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ARCHIVIO DI STATO DI MANTOVA

Scuola di Archivistica Paleografia e Diplomatica


COMUNE DI MANTOVA
PROVINCIA DI MANTOVA

SCRITTI
PER
CHIARA TELLINI PERINA
A cura di
DANIELA FERRARI
SERGIO MARINELLI

Mantova
2011
Gianluigi Arcari Editore
STRUMENTI E FONTI

Collana diretta da Daniela Ferrari

14
Ercolano Marani e Chiara Perina davanti alla chiesa di Governolo, settembre 1962,
fotografia di Giancarlo Giovetti, Mantova, Archivio di Vanda Checchi.
ARCHIVIO DI STATO DI MANTOVA
Scuola di Archivistica Paleografia e Diplomatica
COMUNE DI MANTOVA
PROVINCIA DI MANTOVA

SCRITTI
PER
CHIARA TELLINI PERINA
A cura di
DANIELA FERRARI
SERGIO MARINELLI

Mantova
2011
Gianluigi Arcari Editore
Questo volume viene pubblicato con i contributi
dell’Archivio di Stato di Mantova,
del Comune di Mantova,
della Provincia di Mantova,
della Società per il Palazzo Ducale di Mantova.

Si ringraziano per la collaborazione


Maria Paola Arcari, Giuseppina Artale, Sandra Cestari, Sandra De Santis,
Claudio Ghisini, Leonello Levi, Gabriella Pauletti, Gianna Suitner,
Federico Tellini, Giacomo Tellini, Michele Tellini, Giovanni Venturini.

Copyright © 2011 Archivio di Stato di Mantova


via Roberto Ardigò 11, 46100 Mantova
tel. 0376 324441
as-mn@beniculturali.it
Copyright © 2011 Gianluigi Arcari Editore
via Domenico Fernelli 48, 46100 Mantova
tel. 340 8051996
gianluarcari@tiscali.it

ISBN
978-88-88499-74-1
INDICE GENERALE

Presentazioni 11

Sergio Marinelli
Per Chiara 17

Pubblicazioni di Chiara Tellini Perina 19

SCRITTI PER CHIARA TELLINI PERINA


Maria Teresa Binaghi Olivari
Bàgole su una reliquia della Santa Spina 41

Rodolfo Signorini
Epigrafi di Battista Fiera 57

Maria Rosa Palvarini Gobio Casali


Un aggiornamento sulla ceramica a Mantova 77

Andrei Bliznukov
Giulio Romano invenit, Garofalo e Girolamo da Carpi pinxerunt 87

Daniela Ferrari
Arredi tessili e abbigliamento alla Corte dei Gonzaga nella prima
metà del Cinquecento 95

Amedeo Belluzzi
Giovan Vettorio Soderini e l’architettura 113

Renato Berzaghi
Disegni di Giovan Battista Bertani.
Quattro inediti e un primo catalogo 133
8 INDICE GENERALE

Giulio Bora
Le molte «maniere» del disegno di Antonio Campi 157

Federica Natta
Genova e Mantova.
Le entrate di don Giovanni d’Austria nelle lettere di Gero-
lamo Grimaldi 165

Mina Gregori
Una Sacra conversazione di Simone Peterzano 179

Angela Ghirardi
Pietro Facchetti ritrattista dei Gonzaga di Novellara 183

Maria Caterina Virdis Limentani


Sustris o Paduano?
Un disegno rappresentante Cristo in casa di Marta e
Maria 197

Sergio Marinelli
Antonio Maria Viani.
Il ritorno in Italia 205

Franco Renzo Pesenti


Ancora sull’Ecce Homo caravaggesco di Palazzo Bianco a Ge-
nova 213

Giuliana Algeri
Tra Rubens e Strozzi.
Un’Ultima Cena inedita di Balthasar Mathieu 223

Paolo Bertelli
Appunti sulla ritrattistica di Vincenzo I Gonzaga 229

Angelo Mazza
L’Orazione di Cristo nell’orto del Duomo di Mantova.
Pittura di devozione in Emilia tra Jacopo Bambini e Giovan
Battista Bertusio 251

Stefano L’Occaso
L’opera di Giovanni Canti 265

Augusto Morari
Inediti di Giuseppe Bazzani 285
INDICE GENERALE 9

Ugo Bazzotti
La scultura a Palazzo Te in età napoleonica 293

Paolo Carpeggiani
Giovan Battista Vergani.
Progetti per il nuovo Seminario di Mantova (1824-1825) 321

Laura Lorenzoni
Giulio Perina 337

Illustrazioni 353

Indice dei nomi 449


Chiara Perina (Mantova, 4 aprile 1937-19 gennaio 2010) fotografata a Moniga
del Garda nella prima metà degli anni Settanta, Mantova, Archivio Giulio Perina.
PRESENTAZIONE

Di Chiara ricordo le lezioni seguite sui banchi del liceo-ginnasio «Virgilio»:


lucide, puntuali, essenziali e con lo sguardo sempre aperto sul presente. Come
era lei: esigente con se stessa prima ancora che con gli studenti, senza con-
cedere sconti a nessuno. Erano i primi anni Settanta. Ci siamo perse di vista
per ritrovarci vari anni dopo nella sala di studio dell’Archivio di Stato dove,
funzionaria alle prime armi, utilizzavo nel mio lavoro quotidiano il risultato
dei suoi studi pubblicato in Mantova. Le Arti, ineludibile − allora come ora
− per chiunque si accinga ad affrontare qualsiasi ricerca di storia dell’arte
mantovana. Le sue frequentazioni dell’Archivio erano per me ancora lezioni
di rigore e di metodo; ho inoltre potuto apprezzarla, in seguito, come amica e
quasi come sorella maggiore, nel comitato di redazione della rivista «Qua-
derni di Palazzo Te», che ha diretto per anni con competente sapienza come
un laboratorio scientifico di carattere non certamente locale, offrendo alla sto-
ria dell’arte e alla sua città un validissimo strumento di ricerca: la cessazione
della rivista ha fatto registrare un vuoto ancora percepibile nel panorama edi-
toriale mantovano.
Il suo approccio alle fonti documentarie, costante e ineccepibile, il va-
lore che attribuiva all’indagine archivistica non soltanto come supporto,
bensì come base imprescindibile per una corretta contestualizzazione del
fatto artistico, spesso preceduto da felici intuizioni di cui cercava − e tro-
vava − riscontro sulle carte, sono motivi per i quali è sembrato congruo ospi-
tare questa raccolta di studi per Chiara Perina nella collana della Scuola di
Archivistica, Paleografia e Diplomatica. I saggi che qui si pubblicano, infatti,
sono in gran parte basati su inediti riscontri documentari e rappresentano
un segno di continuità nel solco della tradizione che Chiara ci ha lasciato.
Il volume ha preso le mosse nel 2008 da una proposta di Sergio Mari-
nelli, subito condivisa da me e dall’editore Gianluigi Arcari; avrebbe dovuto
rappresentare un omaggio a Chiara mentre era ancora in vita, ma la suc-
cessiva raccolta dei testi, redatti da studiosi che l’avevano conosciuta e sti-
mata, ha richiesto l’impiego di tempi non brevi, ulteriormente dilatati dalle
difficoltà a reperire i fondi necessari per la stampa. Ragioni per cui il vo-
12 DANIELA FERRARI

lume vede la luce soltanto ora, diventando una testimonianza di ricono-


scente affetto in suo ricordo.
In un presente gravato da un senso diffuso di perdita della memoria
collettiva, trovare risorse per promuovere e realizzare iniziative editoriali
non scontate significa intraprendere un percorso a ostacoli ogni giorno più
difficile. Il Comune e la Provincia di Mantova, tuttavia, si sono distinti per
la sensibilità con la quale hanno voluto condividere l’iniziativa, pur nel-
l’esiguità delle risorse sempre più risicate destinate alla cultura. A loro, e in
particolare a Irma Pagliari, dirigente del Settore Cultura del Comune, a Ro-
berto Pedrazzoli, già assessore alla Cultura della Provincia, e a Francesca
Zaltieri, che da poco gli è subentrata, va la nostra gratitudine.
A questi enti pubblici si è aggiunta la Società per il Palazzo Ducale di
Mantova, cui pure va la nostra riconoscenza.

