essi eliminavano la censura preventiva, ma
rendevano l’editore penalmente responsabile per le proprie pubblicazioni.

Amministrazione urbana:
Con la riforma delle amministrazioni urbane (1870) si completa il rinnovamento dell’autogoverno locale.
Furono istituite Dume (consigli) municipali, elette tra tre classi di contribuenti: si occupavano dell’economia
e dell’assistenza sociale in città9.

Servizio militare:
Nel 1874 viene introdotto nell’impero zarista la coscrizione universale obbligatoria. Già nel 1856 Dmitrij
Milijutin (figlio del burocrate Nikolaij), nel sostenere il progetto di abolizione del servaggio, aveva
sottolineato che esso costituiva la premessa indispensabile per creare in Russia un esercito permanente. La
coscrizione fu estesa a tutti i maschi che avessero compiuto 20 anni (selezionati tramite sorteggio),
indipendentemente dell’estrazione sociale, la durata del servizio attivo fu ridotta da 26 a 5 anni e fu
introdotto l’obbligo di istruzione elementare per tutti i coscritti.

III. Intelligencija, populismo, movimento rivoluzionario

Intelligencija:
Il termine intelligencija entrò in uso durante gli anni sessanta dell’Ottocento per descrivere un gruppo
sociale dedito al lavoro intellettuale. Inizialmente gli intelligenty sono di estrazione nobiliare. Nei decenni
successivi alle riforme cresce la componente di estrazione più modesta, i raznočincy10 (rasnacinse) che
erano: figli di preti, piccoli funzionari e contadini. Questi vedevano nell’università e nell’editoria
opportunità di ascesa sociale. Nello sviluppo dell’intelligencija acquistano importanza le nuove opportunità
di lavoro offerte dagli zemstva (tecnici, agronomi, statistici, insegnanti che collettivamente venivano
designati come «terzo elemento»): sviluppo editoriale, crescita dell’università e sviluppo del sistema
scolastico. Ciò che accomuna tutti gli intelligenty è la centralità dell’esperienza formativa e studentesca.
L’intelligencija si pone come gruppo a se stante, distinto rispetto al sistema autocratico-burocratico. Proprio
tale condizione di sradicamento è la premessa del suo universalismo. Si tratta di un ruolo che svolge anche
in virtù di un obbligo morale: la dedizione verso il popolo che l’intelligencija sente di dover manifestare
nella propria attività scaturisce dal sentimento di avere un debito da saldare con coloro che si guadagnano
da vivere con le proprie mani, mettendo la cultura e la conoscenza senza le quali non può esservi progresso.

Populismo:
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Dal 1870 le municipalità della Russia europea hanno istituzioni come gli zemstvo. Tutti i possessori di immobili, i
mercanti, gli artigiani e i lavoratori sono iscritti a liste secondo il loro reddito. La valutazione totale è poi suddivisa in
tre parti uguali, che rappresentano tre gruppi di elettori molto diversi in numero, ognuno dei quali elegge un ugual
numero di delegati alla duma municipale.
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Dal russo разночинцы ovvero «persone di vario rango».

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Il populismo era l’orientamento ideale più diffuso tra studenti e intellettuali durante gli anni Sessanta e
Settanta dell’Ottocento. Figure come Herzen e Bakunin erano stati i padri spirituali. Si trattava di un
socialismo agrario che individuava nella comunità contadina (obščina11) l’espressione autentica della
tradizione popolare russa, e al tempo stesso il rigenerazione sociale secondo i principi di eguaglianza e
solidarietà. La loro critica andava ai costi umani connessi con l’affermazione del capitalismo nonché alla
messa in discussione della unilateralità del progresso. Tra gli scritti che hanno influenzato il populismo
classico vi sono quelli di Lavrov Lettere storiche (Lavrov) e Che cos’è i progresso (Michajlovskij), pubblicati
entrambi nel 1869.

Movimento rivoluzionario:
L’ideologia populista ispirò un movimento rivoluzionario che attraversò diverse fasi. Nel corso degli anni
Sessanta prevalse il terrorismo come innesco per una eventuale rivoluzione: si costituirono a Mosca e a S.
Pietroburgo12 due circoli di questa ascendenza (1868-1869). All’inizio degli anni Settanta, con il Gruppo
Čajkovskij (al quale apparteneva anche Natanson), si aprì una stagione nuova caratterizzata dall’adozione di
metodi gradualisti quali la propaganda e la diffusione di libri, l’istruzione e l’educazione del popolo. Verso il
1873 la crescente influenza dell’anarchismo rivoluzionario di Bakunin spinse esponenti del gruppo a
svolgere attività di agitazione tra i contadini. Nel 1874 intellettuali e studenti andarono verso le campagne,
nell’intento di mettere le proprie competenze al servizio dei contadini e di sollecitarli alla rivoluzione.
Nutrivano un’ingenua fede nello spontaneismo rivoluzionario contadino, ma dovettero fare i conti con una
realtà completamente diversa: i contadini rimasero indifferenti o ostili, in quest’ultimo caso denunciarono
alla polizia gli sconosciuti. Dopo il fallimento, da parte del gruppo, di effettuare una rivoluzione, seguirono
arresti e repressioni da parte della polizia. Nel frattempo nel 1876 era stata fondata una nuova
organizzazione : Zemlja i Volja13 (Ziemlia i volia) ovvero Terra e Libertà che iniziò un’attività di agitazione
promuovere un’insurrezione nelle campagne. Nel 1877 si svolsero i processi di massa «dei 50» e «dei 193».
Nel 1878, però, Zemlja i Volja organizzarono due attentati ai danni di alti funzionari dello Stato. Non tutti
erano d’accordo sul ricorso al terrore quindi il gruppo si divise in: Čërnyj peredel (Ciornai piridiel) ovvero
Ripartizione nera, che erano contro la violenza; e Narodnaja volja ovvero Volontà del popolo, che erano a
favore dell’uso della violenza per scopi rivoluzionari. Questi ultimi furono protagonisti dell’assolto
terroristico lanciato al potere autocratico nel 1879-1981 che si concluse con l’uccisione di Alessandro
secondo ad opera di Andrej Zeljabov e altri terroristi.

IV. Politica delle nazionalità e espansione territoriale

Alessandro secondo inaugurò una stagione di rinnovamento anche in Polonia che fino a quel momento era
stata sotto il controllo militare dell’impero zarista che nel 1830-1831, reprimendo la rivolta polacca, abolì la
costituzione del Regno di Polonia. Dopo aver posto fine (temporaneamente) al governo militare rispristinò
parzialmente l’autonomia della Polonia, ma ciò, però, non soddisfò le rivendicazioni nazionaliste polacche
che insorsero nel 1863. Con esecuzioni, lavori forzati e deportazioni Alessandro II riuscì a pacificare la
Polonia nel 1864. Seguì l’abolizione del servaggio, attuata, a differenza che nell’impero, a condizioni più
favorevoli per i contadini (in modo tale da limare l’egemonia territoriale della nobiltà polacca nonché
garantire allo stesso impero una superiorità data, appunto, dal loro declinare). Tale intento si manifesto
anche nell’istituzione di un’imposta fondiaria. Persino il nome fu bandito e sostituito dal nome «Regione
della Vistola». All’integrazione amministrativa si associò una politica di russificazione culturale, perseguita
anche da Alessandro III, che giunse a vietare il polacco nelle scuole medie e superiori (1879) e poi a
introdurre il russo nell’istruzione elementare (1885). Ciò che accadde in Polonia portò conseguenze anche
nelle regioni «nordoccidentale» (Lituania e Bielorussia) e «sudoccidentale» (Ucraina ad ovest del
11
oбщина è un termine utilizzato nell'età dell'Impero Russo per riferirsi alle terre coltivate in comune dai contadini,
come opposto alla proprietà rurale individuale (in russo хутор – chutor – si legge kutar).
12
Chiamata Pietrogrado dal 1914 al 1924, Leningrado dal 1924 al 1991. Oggi il nome è di nuovo, come prima del 1914,
S. Pietroburgo. Il suo nome informale contemporaneo è Piter.

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In russo Земля и Воля.

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Dnepr).Qui il governo zarista modificò gli statuti di emancipazione a favore dei contadini, vietò l’acquisto
della terra da parte ei polacchi e della Chiesa cattolica, proibì l’uso del polacco e perseguitò il cattolicesimo.
L’intento era contrastare l’egemonia polacca sulle popolazioni ucraine, lituane e bielorusse per promuovere
la propria egemonia. Il risveglio culturale di queste nazionalità fu considerato con sospetto. Infatti, nel
1863, il ministro dell’Interno decise di proibire la pubblicazione di libri in ucraino, lituano e bielorusso. In
seguito al manifestarsi del nascente nazionalismo ucraino, il bando della lingua ucraina fu ampliato e
rinforzato con la Circolare di Ems del 1876. L’integrazione forzata proseguì con Alessandro III (1881 – 1894)
che la estese anche a Lettonia e Estonia, e con Nicola II (1894 – 1917) che l’estese anche alla Finlandia. La
repressione in Polonia sollevò le proteste di francesi, inglesi e austriaci facendo così cessare i tentati di
alleanza tra Impero russo e Francia, sottolineando «l’isolamento geografico» della Russia già manifestato
nella Guerra di Crimea. Ciò rafforzò i rapporti tra Prussia e l’Impero e intensificò la spinta espansiva verso
sud e est. La conquista russa del Caucaso era cominciata già dall’inizio del XVIII secolo, che avvenne
definitivamente nel 1859 con la cattura dell’islamico Shamil. Nel corso, sempre, della prima metà
dell’Ottocento vengono conquistate le popolazioni, e quindi, le aree kazache che occupa le steppe a sud est
degli Urali. Nel 1864 partì l’offensiva russa verso le regioni dell’Asia centrale meridionale, dove si trovano
gli odierni Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan. Questa scelta era stata motivata
dell’intenzione di contrastare il great game dell’Inghilterra che dall’India cercava di penetrare in
Afghanistan, e anche dalla necessità di rifornire di cotone l’industria tessile. Tutto ciò fu conquistato in 10
anni. Più accanita fu la resistenza nell’ovest del Turkmenistan che, con l’assalto alla fortezza di Goek-tepe,
venne conquistato nel 1881. Alle soglie del XIX secolo i russi sbarcarono in Alaska, poi ceduto agli Stati
Uniti14 nel 1867. Interesse maggiore mostrano nei confronti del Bacino dell’Amur, nella siberia orientale
(che ha la Manciuria a ovest, i Monti Sihotealin a sud e i Monti di Bureja al nord) nel 1854.

Il forte indebolimento della Cina, dovuto alla Guerra dell’oppio contro Francia e Inghilterra e alla Rivolta dei
Taiping consentì ai russi di stipulare tra il 1858 e il 1860 il Trattato di Aigun e la Pace di Pechino, con i quali
ampliavano e consolidavano il controllo dell’area giungendo fino al confine coreano, e cedevano al
Giappone le Isole Kurili in cambio dell’Isola di Sahalin. Nel 1860 venne fondata Vladivostok. L’atteggiamento
nei confronti di etnie e nazionalità non russe in asia fu quello di una «missione civilizzatrice». Questo
atteggiamento scaturiva dall’elaborazione della categoria legale di inorodcy15 (inarotze), letteralmente
stranieri nel 1822. In questa categoria rientravano cacciatori, raccoglitori, e alla quale erano affini anche i
tuzemcy, letteralmente domestico. Sia i primi che i secondi erano oggetto di segregazione, piuttosto che di
assimilazione. Nel 1872-1873 Germania, Austria-Ungheria e Russia costituirono la Lega dei tre imperatori,
dove fu stipulato un accordo militare tra l’Impero tedesco e quello zarista. La lega non durò a lungo a causa
della crescente competizione tra Austria-Ungheria e Russia sui Balcani. Quanto alla metà degli anni
Settanta, divamparono nuove rivolte tra le popolazioni slave sottoposte alla dominazione turca,
nell’opinione pubblica russa si accese un forte sentimento di solidarietà con i fratelli bulgari e serbi. Fin
dagli anni Sessanta il panslavismo si era fatto strada nella cultura e nella pubblicistica russa. L’estensione
dell’impero russo continua dopo la vittoria della guerra russo-turca che si concluse nel 1877, tradottasi, in
base al Trattato di santo Stefano del 1878, in annessioni territoriali nel Caucaso e in Bessarabia (persa nel
1855), nell’acquisizione di nuovi territori da parte della Serbia e della Romania, nella costituzione di una
vasta Bulgaria autonoma sotto temporaneo controllo russo 16. Da questo riassetto l’Impero asburgico
temeva la forza che i russi esercitavano sulle popolazioni slave presenti nel territorio asburgico. Con
l’appoggio della Gran Bretagna, l’Impero asburgico ottenne la convocazione di un Congresso a Berlino
(1878) nella quale la Russia fu costretta a subire un’umiliazione diplomatica: le conquiste serbe furono
ridimensionate, la Bosnia-Erzegovina posta sotto il protettorato austriaco, e la Bulgaria divisa in tre parti: la
Macedonia, la parte meridionale (Turchia) e la parte settentrionale (Bulgara, quindi indipendente).
14
Il costo fu di $7.2 di dollari ($121 milioni di dollari, oggi, considerata l’inflazione), quindi fu pagata meno di $5 per
2
Km .
15
In russo Иноро́дцы.
16
La Guerra russo-turca del 1877–1878 ebbe origine dalla volontà russa di ottenere uno sbocco sul Mar Mediterraneo
e di imporre il proprio predominio sulle popolazioni slave residenti nei Balcani, occupati dall'Impero ottomano.

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Figura 6: I Balcani post-trattato di Santo Stefano del 1878. Fonte: Wikimedia.

V. Crisi politica e terrorismo

Nel 1862 alcuni settori della nobiltà avevano avanzato richieste di partecipazione politica, ma lo zar aveva
reso manifesta la propria volontà di tutelare il principio autocratico. Quando erano stati istituiti gli zemstva,
alcuni avevano sperato che potessero rappresentare il primo passo in quella direzione. Il mutamento del
clima politico, a causa dei problemi sorti con il Regno di Polonia, sconsigliava di offrire ai nobili una
partecipazione politica. Il timore che gli zemstva potessero acquisire una maggiore influenza portò
Alessandro II a ridimensionare le loro competenze ed autonomie. Nonostante ciò gli zemstva tra il 1878 e il
1879 organizzarono alcuni congressi clandestini, dando vita ad un primo «movimento di zemstvo». Nel
1880, 25 tra i docenti universitari ed esponenti della società colta moscovita firmarono un memorandum,
sottoposto all’attenzione di Loris-Melikov, nel quale si faceva riferimento alla necessità che rappresentanti
della società coadiuvassero il sovrano nel governo della cosa pubblica. Loris-Melikov era stato tra i
governatori generali nominati dallo zar nel 1879, all’indomani di un attacco terroristico. Nel 1880, dopo un
nuovo attacco, fu nominato capo della Commissione suprema esecutiva per il mantenimento dell’ordine
pubblico, poi, poco dopo, divenne ministro dell’Interno e capo della sezione antiterrorismo della polizia.
Nonostante i poteri, egli era a favore a coinvolgere i zemstva nel governo della cosa pubblica. A tal fine,
sottopose allo zar un progetto di riforma, noto come «Costituzione di Loris-Melikov», con il quale si
prospettata una commissione legislativa composta sia da regali che da rappresentanti eletti dalle
amministrazioni provinciali. Il primo marzo 1881 Alessandro II approvò e firmo il progetto, e quel giorno
stesso cadde vittima di un nuovo attentato terroristico. L’uccisione dello zar non innescò alcuna
insurrezione popolare come i terroristi avevano sperato. I responsabile dell’attentato fu il gruppo
Narodnaja volja (Volontà del popolo), gli attentatori furono giustiziati e il gruppo smantellato. La loro
azione ebbe una conseguenza politica immediata: l’accantonamento di ogni ipotesi di riforma del sistema
politico. Infatti Alessandro III, succeduto al padre Alessandro II, nell’aprile del 1881 (cioè un mese dopo la
morte del padre) emanò un Manifesto con il quale esprimeva l’intenzione di preservare l’intangibilità e
l’immutabilità del potere autocratico. Conseguenza di ciò furono le dimissioni di Lori-Melikov e Milijutin.
Alessandro III rompeva con la tradizione filooccidentale del padre e abbracciava l’idea di una monarchia
nazionale russa, imperniata sull’autorità dello zar.

VI. Reazione Autocratica

Nell’agosto del 1881 fu promulgato un Regolamento di validità triennale, ma rinnovato costantemente,


sulle «misure di protezione della sicurezza dello Stato e dell’ordine pubblico». Ciò comportava la possibilità
per le autorità di arrestare, confinare, controllare, perseguire persone, associazioni e iniziative senza dove
rispondere innanzi ad un tribunale (quindi con la salita al trono di Alessandro III crolla lo Stato di diritto
formatosi sotto Alessandro II). In tal modo le libertà personali e civili dipendevano dalla legislazione
speciale. Inoltre nel 1883-1883 fu ripristinata la censura. Al ministro della Giustizia, nel 1887, fu data la
facoltà di far svolgere i processi a porte chiuse qualora lo richiedesse la difesa della «dignità dello Stato».
Infine, fu stabilito che i crimini di guerra contro i servitori dello Stato fossero giudicati da tribunali speciali
privi di giuria. Per quanto riguarda le università, la revisione del Regolamento, attuata nel 1884, si
accompagnò all’instaurazione di un opprimente controllo sull’attività didattica e il licenziamento di alcuni
tra i docenti più autorevoli e popolari, accusati di aver criticato gli ordinamenti russi e apprezzando quelli
europei. Nel 1887 furono, inoltre, stabilite le quote di iscrizione per gli studenti ebrei, che introducevano
una discriminazione di tipo etnico e culturale. Alle soglie del 1882 si costituì presso il governo una
Commissione che si soffermò sulla questione della trasformazione del volost’ in organismo intercetuale (e
non più esclusivamente contadino), tale da divenire l’unità di base dell’amministrazione locale distrettuale
e provinciale. Alla metà degli anni Ottanta la commissione concluse i propri lavori con un nulla di fatto. Nel
lugli del 1889 il volost’ contadino fu posto sotto la diretta autorità del comandante territoriale, scelto tra gli

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esponenti della nobiltà locale e nominato direttamente dal ministero dell’Interno; nel 1890 il governo varò
una riforma che istituì il criterio cetuale nell’elezione degli zemstva distrettuali e incremento la percentuale
della rappresentanza nobiliare a scapito di quella contadina. La società colta e gli intellettuali progressisti
consideravano i provvedimenti del governo come vere e proprie controriforme. La pessima gestione della
carestia da parte del governo segnò il momento di svolta nell’atteggiamento di sfiducia dell’opinione
pubblica verso lo Stato. Nell’state del 1891, dopo una lunga siccità e un raccolto disastroso, la carestia
cominciò a mietere vittime in tutte le province dal Bacino del Volga al Mar Nero (quindi tutta la zona del
Rialto centrale), aggravata da epidemie di tifo e di colera. Alla fine del 1892 si contava circa mezzo milione
di morti. Di fronte al disastro il governo fu costretto a chiedere aiuto alla società, ne risultò una
straordinaria mobilitazione dell’intelligencija e del terzo elemento. Si trattò di un’esperienza decisiva, che
stimolò la politicizzazione antigovernativa. Lo storico Orlando Figes 17 pone il 1891 come il punto d’inizio per
la rivoluzione russa. Quando Alessandro III morì, l’ascesa al trono nel 1894 del nuovo zar suscitò molte
speranze, presto deluse dalle parole di Nicola II (1895) agli esponenti degli zemstva, delle municipalità e
della nobiltà con i quali egli, così come il suo predecessore, riaffermava l’intento di preservare il principio
autocratico. Alla festa della sua incoronazione, avvenuta nel maggio 1896, più di tremila persone morirono
nella calca sulla spianata di Chodynka 18 (Mosca) . L’indifferenza del sovrano indebolì la sua immagine nei
confronti della popolazione. Con l’avvento di Nicola II l’atteggiamento dello Stato nei confronti delle
nazionalità non mutò: nelle province occidentali e della Transcaucasia ( Georgia, Armenia e Azerbaijan)
proseguì la politica di integrazione amministrativa e di russificazione culturale e linguistica. In alcuni casi
essa conobbe un’intensificazione che suscitò malcontento e stimolò lo sviluppo di movimenti nazionalistici:
nei territori baltici, i provvedimenti varati negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta ridimensionarono lo
statuto speciale in vigore dal 1710; in Georgia e in Armenia, la russificazione culturale e linguistica si
accompagnò al tentativo di ridurre l’autonomia delle relative chiese; in Finlandia nel 1899 fu promulgato un
manifesto imperiale che privava la Dieta finlandese di molte competenze legislative. Seguirono lo
scioglimento dell’esercito, l’introduzione della lingua russa ai vertici dell’amministrazione, l’attribuzione al
governatore generale russo Bobrikov di ampli poteri. La reazione sfociò nel suo assassinio nel 1904.
VII. Decollo industriale

Nell’epoca di Alessandro III le controriforme di accompagnavano a una «modernizzazione difensiva» volta a


promuovere lo sviluppo economico. Nikolaj Bunge (Bunghie), a capo delle Finanza dal 1881 al 1886, era un
fautore del contenimento delle spese militari, di un riequilibrio del sistema fiscale tra imposte dirette e
indirette (queste ultime costituivano la principale fonte di entrata per lo Stato) e dell’aumento del potere di
acquisto dei contadini. Egli ridusse il debito di riscatto, istituì la Banca contadina (1882) e abolì la
capitazione (l’imposta personale che gravava solo sui ceti popolari). Il suo successore Ivan Vyšnegradskij
(Visngrashkish), considerava prioritario creare eccedenze nella bilancia dei pagamenti e accumulare riserve
auree comprimendo i consumi e aumentando la pressione fiscale indiretta, riducendo le spesse statali.
Sergei Witte, dopo essere stato quasi per un anno ministro dei Trasporti, svolse il ruolo di ministro delle
Finanze dal 1892 al 1903, periodo durante il quale fu il principale promotore del decollo industriale russo.
Lo sviluppo delle ferrovie costituì il principale volano dell’industrializzazione, imperniata sull’industria
pesante e sull’attività mineraria (produzione di ferro, acciaio, carbone e petrolio). Si trattò di uno sviluppo
finanziato dai capitali stranieri, innanzitutto francesi, attratti dalla prospettiva di alti profitti. Per questo
motivo Witte fu accusato di favorire con la propria politica la subordinazione della Russia a interessi
extranazionali. L’esportazione di cereali a spese della popolazione rurale e la tassazione di generi di largo
consumo come lo zucchero, la vodka, il tè, furono gli strumenti ai quali ricorse ampiamente anche Witte per
ottenere un saldo attivo nella bilancia dei pagamenti e consolidare il flusso dei prestiti esterni. Il ritardo
rimase nell’industria leggera, nella chimica e nella produzione dei beni di consumo. L’impero zarista
importava soprattutto capitali e manufatti, ed esportava materie prime e prodotti agricoli: intratteneva con
le potenze capitalistiche un rapporto di scambio di tipo coloniale. Il fattore di squilibrio rimaneva
l’arretratezza del settore agricolo, che le modalità dell’industrializzazione russa perpetuavano e per certi
versi aggravavano. Nei decenni successivi all’emancipazione dei contadini erano venuti indebitandosi nei
confronti dello Stato. La situazione era anche dovuta all’esplosione demografica che investì le campagne
17
Orlando Figes (1959-), è uno storico britannico noto soprattutto per la sua opera A people’s tragedy (1996).
18
Il fenomeno viene ricordato come espressione di isteria collettiva.

6
Russia contemporanea
russe a partire dagli anni Settanta del XIX secolo. L’incremento della percentuale di terra posseduta dai
contadini che si verifica in concomitanza con il declino economico della nobiltà non è sufficiente a
compensare l’aumento della popolazione; ne consegue che le dimensioni medie degli appezzamenti a
disposizioni di ciascun nucleo familiare diminuiscono, a front di una produttività che rimane bassa a causa
della penuria di investimenti pubblici nell’agricoltura, dell’assenza di macchinari, della mancanza di
fertilizzanti chimici e dell’attaccamento dei contadini a metodi tradizionali di coltivazione (come la
rotazione triennale). Mentre promuoveva l’industrializzazione l’autocrazia interveniva nel mondo rurale
guidata da considerazioni di stabilità sociale: per un verso cercava di arginare la decadenza economica del
ceto nobiliare, che nel periodo compreso tra il 1861 e il 1905 perse la metà delle terre giungendo nella
Prima guerra mondiale a contribuire alla produzione di cereali per non più del 12% istituendo la Banca
fondiaria della nobiltà, che consentiva di accedere al credito a condizioni molto convenienti (1885); per
altro verso puntellava e rafforzava la comunità contadina. Qualunque tentativo per affrontare il problema
dei contadini e dell’agricoltura fu compiuto da Witte all’inizio del secolo: nel 1902 istituì un Comitato
speciale per i bisogni dell’agricoltura; nel 1903 pose fine alla responsabilità collettiva nel pagamento delle
tasse (creata da Alessandro II); nel 1904 cancellò il pagamento degli arretrati delle quote di riscatto. Tutte
queste riforme di Witte vengo abolite con la rivoluzione del 1905-1907.

VIII. Società civile

Per descrivere la complessa struttura della Russia tardo imperiale la storiografia ha fatto ricorso al concetto
di «società sedimentaria». In Russia l’organizzazione per soslovija (saslovie) letteralmente stati risale al
periodo compreso tra la fine del XVII e l’inizio del XIX secolo. Alla fine del Settecento i ceti sociali ereditari
erano quattro: nobiltà, mercanti, clero e contadini. L’uso del temine soslovie si consolida nel corso degli
anni Venti del XIX secolo, ma la terminologia impiegata dalla codificazione legale rimane fluida, in
particolare per quanto riguarda il ceto urbano, ripartito dalla legge del 1892 in quattro gruppi: cittadini
eminenti, mercanti, piccoli commercianti e artigiani. Le riforme di Alessandro II, introducendo il principio
alternativo della vsesoslovnost’ (vsesoslovnast) ovvero l’intercetualità avevano cominciato a porre le basi
per il superamento della società per stati, ma erano rimaste lontane dalla prospettiva di abolizione. Essa
rimane, anzi, un pilastro del sistema fiscale, dell’assetto amministrativo e delle gerarchie sociali. Nella
Russia di Nicola II coesistono status legale e ricchezza, ovvero soslovija e classi socioeconomiche. Si è
ancora lontani da una società di classe di tipo moderno. Gli zemstva, con l’organizzazione degli ospedali,
scuole elementari e uffici tecnici, avevano offerto l’opportunità di impiego professionale retribuito (prima
esistenti solo nel servizio allo Stato) per dottori, statistici, agronomi e insegnanti; presso le università
riformate dal nuovo Ustav erano venute costituendosi libere società scientifiche, culturali e professionali.
Tale contesto favoriva la crescita di un associazionismo volontario, culturale e professionale che
rappresentava una novità per la Russia zarista e rompeva le barriere della società per ceti. Sollecitava
inoltre lo sviluppo delle professioni, elemento essenziale per l’articolazione di ogni società civile in epoca
moderna. I gruppi professionali erano piccoli e molto concentrati: i componenti provenivano dalle stesse
scuole e università, aderivano agli stessi circoli, si indentificavano, sovente, l’intelligencija e i suoi valori.
L’ampliamento e la diversificazione della società alfabetizzata e istruita accrescevano l opportunità per il
mercato editoriale: durante gli anni Ottanta i quotidiani cominciano a consolidarsi come istituzioni
pubbliche; accanto alle riviste dell’intelligencija e ai giornali politicizzati. Anche il ceto contadino conosce
processi di differenziazione e frammentazione: industrializzazione e urbanizzazione si accompagnano allo
sviluppo di una classe operaia che alle soglie del Novecento è percentualmente assai esile (alla vigilia della
Prima guerra mondiale costituiva meno del 2% della popolazione totale), ma concentrata in grandi
fabbriche, dislocate nelle periferie delle grandi città, innanzitutto S. Pietroburgo. Si tratta molto spesso di
operai-contadini , con bassa qualifica, che vivono in condizioni abitative e igieniche pessime, d’estate
tornano al villaggio di origine per svolgere i lavori dei campi e nei documenti sono registrati come
appartenenti al soslovie contadino. Nel 1896-97 si svolsero imponenti scioperi generali dei tessili a S.
Pietroburgo, nell’organizzazione dei quali aveva svolto un ruolo di spicco la Lega di lotta dei
socialdemocratici. In seguito a questa imponente ondata di scioperi il governo concesse la riduzione della
giornata lavorativa nell’industria da 13 a 11 ore e mezzo (10 ore il sabato e i pre-festivi). Nel tentativo di
sottrarre ai partiti socialisti un bacino di reclutamento, la polizia segreta zarista, provò ad organizzare un

7
Dario Cositore
sindacato operaio, a capo del quale fu posto Zubatov. Ma l’esperimento passato alla storia come
zubatovščina, fu abbandonato quando, nel corso dello scioperò generale svoltosi ad Odessa nel 1903, ci si
rese conto che l’organizzazione poteva rapidamente sfuggire al controllo della polizia e finiva per costruire
un pericolo ulteriore per la stabilità sociale.

IX. Dalla crisi del populismo alla formazione dei partiti

L’indifferenza dei contadini di fronte alla notizia dell’attentato allo zar Alessandro II, la spietata repressione
con la quale lo Stato reagì alla sfida terroristica, inaugurò un periodo di crisi del populismo rivoluzionario.
Esigui gruppi tentarono nel corso degli anni Ottanta di far rivivere la tradizione terroristi di Narodnaja volja.
Negli anni Settanta emersero diversi orientamenti ideali e politici: il socialismo marxista, il populismo
«legale» e il nuovo socialismo rivoluzionario.

Socialismo marxista:
Fu il nucleo del gruppo Ripartizione nera a fondare nel 1883 a Ginevra la prima organizzazione dei marxisti
russi: Osvoboždenie truda (Ozvabashdinie trudà) ovvero Liberazione del lavoro. Gli esponenti di spicco
erano: Plechanov (Plejanof19), Aksel’rod (Axelerod) e Vera Zasulič20 (Sasulic). Tra gli anni Ottanta e Novanta
si costituirono numerosi circoli e gruppi che condividevano l’approccio di Plechanov: ripudio del terrorismo,
organizzazione di lotta politica su basi di massa, centralità della classe operaia, necessità e inevitabilità dello
sviluppo del capitalismo in Russia, della dissoluzione della comunità contadina, dell’affermazione della
società borghese prima dell’avvento del socialismo. Questo approccio venne applicato sia all’estero, dove
dettero vita alla Lega dei socialdemocratici, che in Russia, dove svolgevano la propaganda presso la classe
operaia in rapida espansione e mobilitazione. Alla costituzione del 1895 della più importante di queste
organizzazioni, la Lega di lotta per la liberazione della classe operaia parteciparono Martov e Lenin.
Quest’ultimo, ben presto, fu arrestato e inviato al confino in Siberia; successivamente, nel 1900, si trasferì
all’stero (a Pskov, a sud di S. Pietroburgo e 20 km a est della Lettonia), dove fondò, assieme a Martov e
Plechanov, il giornale «Iskra21», clandestinamente diffuso in patria, il cui obiettivo era l’unificazione e
l’organizzazione della socialdemocrazia in Russia. Il congresso costitutivo del POSDR, Partito operaio
socialdemocratico russo, che si era svolto a Minsk nel 1898, aveva stilato un manifesto e dato inizio alla
trasformazione delle sezioni cittadine della Lega di lotta in comitati del partito. Un vero e proprio
programma, con l’obiettivo minimo dell’abbattimento dell’autocrazia e la rivoluzione democratico-
borghese e l’obiettivo massimo della rivoluzione proletaria, fu presentato al secondo Congresso del POSDR,
svoltosi tra Bruxelles e Londra nell’estate del 1903. Per divergenze sull’articolo I dello statuto, concernente
l’organizzazione del partito, si verificò una spaccatura tra seguaci di Lenin (bolscevichi) e i seguaci di Martov
(menscevichi), che invano Plechanov cercò di ricomporre.

Populismo «legale»:
Anche il populismo legale di Voroncov e Daniel’son operava una rottura con l’esperienza di Narodnaja volja.
Esso si soffermava sulle trasformazioni economiche e sociali, e indicava nella ricerca di uno sviluppo
alternativo al capitalismo l’unica strada percorribile per evitare le sofferenze sociali prodotte dalla
proletarizzazione, dalle diseguaglianze e dallo sfruttamento. Le sorti del capitalismo in Russia e il destino
dell’obščina furono i temi del dibattito tra marxisti e populisti. Per i primi affermavano che l’ obščina si
sarebbe disgregata sotto l’impatto della differenziazione capitalistica, per i secondi, essendo l’obščina il
nucleo dell’economia contadina e capace di garantire la giustizia sociale, questa sarebbe resistita. Il
dibattito duro dalla fine degli anni Ottanta del XIX all’inizio del XX secolo. La crisi agricola e il decollo
industriale e il decollo industriale contribuirono nel corso degli anni Novanta al successo del marxismo, al
punto da consentirgli di sfidare l’egemonia populista dell’intelligencija.

Socialismo rivoluzionario:

19
La pronuncia della j è come quella spagnola.
20
La z si pronuncia come la s in tedesco.
21
Dal russo Искра ossia la scintilla.

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Russia contemporanea
Il populismo confrontando con il marxismo si rinnova formando il Partito dei socialisti rivoluzionari (PSR). I
primi nuclei di socialisti rivoluzionari si costituirono come circoli locali intorno alla metà degli anni Novanta;
nel 1899 cominciò un processo di unificazione regionale e nel 1901 le due principali organizzazioni si fusero
per dare vita al partito. Le modalità organizzative del PSR rimasero lontane dal centralismo del POSDR, ma
nel 1904 sfociarono in un programma comune, imperniato sulla rivoluzione contadina e la socializzazione
della terra. Si formò, successivamente, l’Organizzazione combattente del partito (OC) che si richiamava
apertamente alla tradizione terroristica di Narodnaja volja. Alle soglie del nuovo secolo gli zemstva
divennero protagonisti di un inedito fermento politico, che si traduceva nel tentativo di dare vita a una rete
organizzativa panrussa e nella costituzione di circoli politici. Veniva emergendo tra gli zemcy22 (ziemtze) una
componente costituzionalista, che sul tema della riforma politica era in sintonia con i marxisti e i populisti
liberali. Da questa convergenza nacque la Sojuz Osvoboždenija (Sayus Ozvabashdinie) ovvero Lega di
liberazione, organizzazione clandestina sorta tra il 1903 e il 1904, quando si definì come obiettivo la
creazione di istituzione democratiche fondate sul suffragio universale. La sfida lanciata dalla società colta
non era la sola che il regime autocratico di Nicol II era chiamato ad affrontare: i disordini studenteschi
iniziati nel febbraio del 1899 a S. Pietroburgo in seguito al divieto delle autorità di celebrare l’anniversario
della fondazione dell’università si trasformarono in uno sciopero generale che coinvolse le principali
università del paese. La cattiva gestione della vicenda, affidata esclusivamente alla repressione poliziesca, la
decisione di punire gli studenti, fatta dal ministro dell’Istruzione Bogolepov, inviando immediatamente
nell’esercito, resero le università un focolaio di crisi permanente. Lo storico Richard Pipes23 ha collocato
nella protesta studentesca del 1899 il temine d’inizio della rivoluzione russa. Nel 1901 Bogolepov fu ucciso
dall’OC del PSR; nel 1902 uccidono il ministro dell’Interno Sipjagin (Siapighin), il suo successore Pleve
(Plevie), ha la stessa sorte nel 1904. Nel frattempo era iniziata la guerra russo-giapponese.

X. La prima rivoluzione russa

Nei primi anni del XX secolo esistevano nell’Impero zarista «due Russie»: allo Stato autocratico e
burocratico si contrapponevano le forze del movimento di liberazione, gli zemstva, l’intelligencija e gli
operai. Gli eventi del 1905-07 furono un insieme di rivoluzioni parallele: liberale, operaia, contadina e
nazionale. Andreas Kappeler24, ha definito il 1905 come il prodotto del simultaneo porsi di tre questioni: la
rivoluzione borghese (per la tutela dei diritti civili), la rivoluzione nazionale (per l’emancipazione delle
nazionalità non russe) e la rivoluzione socialista (per le rivendicazioni sociali connesse alla
industrializzazione). Egli definisce il 1905 come la primavera dei popoli dell’Impero russo. Prima
nell’interpretare gli eventi russi si ricorreva alla comparazione con le rivoluzioni europee sette-
ottocentesche, il 1789-93 e il 1848. Ma oggi si tende a notare gli aspetti nuovi di questi sconvolgimenti,
rispetto alle rivoluzioni europee precedenti. Le principali novità, rispetto al 1848, erano rappresentate da:
1. Rivoluzione contadina (che comincia ad organizzarsi su scala nazionale); 2. Movimento operario (capace
di generalizzare lo sciopero ed usarlo come arma politica); 3. Mobilitazione studentesca (che occupa le
università). Per la prima volta prende corpo un’arena politica pubblica, con partiti che si sfidano nella
competizione elettorale e si costituisce un organismo rappresentativo con poteri legislativi: la Duma.
All’indomani della rivoluzione conoscono un’accelerazione decisiva meccanismi di massificazione,
mobilitazione e nazionalizzazione. Questi fenomeni sono connessi alla leva obbligatoria, all’istruzione e alla
politica di massa. Non va dimenticata la concomitanza tra rivoluzione e guerra russo-giapponese: a partire
da quest’ultima si verifica un mutamento negli equilibri tra le potenze e una ridefinizione delle alleanze su
scala mondiale che prepara il contesto internazionale nel quale scoppierà la Prima guerra mondiale.
La periodizzazione della rivoluzione russa è divisa in quattro fasi: 1. Fase nazionale (Novembre 1904 –
Ottobre 1905); 2. Fase rivoluzionaria (Ottobre – Dicembre 1905); 3. Fase costituzionale (Gennaio – Luglio
1906); 4. Fase controrivoluzionaria (Agosto 1906 – Giugno 1907).

XI. La crisi dell’Antico regime (estate 1904 – primavera 1905)

22
Dal russo земцы.
23
Richard Pipes (1923-) è uno storico statunitense.
24
Andreas Kappeler (1943-) è uno storico svizzero.