Daniela Ferrari
Direttrice dell’Archivio di Stato di Mantova
DANIELA FERRARI
ARREDI TESSILI E ABBIGLIAMENTO
ALLA CORTE DEI GONZAGA
NELLA PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO*

La politica culturale dei Gonzaga si svolge costantemente sotto il


segno del collezionismo e del mecenatismo1; la moda intellettuale ti-
pica dei grandi centri del Rinascimento italiano è perseguita presso
la corte di Mantova con coerenza e originalità maggiori che altrove e
di più lunga durata, tanto che la famiglia dominante ha lasciato
un’impronta indelebile nell’arte, nella cultura, nell’edilizia, nell’ur-
banistica. Ma il mondo delle Corti italiane tra Quattro e Cinquecento,
di cui Mantova fa parte, diventa punto di riferimento anche per la
moda vestimentaria in Europa, primato che dall’abbigliamento si
estende a comprendere varie branche, dall’artigianato, alle arti, fino al
comportamento2.
Il punto zenitale del gusto e della cultura dei Gonzaga viene rag-
giunto negli anni di Isabella d’Este e di Francesco II, e poi del loro fi-
glio Federico II, che nel 1530 è investito del titolo di duca dall’impe-
ratore Carlo V, suggellando così definitivamente il compimento dello
stato signorile. Isabella d’Este è protagonista in ogni espressione cul-
turale della Corte almeno quanto lo sono stati i suoi predecessori ma-
schi e lo è certamente in modo più incisivo delle donne che sono en-
trate nella famiglia prima di lei e che hanno cercato di seguirne le
orme in seguito. La Grotta e lo Studiolo, caso esemplificativo del col-

* Il presente testo è la rielaborazione aggiornata di un contributo presen-


tato alla Sessione «Princely Attire in Renaissance. Italy I», Renaissance Society of
America, Annual Meeting, New York, 1-3 aprile 2004 e non pubblicato.
1. Per una bibliografia sull’argomento rimando ai cataloghi della mostra
Gonzaga. La Celeste Galeria. I. Le raccolte e Gonzaga. La Celeste Galeria. II. L’esercizio
del collezionismo, a cura di R. MORSELLI, Milano 2002.
2. M. FANTONI, Le corti e i modi del vestire, in Storia d’Italia. Annali 19. La moda,
a cura di C. M. BELFANTI-F. GIUSBERTI, Torino 2003, pp. 737-765: 764.
96 DANIELA FERRARI

lezionismo incentrato sul mito dell’antico e sulla rievocazione del


mondo classico, diventano il termine di paragone con cui misurare la
dignità di ogni singolo pezzo che entra nel palazzo e diventano sim-
bolo della stessa continuità dinastica dei Gonzaga3.
A suo figlio Federico II si deve l’arrivo a Mantova di Giulio Ro-
mano, al quale viene affidata la direzione di grandi imprese edilizie e
decorative della città, a cominciare da palazzo Te; con lui Mantova di-
venta capitale indiscussa del Manierismo in grado di orientare le
scelte di gusto di varie corti italiane ed europee.
Dopo la sua morte, il notaio Odoardo Stivini redige, nell’arco di
due anni (1540-1542), un inventario generale di tutti i beni mobili e
immobili, documento di eccezionale interesse per conoscere la Corte
mantovana che offre straordinarie potenzialità di studio e di ricerca
consentendo di fare considerazioni anche in merito alle tendenze della
moda e degli arredi tessili dell’epoca. La Corte dei Gonzaga ci viene
offerta nella lunga sequenza di arredi, oggetti e suppellettili che ac-
quistano un valore quasi ossessivo nello scintillare delle immagini
opulente scorrendo a profusione davanti ai nostri occhi4.
Presso tutte le Corti l’abbigliamento è di competenza dell’ufficio
della Guardaroba: dall’acquisto dei tessuti e dei capi finiti, all’ap-
provvigionamento delle livree, alla manutenzione dei magazzini e
degli armadi, ai cambi d’abito e di arredo domestico stagionale5. A

3. Tra i numerosi studi sulla figura e sul collezionismo di Isabella d’Este,


fondamentali sono i recenti lavori di C. M. BROWN, Per dare qualche splendore a la
gloriosa cità di Mantua. Documents for the Antiquarian Collection of Isabella d’Este,
«Europa delle Corti»-Bulzoni Editore, Roma 2002 e IDEM, Isabella d'Este in the
Ducal Palace of Mantua. An overview of her rooms in the Castello di San Giorgio and
the Corte Vecchia, «Europa delle Corti»-Bulzoni Editore, Roma 2005. In merito al
rapporto di Isabella d’Este con la moda, ancora ineludibili rimangono gli studi
di A. LUZIO-R. RENIER, Il lusso di Isabella d'Este marchesa di Mantova, in «Nuova
Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», quarta serie, 1896, voll. CXLVII (I, pp.
441-469), CXLVIII (II, Gioielli e gemme, pp. 294-324) e CXLIX (III, L’arredo degli
appartamenti, pp. 261-286 e Accessori e segreti della «toilette», pp. 666-688); si veda
inoltre C. ZAFFANELLA, Isabella d’Este e la moda del suo tempo, in Isabella d’Este la
primadonna del Rinascimento, a cura di D. BINI, Modena 2001, pp. 209-223.
4. Archivio di Stato di Mantova (d’ora in poi ASMn), Estensioni notarili, no-
taio Odoardo Stivini, vol. K.10. La trascrizione integrale del documento è stata
pubblicata in un volume che elenca 7356 voci, corredate di indici suddivisi per ca-
tegorie (oggetti, materiali, tecniche, iconografie, nomi di luoghi e di persone), e di
un glossario di oltre 800 termini desueti e dialettali; cfr. D. FERRARI, Le collezioni
Gonzaga. L’inventario dei beni del 1540-1542, Milano 2003.
5. M. FANTONI, Le corti e i modi del vestire, cit., p. 739.
ARREDI TESSILI E ABBIGLIAMENTO ALLA CORTE DEI GONZAGA 97

Mantova, dove troviamo Nicolò Capilupi in qualità di ufficiale e


«superiorem tapezarias, bona mobilia, lectos, mataracios et drapa-
menta ac paramenta»6, le spese per la «Drapperia» sono davvero in-
genti; per fare un paragone, dai bilanci di Corte del 1554, risulta che
i Gonzaga spendevano 1.500 ducati per arredi tessili, poco meno
della metà di quanto costava mantenere le fabbriche (4.000 ducati)7.
La loro Guardaroba, la cui descrizione occupa all’incirca un settimo
dell’intero inventario generale8, si distingue per l’eleganza discreta,
ma raffinatissima, rivelata dalla qualità dei tessuti e dei materiali
impiegati.
In particolare abbondano le descrizioni di arredi da letto e da ta-
vola, mentre per quanto riguarda l’abbigliamento, le voci inventariate
si limitano alla biancheria personale, ignorando gli abiti, sia femminili
che maschili, con alcune eccezioni riferite a giacche e sopravesti
(«giupponi» e «zornee») presenti nell’armeria, probabilmente utiliz-
zate come costumi da parata. La biancheria personale è costituita es-
senzialmente da camicie, solitamente confezionate in tela di lino, o in
tele fini che prendevano il nome dalle località di provenienza: di
«cambraglia» (da Cambrai), di San Gallo, di «tela di Renso» (da
Reims), nelle fogge più diverse: da uomo, da donna, da bagno, alla
spagnola, lavorate in seta, ricamate. La camicia rimaneva a diretto
contatto con il corpo, veniva indossata anche per fare il bagno e in ge-
nerale svolgeva la funzione fondamentale di mantenere l’igiene della
persona supplendo all’uso dell’acqua, lo sporco veniva infatti elimi-
nato grazie al cambio frequente, secondo un metodo di pulizia
«asciutta»9; per questo le camicie sono conservate nel guardaroba di
Corte insieme alla biancheria da letto.
Lenzuola, federe per cuscini, tovaglie e tovaglioli, ma anche cu-
scini e rivestimenti per panche sono decorati con tecniche di ricamo: a
nodi di san Francesco, a punto greco, a punto duca, gentile, moresco,
schiavo, novello, a catenella, a croce, a treccia; orli ben rifiniti, bordure
elaborate, fasce ornamentali inserite alle estremità, rifiniture a giorno,
testimoniano il ruolo svolto dal ricamo nelle decorazioni degli arredi