9
Dario Cositore
Con il decollo industriale si intensificò la spinta degli interessi economici e commerciali in Estremo Oriente e
nel 1891, mentre Witte era ministro dei Trasporti, fu avviata la costruzione della Transiberiana: da
Čeljabinsk, negli Urali, fino a Vladivostok (completata nel 1903 25). Ottenuto dalla Cina il via libera per la
costruzione di una linea ferroviaria che attraversava la Manciuria settentrionale, la Russia vi stabilì una
propria zona di influenza: la città di Harbin. L’azione di penetrazione russa finì per scontrarsi con il
Giappone che cominciava a manifestare intenti espansivi verso la Manciuria e la Corea. Dopo inutili
negoziati russo-giapponesi per spartirsi quelle zone, nel febbraio 1904 il Giappone sferrò un attacco a
sorpresa contro la flotta russa ancorata a Port Arthur (oggi Lüshunkou). Seguì una serie di vittorie
giapponesi. La morte di Pleve per mano dei terroristi fu accolta con sollievo da forze politiche e opinione
pubblica (e anche da alcuni suoi colleghi) e ciò rese evidente fino a che punto fosse giunta l’erosione del
consenso attorno al regime autocratico. Dopo molti tentennamenti lo zar, verso la fine di agosto, si risolse a
nominare nuovo ministro dell’Interno il principe Svjatopolk-Mirskij (Svietopolk-Mirski) che godeva del
rispetto generale ed era favorevole ad un dialogo con l’opposizione liberale. Confidando con la sua sponda
governativa, gli zemstva organizzarono una campagna di «banchetti» e convocarono per il 6-9 novembre un
congresso generale a S. Pietroburgo, violando il divieto per le amministrazioni locali di sconfinare sul
terreno della politica nazionale. Lo zar si convinse delle necessità di fare alcune concessioni, ma l’ukaz26
(decreto) emanato in dicembre, che permetteva una maggiore tutela della libertà personale, fu giudicato
dal movimento costituzionalista del tutto insufficiente. Nel frattempo continuavano a giungere dal fronte di
guerra pessime notizie: dopo un lungo assedio, i giapponesi avevano conquistato Port Arthur e i
comandanti russi avevano deciso di inviare in Estremo Oriente la flotta del Baltico (quella del Mar Nero era
bloccata dalla decisione turca di non concedere passaggio attraversi gli stretti del Bosforo e dei
Dardanelli27). La situazione interna era già difficile quando gli eventi della domenica di sangue28
inaugurarono l’anno rivoluzionario. Dopo una serie di scioperi attuati nei primi giorni di gennaio del 1905,
gli operai pietroburghesi organizzarono una grande manifestazione per il 9 gennaio, con l’intento di
presentare direttamente allo zar una petizione nella quale si richiedeva maggiore giustizia sociale.
All’esercito e alla polizia fu dato l’ordine di fermare co n ogni mezzo i manifestanti e ne scaturì una
carneficina (almeno 150 morti) che suscitò rabbia in tutto il paese. Gli scioperi, ricominciati a S. Pietroburgo,
divamparono nel corso di gennaio a Mosca (Russia), Vilnius (Lituania), Varsavia (Polonia), Riga (Lettonia),
Tbilisi (Georgia) e Baku (Azerbaijan). Nei mesi successivi coinvolsero i lavoratori di numerose categorie in
tutto il paese, ottennero spesso buoni risultati sul terreno delle rivendicazioni salariali. Nell’organizzazione
svolsero un ruolo di primo piano militanti socialdemocratici o sociorivoluzionari, ma il ruolo dei partiti
rimase, almeno all’inizio, in secondo piano. Nelle regioni periferiche dell’Impero, soprattutto Polonia, paesi
baltici e la Georgia, le agitazioni sociali si incrociavano spesso con i movimenti nazionali: sin dal 1904 erano
venuti organizzandosi partiti politici delle nazionalità non russe (finlandesi, polacchi, ucraini e georgiani) che
chiedevano la fine dell’autocrazia. Dopo la domenica di sangue anche il movimento studentesco riprese
vigore, proclamando lo sciopero delle università. Il 18 febbraio lo zar promulgò un manifesto con il quale
chiedeva ai sudditi di stringersi attorno al principio autocratico, un Rescritto nel quale assegnava al nuovo
ministro dell’Interno Bulygin il compito di presiedere una commissione che preparasse un progetto di
assemblea rappresentativa. Cominciò allora una fase di dibattiti che coinvolgeva l’intera società, compresi
gli zemstva e l’intelligencija. Il movimento di liberazione chiedeva all’unanimità l’introduzione del suffragio
25
La parte che collega Mosca a Čeljabinsk sarà completata nel 1916. I chilometri totali della ferrovia sono 9288. Ci
sono voluti 12 anni per completarla. La ferrovia è così grande che da Mosca a Vladivostok vi sono 7 ore di fuso orario.
26
Si legge Ukas.
27
Ovvero tra il Corno d’Oro e l’antico Ellesponto, tra i due limiti che separano oriente e occidente si trova il Mare di
Marmara.
28
Con Domenica di sangue, si è soliti indicare l'eccidio compiuto a San Pietroburgo il 22 gennaio 1905 (9 gennaio
secondo il calendario giuliano) da reparti dell'esercito e della Guardia imperiale che aprirono il fuoco contro una
manifestazione pacifica di dimostranti disarmati diretti al Palazzo d'Inverno per presentare una supplica allo zar Nicola
II. La marcia era stata organizzata dal pope Gapon, che in seguito fu accusato di essere un agente provocatore della
polizia politica zarista. La strage ebbe gravissime conseguenze per il regime, perché minò profondamente la fiducia
della popolazione nei confronti dello zar, aprendo la strada alla Rivoluzione del 1905. Da non confondere con Bloody
Sunday con cui si indicano gli eventi terroristici accaduti nella città di Derry, Irlanda del Nord, il 30 gennaio del 1972,
quando il 1º Battaglione del Reggimento Paracadutisti dell'esercito britannico aprì il fuoco contro una folla di
manifestanti per i diritti civili, colpendone 26.

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Russia contemporanea
universale a «quattro code» (universale, diretto, eguale e segreto) e di ordinamenti costituzionali di tipo
parlamentare; solo i socialisti e i radicali invocavano l’abbattimento della monarchia e l’avvento della
repubblica. Uno dopo l’altra tra marzo e aprile si costituirono altre 13 leghe professionali autonome
(avvocati, insegnanti, medici, ingegneri, etc.): l’8 e il 9 maggio costituirono, in un congresso a Mosca, la Lega
delle leghe.

XII. La mobilitazione generale contro l’autocrazia (maggio-ottobre 1905)

La notizia della disfatta di Tsushima29 (14/27 maggio) con la distruzione della flotta del baltico ad opera dei
giapponesi provocò un moto d’insofferenza per il regime. Tra maggio e ottobre il carattere di protesta
assunse davvero un carattere generale. I vertici del movimento di zemstvo e le componenti più moderate
dell’aera costituzionalista presentarono il 6 giugno allo zar una petizione con la quale lo supplicavano di
convocare una rappresentanza del popolo che potesse pacificare il paese: ma la Lega delle leghe non
riponeva più alcuna fiducia nelle concessioni dello zar e consideravano la mobilitazione di tutte le forze di
opposizione unite come la sola strada per realizzare le riforme. Con l’arrivo dell’estate divampò la
rivoluzione nelle campagne. Essa fu uno shock per i conservatori, che consideravano i contadini come la
forza sociale tradizionalmente fedele allo zar. La ribellione contadina si manifestò con saccheggi, incendi,
violenze contro in proprietari terrieri 30. La ribellione contadina viene definita come: pugačevščina
(pugasievsina). Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto a Mosca si riunì clandestinamente il primo Congresso
della Lega panrussa contadina. Le rivendicazioni del congresso in materia di riforma agraria (confisca di
tutte le terre dei proprietari senza compenso) difficilmente avrebbe potuto raccogliere consensi. Dopo la
conclusione dei lavori della Commissione Bulygin lo zar promulgò il 6 agosto un manifesto imperiale
concernente la legge istitutiva della Duma di Stato e le disposizioni sulle elezioni; questo manifesto
prevedeva: un’assemblea rappresentativa (Duma) con poteri consultivi, eletta a suffragio ristretto,
modellato sulle curie degli zemstva, che escludeva quasi del tutto i gruppi sociali «inaffidabili» dal voto,
ovvero operai e intelligencija. Ovviamente, la «Duma di Bulygin» fu accolta negativamente. Sul fronte
internazionale russi e giapponesi, con la mediazione degli Stati Uniti, riuscirono a sedersi al tavolo delle
trattative. Tra il 23 agosto e il 5 settembre 1905 fu siglato il Trattato di Portsmouth con il quale furono
cedute al Giappone la penisola di Liáodōng e la metà meridionale di Sachalin, ma non furono pagate le
riparazioni. Sul fronte interno il movimento contadino declinò, così come anche gli scioperi operai. A Mosca
si svolse, il 12-15 settembre, il secondo Congresso congiunto degli zemstva e delle dume municipali. Qui si
chiedeva il riconoscimento dei diritti delle nazionalità, lo sviluppo dell’autogoverno e il decentramento
amministrativo.

XIII. Lo scontro frontale (ottobre-dicembre 1905)

La protesta operaia era cominciata verso la fine di settembre con lo sciopero dei tipografici di Mosca, ai
quali si associarono per solidarietà i lavoratori pietroburghesi dello stesso settore. Il 6 ottobre cominciò a
Mosca lo sciopero delle ferrovie. Il 12 ottobre lo sciopero diventò generale e giunse a paralizzare il paese. Il
13 ottobre a S. Pietroburgo si costituì il Soviet dei deputati operai: esso intendeva creare un comitato di
sciopero e garantire una direzione unificata al movimento di protesta. Il comitato esecutivo del Soviet
comprendeva rappresentati menscevichi, bolscevichi e socialisti-rivoluzionari. Trockij ne era il presidente.
Gli apparati dello Stato non riuscivano a riprendere il controllo della situazione. Lo zar consultò ministri e
collaboratori e decise di accettare il consiglio di Witte, che sollecitava a concedere la costituzione prima che
fosse troppo tardi. La sera del 17 ottobre Nicola II firmò il Manifesto e nominò Witte presidente del
Consiglio dei ministri (fino al quel momento Comitato dei ministri), attribuendogli l’incarico di formare un
nuovo governo. Fino al quel momento ogni ministro rendeva conto di ogni proprio atto personalmente allo
zar, e non era tenuto a coordinare la propria politica con gli altri esponenti del governo. Nei fatti rimasero
29
La battaglia di Tsushima, in Giappone detta comunemente battaglia navale del mare del Giappone, fu l'ultima e più
decisiva battaglia della guerra russo-giapponese (1904-1905). Venne combattuta il 27 maggio ed il 28 maggio 1905 (14
e 15 maggio secondo il calendario giuliano in vigore all'epoca in Russia) nello stretto di Corea. In questa battaglia la
flotta giapponese al comando dell'ammiraglio distrusse due terzi della flotta Russa.
30
Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati (Matteo 5, 6).

11
Dario Cositore
ambiguità nel funzionamento del governo: il potente ministro degli Interni Durnovo (Durnova) non aveva
alcuna intenzione di sottomettersi a Witte e continuò ad agire in autonomia, sostenuto dallo zar. Rispetto
alla riforma Bulygin si ampliava il diritto di suffragio e si attribuivano alla Duma potere legislativi: lo zar però
non considerava quelle concessioni equivalenti ad una costituzione di tipo occidentale, e rimaneva
intenzionato a difendere il principio autocratico. Il manifesto ebbe due conseguenze: 1. Inaugurò la
stagione di formazione dei partiti politici; 2. Produsse una spaccatura nel campo costituzionalista tra coloro
che, ritenendosi soddisfatti delle promesse dello zar, dettero vita all’unione del 17 ottobre (ovvero
nacquero gli Ottobristi), e coloro che intendevano proseguire nella mobilitazione per l’instaurazione di un
regime parlamentare, come il Partito costituzionalista-democratico (KDP o cadetti) che nacquero anche loro
il 17 ottobre, ovvero il giorno dello sciopero generale e della pubblicazione del manifesto. Il partito cadetto
raccoglieva l’eredità della Lega di liberazione e per dimensioni e importanza era il principale gruppo
politico dello schieramento liberale democratico. Il KD sposarono la tattica del «nessun nemico a sinistra»,
finalizzata a mantenere l’unità nell’opposizione antiautocratica. In novembre, mentre il movimento
rivoluzionario tentava di dare una spallata decisiva al regime proclamando due nuovi scioperi generali, in
gran parte falliti, Witte stabiliva contatti con esponenti costituzionalisti nel tentativo di cooptarli nel
governo. Le trattative fallirono: il primo ministro prendeva una presa di distanza dalla sinistra rivoluzionaria,
mentre i costituzionalisti chiedevano l’immediata fine dell’ondata di pogromy31 (pagromi) antiebraici
scatenata all’indomani della promulgazione del manifesto da estremisti di destra, le Centurie nere, e della
repressione messa in atto da Durnovo. Si affacciava una novità sulla scena politica russa: la formazione di
organizzazioni e partiti di estrema destra, quali la Lega del popolo russo. Questi professavano antisemitismo
e sciovinismo grande-russo. Nel frattempo cominciava a farsi strada tra i militanti di SR, l’idea del ricorso
alle armi. I menscevichi e i bolscevichi formarono tra gli operai gruppi combattenti e collaborarono
nell’insurrezione armata di Mosca, il cui Soviet operaio si era costituito il 21 novembre. All’inizio di
novembre i membri del Soviet di Pietroburgo furono arrestati; il 10 cominciarono i combattimenti per la
città di Mosca, duranti i quali ci furono più di mille morti. Dopo cinque giorni il ricorso dell’esercito ebbe la
meglio sugli insorti. Il 18 il Soviet dichiarò la fine dell’insurrezione, alla quale segui una brutale repressione.
Si chiudeva così la fase più radicale della rivoluzione. Il potere autocratico aveva superato la fase più
radicale della crisi. Gli esponenti del Soviet di Pietrogrado furono arrestati e condannati. SD
(socialdemocratici) e SR (socialrivoluzionari) furono arrestati e deportati. Menscevichi e Bolscevichi
cominciarono ad organizzare un congresso del POSDR, poi svoltosi nell’aprile del 1906.

XIV. Il confronto costituzionale (gennaio-luglio 1906)

I primi mesi del 1906 furono dominati dalla preparazione e dallo svolgimento della campagna elettorale: la
prima nella storia della Russia. La nuova legge elettorale, promulgata l’11 dicembre 1905, divideva gli
elettori in 4 curie: 1. Proprietari e possessori di terre; 2. Contadini comunitari; 3. Popolazioni urbane, 4.
Operai. Inoltre la nuova legge stabiliva elezioni indirette, con tre o quattro fasi elettorali, per la seconda e la
quarta curia. Questo meccanismo era lontano da quello delle «quattro code», ma i requisiti di censo erano
relativamente bassi, e consentivano, quindi, un’ampia partecipazione al voto. Con il Manifesto imperiale del
20 febbraio, relativo alla legge del Consiglio di Stato e della Duma di Stato, furono delineati i futuri elementi
rappresentativi. Alla Duma erano attribuite competenze legislative, così come al consiglio di Stato, ora
trasformato in una sorta di Camera alta, composta per metà da burocrati di nomina regia e per metà da
rappresentanti di ceti e corpi sociali (zemstva, nobili, clero, università, etc.). Le Leggi fondamentali , ovvero
la Costituzione, furono promulgate il 23 aprile, alla vigilia dell’apertura della Duma: in esse il potere dello
zar era definito ancora autocratico; i ministri rimanevano ancora individualmente responsabili nei confronti
del sovrano; e con l’articolo 87 si stabiliva che quando la Duma non era in sessione, il Consiglio dei ministri
poteva legiferare con l’approvazione dello zar. Weber definisce la costituzione russa come «pseudo-
costituzione». Lo svolgimento delle diverse tornate elettorali si protrasse per circa un mese. Si
confrontarono due schieramenti principali: il blocco monarchico-costituzionale (Ottobristi, Partito
31
Pogrom è un termine storico di derivazione russa che significa letteralmente «devastazione», con cui vengono
indicate le sommosse popolari antisemite, e i conseguenti massacri e saccheggi, avvenute nel corso della storia russa.
In particolare, il periodo caldo dei pogrom è il quarantennio compreso tra il 1881 e il 1921, con il consenso – se non
con l'appoggio – delle autorità.

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Russia contemporanea
dell’ordine legale e i piccoli partiti di centro degli industriali) e il blocco di centro sinistra (KD con accordi
con polacchi, ebrei e rappresentanti contadini). Il POSDR e gli SR decisero di boicottare le elezioni.
Nonostante le interferenze del potere amministrativo e poliziesco, che cercava di escludere i candidati
scomodi dell’opposizione, questi ultimi ottennero una netta vittoria. Il 27 aprile 1906 si aprirono i lavori alla
prima Duma. I KD avevano una maggioranza relativa con il 38% dei seggi; il secondo gruppo più numeroso
era quello dei trudoviki32, organizzato da esponenti della Lega contadina, nel quale si raccolsero i deputati
contadini e alcuni intellettuali militanti. Vi erano poi i rappresentanti delle nazionalità: la componente più
numerosa era il gruppo polacco (Kolo), con trentadue deputati. I partiti di destra contavano quaranta
deputati rimasero così politicamente isolati. Circa 100 deputati non erano affiliati, ma poi lo diventarono,
così come quelli che già erano affiliati si «voltarono». Durante i 72 giorni della prima Duma si discusse di:
diritti civili, uguaglianza giuridica, diritto all’associazione e riforma agraria. Per numero, organizzazione e
competenze i cadetti (KD) esercitavano un ruolo preminente nella gestione dei lavori. L’obiettivo principale
che ispirò la loro tattica parlamentare fu la ricerca dell’alleanza con i trudoviki, soprattutto sulla questione
agraria: essa divenne il terreno di scontro con il governo. I progetti di riforma agraria presentati alla Duma
furono tre: 1. Quello dei KD (“dei 42”), che prevedeva la confisca obbligatoria delle terre in proprietà
privata eccedenti il maximum fissato per la conduzione individuale di un’azienda e la loro assegnazione ai
contadini in uso a lungo termine; 2. Quello trudoviko (“dei 104”), che stabiliva la confisca, senza eccezione
di tutte le terre dei privati eccedenti la trudovaja norma (norma del lavoro), ovvero l’assegnazione in uso
perpetuo ai contadini; 3. Quello degli SR (“dei 33”) che prevedeva la socializzazione di tutta la terra, da
assegnare al popolo sulla base della norma del lavoro. Mentre i deputati della Commissione agraria
lavoravano per cercare una mediazione tra primo e secondo progetto, il governo presentò in aula tre
proposte di legge: 1. Razionalizzazione dell’economia; 2. Sviluppo della proprietà privata; 3. Promuovere
l’individualismo economico. Quando all’inizio di luglio, si inasprì la competizione tra Duma e governo sulla
questione agraria33, la sorte del primo parlamento fu segnata. L’8 luglio i deputati trovarono il palazzo di
Tauride34 chiuso e circondato dalla polizia; il giorno dopo un ukaz imperiale decretava lo scioglimento della
Duma e l’instaurazione di un regime di difesa eccezionale. Stolypin, già ministro dell’Interno, era diventato
primo ministro. Molti dei KD sottoscrissero l’appello di Vyborg, nel quale si invitava la popolazione a
protestare contro lo scioglimento astenendosi dal pagare le tasse e dalla leva militare. L’appello sortì solo
effetti negativi per i KD, in quanto furono processati e privati dei diritti elettorali.

XV. La fase controrivoluzionaria (luglio 1906 – giugno 1907)

Mentre la repressione di abbatteva sui membri della Duma si scatenò un’ondata di violenza politica
terroristica, sia di destra che di sinistra. Il 18 luglio fu assassinato da un estremista di destra l’ex deputato
del KD relatore della proposta agraria: Gercenštejn. Il 12 agosto una forte esplosione nella dacia 35 del primo
ministro uccise 27 persone, lasciando Stolypin indenne. In risposta a questa sfida una conferenza
straordinaria dei vertici dello Sato approvò l’istituzione di corti marziali: tali corti dovevano emettere un
verdetto entro 48 ore, senza che l’imputato avesse diritto alla difesa di un avvocato, e le sentenze (anche di
morte) dovevano essere applicate immediatamente. L’azione di governo di Stolypin, si mosse lungo tre
direttrici: 1. Pugno di ferro nell’ordine pubblico («cravatte di Stolypin», impiccagioni e «vagoni di Stolypin»,
treni di deportazione); 2. Riforma modernizzatrice mediante l’articolo 87 delle Leggi fondamentali (ovvero:
quando la Duma non era in sessione, il Consiglio dei ministri poteva legiferare con l’approvazione dello zar);
3. Costruzione di un blocco partitico filo-governativo (nella competizione per la seconda Duma). Avendo
preso atto del potenziale rivoluzionario dei contadini, e per gettare nuova stabilità, il 9 novembre fu emesso
un decreto con il quale si agevolava l’uscita dalla comunità per coloro che intendevano disporre a pieno
titolo del proprio appezzamento, consentendone la trasformazione in proprietà privata laddove non si era
32
Nati dalla rottura di una fazione degli SR. I trudoviki costituivano un partito moderato del lavoro.
33
Qui fa capolino la questione agraria prima romana, poi medievale.
34
Dal 1906 il palazzo è stato la sede del primo Parlamento russo, la Duma Imperiale di Stato. Subito dopo la
Rivoluzione di Febbraio del 1917, il palazzo di Tauride alloggiò il Governo Provvisorio Russo ed il Soviet di Pietroburgo
ed in seguito l'abortita Assemblea Costituente Russa, fino a quando nel maggio del 1918 i bolscevichi vi tennero il loro
settimo congresso, in cui presero il nome di Partito Comunista Russo.
35
La dacia è un'abitazione russa sita in campagna.

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Dario Cositore
proceduto a ripartizioni collettive negli ultimi 24 anni. In tali requisiti rientrava più del 70% dei possessi
contadini della Russia europea. Per la campagna elettorale, il governo, ancora una volta, negò i diritti,
infatti: 1. Si vietava l’adesione di tutti i dipendenti statali a partiti di opposizione; 2. Si mantenevano
nell’illegalità i partiti sgraditi (soprattutto i KD 36); 3. I governo legalizzò gli Ottobristi e il Partito della
rigenerazione pacifica (PMO). Questi elementi davano fiducia a Stolypin nella possibilità di vittoria del
blocco politico filo-governativo. L’opposizione rimaneva divisa: i partiti socialisti avevano rinunciato al
boicottaggio. I risultati, nella seconda Duma inaugurata il 20 febbraio, nonostante i freni del sig. Stolypin,
erano a favore dell’opposizione. Il cartello socialista contava 250 deputati; la destra poco più di 100. I KD
erano stati quasi dimezzati rispetto alla prima Duma. Sin dalla metà di aprile, avevano preso la decisione di
sciogliere l’assemblea e procedere con la revisione della legge elettorale nel senso auspicato dalla Nobiltà
unita. Quando si presento il pretesto giusto – il supposto coinvolgimento di alcuni deputati
socialdemocratici nella preparazione di una rivolta – la seconda Duma fu sciolta. Il giorno seguente, il 3
giugno, un Manifesto imperiale rendeva pubblica la nuova legge elettorale, che alterava così tanto le
modalità di voto da configurarsi come un vero e proprio colpo di Stato: essa decurtava il diritto di voto dei
cittadini comunitari, delle popolazioni urbane, degli abitanti delle periferie dell’Impero a maggioranza
nazionale non russa, per garantire la preminenza dei proprietari terrieri di nazionalità russa.

XVI. Gli ultimi anni dello zarismo

Nel periodo inaugurato dal «colpo di Stato» del 3 giugno 1907, alcuni risposero individualmente alla crisi
con l’irrazionalismo e il misticismo, altri invece nel perseguimento della ricchezza individuale. I rivoluzionari
non avevano rinunciato, invece, a riporre speranze nell’attività pubblica. Molti ponevano l’accento sulla
trasformazione graduale della società attraverso l’istruzione e il lavoro. Per i liberali centristi lo shock fu
causato anche dall’esperienza della violenza. Per altri ancora, invece, prevalse un orientamento
conservatore, che spingeva a ricercare le ragioni della sconfitta nella visione del mondo dell’intelligencija
stessa, accusata di essere priva di senso di Stato. Tutti i partiti e i movimenti di opposizione erano vittime di
una contrazione degli iscritti. I KD, invece, assunsero un atteggiamento politico più moderato che consentì
loro di preservare le strutture organizzative, ma non vi era unanimità nella valutazione delle ragioni della
sconfitta del movimento di liberazione: per Miljukov 37 e per il partito le scelte compiute erano le sole
possibili. Per Maklakov e per la destra del partito si sarebbe dovuto collaborare con il governo e accettare i
limiti delle Leggi fondamentali. Duri furono questi anni per l’estrema sinistra, decimata dalla repressione,
costretta nuovamente alla clandestinità. I principali leader, Lenin 38, Martov39 e Černov40 (Ciorna), a partire
dalla fine del 1906 e durante il 1907 furono costretti a trasferirsi all’estero, in Svizzera, Inghilterra, Francia,
e i congressi del POSDR e del PSR tornarono a svolgersi fuori dalla Russia. L’analisi compiuta da Martov e
Aksel’rod, poneva l’accento sul carattere prematuro della rivoluzione: era stata l’arretratezza sociale ed
economica della Russia a determinare la vittoria della controrivoluzione. Diverse erano, invece, le
conclusioni ricavate dai bolscevichi: per Lenin la novità del 1905 era rappresentata dal fatto che il popolo
aveva manifestato la sua «creatività rivoluzionaria», e che nelle condizioni russe i contadini, e non la
borghesia, erano i veri alleati degli operai nella rivoluzione democratico-borghese. Menscevichi e
bolscevichi dal Congresso congiunto dell0aprile del 1906 fino al 1912 rimasero formalmente uniti in un
unico partito: POSDR. Il partito rivoluzionario che attraversò la crisi più grave fu il PSR: la sua organizzazione
giunse quasi a estinguersi. Gravi colpi furono la morte di alcuni esponenti del partito ma soprattutto lo
scandalo del 1908, quando fu reso noto che Azev, a capo dell’OC del partito, era una spia della polizia
segreta zarista: l’ Ochrana (Ajrana41). Lo zar, da parte sua, e gli ambienti reazionari, negavano che il regime
autocratico avesse corso un pericolo. Gli ambienti dei proprietari terrieri conservatori facenti capo alla
Nobiltà unita avevano ricavato dall’esperienza rivoluzionaria due insegnamenti: 1. L’importanza di avere
36
Questi, infatti, fecero l’appello di Vyborg (Vyborg è una città a nord-ovest di S. Pietroburgo a est del lago Ladoga e
vicina al confine con la Finlandia). Inoltre i KD furono penalizzati dal riorientamento conservatore della nobiltà.
37
Fondatore, leader e figura preminente nel partito dei KD.
38
Leader del partito bolscevico nel POSDR.
39
Portavoce del partito menscevico nel POSDR. Scrive insieme a Lenin su «Iskra» a Monaco di Baviera
40
Leader e fondatore del Partito SR.
41
La j si legge come quella spagnola.

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Russia contemporanea
uno Stato capace di tutelare gli interessi delle classi possidenti; 2. La necessità di promuovere
l’individualismo economico e di difendere i diritti di proprietà. La risposta alla sfida del 1905 è stata quella
di Stolypin, protagonista della politica fino alla morte nel 1911. Stolypin considerava la rivoluzione dell’alto
come l’unica alternativa vincente alla rivoluzione dal basso.

XVII. Stolypin e la terza Duma

La nuova legge elettorale sortì l’effetto sperato dal governo: nella terza Duma, insediatasi nel novembre
1907 e destinata a durare cinque anni, cioè per tutto il tempo previsto dalla legge, circa 300 deputati su 442
appartenevano a vari gruppi politici monarchici e alla Lega del 17 ottobre (Ottobristi) di Gučkov, che
rappresentava gli interessi dei proprietari terrieri simpatizzanti della destra liberale. Esigue e divise erano,
invece, le forze di opposizione: i KD avevano 50 seggi, mentre i socialisti 30. Stolypin poteva contare, quindi,
sull’appoggio di 150 deputati ottobristi, spesso coalizzati con deputati della destra nazionalista, con i quali
condivideva la tutela degli interessi dei proprietari terrieri e la promozione dello sviluppo economico
capitalistico. La più importante riforma firmata da Stolypin, la legge del 9 novembre del 1906 sulla libertà di
uscire dall’obščina, fu sottoposta per la ratifica legislativa alla Duma dell’autunno del 1908 e al Consiglio di
Stato del 1910. Nella Duma fu introdotta una modifica pronta a rafforzare l’impatto della legge: nelle
comunità che per 24 anni non avevano proceduto a ripartizione gli appezzamenti dovevano essere
automaticamente considerati proprietà privata del capofamiglia. La legge fu approvata con una
maggioranza di soli due voti. Le più importanti iniziative di legge realizzate da Stolypin sono riconducibili a
una politica nazionalista: 1. La costituzione del 1909-12 come provincia russa della regione di Chelm 42
(frutto dell’accorpamento di 11 distretti fino al quel momento appartenenti alle provincie polacche), 2. Il
ridimensionamento nel 1910 dell’autonomia finlandese (sia per le libertà civili che per le prerogative del
parlamento); 3. L’introduzione nel 1911 degli zemstva nelle 9 province occidentali (con un sistema
elettorale modificato per favorire i contadini russi, bielorussi, ucraini, rispetto a proprietari terrieri
polacchi). Quest’ultime riforme aveva sottolineato le difficoltà di Stolypin. Esse scaturivano dal difficile
rapporto con il sovrano e dal cementarsi attorno allo zar l’Unione del popolo russo, i sostenitori più fanatici
dello sciovinismo russo. Queste difficoltà furono aggravate, a partire dal 1910, da tensioni in parlamento
con gli ottobristi, che chiedevano: 1. La riforma dell’unità minima dell’autogoverno locale ( volost’); 2. Il
potenziamento dell’istruzione pubblica (in difesa della libertà di religione); 3. Il riconoscimento delle
competenze della Duma in materia di bilancio dello Stato. Il conflitto su quest’ultimo tema si accese in
occasione della riforma dello Stato maggiore della Marina: la Duma approvò nuovi finanziamenti per le
forze armate. Lo zar considerò questo comportamento come una interferenza nelle sue prerogative e
respinse il progetto, contro il parere di Stolypin. La spaccatura tra Stolypin e gli ottobristi avvenne in
occasione della crisi degli zemstva occidentali, quando il primo ministro, di fronte alla bocciatura del
provvedimento da parte del Consiglio di Stato, decise di far passare la proposta come decreto di
emergenza, ricorrendo all’articolo 87 delle Leggi fondamentali (ovvero: quando la Duma non era in
sessione, il Consiglio dei ministri poteva legiferare con l’approvazione dello zar) . Aveva in tal modo forzato
la mano dello zar e suscitato il malcontento degli ottobristi. Qualche mese dopo il primo settembre 1911, si
consumò il suo assassinio, in un attentato compiuto a Kiev da Bogrov, figura simpatizzante degli SR e
informatore dell’Ochrana. A Stolypin successe Kokovcov, fino al 2 gennaio 1914, quando subentrò, ancora
una volta Goremykin43.

XVIII. Riforma agraria, mobilità sociale e nazionalizzazione delle masse

La riforma agraria di Stolypin si arenò ben prima del 1914 soprattutto a causa della radicata ostilità
contadina verso la dissoluzione degli ordinamenti comunitari. Anche laddove i contadini si staccarono dalla
42
Si trova sulle Colline del Roztocze (anche Bore) polacche a sud-est di Varsavia e a pochi chilometri da Leopoli in
Ucraina.
43
Goremykin iniziò la sua carriera politica nel ministero della giustizia, per poi passare nel 1891 al ministero
dell'interno, di cui fu messo a capo dal 1895 al 1899. Per via della sua ideologia ultra-conservatrice Goremykin fu
particolarmente gradito dallo Zar Nicola II di cui fu uno degli uomini di maggiore fiducia, proprio durante il regno di
Nicola II Goremykin ricoprì per due volte la carica di primo ministro dell'impero.

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Dario Cositore
comunità contadina non si ebbero gli incrementi sperati, perché gli appezzamenti non avevano dimensioni
sufficienti, ma soprattutto perché persisteva il frazionamento in strisce della terra. Più consistente invece fu
l’impatto della politica colonizzatrice nei territori siberiani. Tra il 1906 e il 1919 i nuovi coloni che si
trasferirono in Siberia e in Asia centrale furono circa tre milioni. Dopo il nuovo prestito francese del gennaio
1909 l’economia era in espansione: aumento della produttività e produzione di beni di consumo. Un fattore
importante di stimolo dell’industria pesante fu rappresentato dalle politiche di riarmo e dal potenziamento
delle forze armate. Nel periodo 1907-14 la crescente diversificazione interessò la classe produttiva e
imprenditoriale: la buržuazija. Si attuavano nel frattempo progressi nel campo della tutela sociale, con le
leggi che istituivano l’assicurazione per infortuni e malattia, finanziata da operai e datori di lavoro.
L’impatto delle politiche statali presentò anche in Russia il carattere di un’accelerazione di
«nazionalizzazione delle masse». A partire dal 1906-07 la contrapposizione tra modernizzatori e
conservatori nel settore militare divenne esplicita, assumendo i connotati dello scontro tra Stato e
ministero dell’Interno: entrambi avevano un progetto di ispirazione autoritaria, ma i fautori della riforma
intendevano ancorarlo alla nazione. Nel 1912 ottennero un parziale successo, con il varo di una nuova legge
sulla coscrizione che si poneva l’obiettivo di migliorare le condizioni fisiche delle reclute, di ridurre le
categorie esentate, di rendere il servizio militare un’esperienza condivisa che potesse avvicinare élite e
popolo.

XIX. Polarizzazione o stabilizzazione?

Dopo la morte di Stolypin (1911) si manifestarono segnali di novità nell’organizzarsi di un nuovo gruppo
politico: i progressisti (1912). Questi intendevano far confluire ottobristi, KD di destra, intelligencija
progressista e borghesia produttiva. Alle elezioni della quarta Duma, che aprì i battenti il 15 novembre
1912, i partiti di destra conquistarono circa 185 seggi, gli ottobristi 98, e i partiti alla loro sinistra 150: tra
questi ultimi, oltre i KD, con 59 seggi, e i socialisti, vi erano i progressisti con 48 deputati (quindi la destra
aveva il 3% in più di vantaggio). Rispetto alla terza Duma si riscontra uno spostamento dell’asse politico da
destra verso centro. Nella nuova Russia «semicostituzionale», la Duma era una componente debole
dell’assetto istituzionale. La Corte e gli ambienti che le ruotavano intorno rimanevano un importante centro
di influenza politica, tanto più negli anni di vita del regime, quando subentrarono fattori di
condizionamento delle scelte compiute dallo zar quali: 1. La preoccupazione suscitata dall’emofilia
dell’erede al trono Aleksej; 2. L’invadenza nelle questioni di Stato della zarina Aleksandra Fedorovna; 3. L’
influenza psicologica dal monaco Rasputin sulle scelte della famiglia imperiale. Ripetutamente esponenti
del governo e del mondo politico cercarono di allontanare Rasputin dalla famiglia imperiale e dalla corte.
Appena insediata la quarta Duma affrontò la questione Rasputin, ottenendo così un momentaneo
allontanamento dalla capitale. Ma una grave crisi emorragica attraversata dallo zarevič Aleksej nell’ottobre
del 1912 rese il monaco nuovamente indispensabile agli occhi della zarina, che attribuì la salvezza del figlio
ai poteri di Rasputin. Da allora la posizione del monaco divenne inattaccabile. Ciò non limitava il gossip
intorno alla figura di Rasputin sui suoi costumi che coinvolsero anche i membri della famiglia imperiale.
Dopo il 1905, e ancora di più dopo il 1912, si accentuò nell’Impero russo un processo «polarizzazione»
lungo tre assi: 1. La frattura tra lo zar e il proprio governo; 2. La distanza tra società e partiti da un lato e
autocrazia dall’altro; 3. La frattura tra società colta e masse popolari. Negli anni che precedono la Prima
guerra mondiale la storia Russia presenta dunque tendenze di sviluppo contraddittorie. Il radicarsi di ostilità
tra ceti, etnie, classi, disegna il quadro di una società, destinata a disgregarsi sotto la pressione del
coinvolgimento bellico.

XX. Formazione dell’Intesa e questione balcanica: verso la guerra

Alcune premesse dell’Intesa tra Russia, Francia, Inghilterra risalgono agli ultimi decenni dell’Ottocento. Una
riedizione dell’Alleanza tra i tre imperatori, stipulata nel 1881 e rinnovata nel 1884, naufragò ancora una
volta sullo scoglio dei contrasti tra Russia e Austria-Ungheria nei Balcani. Decaduta l’alleanza, Germania e
Russia non rinunciarono a cementare la propria amicizia diplomatica, e stipularono nel 1887 un trattato di
contro-assicurazione, che fu denunciato nel 1890. L’isolamento politico-diplomatico, acuito dalla
competizione globale con la Gran Bretagna spinge la Russia a cercare nuove alleanze: la rottura con la

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Russia contemporanea
tradizionale politica filo-tedesca imponeva la ricerca di un accordo con la Francia, tanto più che i capitali
francesi erano necessari a finanziare il debito pubblico e l’industrializzazione russa. Fu stipulato così
l’alleanza franco-russa del 1893-94: le due potenze si impegnavano al reciproco soccorso in caso di
aggressione da parte della Triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria e Italia). L’anno seguente la
Germani metteva a punto il piano Schlieffen, la cui strategia prevedeva la concentrazione del potenziale
bellico tedesco contro la Francia nelle prime settimane di guerra, per poi volgersi contro il nemico sul fronte
orientale. La svolta nel sistema delle alleanze si completò in seguito ai nuovi equilibri geopolitici scaturiti
dalla sconfitta con il Giappone. L’Inghilterra non considerava più l’Impero zarista come la principale
minaccia in Asia per gli interessi dell’Impero britannico e ciò pose le premesse di un evento di importanza
storica: l’avvicinamento diplomatico, culminato nella Convenzione anglo-russa del 1907, con il quale si
definivano le rispettive zone di influenza in Persia, sia affermava la preminenza degli interessi britannici in
Afghanistan e si riconosceva la sovranità della Cina sul Tibet. Dal momento che nel 1904 Francia e
Inghilterra avevano stipulato la Duplice Intesa, il patto del 1907 segnò l’inizio della Triplice Intesa anglo-
franco-russa che avrebbe combattuto contro gli imperi centrali durante la Prima guerra mondiale. La
sconfitta in Estremo Oriente e gli accordi con gli inglesi in Asia produssero lo spostamento del baricentro
della politica estera russa verso l’Europa, e in particolare nei Balcani. In Russia il consenso attorno a queste
direttrici di politica estera era ampio, in quanto si percepiva la minaccia del pangermanesimo culturale,
economico e militare dei Balcani e della Turchia. Tale sensibilità era motivata dalla consapevolezza che dal
quel rapporto dipendeva la sicurezza della frontiera occidentale dell’Impero e il successo nella
competizione con i tedeschi in quell’area. Vi era poi un ampio convergere delle forze politiche moderate e
democratiche, ma non dei socialisti, attorno alla necessità di rafforzare il potenziale bellico. Gli ottobristi
erano fautori della destinazione di quote più ampie del bilancio statale alle spese militari e della riforma
della forze armate; i KD, da Struve a Miljukov, consideravano l’accesso ai Dardanelli come uno degli
obiettivi prioritari della politica estera russa. Nel 1908, mentre l’Impero ottomano era scosso dalla
rivoluzione dei giovani turchi, Izvolskij 44, agendo di propria iniziativa, cercò di risolvere la questione degli
stretti stipulando un accordo, nel quale l’Impero asburgico riconosceva le aspirazioni russe sui Dardanelli in
cambio del consenso dell’annessione della Bosnia-Erzegovina. Gli austriaci agirono immediatamente, senza
attende che la Russia ottenesse l’approvazione per l’accesso agli stretti, negata, in primo luogo, proprio
dalla Gran Bretagna. Izvolskij aveva incassato l’umiliante sconfitta diplomatica che denunciava un problema
di fondo: l’Impero zarista era troppo debole sul piano militare e non poteva rischiare di aprire un
contenzioso con l’agguerrita potenza tedesca. Stolypin fu sempre fermo nel raccomandare ai propri ministri
estrema cautela in politica estera. La penetrazione della Germania nei Balcani nell’Impero ottomano si
intensificò a partire dal 1908 con la costruzione della ferrovia Berlino-Baghdad, e giunse ad assumere
carattere provocatorio nei confronti della Russia verso la fine del 1913, quando un generale tedesco fu
messo a capo delle forze turche a Costantinopoli. Di fronte ad una simile eventualità, per garantire gli
interessi russi in quell’area non rimaneva che la guerra, ormai considerata inevitabile; al tempo stesso, si
era consapevoli che la Russia non era ancora pronta ad affrontare il conflitto. Tale consapevolezza aveva
suggerito una politica cauta in occasione delle guerre balcaniche: nella prima (1912) Bulgaria, Serbia, Grecia
e Montenegro si allearono e sconfissero la Turchia, ottenendo incrementi territoriali; nella secondo (1913) i
conflitti tra i vincitori a proposito dei confini provocarono la coalizione di tutte le forze (compresi i Turchi)
contro la Bulgaria, che ne uscì ridimensionata.

Figura 9: Guerre Balcaniche. Fonte: Wikipedia.

XXI. La prima guerra mondiale

Durante la guerra si sviluppa una rete di organizzazioni civili e professionali collegate all’amministrazione
pubblica, un complesso parastatale impiegato nella gestione dei settori cruciali quali le forniture per
l’esercito e la raccolta e la distribuzione delle risorse alimentari ed energetiche. Tali istituzioni sorgono e si
affermano nel momento in cui le priorità della guerra ne impongono la subordinazione allo Stato e alla sua
azione di «militarizzazione» della società e dell’economia. Ciò contribuisce a porre le basi di quelle politiche
44
Ministro degli Esteri dell’Impero russo dal 1906 al 1910.

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dai tratti dirigisti, concernenti, ad esempio, la distribuzione del grano, varate prima dal Governo provvisorio
poi dal regime bolscevico. L’accelerazione dei processi di nazionalizzazione costituisce un altro elemento
che giustifica l’attribuzione agli anni del Prima guerra mondiale del valore di turning point nella storia russa.
Con la mobilitazione totale e l’abolizione delle categorie esentate dalla leva obbligatoria si adotta una
classificazione di tipo nazionale-moderno della popolazione, basata su etnicità e classe, che subentra a
quella tradizionale, imperniata su ceto e religione. Le implicazioni di questa scelta sul versante
dell’inasprimento della conflittualità tra gruppi etnici sono rilevanti, data la composizione multietnica
dell’Impero e la debolezza dell’elemento nazionale russo nelle regioni periferiche. Anche il nazionalismo
russo assume durante la guerra una connotazione nuove: alla spinta assimilatoria della russificazione
subentra l’intervento dello Stato nel manipolare ed escludere intere categorie di popolazione, che in qualità
di «nemico interno» sono sottoposte a misure di internamento, privazione dei beni e deportazione. Si
assimilano al nemico interi gruppi entici dell’Impero considerati inaffidabili: tedeschi, ebrei, zingari, tartari,
musulmani e l’intelligencija nazionale in Ucraina, Polonia e paesi baltici. Ciò che caratterizza la Russia è
quindi un continuum di crisi guerra-rivoluzione-guerra civile.