6. ASMn, Estensioni notarili, notaio Odoardo Stivini, vol. K.10, c. 7v.


7. ASMn, Archivio Gonzaga (d’ora in poi AG), b. 401, c. 325r.
8. Cfr. D. FERRARI, Le collezioni Gonzaga. L’inventario dei beni, cit., nn. 3501-
4622 e nn. 5555-5696; riprendo qui in parte il paragrafo La Guardaroba di Corte,
dalla Introduzione, pp. 17-21.
9. Cfr. sull’argomento P. VENTURELLI, Vestire e apparire. Il sistema vestimenta-
rio femminile nella Milano spagnola (1539-1679), Roma 1999, p. 45 e segg.
98 DANIELA FERRARI

rinascimentali italiani, certamente superiore rispetto a quanto finora


non sia stato evidenziato10. Accanto a merletti e ricami sono testimo-
niati con dovizia «franze», «franzette», «fiochi», complementi d’arredo
utilizzati per guarnizioni e finiture di biancheria da letto e personale,
ma utilizzati anche per colletti di camicie e di abiti, o per borse11.
Particolare importanza assumono i rivestimenti tessili alle pareti,
tra i quali gli arazzi – le tappezzerie più lussuose – costituiscono un
capitolo a sé stante12, non affrontato in questa sede. Molto più comuni
e più frequenti sono le cosiddette «spalliere», strisce di tessuto che con-
tribuivano a conferire lusso agli appartamenti, talvolta fisse, più spesso
usate per addobbare le stanze soltanto nelle occasioni più solenni,
dopo di che potevano essere rimosse e riposte per durare più a lungo,
o essere sostituite da cortine più modeste. Disposte orizzontalmente
nelle sale da pranzo, le spalliere in origine erano appese al muro die-
tro le panche, affinché i commensali potessero appoggiarsi con le
spalle, da cui appunto derivano il nome. L’inventario Stivini ne elenca
centinaia, realizzate in damasco, seta, broccato, velluto, raso, lana, ar-
ricchite da ricami, decorazioni e raffinate tecniche di lavorazione, con
motivi a mandorle, a rosette, percorse da numerosi e ripetuti moduli
decorativi, disposti a sviluppo verticale ondulato, secondo file rego-
lari e reiterate. Le stoffe più chiare e leggere venivano utilizzate in
estate, mentre quelle più calde e pesanti erano più adatte alle stagioni
fredde. Le decorazioni sono a figure, a imprese, «a verdura», con fregi,
putti, oppure tessute «alla turchesca», o con broccato «tratagliato».
I colori prevalentemente utilizzati nella Guardaroba gonzaghe-

10. Qualche cenno è in P. VENTURELLI, L’abito delle dame di Milano tra il 1539
e il 1599. Ornamento e colore, in Le trame della moda, a cura di A. G. CAVAGNA-G. BU-
TAZZI, Roma 1995, pp. 333-364. Presso la Corte di Mantova tale Zoanne recamatore
nel 1531 è impegnato a lungo, insieme a tre lavoranti, per confezionare la coperta
della carrozza nuziale di Margherita Paleologo, cfr. Giulio Romano. Repertorio di
fonti documentarie, a cura di D. FERRARI, introduzione di A. BELLUZZI, Roma 1992,
voll. 2, sub data.
11. Un «maestro da frappe» è citato in una lettera di Isabella d’Este al ma-
rito del 10 maggio 1492: «Essendo capitato in questa terra uno spagnolo sarto,
quale me ha facto alcuni lavorerii, et essendo già expedito da me et in precinto de
partire, Romano spagnolo, maestro da frappe, atachatose insieme de parole l’ha
ferito et tagliato tre diti de la mane stancha, essendo loro sotto il ponte coperto de
Sancto Zorzo», ASMn, AG, b. 2991, copialettere 2, c. 16v.
12. Per una bibliografia aggiornata sull’argomento rimando al recente la-
voro G. DELMARCEL-C. M. BROWN, Gli arazzi dei Gonzaga nel Rinascimento. Da Man-
tegna a Raffaello e Giulio Romano, Milano 2010, pubblicato in occasione della omo-
nima mostra, Mantova, Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te,
14 marzo-27 giugno 2010.
ARREDI TESSILI E ABBIGLIAMENTO ALLA CORTE DEI GONZAGA 99

sca, spesso in abbinamento tra loro, sono il rosso, anche per bordure,
rifiniture e ricami; il verde; l’azzurro e il turchino, sovente accostati al
nero – colore raramente utilizzato da solo – il bianco, il grigio e ancora
l’azzurro e il nero per foderare materassi; il giallo per spalliere, coltri,
girelli, insieme a colori scuri come il «morello»13. Su tutti spiccano l’oro
e l’argento applicati con le tecniche più ricercate del tessuto e del ri-
camo (arabeschi, fiori e foglie, grottesche, candelabre, festoni, animali
fantastici, motivi geometrici), per impreziosire e nobilitare arredi e capi
d’abbigliamento, in un complesso cromatico dove stoffe e colori vanno
considerati in un tutt’uno con gli ornamenti che li decorano.
Il filo d’oro per tessere, frutto dell’opera laboriosa e specialistica
dei «battiloro», era prodotto soprattutto a Venezia e a Firenze. Dap-
prima il materiale prezioso veniva fuso con argento (nelle proporzioni
del 95% circa), così che il filo ottenuto era in realtà argento dorato,
quindi si procedeva alla stenditura delle verghe dei due metalli che
venivano battute con appositi martelli e riquadrate in fogli sottilissimi,
per essere affidate a mani sapienti – spesso quelle femminili delle mo-
nache nei conventi – le quali utilizzando lunghe e taglienti forbici ri-
ducevano le foglie d’oro in strisce sottilissime che avvolgevano intorno
a un filo di seta tinto in giallo ottenendo un risultato lucido e brillante:
il filo era così pronto per essere utilizzato per la filatura e per il ricamo,
sia degli abiti, sia dei tessuti d’arredo14.
Più volte nell’inventario le espressioni «de panno d’oro ricio» o
«de veluto ritio» testimoniano la tecnica di lavorazione del velluto in
seta e argento dorato (allucciolato) con trame broccate bouclé, dove il
fondo in seta tinto in un colore contrasta con il pelo del velluto in seta
tinto in altro colore, producendo un effetto di rilievo accentuato da
anellini chiusi del filato metallico (arricciato, o «riccio») accostati al vel-
luto tagliato15. Un esempio di tale tipo di tessuto – della seconda metà
del Cinquecento, qui riprodotto (fig. 6) – è conservato presso il Museo

13. Per la simbologia dei colori in relazione ai codici vestimentari cfr. M. PA-
STOREAU, Couleurs, Images, Symboles. Études d’histoire et d’antropologie, Paris 1989,
pp. 1-109.
14. M. G. MUZZARELLI, Guardaroba medievale. Vesti e società dal XIII al XVI se-
colo, Bologna 1999, pp. 231-232.
15. D. FERRARI, Le collezioni Gonzaga. L’inventario dei beni, cit., «n. 5620. Una
coperta da letto de panno d’oro ritio cremesino, de fette quatro, longa braza trei
et tertii dui, con il suo tornaletto simile; n. 5621. Una coperta de panno d’oro ricio
(...); n. 5562. Una trabacha de panno d’oro ricio in seda cremesina con li suoi for-
nimenti (...); n. 5654. Sei pecii de spalera de panno d’oro ricio, cremesino (...), fo-
drati de tella rossa; n. 5655. Dui antiporti de panno d’oro ritio e cremesino, che
acompagnano le soprascripte spalere».
100 DANIELA FERRARI

Poldi Pezzoli di Milano16 e non doveva essere dissimile un panno fio-


rentino che Isabella d’Este chiede a Francesco Rodiano nel 1492:
voliamo che ne portiati da Fiorenza uno brazo de pan de oro creme-
sino rizo soprarizo cum le opere picole, che subito vi faremo dare li de-
nari17.

Anche le tradizioni cavalleresche della Corte mantovana trovano


puntuali risvolti nel campo della moda: alla cultura cavalleresca è in-
fatti riconducibile un filone ornamentale che trasferisce motti ed em-
blemi su abiti e su tessuti. Tra i rari esempi pervenuti sino a noi, è si-
gnificativo un paliotto di area milanese della fine del Quattrocento in
velluto tagliato, su fondo di seta gialla e rossa, con inserti in argento
dorato e filato; all’interno dei motivi floreali spicca l’emblema sforze-
sco delle Colombine tessute in argento (fig. 1)18. Nel 1495 Ludovico
Sforza, che di Isabella d’Este era cognato per averne sposato la sorella
Beatrice, invia alla marchesa di Mantova tredici braccia di un tessuto
con gli stessi motivi19. Dunque non solo i colori, ma anche i motti e gli
emblemi caratterizzano l’estetica di abiti e tessuti. Negli arredi gon-
zagheschi troviamo numerose imprese di famiglia ricamate, intessute,
applicate: il Crogiolo è presente su spalliere, coperte, gualdrappe per
cavalli20; il Monte Olimpo su sopravesti, giacche, bandiere21; l’impresa

16. Si tratta di una parte di pianeta, n. inv. 235, la cui immagine è già edita
nel catalogo Musei e gallerie di Milano, Museo Poldi Pezzoli, Tessuti-sculture. Metalli
islamici, Milano 1987, p. 104, fig. 37, cat. 33.
17. ASMn, AG, b. 2991, copialettere 2, c. 30v, 16 giugno 1492.
18. Cfr. Musei e gallerie di Milano, Museo Poldi Pezzoli, Tessuti-sculture. Metalli
islamici, cit., paliotto, fine XV secolo, n. inv. 58, p. 90, fig. 16, cat. 14.
19. «mando tredici braza di panno d’oro rizo soprarizo, facto a la divisa sua
de la Colombina» (ASMn, AG, b. 2992, libro 5, c. 5v, 25 gennaio 1495; il docu-
mento è citato da A. LUZIO-R. RENIER, Il lusso di Isabella d’Este, cit., p. 451, e da
C. ZAFFANELLA, Isabella d’Este e la moda del suo tempo, cit., p. 215).
20. D. FERRARI, Le collezioni Gonzaga. L’inventario dei beni, cit., «n. 614. Cinque
pecii de spalera de panno zaldo e rosso, reportato l’uno sopra l’altro, tra grandi e
piccoli, cum li Crosoli suso; n. 615. Uno copertor da letto simile, cum li Crosoli;
n. 616. Uno tornaletto de panno simile, cum li Crosoli (...); n. 5710. E più, dui gi-
relli da barbaro de veluto verde et rosso, carighi de tremolanti adorati con la im-
pressa del Crosollo, rechamati d’oro et d’argento (...); n. 5898. E più, uno zirello
da barbaro, de veluto verde e rosso, carigho de tremolanti adorati, con il Crosòlo
sopra rechamato».
21. Ivi: «n. 5922. E più, uno paro de sopraveste da barde como il suo salio
de veluto turchino e nigro, recamati de sopra via con tella d’oro, negra e turchina,
ARREDI TESSILI E ABBIGLIAMENTO ALLA CORTE DEI GONZAGA 101

isabelliana delle Pause, oltre che incisa su argenti e dipinta su utensili


e piatti da cucina, è ricamata o intessuta su copriletti22; l’impresa del
Sole, incisa su armi e cannoni, compare anche su stendardi23; la Cer-
vetta su paramenti da cavallo24; il Cane alano su paramenti e coperte
da letto25.
L’inventario descrive poi centinaia di letti26 che dovevano essere
simili a quelli illustrati in un repertorio cinquecentesco – l’unico fi-
nora conosciuto – tanto singolare quanto eclettico, di modelli di abiti,
costumi e arredi (padiglioni, alcove, bandiere stendardi, gualdrappe,
cappe, mantelli, vesti maschili, femminili, dottorali, pianete) di area
milanese, noto come «Libro del sarto», conservato presso la Fonda-
zione Querini Stampalia di Venezia e attribuito al sarto Giovanni Ja-
copo del Conte (figg. 2-5)27.
Si tratta di tendaggi fissati a un’impalcatura rigida che assumono
l’aspetto di pareti («parede»), sormontati orizzontalmente da un tes-
suto sospeso in modo da formare un tetto piano al di sopra del letto
stesso («cielo»), coordinato con la testiera, generalmente un drappo

con l’impressa del Monte Olimpo (...); n. 5928. E più, uno giuppone de veluto tur-
chino e nigro, da ragazo, da barbaro, rechamato de tella d’oro, con l’impressa del
Monte Olimpo (...); n. 6077. E più, due bandirolle de cendale negro, depinte con
l’arme della bona memoria, del Monte».
22. Ivi: «n. 5625. Una coperta de raso cremesino, de fette quatro, inzipata a
fogliami et animali, con le Pause in mezo, con cordoni de santo Francisco intorno
(...); n. 5638. Una coperta da letto de veluto cremesino et alexandrino, (...), con uno
tondo nel mezo di brochato d’oro, riportato con l’impresa delle Pause, fodrata de
tella rossa, quale fu già della prefata madama marchesa».
23. Ivi: «n. 5957. E più, uno stendardo grande de cendale, vecchio, fatto fare
qui a Mantua dalla bona memoria del marchese Ludovico con l’imprese del Sole,
adorato et inargentato».
24. Ivi: «n. 5960. E più, quatro zirelli de veluto verde, da barbaro, carighi de
tremolanti adorati, con le impresse della Cervetta sopra recamati (...); n. 5759. E
più, uno zirello da barbaro de veluto verde, con tremolanti dorati, con la impressa
della Cerveta».
25. Ivi: «n. 3555. Uno apparamento da letto, di seda verda, cum Canelani
(...); n. 5555. Una trabacha de tella d’or facta a rechami, cum Canelani dodece de
perle, cum cordoni de santo Francisco d’argento fillato, et seda rossa, cum li suoi
fornimenti».
26. Per quanto riguarda gli arredi di interni, pionieristica e magistrale ri-
mane l’opera di D. THORNTON, The Italian Renaissance Interior 1400-1600, 1991 (tra-
duzione italiana Interni del Rinascimento italiano, Milano 1992).
27. Cfr. l’edizione in facsimile: Il Libro del sarto, saggi di F. SAXL-A. MOTTOLA
MOLFINO-P. GETREVI-D. DAVANZO POLI-A. SCHIAVON, Modena 1987 e D. DAVANZO
POLI, Il sarto, in Storia d’Italia. Annali 19, cit., pp. 523-560, in particolare pp. 533-535.
102 DANIELA FERRARI

appeso al muro dietro la testa del dormiente («testera»), con il cosid-


detto «tornaletto», una striscia di tessuto utilizzata per ricoprire la
struttura che circonda il letto, e con il copriletto («trabacca»). Un altro
modo per sistemare il cortinaggio del letto consiste nel sospendervi un
padiglione, ovvero una struttura a cupola sormontata da una sorta di
cappuccio («capeletto»), conclusa in alto da un elemento di comple-
mento («pomo»); tale elemento porta all’estremità un anello cui viene
fissato un cordone per sospendere tutta la struttura al soffitto tramite
un gancio. All’orlo inferiore della cupola sono fissate delle tende che
si allargano a circondare il letto sottostante; il padiglione general-
mente rimane sospeso tra testiera e centro del letto, in modo da tro-
varsi al di sopra della testa del dormiente; di giorno le cortine ven-
gono raccolte ai due lati dalla parte della testa, tanto da sembrare un
uccello da preda librato in aria, soprattutto a causa delle frequenti
oscillazioni, da cui il termine «sparviero» o «sparaviero».
Purtroppo si tratta di materiali facilmente deperibili, per questo
sono andati quasi completamente dispersi, ma sopravvivono nei lun-
ghi, benché asettici, elenchi inventariali lasciandoci intuire la ric-
chezza, l’opulenza, la raffinatezza e il gusto della vita di Corte che a
Mantova trova particolare impulso nel periodo dominato dalla pre-
senza di Isabella d’Este.
Gli inventari di beni presentano tuttavia un limite oggettivo nella
loro arida serialità, motivo per cui occorre incrociarne i dati con altre
serie documentarie, come libri di conti e corrispondenze, cronache,
fonti di carattere normativo28.
A partire dagli ultimi secoli del Medioevo viene messa a punto
una «scientia habitus», una sapienza relativa al modo di apparire ba-
sata su molteplici codici: colori, tessuti, fogge delle vesti rendono ri-
conoscibili gerarchie e funzioni che trovano espressione compiuta nei
secoli successivi29. Il Cinquecento in particolare registra un interesse
crescente per il sistema vestimentario; il campo delle vesti diventa de-
terminante per definire lo stato sociale delle persone e all’argomento
sono dedicati interi capitoli nei vari galatei e trattati sul comporta-
mento, dal Cortegiano di Baldassarre Castiglione (1528), al Dialogo de
la bella creanza de le donne di Alessandro Piccolomini (1540) al Galateo
ovvero de’ Costumi di Monsignor Della Casa (1552)30. Firenze, Roma e
Venezia sono i tre principali centri dai quali irradia il lusso italiano

28. Si veda in proposito M. S. MAZZI, Gli inventari dei beni. Storia di oggetti e
storia di uomini, in «Società e Storia», 7, 1980, pp. 203-214.
29. M. G. MUZZARELLI, Guardaroba medievale, cit., p. 10 e segg.
30. D. DAVANZO POLI, Il sarto, cit., p. 540.
ARREDI TESSILI E ABBIGLIAMENTO ALLA CORTE DEI GONZAGA 103

del tempo, cui cercano di porre limite le numerose leggi suntuarie


emanate dalle autorità governative31; i commerci della Serenissima, in
particolare, veicolano lo sfarzo importato dall’Oriente soprattutto at-
traverso la seta, il materiale più adeguato all’espressione e alla mani-
festazione del potere, che ben presto si diffonde nella penisola32.
Le vesti oltre che riparare il corpo dal freddo o dal caldo, ser-
vono a veicolare messaggi, a sottolineare distanze o appartenenze a
indicare scelte di vita; fogge e colori degli abiti possono comunicare
età, condizioni sociali, stati d’animo; lo scambio di indumenti, so-
prattutto a Corte, rientra in un complesso gioco di doni diplomatici,
come segno di benevolenza, ma anche con finalità politiche. Gli abiti,
come i gioielli, possono costituire un investimento, passano di gene-
razione in generazione e, al pari dei gioielli, possono essere offerti in
pegno. Quando Francesco II Gonzaga chiede a Isabella di impegnare
gioielli a Venezia per poter disporre del denaro necessario alla pro-
mozione al cardinalato del fratello Sigismondo, la marchesa propone
di rinunciare, sebbene controvoglia, a un abito ricamato di gioie:
quando pur la voglia che se impignino zoglie più presto io gli darò la
mia camòra recamata de zoglie, perché manco male serrà restare senza
essa che senza gioielli33.