XXII. Al fronte: le tappe salienti del conflitto fino all’autunno 1916

Come si è visto, il mutamento degli equilibri europei e le spinte nazionaliste interne avevano contribuito ad
accrescere i motivi di conflitto tanto con l’Austria-Ungheria quanto con la Germania, e a risaldare l’alleanza
con la Francia e l’Inghilterra. La Russia scende in guerra in quanto dipendeva economicamente dalla Francia
e, inoltre, perché avrebbe dovuto combattere da sola contro la Germania. Alla dichiarazione di guerra
dell’Austria alla Serbia (15/28 luglio 1914) il governo russo rispose con la mobilitazione generale ; la
Germania, dopo averne chiesto inutilmente la sospensione con un ultimatum dichiarò guerra (19 luglio/1
agosto 1914) alla Russia e due giorni dopo alla Francia. La notizia dell’entrata in guerra fu accolta da una
vera e propria entrata di entusiasmo patriottico; la Duma, presieduta dall’ottobrista Rodzjanko, giunse a
autosospendersi per favorire l’unità del paese attorno allo zar nell’ora critica della lotta (26 luglio). Il
consenso alla guerra era stato manifestato soprattutto dalle classi superiori e medie, dalla società colta e
dal mondo politico. Durante il primo anno di guerra, gli scioperi cessarono del tutto. Il completamento dei
piani russi di riarmo era previsto per l’autunno 1917: la mobilitazione generale fu portata la termine con
successo in solo tre giorni, scompaginando i calcoli dei tedeschi, il cui piano Schlieffen confidava sul fatto
che la Russia avrebbe avuto bisogno per essere pronta di almeno tre mesi. Il fatto è che ci si attendeva, in
Russia come negli altri paesi, una guerra di breve durata. Quando la Prima guerra mondiale rivelò la propria
natura di guerra totale e di logoramento, essa mise a dura prova l’organizzazione, il potenziale e le risorse
di tutti gli Stati. Nel caso dell’Impero zarista, rese palesi inefficienze, in settori cruciali quali: l’apparato
produttivo industriale, le comunicazioni, i trasporti, il coordinamento amministrativo e burocratico e il
servizio informazioni. Ad aggravare le difficoltà dell’esercito russo contribuiva il suo dispiegamento a
copertura di un fronte amplissimo, dal Baltico al Mar Nero. L’apertura del fronte tedesco fu un grave errore
strategico. Inizialmente le truppe comandate dal generale Brusilov avevano sfondato le linee austriache in
Galizia e in Bucovina ed erano avanzate lentamente fino ai Carpazi 45. Ma le pesanti sconfitte inflitte dai
tedeschi nelle battaglie di Tännenberg e dei Laghi Masuri 46 costrinsero l’esercito russo ad abbandonare la
Prussia orientale. Abbandonando nelle mani del nemico i territori della Polonia occidentale. Nel frattempo,
a ottobre, si era aperto il terzo fronte nel Caucaso, in seguito dell’entrata in guerra della Turchia. Nella
primavera 1915 gli Imperi centrali lanciarono una massiccia offensiva sul fronte orientale e l’esercito russo,
già in difficoltà per la crisi degli approvvigionamenti, fu costretto alla ritirata, che costò gravi perdite:
Polonia, Lituania e buona parte della Lettonia erano in mani tedesca, mentre Galizia e Bucovina erano state
riconquistate dagli austriaci. In agosto lo zar assunse personalmente il comando delle forze armate, il cui
quartier generale (stavka) fu trasferito a Mogilev47. Con l’allontanamento di Nicola II dalla capitale,
l’influenza della zarina e del suo entourage negli affari politici e negli intrighi di corte si accrebbe. Inoltre, la
scelta di incarnare una concezione tradizionale del monarca, che guidava personalmente le truppe alla
vittoria, esponeva lo zar al malcontento popolare nel caso di andamento negativo della guerra. Nei primi
45
I Carpazi si trovano tra Galizia e Romania: vedi figura numero 10.
46
Nord-est della Polonia.
47
Oggi la città si chiama Mahilëŭ e si trova nell’est della Bielorussia.

18
Russia contemporanea
mesi del 1916 il fronte si era stabilizzato e i tedeschi si erano resi conto che sarebbe stato difficile
sconfiggere definitivamente un nemico disposto a sostenere perdite, umane e territoriali, tanto ingenti.
All’inizio dell’estate, in seguito all’afflusso di armi e munizioni, le forze russe lanciarono nuove offensive sul
fronte meridionale e caucasico: Brusilov guidò tra giugno e agosto una nuova avanza in Galizia e Bucovina,
che non ricevette supporto dai comandanti dl fronte nord-occidentale, quindi nonostante la vittoria, la
gestione non fu delle migliori. Un’altra offensiva vittoriosa fu condotta sul territorio rumeno orientale, per
impedire l’occupazione tedesca della Romania, scesa in guerra a fianco della Russia il 14/27 agosto. Infine,
le forze russe comandate da Judenič avevano conquistato nel corso del 19016 territori in Persia e in
Turchia, per contrastare il controllo Turco. Nonostante questi successi, però, nell’autunno del 1916 era
ormai evidente che, con quella direzione politica e militare, la guerra non avrebbe potuto essere vinta. Le
riserve di uomini avevano dimostrato di essere tutt’altro che inesauribili. Se è vero che l’esercito russo era il
più grande del mondo, la cattiva organizzazione della riserva, l’arretratezza di sistemi di intelligence, la
carenza di trasporti ferroviari, che impedivano il rapido trasferimento degli uomini da un fronte all’altro, ne
decurtavano il potenziale.

Figura 10: Schieramenti prima guerra mondiale. Fonte: Google.

XXIII. Nelle retrovie: economia, società e produzione bellica

Dopo i primi sei mesi di guerra, le truppe al fronte dovettero fare i conti con una grave penuria di armi e
munizioni, che talvolta costringeva ad affrontare il nemico a mani nude, o semplicemente a rinunciare
l’attacco, con effetti disastrosi sul morale. La gravità del momento spinse il governo a riconoscere la
necessità di collaborare con esponenti del mondo produttivo. Furono istituiti nell’agosto del 1915 i Consigli
speciali per la Difesi, per i Trasporti, per l’Alimentazione e per il Carburante. Ad essi faceva riferimento il
Comitato centrale delle industrie belliche il cui compito principale era quello di convogliare il potenziale
industriale verso la produzione bellica. Fin dall’inizio della guerra l’Unione degli zemstva e l’Unione delle
amministrazioni municipali si erano adoperate nel campo dei rifornimenti e dell’assistenza ai feriti e ai
rifugiati. In seguito agli eventi dell’estate del 1915 fu riconosciuta l’importanza di quel contributo volontario
a sostegno dello sforzo bellico e fu consentito alle due organizzazioni di unificarsi per dare vita allo Zemgor.
Il governo si sforzò di risolvere il problema della carenza di armi e munizioni: verso la fine del 1916 la
produzione aveva raggiunto livelli soddisfacenti e negli ultimi mesi della guerra era superiore ala media
degli altri paesi. Invece, l’industria pesante e dei beni di consumo dettero cattiva prova. Queste difficoltà
produttive furono aggravate dal crollo commerciale e dei trasporti con l’estero. In generale, gli altri
comparti furono sacrificati a quello militare, e ciò produsse squilibri tra settori industriali che, causarono
scompensi gravi all’interno del sistema economico e sociale. Per l’agricoltura russa le condizioni climatiche
e di manodopera erano state buone durante la guerra. Inoltre, l’interruzione delle esportazioni durante la
guerra favoriva la formazione di eccedenze, anche se si avvertiva una grave crisi produttiva di macchinari
agricoli e altri utensili. La risposta dei contadini all’arretramento delle condizioni tecniche fu l’autoconsumo
e l’immagazzinamento delle scorte. Le campagne reagivano alla precarietà del tempo di guerra con
l’autarchia alimentare, la frammentazione delle grandi proprietà, il piccolo artigianato e l’autosufficienza,
anche nella produzione di vodka, il cui divieto di vendita, promulgato dopo l’inizio della guerra per
combattere la piaga dell’alcolismo e il deterioramento della salute dei cittadini-soldati, ebbe effetti dannosi
non solo sulle finanze dello Stato, ma anche sulla qualità del prodotto. I prezzi del grano salivano, mentre la
penuria di viveri si faceva sentire. La risposta dello Stato fu, con il decreto del 17 febbraio 1915, di
calmierare i prezzi per i beni destinati all’esercito e di ricorrere a requisizioni forzate a prezzi scontati nel
caso i contadini si rifiutassero di vendere a prezzi stabiliti. In seguito, quando nell’autunno 1916 la crisi
alimentare dei centri urbani si aggravò, il governo impose prezzi fissi a tutto il settore, istituendo un sistema
di requisizioni obbligatorie e di ammassi annonari che mirava a sottrarre del tutto la raccolta del grano al
funzionamento del mercato. Dopo gli iniziali successi, questi interventi dello Stato si rivelarono
controproducenti per l’afflusso dei prodotti alimentari dalle campagne alle città: i contadini reagirono infatti
con l’occultamento delle scorte e la riduzione della produzione.

19
Dario Cositore
XXIV. Al vertice: la Duma, i partiti, la corte e il governo

Dopo l’autosospensione all’inizio del conflitto, e una breve sessione nel gennaio del 1915, la Duma fu
rievocata il 19 luglio, quando il pessimo andamento della guerra sollecitò il regime a ricercare una base si
consenso più ampia. I lavori dell’assemblea proseguirono per sei settimane, durante le quali gli esponenti
dei partiti di destra moderata, centro e sinistra moderata (da Nazionalisti di sinistra ai KD) dettero il via al
Blocco progressista. In un programma in nove punti il Blocco chiedeva un governo che godesse della fiducia
pubblica intenzionato a cooperare con l’assemblea legislativa e la società civile. Secondo alcuni studiosi
l’intento politico del Blocco era l’attuazione del progetto parlamentarista. Per altri, invece, esso puntava ad
un compromesso ragionevole. Benché molti ministri si erano espressi a favore di una ricerca di
compromesso con la Duma, lo zar decise di scioglierla e di licenziare i tre ministri che si erano opposti alla
sua assunzione diretta del comando delle forze armate e riconferma Goremykin. Colore che sono inclini a
considerare la guerra come l’ultima occasione per la Russia zarista di gettare un ponte tra Stato e società,
sostengono che furono proprio le decisioni assunte dallo zar a recidere ogni opportunità di creare una
coesione nazionale ispirata dal patriottismo. Nel gennaio del 1916 anche Goremykin fu allontanato, e al suo
posto lo zar nominò capo del governo Sturmer. La decisione però contribuì a minare ulteriormente le basi
di consenso del governo, non solo per la vicinanza di Sturmer con Rasputin, ma perché il cognome ne
faceva un bersaglio ideale per il montante nazionalismo antitedesco.

XV. Verso la rivoluzione

La crisi della monarchia diveniva di giorno in giorno più grave, favorita dalle ambigue manovre di corte, dal
crescente peso politico della zarina e dal ruolo svolto da Rasputin. Anche tra i monarchici si faceva strada la
convinzione che un rivolgimento politico sarebbe stato inevitabile, se si volevano impedire l’umiliazione
della sconfitta e il divampare della rivoluzione. Quest’ultima era ormai percepita come un pericolo concreto
perché alla delegittimazione dei vertici dello Stato si accompagnava il peggioramento della vita quotidiana
di milioni di persone, a causa dell’inflazione, che erodeva il potere d’acquisto, anche, ai lavoratori
privilegiati impiegati delle industrie militari. Nell’autunno del 1916 la situazione delle città era diventata
critica: le code per il pane e per l’acquisto dei più elementari generi di consumo divenivano sempre più
lunghe, mentre l’introduzione delle tessere alimentari aveva sortito solo l’effetto di innalzare ulteriormente
i prezzi. Gli scioperi si intensificarono; cominciavano, inoltre, i primi casi di soldati che si rifiutavano di
sparare sulla folla, soprattutto nella capitale. Proprio a Pietrogrado (così era stata ribattezzata S.
Pietroburgo dopo lo scoppio della guerra) con l’arrivo del freddo, i disagi economici aumentarono. Quando
la Duma riaprì i battenti, il primo novembre del 1916, i lavori parlamentari divennero la tribuna ideale per
sferrare l’attacco al governo e obbligare lo zar ad accettare l’inevitabilità di una modifica in senso
parlamentare degli ordinamenti esistenti. Il Blocco progressista, in particolare i KD di Miljukov, chiesero le
dimissioni di Sturmer, accusato di intrattenere rapporti con il nemico tedesco. Lo zar, avvertendo
l’isolamento, licenziò il primo ministro Sturmer e lo sostituì con Trepov, mantenendo la Duma in sessione.
Non fu sufficiente in ogni caso per accontentare l’opposizione. Un’interpretazione della crisi che attribuiva
la sua origine alla figura di Rasputin, si risolse nel suo assassinio per poi gettare l cadavere nella Neva. Con
questo gesto si sperava di salvare lo zar e la dinastia dei Romanov. Ma era ormai troppo tardi.

XXVI. La rivoluzione di Febbraio

Tra il 23 e il 27 febbraio 1917 le strade di Pietrogrado furono teatro della seconda rivoluzione russa,
divampata dopo due anni e mezzo di guerra e sfociata nell’abbattimento della monarchia Romanov.
Essa fu il frutto di una mobilitazione di massa spontanea. Il malcontento popolare, alimentato da fame
scandali e presunti tradimenti, prese di mira i simboli del potere monarchico. La rivoluzione di Febbraio fu
in misura rilevante una lotta per il controllo dei simboli dello Stato: alla distruzione sistematica delle statue
degli zar, degli stemmi e di tutto ciò che rimandasse al potere autarchico, si contrapponeva nelle strade dei
vessilli del movimento rivoluzionario e socialista, primo fra tutti la bandiera rossa. Linguaggi e modalità
espressive traevano sovente ispirazione dalla rivoluzione francese: fu proprio la Marsigliese a divenire
l’inno dei rivoluzionari. La mobilitazione ebbe inizio con le manifestazioni pacifiche organizzate per la festa

20
Russia contemporanea
della donna, affiancate dagli operai scesi in sciopero per il pane. Approfittando della Neva ghiacciata, i
manifestanti riuscirono a superare i posti di blocco e a sciamare per le strade del centro. Il 25 febbraio fu
proclamato lo sciopero generale. Fu l’ordine dello zar a far cessare con la forza i disordini a far precipitare la
situazione: dopo aver sparato sulla folla e proclamato lo stato di assedio, le autorità cittadine dovettero
fronteggiare gli ammutinamenti di alcuni reggimenti. Il giorno 27 segnò il punto di svolta della rivoluzione:
cominciarono gli scontri aperti con la polizia, gli assalti alla prigioni, i saccheggi e i regolamenti di conti;
quasi 1500 persone persero la vita. Mentre gli insorti assumevano nei fatti il controllo della capitale , in due
sale del Palazzo di Tauride si riunirono i nuclei costitutivi del nuovo potere: il Comitato esecutivo
provvisorio del Soviet de deputati operari, egemonizzato dai militanti dei partiti socialisti moderati,
menscevichi e trudoviki, e il Comitato provvisorio per il ristabilimento dell’ordine e dei rapporti con le
istituzioni, costituita da deputati del Blocco progressista che avevano rifiutato di sottomettersi all’ordine
dello zar di sciogliere la Duma. Nel frattempo, Nicola II era partito per Carskoe selo48 (Sarstei selò),
determinato a ripristinare la propria autorità nella capitale, ma fu ostacolato dal dirottamento del treno sul
quale viaggiava. Fu allora che lo Stato maggiore chiese al sovrano di abdicare per salvare il paese e la
dinastia. Ma anche questa soluzione era ormai impraticabile: alla notizia che allo zar sarebbe subentrato il
fratello, il granduca Michele, le folle pietroburghesi insorsero inneggiando alla repubblica. Il nuovo zar
abdicò il 3 marzo: era la fine dei Romanov.

XXVII. Governo provvisorio e Soviet: il dualismo di potere

Il Governo provvisorio costituitosi il 2 marzo era composto da quattro KD (tra cui Miljukov), due
progressisti, due ottobristi, un socialista trudoviko e presieduto da un liberale senza partito. Il Soviet dei
deputati operai, ai quali si affiancarono i rappresentanti dei soldati, era un’assemblea che giunse a contare
circa tremila persone. I deputati soldati assunsero subito una posizione rilevante. Le decisioni erano
effettivamente prese dal Comitato esecutivo (Ispolkom), composto dai militanti dei partiti socialisti e
presieduto dal menscevico Čcheidze (Csjiize49). Nella notte tra primo e 2 marzo i due i due organismi
giunsero ad un accordo attorno ad un programma di otto punti individuato come fondamento dell’attività
di governo fino alla convocazione della Costituente. Esso prevedeva: 1. L’amnistia per tutti i prigionieri
politici; 2. L’immediata concessione delle libertà civili e dei diritti sociali; 3. La preparazione delle elezioni
per l’Assemblea Costituente; 4. Lo smantellamento degli organi di polizia e la loro sostituzione con milizie
popolari. Il Soviet, che non voleva assumere la responsabilità di governo, accordava al Governo provvisorio
un sostegno condizionato, nei limiti degli obiettivi programmatici suddetti, svolgendo il ruolo di «custode»
del governo. Ne risultò il cosiddetto «dualismo di potere», descritto come un sistema nel quale il soviet
deteneva il Soviet deteneva il potere senza responsabilità, e il Governo provvisorio le responsabilità senza il
potere. Nel corso della primavera-estate vi furono varie occasioni in cui il Soviet avrebbe potuto assumere
direttamente il potere, ma non lo fece in quanto i leaders dell’Ispolkom erano inadeguati nel ruolo di
statisti. Le difficoltà invece che incontrerà il Governo provvisorio, invece, sono proprio legate al dualismo
del potere. Alcuni studiosi ritengo opportuno chiamare questa fase con «moltitudine di poteri locali»
anziché dualismo di potere, in quanto le riforme attuate dal Governo, smantellando la macchina
amministrativa, privarono al Governo stesso degli strumenti per gestire il caos. È vero che tali
provvedimenti erano stati varati in seguito agli accordi con il Soviet; ma è anche vero che erano in sintonia
con la tradizione culturale dell’intelligencija democratica russa nella quale la fede nell’autogoverno si
combinava con la diffidenza verso gli apparati statali.

XXVIII. Ceti urbani e operai: la rivoluzione nelle città

Nelle giornate di febbraio fu Pietrogrado la protagonista della rivoluzione. Dal 28 dimostrazioni e scioperi
investirono anche le altre città russe. Ma fu solo dopo l’abdicazione che nell’intero paese cominciò a
48
Palazzo della famiglia imperiale a 26km a sud si S. Pietroburgo.
49
La j si pronuncia come in spagnolo.

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Dario Cositore
diffondersi la percezione del crollo dell’autorità. Nel volgere di poche settimane furono creati ovunque
Soviet, comitati e milizie popolari. Nacquero centinaia di nuovi giornali. Numerose categorie di lavoratori,
tradizionalmente poco organizzati e politicizzati, manifestavano per rivendicare migliori condizioni di lavoro
e rispetto come cittadini. Anche il coinvolgimento dei ceti medi era notevole. Nei mesi successivi alla
rivoluzione di Febbraio la politicizzazione della società conobbe una notevole accelerazione. Ciò permise ai
partiti di influenzare un numero maggiore di popolazione, ma la varietà dei linguaggi mise a dura prova
l’egemonia dell’intelligencija. Nel corso della primavera aumentano gli scioperi. Alla metà di marzo era
stata ottenuta, a parità di salario, la giornata di 8 ore per tutti i lavoratori, anche quelli coinvolti nella
produzione bellica. I comitati di fabbrica diventavano il referente della mobilitazione al posto dei sindacati e
dei Soviet. La formazione della Guardia rossa comportò inoltre la consegna delle armi agli operai e la
creazione di una milizia parallela a quella del governo. Alcuni settori operai e militari svolgevano il ruolo di
avanguardie rivoluzionarie ed era qui che i Bolscevichi reclutavano con maggior successo.

XXIX. La rivoluzione nelle campagne e nelle periferie dell’Impero

L’ampiezza delle distanze, i rigori dell’inverno e le difficoltà nelle quali versava la rete dei trasporti fecero sì
che nelle campagne la notizia dell’abdicazione dello zar si diffondesse più lentamente; in alcune località
giunse addirittura con qualche mese di ritardo. La prima reazione dei contadini fu di rientrare, laddove se
ne erano distaccati, nella comunità contadina, considerata l’unica difesa in tempi incerti e lo strumento più
efficace per impadronirsi delle terre della nobiltà. Nelle campagne, conseguenza immediata della
rivoluzione fu il rafforzamento dell’obščina e della solidarietà all’interno dei villaggi, uniti nella lotta per la
terra condotta contro gli altri (proprietari terrieri, mercanti, funzionari dello Stato e contadini delle terre
vicine). Al tempo stesso l’ambiente rurale era percorso da significative trasformazioni sociali: durante gli
anni della guerra conobbe una decisiva accelerazione quella «rivoluzione di genere al maschile», cominciata
dopo il 1905, che consisteva nell’emancipazione dei giovani uomini dai vincoli del patriarcato e nel
subentrare all’anziano nella comunità, come modello di potere maschile, del giovane vigoroso e
disciplinato. Come già era accaduto nel 1905, alla rivoluzione divampata al centro dell’Impero si
accompagnò il fiorire di movimenti nazionali nelle periferie. Due fattori si rivelarono determinanti: la
limitata capacità di governo provvisorio di dare una risposta politica che soddisfacesse le rivendicazioni
autonomistiche senza mettere in pericolo l’unità dello Stato e l’integrità dei confini. La mobilitazione
nazionale inaugurata dal Febbraio fu amplissima e interessò numerose popolazioni sulla frontiera
occidentale e meridionale, nell’area caucasica, nelle zone tatare 50 e musulmane dell’Europa e dell’Asia
centrale. Se si escludono polacchi e svedesi, nessun movimento giungeva a rivendicare l’indipendenza: si
spaziava dalla tutela linguistica e culturale dei piccoli popoli allogeni del medio Volga alle rivendicazioni
autonomistiche degli ucraini nel quadro di una Russia federale.

Figura 11: Maggiori fiumi europee. Fonte: Google.

Il parlamento finlandese giunse alla fine del mese di giugno a proclamare l’indipendenza, e fu per questo
motivo sciolto con la forza dal governo russo; la Rada 51 ucraina il 10 dello stesso mese promulgò la prima
“Universale”, una dichiarazione delle libertà ucraine nella quale si auspicava l’elezione di un’assemblea
nazionale sovrana e si istituiva un organo esecutivo autonomo, la Segreteria generale.

XXX. La rivoluzione nell’esercito e la questione della guerra e della pace

Le ripercussioni del Febbraio sull’esercito russo furono rilevanti, innanzitutto dal punto di vista della
disciplina militare: i comitati dei soldati, che ritenevano fosse proprio diritto intervenire su ogni aspetto,
assunsero ben presto un atteggiamento conflittuale e rivendicativo nei confronti degli ufficiali, puntando a
sovvertire l’assetto di potere consolidato, ad attuare una rivoluzione sociale nelle trincee analoga a quella
che gli operai stavano realizzando nelle città. Non mancarono atti di violenza perpetrati da parte dei soldati-
50
Tra Mosca e Jekatinenburg.
51
Significa consiglio o assemblea.

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Russia contemporanea
contadini nei confronti dei «signori», in molte unità dell’esercito quest’aspra conflittualità sociale minò alle
fondamenta ogni possibile solidarietà patriottica attorno allo sforzo bellico. Le diserzioni divennero un
fenomeno di massa, gravido di conseguenze militari e sociali: mentre al fronte si accelerava il processo di
sfaldamento dell’esercito, nelle retrovie bande di soldati armati facevano ritorno ai rispettivi luoghi di
origine. Per il nuovo governo la questione della prosecuzione della guerra costituiva un nodo cruciale:
mentre il ministro degli esteri Miljukov aveva ribadito la volontà della Russia di continuare la guerra fino
alla vittoria, mantenendo fermo gli obiettivi strategici concordati con gli alleati (controllo degli Stretti e
Costantinopoli) , il Soviet aveva adottato la linea del «difensivismo rivoluzionario», per una pace senza
annessioni e indennità. Quest’ultima linea fu approvata alla fine di marzo dal primo Congresso panrusso dei
Soviet. Solo i bolscevichi, ancora minoritari nel Soviet, si pronunciarono per l’uscita della Russia dalla
guerra. Sia il Governo provvisorio che il Soviet erano interessati a ripristinare l’ordine. La soluzione si
presentò quando, prima Gučkov e poi Miljukov, la cui presenza era divenuta il principale ostacolo per
l’ingresso dei socialisti nel governo, presentarono le dimissioni: il 5 maggio entrarono nel primo governo di
coalizione cinque ministri socialisti. Le conseguenze politiche di questa soluzione furono significative e
impreviste. Piuttosto che rafforzare la coalizione tra forze progressiste e socialisti moderati, essa favorì la
polarizzazione delle forze in campo, da un lato spingendo i KD a destra, dall’atro esponendo menscevichi e
rivoluzionari agli attacchi da sinistra.

XXXI. La rivoluzione di Ottobre

Allo scoppio della rivoluzione di Febbraio gran parte dei leader dei partiti rivoluzionari russi erano all’estero,
in prigione o in esilio. Tornarono nella capitale Trockij da New York a Marzo, Černov da Parigi ad aprile e
Martov da Zurigo a maggio. Anche Lenin era a Zurigo e riuscì alla fine di marzo a organizzare il rientro in
Russia aiutato dal governo tedesco interessato a favorire il successo della propaganda disfattista in Russia.
Le posizioni di Lenin erano favorevoli a: 1. Rompere con il Governo provvisorio; 2. Uscire dalla guerra; 3.
Concentrare il potere nelle mani dei soviet; 4. Superare la fase borghese per instaurare direttamente la
dittatura del proletariato. Questi punti erano stati resi noti nelle Lettere da lontano, censurate dalla
«Pravda52» perché in contrasto con la politica ufficiale del partito. Appena ritornato in patria, Lenin le
presentò in una forma sintetica nelle Tesi di aprile, respinte dai menscevichi del Soviet, e inizialmente
accolte con perplessità dai bolscevichi. Fu necessaria una battaglia all’interno del partito perché le Tesi
conquistassero contro gli oppositori guidati da Kamenev nel Congresso panrusso bolscevico del 24-29
aprile. I bolscevichi riscuotevano un consenso crescente presso gli operai, soldati, marinai delle generazioni
più giovani, conquistando l’egemonia in alcune roccaforti rivoluzionarie. Alla metà di maggio il Soviet della
base navale di Kronstadt53 si dichiarò autonomo e i marinai insorsero contro l’autorità del governo
provvisorio. Nel mese successivo si susseguirono scioperi contro il governo da parte delle roccaforti
bolsceviche presenti nel quartiere operaio di Vyborg. Il governo nel frattempo aveva deciso di rispettare gli
impegni assunti con gli alleati e lanciare un’offensiva estiva lungo il fronte occidentale. Tra i fautori di
questo progetto vi era il nuovo ministro della guerra Kerenskij. Egli si recò personalmente al fronte per
galvanizzare le truppe con la sua trascinante oratoria. Ma non riuscì ad impedire l’impennata del numero
delle diserzioni nella settimana precedente l’inizio delle operazioni. Inoltre, nella capitale, solo i ceti medi
erano sensibili al richiamo patriottico. Il 18 giugno l’esercito russo lanciò l’attacco, avanzando con successo
sul fronte austro-ungarico. Ma nel volgere di pochi giorni subentrò una fase di stallo, fino a quando il 6
luglio, cominciò la controffensiva tedesca in soccorso dell’alleato. Mentre si moltiplicavano le diserzioni il
«bolscevismo di trincea» trionfava, ponendo le premesse per la futura svolta politica.

XXXII. La crisi di luglio e il fallimento dell’iniziativa di Kornilov

La nuova e prolungata crisi politica attraversata dal Governo provvisorio nel mese di luglio fu innescata dal
precipitare della questione dell’indipendenza nazionale ucraina. I tre rappresentanti del governo russo (tra
cui Kerenskij), inviati a Kiev per negoziare, giunsero il 2 luglio a un accordo con il quale si riconosceva
52
La Pravda (Правда, in italiano Verità) è stato l'organo (quotidiano) ufficiale del Partito Comunista dell'Unione
Sovietica.
53
A ovest di S. Pietroburgo affaccia sul golfo di Finlandia.

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Dario Cositore
l’autonomia ucraina e si legittimava la Rada e il Segretario generale. Questa soluzione, approvata dal capo
del governo e dal Soviet, fu considerata inaccettabile dai KD, che ritenevano tali concessioni pericolose per
l’integrità dello Stato. Con le dimissioni di tre ministri KD la crisi ebbe inizio: il principe L’vov, preso atto dei
tentativi falliti per tenere insieme la coalizione si accingeva a dimettersi mentre, nelle strade di Pietrogrado,
una sollevazione popolare minacciava di sfociare in un colpo di Stato. Tra il 3 e il 5 luglio la città fu messa a
soqquadro. Era evidente che i militanti bolscevichi avevano svolto un ruolo fondamentale nell’organizzare
l’insurrezione; ma nel momento decisivo la dirigenza del partito si mostrò indecisa e divisa sul da farsi,
mentre lo stesso Lenin, non fu risoluto a mettersi alla testa degli insorti. Il 6 luglio Kerenskij fu ufficialmente
incaricato di formare un nuovo governo. Sui bolscevichi si abbatté la repressione: dirigenti e militanti
furono arrestati a centinaia e Lenin riuscì fortunosamente a fuggire in Finlandia. Sulla stampa di destra si
chiedeva l’adozione di misure repressive intransigenti, mentre l’accusa rivolta ai bolscevichi di voler
abbattere il governo per favorire la controffensiva tedesca sembrava verosimile agli occhi di molti. Nella
storiografia non c’è accordo sull’interpretazione delle intenzioni di Lenin in questa fase. Alcuni hanno
sostenuto che l’obiettivo politico raggiunto in ottobre era già stato individuato; altri hanno invece affermato
che, i bolscevichi, lungi dall’avere un piano preconfezionato, furono colti di sorpresa dalla piazza. Tutti
sono9 concordi però nel rilevare che la crisi di luglio inaugurò un momento di difficoltà per il partito di
Lenin. Il 25 luglio Kerenskij riuscì a far confluire socialisti e KD in un secondo Governo di coalizione dalla
caratteristiche politiche nuove: 1 . L’esecutivo non era più vincolato dal Soviet; 2. I socialisti parteciparono a
titolo personale. La figura di Kerenskij assumeva ora un carattere autoritario. A tutto ciò corrispose il
cambiamento dei luoghi fisici del potere, l’abbandono del Palazzo di Tauride: mentre il Governo si trasferiva
al Palazzo d’Inverno (A ovest di Pietrogrado, di fronte all’isola di Vasil’evskij), il Soviet fu relegato all’istituto
Smol’nyj ( A est di Pietrogrado), i due palazzi erano a 5 km di distanza l’uno dall’altro 54. Kornilov era già
diventato il beniamino degli ambienti moderati e di destra per la determinazione mostrata nel ristabilire la
disciplina nell’esercito. La sua popolarità crebbe quando furono rese note le condizioni che aveva posto a
Kerenskij per accettare la nomina di comandante capo: 1. Il ripristino della pena di morte; 2. Lo
smantellamento dei comitati dei soldati; 3. La militarizzazione dei settori produttivi strategici. La situazione
politica rimaneva comunque difficile: mentre i tedeschi avanzavano (Riga fu conquistata tra il 20 e il 21
agosto), Kerenskij chiese l’introduzione della legge marziale 55 e la pena di morte per i civili, suscitando la
ferma opposizione del Soviet. Nel corso dell’estate Kerenskij tentò di alimentare attorno alla propria
persona una sorta di culto della personalità. La conferenza di Stato consultiva (12-14 agosto), si rivelò un
fallimento che accelerò il suo declino politico e psicologico: Kerenskij fu acclamato solo dai delegati di
sinistra, mentre le ovazioni della destra e dei moderati furono tutte per Kornilov. Per Kerenskij il generale
Kornilov era ormai divenuto una figura ingombrante, ed è in questa luce i controversi eventi passati alla
storia come «tentativo di colpo di Stato di Kornilov». Kerenskij, convinto che Kornilov potesse scalzarlo per
porsi a capo di una dittatura militare, decise di esautorarlo e si autoproclamò comandante capo. Kornilov, a
sua volta convinto che il capo del governo fosse divenuto ostaggio dei bolscevichi, decise di far marciare su
Pietrogrado le truppe a lui fedeli. Kerenskij ne approfittò per liberarsi del rivale invocando l’unità di tutte le
forze democratiche per sventare la minaccia controrivoluzionaria. Kornilov fu, insieme ad altri ufficiali,
arrestato e rinchiuso nel monastero di Bykov (Bucof).

XXXIII. La rivoluzione di Ottobre

Il materializzarsi della possibilità della controrivoluzione ebbe due importanti conseguenze politiche: 1. La
riabilitazione del potere bolscevico (considerato come forza che aveva salvato la rivoluzione da Kornilov); 2.
L’indebolimento del potere di Kerenskij. Nel frattempo, la rivolta contadina contro i proprietari terrieri non

54
A 1km dall’ istituto Smol’nyj verso ovest seguendo il corso della Neva troviamo il Palazzo di Tauride. Mentre
quest’ultimo dista 4km dal Palazzo d’Inverno, lo si raggiunge sempre proseguendo verso ovest lungo il corso della
Neva.
55
La legge marziale è un sistema di governo che si ha quando i militari prendono il controllo della normale
amministrazione della giustizia. Di solito, la legge marziale riduce alcuni dei diritti personali normalmente garantiti ai
cittadini; viene limitata la durata dei processi e si prescrivono sanzioni più severe rispetto alla legge ordinaria. In alcuni
Stati la legge marziale prescrive la pena di morte per alcuni crimini, anche se le leggi ordinarie non riconoscono quella
pena nel proprio sistema.

24
Russia contemporanea
si limitava più alla spartizione delle terre ma metteva a ferro e fuoco migliaia di tenure, talvolta linciandone
i proprietari. Al fronte le esecuzioni di ufficiali, massacrati di propri soldati, si intensificarono. La
radicalizzazione sociale, inasprita dal flusso crescente di disertori si traduceva nella rivendicazione
dell’autodecisione popolare a tutti i livelli. Tale concezione era in sintonia soprattutto con la tradizione degli
SR, la più radicata nella cultura contadina. I bolscevichi erano però l’unico partito interamente a favore di
Soviet, e questo spiego il loro successo, tra la fine di agosto e il mese di ottobre, nelle le lezioni per le Dume
municipali, nonché la conquista della maggioranza negli esecutivi dei Soviet locali e quello di Pietrogrado
(Trockij divenne il nuovo presidente dell’Ispolkom). Alla metà di ottobre Lenin spingeva per l’insurrezione
armata, ma una parte consistente della dirigenza del partito era ancora riluttante, e persino tra i bolscevichi
lettoni, considerati da Lenin come l’avanguardia rivoluzionaria più fedele, la maggioranza riteneva
necessario attendere almeno il secondo Congresso panrusso dei Soviet, previsto per il 20 ottobre e poi
rinviato il 25 dello stesso. Si trattò di una dilazione decisiva, che consentì a Lenin di porre il Soviet dinanzi al
fatto compiuto. Il comitato rivoluzionario militare (Milrevkom), costituitosi come meccanismo di difesa
rivoluzionaria e composto da bolscevichi e SR di sinistra, il 21 ottobre si autoproclamò suprema autorità
militare della capitale. Di fronte alla minaccia di essere inviati al fronte per arginare l’avanzata tedesca a
nord, i soldati del presidio di Pietrogrado avevano disconosciuto l’autorità del comando supremo
dell’esercito, e si erano messi a disposizione del Milrevkom. Tra il 23 e il 24 ottobre il governo aveva già
perduto il controllo militare sulla città. Nella giornata del 24 regnava l’incertezza su quale sarebbe stato il
momento preciso dell’insurrezione. Ma Lenin era determinato a prendere il potere prima dell’apertura del
Congresso panrusso dei Soviet, prevista per il pomeriggio del 25, sicché la notte del 24 il Milrevkom si
impadronì dei luoghi strategici come le stazioni, poste, ponti, etc.. Si trattò di un’insurrezione armata nella
quale parteciparono poche migliaia di persone (e non la rivoluzione di massa come ricostruito dalla
mitografia sovietica). Il 25 mattina Kerenskij fuggì, mentre Lenin dichiarava ufficialmente destituito il
Governo provvisorio e proclamava l’assunzione del potere da parte del Milrevkom in nome del Soviet.
Perché l’insurrezione riuscisse non rimaneva che neutralizzare i ministri, chiusa al Palazzo d’Inverno. Tra il
pomeriggio e la sera del 25, il Palazzo d’Inverno, fu facilmente espugnato, dal momento che l’unico colpo
sparato dall’incrociatore Aurora56 fece fuggire gran parte dei difensori (a Mosca, invece, la resistenza
armata nel Cremlino57 durò alcuni giorni). I ministri furono dichiarati in arresto e in seguito rinchiusi nella
fortezza di Pietro e Paolo 58. Il Congresso ebbe finalmente inizio a tarda sera: menscevichi e SR
abbandonarono in segno di protesta i lavori, facilitando ai bolscevichi, accanto ai quali erano solo rimasti gli
SR di sinistra, il compito di ratificare la presa del potere. Nella seduta seguente, cominciata la sera del 26,
furono approvati due decreti sulla pace e sulla terra: 1. Immediata sospensione della guerra «senza
annessioni e indennità»; 2. Socializzare la terra. Il secondo punto era stato completamente elaborato dagli
SR (quello bolscevico, invece, prevedeva la nazionalizzazione). Con ciò non si faceva altro che legittimare ciò
che già stava accadendo per iniziativa spontanea dei contadini e delle comunità di villaggio (volost’):
confisca senza compenso e cessione in uso ai contadini delle terre dei proprietari terrieri, della Chiesa e
dello Stato59. Con un terzo decreto infine fu istituito il nuovo governo, il Consiglio dei commissari del popolo
56
L'Aurora è un incrociatore protetto russo (Nave) costruito nei cantieri navali di San Pietroburgo. Utilizzato nella
guerra di Crimea (1853-1855) e unico superstite della guerra russo giapponese, dopo la battaglia di Tsushima (1904-
1905). Oggi è diventato un museo galleggiante sulla Neva, a S. Pietroburgo.
57
Il Cremlino di Mosca è una cittadella fortificata posta nel centro geografico e storico della città di Mosca, sulla riva
sinistra del fiume Moscova, sulla collina Borovickij. È la parte più antica della città ed è sede delle istituzioni
governative nazionali della Russia.
58
Fortezza posta sull’isola di Zayachi, sulla Neva.
59
La nazionalizzazione è il passaggio di una certa attività economica di interesse pubblico, di interi settori o di un
impresa, dalla gestione privata a quella statale. Il passaggio, avviene attraverso la via legislativa per la quale si
risarciscono le imprese espropriate con un indennizzo. Tutto questo naturalmente a prescindere dal consenso o dal
dissenso dei proprietari precedenti. La socializzazione, così come la intende Marx è uno strumento tecnico, nelle mani
del proletariato, per la trasformazione rivoluzionaria della società. In questo modo i mezzi di produzione e di scambio
passano dalle mani dei privati a quelle della comunità ponendo fine al plusvalore. Qui vale il principio «Da ognuno
secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni». Successivamente, invece, con Stalin si avrà la
collettivizzazione ovvero un capitalismo di Stato. Nella collettivizzazione la proprietà privata dei mezzi di produzione, e
quindi dei conseguenti prodotti, viene abolita solo per trasformarsi in proprietà collettiva, di tutti. Qui, l’operaio o il
contadino, continua ad essere condizionato e sfruttato da un salario, non più dal singolo capitalista ma dallo Stato. Nel

25
Dario Cositore
(Sovnarkom), organismo temporaneo che avrebbe dovuto rimanere in carica fino alla convocazione
dell’Assemblea Costituente. La struttura era analoga a quella del governo provvisorio, fatta eccezione per
una novità: l’introduzione del ministero per le Nazionalità, affidato a Stalin.