L’uso dell’abito diventa così uno degli strumenti per interpretare


mentalità e funzionamento della società di Corte poiché svela il pro-
getto personale e sociale del quale fa parte; le varietà e i cambiamenti
delle fogge segnano la dinamicità e la ricchezza della società corti-
giana; e proprio nell’ambito della Corte si sperimentano arditezze e si
esibiscono apparati sontuosi nei quali la tensione tra esigenze di di-
stinzione e possibilità economiche si coniuga in un gusto alto e capace
di inventare soluzioni sempre nuove: la Corte diventa luogo di osten-
tazione per eccellenza, palcoscenico della rappresentazione del potere
dove le vesti assumono un ruolo sostanziale; parallelamente, a ca-
scata, i ceti dominanti avvertono l’esigenza di creare e ridefinire at-
traverso l’abbigliamento distanze e confini esistenti tra diverse classi
sociali con un linguaggio gerarchico ben definito34.

31. Cfr. M. G. MUZZARELLI, Le leggi suntuarie, in Storia d'Italia. Annali 19. La


moda, cit., pp. 185-220.
32. R. ORSI LANDINI, La seta, in Storia d'Italia. Annali 19. La moda, cit., pp. 363-396.
33. Lettera del 27 agosto 1496 pubblicata da A. LUZIO-R. RENIER, Il lusso di Isa-
bella d'Este marchesa di Mantova. Gioielli e gemme, cit., pp. 315-316.
34. Cfr. M. CATALDI GALLO, Abbiglimento e potere. La Corte come centro di dif-
fusione della moda, in Storia della moda, a cura di R. VARESE-G. BUTAZZI, Bologna
1995, pp. 55-92.
104 DANIELA FERRARI

Isabella d’Este, cresciuta nella raffinata temperie culturale ferra-


rese, giunge a Mantova già padrona di un proprio gusto spiccato e ben
definito, ama tutto ciò che è bello, prezioso e fuori dell’ordinario, non
ha bisogno di essere guidata o spronata nelle scelte, anzi apporta il suo
personale contributo alle voghe del momento con invenzioni e idee
sempre nuove; si muove con entusiasmo e competenza, non esita a
mettere in moto i più valenti artigiani e commercianti per essere solle-
citamente servita. Imperiosa nelle sue richieste, preferibilmente si ri-
fornisce di tessuti preziosi a Venezia e a Ferrara, ma anche a Firenze e
a Milano, mentre a Mantova nel 1523 viene fondata una fabbrica di vel-
luti, rasi, damaschi35. Numerose sono le testimonianze per l’acquisto
di stoffe pregiate, lavorate sotto il diretto controllo della marchesa, tal-
volta con l’ausilio di campioni per riprodurre tecniche di lavorazione
o disegni particolari, o con le misure desiderate indicate da pezzi di filo
inviati insieme alle lettere di richiesta; oltre gli svariati documenti pub-
blicati o citati negli studi di Alessandro Luzio e Rodolfo Renier, altre
missive tra le numerosissime scambiate da Isabella con i suoi corri-
spondenti sono esemplificative in tal senso; a Giorgio Brognolo così si
rivolge la marchesa nel 1492 per cercare un tessuto adatto a far cinture:
Zorzo, vogliamo che subito faciati circare tutta Venetia per ritrovare del
cendalo de Levante lavorato a scorza de bisso, cioè de l’opera che è la
monstra qui inclusa, ma non de quello collore, facendone comparare
quatro cavezi differentiati l’uno da l’altro, de collore como vi parerà,
purché non rosso, né morello, perché havemo de questi, et siano longhi
como è lo revo incluso, quali vogliamo operare per cintule, et sforza-
tive servirne de le più belle se trovarà. Intendemo che in queste galeaze
che sono gionte adesso ne serà stato portato assai. Ultra le nostre qua-
tro predicte toletine una del collore proprio ch’è la monstra inclusa e tre
altre de li collori che seranno le nostre, quale volemo per la illustrissima
madonna Anna nostra cognata [Anna Sforza, prima moglie di Alfonso
d’Este] et a quella medesma misura. Siché in tutto siano octo pezi et de
più bella sorte se trovarà, usandoli vui ogni diligentia. Et quando pur
non li trovasti tutti lavorati de essa opera, toletile como se trovaranno,
purché siano belli. Et subito subito per questo o un altro cavallaro apo-
sta mandaticele, che siano qua marte o mercori infallanter36.

E ancora scrive a Gerolamo Ziliolo, che si trovava a Ferrara nel


1494, per ottenere oro filato da ricamo:
havendo nui bisogno de due libre d’oro fillato in fiorentino et non se ne
retrovando in questa terra de bello, haveremo charo che vogliati vedere

35. A. LUZIO-R. RENIER, Il lusso di Isabella d’Este, cit., pp. 452-453.


36. ASMn, AG, b. 2991, copialettere 2, c. 2r, 25 febbraio 1492.
ARREDI TESSILI E ABBIGLIAMENTO ALLA CORTE DEI GONZAGA 105

se ’l n’è lì in Ferara et per el presente messo mandarcelo, cercando de


torlo bello, de bon collore, da recamare et che ’l sia fiorentino. Quando
el presente exhibitore non venesse subito, ce lo mandareti per uno ca-
valaro aposta, che per lui ve remetteremo li dinari37.

Numerosi documenti testimoniano come Isabella d’Este fosse co-


stantemente attenta e aggiornata sulle ultime tendenze in fatto di
moda: in una lettera del 2 aprile 1493, scrive a Isabella del Balzo, con-
tessa di Acerra e futura regina di Napoli:
La camisa facta ala spagnola che ce ha mandata la signoria vostra, et
per essere gallantissima et ben lavorata, è fogia nova in queste parte, et
per venire da le mane sue, non ne poteria essere stata più grata; porta-
remola per amore suo et spesso la vederemo facendo conto de vedere la
signoria vostra;

dunque la camicia «alla spagnola» è particolarmente apprezzata per


la lavorazione, ma soprattutto perché rappresenta una novità mai
vista prima nell’area padana dell’Italia settentrionale, non ancora oc-
cupata dagli spagnoli38.
La marchesa di Mantova non trascura il benché minimo detta-
glio; le sue richieste spaziano dai manicotti in pelliccia39 alle «pianelle»
spagnole40. Altre notizie riguardano la committenza di bottoni in oro
o rifiniti con il prezioso metallo; Isabella esprime apprezzamento al-
l’orefice Ercole ferrarese – l’ebreo Salomone da Sessa convertitosi con
il nome Ercole dei Fedeli41 – cui aveva commissionato dei bracciali e
gli chiede di eseguire alcuni bottoni in oro:
messer Hercule, le manilie sono belle et elegante, de le quale restamo in
optima satisfactione, et conpensamo la beleza in la tardità. Circa il pa-
gamento de la manifatura e del oro che restati havere, ni remettemo a
Hieronimo Ziliolo. Se credesimo che havesti ad essere più presto in ser-

37. Ivi, copialettere 4, c. 95v, 2 dicembre 1494.


38. Ivi, copialettere 3, cc. 30r-31r.
39. Cfr. lettera a Taddeo Albano, 18 ottobre 1507: «Desyderamo havere uno
zebellino da portare in mane, integro et bellissimo in excellentia, perché de me-
diocri et belli siamo copiose; pregamovi che vogliati fare dilligentia per ritrovarni.
Et non essendone adesso in Venetia che vi piacia, state a vedere, et capitandone
uno a vostro proposito mandarnilo a beneplacito», ivi, b. 2994, copialettere 20, c. 72r.
40. Lettera ad Alberto da Bologna, 7 maggio 1493: «vogliamo etiam che tu ne
porti tre para de pianelle de Spagna deli più alte che gli sonno; la chiave del for-
zero dove sonno è apresso el specchio grande», ivi, b. 2991, copialettere 3, c. 47v.
41. Cfr. A. LUZIO-R. RENIER, Il lusso di Isabella d'Este marchesa di Mantova. Gio-
ielli e gemme, cit., pp. 304-306.
106 DANIELA FERRARI

virni che non seti stato per il passato, cessata che fusse la peste vi man-
daresimo il modo de farne diece o dodeci botoni d’oro da portare al
brazo, perhò se deliberareti de mutare natura, et ne lo avisati quando
Ferrara serà fora de pericolo, vi mandaremo li denari da farli42.