XXXIV. I bolscevichi al potere: dalle elezioni di novembre a Brest-Litovsk

Erano in molti a prevedere che il nuovo regime non sarebbe furato a lungo. Nonostante avessero
conquistato il potere con relativa facilità, i bolscevichi erano isolati nella società da molti punti di vista:
impiegati pubblici ed esponenti di altre forze politiche rimanevano ostili nelle città al nuovo governo, il cui
radicamento nelle campagne era quasi inesistente. Nondimeno, furono in grado in soli tre mesi di
legittimare il loro potere, grazie a Lenin. A livello locale i bolscevichi favorirono la democrazia diretta. Il tal
modo sottraevano il terreno di agitazione politica ai rivali e favorivano il disordine per legittimare il
successivo rispristino del controllo centrale sotto la propria direzione. Anche alla questione della nazionalità
si adottò una politica analoga: il 3 novembre Lenin e Stalin promulgarono una «Dichiarazione dei diritti dei
popoli della Russia», che riconosceva il diritto all’autodeterminazione nazionale ed eventualmente alla
secessione. In questo modo si sperava di disinnescare il potenziale esplosivo costituito dalle rivendicazioni
nazionali. Ai vertici istituzionali invece procedettero a concentrare il potere eliminando ogni opposizione
politica. Le elezioni per l’Assemblea Costituente cominciarono a Pietrogrado il 12 novembre e si protrassero
in tutto il paese per 2 settimane. La partecipazione fu molto elevata ma non dette il risultato sperato dal
governo: la maggioranza relativa dei voti fu conquistata dagli SR con il 38%, mentre i bolscevichi ottennero
il 24%, i KD il 5% e i menscevichi il 3%. Il Sovnarkom prese allora la decisione di rinviare a tempo
indeterminato la seduta inaugurale dell’Assemblea e istituì procedure atte a favorire la revisione dei
risultati elettorali. Seguirono atti intimidatori nei confronti della Commissione elettorale, e quando i partiti
di opposizione organizzarono una manifestazione di protesta (23 novembre), si colse l’occasione per
mettere fuorilegge i KD. Il 5 gennaio 1918 l’Assemblea costituente si riunì per la sua prima ed unica seduta.
L’indomani fu sciolta con la forza dal regime bolscevico, che, dopo aver militarizzato le strade e proclamato
la legge marziale in città, impedì ai deputati di rientrare il mattino seguente nel Palazzo di Tauride, in modo
analogo a quanto aveva fatto il regime zarista nel 1906, in occasione dello scioglimento della prima Duma. Il
carattere autoritario del nuovo regime aveva avuto già altre occasioni di manifestarsi: 1. Giornali e riviste
dell’opposizione erano stati dichiarati fuorilegge; 2. Smantellamento del sistema giudiziario (corti, tribunali,
avvocati) e dell’intero ordinamento giuridico (Mediante il Decreto del 22 novembre). All’inizio di dicembre,
la soppressione del Milrevkom fu accompagnata dalla costituzione del servizio segreto del nuovo regime, la
Costituzione straordinaria panrussa per la lotta alla controrivoluzione e al sabotaggio (Čeka). Il nuovo
potere aveva manifestato il disprezzo per la democrazia. In più occasioni Lenin sostenne la necessità del
terrore di massa per difendere la rivoluzione, e auspicò la guerra civile come stadio ulteriore e necessario
dello scontro di classe. Facendo leva sui sentimenti diffusi di rivalsa sociale e di odio verso qualsiasi forma di
privilegio, i bolscevichi incoraggiavano la persecuzione del nemico di classe definito come Buržua
(Bourgeois), al quale erano addossate le colpe della miseria, del caos e della crisi. Un passo decisivo per lo
scatenamento del «terrore rosso 60» fu compiuto con il decreto La patria socialista è in pericolo!, firmato da
Leni il 21 febbraio 1918. Nel clima della forte preoccupazione per la possibile caduta di Pietrogrado,
alimentato dalla ripresa dell’offensiva tedesca conseguente all’interruzione delle trattative di pace (Trockij
aveva, con la propria abilità dialettica, portato le cose per le lunghe, invocando l’inedita soluzione né guerra
né pace, fino a quando i tedeschi denunciarono l’armistizio stipulato nel dicembre del 1917). Il governo
legittimava l’esecuzione sul posto, senza processo, di speculatori, criminali «controrivoluzionari», categoria
nella quale potevano rientrare avversari politici e nemici di classe. Gli accordi che sancirono l’uscita della

corporativismo fascista, invece, lavoratori e datori di lavoro vengono associati all'interno di un'ampia gamma di
corporazioni, corrispondenti alle varie attività economiche, poste sotto il controllo del governo e riunite nella «Camera
dei Fasci e delle Corporazioni».
60
Il Terrore rosso fu una campagna di arresti di massa, deportazioni ed esecuzioni indirizzate verso i
controrivoluzionari durante la Guerra civile russa. Venne avviato e condotto dai bolscevichi in risposta al «Terrore
bianco», contro l'assassinio del capo della Čeka di Pietrogrado, Urickij e contro il tentato assassinio del leader
bolscevico Lenin da parte di Fanni Kaplan, il 30 agosto 1918.

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Russia contemporanea
Russia dalla Prima guerra mondiale furono stipulati il 3 marzo 1918 a Best-Litovsk 61 da Čičerin62 (Cicierin).
Nessun leader bolscevico intendeva siglare con la propria firma un trattato così umiliante. La pace
comportò la perdita di parte della Transcaucasia, Ucraina, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia.
Queste perdite, quelle transcaucasiche a favore della Turchia, consentirono di salvare il regime comunista
in Russia. Essa comportò il ridimensionamento della potenza Russa in Europa, fino alla sconfitta tedesca e
alla guerra civile dove l’Ucraina fu riconquistata. Lo spostamento del baricentro verso oriente è
simboleggiato fisicamente dal trasferimento della capitale, nel corso del mese di marzo, da Pietrogrado a
Mosca.

XXXV. Le guerre civili (1918-20)

La guerra civile del 1918-20 è in realtà «una serie di guerre civili che si sovrappongono». Deve essere
interpretata nel quadro della «Guerra dei trent’anni» del XX secolo (1914-1945). L’assuefazione alla
brutalità e il venir meno di regole condivise avevano creato le condizioni per il manifestarsi di rancori etnici
e di classe. La valutazione del «terrore rosso» rappresentò una risposta eccezionale imposta da circostanze
eccezionali, un’arma difensiva alla quale il regime bolscevico fu spinto a ricorrere dall’accerchiamento
nemico. Proprio la consapevolezza di essere una minoranza nel paese resero inevitabile l’accentuazione dei
caratteri autoritari e la propensione all’intolleranza e alla forza. Altri, invece, affermano che il terrore
costituì uno strumento di governo consapevolmente impiegato sin dall’inizio per consolidare il nuovo
potere. La pena di morte fu formalmente reintrodotta nel giugno del 1918. Nel corso di questo stesso
mese, SR e menscevichi furono definitivamente esclusi dai Soviet, e in alcuni casi arrestati. Ma la svolte
verso l’impiego sistematico del terrore come strumento politico si verificò tra luglio e settembre, in
concomitanza con alcune vicende: 1. La repressione del tentativo insurrezionale degli SR che erano riusciti
ad assumere il controllo della sezione locale della Čeka di Pietrogrado e avevano assassinato l’ambasciatore
tedesco a Mosca per danneggiare le relazioni diplomatiche con Berlino; 2. Il massacro della famiglia
imperiale confinata in prigionia a Jekaterinburg, negli Urali (per decisione dei bolscevichi e probabilmente
approvato dal Sovnarkom); 3. L’attentato a Lenin, il 30 agosto, da parte degli SR, del quale si assunse la
responsabilità Fanni Kaplan, arrestata e fucilata. La risposta della Čeka fu arresti e fucilazioni di migliaia di
oppositori.

XXXVI. Le prime fasi del conflitto e l’intervento degli alleati

Sin dal novembre 1917 era cominciata la corsa verso sud delle forze ostili ai bolscevichi: esponenti di
destra, KD e Buržua (artisti e intellettuali) si concentrarono nell’aera del Don e in particolare nella città
cosacca di Novočerkassk63. Qui si costituì l’armata dei Volontari bianchi, un esercito antibolscevico
costituito soprattutto da ufficiali, nel quale esperienze tecnica e militare si limitavano a vicenda. Nel
frattempo, il 20 novembre, il Krug del Don64 aveva proclamato l’indipendenza: i cosacchi, comandati
dall’atamano65 Kaledin, erano interessati a difendere la propria autonomia e a fatica si convinsero a
combattere a fianco dei Volontari bianchi. La società cosacca era, in realtà, spaccata politicamente lungo
una linea generazionale: gli anziani erano legati alla tradizione, mentre i giovani simpatizzavano con i
bolscevichi. I bolscevichi risposero inviando truppe al Sud e conquistarono Rostov-na-Donu. Sovente
durante la guerra civile si verificavano pogromy, ovvero sommosse popolari antisemite ai danni degli ebrei.
A dicembre Kaledin e i Volontari bianchi giunsero ad un accordo: alleati, riconquistarono Rostov, ma
dovettero subire in febbraio una nuova offensiva che conquistarono la città e occuparono l’intero bacino
del Don (Kaledin si suicidò). Senza nessuna via di scampo al Nord, i Volontari bianchi intrapresero la
61
Oggi chiamata Brest e appartenente all’aera sud-occidentale della Bielorussia al confine con la Polonia.
62
Diplomatico e Commissario per gli Affari Esteri subentrato a Trockij, dal 1918 al 1930.
63
Si trova a 42km a nord-est da Rostov-na-Donu, quest’ultima città affaccia sul Mare d’Azov.
64
Stato anti-bolscevico al sud delle alture di Dohec.
65
Era il grado militare più alto dei cosacchi.

27
Dario Cositore
«marcia sul ghiaccio» verso la regione del Kuban 66, dove si ricongiunsero con l’armata cosacca guidata da
Pokrovskij. Da lì partì la loro rivolta guidata dall’atamano Krasvon, mentre i bolscevichi erano impegnati in
Ucraina in quanto i tedeschi l’avevano occupata. A est, nella regione del Volga 67, cominciarono ad affluire
molti SR, con l’obiettivo di conquistare il sostegno delle province per rovesciare il regime bolscevico. Fu
istituito un governo a Samara, a ovest delle alture del Volga, il Komuč (Camuc) che propugnava la
restaurazione della democrazia, non solo contro i bolscevichi ma anche contro i monarchi e la destra. Gli SR
dovettero fare i conti con l’indifferenza dei contadini nei confronti della questione costituzionale. Il
problema di una mancanza di una forza militare organizzata fu inizialmente risolto dall’alleanza con la
Legione ceca, un efficiente corpo militare che per rientrare in patria per combattere contro austriaci e
tedeschi, aveva deciso di arrivare in Boemia attraverso la Siberia, facendo il giro del mondo 68. Per i primi
mesi le forze bolsceviche locali non riuscirono a contrastare i cechi. Nell’estate del 1918, quando la guerra
civile propriamente divampò in Russia, il regime bolscevico era accerchiato al sud, a est e a nord. A sud,
l’alleanza tra l’armata del Don di Krasnov e dei Volontari bianchi di Denikin, era divenuta così forte da poter
minacciare il regime bolscevico. Questi non seppero, però, agire. Denikin non marciò su Mosca ma preferì
consolidare i territori del Kuban e Krasnov, rimasto solo, fallì nella conquista di Caricyn 69 (oggi Volgograd).
Quando, con la fine del conflitto mondiale, i tedeschi sconfitti si ritirarono dall’Ucraina, il fianco occidentale
dei bianchi rimase indebolito; i cosacchi nonostante le divergenze furono costretti a confluire nell’esercito
dei Volontari bianchi. Nel frattempo sul fronte orientale si era consumata la sconfitta degli SR. Il Komuč,
trasferitosi nella città siberiana occidentale di Omsk, che sorge sul fiume Irtyš, divenne ostaggio della
controrivoluzione bianca, non interessata al ripristino della costituente. Nell’ottobre-novembre il generale
Kol’čak (Colciac), con l’appoggio degli alleati assunse pieni poteri in Siberia, incarcerando e poi mandando in
esilio gli SR. Dalla fine del 1918 gli alleati (ai quali si aggiunsero polacchi e rumeni) decisero di intervenire
nella guerra civile a sostegno dei bianchi: canadesi, statunitensi, italiani, e serbi affiancarono gli inglesi a
nord, in Carelia e Mar bianco; francesi, inglesi polacchi e rumeni a sud-ovest e a sud, nel Mar Nero e nel
Caucaso; giapponesi, inglesi e statunitensi a est, in Siberia.

Figura 12: Guerra civile Russa. Fonte: atrieste.eu.

XXXVII. L’armata rossa e il comunismo di guerra

Il primo nucleo dell’Armata rossa era stato costituito nel febbraio 1918 accorpando gruppi di Guardie rosse
delle fabbriche e reparti filo-bolscevichi della Marina e dell’Esercito. Essa però assunse le caratteristiche di
un vero e proprio esercito solo nel corso dell’estate 1918, in seguito all’istituzione della leva obbligatoria di
massa nei territori centrali controllati dai bolscevichi. Al contrario dell’esercito dei volontari bianchi,
l’Armata rossa soffriva di una grave penuria di ufficiali, sicché i bolscevichi furono costretti a ricorrere ai
militari di carriera del vecchio regime. Alla fine del conflitto, nel 1920, tre quarti dei quadri dell’Armata
rossa erano ormai composti da ufficiali ex zaristi. Con tutto ciò il loro reclutamento, che avviene sotto la
direzione di Trockij, sollevò il malcontento di influenti settori del partito, la «opposizione militare», con la
quale solidarizzava Stalin, ispirata da un fanatico anti-intellettualismo e dalla volontà di annientare il
«nemico di classe». La leva di massa comportò la contadinizzazione dell’Armata Rossa, fenomeno che si
traduceva in diserzioni di massa soprattutto nel periodo di raccolto. All’inferiorità tecnica patita nei
confronti dei bianchi, i rossi cercarono du supplire con grandi numeri: l’Armata rossa era giunta nel 1920 a
contare circa 5 milioni di uomini, pessimamente equipaggiati, disorganizzati e soggetti ad un elevato turn
over (spesso si disertava appena ottenuti in dotazione un pastrano 70 o un paio di stivali, o, al contrario,
perché i rifornimenti erano appena sufficienti per sopravvivere). Il reclutamento aveva più successo tra i
rossi perché i contadini paventavano la perdita delle terre appena conquistate, e obiettivo dichiarato dei
bianchi era appunto la restituzione delle terre ai proprietari. Al tempo stesso, i contadini cercavano come

66
In Ciscaucasia.
67
Fiume che confluisce nel Mar Caspio, passando per la depressione caspica.
68
Considerando che la Terra ha 40 mila km di circonferenza e Boemia (Praga) Samara sono 3 mila km allora la Lega
ceca percorse 37 mila km.
69
Città sul Volga compresa tra le Alture del Don e la Steppa dei Chirghisi. Il suo nome fu Stalingrado dal 1925 al 1961.
70
Mantello con bottoni e pistagna.

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Russia contemporanea
potevano di tenersi alla larga dalla guerra, fonte certa di distruzione e miseria: interi villaggi si
proclamarono repubbliche indipendenti nella speranza di essere considerati neutrali. Nelle retrovie
dell’Armata rossa venivano inoltre costituendosi le Armate verdi, nelle quali confluivano contadini e
disertori esasperati dalle requisizioni. La loro azione di disturbo contribuì all’indebolimento dei rossi a
favore dei bianchi durante la prima metà del 1919. Il sovvenzionamento di un esercito tanto numeroso non
aiutava l’economia russa. Si presentavano fenomeni quali la crisi degli approvvigionamenti nelle grandi città
del Nord, prima fra tutte Pietrogrado; la paralisi della distribuzione dovuta all’inefficienza del sistema
ferroviario e dalla riluttanza dei contadini di scambiare alimenti per carta moneta 71 (a causa di un’inflazione
galoppante). Ciò causò il ripristino di consuetudini produttive arcaiche e all’autarchia da parte della
popolazione rurale. A ciò si aggiungeva la crisi industriale, che si traduceva nella chiusura delle fabbriche e
contribuiva, assieme alla penuria di cibo e combustibile, a favorire una vera e propria fuga dalla città.
Coloro che vi rimanevano si recavano con mezzi di fortuna nelle campagne circostanti per scambiare
manufatti con cibo. Chi era stato benestante barattava oggetti di famiglia; gli operai invece dedicava parte
del proprio orario di lavoro a fabbricare con i materiali di scarto della produzione oggetti d’uso da
scambiare nelle campagne. Era dunque all’economia del baratto che la popolazione si affidava per
sopravvivere: alle sogli del 1920 prevaleva ormai lo scambio in natura, e il denaro sembrava avviato a
scomparire. La risposta dello Stato bolscevico fu la politica del «comunismo di guerra 72». L'insieme dei
provvedimenti era visto come una necessaria reazione alla situazione critica in cui versava il paese,
dilaniato dalla guerra civile e minacciato dall'intervento straniero, con un'economia disastrata dalla prima
guerra mondiale e dalla recente rivoluzione; inoltre lo Stato bolscevico era minacciato dalle truppe bianche
sia a ovest che a est. Per respingere i loro attacchi e far fronte alla carestia era necessario un controllo
diretto delle derrate alimentari e della produzione industriale da parte dello Stato. Con il decreto del 19
febbraio 1918 il Governo nazionalizzò le terre assegnate in uso perpetuo, senza riuscire a ottenere, però,
che i contadini vendessero il grano ai prezzi imposti dallo Stato. Il 9 maggio sotto la spinta della crisi
alimentare, fu istituito il monopolio di Stato sui cereali e cominciò nelle campagne la «battaglia del grano» e
la politica degli ammassi forzosi. Il regime incoraggiò anche la costituzione dei kombedy (Comitati dei
contadini poveri), che avrebbero dovuto diventare protagonisti nella lotta ai kulaki (contadini benestanti),
considerati come i veri responsabili dell’occultamento delle scorte. Si istituiva, inoltre, il controllo tanto
sull’importazione di beni alimentari quanto sui trasporti ferroviari, presi d’assalto dai «fagottari». Si tentava
di stroncare il libero mercato e di stabilire il controllo statale sulla distribuzione dei beni, vietando il
commercio al dettaglio e cercando di trasformare le cooperative in una rete statale di distribuzione. Con il
decreto del 28 giugno infine si procedette alla nazionalizzazione di buona parte della grande industria. La
gestione dell’industria fu progressivamente sottratta ai soviet e ai consigli locali e accentrata nelle mani del
Consiglio superiore dell’economia nazionale VSNCH (Vesencà). Gli operai nella primavera del 1918
divennero il fulcro della protesta.

71
Ecco a voi un grande esempio storico, cari filistei. Della priorità e della superiorità del valore d’uso su quello di
scambio.
72
La nazionalizzazione completa delle industrie, gestite da collettivi operai, fu il primo passo del comunismo di guerra.
Lo stato prendeva inoltre il controllo diretto della produzione agricola, subordinando le strutture latifondiste
preesistenti alle proprie esigenze ed operando ampie requisizioni di derrate alimentari ai danni dei contadini. Ogni
compravendita privata fu vietata e si introdusse il razionamento e un sistema di tessere per il cibo. Queste misure
portarono alla nascita di un fiorente mercato nero e al sensibile impoverimento della popolazione urbana. agli operai
fu vietato lo sciopero e fu attuata la militarizzazione del lavoro, con turni di lavoro forzato e soppressione della libertà
d'opinione. Nonostante la pena di morte fosse stata abolita dopo l'ottobre 1917, essa fu reintrodotta per il reato di
"controrivoluzione" e amplissimi poteri discrezionali furono dati alla Čeka, la polizia politica che divenne simbolo della
repressione di quegli anni. La censura fu rafforzata e vennero vietate molte testate anche di ideologia bolscevica. Chi
veniva considerato non lavoratore (categoria molto ampia che comprendeva anche i contadini che facessero uso di
braccianti sulle proprie terre) era passibile di essere perseguito penalmente.

29
Dario Cositore
XXXVIII. Il 1919 e la sconfitta dei bianchi

Con la fine della guerra, nel novembre del 1918, l’isolamento sovietico fu ridimensionato. In dicembre era
nata la comunista Lega degli spartachisti 73. Nel gennaio del 1919 fu presa la decisione di costituire una
nuova Internazionale, la Terza, e nel mese di marzo si riunì a Mosca il primo congresso del Komintern 74, che
lanciò, tra l’altro, un appello agli operai di tutto il mondo perché sollecitassero i rispettivi governi a cessare
l’aggressione alla Russia sovietica. Nella primavera-estate del 1919 il regime bolscevico era in gravi
difficoltà: 1. Sul piano politico: con il tentativo (poi fallito) compiuto dalla Polonia di Pilsudski di dare vita ad
una Lega degli stati di frontiera che riunisse in funzione antibolscevica le regioni periferiche dell’ex Impero
proclamatesi indipendenti o controllate dai bianchi (Regioni del Don, Ciscaucasia, Transcaucasia, Ucraina,
Polonia, Finlandia); 2. Sul piano militare: con l’avanzata delle truppe di Kol’čak verso nord-ovest e verso
sud-ovest per risaldarsi con l’esercito di Denikin. Nel frattempo quest’ultimo aveva cominciato ad occupare
il bacino del Don e l’Ucraina sud-orientale, minacciati dall’avanzata dei rossi e da una brutale campagna di
«decosacchizzazione, rinunciando a puntare su Caricyn (Tsaritsn), nonostante il parere contrario del
generale Vrangel’, che, nel giugno, prese l’iniziativa e conquistò la città. Fu sull’onda di questo successo che
il 3 luglio Denikin promulgò la «Direttiva per Mosca 75»: essa costrinse i bianchi a sparpagliarsi su un fronte
troppo ampio, che complicò il problema dei rifornimenti. A ottobre le forze bianche erano giunte a sud sino
alla città di Orel76 (Ariol), sede dell’arsenale dell’Armata rossa: lì fu combattuta una battaglia che segnò la
ritirata di Denikin. I bianchi in fuga si ammassarono nella città di Novorossijsk, dove una devastante
epidemia di tifo fece molte vittime, e presero d’assalto le poche navi straniere disponibili. La Crimea rimase
l’unica sacca di resistenza e da lì Vrangel’ lanciò nell’estate del 1920 l’ultima offensiva. In autunno fu
costretto anch’egli ad abbandonare il paese per imboccare la strada dell’esilio. Per comprendere le ragioni
della sconfitta dei bianchi bisogna tener conto di molti fattori: 1. Le divisioni interne e la mancanza di
coordinamento delle armate; 2. Errori tattici durante il conflitto; 3. Collocazione periferica delle basi
operative; 4. Insufficienza di mezzi di comunicazione. Per quanto rilevanti, le considerazioni di carattere
logistico-militare non posso, però, essere ritenute decisive. Fu la scarsa sensibilità dei bianchi per la
questione della conquista del consenso presso la popolazione a decidere le sorti della guerra. Tale
atteggiamento sfavorì la controrivoluzione, in quanto quelle popolazioni, come ucraini e finlandesi, erano
decisive. Quindi, in ultima istanza, furono le carenze sul piano politico a impedire la vittoria del movimento
controrivoluzionario.

XXXIX. Guerre civili e movimenti nazionali

Dopo il riconoscimento al diritto all’autodeterminazione nazionale nacquero repubbliche su base regionale


e provinciale in diversi territori a prevalenza etnica non russa. Tra dicembre del 1917 e novembre del 1918
si susseguirono le dichiarazioni di indipendenza dei paesi collocati alle periferie occidentali e meridionali
dell’ex Impero. Nel 1919-21 subentrò una parziale inversione di rotta: la nuova Russia poteva accettare
l’indipendenza di Polonia, paesi baltici e Finlandia, ma non della Transcaucasia o dell’Ucraina, che erano di
importanza vitale per la sua sopravvivenza economica e per la sua sicurezza geopolitica. Da questo punto di
vista la guerra civile può essere interpretata anche come conflitto tra il centro e le periferie,
temporaneamente sfuggite al suo controllo. Il 9 novembre 1917 l’Ucraina proclamò l’indipendenza.
Cominciò un periodo turbolento, protrattosi fino all’estate 1920, che vide avvicendarsi undici regimi. Nelle
vicende ucraine furono direttamente coinvolti anche i polacchi, divenuti, dopo la sconfitta tedesca, la
potenza regionale più interessata ad affermare il proprio controllo sulle regioni di frontiera appena
emancipatesi grazie al collasso degli imperi. La Polonia aveva dichiarato la propria dipendenza nel
novembre 1918 e aveva immediatamente assunto un atteggiamento espansivo. Dopo la conferenza di
73
La Lega Spartachista (Spartakusbund) fu un movimento rivoluzionario socialista organizzato in Germania durante gli
anni politicamente esplosivi della prima guerra mondiale. Nata dal movimento pacifista tedesco, sorto in reazione agli
orrori della prima guerra mondiale, divenne il primo nucleo del Partito Comunista di Germania, mirante ad una
rivoluzione simile a quella attuata dai Bolscevichi in Russia.
74
Contrazione dal tedesco Kommunistische Internationale.
75
Considerata dagli storici un errore fatale.
76
Città a 387 km a sud-ovest di Mosca, sul Rialto centrale russo.

30
Russia contemporanea
Parigi, nella primavera del 1919, i polacchi, insoddisfatti del confine orientale proposto dalle potenze
vincitrici (la linea di Curzon), cominciarono a penetrare nei territori contesi, impadronendosi della provincia
lituana di Vilnius, della zona bielorussa di Minsk e della zona ucraina di Leopoli (Galizia ex austriaca).
Cominciò allora la guerra russo-polacca, momento di svolta non solo per la definizione dei confini dell’aera,
ma anche per il consolidamento del regime sovietico. L’ingresso dei polacchi a Kiev rappresentò per i
nazionalisti russi un’umiliazione intollerabile. I bolscevichi si resero conto che il patriottismo era uno
strumento potente per mobilitare forze attorno al nuovo regime. Dopo aver riconquistato in giugno
l’Ucraina, e instaurato definitivamente la RSU (Repubblica Socialista Ucraina), l’Armata a cavallo
(Konarmija) guidata da Budennyj, avanzò a grande velocità giungendo fino alle porte di Varsavia. Le sorti
del conflitto, però, cambiarono repentinamente: i russi furono fermati dall’eroica resistenza polacca (il
«miracolo della Vistola»), e il contrattacco fu così efficace che la guerra si concluse con una sostanziale
sconfitta russa. Con il trattato di riga stipulato nel marzo del 1921, alla Polonia fu annessa parte della
Bielorussia e il Governo sovietico riconobbe ufficialmente gli accordi stipulati dalla potenze vincitrici a
Parigi. Dopo un periodo di occupazione turca nel maggio 1918, Georgia, Armenia e Azerbaijan si
dichiararono stati indipendenti, inaugurando una stagione di conflitti sui rispettivi confini (Il Nagoro-
Karabach77, conteso tra armeni e azeri, fu annesso a questi ultimi, grazie al sostegno inglese e sovietico).
Nel dicembre 1919 gli inglesi, che erano stati tra i principali garanti dell’indipendenza, abbandonarono
l’area. Dopo l’accordo siglato con la Turchia all’inizio del 1920, i sovietici riconquistarono l’intera area nel
volgere di un anno. La Georgia, infine, fu invasa nel febbraio-marzo 1921 e sovietizzata, su pressione di
dirigenti del partito di origine georgiana come Stalin. Nel marzo del 1921 fu stipulata anche la Pace di Kars
con la Turchia: quest’ultima riconobbe il dominio sovietico sulla Transcaucasia ma ottenne la regione di
Kars78 (rivendicata dagli armeni). Nel settembre del 1920 si era svolto a Baku il Congresso dei popoli dell’Est,
nel i sovietici avevano denunciato l’imperialismo britannico e alzato il vessillo della determinazione dei
popoli e della riscossa rivoluzionaria in Asia. Ma cominciava a farsi strada l’idea che il regime bolscevico
avrebbe dovuto rispettare le tradizioni islamiche. Il 1920-21 ci fu effettivamente un cambio di politica, con il
ripristino della legge coranica per i credenti (abolita del tutto nel 1918).

XL. Da Lenin a Stalin

Le guerre civili, lo spopolamento delle città, la distruzione della borghesia, la rovina del sistema produttivo e
l’assottigliamento della classe operaia avevano prodotto un arretramento tale da azzerare buona parte
dello sviluppo socio-economico conosciuto dalla Russia dopo il 1861. La Russia emersa dalla sequenza
guerra-rivoluzione-guerra civile ha conosciuto un processo di «ruralizzazione». Erano stati spazzati via gli
elementi del capitalismo e gli ordinamenti comunitari avevano acquistato forza e vitalità, la differenziazione
sociale era stata ridimensionata dalla redistribuzioni delle terre, e la produzione legata a tecniche arcaiche
(aratro di legno e rotazione triennale), era stata orientata verso un’economia di sussistenza, piuttosto che
verso il commercio79. L’unica forza dinamica era dunque rappresentata dal nuovo Stato, forgiato attraverso
la militarizzazione della società e dell’economia. Il compito era: ricostruire la Russia con le risorse e gli
strumenti a disposizione dopo sette anni di guerra. Milioni di uomini, arruolati nell’Armata rossa, furono
impiegati come «armate del lavoro» per: 1. Ripristinare i collegamenti ferroviari; 2. Ricostruire edifici
distrutti; 3. Favorire la ripresa dell’economia. Con Trockij si introduceva: 1. Disciplina militare all’interno
delle fabbriche; 2. Pagamenti in natura (per stroncare il baratto); 3. Lavoro forzato; 4. Subbotniki (Sabati di
lavoro collettivo). Gli effetti delle distruzioni belliche non tardarono a farsi sentire, bastò un cattivo raccolto
causato dalla siccità del 1920 per dare inizio alla peggiore carestia della storia Russa: si assalivano i treni con
la forza della disperazione, e molti, ormai deboli, morivano di fame sulle piattaforme delle stazioni; fecero
la comparsa anche casi di cannibalismo. La carestia divampò tra il 1921-22, mietendo circa 5 milioni di
vittime, nelle regioni dell’Ucraina orientale (regione i Char’kov 80), nelle arre del Kuban, nel aree del Don,
77
Oggi repubblica indipendente non è riconosciuta a livello internazionale. Si trova si trova nell’Azerbaijan sud-
occidentale.
78
Regione nord-orientale della Turchia tra il Ponto e il Caucaso.
79
Ovviamente era possibile uno scambio senza moneta, ma non a questo grado di sviluppo delle forze produttive
materiali.
80
Al sud del Rialto centrale russo, area nord-orientale dell’Ucraina.

31
Dario Cositore
della aree del Volga e negli Urali. I morti sarebbero stati molti di più la solidarietà internazionale non fosse
intervenuta: l’American Relief Administration (ARA) distribuì aiuti alimentari a più di 3 milioni di persone. Il
numero dei morti per carestia ed epidemia furono maggiori di quelli della Prima guerra mondiale e delle
Guerre civili messe insieme: 30 milioni di morti. Il nuovo regime doveva fare i conti anche con il
malcontento della popolazione, operaia e contadina. Nelle fabbriche divampò nel febbraio 1921 un’ondata
di scioperi contro la militarizzazione e contro l’asservimento dei sindacati alla burocrazia statale. Nelle
campagne, svanito il rischio di restituzione delle terre i proprietari, i contadini dettero vita nel 1920-21 a
rivolte contro i rossi in molte regioni della Russia centrale, nel Caucaso, della Siberia occidentale, provocate
dall’assegnazione degli incolti signorili alle fattorie collettive. Spesso ne erano protagoniste bande
partigiane guidate da capi contadini. L’obiettivi dei contadini non era la conquista del potere, ma
ripristinare nei propri villaggi l’autogoverno del 1917-1918. Per reprimerli fu inviata l’Armata rossa,
comandata, nella provincia di Tambov 81, dove ci furono i disordini maggiori, dal maresciallo Tuchačevskij.
Nel marzo del 1921 fu convocato il X Congresso del partito comunista. Mentre si svolgevano i lavori
giunsero notizie sulla rivolta marinai di Kronstadt 82, che chiedevano Soviet liberi. Essa fu repressa
sanguinosamente da Tuchačevskij. In questo clima teso Lenin impose una nuova sterzata politica: la Nuova
Politica Economica (NEP) che subentrò al Comunismo di guerra lasciando maggior spazio ai contadini e al
mercato. La NEP cominciò in primavera sostituendo le requisizioni forzate di grano con una tassa in natura,
fissata ad un livello più basso rispetto agli obiettivi di requisizione, sicché tutto ciò che i contadini
producevano in eccedenza poteva essere consumato o smerciato. Lenin aveva compreso la necessità di
ripristinare il commercio privato per far ripartire l’economia. Dall’agricoltura la legalizzazione del settore
privato si estese alle piccole industrie e in generale alle imprese con meno di venti dipendenti: esse
dovevano produrre i beni che i contadini desideravano acquistare con i guadagni ricavati dalla vendita dei
prodotti agricoli. Si pose fine al razionamento, e nell’XI Congresso del partito (1922) fu consentito ai
contadini di pagare lavoro salariato e di dare terra in fitto. Per fronteggiare la crisi industriale del 1921 si
organizzarono le imprese statali in trust, si reintrodussero le convenzionali procedure di calcolo dei costi e
dei guadagni, si ripristinarono i pagamenti in moneta di materie prime, salari e il credito bancario. Furono
anche avviati contatti con imprenditori stranieri. Già nel 1926, la produzione tornò come ai livelli del 1913.

XLI. Ristrutturazione dell’Impero multietnico e nascita dell’URSS


Союз Советских Социалистических Республик 83

Nel 1920-21 il potere sovietico procedeva nel riaffermare il proprio controllo sulle regioni periferiche dell’ex
Impero. Ciò avveniva contestualmente alla condanna da parte delle autorità sovietiche di ogni forma di
sciovinismo. A partire dal 1921 al principio dell’autodeterminazione nazionale subentrò il concetto
dell’eguaglianza di tutte le nazionalità all’interno dell’Unione federale. La prima costituzione sovietica era
stata promulgata nel luglio 1918: istituita la Repubblica Federale socialista Sovietica Russa (RSFSR), che si
basava sull’elezione, con voto pubblico dal quale erano escluse le classi non lavoratrici, dei delegati dei
Soviet, attraverso i vari livelli locali, fino al Congresso panrusso dei Soviet. Quest’ultimo a sua volta
esprimeva il comitato esecutivo (Ispolkom), rapidamente esautorato, e il Sovnarkom, il Consiglio dei
commissari del popolo (equivalente del Consiglio dei Ministri). Nell’VIII congresso nel marzo 1919, furono
istituiti presso il comitato centrale (CC) due sottocomitati, il Politbjuro (di cui faceva parte Lenin), che
avrebbe dovuto svolgere compiti di direzione politica, e l’Orgbjuro, che avrebbe dovuto occuparsi
dell’amministrazione interna del partito. Il 30 dicembre 1922 fu approvato dal I Congresso pansovietico il
Trattato che istituiva l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS); in quella occasione fu anche
dato avvio all’elaborazione di una Costituzione, approvata nel gennaio 1924 dal II Congresso dei deputati
popolari dell’URSS. Il trattato combinava elementi confederali, ovvero il riconoscimento di recessione per le
singole repubbliche; e elementi federali, ovvero un elenco di materie di competenza esclusiva degli
organismi federali. Il Trattato fu inizialmente stipulato da quattro Stati: 1. RSFSR; 2. RSS 84 Ucraina; 3. RSS

81
Situata nella parte centrale del bassopiano della Oka e del Don.
82
Isola di fronte S. Pietroburgo nel Golfo di Finlandia.
83
Pronuncia: sʌjus sʌ'vʲɛtskɪx səʦɪəlɪ'stiʧɪskɪx rʲɪ'spublɪk.
84
Repubblica Socialista Sovietica.

32
Russia contemporanea
Bielorussa; 4. RSF85 di Transcaucasia (nella quale fino al 1936 confluirono Georgia, Armenia e Azerbaijan).
Questa era una soluzione presa per disinnescare i conflitti etnici. Con la seconda Legge fondamentale della
RSFSR (1925) fu riconosciuta sul piano costituzionale la prassi di formazione delle repubbliche socialiste
sovietiche autonome. Le prime a vedere la luce furono: 1. Repubblica Autonoma del Turkestan 86 (1918-19);
2. Baškiria87 (1919-20); 3. Tataria 88 (1920); 4. Crimea (1921), create durante la guerra civile per frenare le
tendenze centrifughe delle nazionalità. Dopo la fine della guerra non mancarono tensioni tra il regime
sovietico e i nazionalisti. La repubblica autonoma tatara non comprendeva nei propri confini la maggioranza
dei tatari etnici, ma conteneva circa il 40% della popolazione russa. In Asia centrale molte regioni erano
percorse da bande di basmaci 89, ribelli indigeni antisovietici sedati solo nel 1923. Anche i protettorati di
Bukhara90 e Khiva91 persero l’indipendenza entrando a far parte dell’URSS nel 1924. Nel 1924 la Repubblica
Autonoma del Turkestan fu scorporata dalla RSFSR e divisa nelle Repubbliche dell’Unione del Turkmenistan
e dell’Uzbekistan (costituito formalmente con Bukhara e Khiva nel 1925). Il Tagikistan, separato
dall’Uzbekistan, divenne Repubblica dell’Unione nel 1929. La Repubblica Autonoma Kazaka creata nel 1920,
fu trasformata nella Repubblica dell’Unione Kazaka con la Costituzione del 1936. Infine la regione
autonoma kara-kirghisa divenne, ancora nel 1936, Repubblica dell’Unione Kirghisa. La nuova politica
dell’«indigenizzazione», fu varata con due risoluzioni una ad aprile ed una a giugno del 1923.
L’indigenizzazione era imperniata sulla promozione delle lingue e delle élites locali e la valorizzazione delle
rispettive culture e caratteri nazionali, tranne quella dominante russa, in virtù del timore di incappare nello
sciovinismo grande-russo. Si trattava di una politica di affermative action empire che promuoveva le
identità nazionali, inibendo la percezione della natura imperiale dell’URSS. La popolazione deve percepire
l’URSS come luogo dove legittimare la loro autonomia. Uno degli effetti non previsti di questa politica fu
quello di innescare o rafforzare il processo di nation-building, ponendo le premesse per future
rivendicazioni politiche.
XLII. Il consolidamento del regime sovietico

Nel 1921 il Partito Comunista russo dei bolscevichi, dal 1925 Partito Comunista dell’Unione Sovietica
(bolscevico), PCUS, era ormai l’unico partito legale e di governo del sistema sovietico. La costruzione del
suo monopolio nello Stato e nella società si accompagnava a un processo di accentramento e crescita
burocratica. La concentrazione di potere nelle mani di chi gestiva tale macchina avveniva attraverso una
gerarchia di comitati e quadri con la vertice la Segreteria del CC (centro esecutivo del partito), che
trasmetteva ordini e direttive dal vertice alla base. Fu proprio la constatazione dell’esautoramento dei
Soviet e dello svuotamento della democrazia a spingere esponenti della sinistra all’opposizione. Il gruppo
dei centralisti democratici denunciò la «centralizzazione, militarizzazione e burocratizzazione» del partito.
Nell’autunno 1920 si coagulò l’Opposizione operaia, che invocava la fine della gestione individuale delle
imprese e il ritorno alla gestione collettiva basata sulla democrazia di fabbrica. Forte tra gli operai, era però
in minoranza nel partito. La sua sconfitta al X congresso fu resa più grave dal contemporaneo divampare
della rivolta di Kronstadt. In quella occasione Lenin, spalleggiato da Stalin, condusse una lotta intransigente
contro le correnti e le fazioni con l’obiettivo di imporre la sterzata della NEP, alla quale erano contrari tanto
l’Opposizione operaia quanto Trockij. Seguì, nell’autunno 1921, la prima epurazione su vasta scala
all’interno del partito: ogni comunista doveva comparire innanzi ad una commissione e sottoporsi al suo
vaglio. Il ricorso ai metodi amministrativi nella gestione del partito fu iniziato da Lenin, e poi perfezionato
da Stalin. Gli organici del PCUS passarono dai 700 mila del 1921 agli oltre 3 milioni 800 mila nel 1941. Un
ampliamento tanto consistente non poteva che comportare un massiccio processo di «contadinizzazione»

85
Repubblica Socialista Federativa.
86
Si suddivide in Turkestan occidentale (Kazakistan, Kirghisistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) e Turkestan
orientale(Uyghuristan), in Cina. Le catene montuose del Tian Shan e del Pamir formano una netta divisione tra i due.
87
Regione a sud degli Urali, capitale Ufa.
88
Regione a est degli Urali, capitale Kazan.
89
Provenienti dall’odierno Uzbekistan.
90
L'Emirato di Bukhara fu uno Stato islamico derivato dal Khanato di Bukhara nel 1785 e divenuto protettorato
dell'Impero Russo nel 1873. Confinava a sud con l'Afghanistan e la Persia, a est col Khanato di Kokand, a ovest col
Khanato di Khiva.
91
Odierno Uzbekistan.

33
Dario Cositore
del partito e la drastica riduzione del suo livello culturale e politico. Come l’Armata rossa durante la guerra,
il partito divenne ora il canale privilegiato di mobilità e ascesa sociale. Poi inizio l’offensiva in campo
politico. Nel 1922 si celebrò il primo grande processo a carico degli SR, che furono condannati a pene
detentive. Poi vennero arrestati migliaia di menscevichi e cadetti, molti dei quali deportati in campi di
lavoro forzato, il cui allestimento era cominciato nell’estate del 1918 (il primo stabile fu quello delle Isole
Soloveckie nel Mar Bianco). Nel 1919, quando furono promulgati i primi decreti ufficiali, essi furono posti
sotto l’autorità della polizia politica: la Čeka. Alla fine della guerra era già sorto uno «Stato nello Stato», con
proprie infrastrutture e campi di concentramento. Dal febbraio del 1922 fu trasformata in Amministrazione
Politica dello Stato (GPU), ribattezzata nel 1923 Amministrazione Politica Unificata dello Stato (OGPU).

XLIII. Cultura, religione, politica estera: la «borghesia» al servizio della rivoluzione

Relegata in fondo alla scala sociale l’intelligencija «borghese» incontrava difficoltà a trovare lavoro. Spesso
era l’iniziativa personale a salvare scrittori e scienziati da una situazione disperata. Gli esponenti di maggior
spicco della cultura erano tenuti sotto sorveglianza dalla polizia politica e coloro che assumevano un
atteggiamento critico verso il regime erano puniti con la deportazione. Nel 1922 fu introdotta la censura
preventiva. La «ritirata strategica» della NEP imponeva un atteggiamento più disponibile al compromesso,
sintetizzato nell’espressione «utilizzo delle braccia borghesi per la costruzione del comunismo». L’impegno
del regime su questo fronte era proseguito in tempo di pace attraverso la diffusione delle scuole serali. Nel
campo dell’istruzione superiore e universitaria furono create le Facoltà operaie (Rabfaki) e l’Istituto dei
professori rossi. A capo del Commissariato del popolo per l’Istruzione era Lunačarskij. Con Bogdanov era
stato tra i protagonisti del Proletkul’t, movimento di avanguardia fiorito durante gli anni della guerra civile
he intendeva fondare una nuova cultura proletaria e rivoluzionaria; Lunačarskij era favorevole alla
valorizzazione dell’intelligencija non proletaria. L’oppressione del regime rendeva, in ogni caso, la vita
faticosa e frustante. Anche gli appartamenti in comune che erano considerati una tappa della costruzione
della società comunista, si rivelavano essere il prodotto della necessità economica. Intransigente fu la
politica adottata nei confronti della religione e della Chiesa ortodossa. Nel gennaio 1918 il governo
sovietico aveva promulgato il decreto sulla separazione della Chiesa dallo Stato e dall’Istruzione. Le
organizzazioni religiose furono private del diritto di possedere proprietà e durante la carestia il regime
lanciò una campagna di requisizioni dei beni della Chiesa. In politica estera il regime bolscevico aveva
inizialmente operato una rottura con le consuetudini della diplomazia internazionale, disconoscendo tutti i
debiti contratti con gli altri paesi, rendendo pubblici documenti segreti. Ciò l’aveva condotto all’isolamento
internazionale. Lenin, però, si rendeva conto che considerazioni di opportunità politica imponevano la
normalizzazione delle relazioni diplomatiche. Nel 1921 furono siglati i primi trattati commerciali con gli
inglesi. Nel 1922, a Rapallo, fu stipulato un accordo con la Germania, anch’essa isolata dalle due potenze
vincitrici, che violavano le sanzioni di Versailles pre il riarmo tedesco. Nel 1924 la Gran Bretagna riconobbe
ufficialmente l’URSS. Nel 1924 l’egemonia sovietica sulla Mongolia esterna era stata assicurata dalla
formazione della Repubblica popolare mongola. Intorno alla metà degli anni venti furono stipulati trattati di
neutralità o amicizia con Turchia, Persia e Afghanistan. Grande impegno fu profuso dalla leadership
bolscevica nel sostenere i comunisti cinesi con forniture di armi e massiccio invio di esperti militari. Sin dal
1923 era stata incoraggiata la collaborazione dei comunisti con i nazionalisti del Kuomintang cinese.
L’impostazione di una tattica frontista ai cinesi si risolse in una débâcle politica per l’URSS nel 1927, quando
i nazionalisti massacrarono i comunisti a Shanghai per eliminare un alleato ormai considerato ingombrante.
Tra gli eventi in Estremo Oriente, la rottura delle relazioni commerciali da parte della Gran Bretagna e l-
assassinio dell’ambasciatore russo a Varsavia, nel 1927, alimentarono in URSS il dubbio di un complotto
internazionale antisovietico, della quale Stalin si servì nelle lotte di potere interne.

XLIV. La morte di Lenin, l’ascesa di Stalin e la sconfitta di Trockij

Le lotte per la successione a Lenin cominciarono già all’indomani del primo ictus che colpì il leader alla fine
del 1921. Un secondo ictus sopravvenne nel maggio 1922 e lo lasciò semiparalizzato: da allora cominciò a

34
Russia contemporanea
perdere il controllo su quanto accadeva. Nel dicembre ebbe un nuovo colpo e quello successivo, nel marzo
del 1923, gli levò anche l’uso della parola. Lenin era sempre a capo del Consiglio dei commissari del popolo:
riteneva, a differenza di Stalin, che alla sommità del potere esecutivo dovesse collocarsi l’apparato dello
Stato, piuttosto che del partito. Con il suo tramonto, vero centro decisionale del sistema diventò, tra il
1921-22, il Politbjuro, composto, a partire dall’XI Congresso dell’aprile del 1922, da sette membri, tra cui:
Lenin, Stalin e Trockij. Nell’XI Congresso Stalin fu nominato segretario generale (capo della segreteria del
CC). La Segreteria era formalmente subordinata all’Orgbjuro, che a sua volta dipendeva dal Politbjuro,
anche se ciascun organo poteva prendere decisioni che, se non contestate dall’organo superiore erano
immediatamente ratificate. Gestendo la segreteria dell’Orgbjuro e quella generale, Stalin controllava
l’organizzazione e l’attuazione delle direttive politiche. In questo momento erano gruppi piccoli e fedeli di
alti dirigenti a governare lo Stato sovietico. Nel 1922 si costituì un triumvirato composto da Kamenev,
Zinov’ev e Stalin: nacque così la Troika. Questa si riuniva privatamente prima delle riunioni del Politbjuro e
perseguiva l’obiettivo di isolare politicamente Trockij. Quest’ultimo, nell’aprile del 1923, al XII Congresso
denunciò la «crisi delle forbici», lo squilibrio tra prezzi industriali e prezzi agricoli che spingeva i contadini a
non vendere il grano. Nel corso dell’anno, poi, criticò la «burocratizzazione» del partito e l’assenza di
democrazia interna. Lo scontro raggiunse il suo apice nell’inverno 1923-24, durante la preparazione del XIII
Congresso: in dicembre Stalin, accusando Trockij di voler smantellare la NEP e dunque tradire le direttive di
Lenin, lanciò sul giornale del partito, la «Pravda 92», una campagna contro il «trockismo 93». Trockij fu
sconfitto dal controllo esercitato da Stalin sulla burocrazia del partito. Lenin, con una serie di note scritte tra
il dicembre del 1922 e il gennaio del 1923, passate alla storia come «testamento di Lenin», aveva cercato di
mettere in guardia il partito dall’eccessivo potere di Stalin e dalla rudezza con la quale lo gestiva. Il
«testamento», scritto in vista del XII Congresso, non fu reso noto in quella circostanza per evitare la
spaccatura del CC. Trockij perse così l’occasione per minare la posizione di Stalin: quando la moglie di Lenin,
Krupskaja, lo rese noto, nel maggio del 1924, era ormai troppo tardi. Dopo la morte di Lenin, avvenuta nel
1924, sorge il culto del leninismo: imbalsamando il corpo ed il pensiero di Lenin. Stalin si candidò al ruolo di
interprete ufficiale del leninismo con un ciclo di lezioni pubblicate con il titolo I fondamenti del leninismo.
Trockij rispose con le Lezioni dell’Ottobre, innescando una nuova polemica, ma politicamente era ormai in
declino: nel gennaio 1925 fu costretto a dimettersi anche dall’incarico di Commissario del popolo per la
guerra.

XLV. La seconda fase della NEP e il «socialismo in un solo paese»

L’intreccio tra lotta nel partito e sulle politiche economiche ha caratterizzato la storia sovietica degli anni
venti. Nella XVI Conferenza del partito (aprile 1925) Stalin, riprendendo il concetto di Bucharin, sostenne la
teoria del «socialismo in un solo paese», con la quale si prendeva atto che l’URSS, con la vittoria nella
guerra civile e la ripresa economica della NEP, aveva dimostrato di poter sopravvivere e anzi crescere senza
l’avvento di una rivoluzione su scala mondiale. Si apriva, così, una fase di ulteriore sviluppo della NEP, nel
1924, l’imposta in natura pagata dai contadini era stata trasformata in moneta. Nell’industria cominciava a
farsi strada l’idea che l’URSS potesse lanciarsi, da sola, in uno sviluppo tale da portarla ai primi posti del
mondo industriale: il VSNCH (Consiglio superiore dell’economia nazionale), divenne un Ministero
dell’Industria pesante, e cominciò a lavorare, in competizione costante con il Gosplan94 (il primo progetto
risale al 1926), all’elaborazione di un progetto di pianificazione industriale. Nel contrastare la linea Stalin-
Bucharin convergevano Trockij, l’Opposizione di sinistra e l’Opposizione di Leningrado 95 (già Pietrogrado
dopo la morte di Lenin). L’attacco era rivolto sia al rilancio della politica della NEP sia alla teoria del
«socialismo in un solo paese». Il XV Congresso del partito (dicembre 1925) sancì la sconfitta
dell’Opposizione di Leningrado. Nel 1926 Zinov’ev fu sostituito da Kirov al vertice del partito di Leningrado.
92
Traduzione letterale dal russo: Verità.
93
In questo periodo «trockismo» è un etichetta di matrice staliniana utilizzata per indicare l’eresia.
94
Commissione statale per la Pianificazione. Era l'organismo sovietico creato nel febbraio 1921 col compito di
pianificare i piani quinquennali dello sviluppo economico sovietico. Era affiancato dal Gossnab. Quest’ultimo era
l'ufficio statale per la fornitura di materiali e macchinari e aveva il compito di controllare tutte le transazioni
commerciali interne all'Unione Sovietica.
95
In questa Opposizione confluivano i due membri della Troika che affiancavano Stalin, quindi erano a lui fedeli.

35
Dario Cositore
Nel luglio del 1926 Trockij, Kamenev e Zinov’ev dettero vita all’Opposizione unita, che con una
dichiarazione presentata al Plenum 96 del CC condannava la politica economica di destra e l’assenza del
libero dibattito nel partito. Tra luglio e ottobre questi ultimi furono estromessi dal Politbjuro. Infine, nel
novembre-dicembre 1927, tutti e tre i leader dell’opposizione furono espulsi dal partito. Per essere
riammessi, Kamenev e Zinov’ev nel gennaio del 1928 confessarono i propri “errori” e dichiararono di non
fare più parte dell’Opposizione. Trockij invece fu esiliato in Asia centrale (Alma-Ata 97), e nel gennaio 1929,
per volontà di Stalin fu espulso dall’URSS. Nl 1927 il clima generale del partito stava cambiando. I livelli
produttivi dell’anteguerra erano stati raggiunti e gli investimenti nell’industria furono raddoppiati.
Nell’autunno 1927 era cominciata la crisi degli ammassi. Il sistema in vigore sino a qual momento,
imperniato sull’acquisto statale del grano dai contadini al prezzo di mercato e sulla possibilità di questi
ultimi di vendere anche ai privati, mostrò segni di crisi: il governo nel corso dell’anno precedente aveva
abbassato i prezzi e i contadini avevano reagito riducendo la produzione. Due soluzioni erano possibili per
ottenere il grano dai contadini: aumentare i prezzi, come consigliava Bucharin, oppure ricorrere alle
confische obbligatorie e all’uso della forza. Il desiderio di lanciare un’offensiva dello Stato contro il mercato
e la psicosi del complotto antisovietico, facevano propendere per la seconda soluzione. Nel primi mesi del
1928 Stalin sperimentò il cosiddetto metodo «uralo-siberiano»: 1. Chiusura dei mercati; 2. Requisizioni
forzate di grano; 3. Arresti dei kulaki98 accusati di «speculazione». La destra riuscì temporaneamente ad
ottenere da Stalin l’impegno a considerare tali misure straordinarie, e il Plenum del CC del luglio 1928
sembrò confermare tale linea. La spaccatura del partito era profonda: i fedeli a Stalin procedettero ad
applicare il metodo delle requisizioni avviando lo smantellamento della NEP. Nel 1930 Bucharin, Rykov e
Tomskij erano stati espulsi dal Politbjuro e dal Plenum. Con la definitiva sconfitta della destra si chiuse la
fase della NEP: nelle campagne cominciava la collettivizzazione.

XLVI. Gli anni trenta

Nella conferenza del partito dell’aprile 1929 fu scelto, tra diversi progetti elaborati dal Gosplan, quello con
le previsioni di crescita più elevate e fu varato così il primo Piano quinquennale (1928-1933). Ufficialmente
già iniziato nell’ottobre del 1928, fu effettivamente realizzato, alla fine del 1929, in quattro anni e tre mesi,
entro dicembre del 1932. Il piano prevedeva un tasso di crescita industriale del 230% e concentrava gran
parte delle risorse disponibili nell’industria pesante e dei mezzi di produzione, sacrificando i beni di
consumo. I successi principali furono conseguiti nel settore dell’energia, in particolare nella produzione di
elettricità (costruzione della diga sul Dnepr) e nell’astrazione di carbone e petrolio. Buoni risultati nella
produzione di ferro, ma deludenti quelli della produzione di acciaio. Intere città negli Urali e nel bacino del
Volga sorsero dal nulla; notevole fu l’espansione delle zone del Donbass 99, di Mosca e di Leningrado. Le
nuove fabbriche non entrarono a regime entro la fine del piano, in larga misura realizzato sfruttando al
massimo la capacità produttiva esistente, fino all’usura e spesso alla rottura dei macchinari e delle
infrastrutture. Nel lanciare la campagna di industrializzazione si riconobbe la necessità di acquistare
all’estero macchinari tecnologicamente avanzati, e di bilanciare tali costose importazioni con le
esportazioni di grano. Ma la congiuntura internazionale dei prezzi era sfavorevole per i contraccolpi della
crisi del 1929. Quasi nessuno degli obiettivi del piano fu raggiunto. Il sistema sovietico scontava ritardo
tecnologico e infrastrutture carenti, gestione approssimativa e incompetente delle imprese e manodopera
operaia inefficiente, in quanto questi provenivano dalle campagne. Tutto ciò non indusse la dirigenza
sovietica a rallentare i ritmi: nel XVI Congresso del partito (giugno-luglio 1930) Stalin aveva definito coloro
che proponevano tassi di crescita più bassi «nemici di classe». Le ragioni di questa posizione furono
illustrate dallo stesso Stalin in un discorso del 1931, nel quale, dopo aver sottolineato che dilatare i tempi
significava rimanere indietro e dunque essere sconfitti, passava in rassegna tutte le circostanze storiche
nelle quali la Russia era stata battuta per la sua arretratezza: dai khan mongoli, dai signori svedesi, dai nobili
polacco-lituani, dai capitalisti anglo-francesi e dai baroni giapponesi (tralasciò i tedeschi). Nel 1929 il
96
Comitato centrale del partito comunista sovietico.
97
A sud-est del Kazakistan, al confine con il Kirghizistan.
98
Contadiname ricco.
99
Area al nord del Mar d’Azov, appunto sulle rive di fiume affluente del Don: il Donec. Oggi quest’area appartiene
all’Ucraina dell’est.

36
Russia contemporanea
metodo «uralo-siberiano» era divenuto la norma delle campagne: non si ebbe esitazioni nel ricorrere alla
violenza per estorcere il grano e spingere i contadini a entrare nelle fattorie collettive ( kolchozy),
soprattutto quando cominciava a divenire chiaro che avrebbero reagito riducendo la superficie coltivata.
Aziende rurali collettive erano esistite sin dall’inizio del regime bolscevico, nella forma spontanea di
comuni, cooperative o più spesso artely agricoli, nei quali la terra (lavorata collettivamente), i mezzi e gli
animali (curati individualmente) erano in proprietà comune, mentre la fattoria rimaneva del singolo nucleo
familiare. La svolta avvenne nel primavera-estate del 1929, quando il numero dei contadini nelle fattorie
collettive raddoppiò in conseguenza delle pressioni di ogni genere esercitate dalle autorità: coloro che
opponevano resistenza venivano arrestati e accusati di essere kulaki, termine con il quale si indicava il
contadino benestante (che possedevano più animali e potevano pagare manodopera salariata), ma che
veniva usato sempre più spesso per indicare i «nemici del popolo», gli «speculatori». I kulaki dovevano
essere liquidati come classe, come affermò Stalin nel dicembre del 1929. Nel 5 gennaio del 1930 il CC votò
un decreto che stabiliva la collettivizzazione integrale entro il 1932. In circa due mesi più della metà delle
fattorie contadine era stata collettivizzata, nonostante la resistenza dei contadini: con rivolte e uccisione
degli animali (piuttosto che farli confiscare la kolchoz). Per garantire la semina primaverile, Stalin pubblicò
un articolo intitolato La vertigine del successo, nel quale invitava funzionari, brigate d’assalto e polizia
politica a usare metodi meno brutali e lasciava libertà ai contadini di abbandonare il kolchozy100 (cosa che
fecero in massa). Ma dopo il raccolto di autunno furono tutti ricollettivizzati, e ricominciarono le ecatombi
di animali. Per frenare questa reazione si concesse ai colcosiani 101 di possedere individualmente un orto e
un limitato numero di animali. Nel 1934 più del 70% delle aziende contadine era stato collettivizzato
(percentuale che raggiunse quasi il 100% alla vigilia della guerra), nella forma dei kolchozy oppure dei
sovchozy102. Questi ultimi erano aziende di Stato, in cui i membri erano classificati come operai e non come
contadini: i salari erano garantiti e le perdita ripianate dallo Stato, a differenza di quanto accadeva per i
kolchozy. Furono istituite nelle campagne le “Stazioni di macchine e trattori” (MTS) per rifornire le fattorie
collettive di macchinari e personale tecnico, nonché per rafforzare il controllo sulla popolazione rurale.
Quanto ai Kulaki, la loro liquidazione avvenne già nel corso del 1930. Furono individuate tre categorie di
Kulaki: 1. Controrivoluzionari (che dovevano essere fucilati o rinchiusi in campi di lavoro); 2. Benestanti
(che venivano deportati in zone remote); 3. Poco pericolosi (che potevano rimanere nel distretto previa
confisca di una parte della terra). Quest’ultimi divennero presto deportabili per l’OGPU 103 (Organizzazione
politica unificata dello Stato). Almeno 5 milioni di persone furono colpiti da questi provvedimenti.

XLVII. L’impatto della politiche statali: carestia, deportazioni e urbanizzazione

Le conseguenze della collettivizzazione sull’agricoltura sovietica furono disastrose. Ma il regime poteva, dal
suo punto di vasta, essere soddisfatto: si era posto fine alle ricorrenti crisi degli ammassi e del rifornimento
delle città; era stato meno a disposizione dell’industria un serbatoio di manodopera a buon mercato e la
resistenza dei contadini come gruppo sociale era stata spezzata. Contraccolpo che mise in grave sofferenza
l’intera economia sovietica fu la terribile carestia del 1932-33: essa investì molte regioni, dalla Bielorussia al
bacino del Volga, dalla Russia centrale alla Siberia, dal Kazakistan all’Estremo Oriente. Ci furono oltre 6
milioni di morti. La carestia fu il prodotto di un intreccio di fattori: le conseguenze della siccità e dei cattivi
raccolti furono aggravate dalle campagne di confisca forzata del grano e dagli sconvolgimenti creati dalla
collettivizzazione. Informati di quanto stava accadendo sin dalla primavera del 1932, Stalin e il Politbjuro
vararono alcuni provvedimenti insufficienti per tamponare la crisi: 1. Invio di grano nelle regioni in crisi; 2.
Sospensione temporanea delle requisizioni; 3. Riduzione delle esportazione di grano all’estero. L’Ucraina fu
esclusa da questi provvedimenti. La situazione fu ulteriormente aggravata dal dirottamento di carichi di
grano dai porti ucraini per fronteggiare l’emergenza in Estremo Oriente, dove la Manciuria era minacciata
dai Giapponesi, quindi l’Unione Sovietica doveva mascherare le proprie debolezze. L’esistenza stessa della
100
Ch si legge come la j in spagnolo.
101
Colcosiano è un membro del Kolchoz.
102
I sovchozniki, ovvero i contadini che lavoravano in questa azienda agricola statale, erano a tutti gli effetti dipendenti
dello Stato: l'intero raccolto era proprietà statale, e i contadini ricevevano una retribuzione regolare. Al loro opposto vi
erano i kolchozniki, ossia i membri di un Kolchoz, le aziende a gestione collettiva.
103
Ex-Čeka.

37
Dario Cositore
carestia fu inoltre negata dal regime sovietico, con il risultato che, a differenza di quanto accadde nel 1921,
non furono organizzati soccorsi. Soccorsi che, invece, Lenin accettò dall’American Relief Administration. In
conclusione, sembra poco credibile che Stalin e i suoi collaboratori avessero provocato intenzionalmente la
carestia per sterminare gli ucraini. In questi anni ebbe luogo una vera e propria rivoluzione sociale, il cui
contenuto può essere definito come un accelerato processo di deruralizzazione innescato da tre potenti
«fattori di trasformazione»: 1. Collettivizzazione; 2. Industrializzazione; 3. Urbanizzazione. Tra il 1926 e il
1939 quasi 20 milioni di abitanti si trasferirono in città. Ciò significava, d’altro canto, che una fetta
consistente della popolazione urbana era composta da persone di recente estrazione contadina, il che
comportava un’inevitabile “ruralizzazione” delle città. Assunse, inoltre, dimensioni massicce il fenomeno
dei bambini abbandonati. Vittime della disintegrazione dei nuclei familiari, questi bambini si riunivano in
orfanotrofi o si riunivano in bande. La crescita della microcriminalità spinse nel 1935 a varare misure
repressive più aspre, ed attribuire maggiori poteri sulla questione sociale minorile all’NKVD (Commissario
del popolo per gli affari interni) e ai suoi centri di rieducazione. Infine si deve tener conto dei rilevanti flussi
migratori. Nei due anni di dekulakizzazione (1930-31) furono deportate circa 2 milioni di persone (ma oltre
500 mila non giunsero a destinazione) verso le regioni dell’estremo Nord, degli Urali, della Siberia e
dell’Asia centrale. Nel 1933-34, dopo che la carestia aveva devastato intere regioni dell’Ucraina molti
trasferimenti di popolazione furono indirizzati verso questi territori. A partire dal 1935 le destinazioni
principali divennero l’Estremo Oriente e la siberia orientale. Ormai protagonisti delle deportazioni non
erano solo i kulaki: lo status dei deportati, anzi di “coloni speciali”, si applicava a tutti quei gruppi che per
varie ragioni erano oggetto di provvedimenti di epurazione o di pulizia etnica. Dal 1935 cominciò la
“bonifica” delle regioni di frontiera considerate maggiormente a rischio: polacchi, tedeschi, finlandesi
furono trasferiti dalle regioni periferiche occidentali in Asia centrale e in Estremo Oriente; i coreani dal
confine con la Manciuria in Asia centrale; curdi e iraniani dalle regioni transcaucasiche verso il Kazakistan.

XLVIII. Rivoluzione culturale e campagna contro gli «specialisti borghesi»

La sconfitta della destra buchariniana segnò la fine della politica di «utilizzo delle braccia borghesi per la
costruzione del comunismo». La rivoluzione culturale fu avviata dalla direzione del partito nella primavera-
estate del 1928, in concomitanza con l’offensiva finale sferrata dagli stalinisti contro la “destra”, i suoi
obiettivi erano: 1. L’intensificazione della lotta di classe antiborghese; 2. La rieducazione di massa; 3. Lo
sviluppo di una cultura autenticamente proletaria (che fosse al servizio dell’edificazione socialista). Nel
fuoco della nuova lotta di classe contro gli «specialisti borghesi» gli zelanti propugnatori di tali teorie,
convinti di ridare vitalità alla rivoluzione, non fecero che aprire la strada per il rafforzamento del controllo
del partito su ogni aspetto della vita e del pensiero e per la cancellazione delle residue tracce di pluralismo
esistenti. Emblematico è il caso dell’Associazione degli scrittori proletari (RAPP) che cominciò a lanciare
aggressive campagne per smantellare l’Unione panrussa degli scrittori. Nel 1932 però un decreto del CC
sciolse la RAPP d’autorità: gli indirizzi di politica generale e culturale di Stalin e del partito stavano
nuovamente cambiando. Nel 1929 furono chiusi tutti i giornali non di partito e le poche case editrici
indipendenti. La stampa perdeva la funzione di informazione, per trasformarsi in una pura cassa di
risonanza della propaganda di regime. La chiusura delle frontiere e l’inizio di una fase di isolamento
culturale caratteristica dell’era staliniana: agli studio fu persino proibito, come dopo il 1848 da Nicola I, di
intraprendere viaggi di specializzazione all’estero. Sul fronte tecnico nel Plenum del CC del luglio 1928
furono istituite le quote per l’accesso all’istruzione tecnica superiore: il 65% dei nuovi iscritti doveva
appartenere alla classe operaia. A ciò si accompagnò la semplificazione dei programmi, l’abbassamento dei
livelli tecnici e culturali, il trasferimento della formazione universitaria sotto il controllo del VSNCH e dei
diversi dicasteri104 economici, con il conseguente restringimento degli orizzonti formativi. Gli anni 1928-31
furono duri per i lavoratori delle fabbriche, sottoposti ad una forte pressione sui luoghi di lavoro per
aumentare la produttività e alla compressione dei consumi e dei salari. Furono, però, anche anni di
avanzamento professionale e ascesa sociale, grazie alle quote nell’istruzione e all’intenzionale promozione
da parte del regime di una nuova intelligencija tecnica di estrazione proletaria che sostituisse quella
“borghese”. Tali opportunità erano ampliate dalla lotta contro gli «specialisti borghesi» attraverso il braccio

104
Ministeri.

38
Russia contemporanea
armato della polizia politica. Il segnale di avvio di questa nuova campagna fu dato nel marzo del 1928 con il
processo-farsa di Sakty (regione mineraria del Donbass), imbastito a carico di un gruppo di ingegneri
accusati di spionaggio e di collaborazione di nemici dell’URSS. Seguirono migliaia di arresti di ingegneri e
tecnici specializzati non iscritti al partito e nuovi processi-farsa ad danni del «partito industriale»
(novembre-dicembre 1930) e dei menscevichi internazionalisti (marzo 1931). Nel 1930 l’OGPU
(Amministrazione popolare unificata dello Stato) raccoglieva informazioni e stilava dossier su elementi di
destra. Nel 1931 circa la metà degli ingegneri e tecnici del Donbass era in arresto, con gravi ripercussioni
sull’efficienza del sistema economico e sull’andamento dell’industrializzazione. Fu Oržonikidze, dalla fine
del 1930 a capo del VSNCH, a sollecitare Stalin perché mettesse un freno alla persecuzione degli specialisti.
La fine del periodo più aspro della rivoluzione culturale fu decretata nel giugno 1931. Alla stagione
rivoluzionaria del 1928-31 seguì nel 1931-32 la fase del “grande-ritiro”, nella quale il contributo degli
specialisti fu rivalutato e il conservatorismo sociale prese il sopravvento. Si pose fine al livellamento dei
salari, si introdusse il cottimo e furono rispristinate differenziazioni retributive per i lavoratori specializzati.
Cresceva la divaricazione tra la maggior parte dei salari (in diminuzione) e le retribuzioni di “lavoratori di
assalto” (udarniki) e stachanovisti. Ma i processi non terminarono del tutto, come mostra il caso degli
ingegneri della Metro-Vickers (i lavori per la costruzione della metropolitana di Mosca erano cominciati nel
1932), messi sul banco degli imputati nel 1933. Il secondo Piano quinquennale (1933-37) dovette fare i
conti con: 1. La scarsa produzione agricola; 2. Scarso funzionamento dei trasporti; 3. Scarsa fornitura di
materie prime. Gli aggiustamenti al piano furono approvati al XVII Congresso del partito (gennaio-febbraio
1934). Si prevedevano maggiori risorse destinate all’industria leggera, ai beni di consumo, all’edilizia
popolare, ma in questi settori il piano rimase largamente non realizzato; fu invece il comparto della difesa e
degli armamenti a compiere significativi processi: dal 3,5% del budget del 1933 si giunse al 16,5% nel 1937.

XLIX. La nuova sintesi social-patriottica e gli sviluppi della società di massa

Nell’ottobre del 1932, in un incontro nella casa moscovita di Gor’kij, fu definita la dottrina del realismo
socialista: per Gor’kij si trattava di porre fine alle esagerazioni della scrittura proletaria propugnata dalla
RAPP, e di recuperare la tradizione realistica ottocentesca incarnata da Tolstoj. Nella versione staliniana ciò
si tradusse nella fine dell’avanguardia e degli sperimentalismi degli anni Venti e nell’utilizzo di contenuti
storici nazionali. Anche il cinema la musica e le arti figurative dovettero rimodellarsi sui canoni del realismo
socialista. Questi ultimi erano funzionali al riorientamento della cultura e della politica in senso nazionale.
Nel corso del 1935-1938 si cominciò a fare ricorso alla categoria di «nazione nemica» e alla pratica della
pulizia etnica. Nove nazionalità furono sottoposte a deportazioni di massa: tedeschi, polacchi, lettoni,
estoni, finlandesi, curdi, iraniani, cinesi e coreani. La crisi dell’affirmative action policy non comportò la
svolta verso la russificazione. Il peso relativo delle élites non russe nel complesso crebbe ancora nella
seconda metà degli anni trenta. Si intendeva preservare la funzione psicologica positiva svolta dalla
korenizacija105 (Carienisitze) nel prevenire i risentimenti nazionali. Dal il 1935 fu il concetto di «amicizia tra i
popoli» a essere individuato come fondamento nazionale dello Stato sovietico. La nuova costituzione
promulgata nel 1936 sanciva questo riorientamento abolendo l’esclusione dal voto dei nemici di classe:
tutti i cittadini sovietici avevano diritto di voto, che era diretto e segreto. Ma il PCUS, come sola forza
politica autorizzata, era l’unico a poter presentare candidati. Essa conteneva anche il riconoscimento di un
lungo evento di libertà civili, sia pure subordinato agli «interessi del popolo lavoratore» e al «rafforzamento
dello Stato socialista». Erano diventate 11 le Repubbliche sovietiche che componevano l’Unione. Il
Congresso del Soviet fu sostituito da un Soviet supremo bicamerale (la seconda camera era costituita dal
Soviet delle Nazionalità) come massimo corpo legislativo del paese: si riuniva per pochi giorni all’anno e si
limitava ad approvare le decisioni del suo Presidium. Gli elementi di garantismo e democrazia contenuti
nella costituzione erano lontani dal descrivere la realtà politica e sociale sovietica: la cittadinanza attiva,
oramai inesistente, era surrogata da rituali di partecipazione, quali: 1. Voto formale; 2. Parate; 3. Festival;
nei quali i cittadini erano trasformati in spettatori. La propaganda ufficiale, in cui termini chiave erano
rodina (madrepatria) e dostiženija (conquiste), celebrava il progresso, l’uso della tecnica, e il dominio
dell’uomo sulla natura. Mirava a costruire consenso attorno all’epopea dell’industrializzazione, della

105
Indigenizzazione, ovvero russificazione della popolazione.

39
Dario Cositore
costruzione di dighe, di centrali elettriche, della metropolitana di Mosca e dell’edificazione di nuove città in
Siberia. Grande importanza rivestiva il sistema educativo, l’inquadramento giovanile nelle attività sportive e
ricreative. Nonostante gli enormi costi e sacrifici umani che caratterizzarono questi anni, tale celebrazione
propagandistica sembrava funzionare, grazie anche alle opportunità di promozione sociale che si offrivano
a milioni di persone. Fattori determinanti nell’espansione della nuova società di massa sovietica furono
l’urbanizzazione e la scolarizzazione fino nelle regioni più remote. L’avvento della modernità si
accompagnava alla diffusione di massa di: 1. Palazzi in mattoni con riscaldamenti centralizzati (Ingegneri
russi106, 1700 )2. Telefono (Meucci, 1871); 3. Cinema (Edison, 1891); 4. Radio (Tesla, 1893). Allo stesso
tempo il sopraffollamento rendeva difficili le condizioni di vita l’edilizia non riusciva a costruire al ritmo
dell’urbanizzazione, e rimaneva limitata la diffusione dell’acqua corrente. Solo l’elettrificazione mostrò di
poter tenere il passo con lo sviluppo. Nonostante ciò le condizioni di vita negli anni Trenta erano difficili,
come è testimoniato dalla netta riduzione della natalità, aumentata dopo la fine della guerra civile.
L’espressione «quotidianità eccezionale» è adatta a descrivere la vita di tanti.

L. Terrore, purghe e Gulag

Negli anni 1930-34 vi furono tentativi, compiute da persone all’interno del partito, per correggere la linea
politica ufficiale. Il più rilevante fu nel 1932 la Piattaforma di Rjutin, nel quale si accusava Stalin di aver
condotto la rivoluzione sull’orlo della distruzione e se ne chiedeva la destituzione. Si svolse il processo, ma
la maggioranza del Politbjuro fu contraria ad applicare la pena di morte agli accusati, che furono espulsi dal
partito. La brutalità dei metodi staliniani, soprattutto della collettivizzazione, è manifestata dal tragico gesto
della seconda moglie di Stalin, Allilujeva, che si suicida. È in questo contesto che si colloca l’assassinio di
Kirov (1934), membro del Politbjuro e capo dell’organizzazione leningradese del partito, per mano di
Nikolaev, un ex iscritto al partito. Un’interpretazione che ha avuto fortuna è quella che vede Stalin come
mandante dell’omicidio in quanto rischiava di essere sostituito dallo stesso Kirov. Studi recenti di autori
russi hanno però messo in discussione la veridicità di questa ricostruzione. Tutti concordano, però, nel
considerare l’evento come punto di svolta verso l’instaurazione piena dello stalinismo e lo scatenamento
delle fase più acuta del terrore. L’assassinio di uno dei massimi dirigenti del partito fu presentato come una
confermo dell’esistenza di complotti contro lo Stato sovietico e fornì a Stalin il pretesto per fare piazza
pulita degli oppositori e procedere all’epurazione dei quadri del partito. Tra dicembre 1934 e gennaio 1935
Kamenev, Zinov’ev e altri furono arrestati e accusati di tradimento. L’NKVD (Polizia politica), che nel 1934
aveva assorbito OGPU (Organizzazione politica unificata dello Stato), fu lo strumento dell’azione repressiva.
Quando si riunì, nel 1939, il XVIII Congresso del partito, si contarono in tutto 24 membri del CC già presenti
nel congresso del 1934: l’intera élites comunista era stata spazzata via. Nel luglio del 1936 il CC inviava a
tutte le organizzazioni locali di partito una lettera segreta «sull’attività terroristica del blocco
controrivoluzionario trockista-zinovievista» nella quali si attribuiva la responsabilità dell’assassinio di Kirov a
tutti i punti di opposizione: cominciava il periodo del «Grande terrore», detto anche della ežovščina dal
nome di Ežov, divenuto in settembre sanguinario capo dell’NKDV. Nel frattempo ebbero inizio i processi-
farsa del 1936-38, nei quali il ruolo di pubblico accusatore fu svolto da Vyšinskij (Vshnski): in confessioni
scritte, ottenute mediante la pressione psicologica o la tortura, gli imputati si dichiaravano colpevoli di
cospirazione, tradimento, spionaggio e sabotaggio industriale per indebolire la Sovetskij Sojuz (Savietski
sayuz) e favorire l’attacco al nemico. Il capo della cospirazione era Trockij presentato come agente segreto
della Gestapo107. Il primo processo celebrato, nell’agosto del 1936, si concluse con la condanna a morte di
Kamenev e Zinov’ev. Seguì, nel 1937, il processo ai danni del «centro troskista antisovietico», composto da
Pjatakov, Radek e Sokol’nikov. Nonostante le confessioni, gran parte degli imputati fu condannato a morte.
Nel giugno dello stesso anno fu decapitato, per l’accusa di tradimento, il maresciallo Tuchačevskij. La metà
dell’interno corpo degli ufficiali, 35 mila uomini, furono imprigionati o giustiziati. Infine nel 1938, l’ultimo
grande processo-farsa contro il «blocco antisovietico della destra e dei trockisti», al termine del quale
furono condannati Bucharin, Rykov e Jagoda (capo della polizia prima di Ežov). Coloro che non venivano
giustiziati venivano deportati in campi di lavoro forzato, o costretti, come nel caso della costruzione del
canale Volga-Mar Bianco, a lavorare in condizioni estreme. La svolta nella storia dei campi di lavoro sovietici
106
Utilizzato per la prima volta nel Palazzo d’Estate di Pietro il Grande.
107
Geheime Staatspolizei (Polizia segreta di Stato) era la polizia segreta del Terzo Reich.

40
Russia contemporanea
si era verificata nel 1929-30: con gli arresti di massa che accompagnarono la collettivizzazione, e in ragione
delle esigenze produttive del Primo piano quinquennale. L’industrializzazione richiedeva lo sfruttamento
estensivo del legname e delle risorse minerarie, e la bilancia dei pagamenti sollecitava l’aumento
dell’estrazione dell’oro. Il lavoro forzato poteva diventare la punizione per i nemici di classe o traditori, ma
anche la soluzione al problema del reperimento delle materie prime, nonché di colonizzare ampie zone
spopolate del paese. Si decise di abolire la distinzione tra campi ordinari, gestiti dal Ministero dell’Interno, e
campi speciali, destinati a detenuti politici, sottoposti ad un regime più duro e sottoposti alla polizia
segreta. L’interno sistema fu posto sotto il controllo dell’OGPU/NKDV. Nacque così l’Amministrazione
generale dei campi Glavnoe Upravlenie Lagerej108(Gulag). Esso conobbe una rapida espansione durante gli
anni trenta, soprattutto tra il 1936-39, in concomitanza con le «grandi purghe» diffondendosi soprattutto
nella Russia europea e a est degli Urali, dove accadeva che intere regioni, come la Kolyma (Siberia
nordorientale) e il bacino superiore dello Jenisej (la città di Noril’sk fu costruita dai detenuti) fossero
amministrate della rispettive divisioni territoriali del Gulag. L’NKVD mise in piedi in pochi anni un impero
economico attraverso la trasformazione del sistema penitenziario in settore industriale. Si calcola che tra il
1929 e il 1953, anno della morte di Stalin, siano passati per il Gulag 18 milioni di persone. Se si somma
questi la cifra dei parenti dei detenuti si può avere un’idea dell’impatto avuto dall’universo
concentrazionario dell’intera società russa 109.

Figura 15: Gulag. Fonte: Treccani.


LI. Stalin e lo stalinismo

Stalin era un efficace uomo di partito, alla mancanza di eloquio brillante, di carisma personale, si
contrapponeva una grande abilità politica e tattica. Man mano che il suo potere si consolidava, la diffidenza
connaturata alla sua indole venne assumendo tratti paranoici, fino a sviluppare una vera ossessione per il
complotto e il tradimento. Momento fondamentale nella costruzione del dispotismo staliniano fu
l’eliminazione di ogni centro di potere alternativo al partito (Soviet supremo e Consiglio dei commissari del
popolo): all’inizio degli anni trenta dualismo tra partito e Stato non erano più ammessi. Ma il potere di
Stalin non era ancora assoluto: il terrore e le purghe dopo il 1934 posso essere interpretati come un modo
per consolidarlo sovvertendo e destabilizzando l’apparato. Il despota aveva intorno a sé un circolo ristretto
di collaboratori fidati: Molotov, Vorošilov, Mikojan, Oržonikidze, Kaganovič e Ždanov. I primi segnali della
costruzione del culto della personalità si manifestarono in occasione del suo cinquantesimo compleanno, il
21 dicembre 1929. La singolare commistione tra arcaismo e modernità che caratterizzava tale culto è
considerata da alcuni studiosi funzionale a un sistema di “dispotismo agrario”, vale a dire alla costruzione di
uno Stato forte artefice della modernizzazione su una base sociale arretrata e contadina. Per Lewin lo
stalinismo in particolare e il sistema sovietico in generale sono varianti del modello autoritario
manifestatosi in Russia con lo zarismo. L’ordine stalinista comportò un sistema gerarchizzato di premi e di
opportunità per funzionari che, in un contesto di penuria di beni, concedeva un enorme potere ai
sottoposti. Fitzpatrick ha attribuito rilevanza alla dinamica propria della rivoluzione (la sua periodizzazione
della rivoluzione russa giunge sino al 1938): l’idea di sacrificare vite umane in nome della difesa di tale
sistema può diventare accettabile per il senso comune in un clima politico surriscaldato, caratterizzato dalla
sovraesposizione dei leader e della psicosi del complotto. Secondo questa interpretazione non sarebbero
state possibili le purghe senza il consenso popolare. Il termine stalinismo fu coniato da Trockij (in risposta
all’accusa staliniana di trockismo) per definire la degenerazione burocratica del leninismo. Lo storico sociale
Lewin ha focalizzato la propria interpretazione del nuovo Stato sui caratteri peculiari della società
contadina, piuttosto che sull’azione rimodellatrice esercitata dal despota. Egli ha sottolineato la differenza
di fondo esistente tra le logiche del dispotismo e della burocrazia: per il despota la burocrazia è
indispensabile. Queste riflessioni ci conducono inevitabilmente al controverso dibattito attorno al concetto
di totalitarismo. Per decenni è stato adoperato da coloro che intendevano contrapporre alle democrazie
occidentali i regimi dispotici di matrice comunista e fascista. Per questo motivo alcuni storici hanno
preferito non servirsene mentre altri lo hanno considerato inadeguato per descrivere la realtà sovietica.
108
La pronuncia è: Glavne upravlenie lagerey.
109
Infatti se un nucleo familiare fosse stato costituito da 3 persone, quindi un solo figlio per coppia, allora il numero
diventa 54 milioni di persone soggette alla militarizzazione dell’economia.