E ancora fa preparare modelli in piombo e ottone da fornire al-


l’artigiano che dovrà realizzare bottoni in osso montati su oro:
In absentia de madonna Alda, quale è andata a stare a Ferrara come forsi
havereti a questa hora inteso, havemo aperto una vostra a lei directiva,
per riposta di quella vi scrisse circa li bottoni volevamo ci facesti fare. Et
inteso quanto ricercava il maestro, per sua maiore chiareza avemo facto
aconziare il piombo alla fogia propria che voleno essere li bottoni d’osso,
quali vanno poi in lo anello de oro, sì come vedereti questo di ottono.
Però vi preghiamo che diati la monstra al maestro ordinandoli che li facci
subito et de la quantità che ve scrisse madonna Alda43.

Ben presto diventa arbitra indiscussa nel campo della moda, i


suoi abiti sono celebri e celebrati, a lei guardano e si ispirano regine,
principesse, nobili e aristocratiche italiane ed europee. Bona Sforza,
cresciuta alla corte di Milano poi diventata duchessa di Bari e regina
di Polonia, sempre particolarmente attenta all’eleganza nel vestire,
definisce Isabella d’Este, con la quale intrattiene rapporti epistolari
stabili, «fonte e origine di tutte le belle fogge de Italia»44. Frequenti
sono gli scambi di doni tra le due: Isabella invia modelli di abiti, calze
e copricapi di nuova foggia (i famosi «scuffiotti»), Bona contraccam-
bia con pregiate pelli di zibellino e con mantelli di ermellino che la
marchesa di Mantova reputa di rara bellezza45.

42. ASMn, AG, b. 2994, copialettere 18, c. 29r-v, 21 agosto 1505.


43. Ivi, b. 2996, libro 30a, c. 75r, 7 febbraio 1514, a Francesco Fontanelle.
44. Ivi, b. 557, c. 4; il documento è pubblicato da A. LUZIO-R. RENIER, Il lusso
di Isabella d'Este marchesa di Mantova. L’arredo degli appartamenti, cit., p. 267.
45. Isabella d’Este invia a Bona Sforza, quando è duchessa di Bari, un cor-
petto di broccato d’oro riccio: «mando a la signoria vostra el pecto de brocato
facto a lacrime, qual me scrive desyderare de vedere» (ASMn, AG, b. 2994, co-
pialettere 4, c. 11r); probabilmente si tratta dello stesso capo d’abbigliamento ri-
cevuto in dono dalla madre e già prestato anche alla sorella Beatrice (cfr. A. LUZIO-
R. RENIER, Il lusso di Isabella d'Este marchesa di Mantova, cit., p. 457). Bona, a sua
volta, invia a Isabella due pelli di zibellino dalla Polonia «per farne un doppio ad
arbitrio et electione de vostra signoria», Cracovia, 6 febbraio 1523 (ASMn, AG, b.
557, c. 3); in seguito la ringrazia per avere ricevuto sei «scuffiocti de seta et de oro
de nova foggia» e le promette in cambio pelli di animali pregiati, Cracovia, 15
giugno 1523 (ivi, c. 4); ancora, la ringrazia per avere ricevuto altri scuffiotti e quat-
tro paia di calze, Cracovia, 9 giugno 1525 (ivi, c. 8); le invia inoltre un mantello di
ARREDI TESSILI E ABBIGLIAMENTO ALLA CORTE DEI GONZAGA 107

Susanna Gonzaga, del ramo di Bozzolo, poi marchesa di Coli-


sano, chiede all’illustre congiunta il permesso di poter confezionare e
indossare fogge da lei inventate, ma è pronta tuttavia a rinunciarvi in
nome delle prerogative derivanti dalla superiorità dinastica:
haveria grandissimo desiderio portare una maya pelosa facta cum quelli
canoncini d’oro como porta la excellentia vostra, perché mi piace molto
quella fogia, ma perché gli sono serva, dubitando farli dispiacere por-
tandone, ho prima voluto intendere da lei, essendo sua inventione, se la
si contenta ch’io ne porti. Perhò la prefata vostra excellentia mi dica
senza havermi alchuno respecto, se gli farò dispiacere a portarne e non
si discompiacia di niente, che ancora ch’io ne habia grande desiderio il
deponerò et più grato mi serà compiacere alla excellentia vostra che sa-
tisfare all’apetito mio46.

Eleonora Orsini Del Balzo, marchesa di Crotone, moglie di don


Antonio Centiglies duca di Catanzaro, che Isabella aveva conosciuto a
Ferrara in occasione delle nozze del fratello Alfonso con Lucrezia Bor-
gia, chiede uno dei suoi abiti («camòra») da prendere a modello per la
figlia che arriva in Italia al seguito della regina d’Aragona; Isabella non
esita a inviargliene uno in dono47, così come in altra occasione invia in
dono una «camòra» alla figlia Eleonora duchessa di Urbino48.

ermellino («una zamarra de arminie») proveniente dalla Lituania, insieme a quat-


tro pelli di zibellino, due grandi e due più piccole, «belli et neri», Cracovia, 15
marzo 1530 (ivi, b. 557, c. 11). I regesti delle lettere di Bona Sforza a Isabella d’Este
sono pubblicati da chi scrive in Bona Sforza regina di Polonia e duchessa di Bari, ca-
talogo della mostra, Bari 27 gennaio-22 aprile 2000, Cracovia 14 settembre-19 no-
vembre 2000, a cura di M. S. CALÒ MARIANI-G. DIBENEDETTO, vol. II, Milano 2007,
pp. 207-214, schede II.84-115.
46. ASMn, AG, b. 1802, lettera del 15 aprile 1512 parzialmente trascritta da
A. LUZIO-R. RENIER, Il lusso di Isabella d'Este marchesa di Mantova. Il guardaroba di Isa-
bella d’Este, cit., p. 462.
47. «Il vostro cancelliere ni ha dicto da parte de la signora marchesa di Co-
trono che la desyderaria havere una de le nostre càmore per monstra per sua fi-
gliola che viene cum la regina de Aragona; havemone facto dare una al dicto can-
cellere de veluto leonato, listata de tela de arzento et fodrato de cendale alexan-
drino qual gli fareti apresentare da nostra parte», lettera a Floramonte Brognolo,
12 ottobre 1506, ASMn, AG, b. 2994, copialettere 19, c. 83. Il documento è pubbli-
cato da A. LUZIO-R. RENIER, Il lusso di Isabella d'Este marchesa di Mantova, cit., pp.
454-455.
48. «Mandando el magnifico potestà nostro de Mantua un suo messo ad Ur-
bino, gli havemo consignata una càmora da portare in nome nostro alla signora
duchessa de Urbino, nostra figliola: perché desyderamo ch’el vadi sicuramnet et
ch’el porti la càmora a salvamento, pregamovi che vogliati per amor nostro pro-
108 DANIELA FERRARI

Nel 1515 Federico Gonzaga dalla corte di Francia scrive alla


madre che Francesco I desidera abiti simili ai suoi e le chiede una bam-
bola abbigliata di tutto punto che possa servire come modello49. È que-
sta una delle prime testimonianze di manichini in miniatura che vei-
colano le tendenze della moda dall’Italia all’Europa. Analoga richie-
sta proviene dalla corte di Spagna, dove Pandolfo Malatesta, segreta-
rio di Ferrante Gonzaga alla corte di Carlo V, chiede alla marchesa delle
acconciature e una bambola vestita alla moda di Mantova, per conto di
alcune damigelle della regina Eleonora d’Austria50. Gli ambienti di
Corte gareggiano nel possedere abiti sontuosi che diventano attributo
essenziale di prestigio, rinviando a un contesto semantico di grandezza
e di opulenza.
Quando Isabella si reca in Francia, desta vivissima ammirazione
il suo modo di vestire e un cortigiano che l’accompagna sottolinea:
quando ella passa per le contrade tutti gli homini et donne di ogni sorta
a le porte et finestre et sopra le strade sono a riguardar con maravilia le
foze de Madama et sue donzelle, et dicono molte donne de qui che le
foze nostre de le donne sono molto più bele de le sue51.