41
Dario Cositore
Secondo Mann è possibile individuare un modello totalitario a patto di definire correttamente le
caratteristiche: 1. Un’ideologia che intende rimodellare l’intera società; 2. Un partito che si infiltra in ogni
settore dello Stato. Non è possibile sostenere che tali caratteri diano luogo a una burocrazia totalitaria,
razionale e capace di controllo capillare; al contrario, essi si indeboliscono a vicenda, per la contraddizione
insanabile tra istituzionalizzazione dell’autorità del partito e obiettivi di rivoluzione permanente.

LII. La Seconda guerra mondiale

Nel corso degli anni venti il Commissario per gli esteri Čičerin era riuscito a rompere l’isolamento dello Stato
sovietico e ad allacciare intensi legami economici e commerciali. Nel 1930 Litvinov subentrerà a Čičerin.
All’inizio degli anni Trenta la politica estera dell’URSS era in difficoltà tanto in Estremo Oriente, dove il
sostegno ai comunisti cinesi aveva subito una battuta di arresto, quanto in Europa, dove la capacità
espansiva del fascismo era stata sottovalutata. L’espansionismo del Giappone, che nel 1931 aveva invaso la
Manciuria, e la presa del potere in Germania da parte dei nazisti, rendevano nuovamente attuale la duplice
minaccia alla sicurezza russa configuratasi all’inizio del Novecento. La politica sovietica reagì alla mutata
situazione internazionale prima riconoscendo pubblicamente, nel 1933, la differenza tra cooperazione
democratica e la politica di aggressione nei rapporti tra Stati e poi, nel 1934, inaugurando in Francia la
stagione di collaborazione dei comunisti con le forze socialiste e democratiche, ufficializzata dal Komintern
nel VII Congresso (1935). L’attività diplomatica di Litvinov , fin dall’inizio caratterizzata da iniziative volte a
promuovere accordi di disarmo e la costruzione in Europa di un sistema di «sicurezza collettiva», ricevette
nuovo impulso. Nell’autunno 1934 l’URSS entrò nella Società delle Nazioni 110, in precedenza considerata
come lo strumento del capitalismo imperialista. Furono siglati il patto franco-sovietico, che prevedeva aiuto
e assistenza in caso di attacco non motivato da parte di una terza potenza, e il patto russo-cecoslovacco,
che subordinava la reciproca assistenza all’intervento francese a favore del paese attaccato. Le vicende
della guerra di Spagna, nella quale i franchisti ricevevano il cospicuo sostegno tedesco e italiano senza che
la Francia e la Gran Bretagna intervenissero ad impedirlo, la militarizzazione della Renania e l’annessione
dell’Austria da parte di Hitler mostrarono che la costruzione di un sistema di sicurezza in Europa, per
arginare la minaccia nazista, rimaneva inattuabile e rendeva fragili gli accordi con la Francia, rendendo
concreto agli occhi dei sovietici il pericolo di dover affrontare da soli un eventuale aggressione tedesca.
Stalin, convinto che la guerra fosse inevitabile, intensificò a partire dal 1937 la coscrizione (L’Armata rossa
quintuplico entro il 1941) e il riarmo, al punto che la produzione sovietica di armamenti surclassò quella
tedesca. All’inizio del 1938 l’Unione Sovietica doveva fare i conti con un pericoloso isolamento diplomatico,
temeva Hitler, ma diffidava delle intenzioni di Gran Bretagna e Francia, che nel corso del 1937 avevano
seguito una linea politica di appeasement con il potente vicino tedesco. Tale isolamento raggiunse l’apice
nel settembre del 1938, quando a Monaco i rappresentanti di Germania, Inghilterra, Francia e Italia si
riunirono per risolvere la questione delle rivendicazioni tedesche sui Sudeti 111, alle quali fu dato vi libera
nella speranza che ciò bastasse a soddisfare gli appetiti territoriali di Hitler. Nel frattempo in estremo
oriente la politica frontista, varata mentre era in corso la lunga marcia dei comunisti guidati da Mao tse-
tung, aveva dato impulso al ruolo delle forze comunista come ispiratrici della riscossa nazionale. Nel
novembre del 1936 il Giappone siglò il patto anti-Komintern con i tedeschi, e nel 1937 entrò in guerra con la
Cina, che ricevette il sostegno russo in armamenti e forniture. L’Armata rossa fu coinvolta nel 1938-39 in
110
La Società delle Nazioni è stata la prima organizzazione intergovernativa avente come scopo quello di accrescere il
benessere e la qualità della vita degli uomini. Il suo principale impegno era quello di prevenire le guerre, sia attraverso
la gestione diplomatica dei conflitti sia attraverso il controllo degli armamenti. La Società delle Nazioni fu fondata
nell'ambito della Conferenza di Pace di Parigi del 1919-1920 – formalmente il 28 giugno 1919 con la firma del Trattato
di Versailles del 1919 – e fu estinta il 19 aprile 1946 in seguito al fallimento rappresentato dalla seconda guerra
mondiale e alla nascita, nel 1945, di un'organizzazione con identico scopo, le Nazioni Unite. Il fallimento rappresentato
dalla seconda guerra mondiale fu così grande che si pensò infatti a una nuova organizzazione, anche perché uno dei
principali attori positivi della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti, non ne era membro, nonostante fosse stato
proprio un suo presidente, Thomas Woodrow Wilson, il maggior promotore della Società delle Nazioni.
111
I Sudeti sono un sistema montuoso al confine tra la Germania (Sassonia), la Polonia (Slesia) e la Repubblica Ceca
(Boemia e Moravia). Poiché il nome, nel periodo compreso fra le due guerre mondiali, designò con un buon grado di
approssimazione l'intera area tedescofona all'interno di Boemia e Moravia con questa denominazione si definiscono
talvolta le popolazioni tedesche ivi insediate fino alla seconda guerra mondiale (Sudetendeutsche).

42
Russia contemporanea
scontri con le truppe giapponesi nelle zone di confine tra URSS, Manciuria, Corea e Mongolia esterna, che si
conclusero con un armistizio firmato il 15 settembre 1939. In Europa il sacrificio della Cecoslovacchia,
interamente occupata dai tedeschi nel marzo del 1939, e le pressioni esercitate sulla Polonia perché
cedesse Danzica fecero piazza pulita delle illusioni ancora nutrite riguardi alle reali intenzioni di Hitler.
Un’offensiva diplomatica fu lanciata allora dagli inglesi nei confronti dell’Unione sovietica, mentre la
Germania intavolava a sua volta trattative segrete con l’URSS incentrate sulla possibile spartizione della
Polonia. Durante l’estate il governo britannico si mostrò indeciso rispetto all’eventualità concreta di dare
vita a un’alleanza militare antitedesca, convinto forse di avere ancora tempo a disposizione. Ma Hitler, che
aveva già pianificato di attaccare la Polonia alla fine di agosto, riuscì ad accordarsi con Stalin. Il ministro
degli Esteri Von Ribbentropp si recò a Mosca e il 23 agosto l’incontro con Stalin e Molotov (che aveva
sostituito Litvinov) si concluse con un Trattato di non aggressione tra Germania e Unione Sovietica. Erano i
contenuti del protocollo segreto: l’URSS avrebbe disposto di Finlandia, Estonia, Lettonia e Polonia ad est
della Vistola, la Germania di Polonia occidentale e Lituania (gli accordi furono poi rettificati nel senso di
attribuire la Lituania all’URSS in cambio dello spostamento della frontiera polacca sino al fiume Bug 112). Il
primo settembre del 1939 Hitler cominciò ad invadere la Polonia inaugurando la Seconda guerra mondiale;
l’Unione Sovietica intraprese l’occupazione della zona orientale il 17 settembre, due giorni dopo aver firma
l’armistizio con il Giappone.

LIII. Dal patto Molotov-Ribbentropp alla battaglia per Mosca

Mentre lo Stato polacco si dissolveva sotto le truppe di occupazione, gli Stati baltici conservavano
l’indipendenza formale, costretti però a firmare patti di mutua assistenza con l’Unione Sovietica. Quando la
Finlandia si rifiutò di fare altrettanto, fu invasa dalle truppe sovietiche. La guerra, divampata nel mese di
dicembre, mise in evidenza debolezze dell’Armata rossa, e si concluse nel marzo 1940 con un pace che
assegnava ai russi una parte di territorio Finlandese a nord-ovest di Leningrado, ma salvaguardava
l’indipendenza della Finlandia. Stalin era convinto che Hitler avrebbe attaccato, e lo dimostra l’ulteriore
intensificazione del riarmo: la riconversione di molte fabbriche di trattori alla produzione di carri armati e il
parziale trasferimento della capacità produttiva relativa agli armamenti nelle regioni orientali (Volga, Urali e
Siberia) furono attuati proprio a partire dal 1940. Vi era stata una mobilitazione imponente di truppe in
prossimità delle frontiere, il che fa ritenere che la possibilità di un attacco a breve fosse comunque presa in
considerazione. Non furono però riposizionate fortificazioni lungo i nuovi confini occidentali dell’URSS, e
neanche fu trasferito il potenziale industriale ucraino verso regioni più sicure, circostanza che contribuì a
rendere più gravose le perdite subite dall’URSS nei primi mesi di guerra. Il 22 giugno del 1941 ebbe inizio
l’Operazione Barbarossa: gli avvertimenti dei servizi segreti e dei disertori tedeschi, furono ignorati da
Stalin, che nelle prime ore di invasione rifiutava di credere alle notizie. Le linee di difesa russe furono colte
di sorpresa, gli aerei distrutti al suolo e ampie porzioni di territorio perdute in poche settimane. Le direttive
di non indietreggiare a nessun costo causarono perdite inutili. Dopo lo shock dei primi giorni, Stalin riprese
l’iniziativa: il Piano quinquennale varato nel 1938 fu sospeso; il 30 giugno si costituì il Comitato statale di
difesa, del quale facevano parte Molotov, Malenkov, Berjia e Vorošilov, presieduto da Stalin, nominato
comandante supremo e presidente della Stavka, l’altro comando militare costituitosi il 23 giugno. Il 3 luglio
il dittatore pronunciò un discorso radiofonico nel quale incitò i compatrioti a fare terra bruciata dinanzi a al
nemico e a combattere con spirito patriottico. Quell’esperienza è rimasta viva nella memoria sovietica
come la “Grande guerra patriottica”. L’offensiva tedesca si dispiegava lungo un fronte amplissimo con tre
gruppi di armate (le tre direttrici): 1. Settentrionale (verso Leningrado); 2. Centrale (verso Mosca); 3.
Meridionale (verso Kiev). L’avanzata avvenne secondo i dettami del Blitzkrieg. Le forze sovietiche furono
accerchiate nelle cosiddette «tasche» a Bialystok, Smolensk, Kiev; Leningrado fu assediata alla fine di
agosto113. Kiev fu conquistata a settembre e alla metà di ottobre le forze tedesche avevano raggiunto la
112
Si trova ad est di Varsavia e per gran parte del suo corso rappresenta il confine orientale della Polonia. Il Bug
Occidentale nasce nella Galizia, nella parte occidentale dell'Ucraina, scorre dapprima verso ovest e poi svolta verso
nord. Attraversa la città di Brėst e presso Varsavia sfocia nel Narew.
113
Da Bialystok (Polonia centro-orientale) a Smolensk (città russa al confine con la Russia bianca) sono 700km, da
Smolensk a Mosca sono 400km, da Smolensk a Leningrado sono 700km; invece da Bialystok a Kiev sono 680km,
raggiungere Kiev da Smolensk, invece, costa 590km. Raggiungere poi, Caricyn, da Bialystok sono 2000km; da Mosca,

43
Dario Cositore
periferia di Mosca. Stalin presa addirittura in considerazione l’idea di una pace separata. Hitler però aveva
ordinato, in contrasto con il parere dei suoi generali, di dirottare le forze corazzate di Heinz Guderian verso
sud, per rafforzare l’avanzata in Ucraina, indebolendo così la capacità di impatto delle forze del centro
dirette a Mosca. Il 10 ottobre Žukov fu nominato comandante del fronte occidentale e il 19 si decise di non
abbandonare Mosca. Nei due mesi che seguirono l’esercito tedesco lanciò più di un’offensiva e non riuscì a
sfondare. All’inizio di dicembre l’Armata rossa lanciò una controffensiva che inflisse pesanti perdite ai
tedeschi, già in gravi difficoltà logistiche per neve, fango e ghiaccio. L’arrivo dell’inverso costrinse gli
invasori ad annunciare, l’8 di dicembre, la sospensione delle operazioni. Le forze tedesche avevano
conquistato un territorio immenso ma era fallito l’obiettivo principale: mettere l’Unione Sovietica in
ginocchio prima dell’inverno. Il valore della conquista di Mosca sarebbe stato altissimo: la città era il nodo
principale del sistema ferroviario e il centro di smistamento degli aiuti inviati degli alleati attraverso il Mar
Bianco e l’Estremo Oriente. Sin dall’autunno convogli britannici giungevano ai porti di Murmansk 114 e
Archangel’sk115 e gli USA, intensificarono i propri aiuti dopo l’entrata in guerra, il 7 dicembre del 1941,
provocata dall’attacco giapponese di Pearl Harbour 116.

LIV. L’occupazione tedesca, Stalingrado e la controffensiva sovietica

I Tedeschi furono inizialmente accolti come liberatori: molti contadini speravano che il nuovo regime
avrebbe ripristinato il possesso privato della terra. In Ucraina l’atteggiamento favorevole ai tedeschi era
alimentato anche dall’esistenza di un movimento nazionale antisovietico. La guerra sul fronte orientale fu
una guerra di annientamento: interni villaggi bruciati con il massacro di tutti gli abitanti, deportazioni di
massa e riduzione in schiavitù. I prigionieri di guerra, più di tre milioni nel 1941, furono lasciati morire di
fame e di freddo. Sistematico fu lo sterminio della popolazione ebraica dislocata nei territori occidentali
dell’URSS, documentato dal Libro nero di Grossmann e Èrenburg. La brutalità del dominio nazista convinse
la popolazione della necessità di contrastare con ogni mezzo gli invasori. Qualche mese dopo l’inizio delle
operazioni militari gran parte del territorio conquistato era percorso da bande partigiane che rendevano
insicure le retrovie messe a dura prova dall’ampiezza del fronte, dall’immensità delle distanze, dalle
condizioni atmosferiche e dal pessimo stato delle vie di comunicazione. Nel gennaio del 1942 i sovietici
riuscirono, attraverso il Lago Ladoga ghiacciato, ad aprire una via di comunicazione (la strada della vita) con
Leningrado: nonostante ciò, durante i mesi invernali, più di 500 mila abitanti morì di fame, di freddo o di
malattie. Un successivo tentativo di liberare la città dall’assedio fu sventato in estate: in occasione l’intera
armata del generale Vlasov, alla quale Stalin aveva ordinato di non ritirarsi, fu circondata e fatta prigioniera
(Vlasov decise quindi di allearsi con la Germania e di dare vita ad un esercito di liberazione russo per
abbattere la tirannia staliniana, i nazisti acconsentirono solo nel 1944). I tedeschi alla fine di maggio
lanciarono una nuova offensiva diretta verso il Don e il medio Volga, il cui obiettivo finale erano le riserva
petrolifere del Caucaso e del Mar Caspio. I colpi inferti all’esercito sovietico nell’estate del 1942 furono
durissimi, grazie agli errori di Stalin, che intimava ai propri generali di non indietreggiare e in generale
all’ingerenza nelle decisioni militari di incompetenti. Dopo aver sfondato in Ucraina, e mentre altre forze
corazzate puntavano agli oleodotti in Cecenia, i tedeschi giunsero alla fine di agosto alle porte di
Stalingrado. Qui Hitler, quasi dimenticò del suo obiettivo originario, decise di far convergere le forze
dell’assalto alla città dislocata sulla riva destra del Volga. Il 15 settembre cominciò l’attacco. Le direttive
impartite da Stalin al comandante Čujkov furono di difenderla fino all’ultimo uomo, mentre rinforzi
affluivano incessantemente attraverso la ferrovia. A novembre il generale Rokossovkij, mediante
l’Operazione Urano, riuscì ad accerchiare gli assedianti, il cui rifornimento, garantito da un ponte aereo,
diventò sempre più difficile. Stremati dalla battaglia, dall’arrivo dell’inverno e dalla mancanza di
equipaggiamento, i tedeschi non avevano più speranza di conquistare la città. Hitler, però, proibì al generali
Friedrich Von Paulus di portare in salvo i propri uomini e ordinò di mantenere le posizioni fino all’ultimo. Il
31 gennaio del 1943 il generale tedesco fu fatto prigioniero assieme a circa 90 mila uomini. La vittoria di
Stalingrado ebbe un effetto positivo sul morale dell’Armata rossa e segnò il punto di svolta della guerra sul
invece, sono 1000km. Da Caricyn a Grozny (in Cecenia) sono altri 800km.
114
Situata al nord della Penisola di Kola in Carelia.
115
Situata al nord della Russia, affaccia sulla Baia di Dvina nel Mar Bianco.
116
Porto di Honolulu nelle Hawaii.

44
Russia contemporanea
fronte orientale. Con l’arrivo dell’estate ci si preparava ad una nuova offensiva. In luglio presso Kursk 117 fu
ingaggiata la più grande battaglia di mezzi corazzati dell’epoca, che segnò nuovamente la supremazia
sovietica (T-34 e V2 sovietici contro Panther nazisti). Entro la fine dell’anno parte dell’Ucraina era stata
riconquistata. Nel gennaio 1944 fu spezzato l’assedio di Leningrado, durato novecento giorni. L’avanzata
sovietica era ormai inarrestabile: l’offensiva lanciata da Žukov nel mese di marzo aveva sospinto i tedeschi a
sud oltre i confini di Cecoslovacchia e Romania, e in giugno dopo la notizia dell’avvenuto sbarco in
Normandia, l’Armata rossa cominciò ad avanzare lungo un fronte lungo 700km liberando Bielorussia e
Lituania. Varcati i confini del 1939, i sovietici giunsero il primo agosto nelle vicinanze di Varsavia, dove però
decisero di fermarsi, senza intervenire mentre si consumava la pressione nazista dell’eroica rivolta polacca,
nonostante la richiesta di aiuto. Stalin lasciò che le forze nazionaliste a capo della rivolta di Varsavia fossero
stroncate dai nazisti, in modo da avere campo libero per instaurare un governo affidabile. Egli fece
comprendere agli inglesi che l’URSS non avrebbe tollerato ingerenze nella propria sfera di influenza. La
travolgente avanzata dell’Armata rossa nel 1944-45 riconquistò: Romania (agosto), Bulgaria e Estonia
(settembre), Serbia e Lettonia (ottobre). Nel gennaio del 1945 fu laniata una nuova offensiva, lungo un
fronte cha andava dal Baltico ai Carpazi: l’occupazione di Varsavia fu ultimata il 17 gennaio, quella di
Budapest in febbraio, mentre Königsberg fu conquistata all’inizio di aprile. Il 17 dello stesso mese cominciò
l’offensiva finale, con le truppe dei generali Kovev e Žukov che convergevano su Berlino. La città cadde il 2
maggio, due giorni dopo il suicidio di Hitler nel bunker della cancelleria. La bandiera sovietica issata
dell’Armata rossa sul tetto del Reichtag è rimasta l’immagine-simbolo dell’esisto della seconda guerra
mondiale, conclusasi in Europa l’8 maggio 1945 e in Giappone agosto dello stesso anno.

Figura 16: La prima guerra mondiale. Fonte: Worldpress.

LV. Economia, forze armate e propaganda nella Grande guerra patriottica

Le caratteristiche del conflitto hanno condotto molti storici a interrogarsi sulle economie di guerra degli
Stati vincitori. L’economia sovietica è stata definita un’economia di guerra in tempo di pace. Nel 1941 la
produzione di armenti era già in condizione di competere con quella tedesca. Nl 1940 si procedette ad una
militarizzazione del lavoro e con la mobilitazione permanente degli operai (trasferibili ovunque). Le perdite
subite dai russi nei primi messi di guerra furono enormi: 1. In termini di uomini (i caduti nel 1941-42 furono
più della metà del totale); 2. In termini di risorse belliche (nei primi 6 mesi andarono perduti i 2/3 dei
carrarmati); 3. In termini economici (nei primi 5 mesi andarono perduti la metà dei terreni per coltivare il
grano e il 60% della produzione di carbone, ferro e acciaio). Queste perdite sono da attribuire all’errato uso
delle risorse a disposizione. Le responsabilità sono attribuite a Stalin: la decapitazione dei vertici
dell’Armata rossa ebbe un effetto deleterio sulla capacità operativa delle truppe. Conseguenze gravi
scaturirono dal ritardo con il quale Stalin comprese quanto stava accadendo e dall’imposizione di una
tattica offensiva. La direttiva Stavka promulgata nel 1941 definiva come manifestazione di vigliaccheria da
punire con severità ogni iniziativa di ritirata o ripiegamento assunto dai comandanti. Il mese seguente
l’ordine n. 270 definiva traditori tutti i soldati fatti prigionieri. Nel 1942, Stalin reiterò la direttiva con
l’ordine n. 227, non sotto lo slogan «non un passo indietro». Il regime si mostrò alla fine efficace di dare
risposte adeguate ai problemi del momento, nella gestione delle forze armate e del sistema economico.
Dopo le sconfitte del 1942 Stalin pose fine all’ingerenza degli incompetenti nelle questioni militari. Si era
infine reso conto che una maggiore fiducia nelle capacità tecniche e professionali dei militari era
indispensabile per ribaltare le sorti della guerra. Nel campo economico i risultati del periodo 1941-44
furono impressionanti: la produzioni di armamenti aumento fino a surclassare, nel 1944, quella nazista.
Anche l’impacchettamento e trasferimento via ferrovia delle industrie nelle regioni orientali conseguì con
risultati notevoli. Data la mobilitazione massiccia degli uomini al fronte (verso la fine della guerra circa 12
milioni) le donne furono protagoniste di questo grande sforzo produttivo. La buona prova dell’industria
sovietica può essere spiegata tenendo conto di tre fattori: 1. La finalizzazione di tutto il potenziale
produttivo al consumo immediato; 2. L’integrazione, decisiva nel settore alimentare e dei trasporti su ruota,
della produzione nazionale con le merci offerte con il piano “Affitti e prestiti” degli alleati; 3.
L’emancipazione dei settori non coinvolti nella produzione bellica, l’agricoltura innanzitutto. Perché la
117
Città situata al sud del Rialto Centrale Russo, si trova a 600km a sud-ovest di Mosca.

45
Dario Cositore
mobilitazione totale potesse funzionare nei settori cruciali, era necessario che il resto dell’economia si
affidasse all’iniziativa individuale e al mercato. La fame e la penuria di combustibile resero ancora una volta
la vita quotidiana durissima per tutti. Sovente furono i piccoli orti privati a salvare intere famiglie dalla
morte. Il cannibalismo fece nuovamente la sua comparsa, ad esempio a Leningrado. Il razionamento
alimentare mediante le tessere divenne ancora una volta strumento di controllo politico esercitato dal
regime su intere categorie sociali. La guerra ebbe un impatto notevole anche sul Gulag. Il numero dei
detenuti e il volume delle attività si ridussero, perché i prigionieri furono inviati al fronte: nei primi anni di
guerra tali provvedimenti interessarono un milione di detenuti, oltre a ex kulaki condannati al confino
speciale. Alcuni sono stati impiegati per marciare innanzi ai carrarmati per sminare i campi. Molti detenuti,
considerati potenziali traditori furono trattenuti nei campi oltre la scadenza della pena. Perseguitati e
sottoposti a regimi speciali furono coloro che portavano cognome tedesco. Le condizioni di vita
peggiorarono subito dopo l’inizio del conflitto, perché l’NKDV decurtò il regime alimentare del 30% per far
convergere tutte le risorse del paese verso il fronte. I tassi di mortalità negli anni 1943-44 furono i più alti di
tutta la storia del Gulag. Con l’inizio dell’invasione tedesca fu emanata una direttiva che rispristinava il
sistema della «deportazione amministrativa». Le prime vittime furono, nel 1941, finlandesi e tedeschi del
Volga; seguirono, nel 1943-44, karačai, kalmiki, ceceni, ingusci, tatari di Crimea, mešketi e balkari. Alcuni
spiegarono ciò con l’intenzione di Stalin di dare un monito a nazionalità più grandi, gli ucraini innanzitutto;
altri ritengono che la guerra offrì un pretesto per portare a compimento azioni di pulizia etnica.

LVI. La guerra fredda e l’ultima fase dello stalinismo

Dopo l’aggressione tedesca, inglesi e americani avevano manifestato solidarietà e appoggio all’URSS. Stalin
aveva fin dal 1941 sollecitato l’apertura di un secondo fronte in Europa: 1. Per alleggerire la pressione sul
fronte russo; 2. Per sfuggire agli eventuali accordi tra alleati e nazisti a spese dell’URSS. Nella primavere del
1942 fu siglata un’alleanza anglo-russa che non risolse le divergenze di fondo. La decisione di organizzare lo
sbarco in Africa, piuttosto che aprire un altro fronte in Europa, resa nota da Churchill rese Stalin sospettoso
dell’effettiva volontà da parte degli anglo-americani nella lotta antinazista. Fu dunque per rassicurare
l’alleato sovietico che, a Casablanca nel gennaio 1943, si incontrarono Roosevelt e Churchill per adottare la
linea della «resa incondizionata118». Ciò accadeva mentre la resa di Von Paulus a Stalingrado apriva nuovi
scenari sul fronte orientale. Le tensioni tra gli alleati nel corso del 1943 non mancarono, ad esempio alla
scoperta delle fosse di Katyn 119 (in seguito all’invasione della Polonia nel 1939 l’Armata russa uccise 20 mila
ufficiali polacchi, attribuendone la responsabilità ai tedeschi). Nel maggio di quell’anno Stalin sanciva lo
scioglimento del Komintern (l’iniziativa era rivelatrice del pieno controllo esercitato sui partiti comunisti
stranieri). Una nuova gestione nei rapporti tra Unione sovietica e anglo-americani ebbe inizio con la
conferenza di Teheran120 (novembre-dicembre 1943), quando i tre grandi consolidarono l’alleanza
antinazista. Nell’incontro dell’ottobre del 1944 tra Stalin e Churchill, svoltosi a Mosca mentre l’Armata rossa
dilagava in Europa centro-orientale e balcanica, fu affrontato il problema delle rispettiva aree di influenza,
con una franchezza che sarebbe stata poco apprezzata da Roosevelt, dal momento che negli USA
difendevano ufficialmente il principio di autodeterminazione dei popoli, e criticarono il principale
imperialismo del quale l’Inghilterra era interprete. A Churchill premeva avere assicurazioni
sull’appartenenza della Grecia all’orbita occidentale, e in cambio riconobbe la sfera di influenza sovietica
sulla Romania. Tentò poi di negoziare Bulgaria, Iugoslavia e Ungheria, ma Stalin rifiutò. A Jalta (in Crimea),
nel febbraio del 1945, i tre grani si incontrarono per definire il nuovo assetto europeo nell’imminenza della
sconfitta finale di Hitler. Fu decisa l’amministrazione congiunta della Germania, divisa in quattro zone di
occupazione: USA, URSS, Inghilterra e Francia, l’entrata in guerra dell’URSS contro il Giappone subito dopo
la fine del conflitto in Europa (e la successiva cessione all’URSS delle isole Kurili e della metà meridionale di
Sachalin), il riconoscimento del confine orientale polacco richiesto da Stalin (coincidente in gran parte con
118
La resa incondizionata è il trattato secondo cui una parte accetta di arrendersi al nemico senza avanzare alcun tipo
di pretesa.
119
Provincia di Smolensk.
120
Iran, confina a nord-ovest con Turchia, Armenia e Azerbaijan; a nord con l Mar Caspio, a nord-est con il
Turkmenistan, a est con l’Afghanistan, a sud-est con il Pakistan e con il golfo di Oman, a sud con il golfo Persico e a est
con l’Iraq.

46
Russia contemporanea
la linea di Curzon) e il risarcimento della Polonia con i territori occidentali fino alla line dell’Oder-Neiße
sottratti alla Germania. Alla fine della guerra i territori annessi all’URSS rispetto ai confini prebellici furono i
seguenti: 1. Zone di frontiera con la Finlandia (Vyborg, di Ladoga e di Salla 121) e con la Romania (Bessarabia),
e la Polonia orientale (regioni di Pinsk e L’vov). Inoltre furono annesse l’Ucraina transcarpatica e la parte
settentrionale della Prussia orientale (regioni di Königsberg 122 e Memel123). L’annessione di Estonia, Lettonia
e Lituania non fu riconosciuta dagli Stati Uniti. La Conferenza di Jalta si concluse in un clima di fiducia che
are già un ricordo del passato quando i vincitori si riunirono nuovamente, a Potsdam, nel luglio-agosto del
1945. Gli alleati rappresentati da Truman, subentrato dopo la morte di Roosevelt, e dalla staffetta Churchill-
Attlee, presero atto della situazione e ottennero in cambio mano libero nel campo occidentale, in
particolare in quei paesi come la Grecia e l’Italia, dove i partiti comunisti avevano svolto un ruolo di primo
piano nella resistenza antifascista. Stalin, rispettò i patti, e nella guerra divampata in Grecia nell’immediato
dopoguerra non intervenne, mentre i comunisti venivano sconfitti con l’aiuto degli inglesi. In quella
occasione Truman informò Stalin del fatto che gli USA disponevano della bomba atomica, e che l’avrebbero
utilizzata, se i Giapponesi non si fossero arresi immediatamente. Mosca non aveva intenzione di far cessare
la guerra prima di aver ottenuto quanto concordato per il primo intervento contro il Giappone, al quale
dichiarò guerra l’8 agosto, nell’intervallo tra il lancio delle due bombe atomiche si Hiroshima 124 (6 agosto) e
Nagasaki125 (9 agosto). Nuovi equilibri internazionali erano sorti.

LVII. La guerra fredda in Europa e in Asia

Nel 1945, l’Armata rossa celebrava i propri trionfi da Berlino alla Manciuria e alla Corea del Nord,
prefigurando il consolidarsi dell’influenza sovietica tanto a Ovest quanto ad Est. Sin dai primi mesi del 1946
lo scenario internazionale era mutato. In Estremo Oriente, subito dopo la resa giapponese, erano venute
emergendo tensioni nella Cina settentrionale e in Corea tra le forze nazionaliste, sostenute dagli Stati Uniti,
e le forze comuniste sponsorizzate dall’URSS. Nel marzo 1946 Churchill tenne a Fulton (Missouri) un
discorso nel quale parlò di una «cortina di ferro» che correndo lungo l’asse Stettino-Trieste 126, tagliava in
due il continente europeo. Poco dopo, Kenan, Consulente del dipartimento di Stato dell’URSS, definì le
linee della politica estera statunitense nei termini del containment dell’URSS. Tale azione di contenimento
andrà sviluppandosi sui confini orientale, occidentale e meridionale.: gli USA subentravano così alla Gran
Bretagna, che aveva storicamente contrastato l’espansione zarista verso il Medio Oriente e l’Asia
meridionale. La competizione tra URSS e USA nel secondo dopo guerra assumeva anche i caratteri di un
confronto di sistemi alternativi tra il «comunismo globale e il capitalismo globale». Stalin era determinato a
imporre il sistema sociale sovietico nei paesi che ricadevano nella propria sfera di influenza. Nei paesi
liberati dall’Armata rossa furono subito allestiti dei campi di concentramento per accogliervi militari
tedeschi, borghesie nazionali, fascisti e élites produttive (intellettuali, artistiche e militari) pericolose per la
loro appartenenza di classe. Nelle fasi iniziali si ricercò il consenso popolare varando o completando le
riforme agrarie, favorendo il pluralismo politico. In gran parte di questi paesi i partiti contadini
conquistarono la maggioranza alle elezioni e i comunisti, con l’eccezione della Cecoslovacchia, dove
ottennero il 38% dei voti, rimasero forze di minoranza. A partire dalla fine del 1947 e nel 1948 si consumò la
trasformazione di questi regimi formalmente democratici in dittature monopartitiche. Negli anni seguenti si
procedette alla «seconda rivoluzione», vale a dire all’introduzione del modello staliniano nell’economia e
121
Zona ovest della Lapponia.
122
Oggi Kaliningrad, Russia.
123
Oggi Klaipeda, Lituania.
124
150 mila vittime.
125
80 mila vittime.
126
Nord-ovest della Polonia sino al nord-est dell’Italia, 1100km.

47
Dario Cositore
nella società: 1 Collettivizzazione dell’agricoltura; 2. Piani quinquennali; 3. Primato dell’industria pesante.
Truman era altrettanto deciso a promuovere il modello capitalistico, nonché a difendere i sistemi politici dei
paesi del «mondo libero» dalla minaccia comunista, come proclamò nel marzo del 1947. Ne risultarono
aiuti militari alla Turchia, oggetto di pressioni sovietiche per il controllo dei Dardanelli, e alla Grecia, nella
quale era nuovamente in corso una guerra civile, ma anche l’allontanamento dei comunisti dalla Francia e
dall’Italia di De Gasperi. Nel giugno del 1947 fu annunciato il piano Marshall ( European Recovery Program),
un ampio programma di aiuti economici con il quale si intendeva stabilizzare l’Europa. L’URSS rispose alla
sfida statunitense con il divieto ai paesi del blocco orientale di accedere agli aiuti, e nel settembre del 1947
promosse la convocazione in Polonia di una conferenza dei partiti comunisti europei (per l’URSS era
presente Ždanov) che sancì la nascita del Cominform (Ufficio d’Informazione), un nuovo organismo
comunista internazionale con sede a Belgrado. Successivamente, nel gennaio del 1949, fu istituito il
Comecon, Consiglio per la reciproca assistenza economica tra i paesi del blocco orientale con sede a
Varsavia. Mentre la sovietizzazione degli stati satelliti procedeva con successo, si verificò l’inattesa rottura
tra Stalin e Tito, leader carismatico della Jugoslavia comunista. Le accuse indirizzate a Tito dal Cominform
nel giugno del 1948, di procedere lentamente, erano infondate. Proprio in Jugoslavia i comunisti avevano
conquistato il controllo assoluto del governo sin dalla fine del 1945, e la collettivizzazione era proceduta più
speditamente che altrove. Il vero contrasto era alimentato dalla riluttanza di Tito ad accettare la tutela
sovietica. Ciò accadeva in virtù del fatto che erano stati i partigiani a liberare la Jugoslavia da nazisti, e ciò
garantiva il pieno controllo di Tito sul partito. Seguirono purghe tra gli esponenti dei diversi partiti
comunisti sospettati di «titoismo», vale a dire di «deviazioni nazionalistiche», e la defezione della Jugoslavia
comportò il rafforzamento ulteriore del controllo sovietico sui paesi del blocco orientale. Sin dall’autunno
del 1946 gli Stati Uniti, prendendo atto della crisi del Controllo congiunto alleato, avevano manifestato
l’intenzione di abbandonare i progetti di pauperizzazione della Germania Ovest per procedere alla sua
ricostruzione in funzione antisovietica. In dicembre le zone amministrate da inglesi e americani furono
unificate e nel corso dell’anno successivo divenne chiaro che anche la zona francese sarebbe confluita in un
settore occidentale unificato. Stalin reagì innescando la crisi più acuta della guerra fredda in Europa, con il
blocco completo di Berlino, sottoposta ad amministrazione quadripartita ma interamente circondata dalla
zona di occupazione sovietica, che però fu neutralizzato grazie al ponte aereo organizzato dagli anglo-
americani. Il blocco fu rimosso nel maggio del 1949; in autunno fu proclamata la Repubblica Federale
Tedesca (BDR127),inserita nel piano Marshall e dotata di basi ed istallazioni militari, che divenne un perno
economico dell’Europa filo-atlantica. I sovietici risposero con la costituzione della Repubblica Democratica
Tedesca (DDR128), governato da un regime comunista fedele a Mosca. In Cina, sin dall’estate del 1946, era
divampata la guerra civile, conclusasi con la fuga a Taiwan del governo nazionalista e la proclamazione, del
primo ottobre 1949, della Repubblica popolare Cinese con a capo Mao Tse-tung, immediatamente
riconosciuta dall’Unione Sovietica. Nel febbraio del 1950, a Mosca, fu stipulato un accordo he prevedeva
un’alleanza difensiva e aiuti militari ed economici al regime cinese. Nel frattempo, nel 1949, l’URSS aveva
testato in Kazakistan la sua prima bomba atomica (quattro anni dopo l’USA). È in questo contesto di
espansione del comunismo che scoppiò la guerra di Corea. Nel 1948 l’URSS aveva riconosciuto il governo
comunista di Kim il Sung nella metà settentrionale del paese. Come in Germania, la risposta della
controparte era stato il riconoscimento a sud della Repubblica di Corea. La guerra si concluse con il ritorno
al confine iniziale (lungo il trentottesimo parallelo) ma ebbe come conseguenza un incremento della
militarizzazione statunitense nel Pacifico e l’accelerazione della ricostruzione economica del Giappone,
destinato a diventare il baluardo del sistema capitalistico in Estremo Oriente.

LVIII. Ricostruzione postbellica e fronte interno

L’Unione Sovietica aveva subito durante la guerra immense perdite in vite umane ed enormi devastazioni
materiali, equivalenti a più della metà del totale europeo. Tra militari e civili erano morti 30 milioni di
persone, ai quali vanno aggiunti i milioni di bambini non nati. Il regime intraprese numerose iniziative per
promuovere la natalità: fu ripristinata la centralità della famiglia e affermata la funzione riproduttiva della
donna. Il ritorno alla preminenza del maschio capofamiglia fu pienamente sancito dopo il 1945. La militanza
127
Bundesrepublik Deutschland.
128
Deutsche Demokratische Republik.

48
Russia contemporanea
partigiana e l’atmosfera di maggiore libertà degli anni di guerra avevano stimolato nelle persone una nuova
consapevolezza patriottica e politica, che le portava a chiedersi per che cosa avessero combattuto e a
sperare in un cambiamento. Stalin era preoccupato anche per il prestigio e il peso acquisito delle forze
armate ai vertici militari. Il maresciallo Žukov fu trasferito in Crimea e privato del seggio del CC del partito.
Fu ristabilito il controllo ideologico del PCUS sulle forze armate. Fu inoltre ripristinato il controllo esercitato
dai commissari politici sulle scelte e sui comportamenti dei militari. Con rapidità Stalin intervenne sul
problema del ritorno a casa dei cittadini sovietici che si trovavano alla fine della guerra nelle zone sotto il
controllo alleato, prima che richieste di accoglienza ai paesi occidentali potessero rendere manifesto agli
alleati il malcontento esistente presso alcuni settori della popolazione verso il regime sovietico. Dalla fine
del 1947 i trasferimenti forzati di popolazione ripresero con rinnovato vigore. Ne furono vittime kolchoziani
accusati di «attività parassitaria antisocialista», nazionalisti, prima lituani e ucraini occidentali, poi
provenienti da tutti i paesi baltici e dalle aree di occupazione tedesca. Fu nuovamente le volt dei moldavi e
coloro che avevano collaborato con i nazisti, di greci, turchi e le altre popolazioni dislocate sulle rive del
Mar Nero e nelle repubbliche transcaucasiche. Nel periodo 1947-52, furono deportate 400 mila persone.
L’area geografica sottoposta a pulizia etnica coincideva in gran parte con quella delle deportazioni del 1943-
44. La destinazione, invece, era cambiata: La Siberia Orientale era subentrata al Kazakistan e all’Uzbekistan.
Lo status dei confinati fu definito perpetuo, e il loro numero negli anni cinquanta era all’incirca equivalente
a quello dei prigionieri dei campi di lavoro. Sulla base dell’ordine n. 270 si procedette all’arresto di tutti i
prigionieri sovietici liberati dai campi di concentramento tedeschi (più di 2 milioni) e molti furono inviati nei
campi di lavoro forzato. Il Gulag, che dal 1946 dipendeva dal ministero dell’Interno, ricominciò ad
espandersi, anche sotto l’impulso della richiesta di braccia per estrarre l’uranio necessario all’energia
atomica. Nel 1950, il Gulag raggiunse la massima espansione: ospitava circa 2 milioni e mezzo di detenuti,
un milione in più rispetto a cinque anni prima. Il clima politico all’interno dei campi era, però, mutato
rispetto agli anni trenta: l’afflusso massiccio di ex militari e ex partigiani aveva consentito di ridimensionare
il predominio dei criminali comuni e smantellare le reti degli informatori, ma anche a dare vita a iniziative di
protesta. Cominciarono a verificarsi: scioperi, boicottaggi e in alcuni casi rivolte armate. Il quarto piano
quinquennale fu attuato tra il 1946 e il 1950 e non si discostò da quelli precedenti: la produzione dei beni di
consumo fu accresciuta rispetto al periodo di guerra, ma rimase a livelli esigui; le risorse rimanevano
concentrate sulla produzione di macchinari e armamenti (88% degli investimenti) e in generale
sull’industria pesante e sull’energia. Nel 1948 fu inaugurato il «Piano staliniano di trasformazione della
natura», progetto che prevedeva la costruzione di centrali idroelettriche sul Volga e sul Dnepr, e di
imponenti canali, quali il grande canale turkmeno in Asia centrale. Solo il canale Volga-Don fu completato,
con il quinto Piano quinquennale (1951-55), che segnò notevoli progressi nell’industria bellica,
nell’aeronautica e nell’emergente settore dell’energia atomica. Durante la guerra, in molti kolchozy,
soprattutto nelle regioni occidentali, i contadini avevano abbandonato la disciplina collettivista e si erano
spartiti la terra e il bestiame. Le condizioni di vita dei kolchoziani erano tra le peggiori dell’Unione Sovietica:
gravati da alte tasse, guadagnavano poco. Molti cercavano di cambiare vita trasferendosi in città. Fu anche
per fronteggiare questo problema che, nel 1950, Chruščev (Jrushof 129), all’epoca segretario del partito a
Mosca, lanciò l’esperimento delle città agricole (agrogoroda): si trattava di far confluire le fattorie collettive
in unità più vaste. Nel 1952, in occasione del XIX Congresso, il tentativo fu dichiarato fallito: aveva
incontrato ostilità dei contadini, che avevano ricominciato a uccidere il bestiame, ma soprattutto si era
rivelato dispendioso.

LIX. Stato e amministrazione, partito e nomenklatura

Con le nuove Repubbliche Moldavia, Lituania, Lettonia, Estonia e Carelo-finnica (nel 1956 riassorbita nella
RSFSR), il numero delle RSS fu portato a 16. Cinque repubbliche autonome della RSFSR non furono più
ricostituite, per punire il collaborazionismo dei loro abitanti (tedeschi del Volga, tatari di Crimea e
popolazioni del Caucaso settentrionale – come i Calmucchi). I Commissari del popolo furono trasformati in
ministri e i ministri ridotti di numero, con un’ulteriore concentrazione del potere a Mosca. Nel 1943 l’NKDV
di Berjia era stato scorporato il Commissariato del popolo per la sicurezza dello Stato (GUGB), vale a dire la

129
La J va letta come in spagnolo.

49
Dario Cositore
polizia politica. Nel 1946 esso fu trasformato nel ministero per la sicurezza dello Stato (MGB). Alla fine della
guerra il PCUS era chiamato ad affrontare una duplice sfida: 1. Innalzare il livello ideologico e la
preparazione tecnica dei propri iscritti; 2. Recuperare un ruolo centrale nella società, nell’amministrazione
e nel governo. Dal dicembre del 1945 il Politbjuro cominciò a riunirsi più spesso, ogni 15 giorni; nl marzo del
1946 il CC elesse nuovi membri di Politbjuro, Segreteria, Orgbjuro, e si stabilì poco dopo che quest’ultimo
dovesse riunirsi settimanalmente. Ma non si tenne alcun congresso del partito tra il 1945 e il 1952. Stalin si
affidò a Ždanov, successore di Kirov al vertice leningradese del partito, per definire l’ortodossia ideologica.
Furono questi gli anni della ždanovščina, che combinava patriottismo russo e antioccidentalismo. La
riorganizzazione comportava che la nuova direzione gestisse la selezione e il rifornimento di quadri per tutti
i settori dell’amministrazione, del partito e del governo. Coloro che avevano un alto grado di istruzione
erano considerati più vulnerabili alle seduzioni di occidentalismo e cosmopolitismo, e dunque
necessitavano di rieducazione ideologica (l’intelligencija era il bersaglio principale della ždanovščina).
Furono istituiti nei principali settori dell’amministrazione dei «tribunali d’onore», con il compito di
organizzare processi nei quali i colpevoli rischiavano “solo” la carriera. Il tentativo di riforma promosso da
Kuznekov nel 1946-48 su ispirazione di Stalin può essere definito come lo sforzo di rispristinare il sistema
della «nomenklatura». Esso consisteva nella redazione da parte del CC delle liste di coloro che dovevano
essere nominati ai diversi posti di responsabilità . Si intendeva così risolvere il problema della perdita di
autonomia del partito rispetto agli apparati dei ministeri economici: il primato della produzione industriale
in tempo di guerra aveva accentuato fenomeni diffusi di corruzione e subordinazione dei funzionari di
partito da parte di direttori di imprese, gestori di servizi economici, etc., attraverso regali, forniture e
servizi. La riforma tentava di separare gli organismi di vertice del partito dalla gestione dei settori
economici. Il CC e la segreteria avrebbero dovuto occuparsi delle questioni che attengo al partito e alle
selezioni dei quadri per tutte le branche dell’amministrazione. Alla fine del 1948 la riforma si era arenata, e
il sistema delle «branche economiche» aveva preso nuovamente il sopravvento.

LX. L’ultima fase dello Stalinismo

Nel secondo dopoguerra la svolta ideologica fu segnata dal discorso del 9 febbraio 1946, nel quale Stalin
descrisse l’URSS come una fortezza socialista assediata, chiamata a combattere contro la cultura borghese e
il mondo capitalistico. Si giunse al punto di attribuire le principale scoperte scientifiche e i migliori prodotti
artistici della storia mondiale al genio russo. L’attacco contro le influenze occidentali cominciò nella
letteratura. Proseguì, poi, nel teatro, nel cinema e nella musica . Prokofiev, tra gli altri, autore di Dance of
the Knights, fu accusato di formalismo antinazionale. La morte di Ždanov nell’agosto del 1948 non pose fine
alla ždanovščina. All’inizio del 1949 Stalin lanciò una nuova campagna contro l’occidentalismo e il
cosmopolitismo borghese. Proseguì, invece, la politica di collaborazione con la Chiesa ortodossa, che in
cambio della fine delle persecuzioni aveva espresso fedeltà al regime, e di tolleranza nei confronti dei
musulmani. Nella fase matura dello stalinismo il culto della personalità raggiunse il suo apogeo: proclamato
Generalissimo nel giugno del 1945, Stalin cominciò a mostrarsi in pubblico sempre meno. Il mito del capo si
era cristallizzato in un’immagine idealizzata che non si presentava più in carne ed ossa. Attorno al despota
si accendevano faide e lotte per conquistare favori, che Stalin alimentava e sfruttava. Asperrima fu la
rivalità tra Ždanov e il gruppo di Leningrado da una parte e Malenkov e Berjia dall’altra. Alla morte di
Ždanov questi ultimi elaborarono un piano per eliminare i seguaci. Nel 1949 la rottura di Tito con Stalin offrì
l’occasione favorevole, dal momento che Ždanov era stato in buoni rapporti con il leader jugoslavo.
Divampò così il cosiddetto «affare di Leningrado»; l’intero vertice del partito cittadino fu decapitato, e
furono rimossi dagli incarichi i maggiori esponenti del gruppo ždanoviano. Nel 1949 Molotov fu rimosso dal
ministero degli Esteri e Mikojan dal ministero del Commercio estero. Chruščev fu nominato segretario del
CC. In quest’alternanza di fortune e di poltrone, Malenkov guadagnò una posizione preminente rispetto agli
altri per un’eventuale successione a Stalin. Il XIX Congresso del partito (ottobre 1952) sembrò consacrare
quest’ascesa: per la prima volta nell’epoca staliniana il compito di tenere la relazione principale non fu
svolto da Stalin, ma da Malenkov. Il Congresso approvò anche la riforma degli organi dirigenti del partito:
l’Orgbjuro fu abolito; il Politbjuro fu sostituito dal Presidium, la Segreteria e i CC furono ampliati, mentre il
ruolo del Segretario generale fu soppresso.

50
Russia contemporanea
LXI. Da Chruščev a Brežnev130

Nei primi giorni du marzo del 1953 Stalin fu colpito da un ictus, due giorni dopo morì. Diffusasi la notizia,
mentre divampavano scioperi e proteste di massa tanto in Europa orientale (Berlino, Pilsen) quanto nel
Gulag (Vorkuta), i tre uomini effettivamente al vertice Malenkov, Molotov e Berjia cominciarono la lotta per
la successione. Fu convocata una riunione congiunte del Plenum del CC, del Consiglio dei ministri e del
Presidium, nella quale il numero dei membri del Presidium fu ridotto da 25 a 10 uomini e l’MGB (ministero
per la sicurezza dello Stato) fu nuovamente accorpato nel ministero degli interni (MVD), affidato a Berjia.
Malenkov cumulò la carica nella Segreteria del CC con quella del presidente del Consiglio dei ministri.
Questo equilibrio non durò a lungo: Malenkov, posto di fronte alla necessità di fare una scelta tra
amministrazione del partito e dello Stato, optò per la seconda e abbandonò il suo posto nella Segreteria del
CC. Si posero così le premesse per l’ascesa di Chruščev. Nel frattempo Berjia decise di imprimere
un’accelerazione al cambiamento: con un’amnistia furono rilasciati molti prigionieri dai campi di lavoro e fu
dato inizio al ridimensionamento del Gulag. Tentò, inoltre, di ridurre il ruolo amministrativo del partito per
lasciare campo libero da un lato alla tecnocrazia ministeriale dall’altro alle élites etniche delle Repubbliche.
La politica di apertura fornì il pretesto per il suo arresto alla fine di giugno del 1953, dopo che Malenkov lo
aveva tradito per allearsi con Chruščev e che quest’ultimo aveva ottenuto l’appoggio dei militari e in
particolare di Žukov. Nel dicembre del 1953 Berjia fu giustiziato. Seguirono numerose esecuzioni tra i suoi
seguaci e tra i funzionari della polizia politica: si trattò dell’unica epurazione sanguinosa perpetrata dopo la
morte di Stalin. Chruščev, nominato in settembre primo segretario del partito, rafforzo il controllo di
quest’ultimo sul ministero degli Interni (MVD). Inoltre, all’inizio del 1954, scorporò dall’MVD il Comitato per
la sicurezza dello Stato (KGB), la cui area di competenza avrebbe riguardato il controspionaggio e i servizi
segreti all’estero. In tal modo la polizia politica fu divisa in due branche: il GUGB (Commissario del popolo
per la sicurezza dello Stato) e il KGB (Comitato per la sicurezza dello Stato). Fu la rivalità tra Chruščev e
Malenkov a dominare il periodo che intercorre tra l’eliminazione di Berjia e la definitiva vittori di Chruščev.
Il terreno privilegiato per lo scontro furono le politiche economiche. Malenkov aveva, fin dall’agosto del
1953, lanciato la propria linea di politica economica, imperniata sulla trasformazione intensiva
dell’agricoltura e su un maggiore sviluppo dell’industria leggera e dei beni di consumo. Le proposte di
Chruščev erano incentrate, invece, sulla mobilitazione del partito a livello locale per promuovere il
dissodamento di ampie aree di terre vergini nel Caucaso settentrionale, nel Bacio del Volga, in Siberia
occidentale e in Kazakistan, in modo da guadagnare alla coltivazione del grano milioni di ettari di terra.
Chruščev poté contare sulla mobilitazione di molti giovani entusiasti del progetto, trovò alleati nei settori
dell’industria che intendevano mantenere ferma la priorità dell’industria pesante su quella leggera. Nel
febbraio del 1955 Malenkov si dimise dalla presidenza del Consiglio dei ministri e fu sostituito da Bulganin.
Chruščev espose alla platea il nuovo indirizzo di politica estera basato sul concetto di «coesistenza
pacifica»: la guerra tra URSS e paesi capitalistici era evitabile. Quando il Congresso era formalmente già
finito, con un discorso di quattro ore a porte chiuse, presentò il rapporto segreto sui crimini di Stalin e sulle
degenerazioni del «culto della personalità» che inaugurò la stagione della destalinizzazione. La denuncia di
Chruščev era incentrata sulle repressioni compiute nel periodo successivo alla morte di Kirov, soprattutto ai
danni di funzionari dello Stato, del partito, dell’esercito, e tralasciava accuratamente le violenze perpetrate
nel periodo del Primo piano quinquennale e della collettivizzazione: ciò avrebbe significato delegittimare le
fondamenta del sistema economico e sociale dell’epoca, nonché riconoscere l’esistenza di milioni di vittime
tra i cittadini comuni. Chruščev procedeva allo smantellamento del mito di Stalin come condottiero
vittorioso nella Grande guerra patriottica. L’impatto delle notizie fu tale da portare il suo nome in poco
tempo alla ribalta della scena mondiale. Chruščev sia apprestava a lanciare, nel febbraio del 1957, una
riforma economica che trasferiva i poteri dei ministeri a 105 Consigli economici regionali competenti per
più branche, i sovrnarchozy. Malenkov e Molotov persero i propri seggi nel Presidium, mentre Žukov, già
ministro della Difesa, entrò a farvi parte: divenuto troppo ingombrante, in ottobre fu rimosso dagli
incarichi. Nel marzo del 1958 Chruščev subentrò a Bulganin nella carica di primo ministro; già primo
segretario del partito, egli ora colmava le due massime cariche: le lotte di successione erano finite.

130
Leggi Briegnef. Con la g pronunciata alla francese.

51
Dario Cositore
LXII. Riforme e transizione al comunismo: il decennio di Chruščev (1954-64)

L’epoca di relativa libertà cominciata dopo la morte di Stalin è stata definita «disgelo». Tra il 1953 3 il 1962
nessun artista o pensatore di spicco fu imprigionato o esiliato per le sue opere e per le sue idee. Lo
straordinario successo internazionale del Dottor Zivago, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1957,
portò l’anno successivo all’assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Boris Pasternak, che fu però
costretto a rifiutarlo in seguito alle pressioni esercitate dall’Unione degli scrittori e pagò con il silenzio la
scelta di rimanere in patria. Le aperture del disgelo rimanevano precarie. La destalinizzazione ebbe effetti
durevoli sulla riforma del codice penale, e dunque sulla tutela dei diritti individuali: con l’avvento della
«legalità socialista» ebbe termine il condizionato arbitrio della polizia politica, le cui azioni furono
sottoposte al controllo della procura e dei tribunali ordinari. Si istituirono procedure giuridiche che
prevedevano il ricorso dell’imputato ad un avvocato e la possibilità per il detenuto di appellarsi ai propri
diritti contro l’amministrazione. Elemento fondamentale della riforma del codice penale fu l’abolizione, nel
1961, della definizione di «nemico del popolo» e di reato di «crimine controrivoluzionario», sostituito dalla
dizione «crimine particolarmente pericoloso nei confronti dello Stato». Questo nuovo reato era definito da
sei articoli, nei quali non era contemplata la pena di morte, che diventarono lo strumento per perseguire i
reati di opinione, il dissenso e gli oppositori politici. Il sistema del Gulag conobbe sotto Chruščev un rapido
declino. Fu a partire dal 1954 che la riforma decollò, in virtù del riassetto amministrativo della polizia
politica e dello smantellamento del comparto economico del ministero dell’Interno. Nel momento in cui la
polizia politica non svolgeva più un ruolo economico, il Gulag cessava di rappresentare un serbatoi di
manodopera per l’industria: i detenuti erano, nel 1953, più di 5 milioni; nel 1959 il numero scese al di sotto
del milione. Nella sua attività riformatrice Chruščev considerava prioritario il rinnovamento degli apparati
burocratici (dello Stato e del partito). Rafforzamento del peso e del prestigio del partito, decentramento e
ridimensionamento del potere centralizzato dei ministeri: erano questi i principali obiettivi che intendeva
perseguire con il suo «finimondo amministrativo». La già ricordata riforma del 1957, con la quale si
istituivano 105 regioni economiche gestite dal sovnarchozy, intendeva sostituire le piramidi dei ministeri
economici organizzati per branche e concentrati a Mosca in nome di una più efficace gestione delle risorse.
Nel 1962 fu collocato al vertice il Consiglio dell’economia del popolo. Durante i primi anni (1958-60) il
rinnovamento fu accompagnato da buoni risultati economici, ma subentrò poi un rallentamento dei tassi di
crescita, tale da evidenziare i limiti del nuovo sistema soprattutto in relazione alla specializzazione
tecnologica per settori. Il sesto Piano quinquennale (1956-60), approvato dal XX Congresso, non fu portato
al termine: si preferì varare nel XXI Congresso straordinario del gennaio-febbraio 1959, un nuovo Piano
settennale (1959-65), che programmava: 1. Lo sviluppo dell’industria chimica; 2. La produzione di fertilizzati
per l’agricoltura; 3. La crescita dei settori energetici di idrocarburi, petrolio e gas naturale; 4. Concentrare
gli investimenti nelle zone ad est degli Urali. Maggiori risorse erano inoltre destinate alla produzione di beni
di consumo, pur senza ribaltare l’ordine delle priorità. Ci furono dunque contrasti tra Chruščev e il
cosiddetto «complesso militare-industriale», che tendeva a esercitare un’azione di freno rispetto
all’espansione dell’industria leggera e manifestava scetticismo verso la scelta di sviluppare armi nucleari a
spese dell’esercito convenzionale. Nel 1963 anche il Piano settennale fu abbandonato e fu costituito un
nuovo organismo di supervisione, il Consiglio supremo dell’economia nazionale. L’agricoltura costituì
sempre il terreno prediletto della sperimentazioni di Chruščev: dopo il tentativo fallito di accorpare i
kolchozy in città agricole e la campagna di dissodamento delle terre vergini nel 1958 fu decretata
l’abolizione delle Stazioni di macchine e trattori (MTS), le cui dotazioni avrebbero potuto essere rilevate dai
kolchozy. La riforma creò una prima fase di scompiglio: le aziende collettive erano costrette ad indebitarsi
per acquistare macchinari talvolta obsoleti che non sapevano come riparare. Per ovviare a questo
inconveniente fu creata nel 1961 una nuova organizzazione che forniva assistenza tecnica alle aziende
(selchozteknika). Dal viaggio negli Stati Uniti (1959) Chruščev aveva ricavato nuove idee per aumentare la
produttività dell’agricoltura sovietica: impressionato dall’impiego di granoturco per nutrire gli animali,
progettò di destinare ampie aree dell’Ucraina a quella coltivazione. La produzione sovietica pro capite di
burro e di latte avrebbe dovuto eguagliare quella statunitense nel 1960-61. Tanto ottimismo era dovuto
all’andamento positivo dei raccolti. Ma gli anni seguenti non furono altrettanto favorevoli e sfociarono nella
pessima resa del 1963: l’agricoltura sovietica rimaneva in balia di contingenze atmosferiche come la siccità.
Nel tentativo di risolvere alla radice il problema dell’irrigazione nelle aree dell’Asia Centrale si giunse a

52
Russia contemporanea
deviare il corso dei fiumi. Così come Stalin aveva compiuto grandiosi esperimenti di ingegneria sociale,
Chruščev mise in atto faraonici progetti di ingegneria ambientale; in entrambi i casi si era agito in nome del
progresso economico. Alla platea del XXI Congresso Chruščev aveva annunciato il compimento in URSS del
«socialismo realizzato» e l’inizio della fase di costruzione della società comunista: con questa affermazione
intendeva rispondere alla sfida lanciata da Mao, che nel 1958, aveva dichiarato che l’URSS si stava
allontanando dal comunismo. In occasione del XXII Congresso (ottobre 1961), fu delineato un piano
ventennale di «transizione al comunismo». Nel 1970 l’URSS avrebbe dovuto sorpassare gli USA nella
produttività pro capite. Il Congresso, inoltre, adottò il nuovo programma del partito, nel quale il PCUS non si
definiva più «avanguardia del proletariato» (come nel 1919), bensì «partito del popolo», la guerra tra
blocchi contrapposti era dichiarata evitabile, mentre si sosteneva l’inevitabilità della transizione del
capitalismo al socialismo. Fu decisa la rimozione della salma di Stalin dal mausoleo di Lenin e le città che
portavano il suo nome furono ribattezzate. Nel complesso gli standard di vita migliorarono nella seconda
metà degli anni Sessanta. Il livello dei redditi più alto era quello dei paesi baltici. La vera grande rivoluzione
sociale fu comunque rappresentata dall’urbanizzazione. Secondo il censimento del 1959 il 48% della
popolazione era urbana e il 52% era rurale. Alla metà del decennio avvenne il sorpasso della città, grazie
alla costruzione di enormi blocchi di appartamenti.

LXIII. La politica estera tra coesistenza pacifica e rivalità comunista

Con la fine della guerra di Corea nel 195 si concludeva la fase più aspra della guerra fredda. Alla conferenza
di Ginevra sull’Indocina (aprile-luglio 1954), nella quale fu sancita la divisione del Vietnam lungo il
diciassettesimo parallelo (il regime comunista di Ho Chi Min nel Nord, il Sud indipendente ma affiliato
all’Unione francese), partecipò anche la Cina, invitata e sostenuta dall’URSS. L’emergere della Cina come
potenza comunista fu sancita dalla visita di Chruščev a Beijing per firmare un trattato con il quale la Russia
riconosceva i diritti cinesi sulla Manciuria (compreso Port Arthur) e ampliava il volume dei propri aiuti (a
pagamento) al paese (1954). Nel maggio del 1955 la Russia accettò di risolvere la questione dell’Austria,
ancora amministrata dai vincitori della guerra. Le quattro potenze vincitrici firmarono a Vienna il trattato
che confermava le frontiere del 1938 e dichiarava l’Austria paese neutrale. Qualche mese dopo, Adenauer,
cancelliere della RFT, visitò Mosca riallacciando le relazioni diplomatiche tra i due paesi. In autunno si
svolse la Conferenza di Ginevra. Nel frattempo i sovietici rafforzavano il controllo sui paesi satelliti con
l’istituzione del Patto di Varsavia 131 per la sicurezza della pace e per la sicurezza in Europa. Seguì il viaggio a
sorpresa di Bulganin e Chruščev a Belgrado e il disgelo dei rapporti con Tito: a giugno Jugoslavia e URSS
sottoscrissero una dichiarazione congiunta sulle legittimità delle differenti scelte nazionali nello sviluppo del
socialismo. Dopo il XX Congresso l’URSS adottò ufficialmente la nuova linea politico-diplomatica della
«coesistenza pacifica»: la visita di Bulganin e Chruščev a Londra nell’aprile del 1956 fu la prima a un paese
occidentale importante dai tempi della guerra. A giugno, dopo la dissoluzione del Cominform e
l’allontanamento di Molotov dal ministero degli Esteri, Tito si recò a Mosca e stipulò con i russi un ampio
accordo. In Polonia, dopo la riabilitazione di Gomulka e la sua elezione a capo del Partito comunista polacco
per attuare riforme, cominciarono manifestazioni studentesche e mobilitazioni nelle piazze. La visita
personale di Chruščev spinse i vertici polacchi a invitare la popolazione di non ribellarsi onde evitare un
bagno di sangue. In Ungheria, dopo pochi giorni, nell’ottobre del 1956, sull’onda delle manifestazioni di
solidarietà con i polacchi, si diede vita nelle strade di Budapest una rivoluzione urbana di tipo ottocentesco.
Imre Nagy, nominato primo ministro dichiarò che l’Ungheria sarebbe diventato un paese neutrale e
avrebbe abbandonato il sistema monopartitico. Allora, le truppe sovietiche repressero la rivolta nel sangue.
L’immagine dell’URSS nel mondo ricevette un duro colpo. Acquistò in seguito nuovi successi per la
conquista dello spazio: nel 1957 i sovietici lanciarono il primo satellite, lo Sputnik, battendo gli USA.
Nell’aprile del 1961 Yuri Gagarin fu il primo cosmonauta a essere inviato nello spazio sulla navicella Vostok
I. Nel settembre del 1960, Chruščev dichiarò alla platea dell’ONU 132: «la storia è dalla nostra parte vi
seppelliremo». Nel frattempo la Cina di Mao cominciava a sfidare l’egemonia sovietica nel campo
131
Il trattato fu elaborato da Chruščev nel 1955 e sottoscritto a Varsavia il 14 maggio dello stesso anno. Degno di nota
il fatto che la costituzione avvenne la settimana successiva all'ingresso ufficiale della Germania Ovest nella NATO (6
maggio 1955).I membri dell'alleanza promettevano di difendersi l'un l'altro in caso di aggressione. Il patto giunse a
termine il 31 marzo 1991 e fu ufficialmente sciolto durante un incontro tenutosi a Praga il 1º luglio successivo.

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Dario Cositore
comunista: con l’avvio della «seconda rivoluzione» (1958) proclamava di realizzare la transizione dal
socialismo al comunismo. Mao, inoltre, chiedeva un atteggiamento più aggressivo del blocco comunista
nella competizione sugli armamenti nucleari, ma sollecitava anche la condivisione della tecnologia sovietica
per la costruzione della bomba atomica. Chruščev nel 1958 lanciò un ultimatum agli alleati perché
abbandonassero Berlino, trasformandola in città smilitarizzata. Ebbe iniziò così una nuova crisi politico-
diplomatica, conclusasi nell’agosto del 1961 con la costruzione del muro di Berlino 133 da parte della DDR. Il
deterioramento dei rapporti tra Cina e URSS divenne evidente a partire dal 1960, ma la Cina riconobbe la
superiorità dell’URSS nel campo comunista e non si giunse a una frattura. Dopo un anno però si verificò
l’uscita dell’Albania dal campo sovietico. Anche la polizia occidentale subì una battuta di arresto in seguito
al fallito tentativo, compiuto nella primavera del 1961 dai profughi cubani negli USA, di invadere Cuba con il
sostegno della CIA (operazione «baia dei porci»). Nel gennaio del 1959 Fidel Castro aveva guidato alla
vittoria la rivoluzione cubana, e il nuovo regime si era immediatamente schierato con l’URSS. Quando gli
USA approvarono l’intervento militare per abbattere il regime castrista Chruščev installò a Cuba missili
nucleari a corto raggio, provocando il blocco navale e l’ultimatum statunitense. Ne scaturì una crisi
diplomatica che portò nell’ottobre del 1962 il mondo sull’orlo dello scoppio di una guerra nucleare.
Kennedy e Chruščev giunsero ad un accordo: l’URSS ritirò i missili in cambio dell’impegno degli USA di non
attaccare Cuba. Seguì la preparazione del trattato, firmato nell’estate del 1963, che bandiva i test nucleari
non sotterranei. La vicenda contribuì ad inasprire le divergenze con la Cina, che rinfacciava a Chruščev
l’umiliazione del ritiro dei missili e accusava ormai apertamente i sovietici di voler «restaurare il
capitalismo» e di tradire il marxismo in nome di appetiti imperialistici.

LXIV. L’epoca di Brežnev: stabilizzazione e socialismo sviluppato (1964-1982)

Chruščev non si era reso conto di aver trascurato il consolidamento della propria base di potere: aveva
trascorso troppo tempo all’estero. La sua destituzione fu organizzata con il decisivo concorso dei vertici del
KGB che isolarono Chruščev, in vacanza sul Mar Nero, da ogni comunicazione con il mondo esterno e ne
gestirono il ritorno a Mosca per partecipare alla riunione del Presidium del 14 ottobre del 1964. Qui fu
sollevato dalla carica di primo ministro e di primo segretario del CC. Subentrarono al vertice della segreteria
e del governo rispettivamente Brežnev e Kosygin. Fu stabilito che in futuro nessuno avrebbe cumulato le
cariche di capo del partito e capo dell’esecutivo. Cominciava così il periodo della leadership collettiva
Brežnev, Kosygin e Podgornyi, presidente del Presidium del Soviet Supremo. Grande influenza esercitava
Suslov, responsabile dell’ideologia e la propaganda. Verso la fine degli anni Sessanta venne consolidandosi
la posizione di Brežnev, protagonista nelle scelte di politica estera. Quest’ultimo è stato il primo leader
russo ha non aver avuto l’esperienza della rivoluzione e/o della guerra civile. Nel XXIII Congresso del PCUS
(marzo-aprile 1966): 1. I seguaci di Chruščev furono messi da parte; 2. Il Presidium nuovamente trasformato
in Politbjuro; 3. Reintrodotta la carica di segretario generale del partito (attribuita a Brežnev). Dopo i
cambiamenti apportati dal Congresso, la composizione del Politbjuro rimase immutata per 5 anni. Il 1966
segnò la fine della stagione del disgelo. Pubblicare su temi scottanti era di nuovo impossibile. Nacque un
circuito letterario parallelo imperniato sul samizdat, e cioè sulla diffusione di copie dei dattiloscritti, fatte
circolare privatamente degli autori. In alcuni casi le opere riuscivano a varcare il confine e a essere
pubblicate da editori stranieri. All’inizio degli anni Settanta furono numerosi gli scrittori che abbandonarono
l’URSS. In campo amministrativo ed economico la leadership collettiva procedette allo smantellamento
delle principali innovazioni introdotte da Chruščev. Kosygin era favorevole al sistema verticale e
centralizzato dei ministeri economici: nel 1965 furono soppressi i sovnarchozy e fu ripristinata
l’amministrazione per branche. Con il ripristino del vecchi sistema, che comportava la centralità del
Gosplan, si ripresentarono i vecchi problemi, dei quali lo stesso Kosygin era consapevole: un rapporto
segreto dell’economista Aganbejan denunciava il rallentamento degli indici di crescita rispetto agli USA e
indicava tra le cause 1. Le spesse militari;2. La centralizzazione e la burocratizzazione della gestione
132
Nata il 24 ottobre 1945 a San Francisco, è la più importante ed estesa organizzazione intergovernativa: vi
aderiscono infatti 193 stati su un totale di 204.
133
Il muro è lungo 155km, largo 1,5m e alto 3,6 metri e fu costruito in 24 ore. A partire dal 1975 il confine era anche
protetto nella "striscia della morte" da recinzioni, 105,5 km di fossato anticarro, 302 torri di guardia con cecchini
armati, 20 bunker e una strada illuminata per il pattugliamento lunga 177 km.

54
Russia contemporanea
economica. Si tentò di realizzare una riforma che attribuisse una maggiore libertà di scelta alle imprese
nella gestione economica. Ma la burocrazia ministeriale non intendeva cedere potere. Fu fatto uno sforzo
per introdurre tecnologia avanzata, specialmente di tipo informatico, ma essa non riuscì ad affermarsi su
larga scala nel sistema produttivo. L’agricoltura sovietica continuò ad avere un andamento oscillante a
causa dei cattivi raccolti del 1965, 1967, 1972 e 1975. In questi casi, l’impossibilità di nutrire il patrimonio
zootecnico costringeva ad importare grano statunitense. Quanto ai Piani quinquennali, l’ottavo (1965-70)
presentò ottimi risultati nella crescita della produzione e del reddito, mentre il non (1971-75) non rispettò
le aspettative. In quegli anni l’economia sovietica fu molto avvantaggiata dalla vertiginosa ascesa dei prezzi
del petrolio causata dalla crisi del 1973: la posizione di forza nel commercio internazionale consentiva di
importare tecnologia e grano dai paesi occidentali. La società sovietica cambiò profondamente a partire
dalla fine degli anni Sessanta: cominciarono a diffondersi i consumi e le mode occidentali. Mentre la
circolazione di beni e servizi come i telefoni, le fotocopiatrici e le macchine da scrivere aumentava, ma
rimaneva controllata dalla polizia per ragioni di sicurezza, cominciò ad affermarsi il consumo dei beni
durevoli per la casa (lavatrici, frigoriferi e TV) e di automobili e vestiti di fattura occidentale. Verso la fine
degli anni Settanta molti abitanti delle città avevano alloggi dotati di servizi igienici privati, e molte famiglie
riuscivano a costruirsi in campagna una dacia con orto. Il socialismo realizzato cominciò a manifestare segni
di declino: la «stagnazione» era all’orizzonte. Una porzione significativa dell’attività economica, in virtù del
cronico squilibrio tra domanda e offerta, dei salari insufficienti, della sistematica penuria di beni e servizi,
ricadeva ormai nella «seconda economia» o «economia dell’ombra», vale a dire in quell’insieme di attività
che si sottraevano al controllo e alla gestione dello Stato: edilizia, agricoltura, commercio marittimo,
artigianato e educazione. Questo settore tra il 1960 e il 1990 aumento di 18 volte, giungendo negli anni
Settanta-Ottanta a costituire una porzione consistente dell’economia complessiva. Si trattava di un
elemento riequilibratore delle inefficienze prodotte dalla pianificazione burocratica, reso possibile dalla
tolleranza del regime verso l’assenteismo dal posto di lavoro. Quest’ultimo divenne un tratto caratteristico
del periodo brežneviano (i licenziamenti erano impensabili), consentiva di integrare gli stipendi con altre
attività, di dedicare tempo al fai da te e soprattutto alle donne, di gestire contemporaneamente la famiglia
e gli approvvigionamenti. La bassa produttività, in un contesto di diritti elementari acquisiti (posto di lavoro,
sanità, educazione, pensione), era parte integrante del patto non scritto tra Stato e cittadini, che rendeva
possibile il fiorire dell’economia parallela. Quest’ultima cresceva e prosperava nelle pieghe dell’economia
ufficiale, sicché si è giunti a parlare di mercato «in bianco e nero». L’apparato, reso intoccabile dalle regole
di mercanteggiamento e di contrattazione, era il vero padrone dello Stato e costruiva i propri feudi sotto gli
occhi di un partito ormai ridotto all’impotenza, o divenuto esso stesso un feudo. La burocrazia, proprietaria
delle risorse, aveva finito per assorbire anche il partito, depoliticizzandolo. Era dunque anche l’erosione del
sistema politico, della capacità della classe dirigente di governare, a rendere impossibile il varo di incisive
riforme economiche. A livello nazionale si assiste a una mancanza di ricambio generazionale all’interno dei
gruppi dirigenti che alle soglie degli anni Ottanta giustifica ormai l’impiego della parola gerontocrazia. Del
1977 Brežnev aggiunse alla carica di segretario generale quella del presidente del Presidium del Soviet
Supremo. In realtà, dall’anno precedente la salute del leader aveva cominciato a peggiorare: le sue capacità
di lavoro diminuivano e nel corso degli anni 1977-80 venne consolidandosi un gruppo di potere, la cui età
media era molto elevata, che governò il paese fino alla morte di Brežnev nel 1982.

LXV. Dalla guerra del Vietnam all’invasione dell’Afghanistan

Nel gennaio del 1968 Dubček divenne primo segretario del partito comunista cecoslovacco e dette inizio
alla «primavera di Praga». Ispirato degli ideali del «socialismo dal volto umano», garantì libertà di stampa e
di espressione e tutela dei diritti civili. La paura che l’esempio cecoslovacco potesse fare proseliti spinse
l’URSS a ricorrere alla forza: nell’agosto del 1968 le truppe del Patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia.
Cina, Jugoslavia, Romania e Albania protestarono contro l’intervento, che violava il principio di non
ingerenza riconosciuto dal patto. A queste critiche l’URSS rispose con la dottrina Brežnev (settembre-
ottobre del 1968), che affermava il principio della «sovranità limitata dei Stati socialisti in caso di pericolo
per il mondo socialista nel suo insieme». Il coinvolgimento degli USA nella guerra con il Vietnam del Nord
precipitò nel 1964-65 e portò ad un temporaneo raffreddamento tra USA e URSS (Kosygin era in visita ad
Hanoi quando il presidente Johnson ordinò di bombardare il nord nel gennaio del 1965). I rapporti

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Dario Cositore
migliorarono con la Conferenza di Glassboro134 nell’estate del 1967 e con il trattato di non proliferazione
nucleare firmato nel 1968. L’influenza dell’URSS in Asia veniva accrescendosi, anche sull’onda del successo
diplomatico ottenuto nel gennaio del 1966 a Taškent 135, quando la mediazione sovietica consentì a India e
Pakistan di giungere a un accordo. Ciò mise ulteriormente in allarme Mao, che proprio in quel periodo
aveva lanciato la «grande rivoluzione culturale proletaria», Mentre i giovani entusiasti della «guardie rosse»
assediavano per mesi l’ambasciata sovietica a Beijing, l’URSS criticava gli eccessi della rivoluzione culturale:
le relazioni diplomatiche tra i due paesi cessarono e nel 1969 si giunse a scontri armati di frontiera lunghe il
fiume Ussuri136. Nel novembre-dicembre del 1969 cominciarono a Helsinki i colloqui per la limitazione delle
armi strategiche, programmati sin dall’anno precedente: essi condussero ad un primo trattato sui missili
offensivi e sui missili anti-baltici siglato a Mosca nel maggio del 1972 (Salt137 I). Nel frattempo con Brandt,
cancelliere della RTF, era cominciata una nuova stagione di dialogo nei rapporti tra Europa e URSS, sfociata
nel 1970-71 in una serie di trattati che ponevano fine ai contenziosi sulle frontiere centro-europee e sullo
status di Berlino Ovest. Con queste premesse si giunge all’estate del 1975 alla Conferenza di Helsinki sulla
sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) e alla stipula di un trattato che ratificava il definitivo
riconoscimento delle frontiere europee postbelliche. L’URSS doveva fare i conti anche con le critiche che
provenivano da alcuni partiti comunisti occidentali, primo fra tutti quello italiano di Berlinguer, che in nome
dell’«eurocomunismo» sollecitavano una svolta pluralista e libertaria nei paesi del socialismo reale. La
guerra del Vietnam era giunta alla conclusione del 1973 con gli accordi di pace di Parigi. Mentre gli
americani completavano il ritiro delle truppe, nella primavera del 1975 l’offensiva comunista ebbe la meglio
sia in Cambogia, instaurando il governo dei khmer rossi, sia nel Vietnam del Sud, conquistato da
nordvietnamiti a Saigon. Il deterioramento del rapporto tra i due regimi spinse i vietnamiti ad avvicinarsi
all’URSS per contrastare i khmer filo-cinesi: nel novembre del 1978 URSS e Vietnam stipularono un trattato
di amicizia e cooperazione. Dopo tre mesi, nel 1979, la Cambogia fu invasa dal Vietnam e il regime
abbattuto. Nel braccio di ferro sul comunismo in Indocina 138 la l’URSS aveva avuto la meglio. Nel corso degli
anni Settanta la politica sovietica ebbe successo nell’espandere la propria area di influenza in Asia e in
Africa, dall’Angola al Mozambico, dallo Yemen all’Afghanistan: lo strumento preferito era la stipula di
trattati ventennali di amicizia. Più difficile e contraddittoria invece è la situazione in Medio Oriente:
l’amicizia con Nasser in Egitto e il nuovo regime filo-sovietico instauratori in Siria nel 1966 avevano
rafforzato l’influenza sovietica nel mondo arabo. Ma le pesanti sconfitte subite da questi nella guerra dei 6
giorni lanciata ad Israele nel 1967, e successivamente nella guerra dello Yom Kippur 139, cominciata nel 1973,
resero l’impegno sovietico in quell’area economicamente dispendioso, e non sempre redditizio sul piano
politico. Nel giugno del 1979 il trattato Salt 2 fu stipulato da Carter e Brežnev. La sua ratifica fu però
bloccata dagli USA nel 1980 in seguito dell’invasione sovietica dell’Afghanistan. Cominciata nel dicembre
del 1979, l’invasione fu accolta negativamente non solo dagli USA, che insieme ad altri paesi boicottarono le
Olimpiadi di Mosca del 1980, ma anche dall’Europa, i partiti comunisti europei e la Cina. In quegli stessi
giorni la NATO aveva deciso di installare i missili intermedi Cruise e Pershing in Europa per bilanciare il
posizionamento degli SS-20 sovietici. L’elezione di Reagan nel 1981 avvenne sull’onda della critica alla
politica morbida di Carter verso i sovietici. Ciò non impedì, nell’estate del 1982, di riprendere le trattative
sugli armamenti, ora denominate Colloqui sulla diminuzione delle armi strategiche (START140).

LXVI. La sfida di Michail Gorbačev

134
New jersey.
135
Capitale dell’Uzbekistan.
136
Sorge al sud dei Monti Sichote-Alin, nella regione dell’Estremo Oriente della Russia.
137
Acronimo dell’espressione inglese Strategic Armaments Limitations Talks.
138
L’Indocina è una regione geografica del sud-est asiatico, costituita da: Birmania, Tailandia, Laos, Vietnam, Cambogia
e Malesia peninsulare.
139
Avvenuto presso le Alture del Golan, est-Siria.
140
Acronimo dell'espressione inglese Strategic Arms Reduction Treaty.