Anche l’acconciatura della marchesa di Mantova godeva di una


sorta di celebrità: Isabella faceva confezionare moltissimi «scuffiotti»,
i copricapi femminili più in uso, quasi una specialità mantovana, de-

curare che l’habbi un salvaconducto dal signor duca nostro fratello, de forma ch’el
possi andar securo con le robbe che l’haverà, maximamente la càmora (...)», let-
tera a Bernardino Prospero in Ferrara, 15 febbraio 1512, ASMn, AG, b. 2996, co-
pialettere 30, c. 3v.
49. Federico Gonzaga chiede alla madre «una puva vestita a la fogia che va
lei, di camisa, di maniche, di veste di sotto et di sopra et de abiliamenti de acon-
ciatura di testa et de li capilli, perché Sua Maestà designa di far fare alcuni di
quelli abiti per donare a donne in Franza» (ivi, b. 2121, lettera del 19 novembre
1515, citata da A. LUZIO-R. RENIER, Il lusso di Isabella d'Este marchesa di Mantova,
cit., p. 466).
50. «Io sono importunato d’alchune damiselle de la signora regina che gli
fazzi venire de Italia una puva vestita in tuto del modo se accostuma lì. Siché su-
plico vostra excellentia che commetta ne sia mandata una, con qualch’altra gen-
tilezza da donne, come sono accunciature da testa, per dare alla signora donna
Magdalena Manricha, una de le donzelle de la prefata signora regina, che così se
chiama quella che serve il signor mio patrone», ASMn, AG, b. 1332, lettera del 31
agosto 1524, trascritta in R. TAMALIO, Ferrante Gonzaga alla corte spagnola di Carlo V
nel carteggio privato con Mantova (1523-1526). La formazione da «cortegiano» di un ge-
nerale dell’Impero, Mantova 1991, p. 203.
51. ASMn, AG, b. 634, lettera del 4 giugno 1517, citata da A. LUZIO-R. RENIER,
Il lusso di Isabella d'Este marchesa di Mantova. Il guardaroba, cit., p. 466.
ARREDI TESSILI E ABBIGLIAMENTO ALLA CORTE DEI GONZAGA 109

corati con squisiti ricami e con l’applicazione di pietre dure, perle,


altre decorazioni in oro, che spesso inviava in dono52. La marchesa di
Mantova indossava inoltre la cosiddetta «capigliara», una sorta di par-
rucca formata da capelli finti e stoffe preziose arricciate, con meda-
glione centrale, come si vede nel famoso ritratto dipinto da Tiziano e
in quello postumo dipinto da Rubens, entrambi conservati al Kun-
sthistorisches Museum di Vienna.
Quella rappresentata nei ritratti di Isabella è una moda nella
quale l’equazione corpo-abito rimane in equilibrio secondo schemi
compositivi ben collaudati: la «camòra», pesante veste dalla gonna ar-
ricciata e dall’ampia scollatura quadrata mette in evidenza il decolleté,
ulteriormente enfatizzato dalla camicia bianca e leggera, che lascia li-
bero il collo.
La camicia, impreziosita da ricami, arricciature e guarnizioni di
perle, si affaccia dalla scollatura e dai polsini. Altrettanto evidente ap-
pare l’importanza delle maniche, complementi mobili che potevano es-
sere applicate ad abiti diversi, la cui caratteristica preminente è indivi-
duabile nell’ampiezza; assicurate alla veste da uncini o da lacci inter-
vallati, in modo da lasciar uscire dalle aperture sbuffi della camicia,
esse si legano in particolare alla forma e all’esito decorativo dell’abito
e ne definiscono il valore semantico. L’effetto amplificante delle mani-
che staccate dagli abiti enfatizzava infatti fogge lussuose e stravaganti,
tanto da trovare riscontro in tutta la legislazione suntuaria come ele-
mento da limitare, contenere, vietare. La confezione delle maniche com-
portava l’utilizzo di una maggiore quantità di tessuto pregiato, e spesso
l’aggiunta di ricami, perle, pietre preziose, faceva sì che il loro valore
superasse non soltanto quello dell’abito, ma anche quello dei gioielli.
Il punto vita, piuttosto alto, è sottolineato dalla cintura, comple-
mento necessario all’abito femminile cinquecentesco. Costituite da un
solo capo allungato e pendente al centro, fino all’orlo della veste, le
cinture generalmente terminavano con un fiocco, con un gioiello, o
con un pomo d’oro cavo e traforato, atto a contenere muschio o altre

52. Cfr. supra, nota 45. Nel 1512 Isabella sta facendo confezionare «scuffiotti»
per il fratello Alfonso d’Este che glieli aveva richiesti: «Inteso per la littera vostra
il bisogno del illustrissimo signor duca nostro fratello honorandissimo de quat-
tro scofiotti d’oro, havemo facto cercare in questa terra et non havemo ritrovata
cosa che ni piacia; faremoli fare a nostro modo, et in questo mezo gli mandiamo
uno de li manco brutti, qual essendo meglio de quelli ha al presente potrà godere
finché li altri tri siano finiti», lettera 1 febbraio 1512 a Gerolamo Ziliolo in Ferrara,
ASMn, AG, b. 2996, copialettere 30, c. 1r. Sull'argomento rimando inoltre al sag-
gio di E. WELCH, Art on the edge: hair and hands in Renaissance Italy, in «Renaissance
Studies», 2008, vol. 23, n. 3, pp. 241-268.
110 DANIELA FERRARI

essenze profumate, o uno specchietto, o altro gingillo che poteva es-


sere usato senza essere staccato, data la lunghezza del pendaglio; le
cinture potevano essere confezionate oltre che in tessuto in vari ma-
teriali, talvolta erano formate da «paternoster», corone da rosario rea-
lizzate in pietre dure e metalli preziosi, agganciate a cordoni di tes-
suto, o terminavano con un fermaglio al quale veniva fissato il venta-
glio, altro complemento di arredo importante nel costume dell’epoca.
Isabella è capace di inventare nuove fogge anche in questo
campo; nel 1523 commissiona una cintura in osso a tale maestro An-
gelo, non meglio identificato:
vi pregamo non vi sia grave ritrovare maestro Angelo che lavora d’osso,
et gli direti che desideramo ni facci avere quella cinta di osso di la quale
gli fu parlato gli giorni passati per maestro Cleophas milanese et da lui
hebbe la stampa. Essa cinta volemo sii della longhezza con la ligatura
che è questa corda di seta che vi mandiamo per mostra per lo exhibitore
presente che indriciamo aposta; l’haverimo molto grato, per il deside-
rio che havimo di haverla presto53.

Giudica i ventagli di piume più robusti di quelli inframmezzati


con carta54 e ricerca più volte penne di struzzo per farne confezionare
secondo il capriccio della sua inventiva; il 14 aprile 1504 scrive a Gio-
vanni Battista Vicemale:
Driciamovi Cipriano cavallaro a fine che per lui ne mandiate el nostro
diamante, se l’è stato ligato, et ne mandiati apresso quaranta fin in cin-
quanta penne nigre de struzzo, non tincte, ma naturale; et se bene gli ne
fusse qualchuna che havese qualche machiette bianche fra il negro non
se ne curarimo; et volemole per fare ventaglio. Ricordative di sollicitare
el nostro veluto et tela d’oro che ne ordinassimo55.

Diversi anni dopo non esita a restituire a un artigiano milanese


alcuni ventagli che non le sono piaciuti e cerca di procurarsi il mate-
riale per farne eseguire di migliori a Mantova; così scrive a Grossino,
inviato gonzaghesco:
gli dui ventagli che ni mandasti li giorni passati non ni piacciono molto
et per questo ni è parso rimandargli a fine gli facciati havere al maestro

53. Lettera del 5 maggio 1523 ad Annibale Malaguti, ivi, b. 2998, copialettere
42, c. 62r.
54. Cfr. A. LUZIO-R. RENIER, Il lusso di Isabella d'Este marchesa di Mantova. Ac-
cessori e segreti della «toilette», cit., p. 687.
55. ASMn, AG, b. 2994, copialettere 17, c. 16v.
ARREDI TESSILI E ABBIGLIAMENTO ALLA CORTE DEI GONZAGA 111

che ne li dete, quello che non havimo fatto più presto per smenticanza.
Et poiché a Milano non si ne fanno de più belli, haverimo ad caro che
ni facciati havere delle penne che siino nere al possibile, perché qua ni
faremo far dui a nostro modo per essere maestri che ni servirano56.