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Russia contemporanea
La crisi petrolifera del 1973 aveva portato benefici all’economia sovietica: l’aumento dei prezzi del petrolio
e del gas si era verificato all’indomani della scoperta in Siberia di enormi giacimenti di queste materie
prime, che avevano fatto dell’URSS il più grande produttore del mondo. Negli anni Ottanta però la
congiuntura favorevole dei prezzi finì e i giacimenti siberiani cominciarono a produrre meno. L’URSS era
incapace di tenere il passo con la rivoluzione dell’economia mondiale (informatizzazione, finanziarizzazione,
etc.) verificatasi a partire dalla metà degli anni Settanta, imposta proprio dalla crisi inaugurata dallo shock
petrolifero. Alla metà degli anni Ottanta la bilancia dei pagamenti russa dipendeva per il 54% dalle
esportazioni di petrolio e gas. La «economia amministrata di comando» mostrava orai propri limiti. Gli
impianti industriali sovietici erano inefficienti, dispendiosi e inquinanti. Il loro impatto sull’ambiente si
sommava agli affetti prodotti dalle mastodontiche opere di alterazione dei sistemi idrografici, dagli
esperimenti nucleari, dall’uso indiscriminato di prodotti chimici. La deviazione delle acque degli affluenti del
Lago d’Aral141 (Amu Darya e Syr Darya), progettata nella seconda metà degli anni Cinquanta al fine di
irrigare le coltivazioni del cotone del Kazakistan, produsse tra il 1960 e il 1990 un disastro ambientale senza
precedenti: il prosciugamento del lago distrusse l’economia di pesca della regione, ma lasciò le polveri
chimiche in balia del vento, che le aveva trasportato per migliaia di chilometri inquinando campi e
pregiudicando la salute delle popolazioni. Analoghe conseguenze ebbe l’uso di fertilizzanti chimici e
pesticidi in vaste aree di coltivazione. Ancora dopo la morte di Brežnev il regime aveva progettato nuove
opere faraoniche: il convogliamento delle acque dei laghi settentrionali nel fiume Volga, cominciato nel
1984, e l’inversione del corso dei fiumi siberiani. Entrambe le iniziative furono abbandonate da Gorbačev
nel 1986 per mancanza di fondi. L’impatto ambientale del nucleare è stato pesante nel Kazakistan
(Semipalatinsk142), dove si svolgevano gli esperimenti e sversamento delle scorie radioattive; ciò avviene
anche nella Siberia Occidentale (Majak 143) e nel Mar Bianco. I riflettori internazionali sul problema nucleare
in URSS si accesero in seguito dell’esplosione della centrale nucleare di Černobyl 144 in Ucraina (aprile 1986).
Un altro fattore di crisi della società sovietica era rappresentato dall’andamento demografico: si
riscontrava, a fronte di un incremento delle popolazioni musulmane dell’Asia, un forte declino della natalità
tra i russi e gli europei (famiglie con un solo figlio), e la percentuale di aborti e divorzi agli inizi degli anni
Ottanta era la più alta del mondo. Questa tendenza della riduzione della natalità era cominciata dopo il
boom delle nascite successivo alla Prima guerra mondiale. Questa tendenza è legata alla condizione
femminile in URSS: doppio carico di lavoro (professione e famiglia). Ciò impoveriva le risorse umane. A tale
impoverimento contribuivano piaghe come l’alcolismo e, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta,
l’aumento della mortalità infantile e la riduzione dell’aspettativa di vita. La politica di indigenizzazione e
modernizzazione aveva creato élites locali. Con Chruščev e Brežnev molta autorità era stata devoluta alle
élites nazionali, soprattutto in Asia Centrale e Transcaucasia: nazionalismo e corruzione erano dunque
cresciuti di pari passo.

LXVII. Da Andropov a Gorbačev

Brežnev morì nel novembre del 1982. Andropov, che era stato per 15 anni a capo del KGB, fu nominato
segretario generale e dopo qualche mese presidente del Presidium del Soviet Supremo, all’età di 68 anni.
Cercò, subito, di istituire un sistema di ispezioni sul luogo di lavoro per combattere l’assenteismo; di
realizzare interventi per decentrare l’economia e dare maggior spazio all’innovazione. Non era però
disposto a accogliere le sollecitazioni di sociologi ed economisti del gruppo di Novosibirsk 145, che nel 1983
pubblicarono un memorandum nel quale si sosteneva l’urgente necessità per l’economia sovietica di
eliminare il primato della logiche burocratiche su quelle economiche. Prima di morire, nel 1984, Andropov
aveva indicato Gorbačev come candidato ideale a succedergli. Gorbačev diventò segretario generale nel
marzo 1985, all’età di 54 anni: era il più giovane nell’élites dirigente del Cremlino. Egli intraprese
immediatamente il rinnovamento del Politbjuro con uomini più giovani. Da Sverdlovsk 146, dove era il primo
141
Situato al confine ovest di Kazakistan e Uzbekistan.
142
Ad ovest del Kazakistan.
143
150km a ovest di Čeljabinsk.
144
70km a nord di Kiev, al confine con la Bielorussia.
145
Siberia occidentale, a est di Omsk.
146
Oblast’ negli Urali centrali, il cui capoluogo di provincia è Jekaterinburg.

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Dario Cositore
segretario di partito, El’cin fu chiamato a mosca per entrare nella segreteria del CC e diventare membro
candidato del Politbjuro (febbraio 1986). Gorbačev lanciò nel maggio 1985 una battaglia contro l’alcolismo
e i suoi effetti sulla e la produttività dei cittadini, che ebbe però conseguenze economiche disastrose, per la
distruzione dei vitigni e perché lo Stato perse una fonte di entrate (le tasse sulla vodka). Il rinnovamento
del partito fu consistente, con il ricambio dei 2/3 dei segretari provinciali. Fu poi istituito un nuovo
organismo centrale per l’agricoltura, il Gosagropom. L’indirizzo di politica agraria resto lo stesso,
caratterizzato da investimenti massicci sull’irrigazione e nelle opere di miglioramento dei terreni. Nel
febbraio 1986 si svolse il XXVII Congresso del PCUS. Il XII piano quinquennale (1986-90) approvato in quella
occasione indicò obiettivi ambiziosi: 1. Ristrutturazione delle fabbriche; 2. Introduzione di nuovi macchinari;
3. Incremento della produzione dei beni di consumo. Tutto ciò non fu possibile in quanto le risorse
economiche erano insufficienti.

LXVIII. Il riformismo di Gorbačev (1986-88)

Nel mese di giugno fu attenuato il controllo sulla censura e promossa l’inedita prassi dei dibattiti pubblici:
cominciava l’epoca dei glasnost’ (trasparenza), che avrebbe dovuto mettere la pubblica opinione in
condizione di vigilare sull’operato dell’apparato politico-amministrativo. Il 1987 vide il costituirsi delle
prime associazioni politiche informali. Il segretario generale dichiarò ai giornalisti che bisognava riempire le
«pagine bianche» della storia dell’URSS e inaugurò una fase di ripensamento della storia nazionale. Si
giunse a mettere in discussione le fondamenta della Russia sovietica poste con la vittoria bolscevica del
1917. Nell’autunno del 1987 Gorbačev, in occasione delle celebrazioni del settantesimo anniversario della
rivoluzione d’Ottobre, aveva pubblicato il libro Perestroika (Ristrutturazione). Non mancavano resistenze
significative verso le revisioni storiche del partito. Ne risultò una temporanea paralisi nell’insegnamento
della storia: gli esami delle scuole superiori furono sospesi, in attesa di nuovi manuali. La stampa fu
inondata di memorie, testimonianza e riflessioni sul terrore. Verso la fine del 1986 Gorbačev aveva
concesso la grazia verso i detenuti politici. Negli anni 1987-88 si susseguivano le scarcerazioni dagli ospedali
psichiatrici. La revoca dei provvedimenti di espulsione consentì il rientro di molti intellettuali emigrati e
divenne finalmente possibile far uscire in patria opere pubblicate all’estero. Nel 1988 ci fu la tutela delle
libertà religiose e il riconoscimento del ruolo svolto dalla Chiesa ortodossa nella società. Nel gennaio 1987
Gorbačev aveva convocato un plenum del CC per mettere in primo piano l’attuazione delle riforme
economiche: abbandonata la definizione di «socialismo sviluppato» si adottava l’espressione «socialismo in
un processo di autosviluppo» e si poneva all’ordine del giorno l’obiettivo della democratizzazione delle
relazioni industriali. Fu introdotta maggiore autonomia per le imprese e consentita la creazione di un
settore privato organizzato in cooperative per i servizi (legge 1988), ma non si ammise il ricorso ai prezzi di
mercato per orientare le scelte del management e ciò vanificò le suddette innovazioni. Si tentò con massicci
investimenti nei macchinari di rivitalizzare le fabbriche, ma ciò si tradusse in un colossale spreco di risorse.
L’URSS fu costretta a decurtare l’esportazione di beni di consumo, con gravi ripercussioni sugli standard di
vita della popolazione. Le riforme parziali peggiorarono dunque lo stato dell’economia: l’aggravarsi della
penuria di beni e l’allungarsi delle code davanti ai negozi vuoti contribuirono, nel 1989-90, ad alimentare la
delusione nei confronti delle politiche di Gorbačev. Tra il 1986 e il 1988 molti dirigenti provinciali e segretari
di partito furono sostituiti, per spezzare il potere delle mafie locali. Spesso, però, i neo-nominati si
adeguavano rapidamente alle consuetudini locali di gestione del potere. Accadeva che tali interventi
suscitassero malcontento, perché le nomine da Mosca violavano quel principio elettivo che la stessa
riforma aveva cercato dei promuovere, oppure perché la sostituzione di dirigenti delle etnie locali con
dirigenti russi era interpretata come un’iniziativa politica russificatrice. I contrasti tra conservatori e
riformatori si inasprirono nei mesi che precedettero il 1988. El’cin (Yeltsin), che apparteneva ai riformatori
criticò il ritmo lento delle riforme e fu costretto da Gorbačev alle dimissioni tanto dal Politbjuro quanto dal
posto di primo segretario del partito a Mosca. Qualche mese dopo, nel marzo del 1988, furono i
conservatori a ricevere a loro volta un duro colpo, in seguito alla reazione di opinione suscitata dalla lettera
ostile alla Perestroika firmata da un’insegnante di Leningrado, Nina Andreeva. Alla XIX Conferenza
Gorbačev presentò la propria riforma del governo e del partito: rivitalizzare i Soviet, istituendo una
competizione elettorale. Egli intendeva trasformare il Soviet in un organo di governo rappresentativo, una
sorta di parlamento, scelto da un nuovo organismo, il Congresso dei deputati del popolo, eletto a suffragio

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Russia contemporanea
universale con un sistema misto: un terzo dei deputati inviato da circoscrizioni territoriali, un terzo da
circoscrizioni nazionali e un terzo da organizzazioni pubbliche come partito e sindacati. Le elezioni, a più
candidati (fatto nuovo per la Costituzione sovietica) avrebbero dovuto avere luogo all’inizio del 1989,
seguite in autunno dal voto nelle repubbliche e provincie. Nel dicembre 1988 la Costituzione fu emendata
al fine di definire il Congresso dei deputati del popolo come l’organismo supremo del potere sovietico. In
settembre procedette alla riforma del partito, riducendo l’apparato centrale e smantellando la segreteria.
In questo modo minò alle fondamenta la forza del partito prima di decretarne la fine del monopolio del
potere: ciò accadde nel marzo 1990, quando la Costituzione fu emendata anche per creare la carica di
Presidente del Soviet, eletto dal congresso dei deputati del popolo, ricoperta da Gorbačev. Egli non si rese
conto che smantellando la segreteria, la struttura centralizzata del PCUS e rafforzando i Soviet nelle singole
repubbliche, aveva finito per trasformare l’assetto da centralizzato a federale. Gorbačev si trovò a
fronteggiare i Soviet delle repubbliche, che agivano come parlamenti di Stati di fatto indipendenti, poiché la
Costituzione sovietica non ne prevedeva la subordinazione ad organi centrali equivalenti. Quando, nel
marzo del 1990, Gorbačev assunse il potere presidenziale era già tardi. Il 1988 vide l’esplodere dei
movimenti nazionalistici nelle regioni, come la Transcaucasia e i paesi baltici. Armeni, azeri, lituani, lettoni e
estoni chiedevano autonomia economica e culturale.

LXIX. Il nuovo modo di pensare in politica estera

Nella primavera del 1983 il presidente Reagan aveva definito l’URSS «impero del male» e annunciato il varo
dell’Iniziativa di difesa strategica (SDI), conosciuto anche come programma «Scudo spaziale». I missili Cruise
e Pershing furono istallati in Europa. Nel settembre 1984 la TASS, agenzia nazionale di stampa ufficiale
dell’URSS, dichiarò che i rapporti con gli USA erano al punto più basso della loro storia: l’Unione sovietica
optò per il boicottaggio delle Olimpiadi del Los Angeles. In novembre si svolse con Reagan il primo summit a
Ginevra. Fu deciso di riaprire un tavolo di trattative sui missili intermedi, nonostante la ferma convinzione
dagli USA di non rinunciare allo SDI. Dalla platea del XXVII Congresso Gorbačev propose agli interlocutori
dell’URSS la graduale soppressione delle armi nucleari entro il 2000 e manifestò l’intento di costruire una
convivenza fondata sul principio dell’interdipendenza. La comunità internazionale si stava rendendo conto
che qualcosa stava cambiando. In un incontro svoltosi tra Reagan e Gorbačev svoltosi a Reykjavik
nell’ottobre del 1986 si registrò un’ampia convergenza sulla riduzione degli arsenali nucleari, ma l’accordo
fu pregiudicato dal rifiuto degli USA di posporre la riduzione dello SDI. Nel 1987, invece, a Washington si
firmo il trattato per la riduzione dei missili intermedi (INF). Seguì, nel maggio-giugno 1988, un summit a
Mosca per ratificare i precedenti accordi e stilare una bozza di fatto sulla riduzione del 50% delle armi
strategiche. Nel frattempo, ad aprile, erano stati siglati gli accordi per la conclusione della guerra in
Afghanistan: l’URSS aveva annunciato il ritiro completo delle proprie truppe. L’ultimo contingente militare
russo lasciò il paese nel febbraio 1989 e il regime filo-sovietico di Najibullah sopravvisse fino al 1992. Un
accordo di riconoscimento fu stipulato tra CEE e Comecon per favorire una maggiore interazione tra
l’Unione Sovietica e la Comunità europea. Sul versante asiatico la storica visita a Beijing nell’aprile 1989 fu
accompagnata dall’annuncio da parte di Gorbačev dell’avvenuta normalizzazione delle relazioni tra i due
paesi. Nel 1988 il leader sovietico tenne un discorso alle Nazioni Unite, seguito da un incontro con Reagan e
con il neoeletto presidente George Bush, nel quale annunciò la riduzione unilaterale delle forze armate
sovietiche di 500 mila uomini entro due anni. Nel gennaio del 1989 , dalla riunione della CSCE 147 a Vienna
scaturì la decisione di avviare negoziati per la riduzione delle forze convenzionali in Europa, portati a
termine a Versailles con la firma della Carta di Parigi (novembre 1990). I temi della riduzione delle armi
strategiche fu raggiunto in un accordo sugli arsenali chimici e i missili intercontinentali con il Trattato di
Washington del giugno 1990. Nel nuovo clima politico vennero spegnendosi anche alcuni focolai di guerra
in Angola, dove cominciò il ritiro delle truppe cubane, o in Cambogia, dove finì l’occupazione vietnamita. Di
fronte all’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein, USA e URSS condannarono congiuntamente
l’iniziativa dell’Iraq e concordarono sulla necessità di porre fine all’occupazione.

LXX. Il 1989 e la fine dell’URSS

147
Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa.

59
Dario Cositore

Tra la fine del 19888 e l’inizio del 1989 la penuria di beni, anche di prima necessità, si fece più acuta. La crisi
economica fu ulteriormente aggravata dal terremoto in Armenia e alcune categorie di lavoratori come i
minatori cominciarono a scioperare nel Donbass e nel Kunbass, a Karaganda 148 e Noril’sk149, per ottenere
salari più alti. La contestazione dell’autorità di Mosca ebbe una prima manifestazione nel novembre del
1988, con la dichiarazione di sovranità da parte del Soviet Supremo dell’Estonia. In questo contesto si
svolsero, nel marzo del 1989, le elezioni per il Congresso dei deputati del popolo dell’URSS. La possibilità di
presentare più candidati si tradusse nella sconfitta di molti segretari cittadini e provinciali del PCUS e in
alcuni territori, come i paesi baltici, nella vittoria dei candidati indipendentisti. I delegati elessero il Soviet
Supremo, che avrebbe svolto le funzioni di parlamento (anche El’cin ottenne un seggio). In seguito venne
costituendosi all’interno del Congresso il «gruppo interregionale», composto da deputati che intendevano
procedere sulla strada dello smantellamento del regime comunista, guidato da El’cin. Una grave crisi
scoppiò in Georgia nel mese di aprile, quando una manifestazione a favore dell’indipendenza a Tbilisi fu
repressa nel sangue dall’esercito. L’Armata rossa fu impiegata in seguito per dirimere i conflitti interetnici.
Questi ultimi divamparono nel corso dell’estate in Uzbekistan, Kazakistan, Tagikistan e Georgia. In agosto i
cittadini delle repubbliche baltiche dettero vita ad una lunghissima catena umana per il cinquantenario del
patto Molotov-Ribbentropp. Il Soviet Supremo della Moldavia, dal canto suo, aveva abolito il russo come
lingua ufficiale e lo aveva sostituito con il rumeno, rimpiazzando con i caratteri latini l’alfabeto cirillico. A
settembre cominciò a mobilitarsi anche l’Ucraina: per le autorità sovietiche si trattava della novità più
allarmante. Il 19 novembre il Soviet Supremo di della Georgia dichiarò la propria sovranità e denunciò
l’occupazione sovietica del 1921. Nel frattempo proseguivano gli scontri tra Armenia e Azerbaijan, in
dicembre il Soviet Supremo armeno votò l’annessione della regione. Gli azeri si prepararono allora allo
scontro e nel gennaio 1990 gli armeni furono massacrati a Baku (odierna capitale dell’Azerbaijan). In questa
circostanza le truppe sovietiche furono costrette ad intervenire. Nel volgere di sei mesi, durante la seconda
metà del 1989, si dissolsero tutti i regimi comunisti europei (tranne quello albanese, da tempo estraneo al
blocco sovietico). In Polonia gli scioperi si erano intensificati a partire dal 1988. In Ungheria nel 1988 la
Repubblica popolare divenne Repubblica. In Germania orientale si svolsero manifestazioni di massa. In
novembre 1989 cadde der mauer e nel 1990 nacque la Germania unita. In Bulgaria Živkov fu rimosso dal
potere. In Cecoslovacchia in dicembre si costituì un nuovo governo nel quale solo otto ministeri su venti
andarono ai comunisti. Più sanguinoso fu il cambio di regime in Romania: a dicembre Ceausescu e la moglie
furono giustiziati. Gorbačev aveva più volte affermato che i paesi dell’Europa centro-orientale dovevano
essere pienamente padroni del proprio destino. Nell’incontro di Malta (dicembre 1989) Bush ottenne da
Gorbačev l’assicurazione che l’URSS non avrebbe utilizzato la forza in Europa orientale. Tra la fine del 1989
e il 1990 le forze armate sovietiche si ritirarono dai paesi ex satelliti (il patto di Varsavia sarà formalmente
sciolto nel 1991). Con una serie di incontri tra ministri degli Esteri svoltisi nel corso del 1990 fu messo a
punto il trattato 2+4 (le due Germanie più le potenze vincitrici) per la riunificazione tedesca, firmato nel
settembre a Mosca. Il 3 ottobre rinacque la Germania unita. Subito dopo Gorbačev ottenne il premio Nobel
per la pace.

LXXI. Il declino di Gorbačev e l’ascesa di El’cin

All’inizio del 1990 le divergenze tra Gorbačev e i radicali, come El’cin, riguardo alla riforma del PCUS erano
giunta ad un punto critico: mentre i radicali sostenevano che il partito comunista dovesse essere sciolto il
segretario generale rifiutò di rompere con il passato. Nei mesi di febbraio-marzo si era votato in tutta
l’URSS per leggere i congressi dei deputati del popolo nelle repubbliche, i quali a loro volta avrebbero eletto
i rispettivi Soviet o parlamenti, secondo le modifiche costituzionali varate l’anno precedente. Anche in
questo caso i candidati ufficiali del Partito comunista furono spesso sconfitti, anche a Mosca e Leningrado.
In marzo fu la Lituania a dichiarare l’indipendenza dall’Unione. In maggio Lettonia ed Estonia dichiararono
che l’indipendenza era il loro obiettivo. Nella RSFSR il Congresso dei deputati del popolo elesse a maggio
El’cin alla presidenza del Presidium del Soviet Supremo. Seguirono con le rispettive dichiarazioni di
indipendenza: Uzbekistan (giugno), Ucraina, Bielorussia e Moldavia (luglio), Turkmenistan, Armenia e
148
100km a sud della capitale del Kazakistan Astana.
149
Situata nell’Altopiano della Siberia centrale.

60
Russia contemporanea
Tagikistan (agosto), Azerbaijan (settembre), Kazakistan (ottobre) e Kirghizistan (dicembre). El’cin perseguiva
l’obiettivo di svuotare l’Unione e le sue istituzioni per trasferire tutti i poteri alle repubbliche. Aveva
intenzione di costruire una nuova Unione della quale facessero parte solo le repubbliche dove la presenza
russa era maggiore. Nel frattempo la situazione economica si aggravava e la popolarità di Gorbačev
declinava. L’accademico Šatalin e l’economista Javlinskij avevano elaborato nel corso dell’anno un
programma di riforma economica radicale, noto come il programma «dei 500 giorni» perché questi erano i
giorni necessari per attuare la transizione all’economia di mercato.

LXXII. Crisi de dissoluzione dell’Unione Sovietica

All’inizio del 1991 lo spazio di manovra politica del leader della Perestroika si era ristretto a causa della
polarizzazione tra conservatori e democratici. Nel mese di febbraio El’cin giunse al punto di chiedere, in
televisione, le dimissioni di Gorbačev. In gennaio i reparti speciali del ministero dell’Interno e del KGB
avevano effettuato operazioni di polizia contro la principale casa editrice e la stazione televisiva di Vilnius,
uccidendo 13 persone, ma la loro azione fu bloccata al vertice. Qualche settimana dopo la Lituania, con il
90% dei voti, si pronunciò per l’indipendenza. In marzo fu la volta del referendum in Lettonia e Estonia:
rispettivamente il 78% e il 74% votò a favore dell’indipendenza. Alla metà di marzo si svolse un referendum
sul futuro dell’URSS al quale i paesi baltici, Georgia, Armenia e Moldavia, rifiutarono di partecipare. Nelle
altre repubbliche la maggioranza si pronunciò a favore del mantenimento dell’Unione riformata in senso
federale. Mentre la Georgia proclamava l’indipendenza (9 aprile), nella dacia di Gorbačev a Novo-
Ogarevo150 si raggiunse un accordo, detto dei 9+1, per stipulare un nuovo trattato dell’Unione, in base al
quale alle repubbliche si riconosceva: 1. Libertà di secessione; 2. Il controllo sui finanziamenti che
avrebbero dovuto affluire al centro; 3. Il diritto di stilare una nuova Costituzione; 4. Il diritto di indire nuove
elezioni. Tra i sottoscritti del patto era El’cin che fu eletto in giugno presidente della Russia. I negoziati
avevano messo all’angolo i conservatori, mentre il partito comunista doveva fare i conti con l’avvento del
multipartitismo e il decreto di El’cin che espelleva il partito dagli apparati istituzionali della Repubblica
russa. La firma del trattato era stata programmata per il 21 agosto. Gorbačev decise di trascorrere due
settimane di vacanza a Foros, in Crimea. Durante la sua assenza, il capo del KGB Krjučkov e il ministro degli
Interni Pugo, decisero di attuare un colpo di Stato. Dopo aver cercato di coinvolgere lo stesso Gorbačev, che
oppose un netto rifiuto. Il 18 agosto dettero vita al Comitato di Stato per l’emergenza che ordinò l’arresto di
Gorbačev per alto tradimento e assunse ufficialmente il potere. Fu dichiarato lo stato di emergenza per sei
mesi. A quel punto El’cin si mise a capo della mobilitazione spontanea contro il colpo di Stato. Dopo due o
tre giorni apparve chiaro che ai golpisti mancava il sostegno degli stessi apparati militari e dello Stato. Non
riuscirono a mettere sotto controllo i mezzi di comunicazione, ma soprattutto avevano sottovalutato la
determinazione dei democratici, che riuscirono a radunare nelle strade migliaia di sostenitori e a costruire
barricate intorno alla sede del Soviet Supremo della Russia, la Casa Bianca. Quando il Comitato ordinò di
prendere d’assalto la Casa bianca i militari non obbedirono. Il 21 agosto il tentativo golpista era fallito. Il 24
agosto Gorbačev sospese le attività del PCUS e di dimise dalla carica di segretario generale. In settembre il
Consiglio di Stato dell’URSS riconobbe formalmente l’indipendenza dei paesi baltici. Leningrado ridivenne
San Pietroburgo. Tra il 24 agosto e il 21 settembre del 1991 dichiararono l’indipendenza: Ucraina,
Bielorussia, Moldavia, Azerbaijan, Kirghizistan, Tagikistan e Armenia. L’8 dicembre si riunirono a
Beloveska151 i presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia e dichiararono l’URSS dissolta e dettero vita alla
Comunità deli Stati Indipendenti (CSI). Due settimane dopo a Alma-ata 152 fu organizzato un nuovo incontro
che ratificò l’adesione di altre otto repubbliche (si autoesclusero Stati baltici e Georgia). Il 25 dicembre 1991
la bandiera sovietica fu sostituita dal tricolore russo.

LXXIII. Bilanci e interpretazioni

Tra le cause della caduta dell’URSS si possono annoverare: 1. L’immobilismo; 2. La dissoluzione del PCUS; 3.
Declino economico; 4. Insoddisfazione della popolazione; 5. Politica di promozione delle nazionalità non
150
A sud-ovest di Mosca.
151
Provincia di Minsk, Russia bianca.
152
Città a sud-est del Kazakistan.

61
Dario Cositore
russe; 6. Consolidamento delle élites locali; 7. Overstretching geopolitico; 8. Carenze intellettuali e culturali
di Gorbačev.

LXXIV. Dal El’cin a Putin

Nella nuova Russia di El’cin furono smantellati monumenti e statue che avevano celebrato il potere
sovietico e ritornarono in auge i simboli dell’epoca zarista. Solo nel caso del mausoleo di Lenin si decise di
lasciare tutto com’era. La squadra di El’cin era composta da giovani economisti di trenta-quarant’anni,
fautori del neoliberalismo. Nel gennaio del 1992 il presidente russo dette mandato al viceministro Gajdar di
procedere immediatamente con la riforma economica. Gajdar lanciò immediatamente la politica di
liberalizzazione dei prezzi nota come «terapia d’urto». Nello stesso tempo comparvero a ogni angolo delle
strade chioschi nei quali si potevano acquistare di consumo prima introvabili. Inoltre fu consentito a tutti,
senza regolamentazione, di vendere per strada le proprie cose. La produzione industriale crollava e i
pagamenti in natura erano divenuti una pratica costante. Gajdar non poté attuare fino in fondo la sua
riforma: fu costretto a scendere a compromessi sui prezzi di beni come pane e latte, essenziali per la
sopravvivenza di interi settori della società, nonché dei prodotti energetici. La stabilizzazione monetaria era
un altro obiettivo fondamentale della nuova politica economica. Solo quando fu istituito il nuovo rublo
russo e furono messi sotto controllo in finanziamenti statali alle industrie, l’inflazione fu progressivamente
abbattuta. Le privatizzazioni cominciarono nella seconda metà del 1992 e la fase più intensa si protrasse
sino alla fine del 1993. Anch’egli non riuscì a realizzare completamente i propri obiettivi: la pressione
esercitata dai gruppi di potere legati al complesso industriale-militare oppure al comparto energetico
impose l’erogazione di finanziamenti alle imprese per evitare il collasso sociale. La seconda ondata di
privatizzazioni (1995-98) investì le imprese appartenenti al settore strategico. Le privatizzazioni non si
accompagnarono a un processo di ristrutturazione delle strutture industriali; piuttosto si assistette alla
cannibalizzazione di interi comparti produttivi per ricavare enormi profitti da mettere al sicuro nelle banche
estere. Inoltre era stato ereditato dal periodo sovietico un complesso sistema di debiti tra le imprese, in
origine creato per produrre risultati “gonfiati” e ora utilizzato al contrario per evadere le tasse. Le
trasformazioni nel campo economico furono accompagnate dall’appropriazione da parte delle élites delle
funzioni e delle proprietà dello Stato. L’economia russa continuava inoltre a dipendere dall’esportazione di
petrolio e gas naturale: la congiuntura di nuovo favorevole del prezzo del petrolio aiutò lo Stato russo a
evitare la bancarotta. Alla metà del 1992, si era venuta formando nel paese una forza centrista, l’Unione
civica, critica nei confronti del radicalismo economico ma anche della politica estera “atlantista”. In luglio
El’cin promosse la nascita del gruppo politico Scelta democratica per contrastare l’Unione civica. Nel marzo
1993, il Soviet Supremo avviò le procedure di impeachment153 del presidente, senza riuscire a ottenere la
maggioranza necessaria dei due terzi. Il conflitto costituzionale tra l’attività di governo e le prerogative del
parlamento permanevano. El’cin decise allora di promulgare una nuova Costituzione, e in settembre firmò
un decreto di scioglimento del Soviet Supremo, che annunciava nuove elezioni per eleggere una Duma di
Stato. All’ordine di El’cin ai deputati di abbandonare l’edificio essi risposero asserragliandosi nell’edificio.
Gli eventi successivi, culminati negli scontri del 3-4 ottobre, sono stati oggetto di interpretazioni
controverse: le forze speciali che già circondavano l’edificio non impedirono ai sostenitori dei parlamentari
di unirsi a Ruckoj e di organizzare la presa del palazzo municipale e l’assalto alla stazione televisiva di
Ostankino, nella vana speranza di sollevare la popolazione della capitale contro il governo. A quel punto,
quando i parlamentari si erano resi responsabili di un tentato putsch, il generale Gračev ebbe l’ordine di
espugnare la Casa Bianca con le bombe.

LXXV. Dopo il 1993: democrazia e autoritarismo

Nel dicembre del 1993 un referendum approvò la nuova Costituzione. Questa, ancora oggi in vigore,
prevede poteri presidenziali molto estesi: 1. Al presidente spetta la scelta dei ministri, responsabili solo nei
suoi confronti; 2. Controllo diretto sui ministeri chiave (Interni, Difesa, Sicurezza, Affari esteri), i relativi
ministri riferiscono direttamente a lui e non al premier; 3. Gode di poteri legislativi e su questioni non

153
Incriminazione.

62
Russia contemporanea
regolamentate dalla legge vigente può emanare decreti. La nuova Costituzione istituisce la Duma di Stato
(450 membri) e un Consiglio della Federazione (176 membri). Nella elezioni per la Duma il partito di Gajdar,
Vybor Rosii (Scelta della Russia) ottenne un risultato deludente, a fronte di un buon successo riscosso sia
dal partito liberal democratico di Zirinovskij che dal partito comunista di Zjuganov. La Russia di El’cin si
impantanò nel primo conflitto ceceno. La Cecenia aveva proclamato l’indipendenza nell’ottobre del 1991,
dopo che Dudaev era stato eletto presidente del Soviet Supremo. Mosca dichiarò la legge non valida e
Dudaev rispose proclamando la legge marziale. Dopo il fallimento dei negoziati, nel dicembre del 1994,
Mosca decise di ristabilire il pieno controllo della regione: un ampio dispiegamento di forze fu inviato
contro qualche migliaio di ribelli ceceni; la città di Grozny fu rasa al suolo dai bombardamenti, ai quali
Dudaev rispose invocando la guerra santa dei musulmani contro gli invasori. Nonostante la sproporzione di
uomini e mezzi, i russi furono tenuti in scacco da un’accanita resistenza cecena. Al disastro operativo delle
forze armate si associò la mobilitazione delle madri che avevano perso i propri figli o che volevano riportarli
a casa finché erano vivi. La guerra si rivelò un boomerang per El’cin. Alla metà degli anni novanta la vita
quotidiana della popolazione rimaneva difficile: molti stipendi non venivano pagati per mesi. Si verificò una
drastica riduzione dell’aspettativa di vita maschile, per il crollo dell’assistenza sanitaria e per il consumo di
alcolici. Si intensificò la penetrazione di organizzazioni criminali in ogni settore dell’economia. Nuovi
elezioni parlamentari si svolsero nel dicembre del 1995. Questa volta El’cin appoggiò il partito centrista di
Černomirdyn. Ma il partito comunista di Zjuganov ebbe uno straordinario successo e con i partiti minori
alleati governava la maggioranza della Duma. Nonostante questi risultati, in virtù della Costituzione, il
primo ministro rimase al suo posto. Zjuganov non riuscì a vincere lo scontro decisivo: nelle presidenziali nel
giugno-luglio 1996 El’cin riuscì ad avere la meglio alleandosi nel ballottaggio con il candidato classificatosi
terzo al primo turno. Dopo l’uccisione di Dudaev in un attacco russo, fu Lebed a firmare con il leader ceceno
moderato Maskhadov gli accordi di Kassaviurts 154 (agosto 1996), nei quali furono accolte molte richieste
cecene. Nel 1997 le truppe russe ultimarono il ritiro dalla Cecenia e Maskhadov, eletto presidente, firmò
con Mosca la pace che ripristinava anche l’importante oleodotto utilizzato per trasportare il petrolio azero.
Delle promesse fatte in campagna elettorale da El’cin fu mantenuta solo quella della fine della guerra in
Cecenia. Il malcontento sociale si aggravava, l’economia era in rovina e il pagamento dei salari rimaneva
intermittente. Dati gli alti costi di produzione russi, la vendita del petrolio si tradusse all’improvviso non
solo in mancati profitti, ma in gravi perdite per le finanze statali. Inoltre gli investitori stranieri cominciarono
a ritirarsi dal mercato russo e la crisi si aggravò fino al crollo della borsa di Mosca il 27 maggio 1997. Nel
frattempo la protesta dei minatori aveva bloccato le comunicazioni ferroviarie. Un aiuto temporaneo venne
dal Fondo Monetario Internazionale. Ma in agosto le riserve di moneta e d’oro si erano quasi esaurite e le
banche cominciarono a vedere i titoli di Sato in loro possesso: seguì la bancarotta.
LXXVI. L’ascesa di Putin

La seconda guerra cecena155, cominciò nell’autunno del 1999, dopo lo scoppio di alcuni edifici di Mosca. La
scelta di adottare il pugno di ferro in Cecenia e l’accorta gestione mediatica del conflitto accrebbero la
popolarità di Putin, già direttore dell’FSB (il nuovo servizio di sicurezza della Federazione russa) e dal 1998
capo del Consiglio di sicurezza della Federazione russa. Divenuto premier nell’agosto del 1999, Putin fu
nominato presidente ad interim il primo gennaio del 2000. Nelle elezioni per la Duma (dicembre 1999)
mancò il trionfo di Primakov con la sua formazione politica Patria-tutta la Russia, ottenne solo il 12%. I
comunisti di Zjuganov ebbero un buon risultato (25%). La formazione di Putin, Unità, ebbe il 24%. Putin,
dopo essersi alleato con i comunisti della Duma, riuscì ad ottenere il ritiro di Primakov dalla candidatura per
la presidenza e nel marzo del 2000 stravinse le elezioni. Nei mesi successivi instaurò un regime
intimidatorio nei confronti dei mezzi di comunicazione televisivi, colpì con indagini poliziesche gli “oligarchi”
divenuti troppo potenti nell’ultima fase di El’cin, come: Chodorovskij di Yukos 156 e Gusinskij di NTV. Putin
era stato salutato come colui che aveva rispristinato il funzionamento della “verticale del potere” e
l’autorevolezza dello Stato, recuperando la storia russa; reintroducendo l’inno nazionale. Vi sono, però,

154
Capitale della Repubblica autonoma del Dagestan, nella Russia ciscaucasica.
155
Dopo la vittoria dei ceceni nel primo conflitto ceceno (1994-1996), l’esito della seconda guerra (1999-2009) è
l’estensione del conflitto nel territorio del Caucaso e guerriglia cecena.
156
Azienda petrolifera attiva dal 1993 al 2006.

63
Dario Cositore
critiche sul suo imbavagliamento della stampa e della televisione e della brutalità della seconda guerra
cecena.

LXXVII. Dopo l’Impero: configurazione geopolitiche dello spazio ex sovietico

L’accodo costitutivo della CSI prevedeva il mantenimento di uno spazio militare strategico comune sotto il
comando congiunto, ma non fu possibile impedire la nazionalizzazione delle forze armate compiuta
innanzitutto dall’Ucraina (dalla quale scaturì il contenzioso sulla flotta del Mar Nero) e poi da altri paesi che,
come la Moldova o l’Azerbaijan. Al Trattato di sicurezza collettiva, stipulato a Taškent nel maggio 1992,
aderirono Russia, Armenia, Azerbaijan e le cinque repubbliche dell’Asia centrale. In ogni caso, all’inizio del
1993, si verificò in politica estera un ritorno della geopolitica. Tra il 1993 e il 1996 si è assistito in effetti ad
un limitato recupero dell’influenza della Russia nello spazio ex sovietico. Sul versante europeo fu la
Moldova a riattivare la propria partecipazione alla Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), nella speranza
che Mosca risolvesse il problema della Transnistria, territorio sulla riva sinistra del Dniestr la cui
popolazione era in maggioranza russa o ucraina, di fatto indipendente dal 1991. La politica russa era, in
questi casi, per la salvaguardia dell’integrità territoriale delle Repubbliche post sovietiche. Anche nel caso
dell’Ucraina Mosca si è rifiutata nel 1994 di appoggiare i separatisti russi in Crimea, e si è limitata ad
approfittarne per fare pressioni politiche su Kiev (per la flotta sul Mar Nero). Un altro punto messo a segno
da El’cin è stato la stipula di un Trattato con la Bielorussia che ha dato vita (1996) alla Comunità degli Stati
sovrani. Successivamente si aggiunsero Kazakistan e Kirghizistan facendo nascere la Comunità degli Stati
integrati, dando così vita ad una “piramide di integrazione variabile”, rivelatrice della struttura della CSI e
del ruolo della Russia. Una nuova fase è stata inaugurata nel 1996-97 da due sconfitte rivelatrici
dell’indebolimento militare russo: 1. Accordo di pace con la Cecenia; 2. Ampliamento della NATO in Europa.
Ciò a livellato le ambizioni sul «vicino estero» da parte della Russia. L’influenza statunitense è evidente dal
“partenariato per la pace” dove paesi della CSI hanno collaborato con la NATO (come Ucraina, Moldava e
Azerbaijan). Anche la Georgia aveva cominciato a manifestare insofferenze per le basi militari russe; così nel
1996 nasce il GUAM (Georgia, Ucraina, Azerbaijan, Moldova) un’alleanza il cui obiettivo era ridimensionare
il peso della Russia nella CSI. Nel 1999 dopo che gli USA intervengono in Serbia, manifestando la debolezza
Russa, Georgia, Uzbekistan e Azerbaijan si ritirarono dal Trattato di Taškent di sicurezza collettiva. Poco
dopo l’Uzbekistan ha aderito al GUAM, facendo nascere il GUUAM. Il periodo di El’cin si chiude con la
perdita di influenza della Russia nello spazio ex sovietico. Il subentrare di Putin alla presidenza ha dato una
svolta anche internazionale. Nel 2000-01 si è assistito ad un miglioramento delle relazioni con il, GUUAM,
tranne che con la Georgia. La Russia ha perso l’unilateralità imperiale, in quanto vi sono altri poli di
influenza, come Cina e il mondo musulmano, nonché problemi economici e militari. Gli ex stati satelliti
dell’Europa centro-orientale e i paesi baltici, inoltre, hanno chiesto di fare parte della Comunità europea e
hanno aperto le porte alla NATO. Per quanto riguarda gli Stai della CSI sono alcuni hanno mostrato di voler
saldare i legami con la Russia (Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan). Gli altri hanno
mostrato di voler rafforzare la propria autonomia. All’indomani dell’11 settembre del 2001, la priorità, per
gli USA, di lotta al terrorismo è sembrato essere a favore della Russia, in quanto gli USA avevano bisogno di
aiuto in quelle aree. Putin non è riuscito ad avere molto in cambio, infatti la NATO si è allargata nei Paesi
baltici.

LXXVIII. Prospettive attuali

Nel marzo del 2004 Putin ha stravinto nuovamente le elezioni presidenziali, ottenendo il 71% dei voti. La
sua popolarità è stata consolidata attorno alla risposta dura dello Stato al terrorismo ceceno. Quest’ultimo
nel 2002 ha tenuto in ostaggio spettatori e attori del teatro moscovita Dubrovka, fino a quando le forze
speciali intervennero eliminando i terroristi, uccidendo, però, 129 civili. Civili morirono anche per
l’intervento a Beslan157, nel 2004, In Ossezia del Nord, dove 300 bambini furono presi in ostaggio. La
risposta di Putin fu immediata: fu ucciso Maskhadov. Dopo la sconfitta di Saddam Hussein nella seconda
guerra contro l’Iraq, lanciata nel marzo del 2003, gli USA hanno intensificato la pressione sullo spazio ex

157
In Ciscaucasia occidentale.

64
Russia contemporanea
sovietico, ritenendo necessario un controllo diretto del territorio anziché un multipolarismo (tra le ragioni
di questa scelta si ricorda la costruzione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan 158 che trasporta petrolio dal
Kazakistan alla Turchia senza passare per la Russia). Nell’anno 205, la CSI sembra aver perduto ogni residua
ragion d’essere159, ad oggi rimangono 9 (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan,
Moldavia, Russia, Tagikistan, Uzbekistan) più uno associato (Turkmenistan). La guerra in Iraq ha
rappresentato uno spartiacque nei rapporti tra Europa e USA: l’Europa occidentale era contro la guerra
preventiva mentre l’orientale era a favore. Il regime di Putin è oggi definito come autocrazia neoliberale. Il
presidente ha voluto festeggiare i 60 dalla vittoria della seconda guerra mondiale dando la possibilità a
Polonia e agli Stati baltici (appoggiati dagli USA) di chiedere un risarcimento, che è stato rifiutato.

158
Città del Tauro armeno sud-orientale.
159
Nel 2009 è uscita la Georgia e nel 2014 l’Ucraina.

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