A volte la descrizione degli abiti e dei gioielli può consentire


l’identificazione di un dipinto o può correggerne l’attribuzione. È il
caso del ritratto femminile conservato ad Hampton Court eseguito da
Giulio Romano e riconosciuto come Isabella d’Este da una lunga tra-
dizione di studi, basati principalmente su attribuzioni stilistiche; in
esso è stata invece riconosciuta in anni recenti Margherita Paleologo,
la nuora di Isabella d’Este, sulla base di puntuali riscontri documen-
tari che diventano così prova inconfutabile57.
I ritratti di Isabella d’Este sono espressione diretta del linguaggio
figurato veicolato dall’abito, che con la sua valenza esoterica caratte-
rizza l’ambiente di Corte come una sorta di recinto sacro, isolato dal
resto della città e accessibile soltanto a una schiera di iniziati che si ri-
servavano un diritto di privativa anche sulla moda58.
La moda è dunque una delle espressioni «alte» della cultura ri-
nascimentale: il tema del prestigio, attributo indispensabile del potere,
trova una rappresentazione evidente ed efficace nell’esteriorità: fogge
e colori degli abiti riflettono una pluralità di incroci, di stimoli e di in-
flussi, testimoniati da numerose espressioni: alla bolognese, alla vene-
ziana, alla moresca, alla boema, alla tedesca, alla francese, etc., che in-
dicano modelli e stili di abiti e tecniche di lavorazioni utilizzate nei tes-
suti, nei metalli, nei gioielli, ispirati alle mode dei vari paesi.
A titolo esemplificativo costumi e paramenti cosiddetti «alla tur-

56. Lettera del 28 aprile 1523, ivi, b. 2998, copialettere 42, c. 51r. Un paio di
settimane dopo Isabella riceve un centinaio di penne che decide di trattenere ben-
ché non bellissime: «havemo ricevute le cento penne per ventaglio che ni havete
mandato et benché non ne siano parse tanto belle che de simili non se ne fossero
ritrovate in questa terra, tantodimeno le havemo ritenute per il loro costo», ivi, c.
68v, lettera del 14 maggio 1523.
57. R. CASTAGNA-A. M. LORENZONI, Un presunto ritratto di Isabella d'Este ese-
guito da Giulio Romano, in «Civiltà Mantovana», n. s., n. 25, 1989, pp. 15-30.
58. Fondamentale per la storia dell’abbigliamento è l’opera di R. LEVI PI-
SETZKY, Storia del costume in Italia, Roma 1964-1969, voll. 5, che ha radunato una
mole di fonti e di dati con risultati ancora oggi ineludibili. Segnalo inoltre gli studi
di P. VENTURELLI, Vestire e apparire. Il sistema vestimentario femminile nella Milano
spagnola (1539-1679), Roma 1999, e di P. GORETTI, In limatura della luna argentea. La
scienza dei magnifici apparati, tra malinconia, vestiario e vaghezze d’antico, in Gonzaga.
La Celeste Galeria. L’esercizio del collezionismo, a cura di R. MORSELLI, catalogo della
mostra, vol. II, Milano 2002, pp. 185-211, entrambi con ampia bibliografia.
112 DANIELA FERRARI

chesca» e «all’ongaresca» sono identificabili come capi di abbiglia-


mento «all’eroica» in senso lato, utilizzati in occasione di parate e di
caroselli, che diventano particolarmente popolari soprattutto a seguito
della guerra di Carlo V contro i turchi59. Parimenti le fogge «alla spa-
gnola» testimoniano come le Corti rinascimentali dell’Italia setten-
trionale abbiano costituito un terreno importante per la diffusione di
un nuovo modello vestimentario, aristocratico e cortigiano, che si im-
pone a tutta l’area di dominio o di influenza spagnola60.
La visione d’insieme della Corte gonzaghesca che si ricava dalle
fonti documentarie della prima metà del Cinquecento è quella di un
luogo permeato da una raffinata atmosfera culturale; gli spazi interni
sembrano scandire visivamente i caratteri di sacralità e di separatezza
rispetto al resto della città, ma la Corte non è soltanto residenza del si-
gnore e luogo dove si esplicano le attività burocratiche, amministra-
tive, giudiziarie, è anche centro di progettazione di modelli di com-
portamento e di modelli vestimentari, luogo di autorappresentazione
del potere all’interno del quale la moda diventa una delle espressioni
più significative.

59. D. DAVANZO POLI, La moda nel «Libro del sarto», cit., p. 59.
60. Si veda in proposito G. BUTAZZI, Il modello spagnolo nella moda europea, in
Le trame della moda, a cura di A. G. CAVAGNA-G. BUTAZZI, Roma 1995, pp. 80-94.
DANIELA FERRARI 363

1. Manifattura milanese della fine del Quattrocento, Tessuto con l’emblema sforzesco delle Co-
lombine, Milano, Museo Poldi Pezzoli.
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2-5. Letti illustrati nel «Libro del Sarto» attribuito a Giovanni Jacopo del Conte, Venezia, Fonda-
zione Querini Stampalia onlus.
DANIELA FERRARI 365

6. Manifattura della seconda metà del Cinquecento, Parte di pianeta in velluto riccio, Milano,
Museo Poldi Pezzoli.
NELLA STESSA COLLANA
1. La gestione dell’archivio comunale. Problemi e prospettive, a cura di
DANIELA FERRARI, 1994, pp. 128.
2. DANIELA FERRARI, L’archivio gentilizio Arrigoni di Mantova. Inventario,
1995, pp. 240.
3.* GIANLUIGI ARCARI-UMBERTO PADOVANI, L’immagine a stampa di san
Luigi Gonzaga. I. L’oggetto di devozione, 1997, pp. 204.
3.** GIANLUIGI ARCARI-UMBERTO PADOVANI, L’immagine a stampa di san
Luigi Gonzaga. II. Vita, morte e miracoli, 2000, pp. 216.
4. La memoria e l’archivio. Per una storia della presenza femminile a Man-
tova in età contemporanea, atti del seminario, Mantova 28-29 ottobre
2000, a cura di GRUPPO 7-DONNE PER LA PACE, 2001, pp. 160.
5. Carte Ivanoe Bonomi. Inventario, a cura di DANIELA FERRARI-MARIO
VAINI, con la collaborazione di SONIA GIALDI-FABIANA MIGNONI,
2002, pp. 256.
6. DONATELLA MARTELLI, L’archivio Monsignor Luigi Martini. Inventario,
2003, pp. 520.
7. GIOVANNI BATTISTA VASSALLO, Annali che contengono diversi avveni-
menti in Casale Monferrato et altrove (1613-1695), a cura di ADRIANO
GALASSI-BLYTHE ALICE RAVIOLA-ROMANO SARZI, introduzione di
CESARE MOZZARELLI, 2004, pp. 352.
8. FERRANTE APORTI, Memorie storiche risguardanti San Martino del-
l’Argine antico municipio del Mantovano poi dominio dei Gonzaga, a
cura di BENVENUTA AGOSTA, introduzione di LUDOVICO BETTONI,
2004, pp. 256.
9. STEFANO L’OCCASO, Fonti archivistiche per le arti a Mantova tra Me-
dioevo e Rinascimento (1382-1459), introduzione di GIOVANNI AGOSTI,
2005, pp. 464.
10. Un album di disegni raccolti da Carlo d’Arco, a cura di PAOLO
CARPEGGIANI, 2007, pp. 184.
11. Gli Statuti dell’Arte degli orefici di Mantova (1310-1694), a cura di
DANIELA FERRARI-PAOLA VENTURELLI, 2008, pp. 212.
12. CESARE MOZZARELLI, Scritti su Mantova, introduzione di DANIELA
FRIGO, 2010, pp. 496.
13. Storia di Luisa. Una bambina ebrea di Mantova, a cura di MARIA BACCHI-
FERNANDA GOFFETTI, 2011, pp. 200.
14. Scritti per Chiara Tellini Perina, a cura di DANIELA FERRARI-SERGIO
MARINELLI, 2011, pp. 496.
Questo volume è stato stampato
in mille copie
nel mese di dicembre 2011
presso Publi Paolini
di Mantova
Ministero per i Beni
e le Attività Culturali
Archivio di Stato
di Mantova

In copertina: Studi di mani per I santi dottori della Chiesa armena, disegno a matita e
biacca di Giuseppe Bottani (Cremona, 1717-Mantova, 1784), Collezione privata.

ISBN 978-88-88499-74-1

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